Karol
Józef nasce a Wadowice, a 50 chilometri da Cracovia (Polonia del sud),
da Karol Wojtyla, 41 anni, sottufficiale dell’esercito austriaco, e da
Emilia Kaczorowska, 36 anni, casalinga.
Il
piccolo Karol riceve il battesimo nella chiesa parrocchiale della
Presentazione della Beata Vergine Maria, a Wadovice, dal cappellano
militare Franciszek Zak. Vive al primo piano di via Rynek 3, accanto a
una famiglia di ebrei proprietaria dello stabile. Dalla finestra si nota
un orologio solare con la scritta: «Il tempo passa, l’eternità
aspetta». [www.karol-wojtyla.org]
Karol
Wojtyla inizia a frequentare la scuola elementare. È un bambino
diligente e ottiene buoni voti: “molto buono” in religione, condotta,
disegno, canto e ginnastica. “Buono” in tutte le altre materie. Poi
frequenta il ginnasio statale “Marcin Wadowita”. [Fo. 3/4/2005]
Tornando
da scuola per pranzo, Karol Wojtyla, che il mese prossimo compirà nove
anni, viene a sapere della scomparsa della madre, morta dopo una lunga
malattia. «Emilia Kaczorowska, da ragazza, era la più bella ed elegante
di Wadovice. Abitavamo nella stessa casa. Era snella, aveva profondi
occhi neri e un sorriso disarmante. Di carattere era gaia e sempre
serena. Vestiva modestamente, ma era distinta, molto femminile. Si
confezionava lei stessa i vestiti. Aveva capelli lunghi e si pettinava,
come si usava allora, puntandoli tutti in alto» (Maria Janina, amica e
vicina di casa di Emilia). [www.santiebeati.it]
Il
piccolo Karol, detto Lolek, riceve per la prima volta il sacramento
dell’eucarestia. Ha approfittato dell’abbassamento dell’età per la Prima
comunione che era stato deciso da Pio X nel 1910. [30Gio. 2/2005] Jerzy
Kluger, uno dei suoi amici più stretti, ricorda che «i primi sci li ha
regalati a Karol la mia nonna. Insieme abbiamo letto le storie di
Winetou…
per poter dopo giocare in mezzo ai cespugli sulla riva di Scava come
guerrieri di pellerossa; Laskowiec, la cima del monte, era la meta delle
nostre gite scolastiche. Karol ascoltava con attenzione i concerti
organizzati a casa mia e partecipava ai concorsi di recita a scuola». A
calcio, Lolek era molto capace in porta, forte nelle uscite basse sui
piedi dei giocatori. [www.karol-wojtyla.org]
Lunedì 5 Dicembre 1932
Muore Edmund, fratello di Wojtyla
Il
fratello di Karol Wojtyla, Edmund, medico, muore a 26 anni, nel 1932,
durante un’epidemia di scarlattina. La sorella Olga, invece, era morta
poco dopo la nascita, nel 1914. [Fo. 3/4/2005]
Il diciottenne Karol Wojtyla riceve il sacramento
nella parrocchia di Wadovice dalle mani del metropolita di Cracovia,
l’arcivescovo Adam Sapieha. A nome degli altri ragazzi saluta Sapieha
con un discorso in perfetto latino che stupisce tutti, il vescovo per
primo.
Karol
Wojtyla dà l’esame la maturità al liceo di Wadowice (Polonia). «Wojtyla
– dice la signora Barbara, insegnante di matematica – era un ragazzo
molto intelligente. Da sacerdote ci capitò di “rimproverarlo” per omelie
troppo filosofiche, ma poi quando fu eletto Papa sentivamo che sapeva
davvero parlare alla gente». [www.karol-wojtyla.org]
Domenica 22 Maggio 1938
Teatro e letteratura, passioni di Wojtyla
Karol
Wojtyla frequenta i corsi di Letteratura polacca all’Università di
Cracovia. Appassionato anche di teatro, si iscrive allo “Studio 38”,
circolo teatrale fondato da Tadeusz Kudliński. [www.vatican.va]
La
Germania invade la Polonia. È un venerdì, e come ogni primo venerdì del
mese Karol Wojtyla va a confessarsi nella cattedrale del Wawel (la
collina dove sorge il castello reale, cuore della nazione), mentre le
bombe piovono su Cracovia. Oltre al Wawel, i nazisti chiudono diverse
istituzioni tra cui l’università Jagellonica frequentata da Wojtyla.
[Andrea Riccardi,
Giovanni Paolo II. La biografia, San Paolo]
Venerdì 1 Novembre 1940
Wojtyla, le cave di pietra e il teatro
Per non essere deportato dai tedeschi, Wojtyla si
mette a lavorare nelle cave di pietra di Zakrzówek vicino a Cracovia,
come aiutante del brillatore delle mine. In un seminterrato mette in
scena un clandestino Teatro rapsodico: ha poche decine di
spettatori. Halina Krolikiewicz, compagna di scena di Karol: «Era come
una battaglia fatta con le parole in aiuto di quella fatta con le armi
dall’armata polacca». [Fo. 3/4/2005]
Karol Wojtyla senior muore per un infarto. Il figlio
lo trova senza vita al suo ritorno dal lavoro. Aveva 63 anni, era un
sottufficiale dell’esercito polacco in pensione anticipata per motivi di
salute. Da giovane «era alto, con spalle molto dritte e aveva un
incedere armonioso. Gli stivali lunghi e la divisa militare con le
scintillanti tre stellette di sottufficiale sul colletto gli davano
fascino ed eleganza. Era molto ammirato dalle ragazze» (Maria Janina, la
vicina di casa). [www.santiebeati.it]
Wojtyla inizia a frequentare corsi clandestini della
facoltà di Teologia come seminarista. «La morte del padre, il distacco
dal mondo universitario con la guerra, infine la presa di distanza dal
mondo del teatro che prima gli sembrava il suo futuro, determinarono un
processo che lo spinse a riflettere sempre più sul fatto che “il Signore
vuole che io diventi sacerdote”». [Andrea Riccardi, Giovanni Paolo II. La biografia, San Paolo]
Il
primate di Polonia, cardinale Adam Sapieha, ordina sacerdote Karol
Wojtyla e decid di mandarlo Roma per continuare gli studi. Consegue il
dottorato in Teologia all’Angelicum, l’università dei domenicani, con
una tesi su san Giovanni della Croce (la mistica è uno dei suoi pallini,
come la poesia, e per qualche tempo medita di farsi monaco
carmelitano).
Karol Wojtyla celebra la prima messa nella cattedrale
del Wawel che i nazisti avevano tenuto chiusa per tutta la durata della
guerra. «Ho vissuto il tragico periodo quando il governatore nazista
Hans Frank si stabilì nel castello del Wawel, sul quale fu issata la
bandiera uncinata. Per me fu un’esperienza particolarmente dolorosa».
