S. Messa
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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2011-01-08 ad oggi 2011-08-02 Sintesi (Più sotto trovate gli articoli)MONDO USA - EUROPA - AFRICA - ASIA - AUSTRALIA |
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Internet, l'informatore, ll Giornalista, la stampa, la TV, la Radio, devono innanzi tutto informare correttamente sul Pensiero dell'Intervistato, Avvenimento, Fatto, pena la decadenza dal Diritto e Libertà di Testimoniare. Poi si deve esprimere separatamente e distintamente il proprio personale giudizio. |
dal 753 a.c. al 1861 UNITA' d'ITALIA, ad oggi 150° 2011-07-23 Dai SitI Inernet di :QUIRINALE http://www.quirinale.it Ascolta L'INNO di MAMELIScarica la COSTITUZIONE Ascolta il Presidente che Racconta la Costituzione http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Video&key=1014&vKey=866&fVideo=1SENATO http://www.senato.it CAMERA http://www.camera.it GOVERNO http://www.governo.itConsiglio Superiore della Magistratura http://www.csm.it/ Corte dei conti http://www.corteconti.it/CORTE COSTITUZIONALE http://www.cortecostituzionale.it/default.do Consiglio di Stato http://www.giustizia-amministrativa.it/Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro - CNEL http://www.portalecnel.it/portale/HomePageSezioniWeb.nsf/vwhp/HPWIKIPEDIA Natale di Roma 21 aprile dell'anno 753 a.c. http://it.wikipedia.org/wiki/Fondazione_di_RomaLEONARDO STORIA di ROMA e dell' ITALIA http://cronologia.leonardo.it/mondo15.htm CERCA LE DATE |
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Per. Ind. Giacomo Dalessandro
25 Luglio 2011
dal Sito Internet del CORRIERE della SERA
http://www.corriere.itAncora sangue italiano in Afghanistan Ucciso un parà 28enne, due feriti
Scontro a fuoco a nord-ovest di Bala Murghab. La vittima è il caporalmaggiore David Tobiini
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Il mio commento:
L'ITALIA VUOLE MISSIONI DI PACE NON DI GUERRA
dalessa
lunedì 25 luglio 2011, 11:38
Basta con la ns. missione in Afghanistan, dobbiamo rientrare, non possiamo continuiare dopo dieci anni a considerarla missione di PACE, si è trasformata in Missione di Guerra.
Ora è diventata solo appoggio ad una parte del Popolo, che non sappiamo neanche se è maggioritaria.
Dovevamo favorire il dialogo, perchè le colpe non sono sempre e solamente da una parte.
Le future Missioni di PACE devono essere contrassegnate da un accordo a ristabilire la PACE nella DEMOCRAZIA con il DIALOGO, anche con gli avversari in guerra.
Per. Ind. Giacomo Dalessandro
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Martina f. 2011-03-19
nel pomeriggio summit a parigi. LA FRANCIA: "AGIRE IN FRETTA"
Le forze di Gheddafi entrano a Bengasi
Bombardamenti sulla città roccaforte dei ribelli. Abbattuto un jet del Raìs. Il governo libico nega l'attacco
Ma da dove viene tutto questo impeto a favore del Popolo da parte di Sarkozy, appoggiato dal leader Inglese ?
Fin tanto che si parlava della Tunisia e dell'Egitto stavano zitti, oggi sembrano diventare Paladini del Mondo Libero.
Io non sono senz'altro per le dittature né per chi sopprime le libertà contro il Popolo!
Ma mi pare molto strano tutto il movimento della Francia, che attraverso l'Egitto foraggia la Resistenza e la ribellione contro Gheddafi.
Eppure il Popolo Libico aveva un reddito di molto superiore a quello degli altri paesi dell'Africa!
Cosa bolle in pentolala?
E, poi, bisogna stare molto attenti, perché non succeda quello che è successo in Egitto contro i Cristiani da parte di fanatici Religiosi.
C'è un grandissimo rischio di destabilizzazione anche in virtù del frastagliamenteo in tribù dei Libici.
Bisogna evitare che si vada ad acuire lo scontro in Africa, mentre non si fa nulla per eliminare quanto avviene in Somalia, nel corno d'Africa.
Bisogna aver un lume di saggezza nelle cose per cambiare gli eventi tragici che si susseguono con le guerre.
Bene la risoluzione dell'ONU sulla non FLY ZONE!
Però ora bisogna evitare assolutamente di sbagliare come in IRAQ.
Gheddafi va portato a lasciare il potere in maniera indolore e soprattutto evitando distruzioni come in IRAQ, oltre che ad evitare di riattizzare il fuoco del terrorismo di Al Kaida, anche perché noi siamo al Centro del Mediterraneo, e dobbiamo essere artefici di PACE e SVILUPPO e non di GUERRE e DISTRUZIONI.
Allora proponiamo una forza di Interposizione fra Gheddafi ed i Ribelli, e si chieda di andare verso libere elezioni, aiutando Gheddafi a non impiccarsi da solo, perché altrimenti prima di finire impiccato può creare grandissima devastazione al suo Pololo, all'intero Meditterraneo, con una corsa sfrenata al petrolio ed all'imperialismo.
In questo ci sia Magnanimità e Lungimiranza anche da parte di Barack Obama e degli USA .
Chi sta soffiando sul fuoco non ha interessi alla Pace, ma destabilizzando crea profitto per i Guerrafondai, distabilizzando ulteriormente l'economia mondiale, che è già colpita oltre che dalle guerre anche dal Nucleare, e dalla speculazione Finanziaria, AGGRAVANDO LA Crisi Petrolifera.
Per. Ind. Giacomo Dalessandro
Martina F. 2011-03-10
Sarkozy proporrà bombardamenti aerei mirati
La Francia riconosce il Consiglio dei ribelli
Parigi accelera: dopo aver legittimato come rappresentante del popolo libico il consiglio nazionale di Bengasi emerge, il presidente Sarkozy spinge con i partner Ue per raid "mirati". Frattini: "L'Italia non parteciperà". Mosca: stop a tutti i contratti con Tripoli. Il Consiglio
Il mio Commento
Io non sono a favore dei dittatori, né di quelli che sparano sul Popolo.
Però è molto strano che il Paese, fra quelli che sono stati interessati a movimenti di protesta, dove i propri cittadini hanno un livello economico di vita più alto rispetto a tutti quelli del Nord Africa, sia quello che stia subendo la protesta più cruenta.
Ed è difficile spiegarsi inoltre i notevoli mezzi di cui dispongono coloro che si sono sollevati al regime di Gheddafi.
Viene il dubbio, dopo aver visto quello che sta succedendo in Egitto, che sotto ci sia un movimento finemente appoggiato da alkaida e dal Fondamentalismo Islammico.
Allora bisogna porre la massima attenzione alla situazione politica reale.
Prima di fare un'altra guerra interventista bisogna agire per imporre a Gheddafi una svolta Democratica, da concordare con i propri cittadini sotto il controllo di una forza di pace, così come andava fatto con Saddam che stava per cedere in Iraq, altrimenti avremo una polveriera proprio di fianco a casa, sul mare Nostrum, con gravissime conseguenze destabilizzanti per tutta l'Area del Mediterraneo, dell'Africa e del Medio Oriente, con una esportazione globale del Fondamentalismo estremizzato di tipo Iraniano.
Mentre se agiremo con lungimiranza potremo riappropriarci di un ruolo importantissimo di mediazione, foriero di pace, scambi economico-culturali, sviluppo reciproco.
In questo il Presidente Berlusconi, si dia da fare, appoggiato dal Presidente Napolitano.
Per. Ind. Giacomo Dalessandro
Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-06-22 ad oggi 2011-08-02 |
AVVENIRE per l'articolo completo vai al sito internet http://www.avvenire.it2011-08-02 2 agosto 2011 STATI UNITI Debito Usa, ok del Senato Obama: evitato default devastante Il Senato degli Stati Uniti ha approvato la legge sull'innalzamento del tetto del debito con 74 voti a favore e 26 contrari. Ora la misura passerà a Barack Obama per la sua firma. Il presidente ha tirato un sospiro di sollievo: è stato evitato un default che sarebeb stato "devastante" per l'economia. "Ora dobbiamo fare tutto quello che possiamo per far crescere l'economia e rimettere gli americani al lavoro" ha detto Obama. Il primo via libera era arrivato dalla Camera, con 269 voti a favore e 161 contrari. Per l'occasione è tornata in aula anche Gabrille Giffords, la deputata democratica ferita gravemente in gennaio in una sparatoria in Arizona. Poi, con la firma del presidente, l'accordo sarà legge, evitando il default dello Stato. La diplomazia è stata al lavoro nei corridoi di Capital Hill l'intera giornata, per raccogliere i voti necessari. L'accordo scongiura il rischio di un default, ma non quello di un downgrade (abbassamento della valutazione) del debito pubblico americano da parte delle agenzie di rating: l'ammontare della misura, un aumento del tetto del debito da 2.100-2.400 miliardi di dollari e tagli per almeno 2.100 miliardi di dollari in dieci anni, è decisamente inferiore ai 4mila miliardi di dollari identificati da Standard & Poor's per il mantenimento del rating AAA (il migliore). E l'impatto della misura sull'economia, già fragile, preoccupa. "L'accordo è positivo per l'economia, evita altri danni", afferma il segretario al Tesoro, Timothy Geithner. Il presidente della Fed, Ben Bernanke, convoca una riunione del board per discutere di "politiche fiscali e di bilancio". Secondo gli osservatori, la Fed dovrà aiutare ancora l'economia. Barack Obama ha rassicurato: "I tagli saranno graduali, non peseranno e ci consentiranno di continuare a effettuare investimenti in settori che creano occupazione". Ma il presidente non convince i mercati: Wall Street, dopo un balzo iniziale, procede negativa, con la doccia fredda dell'indice Ism manifatturiero sceso ai minimi degli ultimi anni, confermando le difficoltà della ripresa. La crescita americana è lenta e i tagli alla spesa nell'accordo sull'aumento del tetto del debito potrebbero rallentarla ulteriormente. Se ci sarà un downgrade da parte delle agenzie di rating, la frenata potrebbe essere anche più forte. Standard & Poor's ha messo sotto osservazione il rating degli Stati Uniti e messo in guardia su un possibile downgrade nei prossimi tre mesi. Moody's e Fitch si sono mostrate più caute, evidenziando che gli Usa potrebbero mantenere la tripla A. Un downgrade da parte di una sola agenzia sarebbe maggiormente gestibile e avrebbe un impatto più ridotto. "Abbiamo contatti regolari con le agenzie di rating", afferma il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, sottolineando che l'accordo rappresenta "una vittoria per gli americani" e un "messaggio rassicurante per il mondo". L'accordo prevede un aumento del tetto del debito di 2.100-2.400 miliardi di dollari, tagli alle spese immediati per 1.000 miliardi di dollari, fino ad arrivare a 2.100 miliardi complessivi in dieci anni. Una commissione bipartisan sarà creata per determinare ulteriori tagli per 1.500 miliardi di dollari e dovrà presentare le proprie proposte entro il Giorno del Ringraziamento, a novembre. Il Congresso dovrà approvare i tagli proposti entro il 23 dicembre, altrimenti scatteranno tagli automatici a sanità e difesa.
2011-07-27 27 luglio 2011 LE BORSE Crisi del debito Usa Borse in sofferenza Dopo una apertura debole Milano amplia le perdite. L'indice di riferimento Ftse Mib cede il 2,61% dopo neanche un'ora di contrattazioni, penalizzata dalle banche. Unicredit cede il 5% e Intesa Sanpaolo il 4,95%, mentre Banco Popolare lascia sul campo il 3,9% e Bpm il 4,5%. Riduce il calo Fiat, che perde l'1,39%, mentre Fiat Industrial appare poco variata (-0,33%).
In America. L'appello del presidente Barack Obama per un compromesso sull'aumento del tetto del debito cade nel vuoto in Congresso, con i partiti che continuano a duellare. Ma viene recepito dagli americani che, in massa, intasano le linee della Camera per esercitare quella pressione sugli eletti che Obama ha chiesto nel discorso alla nazione. Lo spettro del default si fa sempre più reale, e secondo il segretraio al Tesoro Timothy Geithner, va rimosso dall'economia. I mercati continuano a restare calmi benché preoccupati per il possibile downgrade, ma dietro le quinte si preparano al peggio: alla scadenza del 2 agosto mancano 7 giorni e - avverte la Casa Bianca - in quella data il Tesoro esaurirà le opzioni a sua disposizione per pagare i conti. Un default sarebbe - evidenzia la Casa Bianca - un "cataclisma" sull'economia, ma i repubblicani non cedono e lo speaker della Camera, John Boehner, lancia la sfida: "Abbiamo i voti alla Camera e in Senato per far passare" il piano su un aumento del tetto del debito in due fasi. Una misura alla quale la Casa Bianca si oppone fermamente e sulla quale "minaccia il veto": se la ricetta Boehner fosse approvata in Congresso e arrivasse al presidente per la firma, Obama opporrebbe il proprio no e rischierebbe di trovarsi sulla spalle la responsabilità di un default. Obama è in contatto con il segretario al Tesoro, Timothy Geithner, per valutare l'impatto di un default e l'amministrazione starebbe - secondo quanto riportato da Fox - cercando di rassicurare le banche che avrebbero iniziato a ridurre la loro esposizione ai titoli di stato americani.
26 luglio 2011 ISTITUZIONI Napolitano: preoccupato per i ministeri al Nord Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha inviato oggi una lettera al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi per esprimere "rilievi e motivi di preoccupazione su tema oggi di ampio dibattito del decentramento delle sedi dei ministeri sul territorio".È quanto si legge in una nota del Quirinale diramata nel pomeriggio.La scorsa settimana esponenti del governo hanno partecipato, con grande clamore mediatico, all'inaugurazione di tre sedi distaccate di altrettanti ministeri a Monza. LE REAZIONI "Il presidente Napolitano con i suoi rilievi e la sua preoccupazione esprime lo sdegno dell'intera nazione per l'autentica pagliacciata dell'apertura delle sedi ministeriali a Monza. Mentre si chiedono sacrifici agli italiani la politica dovrebbe dare l'esempio riducendo ministeri, poltrone e costi e la decisione di aprire nuove sedi a cui seguiranno altri doppioni in giro per l'Italia umilia quegli italiani chiamati a tirare la cinghia per pagare sprechi inutili". Lo dichiara il vicepresidente di Futuro e Libertà, Italo Bocchino, che aggiunge: "Il tentativo di spostare fuori da Roma Capitale le sedi ministeriali è inoltre un attacco a quella coesione nazionale che dovrebbe essere un obiettivo primario del governo". "Il presidente della Repubblica interpreta un'esigenza di serietà avvertita in tutta la nazione". Così il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini lasciando l'Aula di Montecitorio commenta la lettera inviata dal capo dello Stato al premier, "preoccupato" per la questione dell'apertura di sedi decentrate di ministeri. "L'apertura di sedi ieri al Nord domani magari nel Mezzogiorno getta sulla politica il discredito finale", aggiunge Casini. "Esprimiamo un fortissimo apprezzamento per l'intervento del presidente Napolitano sulla vicenda dei ministeri leghisti e ci auguriamo che il governo metta una volta per tutte la parola fine su questa vicenda ai limiti del grottesco". Lo dichiara il presidente nazionale dei Verdi Angelo Bonelli che conclude: "Quelle inaugurate da Bossi e soci a Monza non sono sedi decentrate di ministeri ma semplicemente sezioni di partito, utili solo alla propaganda del Carroccio. Mentre le famiglie devono fare i conti con le tasse e i tagli della manovra, la Lega continua con questa buffonata dei ministeri". "Il presidente della Repubblica assolve alla sua funzione di garante dell'unità e dell'ordinamento. Chi disattende il giuramento fatto sulla Costituzione, invece, è il governo che si diverte a giocare con le sedi dei dicasteri, in aperta violazione della legalità costituzionale e in contrasto con l'idea vera di federalismo, che consiste nel decentramento delle competenze. Altra cosa è il costoso spostamento di sedi e strutture fatte esclusivamente per soddisfare selvaggi conati secessionisti". Lo afferma in una nota il portavoce dell'Italia dei Valori, Leoluca Orlando.
27 luglio 2011 NUOTO Pellegrini da record nei 200 libero Scozzoli d'argento nei 50 rana Federica Pellegrini ha conquistato oggi la medaglia d'oro nei 200 metri stile libero ai Mondiali di nuoto a Shanghai, mentre Filippo Scozzoli ha vinto l'argento nei 50 metri rana. La Pellegrini è salita sul gradino più alto del podio con un tempo di 1'55"58, seguita dall'australiana Kylie Palmer in 1'56"04, mentre la francese Camille Muffat ha ottenuto il bronzo in 1'56"10. Domenica scorsa, la Pellegrini aveva vinto anche i 400 metri stile libero. Con la vittoria di oggi, l'azzurra ha messo a segno per la seconda volta la doppietta 200-400 nel campionato, dopo il 2009 a Roma, diventando la prima donna ad aver vinto entrambe le gare in due edizioni diverse. La doppietta è riuscita solo altre tre volte in passato: all'americana Shirley Babashoff nel 1975; alla tedesca della Germania est Heike Friedrich nel 1986 e alla francese Laure Manaudou nel 2007. "Sono molto felice e molto orgogliosa della medaglia d'oro", ha detto Federica Pellegrini ai giornalisti, che guarda alle Olimpiadi di Londra. Intanto, l'azzurro Scozzoli - già secondo sui 100 metri - ha ottenuto l'argento nei 50 metri rana con un tempo di 27"17, dietro al brasiliano Felipe Alves Franca da Silva (27"01) e davanti al sudafricano Cameron van der Burgh (27'19).
26 luglio 2011 EMERGENZA CORNO D'AFRICA Siccità, il mondo si muove Ponte aereo per la Somalia Ci si muove. Scatta oggi un ponte aereo d’aiuti umanitari nei cieli di Mogadiscio, Dolo (Etiopia) e Wajir, nel Nord del Kenya, per fronteggiare l’emergenza carestia e la "siccità epica" che sta dilaniando il Corno d’Africa, dove, stando all’Unicef, mezzo milione di bambini "hanno il 40 per cento delle possibilità di sopravvivere". Ponte aereo deciso ieri dal summit straordinario della Fao a Roma (al quale hanno partecipato ministri e delegati dei 191 Paesi membri della Fao, di altre agenzie Onu e organizzazioni internazionali e non governative). Durante il quale prima si è ammesso il fallimento "nella costruzione della sicurezza alimentare nei Paesi di sviluppo" e poi affermata la necessità di un’azione "massiccia e urgente". La crisi nel Corno d’Africa, scatenata da almeno tre cause, sta colpendo dodici milioni di persone, con due regioni nel Sud della Somalia già in gravissima carestia: "Gli effetti congiunti di siccità, inflazione e conflitti hanno causato una situazione catastrofica che richiede un urgente e robusto sostegno internazionale", ha subito annotato il direttore generale uscente della Fao, Jacques Diouf. Così, per spazzare via le accuse d’immobilismo proprio alla Fao, il ministro francese all’Agricoltura, Bruno Le Maire, ha illustrato la "road map" dell’intervento a lungo raggio dell’agenzia Onu: entro il 15 settembre arriverà il piano d’azione sulla sicurezza alimentare e sull’acqua e lo stesso giorno sarà lanciato anche il nuovo sistema di informazione dei mercati agricoli "per evitare le speculazioni e perché la volatilità dei prezzi rovina i contadini nei Paesi in via di sviluppo". Saranno i governi dei sei Paesi colpiti dalla crisi a gestire la risposta, tenuti informati dal Piano d’azione per il Corno d’Africa del Comitato permanente interagenzie (Iasc). E infine alla Fao sono convinti che andrebbe evitata, per quanto possibile, la costituzione di campi profughi con l’aggregazione di un enorme numero di sfollati. Un intervento – ha spiegato la direttrice del Programma mondiale alimentare dell’agenzia delle Nazioni Unite, Josette Sheeran – resosi inevitabile per superare l’ostilità dei miliziani fondamentalisti islamici o Shabaab nella distribuzione degli aiuti. A proposito: "È urgente e indispensabile un corridoio umanitario e aereo per portare beni di prima necessità dove servono", aveva detto poco prima il ministro degli Esteri, Franco Frattini. Aggiungendo che bisognerà aiutare la popolazione somala "sfidando, se occorre, i terroristi dello Shabaab, che hanno detto di non volere gli aiuti perché per loro purtroppo la vita delle persone non vale niente". A tal proposito, il Consiglio di sicureza za dell’Onu ha chiesto immediato accesso delle organizzazioni umanitarie alle zone colpite. Intanto la Banca mondiale ha risposto all’appello stanziando 500 milioni di dollari, 8 dei quali per l’immediata emergenza mentre i restanti 492 per finanziare progetti a favore degli agricoltori locali. Fondi che si accompagnano ai 100 milioni di euro promessi dall’Ue. "Siamo particolarmente preoccupati per la Somalia – hanno ancora sottolineato i partecipanti al summit – ed è di vitale importanza riuscire a raggiungere con gli aiuti chi si trova all’epicentro della carestia, portando alimenti altamente vitaminizzati che sono indispensabili per i bambini". E ha spiegato Josette Sheeran, direttrice esecutiva del Pam, che "molte delle donne che ho incontrato in Somalia e Kenya nei giorni scorsi avevano perso i figli e non avevano alcun mezzo di sussistenza se non gli aiuti umanitari forniti dalle agenzie sul campo". "Ci impegniamo – si legge nel documento finale dell’incontro svoltosi alla Fao – ad assicurare una risposta immediata ed appropriata per far sì che le comunità ed i Paesi colpiti siano messi nelle condizioni di preservare i loro fragili mezzi di sussistenza dai quali dipende la sopravvivenza di così tante persone, e allo stesso tempo si lavori alla costruzione di una capacità di resistenza di lungo periodo". Pino Ciociola
2011-07-26 26 luglio 2011 DOPO LA STRAGE Oslo, il killer in aula: ipotesi crimini contro umanità La polizia norvegese pensa di invocare una nuova disposizione del codice penale per "crimini contro l'umanità" nei confronti di Anders Behring Breivik, che ha ammesso di essere l'autore della strage di venerdì scorso a Oslo. Lo riferisce il procuratore citato da un giornale locale. Introdotta nel codice penale norvegese nel 2008, la norma sui crimini contro l'umanità prevede una pena massima di 30 anni di reclusione. Citato in forma indiretta dal giornale Aftenposten, il procuratore Christian Hatlo ha sottolineato che il ricorso a tale norma è al momento solo un'eventualità. Finora la polizia ha fatto riferimento ad "atti di terrorismo" che prevedono una pena massima di 21 anni. L'avvocato dello stragista norvegese fa sapere che il suo assistito insiste su un punto: la sua azione è supportata da due cellule solo in Norvegia e da diverse altre all'estero. Secondo l'avvocato dello stragista norvegese Anders Behring Breivik, "tutta la vicenda indica che lui sia folle", sebbene sia presto per affermarlo con certezza. Nel corso di una conferenza stampa ad Oslo, il legale ha riferito che Breivik si aspettava di essere ucciso durante gli attacchi di venerdì scorso e aggiunge che "non mostra alcun segno di pietà" per le vittime della strage. La polizia norvegese è ancora convinta che Anders Behring Breivik abbia agito da solo e non si sia appoggiato ad alcuna cellula esterna, come invece da lui sostenuto nell'udienza preliminare di ieri. "Riteniamo che l'accusato abbia una credibilità piuttosto bassa per quanto riguarda questa affermazione, certo nessuno di noi comunque può escludere del tutto che sia vera", ha detto all'agenzia Reuters una fonte vicina alle indagini. Si dubita anche che Brevik sia parte di una 'crociata' anti-Islam e anti-marxista, come da lui sostenuto nel'manifesto di oltre 1.500 pagine che alcuni esperti norvegesi vedono piuttosto come il frutto della fantasia di uno psicopatico che vuole solo confondere le acque. Oggi il ministro della giustizia Knut Storberget si incontrerà con i responsabili della polizia, al centro delle critiche per essere intervenuta in ritardo sull'isola di Utoya. L'UDIENZA PRELIMINARE È durata una quarantina di minuti l’udienza preliminare di Anders Behring Breivik, l’autore delle stragi compiute venerdì a Oslo e sull’isola di Utoya. Il 32enne è arrivato al tribunale di Oslo su un’auto che è stata tempestata di pugni dalla folla in attesa. E mentre si cercano possibili complici tra i movimenti di estrema destra di altri Paesi, a mezzogiorno di ieri la Norvegia si è fermata per ricordare con un minuto di silenzio le vittime degli attentati. All’omaggio, guidato da re Harald e dal premier, Jens Stoltenberg, nella cerimonia davanti all’università della capitale, si sono uniti anche gli altri Paesi scandinavi. In tribunale, Breivik ha confessato di aver commesso gli attentati (la polizia ha ridimensionato ieri da 93 a a 76 il numero totale delle vittime, in gran parte giovani laburisti) ma ha rifiutato di dichiararsi colpevole. Il killer 32enne è stato incriminato per atti di terrorismo e ha chiamato in causa dei complici, affermando di aver preparato la strage con l’aiuto di "due cellule". Da venerdì aveva invece ripetuto più volte di aver agito da solo. La polizia ha sottolineato di "non poter escludere completamente" la possibilità che ci siano altri coinvolti negli attacchi. La Corte ha stabilito una custodia cautelare di otto settimane, di cui quattro in completo isolamento. Dopo aver rischiato il linciaggio da parte della folla, Breivik si è presentato in aula con un maglioncino rosso e una camicia arancione; precedentemente il suo legale, Geir Lippestad, aveva riferito che era sua intenzione comparire davanti ai giudici in uniforme, ma i magistrati gliel’hanno vietato. Durante l’udienza, l’uomo ha spiegato con freddezza che la sua intenzione era dare "un forte segnale" al Partito laburista al governo, accusato di "aver tradito" il Paese per aver consentito immigrazioni di massa da parte dei musulmani. Per questo la strage serviva a "infliggere il maggior numero di vittime" all’interno del partito, stroncando la sua possibilità di ricambio generazionale. "Ho agito per salvare la Norvegia e l’Europa occidentale dal marxismo culturale", ha detto il 32enne. Due psichiatri valuteranno lo stato mentale dell’assassino, che secondo la polizia durante gli interrogatori si è mostrato calmo e si è detto pronto a trascorrere il resto dei suoi giorni in una prigione. "Avrebbe dovuto togliersi la vita anche lui", ha detto il padre del killer in un’intervista. Durante l’udienza, Breivik ha anche iniziato a leggere il suo manifesto politico, ma è stato bloccato. Uno dei suoi obiettivi a Utoya era la ex primo ministro laburista Gro Harlem Brundtland, tre volte a capo del governo fra il 1981 e il 1996 e considerata "madre della nazione", che ha parlato ai giovani laburisti radunati sull’isoletta, lasciandola poco prima che vi arrivasse l’assassino travestito da poliziotto. In base alle leggi della Norvegia, uno dei pochi Paesi ad avere eliminato anche l’ergastolo oltre alla pena di morte, Breivik potrebbe essere condannato a un massimo di 21 anni di carcere. Una prospettiva che ora suscita perplessità nel Paese, dove sono molte le voci che si levano per chiedere un inasprimento della pena massima. Tuttavia il portavoce della polizia norvegese, Henning Holtaas, ha spiegato che la condanna massima può essere in alcuni casi estesa una volta che il condannato ha scontato per intero la sua pena, nel caso in cui i giudici ritengano che l’imputato rappresenti ancora un pericolo per la società. Intanto, è giallo sulla notizia del fermo a Breslavia, in Polonia, di un commerciante di prodotti chimici online, da cui si sarebbe rifornito Breivik. La polizia ha smentito l’arresto ma ha confermato che sono in corso indagini per appurare eventuali legami con le stragi. "Stiamo indagando dietro richiesta della polizia norvegese", ha spiegato il portavoce della procura di Breslavia. Era stato lo stesso assassino, nel suo memoriale di 1.500 pagine postato su Internet 6 ore prima della strage, a citare un fornitore di prodotti chimici sulla rete. Stando all’intelligence polacca, peraltro, i prodotti acquistati non sono illegali e sono di comune accesso. Secondo i media norvegesi, peraltro, Breivik era già stato segnalato ai servizi di sicurezza lo scorso marzo per aver acquistato prodotti chimici in Polonia. Anche in Gran Bretagna, Scotland Yard ha avviato un’inchiesta per far luce possibili complicità, dopo che nel memoriale erano emersi diversi riferimenti al Regno Unito e un "mentore" di nome Richard. Per approfondire i possibili legami tra la strage di Oslo e i movimenti dell’estrema destra europei, inoltre, l’Europol, l’agenzia anticrimine dell’Ue, ha costituito una speciale task force con esperti di antiterrorismo. In Norvegia, peraltro, non mancano le polemiche per i ritardi con cui la polizia è giunta ad Utoya: le squadre Delta hanno impiegato oltre un’ora per intervenire dopo il primo allarme. La polizia si è giustificata spiegando che il tempo è servito per trovare le squadre specializzate per l’intervento, per percorrere la quarantina di chilometri da Oslo al lago Tyrifjorden e per sbarcare sull’isola. Il capo della polizia norvegese, Oystein Maeland, si è detto addirittura "soddisfatto" della reazione all’attacco sull’isola di Utoya. In serata, infine, sono state oltre 150mila le persone radunatesi al municipio di Oslo per partecipare a quella che è stata definita come la "Marcia delle rose" in memoria delle vittime degli attacchi. "Mai più un altro 22 luglio", ha detto commosso il premier norvegese Jens Stoltenberg durante il suo intervento. Paolo M.Alfieri
26 luglio 2011 EMERGENZA CORNO D'AFRICA Siccità, il mondo si muove Ponte aereo per la Somalia Ci si muove. Scatta oggi un ponte aereo d’aiuti umanitari nei cieli di Mogadiscio, Dolo (Etiopia) e Wajir, nel Nord del Kenya, per fronteggiare l’emergenza carestia e la "siccità epica" che sta dilaniando il Corno d’Africa, dove, stando all’Unicef, mezzo milione di bambini "hanno il 40 per cento delle possibilità di sopravvivere". Ponte aereo deciso ieri dal summit straordinario della Fao a Roma (al quale hanno partecipato ministri e delegati dei 191 Paesi membri della Fao, di altre agenzie Onu e organizzazioni internazionali e non governative). Durante il quale prima si è ammesso il fallimento "nella costruzione della sicurezza alimentare nei Paesi di sviluppo" e poi affermata la necessità di un’azione "massiccia e urgente". La crisi nel Corno d’Africa, scatenata da almeno tre cause, sta colpendo dodici milioni di persone, con due regioni nel Sud della Somalia già in gravissima carestia: "Gli effetti congiunti di siccità, inflazione e conflitti hanno causato una situazione catastrofica che richiede un urgente e robusto sostegno internazionale", ha subito annotato il direttore generale uscente della Fao, Jacques Diouf. Così, per spazzare via le accuse d’immobilismo proprio alla Fao, il ministro francese all’Agricoltura, Bruno Le Maire, ha illustrato la "road map" dell’intervento a lungo raggio dell’agenzia Onu: entro il 15 settembre arriverà il piano d’azione sulla sicurezza alimentare e sull’acqua e lo stesso giorno sarà lanciato anche il nuovo sistema di informazione dei mercati agricoli "per evitare le speculazioni e perché la volatilità dei prezzi rovina i contadini nei Paesi in via di sviluppo". Saranno i governi dei sei Paesi colpiti dalla crisi a gestire la risposta, tenuti informati dal Piano d’azione per il Corno d’Africa del Comitato permanente interagenzie (Iasc). E infine alla Fao sono convinti che andrebbe evitata, per quanto possibile, la costituzione di campi profughi con l’aggregazione di un enorme numero di sfollati. Un intervento – ha spiegato la direttrice del Programma mondiale alimentare dell’agenzia delle Nazioni Unite, Josette Sheeran – resosi inevitabile per superare l’ostilità dei miliziani fondamentalisti islamici o Shabaab nella distribuzione degli aiuti. A proposito: "È urgente e indispensabile un corridoio umanitario e aereo per portare beni di prima necessità dove servono", aveva detto poco prima il ministro degli Esteri, Franco Frattini. Aggiungendo che bisognerà aiutare la popolazione somala "sfidando, se occorre, i terroristi dello Shabaab, che hanno detto di non volere gli aiuti perché per loro purtroppo la vita delle persone non vale niente". A tal proposito, il Consiglio di sicureza za dell’Onu ha chiesto immediato accesso delle organizzazioni umanitarie alle zone colpite. Intanto la Banca mondiale ha risposto all’appello stanziando 500 milioni di dollari, 8 dei quali per l’immediata emergenza mentre i restanti 492 per finanziare progetti a favore degli agricoltori locali. Fondi che si accompagnano ai 100 milioni di euro promessi dall’Ue. "Siamo particolarmente preoccupati per la Somalia – hanno ancora sottolineato i partecipanti al summit – ed è di vitale importanza riuscire a raggiungere con gli aiuti chi si trova all’epicentro della carestia, portando alimenti altamente vitaminizzati che sono indispensabili per i bambini". E ha spiegato Josette Sheeran, direttrice esecutiva del Pam, che "molte delle donne che ho incontrato in Somalia e Kenya nei giorni scorsi avevano perso i figli e non avevano alcun mezzo di sussistenza se non gli aiuti umanitari forniti dalle agenzie sul campo". "Ci impegniamo – si legge nel documento finale dell’incontro svoltosi alla Fao – ad assicurare una risposta immediata ed appropriata per far sì che le comunità ed i Paesi colpiti siano messi nelle condizioni di preservare i loro fragili mezzi di sussistenza dai quali dipende la sopravvivenza di così tante persone, e allo stesso tempo si lavori alla costruzione di una capacità di resistenza di lungo periodo". Pino Ciociola
Rischio default, Obama si appella agli americani Mondo stampa quest'articolo segnala ad un amico feed 26 luglio 2011 USA IN BILICO Rischio default, Obama si appella agli americani Manca ormai una settimana alla data fatidica del 2 agosto, quando gli Usa, se non riusciranno a trovare un accordo sull'innalzamento del tetto del debito pubblico, andranno in default. E lo scontro è tutto interno, tra repubbliani e democratici, ancora lontani dall'intesa. Il presidente Barack Obama ha parlato ieri in diretta televisiva alla nazione chiedendo agli americani di fare pressione sul Congresso per raggiungere un compromesso: "Si rischia una profonda crisi economica causata interamente da Washington", lo stallo sui negoziati, che si è trascinato per settimane, afferma, è "un gioco pericoloso", a cui "il paese non può permettersi di giocare". Sulle negoziazioni pesa il monito di Moody's lanciato a giugno, quando l'agenzia di rating ha avvertito che se le parti non raggiungeranno un'intesa potrebbe mettere sotto osservazione il rating di tripla A degli Usa per un possibile abbassamento. Così, il numero uno della Casa Bianca tende la mano ai repubblicani, cita Ronald Reagan: "Tagliereste il deficit e manterreste i tassi bassi facendo pagare di più coloro che non pagano abbastanza o vi terreste un ampio deficit, alti tassi di interesse e tasso di disoccupazione alto? Ritengo che la risposta la sapete". A rispondere è lo speaker della Camera John Boehner, che fa scudo: "Obama vuole un assegno in bianco, ma non lo avrà". "L'atteggiamento dei repubblicani - ha spiegato Obama - ha creato un'impasse pericolosa. Abbiamo gli occhi del mondo addosso. Nessuno dei due partiti è irreprensibile per le decisioni che hanno portato a questo problema, e hanno la responsabilità di risolverlo. L'approccio bilanciato chiedeva a tutti piccoli sacrifici e avrebbe ridotto il debito di 4.000 miliardi di dollari senza rallentare l'economia. L'unica ragione per cui questo accordo non diventerà legge ora - ha ammonito il presidente Usa - è che un significativo numero di Repubblicani in Congresso insiste su un approccio solo di tagli, un approccio che non chiede nulla ai ricchi americani e alle grandi aziende". Dal canto loro i repubblicani hanno proposto un programma in due fasi per innalzare subito il tetto del debito di un trilione di dollari. L'obiettivo è un maggiore incremento il prossimo anno, ma l'idea delle due fasi, a Obama, stona. Boehner interviene in un altro discorso andato in onda poco dopo: "Ha spesso detto che abbiamo bisogno di un approccio bilanciato, che a Washington significa che noi spendiamo di più e voi pagate di più. La triste verità è che il presidente voleva un assegno in bianco sei mesi fa e vuole un assegno in bianco ora. Questo, semplicemente, non accadrà".
2011-07-25 25 luglio 2011 L'AGGUATO Afghanistan, ucciso militare italiano Un soldato italiano, il Caporal Maggiore David Tobini, è stato ucciso e altri due feriti, di cui uno in modo grave, in uno scontro a fuoco nella valle di Bala Murghab, nell'ovest dell'Afghanistan. Lo rende noto un comunicato dello Stato maggiore della Difesa, in cui si precisa che il secondo militare ferito non è in pericolo di vita. Tobini era nato a Roma il 23 luglio 1983, ed era in forza al 183* reggimento paracadutisti "Nembo" di Pistoia. La sua salma arriverà in Italia mercoledì. L'attacco ai militari italiani è avvenuto - secondo quanto si è appreso - durante una fase di ripiegamento al termine di un'attività di controllo e ricerche nella valle del Murghab. Proprio nella fase finale dell'operazione il dispositivo italiano e afghano è stato preso di mira dagli insorti. I nostri soldati, secondo quanto ha spiegato il ministro della Difesa Ignazio la Russa, sono stati colpiti da un doppio attacco al termine di una operazione di perlustrazione e rastrellamento all'interno di un villaggio nella zona settentrionale del Paese. Alle 4.15 di mattina, i soldati italiani assieme a forze afghane sono entrate in un villaggio dove erano stati segnalati materiale esplosivo e ordigni. Dopo aver compiuto "positivamente" la loro azione, all'uscita del villaggio sono stati attaccati da un gruppo di insorti che ha fatto fuoco su di loro, uccidendo il caporal maggiore Tobini e ferendo il caporal maggiore D'Orazio. Dopo aver cercato riparo in alcune case, i militari sono stati attaccati nuovamente da altri insorti posizionati in altre abitazioni che non erano state precedentemente controllate e in questo secondo attacco è rimasto ferito il terzo militare italiano. A quel punto - ha spiegato il ministro La Russa - è intervenuta la forza aerea di reazione alleata con quattro elicotteri, un aereo francese e uno americano che hanno bombardato la zona, consentendo l'evacuazione, "dopo un periodo non breve", alle forze italiane presenti sul territorio.
