S. Messa
Quotidiana Registrata a Cristo Re Martina F. Pubblicata anche su YOUTUBE http://www.youtube.com/user/dalessandrogiacomo Vedi e Ascolta :Agosto 2011
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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-07-01 ad oggi 2011-08-04 Sintesi (Più sotto trovate gli articoli)SCUOLA, UNIVERSITA’, FORMAZIONE 2010-10-04 I IL CENSIMENTO Giovani, laureati, in fuga per scelta Ecco chi sono gli italiani all'estero Oltre sedicimila risposte al nostro questionario. Due terzi sono maschi, hanno titoli di studio elevati. Solo il 10% ha più di 45 anni e oltre la metà non è iscritta all'Aire. Se ne sono andati soprattutto per motivi professionalie perché questo Paese non piace più a chi ci viveGiovani, laureati, in fuga per scelta Ecco chi sono gli italiani all'estero Più di 17mila storie raccolte in quattro giorni non solo sono un ottimo risultato. Sono soprattutto un segnale: la conferma, l'ennesima per chi si occupa di questo argomento, del fatto che gli Italiani Residenti all'Estero sono una comunità enorme, attiva, impegnata, informata e bisognosa di sentirsi compresa o almeno ascoltata dal proprio Paese. PERITI TECNICI MERCE RARA |
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2010-10-03 Lo stesso test non è uguale per tutti Atenei, i risultati delle prove d'ingresso Le stesse ottanta domande in tutta Italia, ma è nel segno della disparità il loro risultato. A medicina, per entrare a Padova servivano minimo il 60% delle risposte esatte, a Campobasso il 48%. Per non parlare della percentuale di iscritti che sono riusciti a passare di Lo stesso test non è uguale per tutti Atenei, i risultati delle prove d'ingresso Un'unica batteria di ottanta domande uguali per tutta Italia somministrate contemporanemente negli atenei statali, stesso tempo a disposizione per rispondere, identici criteri di valutazione (risposta giusta 1 punto, sbagliata -0,25, non data 0), correzione automatizzata e in forma anonima degli elaborati. 2010-09-02 Gelmini: nessun governo è in grado di assumere oltre 200mila precari. Va cambiata la formazioneGelmini ha scelto Palazzo Chigi per rispondere ai precari. "Capisco la situazione, per molti versi dolorosa, ma nessun Governo riuscirà mai ad assumere 230mila precari". Il ministro ha confermato poi la linea del rigore. Da quest'anno, ha annunciato, "non si potranno superare i 50 giorni d'assenza. Pena: la bocciatura". In una conferenza stampa fiume, la titolare di viale Trastevere ha fatto il punto sulle novità in arrivo con il nuovo anno scolastico, che vedrà in particolare l'avvio, nelle prime classi, della riforma delle superiori. Positive, secondo il ministero, le reazioni di famiglie e genitori: le iscrizioni al settore tecnico-scientifico (che nel 2009 ha segnato un gap di profili professionali richiesti dalle imprese di ben 50.726 diplomati) sono cresciute dell'1,7 per cento. Quelle per il liceo delle scienze umane con opzione economica, dell'1,6%, quelle per il linguistico, dell'1,3 per cento.Nasce anche una nuova filiera non universitaria che "dura 2 anni e vede università, scuole e aziende protagoniste della formazione". Si tratta degli istituti tecnici superiori post-secondaria: quest'anno ce ne saranno 20 e serviranno per formare figure professionali richieste dal mondo del lavoro. E che, ha sottolineato il ministro Gelmini, andranno a sostituire i corsi di laurea triennali "che si sono rivelati poco utili per favorire l'occupazione". Grazie ad accordi ad hoc con i conservatori e gli enti locali sono 1.200 gli studenti iscritti ai 37 licei musicali attivati (5 coreutici), che una volta conseguito il diploma, ha assicurato Gelmini, potranno anche iscriversi all'università. 2010-09-02 Nasce anche una nuova filiera non universitaria che "dura 2 anni e vede università, scuole e aziende protagoniste della formazione". Si tratta degli istituti tecnici superiori post-secondaria: quest'anno ce ne saranno 20 e serviranno per formare figure professionali richieste dal mondo del lavoro. E che, ha sottolineato il ministro Gelmini, andranno a sostituire i corsi di laurea triennali "che si sono rivelati poco utili per favorire l'occupazione". Grazie ad accordi ad hoc con i conservatori e gli enti locali sono 1.200 gli studenti iscritti ai 37 licei musicali attivati (5 coreutici), che una volta conseguito il diploma, ha assicurato Gelmini, potranno anche iscriversi all'università.2010-07-19 UNIVERSITA' Matricole "a numero chiuso" più medici e meno architettiA settembre le prove di ammissione per entrare nelle facoltà a numero chiuso. Il test d'ingresso si svolgerà in contemporanea in tutte le università statali ROMA - Il countdown è cominciato: per molti studenti freschi di Maturità, aspiranti matricole di corsi di laurea a numero chiuso, le vacanze sono finite ed è tempo di rituffarsi nei libri. Una nuova e impegnativa prova li attende: la prova di ammissione per entrare nelle facoltà ad accesso programmato a livello nazionale. 2010-07-19 Il test d'ingresso vincolante (80 domande a risposta multipla) si svolgerà a settembre, in contemporanea in tutte le università statali e in un'unica giornata, per ciascuna delle tipologie previste dal Miur. Aprirà le danze, il 2, Medicina e Chirurgia; il giorno successivo sarà la volta di Odontoiatria e Protesi Dentaria; a seguire Medicina Veterinaria (il 6), Architettura (il 7) e Professioni Sanitarie (l'8); chiuderanno la serie, il 20 settembre, i corsi in Scienze della Formazione Primaria.I posti in palio. Tra le aspiranti matricole "a numero chiuso" solo 52.808 riusciranno ad accedere al corso prescelto, rispondendo correttamente ai test e superando la barriera d'ingresso. La maggior parte dei posti a disposizione per studenti comunitari e non comunitari residenti in Italia si concentra nell'area sanitaria (38.705), con differenze sostanziali tra i diversi settori e le relative branche. Nelle professioni sanitarie (28.135 posti complessivi) a fare la parte del leone è Infermieristica con ben 16.336 disponibilità (1.427 in più rispetto allo scorso anno) mentre i corsi in Tecniche Audiometriche avranno soltanto 114 nuove matricole; gli immatricolati in Medicina e Chirurgia saranno 8.775, con un incremento di 750 unità rispetto a quanto inizialmente previsto per l'a. a. 2009/2010 (a novembre 2009, per decreto, i posti furono portati da 8.075 a 8.508). Crescono anche i posti per i futuri dentisti (789 rispetto ai 690 dell'anno scorso) mentre le matricole in Veterinaria saranno 44 in meno (passando da 1.050 a 1.006). Stabili i posti per Scienze della Formazione Primaria: da 4.806 a 4.838. Stretta, invece, su quelli finalizzati alla professione di Architetto (Architettura e Ingegneria Edile): tagliati 620 posti, quest'anno potranno iscriversi in 9.265 rispetto ai 9.885 dell'a. a. 2009/2010. 2010-07-18 "Basta con le lauree tutte uguali più concorrenza tra gli atenei" il deputato del Pdl Fabio Garagnani chiede di eliminare il valore legale del titolo di studio "Le università preparano in maniera diversa, ma la legge afferma che tutti sono preparati in maniera eguale a prescindere dal contenuto formativo" 2010-07-10 L'Università protesta contro la Gelmini ma Berlusconi va all'Ateneo di Mr Cepu La e-mail è arrivata in queste ore agli oltre 3mila iscritti all'Ateneo telematico eCampus. Agli studenti ha scritto il rettore Lanfranco Rosati in persona. Lunedì mattina, il premier Silvio Berlusconi, visiterà privatamente il campus di Novedrate, in Brianza alle porte di Como, e "parlerà con studenti e docenti". Un evento - sottolinea Rosati ad ogni studente telematico - "che arriccherà la tua esperienza formativa". Come dire, da non perdere. Tant'è che subito dopo l'e-mail precisa quanto segue: comfermare la presenza via posta elettronica o telefonincamente e contiene persino un tassativo consiglio su come vestirsi per incontrare il premier: "Siete invitati ad indossare l'abbigliamento informale". Roba da non crederci. Proprio mentre tutti gli Atenei d'Italia - dalla Sapienza di Roma all'Università di Cagliari - sono in mobilitazione contro il ddl Gelmini e i tagli previsti all'istruzione dalla Finanziaria di Tremonti che mette letteralemnte in ginocchio le università e la ricerca, il Cavaliere sceglie di far "visita" all'Ateneo di Mr.Cepu, Francesco Polidori. 2010-07-10 Maturità, aumentano i bocciati e si abbassano i voti di diploma Primi dati forniti dal ministero dell'Istruzione sull'esame del 2010. Il "rigore" voluto dal ministro Gelmini sembra prevalere. Sparicono i superbravi da 100 e lode, diminuiscono i 100 2010-07-01 ROMA—"Nel tempo si dovranno apporre correttivi al cosiddetto "3+2", senza stravolgere un sistema che ha già subito tanti scossoni". Lo ha detto il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, ospite di "Radio anch’io", ammettendo che "il sistema del "3+2" sicuramente ha dato meno risultati di quanto ci si aspettasse". "Ma non si può continuamente—ha osservato il ministro — ripartire da zero. Oggi abbiamo questo sistema, in molti casi alla laurea triennale non sono conseguite opportunità occupazionali facili e certamente nel tempo bisognerà apporre correttivi ". |
Internet, l'informatore, ll Giornalista, la stampa, la TV, la Radio, devono innanzi tutto informare correttamente sul Pensiero dell'Intervistato, Avvenimento, Fatto, pena la decadenza dal Diritto e Libertà di Testimoniare.. Poi si deve esprimere separatamente e distintamente il proprio personale giudizio..
Il Mio Pensiero
(Vedi il "Libro dei Miei Pensieri"html PDF ):
"Medici al lavoro prima dei trent'anni"Al via la riforma dell'università
Le specializzazioni dureranno di meno, l'esame di laurea varrà quello di Stato. Fazio: "Rimane il numero chiuso"
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QUALITA' MEDICI INCEDIBILE - NO A NUMERO CHIUSO
Corriere della Sera 2011-07-28
"Medici al lavoro prima dei trent'anni"
Al via la riforma dell'università
Al via la riforma dell’università
Le specializzazioni dureranno di meno, l’esame di laurea varrà quello di Stato.
Fazio: "Rimane il numero chiuso"
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Il Mio Pensiero:
28.07|19:18
dalessa
QUALITA’ MEDICI INCEDIBILE - NO A NUMERO CHIUSO 28.07|19:18 dalessa
Non è assolutamente giusto ridurre i tempi di Laurea di una Laurea e relativa specializzazione che sono state vanto dell'Italia nel Mondo.
Una amica di mia figlia si è Laureata a 24 anni, nonostante il professore gli abbia sbagliato la scelta della tesi e quindi ritardato di 6 mesi la medesima, e sta comunque facendo la specializzazione in tempi brevi.
Il problema è che va tolto il numero chiuso, anche in virtù della possibilità di poter seguire le lezioni online, senza creare disagi di affluenza, con possibilità di abbassarne i costi per i meritevoli o lievemente in ritardo, mentre vanno accentuati per i costi per i fuori corso cronici.
Per. Ind. Giacomo Dalessandro ( pensionato virtuale)
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Il Mio Pensiero:
Martina F. 2 Settembre 2010
Da diversi anni a questa parte si sta facendo di tutto per allungare il tempo di studio degli studenti, allungando di conseguenza anche i tempi dell'inserimento nella vita economico sociale Italiana.
Così ora sembra non bastare più il Diploma delle scuole medie superiori per inserirsi nel mercato del lavoro, ed in particolare per gli ITIS, Istituti Tecnici Industriali, per Geometra, per Ragionieri, si innalza il percorso scolastico trasformando quello che era una volta il "Diploma di Tecnico Industriale" in attuale Maturità, non consentendo ai neo Diplomati di fregiarsi di un Titolo altamente Specialistico a Valenza Internazionale (tant'è che una volta corrispondeva al Laureato Tecnico Americano), e che addirittura, con il superamento di un Esame di Stato, dopo Esperienza Professionale e Tecnica presso Aziende o Professionisti, equipara e supera ancora oggi i Titoli acquisiti con la Laurea Breve e successivo Esame di Stato.
E non ci si venga a dire che è una esigenza della Comunità Europea per consentire la libera circolazione dei Lavoratori, perché per noi è meglio preparare giovani altamente specializzati da tenere in casa, piuttosto che prepararli per farli espatriare per lavoro: - Quello che avevamo di buono, come per esempio i nostri diplomati, ed i nostri vecchi ingegneri quinquennali che tutti ci invidiavano, dobbiomo riprendere a prepararli, dandogli in più una preparazione reale innovativa proveniente dal mondo del lavoro, da integrare a quella teorica tradizionale.
Fra l'altro l'attuale percorso di Laurea Breve non viene superato quasi mai in 3 anni, vanificando nei fatti quelli che erano gli obbiettivi che gli attuatori della relativa riforma si erano.
Quello che invece occorre fare è riportare in auge il Diploma Tecnico, con relativo Esame di Stato per l'Abilitazione all'Esercizio della Libera Professione.
In più bisogna completare il percorso formativo degli ITIS attuando il Tempo Pieno, completando l'attuale ottimo ciclo di studio teorico del mattino, con un ulteriore ciclo integrativo pomeridiano, sviluppato da Professionisti della medesima specializzazione, portatori di esperienza specialistica almeno trentennale acquisita presso Aziende Primarie, o nella Libera Professione.
Così facendo si consente di trasferire ai giovani il KnowHow e l'esperienza professionale che altrimenti con il pensionamento si perde, a danno e depauperamento di ricchezza professionale Italiana.
Questo completamento formativo deve avere la medesima valenza dell'attuale praticantato, o di esperienza acquisita con Stage presso aziende, per consentire l'Iscrizione all'Albo Professionale.
Il percorso formativo deve chiaramente integrare la Conoscenza delle Leggi, Norme, Standardizzazioni di Calcolo, Progetto e Realizzazione, Aspetti inerenti la Sicurezza, la Prevenzione Incendi, l'Ambiente, la Sostenibilità, ecc. a seconda delle varie specializzazioni.
Così facendo, oltre a notevoli risparmi ecomici nella formazione ( fra l'altro spesso fasulla o non pertinente gli interessi relmente formativi ), potendo utilizzare personale in mobilità e cassa integrazione, consente il trasferimento del knowHow, anticipa l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, comporta un ritorno in enormi energie giovanili ( inserendoli già preparati a produrre riccchezza e non come peso ed onere per le Aziende e la Collettività ), toglie manovalanza e mercato al mondo della droga e della delinquenza, che prosperano sui giovani abbandonati, non autonomi economicamente, demotivatio professionalmente, ed in notevole dispersione scolastica.
Infine va ripristinata la laurea quinquennale, consentendo comunque l'esistenza di un titolo di studio intermedio, triennale, con valenza tecnica.
Questa è la vera riforma che va attuata.
Martina F. 2 Settembre 2010
Per. Ind. Giacomo Dalessandro
Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-07-01 ad oggi 2011-08-04 |
AVVENIRE per l'articolo completo vai al sito internet http://www.avvenire.it2011-08-04 3 agosto 2011 LA POLEMICA Scuola, per i docenti arriva il decreto della discordia Trentamila assunzioni a tempo indeterminato. E altrettanti docenti precari che riusciranno a raggiungere un traguardo agognato da tempo. A giorni il ministero della Pubblica Istruzione dovrebbe fornire le cifre definitive e soprattutto la ripartizione di queste decine di migliaia di assunzioni, frutto di un accordo raggiunto alcune settimane fa tra i ministeri della Pubblica Istruzione, della Funzione pubblica e i sindacati di categoria. Ma a giorni è atteso anche il primo bando sui nuovi corsi abilitanti che dovrebbero dare avvio al nuovo percorso di formazione dei futuri docenti. Un passaggio atteso, quanto temuto, visto che nelle scorse settimane dal ministero di viale Trastevere sono state ipotizzate cifre sul fabbisogno futuro di docenti davvero esigue: poco meno di 9mila insegnanti in tutta Italia. Se si pensa che solo i precari superano le 200mila unità e altre decine di migliaia sono i giovani che hanno concluso il percorso di formazione, ma sono ancora privi dell’abilitazione (requisito indispensabile per entrare a pieno titolo nell’insegnamento), parlare di 9mila posti è davvero una goccia nel mare. Ma anche le trentamila assunzioni di docenti nel nuovo anno scolastico (a cui se ne aggiungeranno altre 37mila per il personale Ata, cioè il personale amministrativo, tecnico e ausiliare) sembrano destinate a risolvere solo una piccola parte del precariato. E anche con molti malumori. A destare le maggiori preoccupazioni sono le graduatorie presso ogni ufficio provinciale. Dovrebbero essere a esaurimento, ma i trasferimenti da una provincia all’altra comportano modifiche e variazioni, creando di fatto una sorta di "guerra" tra precari, che si vedono magari sorpassati in graduatoria dai nuovi arrivati da altre province. Una situazione complicata, ancora di più dopo la bocciatura della Corte Costituzionale (nell’aprile scorso) subita dalla decisione di prevedere per il solo biennio 2009/2011 l’inserimento in coda della graduatoria per i docenti che facevano richiesta di iscrizione in un’altra provincia. Insomma un agosto tutt’altro che tranquillo per il corpo docente e che lascia perplessi sulla reale possibilità di iniziare sin dal primo giorno di lezione con tutti i posti cattedra coperti. Una situazione che preoccupa anche le migliaia di giovani che aspirano a iniziare la carriera docente. Molti hanno concluso il proprio percorso di studi, ma non hanno conseguito alcuna abilitazione. Per loro dovrebbe arrivare un percorso transitorio per permettere loro di raggiungere almeno l’abilitazione, ma sul posto in cattedra non esistono sicurezze. Peggio ancora per chi è all’inizio di questo percorso. Molto dipenderà appunto dai numeri previsti dal primo bando atteso dal ministero della Pubblica Istruzione. Il vero rischio è che una gran parte di questa generazione di aspiranti docenti lo resti soltanto sulla carta. Una prospettiva preoccupante per una scuola che ha un corpo docente sempre più anziano. Enrico Lenzi
2011-04-16 16 aprile 2011 "ANDEMM AL DOMM" Milano, in 40mila alla marcia delle scuole cattoliche 'Famiglia e scuola cattolica fanno bene all'Italia!', è il tema scelto per la marcia 'Andemm al Domm' che a Milano ha riunito 40 mila persone tra alunni, genitori, docenti e dirigenti scolastici delle scuole cattoliche. In piazza Duomo il cardinale Dionigi Tettamanzi ha rivolto un saluto ai partecipanti ricordando le parole del Papa nel messaggio al presidente della Repubblica in occasione della festa dei 150 anni dell'unità d'Italia: "Il cristianesimo ha contribuito in maniera fondamentale alla costruzione della identità italiana attraverso l'opera della chiesa, delle sue istituzioni educative e assistenziali". Tettamanzi ha sottolineate: "Noi tutti ci sentiamo parte di questo nostro Paese, che ci onoriamo di servire in molti modi e con sincerità di cuore. Lo serviamo quando le nostre famiglie assicurano ai figli le attenzioni necessarie: una cura affettuosa, un amore autentico, la costante trasmissione di quei valori che hanno contribuito a costruire la nostra storia patria, che ci hanno aiutato a vivere insieme anche nei suoi momenti difficili e drammatici di tensione". Dopo avere parlato dei valori che contraddistinguono la storia italiana, l'unità della famiglia, dell'accoglienza, del rispetto, dell'aiuto offerto a chi ha più bisogno, "e tutto questo in maniera gratuita e disinteressata", il cardinale ha aggiunto: "Siamo convinti anche che davvero la scuola cattolica costituisce una grande risorsa per il Paese". L'arcivescovo di Milano ha quindi ricordato i momenti difficili che l'Italia sta vivendo: "Oggi sta affrontando sfide nuove, come quella dell'inevitabile confronto con popoli, culture e religioni differenti. All'Italia vogliamo dire con forza che le nostre famiglie e le nostre scuole, come l'intera comunità cristiana, sono pronte e decise a fare la loro parte. Oggi come ieri, di fronte alle emergenze sociali, familiari, educative, i cattolici dicono la loro piena disponibilità ad offrire il loro contributo". "L'unità della nostra nazione - ha concluso - dura da 150 anni e noi l'abbiamo ricevuta come una preziosa eredità dai nostri padri; allo stesso tempo si tratta di un traguardo che siamo chiamati a custodire e salvaguardare ogni giorno con impegno, aprendoci con coraggio e audacia al futuro, ad un futuro migliore. Ora una scuola capace di educare veramente e di concorrere alla formazione di persone serie e responsabili rende un servizio straordinario al bene del Paese e rappresenta una garanzia e una speranza per il suo futuro".
16 aprile 2011 PADOVA Scuola statale, nuovo attacco di Berlusconi: è polemica Ci sono "insegnanti di sinistra" che nella scuola pubblica "inculcano ideologie e valori" diversi da quelli della famiglia. Lo ha specificato il presidente del Consiglio, Silvio Berlusocni, nel suo messaggio scritto ad un convegno del Pdl, a Padova, dedicato alle mamme d'Italia. "Abbiamo fatto leggi - ha dedtto Berlusconi - che puniscono severamente la violenza sessuale, abbiamo introdotto il reato di stalking contro gli 'atti persecutorì contro le donne. Abbiamo tutelato la famiglia con i bonus bebè, il piano casa, gli affitti agevolati per le giovani coppie, la riduzione dei costi scolastici e il bonus per la scuola privata, perché i genitori possano scegliere liberamente quale educazione dare ai loro figli, e sottrarli a quegli insegnanti di sinistra che nella scuola pubblica inculcano ideologie e valori diversi da quelli della famiglia". L'intervento di Berlusconi ha suscitato un coro di polemiche. Giovanni Bachelet, presidente del Forum sulla scuola del Pd, ha commentato ricordando che il governo "non ha massacrato soltanto le scuole statali, ma anche tagliato i magri fondi delle scuole paritarie". "Credenti di ogni confessione e non credenti - ha detto ancora - sanno bene che questa insulsa contrapposizione non giova a nessuno e serve solo a mascherare il de-finanziamento di tutte le scuole e l'ostilità del premier verso ogni cultura di destra, di centro e di sinistra, laica e cattolica che sia". Critiche all'attacco di Berlusconi anche da sindacati e rete degli studenti.
2011-04-15 15 aprile 2011 LA PARITÀ INCOMPIUTA Fondi a rischio, materne in rivolta Rinnovi contrattuali in pericolo Questa mattina i responsabili delle scuole dell’infanzia paritarie della provincia di Treviso consegneranno le chiavi dei loro istituti nelle mani del prefetto Aldo Adinolfi. E saranno accompagnati anche da una delegazione dell’Associazione dei Comuni della Marca Trevigiana. Un gesto simbolico, ma che racconta di una situazione che sta diventando sempre più insostenibile. "Consegneremo al prefetto, in qualità di massimo rappresentante del governo – spiega il presidente provinciale di Treviso della Fism, la federazione delle materne di ispirazione cristiana, Giancarlo Frare – un documento nel quale ribadiamo che, senza adeguati finanziamenti, il sistema veneto delle scuole dell’infanzia è a rischio di progressiva sparizione". Un gesto clamoroso quello della Fism di Treviso (quasi 20mila bambini, che nel solo Veneto salgono a 94mila - quasi il 70% della popolazione totale -, con oltre un migliaio di dipendenti), ma segnale di un malessere e di una fortissima preoccupazione che coinvolge l’intero sistema scolastico paritario nazionale. Infatti, al danno del taglio nella legge di stabilità per il 2011 di 258 milioni di euro sul capitolo di spesa che originariamente ne aveva 539, si aggiunge ora la beffa di vedere in pericolo il recupero di almeno 245 milioni per il 2011. Colpa, spiega Luigi Morgano, segretario nazionale della Fism, "dell’allungamento dei tempi della vendita delle frequenze televisive del digitale terrestre italiano". Già perché il recupero dei 245 milioni per quest’anno è legato all’incasso, previsto dalla legge di stabilità, di almeno 2 miliardi e 400 milioni di euro da quella vendita. Ma i tempi della gara si sono allungati, anche per il fatto che il ministro per lo sviluppo economico, Paolo Romani ha presentato al Consiglio di Stato un quesito con il quale, in parole povere, si chiede se la partecipazione di un concorrente extra-Ue (leggi il gruppo televisivo Sky) sia o meno in contrasto con la normativa in vigore. Il risultato di questa battaglia per l’etere, in cui sono coinvolti in particolare Sky e Mediaset, è che tutto è ancora fermo e l’incasso dei 2 miliardi e 400 milioni (tra cui i 245 da rimettere a disposizione della scuola paritaria) è ben lontano dall’accadere. E così - beffa nella beffa - il ministero dell’Economia e delle finanze ha deciso di correre ai ripari riducendo dell’importo citato, i capitoli di spesa già stanziati per il 2011. E "tra questi capitoli – denuncia ancora Morgano – è finito ancora quello della scuola paritaria". Risultato? Non solo il capitolo di spesa ha subito un taglio di 258 milioni (che sulla carta dovrebbero vedere un recupero di 245), ma persino i 281 milioni di euro messi nel capitolo per le paritarie hanno subito un ulteriore taglio del 10% riducendosi a 252 milioni. Lo ha ammesso lo stesso ministero rispondendo qualche settimana fa a un’interrogazione presentata dal deputato del Pdl Gabriele Toccafondi. "Attualmente – si legge nel documento di risposta del ministero all’interrogazione presentata in Commissione Bilancio dal parlamentare – risultano iscritte in bilancio, al netto degli accantonamenti di cui sopra (i 281 milioni, ndr), risorse per 252 milioni e 537mila euro". Insomma, siccome non si è sicuri di incassare la cifre prevista dalla vendita delle frequenze si è tagliato (o come si dice in burocratese "accantonato") nelle spese già decise, colpendo lo stesso capitolo di bilancio per il quale da quell’incasso ci si aspettano i fondi da reintegrare. Una situazione così intricata da far girare la testa, ma con una conseguenza chiara: mettere a rischio l’esistenza del sistema scolastico paritario, al quale, aggiunge ancora il segretario della Fism, "attualmente sono stati messi a disposizione in cassa soltanto 167 milioni di euro". A conti fatti dei 539 milioni di euro di partenza al momento se ne sono persi per strada (nei diversi passaggi) 372, che in percentuale rappresenta il 69% dell’intero importo. Un taglio che nessun altro capitolo di spesa ha mai subito. La consegna delle chiavi delle materne Fism di Treviso, alla luce di questi dati, da simbolico, diventa un vero e proprio campanello dall’allarme. Per tutti. Stato compreso, che, con la presenza delle paritarie, risparmia oltre 6 miliardi di euro all’anno. I TAGLI METTONO A RISCHIO I RINNOVI CONTRATTUALI È l’altro volto dell’assenza di certezze nei fondi per le scuole paritarie: la mancata apertura della trattativa per il rinnovo dei contratti per il personale della scuola dell’infanzia paritaria associata alla Fism. È stata la stessa Federazione delle materne di ispirazione cristiana a chiedere ufficialmente alle organizzazioni sindacali il rinvio dell’apertura della trattativa "in attesa – si legge nella nota approvata dal Consiglio Nazionale della Fism – di quelle certezze che possono essere acquisite solo nei prossimi mesi: certezze, peraltro, indispensabili in ordine alle modalità del servizio finora assicurato dalle scuole associate, alla sua qualità, alla salvaguardia di decine di migliaia di posti di lavoro e all’entità delle rette a carico delle famiglie". Da parte loro, le organizzazioni sindacali (Cgil, Cisl, Uil e Snals) pur "comprendendo le preoccupazioni avanzate" dalla Fism esprimono contrarietà verso "la richiesta di differimento sine die della trattativa per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro 2010/2012". Si tratta di oltre quarantamila dipendenti laici (padri e madri di famiglia) in attesa del rinnovo del contratto, ma che, continuando l’attuale situazione sui fondi erogati, rischiano anche il loro posto di lavoro. "È la nostra preoccupazione maggiore" conferma Luigi Morgano, segretario nazionale della Fism, che non nasconde il timore che il continuo taglio dei fondi significhi aggravare il peso economico sulle rette pagate dalle famiglie, che potrebbero anche non farcela più. E di conseguenza il calo di iscrizioni potrebbe portare alla chiusura delle scuole dell’infanzia. "In questi anni abbiamo sempre rispettato le scadenze contrattuali – afferma ancora Morgano – e abbiamo cercato progressivamente di ridurre la forbice tra gli stipendi delle educatrici delle statali e quelli delle nostre maestre". Ma ora la situazione "è talmente precaria" che rende difficile proseguire su questa strada. Enrico Lenzi
2011-01-15 15 marzo 2011 LE INCHIESTE DI AVVENIRE Beni culturali, speso solo il 45% Sostenere che si sarebbero potuti salvare gli antichi muri di Pompei forse sarebbe azzardato, e anche un po’ demagogico. Ma non si andrebbe troppo lontano dal vero. Di certo ci sono molti progetti che si sarebbero potuti portare a termine tra manutenzioni straordinarie, nuove tutele e valorizzazioni di siti, se solo ci fossero stato i soldi per finanziarli. O meglio: se solo il ministero dei Beni e delle Attività culturali (Mibac) fosse stato capace di spenderli, i soldi. Perché – ecco la notizia – in realtà i fondi c’erano e ci sono, ma il ministero non riesce a spenderli: oltre la metà delle sue disponibilità, infatti, resta in cassa incagliato nelle pastoie burocratiche, bloccato nei cassetti degli uffici, perso nei meandri di via del Collegio Romano a Roma. La prova è in una circolare (la n.36 del 4 febbraio 2011) firmata dal direttore generale del ministero, Mario Guarany, nella quale si dà conto del "monitoraggio delle contabilità speciali e dei conti di tesoreria unica al 31 dicembre 2010", che Avvenire ha "intercettato". Ebbene, alla fine dello scorso anno, il bilancio evidenziava una "disponibilità finanziaria pari a 545.231.631,09 euro corrispondente al 55% del totale generale delle entrate ammontanti a 991.297.847,23 euro comprensive del debito trasportato al 1 gennaio 2010 (...) e delle entrate affluite nei mesi di gennaio-dicembre (...)". Tradotto, significa che nel 2010 – l’annus horribilis dei tagli alla cultura, quello nel quale la scure severa del ministro dell’Economia Giulio Tremonti si è abbattuta sui fondi destinati alla cultura italiana – il ministero non ha utilizzato oltre la metà dei soldi a sua disposizione, lasciando in cassa qualcosa più di mezzo miliardo di euro. Nella circolare si evidenziano con precisione e largo utilizzo di grafici le diverse voci di spesa e le percentuali di utilizzo dei fondi da parte degli "istituti periferici" e divisioni varie. Si va dal 37% dei "Beni archeologici e paesaggio" al 69% delle "Soprintendenze", passando per il 39% delle "Direzioni regionali" e il 50% degli "Archivi". A Pompei "avanzati" 29 milioni Appare ancora peggiore il quadro dell’utilizzo delle entrate esaminando i "Conti di tesoreria unica" (si veda la tabella in pagina) nei quali tolto l’exploit del "Polo museale napoletano", per il quale sono stati usati quasi il 90% dei fondi a disposizione, il resto delle percentuali di utilizzo è sconfortante. Si va dal 13% dell’"Opificio delle pietre dure di Firenze" al 19% della sovrintendenza "Archeologica di Roma"; dal 21% dell’"Archivio centrale dello Stato" al 29% della "Biblioteca nazionale di Firenze". Fino ad arrivare – e parliamo del caso che ha occupato le prime pagine dei giornali di tutto il mondo appena qualche mese fa – proprio alla soprintendenza speciale dei "Beni archeologici di Napoli e Pompei" per la quale erano disponibili nel 2010 entrate pari a 50 milioni di euro e ne sono stati spesi poco più di 21 milioni, pari al 42% circa. Con un residuo ancora in cassa, quindi, di quasi 29 milioni di euro. Abbastanza per salvare i muri della "Casa del moralista" di Pompei crollati nel novembre scorso? Probabilmente sì, anche se non lo sapremo mai con certezza. Questione amministrativa Ma come è possibile che i soldi non vengano spesi, quando un giorno sì e l’altro pure vengono chieste (e ultimamente anche offerte) le dimissioni del ministro Bondi? Mentre si susseguono le proteste nel mondo della cultura per i tagli alle risorse? Tagli che hanno portato proprio ieri alle dimissioni di Andrea Carandini dalla carica di presidente del Consiglio superiore per i beni culturali (si veda l’articolo sotto). La questione in realtà è assai poco politica e molto amministrativa, nel senso che – una volta separata la funzione di indirizzo da quella di gestione, come hanno previsto le normative in materia introdotte negli anni Novanta – sono i dirigenti del dicastero, e non il ministro o i sottosegretari, ad essere direttamente responsabili dei flussi di cassa e degli impegni di spesa. E, all’interno del già complesso bilancio del Mibac, negli anni hanno finito per proliferare le cosiddette "contabilità speciali". Attualmente sono oltre 300, nelle quali confluiscono gli impegni "propri" derivanti da contratti e quelli diciamo "impropri" basati su accordi non ancora adeguatamente formalizzati. Completano il quadro procedure d’asta antiquate, progettazioni e gare senza capitolati dettagliati e altre farraginosità sulle quali da tempo un comitato scientifico è stato incaricato di proporre iniziative di riforma. Incombe infatti la nuova legge di contabilità e finanza pubblica (la 196 del 31/12/2009) che prevede il "definanziamento delle leggi di spesa totalmente non utilizzate negli ultimi tre anni". "Cerchiamo di spendere qualcosa in più" Sarà anche per questo che la circolare del direttore generale del ministero si chiude con una raccomandazione. "Considerata la diversa capacità di spesa (...) si richiama l’attenzione dei Funzionari Delegati, che la direttiva generale prevede un obiettivo strategico di "miglioramento dell’efficienza nell’utilizzo delle risorse disponibili" con declinazione nell’obiettivo operativo di "Massimizzazione dell’utilizzo delle risorse disponibili", da attuare mediante l’incremento delle uscite, nel corso dell’esercizio 2011, per almeno il 5% rispetto al 2010". Insomma, dice la circolare, "cari dirigenti del ministero cerchiamo per l’anno prossimo di arrivare a spendere almeno il 48-50% dei fondi a disposizione". Un obiettivo alto, uno sforzo titanico. Anche perché, in caso contrario, non scatteranno i bonus previsti in busta paga. Con buona pace del Moralista di Pompei. Post scriptum: Nei giorni scorsi abbiamo provato a contattare sia il direttore generale del ministero sia l’ufficio stampa per avere commenti in merito, ma nessuno ha risposto alle nostre sollecitazioni. Francesco Riccardi
2011-01-03 1 marzo 2011 PIANETA ISTRUZIONE Bagnasco: "La Chiesa ha fiducia in tutta la scuola" Una fiducia a 360 gradi nella scuola. Sia statale che non statale. L’ha ribadita - proprio nei giorni in cui si discute in modo acceso di scuola, con la trita e fuorviante contrapposizione tra 'pubblico e privato' - il cardinale Angelo Bagnasco. "La Chiesa, come sempre, ha molta stima e fiducia nella scuola, perché è un luogo privilegiato dell’educazione, tanto più che siamo nell’ambito del decennio sulla sfida educativa, che la Cei ha scelto. Quindi ci sta a cuore l’educazione integrale anche attraverso la scuola e in qualunque sede, statale o non statale, l’importante è che ci sia questa istruzione, ma anche questa formazione della persona, che è scopo della scuola a tutti i livelli", ha detto il presidente della Cei a Genova, interpellato a margine dell’incontro La formazione della coscienza nel beato John Henry Newman. "Ci sono tantissimi insegnanti e operatori che sappiamo si dedicano al proprio lavoro con grande generosità, impegno e competenza, sia nella scuola statale che non statale. Quindi il merito va a loro ", ha aggiunto il porporato, tornando, infine, ad augurarsi una piena e concreta possibilità di libera scelta dei genitori nell’educazione dei figli. Sul fonte politico, a cercare di placare il putiferio innescato da due interventi, sabato e domenica, dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi – che aveva parlato di un insegnamento nella scuola pubblica in senso contrario ai valori della famiglia – sono intervenuti ieri il ministro Mariastella Gelmini e il presidente del Senato Renato Schifani. La prima ha ribadito che "nessuno vuole privatizzare la scuola, statale o paritaria essa ha una funzione pubblica". Il ministro si è poi detta contraria a "dividere tra opposte tifoserie" perché "la polemica è stata mal posta". Lo stesso premier domenica era intervenuto per dire di essere stato travisato e di non aver voluto criticare la scuola statale, bensì "l’influenza deleteria" che in quel tipo di scuola "hanno avuto e hanno ancora alcune "culture politiche e ideologie".
Schifani – da Barete, provincia dell’Aquila, dove ha inaugurato una scuola d’infanzia ricostruita grazie a fondi raccolti da Palazzo Madama – ha detto di sperare in un veloce rientro della polemica, visti i chiarimenti che ci sono stati. Poi, ha aggiunto che "la scuola svolge una funzione primaria: educa le future classi dirigenti del Paese e a questa va riconosciuto un ruolo indispensabile". Ma la polemica non si placa. Il Pd – il cui segretario Pier Luigi Bersani l’altroieri aveva chiesto le dimissioni della Gelmini – annuncia un sitin per oggi davanti a Palazzo Chigi. Dura la replica al ministro da parte della responsabile Scuola Francesca Puglisi, "nessuno vuole privatizzare la scuola: infatti il governo vuole, direttamente, lasciarla morire per favorire quella privata. E ha iniziato a farlo da tempo". Contro tale "demolizione " il partito di largo del Nazareno indice il sit-in davanti alla sede del governo, al quale saranno presenti, tra gli altri, i capigruppo di Camera e Senato, Dario Franceschini e Anna Finocchiaro e la presidente dell’assemblea del partito, Rosy Bindi. Critica con Berlusconi anche l’udc Paola Binetti, che parla di "surreale sfida al mondo della scuola, distinguendo tra valori buoni e cattive ideologie, tra educazione di serie A ed educazione di serie B, secondo un modello bipolare vecchio e superato, che contrappone scuola statale e scuola cattolica, cercando poi di rettificare lamentando di essere stato frainteso".
2011-02-28 28 febbraio 2011 EDUCAZIONE Bagnasco: "La Chiesa ha stima nella scuola, statale o non statale" "La Chiesa, come sempre, ha molta stima e fiducia nella scuola perché è un luogo privilegiato dell'educazione, tanto più che siamo nell'ambito del decennio sulla sfida educativa, che la Cei ha scelto. Quindi ci sta a cuore l'educazione integrale anche attraverso la scuola e in qualunque sede, statale o non statale, l'importante è che ci sia questa istruzione ma anche questa formazione della persona che è scopo della scuola a tutti i livelli": ad affermarlo l'arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, a margine dell'incontro "La formazione della coscienza nel Beato John Henry Newman". "Ci sono tantissimi insegnanti e operatori che sappiamo che si dedicano al proprio lavoro con grande generosità, impegno e competenza, sia nella scuola statale che non statale. Quindi il merito va a loro". "Tutti quanti - ha aggiunto - ci auguriamo che anche la libertà di scelta dei genitori nell'educazione dei figli possa essere concretizzata sempre più e meglio ma questo riguarda un altro aspetto della scuola non statale". "In generale - ha concluso - sicuramente tutti auspichiamo che la scuola, a tutti i livelli e in tutte le sedi, possa veramente rispondere ai desideri dei genitori per i loro figli".
28 febbraio 2011 ISTRUZIONE Dopo le dichiarazioni del premier sulla scuola è scontro governo-Pd "La scuola pubblica è nel cuore degli italiani. Da Berlusconi arriva uno schiaffo inaccettabile" e "se la Gelmini fosse un vero ministro, invece che arrampicarsi sui vetri per difendere Berlusconi, dovrebbe dimettersi". Va all'attacco il segretario del Pd, Pierluigi Bersani dopo l'intervento di Silvio Berlusconi che sabato ha riletto un discorso del '94 in cui criticava duramente la scuola statale. Oggi il ministro Gelmini ha detto che il premier ha solo "difeso la libertà di scelta educativa delle famiglie". Ad intervenire anche il Fli: "il vero centrodestra, quello di Fini e di Fli, sta dalla parte della scuola pubblica, così come prevede la Costituzione, senza nulla togliere alla scuola privata" dice Italo Bocchino. Inaccettabile l'attacco contro la scuola pubblica" anche secondo Italia Futura, l'associazione presieduta da Luca Cordero di Montezemolo. "Come al solito anche le parole che ho pronunciato sulla scuola pubblica sono state travisate e rovesciate da una sinistra alla ricerca, pressoché ogni giorno e su ogni questione possibile, di polemiche infondate, strumentali e pretestuose". Lo afferma il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in un comunicato. "Bersani si rassegni, la scuola non é proprietà privata della sua parte politica". Così il ministro della Pubblica Istruzione, Mariastella Gelmini, replica al leader del partito democratico che ha chiesto le sue dimissioni. "Se la Gelmini fosse un vero ministro, invece che arrampicarsi sui vetri per difendere Berlusconi, dovrebbe prendere atto degli inaccettabili attacchi che il premier ha rivolto agli insegnanti e alla scuola pubblica e dovrebbe dimettersi". Così il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, commenta le parole del ministro della pubblica istruzione Mariastella Gelmini. Silvio Berlusconi ha difeso la libertà di scelta educativa delle famiglie. Lo ha affermato il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, riferendosi a quanto dichiarato sabato dal premier nel suo intervento al congresso dei cristiano-riformisti. "Il presidente Berlusconi - ha detto il ministro Gelmini - ha ribadito la posizione contraria del governo alle adozioni da parte dei single e delle coppie gay, ha confermato l'impegno della maggioranza ad approvare quanto prima la legge sul testamento biologico e si è speso in difesa di un principio sacrosanto: la libertà di scelta educativa delle famiglie. Il pensiero di chi vuol leggere nelle parole del premier un attacco alla scuola pubblica - ha osservato il ministro - è figlio dell'erronea contrapposizione tra scuola statale e scuola paritaria. Per noi, e secondo quanto afferma la Costituzione italiana, la scuola può essere sia statale sia paritaria. In entrambi i casi - ha concluso - è un'istituzione pubblica, cioé al servizio dei cittadini".
2011-02-10 10 febbraio 2011 DIBATTITO 150 anni dopo: rifacciamo gli italiani Le celebrazioni di grandi eventi del passato o di personaggi protagonisti della storia hanno sempre un’origine e un intento rivolti al presente, a giustificazione o a rimedio di una particolare situazione etica, politica o sociale. Le nazioni hanno il loro calendario civile con solennità dedicate agli avvenimenti o alle istituzioni sui quali sono sorte e si sono affermate ed ai quali intendono richiamare costantemente o eccezionalmente i cittadini, calendario che non a caso viene riveduto e corretto a seconda di orientamenti politici, ideologici e sociali che si susseguono. Movimenti sociali e politici iscrivono nei loro stendardi e nei loro programmi le personalità e i motti dei fondatori o di coloro ai quali intendono fare riferimento, talora persino alterando la realtà storica per utilizzarla ai propri fini. Celebrare, se non è solo rifugio nel già avvenuto, può essere modo di essere e di crescere. Ricordare i 150 anni dell’unità d’Italia rientra nel costume della memoria di un dato fondamentale per la esistenza stessa del nostro Paese nell’indipendenza, nella libertà e nell’identità nazionale e tuttavia assume più di altre ricorrenze una evidente funzione d’attualità per quel suo esulare da una cadenza decennale o centenaria, comprensibile pertanto solo in relazione ad una speciale necessità di richiamo alle origini della vita unitaria. Vi è da chiedersi allora quali possano essere le motivazioni odierne di questo appello alla coscienza di un popolo in risposta agli interrogativi, ai timori ed alle speranze nelle attuali circostanze. Si scorge innanzi tutto un problema d’indole generale connesso con la stimolante e nel contempo contraddittoria sfida tra la globalizzazione – culturale, economica, politica, etica – ed il risorgere dei nazionalismi, dei particolarismi, delle identità escludenti. Se l’aporia tra universale e particolare è un dato permanente nella storia dell’umanità, è indubbio che il mondo contemporaneo la vive in maniera del tutto nuova rispetto anche al recente passato, mostrando comunque il riaffiorare sia pure con modalità diverse di tendenze ritenute ormai superate ed invece ancora presenti negli strati profondi dell’umanità. Se si trattasse di manifestazioni di una crisi di crescenza della comunità umana, potremmo apprezzarne il valore positivo, da governare comunque in vista di relazioni giuste, di reciproco riconoscimento, di accoglienza e di solidarietà. L’Italia non sfugge a tale condizione di risorgente polarità tra apertura all’Europa e al mondo e radicamento identitario, che discende poi dal livello nazionale alle sue articolazioni regionali, locali, sociali, quasi con un processo inverso a quello additato già dal Montesquieu quale naturale e necessario modo di realizzare il sistema democratico a partire dal basso e dal particolare per giungere alla comunità politica. E proprio nei periodi di maggiori trasformazioni del concetto di cittadinanza e di profonde mutazioni economico-sociali, come appunto il presente, diviene pressante il bisogno di riconoscersi come comunità nazionale, come italiani d’Europa, come cittadini di ogni più piccola parte del Paese e di chiedersi che cosa ci unisce pur nelle distinzioni della pluralità, e pertanto in che misura possiamo contribuire a sempre più vaste forme di unità oltre ogni confine, geografico, politico, sociale. Poiché non è più lo Stato la meta ultima e la condizione preminente di convivenza civile, la struttura istituzionale che fa essere italiani in questo specifico tempo, bensì piuttosto la Repubblica liberamente scelta e fondata sul patto costituzionale, celebrare il 150° significa voler ricercare oggi, pur attraverso la riflessione sul cammino compiuto dalle generazioni che ci hanno preceduto, quali sono i caratteri essenziali, potremmo dire lo stigma attuale dell’italianità. Il che non significa rispolverare un nazionalismo fuori tempo ovvero rinchiudersi dentro gli angusti confini ideali del proprio Paese, bensì al contrario poggiare su solide basi la propria capacità di divenire componente costruttiva della cittadinanza europea, non più definita da convergenze di appartenenze statali e da sbiaditi apporti di culture particolari ma innervata da robuste identità capaci per questo di riconoscersi, di integrarsi e di divenire solide componenti di una autentica comunità, aperta a sua volta agli orizzonti universalistici del nostro tempo. Si intravede cioè la sfida di un metodo di valorizzazione e di messa in comune delle ricchezze delle diversità, procedendo per gradi ascendenti dalle città e dalle regioni all’interno della Repubblica sino all’Unione europea. Ricordare e mettere a frutto i 150 anni dell’Italia unita implica dunque un vero esame di coscienza del Paese, culturale, civile, politico, etico, e lo sforzo di aggiornarsi, si potrebbe dire reinventarsi come popolo, non tanto traendo dalla sua storia l’insegnamento per evitare cadute ed errori, quanto piuttosto discernendo il patrimonio genetico che ci viene consegnato e del quale siamo comunque portatori e facendoci carico della responsabilità di svilupparlo originariamente noi stessi e di trasmetterlo alla generazione futura. Ciascuno individualmente, ma soprattutto ogni componente della società italiana, con gli strumenti che le sono propri, è chiamata a compiere questa operazione collettiva di fare il punto e di stabilire la rotta ravvivando lo spirito di avventura civile e le speranze dei cittadini. Così anche i cattolici sono sollecitati a guardare con amore all’Italia e con laicità cristiana al loro percorso dal 1861 ad oggi, liberandosi di geremiadi e di vanti, così come da preoccupazioni di protagonismi nell’oggi, mossi solo dalla ricerca del bene comune e dalla individuazione di ciò che li fa essere e sentire parte integrante della comunità nazionale. È questa per loro un’occasione opportuna per rispondere all’interrogativo circa il loro modo di esercitare la duplice cittadinanza, secondo le limpide ed impegnative indicazioni del Concilio Vaticano II, non in maniera astratta né meramente risolta nell’intimo della coscienza, quanto piuttosto nella specificità della condizione storica. I recenti ripetuti richiami del papa e dell’episcopato italiano ad una militanza preparata, competente ed attiva da cristiani nella società sono un invito pressante ad impegnarsi a realizzare nel nostro Paese quell’endiadi di eros e agape che vale come stile di vita cristiana ad ogni latitudine, nella quale l’eros sia versione civile di amor di patria e l’agape modelli la fraternità nazionale. Riflettere e valorizzare l’unità del Paese comporta pertanto dare nuova risposta alla perenne domanda di senso dell’essere italiani, domanda che ogni generazione di cristiani si deve porre, nei momenti felici nei quali è quasi naturale rispondere positivamente e nei periodi di crisi, di difficoltà o di perdita di orizzonte, ben consci che il profilo dell’ italianità dei cittadini non è un dato tracciato una volta per tutte, né la somma di approssimazioni successive nel tempo, ma un obiettivo ed una scoperta da rinnovare continuamente. Alberto Monticone
2011-01-22 21 gennaio 2011 RIFORMA UNIVERSITARIA Università, le nuove regole per l'accesso alla docenza La riforma dell'università muove i primi passi. Il Consiglio dei ministri, infatti, ha varato uno schema di regolamento che introduce nuove regole per l'accesso alla docenza e nominato i componenti dell'Anvur, l'Agenzia per la valutazione del sistema universitario. Due passaggi importanti - il primo consente di far ripartire, dopo quattro anni di stallo i concorsi, il secondo garantisce la distribuzione delle risorse agli atenei in base al merito - che arrivano mentre la Flc-Cgil lancia l'allarme sui finanziamenti: dal 2011 il sistema universitario - avverte il sindacato - deve fare i conti con gli ulteriori tagli lineari del 10% - circa 700 milioni - previsti dalla legge di stabilità sugli stanziamenti dell'anno precedente. Il decreto sul reclutamento - il più urgente tra i 47 provvedimenti necessari per la piena attuazione della riforma Gelmini - pone fine ai concorsi truccati e introduce l'abilitazione nazionale secondo criteri meritocratici e di trasparenza. L'abilitazione scientifica nazionale diventa la condizione per l'accesso al ruolo di professore ordinario e associato e viene attribuita da una commissione sulla base di specifici parametri di qualità. I posti saranno poi attribuiti in base a procedure pubbliche di selezione bandite dai singoli atenei, cui potranno accedere solo gli abilitati. Le procedure di abilitazione verranno avviate inderogabilmente ogni anno, a ottobre, e l'abilitazione avrà durata quadriennale. Quanto alle composizione delle commissioni, ne faranno parte cinque studiosi di elevata qualificazione scientifica tra cui, per la prima volta, uno straniero (o italiano attivo all'estero). I commissari saranno sorteggiati (per evitare le cordate e gli accordi interni legati al sistema delle nomine) tra coloro che presentano un curriculum scientifico di qualità. Per mettere a regime il nuovo sistema di reclutamento saranno presto emanati altri due decreti: uno per accorpare e dimezzare i settori concorsuali (da 370 a 190) e l'altro per specificare, novità assoluta in Italia, area disciplinare per area disciplinare, i requisiti di qualificazione scientifica richiesti sia ai commissari sia ai candidati per l'abilitazione. Cruciale sarà il ruolo dell'Anvur, nel cui consiglio direttivo (sette componenti) sono stati nominati oggi oltre a Fiorella Kostoris (ex moglie di Tommaso Padoa Schioppa, l'economista scomparso di recente) Sergio Benedetto, Andrea Bonaccorsi, Massimo Castagnaro, Stefano Fantoni, Giuseppe Novelli, Luisa Ribolzi. L'Agenzia valuterà l'efficienza dell'attività didattica, sulla base di standard internazionali, anche con riferimento ai livelli d'apprendimento degli studenti e del loro inserimento nel mondo del lavoro. Darà le pagelle a strutture delle università, enti di ricerca, corsi di studio, dottorati di ricerca, master e scuole di specializzazione. Tra i compiti dell'Anvur anche quello proporre al ministro i requisiti per l'apertura di nuove università o sedi distaccate e per l'attivazione dei corsi di studio.
2010-12-24 23 dicembre 2010 VOTAZIONE La riforma dell'Università è legge Con 161 voti a favore, 98 contrari e 6 astenuti l'assemblea del Senato ha approvato in via definitiva il ddl di riforma dell'università, che ora diventa legge. Dal reclutamento ai contratti di ricerca, per arrivare alla stretta contro la cosiddetta "parentopoli" all'interno dell'università (su proposta dell'Idv): dopo mesi di polemiche, ricerca di fondi e proteste al di fuori dei palazzi, l'aula del Senato ha dato il via libera al ddl Gelmini che diventa così legge. Il provvedimento non ha avuto vita facile e non solo per le polemiche e le vivacissime proteste degli studenti, ricercatori, dottorandi che, in ogni passaggio cruciale in aula, hanno fatto sentire tutto il loro dissenso dalle piazze; ma anche per l'iter parlamentare e politico che lo ha accompagnato. Doveva approdare in Senato in terza lettura il 9 dicembre, ma il voto di fiducia al Governo ne ha posticipato l'arrivo di oltre dieci giorni. Dieci giorni da sommare a un percorso durato due anni. Sono del 2008, infatti, le linee guida del governo che hanno ispirato la riforma. Il 29 luglio scorso l'aula del Senato approva il testo che approda alla Camera ad ottobre. Le proteste accompagnano passo passo l'iter parlamentare e vengono rese ancora più aspre dai tagli previsti nella finanziaria che condizionano molti dei punti del provvedimento. Da quando il ddl arriva alla Camera studenti, ricercatori e dottorandi non si sono risparmiati arrivando anche a occupare i monumenti simbolo di mezza Italia. Non solo. In occasione del voto di fiducia al Governo, mossi dal dissenso contro la riforma, in migliaia hanno sfilato nel centro di Roma in una giornata che ha sconvolto la Capitale paralizzandola. Tante le polemiche sorte dopo gli scontri con la polizia. Polemiche che, inevitabilmente, sono arrivate in aula del Senato, mosse da alcune proposte di politici della maggiornaza come l'istituzione per i manifestanti di una sorta di Daspo (il divieto di accedere alle manifestazioni sportive) e di provvedere ad arresti preventivi nei confronti di coloro che sono ritenuti violenti. Infine, cronaca degli ultimi giorni, un "incidente" sempre in aula del Senato ha rallentato l'approvazione del ddl. Martedì sera, durante la discussione del ddl, Rosi Mauro, nelle vesti di vicepresidente vicario della Lega, ha dato per approvati erroneamente quattro emendamenti del Pd. Alla fine la Giunta per il Regolamento ha deciso a maggioranza di far rivotare gli emendamenti. Emendamenti numerosissimi sia alla Camera che al Senato: a Montecitorio sono stati 400 mentre a Palazzo Madama 850. Dai politici a chi poi con questa riforma dovrà fare i conti tutti i giorni, o quasi. Se da un lato alcuni rettori (non tutti, per protesta, in occasione del voto alla Camera, quello di Firenze invitò i docenti a sospendere le lezioni) insieme a Confindustria appoggiano il testo, per sindacati, studenti e ricercatori si tratta di un "massacro al sistema universitario che non prevede risorse a sufficienza e non aiuta i ricercatori nel loro percorso accademico".
2010-12-23 23 dicembre 2010 LA RIFORMA Università, la protesta sale al Quirinale L'annuncio lo dà la ragazza col megafono. "Il presidente Napolitano ha detto di essere pronto a incontrarci!". La folla degli studenti esplode in un boato di applausi. È il segnale che i ragazzi aspettavano. Concretizzatosi poi nel pomeriggio quando una delegazione sale davvero al Quirinale e incontra il Capo dello Stato. "Per la prima volta il distacco tra la nostra generazione e le istituzioni è stato parzialmente colmato", commentano soddisfatti gli studenti. La migliore conclusione possibile a una giornata che ha seguito un copione tutto diverso rispetto al 14 dicembre. A mezzogiorno il fiume di diverse migliaia di universitari - 30mila secondo gli organizzatori - scorre in via dello Scalo di San Lorenzo. La risposta all’appello lanciato con l’invito al Quirinale a non firmare la legge è un’iniezione di entusiasmo alla manifestazione contro la riforma Gelmini che si snoda tra la Sapienza e la periferia est, mentre altri due cortei più piccoli sfilano tra Trastevere e l’Ostiense. Nessuna pressione sulla zona rossa dei Palazzi, nessun incidente. Traffico in tilt, certo, ma anche solidarietà ai manifestanti dalle finestre e tra gli stessi automobilisti bloccati. Alle 9 e 30, davanti all’ateneo, sotto una pioggerellina sottile tra telecamere e taccuini spunta qualche politico. Come il segretario del Prc Paolo Ferrero che polemizza per l’assenza dell’opposizione. "Si guardi meglio intorno", replica la responsabile scuola del Pd, Francesca Puglisi: "Eravamo presenti con due esponenti della segreteria nazionale, parlamentari e consiglieri locali". Interesse e presenze della sinistra ufficiale. Ma tra gli striscioni non si vedono bandiere di partito. Qualche studente canta sulle note del Waka waka dei mondiali. È Matteo con la chitarra che guida il coro: "Viva l’università - libera e pubblica". Molti cartelli citano la Costituzione. Altri sono sarcastici: "Babbo Natale, regalami un futuro", "110 e Daspo". Discreta la presenza delle Forze dell’ordine: a precedere il corteo solo funzionari e agenti in borghese. Apre la marcia lo striscione "Voi prigionieri della Zona rossa, noi liberi per la città": "Andremo a parlare – spiegano – con la gente lì dove vive la crisi". Il fiume imbocca via Tiburtina e consegna grandi pacchi regalo strada facendo. Uno alla Cgil "con la richiesta di uno sciopero generale". "Nessuno lo esclude – risponderà Susanna Camusso – ma per ora non ci sono le condizioni". Gli altri pacchi, via via, vanno ai lavoratori del Policlinico Umberto I, a quelli del deposito Atac "vittime delle assunzioni di parentopoli", al comitato Acqua pubblica di San Lorenzo. Il corteo decide di salire sulla Tangenziale Est mandando in tilt la circolazione. "Ci scusiamo per il disagio", gridano i ragazzi, e diversi clackson li accompagnano ritmicamente. La manifestazione ritorna alla Sapienza e si scioglie in varie assemblee. E mentre qualche centinaio di manifestanti prova a puntare sulla sede Cisl di via Po, blindata però da un robusto cordone di polizia, dodici studenti si preparano a raggiungere il Quirinale. Mattia Sogaro però, presidente del Consiglio nazionale degli universitari, chiede di essere ricevuto assieme al consiglio, "eletto democraticamente da 200mila studenti" con "la stessa tempestività" con cui ha incontrato "tutte le associazioni, dai collettivi all’Udu, cioé solo associazioni di sinistra". Grande soddisfazione tra gli universitari all’uscita dal Quirinale. "Il Presidente si è congratulato per lo svolgimento della manifestazione, ci ha ricordato le sue prerogative in materia di leggi e ha chiesto di vedere le nostre proposte", racconta Fabio Gianfrancesco. "Napolitano ha preso atto della distanza drammatica tra società e politica – aggiunge – e dei problemi della nostra generazione. Ci ha poi chiesto un nuovo incontro per continuare a essere messo al corrente direttamente". "Finora – commenta Luca Cafagna – è stato l’unico interlocutore". Luca Liverani
23 dicembre 2010 LA VOTAZIONE Ddl Gelmini, stop all'ostruzionismo Verso l'approvazione al Senato Il voto finale sulla riforma universitaria è fissato per oggi pomeriggio. Al termine di un estenuante muro contro muro lo ha deciso ieri sera la terza conferenza dei capigruppo convocata in giornata dal presidente del Senato Renato Schifani. Alla fine l’opposizione ha deposto le armi e su proposta di Anna Finocchiaro (Pd) si è arrivati al compromesso. I lavori per scremare i 400 emendamenti rimasti al ddl di riordino dell’università sono durati fino alle 21 (e non come previsto alla mezzanotte). E oggi riprenderanno alle 9, fino alle 15, quando verranno illustrate le dichiarazioni di voto e il pronunciamento finale dell’aula, previsto dopo le 16 in diretta tv. Esulta il ministro Mariastella Gelmini. Per "un provvedimento storico, che archivia definitivamente il ’68 e la sinistra che non vuole riformare il Paese". E per la "grandissima compattezza" dimostrata dalla maggioranza al Senato. La svolta ha sbloccato una giornata andata avanti tra mille appigli procedurali che Pd e Idv hanno frapposto, sfruttando gli spazi del regolamento. Per questo la seduta è stata interrotta più volte. Ora dopo ora il clima si è surriscaldato e la tensione ha raggiunto l’apice quando Schifani ha deciso di contingentare i tempi e dare un minuto per gruppo, riservando le dichiarazioni di voto in dissenso a comunicazioni scritte alla presidenza. "Non si possono bloccare i lavori", ha affermato tra le proteste dei banchi di opposizione. Veemente la replica della Finocchiaro, per la quale, "non è mai accaduto" che si dessero tempi così brevi, "e se lei, presidente, non riuscirà ad essere garante dell’opposizione in questa discussione, dovremo rivolgerci ad altri". Parole sottolineate da applausi della sua parte e cori di dissenso dalla maggioranza. Dura la replica di Schifani che ha richiamato all’ordine i senatori: "Non siamo allo stadio". E, rivolto all’opposizione, "volete trasformare quest’aula in un’arena: è quello che cercate di fare da ieri (l’altroieri per chi legge, ndr), ma non ve lo consentirò". Proprio la caotica seduta di martedì, con la presidente Rosi Mauro che ha per errore approvato emendamenti di Pd e Idv, era stata in precedenza occasione per circa tre quarti d’ora di interventi sul verbale della seduta. Poi, una volta deciso di affidare il dissenso a fogli scritti, i senatori del Pd si sono recati in massa per consegnarli al banco della presidenza, costringendo Domenico Nania, subentrato a Schifani sullo scranno più alto, a interrompere ancora la seduta, anche se per pochi minuti. La tattica ostruzionistica era stata duramente criticata dal ministro del Welfare Maurizio Sacconi. Il quale l’ha spiegata con il fatto che la riforma degli atenei è "l’atto più emblematico per archiviare definitivamente gli anni Settanta, nei quali si producono i germi di quel nichilismo che è ancora tra di noi e che si è propagato in modo particolare nel sistema educativo". Mentre il capogruppo leghista Federico Bricolo l’ha collegata alla volontà di cavalcare la piazza. A tensioni rientrate, la senatrice Finocchiaro ha sottolineato il senso di responsabilità dimostrato, perché "anche con i tempi mai registrati prima così risicati, possiamo imballare l’aula". E ha incassato il fair play del presidente dei senatori pdl, Maurizio Gasparri e dello stesso Schifani che ha trovato "conferma di come il Senato riesce sempre a trovare un momento di sintesi anche in presenza di grandi tensioni". Gianni Santamaria
2010-12-03 2 dicembre 2010 RAPPORTO MIGRANTES Italiani all'estero, ogni anno 50 mila nuove partenze Cinquantamila nuove partenze ogni anno, più dei nuovi arrivi. Secondo la quinta edizione del "Rapporto Italiani nel Mondo" della Fondazione Migrantes, i flussi con l'estero - seppure ridotti - conservano un saldo negativo, considerato anche che "le partenze, specialmente quelle dei giovani, inizialmente hanno un carattere di sperimentazione, per cui i protagonisti non provvedono alla cancellazione anagrafica presso il proprio Comune, con la riserva di formalizzarla solo quando la permanenza all'estero sia diventata stabile". La consistenza degli italiani all'estero - al momento oltre 4 milioni - si rafforza anche con le nuove nascite e con le acquisizioni di cittadinanza. Complessivamente, nella popolazione italiana diminuisce la propensione alla mobilità, oggi per lo più a carattere interno. Negli anni '60, 300mila meridionali l'anno si trasferivano nel centro-nord e altrettanti si recavano all'estero: tra il '90 e il 2005, secondo uno studio della Banca d'Italia, 2 milioni di meridionali si sono trasferiti al nord. Attualmente 120mila meridionali si spostano nelle regioni settentrionali e centrali, mentre circa 50mila persone si stabiliscono nelle regioni del dud provenendo dalle altri parti d'Italia (in prevalenza, si tratta ancora di meridionali che rientrano dopo un'esperienza lavorativa). Ai migranti interni che si spostano stabilmente si aggiungono 136mila pendolari meridionali di lungo raggio, interessati alle maggiori opportunità lavorative del Centro-nord, per lo più giovani, maschi e single, costretti a una scissione tra luogo del lavoro (per lo più a termine) e luogo di residenza (stabile). Nel conto vanno messi anche i pendolari (11.700) che si recano all'estero e i 45mila frontalieri che giornalmente si recano in Svizzera, "nei cui confronti di recente si è riscontrato un atteggiamento meno accogliente". Nel complesso, tra spostamenti interni e verso l'estero, in andata e in rientro, temporanei o di lungo raggio, italiani che vanno o che ritornano, si arriva a quasi 400mila spostamenti totali in uscita, 1 ogni 150 residenti. A emigrare sono sempre di più persone con un elevato livello di scolarità. Ecco spiegato perchè, nella grande area di Londra, mai in passato meta privilegiata dalle grandi migrazioni, risultano residenti più di 60mila italiani (ma secondo stime realistiche sarebbero addirittura 100mila), poco al di sotto della circoscrizione consolare di Buenos Aires e alla pari con quelle "storiche" di Stoccarda e Zurigo. Altri poli importanti sono attualmente Berlino, Barcellona, Bruxelles e, oltreoceano, New York e altre città americane.
2 dicembre 2010 SCUOLA Università, la riforma al Senato solo dopo il voto di fiducia Il disegno di legge sull'Università sarà esaminato dall'aula del Senato dopo il voto di fiducia del 14 dicembre, e il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini dice di essere comunque "fiduciosa" che il ddl diventi legge entro l'anno. La decisione è stata presa dalla conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama nella riunione di questa mattina, secondo quanto riferisce Felice Belisario (Idv). Cade così la proposta del Pdl di calendarizzare la riforma per la prossima settimana in modo da approvarla prima del dibattito sulla fiducia. Commentando la notizia, il ministro Gelmini ha detto di essere ottimista sul fatto che il 14 dicembre il governo incassi la fiducia e che il ddl diventi legge entro l'anno. "Senza l'approvazione rapida del ddl non si potranno bandire posti da ricercatore, non potranno essere garantiti gli scatti di stipendio, non saranno banditi nuovi concorsi. Sono comunque fiduciosa: il 14 dicembre il governo incasserà la fiducia del Parlamento e il ddl diventerà legge entro l'anno. Il governo Berlusconi potrà dunque proseguire la sua opera riformatrice nell'interesse del Paese", ha affermato Gelmini in una nota. Di fronte alle proteste delle opposizioni, il presidente del Senato, Renato Schifani, ha suggerito la convocazione di una nuova conferenza dei capigruppo martedì 14 dicembre. Sul fronte opposto, l'Unione degli universitari accoglie la notizia come una "grande vittoria" annunciando che le mobilitazioni non si fermeranno. "Si tratta di una grande vittoria degli studenti e dei ricercatori (...). Questo ennesimo rinvio rappresenta una sfiducia della Gelmini ancora prima del 14. Il ritiro del ddl e le dimissioni della Gelmini ci sembrano, quindi, scelte obbligate. Di certo le nostre mobilitazioni non si fermeranno, anzi continueranno fino al ritiro del ddl", si legge in una nota dell'associazione studentesca. NAPOLITANO "Ho ricevuto la lettera. Risponderò dopo averla letta e riflettuto". Lo ha detto il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, uscendo dalla Facoltà di Economia dell'Università Roma Tre dove il capo dello Stato ha assistito al convegno internazionale "Sraffas Production of Commodities by Means of Commodities 1960-2010". Napolitano al suo arrivo era stato accolto da uno striscione esposto da una delegazione di studenti con su scritto "Presidente, almeno tu non ci abbandonare". Una delegazione di studenti aveva consegnato al presidente della Repubblica una lettera in cui si esprimono "disagio e frustrazione nel vedere il nostro futuro scivolarci pian piano dalle mani".
2010-11-30 30 novembre 2010 CITTÀ BLOCCATE Università, cortei e proteste La Camera approva la riforma Poco dopo le 20 la Camera ha approvato il Ddl Gelmini che riforma l'Università: 307 sì, 252 no e 7 astenuti. Hanno votato a favore Pdl, Lega, Fli, Adc, Mpa e Noi sud-Pid. Hanno votato contro il Pd, l'Idv, l'Udc, i Liberal Democratici. L'Api si è astenuto. Durante il giorno in molte città gli studenti sono scesi in piazza, al grido di "Fermatevi" e "lo chiederemo paralizzando il Paese con le nostre iniziative". Con questo grido di battaglia studenti, ricercatori e dottorandi hanno organizzato in tutte le città italiane cortei spontanei che hanno avuto il risultato di bloccare traffico e attività. "In queste settimane - si legge in una nota dell'Udu, l'Unione degli universitari - centinaia d'iniziative di contestazione contro la riforma dell'università si sono moltiplicate in giro per il Paese, occupazioni delle facoltà, dei tetti, blocchi del traffico, cortei, occupazione dei principali monumenti del nostro paese. Iniziative che avevano una sola richiesta: bloccare il ddl e salvare l'università pubblica dalla sua morte". Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, di rientro a Palazzo Grazioli, ha liquidato le manifestazioni dicendo che "gli studenti veri stanno a casa a studiare, quelli in giro a protestare sono dei centri sociali e sono fuori corso". E quanto al ddl in discussione alla Camera ha spiegato che "quella in Parlamento è una buona riforma che favorisce gli studenti, i professori e più in generale tutto il mondo accademico e dunque deve passare se vogliamo finalmente ammodernare l'università". Quanto alle critiche arrivate da più parti, il capo del governo ha rilevato che "è stata discussa con tutte le parti in causa, modificata, migliorata e credo che meglio di così non si potesse proprio fare". Inoltre, ha aggiunto, "introduce maggiore meritocrazia ed è davvero un vantaggio per tutti". Critico sulle manifestazioni anche il presidente della Camera Gian Franco Fini: "Gli estremisti che hanno bloccato Roma e causato gravi incidenti non hanno reso un buon servizio alla stragrande maggioranza di studenti scesi in piazza con motivazioni non totalmente condivisibili ma certamente animate da una positiva volontà di partecipazione e di miglioramento delle condizioni della nostra Università". "Per questo - conclude - esprimo la mia solidarietà alle forze di polizia, ai cittadini romani e ai tantissimi giovani in buona fede, la cui protesta è stata strumentalizzata". Di tutt'altro parere il leader del Pd Pier Luigi Bersani che spiega: "Mi pare che nella stragrande maggioranza studenti e ricercatori si sono mossi in modo pacifico. Ha impressionato la città militarizzata, mai vista Roma così, e se si è arrivati a questa tensione è per irresponsabilità del governo che ha perso la testa e la presa sui problemi del paese". Bersani attacca il governo sottolinendo che "non sarà in grado di portare a termine questa riforma nella sua applicazione". "Non riapriamo il tema di chi è fuori corso perchè creerebbe nella maggioranza più imbarazzi di quelli provocati da Wikileaks" ha aggiunto il segretario del Pd rispondendo ai giornalisti sulle affermazioni del premier Berlusconi sul fatto che i "bravi" studenti sono a casa a studiare e non in piazza. Le misure di sicurezza messe in atto oggi a Roma "sono state assolutamente adeguate e i fatti lo dimostrano". Lo dice il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ai cronisti alla Camera. Pier Luigi Bersani, fanno notare i giornalisti, ha accusato il governo di muoversi in modo irresponsabile e aver alzato la tensione militarizzando la città. Ribatte Maroni: "Volevate che i manifestanti entrassero in Transatlantico? Che sarebbe successo, se lo avessero fatto? Già c'è stato il rischio al Senato e il mio compito è quello di gestire l'ordine pubblico". ROMA: SCONTRI E CARICHE IN VIA DEL CORSO, OCCUPATA TERMINI Scontri tra studenti e forze dell'ordine in via del Corso, a Roma. Poliziotti e carabinieri hanno caricato gli studenti che avevano assaltato due blindati. Gli studenti hanno lanciato pietre e bottiglie contro le forze dell'ordine che hanno risposto con manganelli e lacrimogeni. "È come Genova, violeremo la zona rossa". Così hanno detto alcuni studenti nelle fasi concitate degli scontri a Via del Corso a Roma. Il corteo, che aveva lasciato il centro storico, per transitare verso il Muro Torto, dopo aver raggiunto la Stazione Termini ha deciso di occupare alcuni binari dello stesso nodo ferroviario romano. Gli studenti, scandendo slogan, hanno anche acceso alcuni fumogeni. BOLOGNA, SCONTRI STUDENTI-POLIZIA IN STAZIONE Tafferugli tra studenti, polizia a carabinieri davanti alla stazione, dove il corteo di manifestanti che aveva invaso l'A14 si era diretto dopo avere liberato l'autostrada, facendo un nuovo tentativo di ingresso nello scalo dopo quello, impedito con cariche delle forze dell'ordine, fallito durante la manifestazione del 25 novembre. Gli ingressi e le uscite della stazione sono stati chiusi per ragioni di sicurezza. A Parma analoga manifestazione ha interrotto la linea convenzionale (la Tav non è stata sfiorata) della linea Bologna-Milano per un'analoga manifestazione degli studenti. VENEZIA, OCCUPATA STAZIONE, TRENI BLOCCATI I binari della stazione ferroviaria di Venezia Santa Lucia sono stati bloccati dagli studenti universitari che stanno protestando contro il ddl Gelmini. La circolazione dei treni nel nodo di Venezia, hanno confermato le Ferrovie, è rimasta paralizzata per alcune ore. MILANO: CHIUSE E RIAPERTE TRE STAZIONI DELLA METROPOLITANA Tre stazioni della metropolitana sono state chiuse, e riaperte dopo circa un'ora, a Milano, a causa della manifestazione studentesca di protesta contro il ddl Gelmini. Si è trattato delle stazioni Duomo e Cordusio sulla Linea 1, e Missori sulla Linea 3, che sono state chiuse al pubblico dalle 11.30 alle 12.50. In tali stazioni i treni non hanno effettuato le fermate. Secondo quanto riferito dall'Atm, la chiusura è stata richiesta dalla Questura per motivi di ordine pubblico. Gli utenti, oltre ai disagi per il traffico e per i mezzi pubblici deviati in superficie, hanno così trovato sbarrati anche gli ingressi delle tre fermate. Dopo una breve occupazione della stazione Cadorna e della stazione Garibaldi, dopo il lancio di uova contro una sede distaccata dell'Università Cattolica, parte degli studenti ha fronteggiato polizia e carabinieri in corso di Porta Romana. Altri studenti hanno tentato in mattinata di avvicinarsi a Palazzo Marino, ma sono stati prontamente allontanati. MANTOVA, STUDENTI OCCUPANO PALAZZO DUCALE Un centinaio di studenti delle scuole superiori e delle università questa mattina ha occupato simbolicamente per tre ore, il Palazzo Ducale. I ragazzi hanno tenuto un'assemblea e poi hanno lasciato il monumento. La manifestazione è stata pacifica e la Digos è intervenuta soltanto per rimuovere alcuni striscioni contro la riforma dell'università e i tagli che il Comune ha programmato per l'ateneo locale. GENOVA, STUDENTI GETTANO LETAME AD ASSESSORI Nel corso della manifestazione in piazza De Ferrari a Genova, un gruppo di studenti ha rotto parte della tensostruttura dove l'emittente televisiva Class Cnbc stava conducendo delle interviste nell'ambito di un road show con il Monte dei Paschi di Siena e ha gettato dei secchi di letame liquido addosso agli ospiti. I due assessori allo Sviluppo economico di Provincia e Comune di Genova Paolo Perfigli e Giovanni Vassallo (entrambe PD) sono stati colpiti in pieno dagli escrementi. Raggiunti in parte anche altri ospiti, tra questi rappresentanti di Confesercenti, di Cna, di Confartigianato e di Confindustria. L'emittente tv è stata costretta a sospendere la diretta, e ad interrompere i successivi servizi, ha spiegato il direttore di Class Cnbc Andrea Cabrini, che denuncia una cattiva gestione della piazza e la mancanza di sicurezza. Le immagini di quanto avvenuto vengono ora trasmesse dal canale satellitare. Alla loro irruzione nella tensostruttura gli studenti hanno strattonato un cameraman dell'emittente gridando: "Non c'é differenza con quelli contro cui protestiamo". REGGIO OCCUPATA, CORTEO A COSENZA Occupazione dell'aula Magna dell'Università di Reggio Calabria, che è stata raggiunta da centinaia di studenti medi in corteo. A Cosenza il corteo degli studenti è partito dall'Università della Calabria, mentre alle 13 è stata convocata un'assemblea all'Università di Catanzaro. L'AQUILA: FACOLTA' OCCUPATE, SFIDANDO LA NEVE Prosegue, da ieri, l'occupazione in tre facoltà dell'università dell'Aquila (Scienze, Ingegneria, Lettere e Filosofia); intanto gli studenti hanno elaborato e condiviso nelle ultime ore un documento per mettere in evidenza i punti di criticità del Ddl Gelmini in discussione alla Camera. La piattaforma, discussa nel polo scientifico di Coppito, definisce "inaccettabilI" i contenuti del Ddl riguardo alla governance degli atenei e contesta i tagli, "l'ingresso dei privati nei Cda accademici" o il ricorso al prestito d'onore. Le assemblee denunciano anche la difficile situazione del diritto allo studio nel capoluogo abruzzese, che vive ancora le difficoltà del post terremoto. La notte ha visto anche momenti culturali e ricreativi, con concerti nella facoltà di Lettere - in scena anche il gruppo rap Zona Rossa Krew -, jam session e laboratori nelle altre due facoltà. Tante le adesioni, nonostante la neve caduta copiosa stanotte e le temperature rigide. Circa 500 persone sono transitate a Ingegneria, tanto da spingere i rappresentanti a limitare gli accessi ai soli studenti della facoltà. Per la città dell'Aquila, l'occupazione di facoltà universitarie rappresenta un evento straordinario: gli ultimi episodi, ad eccezione di qualche caso sporadico, risalgono a quindici anni fa. NAPOLI: LANCIO SACCHETTI RIFIUTI ANCHE CONTRO SEDE REGIONE CAMPANIA Uno striscione in testa al corteo degli universitari che hanno sfilato per le strade di Napoli è stato dedicato allo scomparso regista Mario Monicelli. "Caro Mario, la faremo 'sta rivoluzione", è stato scritto dai manifestanti. Un nuovo lancio di sacchetti di rifiuti è stato effettuato dagli studenti. In precedenza l'immondizia era stata buttata davanti all'ingresso del palazzo della Provincia di Napoli. Ora il lancio è avvenuto contro l'entrata della sede della Regione Campania, a Palazzo Santa Lucia. TORINO: BLITZ STUDENTI IN UFFICI SEDE MIUR Alcune decine di studenti che partecipavano al corteo contro la Riforma Gelmini per le vie di Torino si sono staccati e hanno effettuato un blitz negli uffici del Ministero del'istruzione università e ricerca (Miur), in via Pietro Micca. Dapprima hanno colpito il portone d'ingresso dell'edificio con un lancio di uova, poi lo hanno sfondato e sono saliti al secondo piano, dove hanno si trovano gli uffici, e hanno sfondato un altro portone rompendo una sbarra. Si sono fermati soltanto davanti ai vetri antiproiettile che proteggono i dipendenti del ministero. Subito dopo sono scesi e si sono ricongiunti al corteo. Sul posto sono presenti gli agenti della Digos che stanno facendo accertamenti e indagini. GENOVA: BREVI SCONTRI TRA STUDENTI E FORZE ORDINE Momenti di tensione, manganellate e brevi scontri con le forze dell'ordine davanti alla Prefettura di Genova durante la giornata di protesta organizzata dagli studenti medi e universitari. I manifestanti hanno gridato "Dimissioni", "Berlusconi mafioso" e altri insulti al governo davanti alla prefettura e lanciato oggetti, uova e fumogeni contro poliziotti e carabinieri in tenuta antisommossa. Alcuni tra gli organizzatori hanno cercato di riportare la calma, bloccando i manifestanti più esagitati, mentre le forze dell'ordine tiravano qualche manganellata. Quindi il corteo proveniente da piazza Caricamento ha ripreso la strada andando verso piazza Corvetto. Tra gli slogan del corteo "Contro la crisi del padrone lotta di classe rivoluzione" e "Sciopero generale". GOVERNO BATTUTO DUE VOLTE IN AULA In mattinata l'esecutivo è stato battuto due volte nell'Aula della Camera. La prima volta su un emendamento del gruppo di Futuro e Libertà all'articolo 19 della riforma dell'Università, relativo agli assegni di ricerca. Il testo, su cui c'era il parere contrario di governo e commissione Bilancio, è stato approvato con 277 sì e 257 no. L'emendamento, a firma di Fabio Granata, è relativo, come detto, all'articolo 19 sugli assegni di ricerca che prevede che la norma non possa portare "oneri aggiuntivi" anziché "nuovi o maggiori oneri" com'era la versione precedente. La relatrice Paola Frassinetti, Pdl, minimizza, spiegando che si tratta di un emendamento "tecnico" che non incide sull'impianto della riforma. La seconda volta il governo è andato sotto su tre emendamenti identici di Fli, Api e Pd che prevedono la soppressione della "clausola di salvaguardia" inserita nella riforma dell'università. Con l'approvazione degli emendamenti è stata eliminata la norma che prevedeva una sorta di "commissariamento" per il ministero dell'Istruzione da parte del ministero dell'Economia nel caso in cui si fossero verificati o fossero in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di spesa.
2010-11-25 25 novembre 2010 LA RIFORMA ALLA CAMERA Università, slitta il voto "Occupati" i monumenti Dopo gli scontri di ieri a Roma, culminati con un assalto dei manifestanti al Senato e l'arresto di due di loro, oggi gli studenti sono tornati in piazza contro il ddl di riforma dell'Università, il cui esame è ancora in corso alla Camera. Per i due arrestati di ieri, Daniele Dantuono e Mario Caracciolo, accusati di violenza resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, oggi il giudice ha deciso di convalidare l'arresto disponendo però la loro remissione in libertà e fissando il processo per il 16 dicembre. Le proteste, intanto, si diffondono in tutta Italia. A Roma alcune migliaia di studenti hanno fatto un sit-in davanti a Montecitorio, dove hanno intonato cori contro il governo e acceso fumogeni, in mezzo a un forte dispiegamento di polizia. Hanno promesso che torneranno davanti alla Camera martedì prossimo, quando è in programma il voto finale sul disegno di legge. Poi un drappello è entrato al Colosseo esponendo uno striscione che reca la scritta "Nessun taglio, nessun profitto" e hanno dato vita a un corteo all'interno dell'Anfiteatro Flavio. All'università di Firenze dove qualche centinaio di giovani si è riunito per protestare contro la partecipazione di Daniela Santanchè, sottosegretario all'Attuazione del programma a un dibattito, la situazione è degenerata e la polizia ha fatto tre cariche di alleggerimento, al termine delle quali cinque studenti sono rimasti contusi, come riferiscono gli stessi studenti. Più spettacolare la protesta a Pisa dove una ventina di ragazzi ha occupato la Torre pendente, mentre altri hanno circondato la base della torre impedendo l'ingresso ai turisti, come ha raccontato al telefono a Reuters uno dei manifestanti. A Torino circa mille di studenti partiti in corteo dalla sede delle facoltà umanistiche hanno protestato prima davanti alla sede del palazzo della Regione a piazza Castello, lanciandovi contro uova, poi sono andati alla stazione di Porta Susa, dove hanno bloccato i binari. Infine sono saliti sulla Mole Antonelliana. "La protesta andrà avanti ad oltranza fino a quando non otterremo il ritiro del ddl", ha detto a Reuters Giorgio Paterna, studente di Economia ad Ancona e coordinatore dell'Udu, l'Unione degli universitari. "Fra ieri e oggi abbiamo occupato l'ateneo di Cagliari, siamo sui tetti delle facoltà di Ingegneria di Palermo e Roma, vogliamo occupare il rettorato di Ferrara", ha detto ancora Paterna. Il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini replica alle accuse di volere approvare una legge per escludere dall'università i precari della ricerca, denunciando una "inquietante saldatura tra baroni e manifestanti". "I baroni, attraverso alcuni studenti, tentano di bloccare una riforma che rende l'università italiana finalmente meritocratica, che pone fine al malcostume di parentopoli, che blocca la proliferazione di sedi distaccate inutili e di corsi di laurea attivati solo per assegnare cattedre ai soliti noti", ha detto stamani in una nota. "Ho sempre rispettato le proteste ma la forma assunta ieri è stata totalmente inaccettabile", ha aggiunto. L'ipotesi di alleanza tra contestatori e professori di lungo corso (baroni) è stata respinta dal coordinatore degli studenti. "Da 15 anni denunciamo mali e baronie (dell'università), (difendiamo) il carattere pubblico del diritto allo studio", ha detto ancora il coordinatore dell'Unione degli studenti, secondo cui il movimento si batte contro la trasformazione delle Università in luogo elitario e la privatizzazione dei consigli di amministrazione.
2010-10-16 46° SETTIMANA SOCIALE "Grande progetto educativo per fare rinascere il Sud" "Le denunzie della Chiesa sulla mafia, la ‘ndrangheta, la camorra, sono da diversi anni molto nette", a cominciare dalla famosa frase pronunciata da Giovanni Paolo II ad Agrigento, il 9 maggio 1993, fino alle recentissime parole di Benedetto XVI, che a Palermo ha definito la mafia "una strada di morte" e ne ha "solennemente dichiarato l’incompatibilità col Vangelo e la vita cristiana". Ma le denuncie "non bastano", perché "per sconfiggere la mafia c’è bisogno di un preciso intervento educativo": "è su questo terreno che si gioca il ruolo decisivo della Chiesa nel Sud". Lo ha detto Giuseppe Savagnone, direttore del Centro diocesano per la pastorale della cultura di Palermo, nella sua relazione alla Settimana Sociale, incentrata sul documento "Chiesa italiana e Mezzogiorno". "In mancanza di questo rinnovamento culturale, nessuna innovazione giuridica può risultare decisiva", ha spiegato il relatore, secondo il quale "proprio a questo livello culturale la comunità cristiana sa di dover fare sempre più coerentemente la propria parte, traendo precisamente dal Vangelo – e non da un generico codice etico – l’ispirazione per un impegno sempre più pienamente umano". Savagnone ha citato gli esempi di don Pino Puglisi, don Giuseppe Diana e Rosario Livatino, ma anche le "battaglie civili, condotte soprattutto dai giovani", per sconfiggere la mafia.
"Resta, però – ha proseguito Savagnone – lo scandalo di un territorio su cui i cattolici hanno un capillare e profondo radicamento, più che al Nord", e nel quale "le Chiese debbono ancora recepire sino in fondo la lezione profetica di Giovanni Paolo II e l’esempio dei testimoni morti per la giustizia". "Non si tratta di invocare un assistenzialismo che sarebbe fatale, ma di suscitare, partendo dalle potenzialità già presenti, nuove mentalità e nuovi stili di comportamento da parte della stessa gente del Sud", ha osservato il relatore, secondo il quale "la società meridionale non ha bisogno di un ente assistenziale in più, o di un supporto alla lotta contro la mafia che venga in soccorso alle istituzioni politiche, esercitando una funzione di supplenza". Non si tratta, perciò, "di assumere, come fanno alcuni presbiteri e laici, modelli profani di linguaggio" mutuati dalla "cultura laica, o più banalmente nei mass-media". Si tratta di "imparare a dire le ragioni cristiane dell’impegno per la promozione umana e per un rifiuto radicale della mafia". Perciò il Sud "non ha tanto bisogno di ‘preti anti-mafia’, quanto di presbiteri come don Pino Puglisi, che non lo fu mai, perché scelse di essere fino in fondo solo un sacerdote", che "seppe magistralmente coniugare", soprattutto con i giovani, evangelizzazione e promozione umana.
"La presenza costruttiva della Chiesa nel Meridione non è affidata solo ai documenti ufficiali e alle figure eccezionali dei suoi martiri, ma allo stile di vita delle comunità ecclesiali". In questa prospettiva, per Savagnone, "le Chiese del Sud sono chiamate a dare il loro essenziale contributo, con la loro pastorale ordinaria, prima ancora che con singole denunzie", mettendo mano ad "un grande progetto educativo" che "affronti alla radice, partendo dalla formazione delle persone, i problemi culturali", attraverso "una profonda trasformazione della pastorale", a partire da un nuovo protagonismo dei laici. "Troppe volte ancora – la denuncia di Savagnone – la nostra pastorale è affetta da una schizofrenia che da un lato neutralizza la valenza laica dei fedeli quando si trovano all’interno del tempio e assegna loro esclusivamente un ruolo di vice-preti, ignorando la loro dimensione professionale, familiare, politica; dall’altro, li abbandona, fuori delle mura del tempio, a una logica puramente secolaristica, per cui essi alimentano la loro cultura non attingendo al Vangelo e alla dottrina sociale della Chiesa, ma ai grandi quotidiani laicisti e alla televisione". Le denuncie della Chiesa, spesso "sono rimaste al piano nobile. C’è un piano terra, quello della pastorale ordinaria", di cui bisogna maggiormente tener conto.
"Forse sorprende e spiazza – ha osservato Savagnone – il fatto che la Chiesa si occupi, oltre che dei problemi più strettamente connessi alla sfera etica, come sono quelli della biomedicina e della famiglia, in cui sarebbero ravvisabili in modo esclusivo i ‘valori non negoziabili’, anche di quelli relativi agli assetti sociali e politici". Un "merito" del documento dei vescovi "Chiesa e Mezzogiorno" è "di aver sottolineato che alla Chiesa sta a cuore non soltanto la vita nel momento del suo concepimento o in quello terminale, ma anche ciò che sta tra questi due momenti estremi. Anche la solidarietà è un valore non negoziabile, come lo è la sorte di tutti i deboli e gli esclusi. È a questo titolo che la Chiesa si occupa della questione meridionale". "Non si tratta – ha puntualizzato Savagnone – di invitare la comunità ecclesiale nazionale a occuparsi di una parte malata. Non è solo che bisogna curare lo sviluppo del Sud perché è indispensabile a quello dell’intera nazione: bisogna curare uno sviluppo più armonico dell’intera nazione: bisogna curare uno sviluppo più armonico dell’intera nazione, che comporta necessariamente lo sviluppo del Sud". Per questo, ha concluso, "il problema del Sud si risolverà solo con un impegno di tutto il Paese, non per beneficenza, ma nella consapevolezza ce non c’è sviluppo per nessuno se non ce n’è per tutti". OLIVERO: IMMIGRAZIONE, NECESSARIA L'EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA "Cittadinanza" e "protagonismo". Sono due parole-chiave nella riflessione dei delegati alla 46ª Settimana Sociale impegnati nel gruppo dedicato all’immigrazione. "Il tema della cittadinanza – spiega Andrea Olivero, presidente delle Acli, che ha guidato l’assemblea tematica su ‘Includere le nuove presenze’ – è fortemente condiviso, come l’attenzione ai figli degli stranieri nati in Italia. Si accompagna alla riflessione su come organizzare quella ‘seconda fase’ del fenomeno immigratorio ricordata anche dal messaggio del Papa, nel segno della legalità". Per Olivero, la discussione dei delegati ha messo in luce "la necessità di realizzare un incontro vero tra culture e per questo l’importanza che gli stessi stranieri si sentano protagonisti, abbiano spazi per esserlo, anche all’interno della comunità ecclesiale. Allo scopo sono decisive le politiche formative da mettere in atto, così come deve trovare spazio un lavoro sulle tradizioni, di chi arriva e di chi accoglie". "Linguaggio e comunicazione sono due ambiti chiave per affrontare la questione dell’accoglienza e della cittadinanza. E in particolare – ha detto ancora Olivero, riassumendo la discussione nel gruppo dedicato all’immigrazione – vale la pena di far conoscere e di mettere in evidenza le buone pratiche già esistenti, le buone e sperimentate modalità di integrazione". Tra i temi sollevati dai delegati "non è mancato l’accenno al problema della criminalità che disturba i processi di inclusione, così come sono stati sollevati diversi temi tra cui la prostituzione e la tratta. Forte – ha aggiunto Olivero – è stata ribadita la necessità del contrasto alla mafia". Tornando alla questione della cittadinanza, "si tratta – ha concluso Olivero – di un problema che interroga profondamente anche noi. Cosa vuol dire essere italiani? Ecco, rispondere a questa domanda ci costringe a riflettere". MIANO: MOBILITA' NON A SCAPITO DELLE REGOLE "La mobilità sociale non deve andare a scapito delle regole di una cultura democratica". È una delle richieste fatte presenti dai partecipanti all’area tematica su "slegare la mobilità sociale", illustrate oggi ai giornalisti da Franco Miano, presidente dell’Azione Cattolica italiana, durante la seconda conferenza stampa della Settimana Sociale. "Uno dei fatti che sbloccano lo sviluppo è sicuramente la criminalità organizzata in tutte le sue forme", è stato detto concordemente dai partecipanti, che hanno insistito su due verbi: "Slegare e rilegare". "Far crescere la cultura della qualità e del merito", ad esempio, "comporta rilegare la cultura della democrazia, della legalità, della giustizia", così come "slegare il mercato" vuol dire "trovare forme per facilitare l’accesso al credito, favorire gli investimenti con modalità diverse di fiscalizzazione", ma anche "investire di più sull’occupazione femminile, rinnovare il patto del lavoro". "La grande capacità che la comunità cristiana può avere nel favorire la realizzazione di questi obiettivi – ha detto il presidente di Ac – è quella di accompagnare le persone, anche superando il dato locale". MIGLIO: EDUCAZIONE ALLA LEGALITA' "Le Settimane Sociali non hanno un ruolo magisteriale e non sono organismi operativi, sono invece un’occasione d’incontro, di cultura, di confronto, di elaborazione d’idee per tutta la comunità cristiana e per la ricerca del bene comune". Lo ha detto oggi in conferenza stampa a Reggio Calabria mons. Arrigo Miglio, vescovo di Ivrea e presidente del Comitato delle Settimane Sociali. "Se uno scopo si può indicare – ha proseguito – esso consiste nel delineare dei punti di partenza e i fondamenti per una via del bene comune da declinare e non solo da declamare. L’agenda che è emersa dai lavori delle assemblee tematiche – ha proseguito – ha messo in luce alcuni aspetti importanti: che occorre da parte della comunità cristiana educare con energia e con forza, che esiste un valore di base costituito dalla concezione dell’uomo, che occorre porre la famiglia al centro dell’impegno e delle attenzioni anche sociali, che bisogna impegnarsi tutti per lo sviluppo. Soprattutto – ha aggiunto – che bisogna percorrere la via della legalità per dare occasioni di speranza anche a chi non ce l’ha". Interpellato su cosa pensi la Chiesa del fisco e dell’evasione fiscale, mons. Miglio ha detto che "la Chiesa ha un compito educativo e che essere buoni cittadini fedeli e trasparenti è frutto di una buona educazione".