[Andrea Riccardi, Giovanni Paolo II. La biografia, San Paolo]
Durante le vacanze pasquali Wojtyla prima va ad
Assisi, poi visita San Giovanni Rotondo dove assiste alla messa di padre
Pio da Pietrelcina. Al frate cappuccino avrebbe chiesto di pregare per
la guarigione di una cara amica, Wanda Poltawska (un legame che durerà
tutta la vita e che farà nascere qualche pettegolezzo). Tornerà a San
Giovanni Rotondo il 1° novembre 1974.
La
parrocchia a cui viene assegnato don Karol Wojtyla è quella di
Niegowic, presso Gdów, un posto di gente semplice in cui si fa subito
ben volere. Nell’agosto dell’anno successivo viene spostato nella
parrocchia di San Floriano, a Cracovia, mentre il cardinale Sapieha gli
chiede di continuare gli studi. La cosa non lo entusiasma, preferirebbe
lavorare con i giovani della sua parrocchia. [Andrea Riccardi,
Giovanni Paolo II. La biografia, San Paolo]
La
tesi di abilitazione alla docenza che presenta alla facoltà di Teologia
dell’università Jagellonica (riaperta dopo gli anni della guerra) si
intitola “Valutazione delle possibilità di costruire l’etica cristiana
sulla base del sistema di Max Scheler”. La filosofia personalista
diventa la sua chiave di lettura del mondo. Anni dopo don Tadeusz
Styczeń, suo amico e collaboratore, definirà così il suo carisma: «È un
papa affascinato da Dio in ragione dell’uomo e affascinato dall’uomo in
ragione di Dio». [Graziano Borgonovo,
Giovanni Paolo II: una passione continua per l’uomo, Rubbettino]
Wojtyla
viene nominato sostituto ufficiale del professore titolare e impiegato
di ruolo dell’Università Cattolica di Lublino. Le sue lezioni sono molto
seguite dagli studenti. «Allora la cosa più importante erano diventati i
giovani, che mi ponevano non tante domande sull’esistenza di Dio, ma
precisi quesiti su come vivere, cioè sul modo di affrontare e risolvere i
problemi dell’amore e del matrimonio, nonché quelli legati al mondo del
lavoro». [Andrea Riccardi,
Giovanni Paolo II. La biografia, San Paolo]
Papa Pio XII nomina Karol Wojtyla vescovo ausiliare di
Cracovia. I servizi segreti del regime comunista, che da tempo lo
tengono d’occhio, intensificano la sorveglianza. Nel suo appartamento
vengono installate delle microspie. L’anticomunismo prende forma da
queste esperienze quotidiane di sorveglianza e di intimidazione. [Andrea
Riccardi, Giovanni Paolo II. La biografia, San Paolo]
Il
vescovo di Cracovia è in San Pietro con altre migliaia di prelati per
la solenne apertura del concilio. Non diventa un big dell’assemblea ma
si fa notare per qualche intervento ben pensato; anche il grande teologo
francese Henri de Lubac, nei suoi diari del concilio, parla con
simpatia di «mons. Wojtyla». [Fo. 27/10/2009]
Paolo
VI nomina il vescovo ausiliare di Cracovia a capo della diocesi, di cui
prende possesso l’8 marzo 1964. Nel settembre dello stesso anno, prende
parte alla terza sessione del concilio, si occupa soprattutto di
questioni pastorali.
Concistoro
nella Cappella Sistina. Karol Wojtyla viene creato cardinale e
pubblicato del titolo di San Cesareo in Palatio. Il neocardinale di
Cracovia entra a far parte della commissione vaticana voluta da Paolo VI
sul problema della popolazione e della limitazione delle nascite, ma
non vota con la maggioranza che si esprime a favore dei contraccettivi e
resterà a fianco di papa Montini anche dopo la pubblicazione
dell’enciclica
Humanae vitae.
Domenica 7 Marzo 1976
Quaresima, le meditazioni di Wojtyla
Il
cardinale di Cracovia viene invitato a tenere le meditazioni della
Quaresima a papa Paolo VI e alla curia romana. È un privilegio che a
volte anticipa ulteriori riconoscimenti o scatti di carriera. Nel caso
di Wojtyla è anche il modo per tenere i contatti con gli altri membri
del collegio cardinalizio, lui che viene da oltrecortina. Dal 1962
(inizio del concilio) al conclave del 1978 andrà a Roma ben trentuno
volte.
Alle
21.40, per un edema polmonare, Paolo VI muore nella sua residenza di
Castel Gandolfo. Nel suo testamento chiedeva funerali «pii e semplici.
La tomba: amerei che fosse nella vera terra, con umile segno, che
indichi il luogo e inviti a cristiana pietà. Niente monumento per me».
S’è
aperto il conclave. I papabili sono l’arcivescovo di Genova, cardinale
Giuseppe Siri, l’arcivescovo di Firenze, cardinale Giovanni Benelli, e
il cardinale Albino Luciani, patriarca di Venezia, per il quale
intendono votare coloro che auspicano un’apertura internazionalista del
Vaticano. Luciani, tuttavia, chiede di non essere preso in
considerazione e, anzi, è lui a parlare per primo di un papa straniero
(il suo voto è per il cardinale Aloisio Lorscheider). Il conclave si
conclude dopo sole quattro votazioni e alle 19.18 il cardinale Pericle
Felici, protodiacono, annuncia l’Habemus Papam. Luciani è 263º
successore di Pietro (101 voti tra i 111 cardinali) con il nome di Papa
Giovanni Paolo I. Il cardinale di Cracovia, Karol Wojtyla, ha preso
cinque voti.
Nella
notte tra il 28 e il 29 settembre, colpito probabilmente da un infarto
del miocardo, muore improvvisamente Giovanni Paolo I, detto anche “il
papa del sorriso”, dopo soli trentatré giorni di pontificato. Alcuni
chiedono l’autopsia, che però viene negata perché non prevista dal
protocollo.
Il
collegio dei cardinali deve designare il successore di Albino Luciani,
papa per soli trentatré giorni. Wojtyla aveva preso già cinque voti al
conclave di due mesi prima che aveva eletto Giovanni Paolo I, ma
inizialmente i contendenti sono ancora due italiani, il conservatore
Siri e il progressista Benelli. La situazione sembra non sbloccarsi, i
due partiti si fronteggiano. Alla fine del primo giorno, però, il
cardinale di Vienna König fa il nome di Wojtyla. Il primate di Polonia
Wyszynski è perplesso. «È un santo, un mistico, un pastore, un filosofo,
ma non è un grande amministratore», dice a un collega che gli chiede
informazioni. Ma la sua candidatura prende quota velocemente e alla fine
viene eletto con 99 voti su 111. [Andrea Riccardi,
Giovanni Paolo II. La biografia, San Paolo]
All’arrivo
dalla Polonia, qualche giorno prima del conclave, il cardinale di
Cracovia era stato ripetutamente fotografato dal reporter Franco De Leo.