25 luglio 2011 AFGHANISTAN 41 caduti dal 2004 Con il militare ucciso oggi nello scontro a fuoco nella zona di Bala Murghab sono 41 i morti italiani dall'inizio della missione Isaf in Afghanistan, nel 2004. Di questi, la maggioranza è rimasta vittima di attentati e scontri a fuoco, altri invece sono morti in incidenti, alcuni anche per malore ed uno si è suicidato. In alcuni casi i militari coinvolti non facevano parte di Isaf, come il tenente colonnello dei carabinieri Cristiano Congiu, ucciso poco più di un mese fa in un episodio di criminalità comune. Il 2010 è stato fino ad oggi l'anno più sanguinoso, con 13 vittime. Ecco i nomi dei militari italiani morti dal 2004 ad oggi: Caporal maggiore GIOVANNI BRUNO - 3 ottobre 2004 Capitano di fregata BRUNO VIANINI - 3 febbraio 2005 Caporal maggiore capo MICHELE SANFILIPPO - 11 ottobre 2005 Tenente MANUEL FIORITO e maresciallo LUCA POLSINELLI - 5 maggio 2006 Tenente colonnello CARLO LIGUORI - 2 luglio 2006 Caporal maggiore GIUSEPPE ORLANDO - 20 settembre 2006 Caporal maggiori GIORGIO LANGELLA e VINCENZO CARDELLA - 26 settembre 2006 Agente Sismi LORENZO D'AURIA - 24 settembre 2007 Maresciallo capo DANIELE PALADINI - 24 novembre 2007 Maresciallo GIOVANNI PEZZULO - 13 febbraio 2008 Caporal maggiore ALESSANDRO CAROPPO - 21 settembre 2008 Maresciallo ARNALDO FORCUCCI - 15 gennaio 2009 Caporal maggiore ALESSANDRO DI LISIO - 14 luglio Tenente ANTONIO FORTUNATO, Sergente Maggiore ROBERTO VALENTE, Primo caporal maggiore MATTEO MUREDDU, Primo Caporal Maggiore GIANDOMENICO PISTONAMI, Primo Caporal Maggiore MASSIMILIANO RANDINO, Primo Caporal Maggiore DAVIDE RICCHIUTO - 17 settembre 2009 Caporal maggiore ROSARIO PONZIANO - 15 ottobre 2009 Agente Aise PIETRO ANTONIO COLAZZO - 26 febbraio 2010 Sergente MASSIMILIANO RAMADÙ e caporalmaggiore LUIGI PASCAZIO - 17 maggio 2010 Caporal maggiore scelto FRANCESCO SAVERIO POSITANO - 23 giugno 2010 Capitano MARCO CALLEGARO - 25 luglio 2010 Primo maresciallo MAURO GIGLI e caporal maggiore capo PIERDAVIDE DE CILLIS - 28 luglio 2010 Tenente ALESSANDRO ROMANI - 17 settembre 2010 Primo caporal maggiore GIANMARCO MANCA, Primo caporal maggiore FRANCESCO VANNOZZI, Primo caporal maggiore SEBASTIANO VILLE, Caporal maggiore MARCO PEDONE - 9 ottobre 2010 Caporal maggiore MATTEO MIOTTO - 31 dicembre 2010 Caporal maggiore LUCA SANNA - 18 gennaio 2011 Tenente MASSIMO RANZANI - 28 febbraio 2011 Tenente colonnello dei carabinieri CRISTIANO CONGIU - 4 giugno 2011 Caporal maggiore scelto GAETANO TUCCILLO - 2 luglio 2011 Primo caporal maggiore ROBERTO MARCHINI - 12 luglio 2011
25 lugliio 2011 NORVEGIA Oslo, il killer in tribunale: "Con me altre due cellule" È durata meno di un'ora l'udienza preliminare di Anders Breivik, l'autore delle stragi in Norvegia. All'arrivo in tribunale Breivik ha rischiato il linciaggio mentre l'auto blindata della polizia su cui viaggiava si faceva largo tra la folla. Al grido di "traditore" e "assassino", la gente ha battuto con i pugni sui vetri, prima che intervenissero gli agenti. Insultato anche il suo avvocato. L'udienza si è tenuta a porte chiuse, anche se Breivik aveva chiesto che si svolgesse alla presenza del pubblico per poter spiegare le sue deliranti "ragioni". Il giudice ha tuttavia stabilito diversamente, anche su input della polizia che temeva che Breivik potesse mandare messaggi in codice a possibili complici. Pur avendo ammesso il massacro, spiegando di aver agito per "dare un segnale forte alla salvezza europea", l'autore delle stragi si è detto non colpevole. Poi ha parlato dell'esistenza di "altre due cellule nella nostra organizzazione". Il tribunale ha deciso che il killer resterà in carcerazione preventiva per 8 settimane e in isolamento totale fino al 22 agosto. Il massacro di Oslo ha spaventato anche gli inglesi, che hanno deciso di rivedere le procedure di sicurezza in vista dei Giochi 2012 a Londra, per meglio contrastare le azioni di "lupi solitari" come Breivik. Intanto, è giallo sulla notizia del fermo a Breslavia, in Polonia, di un commerciante di prodotti chimici online, da cui forse si sarebbe rifornito Breivik; la polizia ha smentito l'arresto ma ha confermato che sono in corso indagini per appurare eventuali legami con le stragi. "Stiamo indagando dietro richiesta della polizia norvegese", ha spiegato il portavoce della procura di Breslavia, Malgorzata Klaus. Era stato lo stesso assassino, nel suo memoriale di 1.500 pagine postato su internet 6 ore prima della strage, a citare un fornitore di prodotti chimici sulla Rete. Anche in Gran Bretagna, Scotland Yard ha avviato un'inchiesta per far luce possibili complicità, dopo che nel memoriale su internet erano emersi diversi riferimenti al Regno Unito e un "mentore" di nome Richard. Per approfondire i possibili legami tra la strage di Oslo e i movimenti dell'estrema destra europei, inoltre, l'Europol, l'agenzia anticrimine dell'Ue, ha costituito una speciale task force con esperti di antiterrorismo provenienti da tutta Europa. E mentre si cercano possibili complici tra i movimenti di estrema destra di altri Paesi a mezzogiorno la Norvegia si è fermata per ricordare con un minuto di silenzio le vittime degli attentati. All'omaggio, guidato da re Harald e dal premier, Jens Stoltenberg, nella cerimonia davanti all'università della capitale, si sono uniti anche gli altri Paesi scandinavi. BREIVIK SPERAVA DI UCCIDERE EX PREMIER BRUNDTLAND Breivik sperava di uccidere l'ex primo ministro norvegese Gro Harlem Brundtland sull'isola di Utoya. Lo ha detto lo stesso Breivik durante il lungo interrogatorio a cui è stato sottoposto dalla polizia, secondo quanto riferisce il quotidiano norvegese Aftenposten. Agli inquirenti, Breivik ha spiegato che voleva uccidere la Brundtland quando è venuta a parlare al campo estivo laburista all'inizio del pomeriggio di venerdì, ma che poi è arrivato troppo tardi. L'ex primo ministro laburista, alla guida del paese per tre mandati fra il 1981 e il 1996, è stata definita "assassina del Paese" nel delirante manifesto di 1500 pagine che Breivik ha diffuso su Internet. MUNIZIONI VIETATE DAL CODICE DI GUERRA PER IL MASSACRO Anders Behring Breivik avrebbe usato munizioni vietate dal codice di guerra e utilizzate per la caccia agli elefanti per compiere il massacro sull'isola di Utoya. Secondo il capochirurgo dell'ospedale Ringerike, Colin Poole, citato dall'edizione online del quotidiano norvegese VG, l'autore degli attentati di venerdì scorso ha utilizzato pallottole dum-dum. Il medico ha curato almeno 16 feriti nel massacro di Utoya, riporta il giornale. Tale tipo di munizioni ha la caratteristica di espandersi dopo il contatto con l'obiettivo provocando ferite che possono essere mortali anche quando non raggiungono parti vitali del corpo. FRATELLASTRO PRINCIPESSA METTE-MARIT TRA GLI UCCISI Il fratellastro della principessa Mette-Marit è tra le persone uccise nella sparatoria sull'isola di Utoya. Lo fa sapere il palazzo reale norvegese.
25 luglio 2011 OSLO Breivik, nel memoriale la genesi del massacro "Ho fatto tutto da solo". Anders Behring Breivik dice di aver agito in completa solitudine, di aver pianificato e portato a termine "da solo" l'attacco dinamitardo nel cuore di Oslo e il massacro sull'isola di Utoya, uccidendo 93 persone. Lo dice alla polizia che lo tiene sotto torchio da ieri, ma gli inquirenti sembrano determinati a non lasciare nulla di intentato e in mattinata hanno lanciato una nuova operazione alla periferia di Oslo dove sono state fermate sei persone, subito rilasciate. Il timore è che dietro al folle gesto del 32enne si possa celare una rete, di sostegno e di relazioni, al momento silente ma potenziale fucina di nuove violenze e atrocità. Il duplice attacco che ha fatto sprofondare nel terrore il Paese nordico che sulla sua 'società apertà aveva puntato per mettersi al riparo dalle storture di intolleranza ed estremismi è stato definito una "tragedia nazionale" oggi dal premier Jens Stoltenberg, una tragedia dalla quale tuttavia - ha garantito - uscirà un paese "ancora più aperto, ma non ingenuo". Stoltenberg ha parlato durante la messa in ricordo delle vittime del massacro che si è tenuta nella cattedrale di Oslo, alla presenza della famiglia reale, degli ambasciatori stranieri e di migliaia di persone riunite nella piazza antistante, raccolte nel dolore insieme con il resto del Paese che ne ha seguito la diretta tv a reti unificate "Tutto il mondo è con noi" ha detto Stoltenberg. Il mondo che, insieme con i norvegesi, assiste incredulo ora dopo ora all'agghiacciante svelarsi della follia che ha mosso la mano omicida di Anders Behring Breivik: in un memoriale di 1.500 pagine, un vero e proprio manifesto della sua crociata, Breivik ha stilato con spaventosa lucidità obiettivi e strategie. Il documento è stato messo in rete solo un'ora prima dell'esplosione a Oslo e tre ore prima della carneficina sull'isola di Utoya, ma la sua preparazione risale al 2002 quando - stando a questo dettagliatissimo diario - ha cominciato ad ideare l'impresa, poi entrata nella fase operativa nel 2009. Già allora era consapevole che sarebbe stato considerato "il più grande mostro dalla seconda guerra mondiale in poi", ma quello che lui si sentiva era "un eroe, salvatore del nostro popolo e della Cristianità europea, un distruttore del male e un portatore di luce", scriveva. Per ora Breivik non smentisce il suo personaggio e non "tradisce" la sua missione, chiedendo "un processo a porte aperte, vuole essere presente in aula e dare le sue spiegazioni", ha riferito il suo avvocato difensore (che ha precisato di aver avuto perplessità prima di accettare l'incarico). La prima occasione è già domani quando Breivik comparirà davanti al tribunale che ne dovrà decidere la detenzione provvisoria. Sarà però il giudice a decidere se l'udienza si terrà a porte aperte o chiuse, ha detto il capo della polizia di Oslo, Sveinung Sponheim. La polizia della capitale, che ha chiamato in aiuto un esperto di Scotland Yard giunto a Oslo per partecipare alle indagini, oggi si è dovuta però giustificare per i tempi di reazione sull'isola di Utoya, troppo lenti era stato detto da subito, una circostanza motivata dalla necessità di "trovare le forze più adatte all'intervento" e con la "difficoltà di operare su un'isola". Poco esaustiva era apparsa però anche la prima risposta a un quesito posto da più parti: dov'era l'agente in servizio sul posto mentre Breivik sparava all'impazzata contro decine di ragazzi? "Stiamo cercando di capire cosa sia successo", avevano detto i responsabili della polizia. Poco dopo la notizia la dà la tv: "Un poliziotto, probabilmente la guardia in servizio sull'isola, è tra le vittime del massacro".
24 luglio 2011 Strage di Oslo e multiculturalismo Un tragico fallimento della convivenza Coma ad Oklahoma City nel 1995 e se possibile persino peggio: perché Anders Behring Breivik, l’emulo scandinavo di Timothy McVeigh, il responsabile della carneficina norvegese di venerdì pomeriggio, rischia di essere un cane sciolto, non così organico ai gruppi della destra neonazista o alle milizie suprematiste bianche come invece lo era l’autore della strage del 1995. Un "fondamentalista cristiano" è stato sommariamente definito dalle fonti di polizia (sorvolando invece sulla sua affiliazione massonica), quasi a voler trovare un contrappeso comunicativo abbastanza forte a quella pista del "fondamentalismo islamico" che era stata inizialmente seguita, ancora una volta come avvenuto ad Oklahoma City. Fa riflettere che nelle nostre società aperte, ancor di più in quelle maggiormente tolleranti del Nord Europa (dalla Norvegia alla Finlandia, dalla Danimarca all’Olanda) le posizioni più estremiste sembrino trovare alimento. Sarebbe ovviamente sbagliato fare d’ogni erba un fascio, mettendo sullo stesso piano il sacrosanto diritto di esercitare la libertà di parola dei partiti della destra olandese, norvegese e finnica con l’azione omicida che mira a imporre con la violenza la propria conformità (si pensi all’omicidio di Pym Fortuyn ad opera di un fanatico islamico) o a fare strage di innocenti per rivendicare spazio alle proprie idee, come è avvenuto ieri. E bene ha fatto il premier norvegese a chiarire fin da subito che la Norvegia resterà un Paese aperto, liberale e solidale. Ma rimane il fatto che proprio laddove il modello meritoriamente perseguito è stato quello dell’integrazione, dell’accoglienza e della diffusione del benessere sembra di registrare un fallimento più scoraggiante. Più scoraggiante non perché l’ipotesi della chiusura, dei muri e delle cannoniere sia migliore – tutt’altro – ma perché se neppure in questo modo si è riusciti ad eradicare la malapianta dell’odio, dell’intolleranza, del "noi contro loro", allora la strada da fare è ancora tantissima e forse va radicalmente ripensata. Fece scalpore, qualche mese fa, l’affermazione di David Cameron circa il "fallimento del multiculturalismo" (già sottolineato anche da Angela Merkel). Che si convenga o meno con la posizione del premier britannico, questo concetto è stato spesso evocato in passato a proposito delle difficoltà di inserimento, talvolta della programmatica non volontà di inclusione, delle comunità musulmane nel tessuto sociale e culturale dei Paesi occidentali. Con crescente frequenza ci troviamo invece a interrogarci sul fallimento di questa pratica a partire delle reazioni, non necessariamente violente anche se queste ultime preoccupano molto di più, che dalle nostre società si scatenano nei confronti della promessa multiculturale. Evidentemente non mi riferisco all’ovvietà che le nostre società sono tutte ormai composite culturalmente, ma all’idea che l’affermazione della loro identità culturale e politica possa essere considerata pienamente desiderabile e legittima solo a condizione che cristallizzi la loro natura composita, rinunciando a perseguire un nuovo equilibrio che tenga conto tanto dei molteplici apporti più o meno recenti quanto delle radici tradizionali e autoctone. Oggi inizierà la solita litania di chi accuserà i media, la polizia, la politica e quant’altri di nutrire un "pregiudizio antimusulmano", perché ieri – per le modalità dell’attentato di Oslo, per quel poco che si sapeva sulla strage in corso sull’isola di Utoya e per le minacce raccolte in tanti mesi e gli attentati sventati in tanti anni – la pista islamica è apparsa dapprincipio la più accreditata. È bene che da questa strage, come da quella di Oklahoma City, rinforziamo la nostra consapevolezza che ogni forma di pregiudizio è dannosa e che persino i semplici stereotipi allontanano dall’accertamento della verità. Ma non fingiamo di ignorare, per paura, convenienza, calcolo politico che la questione della convivenza tra culture diverse nelle nostre società è una sfida che attende, anch’essa, risposte vere e non stereotipi e che più tempo passa senza che la affrontiamo coraggiosamente e apertamente e più aumenta il rischio che la violenza e l’estremismo facciano proseliti ovunque. Vittorio E. Parsi
25 luglio 2011 ECONOMIA Debito Usa, niente accordo Paura sui mercati Un accordo ancora non c'è e repubblicani e democratici vanno ognuno per la propria strada,avanzando piani diversi per ridurre il deficit e il debito. Il presidente Barack Obama vede i leader democratici del Congresso, Harry Reid e Nancy Pelosi. Lo speaker della Camera, John Boehner, aggiorna i membri del suo partito sulle negoziazioni. Le parti sono ancora distanti, con i repubblicani che spingono per un accordo in due fasi e i democratici che si oppongono a un piano a breve termine.
Boehner resta convinto che l'unica soluzione è un aumento del tetto del debito in due fasi, una immediata con 1.000 miliardi di dollari di tagli. E una nel 2012, in piena campagna elettorale, dopo che una commissione avrà individuato le spese da tagliare. La Casa Bianca ritiene la proposta inaccettabile: e il dollaro subito recupera le perdite accumulate nelle contrattazioni pre-borsa sui mercati asiatici. Le borse più che all'aumento del tetto del debito guardano con attenzione a un possibile downgrade se non sarà raggiunto un un ampio accordo di riduzione del deficit e del debito. Reid per i democratici sta mettendo a punto una misura che prevede tagli da 2.700 miliardi di dollari. Alla scadenza del 2 agosto mancano solo otto giorni e le parti cercano una soluzione in extremis per evitare il default. Il piano di Boehner "non ha senso, non è un punto di partenza" afferma categorico il segretario al Tesoro, Timothy Geithner, secondo il quale l'aumento del limite legale del debito deve essere lasciato fuori dalla politica. Il presidente Barack Obama potrebbe opporre il proprio veto a un piano di aumento del debito che non copra i bisogni finanziari degli Stati Uniti fino al 2013, dopo le elezioni presidenziali, mette in guardia il capo dello staff della Casa Bianca, William Daley.
L'amministrazione Obama, coinvolta attivamente nelle negoziazioni come ha precisato Geithner smentendo le indiscrezioni su un'esclusione del presidente, resta fiduciosa: un default sarà evitato. "È impensabile" evidenzia Geithner. "Quello che è più importante è scongiurare la minaccia di default per i prossimi 18 mesi": l'economia è debole e un default avrebbe effetti catastrofici. Un impatto "devastante" lo avrebbe anche il piano dei repubblicani. "Ritengo che la forza della ragione stia prevalendo. Ci sono dei progressi" aggiunge Geithner, mettendo in evidenza che le cornici di accordo sulle quali si sta lavorando sono due. Una è quella discussa da Obama e Boehner con tagli alla spesa e un aumento delle entrate. L'altra è la proposta avanzata da dal leader dei repubblicani in Senato, Mitch McConnell. "Sono sul tavolo e possono essere combinate in vari modi". Moody's ha tagliato ancora il rating sul debito della Grecia, a un passo dalla soglia predefinita di default: da 'Caa1' a 'Cà.
2011-07-20 20 luglio 2011 NEL SUD DELLA SOMALIA Corno d'Africa, ora l'Onu dichiara lo "stato di carestia" L'Onu ha dichiarato ufficialmente lo stato di carestia in due regioni del sud della Somalia. Sono circa 350 mila le persone colpite dalla fame, "nella più grave crisi alimentare in Africa degli ultimi venti anni". "Le Nazioni Unite hanno dichiarato oggi lo stato di carestia in due regioni del sud della Somalia: il sud di Bakool e il Basso Shabelle", hanno affermato nell'ufficio di coordinamento degli Affari umanitari dell'Onu in Somalia. Secondo la Nazioni Unite, oltre 10 milioni di persone, nella regione del Corno d'Africa, stanno affrontando le conseguenze di uno dei periodi peggiori di siccità degli ultimi decenni. SBARCANO GLI AIUTI di Matteo Fraschini Koffi Con l’aggravarsi della crisi umanitaria nel Corno d’Africa, le Nazioni Unite hanno confermato che i loro operatori sono riusciti a portare gli aiuti direttamente nelle zone controllate dai ribelli qaedisti somali di al-Shabaab. L’Unicef ha spedito un volo carico di cibo e medicinali che ha rag- giunto la città di Baidoa nel fine settimana, usando una pista d’atterraggio che in precedenza era stata chiusa dai ribelli. "La ragione per cui abbiamo usato un volo è relativa alla velocità con cui vogliamo operare ", ha confermato Rozanne Chorlton, rappresentante Unicef per la Somalia: "Dobbiamo far arrivare gli aiuti il più velocemente possibile per l’aumento di sfollati in Somalia. L’operazione è andata bene – ha concluso Chorlton – i ribelli hanno lasciato gli operatori dell’Onu in pace". La catastrofe umanitaria coinvolge ormai più di undici milioni di persone, due milioni di bambini, e decine di migliaia di profughi che tentano di raggiungere i campi tra Kenya e Somalia dove sperano di portare in salvo i loro figli. In alcune aree del Corno d’Africa, il prezzo del grano è salito tra il 100 e il 200%, riducendo drasticamente la disponibilità di alimenti per le famiglie e per il bestiame. I media locali hanno definito la regione compresa tra Kenya, Etiopia e Somalia "il triangolo della morte". "Abbiamo ricevuto circa 835 milioni di dollari", afferma una nota delle Nazioni unite: "È però necessario un altro miliardo di dollari di finanziamenti per affrontare la crisi". Altri governi stanno rispondendo all’appello delle agenzie umanitarie, tra questi il Kuwait e il Canada che hanno deciso di donare 10 e 22 milioni di dollari rispettivamente. Alcuni analisti credono che permettendo l’arrivo degli aiuti nelle loro zone, i ribelli vogliano evitare un pericoloso accrescimento del malcontento popolare, mentre altri sostengono che al-Shabaab sfrutti questa opportunità per ottenere peso politico e risorse economiche. La situazione sta invece peggiorando vertiginosamente nei corridoi del potere nella capitale somala Mogadiscio. Il nuovo primo ministro, Abdiweli Mohamed Ali, è in ritardo rispetto alla nomina del successivo Governo federale di transizione somalo ( Tfg). La profonda divisione tra il presidente somalo, Sheikh Sharif Ahmed, e lo speaker del Parlamento, Sheikh Sharif Hassan Adam, continua a causare enormi difficoltà a livello politico. Ieri mattina, le guardie di sicurezza dei due leader si sono scontrate davanti al palazzo presidenziale a colpi d’arma da fuoco causando l’uccisione di almeno due soldati e il ferimento di diversi altri. Sharif Ahmed e Sharif Hassan vogliono avere i propri alleati seduti sulle più importanti poltrone ministeriali per essere a capo della gestione dei lauti fondi internazionali. Un recente rapporto del Consiglio atlantico presentato al congresso americano ha però stimato che: "Tra il 2009 e il 2010, dei 75 milioni di dollari destinati al Tfg meno di 3 milioni sono stati rintracciati nella contabilità – recita il documento – Raccomandiamo che siano investigati l’ufficio del presidente e del primo ministro, oltre ai ministeri delle Finanze e dell’informazione". Immediata la replica del deputato somalo Ali Mohamoud Farah Seko, vice presidente del comitato parlamentare della Giustizia, ha dichiarato che: "Se gli americani mi daranno le prove di tale corruzione, i colpevoli verranno subito processati ".
19 luglio 2011 L'EMERGENZA CARESTIA La solidarietà della Cei Come aiutare il Corno d'Africa In risposta all’accorato invito del Santo Padre a operare per sollevare le popolazioni nel Corno d’Africa, colpite da una grave siccità e dalla conseguente carestia, la Presidenza della Conferenza episcopale italiana invita a pregare per le comunità e a sostenere le iniziative di solidarietà promosse dalla Caritas italiana. La Presidenza della Cei, per far fronte alle necessarie emergenze e ai bisogni essenziali delle persone colpite, ha stanziato un milione di euro dai fondi derivanti dall’otto per mille. L’apposito Comitato per gli interventi caritativi a favore del Terzo Mondo provvederà all’erogazione della somma accordata, accogliendo le richieste che stanno pervenendo o perverranno, sostenendo direttamente progetti di enti ecclesiali locali che operano in collegamento con le istituzioni caritative della Conferenza episcopale o delle diocesi del luogo. La Presidenza della Cei COME AIUTARE La Caritas Italiana ha subito messo a disposizione 300mila euro per i primi interventi. E ha avviato una sottoscrizione per sostenere le azioni in corso da tempo nel Corno d’Africa in collaborazione con le Caritas locali. Si possono quindi inviare offerte a Caritas Italiana tramite: <+nero_bandiera>C/c postale n. 347013 specificando nella causale: "Carestia Corno d’Africa 2011". Offerte sono possibili anche tramite altri canali, tra cui: UniCredit, via Taranto 49, Roma - Iban: IT 88 U 02008 05206 000011063119; Banca Prossima, via Aurelia 796, Roma - Iban: IT 06 A 03359 01600 100000012474; Intesa Sanpaolo, via Aurelia 396/A, Roma - Iban: IT 95 M 03069 05098 100000005384; Banca Popolare Etica, via Parigi 17, Roma - Iban: IT 29 U 05018 03200 000000011113. Inoltre: CartaSi e Diners telefonando a Caritas Italiana 06 66177001 (durante gli orari d’ufficio).
19 luglio 2011 L'EMERGENZA CARESTIA La solidarietà della Cei Come aiutare il Corno d'Africa In risposta all’accorato invito del Santo Padre a operare per sollevare le popolazioni nel Corno d’Africa, colpite da una grave siccità e dalla conseguente carestia, la Presidenza della Conferenza episcopale italiana invita a pregare per le comunità e a sostenere le iniziative di solidarietà promosse dalla Caritas italiana. La Presidenza della Cei, per far fronte alle necessarie emergenze e ai bisogni essenziali delle persone colpite, ha stanziato un milione di euro dai fondi derivanti dall’otto per mille. L’apposito Comitato per gli interventi caritativi a favore del Terzo Mondo provvederà all’erogazione della somma accordata, accogliendo le richieste che stanno pervenendo o perverranno, sostenendo direttamente progetti di enti ecclesiali locali che operano in collegamento con le istituzioni caritative della Conferenza episcopale o delle diocesi del luogo. La Presidenza della Cei COME AIUTARE La Caritas Italiana ha subito messo a disposizione 300mila euro per i primi interventi. E ha avviato una sottoscrizione per sostenere le azioni in corso da tempo nel Corno d’Africa in collaborazione con le Caritas locali. Si possono quindi inviare offerte a Caritas Italiana tramite: <+nero_bandiera>C/c postale n. 347013 specificando nella causale: "Carestia Corno d’Africa 2011". Offerte sono possibili anche tramite altri canali, tra cui: UniCredit, via Taranto 49, Roma - Iban: IT 88 U 02008 05206 000011063119; Banca Prossima, via Aurelia 796, Roma - Iban: IT 06 A 03359 01600 100000012474; Intesa Sanpaolo, via Aurelia 396/A, Roma - Iban: IT 95 M 03069 05098 100000005384; Banca Popolare Etica, via Parigi 17, Roma - Iban: IT 29 U 05018 03200 000000011113. Inoltre: CartaSi e Diners telefonando a Caritas Italiana 06 66177001 (durante gli orari d’ufficio).
2011-05-06 6 maggio 2011 LA RETE DEL TERRORE Al Qaeda ammette: "Benladen è morto" Al Qaeda ha confermato la morte di Osama Benladen definendola "una maledizione" che si abbatterà sugli "americani e i loro agenti". Lo si legge in un comunicato pubblicato su Internet dai forum jihadisti, di cui ha dato notizia il sito Usa di monitoraggio Site. Al Qaeda ha anche fatto sapere che diffonderà un messaggio audio dello sceicco del terrore registrato sette giorni prima della sua morte. "Noi di Al Qaeda chiediamo all'Onnipotente Allah di sostenerci sulla strada della jihad. Il sangue del mujahid sceicco Osama Benladen - che Allah abbia misericordia di lui - è prezioso per noi e per ogni musulmano e non puo essere versato invano", si legge nel documento jihadista. "Chiediamo al nostro popolo musulmano in Pakistan, dove lo sceicco è stato ucciso - prosegue la nota dei terroristi - di sollevare una rivolta per ripulirsi dalla vergogna che gli è stata attribuita da una cricca di traditori e ladriche hanno venduto tutto ai loro nemici (americani, ndr)". "Facciamo appello a loro: che purifichino il Paese dalla sporcizia della corruzione americana. Noi resteremo, Dio volendo, una maledizione per gli americani e per i loro agenti, li seguiremo dentro e fuori i loro Paesi. Presto la loro felicità si tramuterà in tristezza. Il loro sangue sarà mescolato alle loro lacrimè, conclude il documento.
6 maggio 2011 STATI UNITI Al Qaeda voleva colpire i treni Obama a "Ground Zero" Nel febbraio del 2010 al Qaeda ha ipotizzato di colpire il sistema ferroviario americano per causare un alto numero di vittime. L’idea era di provocare il deragliamento di un treno, magari facendolo precipitare da un ponte. Come possibili date dell’attentato: Natale, Capodanno e il decimo anniversario dell’11 settembre. Queste informazioni sono emerse da una prima quanto sommaria analisi della documentazione sequestrata nel rifugio di Osama. Nel confermare la rivelazione, le autorità hanno però aggiunto una precisazione importante: il piano non era entrato ancora nella fase operativa, non esiste alcuna minaccia specifica e si tratta probabilmente di uno dei molti scenari considerati dai terroristi. Inoltre, non vi sarebbero indicazioni su un luogo geografico particolare. I treni, insieme agli aerei, sono stati sempre tra gli obiettivi dei qaedisti. Ci sono diverse stragi di grandi proporzioni a confermarlo: Madrid, Londra e un paio di attacchi in India. Centinaia le vittime. E anche durante il massacro negli hotel di Mumbai alcuni membri del commando hanno preso di mira la stazione. Sono bersagli che non hanno valore simbolico, ma permettono a chi attacca di provocare molti morti e di sconvolgere un sistema di trasporto comune. Nel 2009 l’Fbi ha arrestato un afghano che voleva far esplodere zaini-bomba nel metrò di New York. Le indiscrezioni sono comunque solo all’inizio. I tecnici dell’Fbi, chiusi negli uffici di Quantico, devono scardinare i programmi criptati che proteggono i lap top portati via da Abbottabad. Con loro lavorano anche dei traduttori in quanto i testi non sono in inglese. Dalle memorie – chiavette, hard drive – possono uscire informazioni cruciali sui progetti di al Qaeda. Se dai file di Osama spunteranno risvolti operativi più precisi bisognerà rivedere il giudizio sul profilo del leader di al Qaeda. Dopo l’11 settembre 2001 si è affermato che Benladen avrebbe assunto il ruolo di ispiratore lasciando ai collaboratori e a cellule affiliate il compito di preparare attacchi. Ora, invece, emerge un Benladen – sempre che siano fondate le rivelazioni – che non si limita a distribuire sermoni via Internet ma è parte del "fronte". Non è neppure da escludere che nel computer del fondatore di al Qaeda ci siano le bozze di possibili operazioni presentate dai suoi uomini. Piani che attendevano l’approvazione dell’emiro. Nella fase di preparazione dell’attacco all’America, Khaled Sheikh Mohammed aveva esposto almeno un paio di progetti che erano stati respinti da Osama perché ritenuti non fattibili. Dissidi che avevano irritato lo stesso Mohammed convinto del successo. OBAMA ALLA CERIMONIA DI "GROUND ZERO" Per la prima volta da presidente degli Usa, Barack Obama, ha fatto il viaggio a "Ground Zero" a quasi dieci anni dal dramma che ha cambiato il volto del mondo, ma soprattutto pochi giorni dopo il blitz in Pakistan che ha permesso di uccidere Osama Benladen: per rendere omaggio ai newyorchesi e spiegare che l'America non dimenticherà mai quello che è successo. L'obiettivo della visita del presidente era proprio di chiudere il cerchio. Oggi Obama incontrerà privatamente alcuni degli esponenti del commando autore del blitz contro Osama Benladen. Obama ha depositato una corona di fiori, in una atmosfera solenne, nel silenzio più totale. Poi, Obama ha scambiato alcune parole con parenti delle vittime, molte delle quali erano molto emozionate, alcune di loro sull'orlo delle lacrime, oltreché con diversi poliziotti di New York. Sono stati momenti molto intensi, paragonabili a quelli del primo anniversario degli attacchi, l'11 settembre 2002, quando soffiava, esattamente come ieri, un forte vento.
6 maggio 2011 DAMASCO Siria, 22 morti in proteste Da Ue accordo su sanzioni Le forze di sicurezza siriane hanno ucciso oggi 22 manifestanti filo-democratici durante le proteste nazionali per chiedere la fine del governo autoritario del presidente Bashar al Assad. Lo riferiscono attivisti e testimoni, precisando che le proteste sono cominciate dopo le preghiere del venerdì in tutto il Paese, da Bania sulla costa mediterranea a Qamishly nell'est curdo. La gestione delle proteste da parte di Assad ha provocato critiche a livello internazionale. L'Ue oggi ha raggiunto un accordo per imporre il congelamento di asset e restrizioni sui viaggi a funzionari siriani responsabili della repressione violenta nei confronti dei manifestanti antigovernativi, come riferiscono diplomatici dell'Unione. La decisione fa seguito a un accordo di massima raggiunto la settimana scorsa per imporre un embargo sulle armi alla Siria. Le misure saranno approvate formalmente lunedì prossimo, se nel frattempo nessuno Stato membro avrà sollevato obiezioni. Sulla lista figurano 14 persone, ma al momento non è chiaro se tra loro ci sia il presidente Assad. Le forze di sicurezza di Assad, che hanno compiuto un raid a Deraa la settimana scorsa, hanno evitato che i dimostranti stabilissero un presidio permanente, come quello di piazza Tahrir al Cairo, bloccando le strade di accesso a Damasco, ma ogni settimana i manifestanti usano le preghiere del venerdì per lanciare nuove proteste. "Il popolo vuole il rovesciamento del regime", hanno gridato 2.000 dimostranti a Saqba, sobborgo di Damasco, chiedendo il rilascio di centinaia di parenti arrestati dalle forze di sicurezza negli ultimi giorni, secondo quanto riferito da un testimone. Video diffusi su Internet e da al Jazeera mostrano manifestanti in diverse città ripetere le stesse richieste di libertà e cambio di leadership. Carri armati sono dispiegati a Barzeh, distretto di Damasco, e a Homs, nella Siria centrale, dove cinque manifestanti sono stati uccisi dal fuoco aperto dalle forze di sicurezza sul corteo di protesta. "Cinque corpi sono stati recuperati nella zona di Bab al-Sibaa. Ci sono decine di manifestanti feriti. Migliaia di persone stanno ancora sfilando pacificamente in altre zone di Homs", ha detto un attivista per i diritti umani, che ha chiesto di rimanere anonimo. A Hama, dove il padre di Assad soppresse brutalmente una rivolta islamica armata nel 1982, sei persone sono state uccise durante una grande protesta nel centro città, secondo quanto riferito da un attivista per i diritti umani. Altre proteste sono state registrate nel distretto Midan della capitale, nel sobborgo di Daraya e a Zabadani e Tel Kelekh, al confine libanese. Nonostante le violenze, i dimostranti sembrano determinati a proseguire nel chiedere la fine di anni di repressione, arresti senza processo e corruzione. Il leader dell'opposizione Riad Seif, che dieci anni fa contribuì a dare il via a un movimento pacifico che chiede libertà e democrazia, è stato arrestato durante una delle proteste di oggi, secondo quanto riferito dalla figlia. Le autorità ieri hanno arrestato anche un importante predicatore, Mouaz al-Khatib, una delle principali figure delle proteste, ha riferito oggi un attivista. Un diplomatico occidentale ha detto che sono 7.000 le persone arrestate dall'inizio delle proteste, lo scorso 18 marzo. Secondo i gruppi per i diritti umani, esercito, forze di sicurezza e uomini armati leali ad Assad hanno ucciso almeno 560 civili.
2011-04-26 26 aprile 2011 LIBIA Ancora razzi su Misurata, 30 morti nell'attacco di Gheddafi All'indomani del raid Nato sul bunker di Muammar Gheddafi, Bab al-Aziziya, il regime libico ha assicurato che il Colonnello non è stato in alcun modo coinvolto: "Il leader è al lavoro a Tripoli: sta bene, è in salute, guida la battaglia per la pace e la democrazia in Libia", ha affermato il portavoce del governo, Mussa Ibrahim, all'interno del compound. La sala riunioni, antistante l'ufficio di Gheddafi, è stata gravemente danneggiata dal raid di lunedì all'alba, quello che la Nato, a Bruxelles, ha definito "un attacco di alta precisione" contro il centro-comunicazione del regime. Secondo Ibrahim, nell'attacco sono morte tre persone, e 45 sono rimaste ferite, di cui 15 gravemente. Continuano gli scontri tra ribelli e truppe governative a Misurata. Dopo l'annuncio di aver conquistato la strategica città libica, gli insorti hanno fatto sapere che nella notte sono continuati a piovere razzi contro il centro portuale e che "alcuni soldati del regime si sono nascosti" alla periferia della città in attesa di sferrare contrattacchi. Da Bengasi il portavoce militare degli insorti, colonnello Ahmed Omar Bani, ha riferito che a Misurata "c'è un disastro. È la chiave per Tripoli - ha detto - e Gheddafi non è abbastanza folle" da ripiegare. Intanto l'emittente satellitare al-Arabiya rende noto che è di almeno 30 morti e 60 feriti il primo bilancio dell'attacco condotto dalle truppe di Muammar Gheddafi contro la città di Misurata.