16 ottobre 2010 La Settimana Sociale dei cattolici a Reggio Calabria Compito chiaro oltre lo spaesamento Tornare a "produrre" politica per costruire il bene comune. Ma solo "una visione genuinamente cattolica" sulla politica di oggi, e soprattutto, dentro di essa può consentire al popolo cattolico di "contare", piuttosto che di "essere contato". Se giovedì sera il cardinale Angelo Bagnasco ha tracciato l’"orizzonte ermeneutico" entro il quale ricomprendere e leggere la Settimana sociale dei cattolici italiani, al rettore dell’Università Cattolica, Lorenzo Ornaghi, ieri mattina è toccato il compito di guardare negli occhi l’Italia e di descrivere il "presente che c’è" e di cominciare a delineare "il futuro che ancora possiamo costruire". Un grande sforzo di realismo politico, vivificato da una solida opzione antropologica e da una vigorosa fiducia nel protagonismo del cattolicesimo politico. L’avvio di un tragitto che ha un trampolino di lancio nell’"unità politica" dei cattolici attorno ai "valori non negoziabili", ma che ha le radici ben salde in quell’amicizia con Dio che consente a ciascuno di sapere dove andare e di riuscire a comprendere il proprio essere uomo o donna. Sì, l’umano, e non il tanto corteggiato post–umano. "Dal momento in cui la Luce splende nelle tenebre e rende l’universo pieno di senso – ha sottolineato Bagnasco – le scelte dei cristiani, nella vita privata come in quella pubblica, non possono prescindere da Cristo, pienezza della Verità e del Bene". E se queste sono le radici, i cristiani non possono fermarsi impauriti dinanzi alle sfide del proprio tempo, né indugiare un istante per quel senso di spaesamento che prende tanti di noi, dinanzi a un’Italia confusa e contraddittoria, talvolta priva della capacità di rendere ragione della propria identità. Ecco perché la seconda giornata di lavori della Settimana Sociale è cominciata all’insegna di quel metodo indicato dal cardinale presidente che ha fatto propria la "lezione" del Beato Antonio Rosmini: "I cristiani non devono pensare la fede senza anche pensare nella fede". Ornaghi ci ha provato con successo, così come si sono intellettualmente spesi Vittorio Emanuele Parsi ed Ettore Gotti Tedeschi, rispettivamente sulle trasformazioni del sistema politico internazionale e sulla crisi economica globale. Tutti e tre hanno lanciato tanti semi di speranza e una chiamata alla franchezza a un’assemblea pronta a immergersi nel lavoro più difficile: trovare risposte plausibili per costruire, appunto, un’agenda di speranza per il Paese. Grande la responsabilità posta sulle spalle dei cattolici da Ornaghi, nel momento in cui ha invocato una "visione genuinamente cattolica" che, libera da interessi di parte e da angusti orizzonti di potere, sa creare un legame fra popolo e classi dirigenti e sa far maturare in quel popolo le nuove classi dirigenti. Affrontando così, senza reticenze, il tema delicatissimo della rappresentanza che vede i cattolici in posizione di assoluto rilievo in campo sociale e di relativo sottodimensionamento sul versante politico. E qui il rettore della Cattolica si è spinto a ribadire una nota metodologica (che preferiremmo definire pedagogica) che suona così: "Lavorare insieme guardando al futuro". Ecco, quel "lavorare in comune" è un valore aggiunto in un Paese sospeso fra l’immobilismo e le incursioni delle oligarchie che lucrano sulla debolezza delle democrazie. Allora quel "lavorare insieme" può suonare persino come un imperativo per chi ha coscienza delle sfide presenti: la costruzione di un federalismo autenticamente solidale, la salvaguardia di un ethos condiviso, la tenuta dell’unità nazionale. E per tutto questo occorre una classe dirigente che, forte della propria antropologia, sappia sanare la frattura fra etica e politica. E’ questa la domanda esigente del nostro tempo alla quale i cattolici non possono sottrarsi e alla quale devono dedicare le migliori intelligenze e i cuori più generosi. Accettando anche di correre qualche rischio nella competizione politica. Domenico Delle Foglie http://www.settimanesociali.it/
16 ottobre 2010 Emanuele Parsi L’impegno dei cattolici nel mondo policentrico La crisi economica ha disarcionato la supremazia solitaria degli Stati Uniti, potenza unipolare, proprio mentre le dinamiche della globalizzazione esigevano una capacità di "governance" del tutto inedita. In questo scenario, l’Europa ha dato segnali di risveglio, ma troppo timidi per riuscire a imporre la propria voce in modo almeno proporzionato alla crescita di peso della Cina sul proscenio di un pianeta senza più "padroni". Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano, ha fatto spaziare ieri mattina la visuale dei delegati alla Settimana Sociale ben oltre la pur magnifica visuale sullo Stretto: nel corso di una relazione capace di rendere il quadro mondiale entro il quale l’impegno dei cattolici deve sapersi collocare, è affiorato il ritratto di un pianeta rimpicciolito dalla fine dei blocchi, capaci di garantire la stabilità del riconoscimento identitario e che reclama ora chi riesca a garantire uno sguardo capace di andare oltre contrasti, miopie, egoismi. "Un mondo unito da una grande divisione" ha detto Parsi, introdotto dall’economista Simona Beretta, ha assicurato a lungo un equilibrio come quello di "due pacchetti di mischia in una partita di rugby", due "sistemi universali" che fornivano "una cornice di senso dei problemi e delle sfide, e un linguaggio con cui comunicarlo, per natura globale, aperto a chiunque volesse riconoscervisi". Il tracollo del sistema sovietico ha spalancato uno scenario spiazzante anche sul piano delle culture e dei sistemi di riferimento, tanto che oggi ci troviamo "sprovvisti di universali politici altrettanto forti", proprio mentre "gli elementi peculiari, regionali o addirittura locali delle identità politiche prevalgono sui possibili elementi comuni". In questo panorama, nota ancora Parsi, "gli unici elementi di identità politica che sembrano ancora implicare una qualche vocazione universale sono quelli riconducibili all’utilizzo politico della religione". La stessa economia, dopo aver serrato il mondo dentro un solo schema di sviluppo, "produce effetti a catena che possono arrivare anche molto oltre il settore o l’ambito in cui si originano", ma non è in grado di fornire una struttura di riferimento a un mondo "policentrico": connette i continenti, non conferisce un senso di marcia o un’identità affidabile. Eccoci allora di fronte alla grande questione, che interroga anche i cattolici: "Con ben poche e parziali eccezioni – è la sintesi di Parsi – l’accavallarsi di "sfide per loro natura globale" non ha quasi mai prodotto politiche o risposte globali: la percezione della loro natura globale non è stata sufficiente per spingerci a trovare una complessiva unità di azione". Ma c’è uno spazio sul quale i cattolici italiani possono lavorare efficacemente, ed è l’Europa, "non per lottare contro le altre visioni, ma per concorrere insieme all’elaborazione del bene comune e dell’interesse generale della nuova "res publica europea", affinché essa possa continuare a essere fonte di ispirazione e irradiazione dei valori di libertà e democrazia". Francesco Ognibene
14 ottobre 2010 Messaggio per la 42° Settimana Sociale "Un’agenda di speranza per il futuro del Paese" Al Venerato Fratello Card. Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana Il primo pensiero, nel rivolgermi a Lei e ai Convegnisti riuniti a Reggio Calabria in occasione della celebrazione della 46ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, è di profonda gratitudine per il contributo di riflessione e di confronto che, a nome della Chiesa in Italia, volete offrire al Paese. Tale apporto è reso ancor più prezioso dall’ampio percorso preparatorio, che negli ultimi due anni ha coinvolto diocesi, aggregazioni ecclesiali e centri accademici: le iniziative realizzate in vista di questo appuntamento evidenziano la diffusa disponibilità all’interno delle comunità cristiane a riconoscersi "cattolici nell’Italia di oggi", coltivando l’obiettivo di "un’agenda di speranza per il futuro del Paese", come recita il tema della presente Settimana Sociale. Tutto ciò assume un rilievo maggiormente significativo nella congiuntura socio-economica che stiamo attraversando. A livello nazionale, la conseguenza più evidente della recente crisi finanziaria globale sta nel propagarsi della disoccupazione e della precarietà, che spesso impedisce ai giovani – specialmente nelle aree del Mezzogiorno – di radicarsi nel proprio territorio, quali protagonisti dello sviluppo. Per tutti, comunque, tali difficoltà costituiscono un ostacolo sul cammino della realizzazione dei propri ideali di vita, favorendo la tentazione del ripiegamento e del disorientamento. Facilmente la sfiducia si trasforma in rassegnazione, diffidenza, disaffezione e disimpegno, a scapito del legittimo investimento sul futuro. A ben vedere, il problema non è soltanto economico, ma soprattutto culturale e trova riscontro in particolare nella crisi demografica, nella difficoltà a valorizzare appieno il ruolo delle donne, nella fatica di tanti adulti nel concepirsi e porsi come educatori. A maggior ragione, bisogna riconoscere e sostenere con forza e fattivamente l’insostituibile funzione sociale della famiglia, cuore della vita affettiva e relazionale, nonché luogo che più e meglio di tutti gli altri assicura aiuto, cura, solidarietà, capacità di trasmissione del patrimonio valoriale alle nuove generazioni. È perciò necessario che tutti i soggetti istituzionali e sociali si impegnino nell’assicurare alla famiglia efficaci misure di sostegno, dotandola di risorse adeguate e permettendo una giusta conciliazione con i tempi del lavoro. Non manca certo ai cattolici la consapevolezza del fatto che tali aspettative debbano collocarsi oggi all’interno delle complesse e delicate trasformazioni che interessano l’intera umanità. Come ho avuto modo di rilevare nell’Enciclica Caritas in veritate, "il rischio del nostro tempo è che all’interdipendenza di fatto tra gli uomini non corrisponda l’interazione delle coscienze e delle intelligenze" (n. 9). Ciò esige "una visione chiara di tutti gli aspetti economici, sociali, culturali e spirituali" (ibidem, n. 31) dello sviluppo. Fare fronte ai problemi attuali, tutelando nel contempo la vita umana dal concepimento alla sua fine naturale, difendendo la dignità della persona, salvaguardando l’ambiente e promuovendo la pace, non è compito facile, ma nemmeno impossibile, se resta ferma la fiducia nelle capacità dell’uomo, si allarga il concetto di ragione e del suo uso e ciascuno si assume le proprie responsabilità. Sarebbe, infatti, illusorio delegare la ricerca di soluzioni soltanto alle pubbliche autorità: i soggetti politici, il mondo dell’impresa, le organizzazioni sindacali, gli operatori sociale e tutti i cittadini, in quanto singoli e in forma associata, sono chiamati a maturare una forte capacità di analisi, di lungimiranza e di partecipazione. Muoversi secondo una prospettiva di responsabilità comporta la disponibilità a uscire dalla ricerca del proprio interesse esclusivo, per perseguire insieme il bene del Paese e dell’intera famiglia umana. La Chiesa, quando richiama l’orizzonte del bene comune – categoria portante della sua dottrina sociale – intende infatti riferirsi al "bene di quel noi-tutti", che "non è ricercato per se stesso, ma per le persone che fanno parte della comunità sociale e che solo in essa posso realmente e più efficacemente conseguire il loro bene" (ibidem, n. 7). In altre parole, il bene comune è ciò che costruisce e qualifica la città degli uomini, il criterio fondamentale della vita sociale e politica, il fine dell’agire umano e del progresso; è "esigenza di giustizia e di carità" (ibidem), promozione del rispetto dei diritti degli individui e dei popoli, nonché di relazioni caratterizzate dalla logica del dono. Esso trova nei valori del cristianesimo l’"elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale" (ibidem, n. 4). Per questa ragione, rinnovo l’appello perché sorga una nuova generazione di cattolici, persone interiormente rinnovate che si impegnino nell’attività politica senza complessi d’inferiorità. Tale presenza, certamente, non s’improvvisa; rimane, piuttosto, l’obiettivo a cui deve tendere un cammino di formazione intellettuale e morale che, partendo dalle grandi verità intorno a Dio, all’uomo e al mondo, offra criteri di giudizio e principi etici per interpretare il bene di tutti e di ciascuno. Per la Chiesa in Italia, che opportunamente ha assunto la sfida educativa come prioritaria nel presente decennio, si tratta di spendersi nella formazione di coscienze cristiane mature, cioè aliene dall’egoismo, dalla cupidigia dei beni e dalla bramosia di carriera e, invece, coerenti con la fede professata, conoscitrici delle dinamiche culturali e sociali di questo tempo e capaci di assumere responsabilità pubbliche con competenza professionale e spirito di servizio. L’impegno socio-politico, con le risorse spirituali e le attitudini che richiede, rimane una vocazione alta, a cui la Chiesa invita a rispondere con umiltà e determinazione. La Settimana Sociale che state celebrando intende proporre "un’agenda di speranza per il futuro del Paese". Si tratta, indubbiamente, di un metodo di lavoro innovativo, che assume come punto di partenza le esperienze in atto, per riconoscere e valorizzare le potenzialità culturali, spirituali e morali inscritte nel nostro tempo, pur così complesso. Uno dei vostri ambiti di approfondimento riguarda il fenomeno migratorio e, in particolare, la ricerca di strategie e di regole che favoriscano l’inclusione delle nuove presenze. È significativo che, esattamente cinquant’anni fa e nella stessa città, una Settimana Sociale sia stata dedicata interamente al tema delle migrazioni, specialmente a quelle che allora avvenivano all’interno del Paese. Ai nostri giorni il fenomeno ha assunto proporzioni imponenti: superata la fase dell’emergenza, nella quale la Chiesa si è spesa con generosità per la prima accoglienza, è necessario passare a una seconda fase, che individui, nel pieno rispetto della legalità, i termini dell’integrazione. Ai credenti, come pure a tutti gli uomini di buona volontà, è chiesto di fare tutto il possibile per debellare quelle situazioni di ingiustizia, di miseria e di conflitto che costringono tanti uomini a intraprendere la via dell’esodo, promuovendo nel contempo le condizioni di un inserimento nelle nostre terre di quanti intendono, con il loro lavoro e il patrimonio della loro tradizione, contribuire alla costruzione di una società migliore di quella che hanno lasciato. Nel riconoscere il protagonismo degli immigrati, ci sentiamo chiamati a presentare loro il Vangelo, annuncio di salvezza e di vita piena per ogni uomo e ogni donna. Del resto, la speranza con cui intendete costruire il futuro del Paese non si risolve nella pur legittima aspirazione a un futuro migliore. Nasce, piuttosto, dalla convinzione che la storia è guidata dalla Provvidenza divina e tende a un’alba che trascende gli orizzonti dell’operare umano. Questa "speranza affidabile" ha il volto di Cristo: nel Verbo di Dio fatto uomo ciascuno di noi trova il coraggio della testimonianza e l’abnegazione nel servizio. Non manca certo, nella meravigliosa scia di luce che contraddistingue l’esperienza di fede del popolo italiano, la traccia gloriosa di tanti Santi e Sante – sacerdoti, consacrati e laici – che si sono consumati per il bene dei fratelli e si sono impegnati in campo sociale per promuovere condizioni più giuste ed eque per tutti, in primo luogo per i poveri. In questa prospettiva, mentre auguro proficui giorni di lavoro e di incontro, vi incoraggio a sentirvi all’altezza della sfida che vi è posta innanzi: la Chiesa cattolica ha un’eredità di valori che non sono cose del passato, ma costituiscono una realtà molto viva e attuale, capace di offrire un orientamento creativo per il futuro di una Nazione. Alla vigilia del 150° anniversario dell’Unità nazionale, da Reggio Calabria possa emergere un comune sentire, frutto di un’interpretazione credente della situazione del Paese; una saggezza propositiva, che sia il risultato di un discernimento culturale ed etico, condizione costitutiva delle scelte politiche ed economiche. Da ciò dipende il rilancio del dinamismo civile, per il futuro che sia – per tutti – all’insegna del bene comune. Ai partecipanti alla 46ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani desidero assicurare il mio ricordo nella preghiera, che accompagno con una speciale Benedizione Apostolica. Dal Vaticano, 12 ottobre 2010 Benedetto XVI
16 ottobre 2010 Emanuele Parsi L’impegno dei cattolici nel mondo policentrico La crisi economica ha disarcionato la supremazia solitaria degli Stati Uniti, potenza unipolare, proprio mentre le dinamiche della globalizzazione esigevano una capacità di "governance" del tutto inedita. In questo scenario, l’Europa ha dato segnali di risveglio, ma troppo timidi per riuscire a imporre la propria voce in modo almeno proporzionato alla crescita di peso della Cina sul proscenio di un pianeta senza più "padroni". Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano, ha fatto spaziare ieri mattina la visuale dei delegati alla Settimana Sociale ben oltre la pur magnifica visuale sullo Stretto: nel corso di una relazione capace di rendere il quadro mondiale entro il quale l’impegno dei cattolici deve sapersi collocare, è affiorato il ritratto di un pianeta rimpicciolito dalla fine dei blocchi, capaci di garantire la stabilità del riconoscimento identitario e che reclama ora chi riesca a garantire uno sguardo capace di andare oltre contrasti, miopie, egoismi. "Un mondo unito da una grande divisione" ha detto Parsi, introdotto dall’economista Simona Beretta, ha assicurato a lungo un equilibrio come quello di "due pacchetti di mischia in una partita di rugby", due "sistemi universali" che fornivano "una cornice di senso dei problemi e delle sfide, e un linguaggio con cui comunicarlo, per natura globale, aperto a chiunque volesse riconoscervisi". Il tracollo del sistema sovietico ha spalancato uno scenario spiazzante anche sul piano delle culture e dei sistemi di riferimento, tanto che oggi ci troviamo "sprovvisti di universali politici altrettanto forti", proprio mentre "gli elementi peculiari, regionali o addirittura locali delle identità politiche prevalgono sui possibili elementi comuni". In questo panorama, nota ancora Parsi, "gli unici elementi di identità politica che sembrano ancora implicare una qualche vocazione universale sono quelli riconducibili all’utilizzo politico della religione". La stessa economia, dopo aver serrato il mondo dentro un solo schema di sviluppo, "produce effetti a catena che possono arrivare anche molto oltre il settore o l’ambito in cui si originano", ma non è in grado di fornire una struttura di riferimento a un mondo "policentrico": connette i continenti, non conferisce un senso di marcia o un’identità affidabile. Eccoci allora di fronte alla grande questione, che interroga anche i cattolici: "Con ben poche e parziali eccezioni – è la sintesi di Parsi – l’accavallarsi di "sfide per loro natura globale" non ha quasi mai prodotto politiche o risposte globali: la percezione della loro natura globale non è stata sufficiente per spingerci a trovare una complessiva unità di azione". Ma c’è uno spazio sul quale i cattolici italiani possono lavorare efficacemente, ed è l’Europa, "non per lottare contro le altre visioni, ma per concorrere insieme all’elaborazione del bene comune e dell’interesse generale della nuova "res publica europea", affinché essa possa continuare a essere fonte di ispirazione e irradiazione dei valori di libertà e democrazia". Francesco Ognibene
16 ottobre 2010 Lorenzo Ornaghi "Il federalismo sia antidoto alle lacerazioni" Cattolicesimo politico? Sì, certo, ma a patto che l’aggettivo non diventi più importante del sostantivo. Altrimenti i cattolici in politica diventerebbero "una mera parte fra la pluralità delle parti". E quindi "più che a contare" sarebbero destinati "ad essere contati". Il rettore dell’Università Cattolica, Lorenzo Ornaghi, è giunto quasi al termine della sua relazione, quando indica quella che definisce "una strada obbligata". Il suo intervento apre la seconda giornata di lavori della 46.ma Settimana Sociale. E non è chi non avverta la sostanziale continuità delle sue parole con quanto il giorno precedente era stato affermato dal Papa e dal cardinale presidente della Cei, Angelo Bagnasco. L’unità dei cattolici in politica va ricercata sul campo ed è data da "una visione innanzitutto e genuinamente cattolica", sottolinea Ornaghi. Perché senza "una tale visione, ogni pur rinnovata forma della nostra presenza pubblica e politico-partitica (trasversalmente ai partiti, o anche - in termini quantitativamente prevalenti - dentro un solo)" correrebbe di fatto il rischio della marginalizzazione, quando non anche della irrilevanza pubblica. Sono notazioni non certo rassicuranti quelle del rettore della Cattolica, ma estremamente realistiche. Ornaghi, del resto, aveva aperto il suo intervento proprio segnalando un paradosso: lo "spaesamento" di molte forze cattoliche, che pur potendo "disporre di una cultura e di idee rispetto ai problemi del presente", avvertono una sensazione di "disagio" e di "dubbio" rispetto allo stato attuale dell’Italia. Ma l’eccezionalità della situazione e i problemi sul tappeto - federalismo, riforma elettorale, scuola, welfare con poche risorse, solo per fare alcuni esempi - richiedono "un linguaggio franco" e chiarezza di idee. Sul federalismo, ad esempio, Ornaghi ha presentato una sorta di aut aut. "Un federalismo bene inteso e correttamente applicato costituisce la principale e forse ormai unica soluzione alle lacerazioni che, anziché comporsi, spesso si allargano e moltiplicano tra il Nord e il Sud dell’Italia". Al contrario, ha ammonito il relatore, "un federalismo ideologicamente inteso e realizzato è inevitabilmente destinato a spezzare l’unità sostanziale del nostro Paese". Dunque il federalismo della prima specie è una "possibile composizione politico-istituzionale di una frattura che sempre più incombe sull’intero Paese", un antidoto anche rispetto al pericolo di "cadere definitivamente nella stagnazione dell’attuale politica". Ma non solo. Per il rettore della Cattolica un federalismo "autenticamente solidale potrebbe avere due importanti effetti positivi per il futuro". In primo luogo, "richiamerebbe sia il Nord sia il Sud a far crescere e praticare quella virtù della "responsabilità" - spesso evocata e raramente praticata - non solo nei confronti dell’intero Paese, ma anche rispetto a se stessi". In secondo luogo, "comporterà la formazione e il radicamento di un ceto politico con le rappresentanze sociali". In sostanza, questa è la ricetta per cercare di uscire da quella "democrazia senza qualità", che - ha fatto notare il relatore - si sta trasformando in una "contro-democrazia" in mano a oligarchie che "svuotano" e "inquinano" "il normale e corretto funzionamento" della democrazia vera, creando disaffezione nella gente, per cui anche il voto viene considerato "una scelta di terz’ordine". Ecco allora il compito dei cattolici. Un contributo "fattivo e scevro da preconcetti" sui principali problemi del Paese. Per offrire il quale occorre, però, "l’intelligenza e la capacità di individuare e curare i "luoghi" - ambientali e generazionali - in cui sta crescendo, pur magari indistinta, la domanda di sentirsi ascoltati e politicamente rappresentati"; serve "l’intelligenza e la capacità di saper collegare e magari aggregare tutte quelle "aree" dove, subito sotto la superficie delle odierne rappresentazioni della politica, maggiormente si condensa il bisogno di una risposta alla necessità di essere soggetti "partecipanti" delle politiche, anziché destinatari generici e passivi". Necessita, cioè, ha aggiunto Ornaghi, "un rinnovato impegno a far crescere la classe dirigente dell’incombente domani e a preparare i giovani all’esercizio di quella leadership che difficilmente può essere inventata e mai improvvisata". È in sostanza la nuova classe politica chiesta dal Papa e dal cardinale Bagnasco. Il rettore dell’Università Cattolica ha perciò invitato "a guardare al futuro che possiamo ancora costruire" con lo stesso spirito del Progetto culturale della Chiesa italiana. Perché in definitiva è questa la strada per risolvere il paradosso dello spaesamento. E per tornare a contare, anziché farsi contare. Mimmo Muolo
16 ottobre 2010 Ettore Gotti Tedeschi Più famiglia, meno crisi Dalla tribuna della Settimana Sociale, proprio nel giorno in cui il ministro Tremonti impone una finanziaria lacrime e sangue, Ettore Gotti Tedeschi invoca sgravi fiscali per le famiglie, perché sono loro, avverte, "il vero asset del Paese". Sottoscrive il monito del Papa per la trasparenza finanziaria. Non fa sconti a Marchionne, parlando di "delocalizzazione forzata", ma ammette che il top manager "deve risolvere i problemi di cinquant’anni di protezionismo che non sono serviti a rendere competitiva la Fiat". Infine il presidente dello Ior conclude da dove, in questi anni, la sua analisi è sempre partita: l’origine della crisi economica in cui continuiamo a dibatterci "è antropologica" ed è legata "al crollo della natalità ispirato dalle tesi malthusiane secondo cui - ricorda - si può vivere senza fare figli. Si può, certo, ma non si cresce". Il cardinale Bagnasco invita i cattolici a essere coerenti nella vita pubblica. Vale anche per banchieri e manager? È un monito attuale, perchè l’economia è uno strumento che ha assunto una pericolosa autonomia morale. Per uscire dalla crisi non è necessario cambiare le leggi dell’economia ma si deve modificare il modello con cui gli uomini utilizzano questi strumenti. Il primo capitolo della "Caritas in Veritate" offre tutti gli elementi per capire e per cambiare, purtroppo molti non lo leggono e cercano scorciatoie, come una nuova bolla. C’è chi dice invece che la colpa sia tutta dei bankers che speculavano e continuano a speculare... Si interpretano le conseguenze e non le cause del problema. Per venticinque anni le banche hanno fatto espansione creditizia per compensare il crollo della crescita innescato da quello delle nascite. Il mondo occidentale ha smesso di fare figli intorno al 1975 e se la popolazione non aumenta non aumenta il Pil, a meno che non si consumi di più, abbracciando l’etica nichilista. Se crolla la popolazione, inoltre, crolla il risparmio e crescono i costi fissi legati all’assistenza di chi invecchia, aumenta la pressione fiscale e prima o poi si imbocca la strada della crescita a debito. Naturalmente il fenomeno è complesso: la crisi dei subprime può essere messa in relazione anche con la necessità di finanziare il budget militare americano dopo l’11 settembre... La situazione italiana è migliore? Il debito italiano è prevalentemente pubblico mentre negli Usa è soprattutto debito delle famiglie. L’ipotesi di nazionalizzare il secondo sta facendo vacillare i democratici nelle elezioni di novembre. In Italia, è in corso una privatizzazione del debito pubblico attraverso i tassi d’interesse: remunerarli al di sotto dell’inflazione significa trasferire valore. Senza contare che l’ingresso nell’euro, in sé opportuno, per come è avvenuto è stato pagato dagli investitori. Per sgonfiare il debito ci sono solo: il default stile Argentina; una nuova bolla, e gli americani stanno lavorando sul biotech; l’inflazione, pericolosissima; l’austerità, che è già realtà. Non crede in una ripresa trainata dal Far East? Tesi di Goldman Sachs, ma la Cina ha un Pil uguale a quello della Germania: a definire la strategia di uscita può essere solo un grande produttore che è anche grande consumatore e che detiene il primato delle tecnologie, quindi, ancora una volta, gli Usa. Io credo tuttavia che l’unica strategia per uscire dalla crisi sia quella di invertire il processo di denatalità dell’Occidente e per farlo occorre dare la possibilità alle persone di farsi una famiglia ma - prima ancora - riportare l’uomo a riconoscere il senso della vita; sul piano educativo occorre tornare alla cultura del "perché" sopraffatta in questi anni dalla cultura del "come", dell’approccio casistico delle università americane, dove però, i master di alto livello riscoprono Aristotele. Per noi cattolici significa tornare all’insegnamento della dottrina, a lungo trascurata. In Italia esistono le risorse da investire su università e famiglia? Per crescere, è chiaro a tutti, occorre investire sulla cultura. L’Italia negli ultimi cinquant’anni ho perso il vantaggio storico che le derivava da quella classica. È altrettanto chiaro che un investimento debba essere efficace e giustificato in base al piano che si dà un governo: è legittimo chiedersi se un investimento fatto, ad esempio nell’organizzazione universitaria, riesca effettivamente a produrre cultura. Quanto alle famiglie, la povertà che si avvicina scoraggia la formazione di coppie e la scelta di diventare genitori. Le casalinghe hanno salvato il mondo, trasferendo ai figli un’immensa ricchezza educativa, e anche oggi il più grande investimento per la nostra società sarebbe una politica di sgravi fiscali per le famiglie, per l’educazione dei figli e per l’accompagnamento al lavoro. Paolo Viana
2010-10-14 14 ottobre 2010 LEGGE AL PALO "Niente fondi". Università, slitta la riforma La riforma dell’Università si impantana nelle ristrettezze di bilancio. Il Tesoro "strangola" uno dei testi più attesi del governo Berlusconi, che slitta e resta "congelato" almeno fino a fine novembre dopo una giornata convulsa alla Camera e un "gelido" vertice serale fra il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, e la collega dell’Istruzione, Mariastella Gelmini. "Giulio, le riforme senza risorse io non le faccio", ha scandito la Gelmini congedandosi. E per rassicurare il ministro si è speso in prima persona Silvio Berlusconi, che le ha telefonato per assicurare: la riforma "si farà". Il delicato dossier, finito al centro di un nuovo allarme dei rettori (la Crui ha manifestato "disappunto e allarme", perché "nulla assicura" che una soluzione sarà trovata), ha richiamato infatti, malgrado la convalescenza, l’attenzione del premier che ne ha voluto discutere di persona con Tremonti. Il ministro era volato per questo in mattinata ad Arcore. A nulla è valso nemmeno l’implicito "benestare" dato da Umberto Bossi ("Meglio dare i soldi all’università che alle bombe per gli aerei"). Ad affossare (per ora) il disegno di legge di riforma è stata la relazione della Ragioneria generale dello Stato arrivata ieri in commissione Bilancio, a Montecitorio. C’era scritto che il testo non ha la copertura finanziaria su diversi punti, in particolare sul piano di concorsi entro il 2016 per 9mila ricercatori che avrebbe potuto sbloccare la loro protesta (in vari atenei si astengono dalla didattica e si rischia il blocco delle lezioni). Insorgono le opposizioni: per il Pd "la maggioranza va in tilt" (pur essendo "positivo" che ci sarà del tempo in più) e per Francesco Rutelli, leader dell’Api, "sarebbe un dramma se rimanesse il veto di Tremonti". Anche per Luisa Santolini (Udc), dal governo arrivano "solo promesse". Lo stallo era emerso già nel pomeriggio, alla conferenza dei capigruppo che aveva deciso di far slittare di 24 ore, a venerdì, la discussione generale in aula, già rinviando per di più il voto al termine della sessione di bilancio. Proprio stamani, infatti, in Consiglio dei ministri approda la Legge di stabilità 2011, cioè la "nuova Finanziaria" che, ha ribadito Tremonti, sarà "totalmente tabellare", cioè solo con le voci di spesa dicastero per dicastero (la Camera, intanto, ha dato via libera alla risoluzione di maggioranza - 297 i sì - sulla Dfp, la Decisione di finanza pubblica che fissa il quadro generale). La legge odierna non conterrà però nuovi fondi, per i quali Tremonti ha rimandato tutti a un decreto di fine anno (forse il classico "mille-proroghe"). A pesare fortemente, anche il no di Futuro e libertà, che ha condizionato il suo voto alle modifiche proposte dalle commissioni della Camera, precisando che senza "i fondi indispensabili per la ricerca, il gruppo di Fli chiederà il ritiro del testo al ministro Gelmini". Ed è significativo che al vertice serale abbiano presenziato anche i finiani Bocchino, capo dei deputati di Fini, e Granata, oltre ai presidenti delle commissioni Cultura, Aprea, e Bilancio, Giorgetti, e alla relatrice Frassinetti. Resta però l’incognita che in un mese si trovino i fondi (2,23 miliardi da qui al 2017): "Non ci ha firmato una cambiale", ha riferito Granata. Sui tempi, nemmeno Berlusconi è riuscito a dare una risposta alla Gelmini che reclamava certezze. E a fine giornata il ministro ammetteva, in un comunicato: "Arrivati a questo punto, ha ragione la maggioranza quando chiede di contestualizzare le riforme alle risorse". Eugenio Fatigante
2010-09-22 21 settembre 2010 ROMA Napolitano inaugura l'anno: la scuola deve cambiare La scuola italiana deve cambiare, con il più ampio consenso possibile, per mettersi alla pari con il livello di istruzione di altri Paesi concorrenti dell'Italia nella competizione globale. È quanto avverte il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, inaugurando il nuovo anno scolastico - alla presenza del ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini - nel cortile d'onore del Quirinale. "Sia chiaro - scandisce il capo dello Stato - di cambiamento c'era e c'è bisogno. D'altronde - osserva - sulle direttrici di massima degli interventi necessari si è da tempo evidenziato un consenso ampio, al di là delle divisioni di parte". Il Capo dello Stato dà atto che "negli ultimi decenni abbiamo conseguito notevoli passi avanti anche in termini di percentuale di diplomati e di laureati e questo ci ha consentito di avvicinarci alla media dei Paesi sviluppati. Tuttavia, anche se stiamo correndo più in fretta di altri, non abbiamo raggiunto i Paesi più avanzati. Dunque - non si nasconde Napolitano - siamo rimasti ancora indietro, rispetto a una risorsa cruciale per affrontare una dura competizione globale". Napolitano non manca di esortare a investire di più, nella scuola e nella formazione dei suoi docenti, nonostante il perpetuarsi della crisi economica. "Nel portare avanti l'impegno comune categorico per la riduzione del debito pubblico - sottolinea infatti il presidente della Repubblica - bisogna riconoscere la priorità della ricerca e dell'istruzione nella ripartizione delle risorse pubbliche disponibili. Riformare con giudizio si deve; occorre sanare squilibri, disparità, disuguaglianze che si presentano anche nell'istruzione che, al contrario, dovrebbe proprio servire a colmare le disuguaglianze". Ecco allora che "se vogliamo che la scuola funzioni come un efficace motore di uguaglianza e come un fattore di crescita, bisogna che si irrobustisca e, per farlo, occorre partire da diagnosi adeguate", afferma significativamente il capo dello Stato. In particolare, "per elevare la qualità dell'insegnamento occorre motivare gli insegnanti -esorta Napolitano- richiedere che abbiano un'adeguata formazione ma anche offrire loro validi strumenti formativi e di riqualificazione: su tutto questo, è necessario investire. Nel passato non lo si è fatto abbastanza e si sono prodotte situazioni pesanti. Occorre, dunque, qualificare e riqualificare coloro che aspirano ad una assunzione a tempo indeterminato".
2010-09-18 18 settembre 2010 BRESCIA La Gelmini: via il "sole delle Alpi" dalla scuola di Adro Il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini, con una lettera fatta inviare nei giorni scorsi dal direttore dell'ufficio scolastico della Lombardia, ha chiesto al sindaco di Adro (Brescia) di "adoperarsi per la rimozione dal polo scolastico del simbolo" noto come il "sole delle Alpi". Nella lettera, firmata dal direttore Giuseppe Colosio, viene dato atto al sindaco di Adro di aver realizzato "attrezzature didattiche all'avanguardia", ma è anche spiegato che non può essere nascosto il fatto che "il sole delle Alpi" è uno dei simboli utilizzati dalla Lega, il movimento politico al quale appartiene la maggioranza dell'amministrazione comunale di Adro. Nella lettera si ricorda l'attenzione mediatica di questi giorni e si sottolinea che è dovere dell'amministrazione evitare che la politica di parte entri nella scuola: "La delicatezza della funzione – si legge nel testo – impone di intervenire anche in caso di solo sospetto, per evitare ogni possibile strumentalizzazione. IL SINDACO: SONO STUPITO "Sono stupito. Aspetto di leggerla, al momento non posso sapere". Questa la reazione di Oscar Lancini, sindaco di Adro, in merito alla lettera in cui gli si chiede la rimozione del Sole delle Alpi. "Dalle dichiarazioni del ministro – ha proseguito il sindaco – mi pareva di aver capito che avesse preso atto che il simbolo del Sole delle Alpi è del territorio e non di partito".
2010-09-13 14 settembre 2010 IL RITORNO IN CLASSE Scuola, al via l'anno della rivoluzione Per suonare la campanella del primo giorno di scuola Mariastella Gelmini sceglie una scuola speciale. Il ministro dell’Istruzione apre l’anno nella sezione scolastica del Policlinico Agostino Gemelli, dedicata ai bambini e ai ragazzi ricoverati. E mentre un po’ in tutta Italia insegnanti precari e studenti protestano, Gelmini rilancia e chiede al corpo docente di raccogliere la sfida della riforma delle superiori. "Il governo ha predisposto questa riforma – dice – ma la sfida deve essere raccolta innanzitutto dagli insegnanti, perché a loro tocca l’onere di applicarla e di collaborare per rendere la scuola davvero un’istituzione eccellente". Come l’anno scorso, quando a settembre andò nella sezione scolastica del carcere minorile di Nisida a Napoli, anche stavolta il ministro Gelmini si fa vedere in una scuola lontana dai riflettori e dalle critiche. "Non ricordo un anno scolastico che non sia stato accompagnato da una serie di polemiche e proteste", commenta lei. "Rispetto tutti coloro che protestano – aggiunge – ma quest’anno la scuola mette al centro gli studenti e non gli interessi corporativi". Col nuovo anno scolastico, ricorda il ministro, "entra finalmente in vigore la riforma delle superiori, grazie alla quale moltissimi studenti potranno usufruire dei nuovi licei, della nuova istruzione tecnica all’insegna di più inglese, più istruzione in lingua straniera, più attenzione anche alla matematica per fare in modo che il diploma non sia solo un pezzo di carta ma un titolo spendibile sul mercato del lavoro". E cita il documento "Italia 2020" stilato col ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, "per abbattere la disoccupazione giovanile e favorire una maggiore collaborazione tra il sistema della formazione e quello produttivo". Per il primo giorno di scuola, giura il ministro dell’Istruzione, è tutto a posto: "Abbiamo effettuato un controllo con gli uffici scolastici regionali e riteniamo che l’anno possa essere avviato in maniera regolare. Tutte le immissioni in ruolo sono state fatte così come le supplenze sono state assegnate". Mentre il ministro dà l’avvìo al primo giorno di scuola, volantinaggi e proteste creative vanno in scena da Nord a Sud. Davanti al ministero di viale Trastevere a Roma, dopo le lezioni, si sono radunati insegnanti e studenti per chiedere una revisione dei tagli e nuovi investimenti: tra le sigle, Federazione degli studenti, Uds, Fds, Cobas, Flc Cgil e Giovani comunisti. Con loro anche l’Idv e Antonio Di Pietro, solidale "con le decine di migliaia di insegnanti precari messi sul lastrico. Gelmini apra il confronto". Davanti a 30 elementari romane Sinistra ecologia libertà ha distribuito 15 mila volantini. "La scuola pubblica è la pù importante fabbrica di futuro – commenta il leader Nichi Vendola – e colpirla è un attentato alla democrazia". A Terni cento docenti si sono simbolicamente incatenati attorno alla fontana di piazza Tacito. A Torino, come a Roma davanti al liceo Tasso e in altre città ancora, la Rete degli studenti indossa caschi gialli da cantiere, per proteggersi "dalle macerie che Gelmini e Tremonti hanno lasciato dopo aver demolito la scuola pubblica che non va considerata come un’azienda in dissesto economico". Nel capoluogo piemontese i professori dello Steiner hanno indossato magliette nere a lutto. Dall’Unione degli studenti striscioni nelle scuole di Milano e Napoli e una simbolica asta della scuola pubblica a Genova, oltre a volantinaggi a Campobasso e mobilitazioni in strada a Bari davanti al Petruzzelli. Prove di riscaldamento per la manifestazione nazionale degli studenti dell’8 ottobre. Luca Liverani
14 settembre 2010 L'obiettivo vero di una scuola vera Prima ci sia la vita (poi i comportamenti) Parte un nuovo anno scolastico, le campanelle riprendono a suonare e a scandire il tempo dell’apprendimento. Finalmente torna soprattutto la scuola vissuta, dopo quella dei nodi aggrovigliati, delle analisi contrapposte e delle polemiche sferzanti a lungo protagonista delle notizie di fine estate. Giovani e adulti di nuovo insieme per l’avvio di un cammino che ha il sapore di un’avventura: l’avventura educativa. Ma quali proposte attendono i ragazzi in classe? Che cosa offre la programmazione che è stata minuziosamente elaborata per loro? Assistiamo a un fenomeno in crescita e che merita attenta riflessione. Da tempo, le discipline più tradizionali si vedono sempre più affiancate dai numerosi progetti approvati dai singoli istituti. La lotta al tabagismo, alle tossicodipendenze, all’abuso dell’alcol, agli incidenti stradali, all’incuria verso l’ambiente, all’obesità, diventano a loro volta "materie", assurgono alla dignità di oggetti specifici di insegnamento e quindi vengono a pieno diritto incorporati nelle ore curricolari. Sforzo meritevole, volto certo alla preparazione di nuovi cittadini responsabili e consapevoli, più sani e longevi, onesti ed ecologici. Nessuna persona di buon senso potrebbe avanzare obiezioni a questo andamento, o almeno alle intenzioni che lo originano. Eppure, a ben pensarci, qualcosa non torna. Tutto questo, per quanto utile, di per sé non basta. Quello che in certa misura sconcerta è assistere a ciò che potremmo definire il primato dei comportamenti. Non fumare, non esagerare con l’alcol, non drogarsi, non lasciarsi morire di inedia, rispettare l’ambiente costituiscono comportamenti da acquisire per via informativa, la più specialistica e dettagliata possibile. E allora porte spalancate agli esperti: medici, pompieri, poliziotti, ginecologi, ognuno col proprio slang professionale. C’è di mezzo l’ingenuità di credere che sia sufficiente presentare la velocità come fattore di rischio perché i ragazzi moderino automaticamente la manetta dell’acceleratore. Forse il punto sta qui, proprio nella distinzione fra informazione ed educazione. Ti informo se ti rendo – giustamente – consapevole che fumando avrai una certa probabilità di avere il cancro al polmone e con questo di morire. Ti educo se aiuto a recuperare un buon motivo per cui valga la pena vivere e magari decidere di non accendere la sigaretta. E non c’è bisogno di strutturare l’ennesimo corso ad hoc – educazione alla pena di vivere? – perché le lezioni di storia, geografia, letteratura, inglese e matematica in fondo esistono anche per questo. Non si tratta solamente di nozioni da apprendere, sono l’occasione di confronto con teorie e uomini del passato e del presente che hanno cercato soluzione alla loro "questione umana". Anche la cosiddetta educazione all’affettività viene per lo più ridotta a istruzioni per l’uso, a tecnicismi o strategie di corteggiamento. Come se per imparare ad amare non potessimo partire anche da Shakespeare o Dante o Einstein. L’educazione è in primis educazione alla vita, i comportamenti vengono di conseguenza. L’uomo colto, non quello solo informato, possiede strumenti critici e valutativi per decidere cosa fare della propria esistenza e di quella degli altri. Come adulti responsabili abbiamo il compito di riattivare e tenere viva nei giovani la libertà, quell’energia che permette, di fronte a un bivio, innanzitutto di individuarlo e poi di scegliere una strada piuttosto che un’altra. Che permette e non esclude a priori la possibilità di commettere anche errori. Perché abbiamo bisogno di persone libere, non di scimmie ammaestrate che magari sanno bene come muoversi, ma hanno ragioni per farlo. Luigi Ballerini
2010-09-11 11 settembre 2010 LA SCUOLA DI DOMANI Insegnanti formati con il tutor Per essere formati non solo al sapere ma anche al saper insegnare, e per legare teoria e pratica, i futuri insegnanti svolgeranno un anno di tirocinio direttamente in classe guidati da un docente tutor. È una della novità del regolamento di formazione iniziale dei docenti presentato ieri in conferenza stampa dal ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini. "Oggi inseriamo un nuovo tassello fondamentale nella riforma destinata a cambiare il nostro sistema scolastico – ha spiegato il ministro –, che riguarda la formazione iniziale dei futuri insegnanti. Prevediamo una selezione severa, doverosa per chi avrà in mano il futuro dell’Italia e sostituiamo alle vecchie Ssis un percorso di lauree magistrali specifiche e un anno di tirocinio coprogettato da scuole e università". Il regolamento è il frutto del lavoro della commissione presieduta dal professor Giorgio Israel, a cui è seguito un confronto con il mondo della scuola e delle associazioni. Il numero dei nuovi docenti, peraltro, sarà deciso in base ai reali fabbisogni della scuola (con un ulteriore 30% destinato alle paritarie) per evitare il riprodursi del fenomeno del precariato. Dal 2011 infatti saranno a numero chiuso gli accessi ai corsi universitari magistrali. Per insegnare nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria sarà necessaria una laurea quinquennale. Si punta anche a rafforzare le competenze disciplinari e pedagogiche. Per la scuola secondaria di primo e secondo grado sarà necessaria la laurea magistrale e un anno di tirocinio formativo attivo (475 ore di tirocinio a scuola, di cui almeno 75 dedicate alla disabilità). Il nuovo regolamento prevede che tutti i docenti abbiano una preparazione adeguata alle esigenze dei disabili. Costituiranno competenze trasversali le nuove tecnologie e l’inglese, per il quale sarà necessaria la certificazione B2. Gli uffici scolastici regionali organizzeranno e aggiorneranno gli albi delle istituzioni scolastiche accreditate che ospiteranno i tirocini e avranno anche funzioni di controllo, evidenziando buone prassi e specificità. Viene naturalmente previsto un regime transitorio: tutti i vecchi laureati potranno conseguire l’abilitazione per la secondaria superando le prove di accesso (test preselettivo, esami scritti e orali) al tirocinio formativo-attivo a numero programmato. Il passaggio successivo, ha annunciato il ministro, sarà il regolamento sul reclutamento e nel frattempo è al lavoro una commissione sulla valutazione. Per valorizzare la professionalità degli insegnanti, appunto, come chiesto dalla stessa categoria, la Gelmini ha indicato la strada del superamento degli scatti di anzianità, perseguita per la via meno conflittuale, contrattuale o legislativa che sia. Nel corso della conferenza stampa il ministro ha precisato che i precari presenti nelle graduatorie a esaurimento sono 220mila (se si considerano anche quelli inseriti nella graduatorie dei singoli istituti la cifra può salire a 500-600mila). I posti vacanti sono circa 20mila. La Gelmini comunque si è detta convinta che i rimanenti 200mila, per i quali "al momento non c’è lavoro" nella scuola, saranno assorbiti, grazie ad un buon numero di pensionamenti, nell’arco di 6-7anni. Si tratta di "una piaga sociale" ereditata dal passato, ha sottolineato la Gelmini, a cui "il governo ha dato alcune risposte e cercherà di darne altre". "Il primo obiettivo" del nuovo regolamento è perciò "evitare l’insorgere di un nuovo precariato", con l’accesso alle lauree magistrali programmato sulle reali esigenze. Sull’assorbimento dei precari l’ex ministro dell’Istruzione, Beppe Fioroni (Pd) ha osservato: "Resto attaccato alla proposta fatta con il quaderno bianco con Padoa-Schioppa, che prevedeva due cose fondamentali: la chiusura delle graduatorie permanenti, da trasformare in graduatorie ad esaurimento, e una progressiva capacità di immissione in 5 anni. Ne sono già stati persi due e speriamo che si recuperi". Ma Domenico Pantaleo, segretario generale della Flc Cgil, ha sostenuto che nelle parole del ministro "non solo non vi è stata alcuna soluzione concreta ma ancora una volta sono stati occultati i dati reali". Il nuovo regolamento è stato definito, però, "condivisibile" da Massimo Di Menna, segretario generale della Uil scuola, che chiede ora il decreto sul reclutamento "con modalità di tipo concorsuale". "Sarà come sempre la verifica dei fatti a dirci se e quanto la nuova architettura dei corsi universitari, la cui articolazione può essere sostanzialmente condivisa, risulterà all’altezza del compito", ha rimarcato Francesco Scrima, segretario generale della Cisl scuola. Il provvedimento del ministro, secondo Roberto Pellegatta, presidente della Disal (Associazione dirigenti scolastici), "contribuisce a svecchiare il sistema e aiuta i giovani a entrare nella scuola, ma rimane il problema della durata del tirocinio e della sua valutazione, troppo sbilanciato a favore delle università, rispetto alle singole scuole".. Pier Luigi Fornari
2010-09-10 10 settembre 2010 ROMA Tirocinio e inglese per i professori Gelmini: precari assorbiti in 7 anni Un tirocinio da svolgere in classe, un numero di insegnanti deciso in base al fabbisogno, una migliore conoscenza dell'inglese: sono alcune delle novità introdotte dal regolamento sulla formazione iniziale dei docenti che, con la firma del ministro Gelmini, è da oggi operativo. "L'obiettivo principale - ha spiegato il ministro presentando le nuove regole in una conferenza stampa a Palazzo Chigi - è quello di evitare l'insorgere di nuovo precariato". Il passaggio successivo, ha annunciato il ministro, sarà il regolamento sul reclutamento e nel frattempo è al lavoro una commissione sulla valutazione.
Le vecchie Ssis (le scuole per la preparazione all'insegnamento) bloccate oltre un anno fa, saranno sostituite da un percorso di lauree magistrali specifiche e da un anno di tirocinio progettato insieme da scuole e università. Per insegnare nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria sarà necessaria una laurea quinquennale, a numero programmato con prova di accesso, che consentirà di conseguire l'abilitazione per la scuola primaria e dell'infanzia. Oltre a un periodo di tirocinio a scuola è previsto un percorso laboratoriale per la lingua inglese e le nuove tecnologie. Viene data poi particolare attenzione al problema degli alunni con disabilità, prevedendo che in tutti i percorsi ci siano insegnamenti in grado di consentire al docente di avere una preparazione di base sui bisogni speciali. Per insegnare nella scuola media e superiore servirà una laurea magistrale ad hoc completata da un anno di Tirocinio formativo attivo. È prevista una rigorosa selezione per l'ingresso alla laurea magistrale a numero programmato basato sulle necessità del sistema nazionale di istruzione. L'anno di tirocinio contempla 475 ore a scuola (di cui almeno 75 dedicate alla disabilità) sotto la guida di un insegnante tutor. Viene naturalmente previsto un regime transitorio: tutti i vecchi laureati potranno conseguire l'abilitazione per la secondaria di primo e secondo grado accedendo, dietro il superamento delle prove di accesso (test preselettivo, esami scritti e orali), all'anno di Tirocinio formativo attivo a numero programmato, che potrà essere attivato da questo anno accademico. I PRECARI "È difficile fare previsioni esatte, ma secondo stime del ministero nei prossimi anni ci saranno tanti prepensionamenti e dunque nell'arco di sei, sette anni, c'è la ragionevole certezza che gli attuali 220.000 precari potranno essere assorbiti dal sistema di istruzione". Lo ha affermato il ministro dell'Istruzione, Maria Stella Gelmini, durante la conferenza stampa. "Questo agevolerà la condizione dei nuovi insegnanti che si formeranno con il nuovo sistema", aggiungendo che dal 2011 le nuove lauree partiranno in base a un sistema di programmazione del fabbisogno.
2010-09-08 2010-09-08 Fenomeno dispersione Studenti "fantasma" Uno su tre scompare Dispersi. Il mondo della scuola, delle agenzie educative, della politica, li chiama così. E mai parola fu più azzeccata. Gli studenti che anche quest’anno lasceranno il loro banco vuoto, in centinaia di istituti italiani, dispersi lo sono davvero. Non lasciano tracce. Non trovano collocazione. Non hanno futuro. Centoventiseimila fantasmi, secondo l’ultima fotografia scattata dall’Isfol (l’Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori) per conto del ministero del Lavoro e delle politiche sociali: ragazzi dai 14 ai 17 anni fuori da ogni percorso di istruzione e formazione. Una piaga insanabile. Il ministero dell’Istruzione l’ha sondata recentissimamente (era luglio), tracciando un quadro ancor più desolante. Su 616.600 iscritti al primo anno di superiori nel 2005-2006, ne sono arrivati al traguardo 190mila in meno. Per intendersi: uno studente su tre non ha conseguito il diploma nell’ultimo quinquennio. La situazione peggiore, manco a dirlo, al Sud e nelle Isole. Zone sferzate dalla crisi, dalla povertà, dalla disoccupazione. E anche dalla criminalità, che troppo spesso fagocita i ragazzi facendo della strada l’alternativa alla scuola. Sardegna e Sicilia si contraddistinguono così per una percentuale di abbandoni che sfiora addirittura il 40%. Le cose vanno anche peggio se guardiamo fuori dai nostro confini. Il dato della dispersione scolastica ci mette addosso la "solita" maglia nera anche a livello europeo: l’abbandono formativo (che in base alla Strategia di Lisbona viene calcolato in base alle persone tra 18 e i 24 anni in possesso al massimo della licenza media) si attesta nel nostro Paese quasi al 20%, mentre in tutti gli altri supera di poco il 15 (il target previsto per il 2013 ha fissato il 10% come limite). E questo considerando che dal 2000 si è registrato un netto miglioramento della situazione (con una flessione del dato di circa il 6%). Le cause del fenomeno sono svariate, e certo non tutte imputabili all’efficienza del sistema scolastico. Gli esperti riconoscono nella dispersione il risultato della difficile situazione economica delle famiglie (e in questo caso i dati del Mezzogiorno parlano chiaro), per cui diventa necessario che anche i più giovani trovino un impiego e contribuiscano a sbarcare il lunario. Una situazione resa più grave dalla congiuntura economica degli ultimi anni. Ma a pesare sull’allergia dei ragazzi alle aule c’è anche il crescente desiderio immediato di "cose": il motorino, la macchina, il cellulare di tendenza sempre più spesso vengono visti come obiettivi imprescindibili, che possono essere agguantati soltanto tramite il lavoro. Col risultato che i giovani si accontentano di professioni precarie e poco retribuite, che svolgono senza competenze. Per fortuna l’altro lato della medaglia è il notevole incremento dei percorsi triennali di istruzione e formazione professionale. Sempre in base ai dati Isfol emerge un progressivo radicamento delle sperimentazioni in quasi tutte le realtà regionali: dai 1.329 percorsi del 2003-2004 si passa ai 7.642 del 2008-2009. Il numero degli allievi, cioè, è aumentato di cinque volte in sei anni. E analizzando il rapporto tra il numero dei qualificati e gli iscritti al primo anno dei percorsi, risulta un’apprezzabile percentuale del 78,4% di allievi che non abbandonano, nonostante l’estrema "fragilità" sociale e scolastica del target di riferimento. In campo scendono i ministeri, le Regioni, le realtà associative, le istituzioni religiose. L’obiettivo è fare sistema. Organizzare corsi, convogliare fondi, prevenire. E anche mappare la popolazione scolare: la disponibilità presso le amministrazioni locali di informazioni sullo stato scolastico-formativo dei 14-17enni rappresenta uno dei principali strumenti in tal senso, oltre che il riferimento obbligato per la costruzione dell’Anagrafe nazionale degli studenti gestita dal ministero dell’Istruzione. Ma il presidio del territorio interessa tuttora circa la metà delle amministrazioni regionali: solo 11 regioni, cioè, dispongono di un proprio sistema informativo. Un buco nero su un altro. Viviana Daloiso
2010-09-07 7 settembre 2010 GROSSETO La salma del maestro Manzi "sfrattata" dal cimitero Ha insegnato a leggere e a scrivere a milioni di italiani che non avevano avuto l’opportunità di frequentare la scuola, ma per lui non sembra esserci più posto nel cimitero di Pitigliano, cittadina in provincia di Grosseto con poco più di 4mila abitanti. Un’ordinanza del sindaco Dino Seccarecci, prevede infatti che il 13 settembre la salma di Alberto Manzi, il "maestro" del programma televisivo di culto degli anni ’60 "Non è mai troppo tardi", sia esumata dalla tomba di famiglia e trasferita in un loculo. Stessa sorte per altri tredici defunti. "Sono indignata", dichiara la vedova del maestro Manzi, Sonia Boni, che spiega le proprie ragioni nella lettera pubblicata a lato. "Senza nemmeno avvisarmi – prosegue – l’amministrazione "sfratta" mio marito dal cimitero, dimostrando assoluta mancanza di sensibilità e di rispetto per la memoria di un uomo che, anche da sindaco, ha sempre cercato di fare il bene di Pitigliano e della sua gente. La cosa mi fa male ma non mi stupisce di certo, visto che, in tredici anni dalla sua morte, il Comune non ha mai fatto nulla per onorarlo. Mi sarebbe bastato che, almeno nel giorno dell’anniversario della scomparsa, i bambini delle scuole portassero un fiore sulla sua tomba. E, invece, niente. Adesso, quest’ultimo affronto mi fa seriamente pensare di portarlo via da Pitigliano. Anzi, me lo fanno portare via". La signora Sonia vorrebbe che la propria indignazione fosse fatta propria dai tanti che hanno conosciuto il marito, anche soltanto attraverso lo schermo televisivo. Intanto, tra le tante iniziative che riguardano la figura del maestro Manzi, c’è anche una fiction televisiva in due puntate, che dovrebbe andare in onda su Rai Uno in prima serata. Il titolo provvisorio è, appunto, "Non è mai troppo tardi" e il film, prodotto dalla BiBi Tv srl di Angelo Barbagallo, è in preparazione sotto la regia di Giacomo Campiotti. Oltre a raccontare la parentesi televisiva di Manzi, il film si sofferma anche sulla sua lunga esperienza di insegnante presso il carcere minorile San Michele di Roma. E chissà che non sia aggiunta una postilla su questo spiacevole episodio del trasferimento della salma. Un fatto che, però, il sindaco di Pitigliano racconta in altro modo. "Ho soltanto applicato la legge – dice Seccarecci – che impone di sistemare nei loculi i defunti da oltre dieci anni. Detto questo, aggiungo che nessuno, il 13 settembre, andrà a riesumare il maestro Manzi, né alcuno degli altri tredici defunti inseriti nella stessa ordinanza. Come sindaco non potevo comportarmi diversamente e, avendone conosciuto bene la modestia, non credo che il maestro avrebbe apprezzato un trattamento di favore nei suoi confronti". Il sindaco aggiunge che, nei prossimi giorni, si metterà in contatto con la signora Boni per "decidere insieme quale sistemazione più idonea dare a questo grandissimo personaggio". A Pitigliano c’è già un parco pubblico intitolato al maestro Manzi, ma adesso il sindaco sta pensando anche a un monumento. Ipotesi che, però, almeno per il momento, non sembra incontrare il favore della famiglia. La vedova, infatti, pare più che mai decisa a troncare il rapporto con Pitigliano. "Su questo non so nulla ma mi auguro che non si arrivi a tanto – conclude Seccarecci –. In ogni caso, io sono tranquillo e sereno e, ripeto, nei prossimi giorni contatterò la famiglia per cercare, insieme, la soluzione più idonea, rispettosa della legge e della memoria di questo grande personaggio". Paolo Ferrario
2010-09-06 6 settembre 2010 AI NASTRI DI PARTENZA Anno scolastico ai nastri di partenza Ma la settimana si annuncia calda Anno scolastico ai nastri di partenza: in alcuni istituti oggi torna a suonare la campanella anche se in molte regioni il via è fissato per il 13 settembre. La settimana si annuncia calda: i professori rimasti senza incarico minacciano iniziative e mobilitazioni. Finiti o interrotti gli scioperi della fame della scorsa settimana la protesta dei precari prosegue davanti a Montecitorio, con un presidio almeno fino all'8 settembre, quando con l'inizio dell'attività parlamentare è stata convocata una nuova assemblea per organizzare uno sciopero nazionale, che potrebbe essere programmato a fine mese. Tensioni stamani a Palermo dove un gruppo di precari sta bloccando gli uffici del provveditorato dove sono in corso le convocazioni annuali per il personale amministrativo. Sono 70 i posti disponibili e in circa duecento stanno aspettando l'esito. La protesta è scattata quando si è diffusa la notizia che il numero delle convocazioni era inferiore rispetto alle previsioni. È stato richiesto l'intervento delle forze dell'ordine. ROMA Primo giorno di scuola tra abbracci e nostalgia per le vacanze finite ma anche all'insegna dei malumori per la riforma Gelmini: questa mattina la campanella è suonata per gli studenti del liceo classico "Tasso" di Roma, i primi, nella capitale, a tornare sui banchi di scuola. "Siamo tesi - ha detto uno studente che ha appena finito il ginnasio - perchè dovremo conoscere altri professori e non so cosa ci aspetterà quest'anno". "Ieri ero in aeroporto - ha aggiunto un'amica - ed ora sono qui. È drammatico. La cosa bella è ritrovare i compagni dopo l'estate, per il resto nulla di positivo". E mentre gli studenti in fila ritornano sui banchi, sul muro del liceo vengono affissi dei cartelloni: uno su cui è scritto "La scuola cambia dal basso. Costruiamo l'altra riforma" firmato Unione studenti del Lazio, l'altro di colore giallo con "Giù le mani dalla scuola pubblica". "Sulla riforma Gelmini non voglio commentare - ha detto un ragazzo prima di varcare l'ingresso - ma sicuramente sarà un anno di protesta". "La Gelmini è sul piede di guerra e sono molti i motivi per protestare - ha aggiunto un altro studente questa riforma non si basa sulle nostre esigenze e per questo non la vogliamo". Davanti all'ingresso dell'istituto, in via Sicilia, oltre alle centinaia di liceali anche un gruppetto di genitori che distribuivano volantini contro la riforma Gelmini: "Siamo preoccupati per questo andazzo - ha spiegato una mamma del Coordinamento genitori e docenti delle scuole superiori di Roma - è l'inizio dell'anno e cercheremo di farci sentire e fare il più possibile per protestare contro questa riforma che ci farà perdere la scuola statale. Dopodomani faremo un'assemblea per organizzarci e capire che tipo di proteste portare avanti".
2010-09-03 3 settembre 2010 LA SCUOLA CHE VERRA' Gelmini: il nodo precari? No a strumentalizzazioni Ripartire dal merito, cancellare gli effetti deleteri del ’68, impostare una linea di rigore educativo, razionalizzare la frammentazione degli indirizzi nelle scuole superiori, rilancio dell’istruzione tecnica e professionale. Ma anche stop a ogni forma di strumentalizzazione politica delle tensioni sindacali, per impostare un "confronto" fondato sulla "chiarezza", "nell’interesse di tutti... 230 mila precari sono un un numero spaventoso, frutto di politiche disinvolte", che hanno "distribuito posti di lavoro nel mondo della scuola, dei quali non aveva bisogno e, soprattutto, che non era in grado di sostenere finanziariamente". Nel presentare il nuovo panorama dell’istruzione scolastica in Italia, il ministro Maria Stella Gelmini, con i giornalisti a Palazzo Chigi, tocca una per una tutte le grandi questioni. Sul tema, tanto delicato quanto esplosivo, del precariato si sofferma con attenzione. Calibra le parole, ma non per questo evita di esporre la cruda realtà: bisogna troncare col passato. Di fronte al dramma dei tanti precari della scuola che "non potranno essere assorbiti", dice, il governo "sente di avere un impegno morale", almeno "nel non creare altre illusioni incrementando altro precariato". Da qui la conferma del blocco delle Ssis, definite "vere fucine di precariato". Allo stesso tempo nega che non ci sia il necessario impegno in termini di sostegno, ma che anzi il governo sta mettendo in campo "uno sforzo che non deve essere sottovalutato". La stessa "tanto vituperata" manovra economica, pur nella difficoltà del momento, ha trovato risorse "per accompagnare" l’esercito dei precari. Così oltre al decreto per i precari, il ministro ricorda "gli accordi già siglati con le regioni, come pure l’automatismo dell’indennità di disoccupazione". Il ministro Gelmini non manca, tuttavia, di tirare fuori le unghie. Condanna apertamente tutte le strumentalizzazioni messe in atto, nelle proteste di questi giorni, da alcuni partiti dell’opposizione, da chi ritiene di essere precario perché nella vita hanno fatto "una sola supplenza", dai "precari pretestuosi" che non sanno nemmeno se il loro posto di lavoro sarà confermato in questo anno scolastico, dai precari che non vogliono usufruire di altre alternative e che preferiscono l’assegno di disoccupazione e via dicendo. Proteste che per quanto legittime in molti casi "non sono motivate". Metodi che fanno "poco onore a chi li mette in campo". Da qui l’appello "a tutte le forze politiche" a far cessare le strumentalizzazioni. "Sono disponibile al confronto", ma in una situazione di questo tipo "non mi presto" alle polemiche, anche perché "stiamo perfezionando degli accordi". "Non voglio essere coinvolta in un’operazione politica", che ha il solo intento di far passare l’idea "che i 230mila precari siano frutto della Finanziaria e del governo Berlusconi" e che "avrebbe un impatto negativo sull’avvio dell’anno scolastico". Insomma, serve "un confronto nel merito di ciò che si può fare e non di ciò che si vorrebbe". Il governo "non è onnipotente" ma sta facendo "tutto il possibile. E se questo venisse detto con chiarezza le tensioni potrebbero affievolirsi nell’interesse di tutti". Molto più rilassati i toni del ministro quando presenta gli elementi fondamentali della riforma dell’istruzione superiore, che da quest’anno entrano a regime. Intanto la stretta sulla disciplina: se si superano i 50 giorni di assenza si viene bocciati. Per i licei si supera la riforma del ’23, nascono il liceo musicale e il liceo delle scienze umane, vengono aumentate le ore di matematica, fisica e scienze "secondo i parametri internazionali", è potenziato lo studio delle lingue, una materia del quinto anno viene insegnata solo in inglese. Maggiore attenzione al ’900 in letteratura, storia e filosofia. Più attenzione all’insegnamento dell’italiano. Undici gli indirizzi dei tecnici, sei quelli degli istituti professionali. Riguardo al personale, sono stati assunti 10mila nuovi docenti e 5mila unità di personale Ata. Ci sono 2.700 insegnanti di sostegno in più. Avviato un tavolo con i sindacati per ragionare sulle carriere degli insegnanti, perché "in Europa solo Italia e Grecia non prevedono avanzamenti per merito". Entro l’anno concorso per 3mila posti da preside. Roberto I. Zanini
3 settembre 2010 Il direttore Un utile "appunto" Abbiamo scritto ieri con la bella verve e la sapienza letteraria e umana di Davide Rondoni dell'anno scolastico che sta per ricominciare. Qui sotto potete rileggere quel commento anche via internet. L'abbiamo titolato "Le orme dei giovani sulla strada della scuola", facendo precedere il titolo da un limpido occhiello: "Promemoria per gli addetti ai lavori". Tutti, gli addetti, dal ministro Mariastella Gelmini a "ogni adulto che ha funzione nella scuola" (siamo infatti abbastanza liberi e sereni da intervistare il ministro della Pubblica Istruzione sulla sua "rivoluzione del merito" e, contemporaneamente, da registrare e proporre problemi - seri o di sospetta origine ideologica e corporativa - del mondo scolastico che reclamano risposta). Abbiamo indicato il nodo più intricato e la più pressante necessità: "Salvaguardare l'essenziale", cioè "servire" i bambini e i ragazzi che frequentano la scuola pubblica italiana, che è insieme statale e paritaria non statale. Abbiamo chiesto a tutti - ancora con le parole di Rondoni - di non "trattare male la scuola". E cioè di non "usarla per altro motivo" che non sia quello suo proprio. Ma vediamo ora montare una piccola tempesta di interpretazioni, in dura e preconcetta chiave anti-ministro. Un'interpretazione libera, ma che non sta né in cielo né in terra. Perché il nostro pensiero è chiaro, il "comandamento" è chiaro: non strumentalizziamo i ragazzi, non usiamoli per i nostri fini. Appunto. Marco Tarquinio
3 settembre 2010 Promemoria per gli addetti ai lavori Le orme dei giovani sulla strada della scuola I bambini, i ragazzi. Bisogna guardare loro. Innanzitutto guardare loro. Quel che ferve nel loro sguardo, e si movimenta nei loro cuori e nelle menti, atletiche e svelte come lepri o cerbiatti. Sì, occorre guardare questi nostri cerbiatti. Per valutare l’inizio della scuola, per vedere cosa fare, per capire cosa c’è di buono e cosa da correggere. Occorre guardare loro, l’essenziale. Lo scopo della scuola. Che è venire incontro, accogliere, sostenere, far crescere e nutrire quella innata curiosità che anima i nostri cerbiatti, i nostri figli, con i loro capelli di luce, gli occhi vivaci. Ci sono, come ogni anno, annunci e problemi. La signora Ministro ha affrontato con gagliarda e dunque controversa volontà riformatrice sia l’Università che la Scuola. Una partita personale e politica su cui sta scommettendo molto. E mentre in Università le riforme si sono accavallate e ora se ne aspetta una un po’ ordinata e di prospettiva, d’altra parte nella Scuola molti interessi corporativi, molti problemi lasciati per strada, molte iniziative frammentate rendono difficile da sempre un vero disegno riformatore. La situazione dei precari, l’apertura di nuovi posti e altri irrisolti nodi (come quello del trattamento riservato alle scuole pubbliche non statali) rende anche quest’anno il panorama dell’avvio confuso e non privo di ombre. Speriamo che prevalga in tutte le parti la buona volontà di salvaguardare l’essenziale. Cioè il servizio da rendere a loro, i nostri cerbiatti, o come dice un’antica storia delle foreste, i nostri "bambini giaguaro", figure che intervengono a rinnovare il mondo. Sono loro che dobbiamo tutti servire, senza cedere alla faziosa difesa di interessi particolari, senza vedere nella scuola il luogo del confronto politico partitico, o della difesa di corporativismi che spesso han bloccato e bloccano l’Italia. In questo inizio, chi userà della scuola per terreno di scontri, di difese di rendite di posizione, di consenso politico e altre piccinerie, vorrei che fosse condannato ad andare davanti al plotone di esecuzione. Un plotone immenso, composto dai nostri bambini e ragazzi, che lo fissassero al muro (ministro o sindacalista, docente o amministrativo che sia). E con le armi della loro infanzia e giovinezza eseguissero la condanna: pistole ad acqua, elastici, schioppi di legno o mitragliette con i suoni elettronici d’ultima generazione, qualche pernacchietta e altri lazzi e battute. Sono sicuro che a far le cose come si deve, il plotone coi cappellini colorati, gli zaini (sempre troppo pesanti), le chewin-gum e tutto il resto starebbe schierato dalla mattina alla sera. Perché ci sono un sacco di furbastri che campano sulla e nella scuola e però dei ragazzi gliene interessa assai meno del giusto. Ma non c’è reato più grave oggi in Italia che trattare male la scuola. Che usarla per altro motivo che non sia servire i nostri cerbiatti. Lo chiamo reato, perché fa quasi più effetto, in quest’era giudiziaria. Ma si dovrebbe chiamare offesa, ingiustizia, peccato, ignominia tanta è la gravità. Guai a chi per vanagloria o per protesta o per acquiescenza usasse e trattasse senza il dovuto onore questi piccoli nostri figli. Anche là dove le condizioni non sono buone, non si esacerbi il tutto, ma si faccia in modo che i bambini e i ragazzi non patiscano maggiore disagio. Non si guardi ad altri interessi. Non si sfrutti il loro nome per richieste e pretese, per quanto comprensibili. Non si faccia carriera sulla loro pelle. L’inizio della scuola è un’occasione per guardarci allo specchio e dirci: stiamo servendo al meglio i nostri cerbiatti, i nostri figli? O meritiamo lo strambo, allegro e però terribile plotone d’esecuzione dei loro sguardi che ci mettono al muro della nostra responsabilità? Vale per il Ministro, e per ogni adulto che ha una funzione nella scuola. Davide Rondoni
3 settembre 2010 UNIVERSITA' L'odissea dei test. Uno su dieci ce la fa Bsterebbero due numeri, a spiegare il clima in cui ieri si è svolto il primo dei test d’ingresso universitari alle facoltà a numero chiuso. Medicina: 8755 posti disponibili, circa 90mila studenti assiepati davanti ai cancelli degli atenei d’Italia. Come dire: uno su dieci ce la fa. E saranno le scarsissime percentuali d’accesso a fronte del boom di richieste (sono state il 10% in più), saranno le 80 domande della prova (che anche quest’anno, in alcuni casi, hanno lasciato gli studenti spiazzati e per l’argomento e per il modo in cui sono state poste), sarà la richiesta di medici nel nostro Paese (insoddisfatta, e crescente), sui test s’è scatenata nelle ultime ore un’autentica bufera. Che il sistema di accesso a certe facoltà, medicina in primis, abbia bisogno di un "restyling" è osservazione ampiamente condivisa. Le opinioni divergono sul come. Il ministero difende lo strumento dei test: "Garantisce una buona scrematura e premia la qualità", ha spiegato la Gelmini. Che è disposta, però, a un cambiamento della prova, magari alleggerendo il peso delle domande di cultura generale a vantaggio di quelle specialistiche (da tempo, peraltro, un tavolo tecnico ad hoc istituito dallo stesso ministero sta studiando un modo per migliorare il pacchetto di quesiti). Il Pd, dal canto suo, ha immediatamente rispolverato il passato e invitato il ministro "se davvero è interessato a migliorare l’efficacia del test" a attuare quanto previsto dai ministri Mussi e Fioroni, e cioè coinvolgere le scuole nella redazione dei quiz affinché i contenuti siano attenti ai saperi e alle competenze acquisiti nei loro percorsi di studio. La Cgil mette in evidenza la carenza di medici che si prospetta nei prossimi anni nel Servizio Sanitario Nazionale con le uscite previste per pensionamento: "Un primo passo in avanti – hanno osservato Rita Guariniello, segretaria nazionale Flc-Cgil e Massimo Cozza, segretario nazionale Fp-Cgil medici – sarebbe rappresentato da un’unica graduatoria nazionale e da test con domande attinenti alla preparazione scientifica necessaria". Per l’Unione degli universitari il numero chiuso è una selezione "che ha fallito da tutti i punti di vista" e che ha favorito solo gli ordini professionali. Il "numero chiuso", per Andrea Lenzi, presidente del Consiglio universitario nazionale e coordinatore dei corsi di laurea in medicina, non va, invece, messo in discussione. Piuttosto – suggerisce – i test andrebbero accompagnati da un "questionario ad hoc" da una fase di "orientamento" dal terzo anno di superiori. Divisi i rettori dei diversi atenei (che generalmente lo considerano un male necessario) e gli stessi studenti (il 70% di quelli interpellati dal popolare sito Studenti.it pensa che il criterio di selezione migliore sia una media tra il voto di maturità e l’andamento degli ultimi anni delle scuole superiori, ma c’è anche un 21% secondo cui gli attuali quiz vanno più che bene). Quel che è certo è che per quest’anno siamo solo all’inizio. Ieri migliaia di studenti di tutta Italia si sono cimentati con la prima prova di medicina e chirurgia. Oggetto della prova 80 quesiti: 40 di cultura generale e ragionamento logico, 18 di biologia, 11 di chimica e altrettanti di fisica e matematica. Oggi sarà la volta di odontoiatria e protesi dentaria, lunedì di medicina veterinaria, martedì dei corsi finalizzati alla formazione di architetto. A conti fatti, nel solo ambito medico, ci sono 37mila posti a bando e 218mila candidati. Chiamarla lotteria, è davvero un eufemismo. Per fortuna la passione per le materie scientifiche nel nostro Paese non si fa scoraggiare (quest’anno facoltà di medicina come quelle di Milano o di Bologna hanno segnato record di iscrizioni, tra il 30 e il 40% in più). Nemmeno dai risultati precedenti al test: quest’anno, di quasi 560mila rimandati, più della metà lo sono stati in proprio in matematica. Viviana Daloiso
2010-09-02 2 settembre 2010 LA SCUOLA CHE VERRA' Gelmini, solidarietà ai precari ma niente strumentalizzazioni Ai precari della scuola "va la massima solidarietà, anche in maniera completa". Lo ha detto il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, lanciando un appello alle forze politiche affinchè "non si strumentalizzi il disagio". Il ministro, durante una conferenza stampa a Palazzo Chigi, ha quindi ricordato i provvedimenti messi in atto dal Governo per fronteggiare il precariato a cominciare dal così detto decreto salva-precari. Oggi la scuola pubblica non è in grado di assorbire tutti i 200mila lavoratori precari della scuola, nonostante le proteste che si stanno svolgendo in diverse parti d'Italia. "I precari che ereditiamo sono 200mila, un numero spaventoso, che è il frutto di politiche disinvolte del passato che la scuola non era in grado di finanziarie - ha detto la Gelmini -. Nessun governo può assorbire 200mila precari". Il ministro ha detto di stare facendo uno sforzo di razionalizzazione circa il numero degli insegnanti non di ruolo da far lavorare, che si basa sull'entità della popolazione scolastica. "Prima di chiedere più risorse al governo ci si deve preoccupare di ottimizzarne l'impiego. In un periodo di stretta sui conti pubblici è utopico chiedere ora più risorse", ha detto Gelmini giustificando il fatto che non sono stati previsti grandi investimenti pubblici sulla scuola. "Sono disponibile al confronto sul precariato e con i precari, ma solo se si tratta di ragionare in un clima costruttivo e su dati veri. Quando invece il disagio viene strumentalizzato per fini meramente politici, allora sottraggo non tanto la mia persona, ma l'istituzione a questo passaggio", ha poi aggiunto il ministro lanciando poi un appello "a tutte le forze politiche affinchè non venga strumentalizzato il disagio". LE NOVITA' PER IL PROSSIMO ANNO Durante la conferenza stampa, il ministro ha presentato le novità sull'anno scolastico 2010-2011: "Quest'anno non si potranno superare 50 giorni di assenza, pena la bocciatura", ha sottolineato Mariastella Gelmini. La novita', ha detto, "servirà anche a bloccare la prassi di certi diplomifici dove si arriva al diploma pur avendo frequentato poco o nulla". Il ministro ha poi affrontato il nodo degli insegnanti di sostegno: "Non è vero che gli insegnanti di sostegno sono diminuiti nella scuola italiana. Abbiamo incrementato gli insegnati di sostegno di 2.700 unità perchè non devono mancare laddove ce n'è effettivo bisogno".
2010-08-07 Home Page Avvenire > Interni > Gelmini: "Dal 2013 per i prof una carriera sul merito" Interni * * stampa quest'articolo segnala ad un amico feed 7 agosto 2010 INTERVISTA Gelmini: "Dal 2013 per i prof una carriera sul merito" "Una carriera basata sul merito". Un meccanismo che mandi in pensione gli attuali scatti di anzianità, che "sono l’unico elemento di progressione nello stipendio dei docenti". Il ministro della Pubblica Istruzione Mariastella Gelmini non ha dubbi: "Entro il 2013 il merito dovrà diventare lo strumento per creare una vera carriera docente. Per via legislativa o per via contrattuale, ma sicuramente lo faremo". Lo ha detto anche ai sindacati con i quali mercoledì scorso ha aperto un tavolo di trattativa e confronto, "trovandoli sostanzialmente pronti a perseguire questa strada". Intanto il ministro Gelmini annuncia per il prossimo anno scolastico "l’assunzione di 10mila nuovi docenti, 6mila personale Ata e un concorso per 2800 posti di dirigente scolastico. Un traguardo importante in un’epoca di tagli e sacrifici". Il sistema scolastico che emerge in questi giorni mostra una scuola del Sud nella quale i 100 e lode alla maturità sono il doppio rispetto a quelli ottenuti al Nord, ma nel contempo la prova nazionale dell’Invalsi per l’esame di terza media mostra una miglior preparazione degli studenti del Nord. Come spiega una simile contraddizione? "Questo divario esiste. Ci sono riscontri concreti che rimandano a una maggior generosità nel dare voti alti al Sud rispetto al Nord. Detto questo, noi da due anni stiamo lavorando per colmare il divario puntando sul sistema di valutazione che si basa su test internazionali. Non si può pensare che esista una valutazione chiusa nel rapporto docente-studente. Servono test internazionali che misurino i livelli di apprendimento e i progressi nell’apprendimento. La nostra intenzione è di potenziare l’Invalsi e di istituire una commissione di valutazione che ha portato ad alcune sperimentazioni per ampliare l’utilizzo dei test, per affidarci a criteri oggettivi". Parliamo del fronte docente. Appare un altro divario: esubero di docenti al Sud e carenze al Nord. "Non mi pare però paragonabile al divario di cui abbiamo parlato prima. Comunque voglio rassicurare tutti: l’anno scolastico partirà regolarmente. Ma credo che la cosa più importante sia l’apertura del tavolo di confronto con i sindacati". In cui avete parlato anche della manovra? "Certo, e abbiamo sottolineato che la manovra tanto vituperata di lacrime e sangue, in realtà permette per il prossimo anno scolastico l’assunzione di 10mila docenti, 6mila unità di personale Ata e l’avvio di un concorso per 2.800 dirigenti scolastici. Un segnale concreto di attenzione al mondo della scuola. Sono nuovi posti di lavoro. E poi, grazie alla manovra triennale del 2008, utilizzando parte del 30% ottenuto dai risparmi riusciamo a ripristinare per il personale docente gli scatti di anzianità, congelati nel pubblico impiego. Questo anche perché gli scatti, per ora, sono l’unico elemento di progressione di stipendio in assenza di una vera carriera". Ma quel 30% di risparmi era destinato a premiare il merito. "E infatti il resto dei fondi andrà proprio a sostenere il merito, che dovrà diventare lo strumento di progressione dello stipendio. L’ho detto chiaro ai sindacati mercoledì scorso e ho trovato interlocutori attenti, anche se non mancano alcune posizioni critiche. Comunque intendo essere chiara: o per via legislativa o per via contrattuale, la creazione di una carriera basata sul merito dovrà avvenire entro il 2013, data nella quale gli scatti scompariranno. Sarà la valorizzazione della professione docente. Siamo disposti a trovare un accordo e a studiare un percorso per raggiungere l’obiettivo, ma non a rinunciare al merito, che resta un punto fermo". Tra un mese si torna a scuola. E debutterà la nuova secondaria superiore. Che debutto sarà? "Credo che non ci saranno problemi maggiori rispetto agli anni passati. È chiaro che per una valutazione di una riforma così importante occorrerà qualche tempo, nel quale comunque continueremo a monitorare l’attuazione, intervenendo là dove si evidenziassero elementi critici. Questa riforma è importante quanto necessaria, soprattutto per il collegamento con il mondo del lavoro attraverso il potenziamento dell’istruzione professionale e i percorsi di alternanza scuola-lavoro e dell’apprendistato, in particolare in questo momento di crisi occupazionale". Tra i percorsi post media vi sono anche i percorsi professionali triennali. Vigilerete pure sulla loro attuazione? "La competenza in questo campo è delle Regioni, ma certo da parte nostra vi sarà un’attenzione all’interno della Conferenza Stato-Regione. Anche per il miglioramento di questo segmento formativo". Per una riforma che parte, un’altra punta a raggiungere il traguardo finale: quella dell’Università. Plausi e critiche hanno caratterizzato il via libera al Senato. "Devo dire che nel passaggio al Senato abbiamo mantenuto un’impronta innovativa della riforma, dando vita a una bella pagina di vita parlamentare, con la partecipazione di tutti e uno schieramento favorevole più ampio. Un testo che ritengo migliorato e affinato e non annacquato. Spero sia approvato a settembre dalla Camera". Però ci sono state voci critiche come quelle dei ricercatori o dei dottori di ricerca. E lo stesso presidente Napolitano ha invitato a mantenere aperto un dialogo. Se ne terrà conto alla Camera? "Alla lettera del presidente Napolitano risponderò per iscritto, ma voglio rassicurare che non verrà lesa l’autonomia degli enti di ricerca. Anche se chiediamo che vi sia maggior efficienza nell’uso delle risorse. Qualche modifica potrà essere valutata, ma il testo mi pare già ottimo". E lo stop ai tagli nei fondi richiesta dal presidente dei rettori Decleva? "Ne ho parlato con il ministro Tremonti e la Finanziaria conterrà i fondi necessari all’Università. Il problema sarà come spenderli". Dai fondi all’Università a quelli per la scuola paritaria. La manovra triennale ha previsto per il 2011 un ulteriore taglio (224 milioni di euro) rispetto a quello fatto (130 milioni) e poi recuperato nel 2010. Che impegno si assume? "Le risorse del 2010 sono rimesse nel capitolo di spesa e attendiamo il via libera della Conferenza Stato-Regioni. E per la Finanziaria 2011 posso dire che i soldi per le paritarie non si toccano. Già le risorse sono poche e non bisogna dimenticare che la scuola paritaria permette allo Stato un risparmio di oltre 6 miliardi di euro". Dunque nel 2011 saranno stanziati i 534 milioni di euro previsti originariamente dal capitolo di spesa? "Esatto, non ci saranno tagli". Enrico Lenzi
2010-07-28 28 luglio 2010 LA RIFORMA "Università, serve un patto nazionale" Gira che ti rigira, la storia resta la stessa: "È vero i fondi sono un problema, da risolvere, ma significa che dobbiamo rinunciare a qualsiasi idea di riforma?", taglia corto il ministro dell’Istruzione, Maria Stella Gelmini, parlando in aula al Senato al termine della discussione generale sul disegno di legge di riforma dell’università (sarà approvato da Palazzo Madama in prima lettura domani sera e poi passerà alla Camera per il via libera definitivo.), ripresa ieri mattina. Riforma che secondo il consigliere dello stesso ministro Gelmini, Alberto Albertini, "non sarà pronta prima delle vacanze estive come sperava il ministro", ma viste le "centinaia e centinaia di interventi e modifiche, ragionevolmente si arriverà in autunno". La Gelmini, insomma, spiega che "non mi sento di condividere una posizione negativa sul ddl motivata esclusivamente o principalmente dalla mancanza di fondi". Anzi, va oltre e propone al Senato "d’impegnarci in un nuovo patto nazionale per l’università". Poiché – va avanti – "di risorse aggiuntive ne abbiamo avute in quantità nello scorso decennio, grazie a governi di centrodestra e di centrosinistra" ed è "sotto gli occhi di tutti che il loro impatto non è stato positivo perché non è stato accompagnato dalle risorse necessarie". Però "se le riforme non si fanno quando le risorse aumentano né quando le risorse diminuiscono, allora quand’è che si possono fare? Esiste in questo Paese un tempo per le riforme? La mia risposta è oggi. Abbiamo di fronte a noi un’occasione irripetibile, è nostro dovere coglierla fino in fondo senza tentennamenti". Dunque – conclude il ministro – "mi auguro sia ancora possibile un accordo tra maggioranza e opposizione. Restano alcune differenze, ma non tali da avere una totale ostilità nei confronti di questa riforma". Tuttavia l’opposizione attacca. "Questo disegno di legge è un’opportunità storica" e però "si è rivelato un’opportunità mancata", dice sempre durante il dibattito in aula Mauro Ceruti (Pd): "Il ddl infatti è collegato ad un enorme taglio e di fatto siamo passati da una sua riforma a una riforma Tremonti", con i tagli che "colpiscono 26mila ricercatori, collocati dalla riforma su un binario morto", mentre "per gli studenti nulla è contenuto in questo "combinato disposto" Gelmini-Tremonti che valorizzi il merito, il welfare, il diritto allo studio e, soprattutto, la mobilità". Infine l’Italia dei valori, che va giù durissima: "L’università pubblica italiana è agonizzante e il governo si prepara a staccarle la spina con una finta riforma, fatta solo per mascherare i tagli decisi da Tremonti e che rimanderà a tempo indeterminato tutti quegli interventi di cui c’è invece urgente bisogno", fa sapere il senatore Pancho Pardi, secondo cui "le scelte del governo si possono facilmente riassumere in una riduzione micidiale delle risorse e in una vana retorica contro il baronato, come se i baroni fossero tutti solo di sinistra". Esattamente opposte le considerazioni della maggioranza. Secondo il senatore Pdl e segretario della commissione finanze e tesoro, Vincenzo Speziali, la riforma "rappresenta la prima vera riorganizzazione degli atenei italiani", tanto "efficace che consentirà al sistema universitario italiano di competere con le migliori eccellenze europee". Una riforma che ha la sua "punta di diamante senza dubbio nell’introduzione del concetto meritocratico che determinerà la fine dei finanziamenti a pioggia. Autonomia e responsabilità viaggeranno su di un unico binario". E aggiunge un altro senatore Pdl, Luigi D’Ambrosio Lettieri: "Dal ministro Gelmini abbiamo ricevuto in questi mesi di lavoro la conferma della sua tenacia e della sua autorevolezza. Da esse traiamo la migliore garanzia affinché le risorse economiche destinate al comparto universitario siano reperite quanto prima" e "nella misura adeguata alle esigenze di finanziamento che l’attuazione della riforma stessa richiede". Pino Ciociola
2010-07-01 1 Luglio 2010 PUBBLICA ISTRUZIONE Gelmini: rivedere la laurea triennale Rivedere il percorso universitario del "3+2", ripensare la scuola media, potenziare la figura del maestro prevalente nella primaria. Il tutto rivendicando che "questa manovra economica fa salva sia l’Università sia la ricerca, non prevedendo tagli". È una Gelmini a tutto campo quella che ieri mattina alla trasmissione radiofonica "Radio anch’io" ha affrontato il futuro di scuola e università. Ed è soprattutto la riforma del sistema accademico a concentrare l’attenzione del ministro della Pubblica Istruzione. "C’è un impegno preciso del governo – annuncia Mariastella Gelmini dai microfoni di Radio1 – e dei capigruppo al Senato per calendarizzare il ddl sull’università subito dopo la manovra, intorno alla metà di luglio, Si prevede poi una discussione alla Camera di circa un mese e crediamo che a fine settembre o metà ottobre si possa approvare definitivamente la riforma". Una riforma che, sempre secondo il ministro Gelmini, "punterà su efficienza, merito e trasparenza". Obiettivi che "è già stato intrapreso. Abbiamo cominciato a tagliare i corsi di laurea inutili, cioè quegli insegnamenti che non hanno ragion d’essere perché hanno offerto cattedre, ma non hanno dato risultato agli studenti". Valutazione, quella del ministro, che comprende anche il sistema del "3+2", cioè della laurea triennale seguita da un biennio di specializzazione. Un sistema, commenta la Gelmini, che "sicuramente ha dato meno risultati di quanto ci si aspettava e spesso alla laurea triennale non consegue un’opportunità di lavoro, ma – aggiunge il ministro, quasi a tranquillizzare il mondo accademico – non si può intervenire ogni volta e rivedere il sistema. Serve certamente un correttivo, ma niente scossoni". I commenti delle opposizioni non si sono fatte attendere. "Preso atto che la riforma dell’università non è stata neppure calendarizzata al Senato, prevedere quando lo sarà alla Camera è solo nella fantasia del ministro" dice Antonio Rusconi, capogruppo del Pd in commissione Istruzione a Palazzo Madama. E aggiunge: "Fino a oggi risultano respinti tutti gli emendamenti e gli ordini del giorno che cercavano di restituire almeno i due terzi del taglio di 1300 milioni di euro sull’Università nel 2011". Durissimo il capogruppo Idv della stessa commissione, Fabio Giambrone: "Il ministro Gelmini la pianti di parlare per spot e inizi a lavorare seriamente". E anche dal fronte dell’associazionismo accademico si preannuncia un luglio caldo, con la mobilitazione di docenti, ricercatori e dottorandi dal 5 al 9 luglio. Da parte sua il ministro della Pubblica Istruzione ha rivendicato come "le tracce proposte alla maturità 2010 sono piaciute ai ragazzi" e anche l’aumento dei bocciati "è il frutto di un maggior rigore nella valutazione". E l’ormai prossimo avvio della riforma delle superiori? "Comporterà l’accorpamento per aree, ma chi è di ruolo non viene licenziato" assicura il ministro, che sul tema della riduzione delle ore alle superiori, replica che "non è vero che se si aumentano le ore gli studenti sanno di più". E un "ripensamento" sembra essere necessario anche per la media, nella quale "negli anni sono state introdotte molte materie, ma si è persa di vista la preparazione sulle materie fondamentali, come l’italiano, la matematica e la lingua straniera". Enrico Lenzi
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CORRIERE della SERA
per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.corriere.it2011-08-04
2011-08-28 Le due Italie della maturità: più rigore al Nord, i voti massimi sono la metà Benvenuti al Sud (con 100 e lode) Il record di nuovo in Calabria dove un liceo ha ben venti studenti con il massimo dei voti Studenti dell'ultimo anno delle superiori impegnati nell'esame di maturità (Fotogramma) Studenti dell'ultimo anno delle superiori impegnati nell'esame di maturità (Fotogramma) Da alcune indiscrezioni sembra che i risultati degli ultimi esami di maturità rivelino un dato disarmante: al Sud i 100 e lode continuano ad essere il doppio che al Nord, la Calabria continua a battere ogni record con un liceo che ha venti 100 e lode mentre i migliori licei del Nord e del Centro ne hanno uno o due. La consolazione è che si tratta di un liceo diverso da quello dell'anno scorso (il quale sembra avere "migliorato": da 23 è sceso a 17). È il terzo anno che dalle pagine del Corriere segnaliamo lo scandalo dei 100 e lode. Il problema è apparentemente insolubile. Eppure qualche giorno fa, su questo quotidiano, abbiamo commentato i risultati dei test Invalsi per elementari, medie e seconda superiore, che hanno dato la buona notizia che la cultura dei test sembra prendere piede anche in Italia e che, in presenza di osservatori, il "cheating" (barare) sembra essere contenuto. Si comincia a capire che bisogna avere delle misure oggettive del rendimento degli studenti per misurarli uno contro l'altro e le scuole una nei confronti dell'altra e di iniziare un processo di valutazione oggettivo. La maturità è però il momento chiave in cui queste misurazioni dovrebbero essere fatte (in Usa, il test principale creato 80 anni fa, il Sat, si fa solo alla maturità) perché serve a dare una misura obiettiva del merito per selezionare chi va alla università e indirizzarlo. Un grande scrittore e insegnante statunitense del secolo scorso diceva "la selezione degli individui in funzione delle loro capacità è probabilmente il processo più delicato e difficile. Coloro che riceveranno la migliore istruzione gestiranno tutti i posti di lavoro del Paese. Quindi la domanda "chi dovrebbe andare all'università?" vuole dire "chi deve guidare la società?". Non sono domande da trattare con leggerezza. Sono domande per le quali si sono combattute delle guerre". In Italia, mentre il "diritto allo studio" è ormai pienamente acquisito (si pagano rette bassissime e le università sono sotto casa), non vi è nessuna garanzia sulla meritocrazia nella selezione. Non è certo che alla università ci vada chi se lo merita e soprattutto non è certo che i migliori vadano alle università migliori. I 400 milioni in borse di studio amministrate dalle Regioni (non dal ministero, così prevede la normativa), vengono date sulla base del "merito" inteso come bisogno di supporto economico, misurato sulla base del reddito dei genitori, che è falso nel caso di un italiano su due. Il merito "vero", quello dei risultati conseguiti, è basato sui voti che però sono anche essi, come visto, falsi, per cui queste borse di studio vanno a mediocri figli di evasori fiscali. Tanti giovani capaci, poco abbienti, ma figli di persone che pagano le tasse non riescono ad andare all'università. Peggio, tanti giovani eccellenti che potrebbero essere ammessi alle migliori università di Italia, si iscrivono alla università sotto casa perché non possono permettersi i costi di trasferta. La grande occasione persa nel non aver esteso i test Invalsi alla maturità non è solo quella di una grande occasione perduta per rilanciare la meritocrazia nella selezione per l'accesso alla università. Quei test potrebbero essere utili anche per valutare il sistema educativo italiano dove è più debole e ineguale: l'istruzione superiore e l'università. Infatti i risultati dei test Invalsi hanno evidenziato che il grosso gap di risultati tra Nord e Sud non è alle elementari, come si potrebbe immaginare tenendo conto del contesto familiare, ma nelle medie e soprattutto nelle superiori. Un test standard alla fine delle superiori, se integrato con quello attuale introdotto al secondo anno, può dare una misura obiettiva della qualità dell'insegnamento in quel liceo o in quell'istituto tecnico. Non solo ma se esistesse il test e i 400 milioni di borse di studio andassero agli studenti migliori, avremmo anche una misura obiettiva della qualità delle università: le migliori sarebbero quelle dove vanno gli studenti migliori. E la riforma della università, che tenta di valutare a fatica gli atenei per distribuire i finanziamenti pubblici in senso meritocratico, ne riceverebbe un impulso determinante. Infine un suggerimento e una domanda. Il suggerimento è per i genitori, che prima di iscrivere i propri figli a settembre, dovrebbero richiedere i test Invalsi della scuola a cui intendono iscrivere i ragazzi e paragonarli a quelle di altre scuole e alla media della propria città. I dati oggi esistono, dovrebbero essere resi trasparenti e prima o poi avverrà, nell'attesa richiediamoli e nessuno può vietarci di conoscerli. La domanda è per il ministro Gelmini, che è stata il "campione" del rilancio dell'Invalsi: cosa è necessario fare per evitare anche il prossimo anno lo scandalo dei 100 e lode, estendendo il test Invalsi alla maturità e successivamente creando il "fondo per il merito" già approvato dalla legge per allocare borse di studio private e pubbliche ai migliori giovani italiani? Roger Abravanel 02 agosto 2011 16:26
22011-07-28 ANNUNCIO "Medici al lavoro prima dei trent'anni" Al via la riforma dell'università Le specializzazioni dureranno di meno, l'esame di laurea varrà quello di Stato. Fazio: "Rimane il numero chiuso" Ferruccio Fazio Ferruccio Fazio MILANO - La riforma del percorso di studi di medicina consentirà ai giovani di entrare nel mondo del lavoro "prima dei trent'anni" e con un risparmio di tempo pari a "tre anni e mezzo". Nel corso di una conferenza stampa, al termine del Consiglio dei ministri a Palazzo Chigi, il titolare della Salute, Ferruccio Fazio, definisce il provvedimento come "una delle innovazioni più grandi nel settore della sanità". Il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, parla di "rafforzamento della qualità unita al risparmio di tempo degli studenti". L'obiettivo del provvedimento, spiegano, è "rafforzare la qualità della formazione specialistica post laurea, accrescere la partecipazione degli specializzandi all'attività professionale con esperienze sul campo, rendere più compatto il percorso complessivo, evitare tempi morti tra una fase e l'altra ed incentivare la partecipazione dei giovani medici al dottorato di ricerca". TRE NOVITA' - Tre le novità della riforma: la scuola di specializzazione durerà un anno in meno. La durata dei corsi di specializzazione viene avvicinata a quella europea: le specialità chirurgiche passano da 6 a 5 anni, quelle mediche da 5 a 4 anni o 3 per alcune aree particolari. Poi il dottorato. Durante la specializzazione sarà consentito, nell'ultimo anno, di svolgere contemporaneamente il dottorato. In questo modo si dovrebbe consentire allo specializzando di accorciare ulteriormente il percorso di studi ed entrare nel mondo del lavoro più rapidamente, come accade all'estero e nei migliori sistemi formativi, come quelli anglosassoni. Laurea: l'intenzione dell'Italia è di confermare la durata di 6 anni del percorso di laurea, mentre il tirocinio valutativo di 3 mesi, che oggi si svolge dopo la laurea, verrà incorporato nella stessa. L'esame di laurea, quindi, inglobando anche l'esame di Stato, permetterebbe di conseguire una laurea abilitante. Questa scelta dovrà avvenire previo confronto in sede europea, in modo da garantire l'uniformità delle scelte. RIMANE IL NUMERO CHIUSO - Per l'accesso alle facoltà di medicina resterà il numero chiuso. Lo ha sottolineato il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, durante la presentazione delle novità contenute nella riforma del percorso di studi di Medicina. "Abbiamo una pletora di medici. Attualmente - ha spiegato il ministro - ne abbiamo 4 ogni 1.000 abitanti a fronte di una media Ocse di 3,3. Con le nuove regole la nostra media scenderà a 3,5 rimanendo dunque ancora superiore a quella Ocse. Il numero di medici che escono dalle facoltà a numero chiuso copre le necessità del Paese e non riteniamo - ha concluso Fazio - di aver bisogno di nuovi medici". Redazione Online Salute 28 luglio 2011 17:50
2011-04-16 NUOVO AFFONDO SULLa SCUOLA PUBBLICA Berlusconi: "Dai docenti di sinistra valori contrari alla famiglia" L'appello del premier alle mamme: "I genitori possono scegliere di sottrarre i figli a chi inculca ideologie" * NOTIZIE CORRELATE * Berlusconi rilancia sulla scuola: aumentare gli stipendi dei prof (5 marzo 2011) * Bersani difende la scuola pubblica. Berlusconi: "Travisate le mie parole" (27 febbraio 2011) * Berlusconi, affondo contro la scuola pubblica (27 febbraio 2011) NUOVO AFFONDO SULLa SCUOLA PUBBLICA Berlusconi: "Dai docenti di sinistra valori contrari alla famiglia" L'appello del premier alle mamme: "I genitori possono scegliere di sottrarre i figli a chi inculca ideologie" Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (Ansa) Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (Ansa) PADOVA - Silvio Berlusconi, in un messaggio inviato a Padova a una riunione dell'Associazione nazionale delle mamme, ha sottolineato che i genitori oggi possono scegliere liberamente "quale educazione dare ai loro figli e sottrarli a quegli insegnamenti di sinistra che nella scuola pubblica inculcano ideologie e valori diversi da quelli della famiglia". "CARE MAMME" - Il premier, parlando dell'azione del governo ha ricordato l'introduzione di leggi contro la violenza sessuale e il reato di stalking. Si è detto quindi convinto delle grandi capacità delle donne: "Siete più brave di noi uomini, a scuola, sul lavoro, siete più puntuali, più precise e più responsabili. Anche per questo ho voluto che nel nostro governo ci fossero ministri donne e mamme che sono attivissime e bravissime". "Care mamme - ha concluso - vi garantisco che il governo continuerà a lavorare con lo stesso entusiasmo e con lo stesso impegno per valorizzare il vostro ruolo nella famiglia nel mondo del lavoro e nella società". Berlusconi nella nota si è congedato con "un bacio e un saluto affettuoso a tute voi con l'augurio che possiate realizzare tutti i progetti e i sogni che avete nella mente e nel cuore". (fonte: Ansa) 16 aprile 2011
2011-04-04 LA VIDEOINCHIESTA dopo le segnalazioni dei lettori Come laurearsi in otto mesi: tutto (o quasi) regolare Sconti, bonus, agevolazioni, facilitazioni, convenzioni: le ombre del sistema universitario italiano LA VIDEOINCHIESTA dopo le segnalazioni dei lettori Come laurearsi in otto mesi: tutto (o quasi) regolare Sconti, bonus, agevolazioni, facilitazioni, convenzioni: le ombre del sistema universitario italiano Università: la videoinchiesta di Antonio Crispino MILANO - L'università ha messo i saldi, chi può ne approfitta. E non si tratta soltanto di sconti economici. Vi piacerebbe un'università senza libri, con professori accondiscendenti, domande a piacere, tesi di laurea già confezionate su misura o magari prepararvi con la stessa persona che vi interrogherà all'esame? Oggi tutto questo si può. In Italia. Solo in Italia. E ciò che più sconforta è che è tutto regolare. O quasi. Dopo la nostra inchiesta sul diplomificio campano (un diploma di ragioniere in poco più di 24 ore) e lo scandalo della compravendita delle tesi di laurea (dalle 300 ai 2000 euro per una tesi di laurea già pronta), sul nostro sito sono piovute valanghe di segnalazioni di malcostumi più o meno eclatanti per abbreviare o facilitare il corso di studi. LE LAUREE - Esperienze ai limiti dell'incredibile come chi racconta di lauree conseguite in appena otto mesi o promozioni di ragazzi cacciati in precedenza ripetutamente da più di un istituto. Così, se c'è chi suda le proverbiali sette camicie per superare un esame dall'altra parte esiste chi riesce a passare lo stesso esame senza toccare un libro e con voti da premio Nobel. Tutto questo grazie a un sistema di sconti, bonus, agevolazioni, facilitazioni, convenzioni che gettano più di un'ombra sulla qualità del sistema universitario italiano. E chi crede che poi sarà il mercato del lavoro a fare la differenza o a esercitare una selezione naturale, si sbaglia. Come dimostra la storia di un nostro lettore, laureato alla Sapienza di Roma, superato a un concorso da chi gli ha confessato di aver preso una laurea privata "in saldi", prima e meglio. Il padre ha provato a descrivere la delusione e l'amarezza del figlio in una mail arrivata in redazione. Alla quale abbiamo chiesto un commento al rettore di una delle Università italiane più prestigiose, la Ca' Foscari di Venezia. Antonio Crispino 01 aprile 2011(ultima modifica: 04 aprile 2011)
2011-03-30 si indaga sulle assegnazioni delle cattedre di prima e seconda fascia dal 2006 a oggi Concorsi truccati, perquisizioni per tre docenti di Statale e Bocconi Inchiesta coordinata dalla procura di Bari: l'accusa è di aver manipolato le procedure pubbliche si indaga sulle assegnazioni delle cattedre di prima e seconda fascia dal 2006 a oggi Concorsi truccati, perquisizioni per tre docenti di Statale e Bocconi Inchiesta coordinata dalla procura di Bari: l'accusa è di aver manipolato le procedure pubbliche MILANO - Le abitazioni e gli studi di tre docenti universitari - due della Statale e uno della Bocconi - sono stati perquisiti a Milano nell'ambito dell'inchiesta coordinata dalla procura di Bari sulla manipolazione di concorsi per accedere agli incarichi di professori di prima e seconda fascia. I professori coinvolti sono Enrico Vitali (docente di diritto canonico ed ecclesiastico alla Statale), Giuseppe Franco Ferrari (docente di diritto pubblico comparato alla Bocconi) e Giuseppe Casuscelli (docente di diritto ecclesiastico e canonico alla Statale). I magistrati baresi, che per le perquisizioni si sono avvalsi della collaborazione dei colleghi della procura di Milano come "presenza di garanzia", ipotizzano il reati di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione. Coinvolti nell'inchiesta una dozzina di docenti universitari, alcuni dei quali svolgono la professione di avvocato in varie città. L'INDAGINE - Le perquisizioni sono state compiute da militari del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Bari, su disposizione del pm Renato Nitti. Nel decreto di perquisizione si legge che gli indagati avrebbero costituito un'organizzazione per manipolare l'esito di molteplici procedure concorsuali pubbliche bandite sul territorio "attraverso accordi, scambi di favore, sodalizi e patti di fedeltà". L'indagine riguarda concorsi banditi dal 2006 a oggi per diventare professori di prima e di seconda fascia. Redazione online 30 marzo 2011
2011-01-15 USCITA DI SCENA del presidente del Consiglio superiore Tagli, Carandini lascia i Beni culturali Il Pd: "Si è ribellato all'assassinio della cultura italiana". Voci preoccupate anche nelle fila del Pdl * NOTIZIE CORRELATE * Muti: salviamo la cultura, ucciderla è un crimine (14 marzo 2011) USCITA DI SCENA del presidente del Consiglio superiore Tagli, Carandini lascia i Beni culturali Il Pd: "Si è ribellato all'assassinio della cultura italiana". Voci preoccupate anche nelle fila del Pdl Andrea Carandini (Ansa) Andrea Carandini (Ansa) ROMA - Andrea Carandini, presidente del Consiglio superiore dei beni culturali, si è dimesso. La decisione sarebbe legata agli ulteriori tagli al settore. Carandini era stato nominato presidente del Consiglio superiore dei beni culturali dal ministro Sandro Bondi il 25 febbraio 2009 al posto del dimissionario Salvatore Settis. Quest'ultimo aveva poi lasciato l'incarico per dissenso sulla gestione e sulla tutela della politica culturale del governo. Carandini è professore ordinario dal 1980 e dal 1992 insegna archeologia presso l'Università di Roma La Sapienza ed è uno dei più illustri e autorevoli archeologi a livello internazionale. I TAGLI AL FUS - Carandini ha motivato le sue dimissioni irrevocabili "nella constatazione dell'impossibilità del ministero di svolgere quell'opera di tutela e sviluppo del patrimonio culturale stante la progressiva e massiccia diminuzione degli stanziamenti di bilancio". REAZIONI E POLEMICHE - Le reazioni politiche alle dimissioni di Carandini non si sono fatte attendere . Dall'opposizione il vicepresidente dei senatori del Partito democratico, Luigi Zanda, non usa mezzi termini: "Berlusconi dovrebbe vergognarsi e chiedere scusa alla cultura italiana per le dimissioni di Andrea Carandini, grande archeologo e persona perbene che oggi si è ribellato all'assassinio della cultura italiana". Reazioni preoccupate anche dalle file del Pdl: "Le dimissioni di Andrea Carandini fanno riflettere, anche perché si tratta di un grande tecnico nominato dal ministro Bondi, dunque super partes", dice il deputato Bruno Murgia del Pdl, componente della commissione Cultura alla Camera. "Il governo - aggiunge il parlamentare di centrodestra - deve raccogliere il grido d'allarme lanciato da Carandini, ripristinando i fondi per valorizzare il vero patrimonio italiano che è il paesaggio con la sua cultura". Fiducioso, invece, nella revocabilità delle dimissioni di Carandini si è detto il sottosegretario dei Beni Culturali Francesco Giro: "Se da un lato la lettera del professor Carandini esprime un netto dissenso rispetto alla riduzione dei finanziamenti destinati alla cultura, dall'altro lato rivela una disponibilità a proseguire il proprio impegno purché si assumano a breve termine scelte concrete a sostegno del patrimonio culturale nazionale". Dal centro arriva la dichiarazione del presidente dell'Udc, Rocco Buttiglione, che fa notare come le dimissioni di Carandini, "personalità di straordinario prestigio scientifico e non ideologicamente fazioso, dicono che la crisi del Ministero dei Beni Culturali è un dato drammatico e reale e che va affrontato al di fuori degli schieramenti di parte e con spirito di servizio per il bene del Paese". "Scelta di grande dignitá", secondo Francesco Rutelli, leader di Alleanza per l'Italia: "Qualcun altro, Bondi, avrebbe dovuto dimettersi per evitare che si dimettesse Carandini". 14 marzo 2011
2011-01-14 Il ministro dell'Istruzione polemico: chi era in piazza manda i figli alle private Gelmini: "Più bidelli che carabinieri, ma aule sporche" "Gli insegnanti sono pagati poco? È vero, il problema è che sono troppi" Il ministro dell'Istruzione polemico: chi era in piazza manda i figli alle private Gelmini: "Più bidelli che carabinieri, ma aule sporche" "Gli insegnanti sono pagati poco? È vero, il problema è che sono troppi" La Gelmini da Fazio (Ansa) La Gelmini da Fazio (Ansa) ROMA - Gli insegnanti "sono troppi", ecco perché "sono pagati pochissimo perché sono quantitativamente superiori al fabbisogno". I bidelli "sono quasi 200 mila, ci sono più bidelli che carabinieri in Italia e le scuole sono sporche". Fabio Fazio ospita Mariastella Gelmini a "Che tempo che fa" e la ministra dell'Istruzione ne ha per tutti. Per gli insegnanti italiani, che "è vero che vengono pagati poco, un insegnante di scuola superiore con 15 anni di anzianità guadagna 20 mila euro in meno del collega tedesco. Questo non è giusto, ma se si aumenta il numero dei docenti, se si aumenta il loro numero all'infinito finiscono per essere proletarizzati". Per i bidelli, che sono troppi anche loro: "La spesa nella scuola è aumentata del 30 per cento. I bidelli sono quasi 200 mila, vengono spesi 600 milioni per le imprese di pulizia. Ci sono più bidelli che carabinieri per avere le scuole sporche". Gli insegnanti di sostegno non sono affatto diminuiti secondo la Gelmini: "Dicono spesso che ho tagliato gli insegnanti di sostegno ma in realtà ce ne sono tremila e 500 in più rispetto al passato. Il problema è la loro distribuzione e il fatto che in alcune zone del Paese ne usufruiscono anche alunni che non ne avrebbero bisogno". Nega i tagli la ministra da Fazio, parla invece di necessità di razionalizzare, spiega che nella riforma non ci sono "tagli alla scuola ma tagli agli sprechi. Mi sentirei in colpa se avessi tagliato sulla qualità della scuola, non ho licenziato nessuno, ma abbiamo contenuto la pianta organica e liberato risorse che hanno permesso di non bloccare gli scatti di anzianità per gli insegnanti". E parla anche della manifestazione di sabato in difesa della Costituzione italiana, alla quale hanno partecipato cortei di studenti e genitori. "Una manifestazione assolutamente legittima - ha commentato Mariastella Gelmini - ma che nasce da un presupposto sbagliato: che il governo abbia attaccato la scuola pubblica. Molti tra coloro che sono scesi in piazza mandano poi i figli alla scuola privata. Lo trovo incongruente. Non hanno fiducia nella scuola pubblica". La Gelmini da Fazio ci prova in ogni modo a convincere ma riesce soltanto a far insorgere più di prima l'opposizione, secondo cui nel suo intervento ha ripetuto "frasi e slogan triti e ritriti del tutto in contrasto con la realtà". "Gli insegnanti non sono troppi rispetto al fabbisogno - s'infervora Francesca Puglisi, responsabile scuola del Pd -. Il rapporto alunni-insegnanti era perfettamente allineato alla media europea, se togliamo quelli di religione e di sostegno che altrove pesano sul bilancio di Welfare e Sanità e non dell'Istruzione. Il ministro ora spera di blandire i professori promettendo stipendi migliori dopo averli sterminati - continua la Puglisi -. Invece ha solo trasformato le classi in carri bestiame dove si vive ammassati in violazione delle norme di sicurezza". "Mente sapendo di mentire - incalza Antonio Borghesi di Italia dei valori -. Il governo ha prosciugato la scuola pubblica, le scuole cadono a pezzi e i tagli sono sotto gli occhi di tutti". "Sono due anni e mezzo che la ministra va ripetendo sempre gli stessi slogan - aggiunge Mimmo Pantaleo della Cgil scuola - in realtà racconta menzogne, invece di riproporre vecchi slogan mediatici, deve solo dirci se pensa di aver migliorato la scuola o di averla peggiorata. Secondo noi l'ha peggiorata, per gli insegnanti nessun miglioramento, le classi sono piene fino a 30 alunni, i docenti non sono affatto troppi e lei vuole tagliarne altri 18 mila e ridurre di 45 mila il personale Ata in tre anni". Mariolina Iossa 14 marzo 2011
L'intervista Muti: "Salviamo la cultura ucciderla è un vero crimine" Parla il maestro dopo la serata eccezionale di sabato con il "Va' pensiero" contro i tagli cantato da tutta la sala "Emozioni uniche, ho tradito le regole per protesta" L'intervista Muti: "Salviamo la cultura ucciderla è un vero crimine" Parla il maestro dopo la serata eccezionale di sabato con il "Va' pensiero" contro i tagli cantato da tutta la sala "Emozioni uniche, ho tradito le regole per protesta" Riccardo Muti sul palco del Teatro dell'Opera (Ansa) Riccardo Muti sul palco del Teatro dell'Opera (Ansa) ROMA - "Alla fine del Va' pensiero ho sentito gridare Viva l'Italia, d'istinto dal podio mi sono girato verso la platea e ho visto gruppi di persone alzarsi in ordine sparso. Finché erano tutti in piedi, anche il coro, a cantare il bis seguendo la mia richiesta. È stata un'onda crescente, per partecipazione e intensità. Un uomo di grande corporatura al centro della sala che è stato tra i primi ad alzarsi in piedi: era Gérard Depardieu. Nel nome di Verdi si è invocata la patria unita. Era come se stessi sognando, un'emozione mai provata in vita mia". Riccardo Muti il giorno dopo il Nabucco "irrituale" che all'Opera di Roma ha rotto i codici di un mondo fatto di ritualità come quello della lirica. Il messaggio dell'Unità d'Italia si è intrecciato all'appello contro i tagli alla cultura; una serata di forte presa emotiva che è andata al di là del risultato musicale. La pioggia di volantini dal loggione (Ansa) La pioggia di volantini dal loggione (Ansa) Lei ha interrotto lo spettacolo mentre dal loggione scendeva una pioggia di volantini... "Una scena viscontiana che ci riporta al film Senso. C'erano frasi sull'identità italiana, altri con su scritto Viva il presidente Napolitano o Muti senatore a vita che mi ha messo qualche imbarazzo. È stata una cosa assolutamente spontanea, non c'era nulla di preparato. Ho preso la parola per ricordare che la cultura è la guida della nostra società. Poi il Va' pensiero cantato da tutta la sala, c'erano coristi che piangevano. Un momento di grande italianità". Nel 1986 fece il bis del Nabucco al suo primo 7 dicembre scaligero da direttore musicale. "Sapevo di contravvenire alla regola di Toscanini, mi resi conto che la richiesta di bissare una pagina non roboante, non si tratta della cabaletta di un virtuoso ma della preghiera dolorosa di un popolo smarrito, si rifaceva allo spirito dei patrioti milanesi risorgimentali, come se si fosse reincarnata l'atmosfera della presa di coscienza dell'identità nazionale alla prima del 9 marzo 1842. A Roma è stata una serata completamente diversa".