«Perché mi fa tutte queste fotografie? Non crederà mica che possa
essere io il nuovo papa?», gli aveva detto. Quindi, mettendo una mano
sulla spalla dei reporter, si era abbandonato a una franca risata.
[Arminio Savioli, Un. 17/10/1978]
Elezione Papa Giovanni Paolo II, al secolo Karol Józef Wojtyla, 16 ottobre 1978,
Alle
17.17 la fumata bianca. Alle 18.45 il cardinale Pericle Felici
proclama: «Habemus Papam». Il 264° della Chiesa cattolica. La folla dei
fedeli in piazza San Pietro è incuriosita, il nome suona nuovo, esotico:
«Wojtyla? Ma è un africano?». Invece è l’arcivescovo di Cracovia, 58
anni, il primo papa non italiano dal 1523, dalla morte di Adriano VI,
olandese di Utrecht. Alla sera, al suo segretario don Stanislao che lo
raggiunge nel recinto del conclave dice in romanesco: «Li possano…». Si
riferisce ai cardinali che lo hanno eletto. [Stanislaw Dziwisz,
Una vita con Karol, Rizzoli] Se lui è spiazzato, lo sono anche i servizi segreti dell’Est. Proprio non se l’aspettavano.
«Se mi sbaglio, mi corrigerete»•
Duecentomila fedeli aspettano la benedizione del Papa in piazza San
Pietro e quando alle 19.15 si affaccia al balcone, è uno scroscio di
evviva, battimani e fazzoletti sventolati. Il suo primo discorso dura
alcuni minuti e rompe la tradizione che voleva il Papa eletto in
silenzio: «Sia lodato Gesù Cristo! Carissimi fratelli e sorelle, siamo
ancora tutti addolorati dopo la morte dell’amatissimo papa Giovanni
Paolo I. Ed ecco gli eminentissimi cardinali hanno chiamato un nuovo
vescovo di Roma. Lo hanno chiamato di un paese lontano... Lontano, ma
sempre così vicino per la comunione nella fede e nella tradizione
cristiana. Io ho avuto paura di ricevere questa nomina, ma l’ho fatto
nello spirito dell’obbedienza verso il nostro Signore e nella fiducia
totale alla sua madre, Madonna Santissima. Anche non so se potrei bene
spiegarmi nella vostra... la nostra lingua italiana. Se mi sbaglio, mi
corrigerete! E così mi presento a voi tutti, per confessare la nostra
fede comune, la nostra speranza, la nostra fiducia alla Madre di Cristo e
della Chiesa e anche a incominciare di nuovo su questa strada della
storia e della Chiesa, di incominciare con l’aiuto di Dio e con l’aiuto
degli uomini».
•
Al Corriere della Sera in redazione avevano preparato 17 biografie di
arcivescovi papabili, ma non la sua. «C’è un bell’aneddoto (ce ne sono a
bizzeffe) su Wojtyla, già cardinale, fermato sui Tatra dalle guardie
mentre sciava. Il poliziotto: “Stupido, ti rendi conto a chi hai rubato i
documenti? Starai al fresco per un bel po’”. “Ma sono davvero io”. “Un
cardinale che scia? Mi prendi per scemo?”. Il Cremlino delle divisioni e
i sottocapi del regime di Varsavia si comportarono poi più o meno con
la stessa incredulità delle guardie di frontiera». [Adriano Sofri, la
Repubblica 12/10/2003].
• L’evento in Italia viene trasmesso a
reti unificate dalle due reti televisive, inserendosi nei due
telegiornali. Telecronisti per il Tg1 Paolo Frajese e Bruno Vespa, per
il Tg2 Italo Gagliano e Pino di Salvo (I programmi serali previsti sono
slittati dalle 20.40 alle 21.20, senza subire però cambiamenti).
«Se
sei diventato Papa… non devi soltanto pregare, ma anche governare»,
scrive a Giovanni Paolo II l’amica Wanda. [Wanda Poltawska, Diario di un’amicizia,
San Paolo] Lo farà spiazzando tutti «con la sua imprevedibile mobilità,
la sua spregiudicatezza antiprotocollare, infliggerà duri colpi alla
piramide curiale del Vaticano. Papa più di missione che non di governo,
Giovanni Paolo II non si curerà molto della curia romana e dei suoi
meccanismi, preferendo delegare ai collaboratori la gestione di questa
“macchina” di antichissima e pietrificata tradizione» [Enzo Bettiza,
Sta. 11/10/2003].
Giovanni
Paolo II parte per il suo primo viaggio apostolico. Destinazione Santo
Domingo, Messico e Bahamas. Alle 7.45 arriva all’aeroporto di Fiumicino
dove lo attende il presidente del Consiglio Andreotti (un grande amico
che sosterrà anche dopo il processo per mafia). «Sarà il primo di una
lunga serie di viaggi», ha annunciato il giorno prima. A Santo Domingo,
appena sceso dalla scaletta dell’aereo si china a baciare la terra
(gesto che ripeterà in ogni viaggio finché le forze lo sosterranno).
Redemptor hominis:
pubblicata oggi, è la prima enciclica di Giovanni Paolo II, che ne
scriverà altre 13, oltre a 15 esortazioni apostoliche, 11 costituzioni
apostoliche e 45 lettere apostoliche. Altri documenti fondamentali del
suo pontificato: il nuovo Codice di diritto canonico e il Catechismo
della chiesa cattolica. Cinque i libri: Varcare la soglia della speranza (ottobre 1994); Dono e mistero (novembre 1996); Trittico romano (marzo 2003); Alzatevi, andiamo! (maggio 2004), Memoria e identità (febbraio 2005).
•
La giornata tipo del Papa: sveglia alle 5.30, alle 6 preghiera nella
cappella privata, alle 7 messa con le religiose polacche che lo
accudiscono. Dalle 8 alle 8.45 prima colazione col segretario. Dalle 9
alle 11 lavora alla scrivania, scrive in polacco. Dalle 11 alle 13
udienze particolari (500 circa l’anno, quasi 700 i capi di Stato
ricevuti nel corso del pontificato). Il mercoledì udienza generale. Tra
le 14 e le 15 pranzo e breve riposo. Alle 16 esame dei problemi
internazionali, alle 18.30 quelli di curia. Rosario alle 20, cena,
notiziari tv e poi ancora nello studio. Alle 22.45 ultima preghiera
nella cappella privata e alle 23 in camera [Il Foglio 3/4/2005]. Quasi
sempre ha degli ospiti a colazione o a pranzo. «Si pranza molto in
fretta perché il papa alle due va un po’ a riposare. Quanto ai cibi, si
cucina alla polacca e si mangia come si mangiava a casa di mia madre.