26 aprile 2011 DAMASCO Siria, giro di vite contro l'opposizione Arrestati 44 dimostranti Ulteriore giro di vite contro l'opposizione in Siria: un attivista di spicco, Qassem al-Ghazzawi, è stato prelevato dalle forze di sicurezza nella sua casa a Deir al-Zor, nella regione orientale del Paese. Lo fa sapere l'Osservatorio siriano per i Diritti Umani, riferendo parallelamente della liberazione di undici dimostranti fermati a metà marzo durante le proteste contro il regime del presidente Bashar Assad. L'arresto di Ghizzawi si aggiunge ai 43 dimostranti fermati fra ieri e oggi in diverse località della Siria. Non va meglio per l'esponente dell'opposizione Mahmud Issa che, come conferma il responsabile dell'Osservatorio, Abdel Rahman, "sarà portato di fronte alla giustizia militare con l'accusa di possedere un telefono satellitare e un computer high-tech". L'attivista siriano è stato arrestato il 19 aprile scorso, dopo aver rilasciato un'intervista sulla situazione del Paese all'emittente Al Jazira. Già passato due volte per le prigioni siriane - nel 1992 con una condanna a 8 anni per appartenenza al partito comunista messo al bando e di nuovo nel 2006 per altri 3 anni - Issa è stato nuovamente incriminato nel marzo 2007 con l'accusa di diffondere false informazioni e seminare discordia nel Paese per aver firmato una petizione che chiedeva il riconoscimento del Libano. LA STRETTA FINALE È la stretta finale di Bashar al-Hassad contro Daraa, l’epicentro della rivolta. All’alba una decina di carri armati e blindati fanno da apripista alla temutissima Guardia presidenziale di Maher al-Assad, il fratello del presidente. Poi a migliaia entrano i soldati. Presidiati i viali del centro e la piazza dell’antica moschea al-Omari, luogo simbolo dei raduni contro il regime. "Vogliono instaurare un emirato guidato da un emiro salafita", fa sapere il governo di Damasco per giustificare l’intervento. Ma a tutti è chiaro che è la prova di forza nel tentativo di annientare, spezzare la rivolta. Cecchini appostati suoi palazzi governativi, incursioni di uomini in divisa per le strade mentre dalla capitale giungono pure alcuni elicotteri militari: brandelli di testimonianza dalla "città martire" siriana, da ieri completamente proibita ai giornalisti. Le testimonianze giungono attraverso i cellulari giordani perché le reti siriane da giorni sono oscurate. Difficile stilare un bilancio del pugno di ferro contro quelle che Damasco definisce "gruppi terroristi estremisti", mentre sui social network i ribelli invocano un "intervento internazionale". Diverse e frammentarie le testimonianze, ma concordi su un particolare: numerosi corpi sono stati lasciati riversi per ore lungo le strade, alcuni vicino alla moschea al-Omari, senza avere per ore la possibilità di rimuoverli. Almeno cinque le vittime secondo le prime ricostruzioni, poi testimoni oculari riferisco all’emittente <+corsivo>al-Arabiya<+tondo> che i cadaveri sarebbero almeno 25. Un bilancio destinato a crescere nella controffensiva lanciata da esercito e forze dell’ordine dopo l’ultima sfida organizzata per il Venerdì Santo – costata oltre 100 vittime – e proseguita ai funerali del giorno seguente trasformati, in tutta la Siria, in enormi cortei di protesta. Ma ieri si è sparato pure a Enkhel, Nawa, Jassem e Izraa, villaggi vicini a Daraa mentre a Douma, sobborgo di Damasco, le forze speciali hanno compiuto numerosi arresti. Cronaca di uno stillicidio di violenze continuate per tutto il fine settimana: secondo l’"Osservatorio siriano per i diritti umani" gli uomini di Assad domenica hanno ucciso almeno 25 persone a Jabla mentre nella vicina Banias le vittime sono una quindicina. Più di quaranta, alla fine, la stima delle perdite ieri sera. Pugno di ferro e blocco delle comunicazioni, ma non solo: chiusa per alcune ore la frontiera con la Giordania a Nassib, anche se il governo ha smentito. Ma è tutta la Siria che ribolle e il web – come nelle vicine primavere di Tunisia ed Egitto – riesce a smascherare la repressione grazie al tam tam sulla rete: un video su youtube mostra uomini che camminano al centro di una strada falciati da una serie di raffiche sparate dall’alto, probabilmente dai tetti. Un orrore sempre meno tollerato e che muove a nuove adesioni alla protesta: ieri mattina un documento firmato da 102 intellettuali siriani denunciava "le violente e oppressive azioni del regime siriano". A sottoscriverlo, dato impensabile fino a pochi mesi fa, anche alcuni esponenti di spicco della dissidenza alauita, la minoranza a cui appartiene il clan degli Assad. E intanto un’altra crepa si insinua nei palazzi del potere: un terzo deputato originario di Daraa, Bassam Zamel, ha annunciato le sue dimissioni. Luca Geronico
26 aprile 2011 I motivi della cautela occidentale sulle stragi Assad non piace a nessuno ma il dopo può essere peggio Appare sempre più feroce, ma anche sempre meno decisiva e più sconclusionata la repressione in Siria. Dopo settimane di scontri e centinaia di morti accertati, il regime di Bashar al-Assad appare molto lontano dall’aver ripreso il controllo della situazione. Cecchini che sparano sulla folla durante i funerali dei "martiri", carri armati in azione a Deraa si alternano all’annuncio della revoca del pluridecennale stato d’emergenza. La sensazione è che, a fronte del composito panorama di oppositori, che si allarga di giorno in giorno, anche il regime si stia articolando in una pluralità di posizioni non ancora a lungo sostenibile. L’esito inatteso di tutto ciò, ma comunque il meno improbabile, potrebbe essere la caduta del dittatore in seguito a un "golpe bianco", forse l’unica alternativa al vero sgretolamento del regime. I segnali che giungono da Damasco parlano infatti di una frizione crescente all’interno della famiglia di Assad, il quale sarebbe più propenso di zii, cugini e fratelli a intraprendere la via di qualche timida riforma, ma anche più indebolito a mano a mano che la protesta dilaga. Il silenzio della comunità internazionale, in particolare dell’Occidente, può apparire assordante, rispetto al clamore delle pressioni esercitate nei confronti di Ben Ali, Mubarak e Gheddafi. Eppure, il regime siriano è sicuramente più sanguinario di quello tunisino o egiziano e per di più spiccatamente antioccidentale. Anzi, proprio dell’esibito antiamericanismo, e della polemica rabbiosa contro la Francia, insieme ovviamente all’ostilità aperta nei confronti di Israele, gli Assad hanno sempre fatto uno dei principali strumenti di propaganda interna e internazionale. Americani e francesi, oltre tutto, hanno una partita aperta con Damasco sul Tribunale Speciale per il Libano (incaricato di far luce sull’omicidio dell’ex premier Rafik Hariri, avvenuto nel 2005) e masticano ancora amaro per aver perso influenza su Beirut proprio a favore dell’asse Teheran-Damasco. Non sono quindi oscuri, imbarazzanti legami a spiegare la cautela occidentale; ma semmai le gravi incognite di un repentino regime change in un Paese così decisivo per il precario ordine del Levante. Sia Washington sia Parigi temono che in caso di crollo del regime potrebbero esserci evoluzioni imprevedibili ma negative tanto all’interno del Paese quanto nell’intera regione. La natura della protesta siriana appare infatti decisamente più "orientata religiosamente" di quelle fin qui viste all’opera, dall’Egitto alla Tunisia. Proprio il carattere quasi totalitario della dittatura baathista, infatti, ha contribuito a far piazza pulita dei dissidenti più laici lasciando ai Fratelli musulmani il monopolio dell’opposizione clandestina. Dagli avvenimenti siriani dipende poi direttamente il precario equilibrio libanese, la cui coalizione di governo (composta dai cristiani maroniti di Aoun, dai Drusi di Jumblatt, dagli sciiti di Amal e soprattutto da quelli di Hezbollah) è appoggiata dalla Siria (oltre che dall’Iran) e ipoteca il ritorno dell’egemonia damascena sul "Paese dei Cedri", che quasi metà dei libanesi vede di buon occhio e poco più di metà avversa apertamente. Difficile immaginare che un crollo del regime in Siria non finirebbe con l’alimentare la tentazione di una resa dei conti finale in Libano, tra Hezbollah e i suoi molti nemici. Come ha efficacemente spiegato su Avvenire Riccardo Redaelli qualche giorno fa, anche l’Iran è costretto al silenzio, a causa dell’imbarazzo di dover comunque sostenere il suo principale alleato strategico, mentre reprime un’opposizione che si raduna nelle moschee e marcia al grido di "Allah al Akbar"... E l’atteggiamento iraniano riflette quello delle autorità israeliane, che preferiscono di gran lunga avere a che fare con il regime baathista, tanto più se indebolito per le proteste interne, piuttosto che con l’eventualità di un successo dei Fratelli Musulmani anche a Damasco, dopo Gaza (nella versione Hamas), e magari prima del Cairo e di Amman. Un simile scenario rappresenterebbe evidentemente per Tel Aviv un incubo strategico della peggior specie. Se poi, a tutti questi attori interessati in un modo o nell’altro e spesso per motivi opposti, alla sopravvivenza politica di Assad, aggiungiamo la Turchia di Erdogan, che ha fatto delle sue relazioni con la confinante Siria un perno importante della sua nuova politica mediorientale, si spiega fin troppo bene la cautela del mondo di fronte alla rivolta siriana. Vittorio E. Parsi
2011-04-16 16 aprile 2011 STRISCIA DI SANGUE Presto in Italia la salma di Arrigoni Hamas arresta altri due estremisti La salma di Vittorio Arrigoni lascerà Gaza tra domani e dopodomani: è questa l'ipotesi più realistica, secondo quanto si apprende, considerate le formalità burocratiche che devono prima essere risolte. La famiglia del pacifista italiano ha infatti espresso il desiderio che il feretro non passi da Israele ("una scelta simbolica", ha detto la madre, Egidia Beretta): e questo richiede l'apertura del valico di Rafah, la frontiera tra l'Egitto e la Striscia di Gaza. Ma l'attraversamento è stato chiuso nel 2007, quando Israele ha imposto il blocco su Gaza e la riapertura richiede complicate procedure burocratiche che stanno allungando i tempi del rientro in Italia della salma. ALTRI DUE ARRESTI TRA I SALAFITI ESTREMISTI Il governo di Hamas ha annunciato di aver arrestato altri due sospetti legati all'omicidio di Vittorio Arrigoni. Il ministero dell'Intero è "riuscito ad arrestare due sospetti" legati all'assassinio dell'attivista pro-palestinese. Ieri la polizia aveva arrestato altri due uomini. "Le forze di sicurezza stanno continuando a cercare altri membri del gruppo responsabile dell'omicidio", ha spiegato riferendosi al commando ultra-estremista salafita vicino ad Al Qaeda. STRANGOLATO POCO DOPO IL SEQUESTRO Strangolato poco dopo il sequestro. È finita così, in tragedia, l'avventura di Vittorio Arrigoni, l'attivista filopalestinese italiano rapito giovedì nella Striscia di Gaza da un commando ultra-estremista salafita. Il suo corpo senza vita è stato trovato in un appartamento di Gaza City dai miliziani di Hamas, a conclusione di un'irruzione compiuta nel cuore della notte e diverse ore prima della scadenza dell'ultimatum, che i sequestratori avevano fissato in teoria alle 16 di venerdì, per il rilascio dei loro "confratelli" detenuti pena l'uccisione dell'ostaggio. Secondo un primo esame del cadavere, Arrigoni sarebbe stato ucciso già giovedì pomeriggio, probabilmente strangolato con un cavo metallico o qualcosa di simile. Il suo corpo resta per il momento a Gaza - vegliato in quello stesso ospedale Shifa in cui era solito accompagnare ambulanze con i feriti ai tempi dell'offensiva israeliana Piombo Fuso di due anni fa - in attesa che domenica venga riaperto il valico di Erez fra Gaza e Israele. La sua uccisione è stata condannata in termini molto duri sia da Hamas sia dll'Autorità nazionale palestinese (Anp). A nome dei primi, Fawzi Barhum, ha additato gli ultra-integralisti salafiti definendoli "una banda di degenerati fuorilegge che vogliono seminare l'anarchia e il caos a Gaza". A nome dell'Anp il negoziatore Saeb Erekat ha affermato che si è trattato di un "crimine odioso che non ha niente a che vedere con la nostra storia e con la nostra religione". Condanne unanimi sono rimbalzate pure dall'Italia, da parte della Farnesina, del presidente della Camera, Gianfranco Fini, dal presidente del Senato, Renato Schifani, e da esponenti di vari partiti e sodalizi pacifisti e di sinistra. In un messaggio inviato alla signora Egidia Beretta, madre della vittima e che ha detto di essere "orgogliosa" del figlio, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha espresso "sgomento" per questa "barbarie". Di fronte all'oltraggio generale nei Territori per la uccisione di un attivista che era noto per il suo sostegno senza "se" e senza "ma" alla causa palestinese, uno dei gruppi salafiti attivi nella Striscia, al-Tawhid wal-Jihad, ha emesso un comunicato in cui si proclama estraneo alla vicenda anche se i rapitori del giovane (le finora sconosciute Brigate Mohammed Bin Moslama) avevano indicato fra i detenuti da liberare in cambio di Arrigoni un loro capo, Abd el-Walid al-Maqdisi. Nel video diffuso ieri su You-Tube il volontario italiano appariva bendato e col volto insanguinato, mentre scorreva una sovraimpressione in arabo che lo accusava di propagare i vizi dell'Occidente fra i Palestinesi, imputava all'Italia di essere un "Paese infedele" e ingiungeva a Hamas di rilasciare i salafiti detenuti nella Striscia entro 30 ore. Poi, nella notte, è arrivata la svolta. Secondo fonti locali, le indagini hanno portato all'arresto d'un primo militante salafita, il quale ha condotto gli uomini di Hamas fino al covo: un appartamento nel rione Qarame, a Gaza City, che i miliziani delle Brigate Ezzedin al-Qassam (braccio armato di Hamas) hanno espugnato nel giro di pochi minuti conclusa con la cattura di un secondo salafita. Ma hanno trovato Arrigoni già morto in un angolo, con indosso un giaccone nero e il capo coperto. L'attivista italiano erano molto noto a Gaza dove lavorava da tempo per conto dell'International Solidarity Movement, una Ong votata alla causa palestinese. Aveva partecipato in passato fra l'altro alla missione di una delle prime flottiglie salpate per sfidare il blocco marittimo imposto da Israele all'enclave dopo la presa del potere di Hamas nel 2007, seguita all'estromissione violenta dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) del presidente moderato Abu Mazen (Mahmud Abbas). INTERNATIONAL SOLIDARITY MOVEMENT: SIAMO SCONVOLTI L'organizzazione International Solidarity Movement (Ism), di cui Vittorio Arrigoni era membro, si è detta sconvolta dalla notizia dell'omicidio del volontario italiano per mano di un gruppo islamico salafita nei pressi della Striscia di Gaza. Huwaida Arraf, co-fondatore dell'Ism, in una conversazione telefonica con la France Press ha riferito di essere "sotto shock. Ho passato la notte a piangere pensando alla possibilità che" i rapitori "gli avrebbero potuto far del male", ha detto Arraf, precisando che prima d'ora non c'era "mai stata alcuna minaccia contro l'Ism a Gaza. Qui la gente ci ha accolto con grande favore perchè siamo solidali con loro". FREEDOM FLOTILLA: UCCISIONE ANOMALA "È anomala, non ha senso l'uccisione di Vittorio Arrigoni, era un ragazzo che cercava di aiutare i palestinesi: bisogna capire chi ha interesse e chi viene danneggiato dalla morte di un volontario che forse dava molto fastidio: hanno spento una voce che parlava di ciò che avvinene a Gaza". Lo ha detto Germano Monti del coordinamento di Freedom Flotilla Italia, sottolineando che "l'uccisione di Vittorio è avvenuta troppo in fretta, non vi era forse alcuna volontà di ottenere risultati, i rapitori appartenenti ad un gruppo salafita di Gaza, prima hanno chiesto la liberazione di loro compagni detenuti da Hamas e poi lo hanno subito assassinato". "Vittorio è stato ingiustamente accusato dai suoi rapitori di portare corruzione in Medio Oriente - ha aggiunto Monti - non è vero si è sempre battuto e ha sempre denunciato l'oppressione israeliana sul popolo palestinese. Bisogna capire cosa c'è dietro. È accaduto tutto troppo in fretta". MAMMA ARRIGONI: ERA SEMPRE TRANQUILLO Il corpo di Vittorio si trova all'ospedale Shifa, l'ospedale principale di Gaza City. "È l'ospedale - ha detto la madre - dove arrivava spesso Vittorio con le ambulanze ai tempi di Piombo Fuso". "Ora sto aspettando che si faccia viva la Farnesina perché da Gaza un'amica di Vittorio mi ha detto che si possono chiedere alla Farnesina le modalità di rientro di mio figlio - ha aggiunto Egidia Beretta -, io adesso chiamo la Farnesina e dico che vorremmo che Vittorio tornasse attraverso il valico di Rafah, attraverso l'Egitto". PAX CHRISTI: NON CE NE ANDREMO DA GAZA "Non ce ne andiamo, perché riteniamo essenziale la nostra presenza di testimoni oculari dei crimini contro l'inerme popolazione civile ora per ora, minuto per minuto". È l'impegno ribadito da Pax Christi Italia con le stesse parole di Vittorio Arrigoni. Don Nandino Capovilla, coordinatore nazionale del movimento cattolico internazionale per la pace, ricorda la determinazione del volontario italiano a lavorare per la gente della Palestina: "Così ripetevi durante l'operazione israeliana 'Piombo fuso', unico italiano rimasto lì, tra la tua gente, tra i volti straziati dei bambini ridotti a target di guerra. Così mi hai ripetuto pochi mesi fa prima di abbracciarmi: io obbedivo all'ultimatum dei militari al valico di Heretz, che mi ordinavano di uscire dalla Striscia di Gaza, ma tu restavi. Questa era la tua vita: rimanere". E ancora: "Sei rimasto con gli ultimi, caro Vittorio, e i tuoi occhi sono stati chiusi da un odio assurdo, così in contrasto, così lontano dall'affetto e dalla solidarietà della gente di Gaza, da tutta la gente di Gaza che non è 'un posto scomodo dove si odia l'occidente', come affermano ora i commentatori televisivi, ma un pezzo di Palestina tenuta sotto embargo e martoriata all'inverosimile. La tua gente di Palestina non dimenticherà il tuo amore per lei. Hai speso la tua vita per una pace giusta, disarmata, umana fino in fondo. Anche a noi di Pax Christi mancherà la tua 'bocca-scucita' che irrompeva in sala, al telefono, quando, durante qualche incontro qui in Italia, nelle città e nelle parrocchie dove si ha ancora il coraggio di raccontare l'occupazione della Palestina e l'inferno di Gaza, denunciavi e ripetevi: Restiamo umani!".
16 aprile 2011 LIBIA Bombe a grappolo, Tripoli nega Martinelli: Misurata allo stremo Gli aerei della Nato hanno bombardato Sirte, considerata la roccaforte del colonnello libico Muammar Gheddafi. Lo ha riferito la tv di Stato Jamahiriya, citando fonti militari di Tripoli. Intanto continua l'assedio di Misurata, che oggi è stata colpita con almeno 100 missili grad, secondo quanto ha detto un portavoce degli insorti. L'organizzazione umanitaria Human Rights Watch (Hrw) ha confermato che le forze governative fedeli al leader libico Muammar Gheddafi hanno fatto uso di bombe a grappolo contro la città di Misurata ma l'accusa è stata smentita da un portavoce ufficiale a Tripoli. La notizia era stata diffusa ieri dal New York Times, che aveva pubblicato una corrispondenza del suo inviato nella città portuale controllata dagli insorti e stretta d'assedio da oltre un mese. In un comunicato pubblicato sul suo sito web, Hrw afferma che almeno tre ordigni a frammentazione, presumibilmente sparati con un mortaio, sono stati visti esplodere nella notte tra giovedi e venerdi nel distretto di El Shawahda da alcuni suoi operatori sul campo. Questi hanno inoltre avuto notizia da fonti attendibili di altri due ordigni di questo tipo, esplosi in altri due quartieri sempre nella notte tra giovedi e e venerdi. "È veramente esecrabile che la Libia faccia uso di armi di questo genere in aree resideniali", ha commentato Steve Goose, responsabile della divisione armamenti dell'organizzazione umanitaria. A Tripoli, un portavoce del governo libico, Mussa Ibrahim, ha tuttavia smentito. "Non utilizzeremmo mai armi simili contro le popolazioni libiche - ha detto ai giornalisti - oltretutto il mondo ci sta guardando e non potremmo mai fare una cosa del genere". MISURATA SOTTO ASSEDIO "A Misurata le donne sono violentate e mutilate, le famiglie sono rinchiuse in casa". Lo afferma il vicario apostolico di Tripoli, monsignor Giovanni Innocenzo Martinelli, che all'agenzia vaticana Fides spiega di aver appreso di stupri in atto da alcune donne musulmane di Tripoli che sono in contatto con le vittime. "Non avete idea di cosa sta succedendo là", hanno detto queste signore al vescovo che ha riferito quanto appreso sia all'agenzia vaticana Fides che "a un workshop via telefono organizzato dal Servizio d'Azione Europeo Esterno al quale - rivela il presule - hanno partecipato anche altre persone, alcuni libici residenti in Europa ed in Egitto". "Si è discusso - spiega monsignor Martinelli - di come portate gli aiuti umanitari alla Libia dopo la fine del conflitto, e io ho ribadito che prima bisogna trovare il modo di fare finire la guerra". Il vicario apostolico di Tripoli cita in proposito il documento delle comunità cristiane presenti in Libia che esorta a "sfruttare le relazioni tribali". "Gheddafi - ricorda - ha avuto il merito di aver riunificato le diverse cabile (tribù) libiche". "Nella nostra dichiarazione - conclude - suggerivamo di coinvolgere i saggi, gli anziani per trovare la via del dialogo tra le diverse componenti della società libica".
16 aprile 2011 IL FRONTE DIPLOMATICO L’Italia: non bombardiamo Usa, Francia e Gb: Gheddafi deve andarsene Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia stanno ormai proiettandosi "oltre" la risoluzione numero 1973, con cui il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha autorizzato l’imposizione di una no flyzone sulla Libia e "tutte le misure necessarie " per proteggere i civili. Mentre l’Italia ribadisce che non fornirà armi offensive ai ribelli di Bengasi, è il ministro della Difesa francese Gerard Longuet ad ammettere che si punta a un cambio di regime nel Paese nord-africano, e dunque alla fine di Muammar Gheddafi. Alla domanda se con ciò i governi aderenti alla coalizione non rischierebbero di spingersi "al di là dei limiti" della risoluzione Onu, Longuet ha risposto: "Della risoluzione 1973? Certo che sì! Essa non si occupa del futuro di Gheddafi ma penso che, quando tre grandi potenze affermano la stessa cosa, questo anche per la Nazioni Unite è rilevante, e forse un giorno il Consiglio di sicurezza adotterà un’altra risoluzione". Quanto all’appello per "evitare l’uso della forza", lanciato giovedì dall’isola cinese di Hainan dal gruppo dei cosiddetti Brics, il ministro francese ha commentato che "è naturale" che Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica "puntino i piedi ". "Però – ha chiesto in tono polemico Longuet – quale grande Paese può accettare che un capo di Stato possa risolvere i propri problemi dando ordine di aprire il fuoco con i cannoni contro la sua stessa popolazione? Nessuna grande potenza è in grado di accettare una cosa del genere – ha ammonito il ministro francese – Accanto all’azione militare mi piacerebbe assistere a un’apertura politica tale che i libici possano ricompattarsi per immaginare insieme, da soli un avvenire senza Gheddafi". Gli stessi Nicolas Sarkozy, Barack Obama e David Cameron – in un articolo congiunto pubblicato ieri su quattro quotidiani – hanno sottolineato che è "impossibile " immaginare un futuro per la Libia con Gheddafi al potere. "Il nostro dovere e il nostro mandato in base alla risoluzione Onu 1973 è proteggere i civili, ed è ciò che stiamo facendo", hanno scritto i tre leader, secondo i quali però la rimozione con la forza del Colonnello non è un obiettivo. Certo è che finché Gheddafi rimarrà al potere, "la Nato e i suoi partner della coalizione devono continuare le loro operazioni per proteggere i civili e aumentare la pressione sul regime". Per il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Anders Fogh Rasmussen, il messaggio dei tre leader "riflette l’unità all’interno della Nato". A chi gli ha chiesto se l’iniziativa dei tre leader prelude a un cambio della risoluzione Onu, Rasmussen ha risposto di non avere sentito alcuna richiesta di modifica e ha aggiunto che le operazioni in Libia "non vanno oltre la risoluzione delle Nazioni Unite". Non si è fatta attendere, peraltro, una nuova presa di posizione della Russia. Il ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha detto di ritenere "urgente" una tregua in Libia e l’avvio di negoziati tra le due parti in causa. Per Lavrov in "molte occasioni" le operazioni militari della Nato sono andate oltre il mandato della risoluzione Onu 1973, la quale peraltro "non ha autorizzato il cambio di regime in Libia". Dal Palazzo di Vetro, intanto, il capo del dipartimento per il peacekeeping, Alain Leroy, ha detto ieri che l’Onu non esclude un dispiegamento di caschi blu in Libia nel caso di una tregua. "Sia chiaro che è prematuro parlarne adesso, ma se ci fosse un cessate il fuoco, esso andrebbe monitorato, e si potrebbe ricorrere ai militari delle Nazioni Unite, ha detto Leroy. Intanto anche ieri gli aerei della Nato hanno effettuato raid sia a Tripoli che a Sirte. Da parte loro le forze fedeli a Gheddafi hanno lanciato una pioggia di razzi su Misurata, contesa agli insorti, uccidendo almeno otto persone. Sarebbero almeno 120 i missili arrivati, in particolare sul quartiere di Qaser Ahmet, che già giovedì era stato oggetto di un duro attacco. Stando al New York Times, i lealisti starebbero utilizzando anche bombe a grappolo. Paolo M. Alfieri
2011-04-15 15 aprile 2011 LIBIA Obama, Cameron, Sarkozy: "Gheddafi se ne deve andare" In una nota congiunta, Barack Obama, Nicolas Sarkozy e David Cameron hanno ripetuto che le operazioni in Libia devono continuare finché Gheddafi non uscirà definitivamente di scena. La dichiarazione è stata pubblicata dal Times nel Regno Unito, dall'International Herald Tribune negli Stati Uniti, da Le Figaro in Francia e da al-Hayat nel mondo arabo. Vi si legge: "Finché Gheddafi sarà al potere, la Nato e gli alleati della coalizione devono continuare le operazioni per proteggere i civili e per fare pressione sul regime". I tre leader proseguono, nella nota, spiegando che solo dopo che Gheddafi avrà lasciato il potere potrà cominciare la transizione dal regime dittatoriale a un processo costituzionale aperto a una nuova generazione di dirigenti. "Perché questa transizione abbia esito positivo, Gheddafi deve andarsene, definitivamente. Allora, starà all'Onu e agli Stati membri aiutare il popolo della Libia a ricostruire ciò che è stato distrutto da Gheddafi, a ricostruire case e ospedali, a ristabilire servizi di base nello stesso tempo in cui i libici costruiranno le istituzioni per fondare una società aperta e prospera", continua la dichiarazione. Per Obama, Sarkozy e Cameron, non è possibile che Gheddafi resti al potere, perché "è impensabile che qualcuno che ha voluto massacrare il proprio popolo abbia un ruolo nel futuro governo della Libia, "sarebbe un inimmaginabile tradimento" nei confronti dei libici. Hanno anche ribadito che spetterà a loro decidere il futuro del Paese: "E' il popolo libico, e non le Nazioni unite, che sceglierà la sua nuova Costituzione, eleggerà i suoi nuovi dirigenti e scriverà il prossimo capitolo della sua storia. Francia, Regno Unito e Stati Uniti non smetteranno di operare secondo le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'Onu perché il popolo possa decidere del proprio avvenire". NUOVI RAID DELLA NATO La Nato ha lanciato tre nuovi raid aerei nelle scorse ore sulla capitale libica Tripoli e negli immediati dintorni. Lo riferisce l'emittente satellitare al-Jazeera, spiegando che gli aerei dell'alleanza hanno preso di mira,tra gli altri obiettivi, un deposito di missili. ANCORA MISSILI SU MISURATA: ALMENO OTTO MORTI Nelle utlime ore Misurata, ultima roccaforte dei ribelli in Tripolitania, è stata sottoposta a una vera e propria valanga di missili e razzi da parte delle forze fedeli al regime di Muammar Gheddafi: lo ha riferito l'emittente televisiva satellitare al-Jazira, citando fonti mediche locali, secondo cui vi sono stati almeno otto nuovi morti e sette feriti, tra cui bambini, donne e anziani. Abitanti della città libica, assediata dai governativi ormai da oltre due mesi, raggiunti telefonicamente hanno affermato che l'ennesimo attacco è scattato la notte scorsa e proseguito anche durante la mattinata: non meno di 120 i missili lanciati dai lealisti, hanno precisato. Intanto convogli dei ribelli libici dotati di cannoni e lanciarazzi si stanno spingendo oltre la città orientale di Ajdabiya per studiare il terreno di battaglia e verificare se il fronte lealista è indietreggiato dopo gli attacchi aerei lanciati ieri dalla Nato. Lo riferisce un corrispondente dell'Afp. Ai giornalisti, tuttavia, è stato impedito di seguire il movimento degli insorti e sono stati bloccati alla periferia della città libica. Le milizie ribelli, scrive il giornalista, temono che una copertura mediatica dei combattimenti possa agevolare le truppe di Gheddafi a colpire le loro posizioni. TV MOSTRA GHEDDAFI IN MACCHINA A TRIPOLI Ieri un raid Nato su Tripoli ha provocato forti esplosioni nei pressi di Bab al-Aziziya, la residenza-bunker del colonnello Muammar Gheddafi, apparso più tardi sulla tv di stato mentre era portato in trionfo su un'auto per le vie della capitale. In serata, anche la figlia Aisha è apparsa a Bab al-Aziziya e ha tenuto un discorso trasmesso in diretta.La Nato continuerà le operazioni militari in Libia fino a quando "tutte le violenze contro la popolazione civile saranno cessate". E' l'impegno assunto dai 28 alleati al Consiglio Esteri di Berlino, secondo quanto riferito dal segretario generale Anders Fogh Rasmussen. Gli insorti avevano rivolto un disperato appello, chiedendo ai Paesi Nato di intensificare gli attacchi contro le forze di Gheddafi, altrimenti a Misurata sarà "un massacro": nella città oggi almeno 23 i morti sotto i bombardamenti. Intanto un raid aereo è in corso su Tripoli. E' stata udita una forte esplosione in particolare nel settore di Bab Al Aziziya, residenza del colonnello Muammar Gheddafi. La tv di stato libica ha mostrato immagini del colonnello Muammar Gheddafi in giro per Tripoli a bordo di una macchina sportiva decappottabile. La 'passeggiata' del rais, secondo il canale televisivo, è avvenuta mentre la capitale libica veniva bombardata dalla Nato. Le immagini trasmesse dalla tv di stato mostrano Gheddafi - occhiali scuri, giacca nera e cappello da safari verde - a bordo di un Suv, seguito da un corteo di macchine. Il rais, in piedi fuori dal tettuccio della macchina, saluta la gente e alza i pugni in aria.
15 aprile 2011 LE RIVOLTE DEL PANE Cibo, prezzi alle stelle Torna la paura Sebbene il morso della crisi economica si sia allentato negli ultimi mesi, sembra che inizino a sorgere nuove difficoltà, particolarmente per il sud del mondo. L’allarme è stato lanciato ieri da Washington, in seguito all’intervento di Robert Zoellick, presidente della Banca mondiale. "Stiamo uscendo dalla crisi economica e finanziaria, ma dobbiamo affrontare nuovi rischi e nuove sfide", ha dichiarato Zoellick a proposito degli incontri con le autorità del Fondo monetario internazionale (Fmi) che si stanno tenendo in questi giorni. "La più grande emergenza economica è quella data dall’aumento dei prezzi del cibo, che da giugno ha creato 44 milioni di nuovi poveri". Il numero uno della Banca mondiale ha precisato che nel caso in cui il prezzo degli alimenti dovesse salire di un altro 10%, il numero di coloro che attualmente vivono in estrema povertà aumenterebbe di 10 milioni. Se il rialzo raggiungesse invece il 30%, diventerebbero almeno 34 milioni i più poveri del mondo. Poiché il prezzo dei prodotti alimentari cresce del 36% all’anno secondo Zoellick, parte delle popolazioni che hanno sofferto di più durante quest’ultimo periodo sembrano decise a fare di tutto pur di evitare una nuova catastrofe economica. Zoellick ha avvertito che "i poveri del mondo non possono aspettare poiché molti stanno già soffrendo e molti altri potrebbero diventare poveri per gli elevati e volatili prezzi degli alimentari. Quindi – ha continuato il presidente – dobbiamo mettere gli alimentari al primo posto, così da tutelare i poveri che spendono la maggior parte del loro reddito per mangiare". Secondo i dati della Banca mondiale, i prezzi degli alimentari si stanno avvicinando sempre di più ai picchi del 2008. "L’impennata dei prezzi degli alimentari – ha concluso Zoellick – ha peggiorato la situazione dei già 1,2 miliardi di persone che vivono in estrema povertà, ovvero con meno di 1,25 dollari al giorno". L’emergenza potrebbe portare all’apertura di nuovi fronti: violente proteste, ispirate dagli eventi in Nord Africa, si stanno facendo sentire in diversi Paesi dell’Africa sub-sahariana. Il leader dell’opposizione ugandese, Kizza Besigye, è stato arrestato e ferito lunedì scorso mentre protestava con altri mille manifestanti contro gli alti costi dei prodotti alimentari e della benzina. "La mano di ferro con cui la polizia ha sedato la folla ha attirato molta più attenzione di quanto i manifestanti si aspettassero", ha commentato Joseph Lake, analista per l’Economist intelligence unit (Eiu). Altre proteste si sono svolte in Swaziland all’inizio della settimana: "La gente non si fida più dell’attuale governo", ha affermato Mario Masuku, leader dell’opposizione arrestato per aver organizzato le manifestazioni. "La corruzione delle autorità dello Swaziland ha provocato un forte abbassamento dei nostri standard di vita". In Burkina Faso, in seguito alla recente morte di un giovane studente detenuto dalla polizia, sono rimaste uccise negli scontri quattro persone che protestavano contro le autorità. "Le lamentele sociali ed economiche sono sempre più radicate tra la gente", ha confermato l’analista Mark Schroeder, in riferimento alle proteste di marzo avvenute in Senegal contro il presidente Abdoulaye Wade, in carica da undici anni e in cerca di un terzo mandato non previsto dalla costituzione. "Sono ormai in tanti a pensare che i propri governi non daranno loro aiuto". Matteo Fraschini Koffi
15 aprile 2011 PAESI EMERGENTI I nuovi giganti lanciano la sfida ai 7 Grandi Il terzo atto della sfida delle nuove potenze dell’economia mondiale al vecchio Occidente è andato in scena all’hotel Sheraton di Sanya, sull’isola di Hainan, nell’estremo sud della Cina. È lì che il presidente cinese Hu Jintao ha ospitato i colleghi di Brasile, Russia, India e (per la prima volta) Sudafrica per il vertice dei Brics, con la novità della "s" finale che sancisce l’ingresso ufficiale della nazione africana. "Il nostro potenziale economico, la nostra influenza politica, le prospettive di sviluppo di questa nostra alleanza sono eccezionali" ha constatato il russo Dmitry Medvedev. Non esagera, l’inquilino del Cremlino: assieme, i cinque Brics producono il 18% del Pil mondiale, hanno il merito del 45% della crescita economica del pianeta e la responsabilità del 40% dei suoi abitanti. Hanno titolo per dire la loro sulla gestione dell’economia globale, un tema che, qualche ora dopo, sarebbe stato discusso a qualche migliaio di chilometri di distanza dai leader Occidentali, riuniti a Washington assieme al Fondo monetario internazionale e alla Banca mondiale. Rispetto ai 7 Grandi (che rappresentano invece il 51% del Pil globale), i 5 Brics fanno fatica a trovare punti di contatto. In comune queste nazioni hanno solo la fortissima crescita economica e la voglia di scalfire l’egemonia occidentale sul sistema della ricchezza globale. Per il resto sono Paesi politicamente e culturalmente molto diversi, e ognuno di essi deve il suo recente successo economico a caratteristiche specifiche differenti da quelle degli altri Brics. A Sanya – che era il loro terzo appuntamento – i cinque leader sono comunque riusciti a trovare un massimo comun denominatore che permettesse loro di parlare a una voce sola. Vogliono togliere al dollaro il ruolo di perno del sistema monetario globale. "La crisi finanziaria mondiale – recita il loro comunicato finale – ha dimostrato l’inadeguatezza e i difetti dell’attuale sistema finanziario e monetario internazionale". Serve allora un "sistema internazionale di riserve valutarie che dia più certezze e maggiore stabilità". Significa che le nuove potenze non sono più disposte a riconoscere agli Stati Uniti il privilegio di avere la moneta sulla quale le altre nazioni devono basare i loro scambi. Soprattutto adesso che Washington, con l’enorme deficit pubblico che ha generato per cercare il rilancio della sua economia, ha reso il biglietto estremamente instabile, e non per un breve periodo. La critica non è nuova. Sono ormai due anni che il dollaro è sotto accusa. È nuova la strategia. I Paesi Brics hanno annunciato che inizieranno a fare operazioni tra loro nelle valute nazionali, cioè senza più passare dai dollari, così da rendersi gradualmente indipendenti dal destino della moneta americana. La China Development Bank, tanto per iniziare questo nuovo corso, presterà 10 miliardi di yuan (l’equivalente di 1,5 miliardi di dollari) alle banche degli altri quattro Paesi Brics. È l’avvio di una sorta di Fondo monetario internazionale alternativo, un’altra tappa nel trasferimento verso nuove località degli snodi della finanza internazionale. L’indebolimento del dollaro non è l’unico punto su cui le nuove potenze hanno trovato una loro unità. Tutti hanno condiviso la necessità di una "maggiore attenzione" ai flussi di capitale tra gli Stati, che rischiano di gonfiare eccessivamente le loro monete. E anche i prezzi delle materie prime – in particolare quelle alimentari e l’energia – sono finiti nel mirino comune, tanto che su questo tema la Cina conta di potere portare una posizione unitaria dei Brics al G20 di Cannes, a novembre. Pechino, infatti, si è presa di diritto tra i Brics il ruolo di guida che spetta agli Usa nel G7. Ma sembra volerlo esercitare senza fare concessioni. La brasiliana Dilma Roussef, che avrebbe voluto strappare a Hu la scomoda promessa di uno yuan più flessibile, non è riuscita nemmeno a inserire il tema nell’agenda del vertice. Pietro Saccò
2011-04-14 14 aprile 2011 RIVOLTE IN NORD AFRICA Libia, Misurata allo stremo Ribelli chiedono aiuto Nato "Fornendo armi ai ribelli di Bengasi si rischia di non far terminare la guerra, anzi di prolungarla". Lo afferma oggi mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, dopo che ieri a Doha, in Qatar, il "Gruppo di contatto sulla Libia" ha deciso di istituire "un meccanismo finanziario temporaneo" per finanziare il Consiglio Nazionale di Transizione di Bengasi, mentre alcuni Paesi che hanno partecipato al vertice hanno annunciato l'intenzione di fornire l'equipaggiamento militare ai ribelli. "Abbiamo pregato per l'incontro di Doha, perchè prevalesse il dialogo nella verità senza lasciarsi prendere da tanti interessi di parte", dice mons. Martinelli all'agenzia vaticana Fides. Riferendosi poi al documento delle Chiese cristiane presenti a Tripoli inviato all'Onu il vicario apostolico commenta: "Speriamo che nel nostro piccolo possiamo far maturare il seme della riconciliazione che solo la potenza di Dio può donare". Il Vicario Apostolico di Tripoli aggiunge che, a suo parere, la crisi poteva forse essere evitata se "si fosse dato maggiore ascolto alle esigenze dei giovani, che aspirano ad un lavoro ed un futuro". "La situazione a Tripoli è abbastanza tranquilla - aggiunge il vescovo -, ieri sera ho sentito una forte esplosione che però era alquanto lontana. So di scontri in aree come quella di Iefren, dove alcune suore lavorano nell'ospedale. Ho raccolto voci su di una manifestazione di protesta che sarebbe prevista per oggi a Tripoli, ma è una notizia difficile da verificare. Tripoli sembra però sotto controllo". FRANCIA GERMANIA: SOLUZIONE POLITICA E NON MILITARE Diverse le opinioni di Francia e Germania sull'intervento militare in Libia, ma entrambe sono d'accordo nel considerare che "una soluzione duratura" nel Paese "sarà politica, non militare". Lo hanno affermato i ministri degli Esteri francese e tedesco, Alain Juppè e Guido Westerwelle, a margine del consiglio Esteri della Nato a Berlino. Per il capo della diplomazia tedesca "la Germania ha deciso di non partecipare alle azioni militari, ma è d'accordo sul fatto che la Libia ha un avvenire solo se" Gheddafi lascia il potere. "Il disaccordo - ha spiegato Westerwelle - riguarda il modo con cui perseguire questo obiettivo". "Condividiamo lo stesso obiettivo, anche se divergiamo sulla forza militare", ha poi replicato Juppè, precisando che c'è un accordo "nel ritenere che la soluzione duratura sarà politica non militare". ASHTON, L'UE VUOLE CHE GHEDDAFI SE NE VADA IMMEDIATAMENTE "La posizione dell'Ue è chiara, il colonnello Gheddafi deve ritirarsi immediatamente". Così, il capo della diplomazia europea Catherine Ashton, nel corso del vertice della Lega araba aperto oggi al Cairo, interamente dedicato alla situazione libica. I RIBELLI: "23 MORTI A MISURATA" I ribelli libici hanno lanciato un disperato appello alla Nato perchè intensifichi i raid nella zona di Misurata, dopo che un nuovo bombardamento delle forze di Muammar Gheddafi ha fatto almeno 23 morti, fra cui tre egiziani. Sull'ultima roccaforte dei rivoltosi in Tripolitania sono piovuti 80 razzi Grad di fabbricazione sovietica. "Ci sarà un massacro se la Nato non interviene con forza", ha avvertito un portavoce del Consiglio nazionale transitorio identificatosi come Abdelsalam dalla città sotto assedio da 50 giorni. L'appello è stato lanciato mentre a Berlino si apriva la riunione dei ministri degli Esteri della Nato che deve fare il punto sulle operazioni in Libia. DAL VERTICE BRIC CONDANNA ALL'USO DELLA FORZA I principali Paesi emergenti, Brasile, Cina, India, Russia e Sudafrica, si dicono contrari all'"uso della forza" per risolvere la crisi libica. In una dichiarazione congiunta da Sanya, la città dell'isola cinese delle vacanze Hainan, che ospita il vertice lampo del Brics, i Paesi emergenti si dicono "estremamente preoccupati per i disordini nelle regioni del Medio Oriente, del Nord Africa e dell'Africa occidentale e augurano che i Paesi coinvolti possano avere presto pace, stabilità, prosperità e progresso" sempre nel "rispetto delle legittime aspirazioni delle loro popolazioni". "Condividiamo il principio che l'uso della forza debba essere evitato", si legge nella cosiddetta Dichiarazione di Sanya, in cui viene espresso l'appoggio del Brics all'iniziativa dell'Unione africana per la Libia. "Sosteniamo che l'indipendenza, la sovranità, l'unità e l'integrità territoriale di ogni nazione vadano rispettate", prosegue il testo, rilanciato dall'agenzia di stampa ufficiale cinese Xinhua. Al vertice, presieduto dal leader cinese Hu Jintao, hanno partecipato la presidente del Brasile Dilma Rousseff, il russo Dmitry Medvedev, il premier indiano Manmohan Singh e il presidente sudafricano Jacob Zuma.
14 aprile 2011 IL PIANO DEGLI USA Obama: più tasse per i più ricchi Ridurre il deficit di 4mila miliardi in 12 anni attraverso una riforma della sanità per poveri e anziani, tagli alla spesa militare e un aumento delle tasse per i più ricchi. Così Barack Obama propone di riportare sotto controllo la "bestia" del deficit Usa, che viaggia attualmente al ritmo di più di 1.500 miliardi l’anno e alimenta un debito pubblico di oltre 14mila miliardi di dollari. Rispondendo al piano fiscale repubblicano con un discorso all’università privata George Washington, il presidente Usa ha assicurato di essere disposto a ridurre importanti voci di spesa. Ma non ad abbracciare la visione di un’America che non può permettersi di aggiustare le strade, di far studiare giovani svantaggiati o di assicurare una pensione minima ai suoi vecchi. Obama ha anche respinto la scelta che molti economisti hanno posto di fronte all’America. "Non dobbiamo scegliere fra un futuro in una spirale di debito e uno in cui rinunciamo ad investire nella gente e nel nostro Paese – ha affermato con forza –. Per risolvere la sfida fiscale dobbiamo fare sacrifici. Ma non sacrificare l’America nella quale crediamo". È stato un discorso politico, il primo discorso elettorale di Obama nella campagna per la sua rielezione. Invece di ribattere punto per punto al progetto fiscale presentato dal Grand Old Party, il capo della Casa Bianca ha scelto infatti di spiegare agli americani che tipo di America descrive il loro documento, a suo parere. "La loro visione consiste non nel ridurre il deficit ma nel cambiare il patto del governo con i suoi cittadini – ha detto –. Non c’è niente di serio in un piano che spende mille miliardi di dollari in tagli alle tasse per i miliardari e che chiede di sacrificarsi agli anziani, ai malati, ai bambini e ai disabili". Obama non ha perso l’opportunità di attribuire la colpa dell’attuale disastro fiscale al suo predecessore. Ha iniziato il suo intervento proprio spiegando, senza fare nomi, che, dal 2000 in avanti, "abbiamo aumentato la spesa pubblica drammaticamente con due guerre e un programma di medicine gratis che non potevamo permetterci, peggiorando le cose con migliaia di miliardi in incentivi fiscali ai più abbienti". Incentivi che, ha tuonato, "mi rifiuto di prorogare". L’approccio proposto da Obama non contiene dunque tagli a Medicare e Medicaid (sanità per poveri e over 65), Social security (pensione minima di vecchiaia) che, insieme al Pentagono, assorbono due terzi delle uscite del governo. Ma va alcuni passi più in là di quanto molti democratici sono pronti a concedere. Il presidente è disposto a riformare quei programmi rendendoli più efficienti e competitivi, e generando risparmi per 480 miliardi entro il 2023. Inoltre è aperto a continuare sulla via delle sforbiciate alla spesa discrezionale (scuole, infrastrutture, energia, ricerca, ambiente), al ritmo di 770 miliardi entro il 2023. Il resto del deficit verrà contenuto limitando le deduzioni fiscali per il 2% di americani che guadagnano più di tutti gli altri. La sua speranza è che il resto venga da un’economia in crescita a un passo maggiore di quel "moderato" che la Fed, nel suo Beige Book, ha fotografato ieri per febbraio e marzo. Ma i repubblicani hanno già promesso battaglia. Elena Molinari
13 aprile 2011 EGITTO Mubarak arrestato con i figli Peggiorano le condizioni di salute I giudici egiziani hanno stabilito che l'ex presidente Hosni Mubarak resti in custodia cautelare per 15 giorni, evitando così nuove proteste di piazza contro i generali, sospettati di voler coprire il loro ex comandante. Mubarak, costretto a lasciare la presidenza l'11 febbraio dopo le proteste di massa contro il suo governo trentennale, è ricoverato in ospedale a Sharm el-Sheikh dopo aver accusato quella che i media di stato hanno definito "una crisi cardiaca". Ma la tv satellitare al Jazeera ha reso noto che un elicottero militare è atterrato vicino al nosocomio per trasportarlo al Cairo, anche se per il momento non si hanno conferme indipendenti della notizia. Una fonte medica successivamente ha invece detto che l'ex presidente egiziano si trova ancora in ospedale a Sharm el-Sheikh e che la sua salute è "instabile". "L'ex presidente Hosni Mubarak rimane qui in ospedale e la sua salute è instabile", ha detto la fonte a Reuters. Sulle condizioni di Mubarak si sono susseguite versioni contrastanti. Secondo alcune notizie Mubarak sarebbe stato ricoverato in terapia intensiva dopo una "crisi cardiaca" durante l'interrogatorio. Secondo altre notizie, invece, Mubarak era in condizione di sostenere l'interrogatorio direttamente in ospedale, a Sharm el-Sheikh. I pubblici ministeri hanno convocato domenica l'ex presidente egiziano per interrogarlo sull'uccisione dei contestatori e sulle accuse di appropriazione indebita di fondi pubblici. I suoi due figli, Alaa e Gamal, sono stati a loro volta convocati per essere interrogati sulle accuse di corruzione e posti in custodia cautelare per 15 giorni, ha riferito la tv di stato. Mubarak, nella prima dichiarazione pubblica dopo le dimissioni, trasmessa domenica da Al Arabiya, ha respinto tutte le accuse. Una fonte della sicurezza ha detto che probabilmente Mubarak resterà per ragioni di sicurezza in carcere a Sharm el-Sheikh, dove si trova da quando ha lasciato l'Egitto. Una fonte aeroportuale di Sharm el-Sheikh, invece, ha detto che i figli hanno lasciato la città per essere condotti in una prigione del Cairo. I militari egiziani, al governo da quando Mubarak si è dimesso, hanno dovuto subire le sempre più decise pressioni da parte dei contestatori di piazza Tahrir, che chiedono che Mubarak e i suoi alleati siano processati. Ieri i soldati hanno interrotto un sit-in che durava da cinque giorni, nella piazza diventata l'epicentro delle rivolte a gennaio. Durante le proteste di massa che hanno portato alle dimissioni di Mubarak sono state uccise più di 380 persone.