I protagonisti del Nabucco (Ansa) I protagonisti del Nabucco (Ansa) Per il canto di tutta la sala. "Per alcuni secondi sono stato titubante se rifarlo o meno, poi ho pensato che quelle parole, Oh mia patria sì bella e perduta, si sposano alla situazione tragica e ignominiosa dei tagli verso la cultura e quindi all'uccisione squilibrata, vile, assurda della nostra identità nazionale. Ho pensato al momento grave non solo della musica, parlo anche dei musei, di case editrici che mi hanno scritto e non possono più dare alle stampe, per la mancanza di fondi promessi, pubblicazioni internazionali su Clementi e Boccherini, mentre si spendono grandi somme per apparizioni di attori d'Oltreoceano alla tv. Allora mi sono detto: ma sì, coinvolgiamo tutta la sala. E dal podio ho visto quella scena straordinaria. L'80 per cento della sala ha dimostrato di conoscere bene il testo, si capisce quanto siamo legati al repertorio operistico, mentre il mondo attonito si chiede perché la cultura in Italia debba soffrire così".
Berlusconi nasce imprenditore, perché non capisce che la cultura porta denaro? "Quando andai con la Scala in Giappone, sul made in Italy ci fu un'attenzione dei media tale per cui a Tokyo i ristoranti italiani superarono quelli francesi. È chiaro che dobbiamo preoccuparci di chi non arriva a fine mese e della sanità, ma uccidere la cultura in un Paese come l'Italia è un crimine contro la società. La cultura è il collante spirituale che tiene insieme un popolo".
Lo ribadirà il 21 marzo quando andrà nella tana del lupo, al concerto che terrà alla Camera dei Deputati? "Tutto quello che faccio nasce spontaneamente, non mi sono mai preparato un discorso. Dipenderà dall'impatto con la presenza fisica delle persone. Io spero che prima del 21 ci sia una mobilitazione tale che le luci sul problema si siano già accese".
Il sindaco Alemanno nel suo intervento sembrava uno dell'opposizione... "Ha pronunciato, anche come presidente dell'Opera, parole giuste e coraggiose a favore di un teatro che ha un potenziale enorme e che non vuole essere abbandonato".
Secondo lei c'è un disegno per distruggere una categoria dalla quale il governo non si sente appoggiato? "Non credo, tutto nasce dal fatto che la cultura è considerata marginale, non importante; questo offende sia persone che, come me, non hanno bisogno di lavorare in Italia, sia i nostri artisti che vengono visti come questuanti con la mano tesa per avere qualche spicciolo in mano. Io mi sento offeso come cittadino italiano. Gli artisti sono fondamentali, tant'è vero che la prima cosa che fanno le dittature è tappare la bocca alle menti pensanti. Non sto dicendo che da noi c'è la dittatura, ma fatta qualche eccezione come il presidente Napolitano i politici pensano che la cultura sia un passatempo inutile". Le è capitato il canto del muezzin a un concerto nel deserto tunisino, alla Scala suonò Traviata al piano per uno sciopero. Ora ha diretto artisti e pubblico per la prima volta... "Sarà anche l'ultima". Valerio Cappelli "Corriere della sera", pagina 36 14 marzo 2011
2011-01-10 orfini (pd): "Le prese in giro del governo sul FUS non finiscono mai" Tolti altri 27 milioni alla cultura, il sottosegretario: cinema e lirica a rischio Giro: "Ci troviamo a scendere da 258 a 231 milioni. Così le riforme della lirica e del cinema si bloccheranno" orfini (pd): "Le prese in giro del governo sul FUS non finiscono mai" Tolti altri 27 milioni alla cultura, il sottosegretario: cinema e lirica a rischio Giro: "Ci troviamo a scendere da 258 a 231 milioni. Così le riforme della lirica e del cinema si bloccheranno" Il sottosegretario ai Beni Culturali, Francesco Maria Giro (Ansa) Il sottosegretario ai Beni Culturali, Francesco Maria Giro (Ansa) MILANO - Ancora meno soldi per la cultura. Altri 27 milioni di euro sono difatti congelati, almeno fino a fine anno. "Ci aspettavamo un reintegro fino a 414 milioni e invece ci troviamo a scendere ulteriormente da 258 a 231 milioni. Così le riforme della lirica e del cinema si bloccheranno. E l'allarme per Cinecittà diventa doppio". A parlare così, senza nascondere "stupore e amarezza" è il sottosegretario ai Beni Culturali, Francesco Maria Giro. DOCCIA FREDDA - La doccia fredda sui già precari numeri della Finanziaria arriva con una nota del Mibac: dello stanziamento del Fondo unico spettacolo (Fus) per il 2011, pari a 258 milioni, ulteriori 27 milioni sono congelati fino alla fine dell'anno. "Nelle pieghe della legge di stabilitá per il 2011 - si apprende dal Ministero per i beni e le attività culturali - si annida un'amara sorpresa che lascia sgomenti ed interdetti: per effetto di alcuni commi che rinviano a provvedimenti del Ministero dell'Economia riguardo eventuali scostamenti dagli introiti preventivati dalla vendita delle frequenze radioelettriche, sono stati congelati ulteriori 27 milioni di euro del FUS, già ridotto quest'anno a poco meno di 260 milioni di euro". "Siccome il congelamento vanifica la ripartizione ipotizzata fino a ieri sulla base di 258 milioni, bisognerà riprocedere ad una ripartizione che toglierà circa un ulteriore 10% ad ogni settore", spiega Giro. E i conti sono presto fatti. Sulla base di quel che resta del Fus, ovvero 231 milioni, applicando le aliquote vigenti per i vari settori, le fondazioni lirico-sinfoniche avranno circa 109 milioni, la musica circa 31, la danza circa 5, il teatro circa 37, il circo 3,4 milioni e il cinema circa 42 (di cui meno di 7 potrebbero essere destinati a Cinecittà). PD - La voce dell'opposizione non tarda a farsi sentire: "Le prese in giro del governo sul Fondo unico dello spettacolo non finiscono mai. Oggi apprendiamo che alla già incredibile quantità di tagli,va aggiunta un'ulteriore consistente riduzione", dice Matteo Orfini, responsabile Cultura e informazione della segreteria nazionale del Pd. Redazione online 09 marzo 2011
La laurea serve ancora Si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare il cattivo esempio. Certo: in Italia c'è qualcuno, particolarmente dotato, che riesce a unire le due cose. Ma il poeta aveva capito. Quando entriamo nell'età dei padri, diventiamo paternalisti. Perdonate quindi se, dopo aver letto i dati (Almalaurea) sull'università italiana, esprimo un'opinione. Non è proprio un consiglio. Diciamo un suggerimento strategico. Un laureato 2005 ha oggi una busta-paga media di 1.295 euro; fosse andato all'estero sarebbe a 2.025 euro. I laureati che hanno trovato lavoro in Italia, un anno dopo la laurea, sono scesi del 7% (periodo 2007/2009). Il calo delle iscrizioni (meno 9% in quattro anni) mostra un cambiamento demografico (meno diciannovenni) ma anche la scarsa fiducia delle famiglie nello studio come mezzo di avanzamento. Posso dirlo? Sbagliano. Se un ragazzo ha voglia di studiare, ed è portato per gli studi, non deve farsi spaventare. Per il bene suo e del Paese. L'università è un investimento su noi stessi, come ha ricordato Irene Tinagli sulla "Stampa". E, insieme alla scuola pubblica, resta l'ultimo grande frullatore sociale, capace di mescolare redditi censo e geografia. Se si ferma quello, siamo fritti. E' vero che i giovani connazionali hanno motivi di protestare ("Uno spreco di risorse che li avvilisce e intacca gravemente l'efficienza del sistema produttivo", ha riassunto Mario Draghi). Ma studiare paga, anche in senso letterale. "Non bisogna guardare solo le retribuzioni iniziali - spiega Andrea Cammelli, presidente di Almalaurea - Se consideriamo l'intera vita lavorativa, un diplomato guadagna 100 e un laureato 155". Voi direte: d'accordo, studiare. Ma dove, quanto, cosa? Semplifico (e mi scuso con i ragazzi). DOVE In una buona università lontano da casa (a diciannove anni fa bene!). Vivere e studiare in una T Town (Trieste, Trento, Torino) o in una P City (Pavia, Pisa, Parma, Piacenza, Padova, Perugia, Palermo) cambia la prospettiva. Una laurea al Politecnico di Milano ha lo stesso valore legale di una laurea all'università di Bungolandia: ma un valore intellettuale, morale, sociale, pratico ed economico molto diverso. Le "università tascabili" fondate per accontentare sindaci, governatori, partiti e docenti hanno il destino segnato. QUANTO Con ragionevole urgenza. I "fuori corso" sono malinconiche figure del XX secolo. Deve studiare chi sa farlo e ha voglia di farlo. Le università sono laboratori per il cervello, non parcheggi per natiche stanche. COSA Quello che volete. Rifiutate il giochino, caro ai genitori, "quale facoltà offre più opportunità di lavoro". Tutte ne offrono, se avete attitudine, grinta, entusiasmo e successo. Nessuna ne offre, se vi rassegnate alla mediocrità. Scegliere per esclusione - magari giurisprudenza, rifugio degli indecisi - è una follia. Nei concorsi e negli studi professionali troverete ragazze e ragazzi che l'hanno scelta per passione e predisposizione; e vi faranno a fette. Un destino da salami, interamente meritato. Beppe Severgnini
2011-01-07 Il ministro Gelmini: "Non è vero che la penalizziamo" Scuola, taglio di 20mila docenti "Nessun attacco alla scuola pubblica" Il Miur comunica che a causa della riforma alle superiori vi saranno circa 8.000 docenti in esubero Il ministro Gelmini: "Non è vero che la penalizziamo" Scuola, taglio di 20mila docenti "Nessun attacco alla scuola pubblica" Il Miur comunica che a causa della riforma alle superiori vi saranno circa 8.000 docenti in esubero "Scuola elementare a soqquadro" MILANO - "Non ci sono nuovi tagli. Il piano di razionalizzazione viene confermato, credo che non ci saranno problemi di funzionamento". Il ministro dell' Istruzione Mariastella Gelmini annuncia che il governo ha stanziato le stesse risorse messe a disposizione dall'esecutivo di Romano Prodi sul comparto dell'educazione scolastica. "Non ci sono nuovi tagli - ha assicurato a margine della presentazione di una iniziativa con il Comune di Milano sull'educazione motoria - il piano di razionalizzazione viene confermato e sulle spese di funzionamento quest'anno non ci saranno problemi, a differenza dell'anno scorso". Il ministro dell'Istruzione ha annunciato anche che a breve sarà pubblicato un bando per il reperimento di nuovi presidi. "Sarà bandito al più presto un nuovo concorso - ha detto, anticipando quanto verrà deciso giovedì in un tavolo con il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, - I presidi sono necessari e stiamo verificando i numero effettivo di necessità". LA SCUOLA PUBBLICA- Il ministro Gelmini definisce "semplicemente un non senso" pensare che ci sia da parte del governo la volontà di penalizzare la scuola pubblica a favore di quella privata. "Pensare che culturalmente da parte del governo ci sia un attacco alla scuola pubblica - ha detto il ministro - fa comodo all'opposizione per poter andare in piazza. Lo faccia, ma da parte di questo governo non c'è e non c'è mai stato alcun attacco alla scuola pubblica. Io ritengo che la scuola sia sempre pubblica sia quando si tratta di scuola statale, sia di paritaria". I TAGLI - Ma a parlare di tagli e a comunicarli ai sindacati qualche giorno fa è stato lo stesso ministero dell'Istruzione. Secondo il Miur sono 19.700 mila i tagli di "cattedre" nella scuola pubblica che si applicheranno a tutte le regioni italiane, ma soprattutto a quelle meridionali e nelle isole, dove il prossimo anno si registrerà un decremento degli alunni iscritti. Nell'incontro è stato anche confermato l'alto numero di insegnanti che lasceranno il servizio per andare in pensione: si tratta di 27.400 docenti, che sommati agli attuali 23mila posti vacanti lasciano il saldo delle cattedre a disposizione dei precari (circa 30mila) in positivo. GLI ESUBERI - Il Miur, attraverso il direttore generale, Luciano Chiappetta, ha anche comunicato che soprattutto a causa dell'applicazione della riforma Gelmini alle superiori, nel prossimo anno vi saranno circa 8.000 docenti di ruolo in esubero: "Circa l'85% - commenta la Gilda degli insegnanti - può trovare una ricollocazione in base alle abilitazioni o ai titoli di studio posseduti e, quindi, mediante la mobilità volontaria. Solo circa 1.300 unità di personale docente in esubero si trova attualmente a disposizione, in quanto non dispongono di titoli spendibili". Nessuna indicazione è stata data, invece, a proposito delle novità sull'incremento dei licei musicali e coreutici, che dal prossimo anno scolastico diventeranno in tutto 40 e 10: di sicuro, per il momento, c'è solo il dato che l'85% delle richieste verranno respinte. LA RETE PUBBLICA - Ma la Rete della Conoscenza non si tranquillizza con le parole del ministro e preannuncia che scenderà in piazza. "Il 12 marzo sembrano tutti per la scuola pubblica, ma non possiamo rilevare come attorno a questa data si sia stretta gente che fino a ieri non esitava a tagliare fondi alla scuola pubblica votando il Ddl Gelmini". Gli studenti, che hanno dato vita a 3 mesi di mobilitazioni in tutta Italia - fa notare la Rete - si sono opposti alle politiche di tagli alla scuola pubblica, per difendere il diritto allo studio, contro la precarizzazione e il licenziamento degli insegnanti, il finanziamento alle scuole private, il taglio delle ore e l'impoverimento della didattica, smascherando la falsa retorica sulla meritocrazia, e che hanno fatto vere proposte per migliorare la scuola, partendo dalla richiesta di un piano straordinario per l'edilizia scolastica, ai fondi per le scuole pubbliche, per il diritto allo studio e per la stabilizzazione dei docenti Precari. Hanno costruito una piattaforma chiara in difesa della scuola pubblica che hanno chiamato l'AltraRiforma della Scuola". Nino Luca 07 marzo 2011
E col titolo di studio si fa ancora fatica a trovare lavoro Università, crollano le iscrizioni E tra i laureati è allarme lavoro nero Tutte le facoltà perdono matricole: -5% nell'ultimo anno, -9,2% negli ultimi 4. In controtendenza gli atenei privati E col titolo di studio si fa ancora fatica a trovare lavoro Università, crollano le iscrizioni E tra i laureati è allarme lavoro nero Tutte le facoltà perdono matricole: -5% nell'ultimo anno, -9,2% negli ultimi 4. In controtendenza gli atenei privati Università La Sapienza, Roma Università La Sapienza, Roma MILANO - Meno iscrizioni e meno laureati. È poco confortante la fotografia dell'università pubblica italiana scattata da due diversi rapporti, uno realizzato dal Cun (Consiglio universitario nazionale) e l'altro elaborato dal consorzio Almalaurea, entrambi presentati lunedì nella sede della Crui. Dal primo emerge che tutte le facoltà perdono iscrizioni (-5% nell'ultimo anno, -9,2% negli ultimi quattro), anche se le scientifiche tengono meglio e il Sud e il Centro Italia soffrono di più rispetto al Nord. Il dossier del Cun spiega anche che nel 2010 hanno scelto di proseguire gli studi all'università solo sei neodiplomati su dieci (il 62%, a fronte del 66% nel 2009, del 65% nel 2008 e del 68% nel 2007). In controtendenza gli atenei privati: un +2% di neoiscritti nel 2010 li porta dal 6,1% al 6,6% degli immatricolati totali in Italia negli ultimi quattro anni. ARRETRANO I PICCOLI ATENEI - Sono i piccoli atenei (quelli cioè con diecimila iscritti) ad arretrare di più: le immatricolazioni dal 2009 al 2010 scendono dal 3,2% al 2,9%. Anche i medi atenei (fra i diecimila e i ventimila) passano dal 15,5% del 2009 al 15,3% del 2010. Tengono meglio i mega atenei (quelli cioè con più di quarantamila iscritti) con il 42,6% di immatricolazioni nel 2010 contro il 42,4 % nel 2009. OCCUPAZIONE - Quanto all'occupazione, c'è da dire poi che in Italia i laureati sono ancora pochi, ma non vanno a ruba sul mercato del lavoro. Il dato emerge dal XIII rapporto Almalaurea. La laurea, è vero, continua a "pagare" visto che i laureati presentano un tasso di occupazione di oltre 11 punti percentuali maggiore rispetto ai diplomati e che anche la retribuzione premia i titoli di studio superiori. È indubbio, però, che, anche se un po' meno rispetto all'anno passato, i laureati fanno ancora fatica a trovare lavoro dopo aver messo in tasca il titolo di studio. Considerando i laureati del 2009 emerge che la disoccupazione aumenta, seppure in misura inferiore all'anno scorso, fra i triennali: dal 15 al 16% (l'anno precedente l'incremento era stato intorno ai 4 punti percentuali). La disoccupazione cresce anche fra i laureati specialistici biennali, quelli con un percorso di studi più lungo: dal 16 al 18% (la precedente rilevazione aveva evidenziato una crescita di oltre 5 punti percentuali). Ma sale pure pure fra gli specialistici a ciclo unico: dal 14 al 16,5%. Dilatando l'arco temporale (2005-2010) la quota di laureati pre-riforma occupati a cinque anni ha subito una contrazione di quasi 6 punti percentuali. LAVORO NERO - Desta preoccupazione, inoltre, un altro fenomeno, il "lavoro nero" tra i laureati. Quelli che lavorano senza contratto, a un anno dal conseguimento del titolo di studio, raddoppiano tra gli specialistici biennali raggiungendo il 7%; per i laureati di primo livello i "senza contratto" passano dal 3,8 al 6%; gli specialistici a ciclo unico (ovvero i laureati in medicina, architettura, veterinaria, giurisprudenza), che registrano da sempre un valore più elevato, passano dall'8 a quasi l'11%. L'indagine mostra che a un anno dall'acquisizione del titolo, diminuisce il lavoro stabile in misura superiore alla contrazione registrata l'anno precedente per i laureati di ogni livello. Contemporaneamente si dilata la consistenza del lavoro atipico. La stabilit… riguarda cos il 46% dei laureati occupati di primo livello e il 35% dei laureati magistrali (con una riduzione, in entrambi i casi, di 3 punti percentuali rispetto all'indagine 2009). Redazione online 07 marzo 2011
2011-02-28 l'attacco del premier: insegnanti inculcano principi diversi da quelli delle famiglie Bersani difende la scuola pubblica Berlusconi: "Travisate le mie parole" La Gelmini: il premier ha difeso la libertà di scelta. Ma il leader Pd: "Non permetteremo che la distrugga" * NOTIZIE CORRELATE * Berlusconi: "Ancora vivo il pericolo comunista" (26 febbraio 2011) l'attacco del premier: insegnanti inculcano principi diversi da quelli delle famiglie Bersani difende la scuola pubblica Berlusconi: "Travisate le mie parole" La Gelmini: il premier ha difeso la libertà di scelta. Ma il leader Pd: "Non permetteremo che la distrugga" Bersani (Ansa) Bersani (Ansa) MILANO - "La Gelmini dovrebbe dimettersi". È durissima la risposta di Pier Luigi Bersani al governo dopo l'attacco di Berlusconi contro la scuola pubblica ("gli insegnanti inculcano principi diversi da quelli delle famiglie"). Per la cronaca Berlusconi ha detto di essere stato frainteso. "Se la Gelmini fosse un vero ministro, invece che arrampicarsi sui vetri per difendere Berlusconi, dovrebbe prendere atto degli inaccettabili attacchi che ha rivolto agli insegnanti e alla scuola pubblica e dovrebbe dimettersi" scandisce il segretario del Pd. Dal canto suo il capogruppo Pd alla Camera Dario Franceschini ha lanciato su Twitter la proposta di una grande manifestazione: "Tutti di nuovo in piazza, come le donne il 13 febbraio, senza simboli e bandiere, a difendere la scuola pubblica dagli insulti di Berlusconi". BERLUSCONI: "FRAINTESO DALLA SINISTRA, COME SEMPRE" - "Come al solito, anche le parole che ho pronunciato sulla scuola pubblica sono state travisate e rovesciate da una sinistra alla ricerca, pressoché ogni giorno e su ogni questione possibile, di polemiche infondate, strumentali e pretestuose" ha affermato Silvio Berlusconi in una nota diffusa da Palazzo Chigi: "Desidero perciò chiarire nuovamente, senza possibilità di essere frainteso, la mia posizione sulla scuola". "Il mio governo - aggiunge - ha avviato una profonda e storica riforma della scuola e dell'Università, proprio per restituire valore alla scuola pubblica e dignità a tutti gli insegnanti che svolgono un ruolo fondamentale nell'educazione dei nostri figli in cambio di stipendi ancora oggi assolutamente inadeguati. Questo non significa - sottolinea - non poter ricordare e denunciare l'influenza deleteria che nella scuola pubblica hanno avuto e hanno ancora oggi culture politiche, ideologie e interpretazioni della storia che non rispettano la verità e al tempo stesso espropriano la famiglia dalla funzione naturale di partecipare all'educazione dei figli". GELMINI - Della questione ha parlato anche la stessa Gelmini: "Il pensiero di chi vuol leggere nelle parole del premier un attacco alla scuola pubblica è figlio dell'erronea contrapposizione tra scuola statale e scuola paritaria. Per noi, e secondo quanto afferma la Costituzione italiana, la scuola può essere sia statale sia paritaria. In entrambi i casi è un'istituzione pubblica, cioè al servizio dei cittadini". Silvio Berlusconi, ha aggiunto il ministro dell'Istruzione, ha solo difeso la libertà di scelta educativa delle famiglie. Ma Bersani insiste: "La scuola pubblica è nel cuore degli italiani. Con richiami di sapore antico, Berlusconi se la prende con comunisti e gay, insultando così l'intelligenza e la coscienza civile del Paese. All'elenco, stavolta ha aggiunto gli insegnanti della scuola pubblica. Uno schiaffo inaccettabile a chi lavora con dedizione in condizioni rese sempre più difficili dal governo. La scuola pubblica è il luogo in cui l'Italia costruirà il suo futuro. Non permetteremo che Berlusconi la distrugga". BOCCHINO - Anche Futuro e Libertà, per voce del vice presidente Italo Bocchino, prende posizione contro le parole di Berlusconi. "Possono il centrodestra italiano e la destra nazionale immersa culturalmente nell'Italia di Giovanni Gentile screditare così il grande patrimonio educativo, istruttivo e culturale rappresentato dalla nostra scuola? Possono il centrodestra italiano e la destra nazionale mortificare così il popolo di insegnanti sottopagati che ogni giorno forma i nostri figli? Il vero centrodestra, quello di Fini e di Fli, sta dalla parte della scuola pubblica, così come prevede la Costituzione, senza nulla togliere alla scuola privata, che in parte svolge una funzione molto positiva - scrive sul sito di Generazione Italia -. In Italia esistono tre tipi di scuole private: quella cattolica va sostenuta e rispettata per quanto di buono fa, poi c'è la scuola privata che funge da diplomificio a pagamento e che andrebbe chiusa e, infine, la scuola privata per i figli dei ricchi, utile a farli diventare di norma ignoranti, ma poliglotti". VENDOLA - Per Nichi Vendola il Paese deve investire nella scuola "perché è il cuore della crescita economica". Il leader del Sel si rivolge al premier: "Capisco che lei sente inimicizia verso la scuola pubblica perché è stata la crisi della scuola pubblica nel quindicennio delle sue televisioni a creare un'egemonia culturale che serve a questa classe dirigente ad avere una generazione narcotizzata dal trash e dalla pornografia". Duro infine il commento dell'Italia dei Valori: "Che nel programma di Berlusconi ci fosse lo smantellamento della scuola pubblica e un sistema scolastico strutturato sulle scuole per ricchi era cosa tristemente nota - afferma il capogruppo al Senato Felice Belisario -. Le sue parole, indegne di un capo di governo, offendono le decine di migliaia di insegnanti che ogni giorno, lavorando in condizioni spesso difficilissime, hanno contribuito e contribuiscono a fare dell'Italia un Paese migliore. Smantellare la scuola pubblica significa uccidere il futuro del Paese". Redazione online 27 febbraio 2011
"Mai adozioni a coppie gay e mai matrimoni tra omosessuali" Berlusconi: "Ancora vivo il pericolo comunista" Il premier: "Nella scuola pubblica gli insegnanti inculcano principi diversi da quelli delle famiglie" "Mai adozioni a coppie gay e mai matrimoni tra omosessuali" Berlusconi: "Ancora vivo il pericolo comunista" Il premier: "Nella scuola pubblica gli insegnanti inculcano principi diversi da quelli delle famiglie" Silvio Berlusconi (Reuters) Silvio Berlusconi (Reuters) MILANO - Il pericolo del comunismo è ancora vivo in Italia, mai adozioni per singole e coppie gay, le unioni omosessuali non saranno mai equiparate a quelle tra un uomo e una donna, mai la patrimoniale, un attacco durissimo alla scuola pubblica. Sono le linee indicate da Silvio Berlusconi al congresso dei Congresso dei Cristiano riformisti, dopo essere intervenuto anche a quello del Partito repubblicano e aver inviato un messaggio ai giovani del Pdl. COMUNISTI - "La storia del comunismo con oltre 100 milioni di morti alle nostre spalle non è ancora alle nostre spalle", ha spiegato il capo del governo. "Si sono trasformati in laburisti in Gran Bretagna, in socialdemocratici in Germania mentre quelli di casa nostra erano e sono tuttora comunisti. Ed è per questo che sono in campo". SCUOLE PUBBLICHE PERICOLOSE - È probabilmente pensando alle infiltrazioni nella società civile delle idee comuniste che Berlusconi si è scagliato contro la scuola pubblica, rivendicando la libertà di iscrivere i figli in altri istituti, visto che in quelli di Stato "gli insegnanti inculcano idee diverse da quelle che vengono trasmesse nelle famiglie". COPPIE GAY - "Finché governeremo noi, non ci saranno mai equiparazioni tra le coppie gay e la famiglia tradizionale, cosi come non saranno mai possibili le adozioni di bambini per le coppie omosessuali", afferma il Cavaliere. PATRIMONIALE - "Noi sosteniamo la famiglia davvero non come la sinistra che vuole andarla a rapinare con una bella patrimoniale. Ma fino a quando siamo noi al governo non ci sarà mai una patrimoniale", ha detto il premier. GOVERNO - Berlusconi ha annunciato che a breve sarà aumentato il numero dei sottosegretari e ci sarà un Consiglio dei ministri straordinario per la riforma della giustizia e delle intercettazioni. BUNGA BUNGA - Il presidente del Consiglio ha anche trovato l'occasione di dare una sua versione di che cosa sia il bunga bunga ormai famoso in tutto il mondo: "Non è quello che viene descritto. Andiamo a scherzare, a ridere, a fare quattro salti, a bere qualcosa, ma sempre con grande eleganza e senso di rispetto per tutti, nell'ambito di una casa dove non possono che succedere cose moralmente a posto". FINOCCHIARO - "Anche oggi siamo alle solite. Il Presidente Berlusconi ha invaso le tv e le agenzie di stampa con le sue parole, i suoi annunci e la sua propaganda". È la reazione di Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato, alle parole del premier. "In ben tre occasioni diverse - rileva - come un attore alla fine della sua carriera che propone sempre lo stesso stanco repertorio, anche oggi il premier ha parlato di comunisti, riforma della giustizia che è sempre domani ma non arriva mai, di intercettazioni, di Libia (oggi, dopo essersi preoccupato di non disturbare Gheddafi, è dalla parte del popolo), di economia, di patrimoniale, di coppie gay, di bunga bunga, dell'aumento dei sottosegretari, ecc, ecc. Ormai siamo alla bulimia dell'oratoria berlusconiana. Ma è l'unica cosa che gli è rimasta. Ormai Berlusconi parla solo ma non governa più. I problemi del Paese non sono nella sua agenda, e in quella del Parlamento. Nella sua agenda ci sono solo i suoi interessi", ha concluso la Finocchiaro. Redazione online 26 febbraio 2011(ultima modifica: 27 febbraio 2011)
2011-02-26 "Mai adozioni a coppie gay e mai matrimoni tra omosessuali" Berlusconi: "Ancora vivo il pericolo comunista" Il premier: "Nella scuola pubblica gli insegnanti inculcano principi diversi da quelli delle famiglie" "Mai adozioni a coppie gay e mai matrimoni tra omosessuali" Berlusconi: "Ancora vivo il pericolo comunista" Il premier: "Nella scuola pubblica gli insegnanti inculcano principi diversi da quelli delle famiglie" Silvio Berlusconi (Reuters) Silvio Berlusconi (Reuters) MILANO - Il pericolo del comunismo è ancora vivo in Italia, mai adozioni per singole e coppie gay, le unioni omosessuali non saranno mai equiparate a quelle tra un uomo e una donna, mai la patrimoniale, un attacco durissimo alla scuola pubblica. Sono le linee indicate da Silvio Berlusconi al congresso dei Congresso dei Cristiano riformisti, dopo essere intervenuto anche a quello del Partito repubblicano e aver inviato un messaggio ai giovani del Pdl. COMUNISTI - "La storia del comunismo con oltre 100 milioni di morti alle nostre spalle non è ancora alle nostre spalle", ha spiegato il capo del governo. "Si sono trasformati in laburisti in Gran Bretagna, in socialdemocratici in Germania mentre quelli di casa nostra erano e sono tuttora comunisti. Ed è per questo che sono in campo". SCUOLE PUBBLICHE PERICOLOSE - È probabilmente pensando alle infiltrazioni nella società civile delle idee comuniste che Berlusconi si è scagliato contro la scuola pubblica, rivendicando la libertà di iscrivere i figli in altri istituti, visto che in quelli di Stato "gli insegnanti inculcano idee diverse da quelle che vengono trasmesse nelle famiglie". COPPIE GAY - "Finché governeremo noi, non ci saranno mai equiparazioni tra le coppie gay e la famiglia tradizionale, cosi come non saranno mai possibili le adozioni di bambini per le coppie omosessuali", afferma il Cavaliere. PATRIMONIALE - "Noi sosteniamo la famiglia davvero non come la sinistra che vuole andarla a rapinare con una bella patrimoniale. Ma fino a quando siamo noi al governo non ci sarà mai una patrimoniale", ha detto il premier. GOVERNO - Berlusconi ha annunciato che a breve sarà aumentato il numero dei sottosegretari e ci sarà un Consiglio dei ministri straordinario per la riforma della giustizia e delle intercettazioni. BUNGA BUNGA - Il presidente del Consiglio ha anche trovato l'occasione di dare una sua versione di che cosa sia il bunga bunga ormai famoso in tutto il mondo: "Non è quello che viene descritto. Andiamo a scherzare, a ridere, a fare quattro salti, a bere qualcosa, ma sempre con grande eleganza e senso di rispetto per tutti, nell'ambito di una casa dove non possono che succedere cose moralmente a posto". FINOCCHIARO - "Anche oggi siamo alle solite. Il Presidente Berlusconi ha invaso le tv e le agenzie di stampa con le sue parole, i suoi annunci e la sua propaganda". È la reazione di Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato, alle parole del premier. "In ben tre occasioni diverse - rileva - come un attore alla fine della sua carriera che propone sempre lo stesso stanco repertorio, anche oggi il premier ha parlato di comunisti, riforma della giustizia che è sempre domani ma non arriva mai, di intercettazioni, di Libia (oggi, dopo essersi preoccupato di non disturbare Gheddafi, è dalla parte del popolo), di economia, di patrimoniale, di coppie gay, di bunga bunga, dell'aumento dei sottosegretari, ecc, ecc. Ormai siamo alla bulimia dell'oratoria berlusconiana. Ma è l'unica cosa che gli è rimasta. Ormai Berlusconi parla solo ma non governa più. I problemi del Paese non sono nella sua agenda, e in quella del Parlamento. Nella sua agenda ci sono solo i suoi interessi", ha concluso la Finocchiaro. Redazione online 26 febbraio 2011
2011-02-10 I NODI Lo stop alla festa per l'Unità d'Italia Gelmini: "Scuole aperte" Dubbi sulla celebrazione, tensione nel governo Bossi: si lavori. La Meloni: non ci sono solo i soldi * NOTIZIE CORRELATE * Calderoli: "Uffici aperti il 17 marzo" La Russa: "È deciso, la festa si farà" (8 febbraio 2011) * LO SPECIALE - 1861-2011, nascita di una Nazione * Italia 150, il "no" di Bolzano: "Alla festa non parteciperemo" (7 febbraio 2011) I NODI Lo stop alla festa per l'Unità d'Italia Gelmini: "Scuole aperte" Dubbi sulla celebrazione, tensione nel governo Bossi: si lavori. La Meloni: non ci sono solo i soldi Il ministro Gelmini con il presidente Napolitano premia uno studente (Ansa) Il ministro Gelmini con il presidente Napolitano premia uno studente (Ansa) ROMA - "Penso che il 17 marzo le scuole debbano restare aperte". Per il suo annuncio Mariastella Gelmini sceglie il Consiglio dei ministri: dopo Confindustria, la Lega ed il presidente dei garanti per le celebrazioni Giuliano Amato, anche lei si schiera per una festa dei 150 anni dell'unità nazionale passata al lavoro. "La ricorrenza - dice - potrà essere celebrata in classe durante l'orario normale dedicando una particolare attenzione a quel momento storico così importante. Un modo per dare più valore a questo appuntamento, altrimenti si correrebbe il rischio di considerarlo solo un giorno di vacanza in più". Per questo il ministero dell'Istruzione sta preparando una circolare che spiegherà alle scuole come comportarsi. La decisione era stata presa pochi giorni fa: scuole e uffici pubblici chiusi nel 150° anniversario della proclamazione del Regno d'Italia, nel settore privato una giornata pagata come festivo. Ma appare sempre più probabile un ripensamento. Ufficialmente Silvio Berlusconi ha chiesto di riflettere sulla questione. Ma il sottosegretario Gianni Letta, che pure aveva parlato di "scelta scritta nella legge", ha provato a convincere i ministri ex An, quelli che difendono la festa con maggiore fermezza. Durante la riunione a Palazzo Chigi, convocata per le misure sull'economia, la discussione diventa accesa. Specie tra Umberto Bossi e Giorgia Meloni, che si affrontano con una durezza senza precedenti. Il leader leghista dice che "bisogna lavorare" perché il "ponte sarebbe pericolosissimo in un momento di crisi come questo e non credo che gli imprenditori sarebbero contenti". Ma soprattutto aggiunge che la "festa sarà percepita in modo diverso a seconda dei luoghi". Il ministro della Gioventù non frena il suo carattere: "Una nazione non è fatta solo di soldi, non potete ridurre il 17 marzo ad una festa di serie B". Secondo Meloni anche tenere aperte le scuole è sbagliato perché "nulla garantisce che in aula si parli davvero dell'unità d'Italia". La voce sale di tono, i due torneranno a litigare anche dopo la fine delle riunione. Intanto al tavolo si consuma un altro scontro, quello tra Roberto Calderoli e Ignazio La Russa che sulla questione avevano già duellato a distanza. A poco servono le parole di Maurizio Sacconi e Paolo Romani che provano a mettere tutti d'accordo. Alla fine nessuna sintesi, restano solo le divisioni: "La decisione è stata rinviata - dice il ministro del Welfare Sacconi - ma ne parleremo. Stiamo cercando una soluzione che non pesi sulla crescita economica e allo stesso tempo consenta un'adeguata celebrazione di un evento al quale diamo significato ogni 50 anni". Lorenzo Salvia 10 febbraio 2011
2011-02-01 Ma diminuiscono nel complesso le persone in cerca di occupazione Disoccupazione giovanile a livelli record L'Istat: a dicembre il tasso per la generazione tra i 15 e i 24 anni è salito al 29%. E' il dato più alto dal 2004 Ma diminuiscono nel complesso le persone in cerca di occupazione Disoccupazione giovanile a livelli record L'Istat: a dicembre il tasso per la generazione tra i 15 e i 24 anni è salito al 29%. E' il dato più alto dal 2004 Giovani precari ad una manifestazione a Roma (Fotogramma) Giovani precari ad una manifestazione a Roma (Fotogramma) ROMA - Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) a dicembre è salito al 29% dal 28,9% di novembre, segnando così un nuovo record, si tratta, infatti, del livello più alto dall'inizio delle serie storiche mensili, ovvero dal gennaio del 2004. Lo comunica l'Istat in base a dati destagionalizzati e a stime provvisorie. Il tasso di disoccupazione a dicembre, invece, resta stabile all'8,6%, lo stesso livello già registrato a novembre (rivisto al ribasso dall'8,7%). PROSPETTIVE PIU' SERENE - Il numero delle persone in cerca di occupazione a dicembre risulta, rispetto a novembre, in diminuzione dello 0,5%, ovvero di 11 mila unità, una discesa dovuta esclusivamente alle donne. Inoltre, il numero di occupati a livello congiunturale rimane invariato, con un tasso di occupazione stabile al 57% su base mensile. I tecnici dell'Istat spiegano che "a chiusura del 2010 le condizioni del mercato del lavoro appaiono un po' più serene, da autunno l'occupazione ha smesso di scendere e la disoccupazione nell'ultimo bimestre, novembre e dicembre, ha preso a calare. L'unico elemento che stona - aggiungono - è la disoccupazione giovanile, che ancora una volta torna a scalare posizioni, segnando un nuovo record". IL MINISTRO SACCONI - "Nella rilevazione mensile dell'Istat il mercato del lavoro si conferma stabile in un contesto europeo altrettanto stabile". Lo sottolinea il ministro del lavoro, Maurizio Sacconi, spiegando che "si è fermata la caduta dell'occupazione tanto che rispetto al mese si registrano 11 mila disoccupati in meno". "Il tasso di disoccupazione italiano è all'8,6% - prosegue il ministro - quasi un punto e mezzo al di sotto della media europea. La crescita in tutto l'Occidente, anche per i caratteri di selettività che la contraddistinguo, non è sempre accompagnata da nuova occupazione e spesso si traduce come in Italia in aumento delle ore lavorate da parte degli stessi occupati. Le incertezze che permangono sulla ripresa contraggono le nuove assunzioni - rileva - e inducono a consolidare anche attraverso gli ammortizzatori sociali i rapporti di lavoro in essere. Per i giovani - ricorda Sacconi - il Piano del Governo, anche con misure specifiche di incentivazione, si rivolge soprattutto all'investimento nelle competenze e, in particolare, ai contratti di apprendistato che integrano apprendimento e esperienza lavorativa". L'OPPOSIZIONE ALL'ATTACCO - Non si è fatta attendere anche la voce dell'opposizione. Stefano Fassina, responsabile economico del Pd, ha detto che ci troviamo davanti a un'altra "pessima notizia dal fronte lavoro. Ancora un aumento dei lavoratori e delle lavoratrici che, perchè scoraggiati, rinunciano a cercare lavoro. Le generazioni più giovani - dice - passano dalla precarietà alla disoccupazione senza speranza. Non è soltanto conseguenza della crisi globale, è anche colpa grave di un governo concentrato da mesi sulle ragazzine a casa Berlusconi e di un ministro del Lavoro impegnato a tempo pieno a dividere i sindacati e a colpire i diritti dei lavoratori. Berlusconi si deve dimettere. L'Italia ha bisogno di un governo per le riforme, per la crescita e il lavoro". (Fonte: Ansa) 01 febbraio 2011
2011-01-24 FRONTE COMUNE Lavoro, la class action dei precari Rivolta contro il "collegato lavoro": scaduto il termine per poter contestare eventuali licenziamenti illegittimi FRONTE COMUNE Lavoro, la class action dei precari Rivolta contro il "collegato lavoro": scaduto il termine per poter contestare eventuali licenziamenti illegittimi MILANO – Allo scoccare della mezzanotte si è perso l'ultimo treno. O almeno, la deadline del 23 gennaio imposta dalle legge 183/2010 – meglio conosciuta come "collegato-lavoro" – pretendeva di operare una scelta, netta, senza ritorno (e con il rischio di inimicarsi l'azienda o l'ente pubblico per il quale si presta la propria opera): impugnare o meno l'eventuale licenziamento irregolare o il mancato rinnovo contrattuale. E i dati – diffusi dalle principali sigle sindacali del Paese – testimoniano che i "precari" hanno fatto fronte comune contro una legge che il Tribunale di Trani ha ritenuto di dover sollevare il giudizio di costituzionalità. IL COLLEGATO LAVORO – In attesa del responso della Consulta, quali sono i motivi che hanno originato questa levata di scudi contro la legge 183/2010 (collegata alla manovra di finanza pubblica 2009-2013)? Innanzitutto proprio i tempi d'impugnazione, accorciati a due mesi, per poter contestare eventuali licenziamenti ritenuti "illegittimi". E il termine è scaduto proprio ieri (la legge era entrata in vigore il 24 novembre, ndr.). Da oggi, quindi, si perde ogni diritto per una norma retroattiva, che vale anche per tutti i contratti in essere e naturalmente per quelli futuri. Ma nel mirino è finita anche la disposizione che riduce l'ammontare del risarcimento per il lavoratore assunto illecitamente con un contratto a termine (nell'ordinanza il giudice di Trani ritiene si sia calpestato il principio di uguaglianza dell'articolo 3 della Costituzione). Una norma "tagliola", l'ha bollata la Cgil, tale da determinare una sanatoria al rovescio, "perché tanti precari - si legge in una nota del sindacato - non verranno a sapere in tempo che i termini sono cambiati", e un'impennata del contenzioso, "l'esatto contrario di quanto il governo dichiara di voler perseguire" con l'allargamento del ricorso all'arbitrato. Mentre Giorgio Santini, segretario generale aggiunto Cisl, ritiene che "sia stata messa in atto un'informazione capillare in tempi stretti, che certamente ha fatto aumentare del 20% i ricorsi rispetto alla media". Ma al netto delle contrapposizioni, si tratta di una legge che si pone la finalità di "riorganizzare gli enti, modificare la disciplina dei congedi, delle aspettative e dei permessi e adottare misure contro il lavoro sommerso". LE NOVITA' – Eccone alcune. 1) La mobilità: "in caso di conferimento di funzioni statali ad altri enti – si legge in Gazzetta Ufficiale – si applica l'articolo che regolamenta il tema delle eccedenze di personale". Che impone come limite massimo tre anni, al termine dei quali, in assenza di riassorbimento all'interno di un'altra amministrazione scatta il licenziamento. 2) Il part-time: aumenta il potere discrezionale delle amministrazioni. In particolare entro 180 giorni dall'entrata in vigore della legge, possono ridiscutere tutti i part-time già concessi. 3) Pensionamento a 70 anni: è prevista la possibilità per i medici pubblici e i dirigenti sanitari di andare in pensione, su propria istanza, a 70 anni di età (è stata cancellata la possibilità di restare in servizio al massimo fino a 67 anni di età). 4) Conciliazione: è cancellata l'obbligatorietà del tentativo di conciliazione nelle controversie e il prestatore di lavoro può decidere se ricorrere all'arbitrato preventivamente. 5) Legge 104: per l'assistenza ai portatori di handicap il collegato-lavoro ha stabilito che – salvo per i figli in condizione di handicap grave – il diritto ai permessi è riconosciuta a una sola persona. 6) I potenziali interessati – E' la stessa Cgil a quantificarli tra i 100mila e i 150mila in tutta Italia. Di certo riguarda moltissimi lavoratori – spesso non "contrattualizzati" a tempo indeterminato – ma in particolare medici, insegnanti, amministrativi nel pubblico impiego e nel privato, dipendenti Rai (e nel campo della comunicazione) e delle Poste. Fabio Savelli 24 gennaio 2011
2011-01-22 L’ipotesi di aumentare i contratti finanziati dallo Stato e di riconvertire i piccoli ospedali In Italia mancheranno 20 mila medici Più pensionati che nuovi ingressi. E il governo vara il Piano sanitario L’ipotesi di aumentare i contratti finanziati dallo Stato e di riconvertire i piccoli ospedali In Italia mancheranno 20 mila medici Più pensionati che nuovi ingressi. E il governo vara il Piano sanitario ROMA - È un’emorragia inesorabile. Se non verrà tamponata porterà in breve al dissanguamento della sanità pubblica in termini di medici. I dirigenti ospedalieri, i primari e gli aiuti per usare termini più masticati dai cittadini, sono in via di estinzione. Uno dei problemi urgenti da risolvere secondo lo schema di Piano sanitario nazionale per il triennio 2011-2013 approvato ieri dal Consiglio dei ministri nella sua forma preliminare. Il documento che indica obiettivi e correttivi è all’inizio del cammino. Dovrà essere votato dal Parlamento. Tra i capitoli nevralgici, le risorse umane. Previsioni nere. La stima è che entro il 2015 diciassettemila medici lasceranno ospedali e strutture territoriali per aver raggiunto l’età della pensione. In parte non verranno rimpiazzati per la crisi economica e i tagli del personale. In parte mancheranno i rincalzi. Dovremo anche noi ricorrere all’assunzione di stranieri come Gran Bretagna e Stati Uniti? La crisi italiana si avvertirà in modo sensibile a partire dal 2012, avvio di un "saldo negativo tra pensionamenti e nuove assunzioni". La forbice tra chi esce e chi entra tenderà ad allargarsi anche per penuria di nuovi professionisti sfornati dalle scuole di specializzazione. Squilibrio ancora più evidente nelle Regioni in deficit che devono gestire rigidi piani di rientro. I tecnici del ministro della Salute, Ferruccio Fazio, propongono correttivi che consistono nell’aumento di risorse finanziarie per la formazione degli specialisti. Bisognerebbe innalzare il numero dei contratti finanziati dallo Stato. Ora sono 5 mila, insufficienti. L’analisi va nel dettaglio. Dal 2012 al 2014 è prevista una carenza di 18 mila medici che diventeranno 22 mila dal 2014 al 2018. Legato a questo il problema degli specializzandi in medicina veterinaria, odontoiatria, farmacia, biologia, chimica, fisica e psicologia che oggi non ricevono borse di studio. Per la loro formazione viene indicata una copertura per 800-1.000 contratti. Per Stefano Biasioli, segretario della Confedir, la confederazione dei dirigenti in pubblica amministrazione, "lo squilibrio tra necessità e programmazione nelle scuole di specializzazione è un fenomeno già presente che si sta aggravando anche perché il numero di posti nelle scuole non viene adattato alle esigenze di mercato". Alcune specialità sono in uno stato di sofferenza cronica. Anestesia, radiologia, pediatria, nefrologia, geriatria (con la popolazione che invecchia) e tutta la chirurgia. "Si guadagna molto poco agli inizi, si rischia molto. Due ragioni per scegliere altre strade", testimonia le difficoltà dei colleghi il trapiantologo Antonio Pinna. Il Piano sanitario individua altri ingranaggi da cambiare nella sanità. Occorre riqualificare la rete ospedaliera con la riconversione degli ospedali di piccole dimensioni e la loro trasformazione nei nuovi modelli di offerta territoriali sviluppati dalle Regioni. Va rivista, poi, la rete dei laboratori di analisi, mal distribuiti. Soprattutto in considerazione della sua importanza: il 60-70% delle decisioni cliniche partono da qui. Il Piano si sofferma anche sul tema delle vaccinazioni con particolare attenzione a quella antimorbillo. Margherita De Bac 22 gennaio 2011
Il governo ha 120 giorni di tempo per varare il piano di riqualificazione degli edifici "Quelle classi hanno troppi alunni" Il Tar dice basta alle "aule-pollaio" Accolto il ricorso del Codacons. La Gelmini: sono solo lo 0,4 per cento Il governo ha 120 giorni di tempo per varare il piano di riqualificazione degli edifici "Quelle classi hanno troppi alunni" Il Tar dice basta alle "aule-pollaio" Accolto il ricorso del Codacons. La Gelmini: sono solo lo 0,4 per cento Il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini Il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini ROMA - Dice la legge che nelle nostre scuole c’è un limite al numero di alunni per classe: deroghe comprese 27 alle elementari, 28 alle medie, 30 alle superiori. Dice sempre la legge che la stanza dovrebbe essere grande abbastanza: per ogni alunno poco meno di due metri a disposizione. Il Codacons ha trovato 275 "classi pollaio" che non rispettano queste regole, ha chiesto l’intervento del Tar con uno dei primi esempi di class action, cioè di azione collettiva fatta con un singolo esposto. E ieri il Tribunale amministrativo ha dato ragione all’associazione dei consumatori. Adesso il ministero dell’Istruzione ha 120 giorni di tempo per mettere a punto un piano di riqualificazione dell’edilizia scolastica. Cosa succede? Nell’immediato nulla, perché il ministero presenterà ricorso al Consiglio di Stato. Siamo solo alla prima puntata. Ma al di là degli effetti pratici, la sentenza del Tar tocca una questione importante. Quest’anno, per ridurre i costi, l’obiettivo fissato dalla Finanziaria era di aumentare il rapporto studenti/ insegnanti di 0,4 punti. Uno studente in più ogni due professori. E, anche se non direttamente, la sentenza del Tar critica questa tendenza: "Il maggior affollamento delle aule e la relativa inidoneità delle stesse a contenere gli alunni in condizioni di sicurezza, salubrità e vivibilità costituisce implicazioni di carattere strutturale non risolubile attraverso misure di carattere meramente organizzativo, ma unicamente affrontabile attraverso una mirata riqualificazione edilizia degli edifici e delle aule". Più che il numero dei professori, quindi, il Tribunale amministrativo chiede un intervento sugli edifici: ristrutturazione dei vecchi istituti, costruzione di nuovi, tutto pur di risolvere la situazione. Il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini parla di "ricorso destituito di ogni fondamento ". Concentrandosi sulle scuole superiori, dove il problema affollamento è più grave, aggiunge che le "classi con più di 30 alunni sono appena lo 0,4% del totale" e sono il "risultato delle preferenze delle famiglie per alcuni istituti o sezioni". Ma le condizioni disastrose di molte scuole e aule? "Abbiamo già stanziato un miliardo di euro e assegnato una prima tranche di 358 milioni per avviare gli interventi più urgenti". Il Codacons, invece, canta vittoria: "Ora il ministro Gelmini— dice il presidente Carlo Rienzi — dovrà preparare un piano in grado di rendere sicure le aule ed evitare il formarsi di classi da 35/40 alunni. Se non lo farà saremmo costretti a chiedere la nomina di un commissario che si sostituisca al ministro". Sostiene il Codacons che "insegnanti e genitori i cui figli sono costretti a studiare in aule pollaio potranno chiedere un risarcimento fino a 2.500 euro in relazione al danno esistenziale subito". In realtà la strada è tutt’altro che semplice: in Italia la class action non prevede la possibilità di chiedere un risarcimento alla pubblica amministrazione. Sarebbe necessario un altro ricorso, quindi, davanti al Tribunale ordinario. In ogni caso quello di ieri è un segnale importante che arriva alla vigilia di un altro giorno delicato. Proprio oggi scadono i termini per impugnare i contratti a termine da parte dei precari (della scuola ma non solo) che chiedono assunzione a tempo indeterminato e gli scatti di anzianità. Un’altra class action che, dicono Flc, Cgil e Gilda, ha fatto arrivare al ministero dell’Istruzione 40 mila ricorsi. L. Sal. 22 gennaio 2011
2011-01-11 DA "OK SALUTE" Alberto Zangrillo: "Mio figlio bocciato a quei test iniqui di medicina" Il medico personale di Berlusconi si confessa nel mensile in edicola: "Questi quiz d'ingresso non servono a stabilire se i ragazzi hanno attitudine a diventare bravi dottori" * NOTIZIE CORRELATE * Marco Baldini: le mie peripezie per diventare papà (23 dicembre 2010) * Canalis: ecco come ho smesso di fumare (29 novembre 2010) * Cutugno: "Io e il tumore alla prostata: penso sempre che la vita sia bellissima" (11 novembre 2010) * Formigoni: "A stecchetto da un anno, ho perso diciassette chili" (28 ottobre 2010) * Capotondi: io single, casta e contenta (29 settembre 2010) * Il sito di "Ok Salute" DA "OK SALUTE" Alberto Zangrillo: "Mio figlio bocciato a quei test iniqui di medicina" Il medico personale di Berlusconi si confessa nel mensile in edicola: "Questi quiz d'ingresso non servono a stabilire se i ragazzi hanno attitudine a diventare bravi dottori" Alberto Zangrillo, medico personale di Berlusconi, dirige l'unità operativa di anestesia e rianimazione generale e la terapia intensiva cardiochirurgica al San Raffaele di Milano (Reuters) Alberto Zangrillo, medico personale di Berlusconi, dirige l'unità operativa di anestesia e rianimazione generale e la terapia intensiva cardiochirurgica al San Raffaele di Milano (Reuters) MILANO - Quanto può star male un genitore davanti alla delusione di un figlio che vede infrangersi il sogno? Moltissimo, più di quanto avessi mai immaginato. L’ho provato sulla mia pelle tre anni fa, quando il mio primogenito non è riuscito a sostenere con esito positivo gli ormai famigerati test d’ingresso per la facoltà di Medicina. Più o meno 100 domande in 100 minuti: un quiz che comprende quesiti di diverse discipline, dai classici all’attualità, cui rispondere peraltro in condizioni di grande stress. Mio figlio voleva seguire le mie orme. Negli ultimi tre anni di liceo era nata in lui una passione fortissima per la professione medica. Chiedeva del mio lavoro, mi tampinava con continue domande e pretendeva che gli raccontassi i particolari delle mie giornate in ospedale. Dopo la maturità, ha passato l’estate sui libri. Cultura generale, logica, biologia, chimica, fisica, matematica. Lo guardavo, un po’ allibito, studiare tomi, allenarsi sui fac-simile dei test, esercitarsi con le prove degli anni passati. Per quanto mi riguarda, gli avevo consigliato di prepararsi anche in inglese. La frustrazione di non passare quelle prove fu grande per mio figlio. Ma al di là di questa vicenda, che mi ha coinvolto personalmente come genitore, trovo, dal mio punto di vista di medico e professore universitario, che le modalità che regolano l’accesso alle facoltà di medicina siano deludenti e inique. A oggi, si decide in un quiz di poche ore del futuro, del progetto di vita di un giovane; si stabilisce in base a questa performance se quel ragazzo o quella ragazza potranno diventare dei buoni medici, se hanno attitudine per questa disciplina. Credo che rispondere a 100 domande in 100 minuti non ci dia alcuna garanzia di selezionare veramente le risorse migliori, quelle che saranno per esempio in grado di gestire quel particolare equilibrio psicologico richiesto a chi lavora in corsia e di condividere con gli altri quelle qualità umane che deve possedere chi è a contatto con i pazienti e la loro sofferenza. Genitori, come comportarsi se l'esame è un fallimento La copertina di 'Ok Salute' di gennaio La copertina di "Ok Salute" di gennaio Io non sarei stato ammesso Nella mia professione mi è capitato di incontrare e di dover disilludere medici già formati che, pur avendo avuto risultati eccellenti in prestazioni nozionistiche, non erano in grado di rapportarsi al malato o di lavorare in squadra. Ci vuole tempo. Bisogna lasciare spazio ai ragazzi perché prendano confidenza con la materia ed entrino nel vivo della pratica quotidiana prima di mettere loro un bollino: in o out. Sarei dell’avviso di creare dei questionari di valutazione da svolgere in itinere. Poi, penserei a un percorso prefissato e rigido: un tot di esami in un tot di semestri. Se non stai al passo, se non cresce in te la responsabilità allo studio e all’applicazione puntuale e costante, allora sì, sei fuori. Ai miei tempi, quando la prospettiva di diventare medico era più fortunata si diceva "per fare il medico ci vuole passione". Lo si ripeteva in un modo forse un po' convenzionale, con una frase che col tempo si è logorata. Ma adesso per realizzare questa passione bisogna fornire una buona performance in un quiz e non mi pare certo un salto di qualità. Con una prova del genere, sarei stato bocciato anch’io. Sono entrato a Medicina quasi per ripicca, per dimostrare alla mia professoressa di matematica del liceo che non ero un ragazzo da zero, come pensava. Ero così poco avvezzo all’ambiente medico che ogni volta che entravo in ospedale avevo una crisi lipotimica, cioè svenivo, per colpa dell’odore di disinfettante. Si può essere giudicati così? Ai miei tempi non c’erano test, però so bene che a vent’anni non ero certo pronto per essere giudicato idoneo o meno alla professione. Quella della sfiducia di un’insegnante nei miei confronti fu una spinta negativa, ma fondamentale, nel farmi fare una scelta che non sarei credibile se definissi ponderata. I miei presupposti erano insufficienti, erano una sorta di sfida e credo che la mia storia rappresenti una prova del fatto che per diventare un buon medico non occorre superare un test che fa una sorta di selezione profilattica. La passione non è un innamoramento, un’idea, un’immagine di sé, ma è quella responsabilità che nasce, cresce, matura nel tempo e che costringe a un lavoro costante. Ho iniziato studiando come un pazzo la teoria, poi mi sono appassionato alla pratica. Ho capito che fare il medico era la mia vocazione e solo allora ho scelto l’anestesia come specialità. Le mie abilità le ho affinate dopo, le mie peculiarità le ho scoperte cammin facendo. Alberto Zangrillo (testo raccolto da Francesca Gambarini) 11 gennaio 2011
2010-12-24 i sì sono stati 161, 98 i no e 6 gli astenuti Università, la riforma Gelmini è legge Dopo la lunga maratona, il via libera definitivo a Palazzo Madama. Fli vota con il Pdl, l'Udc si astiene * NOTIZIE CORRELATE * Stop ostruzionismo, si vota giovedì. La Gelmini: "Si archivia il '68" (22 dicembre 2010) i sì sono stati 161, 98 i no e 6 gli astenuti Università, la riforma Gelmini è legge Dopo la lunga maratona, il via libera definitivo a Palazzo Madama. Fli vota con il Pdl, l'Udc si astiene ROMA - La riforma Gelmini è legge. L'aula del Senato ha infatti dato il via libera definitivo al testo sull'università approvandolo con 161 sì, 98 no e 6 astenuti. Hanno votato a favore Pdl, Lega e Fli. Hanno votato contro Pd e Idv. Si sono astenuti (anche se al Senato vale come voto contrario) Udc, Api, Svp e Union Valdotaine. "La riforma verrà attuata fin dal prossimo anno accademico" ha annunciato il ministro dell'Istruzione nel corso della registrazione di Porta a Porta. La Gelmini ha sottolineato che entro i prossimi sei mesi tutti gli adempimenti e i decreti attuativi saranno approvati. LE REAZIONI - Governo e maggioranza hanno salutato il via libera alla riforma come un "grande traguardo". È un "passaggio chiave della legislatura" ha detto Maurizio Gasparri. Il presidente dei senatori del Pdl ha inoltre invitato il capo dello Stato ad ascoltare "anche le ragioni di coloro che sono favorevoli alla riforma dell’Università, come ha ricevuto le associazioni studentesche in dissenso". Per il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, la riforma segna la fine della "ricreazione" nel sistema educativo iniziata nel 1968. Plauso anche da parte di Confindustria, secondo cui la riforma Gelmini "consegna finalmente al Paese un sistema universitario nuovo che mette al centro i giovani". Critiche dall'opposizione. "Una cosa che il ministro Gelmini non dice mai - ha dichiarato la capogruppo del Pd Anna Finocchiaro - è che questa è una legge delega e che ci sono ancora circa 50 decreti attuativi da varare. Occorrerà che Camera e Senato tornino con le commissioni a occuparsene. Mi auguro - ha concluso - che in quella sede si possa ancora fare qualche passo in avanti". TESTO BLINDATO- La maggioranza ha blindato il testo prima del via libero definitivo, evitando di far passare provvedimenti che richiedano un successivo passaggio parlamentare alla Camera. Alcune contraddizioni tra diversi articoli dello stesso testo, evidenziate con forza dalle opposizioni, saranno corrette, come ha annunciato lo stesso ministro Maria Stella Gelmini, nel decreto "Milleproroghe". "PROTESTE SENZA INCIDENTI" - Alla Camera, intanto, il ministro dell'Interno Roberto Maroni è intervenuto sulle mobilitazioni degli studenti e ha sottolineato che "la giornata di ieri si è svolta ovunque senza incidenti" a differenza di quanto accaduto lo scorso 14 dicembre a Roma. In quell'occasione si registrarono momenti di vera e propria guerriglia urbana e la giornata si concluse con diversi fermi di polizia. "Non c'è stato nessun incidente degno di nota - ha aggiunto il ministro - salvo a Palermo" dove ci sono stati tentativi di assalto alla sede della Regione Sicilia e alla Questura. "Brutta cosa - ha detto Maroni - l'assalto a questa, simbolo della lotta alla mafia. Vedere lanciare pietre, bottiglie e uova contro un avamposto della lotta alla mafia mi ha profondamente rattristato". Il ministro ha concluso affermando che il "diritto al dissenso è sacrosanto e sarà sempre garantito dalle forze dell'ordine ma la violenza sarà sempre contrastata con ogni mezzo". Redazione online 23 dicembre 2010(ultima modifica: 24 dicembre 2010)
LA SCHEDA Riforma Gelmini, ecco cosa cambia Lotta agli sprechi e alla parentopoli, soldi solo in base alla qualità e nuova governance LA SCHEDA Riforma Gelmini, ecco cosa cambia Lotta agli sprechi e alla parentopoli, soldi solo in base alla qualità e nuova governance MILANO - Lotta agli sprechi e a parentopoli; stop ai rettori a vita; autonomia delle università coniugata con una forte responsabilità finanziaria, scientifica, didattica; soldi solo in base alla qualità (gli atenei gestiti male ne riceveranno meno) e fine dei finanziamenti a pioggia; reclutamento e governance secondo criteri meritocratici e di trasparenza. Sono queste le principali novità della riforma dell'università approvata dal Senato in via definitiva. ADOZIONE DI UN CODICE ETICO per evitare incompatibilità e conflitti di interessi legati a parentele. A questo proposito viene anche stabilito che per partecipare ai concorsi non si dovranno avere, all'interno dell'ateneo, parentele fino al quarto grado. Alle università che assumeranno o gestiranno le risorse in maniera non trasparente saranno ridotti i finanziamenti del Ministero. LIMITE MASSIMO AL MANDATO DEI RETTORI di complessivi 6 anni, inclusi quelli già trascorsi prima della riforma. Un rettore potrà rimanere in carica un solo mandato e sarà sfiduciabile. DISTINZIONE NETTA DI FUNZIONI TRA SENATO E CDA: il Senato avanzerà proposte di carattere scientifico, ma sarà il CdA ad avere la responsabilità chiara delle assunzioni e delle spese. Il Cda vrà almeno 3 membri esterni su 11. Il presidente potrà essere esterno. Presenza qualificata degli studenti negli organi di governo. DIRETTORE GENERALE AL POSTO DEL DIRETTORE AMMINISTRATIVO: il direttore generale avrà compiti di grande responsabilità e dovrà rispondere delle sue scelte, come un vero e proprio manager dell'ateneo. NUCLEO DI VALUTAZIONE D'ATENEO A MAGGIORANZA ESTERNA per garantire una valutazione oggettiva e imparziale. GLI STUDENTI VALUTERANNO I PROFESSORI e questa valutazione sarà determinante per l'attribuzione dei fondi dal Ministero. FUSIONE ATENEI: ci sarà la possibilità di unire o federare università vicine, anche in relazione a singoli settori di attività, di norma in ambito regionale, per abbattere costi e aumentare la qualità di didattica e ricerca. RIDUZIONE DEI SETTORI scientifico-disciplinari, dagli attuali 370 alla metà (consistenza minima di 50 ordinari per settore). No a micro-settori che danneggiano la circolazione delle idee e danno troppo potere a cordate ristrette. RIORGANIZZAZIONE INTERNA DEGLI ATENEI: riduzione molto forte delle facoltà che potranno essere al massimo 12 per ateneo. RECLUTAMENTO DI GIOVANI STUDIOSI: introdotta l'abilitazione nazionale come condizione per l'accesso all'associazione e all' ordinariato. L'abilitazione è attribuita da una commissione nazionale sulla base di specifici parametri di qualità. I posti saranno poi attribuiti a seguito di procedure pubbliche di selezione bandite dalle singole università, cui potranno accedere solo gli abilitati. Tra i punti salienti: Commissioni di abilitazione nazionale autorevoli con membri italiani e, per la prima volta, anche stranieri; cadenza regolare annuale dell'abilitazione a professore, al fine di evitare lunghe attese e incertezze; distinzione tra reclutamento e progressione di carriera. ACCESSO DI GIOVANI STUDIOSI: Il ddl introduce interventi volti a favorire la formazione e l'accesso dei giovani studiosi alla carriera accademica. Tra i punti salienti: revisione e semplificazione della struttura stipendiale del personale accademico per eliminare le penalizzazioni a danno dei docenti più giovani; revisione degli assegni di ricerca per introdurre maggiori tutele, con aumento degli importi; abolizione delle borse post-dottorali, sottopagate e senza diritti; nuova normativa sulla docenza a contratto: riforma del reclutamento. GESTIONE FINANZIARIA: Introduzione della contabilità economico-patrimoniale uniforme, secondo criteri nazionali concordati tra Istruzione e Tesoro: i bilanci dovranno rispondere a criteri di maggiore trasparenza. Commissariamento e tolleranza zero per gli atenei in dissesto finanziario. VALUTAZIONE DEGLI ATENEI: Le risorse saranno trasferite dal ministero in base alla qualità della ricerca e della didattica. Fine della distribuzione dei fondi a pioggia. Obbligo di accreditamento, quindi di verifica da parte del ministero di tutti i corsi e sedi distaccate per evitare quelli non necessari e valutazione dell'efficienza dei risultati da parte dell'Anvur. OBBLIGO PRESENZA DOCENTI A LEZIONE: avranno l'obbligo di certificare la loro presenza a lezione. Questo per evitare che si riproponga senza una soluzione il problema delle assenze dei professori negli atenei. Viene per la prima volta stabilito inoltre un riferimento uniforme per l'impegno dei professori a tempo pieno per il complesso delle attività didattiche, di ricerca e di gestione, fissato in 1500 ore annue di cui almeno 350 destinate ad attività di docenza e servizio. SCATTI STIPENDIALI SOLO AI PROFESSORI MIGLIORI. Si rafforzano le misure annunciate nel DM 180 in tema di valutazione dell'attività di ricerca dei docenti. In caso di valutazione negativa si perde lo scatto di stipendio e non si può partecipare come commissari ai concorsi. DIRITTO ALLO STUDIO E AIUTI AGLI STUDENTI MERITEVOLI - Delega al governo per riformare organicamente la legge 390/1991, in accordo con le Regioni per spostare il sostegno direttamente agli studenti per favorire accesso agli studi universitari e mobilità. Inoltre sarà costituito un fondo nazionale per il merito al fine di erogare borse di merito e di gestire su base uniforme, con tassi bassissimi, i prestiti d'onore. MOBILITÀ DEL PERSONALE - Sarà favorita la mobilità tra gli atenei, perchè un sistema senza mobilità interna non è un sistema moderno e dinamico. Possibilità per chi lavora in università di prendere 5 anni di aspettativa per andare nel privato senza perdere il posto. (Fonte Ansa) 23 dicembre 2010
2010-12-23 LA PROTESTA Studenti: in 10 mila contro il Ddl Gelmini "Grazie Napolitano, ci tratta da adulti" Corteo sulla A24. Traffico il tilt. Applausi alle finestre. L'appello: il presidente ha capito, ora tocca al governo * NOTIZIE CORRELATE * La lettera degli studenti a l presidente Napolitano * Da Palermo a Milano, gli altre cortei (22 dic 10) * Preallarme cortei anti - Gelmini: chiusura e uffici nella capitale (21 dic '10) * Martedì 14, guerriglia a Roma: assalti ai blindati, auto in fiamme (14 dic 10) * Assalto a Palazzo Madama: un mercoledì di tensione a Roma (24 nov 10) LA PROTESTA Studenti: in 10 mila contro il Ddl Gelmini "Grazie Napolitano, ci tratta da adulti" Corteo sulla A24. Traffico il tilt. Applausi alle finestre. L'appello: il presidente ha capito, ora tocca al governo Il corteo degli studenti alla partenza dall'università La Sapienza (foto Ansa) Il corteo degli studenti alla partenza dall'università La Sapienza (foto Ansa) ROMA - Sono tornati in piazza gli studenti italiani, a Roma e in tante città, in vista dell’approvazione definitiva al Senato del ddl Gelmini di riforma dell’università. Stavolta, però la protesta ha assunto toni diversi dal 14 dicembre. I cortei si sono tenuti senza incidenti e alle 17.30 una delegazione di universitari rappresentanti delle associazioni studentesche è stata ricevuta dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. "Finalmente abbiamo trovato un interlocutore serio che ci ha ascoltato", ha commentato al termine dell'incontro protrattosi fino alle 19 un rappresentante della delegazione. "Queste manifestazioni di un'intera generazione devono far riflettere il nostro attuale governo - ha aggiunto lo studente - che deve senza se e senza ma, affrontare la questione. Ringraziamo il presidente Napolitano perchè siamo stati finalmente trattati da adulti". Dal canto suo il Capo dello Stato si sarebbe congratulato per la manifestazione che si è svolta in maniera pacifica. MANIFESTAZIONE DI CIVILTA' - Lo avevano annunciato gli studenti: niente scontri né tentativi di entrare in zona rossa, anche perchè nessuno dubita che il ddl verrà approvato, nonostante i ritardi per il caos di ieri sul voto degli emendamenti. La manifestazione che mercoledì 22 ha portato in piazza nella Capitale circa 10 mila studenti, non ha puntato verso il "triangolo del potere" Camera-Senato-palazzo Chigi, bensì verso la zona est della città: viale dell'Università, viale Regina Elena, scalo San Lorenzo, Pigneto, Porta Maggiore, Casilino, via Prenestina. Intorno alle 16.15 il corteo principale si è concluso con il rientro dei manifestanti alla Sapienza. Ma intorno alle 17 altri piccoli cortei sono ripartiti dall'università: uno si è diretto alla sede della Cgil; in via Morgagni sono quindi sopraggiunti alcuni reparti della Celere per fermarli; quindi il corteo è stato deviato alla sede della Cisl in via Po. Gli studenti bloccano la tangenziale Est (Ansa) Gli studenti bloccano la tangenziale Est (Ansa) FANTASIA IN MARCIA - Come avevano promesso, la loro protesta è stata ironica, imprevedibile e fantasiosa. "Lasceremo i palazzi del potere nella solitudine della loro miseria e andremo in altrove", avevano annunciato gli studenti. E così hanno fatto, andando a cercare la gente comune, i lavoratori, gli abitanti di quartieri periferici come Pigneto e Prenestino (dove sono stati applauditi dalla gente alle finestre), per poi risolversi all'unico blitz che ha portato davvero disagi più pesanti: l'occupazione della Tangenziale Est e di un tratto del raccordo della A24 Roma-L'Aquila, conclusasi intorno alle 14.40, quando si erano già formate lunghe code di auto. Intorno alle 16.15, giunti di nuovo a piazzale Aldo Moro, davanti alla Sapienza, gli studenti hanno di fatto sciolto il corteo principale. Alcuni di loro si sono recati a Scienze politiche per un omaggio all'operaio morto nei lavori di ristrutturazione; sulla palizzata del cantiere hanno scritto: "Oggi è morto un operaio. La colpa è dei padroni". Nel pomeriggio, alle 17, una loro delegazione è stata ricevuta dal Capo dello Stato: presenti 11 studenti, rappresentanti di tutte le associazioni universitarie, dai collettivi all'Udu. Gli studenti in corteo sulla A24 Gli studenti in corteo sulla A24 NAPOLITANO: SI ALL'INCONTRO - Il presidente della Repubblica aveva annunciato già nel primo pomeriggio l'intenzione di ricevere al Quirinale gli studenti che protestano contro la riforma dell’università e che il 20 avevano preparato una lettera, scritta dai collettivi studenteschi della Sapienza, per chiedergli di non firmare il ddl Gelmini. "Non firmi - avevano scritto gli studenti - sarà così in piazza anche lei al nostro fianco. Se porrà la Sua firma alla legge Gelmini Lei sancirà la cancellazione del Diritto allo Studio, uno dei diritti fondamentali della Costituzione intesa come patto fondante della nostra società, che garantisce equità e democrazia". "NON VI BLINDATE NEI PALAZZI" - Al termine dell'incontro, gli studenti hanno spiegato: "Abbiamo posto al Presidente le nostre questioni. In questi mesi non abbiamo mai ricevuto risposte dal Governo. Invece il presidente, durante l'incontro, ha rimarcato l'importanza dell'ascolto e siamo sicuri che avrà modo di riflettere e valutare. Per noi è importante che ci abbia ricevuto la più alta carica dello Stato". Sicuramente, secondo gli studenti, "si tratta di un buon risultato" e "la grande manifestazione di mercoledì è il segnale che il movimento studentesco è intelligente e sa interloquire con le istituzioni". E Luca Cafagna, uno dei delegati, ha lanciato un appello: "Adesso il governo apra un confronto con noi, perchè non è possibile chiudersi dentro le zone rosse e blindarsi nei palazzi". I cortei degli studenti: Roma I cortei degli studenti: Roma I cortei degli studenti: Roma I cortei degli studenti: Roma I cortei degli studenti: Roma I cortei degli studenti: Roma I cortei degli studenti: Roma I cortei degli studenti: Roma Lo striscione in testa al corteo (Ansa) Lo striscione in testa al corteo (Ansa) PACCHI REGALO - Ad aprire il corteo partito dalla Sapienza, in mattinata, c'era uno striscione con su scritto "Noi soli nella zona rossa voi liberi per la città", firmato studenti per lo sciopero generale. Sempre in testa al corteo - oltre agli ormai noti book-bloc - gli scudi di gomma con su scritti i titoli dei classici della letteratura. Molti studenti tenevano in mano pacchi regalo simbolici con su scritte le richieste e li consegnavano mano a mano. Uno è stato consegnato al Policlinico Umberto I in polemica con la Parentopoli alla Sapienza. Un altro è stato destinato alla Cgil: conteneva la richiesta di sciopero generale. Uno ai dipendenti dell'Atac, dopo le polemiche sullo scandalo assunzioni, con un biglietto: "Scioperate con noi". Tra le scritte in corteo: "Basta veline in Parlamento", "Abolizione legge 30 sulla precarietà", "Fuori i corrotti dal Parlamento". Il corteo si è poi diretto alla Tangenziale est. Su Via Prenestina, dalle finestre della sede del ministero delle Finanze, sono arrivati applausi ai manifestanti. Applausi anche dai palazzoni a ridosso della tangenziale. I manifestanti urlavano al megafono: "Ci scusiamo per il disagio". Il traffico nella zona è andato in tilt per almeno tre ore. TANGENZIALE BLOCCATA - Pesanti i disagi quando il corteo è arrivato, intorno alle 13.15, all’imbocco della Tangenziale Est su via Prenestina e gli studenti lo hanno bloccato dirigendosi in direzione del centro. La tangenziale è stata chiusa in quel tratto fin quasi alle 15. Ma quando è stata resa nota la notizia della morte di un operaio tunisino deceduto nei lavori di ristrutturazione della facoltà di Scienze Politiche, gli studenti hanno deciso di tornare alla Sapienza. "Avevamo progettato altre iniziative di protesta contro il ddl Gelmini, ma a causa della morte dell'operaio all'interno della stessa città universitaria abbiamo deciso di tornare alla Sapienza", hanno spiegato alcuni loro rappresentanti. Prima del dietrofront, però, l'ultimo blitz: sul raccordo della A24, l'autostrada Roma-L'Aquila. Sulla bretella, gli studenti diretti all'Università sonorimasti fino alle 14.50 Poi hanno liberato le carreggiate per uscire a Casalbertone e tornare verso gli atenei. Slogan, colori e regali al corteo degli studenti Slogan, colori e regali al corteo degli studenti Slogan, colori e regali al corteo degli studenti Slogan, colori e regali al corteo degli studenti Slogan, colori e regali al corteo degli studenti Slogan, colori e regali al corteo degli studenti Slogan, colori e regali al corteo degli studenti Slogan, colori e regali al corteo degli studenti Gli studenti in corteo porgono fiori alle forze dell'ordine (foto Jpeg) Gli studenti in corteo porgono fiori alle forze dell'ordine (foto Jpeg) ALLA SAPIENZA - Cappelli da Babbo Natale, maschere che richiamano il film "V per Vendetta" e "waka waka" anti Gelmini, coppie che girano con cartelli "Padre" e "Figlia" contro l'invito del senatore Pdl Gasparri ai genitori perchè tenessero a casa i ragazzi. Alla Sapienza fin dal mattino erano comparsi i primi striscioni: su uno il Dante Alighieri di "Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza". All'ingresso della cittadella universitaria era stato poi srotolato uno striscione con scritto "Zona rossa per il ddl Gelmini". Imponente lo schieramento di forze dell'Ordine: camionette della Polizia presidiavano fin dall'alba i varchi d'accesso alla piazza, ma a prevalere è stata la goliardia. In tanti si sono presentati Costituzione alla mano, altri con stralci degli articoli della Carta Costituzionale copiati su grandi cartelli. Moltissimi anche giornalisti e operatori. Un'immagine del corteo degli studenti medi (AgfRoma) Un'immagine del corteo degli studenti medi (AgfRoma) STUDENTI MEDI - Gli gli studenti dei licei romani scesi in piazza contro il ddl Gelmini sono partiti da piazza Trilussa e hanno sfilato su viale di Trastevere. Quindi, anziché puntare sul ministero della Pubblica Istruzione, hanno attraversato le strade del quartiere romano decidendo di dirigersi verso il Gianicolo. I ragazzi hanno manifestato pacificamente intonando cori e mostrando le mani dipinte di bianco in segno di pace. Molti liceali marciavano impugnando palloncini colorati e intonando cori di sfottò al premier: "Se c'hai i capelli è grazie alla ricerca". Il loro corteo, comunque, si è concluso senza incidenti né provocazioni intorno alle 14.30. La zona sotto controllo La zona sotto controllo ZONE VIETATE - Il centro di Roma è rimasto in ogni caso blindato èper tutta la giornata, anche se le camionette e i blindati a guardia delle zone sensibili e dei varchi a rischio sono rimasti parcheggiati sui marciapiedi. La questura aveva previsto e istituito una zona di guardia (guarda la mappa) per impedire che manifestanti arrivassero nelle zone delle aule parlamentari e della sede del governo. Ma non è mai parsa questa l'intenzione degli studenti, che volevano invece dimostrare come il loro intento non fosse di seguire i gruppi di teppisti che avevano provocato gli scontri del 14 dicembre. Tutto questo, spiegavano alla vigilia, nonostante "l'atteggiamento provocatorio mostrato dalla Questura in questi giorni": tant’è che non era stato neanche avanzata alla Questura richiesta di autorizzazione a sfilare in centro. Lo slogan dei blitz del 22 è stato sempre "Liberi per la città", ma il sottotitolo poteva essere: senza accettare provocazioni. FONTANONE COLORATO - Tra i blitz da segnalare anche un'azione da neo futuristi: alcuni giovani hanno gettato colorante rosso nelle acque del Fontanone dell'Acqua Paola sul Gianicolo. Sul posto vigili urbani e polizia. Il Fontanone sarebbe stato subito svuotato. L'allarme era stato lanciato da alcuni passanti. Il gesto è stato rivendicato da "Lotta studentesca", che ha compiuto gesti simili in altre città: "A Roma, abbiamo colorato la fontana del Gianicolo, luogo simbolo della città, dove in epoche passate si è fatta la storia d’Italia. Un atto d’accusa soprattutto contro i grandi baroni universitari, come il Rettore de La Sapienza Frati ed il Rettore di Tor Vergata Lauro che, per non saper né leggere e né scrivere, hanno pensato bene, il primo, di promuovere Ordinario il figlio Giacomo, ed il secondo di promuovere Associato la nuora Paola Rogliani, prima dell’entrata in vigore delle sedicente riforma. Una vergogna!". POLEMICHE SU STUDENTI DEL PDL - Polemiche e sarcasmo per il presunto "blitz" degli studenti appartenenti ai "Giovani del Pdl" che avrebbero violato la zona rossa di massima sicurezza per portare nel centro della Capitale un flash-mob a favore della riforma Gelmini. "Ma come? - chiedevano i manifestanti sulla Tangenziale avvisati dal tam tam dei giornalisti che li seguivano - Noi non possiamo avvicinarci e loro li lasciano entrare in zona rossa? E' ridicolo". Il flash mob dei pidiellini di "Officina Futura" avrebbe portato un gruppo di universitari e ricercatori dell'associazione tra Campo dei Fiori e piazza Navona, spingendosi fino all'angolo con il Senato, per dire "sì alla riforma Gelmini" e "no all'università dei Baroni". Tra gli striscioni e i cartelli anche "No ai tagli alla ricerca", "sì al dialogo con gli studenti", "sì alla libertà di manifestare". Simona De Santis 22 dicembre 2010(ultima modifica: 23 dicembre 2010)
2010-12-03 l'iter in parlamento Senato, la discussione sulla riforma dell'università slitta dopo la fiducia La minoranza si oppone al dibattito prima del voto sul governo, previsto per il 14 dicembre l'iter in parlamento Senato, la discussione sulla riforma dell'università slitta dopo la fiducia La minoranza si oppone al dibattito prima del voto sul governo, previsto per il 14 dicembre MILANO - Niente riforma dell’università in Senato prima che si voti la fiducia. La riforma sarà dunque discussa nell'Aula di Palazzo Madama dopo il dibattito sul governo Brevisto previsto per martedì 14 dicembre: lo ha deciso la conferenza dei capo gruppo al cui interno c'è stata la ferma opposizione delle minoranze contro ogni ipotesi di calendarizzare il provvedimento prima del dibattito sulla fiducia. LA MEDIAZIONE DI SCHIFANI - Il presidente dei senatori del PdL, Maurizio Gasparri, aveva proposto di calendarizzare il ddl Gelmini già nella prossima settimana in modo da approvarlo prima del dibattito sulla fiducia, in programma per il 13 dicembre. Contro la proposta di Gasparri si sono schierate le opposizioni. È stato il presidente del Senato, Renato Schifani, a mediare fra le due posizioni e a suggerire la convocazione di una nuova conferenza dei capigruppo per martedì 14 dicembre così da prevedere la rapida calendarizzazione del ddl Gelmini. Rispetto alle posizioni inconciliabili di maggioranza e opposizione, il capogruppo finiano al Senato Pasquale Viespoli ha suggerito di procedere, la prossima settimana, a una serie di audizioni sul ddl Gelmini "senza che questo costituisca una furbata o una scorciatoia" per chiunque pensasse di arrivare al voto del provvedimento. RISCHI - "L’opposizione, per motivi di pura propaganda politica, mette a rischio provvedimenti urgenti e indispensabili per l’università italiana", ha commentato il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini. "Senza l’approvazione rapida del ddl non si potranno bandire posti da ricercatore, non potranno essere garantiti gli scatti di stipendio, non saranno banditi nuovi concorsi. Sono comunque fiduciosa: il 14 dicembre il governo Berlusconi incasserà la fiducia del Parlamento e il ddl diventerà legge entro l’anno. Il governo Berlusconi potrà dunque proseguire la sua opera riformatrice nell’interesse del Paese". 02 dicembre 2010