Cito, a esempi pastina in brodo, scaloppine con verdura e poi della
composta di frutta. Da bere c’è vino bianco e dopo del tè» (lo scrittore
ebreo polacco Marek Halter, amico del papa). [Cds 3/10/2000]
Papa
Wojtyla è a Varsavia. Ad acclamarlo 300mila fedeli. Immensa la
commozione quando il Papa è entrato nella città vecchia: dappertutto
c’erano altari gialli e celesti, lampade accese, immagini di Wojtyla,
stemmi pontifici, bambine in abito bianco da processione, parrocchiani
giunti dalle campagne e dalle città più lontane. Tutti per lui. Nella
sua omelia da piazza della Vittoria: «E grido io, figlio di terra
polacca, ed insieme io, Giovanni Paolo II Papa, grido alla vigilia di
Pentecoste: scenda il tuo spirito e rinnovi la faccia della terra, di
questa terra». È il primo Papa che celebra una messa in un regime
socialista. Il viaggio terminerà il 10 giugno a Cracovia.
Mercoledì 13 Maggio 1981
Piazza San Pietro, attentato al Papa
È
giorno di udienza papale. Giovanni Paolo II dalla sua papamobile saluta
i pellegrini polacchi, americani e spagnoli: «Quel giorno, la jeep
stava compiendo il secondo giro di piazza San Pietro, verso il colonnato
di destra, quello che termina con il Portone di bronzo. Il Santo Padre
si sporse dalla macchina verso una bambina bionda che gli stavano
tendendo: si chiamava Sara, aveva appena due anni… Lui la prese in
braccio, la sollevò in aria, come per farla vedere a tutti, poi la baciò
e sorridendo la restituì ai genitori. Erano (...) le 17.19. Le udienze
generali del mercoledì, con la bella stagione, si tenevano all’aperto,
di pomeriggio… Sentii il primo sparo e, nello stesso istante, vidi
centinaia di colombi levarsi improvvisamente e volare via come
spaventati. Poi, subito dopo, il secondo colpo. E nel momento in cui lo
sentivo, il Santo Padre prese ad afflosciarsi su un fianco, addosso a
me». [Stanislao Dziwisz,
Una vita con Karol, Rizzoli] Addome devastato, intestino perforato, indice della mano sinistra spezzato.
Ha sparato Ali Agca, “lupo grigio” turco
Ali
Agca, 23 anni, turco, musulmano, militante dei Lupi Grigi (gruppo di
estrema destra) spara al Papa tre colpi (due vanno a segno il terzo
colpisce Anne Odre una turista americana, anche lei verrà ospitalizzata e
operata) con una Browning calibro 9. Nel trambusto più totale, una
suora lo urta poco dopo e gli fa cadere la pistola. Il giovane turco
inizia a correre verso il colonnato del Bernini, appresso a lui un
carabiniere di venti anni (in servizio da soli venti giorni). Bloccato,
con una pistola alle costole inizia a balbettare: «Niente. Io non sapere
niente. Io non fare niente». Dopo poco lo hanno portato al posto di
polizia al borgo: «Tra i documenti che gli sono stati trovati addosso,
c’erano delle piantine della zona e tre ipotesi di attentato: colpire il
pontefice da una finestra con una carabina, sparargli da una palazzina
vicina, aggredirlo tra la folla e poi far esplodere tre bombe fumogene
per scatenare il panico. Scelse questa ultima soluzione. Ma una suora
gli bloccò la fuga». [Marco Ansaldo, Rep. 14/6/2000]
Il
Papa viene ricoverato poco prima delle 18 al Policlinico Gemelli. È
arrivato con un’ambulanza della Città del Vaticano (la sirena però non
funziona). Un pulmino Fiat 238 E bianco. Durante la corsa in ospedale il
papa non ha fatto altro che pregare in polacco. Alle 19 i medici
annunciano che nessun organo vitale è stato lesionato. Tuttavia il Papa
resta sei ore sotto i ferri.
Alle 19 i medici del Gemelli hanno autorizzato a
sorpresa il Papa a tornare a casa. Alle 19.11, a bordo di una Mercedes
targata Scv 1, varca porta Sant’Anna. Alle 19.33 si affaccia dalla
finestra del suo studio per salutare i fedeli che appena saputa la
notizia si sono precipitati in piazza San Pietro. Il Papa è pallido,
emaciato, ma sorridente. Poco prima di uscire dall’ospedale ha detto ai
suoi medici: «Avete creduto di rifarmi nuovo, ma io sono lo stesso
lazzarone di prima».
Questo pomeriggio Giovanni Paolo II è stato ricoverato
di nuovo al Gemelli. Ha un’infezione virale che gli ha dato febbre
alta. La prognosi è riservata ma ci vorrà un’altra operazione e qualche
mese di convalescenza prima che si ristabilisca del tutto.
Inizia il processo per direttissima ad Ali Agca, il militante turco che ha sparato al Papa due mesi fa.
(vedi il 13 maggio 1981)
Giovanni Paolo II nomina l’arcivescovo di Monaco e
Frisinga Joseph Ratzinger prefetto della congregazione per la Dottrina
della fede. «Un amico fidato», come lo definirà in Alzatevi, andiamo!,
al quale consegnerà i dossier più delicati: teologia della liberazione,
dialogo interreligioso, ecumenismo, bioetica, evoluzionismo… Il papa
polacco mette in scena il carisma, il teologo tedesco mette a punto,
dietro le quinte, le coordinate ideologiche. Una politica di
restaurazione che ha un obiettivo precis riportare tutto al centro.
«L’intero suo agire, negli stessi bagni di folla e nella costante
amplificazione mediatica che accompagnavano i suoi viaggi, è sembrato
muoversi nella linea di una costante enfatizzazione del ruolo del
vescovo di Roma come pastore di tutta la Chiesa, sollecitando
sottilmente quella devozione, quel culto, quella centralità della figura
del papa che costituisce una cifra specifica del cattolicesimo
dell’ultimo secolo e mezzo, mortificandone le articolazioni interne e
approfondendo il solco che già divideva le altre chiese cristiane da
Roma». [Giovanni Miccoli, man. 5/4/2005].
Alle
12.10 Papa Giovanni Paolo II è entrato nella cella di Ali Agca,
l’attentatore turco che il 13 maggio 1981 gli sparò due colpi di pistola
in piazza San Pietro. I due parlano soli, per venti minuti, seduti su
due sedie affiancate. Poco dopo il Santo Padre dichiara: «Ciò che gli ho
detto è un segreto che deve rimanere tra me e lui». Lo ha perdonato,
come si perdona un fratello.