13 aprile 2011 TRAGEDIA Scontri in Yemen: almeno quattro morti Nello Yemen forze rivali si sono scontrate oggi nella capitale Sanaa, causando la morte di due persone, mentre l'opposizione aspetta che i mediatori del Golfo Arabo chiariscano i tempi del trasferimento di poteri contenuto nel loro piano di mediazione. Scontri si sono verificati anche nella città portuale di Aden, nel sud del paese, quando le forze di sicurezza hanno cercato di interrompere una manifestazione di protesta contro il presidente Ali Abdullah Saleh, al potere da 32 anni, come hanno riferito testimoni. I ministri degli Esteri del Golfo Arabo hanno invitato le due fazioni che si contrappongono in Yemen a incontrarsi in Arabia Saudita per discutere del trasferimento di poteri e per porre fine a due mesi di proteste per le strade. L'opposizione inizialmente aveva rifiutato il piano del Golfo Arabo ma ieri si è incontrata con ambasciatori di Arabia Saudita, Kuwait e Oman per avere chiarimenti sui dettagli della proposta. A Sanaa, però, la tensione rimane alta vicino all'accampamento del generale Ali Mohsen, le cui forze stanno proteggendo migliaia di contestatori di Saleh che si sono accampati vicino all'Università di Sanaa. "Le forze della polizia centrale hanno ingaggiato degli scontri con le forze della prima divisione armata, e due soldati sono rimasti uccisi, mentre altri quattro sono in condizioni critiche", ha detto una fonte militare. Uno dei due morti faceva parte delle forze del generale Mohsen, mentre l'altro apparteneva alle truppe governative. Almeno una persona, poi, è stata uccisa ad Aden quando la polizia ha aperto il fuoco per fermare una manifestazione di protesta, mentre nella provincia meridionale di Lahej, dove sono attivi anche i separatisti e i militanti di al Qaeda, una persona è stata uccisa mentre tentava di impedire ad alcune persone di portare armi attraverso un checkpoint nella città di Yafie.
2011-04-12 11 aprile 2011 GUERRA CIVILE Costa D'Avorio, le forze francesi arrestano Gbagbo Le forze speciali francesi hanno arrestato oggi il presidente uscente della Costa d'Avorio Laurent Gbagbo e lo hanno consegnato ai leader dell'opposizione, dopo che i carri armati di Parigi hanno fatto irruzione nella residenza di Gbagbo. Lo ha riferito un consigliere del presidente uscente in Francia. "Gbagbo è stato arrestato dalle forze speciali francesi nella sua residenza ed è stato consegnato ai leader ribelli", ha detto a Reuters Toussaint Alain. Il presidente uscente e sua moglie Simone sono stati condotti all'Hotel del Golf, quartier generale delle forze del suo rivale Alassane Ouattara ad Abidjan. La notizia è stata confermata dall'ambasciatore di Francia, Jean-Marc Simon. Una fonte del ministero degli Esteri francese ha confermato la notizia dell'arresto di Gbagbo. Questa mattina una colonna di oltre 30 veicoli armati è avanzata verso la residenza di Gbagbo a Abidjan, ha detto a Reuters un testimone, e Alain ha fatto sapere che i veicoli sono penetrati nell'edificio. "Si tratta di forze francesi che stanno portando dentro i ribelli", ha detto Alain. "Le forze speciali francesi sono dentro la residenza". Ieri gli elicotteri delle Nazioni unite e francesi hanno attaccato il palazzo presidenziale di Gbagbo, accusato di usare armi pesanti contro civili.
2011-04-09 9 aprile 2011 RIVOLTE IN NORD AFRICA L'Egitto di nuovo in bilico La polizia spara al Cairo La polizia militare egiziana ha sparato alcuni colpi di pistola in aria stamani per disperdere un centinaio di manifestanti che si trovava ancora in piazza Tahrir, al Cairo, all'indomani della giornata "delprocesso e della purificazione". Lo riferiscono alcuni testimoni. Degli "elementi del ministero dell'Interno", sostenuti da civili, hanno sgomberato i "fuorilegge" da piazza Tahrir, ha detto l'esercito in un comunicato citato dall'agenzia di stampa ufficiale Mena. Due mesi dopo la caduta del presidente egiziano Hosni Mubarak più di 100mila persone hanno manifestato ieri per chiedere che venga processato, criticando allo stesso tempo la leadership militare che guida il Paese. Sfidando le istruzioni dei propri superiori di non manifestare in uniforme, sette luogotenenti hanno preso la parola per chiedere "il giudizio dei corrotti" e una epurazione dell'esercito. A mezzanotte, gli ufficiali dissidenti erano ancora sul posto, riuniti in una tenda e protetti da manifestanti che dicevano di voler impedire loro di essere arrestati.
9 aprile 2011 RIVOLTE IN MEDIO ORIENTE Proteste in Siria, oltre trenta vittime tra polizia e manifestanti "Non permetteremo azioni di sabotaggio che minaccino l'unità nazionale e destabilizzino le fondamenta della politica siriana". È quanto si legge in un comunicato emesso dal ministero dell'Interno di Damasco a commento delle proteste e degli scontri di ieri, in cui si torna ad accusare "gruppi armati" di aver agito come provocatori e aver sparato contro i manifestanti. Il comunicato, diffuso dall'agenzia Sana, parla di "cospiratori spinti da forze straniere che rifiutano le riforme" avviate dal presidente Bashar al-Assad. "Questa gente si è infiltrata tra i manifestanti per seminare discordia tra cittadini e forze di sicurezza - si legge ancora - Ha dato fuoco alle istituzioni pubbliche, ha attaccato i soldati e gli agenti di sicurezza che invece hanno evitato di aprire il fuoco. Questo ha causato un gran numero di morti e feriti tra i militari". Ieri, sempre tramite l'agenzia Sana, Damasco ha diffuso un comunicato in cui affermava che 19 agenti sono stati uccisi da "uomini armati" negli scontri verificatisi a Daraa, nel sud della Siria. Diversa la versione degli attivisti e dei testimoni, che parlano di una trentina di morti tra i manifestanti.
Sarebbero invece 24 i manifestanti uccisi in nelle proteste anti-governative di venerdì, secondo il capo dell'organizzazione nazionale per i diritti umani, Ammar Qurabi. "Abbiamo i nomi di 19 manifestanti uccisi a Deraa e abbiamo notizia di due morti a Homs e tre a Harasta", ha spiegato Qurabi dal Cairo, dove vive in esilio. Qurabi ha anche denunciato l'impiego da parte delle forze di sicurezza di un gas che provoca lo svenimento.
9 aprile 2011 LA CRISI NEL MAGHREB Libia, al via la mediazione dell'Unione africana Una delegazione di presidenti di Paesi africani, tra i quali il sudafricano Jacob Zuma, sarà in Libia domenica per incontrare le parti in conflitto e tentare di ottenere un cessate il fuoco. Lo ha annunciato il ministero degli Esteri sudafricano. Zuma e i colleghi di Congo, Mali, Mauritania e Uganda - che formano un 'panel' di mediatori all'interno dell'Unione africana (Ua) -, si incontrano sabato in Mauritania, prima di andare domenica in Libia per colloqui con Muammar Gheddafi e con i responsabili dell'insurrezione a Bengasi. "Il comitato ha avuto il benestare della Nato per entrare in Libia e per incontrare a Tripoli il Colonnello. La delegazione dell'Ua incontrerà inoltre il Cnt a Bengasi il 10 e l'11 aprile", si legge nel comunicato del ministero degli Esteri sudafricano. "Il punto chiave all'ordine del giorno sarà l'applicazione immediata di un cessate il fuoco dalle due parti e l'apertura di un dialogo politico", spiega il documento. La visita del gruppo di mediatori dell'Ua era prevista per il mese scorso, ma era stata annullata a causa della mancata autorizzazione a penetrare nella no fly zone decretata dai Paesi occidentali. La missione giunge dopo la condanna, martedì, da parte del presidente dell'Ua, Teodoro Obiang Nguema, degli interventi militari stranieri in Costa D'Avorio e in Libia e la riaffermazione che l'Africa deve risolvere i propri conflitti. GLI INSORTI VERSO BREGA I ribelli libici hanno detto di essersi spinti in avanti verso il porto petrolifero di Brega, città chiave nei combattimenti con le forze di Gheddafi. Secondo la loro versione, avrebbero fatto due prigionieri dopo gli scontri all'università della città. Il campus è fuori dell'area in cui si trovano le strutture del petrolio controllate dal governo, ma segna un progresso notevole da parte dei ribelli che lottano per respingere le truppe del regime. La città, nell'est del Paese, è passata sotto il controllo delle varie fazioni più di cinque volte dall'inizio della rivolta a febbraio. Le raffinerie del petrolio e il porto sono strategici per entrambe le parti. L'opposizione è tornata ad attaccare dopo il ritiro di giovedì, quando gli attacchi degli aerei della Nato hanno accidentalmente colpito un gruppo di ribelli armati. L'ITALIA E I RAID "L'Italia deciderà a metà della prossima settimana se partecipare ai bombardamenti. Lo farà dopo che avrò incontrato i ministri della Difesa di Francia e Gran Bretagna". Lo ha affermato il Ministro della Difesa Ignazio La Russa. "Il Governo esaminerà le richieste degli alleati poi, nella sua autonomia, farà una scelta anche se l'orientamento - spiega il Ministro - è quello di continuare ad appoggiare la missione senza un coinvolgimento diretto nei raid contro le truppe di Gheddafi". La Russa conferma i due pilastri, ovvero, "moderazione e prudenza, raccomandati dal Parlamento e la volontà di dare piena attuazione alla risoluzione Onu per proteggere i civili". Il Ministro della Difesa sottolinea che "lo scenario militare sul terreno è cambiato, la guerra sta rifluendo negli spazi cittadini e la mia idea è che quella tenuta dall'Italia finora, è stata una buona linea. Deciderà il Governo nella sua autonomia ma noi potremmo anche optare per modalità di protezione aggiuntive che contribuiscano a rendere sempre più efficace l'azione della coalizione a tutela della popolazione".
9 aprile 2011 TERRA SANTA SENZA PACE Nuovi raid isrealiani: 17 morti a Gaza da giovedì Nuovi raid aerei israeliani nella Striscia di Gaza hanno fatto altri quattro morti, portando a 17 il numero dei palestinesi uccisi da quando giovedì un missile anti-carro ha centrato uno scuola-bus nel sud di Israele. Nella notte un capo di Hamas e due guardie del corpo sono stati uccisi da un missile che ha centrato l'auto su cui viaggiavano nella zona di Rafah, vicino al confine con l'Egitto. All'alba un altro palestinese è morto alla periferia est di Gaza per un colpo sparato da un carro armato israeliano. In totale dal 20 marzo sono 35 i palestinesi uccisi nella Striscia di Gaza in rappresaglia alla pioggia di razzi sul sud di Israele, il bilancio più pesante dall'offensiva Piombo fuso del dicembre 2008 in cui morirono 1800 palestinesi. I feriti degli ultimi giorni sono 57, di cui 12 in modo grave. HAMAS INVOCA UNA TERZA INTIFADA Hamas ha invocato l'inizio di una terza Intifada in Cisgiordania dopo quelli che ha bollato come i "crimi di guerra" di Israele. In un comunicato dai toni minacciosi, Hamas ha accusato il governo israeliano per l'escalation che ha portato al lancio di razzi sul sud di Israele e ai durissimi raid di rappresaglia che hanno fatto decine di morti in pochi giorni. Di qui l'invito ai palestinesi della Cisgiordania, che vivono sotto l'Anp del presidente Abu Mazen, a rivoltarsi contro gli israeliani. Toni duri anche da Israele: il ministro dell'Educazione, Gideon Saar, ha avvertito che il suo Paese non tollererà più lanci di razzi dalla Striscia di Gaza e continuerà a bombardare l'enclave palestinese finchè non cesseranno: "Continueremo", ha dichiarato alla radio, non permetteremo lanci sporadici o turbative alla vita dei nostri cittadini". Hamas ha replicato che, se i raid continueranno, allargherà gli obiettivi dei suoi attacchi contro Israele. "Se l'escalation di Israele continua, nel silenzio e nella complicità della comunità internazionale, le reazioni dei gruppi della resistenza si estenderanno", ha affermato il portavoce del movimento islamico, Sami Abu Zuhri, che ha sottolineato come queste azioni si renderebbero necessarie per proteggere i civili.
2011-04-05 5 aprile 2011 LIBIA Raid alleati a Brega, gli insorti avanzano Un attacco aereo delle forze occidentali ha distrutto oggi due veicoli militari delle truppe di Gheddafi nel centro petrolifero di Brega, consentendo ai ribelli di avanzare, mentre gli sforzi diplomatici per porre fine al conflitto vivono una fase di stallo. La battaglia sul campo, che da circa una settimana era concentrata nell'area intorno a Brega, ha visto i raid delle forze occidentali cancellare il vantaggio acquisito dalle forze di Gheddafi. Né i ribelli né le potenze occidentali accetteranno l'offerta del governo libico di elezioni libere e di una nuova Costituzione, fatta salva la permanenza di Gheddafi al potere. Ma dopo una serie di rapide avanzate dei ribelli, seguite da altrettante lunghe ritirate, i rivoltosi sono riusciti quantomeno a portare le loro truppe meglio organizzate a Brega, tenendo i volontari disorganizzati lontani dal campo di battaglia. ESPORTAZIONI PETROLIFERE PER I RIBELLI I ribelli libici sperano di realizzare oggi la loro prima esportazione petrolifera, con la speranza di dare nuova linfa alle casse della Libia orientale, svuotate dalla rivolta contro Muammar Gheddafi. La petroliera Equator, che può trasportare un milione di barili di greggio, deve arrivare infatti nel porto di Marsa el Hariga, nella parte orientale del Paese, secondo quanto mostrato ieri dai dati del satellite La coalizione ribelle ha reso noto che il Qatar ha dato il via libera al commercio di petrolio dai giacimenti della Libia orientale, che non sono più sotto il controllo di Gheddafi, dopo che il piccolo stato del Golfo ha riconosciuto il consiglio rivoluzionario di Bengasi come governo legittimo del Paese. L'Italia, che pure è un importante investitore per quanto riguarda il petrolio libico, ha garantito ieri il suo appoggio ai ribelli, non escludendo di consegnare armi ai rivoltosi e invocando l'immediato addio di Gheddafi e della sua famiglia alla Libia. Una prima esportazione di petrolio, del valore di oltre 100 milioni di dollari, servirebbe al consiglio dei ribelli per pagare gli stipendi e per far crescere a livello pubblico l'immagine del consiglio come governo credibile della Libia, dopo che le forze occidentali hanno mostrato il loro appoggio con i raid aerei contro le forze di Gheddafi. TURCHIA: NESSUNA SVOLTA DIPLOMATICA Gli sforzi diplomatici per porre fine al conflitto sembrano essere ad un punto morto. Il portavoce del governo Mussa Ibrahim ha detto che la Libia è pronta per una "soluzione politica" con le potenze mondiali. "Possiamo avere qualsiasi sistema politico, sostenere qualsiasi cambiamento: costituzione, elezioni, tutto. Ma il leader (Gheddafi ndr) deve portare avanti (queste riforme)", ha detto ai giornalisti Mussa Ibrahim quando gli è stato chiesto delle trattative con gli altri paesi. Il vice-ministro degli Esteri Abdelati Obeidi ha concluso il suo viaggio tra Grecia, Turchia e Malta per fare chiarezza sulle posizioni del governo ma non c'è stata alcuna svolta. "Le posizioni di entrambe le parti sono rigide", ha detto un funzionario del ministero degli Esteri turco dopo la visita di Obeidi. "Una parte, l'opposizione, insiste che Gheddafi deve andarsene. L'altra insiste per la permanenza di Ghedadfi, per cui ancora non c'è stata alcuna svolta". Il primo ministro maltese Lawrence Gonzi ha detto all'inviato libico che Gheddafi e la sua famiglia devono abbandonare il potere. Gonzi ha anche espresso "disgusto" per quanto sta avvenendo a Misurata, accerchiata dalle forze governative. Gli sfollati da Misurata hanno descritto la città come un "inferno" e hanno detto che le truppe di Gheddafi stanno utilizzando carri armati e cecchini contro i residenti, riempiendo le strade di cadaveri e gli ospedali di feriti. Misurata, terza città della Libia, si è sollevata insieme ad altre località a metà febbraio contro Gheddafi, ma ora è circondata dalle truppe governative, dopo che la repressione violenta ha messo fine alle proteste nella maggior parte dell'ovest. Il Dipartimento di Stato Usa ha fatto sapere di aver espresso le proprie preoccupazioni ai ribelli libici in merito alla possibilità che gruppi islamici acquistino armi nella Libia orientale, dove la coalizione ribelle sta combattendo le forze di Gheddafi.
5 aprile 2011 L'INTERVISTA Il vescovo Magro: "Noi continuiamo a pregare Ma la riconciliazione sarà lenta e difficile" "I cristiani della mia diocesi erano quindicimila, poi via via si sono ridotti a meno di un terzo. Ma da quando è scoppiata l’insurrezione non so se arriviamo a trecento...". Silvestro Magro, vescovo di una diocesi che va da Sirte a Brega, a Ras Lanuf e a Tobruk, è moderatamente speranzoso. "Quando è cominciata l’insurrezione ci avevano proposto di fuggire. Ma io e miei coadiutori – siamo in sei, cinque francescani e un salesiano –, abbiamo detto no, abbiamo risposto che volevamo restare qui al nostro posto, perché il nostro primo scopo è stare vicino ai malati e ai sofferenti". La curia e la chiesa di Santa Maria Immacolata sono nel centro di Bengasi, proprio nella città vecchia, ma è difficile accorgersene: nessun segno, nessun simbolo denuncia la presenza cristiana. "Questa chiesa – dice monsignor Magro – è stata costruita nel 1872 sotto il califfato ottomano, a condizione che sulla strada non fosse visibile alcun simbolo. E così hanno preteso anche i libici. Del resto la cattedrale è stata spogliata tanti anni fa e ridotta a un magazzino". Come vi siete comportati nei giorni della guerra civile? Siamo rimasti nelle nostre case. Quando è stato possibile uscire molti fedeli sono venuti da queste parti e sono rimasti sorpresi: si aspettavano che avessimo abbandonato la chiesa e fossimo fuggiti. C’è un ospedale a Bengasi dove voi assistete gli infermi. Sì, se ne occupano cinque suore di varie congregazioni. Anche loro sono rimaste. La domenica avete ricominciato a dire Messa? Sì, ma non qui. Ci sono stati dei danni in seguito alla rivolta e al ritorno delle truppe di Gheddafi. Allora la Messa la celebriamo nella cappella dell’ospedale. Cosa dice ai suoi fedeli, monsignore? Di pregare. Per la pace e perché finisca questa stagione di violenze. Lo facciamo quasi ogni giorno, invitando le famiglie alla preghiera e al rosario. In che condizioni sono? Molti ci chiedono aiuto. Di che tipo? Prevalentemente cibo e generi di prima necessità, qualche volta anche denaro, ma è molto raro. Ci sono state vittime fra i cristiani? Per fortuna no. Avete avuto contatti con il Consiglio Nazionale di Transizione? Al momento non ancora. Ma noi siamo una piccola realtà rispetto al milione e mezzo di abitanti di Bengasi. Avete subito atti ostili? Qualche inevitabile fastidio, qualche vetro rotto nella chiesa. Ma niente di importante. Che cosa si attende dal futuro, monsignore? La ricostruzione e la riconciliazione. Ma sarà un processo lento e difficile. Ora i libici forse assaporeranno la libertà... Purché sappiano cosa farne... Giorgio Ferrari
5 aprile 2011 AFRICA Costa D'Avorio, battaglia finale Resa più vicina per Gbagbo Il presidente uscente della Costa d'Avorio, Laurent Gbagbo, "starebbe negoziando la sua resa", secondo quanto ha dichiarato a Radio France International Ally Coulibay, l'ambasciatore in Francia nominato dal suo rivale, il presidente riconosciuto dalla comunità internazionale Alassane Ouattara. Le forze leali ad Alassane Ouattara, che la comunità internazionale ritiene il vincitore legittimo delle elezioni presidenziali in Costa d'Avorio, hanno sferrato un violento attacco oggi contro il palazzo presidenziale di Abidjan, colpendo il centro del potere di Laurent Gbagbo, dopo che gli elicotteri Onu e francesi hanno lasciato le basi militari del presidente uscente in fiamme. Ad Abidjan, capitale commerciale della Costa d'Avorio, colpi d'arma da fuoco sono risuonati nelle vicinanze del palazzo presidenziale, negli scontri più violenti da quando le forze di Ouattara sono entrate in città cinque giorni fa. Un portavoce del governo di Ouattara ha detto ieri sera che le truppe hanno già preso il controllo della residenza ufficiale di Gbagbo, ma non è stato possibile verificare in maniera indipendente questa notizia. Gbagbo non ha accettato di dimettersi dopo le elezioni del 28 novembre, vinte dal rivale secondo i risultati riconosciuti dall'Onu, e da allora i morti sono più di 1.500. Gbagbo ha denunciato brogli durante il voto e ha accusato le Nazioni Unite di parzialità. Le forze di pace delle Nazioni Unite in Costa d'Avorio, supportate dall'esercito francese, hanno preso di mira ieri le capacità militari di Gbagbo con attacchi aerei, condotti con elicotteri, dopo le morti civili dei giorni scorsi. I raid aerei sono stati concentrati sulle basi militari della città, ma anche sui lanciarazzi "molto vicini" alla residenza di Gbagbo nel quartiere di Cocody, ha detto ieri sera il capo delle forze di pace Onu Alain Le Roy.
2011-04-04 4 aprile 2011 LA CRISI Libia, Frattini riconosce il Consiglio dei ribelli L'Italia riconosce il Consiglio nazionale di transizione dei ribelli libici come unico "interlocutore legittimo" e invita Muammar Gheddafi e la sua famiglia a lasciare il potere. Lo dice il ministro degli Esteri Franco Frattini durante una conferenza stampa alla Farnesina al termine dell'incontro con Ali Al Isawi, rappresentante dei ribelli libici. Frattini ha aggiunto che l'Italia non esclude di fornire armi ai ribelli. "L'Italia è pronta a fare di più di quello che ha già fatto" per risolvere la situazione in Libia, ha continuato Frattini. "Aiuteremo i feriti con l'invio di dottori e porteremo le persone che versano in gravi condizioni negli ospedali italiani. 5 dottori e 3 paramedici italiani sono stati inviati a Misurata, una delle città più duramente attaccate dalle forze del regime di Gheddafi. Gino Strada e la sua organizzazione Emergency sono già sul posto". SUL CAMPO Sono ripresi i combattimenti a Marsa el Brega, terminal petrolifero a sud di Bengasi che i ribelli libici affermano di aver già riconquistato. Almeno una persona è stata uccisa a Misurata, bombardata dalle truppe fedeli a Muammar Gheddafi. Secondo testimoni le forze governative avrebbero bombardato anche Yafran, una cittadina a circa 100 km a sudovest di Tripoli: 2 i morti e 4 i feriti. "Ci attaccano da ieri, già due persone sono morte, altre quattro ferite", hanno riferito testimoni ad Al Arabiya. La Difesa francese ha reso noto ieri in un comunicato che le proprie truppe hanno distrutto diversi blindati dell'esercito libico nella regione di Ras Lanuf. SAIF GHEDDAFI PROPONE LA TRANSIZIONE Il New York Times, citando fonti diplomatiche libiche, ha rivelato inoltre che Saif Islam Gheddafi, figlio del rais, ha proposto di prendere il comando del Paese ed aprire un processo di transizione in Libia che porti verso una nuova democrazia costituzionale, anche se "né il colonnello Gheddafi e né i ribelli sembrano pronti ad accettare la proposta". Stando a fonti riservate del Daily Mail il figlio di Gheddafi Saif al-Islam avrebbe anche cercato di mettersi in contatto con i servizi segreti di Italia e Gran Bretagna. Sono circa 160 le persone rimaste uccise nell'ultima settimana nel corso degli scontri tra insorti e lealisti. Lo riferiscono fonti mediche. Sul fronte diplomatico il vice ministro degli Esteri libico è partito alla volta di Atene per consegnare un messaggio di Gheddafi al premier greco. A riferirlo fonti ufficiali del governo greco, secondo cui Abdelati Obeidi avrebbe detto a Papandreou di volere la fine dei combattimenti. A quanto si apprende, inoltre, una "delegazione" britannica sarebbe arrivata in questi giorni a Bengasi, bastione dei ribelli nella Libia orientale. Nel frattempo arrivano due nuove defezioni all'interno del regime: l'alto diplomatico Ali Triki si è dimesso dalla carica di consigliere del colonnello Gheddafi, diventando l'ennesimo degli uomini vicini al leader libico ad abbandonare il regime; mentre testimoni hanno affermato che il vice ministro degli Esteri e degli Affari europei libico, Abdelati Laabidi, è entrato in Tunisia per il valico di frontiera di Ras Jdir.
4 aprile 2011 AFRICA Costa D'Avorio, Gbagbo non cede Il Paese nel caos, scontri e disordini "Centinaia di persone sono state massacrate" alla fine di marzo a Duekouè, nell'ovest della Costa d'Avorio, e "le violenze continuano", ha dichiarato ieri all'Afp a Parigi in una telefonata da Duekouè il direttore generale della Ong Action contre la Faim (Acf), Francois Danel. "Confermo che ci sono stati massacri di centinaia di persone a Duekouè" fra il 27 e il 29 marzo, ha precisato Danel, che si è recato ieri nella città. Ennesima giornata, quella di domenica, convulsa in Costa D'Avorio dove, seppure sempre più isolato diplomaticamente, economicamente strangolato e militarmente indebolito, il presidente uscente Laurent Gbagbo non cede al legittimo vincitore Alassane Ouattara e chiama a raccolta i fedelissimi intorno ai simboli del potere: il palazzo presidenziale e la tv di Stato. Ai soldati chiede di combattere all'ultimo sangue, ai civili di trasformarsi in "scudi umani" per difenderlo. Nessun esito hanno quindi avuto, finora, le dure prese di posizione degli Stati Uniti che, attraverso il segretario di Stato Hillary Clinton, hanno stamane ingiunto a Gbagbo di ritirarsi "immediatamente" visto che il suo irrigidimento senza dialogo sta facendo precipitare il Paese "nell'anarchia". E neppure gli appelli del segretario delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, sono andati a buon fine, tant'è che i responsabili della missione Onu (Onuci) proprio oggi hanno deciso di trasferire il personale non essenziale da Abidjan, capitale economica del Paese, a Bouakè, seconda città per importanza e roccaforte di Ouattara, il vincitore delle elezioni dello scorso novembre, presidente riconosciuto dalla comunità internazionale. Uno spostamento "temporaneo" - è stato sottolineato - per evitare altri attacchi dopo quelli ripetuti degli ultimi giorni contro i caschi blu e gli uffici di Abidjan. Non si sono limitati agli appelli invece i francesi della 'Liocornò, l'altra missione straniera presente in Costa D'Avorio: i militari hanno oggi preso il controllo dell'aeroporto di Abidjan per permettere - ha spiegato un portavoce - agli stranieri che vogliono lasciare il Paese di andarsene con voli speciali, organizzati per sostituire quelli di linea da giorni soppressi. Circa 170 le persone che sarebbero già partite. Virulenta la reazione di Gbagbo. I francesi, ha accusato, "agiscono come una forza di occupazione al di fuori di qualsiasi mandato delle Nazioni Unite". Nello stesso momento, a Parigi il presidente Nicolas Sarkozy era in riunione con i vertici militari e politici per "fare il punto della situazione", sollecitato da Ouattara che - sul terreno militare - ha il controllo di gran parte del Paese ma non riesce a dare il 'colpo di grazià al suo avversario. E auspica, quindi, un maggiore coinvolgimento di Francia e Onu. Intanto la situazione nel Paese resta esplosiva ma anche poco verificabile sul campo. Da Abidjan i civili lamentano scarsità di materie prime e viveri, da Duekouè le centinaia di vittime denunciate da varie organizzazioni vanno dai 330 dichiarati dall'Onu agli 800 segnalati dalla Croce Rossa Internazionale. Per ora, senza colpevoli.
2011-04-02 2 aprile 2011 LA CRISI LIBICA Libia, i ribelli riprendono Brega Dieci morti in raid Nato I ribelli anti-Gheddafi affermano di aver riconquistato Marsa el Brega, il terminal petrolifero a sudest di Bengasi. La notizia non può essere attualmente verificata sul posto. Lungo la strada che porta alla città sono visibili i segni dei duri combattimenti dei giorni scorsi. Dieci ribelli libici sono rimasti uccisi in un raid aereo della coalizione alla periferia di Brega, città in cui sono in corso furiosi combattimenti con le forze di Muammar Gheddafi. Lo hanno reso noto gli stessi ribelli. I FIGLI DI GHEDDAFI TRATTANO A LONDRA Dato che le bombe e gli agenti della Cia non sembrano per ora sufficienti a spingere in esilio Muammar Gheddafi, da Londra si lavora per trasformare la defezione del ministro degli Esteri libico, Moussa Koussa, nell’inizio di un effetto domino che sgretoli il regime. Anche i figli del rais a quanto pare fanno il loro gioco: secondo il quotidiano britannico Guardian, un emissario di Saif al-Islam, terzogenito del Colonnello, avrebbe visitato la capitale britannica in gran segreto alla ricerca di una exit strategy, anche contro la volontà del padre. D’accordo con i fratelli Saadi e Mutassim, Saif avrebbe spedito a Londra Mohammed Ismail, un abile e discreto funzionario, per sondare il terreno. Una delle proposte messe sul tavolo sarebbe stata quella di costringere il padre alle dimissioni per insediare al suo posto Mutassim quale capo di un governo di unità provvisorio. Una soluzione, osserva il Guardian, che non piacerebbe né agli insorti né alla comunità internazionale. Fonti del governo britannico hanno sì confermato l’abboccamento, ma un portavoce di Downing Street ha escluso che vi siano stati "accordi", lasciando intendere che Saif al-Islam sarà trattato alla stregua di suo padre. L’"unico messaggio" trasmesso è che "i prossimi passi necessari devono essere la fine delle violenze e l’uscita di scena di Gheddafi", ha precisato il portavoce senza confermare che il libico coinvolto nei colloqui sia Mohamed Ismail. Dopo la fuga di Koussa in Gran Bretagna, Londra sarebbe peraltro in trattative con altre dieci figure di primo piano del regime libico per organizzarne la defezione, secondo quanto riferisce l’Independent. Le indiscrezioni suffragano quelle circolate giovedì a Tripoli su fughe possibili del capo dei servizi segreti esterni Omar Dudali, del segretario del Congresso del Popolo Mohammed Zwei, del ministro del Petrolio Shokriu Ghanem e del numero due di Koussa, Abdul Ai Obeidi, che avrebbe accompagnato il suo capo almeno fino a Tunisi. Tra gli uomini di punta che avrebbero abbandonato Gheddafi ci sarebbe anche l’ex ambasciatore all’Onu ed ex ministro degli Esteri Ali Abdussalam el-Treki, adesso in Egitto, mentre sarebbe fuggito in Tunisia l’ex premier Abu Zayed Dordah. Intanto Koussa viene interrogato in una località segreta e sicura di Londra (ma per l’Independent si troverebbe nel castello di Farnham, nel Surrey) da agenti dell’MI6 e diplomatici britannici. Preoccupato per lo stato mentale dell’ex ministro, definito "debole e vulnerabile", il governo lo ha circondato di personaggi a lui familiari come l’ambasciatore a Tripoli Richard Northern. Allo stato attuale Koussa viene considerato da Londra come "testimone". Stando al Daily Telegraph, l’ex ministro degli Esteri libico aveva pensato all’Italia come alternativa alla Gran Bretagna per la sua fuga dalla Libia, ma Downing Street puntò i piedi: "Non ce lo volevamo assolutamente far scappare – ha detto al quotidiano una fonte del governo di Londra – Era vitale per noi che non andasse in Italia". Il Telegraph scrive che il premier David Cameron parlò con le autorità americane per ottenere il loro appoggio affinché Koussa fuggisse in Gran Bretagna. Il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, ha risposto con un laconico "non ve lo dico" a chi ieri gli chiedeva conferme sull’ipotesi che Koussa avesse intenzione di venire in Italia. "Anche noi abbiamo le nostre iniziative" diplomatiche "altrettanto importanti". Ma "con una differenza: non le raccontiamo ai giornali", ha chiosato Frattini. Paolo M. Alfieri GHEDDAFI RIFIUTA IL CESSATE IL FUOCO I ribelli libici si dicono disposti a un cessate il fuoco. Lo ha annunciato ieri il presidente del Cnt (Consiglio nazionale transitorio), Mustafa Abdel Jalil, dopo un incontro con l’inviato speciale delle Nazioni Unite Abdelilah al-Khatib. È uno spiraglio di tregua – sebbene celi a fatica le difficoltà operative e la debolezza strategica degli insorti – che contrasta con quanto accade sul campo di battaglia, visto che si combatte accanitamente a Misurata e attorno a Brega. Ma è comunque un segnale politico e insieme un riconoscimento implicito del governo transitorio, che peraltro pone delle condizioni precise: "Che nelle città della parte occidentale del Paese – ha detto Jalil – i cittadini libici godano di piena libertà di espressione; che le forze fedeli a Muammar Gheddafi cessino di militarizzare i centri abitati della Tripolitania e che siano allontanati i mercenari". Il presidente del Cnt ha precisato poi che i rivoltosi non rinunceranno mai alla loro richiesta principale, cioè l’esilio per il Colonnello. Che però non ha alcuna intenzione di andarsene. E nemmeno di accettare una tregua: ieri in serata il regime ha respinto l’offerta di cessate il fuoco dei ribelli ribadendo che le truppe governative resteranno nelle città libiche. Restano le aspirazioni degli insorti. "Vorremmo – ha detto la portavoce del Cnt, Imman Bugaighis – che la Libia diventasse un Paese civile, con libertà di parola, rispetto dei diritti umani e rispetto delle minoranze. La chiameremo Repubblica libica e non parleremo più di Repubblica islamica. Vorremo anche avere una Costituzione, dei partiti e rispetteremo ogni accordo siglato con le organizzazioni internazionali. Non ci sono dubbi sul fatto che Gheddafi ormai è finito. Lui stesso non capisce cosa succede e anche le persone che lo hanno aiutato per questi 42 anni lo stanno abbandonando". Ma c’è anche un appello al nostro Paese: "Vorremmo che l’Italia avesse un ruolo più importante e che facesse pressione su Gheddafi chiedendogli di lasciare la Libia e di ritirare le sue truppe. L’Italia ci ha sempre dato un sostegno. Vorremo avere relazioni di lungo termine perché in futuro questo ci aiuterà a ricostruire il nostro nuovo Paese". Ma insieme al ramoscello d’ulivo Jalil mostra il volto armato della rivolta. "Abbiamo bisogno di armi – dice – per battere militarmente Gheddafi". È il parere anche di Ahmed Bani, portavoce militare dell’insurrezione. "Non possiamo confrontarci con i carri armati di Gheddafi con degli Rpg – granate che arrivano al massimo a 100 metri –: occorrono armi più potenti e precise". Bani, generale di brigata, ex pilota, ha defezionato "dopo che ho visto lanciare getti di acqua bollente sulla folla e sparare ai giovani che manifestavano. Quei giovani che voi giornalisti chiamata armata Brancaleone e dite che noi dell’esercito non sappiamo addestrare. Ma questa è una rivoluzione, non una guerra e non si possono guidare i civili in una rivoluzione". E mentre la diplomazia muove i suoi passi, la Nato si organizza e il terreno formicola della silenziosa attività dei servizi segreti di ogni nazione, si fa strada con sempre maggior nettezza un’ipotesi, che forse è semplicemente un wishful thinking, ovvero un desiderio più che una congettura, ma che qualche tragica veridicità deve pur averla: che cioè Gheddafi, che a giudizio dei più non accetterebbe mai di farsi spontaneamente da parte, possa essere messo fuori gioco fisicamente da qualcuno della sua cerchia più ristretta. Capitò a suo tempo anche a Caligola, ucciso da un pretoriano a lui vicino, perché mai escludere che possa avvenire oggi? La fine di Gheddafi del resto la invoca anche lo stesso imam di Bengasi, nel suo rovente sermone del venerdì: "Il popolo – ha tuonato sotto il plumbeo cielo della Cirenaica che ieri mattina rovesciava refoli di pioggia gelida – ha conosciuto se pure per un breve istante il sapore della libertà, e non è più disposto a fare un passo indietro". Giorgio Ferrari
1 aprile 2011 Il senso dell'intervento Urgenza di sapere Mentre gli aerei e le navi della coalizione internazionale avviavano l’azione contro le forze armate del colonnello Gheddafi, su questa prima pagina – elencando "Incognite e doveri" dell’escalation bellica che aveva avuto inizio su mandato dell’Onu – Luigi Geninazzi richiamava con forza la motivazione umanitaria e le conseguenti regole d’ingaggio di un rischioso eppure, a quel punto, inevitabile intervento militare. L’obiettivo primario e – per la nostra visione – essenziale della forza aeronavale schieratasi sul mare e nei cieli della Libia era ed è di porre fine alla guerra scatenata dal rais di Tripoli contro gran parte del suo stesso popolo, limitando al massimo le sofferenze dei libici e dei tanti lavoratori stranieri residenti in quel Paese. Ieri il comando Nato, che aveva da poche ore assunto il controllo delle operazioni militari, ha preso due decisioni assai importanti: non rifornirà di armi i ribelli anti-Gheddafi e indagherà sulla morte di alcune decine di civili, che sarebbe stata provocata dal bombardamento di un’abitazione e che il vicario apostolico di Tripoli, monsignor Martinelli, aveva reso nota con doverosa prontezza, giusta cautela e immenso dolore. Queste decisioni inducono ad altrettante riflessioni. La prima è che l’embargo sulle armi decretato contro il regime di Gheddafi non poteva che specchiarsi in un’identica misura nei confronti dei suoi avversari. Il compito assegnato dall’Onu alla coalizione internazionale scesa in campo è, infatti, di fermare una guerra civile, non di alimentarla. L’azione delle truppe ora finalmente a guida Nato (e non più, di fatto, francese) non è certamente "neutrale", ma è e sarà giusta solo se resta orientata ad agevolare l’apertura di una fase negoziale tra le parti in lotta e la fine del regime dittatoriale che da oltre quarant’anni vige in Libia. La seconda riflessione riguarda la denuncia – giunta non da sospetti portavoce di regime, ma da fonti serene e indipendenti – di un possibile e drammatico "danno collaterale" quantificabile in almeno 40 vittime totalmente innocenti di bombe o missili. Comunque sia, si tratta di "memento" terribile e potente. La missione militare internazionale anti-Gheddafi è, come abbiamo avvertito sin dal primo giorno, una missione di guerra. Produce comunque dolore e distruzione e se non difende il "bene" per cui è stata autorizzata e avviata – l’incolumità della popolazione inerme e la sua libertà dalla paura e dalla costrizione – si dimostra insensata e ingiusta. Perché si rivela incontestabilmente condotta secondo finalità diverse da quelle del mandato Onu (un edificio civile di Tripoli non è un aereo del rais e non "minaccia" i cittadini di Bengasi o di Sirte) e si converte nel suo contrario. Diventa, cioè, aggressione. Il comando Nato fa benissimo a indagare con urgenza, le autorità politiche che "comandano" il comando Nato si preparino a trarne le conseguenze e a renderne conto alle pubbliche opinioni. Interrogativi, preoccupazioni e giudizi già incalzano. Marco Tarquinio
2 aprile 2011 AFRICA IN FIAMME Costa D'Avorio, Croce rossa: 800 uccisi in una settimana Almeno 800 persone sono rimaste uccise in un unico quartiere della cittadina di Duekoue in Costa d'Avorio questa settimana, denuncia il Comitato internazionale della Croce rossa citato dalla Bbc. Una delegazione della Croce rossa ha visitato Duekoue giovedì e venerdì per raccogliere elementi su quanto sembra sia avvenuto martedì, il frutto di violenza interetnica. "Questo incidente è particolarmente scioccante per le sue dimensioni e per la brutalità degli assassini", ha dichiarato il capo della delegazione. Circa 150 preti che erano rimasti bloccati nel grande seminario di Anyama a nord di Abobo, quartiere "caldo" di Abidjan controllato da miliziani pro-Alassane Ouattara, sono stati portati in salvo da funzionari delle Nazioni Unite e condotti alla cattedrale Saint Paul di Abidjan. Lo conferma all'agenzia Misna Guillaume Ngefa, responsabile della sezioni per i diritti umani della missione delle Nazioni Unite (Onuci). "Abbiamo recuperato i religiosi e i cinque autobus che membri del cosiddetto "Comando invisibile" avevano sequestrato martedì quando si è verificato anche il rapimento di Richard Kissi, prete ivoriano e direttore diocesano di Caritas nella capitale economica". "La maggior parte dei religiosi, tra cui non solo ivoriani ma anche burundesi, congolesi e di altre nazionalità, sono stati trasferiti, mentre alcuni di loro sono rimasti per sorvegliare il grande seminario internazionale, punto di riferimento per molti abitanti della zona, e per fornire un minimo di assistenza alla popolazione locale" aggiunge, confermando che nel quartiere la situazione "è estremamente volatile". Fin dai primi scontri nei due quartieri di Anyama e Abobo (pro-Ouattara) "la gente ha abbandonato le proprie abitazioni e chiesto accoglienza presso le missioni cattoliche dove si sente più al sicuro" hanno confermato fonti della Misna sul posto, secondo cui, in queste ore, le popolazioni sono rinchiuse dentro casa, temendo gli scontri ma anche rappresaglie e saccheggi. La tensione non è mai stata così alta nella capitale economica ivoriana, Abidjan. Da mercoledì notte il palazzo presidenziale è sotto assedio, accerchiato dalle Forze repubblicane (Frci) del leader dell’opposizione Alassane Ouattara. "Sono arrivati stanotte, verso l’una e mezza – ha confermato ieri alla Misna padre Dario Dozio, provinciale della Società delle missioni africane – Abbiamo sentito pesanti cannonate che hanno fatto tremare la casa e ci siamo svegliati di soprassalto". Il presidente uscente, Laurent Gbagbo, di cui non è stata ancora resa nota l’esatta ubicazione, non sembra però voler cedere il potere. "Secondo i suoi principi, Gbagbo non se ne andrà fino alla fine – ha assicurato alla stampa Alain Toussaint, il consigliere europeo di Gbagbo intervistato ieri a Parigi – Non ha nessuna intenzione di lasciare, per questo nelle prossime ore proporrà in televisione il piano per un’opposizione armata". Per molti è invece ormai la fine della presidenza di Gbagbo, spinto dalla timida Unione Africana ad "arrendersi immediatamente". Secondo gli analisti, però, il peggio potrebbe ancora arrivare. Sono migliaia i sostenitori di Gbagbo che girano armati per la città in cerca di vendetta. "C’è il rischio che Abidjan si trasformi in un bagno di sangue – ha commentato Mahamat Amadou, giornalista dell’emittente britannica Bbc – Anche con la fuga di Gbagbo, i suoi alleati potrebbero scontrarsi con quelle frange più indisciplinate delle forze di Ouattara". Sebbene gran parte dell’apparato militare e poliziesco abbia lasciato il presidente per arruolarsi nei ranghi dell’opposizione, sono migliaia le persone che, sotto il nome di "Giovani patrioti" sembrano voler continuare la lotta di Gbagbo. Sono quindi ore d’inferno per uno dei maggiori centri dell’economia in Africa occidentale, dove da diverse ore la popolazione civile si è rinchiusa in casa temendo il peggio, e la televisione di Stato ha cessato di trasmettere notizie. Ouattara, sostenuto dalle Nazioni Unite e dalle truppe francesi, ha avviato un coprifuoco dalle nove di sera alle sei di mattina. Nonostante ciò, non mancano le vittime. Giovedì sera ad Abidjan è stata colpita da un proiettile vagante Zhara Abidi, un’operatrice svedese dell’Onu, mentre era a casa sua sul balcone. La donna è morta ieri in ospedale per le ferite riportate, aveva solo 34 anni. Le minacce da parte delle forze di Gbagbo sono state anche dirette agli espatriati, soprattutto francesi, presenti nel Paese, tanto da costringere le truppe speciali del Quai d’Orsay in missione ad Abidjan (Licorne) ad adottare misure d’emergenza. Circa 500 stranieri sono stati trasferiti in un campo militare, e molti stanno tentando l’evacuazione attraverso l’aeroporto controllato dalla Licorne e dai caschi blu. Un insegnante di nazionalità francese è invece stato ucciso nella capitale Yamoussoukro. L’hanno dichiarato delle fonti governative da Parigi senza chiarire se la morte fosse connessa alle violenze in corso. La tanto agognata vittoria dell’opposizione ivoriana potrebbe essere solo l’inizio di un periodo ancora più cupo per la Costa d’Avorio. Matteo Fraschini Koffi
2011-04-01 1 aprile 2011 LA STRAGE Afghanistan, attacco a sede Onu "Almeno venti i morti" Undici persone - fra cui otto impiegati delle Nazioni Unite di nazionalità rumena, norvegese e svedese - sono morte in un attacco contro il quartier generale dell'Onu a Mazar-i-Sharif, in Afghanistan, da parte di dimostranti che manifestavano contro il gesto provocatorio di un pastore Usa, che aveva bruciato il Corano. Come ha riferito il portavoce della polizia afghana, Lal Mohammad Ahmadzai, le altre tre vittime erano manifestanti. E due degli stranieri uccisi sono stati decapitati. L'Afghanistan aveva già condannato il gesto del predicatore evangelico Wayne Sapp in una chiesa della Florida, dove dieci giorni fa ha dato alle fiamme una copia del testo sacro della religione musulmana con la supervisione di un altro pastore, Terry Jones, che l'anno scorso aveva annunciato la stessa intenzione, salvo poi ripensarci dopo le enormi pressioni internazionali, compresa quella del presidente Usa, Barack Obama. L'attacco alla sede Onu è avvenuto al termine di una marcia di protesta guidata dai leader religiosi a Kabul. I manifestanti, al termine delle preghiere del pomeriggio, hanno anche bruciato una bandiera americana. JONES E SAPP, I PASTORI INCENDIARI Mesi fa finì tutto in una farsa di cattivo gusto. Oggi invece è tragedia. E in Afghanistan si contano i morti. Già lo scorso settembre Padre Terry Jones e il suo aiutante Wayne Sapp, questa coppia di 'pastori fai da te' dalla lontana Florida, avevano attirato l'attenzione mondiale minacciando di bruciare pubblicamente il Corano, proprio in occasione dell'11 settembre. All'epoca tutto si risolse in una barzelletta. Ora invece è tutto diverso. Dieci giorni fa, questi due assurdi campioni d'islamofobia hanno portato a termine la loro bravata. Un gesto irresponsabile, un oltraggio blasfemo, che oggi ha provocato la strage di Mazar-i-Sharif. Il mondo imparò a conoscere questa setta di esaltati l'anno scorso. La loro intenzione era di umiliare l'Islam proprio nell'anniversario dell'attentato alle Torri. Tutto il pianeta trattenne il fiato. In quei giorni si mobilitò l'Fbi. Gli Usa discussero all'infinito se Padre Jones avesse il diritto di bruciare un testo sacro. Insomma, se la sua scelta folle fosse tutelata o meno dal primo emendamento che difende la libertà d'espressione. E perfino Barack Obama pregò Padre Terry Jones di fermarsi. Inseguito da decine di telecamere, da vero attore consumato, mantenne la suspance sino alla fine. E mentre centinaia di troupes tv si piazzarono davanti alla sua chiesetta, quel giorno Padre Jones partì per New York, dove disse, sempre in diretta tv, che aveva cambiato idea. Terry Jones ha il mito di 'Braveheart'. Nel suo ufficio, al secondo piano del Dove World Outreach Center, di Gainesville, una sperduta cittadina della Florida, ha appeso il manifesto del film, vincitore di 5 Oscar nel 1995, in cui Mel Gibson interpretava la storia romanzata dell'eroe nazionale scozzese William Wallace. Una passione vera, tanto che questo 58/enne dai baffoni alla Cecco Beppe, che ha dichiarato guerra non solo a Maometto ma in passato anche a gay, trans e lesbiche, ha 'postato' su Youtube una serie di suoi video dal titolo 'The Braveheart Show'. Accanto a questo poster, alcuni dipinti di presidenti americani, George Washington, Abraham Lincoln e George W. Bush. Il centro religioso, frequentato da non più di 30 fedeli, si trova in una tranquilla cittadina di 120 mila anime, sede dell'Università della Florida. Tranquilla sino a quando padre Jones non si è messo in testa di onorare le vittime delle Torri Gemelle bruciando pubblicamente copie del Corano. Un giorno d'estate ha deciso di stendere uno striscione sulla facciata della Chiesa su cui c'è scritto: "Islam è il diavolo". E da allora, man mano che l'11 settembre s'avvicinava, la zona venne invasa da centinaia di giornalisti al bivacco. Ma quando arrivò il gran giorno, si dovettero accontentare di parlare con il figlio, non meno esaltato del padre. Terry Jones è alla guida di questa Chiesa da circa 25 anni. Da quando, a luglio, ha lanciato l'idea di organizzare l'International Burn a Koran Day, ha ricevuto almeno 100 minacce di morte. Così ha deciso di non staccarsi mai da un revolver calibro 40.