CONTRO IL DDL GELMINI SULLA RIFORMA DELL'UNIVERSITA' Scuola, ancora cortei e occupazioni Da Roma 3 lettera-appello a Napolitano Si allargano le agitazioni: dal Convitto nazionale, a Cinecittà all'Eur. Gli universitari al Presidente: difenda la Costituzione. Lui: leggerò e risponderò * NOTIZIE CORRELATE * Ddl Gelmini, slitta voto al Senato (2 dic'10) * Ddl Gelmini, sì alla Camera (30 nov'10) * Roma blindata, il martedì nero degli studenti: scontri e blitz (30 nov 10) * Gli studenti occupano il Colosseo (25 nov'10) * Assalto a Palazzo Madama: tensione a Roma (24 nov 10) * Guarda le immagini dell'assalto al Senato/Video1 * Guarda le immagini dell'assalto al Senato/Video2 * Guarda le immagini dell'assalto al Senato/Video3 * "Di scuola non si può morire" (23 nov 10) * Università, riparte la protesta (23 nov 10) CONTRO IL DDL GELMINI SULLA RIFORMA DELL'UNIVERSITA' Scuola, ancora cortei e occupazioni Da Roma 3 lettera-appello a Napolitano Si allargano le agitazioni: dal Convitto nazionale, a Cinecittà all'Eur. Gli universitari al Presidente: difenda la Costituzione. Lui: leggerò e risponderò ROMA - Ancora occupazioni. Ancora cortei. E pure una lettera a Napolitano. Gli studenti non mollano. Universitari e liceali. A Roma la protesta contro il ddl Gelmini sulla riforma universitaria, approvato alla Camera martedì 30 novembre, non si ferma e anzi coinvolge sempre più studenti, dal centro alla periferia. E riesce ad unire per una volta rappresentanti di studenti di destra e sinistra. Striscioni a Roma Tre per il presidente Napolitano Striscioni a Roma Tre per il presidente Napolitano LA LETTERA A NAPOLITANO - E giovedì mattina, gli studenti di Roma 3 hanno accolto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, arrivato in facoltà per un convegno sull'opera di Piero Sraffa, con striscioni e appelli: "Presidente almeno tu non ci abbandonare", era una delle scritte. Poi, i rappresentanti di alcuni di loro hanno consegnato al Capo dello Stato una lettera-appello: "Noi studenti siamo del parere che questa riforma, nei suoi contenuti e nei suoi passaggi fondamentali, vada contro i principi cardine della nostra Costituzione e dunque non può diventare legge", è uno dei passaggi della lettera. "Per questo motivo - prosegue la missiva degli studenti - facciamo appello a lei, Presidente, affinché il suo ruolo di supremo garante della Costituzione, possa difendere la nostra legge fondamentale e i valori in essa racchiusi poiché il giorno in cui essa si svuoterà di tali significati, allora anche del nostro futuro non resterà altro che una bolla di sapone vuota pronta a esplodere al primo soffio vento". Napolitano riceve la lettera degli universitari (Ansa) Napolitano riceve la lettera degli universitari (Ansa) "RISPONDERO' DOPO AVERLA LETTA" - "Ho ricevuto una lettera, risponderò dopo averla letta e riflettuto". Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha poi risposto così ai giornalisti che gli chiedevano un commento alla lettera-appello. Aristotele occupato (Eidon) Aristotele occupato (Eidon) LE OCCUPAZIONI - Se vanno avanti le occupazioni promosse dal Blocco Studentesco nei licei Mameli, Farnesina e Bernini, ma anche all'Augusto e il Calamandrei, è delle prime luci del mattino di giovedì l'occupazione del liceo scientifico Aristotele in via Cesare Pavese all'Eur, decisa mercoledì nel corso di un'assemblea studentesca e messa in atto alle 6.30 da un gruppo di circa 150 studenti. Incatenati anche i cancelli della sede centrale di via dei Sommozzatori per impedire l'accesso ai locali della scuola. Sempre in zona Eur, i militanti di Lotta Studentesca, dopo aver occupato con successo nei giorni scorsi l'Avogadro e il Ruiz, questa mattina hanno proseguito con il liceo Elsa Morante di via Alessandro Volta. CINECITTA' - Occupato anche il liceo artistico Giorgio De Chirico di Cinecittà a cui segue l'occupazione di tutti i licei del Municipio X. Non solo. Giovedì mattina, un corteo non autorizzato svoltosi in zona Cinecittà Est, ha visto coinvolti anche i ragazzi dell'università di Tor Vergata, con la via Tuscolana bloccata per qualche minuto. Un altro corteo non autorizzato si è svolto anche in zona Prati Fiscali e ha visto una grande partecipazione degli studenti del liceo scientifico Pacinotti. Studenti all'ingresso del Convitto Nazionale (Jpeg) Studenti all'ingresso del Convitto Nazionale (Jpeg) CONVITTO NAZIONALE - Proteste anche al convitto nazionale Vittorio Emanuele II dove questa mattina circa 300 studenti delle scuole superiori non sono entrati ed hanno manifestato davanti all'entrata di piazza Monte Grappa esponendo due striscioni: "Assemblea straordinaria" e "Il convitto manifesta". Tra alcuni manifestanti serpeggiava la voglia di occupare l'istituto ma nessuno ci ha pensato concretamente perché, spiegano, "questo è un convitto, ci abitano dentro il rettore e i convittori e occupare sarebbe sequestro di persona". Oggi, alla scuola in cui studiano tra gli altri il figlio di Gianni Alemanno, la figlia di Francesco Storace e, alle elementari, del ministro Angelino Alfano, era previsto l'arrivo, per un convegno, anche del ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, ma i ragazzi assicurano: "Non abbiamo manifestato per impedirle di venire o per bloccarla, anche perché il convegno era previsto nel pomeriggio e noi abbiamo protestato la mattina. È stato quasi un caso...". Due i principali motivi della protesta che potrebbe ripetersi anche domani mattina: "la riforma Gelmini" e "i problemi della scuola". "NESSUNA OCCUPAZIONE" - "Purtroppo noi non possiamo occupare perché questo è un convitto e sarebbe sequestro di persona - spiega Elena del classico -, ma l'avremmo fatto. Questa mattina siamo in 300 a protestare qui davanti e abbiamo lasciato a chi voleva il diritto di entrare. Sono, infatti, entrati una cinquantina di ragazzi, tra cui il figlio di Alemanno. Mentre, per quanto riguarda il figlio di Alfano... lui è solo alle elementari". "Non sappiamo ancora se domani protesteremo di nuovo, nè se entreremo a scuola - aggiungono Adriano e Pierluigi, altri due manifestanti -. Avevamo proposto al rettore un'autogestione per parlare dei problemi della nostra scuola e della riforma Gelmini, ma lui non ha accettato". "Oggi la maggior parte dei ragazzi non sono entrati - riferisce all'uscita da scuola un professore di italiano delle superiori - ma l'attività didattica non è stata bloccata. Quei pochi che erano in classe hanno fatto lezione". C. Vol. 02 dicembre 2010
Una quindicina di studenti si è introdotta nell'Accademia durante la notte Protesta studenti, occupata Brera e i licei Parini e Manzoni Assemblee e iniziative per sensibilizzare docenti e allievi sul tema dei tagli previsti dal ddl Gelmini * NOTIZIE CORRELATE * Migliaia di studenti in corteo. Traffico in tilt, mezzi deviati, tensioni in centro (30 novembre) Una quindicina di studenti si è introdotta nell'Accademia durante la notte Protesta studenti, occupata Brera e i licei Parini e Manzoni Assemblee e iniziative per sensibilizzare docenti e allievi sul tema dei tagli previsti dal ddl Gelmini MILANO - Ancora proteste questa mattina all'Accademia di Brera e nei due licei più importanti di Milano. Un piccolo gruppo di studenti, legati ai manifestanti che martedì hanno protestato in corteo contro il ddl Gelmini, hanno occupato l'Accademia di Belle arti. L'azione sarebbe stata compiuta intorno alle 4 di notte. Ad accorgersi dell'ingresso non autorizzato di estranei sarebbe stato, secondo indiscrezioni, l'istituto di vigilanza che si occupa dell'Accademia. Gli studenti, entrati in una quindicina, hanno ostruito il passaggio alle entrate dell’accademia lasciando libero soltanto l’ingresso principale. L’occupazione prosegue con assemblee e continue iniziative per sensibilizzare docenti e allievi sul tema dei tagli previsti dal ddl Gelmini, approvato alla Camera. Alle 17.45 gli studenti hanno organizzato un "flash mob", un corteo improvvisato dedicato a Mario Monicelli, in via Brera. "Attraverseremo le vie del centro di Milano - avevano annunciato gli studenti - per restituire un po' di cultura autoprodotta e genuina ad un paese che se l'è fatta rubare sotto al naso per vent'anni". I LICEI - Al liceo classico Parini, secondo quanto riferiscono gli studenti, l'autogestione è stata trasformata in occupazione in seguito ad un'assemblea in cui è stato messo ai voti il cambio di tipologia di protesta. "La riforma è passata - fanno sapere gli studenti - per cui abbiamo deciso di alzare il livello della protesta occupando la scuola". Durante la giornata sono in programma assemblee per decidere le attività che si svolgeranno nelle classi. Continua anche l’occupazione al liceo Manzoni, iniziata nei giorni scorsi, in cui gli studenti hanno deciso di continuare la protesta. Proseguono le occupazioni negli istituti Hajek, Severi e Pascal. Autogestioni al Caravaggio, San Vito, al liceo linguistico Manzoni di via Rubattino e all’Erasmo da Rotterdam di Sesto San Giovanni. In mobilitazione anche il liceo scientifico Cremona di viale Marche, i cui studenti martedì hanno occupato i binari della stazione Garibaldi per poi manifestare davanti a Palazzo Marino. IN STATALE - Resiste intanto il gruppo di studenti che nel tardo pomeriggio di martedì ha occupato alcune aule della sede distaccata della Statale in via Santa Sofia. Una decina di manifestanti, che hanno fatto irruzione dopo un inseguimento con le forze dell’ordine da piazza Missori, era già stata identificata in serata. L’occupazione prosegue anche nella facoltà di Scienze Politiche, in via Mascagni, dove i giovani erano entrati già dallo scorso lunedì pomeriggio al termine del corteo organizzato dai ricercatori saliti sul tetto della facoltà di Fisica nei giorni precedenti. Redazione online 01 dicembre 2010(ultima modifica: 02 dicembre 2010)
Annunciato dal ministro Bondi, sarà presentato al Consiglio dei ministri Piano straordinario per Pompei Ritorno della soprintendenza autonoma con poteri più incisivi per la tutela del sito Annunciato dal ministro Bondi, sarà presentato al Consiglio dei ministri Piano straordinario per Pompei Ritorno della soprintendenza autonoma con poteri più incisivi per la tutela del sito Uno scorcio del sito archeologico di Pompei (Ansa) Uno scorcio del sito archeologico di Pompei (Ansa) MILANO - Il ministro dei Beni culturali, Sandro Bondi, ha annunciato che presenterà in uno dei prossimi Consigli dei ministri provvedimenti d'urgenza e misure per il recupero del patrimonio archeologico. Tra i punti qualificanti ci sono il ritorno della soprintendenza autonoma di Pompei con poteri più incisivi per la tutela del sito; il piano straordinario di manutenzione con aumento di personale tecnico e invio immediato di archeologi, architetti e operai specializzati per realizzare tutti gli interventi necessari. È stato deciso al temine di un incontro in cui erano presenti tra gli altri il ministro, il presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro e il presidente della Provincia di Napoli, Luigi Cesaro. SOPRINTENDENTE - Nel corso dell'incontro - spiega il ministero - "è stata unanimemente condivisa la necessità di affrontare immediatamente le criticità connesse al sito archeologico di Pompei, adottando quanto prima, anche con provvedimenti d'urgenza, misure per il recupero del patrimonio archeologico. In particolare - sottolinea Bondi - verrà ricostituita la soprintendenza autonoma di Pompei e il soprintendente dovrà essere dotato di poteri più incisivi per la tutela del sito. Inoltre saranno individuati gli strumenti necessari per l'adozione di un piano straordinario di manutenzione con l'aumento del personale tecnico addetto e con l'invio immediato di una task force composta da archeologi, architetti e operai specializzati per realizzare tutti gli interventi necessari". Il ministro e i rappresentanti della Regione Campania e della Provincia di Napoli hanno concordato "una linea comune per il miglior utilizzo dei fondi europei sulle aree archeologiche interessate e l'esigenza di destinazione dei fondi Fas anche per l'area di Pompei". Infine, è stato deciso di "proseguire gli studi per la costituzione di un'eventuale fondazione, strumento essenziale per l'apporto di capitali privati". Redazione online 02 dicembre 2010
2010-11-30 A Roma e Milano le manifestazioni principali. occupati i binari della stazione termini Studenti contro il ddl Gelmini, cortei e caos in tutte le città italiane "Vogliamo che si fermino e lo chiediamo paralizzando il Paese per un giorno". In piazza anche i ricercatori * NOTIZIE CORRELATE * Il corteo di Roma * Il corteo di Milano * Il corteo di Palermo * Il corteo di Bologna * Il corteo di Bari A Roma e Milano le manifestazioni principali. occupati i binari della stazione termini Studenti contro il ddl Gelmini, cortei e caos in tutte le città italiane "Vogliamo che si fermino e lo chiediamo paralizzando il Paese per un giorno". In piazza anche i ricercatori Un momento della protesta di martedì mattina a Roma (Ansa) Un momento della protesta di martedì mattina a Roma (Ansa) MILANO - "Fermatevi". Lo chiedono al governo gli studenti d'Italia e promettono che non smetteranno di farlo. E che oggi, nel giorno della mobilitazione nazionale, il loro messaggio sarà forte e chiaro e arriverà con iniziative che "paralizzeranno il Paese". È iniziata all'insegna di queste parole e di questi propositi la manifestazione di studenti, ricercatori e dottorandi che hanno organizzato cortei e raduni in tutte le principali città italiane per protestare contro la riforma universitaria voluta dal governo. Un giorno di caos totale - è questo l'obiettivo - per far sentire la loro voce e chiedere ancora una volta al Parlamento di bloccare l'approvazione del ddl Gelmini che proprio oggi va in aula. I cortei degli studenti in Italia I cortei degli studenti in Italia I cortei degli studenti in Italia I cortei degli studenti in Italia I cortei degli studenti in Italia I cortei degli studenti in Italia I cortei degli studenti in Italia I cortei degli studenti in Italia CENTRI URBANI BLOCCATI - La promessa di paralizzare le città è stata mantenuta. Già dalle prime ore del mattino si sono registrati disagi nei principali centri urbani, dovuti agli spostamenti dei gruppi di manifestanti verso le aree di raduno. E le tensioni sono cresciute via via con l'entrata nel vivo delle manifestazioni. A Roma è stata transennata piazza Montecitorio per evitare il bis di quanto successo al Senato la scorsa settimana e nel primo pomeriggio la polizia ha caricato gli studenti in via del Corso. Intorno alle 17:30 i manifestanti hanno occupato i binari di Termini: centinaia di studenti sono entrati nello stazione principale della Capitale, lanciando cori, sventolando striscioni e accendendo fumogeni, quindi sono scesi sui binari, bloccandoli. Il tutto è durato poco più di un'ora, poi il corteo si è diretto verso La Sapienza da dove era partito martedì mattina. Complessivamente, ha reso noto il gruppo Ferrovie dello Stato, sono state 17 le stazioni prese di mira dagli studenti nel corso delle manifestazioni contro il ddl Gelmini. A metà pomeriggio risultavano ancora occupate le stazioni di Torino Porta Nuova, Torino Porta Susa, Milano Rogoredo, Pisa Centrale e Venezia Santa Lucia. A Padova e a Pisa i maggiori disagi per il traffico ferroviario. A Milano si sono registrati blocchi e lanci di uova e l'occupazione temporanea delle stazioni ferroviarie Cadorna e Garibaldi, oltre ad alcuni scontri tra manifestanti e polizia in via dell'Orso. Anche a Brescia ci sono stati tafferugli tra studenti e forze dell'ordine in piazza della Loggia dove i manifestanti hanno cercato di entrare nel palazzo comunale: dai ragazzi sono partiti lanci di bottiglie contro gli agenti che, a loro volta, hanno fatto ricorso al manganello. Un giovane è stato fermato. A Pisa un corteo di circa cinquemila studenti ha bloccato nel tardo pomeriggio il casello di ingresso sulla A12. Il blocco è durato trenta minuti circa e il tratto compreso tra Pisa centro e Livorno è stato chiuso al traffico in entrambi sensi di marcia. A Palermo il coordinamento "Studenti Medi" e gli universitari di Lettere e Filosofia e Scienze ha "occupato" simbolicamente la Cattedrale. A Napoli il corteo è stato preceduto da uno striscione dedicato a Mario Monicelli, morto suicida lunedì sera: "Caro Mario, la faremo 'sta rivoluzione", è stato scritto dai manifestanti. I quali, durante il corteo, hanno gettato sacchetti di immondizia davanti all'ingresso della Provincia e a quello della Regione. A Venezia gli studenti hanno assediato la stazione ferroviaria con forti ripercussioni sul traffico ferroviario. A Bari la protesta è andata in scena al teatro Petruzzelli dove una delegazione ha effettuato una occupazione simbolica esponendo da un balcone uno striscione con la scritta "Gelmini cala il sipario". A Bologna la protesta è arrivata a bloccare il tratto urbano della A14, dove però il traffico era stato precedentemente deviato dalla polizia stradale. C Studenti in corteo Studenti in corteo Studenti in corteo Studenti in corteo Studenti in corteo Studenti in corteo Studenti in corteo Studenti in corteo "VOGLIONO UCCIDERE L'UNIVERSITÀ" - "In queste settimane -si legge in una nota dell'Udu, l'Unione degli universitari - centinaia d'iniziative di contestazione contro la Riforma dell'università si sono moltiplicate in giro per il paese, occupazioni delle facoltà, dei tetti, blocchi del traffico, cortei, occupazione dei principali monumenti del nostro paese. Iniziative che avevano una sola richiesta: bloccare il ddl e salvare l'università pubblica dalla sua morte". "Con questo disegno di legge -aggiunge l'Udu- il governo vuole l'eutanasia del sistema universitario. Sistema, che noi per primi da anni diciamo che non va, ma questa riforma non è la medicina, ma il suo veleno mortale. Questa è una riforma che taglia il fondo per le borse di studio, introduce un'idea di merito finta, diminuisce drasticamente la rappresentanza studentesca elimina la figura del ricercatore e soprattutto taglia il finanziamento al fondo di finanziamento ordinario. Tagli che decreteranno la chiusura di molti atenei. Noi non difendiamo i baroni, ma li vogliono cacciare. Loro stanno con lei, non con noi". Redazione online 30 novembre 2010
Passa un emendamento di Fli su cui c'era il parere contrario dell'esecutivo Riforma università: governo, doppio ko Berlusconi: "Andate a studiare" Il premier: "Gli studenti veri stanno a casa a studiare, quelli in giro a protestare sono dei centri sociali" * NOTIZIE CORRELATE * Cortei e manifestazioni in tutta Italia, caos e tafferugli nelle principali città (30 novembre 2010) Passa un emendamento di Fli su cui c'era il parere contrario dell'esecutivo Riforma università: governo, doppio ko Berlusconi: "Andate a studiare" Il premier: "Gli studenti veri stanno a casa a studiare, quelli in giro a protestare sono dei centri sociali" Il tabellone luminoso di Montecitorio che certifica il sì all'emendamento Granata su cui il governo aveva espresso parere contrario (Ansa) Il tabellone luminoso di Montecitorio che certifica il sì all'emendamento Granata su cui il governo aveva espresso parere contrario (Ansa) MILANO - La riforma dell'università continua ad essere una vera e propria via crucis per il governo. Dopo le sconfitte dei giorni scorsi l'esecutivo è stato ancora una volta battuto due volte nell'Aula della Camera. La prima volta su un emendamento del gruppo di Futuro e Libertà all'articolo 19 della riforma dell'Università, relativo agli assegni di ricerca. Il testo, su cui c'era il parere contrario di governo e commissione Bilancio, è stato approvato con 277 sì e 257 no. L'emendamento, a firma di Fabio Granata, è relativo, come detto, all'articolo 19 sugli assegni di ricerca che prevede che la norma non possa portare "oneri aggiuntivi" anziché "nuovi o maggiori oneri" com'era la versione precedente. La relatrice Paola Frassinetti, Pdl, minimizza, spiegando che si tratta di un emendamento "tecnico" che non incide sull'impianto della riforma. SECONDO KO - La seconda volta il governo è andato sotto su tre emendamenti identici di Fli, Api e Pd che prevedono la soppressione della "clausola di salvaguardia" inserita nella riforma dell'università. Con l'approvazione degli emendamenti è stata eliminata la norma che prevedeva una sorta di "commissariamento" per il Ministero dell'Istruzione da parte del ministero dell'Economia nel caso in cui si fossero verificati o fossero in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di spesa. La discussione del ddl era iniziata in contemporanea alle manifestazioni e ai cortei che i coordinamenti di studenti, ricercatori e dottorandi hanno organizzato in tutta Italia per chiedere all'esecutivo di fare dietrofront su una riforma che viene considerata penalizzante. "ANDATE A STUDIARE" - Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, di rientro a Palazzo Grazioli, ha liquidato le manifestazioni dicendo che "gli studenti veri stanno a casa a studiare, quelli in giro a protestare sono dei centri sociali e sono fuori corso". E quanto al ddl in discussione alla Camera ha spiegato che "quella in Parlamento è una buona riforma che favorisce gli studenti, i professori e più in generale tutto il mondo accademico e dunque deve passare se vogliamo finalmente ammodernare l'università". Quanto alle critiche arrivate da più parti, il capo del governo ha rilevato che "è stata discussa con tutte le parti in causa, modificata, migliorata e credo che meglio di così non si potesse proprio fare". Inoltre, ha aggiunto, "introduce maggiore meritocrazia ed è davvero un vantaggio per tutti". FINI - Critico sulle manifestazioni anche il presidente della Camera Gian Franco Fini: "Gli estremisti che hanno bloccato Roma e causato gravi incidenti non hanno reso un buon servizio alla stragrande maggioranza di studenti scesi in piazza con motivazioni non totalmente condivisibili ma certamente animate da una positiva volontà di partecipazione e di miglioramento delle condizioni della nostra Università". "Per questo - conclude - esprimo la mia solidarietà alle forze di polizia, ai cittadini romani e ai tantissimi giovani in buona fede, la cui protesta è stata strumentalizzata". SCHIFANI - "I gravi incidenti che oggi hanno paralizzato la città di Roma non hanno certamente giovato alla vita democratica e a chi voleva manifestare pacificamente" sostiene il presidente del Senato, Renato Schifani. "Gli attacchi alle forze dell'ordine - osserva Schifani - sono da condannare assieme ad ogni altra forma di violenza e di facile strumentalizzazione". BERSANI - Di tutt'altro parere il leader del Pd Pier Luigi Bersani che spiega: "Mi pare che nella stragrande maggioranza studenti e ricercatori si sono mossi in modo pacifico. Ha impressionato la città militarizzata, mai vista Roma così, e se si è arrivati a questa tensione è per irresponsabilità del governo che ha perso la testa e la presa sui problemi del paese". Bersani attacca il governo sottolinendo che "non sarà in grado di portare a termine questa riforma nella sua applicazione". "Non riapriamo il tema di chi è fuori corso perchè creerebbe nella maggioranza più imbarazzi di quelli provocati da Wikileaks" ha aggiunto il segretario del Pd rispondendo ai giornalisti sulle affermazioni del premier Berlusconi sul fatto che i "bravi" studenti sono a casa a studiare e non in piazza. POLEMICA SICUREZZA- Roma è stata "assediata da una vera e propria tenaglia militare, che ricorda altre epoche e altre capitali: Roma blindata e sequestrata come Santiago del Cile" ai tempi di Pinochet fa eco a Bersani Nichi Vendola, presidente di Sinistra ecologia libertà, sulla gestione dell'ordine pubblico da parte del ministro dell'Interno, Roberto Maroni. E da quest'ultimo arriva immediata la replica alle accuse di Vendola: " "Io ho il compito di gestire l'ordine pubblico e evitare incidenti e l'assalto ai luoghi sacri della democrazia, come avvenuto la scorsa settimana in Senato. E mi pare che tutto sta avvenendo con grande responsabilità delle forze dell'ordine che hanno subito violenza e stanno gestendo una situazione molto complicata". LA NORMA ANTI-PARENTOPOLI - Tra gli altri voti collegati al ddl di riforma universitaria va segnalato quello sulla norma cosiddetta "anti-parentopoli". La proposta del governo, concretizzata in un subemendamento della commissione, è passata con il voto favorevole di maggioranza e opposizione. A favore ha votato anche Fli, mentre dall'Idv è giunto un voto contrario. La nuova norma prevede che siano esclusi dalla chiamata candidati che siano parenti e affini "fino al quarto grado compreso, un professore appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata; o con il rettore, il direttore generale o con un consigliere di amministrazione dell'ateneo". Contraria l'Idv, che pure ha presentato un emendamento anti-parentopoli perchè, come ha spiegato in aula Borghesi, "un professore, con una lettera di appena due righe può facilmente uscire da un dipartimento e il giorno stesso, con un altrettanto breve missiva, rientrarvi. Non va inoltre dimenticato che, secondo la Cassazione, nepotismo e familismo sono reati. Questo subemendamento che propone la nuova linea del governo, svuota di contenuto il nostro emendamento. Per questo non possiamo votarlo". LIMITI PER I DOCENTI A CONTRATTO - Un altro emendamento, quello presentato dall'on Mazzarella del Pd, avrà invece come effetto lo stop alla proliferazione dei docenti a contratto nelle università. Il testo è stato appoggiato anche dalla maggioranza e prevede che "i contratti a titolo gratuito non possono superare nell'anno accademico il 5% dell'organico dei professori e ricercatori di ruolo in servizio presso l'ateneo". Inoltre, in base ad un emendamento a prima firma di Latteri, Gruppo Misto, i contratti di docenza (oggi spesso abusati per coprire i vuoti di organico) possono essere rinnovati per "un periodo massimo di cinque anni". Redazione online 30 novembre 2010
2010-11-25 IL MINISTRO: "Se IL TESTO viene stravoltO, lo ritiro". Bersani: "Lo faccia e discutiamo" Università, slitta la riforma Alla Camera le opposizioni (più Gelmini e Alfano per errore) votano a favore di un emendamento di Fli IL MINISTRO: "Se IL TESTO viene stravoltO, lo ritiro". Bersani: "Lo faccia e discutiamo" Università, slitta la riforma Alla Camera le opposizioni (più Gelmini e Alfano per errore) votano a favore di un emendamento di Fli MILANO - Dopo essere finito sotto due volte martedì e una mercoledì a Montecitorio, il governo viene di nuovo battuto alla Camera su un emendamento di Futuro e libertà nel disegno di legge di riforma dell'università su cui l'esecutivo aveva dato parere contrario. L'emendamento all'articolo 16, di cui è primo firmatario Fabio Granata (Fli), è passato con 261 no, 282 sì e tre astenuti. L'approvazione dell'emendamento è stata accolta con applausi da parte dell'opposizione. VOTO - Il voto finale di Montecitorio sul provvedimento, che era atteso nel pomeriggio, slitta a martedì, poi il ddl passerà al Senato. Il ministro Mariastella Gelmini, dopo la nuova battuta d'arresto alla Camera, ha riferito che l'emendamento approvato non è "particolarmente significativo, ma se saranno votati emendamenti il cui contenuto stravolge il senso della riforma, mi vedrei costretta a ritirarla". Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, coglie al volo l'idea del ministro: "Gelmini ritiri subito il ddl e iniziamo a discutere come correggere alcune distorsioni di questa legge e come trovare risorse per sostenere diritto allo studio e alla ricerca. Il ministro mi dà dello studente ripetente", ha aggiunto Bersani. "Domani metterò su internet il mio voto di laurea e di tutti gli esami sostenuti. Mi aspetto che Gelmini faccia altrettanto, compreso il giro turistico a Reggio Calabria", ha detto il leader del Pd riferendosi all'esame di Stato di abilitazione come avvocato che il ministro bresciano svolse nel capoluogo calabrese. GELMINI E ALFANO - Tra l'altro i ministri Gelmini e Angelino Alfano per errore avevano votato a favore dell'emendamento, errore da loro stesso subito denunciato con richiesta di correzione del risultato della votazione. "Se anche i due ministri, seppure erroneamente, votano con le opposizioni è un buon segnale per chi in tutta Italia sta protestando", ha commentato Roberto Giachetti (Pd), ripreso però subito dal presidente di turno dell’assemblea, Rosy Bindi: "Non confonda le scelte politiche con la semplice distrazione, che può capitare anche a chi siede al governo". SFIDUCIA - Dario Franceschini, capogruppo del Pd, ha commentato così il risultato: "I numeri per la sfiducia ci sono: si tratta solo di verificare la volontà politica di far cadere il governo". Ha replicato il capogruppo del Pdl, Fabrizio Cicchitto: "La maggioranza non è in balia di nessuno. La verifica vera sull’esistenza o meno della maggioranza ci sarà il 14 dicembre: se ci sarà una maggioranza occasionale, provocatoria o raccogliticcia, chiederemo al presidente della Repubblica di tornare dal corpo elettorale". Secondo il ministro Alfano, "si trattava di un emendamento del tutto ininfluente rispetto alla legge, ma rientra in un copione: una o due volte al giorno bisogna far andare sotto il governo per dimostrare l'indispensabilità di Fli". MARCEGAGLIA - Sul dibattito è intervenuta anche Emma Marcegaglia. Il presidente della Confindustria chiede "a tutte le forze politiche di approvare nel più breve tempo possibile la riforma dell'università, pur se è perfettibile, perché introduce elementi importanti per una governance più efficiente e per una migliore valutazione del merito. Sarebbe veramente inaccettabile che per litigi interni cadesse". Redazione online 25 novembre 2010
Alla Camera ripreso l'esame del ddl. Gelmini: "Senza riforma atenei in bancarotta" Proteste degli studenti, blitz al Colosseo Cortei in tutta Italia e occupazioni in molti atenei. A Firenze tafferugli tra polizia e manifestanti * NOTIZIE CORRELATE * Tensioni con la polizia a Milano: due contusi Alla Camera ripreso l'esame del ddl. Gelmini: "Senza riforma atenei in bancarotta" Proteste degli studenti, blitz al Colosseo Cortei in tutta Italia e occupazioni in molti atenei. A Firenze tafferugli tra polizia e manifestanti Corteo degli studenti uiversitari a Torino (Ansa) Corteo degli studenti uiversitari a Torino (Ansa) MILANO - Scontri a Firenze tra studenti e polizia e blitz al Colosseo: in tutta Italia si protesta contro la riforma universitaria mentre prosegue alla Camera l'esame del disegno di legge in questione con il governo di nuovo battuto su un emendamento di Futuro e libertà. A Roma gli studenti sono riusciti a entrare all'interno dell'Anfiteatro Flavio e affacciandosi dal secondo anello hanno esposto uno striscione che reca la scritta "Nessun taglio, nessun profitto". Poi hanno dato vita a un corteo all'interno del monumento simbolo della Capitale. In molti hanno gridato in coro "Siamo noi i veri leoni" e hanno acceso fumogeni rossi, tra lo stupore dei turisti presenti. Il blitz al Colosseo è durato pochi minuti e non ha creato particolari tensioni. La rivolta degli studenti in tutta Italia La rivolta degli studenti in tutta Italia La rivolta degli studenti in tutta Italia La rivolta degli studenti in tutta Italia La rivolta degli studenti in tutta Italia La rivolta degli studenti in tutta Italia La rivolta degli studenti in tutta Italia La rivolta degli studenti in tutta Italia GELMINI - Nel caso in cui la riforma risulterà stravolta "sarò costretta a ritirarla", è l'avvertimento lanciato da Mariastella Gelmini dopo il nuovo ko alla Camera. In mattinata, intervenendo a Mattino Cinque, il ministro dell'Istruzione aveva ribadito che le risorse per l'università sono state trovate e sono del tutto sufficienti. "Senza la riforma le università vanno verso la bancarotta e saranno "commissariate" dalle banche", aveva detto. "Nella legge di stabilità è stato stanziato un miliardo di euro, una cifra sufficiente per far fronte non solo alle spese di funzionamento dell'università, ma anche al diritto allo studio". Per quanto riguarda la protesta, Gelmini ritiene che "l'elemento più anomalo è la saldatura tra baroni e una parte degli studenti". PROTESTE - Sul fronte delle proteste, gli studenti universitari, dopo il sit-in di mercoledì e il blitz al Senato, hanno proseguito le manifestazioni contro la riforma Gelmini. A Roma rinforzati i presidi delle forze dell'ordine che hanno bloccato gli accessi per impedire l'accesso in piazza Montecitorio. In mattinata davanti alla Sapienza di Roma, la cui inaugurazione dell'anno accademico (prevista venerdì) è stata rimandata dal rettore, è comparso uno striscione: "Libertà per gli studenti - due, ndr - arrestati". A Milano un corteo di circa 400 gli studenti degli istituti superiori ha attraversato il centro: tensioni con la polizia al Politecnico e in piazzale Loreto, due ragazzi sono rimasti contusi. A Napoli, la sede dell’Università degli studi Orientale è stata occupata così come il rettorato dell'Università Federico II. A Palermo sei cortei formati un migliaio di studenti si sono diretti all'Ufficio scolastico provinciale e in seguito hanno bloccato la stazione per un'ora e l'ingresso al porto. A Bari una ventina di studenti ha occupato la facoltà di ingegneria del Politecnico. A Torino sfidando il freddo i ricercatori dell'università hanno trascorso la seconda notte sul tetto della sede delle facoltà umanistiche, sono state occupate le sedi del Politicnico e ci sono stati picchetti davanti alle facoltà di fisica e chimica. Inoltre davanti alla sede della Regione Piemonte sono stati lanciati uova e fumogeni e la stazione di Porta Susa è stata bloccata per mezz'ora. Ad Ancona un gruppo di studenti ha occupato il tetto della facoltà di ingegneria del Politecnico. A Bologna un corteo di qualche centinaio di studenti ha creato qualche difficoltà agli autobus in centro. A Firenze carica di alleggerimento delle forze dell'ordine davanti a scienze sociali dove si erano raccolti circa 500 giovani dei collettivi di sinistra, che protestavano contro la partecipazione del sottosegretario Daniela Santanchè a un dibattito sull'immigrazione. In precedenza dai manifestanti erano stati lanciati alcuni fumogeni. A Cagliari è proseguita l'occupazione del tetto del Palazzo delle scienze: agli studenti si sono associati alcuni ricercatori. A Pisa gli studenti sono saliti sulla Torre Pendente e hanno srotolato uno striscione. Redazione online 25 novembre 2010
NO GELMINI Studenti in piazza contro i tagli Il corteo dei liceali in solidarietà con i coetanei di Roma, coinvolti mercoledì nei tafferugli davanti al Senato * NOTIZIE CORRELATE * Studenti: assalto al Senato, tafferugli (24 novembre) NO GELMINI Studenti in piazza contro i tagli Il corteo dei liceali in solidarietà con i coetanei di Roma, coinvolti mercoledì nei tafferugli davanti al Senato Scontri con la polizia (foto Procopio) Scontri con la polizia (foto Procopio) MILANO - "Blocchiamo il ddl Gelmini, fermiamo tutto, dimettetevi tutti ora!": questo il testo dello striscione di apertura del corteo di circa 500 studenti delle scuole superiori, che ha percorso il centro di Milano. Partita da piazza Cairoli intorno alle 10, la manifestazione ha avuto al momento un primo momento di tensione intorno alle 10.45 in via Manin, quando una trentina di giovani hanno fatto irruzione nella sede dell’Agenzia delle Entrate e alcuni di loro sono poi saliti al primo piano dove da un balcone hanno calato uno striscione con la scritta "Più soldi alla scuola, zero alla guerra". La facciata della sede è stata colpita da uova e vernice. L'"assalto" è durato pochi minuti, poi gli studenti hanno abbandonato l’edificio lasciando lo striscione appeso al balcone. Al corteo, ripartito verso Porta Venezia, si è aggiunto un piccolo gruppo dei centri sociali. La protesta, organizzata dopo i tafferugli di ieri a Palazzo Madama, si è svolta in contemporanea con i lavori sulla riforma dell’Università nell’aula di Montecitorio. Corteo e scontri con la polizia Corteo e scontri con la polizia Corteo e scontri con la polizia Corteo e scontri con la polizia Corteo e scontri con la polizia Corteo e scontri con la polizia Corteo e scontri con la polizia Corteo e scontri con la polizia VERNICE SU SCUOLA PRIVATA - Lancio di vernice azzurra anche sulla porta d’ingresso della scuola privata europea di viale Majno. Dall’altra parte della stessa strada le forze dell’ordine in assetto antisommossa hanno bloccato l’accesso alla redazione di Libero. La manifestazione ha creato alcuni disagi al traffico in piazza Oberdan, viale Majno e all’incrocio con viale Piave. Attimi di tensione durante il corteo quando alcuni partecipanti alla manifestazione hanno circondato l'inviato del Corriere che stava seguendo in diretta la manifestazione, cercando di farlo allontanare verso il marciapiede. Il giornalista si è rivolto ai presenti e tutto si è risolto in pochi istanti con l'intervento di altri ragazzi che si sono scusati con lui. Dal corteo, espressioni di solidarietà agli immigrati che da una ventina di giorni manifestano sulla torre dell'ex Carlo Erba, a Milano: "In questa città - hanno urlato gli studenti dei Collettivi - per farci ascoltare bisogna occupare o salire sui palazzi e sulle torri". Il corteo ha quindi raggiunto il Politecnico dove si è congiunto con quello degli universitari. TENSIONI AL POLITECNICO - A sorpresa un corteo partito da piazza Leonardo Da Vinci, davanti all'ingresso principale del Politecnico, ha fatto ingresso dentro un'ala dell'università, sorprendendo le forze dell'ordine. Gli studenti, due o trecento, hanno fatto irruzione in un'ala del Politecnico entrando da via Boiardo, e l'hanno attraversata velocemente e incitando gli universitari a unirsi a loro in corteo. Poi sono usciti dalla parte opposta, in via Ampere. Il blitz dentro il Politecnico, avvenuto di fronte a docenti e studenti abbastanza perplessi, è stato improvvisato quando le forze dell'ordine si sono schierate per impedire loro di proseguire in via Boiardo verso la stazione di Lambrate. In quell'occasione ci sono stati momenti di tensione e la polizia, per contenerli, ha dovuto brevemente utilizzare la forza. DUE CONTUSI A LORETO - In piazzale Loreto, all'angolo con viale Gran Sasso, manifestanti e forze dell'ordine sono arrivati due volte al contatto. Nel primo caso si è trattata di una carica di alleggerimento, nel secondo caso i tafferugli sono esplosi con maggiore violenza. Le cariche, a colpi di manganello, sono scattate sulla scala della stazione e lungo i binari del tram. Sono due i giovani rimasti contusi alla testa e al volto da alcune manganellate. Un centinaio di studenti ha presidiato per un paio d'ore l’incrocio tra viale Abruzzi e viale Gran Sasso, circondati da poliziotti e carabinieri in assetto antisommossa. Il corteo degli studenti si è poi mosso verso la facoltà di Fisica della Statale, dove una trentina di ricercatori del Politecnico è salita sul terrazzo per protestare contro il ddl Gelmini. RICERCATORI SUL TETTO - "Vogliamo una discussione pubblica, con un vero contraddittorio, perché la gente non sa che cosa si sta facendo all'Università", hanno chiesto i ricercatori. "Sono mesi che protestiamo - dice Alessandro Dama, ricercatore - nonostante manifestazioni, mozioni di facoltà e del Consiglio Accademico che sostegno le nostre ragioni e le nostre perplessità non riusciamo ad ottenere l'attenzione dei media e del pubblico. Non è un caso se un'università ha comprato una intera pagina, a pagamento quindi, su un quotidiano (il Corriere, ndr). E di conseguenza la Gelmini riesce così a spacciare una riforma contro i giovani come una riforma contro i baroni". "Ci stiamo organizzando per la notte, perché abbiamo deciso di proseguire il presidio, per ora rimarremo qui questa notte con un gruppetto di una quindicina di colleghi, poi si vedrà", ha spiegato uno dei coordinatori della protesta. "CARICATI SELVAGGIAMENTE" - Gli organizzatori del corteo, dal tetto della Facoltà di Fisica, hanno parlato di "carica selvaggia" e di "brutale aggressione" da parte delle forze dell'ordine. La questura ha invece precisato che in entrambi i casi si è trattato di brevi tafferugli per impedire al corteo di recarsi, in un caso a occupare la stazione Fs di Lambrate, e nell'altro di continuare a sciamare per le vie della città e che comunque "si trattava di percorsi non autorizzati", diversi da quelli concordati per il corteo. Durante la conferenza stampa sul tetto del Politecnico, gli organizzatori del corteo hanno parlato di 6-7 feriti tra i manifestanti. Il 118 ha trasportato una sola persona da viale Abruzzi: si tratta di uno studente di 18 anni dell'Istituto Manzoni, che è stato portato al Fatebenefratelli in codice verde. Il giovane, la cui posizione giuridica è in corso di valutazione da parte della questura, avrebbe riportato un "trauma cranico e una contusione facciale". Altri due o tre manifestanti, durante i tafferugli sono stati visti doloranti, tra cui un paio di ragazze. Secondo gli studenti sono andati da soli al pronto soccorso per farsi sottoporre ad accertamenti. La questura ha precisato che a parte il diciottenne che si trova al Fatebenefratelli, non ci sono stati fermati. DE CORATO: DANNI PER 60 MILA EURO - "Almeno 60mila euro". A tanto ammontano, secondo il vicesindaco e assessore alla Sicurezza Riccardo De Corato, i danni provocati dal corteo degli studenti. Un corteo, "il 18esimo da inizio anno", che per De Corato si è trasformato nell'"ennesimo brutto spettacolo e che si è distinto, tra l'altro, per i tafferugli con le forze dell'ordine in via Boiardo, a Loreto e viale Abruzzi, l'occupazione dell'Agenzia delle Entrate e l'irruzione in Università". Disordini che "mascherano l'ennesimo flop perché il canovaccio è stato recitato dallo 0,3% degli studenti milanesi (500 persone su 150 mila), ma costerà alla collettività". Redazione online 25 novembre 2010
BOTTA E RISPOSTA Bersani sfida Gelmini: "Ecco i miei 30" Gelmini al leader Pd: "Studente ripetente" Lui mette i voti online e attacca: "Lo faccia pure lei" BOTTA E RISPOSTA Bersani sfida Gelmini: "Ecco i miei 30" Gelmini al leader Pd: "Studente ripetente" Lui mette i voti online e attacca: "Lo faccia pure lei" La copia del libretto universitario di Bersani pubblicata su Facebook dal leader del Pd - La copia del libretto universitario di Bersani pubblicata su Facebook dal leader del Pd - MILANO - Il ministro dell'Istruzione in persona gli ha dato dello "studente ripetente", criticando la sua scelta di salire sui tetti della Sapienza. E Pier Luigi Bersani non l'ha mandata proprio giù. Orchestrando una replica degna di nota: la pubblicazione, sulla bacheca di Facebook, di una copia del suo libretto universitario. Una sfilza di 30 o 30 e lode e un solo 28 i voti collezionati all'università di Bologna (guarda). "FACCIA ALTRETTANTO" - "Come promesso, ecco i miei voti del corso di Filosofia, Storia del cristianesimo in cui mi sono laureato con 110 e lode" scrive online il segretario dei democratici. Invitando Mariastella Gelmini a fare la stessa cosa. Il guanto di sfida Bersani lo aveva lanciato al ministro già nell'aula di Montecitorio: "Pubblicherò su Internet tutti i voti di tutti i miei esami del mio corso di laurea. Mi aspetto che il ministro faccia altrettanto, completo di "giro turistico" a Reggio Calabria". Una dura replica alle critiche della titolare dell'Istruzione, che aveva bocciato l'iniziativa del leader del Pd di salire sui tetti con gli universitari. "Non si capisce se in veste di segretario precario del Pd, piuttosto che di studente ripetente" aveva detto il ministro a Mattino Cinque riferendosi a Bersani. "Il Pd - ha aggiunto la Gelmini - ha scelto di non discutere nemmeno la riforma, questa come quelle della scuola e della Pubblica amministrazione. Ho stima di alcuni parlamentari del Partito democratico, che purtroppo rappresentano una minoranza e che si battono per le riforme. Ma oggi il Pd è quello di Bersani che, appunto, sale sui tetti". IL LIBRETTO - "Studente ripetente" non è certo l'appellativo più appropriato per Bersani, stando almeno al suo libretto universitario. Tutti 30, in alcuni casi cum laude, in materie come Letteratura italiana, Storia romana, Medievale, moderna, del Risorgimento, Storia della Chiesa, Storia del cristianesimo, Antropologia culturale, Storia delle dottrine politiche, Psicologia, Storia della filosofia, della filosofia antica e medievale, Filosofia della storia. Solo un 28, il voto più basso, in Letteratura latina. A questo punto non resta che vedere se la Gelmini raccoglierà la sfida. Redazione online 25 novembre 2010
La copia del libretto universitario di Bersani pubblicata su Facebook dal leader del Pd - ] La copia del libretto universitario di Bersani pubblicata su Facebook dal leader del Pd -
Nella città calabrese l'anno precedente il record di ammessi con il 93 per cento Da Brescia a Reggio Calabria Così la Gelmini diventò avvocato L'esame di abilitazione all'albo nel 2001. Il ministro dell'Istruzione: "Dovevo lavorare subito" Novantatré per cento di ammessi agli orali! Come resistere alla tentazione? E così, tra i furbetti che nel 2001 scesero dal profondo Nord a fare gli esami da avvocato a Reggio Calabria si infilò anche Mariastella Gelmini. Ignara delle polemiche che, nelle vesti di ministro, avrebbe sollevato con i (giusti) sermoni sulla necessità di ripristinare il merito e la denuncia delle condizioni in cui versano le scuole meridionali. Scuole disastrose in tutte le classifiche "scientifiche" internazionali a dispetto della generosità con cui a fine anno vengono quasi tutti promossi. La notizia, stupefacente proprio per lo strascico di polemiche sulla preparazione, la permissività, la necessità di corsi di aggiornamento, il bagaglio culturale dei professori del Mezzogiorno, polemiche che hanno visto battagliare, sull'uno o sull'altro fronte, gran parte delle intelligenze italiane, è stata data nella sua rubrica su laStampa.it da Flavia Amabile. La reazione degli internauti che l'hanno intercettata è facile da immaginare. Una per tutti, quella di Peppino Calabrese: "Un po' di dignità ministro: si dimetta!!" Direte: possibile che sia tutto vero? La risposta è nello stesso blog della giornalista. Dove la Gelmini ammette. E spiega le sue ragioni. Un passo indietro. È il 2001. Mariastella, astro nascente di Forza Italia, presidente del consiglio comunale di Desenzano ma non ancora lanciata come assessore al Territorio della provincia di Brescia, consigliere regionale lombarda, coordinatrice azzurra per la Lombardia, è una giovane e ambiziosa laureata in giurisprudenza che deve affrontare uno dei passaggi più delicati: l'esame di Stato. Per diventare avvocati, infatti, non basta la laurea. Occorre iscriversi all'albo dei praticanti procuratori, passare due anni nello studio di un avvocato, "battere" i tribunali per accumulare esperienza, raccogliere via via su un libretto i timbri dei cancellieri che accertino l'effettiva frequenza alle udienze e infine superare appunto l'esame indetto anno per anno nelle sedi regionali delle corti d'Appello con una prova scritta (tre temi: diritto penale, civile e pratica di atti giudiziari) e una (successiva) prova orale. Un ostacolo vero. Sul quale si infrangono le speranze, mediamente, della metà dei concorrenti. La media nazionale, però, vale e non vale. Tradizionalmente ostico in larga parte delle sedi settentrionali, con picchi del 94% di respinti, l'esame è infatti facile o addirittura facilissimo in alcune sedi meridionali. Un esempio? Catanzaro. Dove negli anni Novanta l'"esamificio" diventa via via una industria. I circa 250 posti nei cinque alberghi cittadini vengono bloccati con mesi d'anticipo, nascono bed&breakfast per accogliere i pellegrini giudiziari, riaprono in pieno inverno i villaggi sulla costa che a volte propongono un pacchetto "all-included": camera, colazione, cena e minibus andata ritorno per la sede dell'esame. Ma proprio alla vigilia del turno della Gelmini scoppia lo scandalo dell'esame taroccato nella sede d'Appello catanzarese. Inchiesta della magistratura: come hanno fatto 2.295 su 2.301 partecipanti, a fare esattamente lo stesso identico compito perfino, in tantissimi casi, con lo stesso errore ("recisamente" al posto di "precisamente", con la "p" iniziale cancellata) come se si fosse corretto al volo chi stava dettando la soluzione? Polemiche roventi. Commissari in trincea: "I candidati — giura il presidente della "corte" forense Francesco Granata — avevano perso qualsiasi autocontrollo, erano come impazziti". "Come vuole che sia andata? — spiega anonimamente una dei concorrenti imbroglioni —. Entra un commissario e fa: "Scrivete". E comincia a dettare il tema. Bello e fatto. Piano piano. Per dar modo a tutti di non perdere il filo". Le polemiche si trascinano per mesi e mesi al punto che il governo Berlusconi non vede alternative: occorre riformare il sistema con cui si fanno questi esami. Un paio di anni e nel 2003 verrà varata, per le sessioni successive, una nuova regola: gli esami saranno giudicati estraendo a sorte le commissioni così che i compiti pugliesi possano essere corretti in Liguria o quelli sardi in Friuli e così via. Riforma sacrosanta. Che già al primo anno rovescerà tradizioni consolidate: gli aspiranti avvocati lombardi ad esempio, valutati da commissari d'esame napoletani, vedranno la loro quota di idonei raddoppiare dal 30 al 69%. Per contro, i messinesi esaminati a Brescia saranno falciati del 34% o i reggini ad Ancona del 37%. Quanto a Catanzaro, dopo certi record arrivati al 94% di promossi, ecco il crollo: un quinto degli ammessi precedenti. In quei mesi di tormenti a cavallo tra il 2000 e il 2001 la Gelmini si trova dunque a scegliere, spiegherà a Flavia Amabile: "La mia famiglia non poteva permettersi di mantenermi troppo a lungo agli studi, mio padre era un agricoltore. Dovevo iniziare a lavorare e quindi dovevo superare l'esame per ottenere l'abilitazione alla professione". Quindi? "La sensazione era che esistesse un tetto del 30% che comprendeva i figli di avvocati e altri pochi fortunati che riuscivano ogni anno a superare l'esame. Per gli altri, nulla. C'era una logica di casta, per fortuna poi modificata perché il sistema è stato completamente rivisto". E così, "insieme con altri 30-40 amici molto demotivati da questa situazione, abbiamo deciso di andare a fare l'esame a Reggio Calabria". I risultati della sessione del 2000, del resto, erano incoraggianti. Nonostante lo scoppio dello scandalo, nel capoluogo calabrese c'era stato il primato italiano di ammessi agli orali: 93,4%. Il triplo che nella Brescia della Gelmini (31,7) o a Milano (28,1), il quadruplo che ad Ancona. Idonei finali: 87% degli iscritti iniziali. Contro il 28% di Brescia, il 23,1% di Milano, il 17% di Firenze. Totale: 806 idonei. Cinque volte e mezzo quelli di Brescia: 144. Quanti Marche, Umbria, Basilicata, Trentino, Abruzzo, Sardegna e Friuli Venezia Giulia messi insieme. Insomma, la tentazione era forte. Spiega il ministro dell'Istruzione: "Molti ragazzi andavano lì e abbiamo deciso di farlo anche noi". Del resto, aggiunge, lei ha "una lunga consuetudine con il Sud. Una parte della mia famiglia ha parenti in Cilento". Certo, è a quasi cinquecento chilometri da Reggio. Ma sempre Mezzogiorno è. E l'esame? Com'è stato l'esame? "Assolutamente regolare". Non severissimo, diciamo, neppure in quella sessione. Quasi 57% di ammessi agli orali. Il doppio che a Roma o a Milano. Quasi il triplo che a Brescia. Dietro soltanto la solita Catanzaro, Caltanissetta, Salerno. Così facevan tutti, dice Mariastella Gelmini. Da oggi, dopo la scoperta che anche lei si è infilata tra i furbetti che cercavano l'esame facile, le sarà però un po' più difficile invocare il ripristino del merito, della severità, dell'importanza educativa di una scuola che sappia farsi rispettare. Tutte battaglie giuste. Giustissime. Ma anche chi condivide le scelte sul grembiule, sul sette in condotta, sull'imposizione dell'educazione civica e perfino sulla necessità di mettere mano con coraggio alla scuola a partire da quella meridionale, non può che chiedersi: non sarebbero battaglie meno difficili se perfino chi le ingaggia non avesse cercato la scorciatoia facile? Gian Antonio Stella 04 settembre 2008(ultima modifica: 05 settembre 2008)
2010-11-24 PUBBLICA ISTRUZIONE Università, riparte la protesta: occupate 5 facoltà, ricercatori sul tetto Contestazioni da Fisica a Filosofia contro la riforma Gelmini. Mercoledì sit-in alla Camera di 18 collettivi * NOTIZIE CORRELATE * Studenti liceali in sit-in a Montecitorio (23 nov 10) * Il sito di Atenei in rivolta * La protesta di ottobre: tende a ingegneria (11 ott 10) * Sapienza, universitari in piazza: flashmob contro Tremonti (4 nov 10) PUBBLICA ISTRUZIONE Università, riparte la protesta: occupate 5 facoltà, ricercatori sul tetto Contestazioni da Fisica a Filosofia contro la riforma Gelmini. Mercoledì sit-in alla Camera di 18 collettivi ROMA - Ricercatori sul tetto. Assemblee e facoltà occupate. L’università si mobilita mentre riprende l’iter parlamentare per l’approvazione della Riforma Gelmini. Martedì pomeriggio, in piazza Borghese a Roma, i Ricercatori della Rete 29 Aprile e i Ricercatori Precari sono saliti sopra il tetto del dipartimento di storia dell’Architettura. "Intendiamo rimanerci ad oltranza – fanno sapere i ricercatori – finché non verrà accantonata l’approvazione della riforma Gelmini. Siamo costretti difatti ad arroccarci su un edificio di un sapere ancora pubblico per difenderlo dagli attacchi di un Governo che vuole privatizzare l’intero sistema universitario – continuano dalla Rete 29 Aprile – partendo dagli Atenei con il taglio al FFO e la riforma Gelmini che in queste ore sta per essere approvata alla Camera". Studenti de La Sapienza in assemblea (Eidon) Studenti de La Sapienza in assemblea (Eidon) DORMIRE A MEDICINA – Intanto all’università La Sapienza si susseguono le assemblee: "Abbiamo occupato il dipartimento di Fisica", fanno sapere gli studenti di Anomalia Sapienza. E anche gli studenti di Ingegneria sono fermamente intenzionata ad occupare – sarebbe la seconda volta in un mese – la sede della facoltà a San Pietro in Vincoli. E' lo stesso edificio, infatti, dove a inizio ottobre scorso studenti e ricercatori di Ingegneria occuparono con le tende il chiostro della facoltà. Anche Medicina ha ripreso la pre-occupazione e martedì sera gli studenti dormiranno nel Dipartimento di Igiene per poi partecipare al sit-in davanti alla Camera. Occupate in serata anche le facoltà di Filosofia e Scienze Politiche alla Sapienza. Gli studenti de La Sapienza rilanciano sul (rinnovato) sito del movimento ateneinrivolta.org, la mobilitazione contro il ddl Gelmini: "Questa settimana blocchiamo l’approvazione del decreto", annunciano gli universitari. PRECARI IN BILICO – Stessi obiettivi, stesse rivendicazioni vengono dai ricercatori universitari e ricercatori precari. "Questa è una riforma che trasforma le nostre Università in aziende – spiegano ancora in un comunicato i ricercatori saliti sul tetto della facoltà di Architettura – che privatizza i nostri Consigli di Amministrazione, che trasforma il diritto allo studio in un debito da contrarre con le banche". E proseguono: "Una riforma che riporta il livello di istruzione universitario ad essere un bene di lusso, non accessibile se non a chi è in condizioni economiche agiate per studiare in pochi atenei di eccellenza privati". Le tende nel chiostro di San Pietro in Vincoli il ottobre (foto da Studenti e Ricercatori di Ingegneria) Le tende nel chiostro di San Pietro in Vincoli il ottobre (foto da Studenti e Ricercatori di Ingegneria) SULL'ORLO DEL BARATRO - Dalla Rete 29 Aprile ribadiscono: "Siamo sull’orlo del baratro per l’istruzione pubblica in Italia, proprio come noi sopra questo tetto. Siamo sempre stati disponibile a parlare con tutti per discutere dei mali dell’università e di come si risolvono – continuano i ricercatori – ma i baroni e gli interessi particolari hanno sempre impedito di affrontare in maniera coraggiosa le problematiche dei nostri atenei. Questa riforma però non è né coraggiosa né risolutiva, tutt’altro". Sul tetto, a sostegno dei precari, sono saliti martedì sera anche i ricercatori dell'Unione degli universitari: "Resistiamo nonostante il freddo", dice Giorgio Paterna dell'Udu. PRESIDIO ALLA CAMERA – E le associazioni universitarie saranno in sit-in permanente davanti alla camera a partire dalle 10 di mercoledì 24 novembre: qui, i ricercatori terranno corsi in piazza. "La settimana prossima rappresenta il momento decisivo per chiunque creda nelle libertà di istruzione, ricerca ed insegnamento - spiegano gli universitari - nella dignità del lavoro, nel diritto al futuro delle generazioni più giovani. Il fallimento del tentativo di accelerazione portato avanti dal governo lo scorso ottobre dimostra come la (ex?) maggioranza parlamentare sia particolarmente vulnerabile alle manifestazioni di dissenso provenienti dalla parte sana dell’università". APPELLO AGLI ACCADEMICI - In un comunicato sottoscritto da 18 sigle – Link Coordinamento Universitario, associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani, associazione docenti universitari, associazione nazionale docenti, solo per citarne alcune – ricercatori e professori lanciano "un forte appello al mondo accademico chiedendo di avviare iniziative per tutto il corso della settimana ed invitiamo, in particolare, il corpo docente – concludono i ricercatori – alla mobilitazione anche ricorrendo alle forme di protesta già sperimentate durante la protesta contro i tagli della legge 133 (didattica alternativa, lezioni all'aperto, dibattito sulle conseguenze del DdL)". Simona De Santis 23 novembre 2010
NELL'ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI VITO SCAFIDI "Di scuola non si può morire" Sit-in dei licei a Montecitorio Davanti alla Camera, la protesta del collettivo Senza Tregua: bruciato pupazzo del ministro Gelmini * NOTIZIE CORRELATE * Il dossier sull'edilizia scolastica di "Senza Tregua" * E gli universitari occupano tre facoltà; precari sul tetto di architettura (23 nov 10) NELL'ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI VITO SCAFIDI "Di scuola non si può morire" Sit-in dei licei a Montecitorio Davanti alla Camera, la protesta del collettivo Senza Tregua: bruciato pupazzo del ministro Gelmini Fuoco al pupazzo con l'effige della Gelmini (Jpeg) Fuoco al pupazzo con l'effige della Gelmini (Jpeg) ROMA - "Di scuola non si può morire", è lo striscione che i licei romani hanno portato sotto a Montecitorio nel giorno dell'anniversario della morte di Vito Scafidi, il ragazzo che il 22 novembre 2008 perse la vita in classe a Rivoli (Torino), mentre sedeva dietro al suo banco, per la caduta di un controsoffitto. Ma un sit-in in memoria del giovane organizzato davanti alla Camera - cui partecipavano decine di ragazzi delle scuole romane, dal Righi al Giulio Cesare passando per l'istituto Armellini e il Torricelli - si è trasformato in una manifestazione dai toni preoccupanti. Alcuni ragazzi del collettivo Senza Tregua hanno dato fuoco ad un pupazzo con il volto di Maria Stella Gelmini. Il feticcio del ministro è andato a fuoco in pochi attimi.
Uno degli striscioni in piazza Montecitorio (Ansa) Uno degli striscioni in piazza Montecitorio (Ansa) LA PROTESTA - Davanti a Montecitorio erano almeno in 500 per la protesta organizzata dal collettivo Senza Tregua, che lunedì ha presentato un dossier sulle condizioni dell'edilizia scolastica. In segno di rabbia per la situazione pietosa degli edifici i ragazzi hanno organizzato un lancio di rotoli di carta igienica. "Nella nostra scuola d'estate si muore di caldo, d'inverno di freddo", racconta un ragazzo al megafono, "vogliamo delle scuole vere". Gli studenti parlano di bagni che perdono, di scuole-prefabbricato, di nidi di piccioni nei controsoffitti e dicono "basta, dateci strutture adeguate". Al sit-in partecipano anche alcune scuole di Montesacro (tra queste Orazio e Nomentano), che sono arrivate dopo aver bloccato la Nomentana. La protesta dei liceali dell'Orazio (Ansa) La protesta dei liceali dell'Orazio (Ansa) IL DOSSIER - Istituto Giovanni Falcone, una volta scuola elementare e oggi scuola superiore. Con tutte le difficoltà dovute ad una inadeguatezza delle strutture. A partire dalle classi. Tra tutte, una. Misura 25 metri quadri, al suo interno ci sono ben 15 banchi per ben 36 studenti il che vuol dire anche tre studenti in banchi che sono da due. Questo è soltanto uno dei casi venuto fuori dall'inchiesta sull'edilizia scolastica condotta dal collettivo romano Senza Tregua. TRENTA ISTITUTI - Un gruppo di giovani, armati di macchine fotografiche, nel giro di due settimane è riuscito a raccogliere materiale su 30 scuole sparse in tutta Roma: classi sovraffollate, crepe nei muri, uscite di sicurezza chiuse con tanto di catene e lucchetti. "Ci manca solo Ostia, è stato un gran lavoro", racconta, all'agenzia Dire, Alessandro Mustillo, responsabile del collettivo. Tutto parte dalla scomparsa di Vito Scafidi. Pochi anni prima, nel 2002, la tragedia dei bambini di San Giuliano di Puglia, morti sotto le macerie della loro scuola, crollata per il terremoto. Redazione online 23 novembre 2010
universita' Occupazioni, assemblee e maratone La rivolta degli studenti alla Gelmini Occupazioni, assemblee, lezioni in piazza, maratona in notturna di corsi non stop allestita con la collaborazione dei docenti di quattro facoltà. A Pisa, chiesta la sospensione della didattica: tutto contro il ddl Gelmini FIRENZE - Occupazioni, assemblee, lezioni in piazza, maratona in notturna di corsi non stop allestita con la collaborazione dei docenti di quattro facoltà. Queste alcune delle iniziative messe in campo dai collettivi studenteschi dell’ateneo fiorentino, mentre la Camera discute la riforma Gelmini dell’Università. Nella notte, si legge infatti in una nota, il collettivo di Scienze ha occupato la sede del polo scientifico di ateneo a Sesto Fiorentino e un dipartimento di Matematica. La mobilitazione è proseguita con una "grande assemblea" in un altro plesso accademico, quello di viale Morgagni, mentre sempre nel polo di viale Morgagni, dalle 20 prenderà via una maratona non stop di lezioni in notturna, organizzata dai collettivi in collaborazione con docenti delle facoltà di ingegneria, scienze, medicina e farmacia, che si alterneranno in cattedra fino alle otto di domani mattina. Chiuderà il ciclo di corsi una nuova assemblea del polo, sempre nel plesso di viale Morgagni. Intanto, il collettivo di Scienze ha annunciato "iniziative di protesta nelle mense universitarie", mentre nella centrale piazza Santissima Annunziata, ci sono state le lezioni all’aperto a cura di alcuni studenti e professori della facoltà di Scienze della Formazione. Facoltà occupate, assemblee un po' ovunque e almeno duemila studenti mobilitati. È il bilancio della giornata di protesta contro il ddl Gelmini che si è svolta all’Universtà di Pisa, alla quale hanno aderito anche l’associazione nazionale dei docenti e i ricercatori. Studenti, docenti e ricercatori si sono confrontati sugli effetti della riforma nelle diverse assemblee di facoltà e sette di esse (lettere, giurisprudenza, scienze, scienze politiche, ingeneria, lingue ed economia) sono state occupate. Assemblee affollate anche ad agraria, farmacia - nei pressi della quale gli studenti hanno rallentato il traffico esponendo striscioni contro il ddl Gelmini - e a medicina, dove l’assemblea è diventata permanente all’interno di un’aula autogestita. In una nota i ricercatori universitari denunciano "il blitz dei deputati della maggioranza che hanno abrogato persino gli emendamenti al ddl presentati da loro stessi, tra cui l’esenzione dall’obbligo di restituzione dei buoni studio per gli studenti laureati con il massimo dei voti, la definizione di una soglia di retribuzione minima di 20 mila euro annui per gli assegni di ricerca, il ripristino per i giovani ricercatori degli scatti di anzianità soppressi lo scorso agosto e il finanziamento della retribuzione integrativa per i ricercatori che svolgono didattica o attività gestionali". Il ddl Gelmini viene poi definito "un provvedimento sbagliato, che umilia l’università pubblica e lo stesso ministro dell’Istruzione, da oggi subordinato a quello dell’Economia". Infine, si dichiarano "indisponibili a svolgere esami e a far parte di qualunque commissione, ove non ne abbiano l’obbligo per legge". La richiesta di sospensione della didattica avanzata dagli studenti , che hanno bloccato il traffico, non è stata accolta da rettore e presidi che pur impegnandosi "a riportare le ragioni della protesta in tutte le sedi istituzionali a cominciare dalla Crui" hanno assicurato "che non mancheranno di adoperarsi affinchè sia comunque salvaguardata la regolarità dell’anno accademico". 23 novembre 2010
2010-11-19 previsti contributi anche per gli istituti migliori: si comincia a pisa e a siracusa La Gelmini e i professori meritevoli "Come premio una mensilità in più" Illustrato il progetto che inizierà in via sperimentale in venti scuole tra Napoli e Torino previsti contributi anche per gli istituti migliori: si comincia a pisa e a siracusa La Gelmini e i professori meritevoli "Come premio una mensilità in più" Illustrato il progetto che inizierà in via sperimentale in venti scuole tra Napoli e Torino Il ministro Mariastella Gelmini Il ministro Mariastella Gelmini MILANO - Un premio, pari quasi a una mensilità di stipendio, ai professori particolarmente meritevoli. È quanto prevede uno dei progetti, annunciati dal ministro Mariastella Gelmini, che partirà, per ora, in venti scuole tra Torino e Napoli. La gratifica agli insegnanti che più di altri si rimboccano le maniche non è l'unica novità annunciata dalla Gelmini. Come ai professori, anche agli istituti scolastici in generale converrà darsi da fare perché, grazie a un altro progetto, alcune scuole potranno rimpinguare le casse: se dimostreranno, infatti, di aver migliorato i livelli di apprendimento degli studenti e raggiunto certi standard riceveranno un contributo fino a un massimo di 70 mila euro. Come per il premio agli insegnanti, anche in questo caso si comincerà in via sperimentale, dalle scuole medie delle province di Pisa e Siracusa (per la durata dell'intero triennio). MINISTRO SODDISFATTO - Le novità sono state salutate con soddisfazione dalla Gelmini, che ha parlato di "giorno storico", sottolineando come per la prima volta parta un'iniziativa concreta per introdurre il merito nel sistema d'istruzione italiano. "Finalmente - ha detto - si iniziano a valutare i professori e le scuole su base meritocratica. Premi dunque ai migliori e non soldi legati solo all'anzianità di carriera che comunque, grazie allo sforzo del governo, sono stati garantiti a tutto il settore". SCATTI RIPRISTINATI - A quest'ultimo proposito, infatti, il ministro ha illustrato ai sindacati il decreto interministeriale che consente il pagamento degli scatti d' anzianità maturati dal personale della scuola. Le sperimentazioni messe in campo saranno finanziate con una parte del 30% dei risparmi ottenuti grazie alla razionalizzazione della spesa, al netto naturalmente delle risorse destinate al recupero degli scatti. Lo scorso febbraio il ministro ha istituito un Comitato Tecnico Scientifico (CTS) che ha l'obiettivo di proporre l'istituzione di un sistema nazionale di valutazione e di miglioramento della didattica. E il Comitato ha proposto al ministro i due progetti illustrati in giornata. I DUE PROGETTI - Quello relativo alle scuole prevede che esse vengano valutate prendendo in considerazione il livello di miglioramento dell'apprendimento degli studenti individuato attraverso i test Invalsi ma anche una serie di indicatori che vanno dal rapporto scuola-famiglia alla gestione delle risorse, ai livelli di abbandono. Il verdetto è affidato a un team di osservatori esterni composto da un ispettore e da due esperti indipendenti. Sulla base dei risultati verrà quindi formulata da una Commissione tecnica regionale una graduatoria. Alle scuole che si collocheranno nella fascia più alta sarà assegnato un premio, fino ad un massimo di 70mila euro. Per il progetto destinato agli insegnanti, che aderiranno volontariamente alla sperimentazione, in ogni scuola verrà costituito un "nucleo" di valutazione composto dal preside, da due professori eletti dal Collegio dei docenti e dal presidente del Consiglio di Istituto (in qualità di osservatore). La valutazione terrà conto di curriculum vitae e documento di valutazione. Ma non solo. Il "nucleo" dovrà considerare anche il giudizio sui docenti espresso da genitori e studenti. Gli insegnanti meritevoli saranno premiati entro aprile/maggio 2011. (Fonte Ansa) 18 novembre 2010
2010-11-17 Scuola - MANIFESTAZIONI PER difendere il DIRITTO ALLO STUDIO Scuola, cento cortei contro la Gelmini Tensione a Milano e a Palermo Spaccata la vetrina di una banca nel capoluogo lombardo. Lancio di uva e raid in rettorato in Sicilia * NOTIZIE CORRELATE * Milano, corteo e tensioni in centro (17 novembre 2010) * Roma, scuola in piazza, cori contro Berlusconi, Tremonti e Gelmini: "Ladri di futuro" (17 novembre 2010) Scuola - MANIFESTAZIONI PER difendere il DIRITTO ALLO STUDIO Scuola, cento cortei contro la Gelmini Tensione a Milano e a Palermo Spaccata la vetrina di una banca nel capoluogo lombardo. Lancio di uva e raid in rettorato in Sicilia MILANO - Cortei in tutta la Penisola mercoledì mattina per la Giornata internazionale del diritto allo studio e contro i tagli alla scuola. Da Milano a Palermo, passando per Torino, Milano, Genova, Trieste, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Regio Calabria gli studenti scendono in piazza: più di cento i cortei. GELMINI - Per il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini "la protesta ripropone vecchi slogan di chi vuole mantenere lo status quo, di chi è aprioristicamente contro qualsiasi tipo di cambiamento". "Bisogna avere il coraggio di cambiare - ha detto il ministro - È indispensabile proseguire sulla strada delle riforme: dobbiamo puntare a una scuola di qualità, più legata al mondo del lavoro e più internazionale". MILANO - Alcuni momenti di tensione si sono registrati a Milano. La vetrina della filiale di Banca Fideuram, in corso di Porta Romana, in centro, è stata danneggiata a colpi di mazza da alcuni ragazzi incappucciati. Nell'ingresso dell'istituto alcuni cittadini hanno assistito, impauriti, all'attacco, mentre i giovani colpivano più volte la vetrata, scheggiandola in più punti. "Sono arrivati di corsa, incappucciati, e hanno incominciato a colpire con una mazza il vetro", hanno raccontato piuttosto scosse le persone all'interno. Numerose scritte con vernice spray sono state lasciate sulle vetrine di banche e negozi lungo il corteo. Ragazzi con il viso coperto hanno tracciato scritte come "La crisi ve la creiamo noi" e "Assassini, m..." sulle vetrine delle filiali della Monte dei Paschi di Siena in largo Cairoli, della Banca Popolare di Lodi in via Orefici e della Bpm e Banca d'Etruria in via Mazzini. Gli imbrattatori hanno colpito anche su alcuni negozi all'inizio di via Torino. Numerosi i fumogeni accesi, uno dei quali in piazza Missori ha incendiato un piccolo distributore di annunci in carta. Sul cavalcavia prima del Provveditorato un centinaio di ragazzi incappucciati ha fronteggiato per un po' la polizia, che ha impedito loro di avvicinarsi. Gli studenti in piazza Gli studenti in piazza Gli studenti in piazza Gli studenti in piazza Gli studenti in piazza Gli studenti in piazza Gli studenti in piazza Gli studenti in piazza PALERMO - Circa ottomila giovani a Palermo - tra liceali e universitari - hanno preso parte ai due cortei che hanno letteralmente bloccato la città. Oltre 7 mila gli studenti delle scuole superiori radunatisi in piazza Politeama e partiti in corteo per le vie del centro, sotto le insegne del Coordinamento studenti medi, preceduti dalla striscione "Non contate sul nostro silenzio ma solo sulla nostra rabbia". Intanto, da via Archirafi, erano partiti oltre mille universitari e precari della ricerca, organizzati dal coordinamento degli studenti "Indisponibili". I liceali hanno lanciato uova contro il Banco di Sicilia, "un'azione - spiega il coordinamento - per ribadire che questa crisi gli studenti non la vogliono pagare". Gli universitari che - dietro lo striscione "Riprendiamoci il futuro contro i tagli e il ddl Gelmini" - hanno indossato maschere bianche a testimoniare "l'invisibilità in cui è relegato il mondo dell'università nei piani del governo". Il corteo degli studenti medi si è poi unito a quello degli universitari all'incrocio tra via Roma e corso Vittorio Emanuele. Al termine della manifestazione, gli universitari hanno fatto irruzione nella sede del rettorato: hanno invaso e bloccato il senato accademico per protestare contro il taglio del 90% delle borse di studio, contro la riforma Gelmini la cui discussione alla Camera è prevista per domani, e contro l'offerta formativa "scadente e rattoppata" varata per questo anno accademico dal rettore Roberto Lagalla. Sul corteo dei collettivi studenteschi di questa mattina è critico il coordinamento Studenti In Movimento: "È la rappresentazione del movimento studentesco che non vogliamo, quello assistito dai sindacati e dai partiti. Non possiamo fare a meno di notare come nelle nostre giornate di mobilitazione l'intera classe docente fissa compiti in classe e se ne infischia dei cortei, mentre per i cortei dei collettivi accade l'inverso e cioè che a rischiare richiami e sanzioni sono gli studenti che non scioperano". Conclude il coordinamento: "La forza dei movimenti studenteschi di Palermo si vedrà martedì 23 quando ci saranno le elezioni alla Consulta provinciale degli studenti e si voterà il segretario della Cps. Finalmente i numeri parleranno chiaro, si vedrà chi davvero rappresenterà la maggioranza degli studenti di Palermo e provincia". ROMA - "Crediamo che sia necessario garantire a tutti il diritto di manifestare, per questo chiediamo pacificamente di arrivare sotto Montecitorio". Così gli studenti in corteo a Roma. "Avevamo chiesto l'autorizzazione ad arrivarci- spiega Claudio Riccio di Link-Coordinamento universitario- ma ci è stata negata. Ci hanno dato il via libera per piazza Navona che, però, non è simbolica. Noi vogliamo arrivare dove a giorni si discuterà la riforma Gelmini". BARI - Diverse centinaia di studenti delle scuole superiori e dell'università stanno sfilando in corteo attraverso le strade del centro di Bari per la giornata di mobilitazione nazionale contro la riforma Gelmini. Al suono dei tamburi che ritmano gli slogan contro il ministro e sulle note di "Bella ciao", il corteo è partito dalla piazza antistante l'ateneo Barese e sta procedendo a zig zag per le vie del centro per raggiungere la piazza della Prefettura. I testa al corteo gli studenti hanno issato una grande croce di cartone, ricoperta da foto di studenti e da un libro, che raffigura la morte dela cultura e dello studio. In testa al corteo sfila anche l'assessore regionale pugliese per il diritto allo studio, Alba Sasso. Redazione online 17 novembre 2010
2010-10-18 I giudizi del network di laureati italiani con esperienza di lavoro all'estero Classifica: è la Bocconi la prima università italiana. Politecnico al terzo posto Classifica di Vision. I parametri: ricerca, impatto occupazionale, finanziamenti I giudizi del network di laureati italiani con esperienza di lavoro all'estero Classifica: è la Bocconi la prima università italiana. Politecnico al terzo posto Classifica di Vision. I parametri: ricerca, impatto occupazionale, finanziamenti MILANO - La Bocconi scalza il Politecnico di Milano e diventa la prima università italiana. È quanto emerge dalla classifica degli atenei presentata da Vision, il network di laureati italiani con esperienza di lavoro all'estero che già lo scorso anno aveva pubblicato una graduatoria analoga. Lo studio tiene conto di diversi aspetti tra cui la presenza di studenti stranieri, la produzione di ricerca rilevante, l'impatto occupazionale, la capacità di attrarre finanziamenti e quella di influenzare l'opinione pubblica. Per trovare il Politecnico milanese bisogna scendere al terzo posto, dopo la sorprendente Università di Bologna, che fa un balzo dal sesto posto dell'anno scorso al secondo. Esce dal podio il Politecnico di Torino, terzo lo scorso anno, che perde una posizione. Al quinto e al sesto posto due atenei romani, che migliorano entrambi di quattro posizioni rispetto al 2009: il Campus Bio-Medico e la Luiss. Sempre di quattro posti sale l'Università di Firenze, settima; mentre ancora meglio fanno l'Università di Padova, ottava (+11 posizioni); La Sapienza di Roma, nona (+13 posizioni) e l'Università di Torino, decima (+10 posizioni). Fuori dalle prime dieci, un piccolo miglioramento per la Vita Salute San Raffaele di Milano, dal 14esimo all'11esimo posto, e poi tre atenei che invece l'anno scorso erano nella top ten: l'Università di Pisa, dodicesima (-5 posizioni); quella di Milano, tredicesima (-8 posizioni); e quella di Perugia, quattordicesima (-10 posizioni). Chiude il lotto delle migliori 15 l'Università di Parma, che perde due posizioni. Viene confermata la forte concentrazione territoriale delle migliori università: otto sono nel centro, sei nel nord-ovest. Per trovare un ateneo del sud bisogna scendere fino al 39esimo posto, dove c'è l'Università di Messina (fonte: Ansa). 18 ottobre 2010
Per i 200 anni della Scuola Normale Superiore di Pisa Università: Napolitano, "Sono preoccupato come voi studenti" "Conto sul vostro sentimento di responsabilità, al di là di ogni momento di comprensibile frustrazione" Per i 200 anni della Scuola Normale Superiore di Pisa Università: Napolitano, "Sono preoccupato come voi studenti" "Conto sul vostro sentimento di responsabilità, al di là di ogni momento di comprensibile frustrazione" MILANO - "Condivido la forte preoccupazione di studenti e docenti per le difficili condizioni del sistema universitario che nessuno può fingere di ignorare". Lo ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel discorso in occasione dei 200 anni della Scuola Normale Superiore di Pisa. "Conto sul vostro sentimento di responsabilità al di là di ogni momento di comprensibile frustrazione", ha aggiunto il capo dello Stato. "DIFFICILI CONDIZIONI" - "Senza interferire nelle discussioni e nelle decisioni che hanno luogo al governo e in Parlamento", ha aggiunto Napolitano, "sento il dovere di riaffermare il rilievo prioritario che va attribuito, non solo a parole ma con i fatti, alla ricerca e all'alta formazione e dunque all'università. Sono qui oggi ben consapevole che le tensioni sociali e politiche proprie di una fase complessa e critica dell’economia e della vita pubblica stanno attraversando l’Italia e l’Europa e hanno investito il sistema universitario e le sue problematiche", ha affermato il presidente. "Per rivendicare mezzi finanziari adeguati a partire dai prossimi mesi", sottolinea però il Capo dello Stato, bisogna "aprirsi a misure di rigorosa razionalizzazione e qualificazione nell'impiego delle risorse con tutto quello che ciò comporta dal punto di vista del governo dell'università così da elevarne efficienza e rendimento". Fuori dal teatro dove si è svolta la cerimonia, una settantina di studenti universitari hanno protestato contro la riforma Gelmini e i tagli all’istruzione. Redazione online 18 ottobre 2010
IL BICENTENARIO DELLA SCUOLA FONDATA NEL 1810 DA NAPOLEONE Napolitano alla Normale per i 200 anni L'appello degli allievi: salvate l'università A Pisa tra gli studenti del prestigioso istituto: la vita di collegio, le lezioni e l'allarme per il futuro IL BICENTENARIO DELLA SCUOLA FONDATA NEL 1810 DA NAPOLEONE Napolitano alla Normale per i 200 anni L'appello degli allievi: salvate l'università A Pisa tra gli studenti del prestigioso istituto: la vita di collegio, le lezioni e l'allarme per il futuro PISA - Enzo indossa una felpa con il cappuccio e le scarpe sportive. Rosa è graziosa nei suoi jeans e il lupetto. Hanno poco più di vent’anni ma sulle spalle l’eredità illustre - e forse a volte un po’ ingombrante - di tre premi Nobel e di due presidenti della Repubblica. Allievi della Scuola Normale Superiore di Pisa, festeggiano insieme con i compagni e i professori, i duecento anni dell’istituto che ha formato, tra gli altri, Enrico Fermi, Carlo Rubbia, Giosuè Carducci, Giovanni Gronchi e Carlo Azeglio Ciampi. 18 ottobre 1810 – 18 ottobre 2010: fu Napoleone Bonaparte a istituire, due secoli fa, la Normale come succursale dell’École Normale Supérieure di Parigi. Per celebrare la ricorrenza, arriva a Pisa il capo dello Stato Giorgio Napolitano: sarà lui quest’anno a consegnare i diplomi di licenza a un centinaio di normalisti. IL MESSAGGIO – Nei giorni del dibattito e delle proteste sulla riforma universitaria – gli allievi della Scuola coglieranno l’occasione per far risuonare un appello alla classe politica e al mondo accademico. Nel corso della cerimonia, i diplomandi leggeranno una lettera - ricevuta in anteprima dal Corriere.it – in cui esprimeranno la loro "preoccupazione per il futuro dell’istruzione e della ricerca, per la sopravvivenza di un vero diritto allo studio di qualità, per la realizzazione professionale di molti giovani". Esplicito l’allarme per i "pesanti tagli ai finanziamenti" e la cosiddetta fuga dei cervelli: "L’investimento dello Stato su di noi rischia ora più che mai di andare disperso. Sentiamo profondamente la responsabilità di adoperarci affinché la società italiana possa godere pienamente i frutti dell’investimento che ha fatto su di noi". Leggi il documento Enzo Busseti e Rosa Fasan Enzo Busseti e Rosa Fasan IL MERITO –"Alla Normale si entra con un concorso pubblico, cui può partecipare chiunque. Nel mio caso c’erano centinaia di ragazzi" spiega Rosa Fasan, 21 anni, triestina, al terzo anno di Lettere moderne. Ci accoglie nella sua stanza, in uno dei collegi della Scuola. Ai circa sessanta allievi ammessi ogni anno – divisi tra le classi di Scienze e di Lettere – la Normale offre infatti vitto e alloggio. In cambio, devono garantire la media del ventisette (senza mai scendere sotto al ventiquattro in ogni singolo esame) e superare una serie di obblighi didattici in più rispetto ai colleghi dell’università di Pisa. "Il normalista segue due percorsi paralleli: quello di qualunque altro studente dell’ateneo e quello della Normale, con una serie di corsi, seminari e prove aggiuntive" chiarisce Rosa. Un doppio lavoro: "Al primo anno avevamo tutte le mattine lezione all’università; due pomeriggi alla settimana, dalle due alle sette, laboratorio; ogni sera due ore di corsi interni alla Normale e il poco tempo libero serviva per riordinare gli appunti" racconta Enzo Busseti, 23 anni, di Cassano Spinola (Alessandria), laureando con una tesi su fisica e finanza. CHANCE - Non solo privilegi e genialità, quindi, ma anche fatica, dedizione e, talora, la competizione che si può scatenare tra i primi della classe che si trovano improvvisamente a convivere. "So che è una palestra per il futuro, ma quest’ultimo aspetto è quello che meno mi piace della Scuola" confessa Rosa. Sia per lei che per Enzo, tuttavia, la Normale rappresenta soprattutto una speranza per il futuro: "Mi auguro che mi dia maggiori sbocchi" dice Enzo. Intanto ci sono anche opportunità di crescere nel presente. Come la convivenza - e le amicizie - che si creano tra gli studenti delle materie scientifiche e di quelle umanistiche ("scienziati" e "letterati", come li chiamano qui fin dal primo anno): "I collegi sono il meglio che ci offre la Normale: un luogo di socializzazione e di scambio d’idee" sostiene Enzo. IL DIBATTITO – I giorni del bicentenario, coinciso con quelli della discussione sulla riforma universitaria, offrono anche lo spunto per una riflessione sullo stato dell’istruzione e sul ruolo della Normale nell’Italia di oggi. Fondata per trasmettere norme – da qui l’origine del nome - ai futuri insegnanti delle superiori, la Scuola si è trasformata nel tempo in un centro per la formazione di ricercatori e docenti universitari. Un obiettivo perseguito ancora oggi, sebbene le difficoltà di sbocco professionale negli atenei italiani stiano spingendo gli allievi a tentare anche strade alternative. "Il mestiere di giovane è difficile – ammette il direttore Salvatore Settis -. Il normalista però, abituato a ragionare in modo libero, è mediamente più attrezzato degli altri studenti". Il problema piuttosto, aggiunge, "è che il lavoro si trova sempre più spesso all’estero e non in Italia". Nessun nuovo commento, infine, sull’inchiesta della procura di Pisa e della Corte dei conti della Toscana – scaturita da una lettera anonima - su presunti utilizzi indebiti di un alloggio, una carta di credito e veicoli intestati alla Scuola. Subito dopo la notizia, un paio di settimane fa, la Normale aveva diffuso un comunicato in cui ribadiva "la correttezza delle procedure seguite e la piena fiducia che tali insinuazioni troveranno totale chiarimento negli approfondimenti in corso". FUTURO - Dopo la festa per i duecento anni, il prossimo passo sarà il cambio della guardia al vertice. Settis lascia la direzione della Scuola al fisico della materia Fabio Beltram. "Ho avuto fortuna ad essere direttore in questi ultimi undici anni – commenta –: la Scuola è cresciuta molto e abbiamo preso coscienza della nostra nuova missione europea. Penso che il mio successore abbia tutte le doti per continuare su questa strada. E portare la Scuola Normale a nuove altezze". Alessia Rastelli arastelli@corriere.it 17 ottobre 2010(ultima modifica: 18 ottobre 2010)
Il premier aveva definito "famigerato" il Pm del processo Mills Il Csm difende De Pasquale dopo gli attacchi di Berlusconi La prima commissione ha dato il via libera all'apertura di una pratica a tutela del giudice * NOTIZIE CORRELATE * Il pm De Pasquale va tutelato (7 ottobre 2010) * Berlusconi dal ribaltone alle accuse:"Certi pm macigno sulla democrazia" (3 ottobre 2010) Il premier aveva definito "famigerato" il Pm del processo Mills Il Csm difende De Pasquale dopo gli attacchi di Berlusconi La prima commissione ha dato il via libera all'apertura di una pratica a tutela del giudice Fabio De Pasquale, pm del processo Mills Fabio De Pasquale, pm del processo Mills ROMA - La prima commissione del Csm ha dato il via libera, a maggioranza, all'apertura di una pratica a tutela del pm del processo Mills, Fabio De Pasquale, definito "famigerato" dal premier Silvio Berlusconi nel suo intervento alla festa del Pdl a Milano. La commissione, presieduta da Guido Calvi (laico del Pd) si riunirà martedì per decidere se avviare richieste istruttorie sul caso De Pasquale. Calvi - secondo quanto si è appreso - conta di chiudere già la prossima settimana, quando la commissione deciderà se predisporre o meno un documento a tutela del pm da inviare alla discussione del plenum.