«“Presidente,
vuole venire con me a sciare sull’Adamello?”. Il Papa mi chiamò di
venerdì, lasciandomi perplesso. Ma accettai l’invito. Lui sciava, io
fumavo beato la pipa. E al termine gli dissi: “Santità, lei è un vero
maestro, scia come una rondine”» (Sandro Pertini). [Rep. 2/4/2005].
È la domenica delle Palme, grande raduno a Roma in
occasione dell’Anno internazionale della Gioventù. Papa Wojtyla dedica
una Lettera apostolica ai giovani e alle giovani del mondo. Il 20
dicembre poi annuncia l’istituzione della Giornata mondiale della
Gioventù, che dal 1986 si terrà tutti gli anni
Domenica 13 Aprile 1986
«Ebrei, nostri fratelli maggiori»
Papa
Wojtyla in visita alla sinagoga di Roma. A riceverlo è il rabbino capo,
Elio Toaff. «Era dai tempi di san Pietro che il capo della comunità
cristiana non entrava in una sinagoga. Un evento impensabile pochi anni
prima… Alle ore 17 in punto io e il Papa entrammo nel tempio maggiore
seguiti da cardinali, vescovi, rabbini e i rappresentanti della
comunità. Dopo l’abbraccio nel cortile, camminammo insieme, uno accanto
all’altro, in mezzo a due ali di folla. Ero felice, in quel momento,
come tutti i presenti, anche se non riuscii a dimenticare le sofferenze
dei tempi del ghetto. Quando poi parlò degli “ebrei, nostri fratelli
maggiori”, ricordo che molti si commossero. Parole bellissime, vere,
pronunciate con fermezza e convinzione, destinate a cambiare la storia
dei rapporti tra ebrei e cristiani». [Rep. 2/4/2005] La sua amicizia con
gli ebrei dura da una vita, nonostante l’antisemitismo diffuso tra i
cattolici polacchi. A Wadowice un terzo della popolazione era di fede
israelita. Ebreo il padrone di casa, ebrei i suoi compagni di classe,
ebrea la vicina Ginka, ebrei i parenti di amici finiti ad Auschwitz.
È
la prima volta che si riuniscono i rappresentanti di tutte le religioni
del pianeta, invitate nella città di san Francesco da papa Wojtyla.
Alcuni prelati storcono il naso, sentono puzza di sincretismo; lo stesso
Ratzinger non si fa vedere. I tradizionalisti vanno su tutte le furie.
Giovanni Paolo II è considerato da molti un
conservatore, eppure subisce contestazioni anche da destra, che
culminano nello scisma tradizionalista. Malgrado diverse concessioni da
parte di Roma, monsignor Marcel Lefebvre, capo della Fraternità
Sacerdotale San Pio X (che ha rifiutato il concilio), ordina quattro
vescovi senza l’approvazione di Roma e perciò viene scomunicato.
•
Il Papa riceve in udienza Mikhail Gorbaciov, leader dell’Unione
Sovietica, poche settimane dopo la caduta del Muro di Berlino. La
moglie, Raissa, infrangendo il protocollo (che prevede per le donne un
abito nero) indossa un tailleur rosso fiammante. Era dai tempi della
Rivoluzione d’ottobre che un politico sovietico non entrava in Vaticano.
I due parlano per un’ora e mezzo, in russo, nello studio del Santo
Padre. Gli argomenti: garantire ai credenti la libertà di religione e di
rispetto verso le peculiarità nazionali, statali, culturali e
spirituali affinché i popoli «attraverso il periodo di brusca svolta nel
quale ci troviamo adesso, possano procedere verso una nuova era di
pace» (Gorbaciov). Di lui il Papa dirà a Navarro-Valls (direttore della
sala stampa vaticana): «È un uomo di principi». «Con grande interesse
gli domandai cosa fosse un uomo di principi. E mi rispose: “È una
persona che crede così tanto nei suoi valori da essere disposta ad
accettare tutte le conseguenze che ne derivano, anche se possono
dispiacergli e non tornargli utile"» (Joaquín Navarro-Valls).
•
«Riguardo indietro alla storia straordinaria di Karol Wojtyla e penso
alle opere della mia generazione. Penso a lui e a Reagan, a Gorbaciov e a
Eltsin, a Helmut Kohl e infine a Lech Walesa inteso come Solidarnosc.
Ci toccò portare il mondo a concludere quella che io chiamo “l’epoca
della terra”: l’epoca della produzione industriale e dei conflitti
sociali. E passare all’epoca del mondo globale, il mondo
dell’informazione mondializzata e di Internet. Eravamo in tanti, eravamo
stanchi del comunismo, ma il comunismo era anche un potente blocco
militare. E allora, alla fine del secondo millennio della cristianità,
ci arrivò un dono dal cielo: un Santo Padre polacco» (Lech Walesa).
[Rep. 2/4/2005].
«La guerra è avventura senza ritorno», proclama
Giovanni Paolo II nel messaggio di Natale Urbi et orbi. I suoi appelli
per la pace si moltiplicano.
Sono
dieci giorni che papa Wojtyla manda lettere al presidente americano
Bush e a quello iracheno, Saddam Hussein, per scongiurare il conflitto
nel Golfo. Inutilmente.
Papa
Wojtyla, ricoverato al policlinico Gemelli di Roma, viene operato per
un tumore al colon. L’intervento è iniziato alle 6.15 e finito alle
10.15. «Gli hanno asportato un adenoma grosso come un’arancia che non
presenta segni sicuri di malignità se non qualche cellula in fase di
trasformazione. Lo hanno dimostrato le numerose analisi effettuate
prima, durante e dopo l’intervento e terminate tutte con esiti negativi.
L’unica incertezza riguarda solo un segmento della materia estratta.
Tutti i segnali comunque inducono ad essere ottimisti, a non temere il
peggio». L’operazione è stata eseguita dal professor Francesco Crucitti.
Il Papa è impaziente, non vede l’ora di uscire e si mette a salutare i
fedeli dalla finestra dell’ospedale. [Cds 16/7, 17/7/1992]
Durante
una visita pastorale in Sicilia, nella Valle dei templi di Agrigento,
Giovanni Paolo II lancia un terribile anatema contro i mafiosi: «Lo dico
ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!». La
reazione di Cosa nostra è rabbiosa.
Due
mesi dopo l’ammonimento a Cosa nostra da parte del Papa, i mafiosi
rispondono con due bombe a Roma, a San Giovanni in Laterano e a San
Giorgio al Velabro.
Giovanni Paolo II concelebra in San Pietro con i
trenta cardinali e i vescovi del Consiglio permanente della Cei la messa
che inaugura la «grande preghiera del popolo italiano in vista del
giubileo del Duemila». Ricorda il cardinal Ruini: «Erano gli anni di
“Mani pulite” e della crisi non solo della Democrazia cristiana ma
dell’intero sistema politico italiano. Una crisi che Giovanni Paolo II
visse con stupore e sofferenza, non tanto per ragioni attinenti alla
politica come tale, ma perché vi vedeva una minaccia per la nostra
nazione, per il suo radicamento cristiano e per il suo ruolo in Europa».