1 aprile 2011 LIBIA I ribelli pronti alla tregua "Ma Gheddafi lasci" Mentre in Libia si continua a combattere, soprattutto intorno a Misurata in Tripolitania e a Marsa el-Brega in Cirenaica, da Bengasi i ribelli hanno aperto a un cessate-il-fuoco. Tuttavia hanno fissato precise condizioni e hanno avvertito che mai rinunceranno alla richiesta di esilio per Muammar Gheddafi e la sua famiglia. Un punto, questo, su cui hanno insistito anche gli interlocutori britannici dell'intermediario del regime Mohammed Ismail, inviato segretamente a trattare a Londra da Saif al-Islam, secondogenito e virtuale delfino di Muammar Gheddafi. "Non abbiamo alcuna obiezione rispetto a un cessate-il-fuoco", ha dichiarato Mustafa Abdel Jalil, presidente del Consiglio Nazionale Transitorio che governa le aree libertae, nel corso di una conferenza stampa tenuta oggi a Bengasi insieme all'inviato speciale delle Nazioni Unite, l'ex ministro degli Esteri giordano Abdelilah al-Khatib. "A condizione però", ha puntualizzato, "che i nostri fratelli nelle città della parte occidentale del Paese godano di piena libertà di espressione". Abdel Jalil ha chiesto inoltre che le forze fedeli a Gheddafi "si ritirino e levino l'assedio" dalle località attualmente circondate; e ancora, che siano allontanati i "mercenari" di qualsiasi provenienza. "Il nostro obiettivo principale", ha dichiarato il capo del Consiglio insurrezionale ad Al-Jazirà, "è conseguire una tregua che duri nel tempo". In alternativa, peraltro, ha rinnovato la richiesta di forniture di armi: "Per sconfiggere Gheddafi ne abbiamo bisogno", ha sottolineato. Intanto le ostilità sul terreno proseguono incessatemente, al pari dei raid aerei della coalizione multinazionale sotto comando Nato, sia pure rallentati dal maltempo che rende difficile individuare i bersagli. Forse anche per tale ragione, stando a quanto denunciato da un medico locale, in un bombardamento su Zawia el-Argobe, a 15 chilometri da Brega, sono morti sette civili giovanissimi di età compresa fra i 12 e 20 anni. Gli insorti stanno d'altra parte impedendo a chiunque, giornalisti stranieri compresi, di lasciare Agedabia per raggiungere la città teatro degli scontri più violenti: non è nemmeno chiaro dove passi attualmente la linea del fronte, tanto continui e repentini ne sono i rovesciamenti. Al contempo, a deta di fonti dei rivoltosi, Misurata è stata sottoposta a uno dei martellamenti più massicci dall'inizio della crisi: i lealisti la starebbero bombardando "a casaccio", senza alcun rispetto per i civili, con un fuoco concentrico di carri armati, mortai, lancia-granate e missili. Il ministro degli Esteri di Gheddafi, Moussa Koussa, fuggito a Londra, non avrà alcun salvacondotto, ha detto il Foreign Office. E già dalla magistratura scozzese è partita una richiesta di interrogatorio: lui dietro l'attentato di Lockerbie. Da Londra primo conteggio delle vittime della guerra sul campo: mille i morti nei combattimenti t ra lealisti e insorti. Lunedì una delegazione degli insorti sarà a Roma per un incontro con il ministro Franco Frattini. LA NATO, VITTIME CIVILI? APRIAMO INCHIESTA I "raid cosiddetti umanitari hanno fatto decine di vittime tra i civili in alcuni quartieri di Tripoli". Solo mercoledì il vicario apostolico della capitale libica, Giovanni Innocenzo Martinelli, aveva lanciato l’allarme: impossibile colpire obiettivi militari senza coinvolgere anche i civili. Ieri la denuncia, a conferma di quello che forse già mercoledì per il vescovo era più che un semplice presentimento. "Ho raccolto diverse testimonianze di persone degne di fede al riguardo" precisa Martinelli. "In particolare, nel quartiere di Buslim, a causa dei bombardamenti, è crollata un’abitazione civile, provocando la morte di 40 persone. Mercoledì – continua lo stesso Martinelli – avevo riferito che i bombardamenti avevano colpito, sia pure indirettamente, alcuni ospedali. Preciso che uno di questi ospedali si trova a Misda". Una conferma dell’attacco a obiettivi civili viene pure dal sito Internet l’emittente Euronews : a Misda, a sud di Tripoli, l’esplosione di un deposito di munizioni colpito durante un raid, ha investito anche un ospedale e alcune case, provocando, secondo fonti ospedaliere, 13 feriti. "Se è vero che i bombardamenti sembrano alquanto mirati, è pur vero che colpendo obiettivi militari, che si trovano in mezzo a quartiere civili, si coinvolge anche la popolazione ", ripete ancora Martinelli. Il vicario apostolico ribadisce la sua preoccupazione per il continuo deterioramento delle condizioni di vita: "La situazione a Tripoli diventa ogni giorno più difficile. La scarsità di carburante si è aggravata, come testimoniano le code interminabili di automobili ai distributori di benzina. Sul piano militare sembra esserci un’impasse, perché anche i ribelli non sembrano avere la forza sufficiente di avanzare". Il rischio è di un isolamento della città che porterebbe a un inevitabile inasprimento della già precaria sopravivenza. "Per questo – prosegue Martinelli – la soluzione diplomatica è la strada maestra per mettere fine allo spargimento di sangue tra i libici, offrendo a Gheddafi una via di uscita dignitosa". Le parole di denuncia di Martinelli non sono passate inosservate. Il generale Charles Bouchard, comandante di tutte le operazioni dalla base militare di Napoli, ha dichiarato che l’Alleanza è consapevole delle notizie di stampa e le considera "molto seriamente". "Condurremo un’inchiesta nella catena di comando per vedere se ci sono prove", ha aggiunto Bouchard. "Noi faremo quanto possiamo per determinare se qualcosa è successo". Ad una richiesta di precisazioni, ha aggiunto il generale Bouchard: "Investigheremo per vedere se forze Nato siano state coinvolte o meno", precisando però che solo da ieri mattina alle 8 l’Alleanza Atlantica ha assunto il pieno comando delle operazioni. Vittime civili nei raid che sinora il regime non ha denunciato con particolare veemenza, anche se l’allarme sul deterioramento della situazione ieri è stato rilanciato dallo stesso colonnello Muammar Gheddafi. Se gli occidentali "continuano, il mondo entrerà in una vera e propria crociata ", ha dichiarato Gheddafi all’agenzia di Stato libica Jana. "Hanno avviato una cosa grave che non possono controllare", ha aggiunto il Colonnello e che "finirà fuori del loro controllo, quali che siano i mezzi di distruzione di cui dispongono". Luca Geronico
1 aprile 2011 Il senso dell'intervento Urgenza di sapere Mentre gli aerei e le navi della coalizione internazionale avviavano l’azione contro le forze armate del colonnello Gheddafi, su questa prima pagina – elencando "Incognite e doveri" dell’escalation bellica che aveva avuto inizio su mandato dell’Onu – Luigi Geninazzi richiamava con forza la motivazione umanitaria e le conseguenti regole d’ingaggio di un rischioso eppure, a quel punto, inevitabile intervento militare. L’obiettivo primario e – per la nostra visione – essenziale della forza aeronavale schieratasi sul mare e nei cieli della Libia era ed è di porre fine alla guerra scatenata dal rais di Tripoli contro gran parte del suo stesso popolo, limitando al massimo le sofferenze dei libici e dei tanti lavoratori stranieri residenti in quel Paese. Ieri il comando Nato, che aveva da poche ore assunto il controllo delle operazioni militari, ha preso due decisioni assai importanti: non rifornirà di armi i ribelli anti-Gheddafi e indagherà sulla morte di alcune decine di civili, che sarebbe stata provocata dal bombardamento di un’abitazione e che il vicario apostolico di Tripoli, monsignor Martinelli, aveva reso nota con doverosa prontezza, giusta cautela e immenso dolore. Queste decisioni inducono ad altrettante riflessioni. La prima è che l’embargo sulle armi decretato contro il regime di Gheddafi non poteva che specchiarsi in un’identica misura nei confronti dei suoi avversari. Il compito assegnato dall’Onu alla coalizione internazionale scesa in campo è, infatti, di fermare una guerra civile, non di alimentarla. L’azione delle truppe ora finalmente a guida Nato (e non più, di fatto, francese) non è certamente "neutrale", ma è e sarà giusta solo se resta orientata ad agevolare l’apertura di una fase negoziale tra le parti in lotta e la fine del regime dittatoriale che da oltre quarant’anni vige in Libia. La seconda riflessione riguarda la denuncia – giunta non da sospetti portavoce di regime, ma da fonti serene e indipendenti – di un possibile e drammatico "danno collaterale" quantificabile in almeno 40 vittime totalmente innocenti di bombe o missili. Comunque sia, si tratta di "memento" terribile e potente. La missione militare internazionale anti-Gheddafi è, come abbiamo avvertito sin dal primo giorno, una missione di guerra. Produce comunque dolore e distruzione e se non difende il "bene" per cui è stata autorizzata e avviata – l’incolumità della popolazione inerme e la sua libertà dalla paura e dalla costrizione – si dimostra insensata e ingiusta. Perché si rivela incontestabilmente condotta secondo finalità diverse da quelle del mandato Onu (un edificio civile di Tripoli non è un aereo del rais e non "minaccia" i cittadini di Bengasi o di Sirte) e si converte nel suo contrario. Diventa, cioè, aggressione. Il comando Nato fa benissimo a indagare con urgenza, le autorità politiche che "comandano" il comando Nato si preparino a trarne le conseguenze e a renderne conto alle pubbliche opinioni. Interrogativi, preoccupazioni e giudizi già incalzano. Marco Tarquinio
1 aprile 2011 DIETRO IL FRONTE L’ombra di al-Qaeda sui ribelli: addestratori sospetti a Bengasi Tenete bene a mente questo nome: Abdel Akim al-Hassiri. Perché da un po’ ha fatto perdere le sue tracce e sta turbando il sonno della Cia e dell’MI6 britannico. I quali sanno bene che quando uno come al Hassiri lascia l’Afghanistan è sicuramente per un buon motivo. Al Hassiri è libico d’origine. Nessuno ce ne parla, nessuno ne sa niente qui a Bengasi. Eppure – sarà una sensazione – ma una traccia, un filo esile che ci porta a lui lo abbiamo trovato in un desolato insediamento militare, appena sfiorato dalla rivolta della Cirenaica. Una volta questa caserma si chiamava "7 Aprile". A eterna memoria – macabro umorismo libico – di un eccidio di studenti che protestavano contro il regime nel 1977.
È qui, alle porte di Bengasi che i "Ligian Thaouria", ovvero i comitati rivoluzionari – i più ligi guardiani della Jamahiria, in pratica i pasdaran di Gheddafi – deportavano, chiunque fosse sospettato di non amare abbastanza il rais per metterlo nelle mani della polizia segreta, che provvedeva a torturarli e, il più delle volte, a farli sparire. Ora questa caserma è diventata un campo di addestramento per shabaab, i giovani guerrieri della rivoluzione. Visitarlo ha richiesto una procedura complicata e non priva di qualche rischio. Ma ne è valsa la pena, perché abbiamo visto qualcosa che potrebbe convalidare molti sospetti che piovono da tutte le cancellerie occidentali. La convinzione cioè che accanto a quei giovani che ricevono un sommario addestramento militare, quanto basta per usare un’arma e recarsi al fronte, si muova silenziosa ma onnipresente l’ombra di un radicalismo islamico che corrisponde perfettamente all’identikit di al-Qaeda. Il primo a parlare è Najib Alì, 50 anni, tecnico petrolifero, sei figli, due dei quali in procinto di arruolarsi anche loro. "Non sono propriamente un novellino, lo so. Arrivo qui alle 9 del mattino e ci resto fino al tramonto. Ciascuno di noi sceglie un’arma e si occuperà solo di quella. Può essere il kalashnikov o il lanciarazzi, o anche la mitragliatrice pesante. Io ho scelto il lanciarazzi". Giriamo lo sguardo. Una drappello si shabaab è accucciato a terra, un istruttore sta spiegando il funzionamento di una piccola katiusha. "È di fabbricazione coreana – spiega – modello recentissimo, del 2006, molto facile da adoperare, con una gittata che supera i 7 chilometri, ma a volte arriva anche a 9". Nell’occhio un po’ febbrile di questi giovani c’è un misto di ansia e di orgoglio. Come in quelli di Ahmed Kamis, 22 anni, studente. L’università è proprio a un isolato di distanza, ma qui nella caserma 7 Aprile è come aver cambiato mondo. "Ho visto scomparire molti giovani, molti amici. Quando sono arrivati qui i mercenari di Gheddafi avevano solo bastoni e coltelli, poi è arrivata la polizia segreta e l’esercito, e ci sono stati dei morti. La via Nasser (una delle arterie principali di Bengasi, ndr) era piena di sangue". "Abbiamo armi vecchie, Gheddafi non si fidava della Cirenaica e ci lasciava ferraglia degli anni Sessanta – spiega il colonnello Mohammed Shebi – ma qualcuna gliela abbiamo portata via, come questa bellissima contraerea: con questa nessun aereo ha più scampo". Attorno a noi ci sono almeno sei o sette gruppi di giovani che vengono ammaestrati al mestiere delle armi. Nessun occidentale nei dintorni, nessun volto europeo. In compenso l’atmosfera si fa di colpo rarefatta quando arriva un uomo inturbantato di nero, la feritoia de- gli occhi scuri che taglia l’aria, lo sguardo che sembra paralizzare le parole di ciascuno, anche degli istruttori anziani che interrompono il proprio lavoro. L’esperienza ci insegna che quelle fattezze, quel piglio, quel volto dissimulato (che potremmo tranquillamente vedere fra gli estremisti delle brigate Ezzedin al Qassam a Gaza come fra gli Hezbollah nel Sud del Libano, o fra i jihadisti nello Yemen o in Sudan) appartengono sicuramente a un militante radicale islamico. Il suo ruolo nel campo è quello di una sorta di commissario politico, la sua penetrante autorità – silenziosa quanto pervasiva – non è minimamente in discussione. La sua occhiata basta a far sorgere una sorda ostilità nei nostri confronti. Due shabaab (ma forse sono ex militari dell’esercito libico) ci stringono cor- tesemente, accompagnandoci all’uscita. Il radicale islamico è scomparso. Ma l’intelligence americana è in allarme: per quando esigua, la cellula qaedista libica conta, secondo le loro stime, almeno duecento affiliati. Quasi tutti fuoriusciti e al riparo in Afghanistan, in Pakistan, nello Yemen. "Ma ora sembra che siano tornati – dice con voluta prudenza Shamir Rezzani, ex funzionario della polizia urbana di Bengasi – anche se dubito che possano far presa su di noi. Noi siamo islamici moderati, al-Qaeda è fatta di fanatici". Vero, ma se ci accontentiamo di ciò che i nostri occhi hanno visto, ne basta uno per mettere in soggezione un’intera brigata di giovani shabaab, per irregimentarli e magari piegarli a scopi che non sono soltanto quelli di liberare il Paese dal giogo quarantennale del rais. L’abbiamo buttato là, quel nome, al-Hassiri... Non si può nemmeno raccontarlo, il lampo che per un istante ha attraversato gli occhi di ossidiana dell’uomo incamiciato di nero. Giorgio Ferrari
1 aprile 2011 AFRICA IN FIAMME Scontri in Costa D'Avorio, messi in salvo150 preti Circa 150 preti che erano rimasti bloccati nel grande seminario di Anyama a nord di Abobo, quartiere 'caldo' di Abidjan controllato da miliziani pro-Alassane Ouattara, sono stati portati in salvo da funzionari delle Nazioni Unite e condotti alla cattedrale Saint Paul di Abidjan. Lo conferma all'agenzia MISNA Guillaume Ngefa, responsabile della sezioni per i diritti umani della missione delle Nazioni Unite (Onuci). "Abbiamo recuperato i religiosi e i cinque autobus che membri del cosiddetto 'Comando invisibile' avevano sequestrato martedì quando si è verificato anche il rapimento di Richard Kissi, prete ivoriano e direttore diocesano di Caritas nella capitale economica". "La maggior parte dei religiosi, tra cui non solo ivoriani ma anche burundesi, congolesi e di altre nazionalità, sono stati trasferiti, mentre alcuni di loro sono rimasti per sorvegliare il grande seminario internazionale, punto di riferimento per molti abitanti della zona, e per fornire un minimo di assistenza alla popolazione locale" aggiunge, confermando che nel quartiere la situazione "è estremamente volatile". Fin dai primi scontri nei due quartieri di Anyama e Abobo (pro-Ouattara) "la gente ha abbandonato le proprie abitazioni e chiesto accoglienza presso le missioni cattoliche dove si sente più al sicuro" hanno confermato fonti della MISNA sul posto, secondo cui, in queste ore, le popolazioni sono rinchiuse dentro casa, temendo gli scontri ma anche rappresaglie e saccheggi.
2011-03-30 30 marzo 2011 LIBIA Controffensiva di Gheddafi I ribelli perdono Brega Non si ferma la controffensiva delle forze pro Gheddafi. Fonti vicine ai ribelli ad Ajdabiya riferiscono che i soldati del rais hanno ripreso la città di Brega, nell'est della Libia. La notizia arriva dopo che l'artiglieria delle forze lealiste ha dato il via a un attacco contro Misurata con razzi e cannoni dei carri armati. Gli insorti affermano invece di aver riconquistato il sito petrolifero di Ras Lanuf. Il governo libico ha annunciato che farà causa a qualsiasi azienda internazionale che concluderà affari con i ribelli nel settore dell'energia. Dura la posizione del presidente cinese Hu, che al presidente Sarkozy, in visita in Cina, ha detto che "se le azioni militari colpiscono popolazioni innocenti e provocano gravi crisi umanitarie, allora violano il mandato originale del Consiglio di sicurezza dell' Onu". AL ARABIYA, UGANDA DISPOSTA AD ASILO GHEDDAFI L'Uganda accoglierebbe un'eventuale richiesta di asilo da parte di Muammar Gheddafi. Lo ha riferito l'emittente Al Arabiya. RIBELLI, FINITO BLOCCO DEL PORTO È stata posta fine al blocco del porto di Misurata imposto dalle forze pro-Gheddafi, consentendo così l'arrivo di aiuti via mare e l'evacuazione di feriti. Lo ha annunciato un portavoce dei ribelli. Il portavoce, contattato per telefono, ha precisato che la fine del blocco da parte delle forze di Gheddafi - oltre all'evacuazione di feriti - consente l'arrivo di due navi di aiuti umanitari. Nel confermare che ieri i lealisti hanno ucciso 18 civili, il portavoce ha riferito che le truppe pro-Gheddafi continuano a sparare colpi di artiglieria e a ingaggiare scaramucce con i ribelli . GOVERNO, CAUSE AD AZIENDE IN AFFARI CON RIBELLI Il governo libico farà causa a qualsiasi azienda internazionale che concluderà affari con i ribelli nel settore dell'energia. Lo riferisce l'agenzia Jana. "La società nazionale per il petrolio... è l'entità autorizzata dalla legge per trattare con gli esterni. Per via dell'importanza strategica di questi beni - petrolio e gas - a livello globale, nessun Paese può lasciare la sua gestione a delle bande armate", si legge in un comunicato diffuso dall'agenzia Jana. "Lo Stato libico farà causa a chiunque concluda accordi sul petrolio con altri fuori dalla società nazionale", si precisa. HU A SARKOZY, RAID POTREBBERO VIOLARE RISOLUZIONE Gli attacchi aerei della coalizione in Libia potrebbero violare il mandato dell'Onu, secondo il presidente cinese Hu Jintao, che oggi ha ricevuto quello francese Nicolas Sarkozy. "Se le azioni militari colpiscono popolazioni innocenti e provocano gravi crisi umanitarie, allora violano il mandato originale del Consiglio di sicurezza dell' Onu", ha affermato Hu citato dalla Cctv, la tv di Stato cinese. "La storia ha dimostrato che l'uso della forza non risolve i problemi, ma che anzi non fa che complicarli", ha aggiunto Hu. Ricevendo il presidente francese, uno dei promotori della risoluzione che ha autorizzato gli attacchi aerei contro le forze di Muammar Gheddafi, Hu ha sottolineato che "sono il dialogo e gli altri mezzi pacifici a fornire la risoluzione ultima dei problemi". Il presidente cinese ha aggiunto che Pechino "appoggia gli sforzi politici per il miglioramento della situazione in Libia". Sarkozy è in Cina per partecipare a un seminario informale dei ministri economici e dei banchieri centrali del G20 sul sistema monetario internazionale che si terrà a Nanchino, nel sud del Paese. GB ESPELLE CINQUE DIPLOMATICI LIBICI La Gran Bretagna ha espulso cinque diplomatici libici dal Regno Unito. Lo ha reso noto il ministro degli esteri William Hague alla Camera dei Comuni. Hague ha detto che ieri una missione diplomatica britannica si è recata a Bengasi: era guidata da Christopher Prentice, l'ambasciatore a Roma. Tra i diplomatici esplusi c'è l'addetto militare. I cinque - ha detto Hague - potevano porre "un pericolo per la nostra sicurezza". IL FRONTE DIPLOMATICO Il sipario sulla Conferenza tenuta ieri a Londra sulla Libia è calato con lo scenario di un possibile esilio del rais di Tripoli. Ma si è cominciato anche a parlare di armare i ribelli. "La risoluzione Onu - ha detto il segretario di Stato Hillary Clinton - permetterebbe di farlo". E non lo ha escluso nemmeno il presidente americano Barack Obama il quale ha aggiunto che il cappio intorno a Gheddafi si sta stringendo e che è troppo presto per parlare di negoziati con il Colonnello. Il Regno Unito "non tratta una partenza di Muammar Gheddafi", dice il ministro degli Esteri britannico William Hague, ma "questo non impedisce ad altri di farlo": il sipario sulla Conferenza tenuta ieri a Londra sulla Libia è calato con lo scenario di un possibile esilio del rais di Tripoli. "È l'unico modo di fermare il bagno di sangue", ha detto Hamad bin Jabr al-Than, premier e ministro degli esteri del Qatar, primo Paese arabo che, dopo la Francia, ha riconosciuto i ribelli del Cnt proponendosi anche come tramite per vendere il petrolio libico e in questo modo finanziare gli sforzi dell'opposizione. In Libia le cose per gli insorti si mettono male: le forze di Gheddafi "attaccano dal mare e da terra" Misurata, ha gettato l'allarme il primo ministro David Cameron inaugurando la riunione di Londra. Cecchini del dittatore "sparano addosso agli abitanti e poi li lascia morire dissanguati in strada", ha detto Cameron mentre la Cnn parla di "carneficina". Come proteggere gli abitanti della città libica? A Londra non è stato rafforzato il dispositivo militare. E' stato costituito invece un Gruppo di Contatto sulla Libia di una ventina di paesi che si riunirà al più presto in Qatar, ma si è cominciato anche a parlare di armare i ribelli, come aveva proposto l'ambasciatore americano all'Onu Susan Rice trovando convergenza nel ministro degli esteri francese Alain Juppe. "La risoluzione Onu - ha detto il segretario di Stato Hillary Clinton - permetterebbe di farlo". E non lo ha escluso nemmeno il presidente americano Barack Obama. "È in esame ogni ipotesi", ha detto alla Nbc. Secondo i media britannici, tuttavia, non si escludono clamorose spaccature tra gli alleati su questo argomento. Il segretario generale della Nato Andres Fogh Rasmussen, ed esempio, ha detto a SkyNews che la risoluzione dell'Onu non prevede di rifornire gli insorti e che la Nato sarà in Libia "per proteggere le popolazioni, non per armarle". Al di là dei risultati di ieri, modesti sulla carta, l'obiettivo di Londra era mostrare a Gheddafi una profusione di bandiere: quasi 40 nazioni sovrane, oltre alla Lega Araba, l'Organizzazione della Conferenza Islamica, la Ue, l'Onu e la Nato che domani assumerà il comando delle operazioni militari. Una prova di coesione uniti convincere il rais che è ora di togliere le tende. Grande assente era l'Unione Africana, che fino a ieri doveva esserci: divergenze interne, come ha spiegato Juppe, oppure forse la discrezione di chi dietro le quinte sta negoziando per la partenza del rais da Tripoli? "È stato un giorno importante per la Libia", ha detto Hague: "Abbiamo allargato e approfondito la coalizione". È stata anche l'occasione per un maxi-spot del Cnt in versione giacca e cravatta. Tra i ribelli potrebbero esserci ex tirapiedi di Gheddafi e, come ha detto il comandante supremo della Nato ammraglio James Stadviris, "guizzi" di al Qaida e, per capirci di più, Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia hanno annunciato l'invio di diplomatici esperti di mondo arabo a Bengasi. Ma intanto Hague ha tenuto a battesimo la nuova compagine portando il portavoce Mahmoud Jibril a incontrare la Clinton e Cameron. Si è parlato, tra l'altro di come fare fronte ai bisogni finanziari dell'opposizione, dopo che pubblicamente, in una conferenza stampa organizzata dal Foreign Office, i ribelli di sono impegnati tenere, nel dopo Gheddafi, libere elezioni. La riunione, nella scenografica Lancaster House, si è chiusa sulle note di un obiettivo comune: Gheddafi non ha più legittimità e se deve andare. "Idealmente" tutti i partecipanti di Londra, Cameron, la Clinton, perfino il Cnt, vorrebbero processarlo per crimini di guerra ma se il dittatore accettasse di levarsi di torno di suo nessuno sarebbe scontento: come ha detto oggi alla Bbc Hague, "non sta a noi decidere dove Gheddafi vuole andare in pensione". Quello di un possibile esilio Gheddafi "è uno degli argomenti di cui abbiamo parlato", ha confermato il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini precisando comunque che non gli si potrà "promettere un salvacondotto". Frattini è tornato a rilanciare di un ruolo dell'Unione africana: "Non è un segreto che possa fare da leva ma queste cose per avere successo devono essere fatte con discrezione". E Hillary Clinton ha fatto sapere che un inviato dell'Onu andrà presto a Tripoli per chiedere a Gheddafi di attuare un vero cessate il fuoco e per discutere con lui anche l'opzione dell'esilio
30 marzo 2011 DIPLOMAZIA E CONFLITTO Ecco i ribelli: i leader della rivoluzione tra ideali, petrolio, libertà A pensarci bene la chiave ce l’avevamo letteralmente sotto il naso. Bastava dar retta ai sensi e considerare quel lezzo leggero di idrocarburi aromatici che esala dalla laguna di Bengasi e di fronte al quale non c’è riparo alcuno. Bastava seguire quel filo sottile e saremmo arrivati – il praesidium del (Cnt) Consiglio Nazionale di Transizione libico non ce ne voglia – al cuore, anzi, al core business come si chiama in gergo, dell’insurrezione. Che certamente parte dal cuore profondo della nazione, (della Cirenaica senza dubbio, ma certamente il malcontento è di statura nazionale), arma i giovani di esaltata volontà di battersi, mobilita schiere di volontari che vanno a punzecchiare le armate di Gheddafi fermandosi sull’orlo del precipizio in attesa che l’assistenza aerea della coalizione occidentale faccia il suo lavoro, ma altrettanto certamente oltre alla mano sul cuore ne ha anche una sul portafoglio. E la ricchezza della Libia, lo sappiamo, è sostanzialmente una sola, il petrolio. Una qualità solforosa che vanta 46,5 miliardi di barili di riserve accertate, la più grande economia petrolifera del continente, altro che la scatola di cartone piena di sabbia come pensavano scelleratamente gli italiani all’epoca dell’impero. E non basta: "Il petrolio libico è di qualità "sweet – spiega Ahmed Zaiani, ingenere minerario della Libyan Oil Company, fino a ieri al soldo di Gheddafi ed ora prontamente al servizio del Consiglio di transizione – cioè a basso contenuto di zolfo, il che vuol dire che ha dei costi di raffinazione molto contenuti rispetto al petrolio iracheno o saudita. E quindi dei margini di guadagno molto elevati. E non stiamo parlando solo del petrolio, c’è anche il gas". Partiamo dal petrolio nel raccontare lo strano caso della rivolta libica, perché di tutte le rivolte finora conosciute, questa pare autenticamente senza leader, senza guida, senza un’ossatura che ci faccia intuire un comitato rivoluzionario o qualcosa di simile, con le sue regole, la sua ferocia, il suo integralismo. Ci sono "segnali" della presenza di membri di Al-Qaeda e di Hezbollah nelle fila dei ribelli libici – ha detto ieri l’Alto Comandante della Nato, ammiraglio James Stavridis, alla Commissione per le Forze Armate del Senato Usa – anche se i leader dell’opposizione a Ghedaffi appaiono persone "responsabili". Qui a Bengasi è tutto diverso. La sede del Consiglio è in Piazza del Tribunale, ribattezzata piazza della Rivoluzione, a ridosso del porto e di una serie di vie sonnolente, niente a che vedere con il traffico caotico del Cairo o di Beirut. Ma soprattutto, guardando questo Consiglio non possiamo non notare la teatrale diversità fra gli anziani che lo guidano e gli shabab – i volontari in armi che ogni giorno spingono la rivolta verso ovest lungo l’autostrada. "Perché i vari Abdel Jalil (il presidente del Cnt) – spiega Omar Beddawi, avvocato che si è messo a disposizione del governo provvisorio – sono un pezzo di Libia che da sempre ha fatto la fronda al governo di Tripoli, pur facendone parte come ministri o viceministri". A considerarlo nel suo insieme, il Cnt più che un governo provvisorio sembrerebbe un comitato di quartiere, capace comunque di proclamare ai microfoni di Porta a porta: "Parteciperemo allo sforzo per fermare l’immigrazione clandestina impedendo ai clandestini l’ingresso in Libia e combattendo le organizzazioni criminali che trafficano in questo settore". Per poi aggiungere, e qui torniamo al core-business cirenaico: "La Libia del dopo-Gheddafi rispetterà tutti i trattati firmati con Eni e le altre aziende". Parola di Abdel Jalil, ex ministro della Giustizia di Muhammar Gheddafi. Il quale promette elezioni libere per assicurare una transizione verso la democrazia quando Gheddafi sarà costretto a lasciare il potere. Jalil ha tutto per piacere all’Occidente. Avvocato, aspetto rassicurante, da giovane è stato attaccante della nazionale di calcio libica, non è filo-islamista, ma piuttosto molto vicino alla sensibilità occidentale e si è guadagnato la stima di Amnesty International e Right Watch per il suo dissenso nei confronti del trattamento dei prigionieri politici. Non appena Gheddafi ha cominciato a sparare sugli insorti Jalil ha abbandonato la sua poltrona, guadagnandosi una taglia di 500mila dinari (circa 290mila euro) in quanto "pericolosa spia" e in subordine 200mila dinari di ricompensa per chi invece fornirà informazioni utili alla sua cattura. In realtà Gheddafi sta tentando di venire a patti con lui. Non è un caso che abbia scelto proprio l’ex primo ministro Jadallah Azzouz Talhi per mediare con i ribelli di Bengasi, in quanto cugino di Abdel Jalil e nato sotto lo stesso tetto di famiglia a al-Baydha, in Cirenaica. Ci vorrà tempo prima che la fisionomia del Cnt sia più chiara e molti giorni per capire se avrà un futuro politico oppure l’insurrezione libica resterà un tragico capitolo nella storia del Paese. Quello che è certo è che a scatenare gli appetiti non è stata soltanto la giusta voglia di libertà e di democrazia di un popolo. Ripensiamo alla città-giardino di Ras Lanouf, da cui ieri siamo fuggiti precipitosamente di fronte al contrattacco notturno dei lealisti: un piccolo paradiso costruito a misura dei tecnici del petrolio, una faccia della Libia ignota al resto del Paese. "All’Occidente è quello che interessa", considerano a Bengasi i più disillusi. L’odore lieve dello zolfo che soffia sotto la laguna non è in grado di smentirli. Giorgio Ferrari
30 marzo 2011 MEDIO ORIENTE Siria, Assad accusa i media di cospirazione Resta lo stato di emergenza Con un discorso insolitamente breve tenuto in Parlamento, il presidente siriano Bashar Assad ha accusato le tv satellitari e altri media di avere fabbricato bugie e ha detto che la Siria supererà le cospirazioni che le vengono costruite contro. Sul discorso di Assad erano concentrate molte aspettative perché si pensava che avrebbe annunciato una serie di riforme e avrebbe revocato lo stato d'emergenza, ma il presidente siriano non ha offerto alcuna particolare concessione per placare l'ondata di dissenso diffusasi nel Paese. In particolare, il presidente non ha revocato lo stato d'emergenza nel Paese, nonostante le richieste dei dimostranti antiregime. Quello di Assad è stato il primo intervento pubblico dall'inizio delle proteste scoppiate in Siria il 15 marzo scorso. Il Parlamento e il nuovo governo si incaricheranno di attuare le riforme annunciate. Ieri il rais aveva accettato le dimissioni del governo, come primo atto concreto di timido cambiamento dopo due settimane di proteste senza precedenti contro il regime al potere da quasi mezzo secolo.
2011-03-28 28 marzo 2011 EMERGENZA SULL'ISOLA Tensione a Lampedusa, proteste anti-immigrati Alcuni pescatori stanno trainando quattro barconi usati dai migranti e sequestrati per posizionarli all'ingresso del porto di Lampedusa. Lo scopo è impedire il transito delle motovedette che soccorrono gli immigrati. Dal molo una cinquantina di donne sta incitando l'azione, invitando altri uomini alla partecipare alla protesta. Sulla banchina la tensione è altissima. Un gruppo di lampedusani, tra cui alcune donne, ha rivoltato tre cassonetti davanti il varco militare al porto, bloccando il transito e chiedendo al governo soluzioni per mettere fine all'emergenza immigrazione nell'isola. In strada sono stati gettati anche due grossi recipienti usati per contenere acqua, vasi e pietre. Alcuni dei manifestanti si sono seduti davanti al cumulo di macerie, alzando due bandiere: quella della Trinacria, simbolo della Sicilia, e quella a scacchi di Lampedusa. La polizia osserva. "Non vogliamo entrare in quarantena", urla un ragazzo. Altri invocano "lo sciopero generale". "Noi siamo il popolo di Lampedusa, lo sappiano i leghisti che ci costringono a vivere in questa situazione - dice uno dei manifestanti - Rivogliamo indietro la nostra libertà, solo questo chiediamo. Difendiamo la nostra dignità, siamo stanchi". Una coppia di coniugi di Lampedusa sostiene di essere stata aggredita e derubata nella sua abitazione da un gruppetto di immigrati tunisini che avrebbe fatto irruzione nell'appartamento dei due. A raccontarlo questa mattina durante una affollata assemblea cittadina è stato il figlio della coppia. Sembra che il padrone di casa, Luigi Salina, ex pescatore, sia stato colpito con un pugno dall'extracomunitario che poi avrebbe portato via dei preziosi. GLI SBARCHI Un barcone con circa 300 persone a bordo si trova in difficoltà a 7 miglia al largo di Lampedusa. Verso il barcone, che starebbe imbarcando acqua, si stanno dirigendo le motovedette della Capitaneria di porto. A bordo ci sono anche donne e bambini. Intanto è piena crisi a Lampedusa: circa 6.200 i tunisini arrivati negli ultimi giorni. Il governatore siciliano Raffaele Lombardo ha ottenuto dal premier Silvio Berlusconi un Consiglio dei ministri straordinario per affrontare l'emergenza. "Le tendopoli le facciano pure in Val Padana, non solo in Sicilia", ha detto Lombardo a Berlusconi in un'accorata telefonata . Oggi arrivano gli ispettori sanitari della Regione per verificare le condizioni igieniche in tutti i centri d'accoglienza ed effettuare sopralluoghi nei punti più critici. In arrivo a Linosa un barcone proveniente dalla Libia, con oltre 200 persone a bordo: verranno portate oggi in Sicilia. E un altro barcone con 300 profughi sarebbe ancora in acque libiche. Sono 1.933 i migranti arrivati nelle ultime 24 ore a Lampedusa. E' il numero più alto di arrivi da quando sono ripresi gli sbarchi. Impressionante anche il dato degli ultimi tre giorni: da venerdì sull'isola sono arrivati 3.721 migranti. Di fronte alle nuove ondate di immigrati, In Italia "ci sono ogni tanto delle posizioni, delle reazioni un po' sbrigative a livello di opinione pubblica" alle quali non bisogna indulgere. Piuttosto bisogna ricordare il nostro passato di paese numero uno in Europa per numero di emigranti e "governare" la nuova situazione che si è creata, anche se "non è semplice". ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, rispondendo a una domanda a margine della inaugurazione dello spazio espositivo "Industria Gallery" a New York. "Proprio perché c'é stata un'accelerazione, che - ha aggiunto Napolitano - nel giro di vent'anni ci ha fatto passare da una quota minima di immigrati ad una presenza pari al 7 per cento della popolazione, e quindi ci sono state delle scosse dal punto di vista sociale e psicologico, bisogna governarle". Quali sono gli elementi in comune fra quella emigrazione storica italiana e questa oggi in arrivo in Italia? "C'é la stessa ricerca talvolta disperata di lavoro e di vita decente" ha risposto Napolitano invitando a considerare che "nel frattempo è cambiato il contesto mondiale". "Oggi - ha spiegato - c'é un incrocio fra l'Italia e l'Africa che prima non c'era. E l'Italia è in Europa uno degli ultimi paesi che dopo essere stati paese di emigrazione, e l'Italia in passato è stato il numero uno, sono diventati luogo di immigrazione".