18 ottobre 2010
2010-10-14 la ragioneria dello stato boccia alcune norme: nuovo stallo "Non ci sono fondi per i ricercatori" Slitta la riforma dell'Università Il nodo riguarda le coperture di alcuni emendamenti Fli: "Trovare le risorse o rinviare il ddl" la ragioneria dello stato boccia alcune norme: nuovo stallo "Non ci sono fondi per i ricercatori" Slitta la riforma dell'Università Il nodo riguarda le coperture di alcuni emendamenti Fli: "Trovare le risorse o rinviare il ddl" Il ministro dell'Istruzione, Maria Stella Gelmini Il ministro dell'Istruzione, Maria Stella Gelmini MILANO - Slitta ancora la riforma dell'Università. Il disegno di legge, approvato al Senato lo scorso 29 luglio tra le proteste di molti ricercatori, docenti e studenti, doveva approdare giovedì alla Camera. L'inizio dell'esame, però, è stato inizialmente spostato di un giorno dalla conferenza dei Capigruppo di Montecitorio. Un ritardo dovuto all'analisi tecnica della Ragioneria Generale dello Stato, che ha di fatto stroncato le modifiche apportate a Montecitorio alla riforma. Più tardi, però, i ministri dell'Economia e dell'Istruzione, Giulio Tremonti e Mariastella Gelmini, in una riunione con la presidente della commissione Cultura Valentina Aprea, la relatrice Paola Frassineti, Fabrizio Cicchitto e Fabio Granata hanno deciso di rinviare l'esame del testo dopo la fine della sessione bilancio. Non prima, dunque, di fine novembre o inizio dicembre. GELMINI - "Il Miur ha presentato una riforma, moderna e innovativa, che ha l'ambizione di rilanciare l'università italiana - commenta la Gelmini. - Ora tocca al Parlamento approvarla e al ministero dell'Economia valutarne la copertura". "Accolgo positivamente - prosegue il ministro - il fatto che il centrodestra ritenga l'università una priorità. Arrivati a questo punto, ha ragione la maggioranza quando chiede di legare e contestualizzare le riforme alle risorse". LE COPERTURE - Il "nodo" evidenziato dalla Ragioneria è infatti proprio quello delle coperture del provvedimento, in particolare la norma sul piano di sei anni di concorsi per nove mila ricercatori universitari. Un punto che "Futuro e Libertà" considera "dirimente", ovvero l'assunzione dei ricercatori prevista nell'articolo 5 bis: oltre al parere contrario si contesta anche la quantificazione stessa dei costi, chiedendo l'acquisizione di una relazione tecnica. "Il governo - aveva commentato Chiara Moroni dopo il primo rinvio - deve trovare la copertura, semmai rinviando l'esame del provvedimento a dopo la Finanziaria". "Le bugie hanno le gambe corte - commenta dal canto suo Marco Meloni, Responsabile per il Pd di Università e Ricerca. - Dopo aver impegnato per una settimana Parlamento e mondo dell'Università a discutere di un emendamento sui ricercatori comunque del tutto insufficiente, oggi abbiamo avuto l'ennesima riprova che delle promesse del governo in fatto di risorse per l'università non ci si può minimamente fidare". "La Gelmini ormai - prosegue Meloni - non è in grado di assumere alcun impegno: prenda atto del suo fallimento, rinunci all'estremo tentativo di trovare la copertura finanziaria per qualche decina di milioni di euro che non risolverebbero alcun problema e al tentativo di approvare con un blitz una pessima legge. E lasci al Parlamento la responsabilità di definire nella legge di bilancio le risorse da destinare all'Università". Redazione online 13 ottobre 2010(ultima modifica: 14 ottobre 2010)
2010-10-04 ATENEI Università, la riforma a rischio Voto slittato, corsa per salvarla. Un bonus per i ricercatori. Le reazioni dopo il sì del Senato ATENEI Università, la riforma a rischio Voto slittato, corsa per salvarla. Un bonus per i ricercatori. Le reazioni dopo il sì del Senato Il ministro dell'Istruzione Università e Ricerca Maria Stella Gelmini Il ministro dell'Istruzione Università e Ricerca Maria Stella Gelmini ROMA - La strada è in salita e piena di curve (politiche) pericolose. Per salvare la riforma dell'università il governo è pronto addirittura a cambiare strategia. E a giocarsi l'ultima carta: far modificare il calendario dei lavori alla Camera e progettare un intervento a favore dei ricercatori, la categoria più critica verso il ddl Gelmini. Il problema numero uno è proprio quello dei tempi. Giovedì scorso l'esame della riforma da parte dell'Aula di Montecitorio è stato spostato dal 5 al 14 ottobre. Sembra poco, in realtà cambia tutto. Il 15 ottobre, cioè il giorno dopo, alla Camera comincia la sessione di bilancio che dura circa un mese e per regolamento costringe tutti gli altri provvedimenti ad aspettare in coda. Se sarà confermata la data del 14, quindi, la riforma non solo non sarà approvata prima che l'attività accademica entri nel vivo, come era nelle intenzioni del governo anche per evitare le proteste. Ma finirà su un binario morto, specie considerando l'eventualità delle elezioni anticipate a marzo, che comincia ad essere evocata anche all'interno della maggioranza e del governo. Sarebbe una sconfitta per il centrodestra, che su questa riforma ha investito parecchio. E la fine di un disegno di legge che non solo ridisegna il sistema di governo delle università, riducendone l'autonomia, ma distribuisce le risorse in base alla qualità della ricerca e della didattica e reintroduce il concorso nazionale per i docenti. Misure, e il vero nodo è questo, che il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ha definito condizione essenziale per ripianare almeno in parte il taglio da un miliardo e 350 milioni di euro previsto nel 2011 per l'intero settore. Ce ne è abbastanza perché la maggioranza tenti di modificare il calendario della Camera mettendo sul tavolo della prossima conferenza dei capigruppo due ipotesi: anticipare l'esame dell'Aula all'11 di ottobre oppure rimandare al 18 l'inizio della sessione di bilancio. In tutti e due i casi ci sarebbe qualche giorno per approvare in Aula la riforma e poi tornare al Senato, dove votare prima che anche lì cominci la sessione di bilancio. Possibile cambiare una decisione presa solo pochi giorni fa? Difficile ma non impossibile. Il rinvio della settimana scorsa non è stato il frutto solo delle perplessità dell'opposizione sul disegno di legge ed in particolare sulla sua copertura finanziaria. Ma è stato uno dei primi segnali di un clima politico generale mutato, a poche ore dal voto di fiducia al governo Berlusconi che non ha certo chiuso le ferite del centrodestra. Non è dunque da escludere che un esame a freddo della questione possa portare ad una scelta diversa. Per provare a spingere in questa direzione i tecnici del ministero dell'Istruzione stanno studiando la fattibilità di un emendamento che arriva dall'opposizione e prevede per i ricercatori un'indennità didattica, cioè una piccola aggiunta in busta paga. Per legge i ricercatori che lavorano nelle università non sono tenuti ad insegnare. La realtà è ben diversa, perché sulle loro spalle pesa circa il 40 per cento della didattica. Proprio per questo, in segno di protesta contro la riforma Gelmini, quasi la metà dei ricercatori ha annunciato che da quest'anno non farà lezione. L'indennità didattica sarebbe un modo per venire incontro alle loro proteste e - visto che l'idea originale è del pd Luigi Nicolais - anche alle perplessità dell'opposizione. Ma è una strada davvero percorribile? Anche considerando una somma contenuta (intorno ai 150 euro netti al mese) e tenuto conto che i ricercatori che fanno lezione sono circa 15 mila, si arriverebbe ad un costo di 45 milioni di euro l'anno. Non pochi dal momento che basterebbe qualche milione in meno per far partire quel piano di assunzioni di professori associati (9-10 mila in sei anni) che nelle intenzioni del governo rappresenta la strada maestra per risolvere la questione ricercatori, per la quale si esclude qualsiasi ipotesi di stralcio. I tecnici del ministero al momento sono scettici. Ma pur di riuscire a tirar fuori la riforma dal binario morto dove è inaspettatamente finita, correzioni fino a qualche giorno fa impensabili adesso hanno tutto un altro aspetto. Lorenzo Salvia 04 ottobre 2010
LA MAGGIORANZA E LA RIFORMA GELMINI L’universita’ dimenticata LA MAGGIORANZA E LA RIFORMA GELMINI L’universita’ dimenticata Il governo e la sua maggioranza, o ciò che ne resta, accumulano autogol. Non sono bastati la disastrosa gestione del conflitto fra Berlusconi e Fini e il suo impatto negativo, registrato dai sondaggi, sui consensi al governo. Adesso, la maggioranza è anche decisa a giocarsi credibilità e aperture di credito faticosamente ottenute, grazie al lavoro dei ministri migliori, presso settori qualificati dell’opinione pubblica. Mi riferisco al probabile affossamento della riforma universitaria. La riforma era in dirittura di arrivo (l’inizio della discussione alla Camera era prevista per il 4 ottobre). I capigruppo hanno deciso il rinvio al 14 ottobre. Dieci giorni soltanto ma sufficienti per affossare il provvedimento. Infatti, il 15 ottobre comincia la sezione di bilancio e la discussione dovrà essere subito sospesa per almeno un mese. Non solo la riforma non arriverà in porto prima dell’inizio dell’anno accademico. Ma, probabilmente, a causa dei vincoli dei calendari parlamentari e delle risse nella maggioranza, finirà per slittare sine die (si veda la puntuale ricostruzione fatta oggi, su questo giornale, da Lorenzo Salvia). Con le probabili elezioni a primavera che ormai incombono, se ne riparlerà nella prossima legislatura. La riforma del ministro Mariastella Gelmini è un ambizioso tentativo di ridare slancio all’istruzione superiore. Non è perfetta. Ci sono anche cose che non convincono. Ma è sicuramente il frutto di uno sforzo encomiabile di affrontare di petto i problemi dell’Università. Chi la rifiuta in blocco lo fa per faziosità ideologica oppure perché appartiene ai settori più conservatori del mondo universitario. Molti, però, fra gli universitari, si rendono conto che il provvedimento è indispensabile. I rettori più consapevoli della necessità della riforma e anche tanti professori la aspettano con più fiducia che apprensione. Ed è un merito della Gelmini e del suo lavoro. Anche gli imprenditori attendono il provvedimento essendo chiaro che miglioramenti sensibili del capitale umano (della preparazione dei nostri laureati) saranno necessari, nei prossimi anni, all’economia italiana. Il varo della riforma era insomma un test atteso da m o l t i p e r v a l u t a r e l’affidabilità dell’esecutivo. Che fanno allora il governo (il "governo del fare" come piace definirlo al presidente del Consiglio) e la sua maggioranza? Rinviano la riforma e ne mettono a rischio l’attuazione. Mandano un altro pessimo segnale al Paese e mettono in difficoltà quei rettori che avevano dato fiducia alla Gelmini. Sembra difficile attribuire queste scelte sciagurate ad altro se non a una grave forma dimiopia politica. Varare una così importante riforma significherebbe dire al Paese: è vero, siamo immersi in risse continue, ma sappiamo anche, su questioni concrete come il destino dell’istruzione superiore, portare a termine i nostri progetti. Forse, ai capigruppo di maggioranza converrebbe ripensarci. Cosa resterà altrimenti? Solo la rissa quotidiana e la prospettiva, che non dovrebbe essere allettante per la maggioranza, di uscirne alla fine con le ossa rotte. Angelo Panebianco 04 ottobre 2010
2010-09-22 Al Quirinale l'inaugurazione dell'anno scolastico Insegnanti, l'appello di Napolitano: "Occorre motivarli e investire" "Puntare sul merito e qualificare i precari". E sulla necessità d'investire: in passato non si è fatto abbastanza Al Quirinale l'inaugurazione dell'anno scolastico Insegnanti, l'appello di Napolitano: "Occorre motivarli e investire" "Puntare sul merito e qualificare i precari". E sulla necessità d'investire: in passato non si è fatto abbastanza ROMA - La prima campanella è gia suonata da diversi giorni in tutta Italia, ma a inaugurare ufficialmente l'anno scolastico 2010-2011 è stato, martedì pomeriggio al Quirinale, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. "Per elevare la qualità dell'insegnamento - ha detto il capo dello Stato -, occorre motivare gli insegnanti e richiedere che abbiano una adeguata formazione, ma anche offrire loro validi strumenti formativi e di riqualificazione. E su tutto questo è necessario investire". Riferendosi agli investimenti il presidente ha poi aggiunto: "Nel passato non lo si è fatto abbastanza e si sono prodotte situazioni pesanti. Occorre dunque qualificare e riqualificare coloro che aspirano ad una assunzione a tempo indeterminato". "RIFORMARE CON GIUDIZIO" - "Nel portare avanti l'impegno comune e categorico per la riduzione del debito pubblico - ha aggiunto il presidente della Repubblica - bisogna riconoscere la priorità della ricerca e dell'istruzione nella ripartizione delle risorse pubbliche disponibili". Secondo l'inquilino del Colle, occorre "riformare con giudizio, occorre sanare squilibri, disparità, disuguaglianze che - ha aggiunto - si presentano anche nell'Istruzione che dovrebbe servire proprio a colmare le disuguaglianze". Inoltre "occorre partire da diagnosi adeguate". Redazione online 21 settembre 2010
2010-09-19 dopo la richiesta del ministro dell'istruzione Mariastella Gelmini Adro, il sindaco: "Rimuovo i simboli soltanto se me lo chiede Bossi" Il leader della Lega: "Forse ne ha messi troppi". Maroni: era sufficiente intitolare la scuola a Miglio * NOTIZIE CORRELATE * "Via i simboli padani dalla scuola" (18 settembre) * Il sindaco "La Lega non c'entra. Mio figlio? Alle private" (16 settembre 2010) * Adro, l'estremismo un po' folk di un sindaco che ha sbagliato di G. Schiavi (16 settembre 2010) dopo la richiesta del ministro dell'istruzione Mariastella Gelmini Adro, il sindaco: "Rimuovo i simboli soltanto se me lo chiede Bossi" Il leader della Lega: "Forse ne ha messi troppi". Maroni: era sufficiente intitolare la scuola a Miglio Uno zerbino con il simbolo del Sole delle Alpi (foto Cavicchi) Uno zerbino con il simbolo del Sole delle Alpi (foto Cavicchi) MILANO - "Se me lo dice Bossi, rimuovo i simboli non domani, ma ieri". Così il sindaco di Adro, Oscar Lancini, ha risposto ad una domanda su cosa intenda fare dopo che il ministro della Pubblica Istruzione Mariastella Gelmini lo ha invitato a rimuovere il simbolo del Sole delle Alpi dal polo scolastico del suo Comune. Lancini ha però aggiunto: "Se lo tolgo dalla scuola, allora faccio lo stesso con gli edifici pubblici su cui è presente da secoli. Altrimenti niente". Sabato sera, alla festa della Lega Nord Romagna, a Forlì, Bossi ha risposto a una domanda sulla scuola di Adro e sui simboli disseminati ovunque: "Il sindaco forse ne ha messi troppi. Avrebbe potuto farne uno bello, che bastava. Questi simboli la Lega li ha fatti diventare politici, ma sono graffiti delle Alpi. E a Brescia ce ne sono tantissimi". Il sindaco Lancini c'è rimasto male: "Sono sorpreso di quello che ho letto sui giornali. Io comunque ho ricevuto i complimenti dei vertici leghisti". Domenica ad Adro è arrivato il vicesindaco leghista di una comune della provincia di Bergamo, appunto per complimentarsi con Lancini. Scuola di Adro, simboli e contestazione Scuola di Adro, simboli e contestazione Scuola di Adro, simboli e contestazione Scuola di Adro, simboli e contestazione Scuola di Adro, simboli e contestazione Scuola di Adro, simboli e contestazione Scuola di Adro, simboli e contestazione Scuola di Adro, simboli e contestazione Il ministro dell' Interno, Roberto Maroni, "condivide" le parole del leader della Lega: "Intitolare la scuola a Miglio è stata una grande idea ma io mi sarei fermato lì", ha detto il ministro durante l'inaugurazione di un asilo nido in una villa confiscata alla criminalità organizzata a Lonate Ceppino (Varese). "Miglio vuol dire tutto - ha aggiunto Maroni - è stato l'inventore delle tre macroregioni e quindi anche della padania". Redazione online 19 settembre 2010
2010-09-18 LA POLEMICA di ADRO. Il sindaco: "Sono stupito" "Via i simboli padani dalla scuola" Lettera del ministro Gelmini al sindaco della cittadina lombarda. "Rimuovere il sole delle Alpi" * NOTIZIE CORRELATE * Il sindaco "La Lega non c'entra. Mio figlio? Alle private" (16 settembre 2010) * Adro, l'etremismo un po' folk di un sindaco che ha sbagliato di G. Schiavi (16 settembre 2010) LA POLEMICA di ADRO. Il sindaco: "Sono stupito" "Via i simboli padani dalla scuola" Lettera del ministro Gelmini al sindaco della cittadina lombarda. "Rimuovere il sole delle Alpi" MILANO - Il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini, con una lettera fatta inviare nei giorni scorsi dal direttore dell'ufficio scolastico della Lombardia, ha chiesto al sindaco di Adro (Brescia) di "adoperarsi per la rimozione dal polo scolastico del simbolo" noto come il "sole delle Alpi". E' quanto apprende l'Ansa. LA MISSIVA - Nella lettera, firmata dal direttore Giuseppe Colosio, viene dato atto al sindaco di Adro di aver realizzato "attrezzature didattiche all'avanguardia", ma è anche spiegato che non può essere nascosto il fatto che "il sole delle Alpi" è uno dei simboli utilizzati dalla Lega, il movimento politico al quale appartiene la maggioranza dell'amministrazione comunale di Adro. Nella lettera si ricorda l'attenzione mediatica di questi giorni e si sottolinea che è dovere dell'amministrazione evitare che la politica di parte entri nella scuola: la delicatezza della funzione - si legge nel testo - impone di intervenire anche in caso di solo sospetto, per evitare ogni possibile strumentalizzazione. Scuola di Adro, simboli e contestazione Scuola di Adro, simboli e contestazione Scuola di Adro, simboli e contestazione Scuola di Adro, simboli e contestazione Scuola di Adro, simboli e contestazione Scuola di Adro, simboli e contestazione Scuola di Adro, simboli e contestazione Scuola di Adro, simboli e contestazione IL SINDACO: "STUPITO" - Si dice "stupito". Il sindaco di Adro, Danilo Oscar Lancini, al quale è arrivata una lettera dal direttore dell'Ufficio scolastico della Lombardia, ma "suggerita" dal ministro dell'Istruzione, Maristella Gelmini, perchè si adoperi "per la rimozione dal polo scolastico del simbolo" della Lega, noto come il "Sole delle Alpi". "Mi sembrava che il ministro avesse capito- ha aggiunto Lancini secondo quanto riferito da Sky- che il Sole delle Alpi è un simbolo del territorio e non di un partito". 18 settembre 2010
2010-09-15 "Servono più risorse per la scuola ma anche più qualità e merito" "La politica ritrovi moralità e idealità" Napolitano: "Bisogna costruire qualcosa di simile al clima di grande slancio che c'era nel 1945" "Servono più risorse per la scuola ma anche più qualità e merito" "La politica ritrovi moralità e idealità" Napolitano: "Bisogna costruire qualcosa di simile al clima di grande slancio che c'era nel 1945" Giorgio Napolitano (LaPresse) Giorgio Napolitano (LaPresse) MILANO - " Bisogna costruire qualcosa di simile al clima di grande slancio che c'era nel 1945, dopo la guerra. Si era molto motivati. Occorre un rilancio morale e ideale della politica, che è ricerca delle soluzioni possibili ma richiede preparazione e moralità". E' questo il pensiero del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano sulla crisi politica, pensiero che emerge dalle risposte ad alcune domande fatte dai giovani partecipanti al Giffoni Film Festival. SCUOLA - Il capo dello Stato ha poi affrontato con i ragazzi le tematiche relative alla crisi in cui si dibatte il sistema scolastico: "Servono più risorse per la scuola ma anche più qualità in termini di attività formative e impegno a produrre buoni risultati. Certo dipende dalle risorse, dagli ordinamenti ma anche dagli insegnanti". LA PROSPETTIVA DELLA COSTITUZIONE - "Non dimentichiamo che nella Costituzione della Repubblica - ha aggiunto Napolitano - ci si riferisce ai capaci e ai meritevoli, cioè la costituzione indica una strada che e quella di di conoscere e incoraggiare il merito, chi si applica di più e chi realizza di più e bisogna andare avanti in questa direzione". PRESIDENTE DI TUTTI - "Il mio dovere è quello di rimanere fuori dalla mischia perchè così ha voluto chi ha scritto la Costituzione. Io sarò il presidente di tutti fino all'ultimo giorno del mio mandato" ha aggiunto ancora Napolitano. A chi gli domandava quale fosse il "trucco" del presidente della Repubblica per rimanere neutrale senza tradire le proprie idee, il capo dello Stato ha risposto: "Non c'è nessun trucco. Si può essere neutrali senza tradire le cose in cui si crede". Redazione online 15 settembre 2010
2010-09-14 il ministro dell'istruzione: "testo che ha determinato la nascita della civiltà in cui viviamo" "Leggiamo la Bibbia nelle scuole" La Gelmini: "E' un'iniziativa a cui sono favorevole come ministro, come credente e come cittadina" il ministro dell'istruzione: "testo che ha determinato la nascita della civiltà in cui viviamo" "Leggiamo la Bibbia nelle scuole" La Gelmini: "E' un'iniziativa a cui sono favorevole come ministro, come credente e come cittadina" Maria Stella Gelmini (Emblema) Maria Stella Gelmini (Emblema) MILANO - Una proposta che farà discutere. "La lettura della Bibbia nelle scuole è un'iniziativa a cui sono favorevole come ministro, come credente e come cittadina italiana". Lo scrive il ministro dell'Istruzione Maria Stella Gelmini sul periodico cattolico "Famiglia Cristiana". LA PROPOSTA - "La scuola - spiega la Gelmini - deve istruire i ragazzi ma deve anche formare dei cittadini responsabili e degli adulti consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri. Questo insieme di valori e insegnamenti, nel mondo occidentale, è rappresentato dalla tradizione cristiana". Per il ministro Gelmini, "è quindi importante che i nostri figli, nel bagaglio di conoscenze che la scuola deve garantire loro, possano incontrare fin da subito un testo che ha determinato la nascita della civiltà in cui viviamo e che parla ai cuori e alle coscienze di tutti". Del resto, ricorda, "l'Occidente è stato edificato sugli insegnamenti del cristianesimo ed è impossibile, senza comprendere questa presenza, studiare la sua storia, capire la filosofia, conoscerne l'arte e la cultura" nè si può "dialogare e confrontarsi in modo proficuo con le altre culture". "In una fase della storia che richiede il più ampio sforzo per sconfiggere l'odio, dobbiamo - conclude la Gelmini - fare in modo che i nostri giovani siano consapevoli della propria identità per potersi confrontare con le altre e crescere e vivere nel rispetto reciproco". La lettera del ministro Gelmini "benedice" il lancio della Bibbia pocket del gruppo editoriale San Paolo, allegata questa settimana a Famiglia Cristiana e distribuito da giovedì 16 settembre nelle librerie, nelle parrocchie, negli aeroporti, nelle stazioni, negli autogrill, nei supermercati e nelle grandi catene di elettronica. Obiettivo dell'iniziativa: diffondere un milione di copie del testo sacro in tutt'Italia. Redazione online 14 settembre 2010
2010-09-13 E sul "Sole delle Alpi" nella scuola di Adro: "Per i simboli della sinistra mai lamentele..." Gelmini: "Tutti gli anni ci sono proteste Ma ora gli insegnanti raccolgano la sfida" Il ministro inaugura l'anno scolastico al policlinico Gemelli: "Precari? Siglati accordi con le Regioni" * NOTIZIE CORRELATE * Gli insegnanti precari bloccano lo Stretto E da lunedì manifestazioni degli studenti (12 settembre 2010) E sul "Sole delle Alpi" nella scuola di Adro: "Per i simboli della sinistra mai lamentele..." Gelmini: "Tutti gli anni ci sono proteste Ma ora gli insegnanti raccolgano la sfida" Il ministro inaugura l'anno scolastico al policlinico Gemelli: "Precari? Siglati accordi con le Regioni" Il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini (Eidon) Il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini (Eidon) ROMA - "Non ricordo un anno scolastico che non sia stato accompagnato da una serie di polemiche e proteste". Così il ministro dell'istruzione Mariastella Gelmini ha risposto ai cronisti che le chiedevano un commento sulle proteste dei precari, non ultima quella di ieri allo Stretto di Messina. "Rispetto - ha detto il ministro che oggi ha inaugurato l'anno nella sezione scuola del Policlinico Gemelli a Roma - tutti coloro che protestano. Credo che questo non sia comunque il primo anno che accade". Sulla questione dei precari, il ministro ha ribadito di aver già risposto, "dopo di che - ha aggiunto - voglio sottolineare che quest'anno la scuola mette al centro gli studenti e non gli interessi corporativi. È fondamentale il diritto dei ragazzi ad avere una scuola di qualità indipendentemente dal loro ceto sociale e dalla regione di appartenenza". IL NODO PRECARI - L'anno scolastico, ha assicurato il ministro, partirà regolarmente. "Proprio ieri - ha spiegato - abbiamo effettuato un controllo con gli uffici scolastici regionali e riteniamo che l'anno scolastico possa essere avviato in maniera regolare. Tutte le immissioni in ruolo sono state fatte così come le supplenze sono state assegnate. Per quanto riguarda i precari sono stati siglati gli accordi con le Regioni. Il lavoro oneroso che si compie tra fine agosto e i primi di settembre è stato completato nel migliore dei modi". LA RIFORMA E LA "SFIDA" - In ogni caso, ha fatto notare Gelmini riferendosi alla scuola superiore, "il governo ha predisposto questa riforma ma la sfida deve essere raccolta innanzitutto dagli insegnanti perchè a loro tocca l'onere di applicarla e di collaborare per rendere la scuola davvero un'istituzione eccellente". "Occorre restituire a questa realtà che credo sia uno degli elementi unificanti del paese - ha poi sottolineato - la giusta considerazione e il giusto valore. Oggi la sfida è degli insegnanti". IL CASO ADRO - Infine le è stato chiesto un commento sull'apposizione del "sole delle Alpi", uno dei simboli della Lega Nord, sull'edificio della scuola di Adro, nel Bresciano. "Coloro che hanno polemizzato contro il sindaco di Adro - ha detto il ministro . dovrebbero farlo anche le molte volte che ci sono simboli della sinistra che entrano nelle aule. È molto più facile che si verifichino queste situazioni piuttosto che trovare simboli della Lega". Comunque il ministro ha ribadito che la scuola va tenuta "fuori da polemiche politiche. Prendo atto che il sindaco di Adro ha specificato che il simbolo è stato usato non perchè della Lega, ma perchè appartenente all'iconografia del Comune". Redazione online 13 settembre 2010
Meno ore di lezione e tetto alle assenze Parte la nuova scuola In mille classi salta il limite del 30 % agli immigrati Tutti in classe - Il ritorno Meno ore di lezione e tetto alle assenze Parte la nuova scuola In mille classi salta il limite del 30 % agli immigrati Studenti del liceo Tasso di Roma (Italyphotopress) Studenti del liceo Tasso di Roma (Italyphotopress) ROMA—Le nuove superiori, con il liceo scientifico senza il latino e il classico con meno geografia e più matematica. Il tetto del 30% per gli stranieri che alla fine ha partorito un topolino, fatto di pochi spostamenti e un migliaio di classi in deroga. E poi la riduzione dell’orario scolastico, il badge per gli studenti, la bocciatura automatica con più di 50 assenze. In questo primo giorno di scuola ci sono tante novità, ma anche tanti vecchi problemi: non solo i precari che aspettano in lista da anni ma anche le classi sovraffollate, i presidi che mancano, gli edifici fuori norma. Nuove superiori La riforma parte dalle prime classi (quasi 600 mila studenti), mentre chi è più avanti continuerà lungo il vecchio percorso. Gli indirizzi dei licei vengono ridotti a sei, cancellando le 356 sperimentazioni del passato. Per numero di iscritti resta in testa lo scientifico con 115 mila studenti, il triplo del classico. Il liceo delle scienze umane, che prende il posto delle vecchie magistrali, è stato scelto da 27 mila ragazze e ragazzi. Mentre quelli musicale e coreutico (che prepara alla danza) arrivano insieme a poco più di mille iscritti, coprendo comunque tutti i posti disponibili. La tesserina magnetica distribuita due anni fa a molti liceali potrà essere usata per registrare ingresso ed uscita. Ma a decidere sul badge sono i singoli istituti. Materie Non c’è solo il latino che scompare dallo scientifico e la geografia che al classico dà la precedenza alla matematica. In tutti gli indirizzi vengono potenziate le ore di scienze, fisica e matematica, da sempre il punto debole dei nostri studenti. Si vedrà se basterà per risolvere il problema oppure se quello che serve è un nuovo metodo. Potenziato anche lo studio delle lingue straniere, obbligatorio in tutti e cinque gli anni dei licei. All’ultimo anno un materia non linguistica sarà insegnata direttamente in inglese, come già sperimentato in diverse scuole. Considerando tutte le materie il numero totale di ore a settimana si riduce: negli istituti tecnici e professionali, ad esempio, si scende da 36 a 32. In tutti gli indirizzi, però, si allunga la durata delle lezioni, da 50 a 60 minuti. Tetto stranieri Il tetto per gli stranieri viene applicato per la prima volta: in ogni classe non è possibile superare il 30% del totale degli alunni. Il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini ha detto più volte che serve per integrare i ragazzi che arrivano da altri Paesi. La circolare è stata firmata dopo l’archiviazione della proposta della Lega, che premeva per le classi di inserimento, cioè riservate agli stranieri messi male con l’italiano. Ma quali sono stati gli effetti pratici del tetto? Pochi. Prima il ministero ha chiarito che non rientrano nel 30% gli stranieri nati in Italia e in ogni caso quelli che parlano bene la nostra lingua. Poi ha detto che nelle situazioni più difficili le classi sarebbero state autorizzate a superare quella soglia. Le deroghe sono state poco meno di mille, soprattutto in Lombardia e Veneto, ma anche in Toscana e Lazio. Alla fine, anche per il taglio degli organici, gli spostamenti per restare sotto la soglia sono stati pochi mentre chi la superava continua a farlo. La prova che molto spesso la politica parla tanto di scuola ma la scuola reale è un’altra cosa. Classi affollate Per legge il limite massimo di alunni dovrebbe essere 25, ma si può sforare se non è possibile formare un’altra classe. Il limite, quindi, è teorico ed è sempre stato superato. Ma con i tagli degli organici degli ultimi anni la situazione si è fatta più seria. Il record spetta ad un istituto tecnico di Genova con 38 studenti. Ma è ancora presto per dire quanto è aumentato l’affollamento in generale. Nei primissimi giorni di lezione, di solito si procede a una serie di spostamenti per tamponare le situazioni più pesanti. Cattedre vuote Un altro problema ricorrente ancora più grave quest’anno. La nomina dei supplenti annuali è sempre un’operazione complicata, specie nelle grandi città. Stavolta è partita più tardi del solito perché la manovra economica aveva bloccato le assunzioni nella pubblica amministrazione fermando le immissioni in ruolo che devono essere fatte prima. Tolto lo stop alle assunzioni, la macchina è ripartita ma ha faticato parecchio a recuperare il ritardo. Nelle grandi città alcuni supplenti non saranno in cattedra nei primissimi giorni. Assenze La regola valeva già per le scuole medie, adesso viene estesa alle superiori. Chi supera le 50 assenze nel corso dell’anno sarà bocciato automaticamente, a prescindere dai voti. La misura è stata estesa non solo per frenare le occupazioni e le autogestioni. Ma soprattutto per rispondere ai diplomifici, le scuole private che regalano promozione e maturità anche a chi frequenta poco. Edifici non a norma Su 40 mila edifici scolastici circa 15 mila non sono a norma. Quasi uno su due. In 2.400 casi c’è addirittura l’amianto. Il governo ha annunciato l’impiego di un miliardo di euro entro un anno e mezzo. Ma quei soldi non sono sufficienti per tutti i lavori necessari. Stipendio È una delle grandi preoccupazioni degli insegnanti. La manovra economica ha congelato gli scatti d’anzianità per tre anni. Ma probabilmente gli scatti non torneranno più. Il ministro dell’Istruzione ha detto che saranno sostituiti con aumenti legati al merito. Ma il problema è studiare e mettere a regime un sistema per capire quali sono gli insegnanti più bravi e trovare i soldi necessari. Per il momento è solo una promessa, mentre gli scatti sono stati tolti per davvero. Lorenzo Salvia 13 settembre 2010
PRIMO GIORNO DI SCUOLA Tagli Gelmini, la rivolta dei caschi gialli Studenti mobilitati: sit-in a Trastevere Proteste con gli elmetti davanti a due licei romani "per proteggerci dalle macerie causate dal ministro" * NOTIZIE CORRELATE * Allarme bullismo: uno studente su due infastidito dai prepotenti (13 sett 10) PRIMO GIORNO DI SCUOLA Tagli Gelmini, la rivolta dei caschi gialli Studenti mobilitati: sit-in a Trastevere Proteste con gli elmetti davanti a due licei romani "per proteggerci dalle macerie causate dal ministro" La protesta degli studenti davanti al liceo Tasso di Roma (Ansa) La protesta degli studenti davanti al liceo Tasso di Roma (Ansa) ROMA - Un sit-in al ministero e due proteste davanti ai licei Tasso e Montessori. Comincia con le bandiere in piazza il primo giorno di scuola nella Capitale. Le associazioni anti-Gelmini continuano la mobilitazione contro la riforma della pubblica istruzione e i tagli agli organici. E arriva un nuovo simbolo: il casco giallo da operai, contro le "macerie" del sistema scolastico e per dire: "La scuola la ricostruiamo noi". Per cominciare, alle 15.30 di lunedì 13 settembre centinaia di studenti si ritrovano per un sit-in a Roma davanti al ministero dell’Istruzione dell'Università e della Ricerca (Miur): la Rete degli Studenti annuncia che per l'occasione lancerà "la prima data di mobilitazione studentesca che aprirà l’autunno caldo della scuola". E anche a Frosinone, al liceo classico Turriziani, gli studenti promettono di farsi sentire.
Caschi gialli da operai: i nuovi simboli scelti dagli studenti per dire no alle macerie della scuola e gridare: la ricostruiamo noi (Ansa) Caschi gialli da operai: i nuovi simboli scelti dagli studenti per dire no alle macerie della scuola e gridare: la ricostruiamo noi (Ansa) PROTESTA NAZIONALE - Dopo i precari, che domenica per alcune ore hanno creato disagi al flusso sullo Stretto dei Messina, gli studenti promettono manifestazioni in tutte le 10 regioni italiane dove lunedì si torna sui banchi. Volantinaggi, esposizioni di striscioni, manifestazioni e sit-in "per ribadire il loro no agli 8 miliardi di euro sottratti al comparto con la finanziaria del 2008" saranno organizzati anche Venezia (liceo Foscarini), Torino (via Bligny e corso Dante), Perugia (piazzale Anna Frank), Grosseto (istituto agrario Leopoldo II di Lorena). Martedì 14, proteste a Bologna (istituto tecnico Aldini). Il 15 settembre a Palermo (Vittorio Emanuele III), il 16 a Caltanissetta e il 25 a Lentini. Le associazioni non intedono dare tregua "a questo governo: saremo in prima linea - dice Monica Usai, dell’Unione degli Studenti - contro i tagli agli organici e al piano di offerta formativa, per opporci all’idea della Gelmini di una scuola svuotata di senso, fabbrica di precarietà e individualismo". Per questo nel primo giorno di scuola "porteremo avanti le nostre battaglie assieme agli insegnanti, ai precari, ai genitori e a tutti coloro che hanno a cuore la scuola pubblica italiana". (Lapresse) (Lapresse) VESTITI DA OPERAI - "Saremo davanti alle nostre scuole con i caschetti gialli da lavoro - annuncia Sofia Sabatino, portavoce della Rete degli studenti - per proteggerci la testa dalle macerie che la Gelmini e Tremonti hanno causato e daremo inizio alla nostra ricostruzione". Secondo Sabatino "non si può considerare la scuola un’azienda in dissesto economico, i saperi un capitolo di bilancio sul quale risparmiare, le nostre vite uno spreco di denaro. Saremo noi studenti, insieme a tutte le componenti della scuola, a ricostruire pezzo su pezzo le nostre scuole". Redazione online 13 settembre 2010
LA POLEMICA Il "no" della Gelmini al marchio Lega sui banchi Il ministro sulla scelta nel Bresciano: "Estremismo folk. Forse nemmeno nel Carroccio la condividono" LA POLEMICA Il "no" della Gelmini al marchio Lega sui banchi Il ministro sulla scelta nel Bresciano: "Estremismo folk. Forse nemmeno nel Carroccio la condividono" Il ministro Gelmini Il ministro Gelmini ROMA — Non condivide il "folklore" del sindaco di Adro (Brescia) il ministro della Pubblica istruzione Mariastella Gelmini. Prende le distanze dalla scelta di quel sindaco (Oscar Lancini) che ha voluto, e da poco inaugurato, una scuola con il simbolo celtico stampato sui banchi, sulle vetrate, sui cestini della carta straccia e persino sullo zerbino dell’ingresso. Il simbolo divenuto il segno distintivo della Lega, il Sole delle Alpi. "Francamente — dice il ministro — il sindaco Lancini ci ha abituato ad un certo folklore, ad un certo estremismo che non condivido ovviamente in quanto ministro dell'Istruzione" . Non va molto oltre Gelmini, e del resto ha ben altro di cui occuparsi in questi giorni di proteste dei precari e con l’imminente apertura delle scuole. Ma aggiunge quello che sembra più una speranza che una certezza: "Forse nemmeno tutto il partito della Lega può condividere queste esasperazioni che non fanno bene neanche a quel movimento", e così chiude la partita. Non basta però all’opposizione la presa di distanza del ministro. Il responsabile della scuola per il Pd, Francesca Puglisi, dice che questa faccenda della scuola con i simboli del partito leghista è "inqualificabile" e che "i simboli devono essere rimossi immediatamente e il ministro Gelmini deve farsi carico di far rispettare la legalità violata. Non si tratta di dare una tiratina di orecchie riducendo il tutto a semplice folklore. Qui si tratta di far rispettare, in maniera rigorosa, l’indispensabile separazione tra interessi pubblici e privati, evitando pericolose commistioni tra piani istituzionali diversi". Anche il portavoce dell’Italia dei valori, Leoluca Orlando, attacca la Lega per quella scuola che è stata trasformata "in una sede di propaganda politica" e chiede un intervento duro del governo contro queste posizioni "estreme, antisemite e lontane anni luce da un Paese civile e democratico". "Inaccettabile", dice persino il senatore di Futuro e Libertà, il finiano Giuseppe Valditara, che si occupa di scuola e di università. "Inaccettabile perché nelle scuole pubbliche non si può fare propaganda politica. Avrei potuto ancora capire se la scuola fosse stata "marchiata" con lo stemma della Regione Lombardia, ma quello è un simbolo di partito. Mi auguro che il ministro dia una risposta con un maggior senso dello Stato. Non si può parlare solo di folklore, perché di folklore in folklore si lanciano precisi messaggi". Non è la prima volta che il sindaco di Adro fa parlare di sé. Qualche mese fa aveva annunciato che avrebbe lasciato senza mensa i bambini delle famiglie non in regola con il pagamento della retta. Le polemiche sono divampate per giorni. Adesso il Sole delle Alpi marchiato su ogni suppellettile della scuola intitolata a Gianfranco Miglio riconquista, per conto di Lancini, i titoli dei giornali. Come il crocifisso in ogni aula, non solo appeso ad un chiodo ma bloccato al muro con le viti perché, ha detto il sindaco, "a nessuno venga in testa di toglierli o di coprirli". La scuola leghista di Adro continuerà a far parlare la politica ma dalla Lega, in risposta al "non condivido" del ministro, è arrivata ieri sera la precisazione del parlamentare della Lega Nord Davide Caparini, che sembra spostare la questione dai simboli di partito ai simboli culturali e geografici in genere. "Credo che le parole del ministro Gelmini siano state male interpretate — ha detto Caparini —. La domanda si riferiva alla censura dei simboli di partito nelle scuole, non è certo il caso di Adro e del Sole delle Alpi che ricorre nell’iconografia di quel paese al punto da essere raffigurato anche nella Chiesa più antica e prestigiosa". Mariolina Iossa 13 settembre 2010
I partiti e i giovanissimi L'uso politico dei bambini e la nuova dottrina di Adro Dai manifesti di Pci e Dc ai piccoli finiani in marcia * NOTIZIE CORRELATE * La scuola "appaltata" alla Lega. Il marchio del sole su banchi e cestini (12 settembre 2010) I partiti e i giovanissimi L'uso politico dei bambini e la nuova dottrina di Adro Dai manifesti di Pci e Dc ai piccoli finiani in marcia Un tappeto con la scritta ''Polo scolastico - Gianfranco Miglio'' nella scuola di Adro, nel Bresciano, dove tutto è segnato con il ''Sole delle Alpi'', marchio della Lega Un tappeto con la scritta "'Polo scolastico - Gianfranco Miglio'" nella scuola di Adro, nel Bresciano, dove tutto è segnato con il ''Sole delle Alpi'', marchio della Lega Dice la Padania: coinvolgere nella politica "innocenti e disinformati bambini" è "meschino e spregevole". Dice Berlusconi: "È inaccettabile strumentalizzare i bambini". Dice la Gelmini: "È vergognoso che si strumentalizzino i bambini". Ma se la pensano così (a ragione) per i piccoli portati nelle piazze "rosse", come possono tacere su quella scuola di Adro marchiata di simboli leghisti? Sia chiaro, quel sindaco del Carroccio non ha scoperto niente di nuovo. L'indottrinamento dei fanciulli è da sempre una fissa di chi pensa di avere la verità in tasca. Lo hanno fatto i comunisti coi giovani pionieri devoti a Peppone Stalin che correvano per casa annunciando la rivoluzione: "Budet revolucija!". Lo hanno fatto i fascisti coi balilla che a scuola studiavano che "gli italiani, siccome sono i più richiamati dalla Santa Provvidenza, hanno tredici comandamenti. I primi dieci della tavola di Mosè e poi c'è Credere, Obbedire, Combattere". Lo hanno fatto i nazisti partendo da quanto aveva scritto Hitler nel "Mein Kampf": "Lo Stato razzista deve considerare il bambino come il bene più prezioso della nazione". Per carità, ogni paragone tra la scuola di Adro e quelle in cui gli scolari intonavano "Heil Hitler! Sia lodato Gesù Cristo in eterno, amen", sarebbe una forzatura esagerata. La tragedia, è noto, si ripete spesso in farsa. Ma certo l'iniziativa di Oscar Lancini, il sindaco bossiano che ha tappezzato col marchio leghista del sole delle Alpi tutta la nuova scuola elementare, dai tavoli ai banchi, dai cestini dell'immondizia alle finestre, è una cosa sgradevolmente nuova perfino nel tormentone dell'uso e dell' abuso dei bambini nelle faccende della politica nostrana. Non c'è mai stato molto rispetto per i minori, dalle nostre parti. Basti ricordare i manifesti del Pci del 1946 con due fratellini che in mezzo a un campo di grano, mentre sventolano una bandiera rossa e una tricolore, invitavano a votare contro la monarchia. O i manifesti della DC. La bimba terrorizzata davanti ai cingoli d'un carro armato marchiato con falce martello. La mamma che protegge i figlioletti: "Madre! Salve i tuoi figli dal bolscevismo!". Il piccolo democristiano che esulta: "Mamma e papà votano per me". Lo scolaretto che tiene un comizio ai compagnucci: "E se papà e mamma non andranno a votare, noi faremo la pipì a letto!" Né si può dire che le cose siano cambiate col passare degli anni. Lo ricorda una foto di bambini che sfilano per le vie di Milano nel ‘69 col fazzoletto rosso al collo e il "libretto rosso" in mano tra uno sventolio di bandiere dei marxisti leninisti. O l'immagine di una femminista "'n zacco alternativa" che nel 1975 tira a una manifestazione per l'aborto un carrettino dove due bimbe mostrano un cartello: "È più bello nascere se si è desiderati". O ancora la poesia letta in apertura di un congresso radicale da una "tesserata di quattro anni", Altea: "In un bel vaso di porcellana / era rinchiusa una bella cinesina / che danzava una danza americana / con il capitano della Marina. Ciao e buon congresso!" . Per non dire di quel maestro che alla periferia milanese spiegava ai bambini un alfabeto tutto suo (C come Castro, F come fucile, R come rivoluzione…) o delle processioni dei nostalgici alla tomba del Duce a Predappio con figli al seguito con fez e manganellino: "Tu levi la piccola mano, / con viso di luce irradiato. / Tu sei quel bambino italiano, / che il Duce a cavallo, ha incontrato. / Il Duce ti guarda, o innocenza. / Sull'erba, che sfiori, gli appare / la dolce e radiosa semenza…". Si poteva sperare che cambiasse tutto con la seconda Repubblica? Magari! L'esordio, spettacolare, fu di Maria Pia Dell'Utri il giorno in cui spiegò come mai era nato a casa sua, per iniziativa a suo dire della figlioletta Araba, il primo "Baby club di Forza Italia": "Mi ha detto: "Mamma, posso essere anch'io presidente di un club di Forza Italia per bambini?" E io: "Ma certo amore, è una splendida idea, chissà come sarà contento papà"". La bimba, spiegò la madre al giornale del quartiere ripreso da Concita de Gregorio, aveva "voluto uno striscione con scritto "Silvio facci sempre vedere i cartoni"" perché "i bambini temevano che se Berlusconi avesse perso le elezioni loro non avrebbero più avuto cartoni animati in tv". Da allora, ne abbiamo viste, letteralmente, di tutti i colori. Neonati comunisti col pugnetto alzato per "il manifesto". Piccoli finiani (non ancora antiberlusconiani) in marcia contro i leghisti con le magliette che dicevano: "Io sono italiano". Giovanissimi crociati in calzamaglia o con strampalati costumi pseudo-celtici sui palchi dei comizi di Bossi. Devoti chierichetti al "family day". Famigliole felici e avanguardiste arruolate per i manifesti di Forza Nuova. Cuccioli di "black block" o "Tute Bianche" trascinati da babbi e mammine ai cortei alternativi. Tranne il "piccolo kamikaze coi candelottini alla cintura", non ci siamo fatti mancare niente. E ogni volta: scandalo! Da parte di chi, si capisce, stava sull'altro fronte. Indimenticabile un Maurizio Gasparri da antologia: "Trovo sgradevole l'uso dei bambini nelle manifestazioni. È sbagliato strumentalizzare e disinformare i bambini portandoli nei cortei. È una cosa gravissima e chi lo fa è un cattivo genitore". E con chi si fa fotografare al corteo del Family Day del 12 maggio? Con la sua figlioletta. Che porta al collo il badge con nome, cognome e partito di appartenenza: Alleanza Nazionale. Proprio perché questo è un tema che più di altri richiede coerenza, val la pena dunque di ricordare i giudizi della destra sui bambini portati in piazza un paio di anni fa contro Maria Stella Gelmini. "La marcia su Roma dei bambini", titolò scandalizzata la Padania, dedicando al tema altri titoli come "Che pena i bimbi in piazza". "E’ odioso vedere certi insegnanti e certi genitori, spesso senza aver letto una riga del decreto, sfruttare i bambini per la protesta", tuonò il segretario romagnolo della Lega Gianluca Pini. E via così, fino ai durissimi giudizi già ricordati del capo del governo e di Maria Stella Gelmini. La quale oggi pensa che la scelta di indottrinamento leghista della scuola di Adro sia "folklore". Ma va? Gian Antonio Stella 13 settembre 2010
2010-09-11 Intervento "contro i baroni dell'Università e la moltiplicazione dei corsi di laurea" "I rettori italiani? Come l'Urss" Tremonti tra gli studenti: il fallimento degli atenei è una follia Intervento "contro i baroni dell'Università e la moltiplicazione dei corsi di laurea" "I rettori italiani? Come l'Urss" Tremonti tra gli studenti: il fallimento degli atenei è una follia Giulio Tremonti (Emblema) Giulio Tremonti (Emblema) ROMA - "La riforma dell'Università è positiva ma bisogna porre fine ai poteri dei baroni". Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti per il secondo giorno consecutivo sale in cattedra e mette nel mirino il sistema di governance delle università italiane. Lo ha fatto l'altro giorno a Roma partecipando alla festa dei giovani di destra Atreju 2010, lo ha ribadito ieri sollecitato dalle domande degli studenti durante una sorta di lectio magistralis fatta a Frascati per chiudere la Summer School della Fondazione Magna Carta di Gaetano Quagliariello. "Io ho avuto un'esperienza con la nomenclatura sovietica - ha detto scherzando ma mica tanto il ministro/professore - ed è stata con alcuni esponenti universitari". Poi spiega meglio: "Se uno vuole avere un'idea di cosa era l'università sovietica bisogna avere un contatto con la conferenza dei rettori". La platea, per la maggior parte laureati, applaude e il ministro divertito procede. "Dentro l'Università ci sono forti discontinuità - ha spiegato Tremonti citando l'esempio di quella di Siena che è "fallita" -, ora io capisco che possa fallire un'azienda ma una università è una cosa un po' strana per non parlare del fatto che in molte parti del Paese ci sono università che aprono sedi secondarie nel territorio delle altre". Per il ministro dell'Economia la riforma dell'università progettata dalla collega Mariastella Gelmini è una "buona riforma che deve evitare gli effetti choc ma allo stesso tempo porre fine alla follia delle università che falliscono, dei corsi di laurea che si moltiplicano e dei poteri di "baroni e similbaroni"".
L'altro giorno al Celio aveva confessato che se si fosse trovato oggi, e non trent'anni fa, a diventare docente non ci sarebbe riuscito. "I concorsi sono locali e non ho i contatti giusti". Tremonti poi scherza con gli studenti e ammette di essere anche lui un "barone" anzi un "ex barone", un professore in scienza della finanza dal 1974 all'Università di Pavia ora in aspettativa. Suo maestro è stato Gian Antonio Micheli, a sua volta allievo di Calamandrei, e questo ricordo gli da' lo spunto per dare un'altra bacchettata al sistema universitario made in Italy. "Ho insegnato anche a Oxford, Cambridge e Friburgo ma oggi non avrei i titoli per vincere una cattedra", continua Tremonti che nel 2003 ha ideato - trovando sponda con il ministro dell'Istruzione dell'epoca Letizia Moratti - l'Istituto italiano di Tecnologia (Iit) con sede a Genova per introdurre in Italia un laboratorio di cervelli sul modello del bostoniano Mit. Non è un problema solo di baroni ma di sistema. "Giorni fa ho parlato con ricercatori americani - dice ancora il ministro - che mi raccontavano come da loro docenti normali fanno cose straordinarie, in Italia docenti straordinari non riescono a fare nemmeno le cose normali". Roberto Bagnoli Roberto Bagnoli 11 settembre 2010
2010-09-10 conferenza stampa a Palazzo Chigi: le nuove modalità per diventare insegnanti La Gelmini rassicura: "220mila precari saranno assorbiti in 6-7 anni" Al via nuove regole per insegnanti: tirocino sotto la guida di un docente tutor, più inglese * NOTIZIE CORRELATE * Caos scuola, altolà dei vescovi"Nessuno speculi sulla pelle dei ragazzi" (3 settembre 2010) * VIDEO - Gelmini: "I precari sono troppi" (2 settembre 2010) conferenza stampa a Palazzo Chigi: le nuove modalità per diventare insegnanti La Gelmini rassicura: "220mila precari saranno assorbiti in 6-7 anni" Al via nuove regole per insegnanti: tirocino sotto la guida di un docente tutor, più inglese Mariastella Gelmini (foto Massimo Di Vita) Mariastella Gelmini (foto Massimo Di Vita) ROMA - "È difficile fare previsioni, ma secondo stime del ministero nei prossimi anni ci saranno molti pensionamenti e quindi nell'arco di 6-7 anni c'è la ragionevole certezza che gli attuali 220mila precari saranno assorbiti dal sistema d'istruzione". Lo ha assicurato il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, nel corso di una conferenza stampa a Palazzo Chigi per presentare le nuove modalità per diventare insegnanti. "Questo - ha proseguito - agevolerà la condizione dei nuovi insegnanti. Dal 2011 le nuove lauree partiranno in base al sistema di programmazione". LE REGOLE - Il ministro dell'Istruzione ha presentato le nuove regole per diventare insegnanti: un anno di tirocinio per legare teoria a pratica, attivazione solo in base alla necessità per evitare il precariato, più inglese e competenze tecnologiche. La Gelmini, dopo la firma del Regolamento sulla formazione iniziale dei docenti, ha illustrato il progetto: "Si passa dal sapere al sapere insegnare - ha detto il ministro - con il nuovo tirocinio ci si forma soprattutto sul campo. Il tirocino avverrà direttamente in classe sotto la guida di un docente tutor per avere maggiori garanzie di risultato". L'anno di tirocino, "parte già da quest'anno". "Il numero di nuovi docenti sarà deciso in base al fabbisogno - ha detto ancora - e con la fine del precariato sarà consentito ai giovani l'inserimento immediato in ruolo". Fondamentali l'inglese e le nuove tecnologie: "Ci sarà più inglese e sarà necessaria la certificazione B2 in lingua inglese per abilitarsi - ha continuato il ministro - ci sarà un'utilizzazione delle nuove tecnologie in tutte le materie di insegnamento". "Oggi - ha osservato Gelmini - inseriamo un nuovo tassello nella riforma destinata a cambiare il nostro sistema scolastico. Un tassello fondamentale, perchè riguarda la formazione iniziale dei futuri insegnanti. Prevediamo una selezione severa, doverosa per chi avrà in mano il futuro dell'Italia e sostituiamo alle vecchie SSIS un percorso di lauree magistrali specifiche e un anno di tirocinio coprogettato da scuole e università, concentrato nel passaggio dal sapere al saper insegnare". IL TIROCINIO - Con il nuovo sistema per insegnare nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria, ha spiegato il ministro Gelmini, "sarà necessaria una laurea quinquennale, a numero programmato con prova di accesso, che consentirà di conseguire l'abilitazione per la scuola primaria e dell'infanzia; sono rafforzate le competenze disciplinari e pedagogiche; è aumentata la parte di tirocinio a scuola ed è previsto un apposito percorso laboratoriale per la lingua inglese e le nuove tecnologie". Per insegnare nella scuola secondaria di primo e secondo grado, ha proseguito il ministro, "sarà necessaria la laurea magistrale ad hoc completata da un anno di Tirocinio formativo attivo; è prevista una rigorosa selezione per l'ingresso alla laurea magistrale a numero programmato basato sulle necessità del sistema nazionale di istruzione, composto da scuole pubbliche e paritarie; l'anno di Tirocinio formativo attivo contempla 475 ore di tirocinio a scuola (di cui almeno 75 dedicate alla disabilità) sotto la guida di un insegnante tutor. Rispetto al percorso SSIS (Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario), si prende il meglio di quella esperienza, evitando la ripetizione degli insegnamenti disciplinari, approfonditi già nella laurea e nella laurea magistrale, per concentrarsi sul tirocinio (incrementato), sui laboratori e sulle didattiche. Chiudono le SSIS per le secondarie di primo e secondo grado e al loro posto si dà vita al Tirocinio Formativo Attivo della durata di un anno, terreno di incontro tra scuola e università". Durante il tirocinio, sarà dedicato "ampio spazio all'approfondimento della didattica con esperienze sul campo che facilitino il passaggio dal sapere al sapere insegnare". Con questo regolamento, ha sostenuto il ministro, "è stato dato pieno riconoscimento al sistema nazionale dell'istruzione (formato dalle istituzioni scolastiche statali e paritarie), tanto nel coinvolgimento nei tirocini quanto nel calcolo dei fabbisogni del personale docente, e si inizia a prevedere la possibilità di svolgere tirocini anche nelle strutture di istruzione e formazione professionale dove è in atto la sperimentazione dell'obbligo formativo e nei Centri per l'istruzione degli adulti. Inoltre gli Uffici scolastici regionali organizzeranno e aggiorneranno gli albi delle istituzioni scolastiche accreditate che ospiteranno i tirocini sulla base di appositi criteri stabiliti dal ministero, evidenziandone buone prassi e specificità. Gli USR avranno anche funzione di controllo e di verifica sui Tirocini. Sino alla costituzione degli albi, le Università scelgono liberamente le scuole, di concerto con gli USR che mantengono compiti di vigilanza". Redazione online 10 settembre 2010
Como - premiato dal ministro Gelmini per il lavoro con le nuove tecnologie Solo mezza cattedra e 600 euro al mese al miglior prof d'Italia Avrà 8 ore a settimana. Richiesto in Usa: "Collaborerò via web, ma credo nel mio lavoro in Italia" Como - premiato dal ministro Gelmini per il lavoro con le nuove tecnologie Solo mezza cattedra e 600 euro al mese al miglior prof d'Italia Avrà 8 ore a settimana. Richiesto in Usa: "Collaborerò via web, ma credo nel mio lavoro in Italia" Luca Piergiovanni, 37 anni: premiato come "miglior insegnante d'italia", è precario con 8 ore a settimana Luca Piergiovanni, 37 anni: premiato come "miglior insegnante d'italia", è precario con 8 ore a settimana COMO - Professor Piergiovanni, quanto prende attualmente di stipendio? "Mah, il primo cedolino deve ancora arrivare, ma credo sarà attorno ai 600 euro netti". Seicento euro netti sono la paga che il ministero della Pubblica istruzione corrisponde a colui che il ministero stesso ha dichiarato miglior insegnante d'Italia. E ci sarebbe pure da consolarsi, perché fino a pochi giorni fa Luca Piergiovanni, docente di lettere, non poteva contare nemmeno sulle 8 ore settimanali nella scuola media di Olgiate Comasco a cui è stato assegnato dal Provveditorato agli studi di Como. Chiuse dentro la vicenda del professor Piergiovanni, 37 anni, conterraneo di un grande educatore come don Lorenzo Milani, ci sono tutte le contraddizioni che accompagnano la situazione della scuola italiana. L'insegnante, fino allo scorso anno in servizio alle medie di Uggiate Trevano, sempre nel Comasco, si è visto assegnare dal ministro Mariastella Gelmini un riconoscimento quale docente più brillante nel campo dell'innovazione didattica: un premio frutto di un lavoro che Piergiovanni porta avanti da anni con i suoi ragazzi, incrociando sapientemente programmi ministeriali e uso delle nuove tecnologie. Ma il ministero, alla fine dello scorso anno scolastico, ha dovuto "licenziare" il professore, che in quanto precario ha dovuto cedere il posto ad altri. Si è corso il concreto pericolo che "il miglior insegnante d'Italia" rimanesse a spasso, poi è saltato fuori uno "spezzone" di cattedra a Olgiate ed è toccato fare buon viso a cattivo gioco. "L'ufficio scolastico provinciale - specifica il diretto interessato - mi ha detto che mi assegnerà alcune ore aggiuntive per diffondere negli istituti della zona i programmi che ho messo a punto. Speriamo in bene". Il lavoro di Piergiovanni ha attirato anche l'attenzione degli Usa e della prestigiosa università di Yale, che al professorino italiano ha offerto una collaborazione. "In tanti - racconta - mi hanno detto che sono matto a lasciarmi sfuggire un'occasione del genere ma non è così. Intanto la collaborazione ci sarà, seppure solo via web ma poi trasferirmi in America avrebbe significato tagliare i ponti con la scuola in Italia. Sarò uno stupido, ma io in questo lavoro, qui nel mio Paese, ci credo ancora". Resta da capire come sia possibile che lo stesso ministero da un lato dica a Piergiovanni che è il più bravo di tutti, dall'altro gli decurti lo stipendio e rischi di perderne le capacità. "Io una risposta in tasca non ce l'ho - risponde il docente -, ma di sicuro devono essere rivisti i metodi di reclutamento della classe insegnante e ne deve essere svecchiata l'età. L'informatica ha cambiato le nostre vite, non è più possibile ignorarlo quando ci si deve rivolgere ai "nativi digitali" che sono gli attuali studenti. Ma pare sia ancora difficile da noi fare passare un discorso del genere". Claudio Del Frate 09 settembre 2010(ultima modifica: 10 settembre 2010)
2010-09-07 Presentato a Parigi il rapporto annuale sull'Educazione Pagella Ocse alla scuola italiana: bocciata Spesa agli ultimi posti e sbilanciata: si investe solo il 4,5% del Pil, meno del Brasile. Record di ore tra i banchi Presentato a Parigi il rapporto annuale sull'Educazione Pagella Ocse alla scuola italiana: bocciata Spesa agli ultimi posti e sbilanciata: si investe solo il 4,5% del Pil, meno del Brasile. Record di ore tra i banchi MILANO - La scuola italiana? Bocciata. Ci si passa fin troppo tempo, con risultati scarsi. E' snobbata dagli studenti stranieri. Riceve le briciole delle finanze pubbliche. Il corpo insegnanti è sottopagato e poco stimolato. Resta alta la percentuale di abbandoni. E’ quanto emerge dal rapporto annuale "Education at a Glance" dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo), che calcola, fra l'altro, il rendimento degli investimenti in educazione, confrontando i costi dell'istruzione e l'assenza di un guadagno durante il corso di studi, con le prospettive salariali. L’Ocse sottolinea che la preparazione e l’adeguata formazione sono e saranno la leva principale per uscire dalla crisi; dai dati pubblicati risulta che nel nostro paese c’è ancora molto da fare. "Il miglioramento dei sistemi educativi nell'area Ocse sarà un'impegno e una sfida formidabile" per i governi e la loro politica pubblica, ha detto il segretario generale dell'organizzazione parigina, Angel Gurria, nell'editoriale di presentazione del nuovo Outlook sull'Istruzione presentato oggi a Parigi. Secondo Gurria "con la crisi economica molti paesi Ocse fronteggiano la doppia sfida di mantenere finanze pubbliche sostenibili sostenendo allo stesso tempo la crescita economica". In questo senso, ha aggiunto "l'istruzione rappresenta un grosso capitolo della spesa pubblica" e anche "un investimento essenziale per sviluppare il potenziale di crescita a lungo termine dei Paesi e rispondere ai cambiamenti tecnologici e demografici che stanno rimodellando i mercati del lavoro". LA SPESA PER LA SCUOLA - L'Italia spende il 4,5% del Pil nelle istituzioni scolastiche (un dato rimasto costante dal 1995 al 2007), contro una media Ocse del 5,7%. Solo la Repubblica Slovacca spende meno tra i Paesi industrializzati. Persino il Brasile - con il 5,2% - e l'Estonia (5%) spendono di più. Gli Usa - tra i pochi ad aver incrementato la spesa negli anni presi in considerazione - spendono il 7,6%. Nel suo insieme, la spesa pubblica nella scuola (inclusi sussidi alle famiglie e prestiti agli studenti) è pari al 9% della spesa pubblica totale, il livello più basso tra i Paesi industrializzati (13,3% la media Ocse) e l'80% della spesa corrente è assorbito dalle retribuzioni del personale, docente e non, contro il 70% medio nell'Ocse. La spesa media annua complessiva per studente è peraltro di 7.950 dollari, non molto lontana dalla media (8.200), ma focalizzata sulla scuola primaria e secondaria a scapito dell'università dove la spesa media per studente inclusa l'attività di ricerca è 8.600 dollari contro i quasi 13mila Ocse. SPESA PIU' ALTA PER STUDENTE - La spesa cumulativa per uno studente dalla prima elementare alla maturità è di 101mila dollari (contro 94.500 media Ocse), cui vanno aggiunti i 39mila dollari dell'università contro i 53mila della media Ocse. Nella scuola primaria il costo salariale per studente è 2.876 dollari, 568 dollari in più della media Ocse, ma il salario medio dei docenti è inferiore di 497 dollari alla media Ocse che è di 34.496 dollari. A spingere in alto i costi sono le maggiori ore di istruzione (+534 dollari), il minore tempo di insegnamento (+202 dollari) e le dimensioni delle classi (+330 dollari). Il copione si replica nella scuola media con un costo salariale per studente di 3.495 dollari contro una media Ocse di 2.950, mentre nei licei il costo (3.138 dollari) è di 312 dollari inferiore alla media Ocse, risentendo in particolare del divario rispetto al salario medio dei docenti (744 dollari in meno della media che è pari a 42.300 dollari). DOCENTI SOTTOPAGATI - In Italia il top del salario per i docenti arriva dopo oltre 30 anni di lavoro. E l'incremento dall'inizio della carriera alla pensione è piuttosto basso. Ad esempio, un docente delle superiori comincia con poco più di 28mila euro all'anno di salario e arriva a 44mila solo alla fine della propria carriera. La media Ocse è la seguente: si comincia con più di 35mila euro e si approda a oltre 54mila, ma dopo 24 anni e non 35 come in Italia. Anche la media europea è ben superiore a quella italiana. La Germania è un altro mondo: un prof delle superiori comincia con uno stipendio annuale di oltre 51mila euro per approdare, dopo 28 anni di lavoro, a oltre 72mila euro. I nostri docenti sono ai livelli dei colleghi sloveni, che, però, arrivano al top del salario dopo 13 anni. PIU' TEMPO SUI BANCHI -In Italia le ore di istruzione previste sono ben 8.200 tra i 7 e i 14 anni. Solo in Israele i ragazzi stanno più a lungo sui banchi e la media Ocse si ferma a 6.777. Le dimensioni delle classi inoltre sono maggiori rispetto alla media Ocse e il rapporto studenti/insegnante è tra i più bassi (10,6 alla scuola primaria contro media 16,4). PIU' DIPLOMATI, POCHI LAUREATI - Cresce il livello di istruzione. Ma se la percentuale di diplomati, ormai, supera la media Ocse (da noi sono l'85% - erano il 78% nel 2000 - . La media è 80%), restiamo invece su livelli più bassi per quanto riguarda i laureati: da noi sono il 32,8% (si tratta soprattutto di donne), contro una media Ocse del 38%. Il "balzo" è legato all'arrivo delle lauree brevi che ha portato a un 20% di laureati nel 2008, ma solo tra i 24 e i 34 anni. Percentuale che si dimezza tra i 45 e i 54 (12%) e si abbatte al 10% tra i 55 e 64 anni. Nel complesso la media dell'istruzione terziaria nel Paese resta minimale rispetto a quella dei cosiddetti paesi più "ricchi": solo il 2,4% di tutta la popolazione contro il 33,5% degli Usa, il 14,7% del Giappone, il 5,8% della Germania. Da rilevare anche che tra la popolazione tra i 24 e i 64 anni le persone che si sono fermate alla licenza media sono il 47%. POCO ATTRAENTE - Scarsa l'attrattiva della scuola italiana per gli studenti stranieri, principalmente perchè ci sono pochi corsi offerti in inglese: nel 2008, 3,3 milioni di studenti universitari hanno scelto di andare all'estero per i loro studi, ma solo il 2% ha scelto l'Italia. Tra le mete più ambite figurano gli Stati Uniti (scelti dal 18,7% degli studenti stranieri), il Regno Unito (10%), la Germania e la Francia (7,3%). Redazione online 07 settembre 2010
STUDIO USA sugli INTERNET-DIPENDENTI L'occhio a facebook fa sbagliare i compiti E, soprattutto, la ricerca dimostra che il cervello dei giovani non è capace di fare più cose allo stesso tempo STUDIO USA sugli INTERNET-DIPENDENTI L'occhio a facebook fa sbagliare i compiti E, soprattutto, la ricerca dimostra che il cervello dei giovani non è capace di fare più cose allo stesso tempo MILANO - Tenere aperto Facebook mentre si studia e buttargli un occhio anche solo saltuariamente avrebbe una pessima influenza sulle performance scolastiche, con punteggi significativamente più bassi del 20% rispetto a quelli raggiunti dagli studenti-modello che evitano distrazioni di ogni sorta. A dirlo, uno studio su 219 studenti americani condotto da un team di psicologi dell’olandese Open University e pubblicato sulla rivista Computers in Human Behaviour che pare scardinare la teoria secondo la quale il cervello dei giovani sia più abile nel multitasking (ovvero, fare più cose contemporaneamente) evidenziando, in realtà, che coloro che sono soliti usare i social network mentre sono impegnati sui libri ottengono un punteggio medio (calcolato da 0 a 4) di molto inferiore a quello di chi studia e basta: siamo, infatti, nell’ordine del 3.06 contro il 3.82. Ma se tre quarti dei Facebook-dipendenti dice di non credere affatto che passare del tempo sui social network pregiudichi i loro voti scolastici (anche se il restante quarto ammette l’effetto negativo di tale comportamento), quelli che preferiscono anteporre lo studio alle chat online assicurano che la mancanza di distrazioni si traduce in un +88% di tempo medio passato sui libri. IL TEMPO DEL WEB - "Il problema – ha spiegato il professor Paul Kirschner, autore dello studio, al londinese Daily Mail - è che molti tengono costantemente aperti Facebook o altri social network, ma anche i programmi di posta e le chat, mentre sono impegnati a fare altro, convinti così di riuscire a fare più cose in meno tempo. In realtà, la nostra indagine, come pure ricerche precedenti, ha dimostrato che, al contrario, agendo in questo modo si allunga il tempo necessario a portare a termine il nostro compito e aumentano anche gli errori. E ci aspettiamo di vedere risultati simili anche in studenti più giovani del campione testato, a conferma che l’idea che i ragazzi possano fare più cose contemporaneamente e che si debbano adeguare i nostri sistemi educativi per stare al passo coi tempi sia solo una convinzione oggi di moda". Nel maggio scorso un sondaggio online della rivista dell’Università di Cambridge, The Tab, aveva evidenziato come il 56,5% degli studenti passasse più tempo sul web che sui libri, con addirittura il 63,9% dedito a Facebook e simili. E se il 57,4% si era detto convinto che tale pratica alla lunga pregiudicasse i voti finali e l’80,56 aveva pure ammesso la possibile esistenza di una "dipendenza da internet", per il 53,7% degli intervistati tale comportamento non poteva essere considerato patologico bensì figlio dei tempi. Simona Marchetti 07 settembre 2010
Studio Il progetto dei ministri Gelmini e Brunetta. Interessate soprattutto le superiori Tremila scuole già collegate online Ai genitori voti e assenze in diretta Creato un portale: le famiglie avranno password e privacy garantita Studio Il progetto dei ministri Gelmini e Brunetta. Interessate soprattutto le superiori Tremila scuole già collegate online Ai genitori voti e assenze in diretta Creato un portale: le famiglie avranno password e privacy garantita ROMA - Parlare con la scuola attraverso il web, sapere tutto del proprio figlio, il suo rendimento scolastico per prima cosa, ma anche poter chiedere certificati, per esempio i nulla osta, vedere su schermo pagelle e persino i voti dei compiti e delle interrogazioni, controllare che il ragazzo non faccia assenze ingiustificate, perché in questo caso si viene avvisati con una mail o un sms. E ancora prenotare i colloqui con i professori, leggere avvisi e circolari e ogni altra comunicazione che interessi, per esempio quelle che riguardano le uscite didattiche e le gite scolastiche di più giorni. La rivoluzione digitale comincia da questo mese, sono già tremila le scuole che hanno aderito al progetto dei ministri Gelmini e Brunetta, il portale Scuola Mia attivo dallo scorso febbraio. Tremila istituti, pensano al ministero della Pubblica amministrazione, sono un buon numero perché rappresentano un terzo del totale e ben il 50 per cento delle superiori e dei licei, tre milioni di alunni. Secondo il ministero della Pubblica istruzione, più realisticamente, la novità riguarderà presto un milione e mezzo di studenti, in primo luogo quelli delle superiori. È proprio il portale Scuola Mia, al quale qualunque genitore può accedere, soltanto con password personale per garantire la privacy di tutti, a permettere questo. Il portale consente a ciascun istituto di attivare tutti i servizi elencati o anche soltanto alcuni di questi, secondo le scelte singole di dirigenti e di professori. "L'autonomia scolastica è pienamente rispettata, ogni scuola deciderà su base volontaria se stare oppure no dentro il portale", dicono al ministero di viale Trastevere. Potranno farlo, e qui entrano in gioco le risorse economiche, senza bisogno di attivare un software proprio, quindi con un grosso risparmio da parte delle scuole visti i costi, a volte proibitivi (anche 2.500 euro a software), dei sistemi di gestione dei registri elettronici. "La scuola si rinnova, guarda al futuro e noi vogliamo cambiarla anche investendo nuove risorse in tecnologie e innovazione", ha commentato al Corriere della Sera il ministro Maria Stella Gelmini. Il futuro della scuola telematizzata è anche, naturalmente, il passato di tutti quegli studenti che riuscivano a nascondere ai genitori sia i cattivi voti sia le bigiate a scuola. Adesso per mamma e papà sarà molto più semplice sapere quanto studiano i loro ragazzi. O almeno potranno farlo chi ha un computer e il collegamento a Internet. Secondo gli ultimi dati Istat, infatti, se quasi 8 famiglie su 10 con figli minorenni posseggono un computer, solo 6 hanno l'accesso ad Internet. Annunciata già da due anni, la scuola sul web, che non sarà comunque pienamente realizzata prima del 2012, non piace molto agli studenti, che sentono il controllo familiare come una pressione insopportabile, tanto è vero che sono state tante le polemiche scoppiate quando alcuni licei, a Roma e a Milano, hanno attivato da sé perlomeno il servizio degli sms per le assenze dei figli. Ma non tutti i genitori sono favorevoli a ricevere queste informazioni. Con il portale Mia Scuola potranno decidere di non attivare questo servizio e di limitarsi a usare Internet per pagare le tasse o per fare le iscrizioni da casa. Mariolina Iossa 07 settembre 2010
2010-09-05 Scuola. Lombardia e Marche le regioni più aperte, scientifico e commerciale osano di più Un anno a studiare all'estero, solo un prof su tre dice sì Rapporto di Intercultura: in troppi frenano i ragazzi per paura che restino indietro nel programma Scuola. Lombardia e Marche le regioni più aperte, scientifico e commerciale osano di più Un anno a studiare all'estero, solo un prof su tre dice sì Rapporto di Intercultura: in troppi frenano i ragazzi per paura che restino indietro nel programma ROMA - Un anno di high school negli Stati uniti per i più fortunati. Lo studio in inglese di una materia "normale" come la fisica (sì, è una materia normale). Ma anche uno straniero come vicino di banco o il semplice gemellaggio con un liceo di un altro Paese. Mescolare per bene, in tutto gli ingredienti sono 16, ed ecco servito l'indice di internazionalizzazione delle scuole italiane. La buona notizia è che stiamo lentamente allargando il nostro grado di apertura al mondo. Quella cattiva è che ci sono ancora troppe resistenze. E a volte sono proprio i professori a frenare i ragazzi perché, sguardo severo dietro gli occhiali, "se parti poi resti indietro con il programma". A raccontare tutto è il secondo rapporto dell'Osservatorio sull'internazionalizzazione delle scuole, promosso dalla Fondazione Intercultura e dalla Fondazione Telecom Italia, che sarà presentato martedì mattina a Milano. L'anno scorso l'indice medio nazionale aveva raggiunto quota 37. Adesso abbiamo fatto tre passettini in più, siamo a 40. La ricerca - una serie di interviste ai presidi di scuole superiori realizzato da Ipsos - si è concentrata su cinque regioni. Le Marche sono internazionali come la Lombardia (43), la Toscana sta nel mezzo con 40, mentre più indietro annaspano la Puglia con 36 e il Molise con 34. Il liceo scientifico è più internazionale del classico, l'istituto commerciale più di quello tecnico. Le cose vanno un po' meglio, "eppur ci si muove" dice il rapporto in prima pagina. "Oggi - dice Roberto Ruffino, segretario generale della Fondazione Intercultura - la scuola non deve preparare più a vivere nel paesello d'origine ma a diventare cittadini del mondo. Ed i progetti internazionali, tutti, sono il modo migliore per farlo. La maggior parte degli insegnanti lo sa bene". Ma non sempre va così. Perché le scuole non partecipano a queste attività? Dietro l'impossibilità di trovare finanziamenti, al primo posto, c'è la scarsa adesione da parte degli insegnanti, con il 35%. Certo, la ricerca è basata sulle interviste anonime a 494 presidi: la tentazione dello scaricabarile va messa nel conto. Ma c'è anche un'altra tabella che fa riflettere. Spostiamo la lente d'ingrandimento sui ragazzi che vanno a studiare un anno all'estero, l'attività promossa fin dal 1955 proprio da Intercultura anche con una serie di borse di studio. Solo un professore su tre, sempre secondo i presidi, collabora attivamente al progetto. Il 58% subisce passivamente la scelta della scuola, mentre il 10% "cerca di dissuadere gli studenti dalla partecipazione". Addirittura. "Sì - dice Francesco Maria Orsolini, preside del liceo classico Stelluti di Fabriano che partecipa da anni a queste iniziative - c'è ancora chi pensa che partire faccia restare i ragazzi indietro con il programma. Per fortuna nella mia scuola non succede, ma è un atteggiamento che conosco. Ed è sbagliatissimo". Chi studia un anno all'estero, in effetti, può saltare una parte del programma della scuola di provenienza. Per questo, al rientro, deve superare degli esami che certificano il riallineamento. "Ma siamo flessibili - dice ancora il preside del liceo di Fabriano - e poi con internet i professori che proprio ci tengono possono seguire i ragazzi anche dall'altra parte dell'oceano". In parte il problema è fisiologico. "Il preside - dice Ruffino, il segretario della fondazione Intercultura - vede la scuola nel suo complesso, il professore guarda alla sua materia. L'ossessione del programma può scattare". Ma è sbagliato ridurre tutto ad una questione didattica: "Chi parte allarga i suoi orizzonti. E questo arricchisce la cultura di una persona e lo aiuta pure a trovare un lavoro migliore". Lorenzo Salvia 05 settembre 2010
2010-09-03 DURO MONITO DELL'AVVENIRE. POI LA PRECISAZIONE: "INVITO NON RIVOLTO CONTRO IL MINISTRO" Caos scuola, altolà dei vescovi "Nessuno speculi sulla pelle dei ragazzi" "Avvio dell’anno confuso e con ombre. Dalla Gelmini partita personale e politica" DURO MONITO DELL'AVVENIRE. POI LA PRECISAZIONE: "INVITO NON RIVOLTO CONTRO IL MINISTRO" Caos scuola, altolà dei vescovi "Nessuno speculi sulla pelle dei ragazzi" "Avvio dell’anno confuso e con ombre. Dalla Gelmini partita personale e politica" Il ministro dell'Istruzione Gelmini (AP) Il ministro dell'Istruzione Gelmini (AP) MILANO - Nell'anno scolastico che sta per cominciare "non si guardi ad altri interessi" che non siano quelli dei ragazzi", non si sfrutti il loro nome per richieste e pretese, per quanto comprensibili. Non si faccia carriera sulla loro pelle". Il che vale "per il Ministro, e per ogni adulto che ha una funzione nella scuola". Il duro monito è contenuto in un editoriale del giornale dei vescovi Avvenire, che esce all'indomani della conferenza stampa del ministro Maria Stella Gelmini. LA POLEMICA - "La signora ministro - afferma l'articolo - ha affrontato con gagliarda e dunque controversa volontà riformatrice sia l'Università che la scuola. Una partita personale e politica su cui sta scommettendo molto". Sulla quale il giudizio dei vescovi rimane sospeso. Nonostante gli sforzi, infatti, anche per "interessi corporativi" e i "molti problemi lasciati per strada" "anche quest'anno il panorama dell'avvio" del nuovo anno scolastico appare - a giudizio di Avvenire - "confuso e pieno di ombre". "Speriamo - auspica l'articolo - che prevalga in tutte le parti la buona volontà di salvaguardare l'essenziale", e di evitare, anche e soprattutto "là dove le condizioni non sono buone" che "si esacerbi il tutto, ma si faccia in modo che i bambini e i ragazzi non patiscano maggiore disagio". In giro - osserva Avvenire - "ci sono un sacco di furbastri che campano sulla e nella scuola e però dei ragazzi gliene interessa assai meno del giusto". Mentre "trattare male la scuola - avverte il giornale dei vescovi - è "il reato più grave oggi in Italia", oltre che un peccato ignominioso. E chi lo fa meriterebbe di essere portato davanti ad un "plotone di esecuzione" di ragazzi armati di "pistole ad acqua, elastici, schioppi di legno o mitragliette con i suoni elettronici". Un plotone che, a guardare come vanno le cose "sarebbe schierato dalla mattina alla sera". LA PRECISAZIONE - "Il mio editoriale sull'Avvenire di oggi non era rivolto contro il Ministro Gelmini o contro qualcuno tra i tanti adulti impegnati nella scuola". È quanto afferma in una dichiarazione Davide Rondoni, autore di un editoriale pubblicato da Avvenire sulla situazione della scuola. L'editoriale "era piuttosto un invito rivolto a tutti, ai politici, come agli insegnanti, stabili o precari che siano, e anche ai sindacalisti a tenere bene a mente qual è lo scopo della scuola: i nostri figli. Vedo che paradossalmente il mio invito a non strumentalizzare la scuola è già stato strumentalizzato". LA GELMINI REPLICA - "Ho letto l'editoriale di Avvenire e devo dire che l'ho condiviso" ha detto il ministro dell'Istruzione, Maria Stella Gelmini. La Gelmini ha quindi aggiunto di avere anche letto la precisazione di Rondoni, l'autore dell'editoriale, dopo la polemica su un presunto attacco dei vescovi alla politica del ministro. "Credo - ha spiegato la Gelmini - non fosse necessaria perché chi legge in maniera disinteressata quell'editoriale non trova alcun attacco al ministro dell'Istruzione". "Mi sembrava - ha concluso - un invito giusto e condivisibile di abbassare i toni e soprattutto di non strumentalizzare la scuola. Sono le stesse parole che ho utilizzato ieri nella conferenza stampa". Redazione online 03 settembre 2010
messaggio di Benedetto XVI in occasione della XXVI Giornata Mondiale della Gioventù Il Papa ai giovani: "Il lavoro è importante ma conta di più la fede" "I veri punti fermi risiedono nell'insieme dei valori che provengono dal Vangelo" messaggio di Benedetto XVI in occasione della XXVI Giornata Mondiale della Gioventù Il Papa ai giovani: "Il lavoro è importante ma conta di più la fede" "I veri punti fermi risiedono nell'insieme dei valori che provengono dal Vangelo" (Ap) (Ap) CITTÀ DEL VATICANO - Il Papa si rivolge ai giovani e tocca uno dei punti più delicati nel loro orizzonte attuale: il lavoro. "La domanda del posto di lavoro e con ciò quella di avere un terreno sicuro sotto i piedi è un problema grande e pressante", ma i veri "punti fermi" per i giovani risiedono nella fede e nell' "insieme dei valori che sono alla base della società" e che "provengono dal Vangelo". Lo afferma papa Benedetto XVI nel messaggio inviato ai giovani di tutto il mondo in occasione della XXVI Giornata Mondiale della Gioventù, in programma a Madrid dal 16 al 21 agosto del 2011. MONDO SENZA DIO DIVENTA INFERNO - I cristiani, e soprattutto i giovani, non devono lasciarsi "sedurre dal modo di pensare laicista" "che vuole emarginare Dio dalla vita delle persone e della società, prospettando e tentando di creare un paradiso senza di Lui", mentre "l'esperienza insegna che "il mondo senza Dio diventa un 'inferno". Nel messaggio per la Giornata mondiale della Gioventù 2011, papa Benedetto XVI mette in guardia contro i "pericoli" del "relativismo diffuso". Una tendenza che - osserva - sta riportando il mondo ai tempi dei Colossesi ai quali scriveva san Paolo; un mondo in cui "prevalgono gli egoismi, le divisioni nelle famiglie, l'odio tra le persone e tra i popoli, la mancanza di amore, di gioia e di speranza"."Al contrario - aggiunge il Papa - là dove le persone e i popoli accolgono la presenza di Dio", "si costruisce concretamente la civiltà dell'amore". Ai cristiani "sedotti" dal laicismo, a quelli "attratti da correnti religiose che allontanano dalla fede in Gesù Cristo" e a quanti "hanno semplicemente raffreddato la loro fede, con inevitabili conseguenze negative sul piano morale", Benedetto XVI ricorda che la Croce non deve far "paura, perchè sembra essere la negazione della vita", ma ne rappresenta invece "il contrario": "la sorgente della vita eterna". E solo Cristo - conclude - "può liberare il mondo dal male e far crescere il regno di giustizia, di pace e di amore al quale tutti aspiriamo".
2010-09-02 conferenza stampa a Palazzo Chigi per illustrare le novità dell'anno scolastico 2010/2011 La Gelmini si difende: "Ereditato un numero spaventoso di precari" "Sono stati distribuiti posti di cui la scuola non aveva bisogno. Nessun governo può assorbire 200mila precari" * NOTIZIE CORRELATE * Precari, sciopero della fame contro i tagli (1 settembre 2010) conferenza stampa a Palazzo Chigi per illustrare le novità dell'anno scolastico 2010/2011 La Gelmini si difende: "Ereditato un numero spaventoso di precari" "Sono stati distribuiti posti di cui la scuola non aveva bisogno. Nessun governo può assorbire 200mila precari" Mariastella Gelmini durante la conferenza stampa Mariastella Gelmini durante la conferenza stampa ROMA - "Non incontrerò i precari. Anche perché ad oggi non sappiamo nemmeno chi ha perso realmente il posto. Le persone che protestano lo fanno senza essere state ancora escluse". Lo ha detto il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini nel corso della conferenza stampa a Palazzo Chigi per illustrare le novità dell'anno scolastico 2010/2011. "La protesta - ha aggiunto - è legittima, ma non del tutto motivata. Non voglio essere coinvolta - ha proseguito - in una contrapposizione politica che determina un clima negativo sull'inizio dell'anno scolastico. Il mio compito oggi è garantire il corretto avvio dell'anno". "Sono disponibile al confronto, non alle polemiche" ha detto riferendosi alla richiesta dei precari, in sciopero della fame da alcuni giorni. "Auspico un confronto nel merito di ciò che si può fare e non di ciò che si vorrebbe". "L’attenzione al precariato - ha detto Gelmini - c’è da anni : se si tratta di ragionare su dati veri la mia disponibilità c’è, ma quando scopro che a protestare sono militanti politici, iscritti anche a Italia dei valori, non credo che si possa alimentare questo genere di polemica". I NUMERI - "I precari che noi ereditiamo sono un numero spaventoso" si è poi difesa la Gelmini. "Se consideriamo precari anche coloro che hanno fatto una sola supplenza - ha aggiunto -, sono 229 mila a fronte di 700 mila insegnanti già impegnati". "Credo che politica del passato debba fare una forte autocritica. Per fare consenso a buon mercato sono stati distribuiti posti di cui la scuola non aveva bisogno. Nessun governo può assorbire 200 mila precari", ha sottolineato il ministro. "Il 97% delle risorse della scuola serve a pagare il personale, serve un riequilibrio. Non possiamo dimenticarci degli studenti, l'investimento in qualità non può essere limitato al 3% totale del bilancio dell'istruzione". Ai precari della scuola "va la massima solidarietà, anche in maniera completa" ha detto comunque la Gelmini, lanciando un appello alle forze politiche affinchè "non si strumentalizzi il disagio". IL TAVOLO - "Ogni anno, la scuola pubblica avrà a disposizione un miliardo di euro per la qualità. Noi, attraverso un decreto, andremo incontro ai professori che non si vedranno pregiudicati nei loro diritti, e abbiamo aperto un tavolo per il merito coi sindacati e abbiamo proposto due strade, quella sindacale o quella legislativa, perché in Europa solo Italia e Grecia non hanno un avanzamento per merito degli insegnanti. Non vi è una disattenzione da parte di questo governo sul tema scuola, perché parlano i fatti, che avranno la meglio sulla demagogia di certe manifestazioni che rendono difficile l'inizio di questo anno scolastico" ha detto il ministro. TEMPO PIENO E SOSTEGNO - Poi gettando acqua sulle polemiche legate al tempo scuola, il ministro, sottolineando che "i numeri sono numeri", ha evidenziato che "il tempo pieno è aumentato, per il biennio 2009-2011, del 3,5%. Nel prossimo anno scolastico le classi a tempo pieno, grazie all'eliminazione delle compresenze, passeranno da 36.493 a 37.275". E veniamo al sostegno. "Nell'anno scolastico 2010-2011 gli insegnanti di sostegno aumentano di tremila posti, passando da 9044 a 93100. Non è vero, come qualcuno ha scritto, che li abbiamo tagliati. L'anomalia è in come le Asl certificano la disabilità". "Alcuni abusi ci sono - ha proseguito - noi stiamo monitorando la situazione. Non deve essere sperperato denaro pubblico per disabili che non esistono, e faccio in questo senso un appello alle autorità sanitarie". I TEST - "Sono contraria all'abolizione dei test" per l'accesso alle facoltà di Medicina. Rispondendo quindi in merito alle polemiche legate ai test di accesso alle facoltà a numero chiuso e, in particolare, a Medicina, che iniziano proprio oggi, il ministro si è detta convinta "ci debba essere un modo oggettivo per selezionare decine di migliaia di studenti che vogliono accedere alla facoltà di medicina". Certo, ha sottolineato, "ci sono margini di miglioramento ma sono limitati. Qualcuno propende per far pesare di più il voto di maturità dei ragazzi ma -ha concluso- oggi non c'è una misurazione oggettiva dei ragazzi al termine della scuola superiore", non quindi questa la strada migliore. LE NOVITÀ - Infine ha illustrato le novità per il prossimo anno annunciando: "Da quest'anno non si potranno superare i cinquanta giorni di assenza, pena la bocciatura". La novità, ha detto, "servirà anche a bloccare la prassi di certi diplomifici dove si arriva al diploma pur avendo frequentato poco o nulla". Ed entro l'anno 2010 verrà bandito un nuovo concorso per diventare presidi che prevede "3.000 nuovi posti". "Abbiamo aperto un tavolo con i sindacati", ha infine detto il ministro, per introdurre la progressione in carriera degli insegnanti basata sul merito. Non tardano ad arrivare le polemiche: "la scuola affonda mentre la Gelmini sogna", è il commento di Francesca Puglisi del Pd e Silvana Mura (Idv) sottolinea come il ministro neghi la difesa del posto di lavoro. Redazione online 02 settembre 2010
La lotteria dei test I test universitari sono un classico italiano: il proposito è lodevole, la buona volontà innegabile, il metodo sbagliato. Incapaci di soddisfare la domanda, ministri e rettori hanno deciso di ridurre l’offerta, adottando il numero chiuso. Un tempo i ragazzi italiani lottavano per entrare in aule affollate; oggi affrontano quiz esoterici. Sempre test d’ingresso sono. Siamo passati dallo stadio alla lotteria. Si inizia oggi con medicina: 80 domande a risposta multipla, 8.775 posti a disposizione, circa 90 mila candidati, nessuna graduatoria nazionale. Poi tocca a odontoiatri, veterinari, architetti, professioni sanitarie, formazione primaria. In totale, 52.788 posti. Scienze della comunicazione, psicologia, scienze politiche e ingegneria adottano il numero programmato o prove di valutazione. Alcune università private stabiliscono il numero di posti disponibili. Cosa non va, nel numero chiuso? Restiamo a medicina. Per cominciare, non tiene conto dei risultati delle superiori. Il motivo è noto: ci sono scuole italiane che i voti li assegnano, altre li regalano. L’università Bocconi di Milano, che prende in considerazione la media del terzo e quarto anno, è stata criticata: chi ha scelto un liceo severo, di fatto, viene penalizzato. Anche l’università americana valuta i candidati durante le superiori. Ma il meccanismo — basato sul Sat (Scholastic Assessment Test) — è nazionale, rodato (esordì nel 1901) e offre garanzie. Seconda debolezza. I test non affiancano i colloqui attitudinali: li sostituiscono. Come accade in altri settori italiani—dagli appalti al fisco — la norma ingessata v i e n e p r e f e r i t a a l l a discrezionalità ingestibile. L’esperienza, purtroppo, porta a credere che gli attuali docenti riuscirebbero a intrufolare figli e nipoti. Avere un Ordinario per papà, in Italia, è diverso dall’avere un papà ordinario. Resta un fatto: ogni professione richiede predisposizione e passione—e con i quiz non si vedono. È fondamentale sapere come morì Gandhi, per chi desidera diventare oculista (attentato? avvelenamento? incidente aereo? infarto?). Tutti conosciamo bravi medici che a diciott’anni, a quella domanda, non avrebbero saputo rispondere (forse nemmeno ora: attentato di un fanatico indù, 1948). Un sistema che prevedesse accesso libero, e una barriera al secondo anno, potrebbe essere la soluzione. A patto di trovare strutture e personale per accogliere le matricole (docenti, aule, laboratori, dormitori): ma dove sono? I posti- letto in "case dello studente " in Italia sono il 2%, in Francia, Germania e Spagna tra il 25% e il 40%. Terza debolezza: il sistema non è elastico. Non tiene conto delle necessità che cambiano. Trent’anni fa, forse, sfornavamo troppi medici; oggi, di sicuro, ne produciamo troppo pochi. Se le malattie respiratorie sono la terza causa di morte in Italia, perché a Pavia ci sono soltanto tre specializzandi in pneumologia, e altri cinque tra Milano e Brescia? Dieci anni fa erano quindici a Milano e una dozzina a Pavia. Risultato: importiamo medici stranieri. La Francia modula l’accesso a medicina secondo la demografia: una buona idea. Tre debolezze e molta ansia. Questo è il cocktail che attende centinaia di migliaia di studenti nei prossimi giorni. Vogliamo dircelo, almeno tra noi adulti (i ragazzi stanno esercitandosi ai quiz, non ci staranno a sentire)? La Repubblica fondata sullo stage — quella che propone tirocini malpagati e lavoretti precari — ai suoi figli dovrebbe almeno offrire un’università serena, e una speranza vera. Beppe Severgnini 02 settembre 2010
2010-07-29 Parlamento Università, via libera alla riforma Ok in Senato al ddl Gelmini. Taglio alle facoltà Parlamento Università, via libera alla riforma Ok in Senato al ddl Gelmini. Taglio alle facoltà MILANO - L’aula del Senato ha approvato con 152 sì, 94 no e 1 astenuto il ddl Gelmini di riforma dell’università che ora passa alla Camera. Hanno votato a favore, insieme alla maggioranza, Pdl e Lega Nord, anche l’Api di Francesco Rutelli e l’Svp. Vengono introdotte molte novità, ma non l'abbasamento dell'età pensionabile da 70 a 65 anni, una proposta dal Pd fatta propria dal ministro. Il nuovo provvedimento si limita ad eliminare il cosiddetto biennio Amato, fatte salve solo le posizioni di chi abbia già iniziato ad usufruirne. In questo modo, i docenti ordinari dovranno lasciare le cattedre a 70 anni, senza possibilità di prolungare la permanenza al lavoro come invece accade oggi. Al contrario, si fissa a 68 anni il limite per gli associati. IL TAGLIO DELLE FACOLTA' - Per risparmiare risorse la nuova legge prevede la fusione degli atenei più piccoli e la razionalizzazione delle facoltà, che per ogni ateneo non potranno essere più di 12. Saranno inoltre passati in rassegna tutti gli oltre 500 corsi di laurea oggi attivi in Italia, l'obiettivo è eliminare tutti quelli considerati antieconomici, seguiti cioè da un esiguo numero di studenti. a riforma renderà difficile il mantenimento in vita degli atenei, delle facoltà e dei dipartimenti accademici meno efficienti: tanto per cominciare, e per quelli con problemi di bilancio, è previsto il commissariamento. Sulla falsa riga dell'orientamento preso tre anni fa, le università che continueranno a utilizzare più del 90% dei finanziamenti statali per le spese fisse (personale e ammortamenti) verranno inibite dal bandire concorsi per nuove assunzioni. RETTORI - A meno di due anni dalla prima legge Gelmini che ha avviato il processo di riforma degli atenei italiani, il ministro dell'Università porta a casa un altro risultato con una riforma complessiva del sistema accademico. Tra le novità, si interviene sulla governance fissando ad 8 anni la durata massima dei mandati dei rettori (attualmente ci sono rettori in carica da oltre 20 anni), e introducendo la possibilità di sfiduciare i magnifici. I capi di ateneo inadeguati, in futuro, potranno incorrere in una mozione di sfiducia da parte del Senato Accademico. Chi ha amministrato male potrà essere messo da parte, dunque. Ma ai senatori accademici servirà comunque una maggioranza qualificata (3/4 dei membri) per poter proporre la mozione al corpo elettorale. Cambiano anche le norme sulla composizione dei consigli di amministrazione, che dovranno avere obbligatoriamente avere un minimo di 3 componenti esterni se i membri sono 11 in totale, 2 se sono meno di 11. Fra questi, diversamente da quanto prevedeva il testo originario, non vanno computati i rappresentanti degli studenti, che dunque si aggiungono ad essi. Fissato un tetto massimo di membri anche per il Senato accademico: 35. Il presidente del Cda potrà essere esterno. RICERCATORI A TEMPO - Cambia anche il sistema di reclutamento dei ricercatori, che saranno selezioni con il cosiddetto "tenure-track": nuovi contratti a tempo determinato (minimo 3 massimo 5 anni) seguiti da contratti triennali 'al termine dei quali se il ricercatore sarà ritenuto valido dall'ateneo sarà confermato a tempo indeterminato come associato. In caso contrario terminerà il rapporto con l'università. Si abbassa, quindi, l'età in cui si può cercare di entrare in ruolo, da 36 a 30 anni, e cresce anche il primo stipendio da 1.300 a 2.000 euro. IL NUOVO CONCORSO - Per accedere ai ruoli di docente ordinario o associato diventa indispensabile l'abilitazione scientifica nazionale, una sorta di concorso unico a cadenza annuale. Una sorta di concorso unico nel quale i candidati saranno valutati sulla base di specifici parametri di qualità. I vincitori saranno inseriti in un albo dal quale gli atenei dovranno pescare se decidono di assumere nuovi professori. Le singole università non potranno più bandire singoli concorsi, una pratica che in passato aveva ostacolato merito e trasparenza. CODICE ETICO - Dopo l'ondata di scandali e il dilagare del nepotismo, la nuova legge introduce un principio deontologico di massima, obbligando gli atenei a dotarsi di un codice etico sul reclutamento e sull'attività dei docenti universitari. L'obiettivo principale è impedire casi di incompatibilità e conflitti di interesse legati a parentele. LA PAGELLA DEI DOCENTI - L'Anvur, l'agenzia statale per la valutazione dell'attività di ricerca, monitorerà costantemente la produzione scientifica dei docenti italiani. Ogni tre anni ciascun docente dovrà presentare una relazione sul proprio operato. Chi dovesse non rispettare i parametri di produttivitàsalteranno gli scatti di stipendio. I soldi risparmiati confluiranno in un fondo di ateneo per la premialità dei docenti migliori. Inoltre, sarà impossibile partecipare ai bandi concorsuali, sia come candidati che come commissari. Inoltre, i docenti avranno l'obbligo di certificare la loro presenza a lezione. Almeno 350 ore dovranno essere destinate ad attività di docenca e servizio per gli studenti. MERITO STUDENTI - Nasce un fondo nazionale per il merito al fine di erogare borse di merito e di gestire su base uniforme, con tassi bassissimi, i prestiti d'onore. RICERCA, CAMBIA L'ASSEGNAZIONE DEI FONDI - Il testo della legge di riforma recepisce un emendamento proposto dal senatore del Pd Ignazio Marino che cambia il sistema di assegnazione dei fondi per la ricerca. Il capitale di circa 1 miliardo di euro fino ad oggi veniva gestito dai singoli direttori di dipartimento, ora una commissione di pari, formata per un terzo da docenti stranieri, stabilirà quali progetti di ricerca e in che entità, devono essere finanziati. Redazione online 29 luglio 2010
2010-07-25 La nascita dell’Anvur, l’agenzia indipendente che valuta gli atenei e lo stato della ricerca, gli incentivi ai "virtuosi", le nuove dinamiche della formazione e dell’insegnamento. Dopo l’editoriale di Francesco Giavazzi del 22 luglio e l'intervento di Michele Salvati del giorno successivo, si apre il dibattito. Ecco gli articoli di Giavazzi e Salvati e le lettere arrivate finora. Le università sotto esame di Francesco Giavazzi Mandatemi in pensione ma tutelate la qualità di Michele Salvati
24 luglio 2010(ultima modifica: 25 luglio 2010)
LA RIFORMA E LA FINE DEI CONCORSI Le università sotto esame LA RIFORMA E LA FINE DEI CONCORSI Le università sotto esame La cosa più rilevante accaduta in questi mesi nell’università è la nascita dell’Anvur, un’agenzia indipendente il cui compito è valutare gli atenei e lo stato della ricerca. Più importante della stessa legge di riforma che l’aula del Senato inizia oggi a discutere: perché gli incentivi sono spesso più efficaci delle leggi. Dallo scorso anno, una quota (il 7%) dei fondi che lo Stato trasferisce alle università viene assegnata sulla base di un esperimento di valutazione, effettuato prima della nascita dell’Anvur. Le università migliori ricevono un premio che può essere cumulato nel tempo. Nel 2011 atenei virtuosi (ad esempio i Politecnici di Torino e Milano) potrebbero quindi ricevere fino al 14% in più, una cifra che li metterebbe ampiamente al riparo dai tagli orizzontali previsti dalla Finanziaria. In altre sedi, invece, il taglio complessivo potrebbe superare il 14%. Poiché i fondi pubblici ormai servono a mala pena a pagare gli stipendi, le università peggiori, per sopravvivere, dovranno attuare ampie riorganizzazioni, ad esempio chiudere i dipartimenti responsabili per la modesta valutazione dell’intero ateneo. L’efficacia dell’Anvur dipenderà dalle persone chiamate a guidarla. I primi passi lasciano ben sperare. Il consiglio direttivo sarà individuato (riproducendo le modalità seguite per lo European Research Council, Erc) all’interno di una rosa di nomi indicati da cinque esperti. La presenza fra essi di Salvatore Settis e Claudio Bordignon, gli unici italiani che fanno parte del comitato scientifico dell’Erc, è una garanzia della qualità delle scelte. Se non vi saranno sorprese, l’autorevolezza e l’indipendenza dell’Anvur saranno in contro-tendenza rispetto ad un governo che dimostra un crescente fastidio verso le agenzie indipendenti. La fine dei concorsi universitari è l’aspetto più rilevante della riforma. Sono i tempi eterni e la corruzione dei concorsi che hanno indotto tanti giovani ad emigrare. Salvo il vaglio di una certificazione nazionale, le università potranno assumere chi ritengono a loro più adatto. È per questo motivo che l’Anvur è il vero perno della riforma: se l’agenzia non funzionasse, la nuova legge consentirebbe di assumere amici e parenti senza dover neppure truccare i concorsi. In queste ore ricercatori e professori associati premono per essere tutti promossi ope legis. La nuova legge li protegge fin troppo. A chi già lavora nell’università riserva di fatto i due terzi di tutti i nuovi posti: solo un nuovo docente ogni tre proverrà da fuori. E la definizione di "esterno" non impedirà all’università di Trieste di assumere un suo allievo temporaneamente trasferito a Gorizia. In Senato numerosi emendamenti propongono di abbassare ancor più la quota di esterni. Ma quanti nuovi posti vi saranno nei prossimi 5-6 anni? Pochissimi se i professori insistono per insegnare fino a 70 anni. Il Pd chiede che l’età di pensionamento sia abbassata a 65 anni, come accade quasi ovunque in Europa. Questo, e un graduale innalzamento della quota di fondi pubblici assegnata sulla base delle valutazioni, consentirebbe di non perdere una generazione di ricercatori. I professori resistono: non per insegnare fino a 70 anni, ma per non perdere potere. C’è una soluzione semplice per convincerli ad andare in pensione: prevedere che dopo i 65 anni non si possa più partecipare alla selezione dei nuovi docenti, né dirigere le Scuole di specializzazione, soprattutto quelle di medicina. Francesco Giavazzi 22 luglio 2010
RIFORME BIPARTISAN "Mandatemi pure in pensione ma tutelate la qualità universitaria" I mali degli Atenei non sono solo i professori ultra 65enni RIFORME BIPARTISAN "Mandatemi pure in pensione ma tutelate la qualità universitaria" I mali degli Atenei non sono solo i professori ultra 65enni Chi scrive è un professore universitario, oppresso da un intollerabile senso di colpa: ha 73 anni ed è ancora in servizio. È vero che dovrà andare in pensione quest' anno, ma intanto ha sottratto un posto prezioso a docenti più giovani di lui e la recente proposta di pensionare gli universitari a 65 anni gli ha fatto venire in mente un vecchio racconto di Isaac Asimov nel quale - in un povero pianeta di una sperduta galassia - l' estrema penuria di risorse aveva indotto a sopprimere gli ultra-sessantacinquenni. Era l' unico modo egualitario per garantire la sopravvivenza della specie. Sto scherzando, naturalmente, ma non è uno scherzo la proposta del ministro Gelmini e del responsabile per l' Università del Pd, Marco Meloni, una volta tanto d' accordo. Si tratta di una proposta ragionevole? Quasi tutti i Paesi con cui ha senso confrontarci fissano dei tetti d' età rigidi per la permanenza in servizio: c' è anche da noi (in passato 72 anni, ora 70: il caso mio e di pochi altri è dovuto all' incrocio di normative speciali) e dunque la discussione verte se anticiparlo. In alcuni Paesi è ancor più basso: alcune Università italiane, specie quelle situate in luoghi turisticamente gradevoli, hanno potuto impiegare bravissimi professori stranieri costretti alla pensione dai loro ordinamenti (in Gran Bretagna, ad esempio, vale il limite dei 65 anni). Non c' è limite imperativo negli Stati Uniti, cui spesso guardano i riformatori della nostra Università: costringere al pensionamento ad un' età fissa chi non vuole pensionarsi sarebbe un caso di "age discrimination", parente stretta della discriminazione per sesso o per razza. Riassumendo: se valutata soltanto in riferimento alle pratiche altrui, la proposta Gelmini-Meloni non è palesemente anomala. Dati i problemi in cui versa la nostra università, e che il ministro sta coraggiosamente affrontando, si tratta anche di una proposta ragionevole, condivisibile? È opportuno fissare anzitutto l' unico criterio appropriato per dare una risposta a questa domanda: date le risorse disponibili, è ragionevole quella soluzione che lascia in università i docenti più capaci, sia in termini di qualità della ricerca che di qualità della didattica, ed esistono oggi indicatori abbastanza affidabili per misurare entrambe. E, quanto alle risorse, mi limito a considerare quelle destinate all' Università. (Dal punto di vista della spesa pubblica nel suo insieme, un professore in servizio costa poco di più di un professore in pensione e nei prossimi anni il risparmio sarebbe minimo: si tratterebbe solo di una partita di giro, che sposta l' onere dal ministero all' ente previdenziale). Ma può darsi che il governo voglia risparmiare anche sulla spesa universitaria corrente restringendo l' organico dei professori, mandando in pensione gli ultra-sessantacinquenni e non sostituendoli, o sostituendoli solo parzialmente: per un governo (e soprattutto per un' opposizione) che altro non fanno se non proclamare che il destino dell' Italia si gioca sulla qualità dei suoi giovani, si tratterebbe di un' azione insensata, ma ci siamo abituati. Sia come sia, fissato l' organico obiettivo, perché raggiungerlo con questi tagli drastici? A seguito dell' effetto fisarmonica che è prevalso nel passato (ondate di assunzioni, seguite da lunghi periodi di blocco) nei prossimi cinque anni, con le attuali regole, già andranno in pensione circa 12.000 docenti. Se si impone la regola dei 65 anni se ne aggiungerebbero più di 7.000. Se non vengono sostituiti si ricade nell' insensatezza di cui dicevo. Se vengono sostituiti si riprodurrebbe l' effetto fisarmonica: data la disponibilità di posti, sarà molto difficile riempirli con giovani docenti di qualità adeguata. Questo è un punto critico importante, ma non è il principale. Il principale riguarda quello che più sopra ho definito l' unico modo appropriato per giudicare sul merito della permanenza in servizio di un docente universitario, la qualità della ricerca e della didattica, valutate secondo criteri che cominciano ad essere disponibili. Chi ci assicura che tutti gli ultra-sessantacinquenni siano peggiori di tutti i docenti al di sotto di questa età? Chi ci garantisce che non perderemo risorse preziose? Le regole semplici sono stupide - ha detto Keynes e ripetuto Prodi a proposito delle percentuali di Maastricht - e solo la discrezione è intelligente. Se applicata, naturalmente, da persone competenti e oneste. Ma non è questa la via in cui vogliamo avviarci attraverso una incessante attività di valutazione? Attraverso incrementi stipendiali legati ai risultati di questa valutazione, e non uniformi secondo l' età? E applicati a tutti, prima e dopo i 65 anni. Se applicassimo seriamente questi criteri ho pochi dubbi che i ranghi dei professori, e non soltanto di quelli più anziani, si sfoltirebbero notevolmente e senza pregiudizio per l' Università. Michele Salvati 24 luglio 2010
2010-07-19 Sull'ex pm: "della sua laurea nessuno sapeva". Il leader dell'Idv: "Lo querelo" Divisioni nel Pdl, Berlusconi minimizza Poi attacca Di Pietro e Rosy Bindi L'intervento in un'università privata: "Qui ragazze intelligenti e belle, non certo come lei" * NOTIZIE CORRELATE * IL PRECEDENTE: "La Bindi? Più bella che intelligente" (9 ottobre 2008) Sull'ex pm: "della sua laurea nessuno sapeva". Il leader dell'Idv: "Lo querelo" Divisioni nel Pdl, Berlusconi minimizza Poi attacca Di Pietro e Rosy Bindi L'intervento in un'università privata: "Qui ragazze intelligenti e belle, non certo come lei" Berlusconi con Rosy Bindi in un momento di 'tregua' ad un evento pubblico (Ansa) Berlusconi con Rosy Bindi in un momento di "tregua" ad un evento pubblico (Ansa) COMO - All'interno della maggioranza di governo ci sono solo "piccole incomprensioni". Lo ha detto il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che ha parlato all'università telematica Ecampus di Novedrate, nel Comasco, l'ateneo privato creato dal fondatore del Cepu, Francesco Polidori. La visita del premier ad un istituto non statale è avvenuta a due giorni dall'approdo in Parlamento della riforma dell'università pubblica voluta dal ministro Mariastella Gelmini. LA BINDI E LA BELLEZZA - Nel corso del faccia a faccia con gli studenti, che erano stati invitati via mail, Berlusconi ha fatto battute pesanti su Antonio Di Pietro e sulla presidente del Pd, Rosy Bindi. "Mi accusano sempre di circondarmi di belle ragazze senza cervello - avrebbe detto il premier secondo quanto riferito da alcuni partecipanti alle agenzie di stampa -. Ecco invece qui delle belle ragazze che si sono laureate con il massimo dei voti e che non assomigliano certo a Rosy Bindi". Non è la prima volta che Berlusconi attacca la deputata del Pd sull'aspetto fisico: nell'ottobre 2008, intervenendo al telefono a Porta a Porta, l'aveva definita "più bella che intelligente". Il Cavaliere ha rinvangato indirettamente alcune vecchie polemiche sul conseguimento della laurea da parte dell'ex pm: "Quando studiavo io, lo sapeva tutto il condominio e tutti stavano attenti a non fare rumore per permettermi di studiare per poi festeggiare una volta superati gli esami. Non si capisce invece perché nel paese di Di Pietro nessuno sapesse della sua laurea". "LO QUERELO, NON SI TIRI INDIETRO" - La risposta di Antonio Di Pietro non si è fatta attendere: "Berlusconi, invece di continuare a offendere la mia storia personale, rinunci ad avvalersi dell'insindacabilità prevista dall'articolo 68 della Costituzione, così vedremo davanti ai giudici chi ci capisce di più non solo di italiano ma anche di diritto". "Le sue dichiarazioni - aggiunge il leader dell'IdV - già più volte sono state ritenute diffamatorie dai giudici ma Berlusconi ha sempre approfittato dell'articolo 68 della Costituzione. Anche per queste sue ultime affermazioni lo querelerò augurandomi che si decida ad affrontarmi a viso aperto in un' Aula di Tribunale". BINDI: "VOLGARITA' RIPETITIVE" - "Faccio i miei complimenti alle studentesse per il conseguimento della laurea - ha invece commentato Rosy Bindi replicando alle notizie diramate dalle agenzie -. Su quello che ha detto il presidente del Consiglio mi limito con tristezza a prendere atto che tra i tanti segnali della fine dell'impero c'è anche questa ormai logora ripetitività delle sue volgarità". "FOLLIA CON METODO" - Decisamente negativo il commento dell'ex ministro dell'Università del governo Prodi, Fabio Mussi: "Da una parte Gelmini e Tremonti affamano la ricerca e l'università pubblica italiana, che, tra gli applausi di schiere di sciocchi laudatores, i quali peraltro sicuramente in futuro non si prenderanno alcuna responsabilità del disastro, saranno ridotte al grado zero della qualità e del merito. Dall'altra Berlusconi va in festosa visita all'universita telematica privata del Cepu. Sono ambedue scene tratte dal suicidio di una nazione moderna. Ma devo riconoscere che c'è del metodo in questa follia".