Ruini è stato il suo luogotenente per l’Italia fin dal convegno
ecclesiale di Loreto del 1985 e ha frequentato regolarmente
l’appartamento papale («Per lo più lo incontravo a pranzo o a cena dove
egli amava soprattutto ascoltare ed esprimersi con frasi brevi, ma
spesso assai incisive e rivelatrici del suo animo»). Dal padrone di casa
riceve la linea da seguire: «Giovanni Paolo II era libero da
preconcetti… per lui non aveva senso un’alternativa tra chiesa locale e
movimenti ecclesiali, o tra questi e l’Azione Cattolica» [Fo.
20/5/2010].
Verso le 23, Giovanni Paolo II cade nel bagno del suo
appartamento dopo essersi fatto la doccia. La scivolata gli costa una
rottura del femore e il sesto ricovero al Gemelli di Roma.
Dopo la caduta di ieri
(vedi 28 aprile 1994)
il Papa è stato operato al policlinico Gemelli dal professor Gianfranco
Fineschi, che ha sostituito la testa del femore con una protesi. Al
risveglio si sente dire da un monsignore: «Santità, sta meglio ora di
prima». E il Papa a lui: «Perché allora non si opera anche lei?».
[Gio.2/4/2005]
I medici dichiarano che Wojtyla resterà al Gemelli
due o tre settimane. Tornerà a camminare normalmente e potrà continuare a
nuotare, ma non dovrà più arrischiarsi a sciare. [Cds 30/4/1994]
Ennesima
operazione per Giovanni Paolo II al Gemelli di Roma. Presumibilmente si
tratta di appendicite ma questa volta medici e chirurghi non sono
chiari. C’è chi dice che si tratta di un tumore ma nessuno conferma e
nessuno smentisce. Il Papa si è svegliato nella sua camera al decimo
piano dell’ospedale alle 5.30. Ha celebrato la messa. L’intervento è
durato meno di un’ora, dalle 7.50 alle 8.40 in anestesia totale. In sala
operatoria anche Luigi Ortona, direttore dell’istituto di malattie
infettive al policlinico Gemelli (ha partecipato a quasi tutti gli
interventi dal Santo Padre): «La prima reazione, dopo aver praticato il
taglio e averlo divaricato, è stata quella di guardarci una frazione di
secondo negli occhi. Io ero in seconda fila, dietro i chirurghi e gli
anestesisti riuniti attorno al lettino. Indossavamo tutti le mascherine.
Ma quella rapida occhiata è stata sufficiente per capire che ciascuno
di noi stava tirando un sospiro di sollievo». Era appendicite.
•
Tutto lascia pensare che il Papa abbia il morbo di Parkinson. La
notizia era stata data già due anni fa ma poi fu subito smentita dal
Vaticano. Ma ora le voci che girano è che i piccoli malori (capogiri,
svenimenti e cadute) di Giovanni Paolo II siano dovute alle medicine per
curare questa sindrome.
Al congresso eucaristico a Bologna il cantautore americano Bob Dylan esegue Blowin’ the wind
davanti a Giovanni Paolo II. «C’era ragione di essere scettici, io lo
ero, e in un certo senso lo sono ancora, di dubitare se davvero fosse
giusto far intervenire questo genere di “profeti”». [Benedetto XVI, Giovanni Paolo II, il mio amato predecessore,
Edizioni San Paolo] Lui era fatto di un’altra pasta, perfettamente a
suo agio in un’epoca in cui «rinasce una nuova concezione del divino,
inteso come aggettivo “divino” è Michael Jackson, “divina” Lady Diana,
ecc. Anche Giovanni Paolo II ha giocato su questo registro, si è
adeguato a questa cultura dell’effimero. Strano paradosso quest’ultimo:
un papa che ha tentato ancora di riproporre una morale e un’etica
classica e lo ha fatto con i mezzi di questa cultura “movimentata” dei
movimenti» (Elmar Salmann, Presenza di Spirito, Cittadella Editrice).
A
Cuba sono le 18 (mezzanotte italiana) quando Wojtyla entra con il suo
bastone nel Palacio de la Revolucion per chiedere a Fidel Castro la sua
verità su Cuba. Per 45 minuti i due sono rimasti soli, senza interpreti,
a colloquio. È stato uno dei più lunghi incontri ufficiali avuti da
Giovanni Paolo II durante il suo pontificato. E si è concluso con gesti
al limite del protocollo. Donando un libro di Felix Varela, un sacerdote
cattolico perseguitato nel secolo scorso, Castro s’è permesso
d’accompagnare il regalo con una battuta: «Così potrà esercitarsi con il
suo spagnolo». Il Papa ha sorriso e ricambiato con un’immagine di
Cristo a mosaico. Così tra i loro due incontri, la Messa di Santa Clara,
di questa mattina (il pomeriggio in Italia), è stata come un intervallo
per i due grandi vecchi che hanno deciso di giocare una partita di fine
secolo, una specie di tempo supplementare nella sfida tra comunismo e
Chiesa cattolica. [Luigi Accattoli, Cds 23/1/1998]
Aggrappato
al pastorale che fu di Paolo VI, papa Wojtyla apre la Porta santa
inaugurando così il Giubileo del Duemila, un appuntamento preparato da
molto tempo e per il quale ha speso molte energie. Il rito viene seguito
da un miliardo e mezzo di telespettatori, nell’insieme dei 58 paesi
collegati in mondovisione; dieci milioni sono gli italiani sintonizzati
su Raiuno. «Eccolo nell’atrio della basilica di San Pietro, alle 23.20,
che si avvia alla Porta santa: curvo nel piviale screziato, quasi
incespica e il cerimoniere si affretta a sorreggerlo. Ma subito dopo
canta sicuro “Haec porta Domini” (questa è la porta del Signore). In
silenzio sale i tre gradini, aiutato dai due cerimonieri e spinge le
ante. La porta è di bronzo, pesante. Il papa è più curvo del solito
nella spinta: non somiglia in nulla al Giovanni Paolo II gagliardo e
diritto, che colpì la porta con tre colpi di martello quando l’aprì per
l’Anno santo straordinario del 1983. […] Ha raccontato più volte che in
conclave, più di ventuno anni fa, il cardinale Wyszynski gli disse: “Se
ti eleggono, tu dovrai introdurre la Chiesa nel terzo millennio”. Ecco
ce l’ha fatta, ha tenuto fede a quel vaticinio». [Luigi Accattoli, Cds
27/12/1999]
«Quel
mattino del 26 marzo il cielo azzurro, che sovrasta la Cupola della
roccia e i resti del Secondo Tempio, era stato solcato da un grappolo di
palloncini recanti la bandiera palestinese. Qualche elicottero
sorvolava i tetti. La città vecchia di Gerusalemme era immersa nel
silenzio, che si avverte quando passa l’Angelo della storia. A pochi
metri dallo spiazzo sgombro dove si trovava il pontefice, separati da
una cortina di tela, piccoli gruppi di ebrei ortodossi mormoravano le
loro preghiere oscillando ritmicamente dinanzi all’antica muraglia.