28 marzo 2011 GUERRA Libia, battaglia per Sirte Russia: raid non autorizzati Gli attacchi operati dalla coalizione occidentale contro le forze armate leali al colonnello Gheddafi costituiscono niente altro che un intervento nella guerra civile a fianco delle forze ribelli al regime libico, un'operazione che non è supportata dalla risoluzione adottata dal Consiglio di sicurezza dell'Onu. Lo ha detto il ministro degli esteri, Sergei Lavrov, nel corso di una conferenza stampa. "Consideriamo questo intervento della coalizione - ha detto Lavrov - per quello che essenzialmente è, vale a dire un intervento all'interno di una guerra civile che non è previsto dalle Nazioni Unite". La Russia, ha poi aggiunto Lavrov, chiede un'immediata verifica delle notizie che parlano di vittime civili causate dalle operazioni della coalizione occidentale in Libia. "Siamo preoccupati per le notizie di vittime tra i civili, anche se si tratta di notizie che non è possibile confermare al momento; chiediamo, tuttavia, che siano verificate". BATTAGLIA PER SIRTE. LA NATO ASSUME IL COMANDO L'avanzata dei ribelli libici è stata fermata questa mattina dalle forze pro-Gheddafi all'uscita da Ben Jawad, situata a 140 chilometri dalla città di Sirte. I ribelli hanno preso ieri il controllo di Ben Jawad, dopo aver conquistato il sito petrolifero di Ras Lanuf, aiutati anche dai raid aerei della coalizione internazionale. Ma questa mattina sono stati fermati dalle forze leali al colonnello Gheddafi, che erano a bordo di pick-up, sulla strada che conduce da Ben Jawad a Nofilia, in direzione di Sirte. Gli insorti sono quindi confluiti verso Ben Jawad prima di rispondere con l'artiglieria pesante. Lo scambio di fuoco è durato fino a mattina inoltrata. Sirte rimane il prossimo obiettivo dei ribelli. Un altro giornalista della France Presse ha constatato che la città è sempre in mano alle forze leali al colonnello Gheddafi. E sarà la Nato a difendere i civili e le aree popolate della Libia dalle minacce di attacchi delle forze del colonnello. I 28 alleati hanno approvato ieri sera i piani per assumere il comando di tutte le operazioni in Libia: l'operazione 'Odissea all'alba' diventa 'Protezione unificata'. Il generale canadese Charles Bouchard, che guiderà da Napoli le forze impegnate nella missione, incontra oggi la stampa nella base napoletana dell'Alleanza. Atteso negli Stati Uniti il discorso tv di Barack Obama sull'intervento in Libia.
28 marzo 2011 TENSIONI Siria, carri armati circondano Daraa La polizia spara sui manifestanti Carri armati dell'esercito siriano hanno circondato Daraa, capoluogo della regione meridionale e teatro da dieci giorni di accese proteste anti-regime. Lo riferiscono testimoni oculari citati dalla tv panaraba Al Arabiya. Le forze di sicurezza siriane hanno aperto il fuoco su centinaia di dimostranti che protestavano contro le leggi di emergenza nella città meridionale di Daraa. Lo affermano testimoni. Secondo testimoni citati anche dalla tv panaraba al Jazira, centinaia di residenti di Daraa, capoluogo della regione meridionale epicentro delle proteste anti-regime iniziate due settimane fa, sono tornati oggi in strada, scandendo slogan contro il partito Baath. Da dodici giorni scosso da proteste interne senza precedenti, il regime siriano torna a promettere la fine dello stato di emergenza in vigore da quasi mezzo secolo, ma intanto è costretto a mantenere schierato l'esercito a Latakia, porto della regione nord-occidentale da cui proviene la famiglia presidenziale, mentre non si placano le proteste dei residenti della città meridionale di Daraa. In attesa del più volte annunciato discorso alla nazione del rais Bashar al-Assad, il suo consigliere presidenziale Buthayna Shaaban è riapparsa sugli schermi delle tv panarabe per assicurare che la direzione del Baath, al potere da 48 anni, ha deciso di abrogare la legge d'emergenza, in vigore dall'avvento dello stesso partito "arabo socialista".Da dodici giorni scosso da proteste interne senza precedenti, il regime siriano torna a promettere la fine dello stato di emergenza in vigore da quasi mezzo secolo, ma intanto è costretto a mantenere schierato l'esercito a Latakia, porto della regione nord-occidentale da cui proviene la famiglia presidenziale, mentre non si placano le proteste dei residenti della città meridionale di Daraa. In attesa del più volte annunciato discorso alla nazione del rais Bashar al-Assad, il suo consigliere presidenziale Buthayna Shaaban è riapparsa domenica sugli schermi delle tv panarabe per assicurare che la direzione del Baath, al potere da 48 anni, ha deciso di abrogare la legge d'emergenza, in vigore dall'avvento dello stesso partito "arabo socialista". La decisione - hanno però affermato "fonti ufficiali" - sarà formalizzata dopo l'approvazione della "legge anti-terrorismo". Altre non meglio precisate fonti ufficiali siriane hanno assicurato che "martedì prossimo" 29 marzo il governo siriano si dimetterà, e che "entro la settimana", ovvero entro il primo aprile, "sarà annunciata una nuova legge sulla stampa e un'altra sui partiti". Quest'ultima dovrebbe preparare la strada al tanto atteso emendamento dell'articolo n.8 della Costituzione, che dal 1973 affida al Baath il ruolo "di guida del Paese e della società". Su Internet attivisti e dissidenti hanno intanto convocato nuove manifestazioni di protesta: a Damasco, il raduno anti-regime è indetto nella centrale Grande Moschea degli Omayyadi, teatro il 18 e il 25 marzo scorso delle prime manifestazioni esplicite di dissenso, sopraffatte per numero da cortei di lealisti. Il ministro degli interni domenica è intervenuto di persona sulla tv di Stato e tramite l'invio di SMS "ai cittadini", invitandoli a non partecipare ai raduni, definendo "menzogneri" e "tendenziosi" gli appelli e i volantini. Secondo organizzazioni umanitarie internazionali e locali dall'inizio delle proteste sono morte oltre 120 persone, per lo più a Daraa, capoluogo della regione meridionale epicentro della dura repressione, e della vicina Samnayn, ma anche a Latakia (6 morti accertati), Damasco (3 ) e Homs (2). Il governo continua ad attribuire a "bande armate" le violenze di questi giorni. Dopo aver accusato "parti straniere" di aver armato e istigato i "gruppi di sabotatori" a Daraa e Samnayn, i media ufficiali affermano che ignoti uomini armati hanno ucciso ieri a Latakia 12 persone, dieci dei quali agenti di polizia. L'agenzia di notizie Sana aveva diffuso da sabato sera la notizia dell'arresto di un americano, di origini egiziane, accusato di avere legami con Israele e di esser coinvolto negli scontri. In serata, sempre il consigliere Shaaban ha puntato esplicitamente il dito contro "fondamentalisti", confermando l'arresto nelle ultime ore di un numero di "stranieri". Secondo testimoni oculari di Latakia citati da Human Rights Watch, gli ignoti cecchini che ieri avrebbero ucciso "almeno sei manifestanti" sarebbero membri della Guardia presidenziale, la forza d'elite comandata da Maher al-Assad, fratello del presidente. Nella città portuale mista sunnita e alawita, abitata anche da cristiani, stazionano da 24 ore i blindati dell'esercito siriano, giunto in soccorso ieri sera delle forze di sicurezza. E all'esercito era stato affidato da giorni anche il controllo degli ingressi ai villaggi meridionali attorno a Daraa, diventato ormai il luogo simbolo della rivolta. Nella città meridionale anche domenica, in occasione di tre diversi funerali di "martiri" uccisi dalle forze di sicurezza (in tutto solo a Daraa sarebbero 60 i morti civili), folle di residenti sunniti hanno scandito lo slogan ormai non più tabù contro il potere centrale: "Il popolo vuole la caduta del regime!". E all'indomani della scarcerazione di 260 prigionieri politici, per lo più islamici, stamani in segno di distensione verso la rivolta del sud il governo ha rimesso in libertà un'attivista originaria di Daraa. Diana Jawabira è tornata libera assieme ad altri 15 dissidenti che erano finiti in carcere lo scorso 16 marzo durante il sit-in nei pressi del ministero degli Interni. Una dozzina di loro compagni rimangono però dietro le sbarre, in forza proprio della legge d'emergenza.
2011-03-27 26 marzo 2011 OPERAZIONE "ALBA DELL'ODISSEA" Libia, i ribelli avanzano con l'aiuto dei raid La città libica di Ajdabiya è caduta sabato mattina nelle mani degli insorti. La città ha risuonato dei clacson delle milizie, che festeggiavano il successo militare. Un portavoce degli insorti a Bengasi, roccaforte dell'opposizione nella Libia orientale, ha detto che le forze fedeli a Gheddafi sono fuggite da Ajdabiya, incalzate dagli antigovernativi sulla strada per Brega, 75 chilometri più ad ovest.
Le forze fedeli a Muammar Gheddafi hanno effettuato una "ritirata tattica" da Ajdabiyia, dove le forze ribelli avanzano "solo grazie ai raid occidentali". Lo ha affermato il viceministro degli Esteri libico, Khaled Kaaim. "È solo una ritirata, le nostre forze torneranno a Ajdabiya", ha sottolineato Kaaim in conferenza stampa. Le forze dei ribelli libici hanno offerto "la resa ai soldati di Muammar Gheddafi", ma questi si sono rifiutati e sono stati attaccati. Lo ha detto un portavoce dei ribelli, il colonnello Ahmed Omar Bani. La missione in Libia "sta avendo successo". "Una catastrofe umanitaria è stata evitata e le vite di civili, innocenti uomini, donne e bambini, sono state salvate". Lo ha detto il presidente americano Barack Obama nel discorso settimanale alla nazione, sottolineando che gli "americani devono essere orgogliosi delle vite salvate in Libia e dell'operato dei nostri uomini e delle nostre donne in uniforme che ancora una volta hanno dimostrato di difendere i nostri interessi e i nostri idealI.
"GIA' 8 MILA I MORTI NELLA RIVOLTA" Bombardamenti di notte, combattimenti di giorno. Tutto potrebbe decidersi ad Ajdabiya, città strategica perché ultimo presidio degli insorti prima di Bengasi. Se cade Adjabiya, i 160 chilometri che la separano dalla "capitale della rivolta" potrebbero essere consumati in un soffio dalle truppe di Gheddafi. Da più di una settimana la città è terreno di scontro, teatro di un continuo alternarsi di avanzate e ritirate, dell’una e dell’altra parte. I governativi restano ammassati alla porta occidentale. I ribelli controllano i quartieri più orientali. All’interno, la popolazione, intrappolata in una situazione critica: è sempre più complicato trovare cibo, acqua, elettricità. Quel che accade è difficile da capire, impossibile da verificare. La propaganda – quella di regime, quella degli insorti – amplifica e distorce i dati di fatto. Persino, o forse soprattutto, il bilancio delle persone uccise – a causa dei bombardamenti alleati o dell’offensiva di terra del Colonnello – è "strumento" di guerra. Le ultime cifre sono state dichiarate ieri da un portavoce del Consiglio nazionale transitorio (Cnt), l’organo politico degli oppositori: ha parlato di "otto-diecimila morti dall’inizio della rivolta", il 17 febbraio. "Ma temiano che il bilancio possa essere molto più grave", ha aggiunto. In effetti, non si sa nemmeno quante siano le vittime degli scontri di questi giorni Ad Ajdabiya. Nella città, i ribelli, nonostante un equipaggiamento insufficiente e poco o zero addestramento, riescono a "tenere". Quantomeno a "tenere" le truppe del rais – che ieri ha promosso in massa tutti i soldati e gli ufficiali dell’esercito per "incentivarne" l’azione – ferme sulle loro posizioni a ovest della città. Questo anche grazie ai raid della coalizione, che hanno bombardato per tutta la notte i tank dei governativi, indebolendo la loro stretta. Un portavoce del Cnt ha fatto sapere che Ajdabiya potrebbe essere presto "liberata". Ma la situazione è estremamente instabile. I ribelli hanno radunato quanti più uomini possibili a difendere la città. E in tarda serata sono riusciti a consolidare le posizioni nella parte orientale. Fonti dell’opposizione hanno anche detto che molti miliziani del rais sarebbero stati catturati. Al-Jazeera ha parlato infine di una "mediazione" in corso per la resa delle brigate di Gheddafi ad Ajdabiya, ma la notizia non ha trovate conferme. Mentre una secca smentita è arrivata da Bengasi all’ipotesi di un negoziato con il rais. Il Cnt – che ieri ha, tra le altre cose, incassato l’apprezzamento dell’ambasciatore americano inviato in Libia, Gene Cretz, che ha elogiato la visione dei diritti umani e delle donne contenuta in un documento degli insorti – ha bocciato senza mezzi termini l’ipotesi di accogliere una delegazione che il Colonnello avrebbe inviato in città per "negoziare la pace". "Non esiste nulla di simile, non crediamo al doppio gioco di Gheddafi, che finora ci ha mandato solo armi e distruzione", ha spiegato un portavoce ufficiale. Le notizie arrivate da Zawia, la città a una quarantina di chilometri da Tripoli (ovest del Paese) riconquistata pochi giorni fa dalle truppe governative, confermano e rafforzano la decisione. Ribelli a Zawia e residenti che ne sono fuggiti hanno infatti reso testimonianze concordanti su continui pestaggi, rapimenti e sparizioni messi in atto dai miliziani del rais. "Sequestrano i giovani, chiunque abbia meno di 50 anni. Tutti vengono portati via: migliaia di abitanti sono scomparsi in questo modo", ha denunciato un portavoce degli oppositori che vive a Zawia. Sempre nell’Ovest della Libia, resta delicata la situazione a Misurata. Dopo dopo la sanguinosa battaglia di mercoledì, sembra che gli insorti siano riusciti a prendere il controllo della città. Ma le truppe di Gheddafi continuano a mantenere l’assedio dall’esterno e, soprattutto, nel centro sono sempre in azione centinaia di cecchini. Ieri, comunque, alcune organizzazioni umanitarie sono riuscite a consegnare i primi aiuti alla popolazione. Barbara Uglietti
26 marzo 2011 PROFUGHI Immigrazione, via ai soccorsi per barcone partito dalla Libia Due motovedette della Guardia Costiera hanno lasciato il porto di Lampedusa per soccorrere il barcone con circa 350 migranti, partito due giorni fa dalle coste libiche e che si trova a una sessantina di miglia dalla costa. Un elicottero EH101 della Marina militare è intervenuto per prestare soccorso a una donna che oggi ha partorito a bordo. Madre padre e figlio sono stati portati a Lampedusa, mentre l'imbarcazione è diretta verso Linosa. Partita due giorni fa dalla Libia con 350 migranti, tra cui 200 donne, l'imbarcazione ieri sera aveva lanciato l'Sos con una telefonata a Don Mosè Zerai, presidente dell'agenzia Habeshia che si occupa di assistenza a rifugiati e richiedenti asilo. I profughi avevano segnalato di avere il motore in avaria e di imbarcare acqua, dopo essere stati soccorsi da una unità della Nato impegnata nelle operazioni legate alla missione "Odissey Dawn". Secondo quanto riferito dagli immigrati l'equipaggio della nave, battente bandiera canadese, li avrebbe abbandonati dopo il loro rifiuto a essere trasferiti in Tunisia. Una versione smentita dal Comando Marittimo Nato di Napoli (Allied Maritime Command Naples). "La nave della Nato - ha detto all' ANSA un portavoce del Comando marittimo - ha soccorso una imbarcazione con il motore in avaria. A bordo c' erano circa 150 persone. Il personale della nave Nato è salito a bordo dell' imbarcazione per due volte per accertare l' eventuale presenza di persone in pericolo di vita o di emergenze sanitarie. A bordo è stato constatato che non vi era nessuna emergenza. Il motore dell'imbarcazione è stato rimesso in funzione e l' imbarcazione rifornita di benzina. È stato anche accertato che a bordo vi erano viveri sufficienti per proseguire la navigazione".
26 marzo 2011 La guerra d’interesse in Libia e il ruolo delle nazioni I punti oscuri della crisi Dinanzi alla crisi libica un fatto appare evidente: su quello che sta realmente accadendo non sappiamo molto. Alcune fonti sono di parte, altre sono necessariamente approssimative. In mancanza di informazioni sicure, può essere utile elencare un paio di punti oscuri. Prima di tutto i ribelli. Chi sono? La vulgata dei primi giorni tendeva ad accomunarli ai manifestanti tunisini ed egiziani. Con il passare del tempo è diventato più chiaro che ci siamo coinvolti in una guerra civile: Cirenaica contro Tripolitania (le due regioni storiche della Libia), divise secondo lealtà di tipo tribale. Ciò non toglie che gli insorti vogliano rompere con una dittatura soffocante e reclamino maggiori libertà, ma suggerisce un quadro un po’ più complesso di "giovani che chiedono la democrazia". La Libia, a differenza di Egitto o Tunisia, non è uno Stato-Nazione. Non ha un passato comune di lunga data. Non ci sono partiti politici significativi, l’esercito, a differenza dei Paesi confinanti, vede una forte presenza di mercenari e l’islam stesso era finora veicolato dall’interpretazione di Gheddafi (fatta salva la presenza clandestina degli islamici militanti, non estranei alla rivolta). Da ultimo, non è chiara neppure la reale consistenza numerica degli insorti. Tanto poco si conoscono i ribelli quanto bene il colonnello Gheddafi. Negli anni scorsi gli si perdonava tutto. Ora si è deciso di presentargli il conto. O meglio, lo ha deciso la Francia, la Gran Bretagna ha acconsentito, gli Stati Uniti hanno lasciato fare, la Germania si è astenuta, l’Italia ha pensato che era un male minore stare dentro piuttosto che stare fuori e la Lega araba ha cercato di mediare tra posizioni contrastanti al suo interno, salvo poi esprimere il proprio stupore (e quello turco) di fronte al fatto che la no-fly zone venisse imposta con l’uso della forza e non con un grazioso schiocco di dita. Conciliare le varie posizioni ha richiesto tempo e così si sono lasciati affondare i ribelli per poi lanciare con grande precipitazione un intervento militare dai contorni mal definiti. Ufficialmente lo scopo è evitare violenze di Gheddafi su "civili e aree popolati da civili minacciate di attacco nella Jamahiriyya araba libica, Bengasi inclusa". L’unico punto chiaro nella formulazione Onu è la protezione di Bengasi, che è già stata raggiunta. Da lì ci si può allargare al resto della Cirenaica in mano ai ribelli, obiettivo in corso di raggiungimento. Il testo però si presta anche a un’interpretazione più ampia in cui le aree minacciate di attacco vengono a coincidere con l’intera Libia. In altre parole, l’obiettivo diventa la cacciata di Gheddafi. L’esperienza della Serbia dice che difficilmente si riesce a rovesciare un regime con una serie di raid aerei mirati. Come è già stato ampiamente ricordato, l’Iraq mostra che cosa significa intervenire sul terreno. A decidere l’interpretazione della risoluzione Onu sarà perciò la reale consistenza militare dei ribelli, sempre più armati e riforniti. Se avanzano, si parlerà di guerra per la democrazia. Se non progrediscono, sarà una guerra umanitaria. Una guerra e basta, una guerra d’interesse, sembra brutta al giorno d’oggi. Che diversi Paesi europei, prima fra tutti la Francia, cercassero un maggiore spazio economico in Libia è cosa risaputa. Per Parigi c’era anche da riscattare la pessima gestione della rivoluzione tunisina e probabilmente si è pensato di approfittare dei movimenti che percorrono il mondo arabo per regolare la faccenda. Ma Gheddafi si è dimostrato più radicato sul terreno di quanto si pensava. Il gioco è diventato pericoloso, Francia e Gran Bretagna hanno scelto di giocarlo lo stesso e gli altri hanno seguito. I risultati finora sono confusione negli obiettivi, spregiudicatezza nei mezzi, valutazioni strategiche errate e l’inevitabile coinvolgimento di civili, mentre si fa finta di non pensare all’intervento terrestre. Non sono buone premesse e renderanno un po’ più sospette le prossime dichiarazioni di appoggio ai movimenti democratici nei Paesi arabi. Martino Diez - Direttore della Fondazione Oasis
26 marzo 2011 GUERRA Libia, Azione Cattolica: subito il cessate il fuoco L'Azione Cattolica auspica che "l'intervento internazionale in terra libica riesca nell'obiettivo immediato di far cessare il fuoco e impedire al regime libico atrocità contro la popolazione". "È necessario - afferma però in una nota - che tale intervento sia depurato da motivazioni di ordine esclusivamente economico-commerciale, e che le azioni militari, sempre foriere di povertà e sofferenza per l'inerme popolazione civile, siano subordinate all'iniziativa diplomatica e politica delle Nazioni Unite". Secondo l'associazione ecclesiale, non deve cioè essere lasciato cadere nel vuoto l'appello di Benedetto XVI, per il quale si devono avere a cuore "anzitutto l'incolumità e la sicurezza dei cittadini" e "l'accesso ai soccorsi umanitari". "I responsabili - si legge nel testo - siano soprattutto operatori di giustizia e di solidarietà, vicini al popolo libico che soffre e spera". "Chiediamo - conclude infine l'Azione Cattolica - che un'autentica unione d'intenti in sede internazionale, unita al pieno riconoscimento della libertà del popolo libico, sia la strada maestra per una soluzione democratica e positiva per il futuro del paese".
25 marzo 2011 L'ONDA LUNGA DEL MAGHREB "In Siria 150 vittime" La Ue: stop alla violenza Più di 150 persone sarebbero state uccise nel sud della Siria in sette giorni di repressione da parte delle forze di sicurezza: lo hanno affermato alla tv panaraba al Jazira fonti mediche di Daraa, epicentro delle rivolte anti-regime. Il dato non è confermato. Il presidente Bashar Assad ha fatto ritirare polizia ed esercito dal centro di Daraa nel tentativo di riappacificare la situazione con i manifestanti. Ma centinaia di giovani sono di nuovo scesi in piazza; nel sobborgo di Tafas, durante i funerali di un manifestante ucciso venerdì, i dimostranti hanno preso d'assalto e dato alle fiamme un edificio del partito Baath e una stazione di polizia. La polizia ha usato i lacrimogeni per disperdere la folla. Manifestazioni anche a Homs, 180 km a nord di Damasco, e a Latakia, principale porto a nord-ovest di Damasco e capoluogo della regione alawita a cui appartiene il clan degli Assad al potere da quarant'anni. Qui la folla è scesa in strada durante i funerali di due giovani uccisi venerdì. Numerosi video presenti su Youtube e sugli altri social network mostrano "l'uccisione a Latakia" di un numero imprecisato di persone; si parla di due vittime. L'agenzia ufficiale siriana Sana conferma la presenza di cecchini sui tetti di alcuni palazzi della città costiera, che hanno aperto il fuoco contro la gente, cittadini e forze di sicurezza. Giovedì il regime di Assad aveva annunciato una serie di riforme per "promuovere la libertà" in Siria, ma i dimostranti hanno dichiarato che continueranno a protestare fino a quando le loro richieste non saranno soddisfatte. Sabato sono state convocate in Rete "rivolte popolari" antigovernative: un gruppo Facebook, nato a supporto dei rivoltosi e che conta già 86 mila fan, ha annunciato che "l'intifada è appena cominciata" e che l'obiettivo degli insorti è "la libertà". Il governo siriano afferma di non avere informazioni sul presunto rilascio di oltre 200 detenuti politici, per lo più islamici, annunciato invece da un'organizzazione umanitaria locale. L'Alto rappresentante della politica estera della Ue ha chiesto la cessazione "immediata" delle violenze in Siria, dicendosi "scioccata" per la "brutale" risposta del governo di Damasco alle manifestazioni. La Ashton ha lanciato un appello alle autorità siriane affinché vengano soddisfatte "le legittime aspirazioni del popolo attraverso il dialogo e le riforme politiche e socio economiche".
2011-03-25 25 marzo 2011 GUERRA IN LIBIA Parigi e Londra aprono a soluzione politica della crisi Il trasferimento alla Nato del comando delle operazioni militari in Libia relegherà la Francia "ai margini". È la valutazione del premier turco Recep Tayyip Erdogan. "Trovo positivo che la Francia cominci ad essere ai margini, soprattutto in Libia", ha detto Erdogan, parlando con i giornalisti. Intantio aerei da guerra del Qatar "hanno sorvolato" il territorio "della Libia nostra sorella" nell'ambito dell'operazione della coalizione multinazionale per imporre la 'no fly-zonè autorizzata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: lo ha reso noto l'Aeronautica Militare del piccolo emirato del Golfo Persico attraverso un breve comunicato, ripreso dall'agenzia di stampa ufficiale 'Qna'. Il Qatar è così diventato il primo Stato arabo a prendere concretamente parte all'intervento militare contro il regime di Muammar Gheddafi. Contributi soltanto logistici hanno offerto Giordania e Kuwait. Gli Emirati Arabi Uniti, che dapprima avevano limitato la propria partecipazione all'assistenza umanitaria, ieri hanno annunciato di aver messo a disposizione della coalizione sei caccia-bombardieri F-16 e altrettanti Mirage, che peraltro raggiungeranno il teatro operativo solo "nei prossimi giorni". L'UNIONE AFRICANA CHIEDE LA FINE DELLE OSTILITA' Un immediato cessate il fuoco e l'avvio di un dialogo tra il governo di Muammar Gheddafi e i ribelli libici. È quanto ha chiesto oggi il presidente dell'Unione Africana, Jean Ping, aprendo la conferenza internazionale sulla Libia ad Addis Abeba. "L'azione dell'Unione Africana è un deciso passo politico che mira a facilitare un dialogo tra le parti sulle riforme da intraprendere per affrontare alla radice le cause del conflitto che sta dilaniando il Paese", ha detto Ping nella riunione di Addis Abeba. Ping ha aggiunto che l'Unione Africana chiede che venga stabilita una fase di transizione che porti a elezioni democratiche, sostenendo che "è importante che ci si trovi d'accordo su questo tipo di approccio che mira a promuovere in Libia una pace duratura, sicurezza e democrazia". Un appello per la fine dell'ostilità è stato rivolto ai rappresentanti presenti delle parti in causa. Al summit era rappresentato il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, così come erano rappresentati tutti i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, i Paesi nordafricani vicini della Libia e i partner della coalizione internazionale che ha imposto la no-fly zone. IL COMANDO NATO La Nato assumerà il comando di tutte le operazioni militari in Libia. L'annuncio è arrivato in una giornata di grande fermento diplomatico, con un incontro a Addis Abeba tra l'Unione africana e il regime di Muammar Gheddafi per studiare la possibilità di convocare elezioni nel Paese nordafricano. L'Alleanza atlantica ha comunicato che entro "qualche giorno" avrà non solo il controllo completo per quanto riguarda la No fly zone, ma per tutte le operazioni militari contro gli obiettivi di terra per garantire il rispetto della risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza dell'Onu. "Garantiremo il coordinamento per evitare conflitti con la coalizione", ha spiegato una portavoce, mentre i vertici militari hanno assicurato che per il rispetto della No fly zone occorrerà impiegare "decine di aerei, non centinaia". Una soluzione sostenuta con forza dall'Italia, e che ha "assolutamente" soddisfatto il premier Silvio Berlusconi. Da Tunisi, il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha confermato che il comando dovrebbe passare alla Nato tra domenica e lunedì. FRANCIA E LONDRA APRONO A SOLUZIONE DIPLOMATICA Da Bruxelles, dove si è svolto il Consiglio europeo, il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha riferito che Parigi e Londra stanno approntando "una soluzione politica e diplomatica" per la Libia. A Addis Abeba una delegazione del regime guidata dal segretario del Congresso generale del popolo, Mohammed al-Zwai, ha partecipato ad una riunione straordinaria dell'Unione Africana a cui hanno preso parte i ministri degli Esteri di Repubblica del Congo, Sudafrica, Mali, Mauritania e Uganda e rappresentanti di Onu, Lega araba, Cina, Francia, Russia e Stati Uniti. Lo scopo dell'Ua è favorire il dialogo tra regime e ribelli. All'incontro però mancavano esponenti del Consiglio nazionale di transizione dei ribelli, che ha ribadito la contrarietà ad ogni tipo di trattativa con il regime, ma anche con le tribù. Il ministro degli Esteri britannico William Hague ha precisato che le truppe lealiste dovranno ritirarsi dalle città cinte d'assedio, come Misurata, per dare una dimostrazione credibile di rispettare la tregua. Ma da Agedabia i ribelli hanno fatto sapere che sono ripresi i bombardamenti. Il governo libico invece ha comunicato che i raid di giovedì su Tajura hanno causato 15 morti tra militari e civili e i cadaveri sono stati mostrati nell'obitorio dell'ospedale di Shara al Zaweya.
25 marzo 2011 LA GUERRA SPORCA Tutti i mercenari di Gheddafi. Si poteva bloccarli Fin dai primi giorni della rivolta libica, sono circolate informazioni riguardanti la presenza di combattenti stranieri con caratteristiche somatiche "afro", alcuni dei quali anglofoni, altri francofoni, altri ancora arabofoni. Ma chi sono questi militari, schierati a fianco delle truppe lealiste, prima impiegati nel soffocare le dimostrazioni di piazza e poi utilizzati dallo stato maggiore libico nella riconquista della Cirenaica con obiettivo finale Bengasi? Si tratta di mercenari al soldo del colonnello Muammar Gheddafi, veri professionisti della guerra, molti dei quali già in passato hanno combattuto in una sorta di legione straniera voluta dal rais per difendere i propri interessi in giro per il mondo, soprattutto nel continente africano. A scanso di equivoci, non stiamo parlando di un’organizzazione libica di reclutamento, come ad esempio nel caso della sudafricana Executive Outcomes, quanto piuttosto di un sistema militare messo a punto nel tempo dal regime. Tutto ebbe inizio durante la guerra fredda, nei pressi di Bengasi, quando venne istituito il "Centro Rivoluzionario Mondiale" (Wrc). Basta leggere il saggio dello storico Stephen Ellis The Mask of Anarchy: The Destruction of Liberia and the Religious Dimension of an African Civil War per comprendere di cosa stiamo parlando. La Cia considerava il Wrc come un sito estremamente pericoloso, trattandosi di una base di addestramento per gruppi ribelli capaci di destabilizzare numerosi Paesi in cui Gheddafi intendeva affermare la propria egemonia geopolitica. SI pensi a Foday Sankoh, fondatore del Fronte Unito Rivoluzionario (Ruf), il movimento antigovernativo che negli anni 90 mise a ferro e fuoco la Sierra Leone. Fonti ben informate riferiscono che la tecnica di reclutamento dei "bambini-soldato" venne suggerita a Sankoh durante i corsi al Wrc. Lo stesso vale per l’ex dittatore liberiano Charles Taylor il quale, a detta delle stesse fonti, dimostrò grande perspicacia non solo nell’apprendimento delle tecniche di combattimento, ma anche nello studio delle scienze politiche, che al Wrc si richiamavano agli ideali della rivoluzione libica. Attualmente, sono ancora in carica due capi di Stato africani passati per questa controversa accademia militare: il burkinabé Blaise Compaoré e il ciadiano Idriss Déby. Da rilevare che i corsi potevano durare da un periodo di poche settimane ad oltre un anno di studi e che erano aperti anche a reclute provenienti dalla lontana America Latina. Ad esempio, alcuni dei quadri del movimento sandinista di Manuel Ortega come anche delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) sono passati sui banchi del Wrc. Sta di fatto che con il trascorrere degli anni, Gheddafi ha gradualmente realizzato in Africa un vero network di uomini scaltri e sanguinari, disposti a difendere a pagamento i suoi interessi. In oltre quarant’anni di potere, lo scenario internazionale è mutato considerevolmente, ma l’entourage di Gheddafi è riuscito a mantenere buoni rapporti con gruppi e formazioni di varia estrazione, dalla Mauritania al Niger, dal Ciad al Ghana, dal Sudan alla Somalia, dall’Etiopia, alla Repubblica Centrafricana, dalla Liberia alla Sierra Leone, dalla Costa d’Avorio al Burkina Faso, fino allo Zimbabwe. Insomma, un’area di reclutamento vastissima, dove il rais libico, in passato ma anche recentemente, ha stretto alleanze e combattuto al fianco o contro formazioni rivali. Per non parlare dei Zaghawa – presenti sia in Ciad (il presidente Déby è uno di loro) sia nel Darfur –, un’etnia che per anni è stata foraggiata dal Colonnello e al cui interno hanno operato in base stabile i servizi segreti libici. Ed è proprio questa la peculiarità del cosiddetto "sistema Gheddafi": anziché dispiegare stabilmente i militari libici nei vari Paesi, grazie ai suoi agenti sul campo, ha sempre tenuto i collegamenti con gruppi di mercenari e formazioni armate. Un’operazione d’ingaggio resa possibile da una quantità smisurata di denaro in possesso del clan presidenziale, un tesoro stimato attorno ai 70 miliardi di dollari, ricavato dal business degli idrocarburi di cui è ricchissima la Libia. Non è però sempre stato così: in alcuni casi infatti nell’Africa Subsahariana si è verificata una presenza relativamente stabile di militari libici, soprattutto istruttori, in aree sensibili come lungo il confine tra il Burkina Faso e la Costa d’Avorio. Fonti ben informate della società civile locale riferiscono che il movimento antigovernativo denominato Forze Nuove, attualmente impegnato nel sostenere il presidente internazionalmente riconosciuto Alassane Ouattara, sia tuttora finanziato e addestrato, almeno in parte, da Tripoli. Stabilito dunque che Gheddafi può disporre, pagando, di un’armata panafricana, come ha fatto a far confluire così tanti uomini in Libia in un lasso di tempo relativamente breve tra febbraio e marzo? Il quotidiano inglese The Guardian ha riportato la notizia, riferita da un comandante dell’aviazione di Gheddafi, di circa 4mila mercenari africani giunti in Libia già il 14 febbraio. Secondo altri fonti, vi sarebbero stati addirittura collegamenti giornalieri tra la capitale ciadiana N’Djamena e Tripoli. L’inquadramento di queste truppe sarebbe avvenuto in centri militari quali al-mathaba al-alamiyya, il "Centro mondiale di lotta contro il razzismo e il fascismo", una struttura di supporto a gruppi ribelli, nelle vicinanze di Tripoli. Successivamente, una buona parte di queste migliaia di soldati di ventura, che ricevono dai 350 ai 500 dollari il giorno, sarebbero stati inquadrati nella brigata comandata da Khamis Gheddafi, il figlio del rais a capo di un’unità speciale dei reparti di sicurezza. Va comunque precisato che sono ancora disparate le valutazioni sulla reale consistenza della legione straniera del rais. Jean-Philippe Daniel, dell’Institut des relations internationales et stratégiques (Iris) di Parigi, ritiene che i mercenari sarebbero gruppi di militari stranieri che collaborano con il regime da una trentina d’anni. All’inizio dell’insurrezione sarebbero venuti di propria iniziativa a vendere i propri servigi al Colonnello e non a seguito di un suo appello. In effetti, Gheddafi ha sempre avuto attorno a sé una rete di soldati altamente addestrati, provenienti un po’ da tutta l’Africa. Rimane il fatto che in Libia, a partire da giorni della sommossa popolare, sono giunte truppe aviotrasportate proprio per l’assenza di una "No-fly zone" che, se fosse stata autorizzata in tempo dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, avrebbe facilitato l’avanzata della ribellione libica e forse scongiurato i raid aerei della coalizione internazionale di questi giorni. Giulio Albanese
25 marzo 2011 DAMASCO Siria, polizia spara su manifestanti: 15 morti Sono 15 i manifestanti uccisi dalle forze di sicurezza oggi a Samnin, località nei pressi di Daraa, nel sud della Siria ed epicentro delle proteste anti-regime. Lo riferiscono testimoni oculari citati dalla tv panaraba al Arabiya. Manifestazioni di piazza antiregime in Siria, dove la polizia ha disperso dei raduni ed arrestato decine di persone nella capitale. In migliaia ad Homs, 180 km a nord di Damasco, hanno chiesto la "caduta del governatore", rappresentante del regime baatista al potere in da quasi mezzo secolo, e manifestazioni anche all'estremo nord-est, al confine con Turchia e Iraq e abitato in prevalenza da curdi. A Daraa, slogan contro la famiglia presidenziale al Assad, al potere da quarant'anni: secondo testimoni, 15 manifestanti sono stati uccisi dalle forze di sicurezza che hanno aperto il fuoco. Ieri decine di civili erano caduti sotto i colpi delle forze di sicurezza, e poi il regime aveva annunciato una serie di riforme. Proteste anche nello Yemen, l'esercito spara in aria per disperdere la folla.