19 luglio 2010
2010-07-01 Istruzione - Quasi tutti gli studenti concludono il quinquennio. "La modifica sarà graduale" Università, il flop della laurea breve "Funziona poco, la correggeremo" Il ministro Gelmini: con quel diploma si fatica a trovare un lavoro Istruzione - Quasi tutti gli studenti concludono il quinquennio. "La modifica sarà graduale" Università, il flop della laurea breve "Funziona poco, la correggeremo" Il ministro Gelmini: con quel diploma si fatica a trovare un lavoro ROMA—"Nel tempo si dovranno apporre correttivi al cosiddetto "3+2", senza stravolgere un sistema che ha già subito tanti scossoni". Lo ha detto il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, ospite di "Radio anch’io", ammettendo che "il sistema del "3+2" sicuramente ha dato meno risultati di quanto ci si aspettasse". "Ma non si può continuamente—ha osservato il ministro — ripartire da zero. Oggi abbiamo questo sistema, in molti casi alla laurea triennale non sono conseguite opportunità occupazionali facili e certamente nel tempo bisognerà apporre correttivi ". Con la riforma degli ordinamenti didattici del’99, accanto alla classica laurea a ciclo unico (quadriennale o quinquennale) sono stati introdotti la laurea triennale, detta Laurea (L) e la Laurea Specialistica o Magistrale, altri due anni di specializzazione (LS) e il sistema dei Crediti Formativi Universitari (CFU). Le lauree triennali, pensate per un inserimento più rapido nel modo del lavoro, sarebbero dovute aumentare. Sono passati dieci anni ma non si vede ancora il risultato sperato. Il ministro non si sbilancia. Tuttavia il numero degli universitari che invece di fermarsi alla laurea triennale ha proseguito verso la specialistica è risultato molto più alto anche rispetto alle più pessimistiche previsioni. Negli altri paesi europei il 70 per cento dei laureati dopo 2 o 3 anni entra nel mondo del lavoro. A proseguire è solo il 30 per cento. Nel nostro Paese, anche se sui numeri e la loro interpretazione non c’è accordo — 10 anni forse sono pochi per trarre delle conclusioni—nessuno può negare che la tendenza sia esattamente contraria. "Il "3+2" ha oggettivamente fatto moltiplicare i corsi di laurea, tuttavia si è appena concluso l’adeguamento ai nuovi ordinamenti e ora rifarli daccapo sarebbe traumatico — dice il senatore Giuseppe Valditara, relatore della Riforma universitaria in discussione al Senato —. Ci potrà essere nel tempo una graduale modifica del "3+2", soprattutto in quelle discipline che lo rivendicheranno. Giurisprudenza a suo tempo ha chiesto di avere un percorso unitario. Evidentemente in prospettiva si potranno studiare per le facoltà che lo richiedono forme più flessibili rispetto al modello attuale. L’unica cosa impensabile è un decreto del ministero che costringa le università a ricominciare tutto daccapo. Sarebbe il caos". "La responsabilità — ribadisce il professor Guido Fiegna, membro del Cnvsu (Comitato nazionale valutazione sistema universitario) — è in parte attribuibile alle università che non hanno ridisegnato i corsi, cambiando la sequenza delle discipline, i tempi e i modi di insegnamento. In un certo senso gli atenei non sono riusciti o non hanno voluto incentivare l’uscita dal sistema universitario dei laureati triennali". Tra le spiegazioni, non mancano quelle più maliziose: in certe aree disciplinari l’ingresso nel modo del lavoro di un consistente numero di laureati triennali avrebbe potuto provocare un eccesso di docenti. Ma esiste anche una diretta responsabilità di chi controlla la domanda di laureati. "Purtroppo — conclude Valditara —ci sono stati pochi sbocchi, soprattutto nella Pubblica amministrazione. Perché quasi tutti gli studenti concludono il quinquennio invece di defluire dal sistema universitario dopo 3 anni? In realtà proprio a partire dalla Pubblica amministrazione gli sbocchi concreti, è un dato di fatto, sono pochi. Bisognerebbe cominciare a lavorare proprio da lì per assicurare delle opportunità ai laureati triennali ". Giulio Benedetti 01 luglio 2010
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2011-06-20 UNIVERSITA' Atenei, ecco le "eccellenze" italiane CLASSIFICHE: ATENEI FACOLTA' SPECIALE REPUBBLICA GUIDA ALL'UNIVERSITA' http://temi.repubblica.it/guide-universita-2011/?ref=HREC2-5Bologna in testa, le "piccole" spiccano Medicina a Padova, architettura a Ferrara, scienze a Trento. È la classifica delle facoltà stilata dalla Grande Guida all'Università Repubblica-Censis di FABIO TONACCI Atenei, ecco le "eccellenze" italiane Bologna in testa, le "piccole" spiccano La guida delle Università italiane di Repubblica La migliore facoltà di Medicina in Italia? È di sicuro a Perugia. E certamente anche a Milano. E poi a Verona, a Pavia, ce n'è una a Firenze, un'altra a Siena, e perché no una a Brescia... A sentire l'opinione degli universitari iscritti, l'Italia è piena di "migliori facoltà di medicina". Ognuno rivendica la superiorità dell'ateneo che ha scelto, o dovuto scegliere. Gli studenti e anche i professori. Ma la migliore facoltà di medicina in Italia è solo una: quella dell'università di Padova. Non per simpatia, per merito. I suoi docenti sono di altissimo livello, così come le aule, i computer in dotazione, la biblioteca e tutte le altre strutture (didattica, voto 109). La percentuale degli studenti che portano a termine il ciclo di studi nei tempi stabiliti è tra le prime in Italia (produttività, 100). Ha ottimi rapporti con università estere (relazioni internazionali, 96). Produce progetti di ricerca innovativi e di qualità, riconosciuti universalmente nel settore medico (ricerca 110). Meriti che gli valgono, nella classifica del Censis delle "vere" migliori facoltà italiane, una valutazione complessiva di 103,8 punti su un massimo di 110 (e un minimo di 66). L'eccellenza italiana doc. E tra i grandi atenei Bologna "la dotta" si conferma al primo posto, come nel 2010. Una valutazione che è stata fatta, ateneo per ateneo, facoltà per facoltà, sulla base di quattro parametri oggettivi, costruiti con dati reali e indicatori forniti dalle stesse università. Ne è venuta fuori una guida utile per il neodiplomato che non vuole basarsi solo sulle chiacchiere per scegliere, e utilissima al genitore che deve fare i conti con eventuali spostamenti fuori sede. E così si scopre che bisogna andare a Bologna per avere il top della facoltà di Psicologia, che prende il voto pieno, 110, per la didattica e la produttività. Per diventare medici e avere il posto assicurato o quasi (lavora il 97,2 per cento di chi si laurea nel settore sanitario, secondo i dati del consorzio universitario AlmaLaurea) bisogna trasferirsi a Padova: non c'è solo la miglior facoltà di Medicina e Chirurgia (103,8 punti contro i 98,2 di Perugia e Milano Bicocca), ma anche quella di Veterinaria. A Ferrara invece si trova il gotha di Architettura (con un punteggio di 105,4 ha scavalcato in questa materia l'università di Sassari, fino all'anno scorso in cima alla classifica). Per il corso di laurea in Economia, la tappa obbligata per chi vuole il massimo è ancora l'università di Padova, mentre è in calo quella di Trento, passata dal secondo al quinto posto nella graduatoria. Per Farmacia, Trieste ha scalzato Bologna, finita al quarto posto. Giurisprudenza, una delle facoltà con più iscritti in Italia, ha la sua espressione massima nell'ateneo di Siena, ma da segnalare il gran passo in avanti fatto da quello di Udine, dal diciasettesimo al sesto posto in un anno. Il salto di qualità dell'ateneo friulano non si registra soltanto nelle materie giuridiche. Udine primeggia nella classifica di Lettere e Filosofia (nel 2010 era settima), Lingue e Letterature straniere, Scienze della Formazione. Roma vince la "gara" tra facoltà di Scienze Motorie, Milano è la capitale morale di Ingegneria, con il Politecnico che ottiene un punteggio di 101,6, seguito poco più indietro da quello di Torino. Non sempre, però, le migliori facoltà si trovano negli atenei più grandi. Il Censis li ha valutati sui parametri dei servizi offerti, delle borse di studio, delle strutture, della rete Internet e dei rapporti internazionali. Se è vero che Bologna (90,7 di punteggio) è in testa nella sezione "big", quelli con più di 40 mila iscritti (Milano è sesta, la Sapienza di Roma settima), l'eccellenza si trova negli atenei medi come quello di Trento, che ha raccolto un punteggio medio di 101,4 grazie soprattutto al numero e alla consistenza delle borse di studio offerte agli iscritti e alla qualità ottima del collegamento a Internet di aule e laboratori. (20 luglio 2011)
2011-06-16 UNIVERSITÀ Corsi di laurea a numero chiuso tra novità c'è il punteggio minimo Le decisioni del ministero per i test d'accesso alle facoltà a numero programmato. Per la prima volta gli studenti dovranno ottenere un voto minimo per accedere. I test di Medicina e Odontoiatria validi in entrambi i corsi e in alcune aree si sperimenta la graduatoria unica tra diversi atenei di SALVO INTRAVAIA Corsi di laurea a numero chiuso tra novità c'è il punteggio minimo ROMA - Novità in vista per l’accesso alle università a numero programmato. Il ministero dell’Istruzione, università e ricerca ha reso noto, questa mattina, il decreto che fissa le regole per l’accesso ai corsi universitari a numero chiuso: Medicina e chirurgia, Odontoiatria e protesi dentaria, Medicina veterinaria, Architettura e Professioni sanitarie. Manca all’appello, al momento, soltanto il corso di Scienze della formazione primaria, che è stato riformato dalla riforma Gelmini. Le novità più importanti, annunciate in parte dallo stesso ministro alcuni mesi fa, riguardano il test di Medicina e Odontoiatria. La prova sarà unica per entrambe le facoltà e si svolgerà su tutto il territorio nazionale il prossimo 5 settembre. Il candidato che lo volesse potrà far valere il proprio test per entrambi i corsi di studio. Avrà, in questo modo, più possibilità di farcela. In passato, si è verificato che studenti esclusi con un certo punteggio a Medicina, sarebbero stati idonei ad Odontoiatria. Dal prossimo anno questo problema sarà superato. Un’altra importante novità riguarda la "soglia minima di ingresso" per il punteggio. Fino all’anno scorso, per ogni singola facoltà, la graduatorie di merito si scorreva fino alla concorrenza di tutti i posti messi a concorso dal ministero, per l’ateneo e la facoltà in questione. Da quest’anno le cose cambieranno: chi, pur essendo in posizione utile, dovesse andare al di sotto dei 20 punti, sugli ottanta previsti, rimarrà fuori ugualmente. La soglia minima di ingresso è, infatti, di venti punti. Tra le novità anticipate dalla Gelmini era stata ipotizzata una graduatoria nazionale, un modo per correggere una anomalia del meccanismo di accesso: i primi degli esclusi negli "atenei difficili", i più richiesti, sarebbero riusciti a farcela negli atenei "più facili", quelli meno richiesti. Per quest’anno la graduatoria nazionale non è passata, ma il ministero, aggregando alcune sedi limitrofe, ha lanciato una sperimentazione che riguarda anche gli altri corsi. Il test di Medicina veterinaria, in programma per il 6 settembre, potrà valere contemporaneamente per Bologna, Milano, Parma e Padova. Stesso discorso, sempre su Veterinaria, per gli atenei di Teramo e Camerino. Per Medicina, sono stati aggregati gli atenei di Udine e Trieste. Al Sud, gli aspiranti Ingegneri/Architetti di Napoli (Federico II) e Salerno, giorno 7 settembre, si ritroveranno a partecipare in un’unica aggregazione territoriale. Per le professioni sanitarie – Ostetrica, Infermiere, ecc. – la prova si svolgerà l'8 settembre alle ore 11 e il candidato potrà esprimere, come l’anno scorso, fino a tre opzioni. I test per Medicina, Odontoiatria, Veterinaria e per le Professioni sanitarie saranno composti da 80 domande di cultura generale e logica, chimica, biologia, matematica e fisica, da svolgere in due ore. Novità nel test per l’accesso alla facoltà di Architettura dove, anziché con domande di chimica e biologia, gli studenti dovranno cimentarsi con quesiti di storia e disegno. Il decreto, invece, non si esprime sul peso che avranno le domande di cultura generale, criticate da più parti. Il ministro aveva pensato di sostituire parte delle domande di cultura generale con domande di logica e gli esperti che formuleranno i test sono sempre in tempo a farlo. (16 giugno 2011)
LAVORO Gli ingegneri non conoscono crisi "Sono i più richiesti dalle imprese" La situazione rispetto a qualche anno fa è peggiorata, ma restano quelli che trovano un impiego con meno difficoltà. Ma per fare muovere davvero l'occupazione ci vorrebbero politiche di innovazione e un piano energetico. O iniziative come quella ideata da Obama di FEDERICO PACE Gli ingegneri non conoscono crisi "Sono i più richiesti dalle imprese" SEMPRE meglio essere ingegneri. Anche in tempi di crisi. Trovare un impiego è ormai un'impresa, ma per chi è come loro, è un po' meno difficile. Se è vero che anche il complesso e diversificato mondo degli ingegneri sta pagando i conti di un'economia che non vuole tornare a dare respiro e lavoro, è pur vero che questi superman dell'occupazione sono stati colpiti meno degli altri. E per gli anni a venire saranno ancora loro a covare le migliori speranze, in gran parte del mondo: nei Paesi che stanno crescendo più di tutti, ma anche negli Stati Uniti che lottano per mantenere una leadership ormai in discussione, così come in Europa e in Italia. "Per ogni posto di lavoro che si crea ci sono più di quattro persone che lo cercano. Ma quando si passa a posizioni scientifiche e a alta tecnologia avviene il contrario." Così Barack Obama lunedì scorso in occasione della sua visita alla Cree, un'azienda ad alta tecnologia produttrice di semiconduttori a Durham nella Carolina del Nord. I mestieri introvabili ci sono anche negli Usa. E per invertire la tendenza, e per "riportare la gente al lavoro", in piena emergenza occupazionale, il presidente si appresta a lanciare una serie di iniziative. Tra le prime ad essere annunciate c'è proprio il piano che guarda ai giovani. Un progetto che prevede aiuti e stimoli, ogni anno, per 10 mila studenti di ingegneria e altri corsi scientifici. Negli Stati Uniti solo il 14 per cento dei ragazzi si iscrive in corsi dell'area Stem, ovvero scienze, tecnologia, ingegneria e matematica. Obama vuole che siano di più. Per farlo però, sembra che non toccherà il budget. Anche perché, ora che non ha più la maggioranza nel Congresso, non può permetterselo. Saranno le imprese private a partecipare al programma e a promuovere lo studio di queste materie. Offriranno incentivi agli studenti e aiuteranno le università a finanziare i corsi di formazione. Le aziende poi si impegnano anche a raddoppiare il numero di stage. Il presidente statunitense con questa iniziativa conferma la convinzione che gli Stati Uniti potranno mantenere la leadership solo se continueranno a investire nelle tecnologie e nelle innovazioni. Nella classifica americana delle professioni emergenti da qui al 2018, realizzata dal Bureau of Labor Statistics, quella con il più alto tasso di crescita è l'ingegnere biomedico. Nei prossimi anni, dice il ministero Usa del Lavoro, la richiesta da parte delle imprese di questa professione crescerà del 72 per cento. Sarà l'invecchiamento della popolazione a rendere sempre più necessarie moderne strumentazioni e apparecchiature mediche. E chi saprà metterle a punto sarà sempre più ambito. Anche in Italia gli ingegneri sono tra i più "occupabili" sul mercato. Secondo i dati di Unioncamere nel 2010 i laureati del gruppo di ingegneria sono quelli di cui le imprese hanno più bisogno. Considerando le diverse declinazioni della professione, si arriva quasi a 40 mila. Settemila in più di quanto non erano stati nel 2009. Quelli più ricercati sono gli elettronici e dell'informazione insieme a quelli civili e ambientali. Per ogni quattro laureati che vengono assunti dalle imprese italiane, uno è sempre un ingegnere. E anche in considerazione del numero di persone che escono dalle facoltà di ingegneria, per Unioncamere, il grado di copertura dell'offerta totale è il più alto di tutti i gruppi di corsi (il 60,9 per cento). Il mercato sembra dare opportunità agli ingegneri anche in realtà fino a oggi considerate lontane. "Fino a qualche anno fa - spiega Massimiliano Pittau, direttore del Centro studi del Consiglio nazionale degli ingegneri - avevamo una sistema produttivo che di fatto non riusciva ad assorbire tutta la produzione di laureati in ingegneria e, quando l'assorbiva, non lo faceva sempre nel modo migliore. Molti ingegneri in realtà utilizzavano solo una parte della competenze accumulate nel corso degli studi. Inoltre, la forza lavoro di ingegneria veniva assorbita solo dalle grandi imprese e non riuscivamo a occupare gli ingegneri nelle piccole e medie imprese. Qualcosa però, ora sta cambiando in meglio". Certo non è sempre azzurro il cielo sopra le teste degli ingegneri. E' cresciuto il tasso di disoccupazione anche per loro. Le assunzioni a tempo indeterminato sono crollate. Ma sono sempre il 20 per cento superiori a quelle degli altri laureati. Soffrono, ma da una posizione di vantaggio. Secondo il rapporto Occupazione e remunerazione degli ingegneri in Italia, messo a punto in questi giorni dal Centro Studi del Consiglio Nazionale degli ingegneri, a cinque anni dalla laurea solo il 2,8 per cento degli ingegneri è senza lavoro mentre per la media dei laureati è pari al 7,7 per cento. Nel nostro Paese, scrivono gli autori del rapporto, esiste comunque una disomogenea distribuzione territoriale di domanda e offerta di lavoro. In Lombardia, Lazio e Veneto non ci sono sufficienti ingegneri per soddisfare il fabbisogno del sistema produttivo. Mentre in Campania, Sicilia e Emilia Romagna, al contrario, c'è un surplus di laureati immessi sul mercato. Molti, come riporta il rapporto, si muovono proprio per compensare questa disomogeneità. Quelli che restano e non si muovono, finiscono per incappare nella "sottoutilizzazione" nella "sottoremunerazione". Nel medio termine, comunque, gli ingegneri sono quelli che possono temere di meno rispetto a quasi tutti gli altri laureati. Secondo i dati previsionali dell'Isfol, da qui al 2014 nel nostro sistema produttivo, per loro ci sarà una variazione occupazionale positiva pari all'8,4 per cento. Valore di gran lunga superiore all'andamento generale del mercato del lavoro che sarà pressoché stagnante (-0,2 per cento). Ci saranno più di 15 mila posti incrementali. Soprattutto ingegneri meccanici e elettrotecnici. Avrebbe senso replicare il piano di Obama anche in Italia? Cosa si dovrebbe fare per puntare di più su questo tipo di figure? Da noi, più che una crescita del numero degli iscritti sembra servire altro. "Se si avviassero delle politiche basate sullo sviluppo delle nostre filiere ad alta innovazione sarebbe tutto più semplice - dice Massimiliano Pittau, direttore Centro Studi del Consiglio Nazionale degli ingegneri -. Allo stato attuale con politiche di innovazione che latitano, senza una politica energetica, ci ritroviamo a essere, ad esempio nelle rinnovabili, un paese di installatori. Usiamo tecnologia francese per l'eolico, per il solare installiamo tecnologia tedesca o cinese di seconda mano. E sarebbe stato lo stesso pure per il nucleare. Se si volesse davvero fare qualcosa, si dovrebbe puntare a sviluppare un filiera interna per le rinnovabili". (15 giugno 2011)
IL CASO Scuola, nuovo blitz della Lega "Stop ai supplenti meridionali" La proposta del Carroccio in un emendamento al dl Sviluppo: "Punti in graduatoria in base alla residenza, così i prof del Sud non supereranno quelli del Nord" Scuola, nuovo blitz della Lega "Stop ai supplenti meridionali" di CATERINA PASOLINI "No all'invasione del nord da parte di insegnanti meridionali". È questo l'obiettivo dichiarato dei leghisti che hanno presentato un emendamento al decreto legge sullo sviluppo che prevede 40 punti in più in graduatoria per i professori residenti nelle località dove vogliono insegnare. La proposta del Carroccio è che dal prossimo anno scolastico nelle graduatorie vengano assegnati quaranta punti in più agli insegnanti che sono residenti nella provincia dove vogliono lavorare. Una richiesta di modifica che spacca la maggioranza e provoca le proteste dell'opposizione che parla di "Razzismo e incostituzionalità". L'obiettivo principale sembra sia consentire ai docenti delle regioni del nord di non esser sorpassati nelle liste dagli aspiranti professori del sud. Come dice a chiare lettere Paola Goisis, deputata leghista che così sintetizza il suo emendamento: "No all'invasione da parte degli insegnanti meridionali. No allo stravolgimento delle graduatorie. Come Lega dobbiamo tutelare i nostri docenti. Ci sarà un'invasione di persone dal sud perché da noi ci sono più possibilità di inserimento". Anche se, paradossalmente, la misura penalizzerebbe anche i trasferimenti all'interno della stessa Regione, da Varese a Milano, per fare un esempio. Non è la prima volta che si prova a bloccare i trasferimenti: negli anni passati sia in Friuli che Piemonte i consiglieri della Lega hanno approvato provvedimenti volti a favorire gli "insegnanti regionali" o comunque locali rispetto a quelli arrivati da altre zone del paese. Decisioni bocciate a febbraio dalla Consulta che ha dichiarato incostituzionale anche un norma favorita dal ministro Gelmini. Approvata dal governo nel 2009 stabiliva l'impossibilità di spostarsi da una provincia all'altra, se non in coda alle liste invece che col proprio punteggio. "Viola il principio di uguaglianza", disse la Consulta, ed è probabile che finisca così anche quest'ultima proposta della Lega. L'emendamento ieri ha infatti spaccato la maggioranza - il governo non ha dato parere favorevole ma si è rimesso alla decisione dell'aula - mentre dall'opposizione arrivano accuse pesanti. "Questo è inqualificabile razzismo. La qualità degli insegnati deve essere valutata in base alla preparazione e dedizione al lavoro, non in base alla loro residenza o regione di appartenenza", dice Leoluca Orlando, portavoce dell'Italia dei valori. Il Pd considera l'emendamento una manovra elettorale per riconquistare la base in vista della riunione a Pontida. "Il Carroccio segue la logica della doppia verità: con una mano taglia 132 mila posti di lavoro nella scuola e con l'altra oggi fa propaganda con una promessa di un bonus per i precari del nord", denuncia Francesca Puglisi, responsabile scuola della segreteria del Partito democratico. "Senza contare", aggiunge la collega di partito Ghizzoni, "che il premio previsto dal partito di Bossi è in palese contrasto con la recente direttiva dello stesso ministro Gelmini che ha riaperto le graduatorie consentendo il trasferimento di provincia e imponendo almeno 5 anni di permanenza". (15 giugno 2011)
Il "3+2", cronaca di una riforma incompiuta di Manuel Massimo Due livelli di formazione accademica: il primo ciclo, triennale, per ricevere una formazione generale di base utile per proseguire gli studi ma anche una preparazione ad hoc professionalizzante, immediatamente spendibile sul mercato del lavoro; un secondo "step" formativo specialistico, biennale, per qualificarsi in un ambito specifico approfondendo conoscenze e competenze acquisite nel triennio. L’architettura del cosiddetto "3+2", la riforma universitaria varata nel 1999, ha modificato profondamente gli atenei senza riuscire però a raggiungere i risultati sperati: dopo dodici anni i numeri certificano il sostanziale fallimento di un sistema nato con l’obiettivo principale di anticipare l’ingresso dei nostri neolaureati nel mondo del lavoro, soprattutto per colmare il gap con l’Europa. Lo dimostra anche l’aumento delle iscrizioni ai corsi di laurea a ciclo unico - come Medicina e Giurisprudenza - che negli ultimi cinque anni sono cresciute circa del 10 per cento (con un’incidenza sul totale degli iscritti che è passata dal 6,4 per cento del 2005/2006 al 16,1 per cento del 2009/2010). Un po’ di storia Alla Riforma del 1999 - che ha introdotto per la prima volta in Italia la novità del "3+2" e dei crediti formativi universitari (Cfu) - sono seguiti altri provvedimenti legislativi che, tra il 2004 e il 2008, hanno ridisegnato la fisionomia degli atenei: una riorganizzazione accademica che ha riformato le classi di laurea (ciascuna con specifici obiettivi formativi e sbocchi professionali), avendo però l’effetto collaterale di moltiplicare i corsi facendo lievitare le spese in un sistema già affetto da sottofinanziamento cronico. Una situazione sotto gli occhi di tutti, tanto che anche il ministro competente Mariastella Gelmini a luglio del 2010 parlò apertamente di "flop del 3+2" e di "necessarie modifiche da apportare al sistema". Sistema che, però, ancora stenta a decollare. 2010, i conti non tornano La più solenne bocciatura del "3+2" è firmata Corte dei conti e reca la data "14 aprile 2010". Il "Referto sul sistema universitario" dei magistrati contabili non lascia adito a dubbi: "Il doppio ciclo (laurea triennale e laurea specialistica) non ha prodotto i risultati attesi né in termini di aumento dei laureati, né in termini di miglioramento dell’offerta formativa". Nel documento si segnala anche l’alta percentuale di abbandoni al primo anno, l’aumento sproporzionato delle sedi decentrate e il consistente incremento dei professori a contratto, docenti "low cost" esterni ai ruoli universitari canonici. Ma il principale obiettivo mancato del "3+2" riguarda - sempre secondo la Corte - proprio l’aspetto che doveva rappresentare il suo punto di forza: "Il sistema non ha migliorato la qualità dell’offerta formativa nemmeno in termini di più efficace spendibilità del titolo nell’ambito dello spazio comune europeo". L’obiettivo mancato Dati alla mano, il "3+2" mostra tutte le sue criticità. Come sottolinea Roberto Ciampicacigli, direttore di Censis Servizi, i numeri certificano il flop: "L’altissimo tasso di passaggio di neolaureati di primo livello che s’iscrivevano alla magistrale (specie nei primi anni di riforma, ndr) doveva suonare come un campanello d’allarme: nell’anno accademico 2005/2006 questo tasso è stato dell’81,1 per cento e l’ultimo dato disponibile - relativo all’a.a. 2009/2010 - ci dice che il 54,3 per cento dei laureati di primo livello s’iscrive ad un corso magistrale. Poco più di uno studente su due". In definitiva l’obiettivo principale della riforma - vale a dire anticipare l’ingresso dei laureati nel mondo del lavoro - non è stato raggiunto: "Oggi" continua Ciampicacigli "ci si riesce a laureare in meno tempo rispetto al vecchio ordinamento, ma il corso dura solo 3 anni rispetto ai 4 o 5 precedenti: questo, dunque, rappresenta un obiettivo raggiunto solo in parte". La rimonta del "ciclo unico" La progressiva diminuzione del tasso di passaggio dalla triennale alla magistrale, soprattutto a partire dal 2005, dipende da almeno tre fattori che concorrono a questo risultato, come spiega Ciampicacigli: "Ci si iscrive di meno alle magistrali o perché si sta già facendo un percorso accademico a ciclo unico, o perché si sceglie di puntare direttamente su un master di primo livello, oppure perché si è talmente sfiduciati nell’esito formativo che si decide di non continuare gli studi". In base ai dati che fornisce il Miur per successive elaborazioni statistiche, però, questo fenomeno non può essere "misurato" compiutamente: l’Anagrafe degli studenti presenta una certa "opacità" e non si può avere accesso al monitoraggio completo e puntuale che segue gli universitari nel corso di tutta la loro carriera accademica. In definitiva si ragiona sui numeri, non sulle persone. Liceizzazione e crescita culturale Un altro aspetto da non sottovalutare quando si parla di "3+2" riguarda il cosiddetto fenomeno della "liceizzazione": la frequenza di un corso di laurea triennale è stata vissuta infatti - soprattutto dagli studenti - come una prosecuzione "soft" della scuola superiore, alla stregua di un "superliceo". L’iscrizione all’università, inoltre, viene "scelta" anche per "continuare a studiare in attesa di un’occupazione", specie laddove le offerte di lavoro scarseggiano. Questo fatto ha portato, involontariamente, al raggiungimento di un obiettivo che la riforma non aveva preventivato, come spiega Roberto Ciampicacigli: "Negli ultimi anni si è prodotta una crescita culturale, non foss’altro perché c’è stato un incremento degli immatricolati e dei laureati triennali: un fenomeno dal forte significato sociale". Laureati e fuoricorso La serie storica dei laureati - ricostruita in base a un’elaborazione di Censis Servizi su dati dell’Ufficio di statistica del Miur - indica che nel periodo compreso tra il 2000 e il 2009 si è registrato un forte aumento dei "neodottori" e una drastica riduzione della percentuale dei fuoricorso. Nell’università pre-riforma, nel 2000 su circa 160mila laureati solo il 19,5 per cento conseguiva il titolo in corso (cifra che nel 2002 si attestava invece al 23,8 per cento, con un lieve miglioramento); nel 2005, invece, su oltre 300mila neolaureati la percentuale di "regolari" saliva al 42,8 per cento, rimanendo sostanzialmente stabile su questo valore anche nel 2009 (con un lieve decremento, però, del numero di laureati che scendeva a circa 293mila). Il ritardo dell’Italia Come sottolinea Andrea Cammelli - direttore del Consorzio AlmaLaurea - presentando i dati del XIII Rapporto sul "Profilo dei laureati italiani", anche nel post-riforma la posizione dell’Italia nel panorama internazionale è ancora "di retroguardia". "In realtà a lievitare, più che i laureati sono stati i titoli universitari, passati dai 172mila del 2001 ai 293mila del 2009. Nella documentazione più recente Ocse, relativa al 2008, il ritardo dell’Italia nel contesto internazionale emerge purtroppo in tutta la sua ampiezza: fra i giovani italiani di età 25-34 anni i laureati costituivano il 20 per cento contro la media dei paesi Ocse pari al 35 per cento (il 24 per cento in Germania, il 38 per cento nel Regno Unito, il 41 per cento in Francia, il 42 per cento negli Stati Uniti, il 55 per cento in Giappone). La strategia della lumaca Il nostro Paese risulta ancora lontano anche dall’obiettivo strategico pari al 40 per cento della popolazione di 30-34 anni laureata, che la Commissione europea ha individuato come mèta da raggiungere entro il 2020. Un risultato che, allo stato attuale di crescita, sembra davvero fuori dalla nostra portata, come evidenzia Cammelli: "Nella fascia di età 30-34 anni, strategica per realizzare la società della conoscenza e per competere a livello internazionale, fra il 2004 e il 2009 la presenza di laureati in Italia è cresciuta solo dal 16 al 19 per cento".
IL CASO "Troppo tempo per diventare medici" e il governo taglia un anno di studi Via al piano Fazio-Gelmini. "Così l'Italia avrà più specialisti". L'ipotesi è di accorciare le scuole di specializzazione di PAOLA COPPOLA "Troppo tempo per diventare medici" e il governo taglia un anno di studi ROMA - Meno anni in aula per i futuri camici bianchi. Accorciare il percorso di studio di medicina, riducendo gli anni necessari per la specializzazione o lo stesso percorso di laurea. L'ipotesi è sul tavolo del ministro della Sanità Ferruccio Fazio che lavora d'intesa con quello dell'Istruzione Mariastella Gelmini e trova d'accordo anche l'ordine dei medici. "Stiamo parlando di una riduzione del percorso universitario in medicina", ha annunciato da Padova, a margine di un convegno, Fazio confermando le anticipazioni fatte in una intervista al "Giornale" dal titolare di viale Trastevere, che non aveva precisato in quale punto del percorso di formazione dei futuri medici - se durante la laurea, la specializzazione o il dottorato - dovrebbe avvenire il "taglio". "Porteremo a quattro anni le specializzazioni che ora sono di cinque, importando il modello europeo e rimanendo nei suoi limiti. In pratica, dove in Europa le specializzazioni sono inferiori ai cinque anni lo saranno anche in Italia. Il percorso - ha continuato Fazio - potrebbe essere abbastanza rapido anche se va normato". Per il ministro si potrebbero ridurre anche i corsi di laurea, è "più difficile, ma possibile": si potrebbe incorporare nell'ambito dei sei anni quello dell'esame di Stato, ha chiarito. Se invece "vogliamo rivedere oltre il complesso della riduzione del curriculum formativo credo che ciò sia possibile ma potrebbe richiedere più tempo". E che la riduzione dovrebbe riguardare la durata delle scuole di specializzazione è stato confermato dal rettore della Sapienza, Luigi Frati. Che ha precisato: l'accorciamento porterebbe "a un aumento dei posti disponibili, che passerebbero da 5000 a 6000 l'anno e questo permetterebbe di ovviare alla carenza di specializzandi: una misura positiva". Formazione più rapida ma anche la necessità di rivedere il piano di addestramento: "Per gli specializzandi in Chirurgia - ha anticipato il preside - è fondamentale introdurre da subito la pratica degli atti operatori". Sul "taglio" ci sarebbe un accordo di massima: quattro anni per le scuole di specializzazione mediche, cinque per quelle chirurgiche. Favorevole anche il preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia della Cattolica di Roma, Rocco Bellantone, "purché non si tratti di un taglio tout court che risponda solo all'esigenza di avere un maggior numero di laureati nei prossimi anni". Davanti alla proposta resta cauto il presidente del Cun, Andrea Lenzi, che ha ricordato alcuni paletti ineludibili. Oggi tra corso di laurea e specializzazione gli anni di formazione possono superare i 12-13 anni. Ridurre questo periodo "è un'iniziativa utile se ben studiata", ha spiegato il presidente della Federazione degli Ordini dei Medici (Fnomceo), Amedeo Bianco. "L'importante è intervenire sulle scuole di specializzazione, migliorando e potenziando le attività professionalizzanti". E ha proposto di rendere "da subito" operativi i giovani medici, "metterli prima a contatto con la prevenzione, l'assistenza, il mestiere già durante la scuola di specializzazione, integrando momenti formativi e pratica professionale, coinvolgendo i servizi sanitari regionali". (12 luglio 2011)
2011-04-16 IL CASO Berlusconi attacca ancora la scuola pubblica "Insegnanti con valori contrari alla famiglia" Messaggio del premier alla riunione dell'Associazione delle mamme: "Ora potete scegliere liberamente quale educazione dare ai vostri figli e sottrarli ai professori di sinistra". Insorge l'opposizione: "Parole ignobili", Bersani: "Perché non va ad insegnare nelle scuole?" Berlusconi attacca ancora la scuola pubblica "Insegnanti con valori contrari alla famiglia" Silvio Berlusconi PADOVA - Silvio Berlusconi, in un messaggio inviato a Padova a una riunione dell'Associazione nazionale delle mamme, ha sottolineato che i genitori oggi possono scegliere liberamente "quale educazione dare ai loro figli e sottrarli a quegli insegnamenti di sinistra che nella scuola pubblica inculcano ideologie e valori diversi dal quelli della famiglia". Un attacco frontale contro la scuola pubblica che richiama quello già fatto dal premier alla fine dello scorso febbraio in un intervento al congresso dei cristiano riformisti 1. In quell'occasione il presidente del Consiglio, citando a sua volta il suo discorso del '94 in occasione dell'avvio del suo impegno politico, aveva detto: "Libertà vuol dire avere la possibilità di educare i propri figli liberamente, e liberamente vuol dire non essere costretti a mandarli in una scuola di Stato, dove ci sono degli insegnanti che vogliono inculcare principi che sono il contrario di quelli dei genitori". Il premier oggi, parlando poi dell'azione del governo ha ricordato l'introduzione di leggi contro la violenza sessuale e il reato di stalking. Si è detto quindi convinto delle grandi capacità delle donne: "siete più brave di noi uomini, a scuola, sul lavoro, siete più puntuali , più precise e più responsabili. Anche per questo ho voluto che nel nostro governo ci fossero ministri donne e mamme che sono attivissime e bravissime". "Care mamme - ha concluso - vi garantisco che il governo continuerà a lavorare con lo stesso entusiasmo e con lo stesso impegno per valorizzare il vostro ruolo nella famiglia nel mondo del lavoro e nella società". Berlusconi nella nota si è congedato con "un bacio e un saluto affettuoso a tute voi con l'augurio che possiate realizzare tutti i progetti e i sogni che avete nella mente e nel cuore". L'intervento del premier ha fatto subito scattare le proteste dell'opposizione. "Le parole di Berlusconi sulla scuola pubblica sono un ignobile attacco, privo di qualsiasi giustificazione reale. Il capo del governo - afferma il capogruppo Idv alla Camera Massimo Donadi - dovrebbe difendere e valorizzare il pilastro educativo del paese, non additarlo come esempio negativo. Queste parole aiutano a comprendere la vera missione che il governo ha portato avanti in questi anni: tagliare i fondi alla scuola pubblica per aiutare quelle private. L'istruzione pubblica è un valore costituzionale da difendere e ampliare. Berlusconi chieda scusa a tutti gli insegnanti, che, pur in condizioni difficili, continuano a svolgere egregiamente il loro ruolo". il leader del Pd Pier Luigi Bersani replica alle parole del presidente del Consiglio: "Perchè Berlusconi non va direttamente nelle scuole a inculcare i valori della famiglia, visto che se ne intende?", ha detto Bersani a una manifestazione del Pd sui 150 anni dell'unità d'Italia, premettendo di "dover intervenire sull'ennesima uscita di quell'ignobile stupidario quotidiano che ci propina il nostro premier". Il leader del Pd ha aggiunto ironicamente: "Mettiamo cartello davanti alle scuole: qui si inculcano i valori della famiglia, orario diurni, serali e quant'altro. Firmato Berlusconi". Anche il segretario generale della Cgil Susanna Camusso ha commentato le affermazioni del premier: "Di che famiglia parla Berlusconi? E perché ne parla?", ha detto durante il suo intervento all'assemblea nazionale dei delegati della Consulta. "Con il governo Berlusconi - rincara la responsabile politiche per la famiglia e terzo settore del Pd Cecilia Carmassi - ogni donna che aspetta un figlio è a rischio licenziamento". "Sulla famiglia e sulle donne, solo retorica e falsità - aggiunge - non so con quale faccia, Berlusconi possa affermare di sostenere e tutelare la maternità quando uno dei primi atti del suo governo è stato quello di cancellare il divieto delle dimissioni in bianco: con il governo Berlusconi ogni donna che aspetta un figlio è a rischio licenziamento attraverso la pratica di far firmare alle donne, al momento dell'assunzione, un foglio di dimissioni in bianco". Dura anche la presa di posizione dei rappresentanti del mondo della scuola. Le parole di Silvio Berlusconi sulla scuola pubblica pronunciate a Padova, denuncia il segretario generale Flc-Cgil, Mimmo Pantaleo, "sono eversive perché mirano a cancellare la libertà d'insegnamento". "Sappia Berlusconi - avverte il sindacalista - che non riuscirà a trasformare gli insegnanti in suoi portavoce o nelle veline delle sue televisioni". Per Pantaleo si tratta di "un ulteriore attacco ai valori della Costituzione: appare chiaro come le controriforme della Gelmini mirino unicamente a distruggere l'istruzione pubblica e la libertà nelle scuole e nelle università pubbliche. Un presidente del Consiglio e un governo moralmente impresentabili non hanno alcun diritto di attaccare il diritto allo studio e la dignità dei docenti". Pantaleo ha annunciato che il sindacato risponderà "con lo sciopero generale del 6 maggio e con una mobilitazione immediata nelle scuole e nelle università". Anche l'Unione degli studenti definisce le parole del presidente del Consiglio "immonde e indegne". "Siamo stanchi di questo governo - aggiunge una nota - che taglia miliardi alla scuola pubblica e se ne vanta, mentre migliaia di docenti precari non trovano lavoro, mentre si abbassa il livello della formazione, mentre centinaia di migliaia di studentesse e studenti vivono il dramma di tasse, trasporti, libri di testo che hanno costi elevatissimi". (16 aprile 2011)
IL CASO Berlusconi attacca ancora la scuola pubblica "Insegnanti con valori contrari alla famiglia" Messaggio del premier alla riunione dell'Associazione delle mamme: "Ora potete scegliere liberamente quale educazione dare ai vostri figli e sottrarli ai professori di sinistra". Insorge l'opposizione: "Parole ignobili", Bersani: "Perché non va ad insegnare nelle scuole?" Berlusconi attacca ancora la scuola pubblica "Insegnanti con valori contrari alla famiglia" Silvio Berlusconi PADOVA - Silvio Berlusconi, in un messaggio inviato a Padova a una riunione dell'Associazione nazionale delle mamme, ha sottolineato che i genitori oggi possono scegliere liberamente "quale educazione dare ai loro figli e sottrarli a quegli insegnamenti di sinistra che nella scuola pubblica inculcano ideologie e valori diversi dal quelli della famiglia". Un attacco frontale contro la scuola pubblica che richiama quello già fatto dal premier alla fine dello scorso febbraio in un intervento al congresso dei cristiano riformisti 1. In quell'occasione il presidente del Consiglio, citando a sua volta il suo discorso del '94 in occasione dell'avvio del suo impegno politico, aveva detto: "Libertà vuol dire avere la possibilità di educare i propri figli liberamente, e liberamente vuol dire non essere costretti a mandarli in una scuola di Stato, dove ci sono degli insegnanti che vogliono inculcare principi che sono il contrario di quelli dei genitori". Il premier oggi, parlando poi dell'azione del governo ha ricordato l'introduzione di leggi contro la violenza sessuale e il reato di stalking. Si è detto quindi convinto delle grandi capacità delle donne: "siete più brave di noi uomini, a scuola, sul lavoro, siete più puntuali , più precise e più responsabili. Anche per questo ho voluto che nel nostro governo ci fossero ministri donne e mamme che sono attivissime e bravissime". "Care mamme - ha concluso - vi garantisco che il governo continuerà a lavorare con lo stesso entusiasmo e con lo stesso impegno per valorizzare il vostro ruolo nella famiglia nel mondo del lavoro e nella società". Berlusconi nella nota si è congedato con "un bacio e un saluto affettuoso a tute voi con l'augurio che possiate realizzare tutti i progetti e i sogni che avete nella mente e nel cuore". L'intervento del premier ha fatto subito scattare le proteste dell'opposizione. "Le parole di Berlusconi sulla scuola pubblica sono un ignobile attacco, privo di qualsiasi giustificazione reale. Il capo del governo - afferma il capogruppo Idv alla Camera Massimo Donadi - dovrebbe difendere e valorizzare il pilastro educativo del paese, non additarlo come esempio negativo. Queste parole aiutano a comprendere la vera missione che il governo ha portato avanti in questi anni: tagliare i fondi alla scuola pubblica per aiutare quelle private. L'istruzione pubblica è un valore costituzionale da difendere e ampliare. Berlusconi chieda scusa a tutti gli insegnanti, che, pur in condizioni difficili, continuano a svolgere egregiamente il loro ruolo". il leader del Pd Pier Luigi Bersani replica alle parole del presidente del Consiglio: "Perchè Berlusconi non va direttamente nelle scuole a inculcare i valori della famiglia, visto che se ne intende?", ha detto Bersani a una manifestazione del Pd sui 150 anni dell'unità d'Italia, premettendo di "dover intervenire sull'ennesima uscita di quell'ignobile stupidario quotidiano che ci propina il nostro premier". Il leader del Pd ha aggiunto ironicamente: "Mettiamo cartello davanti alle scuole: qui si inculcano i valori della famiglia, orario diurni, serali e quant'altro. Firmato Berlusconi". Anche il segretario generale della Cgil Susanna Camusso ha commentato le affermazioni del premier: "Di che famiglia parla Berlusconi? E perché ne parla?", ha detto durante il suo intervento all'assemblea nazionale dei delegati della Consulta. "Con il governo Berlusconi - rincara la responsabile politiche per la famiglia e terzo settore del Pd Cecilia Carmassi - ogni donna che aspetta un figlio è a rischio licenziamento". "Sulla famiglia e sulle donne, solo retorica e falsità - aggiunge - non so con quale faccia, Berlusconi possa affermare di sostenere e tutelare la maternità quando uno dei primi atti del suo governo è stato quello di cancellare il divieto delle dimissioni in bianco: con il governo Berlusconi ogni donna che aspetta un figlio è a rischio licenziamento attraverso la pratica di far firmare alle donne, al momento dell'assunzione, un foglio di dimissioni in bianco". Dura anche la presa di posizione dei rappresentanti del mondo della scuola. Le parole di Silvio Berlusconi sulla scuola pubblica pronunciate a Padova, denuncia il segretario generale Flc-Cgil, Mimmo Pantaleo, "sono eversive perché mirano a cancellare la libertà d'insegnamento". "Sappia Berlusconi - avverte il sindacalista - che non riuscirà a trasformare gli insegnanti in suoi portavoce o nelle veline delle sue televisioni". Per Pantaleo si tratta di "un ulteriore attacco ai valori della Costituzione: appare chiaro come le controriforme della Gelmini mirino unicamente a distruggere l'istruzione pubblica e la libertà nelle scuole e nelle università pubbliche. Un presidente del Consiglio e un governo moralmente impresentabili non hanno alcun diritto di attaccare il diritto allo studio e la dignità dei docenti". Pantaleo ha annunciato che il sindacato risponderà "con lo sciopero generale del 6 maggio e con una mobilitazione immediata nelle scuole e nelle università". Anche l'Unione degli studenti definisce le parole del presidente del Consiglio "immonde e indegne". "Siamo stanchi di questo governo - aggiunge una nota - che taglia miliardi alla scuola pubblica e se ne vanta, mentre migliaia di docenti precari non trovano lavoro, mentre si abbassa il livello della formazione, mentre centinaia di migliaia di studentesse e studenti vivono il dramma di tasse, trasporti, libri di testo che hanno costi elevatissimi" (16 aprile 2011)
LE PROTESTE Gli studenti contro gli attacchi del premier "Non crede nella scuola pubblica? Vada a casa" I ragazzi contro le nuove accuse del premier agli insegnanti. "Ci siamo stufati, se non crede nella Costituzione, si dimetta". E parte una nuova ondata di mobilitazioni: primo appuntamento il 19 aprile di CARMINE SAVIANO Gli studenti contro gli attacchi del premier "Non crede nella scuola pubblica? Vada a casa" Silvio Berlusconi torna ad attaccare 1 la scuola pubblica, che "inculca ideologie e valori diversi da quelli della famiglia". E la reazione degli studenti, di chi vive ogni giorno la scuola, non si fa attendere. Il messaggio è firmato dalla Rete degli Studenti: "Il premier come al solito ci delizia con uno dei suoi show che hanno come protagonisti i comunisti, gli insegnanti di sinistra e le scuole private, paladine della libertà". Uno show che stanca, annoia: "Se il premier la pensa in modo diverso dalla Costituzione lo pregiamo di andare a casa". Poi l'appello: "Tutti in piazza il 19 aprile". "Ci siamo stufati". E si torna a difendere la dignità e il valore dei loro insegnanti. "La scuola pubblica italiana non inculca e le famiglie e le mamme d'Italia saranno veramente libere, così come gli studenti, quando avranno la possibilità di frequentare una scuola pubblica che funziona, aperta a tutti, di tutti e di qualità". Non manca la stanchezza. Per un governo il cui scopo principale sembra essere quello di mettere a rischio il futuro dei giovani italiani: "Ci siamo seriamente stufati di dover difendere continuamente la scuola pubblica dagli attacchi del presidente del consiglio. La scuola è pubblica. E se Berlusconi è di un altro parere non può governare l'Italia e lo preghiamo di andare a casa". L'ipoteca sul futuro. Toni simili anche dall'Unione degli Studenti: "Questo attacco fatto di uscite pubbliche, ma soprattutto di politiche devastanti per la formazione e di chi vivi questi luoghi ha oltrepassato ogni limite". E ancora: "l'assenza di politiche che difendano la scuola pubblica, è la cifra della nostra ribellione a questo governo". Sotto accusa il caos provocato dalla legge Gelmini, la diffusione dei diplomifici, i tagli al personale e l'incuria per l'edilizia scolastica. Ipoteche che pesano sul presente e sul futuro degli studenti. 19 aprile. Poi l'annuncio di nuove mobilitazioni. "Il 19 quindi le studentesse e gli studenti saranno in piazza in oltre 50 città italiane per preparare lo sciopero generale del 6 maggio". E non solo proteste. Ma proposte, diffusione di conoscenze e informazioni. Ancora dall'Unione degli Studenti: "Chiederemo risorse per il diritto allo studio, un vero welfare per scegliere i nostri percorsi di vita senza legami e il libero accesso alla cultura. E' arrivato per noi il momento di riprendere parola e cacciare questo Governo che ci sta togliendo ogni diritto". La Cgil. Per Mimmo Pantaleo, segretario generale Flc-Cgil, "le parole del presidente del Consiglio contro la scuola pubblica sono eversive perché mirano a cancellare la libertà d'insegnamento. È Un ulteriore attacco ai valori della Costituzione". Per Pantaleo, "un presidente del Consiglio e un Governo moralmente impresentabili non hanno alcun diritto di attaccare il diritto allo studio e la dignità dei docenti". Poi l'invito a partecipare, compatti, allo sciopero genarale indetto dalla Cgil per il 6 maggio. "Berlusconi sappia che non riuscirà a trasformare gli insegnanti in suoi portavoce o nelle veline delle sue televisioni". AteneinRivolta. E la condanna per le parole di Berlusconi arriva anche dal mondo dei collettivi universitari: "È una retorica del governo che va avanti da anni". Poi la precisazione: "La scuola pubblica non è in mano ai comunisti, è ancora una scuola che riesce a formare persone libere in grado di pensare ed agire con la propria mente. Forse proprio questo dà fastidio al governo". Vendola. "Io capisco benissimo Berlusconi. Lui è un grande pedagogo, gli insegnanti che considera adeguati sono Lele Mora, Fabrizio Corona ed Emilio Fede". Così il leader di Sel. Vendola ha aggiunto che "la pedagogia di Berlusconi è la pedagogia di Ruby. La stessa Gelmini persegue un disegno organico: una scuola è un'università che sono scomparse dal centro della scena sociale, si sono aziendalizzate e quindi non educano più alla società, ma al mercato. Si vive in una grande azienda - ha aggiunto - e la scuola viene soppiantata dalla cattedra del trash televisivo dei reality". (16 aprile 2011)
2011-04-15 LA SENTENZA Tar: "illegittimi" i tagli al personale Battaglia sulle graduatorie dei precari Il Tribunale amministrativo del Lazio boccia le circolari della Gelmini che hanno "eliminato" 67 mila cattedre in due anni: al momento nessuno può prevedere le conseguenze. L'Avvocatura dello Stato: impossibile impedire lo spostamento di provincia senza una legge ad hoc di SALVO INTRAVAIA Tar: "illegittimi" i tagli al personale Battaglia sulle graduatorie dei precari Il ministro Gelmini I tagli agli organici del personale scolastico sono illegittimi: lo ha stabilito una sentenza del Tar del Lazio. Intanto, la partita dell'aggiornamento delle graduatorie dei precari potrebbe trasformarsi in una battaglia politica dagli esiti imprevedibili. Quella del Tar Lazio di ieri, per il ministero dell'Istruzione, è l'ennesima bocciatura da parte della giustizia amministrativa, dopo quelle relative alle graduatorie ad esaurimento, alle classi sovraffollate e quella sulle riduzioni di orario per gli istituti tecnici e professionali, solo per citare le ultime in ordine di tempo. Questa volta, a ricorrere contro i provvedimenti del ministero sono stati un Comune (quello di Fiesole), la Flc Cgil e diversi genitori. Secondo i giudici, sono due i motivi che hanno determinato l'annullamento delle circolari ministeriali sul taglio di 67 mila cattedre negli anni scolastici 2009/2010 e 2010/2011. Il primo, riguarda lo strumento utilizzato da viale Trastevere per alleggerire gli organici del personale docente: una semplice circolare ministeriale che si appoggiava su una bozza di decreto interministeriale. Per sforbiciare 42 mila posti l'anno scorso e 25 mila quest'anno "l'amministrazione ha diramato la circolare", la numero 38/09, "allegando un mero 'schema' di decreto interministeriale, non ancora formalmente in vigore", scrivono i giudici. Il secondo motivo attiene alla procedura seguita. "In particolare - si legge nel dispositivo - lo schema di decreto, non solo sarebbe da ritenersi atto privo di attuale efficacia giuridica, ma sarebbe altresì approvato senza il 'previo parere delle Commissioni parlamentari competenti' invece espressamente prescritto dalla norma". Insomma, ancora una volta, come più volte lamentato dalle opposizioni, sarebbe stato esautorato il Parlamento. Al momento nessuno è in grado di prevedere gli effetti del provvedimento del Tar. Una cosa è certa, per effetto del taglio di 87 mila cattedre in tre anni, migliaia di supplenti hanno perso posto e stipendio e milioni di bambini e studenti italiani hanno perso decine di ore di lezione in classe. Per non parlare delle migliaia di docenti di ruolo costretti a fare le valigie, magari dopo anni di servizio nella stessa scuola, perché con la riforma Gelmini la loro materia è stata falcidiata. Ricominciando, in qualità di docente "sovranumerario", a fare il pendolare e, non più giovanissimo, a percorrere decine di chilometri per recarsi a scuola. In queste ore si fanno sempre più insistenti le voci di un prossimo decreto sull'aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento dei precari con la possibilità per gli stessi di cambiare provincia. Dopo la recente sentenza della Corte costituzionale, che ha dichiarato illegittime le graduatorie "di coda" inventate dalla Gelmini, arriva il parere dell'Avvocatura dello Stato richiesto da viale Trastevere, secondo il quale non è possibile impedire lo spostamento di provincia senza una norma di legge ad hoc. A questo proposito, il ministero starebbe per emanare, quindi, un decreto di aggiornamento delle graduatorie con il quale consentirà l'inserimento "a pettine" - cioè con il proprio punteggio - ma in una sola provincia. Una notizia che è attesissima da migliaia di precari meridionali, pronti a fare le valigie alla volta delle regioni del Nord, dove le cattedre a disposizione sono tantissime e le probabilità di lavorare aumentano in modo esponenziale. Ma, da tempo, l'ipotesi non piace alla Lega, che col senatore Mario Pittoni si è fatto promotore di una proposta di legge che prevede liste regionali suddivise in due sezioni: A e B. Questa volta, però, il ministero è tra l'incudine e il martello: qualche giorno fa 61 deputati, quasi tutti meridionali, hanno chiesto al ministro Gelmini di portare la questione in Parlamento. Un chiaro avvertimento al governo: con i tempi che corrono un provvedimento di legge pro-Lega potrebbe riservare brutte sorprese. (15 aprile 2011)
INCHIESTA /5 Riforma "a costo zero" pagata dagli studenti Aumenti delle tasse per sopravvivere ai tagli A fronte di un sottofinanziamento statale, università costrette a chiedere "un aiuto concreto" ai propri iscritti. Tra forzature, proteste e retromarce. Inchiesta su alcuni casi segnalati dai lettori di MANUEL MASSIMO Riforma "a costo zero" pagata dagli studenti Aumenti delle tasse per sopravvivere ai tagli Nuove fasce di contribuzione, controlli fiscali più serrati, rimodulazioni degli importi da pagare: gli atenei, per compensare il taglio del Fondo di Finanziamento Ordinario (Ffo) e per far quadrare i bilanci, dovranno cercare di massimizzare le entrate delle tasse universitarie. Un problema che interessa, a macchia di leopardo, molte realtà accademiche sparse in tutta Italia: a fronte di un sottofinanziamento statale le università saranno costrette a chiedere "un aiuto concreto" ai propri iscritti per sopravvivere. Al momento la situazione è fluida, difficile fare previsioni: c'è chi ha già aumentato le tasse lo scorso anno e sta pensando a un "ritocchino" per il prossimo; chi non ha alzato gli importi ma ha ridotto giocoforza il capitolo "diritto allo studio"; chi, ancora, pescherà principalmente nelle tasche dei fuoricorso. Il trend comunque è chiaro: la Riforma dell'Università "a costo zero" - secondo la vulgata cara al ministro Gelmini - verrà pagata soprattutto dagli studenti. Catania, caso emblematico. A giugno scorso il Senato Accademico ha deliberato l'aumento delle tasse, una decisione praticamente obbligata, come spiega il rettore Antonio Recca: "Non si è potuto procedere in modo diverso, considerata la necessità di compensare, almeno parzialmente, i gravi tagli operati dal governo nazionale al finanziamento ministeriale delle università statali. Tagli che hanno prodotto una situazione di difficoltà finanziaria e che rischiano di mettere in crisi l'equilibrio di bilancio degli atenei nell'esercizio 2011, con la prevista riduzione dei circa 20 punti percentuali dell'Ffo". E nuovi tagli porterebbero ad ulteriori ritocchi verso l'alto della retta d'iscrizione. Lecce, facoltà di extra-gettito. L'Università del Salento a metà febbraio ha deciso di applicare dei "filtri di merito" alle due fasce di reddito più basse, per racimolare proprio lì l'extra-gettito (1,6 milioni di euro, ndr) necessario a chiudere il bilancio. Una manovra che l'Unione degli Universitari di Lecce ha avversato fin dal primo momento - considerandola come "un mezzo per poter riempire il buco creato dai tagli ai fondi ministeriali" - promuovendo la campagna contro il caro-tasse "io non merito l'aumento". Dopo cinquanta giorni di protesta, a fine marzo il Consiglio di Amministrazione dell'ateneo salentino ha fatto un passo indietro sul provvedimento, mitigando la portata degli aumenti già approvati: 765mila euro di extra-gettito saranno infatti coperti dai fondi della Regione Puglia (per 710mila) e dalla Commissione Diritto allo Studio (per altri 55mila), abbassando complessivamente del 48% la quota degli aumenti previsti. "Serve un'inversione di tendenza". Il neopresidente della Crui Marco Mancini, rettore della Tuscia di Viterbo, appena insediatosi ha denunciato la situazione precaria in cui versa l'intero comparto accademico: "Il progressivo definanziamento dell'università sta conducendo l'innovazione nel nostro Paese a minimi epocali, che difficilmente potremo recuperare se la tendenza non si inverte immediatamente. Proseguire sulla strada che vede l'alta formazione e la ricerca come spese e non come investimenti equivale a mettere una pesantissima ipoteca sul futuro di intere generazioni". Un progetto di rilancio che non si può certo fare "a costo zero": "Accanto all'impegno dell'università nei confronti della società è necessaria una rinnovata presa di coscienza da parte dello Stato e della politica rispetto alla partita che si sta giocando sul piano internazionale". Roma, tra rimodulazioni e controlli. I principali tre atenei pubblici della Capitale stanno cercando di fronteggiare la situazione ciascuno a suo modo. La Sapienza "per il 2011/2012 non prevede alcun aumento delle tasse, fatto salvo l'adeguamento all'inflazione". D'altra parte l'intero sistema di tassazione è stato rivisto l'anno scorso, con effetti sull'a. a. in corso: non aumenti generalizzati ma rimodulazione delle fasce di contribuzione - i redditi più alti hanno pagato di più - e potenziamento dei controlli. Tor Vergata, dal canto suo, "non ha ancora preso una decisione definitiva" e affronterà il problema in Senato Accademico tra maggio e giugno: "Presumibilmente un aumento ci sarà, ma non si può dire ora di quale entità", fanno sapere dal secondo ateneo capitolino. A Roma Tre, invece, nessun aumento, come sottolinea il rettore Guido Fabiani che aggiunge: "Attualmente è in vigore un sistema - concordato con le rappresentanze studentesche - che definisce circa 20 fasce contributive in rapporto al reddito". Politecnici, nessun aumento di rilievo. I tre Politecnici statali italiani si pongono in netta controtendenza rispetto al trend generalizzato di crescita delle pressione fiscale sugli iscritti: quello di Torino "ha scelto di procedere semplicemente all'adeguamento Istat delle tasse, senza applicare ulteriori aumenti"; in quello di Milano "dal 2005/2006 le tasse non variano". Un discorso a parte merita quello di Bari, che proprio l'anno scorso ha modificato il sistema di tassazione, come spiega il rettore Nicola Costantino: "Nel 2010 il Politecnico di Bari era l'università con le tasse più basse d'Italia. Ha rivisto il proprio regolamento-tasse operando su tre fronti: combattendo l'evasione fiscale, attraverso l'obbligo della certificazione ISEEU; aggiungendo due aliquote per i redditi più alti; infine, rimodulando le detrazioni per merito e gli aumenti per i fuoricorso". Atenei off-limits per i fuoricorso. Nell'assegnazione dei fondi ministeriali alle università la percentuale di studenti fuoricorso incide negativamente: per questo alcuni atenei, dove il problema è particolarmente "sentito", corrono ai ripari emanando provvedimenti "retroattivi" di decadenza dagli studi. Lo scorso giugno l'Università di Cagliari ha deciso di affrontare in primis la situazione dei fuoricorso-storici del vecchissimo-ordinamento (ante 509/1999, ndr): la decadenza scatterà una volta raggiunto il doppio della durata legale del corso di studi; stessa sorte - a partire, però, dal 2012 - anche per gli iscritti agli ordinamenti successivi. Il Senato Accademico dell'Università di Palermo - il 18 gennaio, con un provvedimento analogo - ha operato una "stretta" sui fuoricorso: con l'espressione burocratica "il doppio della durata legale più uno" si stabilisce, senza ulteriori deroghe, il parametro da rispettare per poter continuare a sperare nell'agognato "pezzo di carta". (continua) (15 aprile 2011)
IL CASIO Diritto allo studio stile Pdl doppio taglio per le borse studio La denuncia dagli studenti dell'Udu dopo un incontro al Ministero: per il 2011 il fodo era stato ridotto a 125milioni, ma viene ulteriormente decurato di altri 23. "E' una conseguenza della riduzione dei trasferimenti alle Regioni" di SALVO INTRAVAIA Borse di studio universitarie alleggerite e decreto sul diritto allo studio in alto mare. Gli studenti dell'Udu, seduti al tavolo ministeriale che si dovrebbe occupare del decreto legislativo sulla "Revisione della normativa di principio in materia di diritto allo studio", scoprono che l'esecutivo ha operato un taglio netto del 18 per cento sulle somme stanziate per il 2011 dalla Finanziaria. Motivo? Il taglio ai trasferimenti alle regioni, che hanno spinto le stesse a investire più risorse nei trasporti pubblici, e i mancati introiti della vendita delle frequenze televisive, il cui bando è ancora al palo. Ma non solo. Il decreto in questione, uno dei 48 che daranno attuazione alla riforma Gelmini dell'università, parte in salita e per evitare di scriverne uno vuoto di contenuti occorre modificare la legge 240. "Ancora una volta - dichiara Gianluca Scuccimarra, dell'Unione degli universitari - a fare le spese dell'incapacità di questo governo sono i soggetti più deboli come gli studenti che vedranno ancora una volta negato il proprio diritto ad avere una borsa di studio". Secondo quanto comunicato al tavolo dai tecnici del ministero, "il Fondo integrativo per le borse di studio, che per il 2011 doveva essere di 125 milioni e 245 mila euro, passa a 101 milioni e 628 mila euro: ben 23 milioni e 617 mila euro in meno". "Il taglio è dovuto, per 11 milioni circa, ai tagli ai trasferimenti da parte dello stato alle Regioni, le quali, messe con le spalle al muro dal governo, avrebbero scelto di investire sui trasporti pubblici, con conseguente riduzione da parte del Ministero dell'economia di tutti gli altri capitoli di spesa; dall'altro (12 milioni circa) all'accantonamento da parte del ministero dell'Economia dovuto alla mancata vendita delle frequenze televisive". L'altra questione riguarda quello che gli studenti definiscono uno "strafalcione legislativo" che probabilmente bloccherà i lavori della commissione. La delega conferita dal Parlamento al ministro per l'istruzione riguarda la "revisione della normativa sul diritto allo studio, al fine di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano l'accesso all'istruzione superiore e definizione dei livelli essenziali delle prestazioni erogate dalle università statali". Ma i rappresentanti della Conferenza delle regioni hanno fatto notare che la materia è di competenza delle stesse regioni e non dello stato. Ma, allora, cosa dovrebbe contenere il decreto legislativo? La formulazione della legge, spiegano gli studenti, "riduce incredibilmente la portata della tanto decantata riforma del diritto allo studio. L'errore - continua Scuccimarra - blocca di fatto i lavori della riforma del diritto allo studio universitario. E il tavolo stesso si è interrogato sull'eventualità di bloccare i lavori finché la situazione non sarà risolta. Cosa peraltro estremamente complicata in quanto si dovrebbe mettere mano nuovamente alla legge Gelmini, il cui iter parlamentare è stato come sappiamo estremamente lungo e travagliato". Ma gli studenti temono che, com'è successo per le borse di studio e per il fondo per il merito, ad ispirare la riforma del diritto allo studio possano essere i risparmi. E partendo dall'analisi dei dati e dopo una serie di assemblee territoriali hanno elaborato una proposta in 10 punti. La prima richiesta riguarda la creazione di un vero e proprio Welfare studentesco: un sistema integrato di beni e servizi destinato agli studenti in quanto soggetti sociali. Auspicano, poi, una certa Uniformità dei livelli essenziali delle prestazioni: attualmente, in ogni regione esiste un sistema di servizi diverso che varia dall'importo delle borse, alla diversità di beneficiare su alcuni servizi fino all'assenza totale di prestazioni. "È necessario - spiegano gli studenti - prevedere dei livelli minimi delle prestazioni uguali in tutta Italia su borse di studio, trasporti, alloggi, ristorazione, accesso alla cultura, assistenza sanitaria". Ma chiedono anche più Finanziamenti e un Organo nazionale di programmazione e monitoraggio degli interventi, attualmente inesistente. Le Borse di studio, assegnate secondo criteri di reddito e di merito, secondo il decalogo degli universitari, devono rimanere lo strumento principe del diritto allo studio, con tempi certi nelle erogazioni e uguali in tutte le regioni. E ancora: agevolazioni nei Trasporti per gli studenti pendolari, Accesso alla cultura, libero e gratuito su tutto il territorio nazionale, Assistenza sanitaria all'interno delle sedi universitarie, più posti nelle residenze universitarie e l'Affitto sociale per i fuorisede. E più mense universitarie. Salvo Intravaia (13 aprile 2011)
2011-04-12 LE GRADUATORIE Precari, il ministero si arrende al Tar Vittoria per tremila supplenti del sud Reinseriti "a pettine" nelle liste delle province del nord tremila insegnanti meridionali che erano stati fatti finire in coda. E ora la Gelmini inventa gli elenchi di serie B per evitare le immissioni in ruolo di SALVO INTRAVAIA Precari, il ministero si arrende al Tar Vittoria per tremila supplenti del sud VITTORIA di 3 mila precari della scuola, patrocinati dall'Anief. Dopo quasi due anni di contenzioso, il ministero dell'Istruzione ha deciso di inserire 3 mila supplenti, quasi tutti meridionali, a "pettine" nelle graduatorie provinciali dove prima si trovavano "in coda". Per ottenere quello che Marcello Pacifico, presidente dell'Anief, ha definito "una vittoria dello stato di diritto" è stata necessaria una strigliata del commissario ad acta, nominato dal Tar Lazio nel 2009 per eseguire le sentenze sull'inserimento a pettine pronunciate dai giudici amministrativi della Capitale. E adesso, quasi mille di questi precari vittoriosi potrebbero ottenere addirittura l'immissione in ruolo, sfuggita soltanto perché inseriti nella lista di serie B, inventata dalla Gelmini. Tutto inizia due anni fa, quando si aggiornano le graduatorie dei precari della scuola. Le liste provinciali "di merito" vengono congelate - non è possibile spostarsi di provincia - ma, oltre all'aggiornamento del punteggio nella propria provincia, viene data la possibilità a tutti di scegliere altre tre graduatorie, dove essere inseriti "in coda". Centinaia di precari meridionali, quelli con i punteggi più alti, decidono di rivolgersi al Tar, che a giugno del 2009 dà loro ragione. E a ottobre dello stesso anno arriva anche il pronunciamento del Consiglio di stato: le graduatorie suddivise in fasce sono incostituzionali. Ma il governo nicchia e pochi giorni dopo il Tar Lazio commissaria il ministero dell'Istruzione, nominando un dirigente del ministero della Funzione pubblica, Luciano Cannerozzi De Grazia, per l'esecuzione della precedente sentenza. Sulla vicenda, che tocca da vicino gli interessi della Lega al nord, si scatena la bagarre e il governo pensa ad una soluzione legislativa. Che arriva a fine novembre col decreto salva-precari: una norma di interpretazione autentica della precedente legge del 2006, che trasforma le graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento. Ma i giudici amministrativi non ci stanno e sollevano l'eccezione di incostituzionalità della legge. A questo punto, in attesa del pronunciamento dei giudici della Consulta, il commissario ad acta si ferma. E passa più di un anno. A febbraio del 2011 arriva la sentenza della Corte costituzionale che dichiara illegittime le graduatorie di coda. Ma il 21 marzo, il direttore generale del ministero Luciano Chiappetta scrive ai provveditori agli studi (ora dirigenti degli ambiti territoriali provinciali) spiegando loro che "con riferimento ad eventuali richieste del commissario ad acta relative all'esecuzione delle ordinanze cautelari del Tar Lazio di cui al contenzioso in oggetto, si ritiene di non doversi procedere ai richiesti inserimenti in graduatoria". E lo scorso 4 aprile Cannerozzi De Grazia invia una missiva di fuoco ai provveditori agli studi ricordando loro che, essendo "venute meno le motivazioni per cui lo scrivente aveva sospeso la propria esecuzione del giudicato", occorre procedere come indicato dalla sentenza del Tar. Anche perché l'ulteriore inerzia potrebbe configurare "responsabilità di natura penale, amministrativa e contabile per l'avvenuta omissione di atti d'ufficio e per danno erariale da parte di tutti i responsabili". Così, cinque giorni fa Chiappetta fa marcia indietro: "Facendo seguito alla nota di questa direzione del 21 marzo 2011, alla luce della nota di risposta del Commissario ad acta datata 4 aprile 2011, si ritiene doversi procedere alle modifiche delle graduatorie nei termini previsti dalla medesima" "In Italia vige ancora lo stato di diritto - dichiara Pacifico - E' stato dato corso finalmente alla giustizia e merito ad un sindacato che ha sempre difeso i principi della nostra Costituzione. Ora chiediamo la stabilizzazione di tutti i precari sui posti vacanti e disponibili e lo sblocco degli scatti d'anzianità per il personale di ruolo". Ma la partita delle graduatorie non è chiusa. Il ministero non ha ancora comunicato come intenderà applicare la sentenza della Consulta al prossimo aggiornamento. Sicuramente, le graduatorie di coda verranno cancellate e, secondo i rumors ministeriali, dovrebbe restare anche l'impossibilità di trasferimento di provincia: solo aggiornamento del punteggio. E su questo punto, la palla passa alla politica. Alcuni giorni fa, sessanta deputati di tutti gli schieramenti e quasi tutti meridionali hanno chiesto al ministro Gelmini di investire della questione il Parlamento. In gioco ci sono gli interessi di migliaia di supplenti originari del sud Italia, che con il loro punteggio possono lavorare soltanto al nord, e gli interessi elettorali dei parlamentari locali, sollecitati dal proprio elettorato. Uno di loro, durante un dibattito pubblico, si è spinto a dire che su questa questione "potrebbe cadere il governo". In affetti i 60 deputati firmatari della richiesta potrebbero fare da ago della bilancia, vista la risicata maggioranza del governo alla Camera. Ma il ministro Gelmini deve fare anche i conti con le pressioni della Lega, che con il suo capogruppo in commissione Cultura alla camera, Mario Pittoni, sta per proporre una revisione complessiva del meccanismo di attribuzione delle supplenze basato su graduatorie regionali suddivise in due blocchi: A e B. Nel primo andranno di diritto tutti gli iscritti nelle attuali graduatorie provinciali ad esaurimento della regione interessata. Nel secondo si inseriranno coloro che usciranno con le nuove regole per la formazione iniziale dei docenti, partite qualche settimana fa, ma anche tutti coloro che, dalle altre regioni, "vorranno mettersi in gioco", spiega Pittoni. In sostanza, i precari meridionali che aspirassero ad una cattedra al Nord, dovranno sottoporsi ad un nuovo esame per essere ammessi ad insegnare in Padania. (12 aprile 2011)
12 aprile 2011 A LEZIONE DI MESTIERI Scuole professionali, in 6 mesi si trova lavoro L’allarme lo aveva lanciato don Bosco un secolo e mezzo fa, quando per primo si fece carico dei ragazzi esclusi dalla scuola. Anche oggi i dati sulla dispersione scolastica confermano la gravità della situazione e la sussistenza di una vera e propria emergenza educativa: il 30% degli iscritti alla prima superiore non arriva al diploma e più di 117mila giovani tra i 14 e i 17 anni sono fuori da qualsiasi percorso formativo. Il difficile lavoro di recupero (umano, sociale e lavorativo) di queste persone ricade in molti casi sull’istruzione professionale, che intercetta il 20% circa degli studenti italiani. A questo variegato sistema di istruzione, composto dagli Istituti professionali di Stato (che "pesano" per circa il 16% dell’intero sistema scolastico, con poco più di 382mila iscritti) e dai Centri di formazione professionale (che si attestano intorno al 5% del totale, con circa 100mila studenti), è dedicato il Rapporto sulla sussidiarietà 2010, che sarà presentato oggi al Senato. Transizione scuola-lavoro. Realizzato attraverso interviste a un campione di 400 studenti "diplomati" nel 2008 negli Istituti professionali di Stato e di altrettanti ragazzi "qualificati", lo stesso anno, nei Centri di formazione professionale di quattro regioni (Lazio, Lombardia, Piemonte, Sicilia), il Rapporto 2010 si sofferma, tra l’altro, sulla capacità di questi sistemi formativi di favorire la transizione al lavoro. Ottimi i risultati: mediamente quasi sette ragazzi su dieci trovano un’occupazione entro sei mesi dal diploma. In particolare, per i qualificati nei Cfp, il 51% ha trovato lavoro entro un semestre, con picchi del 60,2% in Lombardia. Per i diplomati agli Ips, il 62% ha trovato un posto in sei mesi, con il Piemonte al 70,3%. La ricerca si sofferma pure sulla tipologia del contratto. Mentre il 17% dei qualificati ai Cfp ha avuto un contratto a tempo indeterminato e il 19% a tempo determinato, il 25% ha lavorato sulla base di un accordo informale senza contributi; una tipologia che assomiglia molto al cosiddetto "lavoro nero". Situazione simile per i diplomati agli Ips: il 20% ha avuto un contratto a tempo indeterminato, il 24% a tempo determinato e il 17,2% un accordo informale senza contributi. Studenti soddisfatti. Pur con alcune differenze, sia nei Cfp che negli Ips è molto alta la soddisfazione degli studenti circa l’aiuto ricevuto dai docenti su problemi di studio e apprendimento e problemi individuali: l’88% si dichiara "abbastanza" o "molto" soddisfatto. Buono anche il giudizio complessivo sull’insegnamento ricevuto, con appena l’8% dei diplomati e il 4,5% dei qualificati che si dichiarano "insoddisfatti" del percorso scolastico seguito. Eccellenze del sistema. Proprio per recuperare anche gli insoddisfatti, il Rapporto analizza quattordici soggetti erogatori di formazione professionale, presentati come "buone prassi", eccellenze del sistema a cui guardare. Come è sottolineato nelle conclusioni, "il primo e più importante aspetto generativo di queste eccellenze sta nell’importanza data a un’educazione intesa in modo non ridotto, che considera la personalità del ragazzo in tutti i suoi fattori, rispetto a impostazioni che riducono l’educazione all’apprendimento o peggio all’addestramento". Un altro particolare evidenziato nelle realtà analizzate è il "passaggio dal concetto di successo scolastico a quello di successo formativo: l’obiettivo è stimolare in ogni allievo l’espressione delle proprie potenzialità, realizzando una "pedagogia del successo", che non porta alla selezione dei migliori, ma al raggiungimento degli obiettivi prefissati da parte del maggior numero di allievi". Lavorare in rete. Infine, tra le caratteristiche delle eccellenze analizzate, c’è la "capacità di lavorare in rete, con una reale apertura al mondo, inteso sia come contesto territoriale, sia come concezione generale". Il che significa anche intessere una serie di rapporti, "fare con" per il bene comune. "Il farsi compagno di un pezzo di strada – si legge nelle conclusioni – è il metodo che connota le relazioni di questi soggetti, da quelle del tutor con il ragazzo, a quelle dell’artigiano che si rende disponibile a insegnare un mestiere, fino al rapporto con l’autorità locale, che ha la responsabilità di favorire un reale processo di sussidiarietà, sorreggendo iniziative in grado di fornire risposte concrete e nuove a bisogni emergenti".