Anche Giovanni Paolo II pregava. Solo, solissimo. Massiccio e fragile al
tempo stesso. Le spalle incurvate e il viso reso più affilato
dall’implosione mistica. Quasi una statua. Un blocco bianco davanti alle
pietre grigio argento del muro eretto da Erode. Unica macchia di colore
i mocassini rossicci, che sbucavano dalla veste bianca. Il grande muro,
bagnato dalle lacrime di generazioni di ebrei, Karol Wojtyla l’ha
voluto toccare. Le telecamere hanno ritrasmesso in tutto il mondo la sua
mano tremante, appoggiata a un grande masso scheggiato. Toccare il muro
significa fondersi con duemila anni di storia, toccare ciò che Gesù
Cristo ha visto realmente con i propri occhi e forse sfiorato con le
proprie mani. Nelle fessure del muro il Pontefice lascia, vergato su
pergamena, il mea culpa pronunciato in San Pietro due settimane prima.
Lo lascia con la stessa fiducia con cui gli ebrei osservanti affidano
alle crepe della muraglia le loro preghiere e speranze scritte su
minuscoli bigliettini, che è vietato toccare». [Marco Politi,
30Giorni, aprile 2002]
Più
di due milioni di giovani si radunano nella spianata del campus di Tor
Vergata, a Roma, per la XV Giornata mondiale della Gioventù. In questi
giorni Roma è invasa da ragazzi che vengono da ogni parte del mondo. I
giornali li chiamano i “papaboys”. «Nessun uomo, in questi tempi, e
probabilmente nessun uomo nella storia, è stato tanto applaudito e
osannato da masse popolari in tutto il mondo. E nessun uomo, come lui, è
andato per il mondo a raccogliere questi applausi e questa esaltazione,
immerso nella grande fiera dei mass media, mescolando gesti rituali
antichi, gotici, ai gesti nuovi della civiltà delle immagini e del
consumo televisivo. Ma non è stato sempre e soltanto un trionfo di
consenso. In un secolo di lacerazioni di popoli, di furore scientifico,
ma di dubbi spirituali e di tristezze morali, di ossequio al mondano e
di disprezzo per il soprannaturale, anch’egli è apparso al mondo con i
segni della contraddizione: povero e potente, umile e condannante...»
[Del Rio 2003].
A
San Pietro si raduna più di un milione di fedeli per la cerimonia in
cui papa Wojtyla canonizza padre Pio, suggellando il debito di amicizia
con il frate di Pietrelcina, che aveva conosciuto nel lontano 1948 e al
quale era sempre rimasto legato. Nel corso del suo pontificato, Giovanni
Paolo II ha fatto più santi – 483, oltre a 1.345 beati – di tutti i
suoi predecessori a partire dal 1588.
Josemaría
Escrivà de Balaguer è il prete spagnolo fondatore dell’Opus Dei (cui
appartiene anche il direttore della sala stampa vaticana Navarro-Valls).
Giovanni Paolo II lo fa santo davanti a 300mila pellegrini provenienti
da tutto il mondo. La simpatia del papa polacco per i movimenti è nota.
Sotto il suo pontificato fioriscono Comunione e liberazione, focolarini,
Rinnovamento nello Spirito, neocatecumenali. Sono gli anni in cui
prende quota un altro movimento, i Legionari di Cristo, fondato da un
prete messicano potente e chiacchierato, Marcial Maciel Degollado.
Malgrado trapelino notizie infamanti sul suo conto, Degollado, che ha
buoni appoggi nella curia romana, rimane al suo posto.
Martedì 24 Febbraio 2004
Il papa polacco, romano de Roma
«Damose
da fa’ e volemose bbene». Così Giovanni Paolo II si è rivolto ai
parroci e preti romani, ricevuti in Vaticano per il tradizionale
incontro di inizio Quaresima. In 25 anni di pontificato, ha detto
sorridendo, «non ho imparato il romanesco, vuol dire che non sono un
buon vescovo di Roma?». In realtà Wojtyla si è sempre sentito un civis romanus,
«partecipe delle gioie e delle sofferenze, delle attese e delle
realizzazioni di questa splendida città… La missione di ROMA è AMOR».
«Vi ho cercato. Adesso voi siete venuti da me. E vi ringrazio».
Alle
22.50 Giovanni Paolo II viene portato, in misura precauzionale, al
Policlinico Gemelli per una crisi polmonare. Il Papa è affetto da
«laringo-tracheite acuta». Sabato scorso ha avuto i primi sintomi
influenzali ma domenica (dopo l’Angelus) è stato costretto al letto da
una febbre a 38. Le difficoltà polmonari sono tipiche del morbo di
Parkinson in stadio avanzato.
È Pasqua. Più di centomila fedeli, in piazza San
Pietro aspetto il Papa. Lui alle 12 in punto si affaccia alla finestra.
Uno dei segretari gli porge il microfono, ci prova, muove le labbra ma
dalla sua bocca escono solo respiri affannosi. Muove le braccia, come
per parlare a gesti. Il cardinale Sodano prende parola e recita l’Urbi et orbi.
Il Papa segue la lettura dal suo leggio (il cardinale gli passa i fogli
dopo averli letti) e annuisce con il capo al passaggio «pace per i
Paesi del Medio Oriente e dell’Africa, dove pure tanto sangue continua a
essere versato; pace per tutta l’umanità, su cui sempre incombe il
pericolo di guerre fratricide». Benedice la folla con il segno della
croce, fa un cenno di saluto con la mano destra e si ritira. In tutto si
è mostrato per 13 minuti. Grande emozione tra la folla. Persone di ogni
età che piangono, compreso qualcuno dei carabinieri in alta uniforme.
[Luigi Accattoli Margherita De Bac, Cds 29/3]
Canadesi,
messicani, italiani e cinquemila adolescenti milanesi sono in piazza
San Pietro. Aspettano il Papa. I medici lo hanno pregato di non
affaticarsi ma lui disobbedisce e si affaccia dalla finestra del suo
studio. Neanche una parola. Benedice a gesti. Applausi, commozione. I
ragazzi urlano: «Forza Papa» battendo le mani «non mollare mai». Due ore
dopo la benedizione, Joaquìn Navarro-Valls, portavoce della Santa Sede,
annuncia che è cominciata «la nutrizione enterale mediante il
posizionamento di un sondino nasogastrico».