25 marzo 2011 MEDIO ORIENTE Siria, Assad: riforme e fine dello stato di emergenza Almeno 20mila siriani hanno partecipato ieri al funerale di nove tra i manifestanti uccisi a Daraa, nel sud del Paese, gridando slogan per la libertà. I militanti anti regime hanno sostenuto ieri che le vittime dell’assalto di mercoledì mattina contro la moschea al-Omari sono "oltre cento persone". Fonti ospedaliere parlano invece di 25 cadaveri, tutti con ferite di arma da fuoco, mentre una Ong basata a Damasco afferma che le vittime sono 36. Secondo il quotidiano al-Sharq al-Awsat, che cita testimoni oculari, oltre ai gas lacrimogeni "le truppe anti-sommossa siriane hanno sparato cartucce di gas che colpiscono il sistema nervoso e paralizzano il corpo". "Ma noi andremo avanti con la rivoluzione", ha assicurato un attivista siriano che ha chiesto l’anonimato. "La nostra iniziativa – spiega l’attivista – si muove sulla scia delle altre rivolte che hanno in questi mesi rivoluzionato il mondo arabo. Anche noi chiediamo innanzitutto un cambio di regime, libertà e lavoro in un Paese dove il 60% delle famiglie vive sotto la soglia di povertà. La repressione del regime non ci fa paura". Nuovo appuntamento per oggi al "Venerdì della dignità", nella piazza centrale di Daraa, denominata Piazza dei martiri, in aperta sfida alla legge di emergenza che vieta le manifestazioni pubbliche. Testimoni locali descrivono Daraa una città fantasma, con traffico quasi inesistente e scuole e banche chiuse. Le Ong siriane e i gruppi di difesa dei diritti umani riferiscono di arresti massicci in diverse regioni del Paese. Amnesty international ha preparato una lista di 93 nomi di persone arrestate questo mese a Damasco, Aleppo, Banyas, Deraa, Hama, Homs, per le loro attività su Internet. "Ma il numero dei fermati – si legge nella nota di Amnesty – potrebbe essere molto più alto". Si tratta di studenti, intellettuali, giornalisti e attivisti di età compresa tra i 15 e i 45 anni. L’Osservatorio siriano per i diritti umani, con base a Londra, ha denunciato l’arresto di Ahmad Hadifa, blogger 27enne colpevole di aver appoggiato su Facebook le proteste di Daraa. Il giovane era già stato fermato più volte nel mese scorso per la sua attività sulla rete. Unica nota positiva ieri una breve dichiarazione della portavoce del presidente Bashar al-Assad. "La Siria – ha affermato Buthaina Shaaban – prenderà decisioni importantissime per rispondere alle aspirazioni del suo popolo". "Non apriremo più il fuoco sui cittadini e toglieremo in tempi brevissimi lo stato di emergenza" in vigore dal lontano 1963, ha detto la portavoce anticipandone alcune nel corso di un’affollatissima conferenza stampa con moltissimi giornalisti siriani e stranieri. Shaaban ha tuttavia affermato che il presidente siriano "non ha mai dato l’ordine di sparare contro i manifestanti" di Daraa. Non solo: il presidente ha dato ordine a una speciale commissione di preparare una nuova legge sui partiti e un’altra sulla stampa e ordinato il rilascio di tutte le persone arrestate. Il quotidiano al-Baath, portavoce dell’omonimo partito al potere da 48 anni, ha dal canto suo esaltato "l’ambizioso progetto riformatore avviato da Assad figlio sin dal suo arrivo al potere" nel 2000, e ha avvertito "i giovani appassionati a diffidare dalle mani straniere e peccaminose che vogliono convincervi che l’uso della forza è a vostro favore". Il premier Muhammad Naji al-Utari ha ribadito l’accusa a "parti straniere" di "sfruttare a propri fini le manifestazioni di cittadini che avanzano rivendicazioni legittime". L’allusione è alla Giordania, vicinissima alla città-simbolo di Daraa dove sono accampati, da oltre una settimana, migliaia di persone per dire basta al regime. L’esercito ha allestito attorno alla città dei posti di blocco dove procede ad accurati controlli d’identità, per impedire l’arrivo di altri manifestanti. Camille Eid
25 marzo 2011 Pezzo chiave del puzzle delle rivolte Variabile Damasco Nel lunghissimo, sanguinoso domino delle rivolte arabe tocca ora alla Siria sperimentare grandi dimostrazioni di protesta popolari e contare i morti, uccisi nelle piazze dalle forze di polizia. Al di là del lugubre balletto sulle cifre reali, il dato politico che emerge è la volontà del regime baathista, al potere dal 1963, di reprimere duramente le proteste, avviando in parallelo un dialogo con le forze tribali insoddisfatte. Bashar al-Assad non è Mubarak o Ben Ali, e a Damasco non siede un presidente autocrate, bensì il capo di una dittatura complessa e articolata, all’interno della quale i gruppi più rigidi hanno in passato posto un freno alle velleità riformiste dello stesso presidente. Riforme che forse ora verranno rilanciate, sia pure calate dall’alto. Siamo al cospetto di una dittatura che non è solo politica: al di sotto dell’ufficialità del potere, rappresentato dal partito della resurrezione araba (il Ba’ath), vi è la realtà di una comunità estremamente minoritaria sul piano numerico – gli alawiti – che controlla buona parte delle forze armate e del partito unico. La durezza sempre dimostrata da Damasco – oggi come in passato – verso tutti gli oppositori si spiega anche così: per gli alawiti, riformare il sistema significherebbe probabilmente rischiare di finire travolti dal cambiamento. Meglio quindi cercare di limitare cambiamenti e aperture, imponendo un controllo ossessivo sui cittadini e sul dibattito politico. Nel 1982, il padre dell’attuale presidente e creatore della Siria attuale, Hafez, non esitò a distruggere una città del suo Paese, bombardandola, per estirpare l’opposizione islamica radicale. Un "esempio" ancora vivo. Ma, ben più che a livello interno, le tensioni siriane preoccupano per le conseguenze regionali: la Siria è uno degli snodi fondamentali delle vicende mediorientali: ciò che accade a Damasco può riverberarsi drammaticamente in tutte le capitali vicine. Innanzitutto in Israele, di cui la Siria rappresenta l’arci-nemico e con cui non è mai stata firmata una pace. A Gerusalemme e a Tel Aviv, nessuno piangerebbe per il crollo del Ba’ath; ma quanto verrebbe dopo non sarebbe necessariamente meglio per lo Stato ebraico. E soprattutto, nulla nuocerebbe ai manifestanti quanto un sostegno – anche solo verbale – del governo israeliano. Meglio quindi che Gerusalemme non faccia e dica nulla. E oltre al nodo irrisolto del conflitto israelo-palestinese in quasi tutte le partire regionali Damasco è un attore di peso: è la potenza che esercita ancora la maggior influenza sulla fragile democrazia libanese; assieme all’Iran dell’ultraradicale Mahmoud Ahmadinejad sostiene le milizie sciite radicali di Hezbollah e si è opposta ai governi più moderati e filo-occidentali; mantiene buoni rapporti con Mosca, suo storico protettore, e sta sviluppando crescenti legami con la Turchia di Erdogan, sempre meno legata all’Occidente e sempre più autonoma e attenta alle ragioni dei suoi vicini regionali. Né infine può essere dimenticato il ruolo che svolge nelle vicende irachene. Insomma, in un mondo arabo scosso da continue rivolte, con la guerra in Libia e con l’Egitto lungi da aver consolidato un nuovo assetto dopo la caduta di Mubarak, la debolezza siriana sembra più fonte di inquietudine che di compiacimento internazionale. O per lo meno, questo è quanto segnala la prudenza delle reazioni occidentali. In una Washington come stordita dai troppi impulsi (e dai puzzle irrisolti) che arrivano dal Medio Oriente, c’è chi comincia a dire che una politica di dialogo per favorire le riforme in Siria sia più saggia della "demonizzazione" del regime attuata in passato. Ed è probabilmente quello che si augura la numerosa minoranza cristiana presente in Siria: un crollo improvviso del regime, per quanto detestato, esporrebbe i cristiani agli attacchi del radicalismo islamico. Le decine di migliaia di profughi iracheni rifugiatisi in terra siriana sono una testimonianza eloquente e assai convincente. Riccardo Redaelli
25 marzo 2011 EMERGENZA Individuato barcone con eritrei Arrivati 500 migranti a Lampedusa Sono stati accompagnati in un centro di prima accoglienza i 44 migranti intercettati ieri sera su una barca a vela da un pattugliatore della Guardia di Finanza, a circa 6 miglia dalle coste siracusane. Gli extracomunitari, tra i quali vi sono 11 donne, due delle quali incinte, e sette bambini, sono di nazionalità turca, siriana e irachena. L'imbarcazione, un motoveliero di circa 12 metri, è stata scortata fino al porto di Siracusa e posta sotto sequestro. Nel corso dell'operazione, coordinata dal Gruppo aeronavale della Guardia di Finanza di Messina, sono stati fermati anche i due presunti scafisti. Indagini sono in corso per risalire agli organizzatori del traffico di immigrati. E' stato individuato il barcone del quale da diversi giorni era stata segnalata l'avvenuta partenza dalle coste libiche. La situazione è attualmente sotto controllo, costantemente monitorata dalla Centrale Operativa delle Capitanerie di porto. Lo riferisce la Guardia Costiera. Il barcone si troverebbe ancora in acque non di competenza italiana e, secondo quanto si apprende, sarebbe diretto verso le nostre coste. I movimenti dell'imbarcazione vengono comunque costantemente seguiti dai mezzi navali che si trovano nel Canale di Sicilia e dalla centrale operativa delle Capitanerie di porto. Il barcone con a brodo 330 eritrei partito dalla Libia nei giorni scorsi sarebbe stato individuato ad una trentina di miglia a nord di Tripoli. L'imbarcazione, secondo quanto si apprende da fonti a Lampedusa, sarebbe stato intercettato da una nave militare, di cui, però, ancora non è stata resa nota la nazionalità. L'Unione Europea e i suoi paesi sono "pronti a dimostrare la loro concreta solidarietà" agli stati più direttamente investiti dai movimenti migratori e a fornire il necessario sostegno in base all'evoluzione della situazione''. E' quanto si legge nella bozza delle conclusioni del Consiglio Europeo che questa mattina sul tavolo dei leader dei 27. La Commissione Europea, si legge nel testo, preparera' un piano per la gestione dei flussi degli immigrati e dei rifugiati prima del Consiglio Europeo di giugno. Inoltre si lavorera' per raggiungere un accordo sul rafforzamento della capacita' operativa di Frontex entro giugno. I ministri degli Interni e degli Esteri, Roberto Maroni e Franco Frattini, sono giunti a Tunisi per una serie di incontri istituzionali con l'obiettivo di frenare gli sbarchi di tunisini verso Lampedusa (circa 15 mila nei primi tre mesi dell'anno). Frattini e Maroni incontreranno il premier tunisino Beji Caid Essebsi ed altri ministri. L'obiettivo è tornare in Italia con un'intesa che preveda il ripristino dei controlli di polizia alle frontiere marittime - ora praticamente azzerati - ed avviare i rimpatri dei migranti già sbarcati. I due ministri sono pronti a mettere sul piatto aiuti economici, uomini e mezzi (motovedette, apparecchiature, radar, etc.), nonché un'adeguata quota di ingressi legali. Non sarà tuttavia agevole ottenere impegni vincolanti dalle autorità tunisine: il governo in carica è infatti transitorio in attesa delle elezioni previste per il prossimo luglio. E' arrivata di nuovo a Lampedusa nave S.Marco, l'unità anfibia della Marina utilizzata in questi giorni per portare via da Lampedusa gli immigrati. La S.Marco dovrebbe imbarcare circa 400 immigrati, che potrebbero essere portati in Puglia, nella tendopoli che i vigili del fuoco stanno allestendo a Manduria. Sull'isola, intanto, restano ancora più di quattro mila immigrati, anche se nella notte appena trascorsa non ci sono stati sbarchi. Lo ha detto il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, durante la riunione del Consiglio di Sicurezza sulla Libia. Finora, ha riferito Ban Ki-moon nel suo intervento al Consiglio di Sicurezza, il Palazzo di Vetro ha contato 335.658 che "hanno lasciato la Libia dall'inizio della crisi". Oltre a costoro, secondo stime dell'Onu altri 9 mila migranti rimangono bloccati ai confini del Paese con l'Egitto o con la Tunisia.
2011-03-22 22 marzo 2011 ALBA DELL'ODISSEA - 4° GIORNO Libia: scontro tra jet Obama "chiama" la Nato La cooperazione tra Italia e Francia sulla crisi libica "è eccellente" e Parigi è "molto grata" per la partecipazione italiana alle operazioni militari nell'ambito della risoluzione 1973 dell'Onu. Lo ha dichiarato il portavoce del Quai d'Orsai, Bernard Valero, che ha anche invitato a "non perdere tempo in polemiche sterili e artificiose". Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha confermato che la Nato ha"deciso di lanciare un'operazione per imporre l'embargo sulle armi contro la Libia". Il comando delle navi e degli aerei dell'Alleanza atlantica nel Mediterraneo centrale è affidato all'ammiraglio Stavridis. Rasmussen ha riferito che la Nato ha anche "completato i piani per imporre una no-fly zone per portare il nostro contributo, se necessario al vasto sforzo internazionale per proteggere il popolo libico dalla violenza del regime di Gheddafi". Il presidente americano Barack Obama e il premier turco Tayyip Erdogan hanno concordato che i "contributi nazionali" per l'attuazione della risoluzione 1973 sulla Libia "sono resi possibili dalle capacità di controllo e dal comando unico e multinazionale della Nato". Lo ha reso noto la Casa Bianca. Jet delle forze della coalizione occidentale hanno attaccato oggi un velivolo da guerra appartenente alle forze armate di Gherddafi mentre era in volo verso la città di Bengasi. Lo riferisce al-Jazeera citando un proprio corrispondente sul posto. Tripoli, Zintan, Misurata, Sirte, Sabha e una zona a est di Bengasi. È su questi obiettivi che si è concentrata oggi la terza ondata di attacchi della coalizione occidentale sulla Libia. Dieci chilometri dalla capitale è stata colpita la base della Marina militare di Bussetta. Sono stati colpiti porti e aeroporti a Sirte e su Sabha, entrambe roccheforti politiche e militari di Muammar Gheddafi. A Sabha sarebbero stati bombardati un deposito militare e una colonnna militare lealista in movimento verso Zintan, 120 km a sudest di Tripoli.
Nonostante ciò, la città di Zintan è di nuovo sotto i colpi dell'artiglieria pesante lealista. "Diverse case sono state distrutte, un minareto è crollato ed è in corso un assedio: 40 carri armati stazionano sulle colline", hanno detto testimoni. Nuovi attacchi amche alla città di Misurata, controllata dai ribelli. Le forze fedeli a Gheddafi hanno aperto il fuoco uccidendo 40 persone, tra cui quattro bambini, morti dopo che l'auto su cui viaggiavano è stata colpita. "La situazione è drammatica. I carri armati hanno cominciato a sparare in città stamani", ha raccontato un testimone. "Anche i cecchini stanno prendendo parte all'operazione. È stata distrutta un'auto e sono morti quattro bambini che erano a bordo, il più grande aveva 13 anni", ha detto ancora l'uomo. Gli insorti in lotta contro le forze fedeli a Muammar Gheddafi chiedono agli avversari "un rapido cessate-il-fuoco" e "la fine degli assedi governativi intorno alle città libiche" da essi controllate: lo ha riferito l'inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia, l'ex ministro degli Esteri giordano Abdel Elah al-Khatib, all'indomani del proprio incontro con una delegazione dei rivoltosi a Tobruk, nella Cirenaica orientale. I colloqui, ha spiegato Khatib, sono serviti ad "ascoltare il punto di vista e la posizione dei ribelli sulla situazione" nel loro Paese. Sono 120 i morti e 250 i feriti nell'attacco delle forze di Gheddafi sabato mattina contro Bengasi. Lo ha detto Abdel Hafiz al Ghogha, portavoce del Consiglio transitorio libico, l'organo politico della Rivoluzione del 17 febbraio. Il bilancio delle vittime, fornito da Ghogha, riguarda civili e rivoluzionari armati. Nessun bilancio, invece, sui morti da parte delle forze governative, stimate in "decine". Tre giornalisti occidentali sono stati arrestati dalle forze armate libiche. Lo ha reso noto il loro autista. Si tratta di due reporter dell'agenzia France Presse e un fotografo della Getty Images, fermati il 19 marzo nella zona di Tobruk. Un cacciabombardiere F-15 statunitense è precipitato in Libia durante un raid, a quanto pare per un'avaria, e il pilota, eiettatosi dall'abitacolo, è stato salvato dai ribelli libici. Lo rende noto il quotidiano britannico Daily Talegraph che cita un suo inviato sul posto. L'OFFENSIVA AEREA Uno dopo l’altro i Paesi coinvolti nell’operazione militare Alba dell’Odissea contro il regime di Muammar Gheddafi prendono concretamente parte alle operazioni. Ieri, nel terzo giorno dell’intervento, anche quattro cacciabombardieri F-16 del Belgio, due dei quattro F-18 spagnoli e quattro F-18 canadesi hanno effettuato la loro prima missione in Libia, unendosi così ai raid dei mezzi britannici, francesi e italiani e alle unità navali americane nel Mediterraneo. Per ora, lo ha precisato il generale Carter Ham, dell’Usa Africa Command, la missione non prevede l’impiego di truppe di terra. La no-fly zone sarà invece estesa sia a ovest sia a sud della Libia e presto arriverà a coprire un migliaio di chilometri quadrati. Domenica notte, nel corso di un raid, è stata distrutta parte del complesso di Bab al Aziziya a Tripoli, residenza militare del Colonnello. L’edificio sarebbe stato preso di mira in quanto sede della catena di comando e controllo del regime. Gheddafi "non è assolutamente un obiettivo" degli alleati dal momento che la risoluzione Onu non lo permette, ha spiegato ieri il responsabile del personale della Difesa britannica, David Richards. Nella serata di ieri proprio dalla zona di Bab al Aziziya sono partite nuove raffiche di colpi della contraerea libica e la tv di stato ha detto che un nuovo attacco ha colpito la capitale, in particolare la zona del porto con due forti esplosioni. Secondo il governo libico la coalizione ha bombardato ieri anche l’aeroporto di Sirte, Tripoli e la città di Sabah, roccaforte della tribù cui appartiene Gheddafi, nel sud. Il capo del Pentagono Robert Gates ha annunciato che gli Usa ridurranno presto la loro partecipazione alle operazioni in Libia e che sarebbe un errore per la coalizione prefigurarsi l’obiettivo di uccidere Gheddafi. Per il dipartimento di Stato Usa l’obiettivo finale è la resa del Colonnello. I bombardamenti hanno permesso finora di neutralizzare "gran parte della contraerea libica", ha sottolineato il premier britannico David Cameron. I bersagli dell’operazione "devono essere in linea con la risoluzione dell’Onu", ha spiegato Cameron, che preme perché il comando delle operazioni passi alla Nato.Il capo degli stati maggiori riuniti Usa, Mike Mullen, ha negato la notizia diffusa dalla tv libica secondo cui circa "60 civili sono morti" negli attacchi. Paolo M. Alfieri TORNADO IN AZIONE, BERLUSCONI: "NON SPARERANNO MAI" Questione di punti di vista: per il premier Silvio Berlusconi "una delle cose certe è che i nostri aerei non hanno sparato e non spareranno". Per il sito internet dell’Aeronautica militare già domenica i Tornado "hanno portato a termine la loro missione di soppressione delle difese aeree presenti sul territorio libico (in gergo tecnico dette Sead - Suppression of Enemy Air Defense) che viene condotta mediante l’impiego di missili aria-superficie Agm-88 Harm (High-speed Anti Radiation Missile)". Le operazioni sono iniziate domenica e sono proseguite ieri. I caccia – quattro tornado Ecr (Electronic Combat Reconnaissance) supportati da due tornado tanker con funzioni di rifornitore in volo (Aar - Air-to-Air Refuelling) – sono decollati e atterrati dopo circa due ore nella base militare di Trapani Birgi. I velivoli appartengono al 37° stormo dell’Aeronautica militare e si sono sollevati in volo per perlustrare lo spazio aereo libico nella zona di Bengasi, dove era in azione anche un Awacs. F-16 ed elicotteri hanno compiuto invece "normali operazioni di addestramento" mentre alcuni Eurofighter avrebbero scortato i tornado. F-16 e Eurofighter infatti possono essere impiegati nell’ambito di operazioni aeree complesse per garantire la difesa degli altri aerei contro eventuali velivoli ostili. Quella del pomeriggio di ieri è stata la seconda missione degli italiani in poche ore. Le operazioni cui partecipano i Tornado rientrano nell’operazione "Odyssey dawn". I nostri sei velivoli sono stati utilizzati domenica per colpire la contraerea fedele a Gheddafi a Tripoli mentre gli aerei francesi e britannici attaccavano nella zona della capitale dove si trova il bunker del colonnello. "La missione è stata raggiunta positivamente e gli obiettivi sono stati raggiunti", ha spiegato domenica sera il colonnello Mauro Gabetta, comandante del 37° stormo della base militare di Trapani. In poco più di due ore, i caccia hanno effettuato un’operazione che comporta la soppressione di apparati di difesa aerea con missili aria-superficie. In pratica, hanno sparato i missili contro le postazioni radar del Colonnello. Dei sei tornado, due tanker, che appartengono al 6° stormo di Ghedi (Brescia), sono stati i primi a rientrare alla base dopo aver effettuato il rifornimento aereo degli altri velivoli, gli Ecr, che provengono dal 50° stormo di Piacenza. "L’operazione condotta dai nostri velivoli è stata un’operazione di soppressione delle difese aeree avversarie", confermano i militari. "I nostri aerei hanno operato nei pressi di Bengasi – ha detto il comandante –. Sentiamo la nostra responsabilità nei confronti di tutti i cittadini italiani, e la volontà di aiutare la popolazione libica". Giulia Isola FRATTINI: "SENZA NATO, COMANDO ITALIANO SEPARATO" "Hai ragione. L’obiettivo è uno solo: il comando delle operazioni deve passare in fretta alla Nato. E non devono dirci di no, non possono dirci di no". Silvio Berlusconi guarda dritto negli occhi Franco Frattini e, con altre parole, affonda un nuovo colpo contro Francia e Gran Bretagna: "Il coordinamento non può più essere quello attuale. Va cambiato. Ripeto: cam-bia-to". Il ministro degli Esteri ascolta e annuisce. Poi, nelle ore che seguono, rilancia la linea del governo e l’arricchisce con un ultimatum che le agenzie di stampa rilanciano alle 16 e 47: se la missione non passerà sotto il comando Nato l’Italia si riprenderà il controllo delle basi. È una posizione netta. Dura. E la risposta della Francia non si fa attendere. "Alle autorità italiane non ho nulla da rispondere", fa sapere da Parigi il generale Philippe Ponthies, portavoce del ministero della Difesa. E aggiunge: "Per il momento la Nato non ha alcun ruolo in questa vicenda". Italia e Francia si sfidano. Frattini passa da una telefonata a un’altra e spiega la sua posizione con energia. "Senza Nato decidiamo noi sulle nostre basi. Tocca a noi la gestione. A trecentosessanta gradi. Insomma saremo noi a decidere su tutto: chi atterra, chi decolla, chi le può usare e chi no". Una pausa prepara il nuovo affondo: "Comando Nato o potremmo valutare l’idea di un comando nazionale separato". È un affondo contro il "protagonismo" di Sarkozy. Un messaggio al presidente francese che - per dirla con il premier - "vuole usare il conflitto libico per frenare il crollo interno in vista della nuova corsa all’Eliseo". La Francia però non molla e Ponthies ripete: "Siamo in un’operazione voluta dalle Nazioni Unite, portata avanti da una coalizione ad hoc, e alla quale la Nato potrebbe eventualmente portare il suo sostegno". Insomma, nessun passaggio di testimone. Sono ore complicate. Berlusconi e Frattini si muovono a tutto campo per cercare di isolare la posizione francese e anche a Bruxelles trovano sponde. "Il vostro atteggiamento è sproporzionato e va corretto in fretta", "ruggisce" il segretario della Nato Andres Fogh Rasmussen gelando l’ambasciatore francese all’alleanza atlantica. Berlusconi guarda da Roma e continua a muoversi in un lavoro diplomatico senza pause. "La linea francese è decapitare Gheddafi, la nostra no. Noi crediamo che ci sia ancora spazio per garantirgli un’uscita non drammatica", ripete sottovoce in più di una telefonata. Il premier sa che l’Italia non potrà più avere un ruolo di mediazione, ma sa anche che Lega Araba e Russia ancora possono dire la loro. I contatti tra Roma e Mosca si accavallano nelle ultime ore e c’è il lavoro diplomatico del premier dietro l’inattesa disponibilità di Dmitri Medvedev: "Possiamo compiere sforzi da mediatore per ricomporre il conflitto. Le possibilità ce l’abbiamo". È una partita dall’esito imprevedibile: da una parte l’Italia, dall’altra la Francia. A Bruxelles i cronisti aspettano Frattini e la prima domanda è quasi una provocazione: ministro c’è rammarico per il fatto che i francesi siano stati i primi a intervenire in Libia? Frattini è gelido: "All’Italia non piace avere il ruolo di <+corsivo>first striker<+tondo>, di chi sferra il primo colpo, e questo vale sempre". Poi torna a insistere sul passaggio del comando alla Nato. "Ha l’esperienza, la capacità e la struttura per potere garantire la condivisione delle responsabilità da parte di tutti gli alleati", ripete il ministro degli Esteri che chiosa: "Siamo solo al terzo giorno: saranno i fatti a parlare". E, intanto, Berlusconi in vista della trasferta al consiglio europeo in scena nel fine settimana a Bruxelles si prepara a sferrare un altro affondo: noi abbiamo le basi e le mettiamo a disposizioni ma quando arriverà l’ondata di immigrati nessuno potrà tirarsi indietro, nessun potrà dire "ci pensa solo l’Italia". Arturo Celletti
22 marzo 2011 ALBA DELL'ODISSEA - 4° GIORNO Scontro tra jet in Libia Parigi: stop a polemiche sterili La cooperazione tra Italia e Francia sulla crisi libica "è eccellente" e Parigi è "molto grata" per la partecipazione italiana alle operazioni militari nell'ambito della risoluzione 1973 dell'Onu. Lo ha dichiarato il portavoce del Quai d'Orsai, Bernard Valero, che ha anche invitato a "non perdere tempo in polemiche sterili e artificiose". Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha confermato che la Nato ha"deciso di lanciare un'operazione per imporre l'embargo sulle armi contro la Libia". Il comando delle navi e degli aerei dell'Alleanza atlantica nel Mediterraneo centrale è affidato all'ammiraglio Stavridis. Rasmussen ha riferito che la Nato ha anche "completato i piani per imporre una no-fly zone per portare il nostro contributo, se necessario al vasto sforzo internazionale per proteggere il popolo libico dalla violenza del regime di Gheddafi". Il presidente americano Barack Obama e il premier turco Tayyip Erdogan hanno concordato che i "contributi nazionali" per l'attuazione della risoluzione 1973 sulla Libia "sono resi possibili dalle capacità di controllo e dal comando unico e multinazionale della Nato". Lo ha reso noto la Casa Bianca. Jet delle forze della coalizione occidentale hanno attaccato oggi un velivolo da guerra appartenente alle forze armate di Gherddafi mentre era in volo verso la città di Bengasi. Lo riferisce al-Jazeera citando un proprio corrispondente sul posto. Tripoli, Zintan, Misurata, Sirte, Sabha e una zona a est di Bengasi. È su questi obiettivi che si è concentrata oggi la terza ondata di attacchi della coalizione occidentale sulla Libia. Dieci chilometri dalla capitale è stata colpita la base della Marina militare di Bussetta. Sono stati colpiti porti e aeroporti a Sirte e su Sabha, entrambe roccheforti politiche e militari di Muammar Gheddafi. A Sabha sarebbero stati bombardati un deposito militare e una colonnna militare lealista in movimento verso Zintan, 120 km a sudest di Tripoli.
Nonostante ciò, la città di Zintan è di nuovo sotto i colpi dell'artiglieria pesante lealista. "Diverse case sono state distrutte, un minareto è crollato ed è in corso un assedio: 40 carri armati stazionano sulle colline", hanno detto testimoni. Nuovi attacchi amche alla città di Misurata, controllata dai ribelli. Le forze fedeli a Gheddafi hanno aperto il fuoco uccidendo 40 persone, tra cui quattro bambini, morti dopo che l'auto su cui viaggiavano è stata colpita. "La situazione è drammatica. I carri armati hanno cominciato a sparare in città stamani", ha raccontato un testimone. "Anche i cecchini stanno prendendo parte all'operazione. È stata distrutta un'auto e sono morti quattro bambini che erano a bordo, il più grande aveva 13 anni", ha detto ancora l'uomo. Gli insorti in lotta contro le forze fedeli a Muammar Gheddafi chiedono agli avversari "un rapido cessate-il-fuoco" e "la fine degli assedi governativi intorno alle città libiche" da essi controllate: lo ha riferito l'inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia, l'ex ministro degli Esteri giordano Abdel Elah al-Khatib, all'indomani del proprio incontro con una delegazione dei rivoltosi a Tobruk, nella Cirenaica orientale. I colloqui, ha spiegato Khatib, sono serviti ad "ascoltare il punto di vista e la posizione dei ribelli sulla situazione" nel loro Paese. Sono 120 i morti e 250 i feriti nell'attacco delle forze di Gheddafi sabato mattina contro Bengasi. Lo ha detto Abdel Hafiz al Ghogha, portavoce del Consiglio transitorio libico, l'organo politico della Rivoluzione del 17 febbraio. Il bilancio delle vittime, fornito da Ghogha, riguarda civili e rivoluzionari armati. Nessun bilancio, invece, sui morti da parte delle forze governative, stimate in "decine". Tre giornalisti occidentali sono stati arrestati dalle forze armate libiche. Lo ha reso noto il loro autista. Si tratta di due reporter dell'agenzia France Presse e un fotografo della Getty Images, fermati il 19 marzo nella zona di Tobruk. Un cacciabombardiere F-15 statunitense è precipitato in Libia durante un raid, a quanto pare per un'avaria, e il pilota, eiettatosi dall'abitacolo, è stato salvato dai ribelli libici. Lo rende noto il quotidiano britannico Daily Talegraph che cita un suo inviato sul posto. L'OFFENSIVA AEREA Uno dopo l’altro i Paesi coinvolti nell’operazione militare Alba dell’Odissea contro il regime di Muammar Gheddafi prendono concretamente parte alle operazioni. Ieri, nel terzo giorno dell’intervento, anche quattro cacciabombardieri F-16 del Belgio, due dei quattro F-18 spagnoli e quattro F-18 canadesi hanno effettuato la loro prima missione in Libia, unendosi così ai raid dei mezzi britannici, francesi e italiani e alle unità navali americane nel Mediterraneo. Per ora, lo ha precisato il generale Carter Ham, dell’Usa Africa Command, la missione non prevede l’impiego di truppe di terra. La no-fly zone sarà invece estesa sia a ovest sia a sud della Libia e presto arriverà a coprire un migliaio di chilometri quadrati. Domenica notte, nel corso di un raid, è stata distrutta parte del complesso di Bab al Aziziya a Tripoli, residenza militare del Colonnello. L’edificio sarebbe stato preso di mira in quanto sede della catena di comando e controllo del regime. Gheddafi "non è assolutamente un obiettivo" degli alleati dal momento che la risoluzione Onu non lo permette, ha spiegato ieri il responsabile del personale della Difesa britannica, David Richards. Nella serata di ieri proprio dalla zona di Bab al Aziziya sono partite nuove raffiche di colpi della contraerea libica e la tv di stato ha detto che un nuovo attacco ha colpito la capitale, in particolare la zona del porto con due forti esplosioni. Secondo il governo libico la coalizione ha bombardato ieri anche l’aeroporto di Sirte, Tripoli e la città di Sabah, roccaforte della tribù cui appartiene Gheddafi, nel sud. Il capo del Pentagono Robert Gates ha annunciato che gli Usa ridurranno presto la loro partecipazione alle operazioni in Libia e che sarebbe un errore per la coalizione prefigurarsi l’obiettivo di uccidere Gheddafi. Per il dipartimento di Stato Usa l’obiettivo finale è la resa del Colonnello. I bombardamenti hanno permesso finora di neutralizzare "gran parte della contraerea libica", ha sottolineato il premier britannico David Cameron. I bersagli dell’operazione "devono essere in linea con la risoluzione dell’Onu", ha spiegato Cameron, che preme perché il comando delle operazioni passi alla Nato.Il capo degli stati maggiori riuniti Usa, Mike Mullen, ha negato la notizia diffusa dalla tv libica secondo cui circa "60 civili sono morti" negli attacchi. Paolo M. Alfieri TORNADO IN AZIONE, BERLUSCONI: "NON SPARERANNO MAI" Questione di punti di vista: per il premier Silvio Berlusconi "una delle cose certe è che i nostri aerei non hanno sparato e non spareranno". Per il sito internet dell’Aeronautica militare già domenica i Tornado "hanno portato a termine la loro missione di soppressione delle difese aeree presenti sul territorio libico (in gergo tecnico dette Sead - Suppression of Enemy Air Defense) che viene condotta mediante l’impiego di missili aria-superficie Agm-88 Harm (High-speed Anti Radiation Missile)". Le operazioni sono iniziate domenica e sono proseguite ieri. I caccia – quattro tornado Ecr (Electronic Combat Reconnaissance) supportati da due tornado tanker con funzioni di rifornitore in volo (Aar - Air-to-Air Refuelling) – sono decollati e atterrati dopo circa due ore nella base militare di Trapani Birgi. I velivoli appartengono al 37° stormo dell’Aeronautica militare e si sono sollevati in volo per perlustrare lo spazio aereo libico nella zona di Bengasi, dove era in azione anche un Awacs. F-16 ed elicotteri hanno compiuto invece "normali operazioni di addestramento" mentre alcuni Eurofighter avrebbero scortato i tornado. F-16 e Eurofighter infatti possono essere impiegati nell’ambito di operazioni aeree complesse per garantire la difesa degli altri aerei contro eventuali velivoli ostili. Quella del pomeriggio di ieri è stata la seconda missione degli italiani in poche ore. Le operazioni cui partecipano i Tornado rientrano nell’operazione "Odyssey dawn". I nostri sei velivoli sono stati utilizzati domenica per colpire la contraerea fedele a Gheddafi a Tripoli mentre gli aerei francesi e britannici attaccavano nella zona della capitale dove si trova il bunker del colonnello. "La missione è stata raggiunta positivamente e gli obiettivi sono stati raggiunti", ha spiegato domenica sera il colonnello Mauro Gabetta, comandante del 37° stormo della base militare di Trapani. In poco più di due ore, i caccia hanno effettuato un’operazione che comporta la soppressione di apparati di difesa aerea con missili aria-superficie. In pratica, hanno sparato i missili contro le postazioni radar del Colonnello. Dei sei tornado, due tanker, che appartengono al 6° stormo di Ghedi (Brescia), sono stati i primi a rientrare alla base dopo aver effettuato il rifornimento aereo degli altri velivoli, gli Ecr, che provengono dal 50° stormo di Piacenza. "L’operazione condotta dai nostri velivoli è stata un’operazione di soppressione delle difese aeree avversarie", confermano i militari. "I nostri aerei hanno operato nei pressi di Bengasi – ha detto il comandante –. Sentiamo la nostra responsabilità nei confronti di tutti i cittadini italiani, e la volontà di aiutare la popolazione libica". Giulia Isola FRATTINI: "SENZA NATO, COMANDO ITALIANO SEPARATO" "Hai ragione. L’obiettivo è uno solo: il comando delle operazioni deve passare in fretta alla Nato. E non devono dirci di no, non possono dirci di no". Silvio Berlusconi guarda dritto negli occhi Franco Frattini e, con altre parole, affonda un nuovo colpo contro Francia e Gran Bretagna: "Il coordinamento non può più essere quello attuale. Va cambiato. Ripeto: cam-bia-to". Il ministro degli Esteri ascolta e annuisce. Poi, nelle ore che seguono, rilancia la linea del governo e l’arricchisce con un ultimatum che le agenzie di stampa rilanciano alle 16 e 47: se la missione non passerà sotto il comando Nato l’Italia si riprenderà il controllo delle basi. È una posizione netta. Dura. E la risposta della Francia non si fa attendere. "Alle autorità italiane non ho nulla da rispondere", fa sapere da Parigi il generale Philippe Ponthies, portavoce del ministero della Difesa. E aggiunge: "Per il momento la Nato non ha alcun ruolo in questa vicenda". Italia e Francia si sfidano. Frattini passa da una telefonata a un’altra e spiega la sua posizione con energia. "Senza Nato decidiamo noi sulle nostre basi. Tocca a noi la gestione. A trecentosessanta gradi. Insomma saremo noi a decidere su tutto: chi atterra, chi decolla, chi le può usare e chi no". Una pausa prepara il nuovo affondo: "Comando Nato o potremmo valutare l’idea di un comando nazionale separato". È un affondo contro il "protagonismo" di Sarkozy. Un messaggio al presidente francese che - per dirla con il premier - "vuole usare il conflitto libico per frenare il crollo interno in vista della nuova corsa all’Eliseo". La Francia però non molla e Ponthies ripete: "Siamo in un’operazione voluta dalle Nazioni Unite, portata avanti da una coalizione ad hoc, e alla quale la Nato potrebbe eventualmente portare il suo sostegno". Insomma, nessun passaggio di testimone. Sono ore complicate. Berlusconi e Frattini si muovono a tutto campo per cercare di isolare la posizione francese e anche a Bruxelles trovano sponde. "Il vostro atteggiamento è sproporzionato e va corretto in fretta", "ruggisce" il segretario della Nato Andres Fogh Rasmussen gelando l’ambasciatore francese all’alleanza atlantica. Berlusconi guarda da Roma e continua a muoversi in un lavoro diplomatico senza pause. "La linea francese è decapitare Gheddafi, la nostra no. Noi crediamo che ci sia ancora spazio per garantirgli un’uscita non drammatica", ripete sottovoce in più di una telefonata. Il premier sa che l’Italia non potrà più avere un ruolo di mediazione, ma sa anche che Lega Araba e Russia ancora possono dire la loro. I contatti tra Roma e Mosca si accavallano nelle ultime ore e c’è il lavoro diplomatico del premier dietro l’inattesa disponibilità di Dmitri Medvedev: "Possiamo compiere sforzi da mediatore per ricomporre il conflitto. Le possibilità ce l’abbiamo". È una partita dall’esito imprevedibile: da una parte l’Italia, dall’altra la Francia. A Bruxelles i cronisti aspettano Frattini e la prima domanda è quasi una provocazione: ministro c’è rammarico per il fatto che i francesi siano stati i primi a intervenire in Libia? Frattini è gelido: "All’Italia non piace avere il ruolo di <+corsivo>first striker<+tondo>, di chi sferra il primo colpo, e questo vale sempre". Poi torna a insistere sul passaggio del comando alla Nato. "Ha l’esperienza, la capacità e la struttura per potere garantire la condivisione delle responsabilità da parte di tutti gli alleati", ripete il ministro degli Esteri che chiosa: "Siamo solo al terzo giorno: saranno i fatti a parlare". E, intanto, Berlusconi in vista della trasferta al consiglio europeo in scena nel fine settimana a Bruxelles si prepara a sferrare un altro affondo: noi abbiamo le basi e le mettiamo a disposizioni ma quando arriverà l’ondata di immigrati nessuno potrà tirarsi indietro, nessun potrà dire "ci pensa solo l’Italia". Arturo Celletti
22 marzo 2011 Il cambiamento e l'Occidente Oltre la logica del gendarme È un paradosso, ma chi si oppone all’intervento sotto egida Onu per proteggere i civili libici – e di conseguenza contro il regime di Gheddafi, inutile nasconderselo – sembra vittima dell’antica sindrome del gendarme. La tentazione di imporre un ordine, di incasellare ogni Paese in una rigida scacchiera, di non tollerare mutamenti che aprano scenari di incertezza è infatti un retaggio del mondo bipolare della Guerra Fredda, o dell’idea unipolare dell’iperpotenza americana alla fine della storia, come ci si era illusi dopo il crollo del Muro di Berlino. L’oggettivo ridimensionamento del ruolo americano, assecondato da Obama, apre oggi spazi tanto imprevisti quanto vasti per sommovimenti di amplissima portata, a partire dal Maghreb e dal Medio Oriente. Vedere in qualunque rivolgimento politico l’opportunità per una presa del potere da parte di al-Qaeda o in ciascuna sollevazione popolare un’insidia per gli interessi delle democrazie consolidate – vuoi economici, vuoi legati alle migrazioni – pare la risposta a un riflesso che non vuole fare i conti con un quadro mutato e che non necessariamente sarà peggiore del precedente. Certo, il cambio di atteggiamento verso il rais di Tripoli è riuscito infine a essere tanto repentino quanto tardivo. Tuttavia, ha fatto onestamente i conti con la storia in marcia: una rivolta interna che ha raggiunto massa critica e convinzione nella possibilità di un successo grazie al contagio positivo delle rivolte in Tunisia e in Egitto. E lo stesso intervento militare in Libia può non rispondere a una logica di puro cambio di regime a uso di qualche interesse particolare quando si limitasse davvero a impedire il massacro di inermi cittadini, lasciando poi alle logiche interne del Paese lo sbocco finale della crisi. La logica del gendarme alle incognite preferisce l’ingessatura di situazioni incancrenite, il pugno di ferro alla dinamica delle società, la quale può o deve – secondo i punti di vista – essere agevolata nella direzione di maggiori aperture democratiche e di fondamentale rispetto delle minoranze, ma che non può (e forse non deve) venire necessariamente guidata dall’esterno. E spesso, oggi, non può essere guidata perché non esiste oggettivamente un singolo attore che abbia volontà e capacità di incanalare lungo sponde precostituite il fiume impetuoso del cambiamento. Nel ribollente scenario mediorientale, che prima avevamo salutato come culla di un nascente movimento di modernizzazione, adesso rischiamo di vedere soltanto i rischi di un’involuzione fondamentalista e una sorgente di caos che porterà nuovi immigrati sulle nostre coste. Magari con un crescente pericolo di terrorismo. Le dinamiche avviate hanno bisogno di tempo e di respiro, i loro esiti non sono necessariamente scontati. Ciò che possiamo imparare, mentre ancora i nostri aerei pattugliano i cieli libici, è che lo logica del gendarme, dell’ordine e dell’opportunismo non risulta più facilmente praticabile. Un mondo multipolare faticherà – ad esempio – a tenere a bada un Iran aggressivo e sempre più vicino al dotarsi dell’arma atomica, ma potrà anche lasciare emergere dalla camicia di forza degli schieramenti quegli spiragli che permettono il risveglio di nazioni che sembravano condannate a rimanere sotto il giogo di autocrati utili solo a chi faceva affari con loro. Ecco allora che evitare in futuro abbracci interessati e imbarazzanti con i leader che opprimono i propri popoli è la necessaria e coerente continuazione della scelta di intervenire per fermare Gheddafi. E che tale rifiuto sia la premessa per nuovo ordine, frutto sofferto non soltanto di ingerenze con secondi fini e di velleità di mettere la storia al guinzaglio. Andrea Lavazza
2011-03-19 19 marzo 2011 MAGHREB IN FIAMME Libia, raid aerei e missilistici Bombe su Sirte, colpiti radar Pioggia di missili si è abbattuta sulla Libia. E’ scattata l’operazione "Odissey Dawn" Odissea all’alba), alla quale prendono parte al momento Francia, GranBretagna e Stati Uniti. Italia e Canada, gli altri due Paesi che hanno aderito alla coalizione internazionale, non hanno ancora preso parte con propri aerei ai raid. L’Italia sta però fornendo un rilevante supporto logistico con la messa a disposizione di ben sette basi militari. Secondo fonti statunitensi, sono almeno 110 i missili da crociera Tomahawk lanciati su una ventina di obiettivi "sensibili": batterie contraeree e depositi di carburante. La tv libica denuncia gli "attacchi dei crociati" mentre molti cittadini libici si sono schierati come scudi umani attorno al bunker del Colonnello a Tripoli. I primi missili sono partiti dai jet francesi alle 17:45 che hanno centrato quattro carri armati di Gheddafi. A Tobruk è esplosa la gioia degli insorti che seguivano su un maxi-schermo la diretta della tv satellitare Al Jazira. Centinaia di profughi provenienti dalla città libica di Bengasi, teatro oggi di violenti scontri, si stanno affollando lungo il valico di Sallum, al confine con l'Egitto. La tv satellitare al-Arabiya, riferisce dell'arrivo di centinaia di libici, in fuggiti dalle loro case dopo l'arrivo delle brigate di Muammar Gheddafi per evitare di rimanere vittima dei bombardamenti del regime contro la città, roccaforte degli insorti. Almeno 40 persone sono morte nell'attacco delle forze di Gheddafi stamani a Bengasi. Lo ha detto Mustafa Gheriani, portavoce del Media Committee del Consiglio transitorio libico. Gheriani ha precisato che si tratta del bilancio stimato, prima che lasciasse Bengasi per Tobruk dove ha incontrato i media internazionali. Numerosi cittadini libici, intanto, si starebbero radunando su obiettivi di eventuali raid contro Tripoli da parte della comunità internazionale. Lo ha riferito l'agenzia di stampa libica Jana. Se la notizia fosse confermata significherebbe che alcuni cittadini libici sono disposti a fare da scudi umani per impedire i raid. In questo senso la Croce Rossa internazionale ha chiesto alla parti coinvolte nel conflitto libico di rispettare la normativa umanitaria, permettendo agli staff medici di raggiungere i luoghi colpiti. La Croce rossa ha ricordato che il diritto umanitario vieta l'utilizzo della popolazione come scudo umano per prevenire gli attacchi. IL VERTICE DI PARIGI DÀ IL VIA LIBERA Via libera a un'azione militare contro Gheddafi dal vertice di Parigi. L'attacco avverrà "nelle prossime ore". Gheddafi "è ancora in tempo per evitare il peggio conformandosi senza ritardi a tutte le richieste della Comunita internazionale". Lo ha detto il presidente francese Nicolas Sarkozy al termine del summit. "La porta della diplomazia si riaprirà quando la sua aggressione finirà - ha aggiunto il presidente -. La nostra determinazione è totale. Ognuno è messo davanti alle sue responsabilità". Numerosi caccia Rafale francesi stanno sorvolando Bengasi e l'intero territorio libico in missione di ricognizione. Lo rivelano fonti militari francesi. I Rafale sono decollati poco dopo mezzogiorno dalla base francese di Saint Dizier, nell'est della Francia, dove sono abitualmente di stanza, hanno spiegato le fonti militari francesi. Secondo le fonti, la missione di ricognizione dovrebbe durare tutto il pomeriggio e i caccia non hanno finora incontrato alcuna difficoltà, dopo alcune ore di sorvolo del territorio libico. I Rafale sono utilizzati in missioni di ricognizione, bombardamento e difesa aerea. I voli di ricognizione sono cominciati mentre a Parigi si teneva il vertice internazionale straordinario sulla Libia. I caccia francesi sulla Libia stanno impedendo attacchi aerei delle forze di Gheddafi contro Bengasi. Lo ha detto il presidente francese Nicolas Sarkozy. BERLUSCONI: PER ORA SOLO BASI. SE SERVONO RAID "Per ora solo basi, se servono anche raid. Vorrei tranquillizzare i nostri concittadini: le nostre forze armate ieri hanno fatto un esame approfondito della disponibilità di armi e di missili del regime libico, e la loro conclusione certa è che non ci sono in questo momento armi in dotazione della Libia che possano raggiungere il territorio italiano". Lo ha detto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in una conferenza stampa all'ambasciata d'Italia a Parigi al termine del vertice. "Per quanto riguarda il momento" in cui l'Italia potrebbe partecipare direttamente alle operazioni militari "noi abbiamo ancora la speranza, visto questo schieramento globale, non solo dell'Occidente, ma anche del mondo arabo, che ci possa essere un ripensamento da parte del regime libico". "Si tratta - ha aggiunto - di una soluzione" che il premier auspica sia giudicata di propria "convenienza dallo stesso regime", che così può porre fine alle sue azioni contro i civili. "La posizione della Lega è una posizione che risiede nella prudenza anche personale dell'onorevole Bossi che ieri ha auspicato che posizioni come quelle della Germania potessero essere seguite anche da parte nostra, tuttavia questo non è possibile visto che le basi di cui noi disponiamo sono determinanti". Così il presidente del Consiglio ha risposto a proposito delle cautele del Carroccio. Il capo del governo ha ricordato che l'Italia è "il Paese geograficamente più prossimo alla Libia". NAPOLITANO COMPIACIUTO INTESA VERTICE PARIGI Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è stato informato telefonicamente dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi, dell'andamento e dell'esito della riunione di Parigi. Secondo quanto riferisce un comunicato del Quirinale, il capo dello Stato si è compiaciuto dell'importante intesa raggiunta, per il contributo dato e per l'impegno assunto dall'Italia. TORNADO ITALIANI RISCHIERATI A TRAPANI Sono stati rischierati a Trapani i caccia Tornado dell'Aeronautica militare che potrebbero essere impiegati sulla Libia: si tratta dei Tornado Ecr di Piacenza, specializzati nella distruzione delle difese missilistiche e radar, e dei Tornado Ids di Ghedi (Brescia), con capacità di attacco. Insieme ai Tornado, sono stati schierati nella stessa base anche i caccia Eurofighter di stanza a Grosseto. Nella base di Trapani sono già schierati dei caccia F-16, aerei radar Awacs della Nato e aerei per il rifornimento in volo. LA BATTAGLIA DI BENGASI Forte bombardamento su Bengasi, la città controllata dagli insorti, dopo l'arrivo delle forze pro-Gheddafi. Il governo libico: "Le bande di al-Qaeda ci hanno attaccato, abbiamo risposto per autodifesa". al Jazira ha riferito che le forze fedeli al rais attaccano la città dalla costa e da sud. Lega Araba: "Obiettivo prioritario è arrivare a un cessate il fuoco". Migliaia di persone stanno fuggendo da Bengasi, sotto attacco da questa mattina. Intanto è in corso il vertice di Parigi: attacco imminente. OBAMA E CLINTON: SCOPO DELLA MISSIONE È DIFENDERE I CIVILI "Gli Stati Uniti, come il Brasile, condannano gli abusi di diritti umani in Libia". Lo ha detto il presidente degli Stati Uniti Barack Obama parlando in conferenza stampa congiunta con il presidente brasiliano Dilma Roussef. Obama si trova in visita in Brasile. "Il consenso tra noi - ha detto Obama riferendosi a membri della coalizione - è forte, ed è chiara la nostra determinazione. Il popolo libico deve essere protetto e, se non finiranno le violenze contro i civili, siamo pronti ad agire con urgenza". "Voglio essere molto chiara: gli Stati Uniti avranno il compito di sostenere e appoggiare la coalizione internazionale perchè venga rispettata la risoluzione dell'Onu". Lo ha detto il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, parlando della crisi libica, al termine del vertice di Parigi. "Hanno detto che c'era cessate il fuoco - ha spiegato la Clinton -, ma la realtà sul campo è molto diversa: gli attacchi di Gheddafi sui civili continuano intorno e anche dentro Bengasi". "Oggi ci siamo riuniti qui a Parigi per discutere su come lavorare insieme per applicare la risoluzione Onu: se ritardiamo metteremo a rischio altri civili in Libia", ha continuato il segretario di Stato. GHEDDAFI A SARKOZY-CAMERON, VE NE PENTIRETE Il leader libico Gheddafi ha scritto in una lettera al presidente francese Sarkozy e al premier britannico Cameron che le potenze occidentali non hanno diritto di intervenire in Libia e che "si pentiranno" della loro ingerenza.Secondo quanto detto dal portavoce del governo libico Mussa Ibrahim in una conferenza stampa, la lettera, oltre che ai leader francese e britannico, è indirizzata anche al segretario generale dell'Onu, Ban ki-Moon. Nella missiva Gheddafi ha scritto che ogni azione militare contro la Libia sarebbe una "un'ingiustizia, una chiara aggressione... ve ne pentirete se interverrete nei nostri affari interni". "La Libia non è vostra - prosegue la missiva, citata da al Jaeera -. Voi non avete il diritto di intervenire nei nostri affari interni. Questo è il nostro Paese, non è il vostro paese. Noi non potremmo sparare un solo proiettile contro il nostro popolo". Le forze di Gheddafi sono entrate a Bengasi, dove stamani si erano udite forti espolsioni. L'ambasciatore francese alle Nazioni Unite Gerard Araud ha detto che un intervento militare contro la Libia potrebbe scattare già oggi dopo il summit in programma a Parigi tra Ue, Unione Africana, Lega Araba e Stati Uniti. A Misurata 25 i morti. Il ministro degli Esteri Franco Frattini annuncia l'uso di jet italiani se Tripoli violerà la no fly zone. Messe a disposizioni sette basi aeree nel nostro Paese. Per Gheddafi la risoluzione dell'Onu è "sfacciato colonialismo". AMR MUSSA, OBIETTIVO PRIORITARIO CESSATE FUOCO "L'obiettivo principale in questo momento è di arrivare ad un cessate il fuoco nel più breve tempo possibile per essere sicuri che non ci sia nessuna azione contro il popolo libico". Lo ha detto il segretario generale della Lega araba Amr Mussa, al seggio per votare al referendum costituzionale, prima di partire per Parigi, dove oggi si tiene il vertice sulla Libia con Ue e Unione africana. Il segretario generale della Lega araba ha spiegato che al vertice di Parigi sosterrà la necessità di mantenere l'unità territoriale della Libia e "di non intoccare la suo sovranità, respingendo l'ingresso di qualsiasi forza sul suo territorio". Mussa ha sottolineato che la priorità è la protezione dei civili.