2011-04-08 IL CASO Bunga bunga e battutacce agli studenti Imbarazzo per il nuovo show del premier Esibizione di Berlusconi davanti a una platea di neolaureati del progetto "Campus Mentis". Dal palco il Cavaliere inanella i suoi "cavalli di battaglia". Comprese le battute a luci rosse. Gelo del pubblico per una gag sul sesso orale Bunga bunga e battutacce agli studenti Imbarazzo per il nuovo show del premier ROMA - Come una convention. Con battute, applausi e l'elenco delle tecniche per "vendere" se stessi e un prodotto. Mancavano le majorettes ma le risate della platea (a volte forzate) e il Cavaliere nei panni del bravo presentatore rendevano comunque bene l'idea. Silvio Berlusconi torna a indossare i panni del venditore, in perfetto stile Publitalia, regalando un'ora di vero e proprio show alla platea dei neolaureati del progetto "Campus Mentis" dell'Università La Sapienza. Dal palco il Cavaliere inanella, uno dietro l'altro, i suoi "cavalli di battaglia". Comprese le battute a sfondo sessuale che, ormai, sembrano diventate una costante delle sue apparizioni pubbliche 1. La reazione della platea e del ministro Giorgia Meloni che lo affianca, oscilla tra qualche risate e alcuni momenti di vero imbarazzo. VIDEO Nessuno ride alla barzelletta 2 Davanti ad una platea di ventenni e trentenni, il premier si sente a suo agio. Ricorda quando anche lui era giovane e bacchetta un neolaureato poco intraprendente che dice di volere fare solo "un po'" di carriera. "Solo un po' di carriera? Così cominci male - lo sgrida il Cavaliere - devi dire un carrierone. Sei tu che devi importi agli altri, non sono gli altri che devono accettarti". Ed eccolo il Berlusconi che invoca ottimismo e ambizione. E che dice ai ragazzi "di girare con il sole in tasca pronto per essere donato agli altri con gioia". Per poi gonfiare il petto: "Sentivo incredulità e anche scherno intorno a me quando fissavo dei traguardi, ma li ho sempre raggiunti...". Poi tocca al look, altro tasto che il premier considera fondamentale. All'attuale presidente del Senato Renato Schifani consigliò di fare piazza pulita del "riporto", al ragazzo calvo che siede in prima fila offre "il telefono del mio dottore, così avrai una chioma come dovrebbero averla tutti i giovani". Ed ancora: al giovane che ha dimenticato di radersi rifila una bacchettata: "La barba induce diffidenza nell'interlocutore, può nascondere una malformazione. Se troppo vasta può nascondere l'espressione del viso". A tutti, o quasi, aggiusta la giacca, il nodo della cravatta, contesta l'abbinamento dei colori: "Con un vestito blu - dice - non si mettono le scarpe marroni". Puntare in alto. Non porsi limiti, continua il Cavaliere. Che passa in rassegna i suoi successi: a partire dal Milan, per arrivare a palazzo Chigi: "Volevo entrare in politica e due mesi dopo ero presidente del consiglio". Ambizione e volti glabri, insomma. "Fissatevi un traguardo che dentro di voi sentite di poter raggiungere, molto, molto ambizioso - scandisce il Cavaliere - Dedicate la vita a raggiungerlo, dimenticate ciò che vi può distrarre. Nei confronti dei vostri parenti, amici e collaboratori dovete essere sempre in grado di dare voi qualcosa a loro". Fosse anche un complimento. E qui Berlusconi ricorda quando i suoi collaboratori lo sfidarono a trovare qualcosa di carino da dire a ognuno degli invitati a una cena. Il premier, sempre più attore, mima l'arrivo di una persona vistosamente claudicante, e fa capire che non sarebbe stato facile trovare anche in lui da elogiare. "Beh, gli ho detto: complimenti per la vigorosa stretta di mano, si vede che lei ha una grande forza interiore ...". E se non basta ecco "un regalino alle segretarie, così quando chiederete un appuntamento a qualcuno avrete un trattamento di favore". Il meglio, però, deve ancora arrivare. Ovvero la fase a luci rosse. Si comincia così. Due ragazze laureate salgono sul palco. Il Cavaliere le accoglie in questi termini: "Siete così brave che mi viene voglia di invitarvi al bunga bunga". GUARDA IL VIDEO 3 Finale con barzelletta. Pochi secondi e si scopre che ruota intorno al sesso orale, con un dibattito italo-tedesco se sia meglio dedicarcisi con birra o champagne. La platea sorride con qualche imbarazzo. Finisce così. Senza un accenno all'emergenza immigrazione, alla rivoluzione ai vertici delle Generali e a tutte le questioni che segnano pesantemente la vita del Paese. Forse perché parlando di cose del genere si ride poco. (08 aprile 2011)
2011-04-05 IL CASO e-Campus, il "made in Cepu" ai raggi X "Autonomia poca, professori pochissimi" L'università telematica cara a Berlusconi e istituita per decreto nel 2006 "non ha ancora raggiunto i livelli di autonomia necessari". Dai tutor alle tasse alla didattica, tutti i punti critici, passati in rassegna dal Comitato nazionale di valutazione universitaria di MANUEL MASSIMO e-Campus, il "made in Cepu" ai raggi X "Autonomia poca, professori pochissimi" ROMA - Una dettagliata relazione di diciotto cartelle piena di nomi e cifre, con ben ventidue tabelle esplicative: il Cnvsu (Comitato Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario) ha passato ai raggi X il primo triennio di attività dell'università telematica e-Campus incrociando i dati forniti dall'ateneo con quelli presenti nelle banche dati del Miur e ispezionando la sede centrale di Novedrate, in provincia di Como. Un'istantanea in chiaroscuro dove, però, le ombre prevalgono sulle luci: l'università telematica - tanto cara a Silvio Berlusconi e istituita per decreto a gennaio del 2006 (con parere contrario di Cun e Cnvsu, ndr) grazie alla firma dell'allora ministro dell'Istruzione uscente Letizia Moratti - dopo tre anni di attività "non ha ancora raggiunto i livelli di autonomia necessari, risultando tuttora dipendente e condizionata dalla Fondazione che ne ha originariamente determinato l'attivazione". Già: la Fondazione e-Campus che ha come presidente onorario il vulcanico Francesco Polidori. Sì, proprio lui: il fondatore del Cepu (Centro Europeo Preparazione Universitaria), nonché di Grandi Scuole, la struttura che offre preparazione per il recupero degli anni scolastici. E-learning in outsourcing. Il punto di forza dell'ateneo virtuale - che, va ricordato, rilascia titoli accademici con pieno valore legale - paradossalmente risiede proprio nelle infrastrutture utilizzate per lo svolgimento delle attività: ai 23.507 mq della sede centrale di Novedrate, infatti, si aggiungono i 900 della sede di Roma (nella centralissima via del Tritone) e i 500 di quella di Messina. Stupisce, però, che i laboratori informatici a disposizione degli iscritti coprano complessivamente appena 230 mq e garantiscano 30 postazioni in tutto (accessibili per 44 ore alla settimana). Un'altra anomalia che si evince dal report del Cnvsu riguarda la gestione delle infrastrutture tecnologiche: l'ateneo telematico ha esternalizzato tutti i servizi informatici affidandosi principalmente alla società di servizi Fraccano Holding Srl (partecipata al 48% dalla Cesd Srl, proprietaria del marchio Cepu) che cura "la manutenzione del sistema e della piattaforma, l'assistenza tecnologica necessaria nonché la trasposizione dei materiali didattici in modalità e-learning". Ricercatori in cattedra. La critica più stringente da parte del Cnvsu, però, riguarda l'esiguità dei docenti di ruolo dell'ateneo: "Alla data del 08/02/2011 - scrivono gli ispettori di Piazzale Kennedy - nella banca dati ministeriale dei docenti universitari risultano per l'Università e-Campus 57 nominativi, di cui 1 professore straordinario, 4 professori straordinari a tempo determinato, 1 ricercatore non confermato e 51 ricercatori a tempo determinato". Aggiungendo che: "Alla data della visita (avvenuta il 29/11/2010, ndr) risultavano in servizio alcuni professori straordinari a tempo determinato, tra i quali nessuno risultava aver conseguito idoneità nelle procedure comparative per professori ordinari (fonte: banca dati ministeriale), la cui qualifica è stata pertanto attribuita in base alla riconosciuta (dall'ateneo) elevata qualificazione scientifica e professionale". Tanto per mettere i puntini sulle i. Didattica a contratto. Anche per quel che concerne le retribuzioni destinate ai ricercatori, secondo il Cnvsu, i conti non tornano: "Da piano finanziario presentato per gli anni 2011-2015, appare che la quota stanziata per le retribuzioni dei ricercatori sia decisamente inferiore a quanto stabilito per le retribuzioni di analoghe posizioni nelle università statali anche se, per gli atenei non statali, tali prescrizioni non sono vincolanti". Segue poi un dettagliatissimo elenco - suddiviso per corso e facoltà - in cui si evidenzia in che modo l'ateneo copre "operativamente" i cfu (creditivi formativi universitari) erogati dai corsi: i ricercatori a tempo determinato ne garantiscono ben il 56,1%, i professori ordinari a tempo determinato appena il 2,7%. Il restante 41,2% è coperto da docenti a contratto, tra cui spiccano i nomi di Marcello Dell'Utri e di Vittorio Sgarbi. "I tutor? Li sceglie Cepu". La scarsa autonomia didattico-gestionale dell'ateneo si può evincere anche dall'appalto esterno dell'attività di tutorato per gli iscritti: "I tutor - sottolinea il Cnvsu - vengono reclutati, sulla base di metodologie e processi di selezione stabiliti dall'ateneo, a cura di una società esterna in base ad apposita convenzione: la Cesd Srl". Non una semplice coincidenza: e-Campus ha con Cesd/Cepu un rapporto molto forte, quasi simbiotico. Lo certifica anche la relazione sulla gestione del bilancio al 31/12/2009 della Cesd Srl: "In forza della convenzione stipulata, nel corso del 2008, con l'Università Telematica e-Campus si è incrementato notevolmente il numero di studenti affidati in tutoria alla nostra azienda dalla stessa Università e-Campus". Due realtà, insomma, molto vicine. Più tasse per tutti. Chi sono gli studenti dell'ateneo made in Cepu? L'identikit tracciato dal Cnvsu ci dice che l'età anagrafica degli iscritti è mediamente maggiore di 35 anni, mentre quella degli immatricolati si attesta intorno ai 25 anni; la tipologia del diploma di provenienza sia degli iscritti che degli immatricolati è nella maggior parte dei casi riconducibile a maturità tecnica, con voto di uscita tra 60 e 80 centesimi. L'Anagrafe Nazionale degli Studenti - al 03/11/2010 - riporta 4.463 come numero di iscritti ai corsi per l'a. a. 2009/2010: meno della metà di 9.430, numero minimo ipotizzato dal piano finanziario nel novembre 2005, in fase progettuale. Anche per questo l'ateneo "ha deliberato un aumento delle tasse di iscrizione, contrariamente a quanto ipotizzato nel piano finanziario a supporto della istanza di attivazione, laddove si prevedeva di mantenere costante la quota pro-capite nell'arco temporale di sette anni accademici", sottolinea il Cnvsu. Criticità da sanare. La relazione del Cnvsu individua, in conclusione, una serie di problemi su cui e-Campus deve ancora lavorare: in primis "perfezionare il grado di autonomia dell'Ateneo rispetto al ruolo della Fondazione", poi "la necessità di dotarsi di docenza qualificata e stabile" utilizzando il personale a tempo determinato solo come "complemento all'attività didattica stabile assegnata a personale docente di ruolo". E ancora: "I meccanismi di selezione dei tutor appaiono adeguati, anche se la loro delega a società esterna non garantisce un costante presidio da parte dell'ateneo". Per questo: "Alla luce di tutto quanto esposto, il Comitato ritiene che la successiva verifica (tra due anni) dovrà registrare la risoluzione delle attuali criticità riscontrate". (04 aprile 2011)
2011-04-04 L'INCHIESTA /4 Lauree che scompaiono, accorpamenti pazzi le denunce dei lettori sul caos-università Razionalizzare le facoltà e tagliare i fondi. Più i docenti mandati in pensione e non sostituiti. Così i "requisiti minimi" per far sopravvivere un corso diventano una bomba che spazza via anche veri fiori all'occhiello degli atenei. Da Astrofisica a Scienze sociali, a Scienza delle investigazioni. Lasciando gli studenti nel guado di MANUEL MASSIMO Lauree che scompaiono, accorpamenti pazzi le denunce dei lettori sul caos-università * Atenei, così la Gelmini smarrisce i 6 miliardi stanziati dall'Europa articolo Atenei, così la Gelmini smarrisce i 6 miliardi stanziati dall'Europa * Esami spostati, lauree in forse, più tasse L'effetto-Gelmini è il caos negli atenei articolo Esami spostati, lauree in forse, più tasse L'effetto-Gelmini è il caos negli atenei * Così la riforma Gelmini ha fermato le università articolo Così la riforma Gelmini ha fermato le università Cronache di chiusure annunciate: dal prossimo anno accademico alcuni corsi di laurea, in base alla normativa vigente, potrebbero non essere attivati per la mancanza dei "requisiti minimi di docenza". L'Effetto-Gelmini, in questo caso, non è prodotto diretto della Legge di Riforma entrata in vigore a fine gennaio, ma parte da più lontano: precisamente dal Decreto Ministeriale n. 17 del 22 settembre 2010 che fissa i "paletti" numerici da rispettare per essere in regola e poter continuare ad erogare un corso presente nell'offerta formativa d'ateneo. La razionalizzazione dei corsi di laurea, che dal punto di vista squisitamente economico-finanziario può rappresentare una boccata d'ossigeno per i bilanci accademici, prevede due soluzioni: la soppressione o l'accorpamento. Provvedimenti che, uniti al blocco del turn-over e ai pensionamenti previsti nei prossimi anni, metteranno a dura prova gli atenei riducendo il bacino di docenti per coprire i corsi attivati. Con il risultato che l'offerta formativa delle università pubbliche subirà, nel suo complesso, un forte ridimensionamento. Sono due degli argomenti che ricorrono nelle storie raccontate dai lettori di Repubblica.it. Abbiamo approfondito. MANDATECI LE VOSTRE SEGNALAZIONI 1 Soppressi o accorpati? I requisiti minimi di docenza - vale a dire "il numero di docenti di ruolo complessivamente necessari, calcolato ipotizzando una situazione teorica di impegno nelle attività didattiche esclusivamente di un singolo corso di studio", secondo la formula ministeriale - prevedono 12 docenti per i corsi di laurea (triennali) e 8 per quelli magistrali (biennali); per i corsi magistrali a ciclo unico di 5 anni il corpo docente di ruolo dev'essere pari a 20 unità, per quelli a ciclo unico di 6 anni il numero-minimo sale a 24. Con l'obiettivo di mettere "un limite alla proliferazione degli insegnamenti", si rischia però - come ci hanno segnalato molti lettori in occasione della precedente puntata dell'inchiesta - di "tagliare le gambe" a iniziative didattiche valide e con concrete prospettive lavorative post-laurea, cancellandole o ridimensionandole fortemente. "Fiore all'occhiello" spezzato. Alla Federico II di Napoli il corso di laurea magistrale in Astrofisica e Scienze dello Spazio è stato disattivato il 16 marzo su delibera del Consiglio di Facoltà: dal prossimo anno accademico non accetterà più nuove immatricolazioni. "Quella del Senato Accademico - si legge nella nota pubblicata sul sito dell'università - non è stata una decisione insensata, perché, con la nuova legislazione, i corsi di laurea poco popolati incidono negativamente e pesantemente sul finanziamento dell'università". Effettivamente questo corso di laurea magistrale negli ultimi due anni aveva avuto una media di 12 iscritti (anziché 15, minimo previsto dai regolamenti ministeriali). Ma tutti i laureati, come precisa anche l'ateneo, "hanno finora trovato un inserimento nel mondo della ricerca scientifica nazionale e in special modo internazionale, dando una chiara indicazione di successo e competitività". Un corso "fiore all'occhiello" sacrificato per mere ragioni di budget. Genova senza Servizio Sociale. Nell'ateneo del capoluogo ligure il corso di laurea magistrale in Servizio Sociale e Politiche Sociali è a rischio chiusura, come conferma il preside della Facoltà di Giurisprudenza Paolo Comanducci: "Detto semplicemente: il Miur pretende, a priori e in astratto, che per attivare i corsi di studio proposti una Facoltà abbia un numero di docenti considerato sufficiente sulla base di una formuletta matematica elaborata dal Ministero". Per scongiurare la chiusura del corso, d'intesa con il rettore, è stata chiesta una deroga al Miur, ma ancora non è giunta una risposta ufficiale. Intanto la Regione e l'Ordine Nazionale degli Assistenti Sociali stanno manifestando preoccupazione per la paventata chiusura del corso in questione: si tratta, infatti, di un percorso di studi necessario per accedere ai ruoli apicali dei Servizi pubblici nell'area socio-sanitaria. L'Aquila, stop alle indagini. Ha quasi duemila iscritti, registra un alto tasso d'immatricolazioni, è l'unico in tutta Italia: eppure il corso di laurea in Scienze dell'Investigazione dell'Università degli Studi dell'Aquila sta lottando per sopravvivere e, se non riuscirà a trovare i docenti per raggiungere il minimo previsto dal Miur, dal prossimo anno accademico sarà costretto a chiudere i battenti. Il professor Francesco Sidoti, presidente del corso di laurea, ha scritto un accorato appello all'intera comunità accademica aquilana per rendere partecipi tutti del paradosso: per la mancanza di quattro docenti un corso con una precisa identità giuridica, colonna portante dell'ateneo e apprezzato anche in ambito internazionale non potrà essere attivato. Puntualizzando: "Nelle università italiane il settore della sicurezza è stato lasciato drammaticamente allo sbando in questi anni. Siamo il paese di Cesare Beccaria e di Giovanni Falcone; un tempo la criminologia italiana è stata la prima nel mondo. Di tutto questo nelle aule universitarie c'è ben poco, per motivi interni - legati agli aspetti corporativi, clientelari e familistici del sistema - e per motivi esterni se possibile ancor più deleteri: la mancanza di idee chiare e di lungimiranza". Triennali sfoltite, magistrali stabili. Capitolo accorpamenti. In molte università si sta rimodulando l'offerta formativa puntando sulla riduzione dei corsi di laurea triennali - meno numerosi e più "generalisti" - cercando di mantenere la specializzazione sui corsi magistrali. La Facoltà di Ingegneria dell'Università di Palermo, ad esempio, ha seguito questa strada operando fusioni mirate tra corsi affini, come conferma il preside Fabrizio Micari: "Dal prossimo anno accademico saranno accorpati i corsi triennali di Civile ed Edile e, nella sede distaccata di Agrigento, quelli di Gestionale ed Informatica. In tal modo i nostri corsi triennali scenderanno da 12 a 10 mentre rimarrà inalterato il numero di corsi di laurea magistrale (14 di cui una a ciclo unico quinquennale)". Ritocchi omogenei anche per Ingegneria a Parma: tre corsi triennali "vicini" - Informatica, Elettronica, Comunicazioni - confluiranno in uno solo che sarà suddiviso in tre curricula. Invariata l'offerta specialistica. Ma non sempre gli accorpamenti seguono criteri logici di prossimità e affinità: a livello di dipartimenti in alcuni casi il principale obiettivo - non dichiarato ma evidente - è quello di creare nuovi soggetti "di peso" all'interno di atenei, derogando al principio dell'omogeneità. Il "caso" maxidipartimenti. All'Università di Padova il processo di aggregazione dei dipartimenti è cominciato lo scorso anno, in base alle linee guida del Senato Accademico che anticipavano la Riforma Gelmini. Marco Maggioni, rappresentante in CdA del Sindacato degli Studenti Link, sottolinea alcuni "casi" anomali nel nuovo assetto dipartimentale. Il più eclatante è quello del costituendo maxidipartimento "Filosofia, Sociologia, Psicologia Applicata": "L'aggregazione di tutti questi dipartimenti - spiega Maggioni - non è basata su una comunanza a livello di ricerca o di didattica, bensì sulla volontà di costituire una struttura abnorme dal punto di vista numerico: avrà più di 150 docenti". E il suo direttore designato - l'ex rettore dell'ateneo patavino Vincenzo Milanesi, delegato all'istruzione del bilancio - ha portato in commissione statuto la proposta di dare più risorse ai dipartimenti numericamente più consistenti. Solo un caso? Un altro dato interessante a proposito di accorpamenti "pazzi" è quello legato alle "spartizioni" di alcuni piccoli dipartimenti, uno per tutti "Geografia": è stato fagocitato da realtà più grandi, dividendo i suoi docenti tra Geologia, Scienze Politiche e Scienze del Mondo Antico. (continua) (04 aprile 2011)
2011-04-03 L'INCHIESTA /4 Lauree che scompaiono, accorpamenti pazzi le denunce dei lettori sul caos-università Razionalizzare le facoltà e tagliare i fondi. Più i docenti mandati in pensione e non sostituiti. Così i "requisiti minimi" per far sopravvivere un corso diventano una bomba che spazza via anche veri fiori all'occhiello degli atenei. Da Astrofisica a Scienze sociali, a Scienza delle investigazioni. Lasciando gli studenti nel guado di MANUEL MASSIMO Lauree che scompaiono, accorpamenti pazzi le denunce dei lettori sul caos-università * Atenei, così la Gelmini smarrisce i 6 miliardi stanziati dall'Europa articolo Atenei, così la Gelmini smarrisce i 6 miliardi stanziati dall'Europa * Esami spostati, lauree in forse, più tasse L'effetto-Gelmini è il caos negli atenei articolo Esami spostati, lauree in forse, più tasse L'effetto-Gelmini è il caos negli atenei * Così la riforma Gelmini ha fermato le università articolo Così la riforma Gelmini ha fermato le università Cronache di chiusure annunciate: dal prossimo anno accademico alcuni corsi di laurea, in base alla normativa vigente, potrebbero non essere attivati per la mancanza dei "requisiti minimi di docenza". L'Effetto-Gelmini, in questo caso, non è prodotto diretto della Legge di Riforma entrata in vigore a fine gennaio, ma parte da più lontano: precisamente dal Decreto Ministeriale n. 17 del 22 settembre 2010 che fissa i "paletti" numerici da rispettare per essere in regola e poter continuare ad erogare un corso presente nell'offerta formativa d'ateneo. La razionalizzazione dei corsi di laurea, che dal punto di vista squisitamente economico-finanziario può rappresentare una boccata d'ossigeno per i bilanci accademici, prevede due soluzioni: la soppressione o l'accorpamento. Provvedimenti che, uniti al blocco del turn-over e ai pensionamenti previsti nei prossimi anni, metteranno a dura prova gli atenei riducendo il bacino di docenti per coprire i corsi attivati. Con il risultato che l'offerta formativa delle università pubbliche subirà, nel suo complesso, un forte ridimensionamento. Sono due degli argomenti che ricorrono nelle storie raccontate dai lettori di Repubblica.it. Abbiamo approfondito. MANDATECI LE VOSTRE SEGNALAZIONI 1 Soppressi o accorpati? I requisiti minimi di docenza - vale a dire "il numero di docenti di ruolo complessivamente necessari, calcolato ipotizzando una situazione teorica di impegno nelle attività didattiche esclusivamente di un singolo corso di studio", secondo la formula ministeriale - prevedono 12 docenti per i corsi di laurea (triennali) e 8 per quelli magistrali (biennali); per i corsi magistrali a ciclo unico di 5 anni il corpo docente di ruolo dev'essere pari a 20 unità, per quelli a ciclo unico di 6 anni il numero-minimo sale a 24. Con l'obiettivo di mettere "un limite alla proliferazione degli insegnamenti", si rischia però - come ci hanno segnalato molti lettori in occasione della precedente puntata dell'inchiesta - di "tagliare le gambe" a iniziative didattiche valide e con concrete prospettive lavorative post-laurea, cancellandole o ridimensionandole fortemente. "Fiore all'occhiello" spezzato. Alla Federico II di Napoli il corso di laurea magistrale in Astrofisica e Scienze dello Spazio è stato disattivato il 16 marzo su delibera del Consiglio di Facoltà: dal prossimo anno accademico non accetterà più nuove immatricolazioni. "Quella del Senato Accademico - si legge nella nota pubblicata sul sito dell'università - non è stata una decisione insensata, perché, con la nuova legislazione, i corsi di laurea poco popolati incidono negativamente e pesantemente sul finanziamento dell'università". Effettivamente questo corso di laurea magistrale negli ultimi due anni aveva avuto una media di 12 iscritti (anziché 15, minimo previsto dai regolamenti ministeriali). Ma tutti i laureati, come precisa anche l'ateneo, "hanno finora trovato un inserimento nel mondo della ricerca scientifica nazionale e in special modo internazionale, dando una chiara indicazione di successo e competitività". Un corso "fiore all'occhiello" sacrificato per mere ragioni di budget. Genova senza Servizio Sociale. Nell'ateneo del capoluogo ligure il corso di laurea magistrale in Servizio Sociale e Politiche Sociali è a rischio chiusura, come conferma il preside della Facoltà di Giurisprudenza Paolo Comanducci: "Detto semplicemente: il Miur pretende, a priori e in astratto, che per attivare i corsi di studio proposti una Facoltà abbia un numero di docenti considerato sufficiente sulla base di una formuletta matematica elaborata dal Ministero". Per scongiurare la chiusura del corso, d'intesa con il rettore, è stata chiesta una deroga al Miur, ma ancora non è giunta una risposta ufficiale. Intanto la Regione e l'Ordine Nazionale degli Assistenti Sociali stanno manifestando preoccupazione per la paventata chiusura del corso in questione: si tratta, infatti, di un percorso di studi necessario per accedere ai ruoli apicali dei Servizi pubblici nell'area socio-sanitaria. L'Aquila, stop alle indagini. Ha quasi duemila iscritti, registra un alto tasso d'immatricolazioni, è l'unico in tutta Italia: eppure il corso di laurea in Scienze dell'Investigazione dell'Università degli Studi dell'Aquila sta lottando per sopravvivere e, se non riuscirà a trovare i docenti per raggiungere il minimo previsto dal Miur, dal prossimo anno accademico sarà costretto a chiudere i battenti. Il professor Francesco Sidoti, presidente del corso di laurea, ha scritto un accorato appello all'intera comunità accademica aquilana per rendere partecipi tutti del paradosso: per la mancanza di quattro docenti un corso con una precisa identità giuridica, colonna portante dell'ateneo e apprezzato anche in ambito internazionale non potrà essere attivato. Puntualizzando: "Nelle università italiane il settore della sicurezza è stato lasciato drammaticamente allo sbando in questi anni. Siamo il paese di Cesare Beccaria e di Giovanni Falcone; un tempo la criminologia italiana è stata la prima nel mondo. Di tutto questo nelle aule universitarie c'è ben poco, per motivi interni - legati agli aspetti corporativi, clientelari e familistici del sistema - e per motivi esterni se possibile ancor più deleteri: la mancanza di idee chiare e di lungimiranza". Triennali sfoltite, magistrali stabili. Capitolo accorpamenti. In molte università si sta rimodulando l'offerta formativa puntando sulla riduzione dei corsi di laurea triennali - meno numerosi e più "generalisti" - cercando di mantenere la specializzazione sui corsi magistrali. La Facoltà di Ingegneria dell'Università di Palermo, ad esempio, ha seguito questa strada operando fusioni mirate tra corsi affini, come conferma il preside Fabrizio Micari: "Dal prossimo anno accademico saranno accorpati i corsi triennali di Civile ed Edile e, nella sede distaccata di Agrigento, quelli di Gestionale ed Informatica. In tal modo i nostri corsi triennali scenderanno da 12 a 10 mentre rimarrà inalterato il numero di corsi di laurea magistrale (14 di cui una a ciclo unico quinquennale)". Ritocchi omogenei anche per Ingegneria a Parma: tre corsi triennali "vicini" - Informatica, Elettronica, Comunicazioni - confluiranno in uno solo che sarà suddiviso in tre curricula. Invariata l'offerta specialistica. Ma non sempre gli accorpamenti seguono criteri logici di prossimità e affinità: a livello di dipartimenti in alcuni casi il principale obiettivo - non dichiarato ma evidente - è quello di creare nuovi soggetti "di peso" all'interno di atenei, derogando al principio dell'omogeneità. Il "caso" maxidipartimenti. All'Università di Padova il processo di aggregazione dei dipartimenti è cominciato lo scorso anno, in base alle linee guida del Senato Accademico che anticipavano la Riforma Gelmini. Marco Maggioni, rappresentante in CdA del Sindacato degli Studenti Link, sottolinea alcuni "casi" anomali nel nuovo assetto dipartimentale. Il più eclatante è quello del costituendo maxidipartimento "Filosofia, Sociologia, Psicologia Applicata": "L'aggregazione di tutti questi dipartimenti - spiega Maggioni - non è basata su una comunanza a livello di ricerca o di didattica, bensì sulla volontà di costituire una struttura abnorme dal punto di vista numerico: avrà più di 150 docenti". E il suo direttore designato - l'ex rettore dell'ateneo patavino Vincenzo Milanesi, delegato all'istruzione del bilancio - ha portato in commissione statuto la proposta di dare più risorse ai dipartimenti numericamente più consistenti. Solo un caso? Un altro dato interessante a proposito di accorpamenti "pazzi" è quello legato alle "spartizioni" di alcuni piccoli dipartimenti, uno per tutti "Geografia": è stato fagocitato da realtà più grandi, dividendo i suoi docenti tra Geologia, Scienze Politiche e Scienze del Mondo Antico. (continua) (01 aprile 2011)
IL CASO Prof precari, incubo per il governo 60 parlamentari scrivono alla Gelmini I ricorsi si moltiplicano dopo le sentenze di risarcimento e pende la più grande class-action. Il blocco dei trasferimenti travolge i deputati meridionali (di tutti i partiti) che si attivano. Riunione d'emergenza con Tremonti: a rischio oltre 4 miliardi di SALVO INTRAVAIA Prof precari, incubo per il governo 60 parlamentari scrivono alla Gelmini Monta la polemica politica sull'aggiornamento delle liste provinciali dei supplenti. Sessanta deputati di tutti gli schieramenti politici chiedono al ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, di investire il Parlamento della complessa questione dei precari della scuola. Mentre la maggioranza è intenta a cercare una soluzione per evitare di essere travolta dalle richieste di risarcimento danni e di immissioni in ruolo forzose imposte dai giudici del lavoro di mezza Italia. In ballo ci sono 4 miliardi di euro, ma forse anche sei. Tre giorni fa, per cercare una via d'uscita, si è svolta una segretissima riunione tra quattro ministri e un rappresentante sindacale. Ma non è trapelato nulla della discussione. "Egregio ministro - scrivono i 60 deputati alla Gelmini - in queste ultime settimane, ognuno di noi è stato interessato da una problematica che riguarda il dicastero da Ella presieduto. Si tratta della, ormai nota, vicenda dell'aggiornamento delle graduatorie dei docenti e dei trasferimenti degli stessi in una provincia diversa da quella di provenienza". La questione sta letteralmente facendo impazzire i parlamentari meridionali, pressati dalle migliaia di supplenti in servizio al Nord che fra qualche settimana saranno costretti a fare le valigie alla volta di casa, restando senza lavoro e stipendio. Tra i firmatari, spiccano i nomi di quasi tutti i deputati del Pdl eletti nelle circoscrizioni meridionali. "L'argomento interessa, da tempo, il Parlamento e gli ultimi due governi che si sono succeduti. Recentemente continua la missiva - è intervenuta anche una sentenza della Corte costituzionale e l'autorevole intervento del Presidente della Repubblica, in occasione del 'milleproroghe'. Ovviamente, la questione non è semplice né di facile soluzione. Per tale ragione - scrivono piuttosto infastiditi i rappresentanti del popolo - siamo convinti della necessità di un pieno coinvolgimento parlamentare volto ad istruire al meglio il percorso". Migliaia di supplenti, forse 20/30 mila, temono che la strada tracciata dal ministero per il prossimo aggiornamento delle graduatorie dei precari sia proprio quella delineata nella lettera inviata due giorni fa dai tecnici del ministero all'Avvocatura dello stato per un parere legale. L'ipotesi è quella di aggiornamento del punteggio nella sola graduatoria di merito, senza possibilità di trasferimento di provincia, e cancellazione delle cosiddette graduatorie di "coda", dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale. Ma la complessa decisione, oggi, si intreccia con le migliaia di richieste di stabilizzazione e risarcimento danni avanzate dai supplenti. Non ultima la megaclass-action di 40 mila precari di scuola e università annunciata dal Codacons. A fare drizzare letteralmente i capelli al ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, la sentenza del giudice del lavoro di Genova che ha condannato il ministero a pagare quasi mezzo milioni di euro a titolo di risarcimento danni in favore di soli 15 precari. Ma anche le centinaia di richieste di assunzione avanzate ai giudici per il semplice fatto di essere stati in servizio continuativo per tre anni. E le richieste di integrazione di ore di sostegno da parte dei genitori degli alunni disabili. Per disinnescare la bomba ad orologeria accesa dai giudici, che secondo calcoli ministeriali riguarda almeno 65 mila precari, il ministero ha ipotizzato un piano di assunzioni. C'è chi parla di 50 mila immissioni in ruolo diluite in quattro/cinque anni, chi si spinge fino a 65 mila e c'è chi ne chiede almeno 30 mila da settembre. Ma salterebbero i vincoli di bilancio. Per prendere tempo, viale Trastevere intenderebbe impugnare i provvedimenti dei giudici del lavoro, ma il problema verrebbe spostato soltanto di alcuni mesi. Intanto, i precari pressano. E si sono creati due partiti: i favorevoli all'inserimento a pettine e al trasferimento di provincia e i contrari a tale ipotesi. In gioco c'è il posto di lavoro per i prossimi due anni. Due supplenti su 3 iscritti nelle graduatorie provinciali sono meridionali, ma la maggior parte dei posti vacanti è nelle regioni settentrionali. Nel 2007, con l'intento di eliminare il precariato della scuola, l'allora ministro della Pubblica istruzione Giuseppe Fioroni trasformò le graduatorie "permanenti" in graduatorie "ad esaurimento", bloccando i trasferimenti di provincia e, al contempo, varando un megapiano di 150 mila assunzioni in tre anni. Quando a Palazzo della Minerva arrivò la Gelmini e in via XX settembre Tremonti, il piano di stabilizzazione dei precari venne cancellato, mentre il blocco dei trasferimenti di provincia restò in vigore. Per addolcire la pillola alle migliaia di precari meridionali alla disperata ricerca di una cattedra e uno stipendio, la ministra di Leno inventò le graduatorie "di coda": una specie di lista secondaria, che seguiva la cosiddetta graduatoria di merito. Due anni fa i precari della scuola ebbero la possibilità di aggiornare il punteggio - per il biennio 2009/2010 e 2010/2011 - nella provincia in cui si trovavano inseriti ai tempi di Fioroni e, in più, poterono scegliere altre tre province in cui inserirsi in "coda". La trovata consentì a migliaia di insegnanti delle regioni del Sud di lavorare al Nord. Ma il mese scorso i giudici della Consulta hanno dichiarato illegittime "le code". "In attesa della risposta dell'Avvocatura - osserva Maristella Curreli, presidente nazionale dei Comitati insegnanti precari - la situazione dei precari della scuola è di fatto bloccata". "Il ministero - spiega - ora si propone di avviare l'aggiornamento delle graduatorie considerando solo un'iscrizione e facendo decadere l'opzione per le altre tre province. Ripeto attualmente 'non sappiamo di che morte morire'". "Per fronteggiare una pioggia di ricorsi - conclude - il ministero sta pensando a una soluzione che prevede anche un piano di assunzioni. Per ridurre al massimo i ricorsi - rimarca la Curreli - sarebbe meglio che il ministero facesse una bella immissione in ruolo".
Mentre la Flc Cgil ribadisce "che le sentenze e le direttive vanno applicate e non 'aggirate' per nascondere l'incapacità e l'inadeguatezza del ministro di turno". Cisl e Uil scuola, affiancate dallo Snals, chiedono al governo "una soluzione politica della questione di precari della scuola". Mentre l'Anief chiede l'inserimento a "pettine" da subito dei precari nelle diverse liste provinciali. Intanto, i bene informati sono certi che il governo per uscire dal guado opterà per un decreto-legge, possibilmente condiviso anche dalle opposizioni. Ma su tutta la partita vigila il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, già intervenuto poche settimane fa sul tema, costringendo l'esecutivo ad espungere dal Milleproroghe il congelamento biennale delle graduatorie. (01 aprile 2011)
2011-03-30 INCHIESTA / 3 Atenei, così la Gelmini smarrisce i 6 miliardi stanziati dall'Europa A fronte dei tagli, il Ministero sta per lasciare non spesi fondi Ue pari al costo dell'intera Università. Scadranno tra poco più di un anno. Niente ricerca in 4 regioni del Sud. E Bruxelles ha bocciato anche le modalità di gestione di CORRADO ZUNINO Atenei, così la Gelmini smarrisce i 6 miliardi stanziati dall'Europa * Esami spostati, lauree in forse, più tasse L'effetto-Gelmini è il caos negli atenei articolo Esami spostati, lauree in forse, più tasse L'effetto-Gelmini è il caos negli atenei * Così la riforma Gelmini ha fermato le università articolo Così la riforma Gelmini ha fermato le università ROMA - Il ministero dei tagli, la Pubblica istruzione che con l'ultima riforma ha portato via 400 milioni all'università italiana, non sa spendere 6,2 miliardi che l'Europa ci offre chiedendoci di investirli nel futuro. Sono i fondi Pon (Programma operativo nazionale) sulla Ricerca e competitività, i più grandi tra i fondi strutturali Ue, previsti per l'arco temporale 2007-2013. Siamo nel 2011 inoltrato e sembriamo avviati a ripetere l'exploit del 2000-2006: missione di spesa europea fallita. Accade che nel solco degli obiettivi di Lisbona, la grande assise europea del Duemila che avrebbe voluto trasformare in dieci anni l'Europa "nella più competitiva e dinamica economia della conoscenza", l'Unione europea abbia messo nella disponibilità del ministero delle Finanze (Tremonti) e operativamente del Miur (Gelmini) 6,2 miliardi da destinare alla ricerca e sviluppo in quattro regioni a reddito basso: Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. I luoghi attraverso i quali questi denari avrebbero dovuto essere impegnati sono individuati innanzitutto nelle università, leve, sostiene l'Europa, di buona produttività, presidi di un'economia fondata sulla ricerca. Questa somma, 6,2 miliardi (che sale a 8,6 miliardi se si considerano le tranche gestite direttamente dalle quattro Regioni), è pari al costo annuale dell'intera università italiana ed è quattro volte maggiore dell'assegno messo a disposizione dalla Commissione europea per tutte le altre 16 regioni italiane. Già, il Pil in ricerca e sviluppo dell'Italia meridionale, se questi denari fossero davvero investiti, passerebbe dallo 0,78% attuale all'1,22% superando i valori del Nord. Il problema è che gli impegni di spesa sono partiti con tre anni di ritardo, nel 2009, e le percentuali dei fondi fin qui utilizzate sono davvero basse, residuali. Secondo le stime della società Vision, basate sui dati della Ragioneria di Stato, allo scorso febbraio i fondi impegnati erano stati il 19,88% (1,62 miliardi) e i pagamenti il 10,37% (644,6 milioni). Un risultato peggiore di quello realizzato dai governi succedutisi tra il 2000 e il 2006. Il sottosegretario all'Istruzione, il lucano Guido Viceconte, alla Camera ha confermato "una serie di slittamenti del programma e il suo significativo ritardo" e ha rilevato: "L'assorbimento delle risorse nelle regioni della convergenza rappresenta un problema di notevole rilevanza". Tutto dipende, sostiene Viceconte, dal fatto che sulla stessa questione agiscono due ministeri diversi: per dare un'accelerazione alle pratiche, ha spiegato, alcuni dirigenti del programma Pon sono stati cambiati. Il sottosegretario ha parlato di 1873 progetti finanziati in quattro aree tematiche per 915 milioni di euro totali. Cifre in linea con quelle offerte da "Vision". Il deputato Pd Sandro Gozi, autore sul tema di un'interrogazione parlamentare, incalza: "Non ci sono soldi pubblici e sui fondi europei per la ricerca il governo riesce a impegnare, dico impegnare non spendere, una cifra che oscilla tra il 14 e il 20 per cento a seconda delle voci che consideriamo. Mi sembra una scandalo la cui gravità viene sottovalutata". La macroscopica opportunità sprecata diventa ancora più stridente se si pensa che, oggi, ogni anno, 24 mila studenti meridionali decidono di iscriversi in un'università al Nord e 15 mila laureati del Sud ogni stagione si trasferiscono alla conclusione degli studi. Nonostante il livello di risorse distribuite, nessuna delle università meridionali si classifica tra le prime venti nelle graduatorie nazionali. Fonti della Commissione europea hanno ricordato, infine, come per cinque volte - cinque - la Ue abbia bocciato il sistema di "governo, controllo e monitoraggio del Pon" perché non dava sufficienti garanzie di efficienza e legittimità degli interventi. Bruxelles ha accusato i nostri ministeri di aver organizzato bandi che coinvolgevano solo banche italiane e ha bloccato pezzi di finanziamento. (continua) (30 marzo 2011)
Concorsi truccati all'università indagati 22 docenti di diritto Le accuse: associazione per delinquere, corruzione, abuso d'ufficio e falsità ideologica. Perquisizioni negli uffici e nelle abitazioni private dei professori di undici città italiane Concorsi truccati all'università indagati 22 docenti di diritto Accordi, scambi di favori, sodalizi e patti di fedeltà. Così - secondo la procura di Bari - sono stati pilotati dal 2006 ad oggi i concorsi pubblici per docenti di prima e seconda fascia di diritto costituzionale, ecclesiastico e diritto pubblico applicato in alcune università italiane. A decidere in anticipo quelli che dovevano essere i risultati delle prove per conquistare le cattedre di ordinario e associato sarebbe stata un'associazione per delinquere composta da professori universitari. Per questo nell'inchiesta dei pm baresi Renato Nitti e Francesca Romana Pirrelli si ipotizza il reato di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, al falso e all'abuso d'ufficio. Ventidue i docenti di 11 facoltà italiane indagati per aver manipolato "l'esito di molteplici procedure concorsuali pubbliche bandite" attraverso una rete criminale che la Guardia di finanza di Bari ritiene di aver individuato dopo due anni di indagini. Proprio per cercare ulteriori riscontri sull'esistenza del gruppo criminale, militari del nucleo di polizia tributaria hanno compiuto perquisizioni in uffici universitari e studi professionali dei docenti delle università di Milano, Bari, Roma, Napoli, Bologna, Firenze, Piacenza, Macerata, Messina, Reggio Calabria e Teramo. Nel capoluogo lombardo hanno subito perquisizioni Giuseppe Ferrari, ordinario di diritto pubblico e comparato dell'Università Bocconi, e i professori Giuseppe Casuscelli e Enrico Vitali, entrambi docenti di diritto canonico ed ecclesiastico all'Università statale. Quattro i prof indagati a Bari: Aldo Loiodice, docente di diritto costituzionale alla facoltà di giurisprudenza; Gaetano Dammacco, ordinario di diritto canonico ed ecclesiastico alla facoltà di scienze politiche; Roberta Santoro docente aggregato della facoltà di Scienze politiche e Maria Luisa Lo Giacco, ricercatrice di diritto ecclesiastico. L'indagine è stata avviata nel 2008 ed avrebbe quasi subito svelato l'esistenza di alcuni concorsi pubblici truccati attraverso un meccanismo di accordi e scambi di favori. Come aveva già evidenziato un'altra indagine, sempre della procura di Bari, che nel giugno 2004 portò all'arresto di cinque docenti di cardiologia. Circa un anno fa - sei anni dopo gli arresti e otto anni dopo l'avvio dell'indagine - la procura ha chiesto il rinvio a giudizio degli indagati, accusati di aver gestito un sistema criminale dei concorsi nazionali per ordinario, associato e ricercatore di cardiologia nelle facoltà di Bari, Firenze e Pisa. Ora il fascicolo è all'attenzione del gup che dovrà decidere sul rinvio a giudizio. Per il lungo periodo trascorso, alcuni reati sono già caduti in prescrizione e tutti gli altri saranno prescritti tra non molto tempo. (30 marzo 2011)
IL CASO Disabili, centinaia di sentenze condannano i tagli della Gelmini I casi di La Spezia e Foggia portano alla luce sentenze in tutte Italia che accolgono le denunce delle famiglie e impongono di ripristinare le ore di sostegno. E scoppia il caso Milano: il prossimo anno le elementari rischiano di avere classi con disabili sovraffollate di SALVO INTRAVAIA Disabili, centinaia di sentenze condannano i tagli della Gelmini Alunni disabili privati del sostegno per mesi, classi che ne ospitano "troppi" e, come se non bastasse, sovraffollate. Per far quadrare i conti nella scuola pubblica, il governo Berlusconi ha di fatto tagliato il sostegno agli allievi più deboli: i portatori di handicap. E le associazioni che difendono i diritti dei disabili denunciano "tagli indiscriminati alla spesa per l'istruzione statale, con conseguente sovraffollamento delle classi", e preoccupanti "forme di concentrazione di soli alunni con disabilità in totale violazione della normativa apparentemente integra sull'inclusione scolastica". Dopo l'articolo pubblicato da Repubblica.it 1, il vaso di Pandora dei "tagli" al sostegno operato dalla coppia Tremonti-Gelmini è stato scoperchiato. E a poco valgono i numeri citati dalla ministra sull'incremento dei posti in organico di sostegno, perché i tribunali certificano che il taglio c'è stato. Secondo il dossier sui tagli agli organici pubblicato qualche giorno fa dalla Cisl scuola, "il tetto dei 90 mila posti in organico di sostegno "è stato superato di circa 4 mila unità posti nell'anno scolastico 2010/11 per effetto della sentenza 80/2010 della Corte Costituzionale". In appena 7 mesi di scuola, sono state 4 mila le sentenze di condanna emesse dai Tar di tutta Italia a favore degli alunni disabili. Cui occorre aggiungere 4 milioni di spese legali sostenute dall'amministrazione. L'ultima notizia arriva dalla Puglia: appena tre settimane fa, il Tar locale ha condannato l'amministrazione scolastica pugliese 2 ad integrare le ore di sostegno a ben 60 alunni disabili di tutti gli ordini di scuola. Altre 88 sentenze sfavorevoli al ministero sono state pronunciate dal Tar di Napoli. E la direzione scolastica regionale della Sicilia è stata condannata ad un maxi pagamento delle spese legali. Nonostante la sentenza della Corte costituzionale del febbraio scorso, che giudica illegittimo il tetto agli organici di sostegno imposto dal precedente esecutivo, per oltre metà dell'anno scolastico genitori e figli dei 60 alunni vincitori del magaricorso pugliese si sono dovuti accontentare, di quel che passava il convento. "Nei confronti di ognuno dei minori - recita la sentenza dello scorso 3 marzo della sezione di Bari - con apposita diagnosi funzionale, l'Unità multifunzionale medica della A. S. L. ha richiesto la presenza in classe di insegnante di sostegno per un numero determinato di ore", ma "con gli impugnati provvedimenti dirigenziali gli istituti scolastici presso i quali gli alunni sono iscritti per l'anno scolastico 2010/2011 hanno ridotto le ore di presenza dell'insegnante di sostegno". Quella di Bari è solo una delle tantissime sentenze che condannano il ministero a restituire il maltolto agli alunni disabili incappati nelle cesoie del governo. "Nel solo mese di gennaio - denuncia Giusppe Adernò, preside dell'istituto Parini di Catania - il Tar di Palermo ha emesso 35 sentenze a favore di altrettante richieste dei genitori che reclamavano il diritto di avere assegnato il docente di sostegno" per i propri figli. Il Tar ha inoltre condannato "la Direzione scolastica regionale e gli Uffici scolastici provinciali a provvedere alla nomina dei 35 docenti e a pagare le spese connesse al procedimento: circa tremila euro per ogni sentenza". Tra ottobre e dicembre, i giudici amministrativi siciliani hanno emesso altre 34 sentenze analoghe, per un totale complessivo di circa 200 mila euro di spese legali a carico dell'amministrazione. Qualche esempio concreto? Al piccolo N. P., che frequenta la scuola elementare Giovanni XXIII di Palermo, sono state assegnate quest'anno soltanto 15 ore settimanali di sostegno, mentre ha diritto a 24 ore alla settimana. Mentre a due ragazzi con disabilità grave che frequentano l'istituto tecnico commerciale Sciascia di Agrigento sono state assegnate 9 ore settimanali, in luogo delle 18 a cui hanno diritto. Ma non solo: due giorni fa a Milano è scoppiato il caso delle classi prime elementari con disabili che il prossimo anno sforeranno il tetto massimo di 20 alunni, potendo senza limite arrivare a 27 alunni. A chiederlo è stato l'Ufficio scolastico regionale della Lombardia con una apposita circolare. "Classi da 27 bambini sono già una follia - tuona Giovanni Del Bene, preside del comprensivo Cadorna - ma i disabili non possono stare in ambienti così affollati". "L'anno prossimo - spiega - in una mia prima ci sarà un alunno autistico molto grave: solo il rumore lo mette in difficoltà. Come faccio a metterlo in una classe con altri 26 alunni?". Ma cosa prevede la normativa? In presenza di disabili, specialmente se gravi, è prevista la riduzione del numero di alunni a 20. E va da sé che in una classe non bisognerebbe inserirne più di uno. Ma la realtà è un'altra. Quest'anno, le classi con oltre due alunni H, da tre in su, sono migliaia. E in alcuni casi si arriva anche a quattro. Per questa ragione la mozione dell'ultimo congresso Fish (la Federazione italiana superamento handicap) parla di "tagli indiscriminati alla spesa per l'istruzione statale con conseguente sovraffollamento delle classi" che "stanno determinando forme di concentrazione di soli alunni con disabilità in totale violazione della normativa apparentemente integra sull'inclusione scolastica". E "chiede a tutti i Parlamentari di far propria una proposta di legge della Fish che riprenda i temi trattati nella relazione al fine di assicurare una effettiva attuazione della Convenzione Onu sui Diritti delle Persone con Disabilità" e "rinnova e sollecita l'incontro di confronto e chiarimento con il ministro dell'Istruzione avanzata insieme da Fish e Fand (Federazione nazionale tra le Associazioni delle Persone con Disabilità). (29 marzo 2011)
2011-03-27 LA POLEMICA Tagli ai disabili, Gelmini condannata E scoppia il caso Giochi studenteschi Il Tribunale della Spezia ha giudicato discriminatoria la condotta del Ministero denunciato da uno studente: dovrà ripristinare le ore di sostegno e pagare le spese. Intanto il ministro non riesce a placare la polemica sulla esclusione dalle gare sportive nazionali di SALVO INTRAVAIA "Condotta discriminatoria" . Così Il tribunale della Spezia ha giudicato la decisione del ministro Gelmini di ridurre le ore di insegnamento di sostegno. Ed è stasta denunciata da uno studente disabile di un istituto superiore della città ligure. Il giudice ha condannato il Ministero a ripristinare le ore di sostegno e a pagare le spese processuali. I genitori del ragazzo hanno contestato il contrasto fra i tagli della Gelmini e il diritto alla tutela delle persone con disabilità. "L'articolo 3 della Costituzione - si legge nel ricorso - promuove la piena attuazione del principio di parità di trattamento" e con il provvedimento ministeriale "viene leso il diritto del disabile all'istruzione". E intanto non si placa la polemica per l'esclusione degli alunni disabili dai giochi sportivi studenteschi. Tanto che la commissione Cultura della Camera sconfessa il ministro dell'Istruzione presentando una risoluzione bipartisan che chiede lumi. Dopo l'intervento del ministro, che ha bollato come "falsa" la notizia, sull'argomento torna l'Italia dei valori. La prima a chiedere lumi sull'esclusione degli alunni con handicap dalle finali nazionali di Corsa campestre è stata la deputata del Pd, Manuela Ghizzoni, che si è affidata ad una interrogazione parlamentare. "L'esclusione dei ragazzi disabili dalle finali dei giochi sportivi studenteschi è gravissima e in netto contrasto con le norme di legge sull'integrazione scolastica, che da sempre costituisce un punto di forza del nostro sistema educativo", tuonava una settimana fa la Ghizzoni. La deputata, in occasione delle finali nazionali di Corsa campestre disputate a Novi (Vi) lo scorso 20 marzo, ha messo sul banco degli imputati la modulistica, inviata dal ministero alle scuole quest'anno, che "non prevede quella abitualmente prevista per gli studenti disabili". Chiedendo all'inquilino di viale Trastevere, come "il ministero intenda ovviare ad una situazione discriminatoria che contrasta con la piena inclusione di questi alunni, anche attraverso progetti di diversità motoria e sportiva, quale obiettivo prioritario della scuola dell'autonomia". "Dall'anno scolastico 2009/2010 - ha risposto la ministra - le finali nazionali dei Giochi si svolgono nelle discipline organizzate dalle rispettive federazioni sportive, a proprio totale carico". "Tale decisione - prosegue il ministro - deriva da accordi intercorsi con il Coni, per un'equilibrata ripartizione dei compiti e dei relativi oneri finanziari". E quindi la frase di rito. "E' destituita di fondamento la notizia, apparsa su alcuni media, secondo cui i disabili sarebbero esclusi dalla pratica sportiva nella scuola italiana". "Si tratta - conclude il ministero - di una tesi falsa, usata strumentalmente per ragioni di lotta politica e non per tutelare gli interessi dei disabili". Ma la risposta non convince il portavoce alla Camera dell'Italia dei valori, Leoluca Orlando Cascio, che minaccia di portare il ministro Gelmini davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo. "Valuteremo in sede europea - dichiara il deputato dell'Italia dei valori - se sussistono gli elementi per denunciare il ministro della 'distruzionè italiana, Mariastella Gelmini, alla Corte europea dei diritti dell'uomo, per la violazione dell'articolo 26 della Carta Ue dei diritti dei disabili". "I diversamente abili, infatti - aggiunge Orlando - sono stati esclusi lo scorso week-end dalle finali nazionali italiane di corsa campestre dei Giochi, perché mancavano i moduli per iscriverli alla gara, documenti che il ministro Gelmini avrebbe dovuto inviare alle scuole". La "dimenticanza" per Orlando si configura come "una grave discriminazione che ricorda di vicino quelle dei nazisti e il silenzio del ministro, che non ha neanche ritenuto opportuno chiedere scusa ai ragazzi e alle loro famiglie, è ancora più grave e ignobile". Anche i deputati della VII commissione di Montecitorio vogliono vederci chiaro. La risoluzione chiede al governo di intervenire "per ovviare ad una situazione discriminatoria che contrasta con la piena inclusione di questi alunni prevista dagli obiettivi prioritari della scuola dell'autonomia, anche attraverso progetti di diversità motoria e sportiva". I deputati chiedono anche un finanziamento ad hoc a favore del Comitato paralimpico "affinché esso possa svolgere con continuità la sua funzione e possa programmare le sue attività". Bollando l'esclusione di quest'anno come azione "in netto contrasto con le norme di legge sull'integrazione scolastica degli alunni con disabilità che da sempre costituisce un punto di forza del sistema educativo italiano". L'ultima nota ministeriale sui giochi sportivi studenteschi - dello scorso 8 aprile - in effetti dà conto di una certa confusione sul tema e di qualche "dimenticanza". I Giochi sportivi studenteschi vengono "ormai da anni supportati finanziariamente con risorse provenienti dal fondo della legge 440/97", quella sul finanziamento dell'Autonomia, si legge nella nota. "Nell'esercizio 2009 il fondo non è stato reso disponibile e la sua utilizzazione è slittata nel corrente esercizio finanziario", prosegue la circolare. Ma "l'entità delle risorse fruibili per lo specifico fine è stata definita di recente e ciò rende solo ora possibile fornire notizie in ordine alla somma su cui può fare affidamento ciascun Ufficio scolastico regionale. E' opportuno precisare - continua - che le somme esposte nel piano di riparto, pur certe nel loro importo, potranno essere erogate soltanto quando la conclusione delle operazioni di variazione del bilancio renderà possibile operare contabilmente". Ma siamo ad aprile e l'anno scolastico 2009/2010 volge al termine. Viale Trastevere, a questo punto decide di farsi carico delle "spese relative allo svolgimento dei Giochi sportivi studenteschi nelle fasi provinciali e regionali". Mentre "le finali nazionali saranno organizzate con spese integralmente a carico delle federazioni sportive nazionali che intenderanno effettuarle". Tuttavia, spiega la nota, "ad oggi, non è ancora esaustivamente definito il quadro delle federazioni sportive che organizzeranno detti eventi". E "ritenendo necessario dare priorità alle discipline coinvolte nelle manifestazioni sportive scolastiche internazionali del 2011 (atletica leggera, pallacanestro, nuoto, calcio, tennis, orienteering), gli oneri relativi ai trasporti per le finali nazionali delle summenzionate discipline saranno sostenuti da ciascun Ufficio scolastico regionale con le somme loro assegnate". Si tratta delle contestate fasi nazionali? Spulciando, inoltre, tra le Norme tecniche sui Giochi, emanate l'anno scorso, si scopre che le fasi nazionali dei Giochi sono previste anche per gli alunni con disabilità, che possono iscriversi "ad una sola delle gare individuali in programma". Ovviamente, non per tutti gli sport. Ma a sorpresa tra le discipline di Atletica leggera rivolte ai disabili è prevista la Corsa campestre: proprio la disciplina oggetto della interrogazione parlamentare della deputata del Pd. Ma questo, forse valeva per l'anno scolastico 2009/2010. Per il 2010/2011 non ci sono né note né circolari. (25 marzo 2011)
Studenti, mobilitazioni di primavera L’AltraRiforma riparte dalla Capitale
di MANUEL MASSIMO Dalla Mole al Colosseo. Il movimento di contestazione studentesca, che nel pieno dell'autunno caldo aveva presentato a Torino il progetto AltraRiforma - un'alternativa dal basso alla Legge Gelmini - con la primavera torna in prima linea a Roma per fare il punto della situazione in vista delle mobilitazioni previste nelle prossime settimane che culmineranno nello sciopero generale indetto dalla Cgil per il 6 maggio. Una due-giorni full immersion sui problemi concreti dell'università, organizzata da Link - Coordinamento Universitario, che ha visto la partecipazione di 200 studenti provenienti da 21 atenei italiani. Un importante momento di confronto attraverso workshop tematici da cui sono emerse precise indicazioni sui problemi prioritari da affrontare. All'ordine del giorno l'aggiornamento dei contenuti dell'AltraRiforma. In tema di diritto allo studio e welfare studentesco l'università non dà risposte adeguate: il provvedimento più urgente sarebbe di garantire la copertura finanziaria totale delle borse di studio - con almeno 321 milioni di euro - per mettere fine alla farsa degli "idonei non beneficiari", meritevoli ma senza borsa per mancanza di fondi. Un altro aspetto centrale, specie per i fuorisede, riguarda le politiche abitative e le residenze per gli studenti: per cercare di migliorare la situazione attuale si potrebbe guardare al modello francese che prevede contributi ad hoc per gli affitti. La situazione economico-finanziaria in cui versano gli atenei è il vero problema "strutturale" alla base delle disfunzioni accademiche: 1,5 miliardi di tagli in 5 anni - cominciati nel 2008 - stanno indebolendo un sistema già fragile. In questo frangente l'aumento indiscriminato delle tasse universitarie può essere scongiurato soltanto attraverso un'oculata politica di contenimento dei costi da parte dello Stato. Possibili rimedi? Abolizione delle Province, controlli serrati all'evasione fiscale all'interno dei singoli atenei e lotta senza quartiere agli affitti in nero per gli studenti. Un altro punto nodale riguarda il "peso" della componente studentesca all'interno degli organi accademici, ancora troppo scarso: in primis andrebbe portato almeno al 15%, poi alla rappresentatività per delega andrebbero affiancati anche strumenti di democrazia diretta come il referendum nelle singole università - su temi d'interesse generale - e assemblee periodiche d'ateneo (con dibattito pubblico e question time, ndr) per creare partecipazione e coinvolgere realmente gli studenti nelle scelte che incidono sul loro futuro. La contestazione al modello Gelmini verrà portata avanti negli atenei ma continuerà anche con manifestazioni e iniziative pubbliche, come conferma Claudio Riccio, referente nazionale di Link: "Il nostro obiettivo è di allargare la piattaforma dei contenuti e coinvolgere nella protesta anche il fronte pacifista e i lavoratori precari, sempre meno tutelati. Il percorso di avvicinamento allo sciopero generale del 6 maggio prevede almeno due tappe fondamentali: il 2 aprile, con manifestazioni in tutta Italia contro la guerra in Libia, e il 9 aprile, quando scenderemo in piazza contro la precarietà". (27 marzo 2011)
Padova. La denuncia di 14 studenti emiliani: "Cure rifiutate perché non veneti" Il caso a Montegrotto Terme: 14 alunni del liceo scientifico Zanelli di Reggio Emilia vittime di intossicazione. Ma il medico non li visita. Con una staffetta di ambulanze portati all'ospedale di Abano Terme. Protesta della scuola contro l'Usl * sanità, guardia medica, terme, studenti * montegrotto terme * Da leggere * Commenti (63) * + * -
zoom Lospedale di Abano Terme L'ospedale di Abano Terme Sullo stesso tema * L'USL "Mai rifiutate cure ai non veneti" MONTEGROTTO. Quattordici studenti emiliani intossicati chiamano la Guardia medica e si sentono rispondere che non possono essere curati perché non veneti. E' la vicenda denunciata dalle insegnanti del liceo scientifico Zanelli di Reggio Emilia, che hanno presentato un esposto ai carabinieri di Abano Terme. I ragazzi infatti sono stati poi portati con una staffetta di ambulanze all'ospedale di Abano e qui curati. Una vicenda che suscita reazioni nel mondo della sanità veneta. "E' assurdo", dice l'assessore regionale, il leghista Luca Coletto. La denuncia degli studenti però contrasta con la ricostruzione della vicenda fatta dall'Usl 16, che ribadisce: "Mai rifiutate le cure ai non veneti" (LEGGI) I ragazzi sono rimasti vittime di un'intossicazione alimentare o provocata dall'acqua di una piscina termale. Erano in gita scolastica a Montegrotto: colpiti 14 studenti su 21 di una quarta del liceo "Zanelli" di Reggio Emilia. La scuola emiliana ha intenzione anche di presentare una relazione alla direzione generale dell'Asl 16 di Padova. ''Ho chiesto al dirigente del pronto soccorso di Abano - ha spiegato la vicepreside Lorella Chiesi, subito allertata dalle insegnanti presenti alla gita - Mi ha detto di non essere a conoscenza di alcuna legge di questo tipo, tanto più che la zona di Padova richiama turisti da tutto il mondo''. Gli studenti erano arrivati in treno a Montegrotto martedì; i pasti erano forniti dall'hotel. A mezzogiorno ai ragazzi veniva dato un cestino da viaggio per il pranzo al sacco, mentre la cena veniva consumata in albergo. Giovedì sera parecchi ragazzi si sono sentiti male e le insegnanti hanno chiamato la guardia medica, sentendosi dire - affermano - questa risposta: "Non possiamo curare i non veneti", richiamandosi a una legge regionale. Da qui la richiesta di intervento al 118. Dopo alcune ore di visite e cure i giovani sono stati dimessi.
''Il comandante dei carabinieri di Abano - ha aggiunto la vicepreside - mi ha detto che avrebbero fatto accertamenti sia a livello alimentare, sia sulla piscina termale. Interverranno anche i Nas''. Venerdì i ragazzi sono rientrati a Reggio, non in treno ma più comodamente con un pullman, e hanno poi commentato l'episodio su Facebook, con un album fotografico intitolato "Che gita... che finale!". L'assessore leghista Coletto: "Interverremo". ''Non esiste al mondo che in una struttura sanitaria veneta possano essere rifiutate le cure a qualcuno che ne ha bisogno''. L'assessore veneto alla sanità, il leghista Luca Coletto replica così alle accuse rivolte all'operatore della guardia medica di Montegrotto. ''Apprendo la notizia con grande rammarico - afferma Coletto - e assicuro che la prima cosa che farò da subito è quella di andare a fondo di questa vicenda, senza escludere la possibilità di assumere provvedimenti nei confronti di chi si fosse reso responsabile di questi comportamenti'. Il direttore dell'Usl: "Noi abituati a lavorare con i turisti". Non nasconde il proprio stupore il direttore generale dell'Ulss 16 Fortunato Rao: "L'ospedale di Abano - puntualizza - è abituato a lavorare molto di più con i turisti che con i residenti, trattandosi di una località che richiama turisti termali da tutto il mondo, e assicura protezione sanitaria agli ospiti degli alberghi. Avvierò le verifiche per capire cosa è accaduto''. 27 marzo 2011
2011-03-25 INCHIESTA / 2 Esami spostati, lauree in forse, più tasse L'effetto-Gelmini è il caos negli atenei Non solo il blocco per l'organizzazione di didattica e ricerca. La riforma sta producendo disagi e ostacoli enormi per gli studenti che vedono cambiare all'improvviso i loro percorsi di studio. O, soprattutto, si trovano in assenza di certezze. Segnalate casi e disfunzioni di MANUEL MASSIMO Esami spostati, lauree in forse, più tasse L'effetto-Gelmini è il caos negli atenei * Così la riforma Gelmini ha fermato le università articolo Così la riforma Gelmini ha fermato le università Allarmi e proteste ormai non si contano: le funzioni della ricerca (tutte), la chiamate di progettisti, associati e docenti sono bloccate. La legge - e si sapeva - ha bisogno di molteplici decreti che il governo dimentica. La Legge Gelmini, varata con l'intento di "mettere ordine" negli atenei, sta producendo situazioni caotiche fin dalla sua entrata in vigore, ormai due mesi fa. Sono gli effetti macroscopici che abbiamo raccontato nella prima puntata di questa inchiesta. LEGGI LA PRIMA PUNTATA 1 Ma non si tratta di fisiologici "effetti collaterali": l'Effetto-Gelmini sta colpendo i gangli del sistema universitario omettendo di dare risposte certe, coperture di spesa e soluzioni pratiche per i mille problemi con cui devono confrontarsi ogni giorno studenti, docenti e tutte le altre figure che animano il variegato microcosmo universitario. Le disfunzioni riguardano molteplici aspetti della vita tra le mura accademiche: lo testimoniano le centinaia di segnalazioni che quotidianamente riceve il nostro sito, le migliaia di discussioni aperte sui forum della Rete, le innumerevoli iniziative promosse "dal basso" - praticamente in ogni ateneo e in tutte le facoltà - per portare a conoscenza situazioni locali di "disagio" rispetto a un progetto di "riordino" del sistema universitario che sta producendo invece un "blocco forzato", soprattutto per l'assenza di linee-guida da seguire e per la mancanza di un disegno veramente organico di riforma. Razionalizzazione o tagli? Uno dei cavalli di battaglia della Legge Gelmini - che il ministro ripete spesso come un vero e proprio "mantra" - è stato quello della "lotta agli sprechi": "Con la Riforma dell'Università ci sarà una razionalizzazione delle risorse". All'atto pratico questa dichiarazione di buonsenso si traduce in determinate azioni che il Miur metterà in atto fin dal prossimo anno accademico: l'accorpamento e/o la cancellazione di corsi di laurea per mere ragioni di budget d'ateneo, mettendo totalmente in secondo piano la didattica e la ricerca. Accorpamenti e cancellazioni. L'antipasto è stato servito a fine febbraio con l'annuncio del "progetto pilota" di riorganizzazione dei sette atenei campani: il "contenimento del numero dei corsi di studio per evitare inutili sovrapposizioni" ha portato alla soppressione di trentaquattro corsi e all'eliminazione di sei sedi decentrate, tra cui quella della facoltà di Giurisprudenza di Nola (città natale del filosofo Giordano Bruno e sede di Tribunale) che attualmente conta 7 mila iscritti. Ma il piatto forte di questa "razionalizzazione" arriverà scaglionato nei prossimi anni: a Bologna (il più antico ateneo d'Europa) entro il 2013 le attuali ventitré facoltà dovrebbero diventare dodici, o ridursi addirittura soltanto a cinque attraverso maxi-accorpamenti eterogenei per rispettare i rigidi dettami della Legge. Su questa scia, a Catania la facoltà di Lingue finirà inglobata in Lettere e Filosofia. E così via. Senza appello. La contrazione degli appelli d'esame è una situazione comune a tutte le facoltà e va a "colpire" soprattutto chi si è iscritto con un vecchio ordinamento ormai "in scadenza". La politica di concentrazione dei momenti di verifica sta portando a situazioni di disagio in moltissime facoltà: chi di regola aveva 5 appelli ordinari e 2 appelli straordinari per tutte le materie si è ritrovato quest'anno con un appello ordinario in meno e con l'impossibilità di sostenere esami in quelli straordinari, riservati a fuoricorso e ripetenti. Queste regole stanno generando un circolo vizioso: in questo modo, infatti, è molto più facile andare fuoricorso o essere ripetenti perché non si ha la possibilità di rimediare "in corso" a eventuali battute d'arresto. Ricerca solo per pochi. La Legge Gelmini, all'articolo 18 comma 5, prevede che solo alcune figure possano svolgere progetti di ricerca e partecipare ai gruppi che se ne occupano. Restano fuori - come denuncia il Coordinamento Precari dell'Università - gli assegnisti e chi non è "strutturato". Ma, come sottolinea Link - Coordinamento Nazionale Universitario, questa situazione tocca anche gli studenti delle lauree triennali che potranno portare avanti soltanto lavori compilativi per la tesi: chi sta svolgendo progetti di ricerca e tesi sperimentali non ha più la copertura legale per farlo e rischia di essere allontanato dai laboratori ed escluso dai gruppi di ricerca. E così: "La riforma che dovrebbe avvicinare gli studenti al mondo del lavoro, in realtà impedisce loro di fare un'esperienza reale di ricerca sperimentale fin dai primi tre anni di università". Tassati e tartassati. "L'aumento delle tasse è una extrema ratio che non vogliamo prendere in considerazione". Il ministro Mariastella Gelmini rassicura gli studenti, eppure alcuni atenei hanno già cominciato a ritoccare verso l'alto la retta annuale. Ad esempio il 15 febbraio il Senato Accademico dell'Università di Tor Vergata ha deliberato un aumento indiscriminato delle tasse universitarie per tutti gli studenti nella misura del 13%, indipendentemente dalla condizione economica in cui versano. E questa non sarebbe una conseguenza diretta dell'entrata in vigore della Riforma Gelmini? Ormai dovrebbe essere abbastanza chiaro che le "riforme a costo zero", specie in un settore delicato e complesso come quello accademico, non esistono e non possono funzionare: un ateneo, proprio come una macchina, ha bisogno di carburante (cioè risorse) per funzionare e di continua manutenzione degli ingranaggi per restare in carreggiata ed evitare di andare in panne. (continua) (23 marzo 2011)
2011-03-22 INCHIESTA / 1 Così la riforma Gelmini ha fermato le università Allarmi e proteste ormai non si contano: la legge - e si sapeva - ha bisogno di molteplici decreti che il governo dimentica: le funzioni della ricerca (tutte), la chiamate di progettisti, associati e docenti sono bloccate. Risparmi? No, paralisi di CORRADO ZUNINO Così la riforma Gelmini ha fermato le università ROMA - La Legge Gelmini, oggi, ha fermato le università italiane. A partire dal mondo della ricerca, l'asset più citato, il più fragile in verità. Il motivo principe del motore fermo, e quindi dello spaesamento di matricole, studenti di lungo corso, assegnisti, ricercatori, finanche dei "prof" vicini alla cattedra, dipende dal fatto che la riforma universitaria è un tomo lungo e complesso e i decreti attuativi di cui abbisogna per essere trasformata in sostanza richiederebbero Consigli dei ministri in seduta permanente e non occupati dall'incandescente quotidianità della cronaca nazionale e internazionale. Ci sono tre fonti che oggi consentono di certificare il "blocco universitario": le voci degli studenti universitari, i blog dei ricercatori (in particolare della Rete 29 Aprile), le proiezioni della Cgil scuola e ricerca. Uno dei nodi universitari è il nuovo ciclo del dottorato di ricerca: non può essere avviato perché occorrerebbe un decreto ministeriale, appunto, su proposta dell'Anvur, l'associazione nazionale di valutazione che è ancora lontana dall'essere operativa. Con la riforma tutte le borse di studio post-laurea sono state abolite, ad eccezione degli assegni di ricerca: i nuovi assegni sono bloccati, però, perché occorre un decreto ministeriale che ne fissi l'importo minimo. Gli assegnisti, va ricordato, nelle università italiane sono 16 mila. Non è ancora chiaro se si potranno far partire i bandi per i nuovi ricercatori a tempo determinato: secondo la Cgil violerebbero la legge Tremonti che riduce drasticamente la possibilità di assunzioni a tempo determinato nella pubblica amministrazione (le assunzioni del 2011 dovranno essere inferiori al 50% delle assunzioni dell'anno precedente). E, tra l'altro, occorrerebbero regolamenti d'ateneo che oggi non possono vedere la luce visto che siamo ancora alla fase precedente ai regolamenti: la revisione degli statuti. Lo hanno già messo in evidenza gli universitari della Rete della conoscenza: la "Gelmini" esclude dalla partecipazione ai progetti di ricerca gli attuali borsisti e contrattisti, gli studenti della triennale e delle scuole di specializzazione, gli studiosi stranieri. Difficile non pensare che questa scelta non sia impugnabile come "discriminazione". Sono bloccate, e il motivo va ricercato nella necessità di mettere a posto i regolamenti d'ateneo, le chiamate su posti di associato dei futuri abilitati e poi chi volesse assumere qualcuno degli attuali idonei non chiamati (oltre 1.500) non potrebbe beneficiare dei fondi del piano straordinario previsto dall'ultima legge di stabilità (anche qui siamo in attesa di un decreto ministeriale). Questo è lo stato dell'arte dell'università italiana. Se si guarda in avanti, la situazione si fa disperante. Nel 2012 la maggior parte degli atenei italiani, condannati a bilanci in rosso fisso, potrebbe trovarsi nell'impossibilità di reclutare docenti, a tempo determinato, a tempo indeterminato, per i vincoli finanziari aggravati dai nuovi tagli al finanziamento ordinario e dalle nuove regole di calcolo dei costi. La Cgil stima che il pensionamento previsto per il prossimo quinquennio porterà fuori dal sistema universitario il 50% dei professori ordinari e il 25% di associati e ricercatori: la metà non sarà reintegrata e ogni anno l'università italiana assisterà alla fuoriuscita di 600 professori ordinari mentre l'ingresso dei mille associati annunciati sarà frenato dal fatto che il 50% degli atenei non potrà fare assunzioni. Il taglio ai corsi di studio eccessivi e bizzarri, così voluto dal ministro Gelmini, si realizzerà naturalmente per la moria degli insegnanti. I ricercatori? Tra pensionamenti e passaggi alla docenza si ridurranno di 2.000 l'anno. Un ricercatore borsista dell'Università di Parma, Cristian Cavozzi, dipartimento di Scienze della terra, ha segnalato la personale situazione. Il borsista da tre anni è impegnato insieme ad altri due colleghi in un progetto di ricerca finanziato interamente dall'Eni, ma nell'ultima stagione tutto è stato bloccato dall'Eni: "Non rientra più nelle forme contrattuali previste dal decreto legge". Sui 2 milioni di euro di importo globale, ai tre ricercatori da laboratorio di Parma sono spettati 180 mila euro a testa nel 2009 e altrettanti nel 2010. Per il 2011 la legge Gelmini non prevede il rinnovo per il bando ad hoc. Laura Romanò, rappresentante dei ricercatori, conferma: "Mancano i decreti attuativi, la legge ha azzerato tutto. Si rischia di andare avanti così per molto tempo". I tre ricercatori propongono una "moratoria" in nome del buon senso: "Non si potrebbe concedere una deroga alle borse in fase di rinnovo? Almeno prorogarle di qualche mese per dare un minimo di garanzie di continuità ai progetti di ricerca in corso". "La riforma", spiega Alessio Bottrighi, presidente dell'Associazione precari della ricerca, "non chiarisce se i vecchi assegni di ricerca possono essere rinnovati. E per i nuovi bisogna attendere il decreto del ministro". I vuoti normativi, dice Mimmo Pantaleo, segretario della Cgil scuola, "sta bloccando ogni forma di reclutamento e portando ad autentici licenziamenti di massa". (22 marzo 2011)
LA PROTESTA "Cultura e spettacolo al collasso, stop ai tagli" Mobilitazione in teatri, cinema e musei Contro il crollo della spesa statale per il settore, iniziativa nazionale il 26, 27 e 28 marzo. Si conclude al regio di Torino, con un incontro pubblico, fra denunce e proposte di ALESSIA MANFREDI "Cultura e spettacolo al collasso, stop ai tagli" Mobilitazione in teatri, cinema e musei Volantini in difesa del settore spettacolo alla rappresentazione del Nabucco, al teatro dell'Opera di Roma ROMA - Tre giornate per dire no ai tagli per la cultura e lo spettacolo. Tre appuntamenti per informare e sensibilizzare cittadini, opinione pubblica e rappresentanti politici ed istituzionali, perché il settore, dal teatro alla danza, dalla musica al cinema, è in ginocchio. E il crollo di spese statali e sovvenzioni per l'anno in corso rischia di compromettere la sopravvivenza di moltissime attività, e di cancellare qualcosa come 220mila posti di lavoro, solo nello spettacolo. A rischio sono realtà di primo piano, note a tutti, pezzi della nostra storia: come Cinecittà Luce, che potrebbe chiudere i battenti; il teatro La Fenice di Venezia, che in questa situazione può garantire stipendi solo fino a luglio, o il festival delle letterature di Mantova, appuntamento di respiro internazionale, che quest'anno vedrà i finanziamenti del comune ridotti della metà. Tre giorni per la cultura. Alzano la voce Federculture, Agis, Anci, Upi, la conferenza delle regioni e Fai e presentano la loro mobilitazione per il 26, 27 e 28 marzo: tre giornate nazionali dedicate alla cultura e allo spettacolo, presentate oggi a Roma. Date in cui, su tutto il territorio nazionale, cinema, teatri, musei, biblioteche e luoghi della cultura diventeranno centri di mobilitazione, in cui distribuire volantini e manifesti informativi, per spiegare i motivi della iniziativa. Nelle sale cinematografiche verrà proiettato lo spot "Divieto di cultura", realizzato apposta. Si conclude il 28 marzo al Teatro Regio di Torino con un incontro pubblico di denuncia e di proposta. Per far ritirare il fiato ad un settore che è sinonimo di prestigio, e, più prosaicamente, produce ogni anno valore per 40 miliardi di euro, incidendo per il 2,6 per cento sul Pil nazionale. Molte voci si sono levate con forza negli ultimi mesi per chiedere un ripensamento del governo sulla riduzione dei finanziamenti, denunciando una situazione ormai ai limiti, che ha portato anche a dimissioni eccellenti come quelle di Andrea Carandini 1dal Consiglio del Mibac. Il lancio di volantini 2 al Teatro dell'Opera di Roma, in occasione del Nabucco per le celebrazioni del 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia, ha riacceso i riflettori sul problema. Una marcia indietro è stata promessa a parole dal ministro Tremonti 3al maestro Riccardo Muti, per ristabilire il Fus, Fondo unico per lo spettacolo. Ma lo stato di crisi è senza precedenti nella storia repubblicana, denunciano gli addetti ai lavori. E non si paventa più una recessione, ma la vera e propria chiusura delle aziende e della produzione del settore, denuncia Roberto Grossi, presidente di Federculture: "Non bastano più le rassicurazioni verbali, in passato già disattese. Attendiamo atti concreti", dice Grossi. Otto richieste. Sono otto le richieste rivolte al governo e al Parlamento dai promotori dell'iniziativa: Affermare la centralità della cultura nelle politiche economiche e sociali nazionali come strumento reale e documentato di crescita civile ed economica; assicurare livelli certi e adeguati di finanziamento del settore che ne permettano l'esistenza e lo sviluppo, iniziando dal reintegro del Fondo Unico dello Spettacolo; introdurre forme di incentivazioni fiscali per le donazioni a favore della cultura; garantire il tax-credit e il tax-shelter al cinema, attraverso risorse pubbliche o coinvolgendo tutte le realtà che utilizzano il prodotto film e non gravando sugli spettatori e/o sulle sole imprese dell'esercizio cinematografico; sostenere l'occupazione e lo sviluppo delle professionalità del settore, anche attraverso opportuni interventi formativi; investire su una efficace valorizzazione e tutela del nostro patrimonio culturale ed ambientale, coinvolgendo anche gli enti locali; promuovere i processi di modernizzazione nella gestione e nella produzione, anche sostenendo la creatività giovanile; attuare, infine, politiche culturali di livello europeo. I tagli per il 2011. Anche il presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Barroso, ha ricordato il valore centrale della cultura, della scienza e dell'istruzione, definendo poco intelligenti i tagli 4in questi campi. E il dossier dei tagli per il 2011 presentato dai promotori della mobilitazione fotografa una realtà a dir poco preoccupante: negli ultimi cinque anni l'intervento dello Stato nella cultura è sceso di oltre il 30 per cento. La dotazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali solo nell'ultimo anno, tra il 2010 e il 2011, è diminuita del 14,6 per cento, passando da 1.710 a 1.459 milioni di euro. A ciò va aggiunto il crollo del finanziamento statale dello spettacolo: il Fondo Unico per lo Spettacolo raggiunge nel 2011 il suo minimo storico: lo stanziamento sarà di 231 milioni di euro, quasi la metà del finanziamento del 2010 (-43,52 per cento). Non è difficile capire che le ripercussioni sui diversi settori dello spettacolo saranno pesantissime, dalle fondazioni liriche al cinema, alle attività circensi, alla danza. Bisogna poi considerare che anche la riduzione dei trasferimenti statali per il 2011 alle Regioni - pari complessivamente a 4 miliardi - e a Province e Comuni - rispettivamente pari a 300 milioni e 1,5 miliardi - avrà inevitabilmente ricadute anche sulla spesa in cultura delle amministrazioni locali. Al taglio dei trasferimenti a Regioni ed Enti locali si aggiungono, poi, norme che impediscono a questi enti di spendere risorse dei loro bilanci, come ad esempio la limitazione al 20 per cento di quanto speso nel 2009 per mostre e promozione. Nel 2009 lo spettacolo, nel complesso, ha generato una spesa del pubblico di quasi 3,5 miliardi di euro. Impiega 250mila lavoratori fissi, e con gli stagionali si arriva a 500mila. Gli scenari che si aprono, per la cultura italiana, rischiano di compromettere seriamente la sopravvivenza di moltissime attività. Sul fronte dello spettacolo, dicono gli organizzatori della mobilitazione, il taglio del 40 per cento delle risorse statali si tradurrà in tagli della stessa entità per la produzione e occupazione. Nel settore si perderanno 220mila posti di lavoro. Qualche esempio concreto? La danza riceverà la metà dei fondi rispetto al 2009 e centinaia, fra danzatori e maestranze, pederanno il posto. La Fondazione Santa Cecilia a Roma, per la riduzione del contributo del Fus, dovrà far calare il sipario su produzioni e terminare attività come la bibliomedioteca o la Juniororchestra. La biblioteca di storia patria a Napoli ha già chiuso, quella nazionale di Firenze resta aperta solo mezza giornata. Una situazione paradossale: la cultura è l'attività che "più di ogni altra rende riconoscibile e qualifica nel mondo il nostro Paese" ricorda Andrea Ranieri, responsabile cultura dell'Anci e assessore alla cultura del comune di Genova. "Ma il nostro governo sembra non saperlo", dice. Oltre ai tagli, preoccupa anche il fatto che è tutto fermo anche sul fronte delle riforme, sottolinea il vicepresidente dell'Agis, Maurizio Roi. "La legge quadro è bloccata - ha detto al Giornale dello Spettacolo -, non ci sono state risposte alla richiesta di modifica dei regolamenti, non è stata concessa l'apertura del tavolo sulle misure di protezione sociale dei lavoratori, tutte le promesse sono state puntualmente disattese". Uno stallo in cui lavorare diventa impossibile: "Così si distrugge ogni possibilità che amministratori seri e lavoratori di Teatri seri possano esercitare la propria responsabilità", sostiene Sergio Escobar, direttore del Piccolo di Milano. Anche la Biennale di Milano è in sofferenza: senza una cifra minima non si può progettare la prossima mostra, avverte il presidente Paolo Baratta. Per questo parte questo weekend la mobilitazione, ma già da domani ci saranno iniziative: a Roma, alle 14:30 in piazza Montecitorio ci sarà una manifestazione in difesa della danza, indetta da Federdanza Agis. Giovedì alle 11:30 è in programma un sit-in di protesta al ministero dell'economia. Venerdì 25 è sciopero generale della produzione culturale e dello spettacolo, con la serrata dei teatri. Da sabato, poi, si parte con la tre giorni nazionale, in tutta Italia. E il 27 marzo il settore teatrale italiano non festeggerà la giornata mondiale del teatro. (22 marzo 2011)
L'INIZIATIVA I precari si mobilitano in Rete "Siamo stanchi, ad aprile in piazza" L'appuntamento in molte città italiane."Questo governo distrugge il futuro". Dai lavoratori agli astudenti alle associzioni, le adesioni si moltiplicano di CARMINE SAVIANO I precari si mobilitano in Rete "Siamo stanchi, ad aprile in piazza" Riprendersi il futuro. Ora, perché "la vita non aspetta". E qui, in Italia, perché "questo paese non ci somiglia, ma non abbiamo nessuna intenzione di abbandonarlo". Aumentano le adesioni a "Il nostro tempo è adesso" 1, la mobilitazione lanciata in rete da un gruppo di giovani italiani. Precari ma agguerriti. Stanchi ma decisi ad agire per cambiare lo status quo. Con una svolta generazionale che cancelli rendite, raccomandazioni, clientele. Dalla convivenza incivile a una nuova Italia. L'appuntamento è in piazza, nelle città italiane, il 9 aprile. L'appello. Le parole de 'Il nostro tempo è adesso viaggiano e si diffondono in Rete. E grazie al web crescono, attirando sempre più consensi. "Questo grido è un appello a tutti a scendere in piazza: a chi ha lavori precari o sottopagati, a chi non riesce a pagare l'affitto, a chi è stanco di chiedere soldi ai genitori, a chi chiede un mutuo e non glielo danno, a chi il lavoro non lo trova e a chi passa da uno stage all'altro". E ancora: "alle studentesse e agli studenti che hanno scosso l'Italia, a chi studia e a chi non lo può fare, a tutti coloro che la precarietà non la vivono in prima persona e a quelli che la 'paganò ai loro figli". "Questo governo distrugge il futuro". E le adesioni sono numerose. Le ultime, in ordine di tempo, sono quelle degli studenti dell'Unione degli Universitari e della Rete degli studenti. Che scrivono: "Non siamo più disposti ad aspettare, a delegare ad altri il nostro presente, a berci ancora una volta la storiella del futuro che prima o poi arriverà, quel lontano futuro in cui finalmente sarà il nostro momento". Poi l'individuazione delle cause. Tutte politiche: "Questo governo sta distruggendo il nostro presente e il nostro futuro. Distrugge scuole e università con tagli indiscriminati e riforme scellerate, dequalifica il lavoro condannandoci a una dipendenza a vita dalle nostre famiglie, a dover vivere con l'angoscia di un contratto che scade e una borsa di studio che non ci viene più data". Un paese nell'ombra. Poi i numeri. Quelli dell'economia, indicatori che descrivono il presente dei ragazzi italiani in modo spietato. Diciannove, come la percentuale di laureati italiani nella fascia d'età dai 20 ai 30 anni. In Europa la media è del quaranta. Ventinove, la percentuale di giovani tra i 14 e i 24 anni che ha lasciato gli studi. 827, gli euro in busta paga di un neolaureato. Due anni fa erano più di mille e cento. Un paese grigio, nell'ombra. Dove la precarietà si fa vita, "assenza quotidiana di diritti". E studio, casa, reddito, salute diventano parole sempre più lontane dal quotidiano. Le adesioni. Alla manifestazione del 9 aprile hanno aderito già tante parti della società civile. Tra le associazioni: Articolo 21, Prossima Italia, Valigia Blu, Pugliamo l'Italia, Errori di Stampa, Popolo Viola, Reset Italia, European Alternatives. Poi i Lavoratori Phonomedia in lotta di Catanzaro, Donne di Classe, Arte della Resistenza. Tra i personaggi della cultura e dello spettacolo: Silvia Avallone, Valerio Mastandrea, Jasmine Trinca, Dario Vergassola, Ascanio Celestini, Luciano Gallino, Giulia Innocenzi, Michele Serra e Margherita Hack. In cantiere anche incontri e iniziative preparatorie. Come quella di stasera a Roma. Per fare il punto della situazione e mettere a punto i dettagli per il nove aprile. (22 marzo 2011)
2011-03-20 MOVIMENTI Di Carmine Saviano 19 mar 2011 "Abroghiamo la riforma Gelmini" In campo contro la riforma. Un referendum per abrogare la riforma Gelmini. Per ridurre la distanza tra palazzo e società bloccando una legge che cancella diritti e possibilità. E’ la proposta lanciata in da alcuni collettivi studenteschi. "Non siamo feticisti dello strumento referendario e riteniamo che di esso si è eccessivamente abusato. Ma quando è stato utilizzato per questioni di grande importanza, il quorum è stato abbondantemente raggiunto". Un’ipotesi per continuare la protesta. E per richiamare in azione tutte le parti della società civile che lo scorso dicembre hanno manifestato contro la distruzione dell’università italiana. Rilanciare il movimento. Le argomentazioni sono contenute in un appello che il collettivo romano K5 ha pubblicato sul suo blog. Prima una dichiarazione di principio: "il referendum è uno strumento pensato dai costituenti proprio per colmare situazioni, come l’attuale, di distanza abissale tra palazzo e società". Poi la tattica: "la battaglia referendaria consentirebbe di avere obbiettivi di breve periodo, si pensi alla raccolta firme, fondamentali per riavvicinare le tante persone non militanti abituali che però si sono mobilitate nello scorso autunno". E inoltre, "riaprirebbe il dibattito sull’istruzione pubblica". A lanciare l’iniziativa anche il gruppo "Docenti preoccupati" dell’università di Bologna. Dal sito di repubblica http://k5.splinder.com/post/24315045/apppello-per-il-referendum-abrogativo-della-legge-gelminiCollettivo Studi Orientali K5 APPPELLO PER IL REFERENDUM ABROGATIVO DELLA LEGGE GELMINI venerdì, 18 marzo 2011 16:43 Siamo studentesse e studenti, ricercatrici e ricercatori e docenti, parte di quella comunità accademica che nello scorso autunno ha espresso tutta la propria avversione al disegno di distruzione dell’Istruzione pubblica posto in campo dal governo. Nonostante le grandi mobilitazioni, animate da un diffuso malessere sociale e da un’angoscia esistenziale di una generazione a cui è stato negato tutto, a partire dal diritto al futuro sempre più caratterizzato da incertezza, precarietà e disoccupazione, non possiamo non prendere atto della sconfitta, non essendo stati raggiunti i due principali obbiettivi che il movimento si era posto: bloccare il ddl Gelmini e mandare a casa il governo. D’altro canto, non poteva essere altrimenti, dati i rapporti di forza in Parlamento. Tuttavia quel grande movimento qualcosa di importante ha prodotto, se si considera la grande simpatia che ha suscitato presso l’opinione pubblica, simpatia che significa una sola cosa: consapevolezza dell’importanza della scuola e dell’Università pubblica per il futuro dei giovani, che è poi il futuro del paese. Quel movimento è arrivato ad un passo dalla vittoria, ha costretto a rinviare l’approvazione definitiva della controriforma fino alla vigilia di natale, sebbene sull’impostazione di fondo del ddl Gelmini vi fossero convergenze trasversali in Parlamento: gli studenti hanno imposto all’opposizione parlamentare che, fino all’esplosione delle mobilitazioni, si era mostrata dialogante con il governo e sostanzialmente concorde con il provvedimento, di assumere una posizione di netta opposizione, se non di ostruzionismo. Ma, quel movimento, più di ogni altra cosa, ha palesato la distanza siderale tra le istituzioni e la società reale, la società di chi lavora e spera che i propri figli, attraverso lo studio, possano emanciparsi; in una battuta, il movimento ha posto in evidenza la solitudine dei palazzi del potere, trasformati in quei giorni in mercati a prezzo di saldo! La breccia che quel movimento ha aperto nell’opinione pubblica e l’importanza delle istanze portate avanti è stata poi riaffermata e rafforzata dalla volontà del Presidente della Repubblica di incontrare una delegazione del movimento, una volontà che scaturiva anche da un messaggio forte e chiaro lanciato dal movimento, quello per cui la battaglia in difesa dell’istruzione pubblica è battaglia in difesa della Costituzione, non solo di suoi singoli articoli, come il 34, ma del suo senso più profondo, e cioè quello per cui tutti i cittadini partecipino consapevolmente e democraticamente a determinare la politica del paese: tale visione presuppone necessariamente che sia garantito a tutti i cittadini, senza distinzioni di reddito, il raggiungimento dei più elevati livelli di istruzione, perché è solo la cultura che fornisce senso critico e capacità di discernimento, unici veri antidoti contro il buio della ragione, foriero di tante sventure per l’umanità. Senza dimenticare che il diritto all’Istruzione è ormai un diritto umano fondamentale, recepito anche dall’articolo 26 della Carta delle Nazioni Unite. Alla luce delle considerazioni che precedono, in una fase come l’attuale, in cui il movimento pare vivere una situazione di stanca, dobbiamo porci il tema del rilancio di una forte mobilitazione in difesa dell’Istruzione pubblica, che è dovere morale prima ancora che politico. A tal proposito osserviamo che, nonostante il fondamentale sciopero generale del 6 maggio,da costruire e generalizzare ulteriormente, non possiamo ritenere che sia quello sciopero a rilanciare il movimento, perché si pone troppo in là nel tempo. Esso deve invece costituire il punto di arrivo di una nuova forte mobilitazione che parta in ogni singola facoltà, e affinché ciò si realizzi proponiamo di lanciare un referendum abrogativo del ddl Gelmini. Non siamo feticisti dello strumento referendario e riteniamo che di esso si è eccessivamente abusato, ragione per la quale spesso non si è raggiunto il quorum: va tuttavia ricordato che quando si è svolto referendum su questioni di grande importanza, che toccavano tutti gli italiani, il famigerato quorum è stato abbondantemente raggiunto, è il caso del referendum costituzionale del 2006, troppo presto dimenticato; d’altro canto esso è pur sempre uno strumento di democrazia diretta, pensato dai costituenti proprio per colmare situazioni, come l’attuale, di distanza abissale tra palazzo e società. Inoltre la battaglia referendaria consentirebbe di avere obbiettivi di breve periodo, si pensi alla raccolta firme, fondamentali per riavvicinare le tante persone non militanti abituali che però si sono mobilitate nello scorso autunno; ancora, riaprirebbe il dibattito sull’istruzione pubblica già sopito nuovamente. Ipotesi alternative sono difficilmente percorribili e d’altra parte potremmo concretizzare quel grande consenso di cui il movimento ha goduto, raccogliendo rapidamente le firme, raggiungendo il quorum e determinando effetti devastanti per l’attuale quadro politico; infine esso consentirebbe di ripetere l’esperienza del referendum sull’acqua pubblica che ha visto partecipe la parte migliore della società italiana.