Le condizioni di Giovanni Paolo II si sono aggravate.
Avvisati da radio e tv migliaia di persone arrivano a Piazza San Pietro.
Inginocchiate, pregano per il Papa. Nei loro occhi la rassegnazione. A
mezzanotte la polizia è costretta a chiudere il traffico. I fedeli
continuano ad arrivare. Inizia la veglia.
Sono
le 21.37 del 9.655esimo giorno del suo pontificato (il terzo più lungo
della storia dopo san Pietro e Pio IX) quando, a 85 anni, Giovanni Paolo
II si spegne. Causa del decesso «shock settico e collasso
cardiocircolatorio irreversibile». Alle 22 il segretario di Stato,
cardinale Angelo Sodano, dà l’annuncio a una piazza San Pietro gremita
di fedeli in preghiera (quasi centomila persone). Dalla piazza parte un
forte applauso. Si intona la Salve Regina che in molti cantano fra le
lacrime. Poi suonano le campane e ricominciano le preghiere.
•
«Lasciatemi andare al Signore» è stata l’ultima frase del Papa. Per
onorare il lutto si fermano lo sport e la campagna elettorale per le
regionali, chiusa un giorno in anticipo.
• Durante il suo
pontificato papa Wojtyla ha scritto 14 encicliche e 9 esortazioni
apostoliche. Ha celebrato 131 cerimonie di beatificazione, nelle quali
ha proclamato 1.219 beati, e 43 canonizzazioni, per un totale di 476
santi. «Duemilaquattrocento discorsi, perfino davanti a un’assemblea
islamica (Casablanca, 1985). Centotré volte acclamato (anche dai
musulmani, a Beirut nel 1997) una sola contestato (dai sandinisti, in
Nicaragua, nel 1983)». [Gabriele Romagnoli, Rep. 2/4/2005]. Tra i
discorsi più significativi, il primo nella sua Polonia ancora in lotta
per la libertà, quello a Cuba, quando predica alla folla sotto il
ritratto di Che Guevara. E l’ultimo quando ormai, molto malato, va in
pellegrinaggio a Lourdes. Definito dalla stampa “globetrotter”, ha
visitato 620 località, 129 nazioni in 104 viaggi internazionali. Ha
viaggiato, cioè, 543 giorni, percorrendo 1.162.165 chilometri (29 volte
il giro del mondo o tre volte la spedizione dalla Terra alla Luna). In
Italia i viaggi sono stati 146, in 259 città per la durata di 278
giorni. Ha visitato 301 delle 334 parrocchie della diocesi di Roma. Due
le mete sognate e mai raggiunte: Mosca e Pechino: «Se stessi a Roma a
scrivere encicliche mi leggerebbe solo un pugno di persone. Viaggiando,
incontro moltissima gente, che non verrebbe mai da me. E mi
ascolteranno» (dalla lettera a un amico polacco). [Marco Politi, Rep.
2/4/2005].
• Si contano una quindicina di tentativi di
attentato, tra cui: l’attacco con una baionetta di un prete
tradizionalista, a Fatima nell’82; un attentato di matrice islamica a
Manila, nell’85; un altro a Sarajevo, nel ’97, con una grossa quantità
di esplosivo. [Andrea Riccardi,
Giovanni Paolo II. La biografia, San Paolo] Oltre a quello del 13 maggio 1981
(vedi) I
solenni funerali di papa Wojtyla sono presieduti dal cardinale
Ratzinger. Dal 2 all’8 aprile arrivano a Roma tre milioni di pellegrini.
In quei giorni, 21 mila persone entrano ogni ora nella basilica
vaticana, 350 al minuto. La media di tempo necessaria per vedere i resti
mortali del Papa è di 13 ore, mentre il tempo massimo di attesa è di 24
ore. La fila arriva a una lunghezza di cinque chilometri. Il giorno dei
funerali 500 mila fedeli seguono le esequie in piazza San Pietro e in
via della Conciliazione, mentre 600 mila da altri luoghi di Roma
attraverso dei maxischermi [www.zenit.it e Vatican Information Service].
Grandi cartelli in mezzo alla folla dei fedeli invocano «Santo subito».
•
«Gli ultimi due uomini a vedere il volto di Giovanni Paolo II – ultimi
dei tanti sfilati in questi giorni in San Pietro, ultimi dei 400 milioni
che secondo complicati calcoli l’hanno visto di persona in questi
ventisei anni – sono stati, alle sette e mezzo, il maestro delle
celebrazioni Piero Marini e il segretario Stanislao Dziwisz.
[Leggi tutto l’articolo di Aldo Cazzullo] •
Prima della chiusura della bara di cipresso e noce, vengono deposte
anche le medaglie coniate durante il suo pontificato. Al centro del
sagrato di San Pietro, niente fiori né ornamenti, solo il libro dei
Vangeli posato sul feretro. D’un tratto il vento ha cominciato a
scompaginare le pagine.
•
La sepoltura, nelle Grotte vaticane, viene introdotta per la prima
volta dal Magnificat, il cantico di Maria che ringrazia il Signore
perché «ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili». E,
dopo il Padre nostro, per la prima volta, mentre la bara viene deposta
nel sepolcro, si canta il Salve Regina. Allora la cassa di cipresso
viene deposta in quella di zinco, subito saldata e, poi, in quella di
legno con sopra la croce e lo stemma di Wojtyla. Là dove Giovanni Paolo
II ha scelto di mettere insieme Giovanni XXIII e Paolo VI, i due
Pontefici da cui aveva preso il nome: deposto nel luogo dove prima
riposava Papa Roncalli e nella «vera terra», come volle Papa Montini. È
la volontà di Giovanni Paolo II, espressa al segretario, monsignor
Stanislao Dziwisz.
Camillo
Ruini, cardinale vicario di Roma, apre la fase diocesana della causa di
beatificazione e canonizzazione del papa polacco (un mese prima la
congregazione vaticana per le Cause dei santi aveva dispensato dai
canonici cinque anni di attesa). «Un giorno, guardando madre Teresa in
tv, si lasciò sfuggire che si sarebbe potuta canonizzarla già in vita.
Era solo una simpatica battuta. Ma io pensai che lo stesso si sarebbe
potuto dire di lui» (Stanislaw Dziwisz ). [Rep. 1/4/2011].
Benedetto
XVI promulga il decreto che attribuisce un miracolo all’intercessione
di Giovanni Paolo II. Secondo quanto riferisce il cardinale Angelo
Amato, prefetto della congregazione delle Cause dei santi, si tratta
della guarigione dal morbo di Parkinson (lo stesso di cui soffriva il
Papa) della religiosa francese suor Marie Simon-Pierre, classe 1961.