Collettivo K5 Studi Orientali – La Sapienza Collettivo di Giurisprudenza – La Sapienza Collettivo di Psicologia – La Sapienza Docenti Preoccupati – UniBo
2011-01-18 IL CASO Il giallo delle prove Invalsi scricchiola il "sistema Gelmini" Le prove per testare il livello di preparazione degli alunni italiani in programma a maggio, ma restano i dubbi sulla loro obbligatorietà e i cobas hanno lanciato una campagna che le contesta. I dubbi dell'avvocato dello Stato di SALVO INTRAVAIA Il giallo delle prove Invalsi scricchiola il "sistema Gelmini" Giallo sulle prove Invalsi, in calendario dal 10 al 13 maggio prossimi, le prove che testano il livello di preparazione degli alunni italiani. Sono obbligatorie o le scuole possono decidere di non farle? Egli insegnanti sono obbligati a somministrare i test? Dopo la lettera dell'avvocato dello Stato, Laura Paolucci, e la presa di posizione dei Cobas, la questione è tutt'altro che chiara. E le prove Invalsi, che per la prima volta diventano obbligatorie anche al superiore, rischiano di naufragare. I presidi delle scuole superiori si riuniscono, si chiamano e si interrogano sul da farsi. Alcuni chiedono al collegio di esprimersi in merito, altri inviano circolari perentorie: sono obbligatorie e occorre svolgerle. Ma come stanno in effetti le cose? Le scuole hanno l'obbligo fare svolgere agli alunni delle scuole elementari (seconda e quinta), medie (prime) e superiori (seconda) le prove predisposte dall'Invalsi annualmente, ma gli insegnanti della scuola non hanno nessun obbligo di somministrare i questionari, di compilare le relative schede, né tanto meno di sorvegliare le classi durante lo svolgimento delle prove. Si tratterebbe, per i docenti, di lavoro straordinario che il capo d'istituto dovrebbe trovare il modo di retribuire con un compenso a parte. Se tutti i docenti a maggio si rifiutassero di "collaborare" con l'Invalsi, con quale personale potrebbe assicurare lo svolgimento delle prove il dirigente scolastico? Ma c'è di più: le scuole non hanno fondi da distribuire per un'attività che non è contemplata nel contratto di lavoro degli insegnanti e che non si saprebbe neppure come classificare. Secondo i Cobas, che stanno portando avanti una campagna nelle scuole per fare saltare le prove, "tutto il lavoro richiesto ai docenti per la somministrazione dei test non è obbligatorio". Tutte le operazioni connesse con i test Invalsi comportano un lavoro aggiuntivo che non rientra fra i compiti "obbligatori" del docente e che, quindi, non è tenuto a svolgerlo. I docenti che decidessero di accettare tale compito aggiuntivo devono comunque essere remunerati con il fondo di istituto. Linea sostanzialmente confermata dall'avvocato dello Stato, Laura Paolucci, in una missiva pubblicata sul sito dell'Ufficio scolastico regionale del Piemonte: le prove sono obbligatorie per le scuole e il collegio dei docenti non ha nessun potere di deliberare in merito. Gli obblighi di lavoro dei docenti sono articolati in "attività di insegnamento" e "attività funzionali all'attività di insegnamento". La somministrazione delle prove Invalsi non può essere considerata, ovviamente attività di insegnamento, né attività funzionale, in quanto il contratto le elenca. E tra queste troviamo: la preparazione delle lezioni e delle esercitazioni; la correzione degli elaborati; la cura dei rapporti individuali con le famiglie. Ma anche la partecipazione ai consigli di classe, ai collegi dei docenti, i ricevimenti con le famiglie e gli scrutini. Di eventuali prove, come quelle Invalsi, non vi è traccia. Ma alcuni presidi contano di aggirare l'ostacolo organizzando la somministrazione delle prove durante le ore di lezione. E' possibile, in questo modo, risolvere il problema? Gli insegnanti, a questo punto, sono obbligati a svolgere un'attività diversa da quelle previste dalla cosiddetta "funzione docente"? La questione non mancherà di aprire altre polemiche, almeno fino a maggio. Ma è l'intero sistema di valutazione messo in piedi dal ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, che nel complesso scricchiola. Il milleproroghe ne ha disegnato l'architettura in questo modo: l'Indire (l'Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa), che si occuperà della valutazione degli insegnanti; l'Invalsi, che testa la preparazione degli alunni, e il "corpo ispettivo", che valuterà le scuole e i dirigenti scolastici. Un sistema che si regge su "tre gambe". Ma l'Invalsi, prima gamba del sistema di valutazione, è zoppa: potrebbe avere in futuro difficoltà a somministrare le prove agli alunni, perché nel contratto dei docenti non è previsto nessun impegno in tal senso. La seconda gamba, l'Indire, non c'è. E' stato chiuso con la finanziaria e nel 2007 e l'altro istituto, l'Ansas (l'Agenzia nazionale per lo sviluppo dell'autonomia scolastica) - che secondo i decreti del ministro Gelmini dovrebbe svolgere un ruolo di consulenza riguardo ai progetti sul merito lanciati a Milano, Napoli e Torino, per gli insegnanti, e a Siracusa, Pisa e Cagliari, per le scuole - è stato prorogato di un anno, ma non ha tra le sue competenze quelle di valutare scuole e insegnanti. Insomma, un pasticcio. La cosa è emersa in commissione Cultura al Senato qualche giorno fa. "Pur prendendo atto - ha dichiarato il sottosegretario Giuseppe Pizza - delle dichiarazioni rese dal rappresentante del governo in commissione, secondo cui si tratta di un errore tecnico, resta da chiarire se è intenzione del governo attribuire all'Ansas anche compiti di valutazione ovvero modificare diversamente la norma sul milleproroghe". C'è poi il corpo ispettivo, la terza gamba, che però ha il personale ai minimi termini. E il concorso in fase di svolgimento si preannuncia in salita: per un pasticcio nel bando, tantissimi esclusi ai test di ammissione si sono rivolti al Tar e la selezione, che comunque vadano le cose non si completerà prima di un anno, potrebbe subire uno stop, lasciando il sistema zoppo anche della terza gamba. (18 marzo 2011)
2011-01-15 L'INIZIATIVA Le dieci risposte agli studenti "Tornare a investire sul sapere" L'Unione aveva lanciato in rete un questionario dedicato ai partiti, per misurare il loro impegno sul mondo della scuola. Per ora hanno risposto Pd e Idv, vediamo come di CARMINE SAVIANO Le dieci risposte agli studenti "Tornare a investire sul sapere" Dieci domande sui temi dell'istruzione e della scuola pubblica. 1 Un questionario lanciato in rete dall'Unione degli Studenti. E a cui hanno risposto Antonio Di Pietro per l'Italia dei Valori. E Manuela Ghizzoni, Giovanni Bachelet, Maria Coscia, Letizia De Torre, Rosabruna De Pasquale, Emilia De Biasi, Riccardo Franco Levi, Eugenio Mazzarella, Giovanna Melandri, Caterina Pes, Sabina Rossa, Tonino Russo, Alessandra Siragusa, Francesca Puglisi e Luigi Nicolais per il Partito Democratico. Ecco le loro posizioni. 1) I nostri istituti cadono a pezzi, il 50% delle scuole non è a norma, solo con un piano di investimenti per 14 miliardi di euro si potrà risolvere il problema dell'edilizia scolastica. Vi impegnate a votare in Parlamento l'adeguato finanziamento della legge 23/96 per la messa in sicurezza degli edifici scolastici? Pd: Sí: il piano straordinario per l'edilizia scolastica è una delle "Dieci proposte per la scuola di domani". In quel documento abbiamo reclamato risorse, snellimento delle procedure e soluzioni innovative dal punto di vista architettonico, edilizio ed energetico. Idv: Sì. L'IdV intende attuare le politiche necessarie a garantire a tutti gli studenti la sicurezza e la vivibilità dei plessi scolastici. Inoltre intendiamo vigilare sul rispetto delle leggi sulla sicurezza e agibilità, che risultano puntualmente disattese a causa dei tagli attuati da questo governo, la cui più diretta e tangibile conseguenza è il sovraffollamento delle aule. 2) Il diritto allo studio nel nostro paese è inesistente. Da anni chiediamo una legge quadro che stabilisca i livelli essenziali delle prestazioni e adeguamenti finanziamenti alla Regioni per garantire a tutti gli studenti, come sancito dalla Costituzione, borse di studio, trasporti e servizi. Vi impegnate a promuovere in Parlamento questa legge? Pd: Sí, una tale legge è ingrediente irrinunciabile alla piena attuazione dell'autonomia scolastica e del Titolo V della Costituzione per quel che riguarda l'istruzione. La normativa in materia dovrebbe affrontare globalmente il "diritto alla conoscenza per tutti" al fine di garantire a ciascuno opportunità formative per tutto l'arco della vita. Idv: Sì. Siamo dell'opinione che la legge quadro debba contemplare come parametri sia il merito che il reddito. 3) Molti studenti sono inseriti in percorsi di alternanza scuola-lavoro e stage senza alcun diritto, tutela o garanzia di qualità di questo canale formativo. Vi impegnate a votare in Parlamento uno statuto dei diritti degli studenti in stage, per garantire che si tratti di un vero percorso di formazione e non di semplice manodopera gratuita per le imprese? Pd: Sí, accompagnando lo statuto dei diritti ad interventi normativi e finanziari grazie ai quali esso non rimanga lettera morta, oppure ottenga l'effetto involontario di impedire l'alternanza fra scuola e lavoro. Abbiamo invece contrastato, con tutti gli strumenti parlamentari a disposizione, l'apprendistato selvaggio introdotto da questo governo e il relativo abbassamento dell'obbligo scolastico da 16 a 15 anni. Idv: Sì, l'IdV ha già avuto occasione di esprimere la sua posizione in merito all'obbligo scolastico che, a nostro avviso, deve essere innalzato al diciottesimo anno di età. In merito all'alternanza scuola-lavoro, un punto chiave del nostro programma prevede proprio, per gli istituti tecnici e professionali, l'individuazione di percorsi strutturati di alternanza scuola-lavoro attraverso la formula degli stages, integrati al curricolo e funzionali al raggiungimento degli obiettivi disciplinari, ma che non compromettano la possibilità degli studenti di continuare il loro percorso scolastico anche in prospettiva del proseguimento degli studi universitari. 4) Nel 2000 il centrodestra e il centrosinistra hanno votato insieme la legge di parità che permette alle scuole private di accedere a finanziamenti sottratti alla scuola pubblica. Vi impegnate ad abrogare questa legge, riconoscendone la deriva che ha avuto soprattutto negli ultimi anni? Pd: No. Anzitutto va precisato che la legge 62/2000 (parità scolastica) non fu affatto approvata insieme da centrosinistra e centrodestra: nel 2000 il centrodestra votò compatto contro. La legge passò con i soli voti del centrosinistra, che la riteneva essenziale per mettere ordine nei finanziamenti alla scuola privata e per finanziare le scuole materne comunali. Infatti, anche se molti lo ignorano, le "scuole paritarie" o "scuole non statali" che la legge 62 integra nel sistema nazionale della pubblica istruzione non sono solo le "parificate". Sono paritarie e ricevono finanziamenti da questa legge anche le scuole comunali e provinciali, che contribuiscono in modo decisivo al diritto dei bambini a frequentare scuola pubblica dell'infanzia. "Per questi motivi, nel 2000, votò a favore la quasi totalità dei parlamentari che sosteneva l'allora Governo di centrosinistra (oggi distribuiti fra PD, Idv, SeL e Comunisti Italiani)". Attualmente alle scuole paritarie sono stanziati ogni anno un po' meno di 500 milioni, cioè circa un centesimo dei fondi destinati dal ministero alle scuole statali: una cifra che evidentemente non compensa i miliardi tagliati dalla Gelmini alla scuola statale. Non è la scuola paritaria che impoverisce quella statale, è il Governo che impoverisce tutta la scuola pubblica destinandone le risorse ad altri scopi. La contrapposizione fra paritarie e statali serve alla propaganda di Berlusconi, che poi taglia i fondi a tutte e due. E' comunque vero che occorre un monitoraggio dell'applicazione della legge 62 soprattutto su due fronti: l'accreditamento e la valutazione delle scuole paritarie, e la garanzia di una scuola laica e pluralista di qualità su tutto il territorio nazionale. Idv: Sì. L'IdV si impegnerà affinché l'art. 33 della nostra Costituzione venga rispettato e le scuole private non costituiscano un onere per lo Stato. Tutte le nostre energie si riverseranno nella difesa della scuola pubblica statale, istituzione indispensabile per garantire pari opportunità a tutti i cittadini. 5) L'autonomia scolastica, invece di produrre protagonismo, partecipazione e qualità della didattica, ha prodotto dirigismo e autoritarismo. Siete disposti a votare in Parlamento una Carta dell'autonomia per garantire reale partecipazione alla vita scolastica da parte degli studenti e delle studentesse? Pd: Una carta dell'autonomia non ci pare sufficiente a risolvere i problemi di una autonomia colpevolmente lasciata a metà e colpita da un diluvio di norme centralistiche dalla Gelmini; i problemi si risolvono completando normativamente l'autonomia ma soprattutto dotandola di risorse e valutazione di rango europeo, il contrario di quanto fa questo governo. Idv: Sì. Siamo convinti che l'autonomia scolastica abbia fatto da apripista all'introduzione all'interno delle scuole di criteri aziendalistici e privatistici che, spesso in nome della competitività, ha sacrificato una seria riflessione di natura didattica e pedagogica. La partecipazione attiva e consapevole degli studenti alle attività della scuola è un elemento irrinunciabile, da potenziare all'interno in un progetto complessivo che valorizzi gli organi collegiali delle scuole. 6) Nel 2008 sono stati tagliati 8 miliardi di euro alla scuola pubblica, circa il 6% del suo bilancio. Gli effetti di questi tagli sono devastanti: scuole chiuse il pomeriggio, mancanza di strumenti didattici, carenza anche degli accessori più banali come gessetti e carta igienica: siete disposti a tagliare le spese militari per finanziare una didattica di qualità? Pd: Sì, senza venire meno al ruolo internazionale che compete al nostro Paese, come peraltro richiesto in una nostra mozione presentata alla Camera. Ma non dimentichiamo che la soluzione definitiva verrà da nuovi governanti capaci, quali sono stati Ciampi, Prodi e Padoa Schioppa, di far quadrare i conti anche in tempi difficili senza danneggiare la scuola. Il governo attuale ha massacrato la scuola e ha pure peggiorato i conti. I tagli alla scuola hanno invece finanziato operazioni sbagliate come il taglio dell'ICI ai ricchi, il salvataggio dell'Alitalia e le spese pazze di Bertolaso e della cricca. Idv: Sì. Uno dei cavalli di battaglia dell'IdV in questi anni di mobilitazione in difesa della scuola pubblica è stato proprio la necessità di tagliare le spese militari e finanziare quelle per l'istruzione e la ricerca. 7) Sono circa 700 mila gli studenti migranti nelle scuole pubbliche italiane. Siete disposti a votare un piano straordinario per garantire l'integrazione di questi studenti con programmi di scolarizzazione ad hoc? Pd: Sí. Il tema della varietà delle lingue, delle culture e delle fedi è sempre più importante per la scuola italiana. E' stata depositata una proposta di legge che istituisce un fondo per l'insegnamento della lingua italiana, per la formazione di docenti e dirigenti e per altre iniziative legate all'interculturalità nella scuola. "Integrazione" è un termine limitativo: una delle "Dieci proposte per la scuola di domani" parla di promozione della cittadinanza attiva in una società e in una scuola sempre più interculturale. Secondo noi la scuola può e deve dare un contributo decisivo alle grandi sfide culturali e globali del mondo di oggi. Idv: Sì. Siamo sempre stati favorevoli alla necessità di garantire un'effettiva integrazione per gli studenti non di madrelingua italiana. Abbiamo combattuto strenuamente contro i tagli alle ore di italiano previsti dalla riforma Gelmini delle superiori, anche nella consapevolezza della maggior presenza di studenti stranieri nelle nostre scuole. 8) L'Italia è il fanalino di coda in Europa per il tasso di dispersione scolastica: ha una media del 20% con picchi del 30% in regioni come Veneto e Calabria. Cosa fareste per limitare questo fenomeno? Pd: Sul versante dei percorsi scolastici occorre una riforma capace di aggredire l'età critica della dispersione. Si dovranno rivedere, se necessario, durata e modalità didattiche. Si dovrà curare l'orientamento, prevedere per tutti l'alternanza scuola-lavoro, sottrarre istruzione e formazione professionale al destino di Cenerentola riportandole a livelli europei. Occorre però anche ricordare che la dispersione scolastica fotografa il contesto e che ad essa segue quasi sempre l'esclusione sociale, il degrado e, in alcune zone, il reclutamento nella malavita organizzata. Per questo, ben prima delle scuole medie, risultano essenziali al contrasto alla dispersione sia la scolarizzazione precoce, sia il potenziamento della scuola dell'infanzia e del tempo pieno nella scuola primaria, presente in percentuale irrisoria nel Sud: il contrario di quanto fatto negli ultimi anni dall'attuale governo nazionale. Idv: Per combattere seriamente la dispersione scolastica, a nostro avviso, vanno messe in campo varie strategie: ridurre il numero degli alunni nelle classi per consentire realmente agli insegnanti la possibilità di elaborare e realizzare percorsi di apprendimento individualizzati; effettuare una seria attività di orientamento nella scelta dei corsi di studi che gli studenti dovranno intraprendere; favorire la continuità dei curricula e creare momenti di raccordo tra i diversi gradi del nostro sistema di istruzione, come prevede il nostro programma di riforma della scuola. 9) A scuola l'unica religione che si insegna è la religione cattolica. Siete disposti a votare un provvedimento, nel rispetto della laicità dello stato, finalizzato a una scuola che insegni storia delle religioni? Pd: All'epoca della revisione del Concordato, Scoppola ed altri proposero di sostituire l'insegnamento della religione cattolica con la storia delle religioni. La proposta non fu raccolta. Senza modificare gli accordi concordatari è invece possibile aggiungere un insegnamento di questo tipo, attento alle tradizioni religiose oggi presenti in Italia; è una proposta di legge che è stata promossa da alcuni deputati del PD. Tutto il PD ha piú volte reclamato, a gran voce, il finanziamento dell'ora alternativa alla religione, la cui assenza è un'offesa alle libertà religiose e calpesta il diritto di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica. Idv: Il monopolio esclusivo della religione cattolica rappresenta sicuramente un forte limite al processo di integrazione culturale che noi auspichiamo. Facciamo però una proposta ancora più laica: perché non pensare ad attivare l'insegnamento di cittadinanza e Costituzione da affidare ad insegnanti di discipline giuridiche? 10) In questi mesi abbiamo riempito le piazze e le strade con manifestazione e cortei, siamo saliti sui monumenti, abbiamo occupato scuole e università, rivendicato un futuro di dignità, libero dalla schiavitù della precarietà e dall'obbligo dell'emigrazione. Che soluzioni proponete come alternativa alla fuga? Pd: Un governo capace di rimettere in piedi l'economia del Paese e farlo risorgere dalle macerie morali, civili, sociali e culturali del berlusconismo al tramonto; di far ripartire l'economia scommettendo sul superamento delle disparità sociali e territoriali, sulla crescita e la migliore distribuzione della ricchezza non a spese dei saperi, ma grazie al loro rilancio. Il nostro governo di domani. Idv: Siamo convinti che una seria politica di investimenti nella cultura e nella ricerca, unita alla lotta contro ogni forma di precariato e flessibilità selvaggia del mondo del lavoro, possa favorire la ripresa economica e civile del nostro Paese e costituisca la risposta alla ormai ineludibile richiesta di migliorare la qualità delle nostre vite. (15 marzo 2011)
FINANZIARIA Beni culturali: "Troppi tagli nel settore" Carandini si dimette da consiglio Mibac Il professore di archeologia, nominato presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali dal ministro Bondi nel 2009 ha motivato la propria decisione data "l'impossibilità del ministero di svolgere quell'opera di tutela e sviluppo del patrimonio culturale". Il Pd: "Berlusconi dovrebbe chiedere scusa alla cultura italiana" Beni culturali: "Troppi tagli nel settore" Carandini si dimette da consiglio Mibac Andrea Carandini ROMA - Andrea Carandini, presidente del Consiglio superiore dei beni culturali, si è dimesso. Lo si è appreso dal ministero dei Beni culturali. Le dimissioni irrevocabili sono state rassegnate "nella constatazione dell'impossibilità del ministero di svolgere quell'opera di tutela e sviluppo del patrimonio culturale stante la progressiva e massiccia diminuzione degli stanziamenti di bilancio". Il Consiglio superiore, spiega il ministero per i Beni e le Attività Culturali (MIBAC) in una nota, che ha preso atto dell'irrevocabilità delle dimissioni, "condividendo le considerazioni del presidente Carandini, ha sospeso la seduta in attesa che il ministro Bondi compia un atto politico responsabile che garantisca il positivo interessamento del Parlamento e del governo riguardo la drammatica situazione i cui versano i Beni culturali". Carandini era stato nominato presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali dal ministro Bondi il 25 febbraio 2009 al posto del dimissionario Salvatore Settis che aveva lasciato l'incarico per dissenso sulla gestione e sulla tutela della politica culturale del governo. Carandini è professore ordinario dal 1980 e dal 1992 insegna archeologia presso l'Università di Roma 'La Sapienza' ed è uno dei più illustri e autorevoli archeologi a livello internazionale. Le reazioni. "Berlusconi dovrebbe vergognarsi e chiedere scusa alla cultura italiana per le dimissioni di Andrea Carandini, grande archeologo e persona perbene che oggi si è ribellato all'assassinio della cultura italiana". È quanto dichiara il vicepresidente dei senatori del Partito democratico Luigi Zanda. "Di fronte all'agonia del cinema, della musica e del teatro italiani, di fronte al taglio delle risorse per la conservazione e per la tutela del patrimonio artistico, di fronte alla crisi del sistema museale, dopo le proteste di Riccardo Muti, Bruno Cagli, Daniel Barenboim e Sergio Escobar, adesso per la seconda volta nel giro di due anni il Consiglio superiore dei Beni culturali vede il suo presidente dimettersi per protesta nei confronti delle scelte del governo Berlusconi", sottolinea Zanda. Di una scelta di grande dignità fatta da Carandini parla Francesco Rutelli, leader di Alleanza per l'Italia: "Spero - ha aggiunto - che il governo ascolti la voce di Andrea Carandini perché la tutela del patrimonio non perda l'apporto del meglio della cultura nazionale. Qualcun altro, Bondi, avrebbe dovuto dimettersi - ha concluso - per evitare che si dimettesse Carandini". "Le dimissioni dal Consiglio Superiore per i Beni culturali e paesaggistici del MIBAC del professor Andrea Carandini, personalità di straordinario prestigio scientifico e non ideologicamente fazioso, dicono che la crisi del Ministero dei Beni Culturali è un dato drammatico e reale e che va affrontato al di fuori degli schieramenti di parte e con spirito di servizio per il bene del Paese", ha commentato il presidente dell'Udc, Rocco Buttiglione. Uno spiraglio a un possibile ritorno di Carandini lo apre il sottosegretario ai Beni Culturali, Francesco Giro, che in una nota scrive: "Ho letto la lettera con la quale il professor Andrea Carandini ha oggi annunciato le proprie dimissioni al cospetto del Consiglio superiore dei beni culturali...Se da un lato -spiega Giro- la lettera del professor Carandini esprime un netto dissenso rispetto alla riduzione dei finanziamenti destinati alla cultura, dall'altro lato rivela una disponibilità a proseguire il proprio impegno alla guida del Consiglio superiore purché si assumano a breve termine scelte concrete a sostegno del patrimonio culturale nazionale". (14 marzo 2011)
LA POLEMICA "Gelmini mente, private più ricche e 130mila posti in meno in 3 anni" Risposta durissima della Cgil alle affermazione del ministro in tv: "I docenti sono stati falcidiati, i fondi in dieci anni sono crollati da 259 a 88 milioni mentre quelli per le paritarie sono raddoppiati". E il prossimo anno la scure si abbatterà ancora di SALVO INTRAVAIA "La Gelmini "ribalta la realtà". L'uscita pubblica di ieri sera del ministro dell'Istruzione alla trasmissione "Che tempo che fa", condotta da Fabio Fazio, fa insorgere la Cgil e moltiplica le polemiche sulla scuola. Il ministro ha affermato sostanzialmente tre cose: che gli insegnanti in Italia sono troppi e che il governo si è limitato a contenere la pianta organica dei docenti; che ci sono più bidelli che carabinieri e le scuole restano sporche; che le manifestazioni di piazza a difesa della scuola pubblica sono poco credibili perché chi protesta poi manda i figli nelle paritarie. "Siamo senza parole - commenta Mimmo Pantaleo, segretario generale della Flc Cgil - Una ministra senza credibilità e senza pudore, da un lato difende il presidente del consiglio quando attacca gli insegnanti e dall'altro si fa promotrice del miglioramento della qualità della scuola pubblica. Ma di quale qualità sta parlando Gelmini? I dati la smentiscono clamorosamente". E giù un lungo elenco di numeri. "Dal prossimo anno ci saranno 19 mila e 700 docenti e 14 mila 500 amministrativi in meno, che si aggiungono ai clamorosi tagli degli ultimi due anni. Altro che contenimento della pianta organica, come affermato dal ministro". Ma la partita riguarda anche i finanziamenti alle paritarie, espressamente citate dal presidente Berlusconi nelle ultime settimane. "Le scelte politiche del governo di centro destra, in carica pressoché ininterrottamente da 11 anni, hanno messo alle corde la scuola pubblica, impoverendola di fondi, insegnanti e personale ausiliario, tecnico e amministrativo: 130 mila posti in meno in tre anni", spiega la Cgil. Mentre i fondi per le scuole paritarie sono passati dai 297 milioni di euro del 2000 ai 528 del 2011. E le scuole statali? Gli stanziamenti per la legge 440/97, quella per il miglioramento dell'offerta formativa, sono crollati da 259 milioni, nel 2001, a quasi 88 nell'anno in corso. Stesso discorso gli stanziamenti per il funzionamento didattico e amministrativo delle scuole: 331 milioni nel 2011 e 122 quest'anno. I dati Ocse 2010, poi - conclude Pantaleo - ci raccontano una realtà diversa: l'Italia investe meno nella scuola, il 4,5 per cento in rapporto al Pil contro una media del 5,7 per cento. E disinveste anche in ricerca e università pubblica. Le scuole sono in rosso e sono costrette a fare affidamento sui contributi volontari delle famiglie e mentre la scuola pubblica languiva, la scuola privata godeva dei finanziamenti statali pressoché inalterati". (14 marzo 2011)
2011-01-14 RICERCA Barroso; "Non intelligente tagliare l'istruzione" Fini: "Servono risorse per la riforma Gelmini" Il presidente della Commissione Ue riceve la laurea honoris causa in giurisprudenza in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico 2010-2011 della Luiss. Troppi bidelli? Sindacati contro il ministro Barroso; "Non intelligente tagliare l'istruzione" Fini: "Servono risorse per la riforma Gelmini" Manuel Barroso ROMA - "Non è intelligente tagliare la scienza, l'istruzione e la cultura". Il presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Barroso, ricevendo la laurea honoris causa in giurisprudenza in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico 2010-2011 dell'Università Luiss, sottolinea così il ruolo fondamentale dell'Istruzione nello sviluppo del Paese. Una dichiarazione, accolta da un applauso della platea, che arriva dopo le proteste per l'entrata in vigore della riforma Gelmini. Quella stessa riforma che, ieri, il ministro ha difeso da Fabio Fazio 1e che oggi trova un plauso anche nelle parole di Gianfranco Fini. "Rende più competitiva la nostra università" dice il presidente della Camera. Che, se vede un rischio, lo vede nelle risorse. "Il punto è il sottofinanziamento. La riforma sarà ancora più efficace se ci sarà la ripresa economica e di conseguenza con maggiori investimenti pubblici". E sul tema delle risorse ha insistito anche la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia: "Bisogna investire nella crescita, nell'università e nella scuola. Dobbiamo e possiamo fare di più, questo è uno dei pochi campi in cui il governo deve continuare a investire soldi". E alla Gelmini che aveva parlato di scuole sporche e di bidelli "più numerosi dei carabinieri", replicano i sindacati. Se le scuole italiane sono sporche si vede che la gestione non è adeguata - dice il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti - Chi la gestisce la scuola? Non noi. I bidelli non sono troppi". Mentre per il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, è noto "che molte scuole sono incustodite per la mancanza di bidelli e che gli insegnanti italiani hanno gli stipendi più bassi d'Europa". (14 marzo 2011)
L'INTERVISTA Muti: "Io ribelle dal podio un urlo per salvare la cultura" Il maestro che ha trionfato all'Opera di Roma racconta come è nata l'idea di far intonare "Va pensiero" al pubblico di ERNESTO ASSANTE Muti: "Io ribelle dal podio un urlo per salvare la cultura" Riccardo Muti ROMA - Riccardo Muti in prima fila contro i tagli alla cultura. Contro "la riduzione al nulla" della nostra cultura. La serata di sabato, per la prima di Nabucco all'Opera di Roma, si è trasformata in una straordinaria manifestazione sulle note del "Va pensiero". Maestro Muti, una serata davvero speciale... "Veramente fuori dalla norma, non preparata, ci tengo molto a dirlo. Io penso che i direttori d'orchestra non dovrebbero parlare dal podio, ma ieri, dopo l'intervento del sindaco di Roma, era necessario, importante, che anche il musicista prendesse la parola. Per un musicista come me che poi ha la fortuna di girare il mondo e vedere la realtà italiana dalle altre nazioni, e quindi soffrire per la situazione. Era doveroso parlare. Ma pensavo di aver terminato lì, dopo aver detto: 'Il 9 marzo del 1842 Nabucco debuttava come opera patriottica tesa all'unità ed all'identità dell'Italia. Oggi, 12 marzo 2011 non vorrei che Nabucco fosse il canto funebre della cultura e della musica'. Perché una nazione che perde la propria cultura perde la propria identità". Cos'è accaduto allora? "E' chiaro che il 'Va pensiero', al di la delle assurdità che si dicono dell'inno nazionale, è un canto che esprime in maniera intensa l'animo degli italiani, una nostalgia, un senso di preghiera, una profondità mediterranea che Verdi attribuisce al popolo degli ebrei schiavi ma che gli italiani hanno scelto come bandiera del loro Risorgimento. E quando l'ho diretto la prima volta ho sentito, quando il coro ha cantato "oh mia patria si bella e perduta", che quel momento fosse carico della situazione drammatica non solo per le istituzioni ma anche per la vita delle persone chiamate a studiare nei conservatori, nelle accademie, nelle università. Ho sentito che quel grido veniva dal profondo dell'animo, un grido vero da parte di chi sta vivendo questo dramma, uomini e donne che producono cultura nel nostro Paese. E lo fanno nel disinteresse sempre più grande da parte di chi deve preservare la cultura, non solo per rispetto del paese ma anche per il rispetto del mondo verso l'Italia. Il mondo non guarda a noi per le tecnologie, facciamo cose importanti ma quando si pensa all'Italia si pensa ai poeti, ai pittori, ai musicisti, ai nostri musei e teatri, a ciò che l'Italia rappresenta. È pieno di italiani - ricercatori, studiosi, medici - che sono nelle grandi università, come quelle americane, e fanno ben parlare di sé. Giovani che si fanno stimare fuori dall'Italia, perché da noi trovano difficoltà. Noi non possiamo vedere questa barca affondare, sabato sentivo che il 'Va pensiero' era questo grido". E ha deciso di sorprendere tutti "Dovevo decidere: faccio il bis come viene chiesto, una ripetizione consolidata nell'abitudine, oppure offro a questa ripetizione un carattere nuovo, aderente alla situazione? ho pensato, il coro ha cantato, 'Oh mia patria, si bella e perduta' e sicuramente se perdiamo al cultura andiamo in questa direzione, facciamo che questo grido sia contro questa operazione di riduzione al nulla della nostra cultura. Allora ho invitato, dato che il discorso doveva essere globale, tutti a cantare. Non mi aspettavo che l'intero teatro si unisse, tutti sapevano il testo. Poi, come in una situazione surreale, dal podio ho visto le persone alzarsi a piccoli gruppi, per cui tutto il teatro alla fine era in piedi, fino alle ultime gradinate. Era una specie di coralità straziata e straziante, un grido che invocava il ritorno alla luce della cultura che è la colonna portante dell'Italia, sono le nostre radici". E il pubblico si è commosso. "Si, ho visto nelle prime file diverse persone con le lacrime agli occhi. E' la dimostrazione di un popolo che si sente fortemente unito, al di la dei proclami. E della straordinaria attualità di Verdi, valido anche per il futuro, con la sua grande universalità. Verdi parla all'uomo dell'uomo e resterà sempre collegato alla nostra realtà, sempre assolutamente attuale". (14 marzo 2011)
IL CASO Dopo il C-day polemiche su Ingroia Il Pdl attacca, comizio di Ferrara al Tg1 Critiche dopo la partecipazione del procuratore alla manifestazione di Roma a favore della Costituzione, in cui ha definito quella sulla giustizia una "controriforma". Il Giornale ne chiede le dimissioni, Pd e Idv lo difendono. E Vietti: "Magistrati siano liberi di esprimere la propria opinione" Dopo il C-day polemiche su Ingroia Il Pdl attacca, comizio di Ferrara al Tg1 Il pm Antonio Ingroia alla manifestazione di Roma in difesa della Costituzione ROMA - Dal palco di piazza del Popolo di Roma, durante il Costituzione day 1, il procuratore aggiunto Antonio Ingroia definisce "controriforma" quella della giustizia e scoppiano le polemiche. In prima pagina il Giornale ne pubblica la foto e attacca senza mezzi termini: "Questo magistrato deve dimettersi". Nessun commento da parte del premier Silvio Berlusconi, ma è eloquente l'attacco che è partito da esponenti politici a lui più vicini, come Fabrizio Cicchitto che ha parlato di "appropriazioni indebite" del giorno della Costituzione. In serata, interviene Giuliano Ferrara, intervistato da Susanna Petruni in diretta al Tg1. L'occasione è il lancio della trasmissione "Radio Londra". Ferrara attacca Ingroia e dice: "Se i magistrati fanno i comizi, i politici potrebbero anche fare le sentenze". Un riferimento polemico a Napolitano: "E' lui il presidente del Csm, dovrebbe dire qualcosa". Lo spot per la trasmissione: "Sono schierato, non come Santoro, Lerner, Dandini, Floris" ha aggiunto ironicamente. "Dirò delle cose scomode, non dirle rende il paese più povero e anche più stupido". In tutto, oltre tre minuti e mezzo. Protesta l'Idv: "Il Tg1 si conferma tg ad personam. porteremo il caso in vigilanza". L'INTERVENTO DI FERRARA 2 Cicchitto polemico. "Quello del procuratore Ingroia è un autentico caso. Un pm impegnato in indagini delicatissime concernenti i rapporti mafia-politica e che nel contempo partecipa a manifestazioni politiche, sviluppa attacchi politici; in sostanza è ormai un personaggio politico di prima fila e rappresenta una contraddizione devastante per l'equilibrio del sistema. Ci auguriamo che quanto prima, magari fra una pratica a tutela e l'altra, il Csm si occupi di questo caso gravissimo", attacca Cicchitto, presidente dei deputati del pdl. Il ministro della Giustizia Alfano dice che non ci sarà alcuna richiesta di procedimento disciplinare nei confronti del pm che ieri è intervenuto dal palco alla manifestazione nella capitale. "Non ci penso proprio", spiega il Guardasigilli. "Ha partecipato ad una manifestazione contro il governo. Ci mancherebbe che la politica si mettesse a chiedere le dimissioni di un magistrato. Ma ne deve rispondere alla sua coscienza, alla legge e alla deontologia", conclude Alfano. Vietti lo difende. A difesa del procuratore di Palermo si è espresso il vice presidente del Csm Vietti: "Si deve consentire a tutti, anche ai magistrati, di dire ciò che pensano" della riforma costituzionale della giustizia. Il vicepresidente invita però tutti ad un atteggiamento misurato: "In linea generale raccomanderei su questa materia una grande prudenza, un grande equilibrio e una grande sobrietà a tutti, sia ai magistrati sia alla politica sia ai giornalisti", in riferimento alla prima pagina del Giornale di oggi. L'attacco ad Ingroia è indegno per il portavoce di Articolo21 Giuseppe Giulietti. "Come tutti sanno è un magistrato serio e rigoroso, un allievo di Borsellino che non ha mai rinunciato alla lotta contro le mafie e per la legalità", dice Giulietti. "Per questo ha parlato ad una iniziativa per il Tricolore e la Costituzione e per questo alcuni politici della destra berlusconiana si sono indignati. Per loro è grave che un giudice ami la legge e la Costituzione invece è normale che un imputato minacci i suoi giudici e possa farlo con una videocassetta trasmessa a reti semiunificate", aggiunge. E' la dimostrazione dell'intento punitivo della riforma, commenta dal Pd il senatore Giuseppe Lumia, componente della Commissione parlamentare antimafia: "Dopo aver approvato una riforma che compromette l'autonomia e l'indipendenza della magistratura, adesso si vuole anche mettere il bavaglio ai magistrati", dice, mentre per l'Italia dei Valori l'attacco contro il pm è dimostrazione del degrado del Pdl: "Le manifestazioni di piazza del 12 marzo sono nate come iniziative in difesa della Costituzione. Considerare come una posizione di parte o addirittura una colpa la difesa della legalità, della democrazia e dei principi sanciti dalla Carta è soltanto la conferma del degrado di questa maggioranza", sottolinea il portavoce Leoluca Orlando. (13 marzo 2011)
L'INTERVISTA Ingroia: "Ho diritto di criticare la riforma ci fu la stessa intolleranza su Borsellino" Dopo le contestazioni seguìte alla sua partecipazione al C-Day, parla il magistrato. "Non era una manifestazione di partito ma un'iniziativa in favore della Costituzione". "Non mi sembrano affatto sobri gli attacchi che gettano fango su chi non la pensa allo stesso modo" di SALVO PALAZZOLO Ingroia: "Ho diritto di criticare la riforma ci fu la stessa intolleranza su Borsellino" Antonino Ingroia PALERMO - "La magistratura non vuole sostituirsi al potere legislativo - dice il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia - ma nel rispetto del potere legislativo un magistrato può esprimere il suo punto di vista tecnico su scelte che rischiano di essere uno strappo rispetto ai principi fondanti dell'assetto costituzionale della giustizia e ai diritti fondamentali dei cittadini". Qualcuno, senza toni polemici, rileva però il rischio che l'italiano medio possa restare disorientato rispetto ad alcune prese di posizione pubbliche dei magistrati nel dibattito politico. Cosa ne pensa? "Non vedo affatto questo disorientamento, ma un desiderio diffuso di capire e sentire pareri diversi. Poi, ci sono gli italiani, e sono tanti, vittime di una disinformazione massiccia. La stessa che anni fa attaccò Paolo Borsellino, quando fece una denuncia pubblica sul calo di tensione nella lotta alla mafia. Era una denuncia che investiva contemporaneamente la politica e la magistratura. L'attacco fu non sui contenuti che Borsellino esprimeva, ma direttamente alla sua persona. Oggi, vedo la stessa intolleranza. Certo, con uno spiegamento di uomini e mezzi molto più massiccio". Ieri, il Giornale le ha dedicato il titolo di apertura: "Questo magistrato deve dimettersi. Il pm Ingroia getta la maschera e attacca il governo in piazza". "Già in passato ho avuto modo di sentirmi diffamato, mi sono rivolto alle vie legali e ho avuto soddisfazione. Anche questa volta, vedo un intento denigratorio. Darò mandato ai miei legali di valutare i presupposti per un'azione legale". Quale significato ha dato alla sua partecipazione al "C-day"? "Intanto, non era una manifestazione di partito. Era solo un'iniziativa in difesa della Costituzione 1. Non vedo nulla di strano che un magistrato vi partecipi e dica la sua su un progetto di riforma costituzionale della giustizia". Il vicepresidente del Csm, Vietti, si è appellato alla "sobrietà" dei magistrati. Il suo intervento è stato sobrio? "Fortemente critico, ma sobrio. Credo di avere il diritto, ma anche il dovere di fare sapere il punto di vista dei magistrati su una questione che riguarda tutti. Non mi sembrano affatto sobri, invece, gli attacchi che gettano fango su chi non la pensa allo stesso modo. Ecco perché ho apprezzato le parole del ministro della Giustizia, che mostra tolleranza nei confronti delle opinioni diverse". Berlusconi parla invece di "dittatura della magistratura". È una chiusura al dialogo con i magistrati sui temi della riforma? "Non ci si può abituare a questi attacchi a testa bassa. Il confronto, anche aspro, su un tema così delicato è assolutamente necessario. Spero ancora che il clima possa rasserenarsi, anche se le premesse non sembrano delle migliori". Il tema della partecipazione dei magistrati al dibattito politico è argomento di discussione anche all'interno dell'Associazione nazionale magistrati. "La posizione dell'Anm è abbastanza chiara. Partecipazione non è sintomo di schieramento con questa o quella parte politica. E in passato nelle mie posizioni, come in quelle di altri magistrati, non sono state risparmiate critiche anche a iniziative legislative che venivano da maggioranze diverse da quella attuale. Non ci si può accusare di partigianeria". Alla manifestazione del "C-Day" è arrivato anche un messaggio di adesione del presidente dell'Anm, eppure le critiche pesanti sono arrivate solo dopo il suo intervento. Si è fatto un'idea del perché? "Io ho detto esattamente le stesse cose degli altri esponenti dell'Anm. Non voglio pensare che ci sia un collegamento con le indagini e i processi di cui mi sto occupando. Se così fosse, saremmo ben al di là dell'attacco alla magistratura, questa sarebbe una sorta di caccia al pm che viene percepito come minaccioso. Mi auguro davvero che non sia così". (14 marzo 2011)
SCUOLA Gelmini: "Gli insegnanti sono troppi in piazza chi manda i figli alle private" Il ministro ospite di Fabio Fazio a "Che tempo che fa": "Per questo li paghiamo troppo poco". Polemica con i manifestanti di sabato
Gelmini: "Gli insegnanti sono troppi in piazza chi manda i figli alle private" MILANO - La ricetta di Maristella Gelmini è: "Meno insegnanti, più soldi". Questo il succo di una intervista del ministro a Che tempo che fa sui RaiTre. Perché "gli insegnanti sono troppi rispetto al bisogno in Italia, e sono pagati pochissimo proprio perchè sono troppi. Dobbiamo pagarli adeguatamente, ma se cresce il numero all'infinito sono proletarizzati". E a proposito di posti di lavoro, il ministro se la prende anche con i bidelli. "Un altro problema, per esempio, è che ce ne sono quasi duecentomila e spendiamo seicentomila euro per le pulizie. Ci sono più bidelli che carabinieri e abbiamo le aule sporche". Per la Gelmini "il vero punto non è quello delle risorse, ma come vengono investite. Il governo non ha fatto tagli alla scuola, ma agli sprechi. La spesa per la scuola negli ultimi anni è infatti aumentata del 30 per cento, non è diminuita". Poi una polemica frontale con la manifestazione 1 in tutta Italia per la Costituzione e la scuola pubblica. "Una manifestazione assolutamente legittima, ma che nasce da un presupposto sbagliato: che il governo abbia attaccato la scuola pubblica". E ancora: "Molti scesi in piazza mandano i figli alla scuola paritaria. Non è una contraddizione, ma lo trovo incongruente, forse non hanno fiducia nella scuola pubblica". Il ministro ribadisce che nell'ultima riforma "non ci sono stati tagli alla scuola, ma tagli agli sprechi". (13 marzo 2011)
2011-01-13 IL C-DAY Un milione di italiani in piazza per difendere Costituzione e scuola Manifestazioni in Italia e all'estero. Ognuna caratterizzata da un'iniziativa particolare. La più grande a Roma. Milano, performance di Dario Fo. A Torino il pianto del soprano Cristina Cordero mentre canta l'Inno di Mameli applaudita dalla gente Un milione di italiani in piazza per difendere Costituzione e scuola L'Orchestra del Regio di Torino in piazza ROMA - Più di un milione di persone ha partecipato alle manifestazioni in difesa della Costituzione e della Scuola pubblica, che si sono tenute in oltre 100 città in Italia e all'estero. E' la cifra che hanno fornito gli organizzatori del C-Day. La più grande si è svolta a Roma 1, con un corteo che da piazza della Repubblica ha raggiunto Piazza del Popolo. Di diverso avviso il Viminale che ha diffuso i dati "ufficiali": sono state quarantatremila le persone che hanno partecipato oggi in varie città italiane alla mobilitazione nazionale a difesa della Costituzione e della scuola pubblica. GUARDA LE FOTO 2 La manifestazione principale è stata organizzata a Roma con la partecipazione di circa venticinquemila persone, sempre secondo i dati della questura. A Bologna hanno partecipato in cinquemila alla manifestazione con corteo; una cifra analoga si è contata a Firenze; numeri minori si sono avuti a Padova (duemila persone), Vicenza (duemila persone) e Reggio Emilia (mille persone). STRISCIONI E MANIFESTI 3 A organizzare le manifestazioni sono stati l'associazione Articolo 21, il Popolo Viola ed altre associazioni. Alle iniziative hanno partecipato anche insegnanti e studenti per difendere la scuola pubblica. Ovunque, senza bandiere di partito, gli italiani convinti che il governo Berlusconi stia intaccando i valori della Costituzione, sono scesi in piazza, unendo trasversalmente posizioni politicamente differenti, ma tutte accumunate proprio dalla difesa della Carta costituzionale, della formazione scolastica e della cultura. LE IMMAGINI DEI LETTORI / 1 4 Alle manifestazioni 5 hanno partecipato anche numerosi esponenti politici, da Pierluigi Bersani, segretario del Pd ad Antonio Di Pietro, leader dell'Idv, da Fabio Granata del Fli a Nichi Vendola, leader del SeL. Partecipazione compatta del mondo della cultura e dello spettacolo, con Dario Fo a Milano e Roberto Vecchioni a Roma che hanno infiammato le piazze. Nella capitale ha aderito anche il presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, Luca Palamara, che ha parlato dal palco. Il corteo di Roma. Una bandiera tricolore 6grande 60 mq ha aperto il corteo romano che è sfilato per le vie del centro, fino a Piazza del Popolo. Brevi momenti di tensione quando gli studenti provenienti dalla Sapienza hanno cercato di raggiungere prima Piazza di Spagna e poi, dopo aver attraversato la folla in piazza del Popolo, hanno proseguito sul lungotevere, dirigendosi prima verso il Vaticano e poi tornando indietro fino alla Bocca della Verità, al Circo Massimo. La manifestazione in piazza del Popolo si è aperta e conclusa con l'Inno di Mameli. LE IMMAGINI DEI LETTORI /2 7 Milano, performance di Dario Fo. Diverse migliaia di persone si sono radunate in Largo Cairoli. Alla manifestazione è intervenuto anche il premio nobel Dario Fo che, riscuotendo applausi continui ha detto: "Ho sognato di svegliarmi in un'Italia con gli arabi qui e con Bossi e tutti i leghisti scappati in Svizzera". Ha partecipato anche Salvatore Borsellino. Alla manifestazione ha aderito anche l'Udc. IL VIDEO DI DARIO FO 8 Trieste, elmetti tricolore. Trecento persone hanno manifestato nella mattinata indossando elmetti tricolore. TUTTI I VIDEO 9 Napoli, bagno in mare . Manifestazione a cui hanno partecipato centinaia e centinaia di persone e che si è conclusa poi a Posillipo con un bagno in mare al grido di "Viva la Costituzione. Torino, il soprano in lacrime. Grande manifestazione iniziata davanti al Teatro Regio con l'orchestra che ha suonato il "Va' Pensiero". La soprano Cristina Cordero 10 è scoppiata in lacrime quando la folla l'ha acclamata durante il canto dell'Inno di Mameli. Firenze, "Bella Ciao". Giornata di mobilitazione con oltre ottomila persone in corteo che cantavano l'Inno di Mameli e "Bella Ciao". Siena, sit in nella provincia. Sit in e presidi nel capoluogo toscano e nella provincia. Bologna per la scuola pubblica. Tremila in corteo: "La scuola pubblica è il diritto allo studio". Genova, panini e Costituzione. Centinaia in piazza hanno distribuito panini "riempiti" di poesie e articoli della Costituzione Palermo, per la cultura. Manifestazione in piazza Verdi a cui hanno partecipato migliaia di persone. Mestre, lettura in piazza. Cinquecento manifestanti al presidio. Sono stati letti gli articoli della Costituzione. Padova, flash mob Corteo con duemila persone che hanno attraversato il centro cittadino. Davanti al Caffé Petrocchi c'è stato un "flash mob" organizzato dagli studenti. Pescara, l'Inno di Mameli. Duecento manifestanti hanno percorso le strade cittadine cantando l'Inno di Mameli e declamando gli articoli della Costituzione. Aosta, Costituzione e scuola. Cento in piazza anche in Valle d'Aosta, per difendere Costituzione e scuola pubblica. Perugia in difesa dei magistrati. Centinaia di persone hanno attraversato le strade cittadine gridando slogan contro Berlusconi e il tentativo di cambiare la Carta Costituzionale. Cartelli e volantini anche in difesa della scuola pubblica e dei magistrati. Pesaro, lettura colettiva. In cento hanno letto articoli della Costituzione. Pisa e Livorno unite per la Costituzione. Anche nelle due città toscane iniziative in piazza per leggere pubblicamente gli articoli della Costituzione. Potenza e Catanzaro per la "Carta". Manifestazioni nel centro cittadino caratterizzate dalla lettura della Costituzione e da slogan in difesa della scuola pubblica e della magistratura. Proteste anche all'estero. Manifestazioni di italiani che vivono all'estero e che vogliono difendere la Costituzione si sono svolte a Francoforte (la più numerosa con centinaia di manifestanti) e a Lille, in Francia, organizzate dalle comunità italiane locali. Altre iniziative si sono tenute ad Amsterdam, Bruxelles, Edimburgo, Ginevra, Helsinki, Madrid, Londra, Praga, Siviglia. Lei motiv per tutte l'Inno di Mameli, e qualche variazione sul tema Iitalia come 'Libertà' di Giorgio Gaber, 'Viva l'italia" di Francesco De Gregori e la più ironica "'Italia sì, Italia no" di Elio e le Storie tese. (12 marzo 2011)
2011-01-12 Diretta Costituzione e scuola pubblica manifestazioni in 100 città A Roma il corteo principale per difendere la Carta e l'istruzione. Previste proteste anche nelle città europee. La Bindi: "In piazza per riscattare la dignità della nostra democrazia". La manifestazione nella capitale aperta dallo striscione "E' W la Costituzione" e da un tricolore grande 60 metri quadri. Centinaia di bandiere tricolori assieme a quelle delle organizzazioni sindacali della scuola. Un gruppo di alunni delle elementari con lo striscione: "La scuola è una cosa meravigliosa". Inno di Mameli e "Bella Ciao" le canzoni più "gettonate" tra i manifestanti. Alla manifestazione di Roma ha aderito anche Luca Palamara, presidente dell'Associazione nazionale magistrati. (Aggiornato alle 18:12 del 12 marzo 2011) 18:12 Pisa e Livorno, si legge la Costituzione in piazza 63 – A Pisa e a Livorno, i manifestanti si sono riuniti per leggere passi della Costituzione, in particolare i Principi fondamentali e gli articoli 33 e 34 dedicati alla scuola. Analoghe iniziative si sono svolte in altre città toscane. 18:11 Pesaro, in cento leggono la Costituzione 62 – Un centinaio tra studenti delle scuole superiori e genitori si sono dati appuntamento questo pomeriggio per un corteo che è sfilato lungo il centro di Pesaro nell'ambito della manifestazione nazionale 'marcia per la Costituzione'. Senza insegne di partito e striscioni, con in mano il Tricolore, i partecipanti hanno scelto i punti strategici del centro per leggere i principali articoli della Costituzione. 17:54 Vendola: "Costituzione carta d'identità della nostra dignità" 61 – "Difendiamo con le unghie e con i denti questa Costituzione che è la carta d'identità della nostra dignità". Lo ha detto questa sera a Bari Nichi Vendola, governatore della Puglia, parlando ad alcune centinaia di persone riunite nei pressi del municipio per la manifestazione in difesa della Costituzione convocata dal movimento Libertà e giustizia e dal popolo Viola. 17:49 Piazza del Popolo, fischi all'annuncio di un videomessaggio di Berlusconi 60 – Alla notizia, data dal palco del C-day dal portavoce di Articolo 21, Beppe Giulietti, dell'arrivo di un nuovo videomessaggio del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, le migliaia di manifestanti che sono a Piazza del Popolo hanno fischiato per alcuni minuti. 17:48 Pescara, duecento manifestanti in piazza 59 – Bandiere tricolori, palloncini, musica e circa duecento manifestanti, oggi pomeriggio, hanno riempito Piazza Sacro Cuore, a Pescara, in occasione della mobilitazione nazionale a difesa della Costituzione e della scuola pubblica. All'iniziativa, promossa a Pescara dalla Cgil e dall'Associazione nazionale partigiani (Anpi) hanno aderito studenti, cittadini, insegnati, forze politiche, sindacali e sociali. Ai manifestanti è stato anche distribuito un libretto con alcuni articoli della Costituzione stampato dal patronato Inca -Cgil. 17:43 Vecchioni infiamma piazza del Popolo 58 – Come un leader politico. Roberto Vecchioni comincia a cantare la sua 'Chiamami ancora amore' e davanti a lui una grande 'piazza Sanremo' si infiamma.L'esibizione del cantautore milanese è stata il momento più emozionante della manifestazione in difesa della Costituzione, organizzata a Roma in pazza del Popolo. La folla ha intonato insieme al cantautore l'ultimo successo di Vecchioni e lo ha accompagnato con uno sventolare di bandiere tricolore. 17:34 Sassari, 500 in piazza 57 – Circa 500 persone hanno partecipato a Sassari, in piazza d'Italia, alla manifestazione "A difesa della Costituzione" organizzata dall'associazione Articolo 21. Tanti i cittadini intervenuti che hanno portato in piazza il tricolore. L'attore sassarese Sante Murizi ha letto una lettera dello scrittore ed ex magistrato Salvatore Mannuzzu. Alla manifestazione è intervenuta anche Anna Sanna, ex sindaco di Sassari dal 1995 al 2000, l'unica donna ad aver ricoperto l'incarico di primo cittadino. 17:30 Studenti verso Bocca della Verità, lungotevere bloccato 56 – Il corteo degli studenti sta transitando sul lungotevere all'altezza del Palazzaccio. Il corteo, secondo quanto si apprende dagli organizzatori, dovrebbe arrivare all'altezza di Bocca della Verità. 17:28 Padova, 2000 in corteo. "flash Mob" davanti al Caffè Pedrocchi 55 – Un corteo di quasi 2000 persone ha concluso a Padova la manifestazione in difesa dalla Costituzione promossa da una quarantina di sigle di rappresentanza del mondo sindacale e sociale. In primo piano gli studenti medi, che intorno allo storico caffè Pedrocchi, fulcro nel '48 dei moti rivoluzionari padovani, hanno dato vita ad un flash mob in cui alternandosi a coppie hanno letto a gran voce gli articoli fondamentali della Carta, oltre a quelli inerenti i principi in difesa della scuola pubblica. I giovani hanno distribuito ai passanti 200 copie della Costituzione. 17:23 Cinquecento in piazza a Mestre 54 – Oltre cinquecento persone, una stima non ancora ufficiale, hanno affollato Piazzetta Coin a Mestre (Venezia), in centro città per la manifestazione del Costituzione Day collegata alla grande iniziativa in corso a Roma. 17:11 Natale (Fnsi): Difendere l'art. 21 della Costituzione 53 – "In piazza oggi c'è l'Italia, non c'è una categoria. Noi siamo qui perchè l'articolo 21 non è il più importante della Costituzione ma all'informazione stanno arrivando ogni giorno attacchi: il primo aprile c'è il rischio che Berlusconi possa comprare il Corriere della Sera. Hanno tirato fuori dal cassetto la legge contro le intercettazioni. Dobbiamo difendere il diritto della gente a sapere". Lo ha detto il presidente dell'Federazione nazionale stampa italiana (Fnsi), Roberto Natale. 17:09 Fassino: "La gente vuole vivere in un paese in cui legge e scuola siano uguali per tutti" 52 – "La gente vuole vivere in un paese diverso da quello del berlusconismo. Un paese in cui la legge è uguale per tutti, in cui la scuola è uguale per tutti, in cui le persone sono rispettate nella loro dignità. C'è voglia di un Paese normale". Lo ha detto Piero Fassino, candidato sindaco di Torino, al 'Costituzione day'. 17:04 Marino: "Manifestazione di tutti gli italiani" 51 – Il costituzione day è "una bella manifestazione di tutti gli italiani che si rispecchiano nei valori della costituzione". Lo afferma il senatore del partito democratico Ignazio Marino presente oggi al corteo di Roma. "Una bella manifestazione, di gente perbene, che si rispecchia nei valori della Costituzione e si impegna in prima persona quando li vede messi in discussione", 17:01 Studenti lasciano piazza del Popolo 50 – Una parte degli studenti sta lasciando in corteo piazza del Popolo e si dirige sul Lungotevere. 16:57 Cgil: "Manifestazione un buon segno di resistenza" 49 – "Un buon segno per non mollare nella difesa della Carta costituzionale italiana". Così il segretario della Cgil di Roma e Lazio, Claudio Di Berardino, ha commentato la manifestazione che si sta tenendo in queste ore a Roma, in Piazza del Popolo. 16:54 Finocchiaro (Pd): "L'Italia s'è desta" 48 – Ricorre a un verso dell'Inno di Mameli, Anna Finocchiaro, per sottolineare il successo della manifestazione per la Costituzione a Roma. "L'Italia s'è desta", ha sottolineato infatti la presidente dei senatori del Pd, 16:52 Fo: "Sogno che Bossi scappi in Svizzera" 47 – "Io sogno, sogno di accorgermi che gli arabi sono arrivati qui e Bossi è scappato in Svizzera assieme a tutti i leghisti". Così il Premio Nobel, Dario Fo ha terminato il suo intervento sul palco della manifestazione organizzata in Largo Cairoli a Milano a tutela della Costituzione. 16:51 Palermo, manifestazione in piazza Verdi 46 – A Palermo precari della scuola, dell'università, organizzazioni studentesche, sindacati, politici e cittadini. In tanti hanno voluto prendere parte al C-Day, la giornata a difesa della Costituzione e, quindi, anche della scuola, dell'università e della cultura, in piazza Verdi, davanti al Teatro Massimo. 16:48 Ingroia: "In gioco il vostro futuro" 45 – "La posta in gioco ha a che fare non tanto con il nostro presente, ma con il vostro futuro". A dirlo è stato il pubblico ministero Antonio Ingroia, dal palco della manifestazione per la Costituzione a Roma. 16:47 Piazza del Popolo. Giornalista libico: "Non fate distruggere la Costituzione" 44 – "Faremo la Resistenza come voi avete fatto 60 anni fa. Da 42 anni non c'è una costituzione in Libia, ma una dittatura". Lo ha detto il giornalista libico Farid Adly durante il suo intervento a piazza del Popolo sul palco del C-day, manifestazione indetta oggi a Roma in difesa della Costituzione italiana. "Non è possibile scendere in piazza (in Libia) - ha aggiunto - ho amici che hanno passato la vita in carcere solo perchè hanno criticato il governo con un articolo. Aiutateci a difendere la nostra gente e non fate distruggere la vostra Costituzione". 16:45 Genova, in piazza cantando l'Inno d'Italia 43 – Cantando l'Inno d'Italia e distribuendo panini con dentro poesie al posto del prosciutto, centinaia di persone sono scese in piazza oggi pomeriggio a Genova per la mobilitazione organizzata da Articolo 21 e Libertà e Giustizia per difendere la Costituzione e la scuola pubblica. 16:43 Palamara (Anm): Aderisco alla manifestazione in difesa della Costituzione 42 – "Aderisco e sono vicino alla vostra iniziativa condividendone le finalità volte a tutelare i principi contenuti nella nostra Carta costituzionale". E' il messaggio inviato da Luca Palamara, presidente dell'Anm, in occasione del C-day. "L'Associazione nazionale magistrati", scrive Palamara, "si riconosce in questi principi ed è oggi più che mai impegnata a difendere nell'interesse della collettività, e cioè di tutti voi, l'autonomia e l'indipendenza della magistratura". 16:41 Bologna, manifestazione per la scuola pubblica 41 – Manifestazione anche a Bologna, oggi pomeriggio, in difesa della scuola pubblica. Circa 3mila persone sono partite in corteo, nel pieno centro città. Tra i manifestanti insegnanti, genitori e molti bambini, di cui una ventina con palloncini colorati in mano, in testa al corteo e dietro allo striscione con lo slogan: "Noi siamo il diritto allo studio, noi siamo la scuola pubblica". 16:36 Studenti: Slogan polemici contro gli organizzatori della manifestazione 40 – Il corteo degli studenti sta entrando con il furgone del Sound system a piazza del Popolo dove è in corso la manifestazione del "C day". Slogan polemici contro gli organizzatori della manifestazione definiti "ipocriti" e "collusi con il potere". "Ricordiamo le rivolte di Tunisia, Egitto e Libia, 14 dicembre sempre", urlano gli studenti riferendosi alla manifestazione di circa tre mesi fa quando nella capitale scoppiarono gravi incidenti. 16:34 Gino Strada: "Costituzione umiliata dalla classe politica italiana" 39 – Il fondatore di Emergency, Gino Strada, è intervenuto questo pomeriggio a Mestre insieme con altre 400 persone circa alla manifestazione in difesa della Carta Costituzionale. "La Costituzione - ha detto Strada - è stata stuprata, umiliata, vilipesa da tutta la classe politica italiana. Trovo perfino indegno che i partiti si presentino in piazza oggi per difenderla, dopo che hanno votato a favore della guerra, del prevalere del privato sul pubblico". "L'unico modo - ha concluso - è che i cittadini riprendano ad organizzarsi autonomamente, riscrivendo le regole del vivere civile" 16:25 Fiorella Mannoia: "In piazza contro l'illegalità dilagante" 38 – "La gente va in piazza perchè l'illegalità in Italia è dilagante". Così la cantante Fiorella Mannoia durante il C-day organizzato in difesa della Costituzione. "Ogni volta che c'è una manifestazione le si dà un titolo - ha aggiunto - ma oggi è più ampia. E' per la legalità, per la Costituzione, per la scuola, per le pari opportunità, per contrastare la volgarità e perchè siamo stanchi". "Siamo stati zitti per troppo tempo - ha concluso Mannoia - è ora che la gente si faccia sentire". 16:23 Aosta, cento in piazza per la Costituzione 37 – Più di un centinaio di persone si sono ritrovate oggi ad Aosta davanti al monumento dedicato ai caduti della Resistenza per la manifestazione in difesa della Costituzione promossa dall'Anpi. Tra i partecipanti erano presenti i segretari del Pd Valle d'Aosta, Raimondo Donzel e della Federazione della sinistra valdostana, Francesco Lucat. 16:19 Gli studenti tornano nel percorso originario del corteo 36 – Dopo una trattativa tra manifestanti e forze dell'ordine, gli studenti hanno fatto dietrofront e sono tornati nel precedente percorso che transita su Trinità de' Monti in direzione piazza del Popolo. 16:18 Corteo a Firenze sulle note dell'Inno di Mameli e "Bella Ciao" 35 – Da una parte sventolano tricolori sulle note dell'Inno di Mameli, dall'altra bandiere rosse con falce e martello, sulle note di Bella ciao. Sono oltre cinquemila, per la questura, molti di più per gli organizzatori, i manifestanti che sfilano per il centro di Firenze a difesa della Costituzione. 16:10 Spezzone corteo studenti bloccato a piazza di Spagna 34 – Un gruppo di studenti dello spezzone del corte C day, ha deviato poco fa per la discesa di via San Sebastianello cercando di raggiungere piazza di Spagna ma trovando, a metà della strada, il blocco degli agenti della Finanza. Il corteo stava transitando per Trinità de' Monti sulla cui scalinata erano già schierati gli agenti in assetto anti-sommossa. Al momento i due gruppi, divisi da un'ottantina di metri, si fronteggiano. 16:01 Milano, anche Dario Fo alla manifestazione 33 – Oltre un migliaio di persone si sono radunate in Largo Cairoli a Milano, in occasione della giornata a difesa della Costituzione. A presentare la manifestazione Piero Ricca, divenuto noto per aver dato del 'puffone' al premier in tribunale a Milano, che sta facendo alternare sul palco gli ospiti. Poco fa è arrivato sotto il palco Dario Fo accolto da numerosi applausi. 15:57 Piazza del Popolo, minuto di silenzio per le vittime del terremoto 32 – Solidarietà al popolo giapponese con un minuto di silenzio per ricordare le vittime del terremoto è arrivata da piazza del Popolo dove è in corso la manifestazione del "C day". Prima dell'inizio degli interventi, l'orchestra "Resistenza musicale" ha suonato il Nabucco cantato a gran voce dai manifestanti. Sul palco intento sono stati letti alcuni articoli della Costituzione. "E' viva la costituzione", è il grande slogan che campeggia sul palco. 15:55 Articoli della Costituzione letti dal palco dagli attori 31 – A piazza del Popolo stanno per cominciare gli interventi dal palco degli attori, tra gli altri, di Ottavia Piccolo, Monica Guerritori, Ascanio Celestini, Paola Lavini e Francesco Testa che leggeranno i primi articoli della costituzione. Per ricordare la vicinanza con la battaglia del popolo libico parlerà un giornalista libico, Farid Adli 15:47 Piazza del Popolo: Si canta "Va pensiero" 30 – La folla di piazza del Popolo, riunita per manifestare in difesa della Costituzione, ha intonato il 'Va pensiero' di Verdi. Dal palco è stato letto poi il primo articolo della Costituzione, tra gli applausi della folla. 15:46 Volantinaggi e presidi anche a Siena 29 – Presidii nel senese per la giornata in difesa della Costituzione e della scuola pubblica si sono svolti oggi pomeriggio a Siena, nella centrale piazza Salimbeni, e a Poggibonsi, in piazzale Rosselli. Questa mattina invece il Partito Democratico senese ha organizzato una serie di volantinaggi davanti alle scuole superiori del capoluogo e della provincia. 15:44 Santelli, Pdl: "Brandiscono la Costituzione come un'arma per dividere" 28 – "Coloro che si autoproclamano novelli sacerdoti della Carta Costituzionale dovrebbero innanzitutto accettare il vero spirito dei Costituenti. È abbastanza inquietante che le vestali della Costituzione siano spesso coloro che in realtà ne privilegiano una lettura di parte, la loro, stravolgendone la portata storica e politica. Più che alla Carta costituzionale molti sembrano affezionati ad un'interpretazione partigiana e settaria di questa. È inoltre grave che la Costituzione scritta nel difficile tentativo di unire, sia brandita come un'arma per dividere". Lo sostiene Jole Santelli, vicepresidente dei deputati del Pdl 15:42 Corteo di Roma arrivato in Piazza del Popolo 27 – Il corteo di Roma è arrivato in piazza del popolo, ma la coda è ancora a Largo di Santa Susanna. Sono migliaia i manifestanti. Fra poco dovrebbero cominciare i comizi sul palco. Il corteo è stato accolto dalle note di "Viva l'Italia" e dagli altoparlanti è stato più volte scandito "Ben arrivati amici della Costituzione" 15:36 Manifestazione anche a Francoforte per la Costituzione italiana 26 – Manifestazione a Francoforte per difendere la Costituzione italiana: sono presenti studenti della comunità italiana in Assia, esponenti politici dell'Emilia Romagna, i giornalisti del "Corriere d'Italia" che ha sede nella città tedesca, i rappresentanti della Consulta degli immigrati emiliano-romagnoli e il segretario della FNSI, Franco Siddi. Tutti hanno in mano il libro della Costituzione italiana 15:33 Milano, centinaia di manifestanti in Largo Cairoli 25 – "Meno Corruzione, più' Costituzione", "Adesso basta! difendiamo la Costituzione" e anche "Uniti per la scuola di tutti per difendere il futuro delle nuove generazioni". Sono alcuni degli striscioni portati in Largo Cairoli dove è da poco iniziato il "Costituzione day", la manifestazione per la difesa della Costituzione. Al presidio stanno partecipando diverse centinaia di persone. 15:32 Torino, l'orchestra del teatro Regio apre la manifestazione 24 – Con l'inno di Mameli l'orchestra del Teatro Regio di Torino, sfidando la pioggia, ha dato inizio alla manifestazione "Difendiamo la Costituzione" che ha radunato migliaia di persone in piazza Castello. I musicisti hanno suonato anche il "Và pensiero", dal Nabucco di Giuseppe Verdi, "scritto per unire - ha detto il direttore - e non per dividere", prima di tornare nel teatro (che si affaccia sulla piazza) per le prove. 15:31 In lacrime il soprano Cristina Cordero mentre canta l'Inno di Mameli 23 – E' scoppiata in lacrime mentre cantava l'inno di Mameli. Cristiana Cordero, soprano dell'orchestra del Teatro Regio di Torino, non ha saputo trattenere l'emozione quando le migliaia di persone in piazza Castello accorse per la manifestazione in difesa della Costituzione si sono unite al coro dei musicisti. "Piango per la mia patria - ha detto al termine dell'esecuzione - perchè non posso concepire che venga distrutto il patrimonio culturale del nostro Paese, e da anni è ormai in corso un vero e proprio attentato alla cultura". 15:30 Studenti in coda al corteo di Roma 22 – Il corteo degli studenti ha raggiunto a via Barberini quello dei C Day partito da piazza della Repubblica. Lo spezzone degli studenti in coda al corteo principale, dove spiccano tricolori e striscioni sulla Costituzione, sta intonando canti come "Figli della stessa rabbia". 15:11 Franceschini: "Ci sono gli anticorpi a difesa della Costituzione" 21 – Oggi a sfilare per le vie di Roma in difesa della Costituzione "c'è tanta gente. Segno che la democrazia ha molti anticorpi più forti del virus di Berlusconi". Lo ha detto Dario Franceschini 14:59 Corteo Roma, presenza politici bipartisan dal Pd al Fli 20 – Tra la folla, rigorosamente senza simboli di partito, anche numerosi esponenti politici di tutte le opposizioni. Folta la delegazione del Pd, con il segretario Pier Luigi Bersani. E' di primo piano anche la rappresentanza di Futuro e libertà, con Flavia Perina, Aldo Di Biagio e l'ex sottosegretario Buonfiglio. 14:57 I manifestanti cantano l'Inno di Mameli. I commercianti applaudono 19 – Mentre il corteo di Roma attraversa via Sistina è un'unica voce quella che canta l'inno di Mameli. I manifestanti, infatti, a braccio, hanno intonato l'inno italiano raccogliendo gli applausi e la solidarietà dei tanti negozianti della via. 14:46 Bersani: "Una piazza per l'alternativa" 18 – "Non è una piazza contro, è una piazza per un'alternativa". Così il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, descrive la manifestazione a difesa della costituzione a Roma alla quale partecipa insieme ad altri esponenti del suo partito."Non c'è un animo contro, è una piazza per una italia diversa", spiega Bersani. "Politica e società civile insieme per una strada di speranza e di ricostruzione". 14:44 Bandiera della pace lunga 25 metri nel corteo a Roma 17 – Non c'è solo la bandiera italiana a colorare il festoso corteo che gira per le vie di Roma per difendere la Costituzione italiana e la scuola pubblica. Un'enorme bandiera della pace, lunga 25 metri ricorda al nostro Paese che la nostra Costituzione stabilisce esplicitamente che l'Italia ripudia la guerra. A portarla la Tavola della pace. 14:42 Cartelli con art. 34 della Costituzione: "La scuola è aperta a tutti" 16 – Moltissimi i cartelli con l "articolo 34" che girano nel corteo: "La scuola è aperta a tutti i capaci e i meritevoli anche se privi di mezzi hanno il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi". 14:35 Sugli zainetti dei bambini in piazza cartelli con l'art. 3 della Costituzione 15 – Un gruppo di bambini che regge lo striscione colorato, hanno tutti attaccato dietro il proprio zainetto l'artcolo 3 che recita "Tutti i cittadini hano pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, razza, lingua, religione, opinione politica, condizioni personali e sociali". 14:33 "La Costituzione non si tocca" gridano i manifestanti 14 – Le note di "Elio e le storie Tese" e di Jovanotti stanno facendo da colonna sonora al corteo in corso a Roma. Sono alcune migliaia le persone che stanno prendendo parte alla manifestazione. "La Costituzione non si tocca", è uno degli slogan che grida la piazza. 14:31 Salatto (Fli) "La piazza non serve" 13 – "Il ricorso alla piazza non ha alcun senso e non rispecchia il nostro modo di fare politica". Così l'eurodeputato di Fli, Potito Salatto. Mentre alcuni parlamentari di Futuro e Libertà hanno scelto di essere oggi in piazza con chi manifesta per la Costituzione, Salatto sottolinea la necessità di dialogare per le riforme. 14:29 Partito anche il corteo degli studenti dalla "Sapienza" 12 – "Oggi chi la 'difende', ieri chi l'ha distrutta. Giù le maschere". Dietro questo striscione circa 200 studenti sono partiti in corteo dall'università di Roma, La Sapienza, per "difendere la Costituzione e la scuola pubblica". Il corteo arriverà in piazza della Repubblica. La manifestazione degli universitari non raggiungerà piazza del Popolo ma devierà il percorso anche in polemica con alcune personalità che interverranno dal palco in piazza del Popolo e che, dicono "fino a ieri non avevano mai difeso la scuola pubblica". 14:16 Partito corteo a Roma: in testa striscione "E' W la Costituzione" 11 – Il corteo da piazza della Repubblica è appena partito. In testa uno striscione con scritto "E' W la Costituzione". Una marea di bandiere tricolori unite a quelle gialle della Gilda degli insegnanti. Un gruppo di ragazzini delle elementari con orecchie di cartone da asino sostiene uno striscione "La scuola è una cosa meravigliosa". Lungo il passaggio del corteo cittadini leggono gli articoli principali della Costituzione 14:03 Roma, tricolore di 60 metri quadri 10 – Comincia a riempirsi piazza della Repubblica da dove, tra breve, partirà il corteo che accompagna la manifestazione "C day", dedicata alla difesa della Costituzione italiana. In piazza, pronti a partire, alcune centinaia di persone. Ad aprire il lungo serpentone un tricolore di 60 metri quadrati sostenuto da 60 volontari. Un'altra grande bandiera è stata portata nella storica piazza capitolina cucita con i colori della pace. 14:02 Corteo a Napoli stamattina e tuffo in acqua a Posillipo 9 – Alcune centinaia di persone questa mattina a Napoli hanno partecipato al corteo in difesa della Costituzione promosso in molte città italiane. I cittadini, senza bandiere di partito ma solo con il tricolore, hanno attraversato le vie del centro per raggiungere piazza del Plebiscito dove sono stati letti alcuni articoli della Costituzione. A Posillipo un gruppo di persone si è tuffato nelle acque gelide del golfo al grido di "w l'Italia". 13:59 Roma, Piazza della Repubblica già gremita 8 – Piazza della Repubblica a Roma, da dove partirà la manifestazione in difesa della Costituzione e dell'istruzione, è già gremita di manifestanti. 13:55 Fassino: "Riaffermare il principio di legalità" 7 – "Viviamo in tempi nei quali nulla è Scontato. Al contrario riaffermare principi di legalità, di democrazia, di rispetto della dignità delle persone è oggi tanto più necessario di fronte ad una destra che non conosce limiti nel destrutturare e nel delegittimare i valori dell'antifascismo e della costituzione e le istituzioni della repubblica". Lo ha scritto Piero Fassino in un messaggio rivolto all'Associazione nazionale partigiani, in occasione della manifestazione a difesa della Costituzione. 13:54 Di Pietro: "L'Idv aderisce anche per promuovere referendum" 6 – Di Pietro: "Oggi l'IdV partecipa con entusiasmo e impegno in tutte le città italiane dove si svolge la giornata in difesa della Costituzione mandando un messaggio in più, è il primo impegno concreto della società civile per invogliare i cittadini ad andare a votare il referendum sul legittimo impedimento perchè solo così ci possiamo liberare di Berlusconi". 13:51 Granata (Fli): "Manifesto senza imbarazzo" 5 – "Vado in piazza - dice Fabio Granata - la manifestazione l'abbiamo organizzata anche noi. Non provo nessun imbarazzo e lo dico da uomo di destra. La Costituzione rappresenta il tessuto connettivo della nazione. A qualcuno fa comodo strumentalizzare la manifestazione per parlare di santa alleanza: quell'ipotesi non è attuale, visto che la situazione è cambiata" 13:50 Cagliari, 500 in piazza 4 – Circa cinquecento persone, con bandiere tricolore (una issata anche su una gru a decine di metri) e in mano il libro della Costituzione, si sono radunate stamane a Cagliari, davanti al Palazzo di Giustizia, per la manifestazione promossa in tutta Italia a difesa della Carta costituzionale 13:49 La Bindi: "Riscattare la dignità della democrazia" 3 – "La mobilitazione nazionale di oggi in difesa della Costituzione è un altro momento significativo di partecipazione civica e popolare. Le cento piazze italiane si riempiranno di cittadini consapevoli che questo è il tempo di riscattare la dignità della nostra democrazia". Lo afferma Rosy Bindi 13:48 Triste, elemetti tricolore 2 – Circa trecento persone sono scese in piazza stamani a Trieste a difesa della Costituzione e per proteggere la scuola pubblica, con tanto di elmetti bianchi "di salvaguardia". In piazza dell'Unità d'Italia, ai piedi della Prefettura, si sono riuniti studenti e cittadini di ogni età con il Tricolore, o bandiere gialle, divenute il simbolo dell'istruzione pubblica nelle recenti manifestazioni. Hanno quindi alternato piccoli comizi alla lettura di alcuni articoli della Costituzione 13:47 Cortei in 100 città 1 – Si svolgeranno in cento città le manifestazioni a difesa della Costituzione e della scuola pubblica (12 marzo 2011)
2011-01-11 LA PROTESTA Domani l'altra Italia scende in piazza E L'Europa risponde, da Siviglia a Bruxelles Ultimi ritocchi degli organizzatori a ventiquattr'ore dalla manifestazione "A difesa della Costituzione". Manifestazione a Roma e in oltre cento città italiane. Cortei anche in numerose città d'Europa di CARMINE SAVIANO Domani l'altra Italia scende in piazza E L'Europa risponde, da Siviglia a Bruxelles Il volantino della manifestazione ROMA - Contro gli attacchi ai diritti e alla scuola pubblica. Per difendersi dalle riforme di Giustizia e Università. L'altra Italia scende in piazza "A difesa della Costituzione" 1. Mancano meno di ventiquattr'ore. E tra gli organizzatori il conto alla rovescia è già scattato. Occhi puntati su piazza del Popolo a Roma. E su altre cento città italiane. La mobilitazione nazionale lanciata da Articolo 21 2, Libertà e Giustizia 3 e Valigia Blu 4 ha fatto il pieno di adesioni. C'è anche il Popolo Viola 5. Partiti, associazioni, sindacati e personaggi della cultura e dello spettacolo. Un fronte democratico. Unito dalla necessità di lasciarsi alle spalle il berlusconismo e le sue scorie. LO SPECIALE 6 / LO SPOT 7 Tra luoghi simbolo. Il corteo che attraverserà la capitale partirà alle 14 da piazza della Repubblica. In testa un tricolore da 200 metri quadrati. Poi, Costituzione alla mano, via per le strade del centro cittadino. L'arrivo a piazza del Popolo. Dove sul palco si alterneranno artisti, costituzionalisti, attori e musicisti. Da Ottavia Piccolo a Monica Guerritore a Ascanio Celestini. Fino alla grande orchestra che eseguirà Dies Irae di Mozart e il Va' pensiero di Verdi. Molto attese le parole di Roberto Vecchioni 8, prof e anche vincitore dell'ultima edizione del Festival di Sanremo 9. Tra gli altri interventi: un genitore della scuola di Adro (quella "invasa" dai simboli leghisti 10 del Sole delle Alpi), rappresentanze del popolo libico, il presidente della Federazionale Nazionale della Stampa 11 Roberto Natale, il costituzionalista Alessandro Pace. Nelle altre città. Quello che viene fuori è un network spontaneo di cittadini. Una communty che utilizzando gli strumenti messi a disposizione dalla rete è riuscita a stilare un denso calendario di iniziative. Tutte per il pomeriggio di domani. Da Napoli a Milano, passando per Andria, Cosenza, Perugia, Martina Franca, Piombino, Rovigo e Trieste. Sit-in, flash mob, micro-cortei in cento città. Una protesta diffusa con ramificazioni anche in Europa: presìdi negli stessi orari a Londra, Amsterdam, Siviglia, Parigi, Praga, Bruxelles, Edimburgo. E dalla Spagna: "Sono un italiano residente in Madrid - si legge in un messaggio inviato agli organizzatori della giornata - con altri concittadini stiamo organizzando un flashmob per manifestare il nostro appoggio alla mobilitazione". In scaletta la lettura di articoli dela Costituzione, "affinché anche il pubblico spagnolo possa ascoltare parte del contenuto della Carta". Gli studenti. Rappresenteranno di sicuro la parte più animata e colorata della manifestazione. Ritornano in piazza dopo le manifestazioni dello scorso dicembre. Studenti e docenti, i partigiani della conoscenza. Insieme per dire "basta" alle politiche del governo su scuola pubblica e istruzione. Dall'Unione degli Universitari 12: "Il 12 marzo noi studenti non staremo a guardare. Scenderemo in piazza contro un governo che continuamente calpesta e umilia la Costituzione Italiana e la nostra dignità di cittadini". E ancora: "Siamo felici che finalmente l'opinione pubblica si sia accorta di quello che sta succedendo alle nostre scuole. E chiediamo a tutti di scendere in piazza al nostro fianco, di non lasciarci soli come troppo spesso è successo quest'autunno". I partiti. All'appello non manca nessuno. In piazza del Popolo saranno presenti anche i militanti dei partiti del centrosinistra. Pd, Idv, Sinistra e Libertà e Federazione della Sinistra. E non mancano adesioni da singoli esponenti del Terzo Polo. Aderiscono a distanza, in collegamento web da Parigi, i finiani de "Il Futurista 13", la rivista online nata dalle ceneri di Fare Futuro Web Magazine. In piazza anche la Cgil. E le associazioni e i comitati non si contano. Un elenco che sfiora quota cento. In aggiornamento costante. Tra le ultime adesioni quella dei "Poeti contro l'oblio", in piazza del Popolo per ribadire la "necessità sociale della memoria per tutto il Paese". Gli umori. Dal comitato promotore: "Ci aspettiamo una bella giornata di sole tanta partecipazione e tanta gioia di stare insieme. Per poter dire ancora una volta che la Costituzione è viva, è bella, e non si tocca. Attenzione però questo non vuol dire che non può essere corretta (come già in passato è stato fatta) ma non può essere modificata e soprattutto non in nome dell'interesse di uno solo, ma del Paese". E sulla grande partecipazione degli italiani all'estero: "Sentono il dovere di contribuire perché il Paese sia all'altezza dei sogni e delle aspettative delle giovani generazioni che vanno via per disperazione". (11 marzo 2011)
2011-01-10 I TAGLI DEL GOVERNO Fus, via altri 50 milioni di euro Il mondo dello spettacolo in rivolta Aggiunti ai 27 milioni "congelati" ieri, fanno in totale 77 milioni. Bondi: "Confido in chi verrà dopo di me, spero che abbia la forza per ribaltare la situazione". A rischio anche la tutela del patrimonio archeologico e i musei.Addetti ai lavori sul piede di guerra. L'opposizione: "Un massacro" Fus, via altri 50 milioni di euro Il mondo dello spettacolo in rivolta Una manifestazione contro i tagli alla cultura ROMA - Sandro Bondi è ancora in carica, ma parla ormai da ex ministro dei Beni culturali. All'indomani della notizia del congelamento di ulteriori 27 milioni 1 dal Fondo unico dello spettacolo. "Comprendo la preoccupazione e la delusione del mondo della cultura in seguito alle ultime notizie riguardanti una ulteriore previsione di riduzione degli investimenti - ha detto - a questo punto posso solo confidare che chi mi succederà a breve abbia l'autorevolezza e la forza di porre rimedio e invertire l'attuale situazione". Peraltro, piove sul bagnato: i tagli - o le risorse "congelate", per usare il termine tecnico - per il complesso della cultura assommano in totale a 77 milioni di euro. Ai 27 di ieri se ne sono aggiunti oggi, nuova "amara sorpresa" (così Bondi l'aveva definita ieri), altri 50 che riguardano l'intero comparto gestito dal ministero dei Beni culturali. Il mondo dello spettacolo è in rivolta e punta alla manifestazione di sabato 12 marzo come momento principale per rovesciare la situazione. Cinecittà a rischio chiusura 2 / L'appello 3 Il motivo del nuovo "taglio" è sempre lo stesso: gli effetti - ricorda la Uil Beni culturali - della norma sui risultati dell'asta per le frequenze per le tlc contenuta in Finanziaria. Nel caso in cui si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alla previsione, il ministro dell'Economia e delle finanze provvede, con proprio decreto - dice la norma - alla riduzione lineare, fino alla concorrenza dello scostamento finanziario riscontrato, "delle missioni di spesa di ciascun ministero". Per il ministero dei Beni culturali, spiega ancora la Uil, la previsione ha comportato a far data da oggi il congelamento di 70 milioni: una mazzata che, per il sindacato, significa "la paralisi operativa di tutta l'attività istituzionale del ministero Beni culturali". A riconoscerlo è lo stesso sottosegretario Francesco Giro: con i tagli è in crisi l'intero settore. Per il Fus poi scende nel dettaglio ricordando che, rispetto alle vecchie risorse, la musica è scesa da 56 a 35 milioni, la lirica da 196 a 122, la danza da 9 a 5, il teatro da 67 a 42, il cinema da 76 a 47. Uno sfacelo, senza appunto parlare dei 50 milioni per tutto il resto che significa - sempre per Giro - mettere in difficoltà la sopravvivenza dei beni, la tutela del patrimonio archeologico, i musei. Addetti ai lavori e opposizione non sono gli unici a protestare: lo stesso sindaco di Roma Gianni Alemanno chiede l'intervento di Berlusconi contro tagli insostenibili. Il mondo del cinema è in prima fila: da Paolo Virzì a Silvio Orlando ai Centoautori 4, tutti chiedono una reazione forte, consci tra l'altro anche del rischio chiusura per Cinecittà Luce. Il maestro Pappano bolla il taglio come frutto di "ignoranza totale" e il direttore di S. Cecilia Bruno Cagli, dopo aver detto che tutto il tagliabile è stato tagliato, annuncia le sue dimissioni per il prossimo 14 marzo. L'opposizione, da Rutelli a Melandri, da Vita a Borghesi, a Chiti alla Cgil, al Pd (che parla di "metodo Marchionne") non solo denuncia il "massacro" della cultura ma chiede con forza a Bondi di farsi da parte subito. Poi ci sono le associazioni di settore: dall'Anac, a Federculture, Federcultura, Arci, Movem09, a Legacoop: tutte schierate contro una politica considerata suicida per il settore. L'Agis annuncia che non parteciperà più alle attività consultive del ministero dei Beni culturali toccando così un punto decisivo: dovrebbe infatti essere la Commissione spettacolo (organo consultivo) a indicare la ripartizione tra i vari settori del Fus. Ma la settimana scorsa la Commissione non si è riunita per protesta contro l'inadeguatezza del vecchio Fus. Figurarsi ora. (10 marzo 2011)
IL MESSAGGIO Napolitano: "La crisi si supera investendo su scuola e ricerca" Nuovo monito del capo dello Stato a favore dei giovani e della loro formazione: "Prestare ascolto alle pressanti richieste e fornire risposte concrete" Napolitano: "La crisi si supera investendo su scuola e ricerca" Giorgio Napolitano ROMA - Nuovo monito di Giorgio Napolitano a favore dei giovani e della necessità di investire sul loro futuro a partire dalla formazione: "E' essenziale promuovere l'innalzamento degli standard formativi e valorizzare le migliori energie intellettuali e creative: soltanto investendo su tali priorità sarà possibile superare le attuali difficoltà di ordine economico e sociale ed affrontare efficacemente le grandi sfide del nostro tempo", sottolinea il presidente della Repubblica in un messaggio di saluto inviato in occasione della conferenza internazionale "Capitale umano e occupazione nell'area europea e mediterranea", in corso a Bologna 1. "Occorre - ha ribadito - come ho più volte sottolineato, prestare ascolto alle pressanti richieste provenienti dal mondo giovanile e fornire risposte concrete a generazioni di studenti che troppo spesso vedono ostacolato il percorso di crescita personale e professionale e vanificate la fiducia e la speranza che hanno motivato il loro impegno nello studio e nella ricerca". "L'indubbio rilievo del tema affrontato merita il più ampio approfondimento, anche in relazione al particolare contesto italiano - sottolinea ancora il capo dello Stato - nell'auspicio che il consolidamento della collaborazione scientifica fra gli istituti univesitari e di ricerca nell'area mediterranea potrà contribuire a rafforzare il processo di arricchimento professionale e di integrazione culturale". "L'articolato programma di interventi e di relazioni - ha concluso Napolitano nel suo messaggio - costituisce un'importante occasione di confronto sulle modalità della formazione accademica e professionale nei diversi paesi presi in esame e sulle reali opportunità di inserimento nel mercato del lavoro offerte ai più giovani". (10 marzo 2011)
2011-01-07 OCCUPAZIONE Laureati travolti dalla crisi bassi stipendi e più precarietà Peggiorano ancora i dati su retribuzioni, occupazione e stabilità. Raddoppia il fenomeno di chi non ha neppure un contratto. I laureati di famiglie operaie guadagnano quasi duecento euro al mese in meno dei colleghi di estrazione borghese. I risultati del rapporto di AlmaLaurea su 400mila giovani di FEDERICO PACE Laureati travolti dalla crisi bassi stipendi e più precarietà LA CRISI non smette di far male. Anche a chi, come i laureati, possiede più strumenti culturali e professionali per reagire ai mutamenti. I numeri parlano chiaro. Gli stipendi perdono ancora potere d'acquisto, le chance di trovare un posto si riducono ulteriormente e i contratti precari sono ormai routine. Intanto risuonano altri due campanelli d'allarme: il lavoro nero raddoppia e la classe sociale di provenienza non smette di condizionare i destini dei giovani. Tanto che tra i "figli" si perpetuano le differenze e le disparità dei "padri", anche laddove non avrebbero più alcuna giustificazione. Sia in termini di euro guadagnati che di riconoscimenti e identificazione nel lavoro. A richiamare l'attenzione sulla questione giovanile, è il nuovo rapporto di AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei neolaureati. Presentata oggi a Roma presso la sede della Crui, l'indagine ha coinvolto 400 mila ragazzi e, con una gran mole di dati, invita operatori e politici a considerare con attenzione la necessità di approntare strumenti per evitare che una risorsa preziosa vada dissipata con inevitabili danni per l'intero Paese. I risultati saranno discussi anche nell'ambito della conferenza internazionale sul capitale umano e l'occupazione che a Bologna, tra giovedì e venerdì prossimi, vedrà confrontarsi decisori, responsabili d'azienda, operatori e esperti del settore. La disoccupazione non smette di crescere. Sia che si esca con la "triennale", sia che lo si faccia con la specialistica, i senza lavoro continuano ad aumentare. Oggi, il 16,2 per cento dei laureati "brevi" è disoccupato a un anno dal conseguimento del titolo di studio. Nel 2008 erano l'11 per cento. Dalla specialistica non arrivano numero migliori. L'involuzione, semmai, è ancora più accentuata: i disoccupati quest'anno sono il 17,7 per cento (erano il 10,8 per cento). Certo è che comunque i laureati nel tempo dimostrano performance migliori dei diplomati. Durante l'intera vita lavorativa, hanno un tasso di occupazione superiore di undici punti percentuali a quella dei diplomati che, senza dubbio, stanno pagando più dolorosamente la crisi. Ad ogni modo, dice l'indagine, diminuisce anche la quota dei laureati che risultano impiegati cinque anni dopo aver conseguito il titolo. In questo caso il campione osservato è quello dei laureati pre-riforma. Tra il 2005 e il 2010 la contrazione è di quasi cinque punti percentuali. Cinque anni fa erano il 90,3 per cento quelli che erano riusciti a trovare impiego. Oggi sono l'85,6 per cento. TABELLA I LAUREATI E LA DISOCCUPAZIONE 1 Economia meglio, biologia peggio. A tre anni dalla laurea, il 75 per cento dei laureati con la specialistica hanno un impiego mentre il 13 per cento è ancora senza e ne sta cercando uno. Tra le diverse facoltà le disparità sono evidenti e indicative, semmai ce ne fosse ancora bisogno, della diversa accoglienza che il mercato dà loro a seconda dei percorsi di studio. I picchi interessano, oltre a chi esce dal percorso medico e professioni sanitarie (98 per cento), i laureati del gruppo economico-statistico, di architettura (entrambi quasi 86 per cento) e quelli di ingegneria (84,7 per cento). All'estremo opposto, i laureati nel gruppo geo-biologico (47,1 per cento), chimico-farmaceutico (48,5 per cento), giuridico (50,2 per cento) e scientifico (62,3 per cento). Ancora più incertezza. Il peggioramento delle condizioni contrattuali dei primi impieghi è comunque costante. I contratti atipici oggi interessano più di quattro laureati "brevi" su dieci. Allo stesso tempo i rapporti di lavoro stabili sono passati dal 50,7 per cento al 46,2. Peggiori sono anche le performance, a un anno dalla laurea, di chi consegue la specialistica. Quest'anno hanno un contratto atipico il 46,4 per cento (erano il 41,4 nel 2008) mentre solo il 35 per cento è riuscito a strappare un contratto stabile. Per chi è uscito dagli atenei cinque anni fa, dato questo che riguarda in particolare i laureati pre-riforma, la stabilità dell'occupazione coinvolge il 71 per cento dei casi. TABELLA I CONTRATTI 2 Il lavoro nero. La cifra che desta più di qualche preoccupazione è quella relativa alla crescita dei "senza contratto". Sempre più giovani laureati lavorano senza avere avuto la possibilità di firmare un contratto. Con il conseguente venire meno di quei diritti che spettano a ogni lavoratore. Niente contributi e niente assicurazione, tanto per fare un esempio. Tra chi ha concluso la specialistica, i laureati occupati senza contratto sono quest'anno il 7 per cento (il doppio di quanti erano nel 2008). Sono aumentati anche i laureati "brevi": oggi sono costretti a lavorare in nero il 6 per cento (erano il 3,8 per cento). Tra gli specialistici a ciclo unico, la quota è quasi dell'11 per cento. Il continuo arretramento degli stipendi. I guadagni perdono ancora di peso e la paga smette, ancor di più, di essere una retribuzione capace di pagare quello che serve per una vita da adulto. In questi anni lo stipendio dei laureati "brevi", in termini reali, è scesa del 5 per cento. Andamento ancora più penalizzante per chi porta a compimento la specialistica. Per loro la caduta del potere di acquisto è stata del 10 per cento. E' chiaro che a chi entra nel mondo del lavoro, a ragione o a torto, le imprese stanno dando sempre meno. Ma anche chi ha alle spalle un po' di anni di esperienza vede peggiorare la propria condizione. A cinque anni dalla laurea, il potere d'acquisto delle retribuzioni dei laureati con un impiego è diminuito, in cinque anni, di quasi il dieci per cento. TABELLE GLI STIPENDI E LA CLASSE SOCIALE 3 / LE RETRIBUZIONI PER LE DIVERSE DISCIPLINE 4 La società immobile. C'è poi la questione dell'ascensore sociale. O meglio della sua assenza. Chi merita di salire i gradini delle classi sociali e realizzare ambizioni, in Italia ci riesce meno che altrove. A cinque anni dal titolo, dicono gli autori dell'indagine, il 73 per cento dei laureati di estrazione borghese ha un contratto stabile. Riesce lo stesso solo al 68 per cento dei loro coetanei di famiglie operaie. Simili disparità si ripropongono nell'ambito retributivo. I laureati della borghesia, dopo cinque anni, hanno uno stipendio di 1.404 euro mentre per chi ha un'estrazione operaia la retribuzione mensile si ferma a 1.249 euro. La fuga dei cervelli. Non si arresta così il fenomeno di chi, volente o nolente, lascia l'Italia. Quest'anno tra i laureati specialistici quelli che hanno scelto di lavorare all'estero sono il 4,5 per cento. Anche qui, in qualche modo, si ripropone il tema della famiglia. E dell'aiuto, in diverse forme, che essa può dare. La maggior parte di loro proviene da famiglie economicamente favorite, risiede e ha studiato al Nord. E già durante l'università ha avuto esperienze di studio al di fuori del proprio Paese. Fuori dall'Italia spesso le condizioni sono migliori. Ad un anno dalla laurea, ha un lavoro stabile il 48% degli italiani occupati all'estero, 14 punti percentuali in più rispetto al complesso degli specialistici italiani occupati in patria. Inoltre, gli specialistici che si sono trasferiti all'estero guadagnano 1.568 euro. Chi rimane si deve accontentare di 1.054 euro. La Commissione Europea ha fissato al 40 per cento l'obiettivo strategico della quota di laureati per la popolazione di età tra 30 e 34 anni. Da raggiungere entro il 2020. Oggi in Italia non siamo neppure alla metà, mentre poca attenzione viene riservata anche agli investimenti nell'istruzione e nella ricerca. Sbaglia, ci dice l'Europa, chi crede che il destino dei laureati appartenga solo a loro e non a quello di tutto una nazione. (07 marzo 2011)
OCCUPAZIONE Laureati travolti dalla crisi bassi stipendi e più precarietà Peggiorano ancora i dati su retribuzioni, occupazione e stabilità. Raddoppia il fenomeno di chi non ha neppure un contratto. I laureati di famiglie operaie guadagnano quasi duecento euro al mese in meno dei colleghi di estrazione borghese. I risultati del rapporto di AlmaLaurea su 400mila giovani di FEDERICO PACE Laureati travolti dalla crisi bassi stipendi e più precarietà LA CRISI non smette di far male. Anche a chi, come i laureati, possiede più strumenti culturali e professionali per reagire ai mutamenti. I numeri parlano chiaro. Gli stipendi perdono ancora potere d'acquisto, le chance di trovare un posto si riducono ulteriormente e i contratti precari sono ormai routine. Intanto risuonano altri due campanelli d'allarme: il lavoro nero raddoppia e la classe sociale di provenienza non smette di condizionare i destini dei giovani. Tanto che tra i "figli" si perpetuano le differenze e le disparità dei "padri", anche laddove non avrebbero più alcuna giustificazione. Sia in termini di euro guadagnati che di riconoscimenti e identificazione nel lavoro. A richiamare l'attenzione sulla questione giovanile, è il nuovo rapporto di AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei neolaureati. Presentata oggi a Roma presso la sede della Crui, l'indagine ha coinvolto 400 mila ragazzi e, con una gran mole di dati, invita operatori e politici a considerare con attenzione la necessità di approntare strumenti per evitare che una risorsa preziosa vada dissipata con inevitabili danni per l'intero Paese. I risultati saranno discussi anche nell'ambito della conferenza internazionale sul capitale umano e l'occupazione che a Bologna, tra giovedì e venerdì prossimi, vedrà confrontarsi decisori, responsabili d'azienda, operatori e esperti del settore. La disoccupazione non smette di crescere. Sia che si esca con la "triennale", sia che lo si faccia con la specialistica, i senza lavoro continuano ad aumentare. Oggi, il 16,2 per cento dei laureati "brevi" è disoccupato a un anno dal conseguimento del titolo di studio. Nel 2008 erano l'11 per cento. Dalla specialistica non arrivano numero migliori. L'involuzione, semmai, è ancora più accentuata: i disoccupati quest'anno sono il 17,7 per cento (erano il 10,8 per cento). Certo è che comunque i laureati nel tempo dimostrano performance migliori dei diplomati. Durante l'intera vita lavorativa, hanno un tasso di occupazione superiore di undici punti percentuali a quella dei diplomati che, senza dubbio, stanno pagando più dolorosamente la crisi. Ad ogni modo, dice l'indagine, diminuisce anche la quota dei laureati che risultano impiegati cinque anni dopo aver conseguito il titolo. In questo caso il campione osservato è quello dei laureati pre-riforma. Tra il 2005 e il 2010 la contrazione è di quasi cinque punti percentuali. Cinque anni fa erano il 90,3 per cento quelli che erano riusciti a trovare impiego. Oggi sono l'85,6 per cento. TABELLA I LAUREATI E LA DISOCCUPAZIONE 1 Economia meglio, biologia peggio. A tre anni dalla laurea, il 75 per cento dei laureati con la specialistica hanno un impiego mentre il 13 per cento è ancora senza e ne sta cercando uno. Tra le diverse facoltà le disparità sono evidenti e indicative, semmai ce ne fosse ancora bisogno, della diversa accoglienza che il mercato dà loro a seconda dei percorsi di studio. I picchi interessano, oltre a chi esce dal percorso medico e professioni sanitarie (98 per cento), i laureati del gruppo economico-statistico, di architettura (entrambi quasi 86 per cento) e quelli di ingegneria (84,7 per cento). All'estremo opposto, i laureati nel gruppo geo-biologico (47,1 per cento), chimico-farmaceutico (48,5 per cento), giuridico (50,2 per cento) e scientifico (62,3 per cento). Ancora più incertezza. Il peggioramento delle condizioni contrattuali dei primi impieghi è comunque costante. I contratti atipici oggi interessano più di quattro laureati "brevi" su dieci. Allo stesso tempo i rapporti di lavoro stabili sono passati dal 50,7 per cento al 46,2. Peggiori sono anche le performance, a un anno dalla laurea, di chi consegue la specialistica. Quest'anno hanno un contratto atipico il 46,4 per cento (erano il 41,4 nel 2008) mentre solo il 35 per cento è riuscito a strappare un contratto stabile. Per chi è uscito dagli atenei cinque anni fa, dato questo che riguarda in particolare i laureati pre-riforma, la stabilità dell'occupazione coinvolge il 71 per cento dei casi. TABELLA I CONTRATTI 2 Il lavoro nero. La cifra che desta più di qualche preoccupazione è quella relativa alla crescita dei "senza contratto". Sempre più giovani laureati lavorano senza avere avuto la possibilità di firmare un contratto. Con il conseguente venire meno di quei diritti che spettano a ogni lavoratore. Niente contributi e niente assicurazione, tanto per fare un esempio. Tra chi ha concluso la specialistica, i laureati occupati senza contratto sono quest'anno il 7 per cento (il doppio di quanti erano nel 2008). Sono aumentati anche i laureati "brevi": oggi sono costretti a lavorare in nero il 6 per cento (erano il 3,8 per cento). Tra gli specialistici a ciclo unico, la quota è quasi dell'11 per cento. Il continuo arretramento degli stipendi. I guadagni perdono ancora di peso e la paga smette, ancor di più, di essere una retribuzione capace di pagare quello che serve per una vita da adulto. In questi anni lo stipendio dei laureati "brevi", in termini reali, è scesa del 5 per cento. Andamento ancora più penalizzante per chi porta a compimento la specialistica. Per loro la caduta del potere di acquisto è stata del 10 per cento. E' chiaro che a chi entra nel mondo del lavoro, a ragione o a torto, le imprese stanno dando sempre meno. Ma anche chi ha alle spalle un po' di anni di esperienza vede peggiorare la propria condizione. A cinque anni dalla laurea, il potere d'acquisto delle retribuzioni dei laureati con un impiego è diminuito, in cinque anni, di quasi il dieci per cento. TABELLE GLI STIPENDI E LA CLASSE SOCIALE 3 / LE RETRIBUZIONI PER LE DIVERSE DISCIPLINE 4 La società immobile. C'è poi la questione dell'ascensore sociale. O meglio della sua assenza. Chi merita di salire i gradini delle classi sociali e realizzare ambizioni, in Italia ci riesce meno che altrove. A cinque anni dal titolo, dicono gli autori dell'indagine, il 73 per cento dei laureati di estrazione borghese ha un contratto stabile. Riesce lo stesso solo al 68 per cento dei loro coetanei di famiglie operaie. Simili disparità si ripropongono nell'ambito retributivo. I laureati della borghesia, dopo cinque anni, hanno uno stipendio di 1.404 euro mentre per chi ha un'estrazione operaia la retribuzione mensile si ferma a 1.249 euro. La fuga dei cervelli. Non si arresta così il fenomeno di chi, volente o nolente, lascia l'Italia. Quest'anno tra i laureati specialistici quelli che hanno scelto di lavorare all'estero sono il 4,5 per cento. Anche qui, in qualche modo, si ripropone il tema della famiglia. E dell'aiuto, in diverse forme, che essa può dare. La maggior parte di loro proviene da famiglie economicamente favorite, risiede e ha studiato al Nord. E già durante l'università ha avuto esperienze di studio al di fuori del proprio Paese. Fuori dall'Italia spesso le condizioni sono migliori. Ad un anno dalla laurea, ha un lavoro stabile il 48% degli italiani occupati all'estero, 14 punti percentuali in più rispetto al complesso degli specialistici italiani occupati in patria. Inoltre, gli specialistici che si sono trasferiti all'estero guadagnano 1.568 euro |