19 marzo 2011 L'Occidente, il mondo arabo e l'intervento militare Un'occasione per avvicinare le due sponde del Mediterraneo Almeno un primo effetto, la Risoluzione 1973 dell’Onu che autorizza gli Stati membri a ricorrere alla forza per porre fine alla guerra dichiarata da Gheddafi al suo popolo sembra averlo già ottenuto: il raìs avrebbe proclamato una tregua e smesso di bombardare i suoi stessi cittadini. Può darsi che ciò si traduca in uno stallo più o meno prolungato, durante il quale l’isolamento internazionale del colonnello e del suo regime, potranno generare frutti. Ma può anche darsi che tutto si riduca a un bluff e che l’azione militare si renda necessaria. I rischi di una simile mossa erano elevati una settimana fa e restano tali oggi. Ma quello che è radicalmente cambiato è lo scenario all’interno del quale tale mossa si inscrive e che la rende oggi, non solo opportuna, ma persino necessaria. Il maggiore cambiamento legale intervenuto è stato, evidentemente, l’adozione della Risoluzione Onu. Essa conferisce un quadro di legalità internazionale a un’azione militare, al punto che persino il regime libico sostiene tartufescamente di essere costretto ad adeguarsi alla richiesta di cessate il fuoco "essendo la Libia membro delle Nazioni Unite". Ma c’è un altro l’elemento di rilevanza straordinaria che si è verificato in questi giorni (e che ha consentito al Consiglio di Sicurezza di muoversi su formale proposta del Libano), e cioè la richiesta di un intervento militare occidentale da parte della Lega araba. Così facendo, essa ha posto l’aggressione del colonnello Gheddafi contro il suo popolo sullo stesso piano dell’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein nel 1990. È un fatto clamoroso per due motivi. In primo luogo, perché per la prima volta un’istituzione internazionale politicamente debole come la Lega araba si assume la responsabilità tutta politica di affermare che quando la repressione interna valica certi limiti diventa inaccettabile. In secondo luogo, perché essa pone fine a quella paura occidentale di interferire in quel che sta accadendo a sud del Mediterraneo che rappresenta insieme un alibi e un tabù per i governi dell’Occidente. Nel chiedere aiuto all’Occidente – perché di questo si tratta – la Lega araba ci ricorda che il mondo è ancora uno, e ci rammenta che di fronte a una simile richiesta la non interferenza equivarrebbe a una complicità. È questo che ci consente di riallacciare un discorso politico tra le due sponde del Mediterraneo che l’avvio inatteso delle rivoluzioni, la loro evoluzione imprevista e le nostre paure ci avevano fatto compiutamente interrompere. In termini di scenario più complessivo, quello che appare evidente è che per la comunità internazionale – per l’Occidente che al suo interno continua a pesare parecchio e per l’Italia che nel Mediterraneo è immersa – la sopravvivenza politica di Gheddafi rappresenterebbe il male peggiore per diversi motivi. In termini di principio, a livello di comunità internazionale, perché attesterebbe che la violenza paga sempre, a condizione di essere usata senza remore di nessun tipo. In termini più politici, a livello occidentale ed europeo, perché la nostra passività non sarebbe percepita come benevola da parte di un Gheddafi vittorioso, mentre sarebbe considerata complice indifferenza dagli insorti sconfitti, parte dei quali potrebbe cadere vittima della fascinazione qaedista. Così che potremmo ritrovarci bersaglio di azioni ostili sia ad opera di Gheddafi sia per mano di quei suoi nemici che la nostra ignavia avrebbe trasformato anche in nostri nemici. A livello nazionale, infine, perché se Gheddafi dovesse malauguratamente vincere, per non perdere la faccia dovrebbe per forza colpire gli interessi economici, di sicurezza e – mi si passi la forzatura – "migratori" di chi sarebbe più vulnerabile rispetto alle sue ritorsioni, cioè l’Italia. Nessuna timidezza farà di Gheddafi nuovamente un possibile socio d’affari, mentre solo la partecipazione convinta alle azioni che si dovessero rendere necessarie potrà collocare l’Italia tra i Paesi cui la nuova Libia sarà riconoscente: unica garanzia realisticamente possibile per la tutela dei nostri cospicui interessi oltremare. Vittorio Emanuele Parsi
19 marzo 2011 LIBIA Battaglia a Bengasi e Misurata Vertice Parigi: "Pronti al Raid" Forte bombardamento su Bengasi, la città controllata dagli insorti, dopo l'arrivo delle forze pro-Gheddafi. Il governo libico: "Le bande di al-qaeda ci hanno attaccato, abbiamo risposto per autodifesa". Al Jazira ha riferito che le forze fedeli al rais attaccano la città dalla costa e da sud. Lega Araba: "Obiettivo prioritario è arrivare a un cessate il fuoco". Migliaia di persone stanno fuggendo da Bengasi, sotto attacco da questa mattina. Intanto è in corso il vertice di Parigi: attacco imminente. Gli attacchi di questa mattina su Bengasi hanno provocato almeno 26 morti, secondo quanto riferisce l'emittente Al Jazira, che cita fonti ospedaliere. I feriti inoltre sono almeno 40. GHEDDAFI A SARKOZY-CAMERON, VE NE PENTIRETE Il leader libico Gheddafi ha scritto in una lettera al presidente francese Sarkozy e al premier britannico Cameron che le potenze occidentali non hanno diritto di intervenire in Libia e che "si pentiranno" della loro ingerenza.Secondo quanto detto dal portavoce del governo libico Mussa Ibrahim in una conferenza stampa, la lettera, oltre che ai leader francese e britannico, è indirizzata anche al segretario generale dell'Onu, Ban ki-Moon. Nella missiva Gheddafi ha scritto che ogni azione militare contro la Libia sarebbe una "un'ingiustizia, una chiara aggressione... ve ne pentirete se interverrete nei nostri affari interni". "La Libia non è vostra - prosegue la missiva, citata da al Jaeera -. Voi non avete il diritto di intervenire nei nostri affari interni. Questo è il nostro Paese, non è il vostro paese. Noi non potremmo sparare un solo proiettile contro il nostro popolo". Le forze di Gheddafi sono entrate a Bengasi, dove stamani si erano udite forti espolsioni. L'ambasciatore francese alle Nazioni Unite Gerard Araud ha detto che un intervento militare contro la Libia potrebbe scattare già oggi dopo il summit in programma a Parigi tra Ue, Unione Africana, Lega Araba e Stati Uniti. A Misurata 25 i morti. Il ministro degli Esteri Franco Frattini annuncia l'uso di jet italiani se Tripoli violerà la no fly zone. Messe a disposizioni sette basi aeree nel nostro Paese. Per Gheddafi la risoluzione dell'Onu è "sfacciato colonialismo". AMR MUSSA, OBIETTIVO PRIORITARIO CESSATE FUOCO "L'obiettivo principale in questo momento è di arrivare ad un cessate il fuoco nel più breve tempo possibile per essere sicuri che non ci sia nessuna azione contro il popolo libico". Lo ha detto il segretario generale della Lega araba Amr Mussa, al seggio per votare al referendum costituzionale, prima di partire per Parigi, dove oggi si tiene il vertice sulla Libia con Ue e Unione africana. Il segretario generale della Lega araba ha spiegato che al vertice di Parigi sosterrà la necessità di mantenere l'unità territoriale della Libia e "di non intoccare la suo sovranità, respingendo l'ingresso di qualsiasi forza sul suo territorio". Mussa ha sottolineato che la priorità è la protezione dei civili.
19 marzo 2011 L'Occidente, il mondo arabo e l'intervento militare Un'occasione per avvicinare le due sponde del Mediterraneo Almeno un primo effetto, la Risoluzione 1973 dell’Onu che autorizza gli Stati membri a ricorrere alla forza per porre fine alla guerra dichiarata da Gheddafi al suo popolo sembra averlo già ottenuto: il raìs avrebbe proclamato una tregua e smesso di bombardare i suoi stessi cittadini. Può darsi che ciò si traduca in uno stallo più o meno prolungato, durante il quale l’isolamento internazionale del colonnello e del suo regime, potranno generare frutti. Ma può anche darsi che tutto si riduca a un bluff e che l’azione militare si renda necessaria. I rischi di una simile mossa erano elevati una settimana fa e restano tali oggi. Ma quello che è radicalmente cambiato è lo scenario all’interno del quale tale mossa si inscrive e che la rende oggi, non solo opportuna, ma persino necessaria. Il maggiore cambiamento legale intervenuto è stato, evidentemente, l’adozione della Risoluzione Onu. Essa conferisce un quadro di legalità internazionale a un’azione militare, al punto che persino il regime libico sostiene tartufescamente di essere costretto ad adeguarsi alla richiesta di cessate il fuoco "essendo la Libia membro delle Nazioni Unite". Ma c’è un altro l’elemento di rilevanza straordinaria che si è verificato in questi giorni (e che ha consentito al Consiglio di Sicurezza di muoversi su formale proposta del Libano), e cioè la richiesta di un intervento militare occidentale da parte della Lega araba. Così facendo, essa ha posto l’aggressione del colonnello Gheddafi contro il suo popolo sullo stesso piano dell’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein nel 1990. È un fatto clamoroso per due motivi. In primo luogo, perché per la prima volta un’istituzione internazionale politicamente debole come la Lega araba si assume la responsabilità tutta politica di affermare che quando la repressione interna valica certi limiti diventa inaccettabile. In secondo luogo, perché essa pone fine a quella paura occidentale di interferire in quel che sta accadendo a sud del Mediterraneo che rappresenta insieme un alibi e un tabù per i governi dell’Occidente. Nel chiedere aiuto all’Occidente – perché di questo si tratta – la Lega araba ci ricorda che il mondo è ancora uno, e ci rammenta che di fronte a una simile richiesta la non interferenza equivarrebbe a una complicità. È questo che ci consente di riallacciare un discorso politico tra le due sponde del Mediterraneo che l’avvio inatteso delle rivoluzioni, la loro evoluzione imprevista e le nostre paure ci avevano fatto compiutamente interrompere. In termini di scenario più complessivo, quello che appare evidente è che per la comunità internazionale – per l’Occidente che al suo interno continua a pesare parecchio e per l’Italia che nel Mediterraneo è immersa – la sopravvivenza politica di Gheddafi rappresenterebbe il male peggiore per diversi motivi. In termini di principio, a livello di comunità internazionale, perché attesterebbe che la violenza paga sempre, a condizione di essere usata senza remore di nessun tipo. In termini più politici, a livello occidentale ed europeo, perché la nostra passività non sarebbe percepita come benevola da parte di un Gheddafi vittorioso, mentre sarebbe considerata complice indifferenza dagli insorti sconfitti, parte dei quali potrebbe cadere vittima della fascinazione qaedista. Così che potremmo ritrovarci bersaglio di azioni ostili sia ad opera di Gheddafi sia per mano di quei suoi nemici che la nostra ignavia avrebbe trasformato anche in nostri nemici. A livello nazionale, infine, perché se Gheddafi dovesse malauguratamente vincere, per non perdere la faccia dovrebbe per forza colpire gli interessi economici, di sicurezza e – mi si passi la forzatura – "migratori" di chi sarebbe più vulnerabile rispetto alle sue ritorsioni, cioè l’Italia. Nessuna timidezza farà di Gheddafi nuovamente un possibile socio d’affari, mentre solo la partecipazione convinta alle azioni che si dovessero rendere necessarie potrà collocare l’Italia tra i Paesi cui la nuova Libia sarà riconoscente: unica garanzia realisticamente possibile per la tutela dei nostri cospicui interessi oltremare. Vittorio Emanuele Parsi
19 marzo 2011 VENERDì DELLA COLLERA Yemen, 52 manifestanti uccisi a Sanaa È salito a 52 morti e 127 feriti il bilancio della strage compiuta ieri da cecchini appostati sui tetti contro i manifestanti dell'opposizione nella capitale dello Yemen, Sanaa. Il presidente Ali Abdullah Saleh ha dichiarato lo stato d'emergenza in tutto il Paese. Le proteste di ieri sono state le più grandi finora e anche la risposta delle forze governative è stata la più violenta dall'inizio della rivolta un mese fa. Secondo alcuni testimoni a sparare sulla folla sarebbero stati cecchini che indossavano uniformi dell'esercito yemenita e agenti di sicurezza in borghese. Sempre ieri in Yemen si è dimesso il ministro del Turismo, Nabil al-Faqih, che si è anche dimesso dal partito per protestare contro le uccisioni di civili. SIRIA. Cinque persone sono morte e almeno 44 sono rimaste ferite a seguito dell'intervento delle forze di sicurezza, che hanno provato a placare le centinaia di manifestanti scese in strada a Daraa per chiedere più libertà. Manifestazioni sono state inoltre organizzate nelle città di Homs, Banyas, e nella capitale Damasco. BAHRAIN. L'esercito ha demolito il monumento della perla di Manama, alto 90 metri e diventato simbolo della sommossa sciita contro la monarchia sunnita. Il monumento è stato per lungo tempo un ricordo della storia del Paese ma di recente è stato associato alle proteste che hanno preso piede in Bahrain. Le forze di sicurezza hanno invaso il campo di protesta mercoledì, uccidendo almeno 5 persone, compresi 2 poliziotti. I disordini in Bahrain, in cui sono morte almeno 12 persone, hanno risvegliato tensione settarie nella regione. L'Arabia Saudita e altri Paesi sunniti del Golfo hanno inviato truppe nel piccolo regno, mentre l'Iran si è schierato dalla parte dei manifestanti sciiti e ha richiamato il suo ambasciatore a Manama. IRAQ. Migliaia di persone hanno manifestato nelle città a maggioranza sciita in tutto il Paese per condannare gli attacchi, definiti "settari", delle forze di sicurezza del Bahrain contro i dimostranti sciiti. L'invio di truppe nel regno da parte dei Paesi sunniti del Golfo potrebbe peggiorare le relazioni tra l'Iraq e l'Arabia Saudita, che considera il governo iracheno a maggioranza sciita una pedina dell'Iran. IRAN. L'ayatollah Ahmad Jannati, iraniano, ha esortato la maggioranza sciita del Bahrain ad andare avanti con le proteste fino alla morte o alla vittoria, contro la monarchia sunnita del piccolo regno. Dopo il momento di preghiera migliaia di iraniani hanno marciato e cantato contro i governanti del Bahrain e dell'Arabia Saudita. Non ci sono legami diretti tra gli sciiti in Bahrain e Iran, ma il piccolo regno conta molto nella regione. I leader del Golfo sono preoccupati che eventuali conquiste degli sciiti in Bahrain potrebbero rafforzare l'Iran nei confronti del rivale Arabi Saudita. Teheran ha protestato quando Riyad ha inviato le truppe in Bahrain insieme ad altri Paesi del Golfo.
2011-03-18 18 marzo 2011 LIBIA Tripoli: cessate il fuoco La Nato scalda i motori Raid aerei internazionali contro il regime libico di Muhammar Gheddafi avverranno "in tempi rapidì, probabilmente nelle "prossime ore". Lo ha annunciato il portavoce del governo di Parigi, Francois Baroin, mentre Tripoli annuncia un cessate il fuoco. All'intervento, che vede la Francia in prima fila, sono pronti a partecipare Paesi come Gran Bretagna, Norvegia, Qatar ed Emirati arabi per attuare la no fly zone autorizzata dall'Onu. Nel voto della risoluzione 1973, la Germania si è astenuta assieme a Russia, Cina, India e Brasile. L'Italia, nel quadro dell'attuazione della risoluzione Onu per la crisi in Libia, potrebbe mettere a disposizione della coalizione internazionale non solo le basi militari ma non è escluso neanche un coinvolgimento di mezzi e uomini. A quanto si apprende, è questa l'indicazione emersa dalla riunione del Consiglio dei ministri straordinario a Palazzo Chigi. La notte scorsa Gheddafi aveva promesso di "trasformare in inferno la vita" di chi attaccherà la Libia, dopo che ieri sera il Consiglio di sicurezza Onu ha dato il proprio via libera all'uso della forza. Ma oggi il ministro degli esteri libico Mussa Kussa ha annunciato un cessate il fuoco immediato, dopo che per tutta la notte e la mattinata erano proseguiti i combattimenti. A Misurata, ad est di Tripoli, ci sarebbero almeno quattro morti. Una fonte degli insorti ha detto ad al Jazira che blindati delle forze di Gheddafi hanno bombardato Misurata per oltre tre ore e che i 'lealistì vogliono usare civili come scudi umani contro possibili attacchi aerei delle forze internazionali. Combattimenti anche a Nalut e Zenten, due cittadine della Libia occindentale, sotto il controllo dell'opposizione. Le forze del regime hanno attaccato ieri sera Zenten, 145 chilometri a sud-est di Tripoli, e "ci sono stati degli scontri violenti con i ribelli. I combattimenti sono continuati questa mattina", ha riferito all'agenzia France presse un testimone, aggiungendo: "Si sono contate vittime dalle due parti". "Gheddafi - ha continuato - sta inviando dei giovani senza esperienza che non conoscono questa regione montagnosa. Le sue forze hanno subito importanti danni". A Nalut, i ribelli hanno attaccato ieri sera una posizione dei partigiani del colonnello e hanno preso "tutte le loro armi e munizioni". "Abbiamo fatto prigionieri diversi militari di Gheddafi". Intanto, i ministri francesi sono stati convocati dal presidente Nicolas Sarkozy per le 16 a Parigi per consultazioni sulla situazione in Libia. Mentre il primo ministro britannico David Cameron ha fissato una riunione di emergenza del suo cabinet. È invece già iniziata palazzo Chigi la riunione del comitato interministeriale per fare il punto della situazione. All'incontro presieduto dal premier Silvio Berlusconi partecipano, tra l'altro, il ministro della Difesa Ignazio La Russa, il titolare della Farnesina Franco Frattini, il Guardasigilli Angelino Alfano, Giulio Tremonti, titolare del Tesoro e i vertici dei servizi di sicurezza. Intanto, da Bruxelels, Eurocontrol, l'agenzia europea per il controllo del traffico aereo, ha annunciato di aver vietato tutti i voli civili verso la Libia.
18 marzo 2011 Le mosse di Occidente e Stati arabi, la resistenza di Gheddafi Il rischio è che si arrivi tardi e si spacchi la Libia in due parti
Vista con gli occhi degli insorti libici, la quasi certa decisione (il voto era nella notte) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di istituire una 'no-fly zone' sulla Libia sembra arrivata troppo tardi, come una beffa: ormai la bilancia militare si è rovesciata e quell’impasto strano di mercenari, forze lealiste e gruppi tribali fedeli al clan Gheddafi sta stringendo il proprio cerchio su Bengasi. Ma una battaglia, come si dice, è perduta solo nel momento in cui è perduta, mai prima: se anche sembrano tramontate le speranze un po’ ingenue di un’uscita di scena quasi pacifica del colonnello, sul modello dei presidenti autocrati di Tunisia ed Egitto, rimangono tuttavia evidenti le fragilità e l’isolamento del regime di Tripoli. Una 'no fly-zone' di per sé non rappresenta una misura risolutiva, a meno che Gheddafi – certo non noto per la ponderatezza delle sue decisioni – non decida di sfidare la comunità internazionale con mosse provocatorie, che scatenenino una massiccia reazione militare occidentale o un’implosione del regime. Ma se il Consiglio transitorio nazionale – i ribelli insomma – riuscissero a tenere Bengasi e ad arrivare a una tregua, allora gli scenari si moltiplicherebbero. Il potere libico è infatti molto fragile, come ha dimostrato la lentezza della sua reazione alla rivolta: non solo perché i suoi vertici sono sclerotizzati e corrotti, ma perché è strutturalmente debole l’architettura stessa del "potere diretto del popolo", come recitano lo slogan della Jamahiriyya: poche istituzioni formali che non riescono a gestire adeguatamente l’amministrazione interna. Per di più, Gheddafi è pressoché isolato anche nel Medio Oriente: è la stessa Lega Araba ad aver chiesto l’intervento delle Nazioni Unite e Washington insiste perché la 'no fly zone' sia gestita con anche la partecipazione degli Stati arabi. Inoltre, se le norme imposte dall’Onu fossero interpretate in modo 'energico', magari forzando un poco la mano, come vorrebbero Francia e Gran Bretagna e come non dispiace alla stessa Nato, la repressione brutale di Tripoli potrebbe essere effettivamente fermata. Ma a quel punto avremmo due Libie: una occidentale arroccata attorno ai Gheddafi – e forte della grande liquidità di soldi di cui ancora dispone (nonostante i beni congelati) – e una orientale, a disputarsi i centri petroliferi. Uno stallo che rischia di prolungarsi con conseguenze poco ponderabili, ma certo estremamente pericolose. I libici – per gestire l’industria petrolifera – devono affidarsi ai tecnici stranieri: in una situazione di incertezza e pericolo, la produzione non potrà che risentirne, influendo su di un mercato già estremamente nervoso. Ma ancora peggiore è la conseguenza politica: due governi deboli e in lotta sullo stesso territorio significano di fatto nessun governo. E uno stato semi-fallito in una posizione così strategica è un rischio alto per l’Europa e altissimo per l’Italia: non solo per l’immigrazione clandestina, ma per la possibile attività di islamici radicali, usciti a migliaia dalle prigioni libiche durante queste settimane. La frattura in due della Libia, infine, avrebbe conseguenze anche sui rapporti interni fra i Paesi dell’Unione europea. Al di là delle preoccupazioni umanitarie, non è infatti difficile scorgere interessi economici molto più concreti e cinici. L’appoggio agli insorti da parte francese e britannica riflette anche il desiderio di favorire un cambio di regime per rientrare in un mercato energetico di straordinaria importanza da cui sono esclusi; e la prudenza italiana, il timore di perdere una 'riserva economica' su cui abbiamo investito molto. Nel mondo arabo qualcuno ipotizza un compromesso fra le parti, improbabile però dopo tutto il sangue versato. E proprio quel sangue sembra suggerire che – per quanto ci spaventi l’incertezza – ben pochi scenari sul dopo-Gheddafi sembrano peggiori di questo lungo 'durante'. Riccardo Redaelli
18 marzo 2011 LE RIVOLTE NEL MONDO ARABO Yemen, polizia spara sui manifestanti: 30 vittime Precipita la crisi politica nello Yemen. La polizia e alcuni miliziani del regime hanno fatto strage di manifestanti a Sanaa. Durante una protesta nella centralissima Piazza del cambiamento, hanno aperto il fuoco ad altezza d'uomo uccidendo più di 30 manifestanti, e facendo almeno due cento feriti. Lo hanno riferito fonti mediche, sottolineando che l'ospedale principale è saturo e non può più accogliere le vittime. Testimoni oculari riferiscono che molti elicotteri stanno sorvolando la zona mentre mezzi blindati stanno prendendo posizione nel centro della città, dalla quale si innalzando colonne di fumo. Nell'università di Sanaa, dal 12 febbraio migliaia di studenti, avvocati e attori della società civile sono in sit in permanente per chiedere la fine del regime di Ali Abdullah Saleh, in carica da oltre 32 anni. Le prime grandi manifestazioni nella capitale Sanna e nella città meridionale di Aden sono iniziate il 16 febbraio mentre le prime vittime nella capitale risalgono al 23 febbraio, e sono due studenti morti per mano di attivisti pro regime. Dal 16 febbraio in tutto il Paese si susseguono quotidianamente marce di protesta anti-Saleh che trovano d'accordo anche il movimento secessionista del sud, e le due più potenti confederazioni tribali yemenite, la Hashed e la Baqil. L'opposizione in un estremo tentativo per evitare un bagno di sangue aveva, con il beneplacito dei vertici religiosi islamici, proposto a Saleh un piano di transizione che prevedeva una sua uscita graduale dal potere entro la fine del 2011, ricevendo un netto rifiuto.
2011-03-17 17 marzo 2011 LA CONTROFFENSIVA Bombardata Bengasi, truppe Gheddafi alla periferia Le forze di Muammar Gheddafi hanno lanciato l'assalto a Bengasi, roccaforte degli insorti. L'emittente Al Arabiya ha riferito di bombardamenti in corso su due quartieri della città, Bu Atni e Benina. Secondo Al Jazira, tuttavia, i ribelli sarebbero riusciti ad abbattere due aerei. Intanto, la tv libica Allibya sostiene che le truppe del Colonello sonoo giunte alle porte di Bengasi e hanno conquistato Zueitina, 150 chilometri più a sud. L'esercito ieri aveva detto agli abitanti di lasciare la zona. Ieri uno dei figli di Gheddafi, Saif al-Islam, ha detto a Euronews che la seconda città della Libia sarebbe caduta entro 48 ore. Gli sforzi diplomatici per mettere fine allo spargimento di sangue restano nel pantano. Tre settimane dopo la prima proposta per una no-fly zone, nessun accordo è stato raggiunto. Una bozza di risoluzione del Consiglio di sicurezza Onu su una zona di non sorvolo per proteggere i civili è circolata martedì dopo che una riunione dei ministri degli Esteri del G8 a Parigi non è riuscita ad arrivare all'accordo che la Francia auspicava. Intanto i ribelli hanno respinto i soldati di Gheddafi ad Ajdabiyah, 150 chilometri a sud di Bengasi. "La lentezza politica dell'Europa è disperante", "abbiamo il diritto-dovere di intervenire nella guerra in Libia per fermare i massacri della popolazione civile". Lo dice in un'intervista l'ex ministro francese degli Esteri Bernard Kouchner, per il quale "l'esperienza dell'ex Jugoslavia dimostra che la no-fly zonenon basta a fermare i massacri". Sarkozy, che ha proposto bombardamenti aerei mirati - afferma Kouchner - "è stato accusato di avere iniziative affrettate, di non essersi consultato abbastanza con gli altri partner europei. Ma ha detto solo le cose giuste, anzi forse ha parlato già troppo tardi. Il tempo gioca a favore di Gheddafi. Se aspettiamo ancora un pò sarà lui ad aver vinto e non ci sarà più nulla su cui discutere e riunirsi".
2011-03-15 15 marzo 2011 EMERGENZA EMIGRAZIONE Lampedusa, 35 migranti dispersi 1800 maghrebini, stop del Viminale È giallo sui 35 migranti che, secondo testimonianze raccolte a Lampedusa e confermate da fonti ufficiali della Capitaneria di porto, risultano dispersi a seguito di un naufragio avvenuto poco dopo la partenza dal porto tunisino di Zarzis, al largo delle coste della Tunisia, domenica sera. L'accaduto è emerso dai racconti di alcuni migranti giunti ieri sera su un barcone a Lampedusa. Cinque di loro hanno detto di essersi trovati a bordo della nave affondata, e di essere stati soccorsi in mare da un'altra imbarcazione. Tra gli ultimi arrivi sull'isola, anche un barcone con 45 persone giunto scortato da una unità militare. Tre di loro sono state portate via in autoambulanza. NAVE DALLA LIBIA, STOP DAL VIMINALE Tornano caldissime le acque del Canale di Sicilia in una giornata caratterizzata dal giallo della nave battente bandiera marocchina "Mistral express" e dalla ripresa in massa degli sbarchi a Lampedusa. Il traghetto maghrebino con 1.836 persone a bordo, perlopiù marocchini, è partito domenica da Tripoli diretto in Marocco ed è stato intercettato ieri pomeriggio dalla Marina maltese. Quindi l’imbarcazione si è diretta verso il porto siciliano di Augusta con l’intenzione dichiarata di effettuare rifornimento. A questo punto è scattato l’allarme. Il Viminale ha chiesto alla Difesa di inviare una unità navale per impedirne l’ingresso nelle nostre acque territoriali e alla Farnesina di acquisire informazioni sulla nazionalità dei passeggeri e sulle loro effettive intenzioni. In sostanza, davanti a una situazione non chiara, dal governo è arrivato uno stop. Il rischio per l’esecutivo è che i non comunitari, giunti nelle nostre acque territoriali, chiedano asilo proprio nel giorno in cui si contano a decine sbarchi e avvistamenti di barconi a Lampedusa. Ieri l’isola ha vissuto infatti uno dei momenti più critici dall’inizio dell’emergenza, con 22 avvistamenti di barconi nel canale di Sicilia, sei natanti recuperati e circa 410 migranti sbarcati. Per 136 di questi è stato necessario l’intervento della Guardia di Finanza e della Guardia costiera per il recupero in mare ,dato che le imbarcazioni, gravemente danneggiate, rischiavano di affondare. Sette tunisini sono stati soccorsi dalla Croce Rossa per ipotermia dopo 48 ore passate in mare. E nella notte sono previsti gli arrivi delle altre carrette del mare, che porteranno a quasi mille il numero dei migranti giunti sull’isola delle Pelagie. Intanto dovrebbe arrivare vicino alla Sicilia in piena notte il traghetto "Mistral Express". Secondo le informazioni fornite dall’imbarcazione, che ha chiesto di sostare nel porto siciliano di Augusta per fare rifornimento prima di ripartire alla volta del Marocco, a bordo vi sarebbero 1.715 passeggeri marocchini, 39 libici, 35 algerini, 26 egiziani, oltre a sette tunisini, e 14 subsahariani di diverse nazionalità oltre a 83 membri dell’equipaggio. Sarebbe stato lo stesso governo di Rabat ad affittare la nave per riportare a casa i connazionali in fuga dalla Libia, ma non sono chiare le reali intenzioni degli immigrati imbarcati. E, finché non ci saranno certezze, non sarà consentito l’accesso in acque italiane. Si tenterà piuttosto di effettuare il rifornimento in mare a meno di un’emergenza umanitaria. La Marina militare ha inviato in zona il pattugliatore "Sfinge", mentre la centrale operativa della Guardia costiera sta seguendo la rotta del traghetto. La vicenda ha innescato polemiche. Secondo il Pd, "il rifiuto preventivo del Viminale di concedere l’attracco della nave ad Augusta sarebbe incomprensibile, le norme internazionali ci impongono di verificare la presenza a bordo di persone che hanno il diritto di chiedere lo status di rifugiato". Secondo Laura Boldrini, portavoce dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, sarebbe un falso allarme: "Dalle notizie che abbiamo, è probabile che si tratti di un’evacuazione umanitaria e che la nave marocchina non abbia potuto rifornirsi a Tripoli. Finora i lavoratori in fuga dalla Libia sono tornati a casa". Paolo Lambruschi
15 marzo 2011 MAGHREB IN FIAMME Libia, raid a Zuara e Ajdabiya I caccia libici hanno condotto questa mattina nuovi raid aerei contro le postazioni dei ribelli nella città di Ajdabiya, in Cirenaica, e a Zuara, in Tripolitania. Lo riferisce l'inviato della tv araba al-Jazeera. Ad Ajdabiya è entrata in azione solo l'aviazione, mentre a Zuara si parla anche di intensi cannoneggiamenti da parte dei carri armati che si trovano nella periferia della città. GHEDDAFI: CHOCCATO DAGLI "AMICI" EUROPEI "La nostra guerra è contro al Qaida" ma se gli occidentali "si comportano con noi come hanno fatto in Iraq, la Libia uscirà dall'alleanza internazionale contro il terrorismo. Ci alleiamo con al Qaida e dichiariamo la guerra santa". Lo dice in un'intervista esclusiva al Giornale Muammar Gheddafi, spiegando di essere "realmente choccato dall'atteggiamento dei miei amici europei. In questa maniera hanno messo in pericolo e danneggiato una serie di grandi accordi sulla sicurezza, nel loro interesse e la cooperazione economica che avevamo". Il Colonello si sente "tradito" anche dal premier Silvio Berlusconi: "Non ho più alcun contatto con l'Italia e Berlusconi. Quando il vostro governo sarà sostituito dall'opposizione ed accadrà lo stesso con il resto del'Europa il popolo libico prenderà, forse, in considerazione nuove relazioni con l'Occidente". Gheddafi assicura quindi che non c'è spazio di dialogo con i ribelli perchè "il popolo" è dalla sua parte. È "la gente" che "chiede di intervenire" contro le "bande armate. Negoziare con i terroristi legati ad Osama Bin Laden -rimarca il leader libico- non è possibile. Loro stessi non credono al dialogo, ma pensano solo a combattere e ad uccidere. La popolazione ha paura di questa gente e dobbiamo liberarla".
2011-03-14 14 marzo 2011 MAGHREB IN FIAMME Libia, Gheddafi verso Bengasi Mosca mette al bando il rais La tv di Stato libica ha annunciato che la città di Brega, nell'est, è stata "ripulita delle bande armate"'. Gli insorti si stavano ritirando dopo i massicci bombardamenti da parte delle forze fedeli a Gheddafi. Ieri si erano ritirati da al-Uqaila, che è caduta nelle mani delle forze fedeli al colonnello Gheddafi. A Bengasi interrotte tutte le comunicazioni dei telefoni cellulari.
"A Tobruk quattro quartieri della periferia hanno alzato la bandiera verde"' delle forze leali a Muammar Gheddafi. Lo ha affermato il portavoce delle forze armate libiche Milad Hussein Al Foghi. Il colonnello ha poi precisato che nell'immediato l'obiettivo dei militari libici è quello di arrivare alle porte di Ajdabiya, che dista circa 250 chilometri da Bengasi ed e' l'obiettivo più vicino dopo la conquista ieri di Ras Lanuf e Marsa El Brega. Le forze armate libiche marciano verso Bengasi per ''liberare la popolazione ostaggio dei terroristi'' dopo la vittoriosa offensiva verso est delle ultime ore. Lo ha affermato il portavoce delle forze armate libiche Minad Hussein incontrando i giornalisti a Tripoli. La televisione di stato libica ha affermato che i porti petroliferi nel Paese sono "sicuri" e stanno riprendendo le attività dopo la fine degli "atti di sabotaggio". Ha quindi invitato le compagnie petrolifere a tornare a caricare il greggio e i lavoratori degli impianti a tornare al lavoro. Stati Uniti e paesi occidentali del Consiglio di Sicurezza dell'Onu si sono detti soddisfatti per la decisione presa dalla Lega Araba di chiedere ufficialmente l'istituzione di una no-fly zone internazionale sui cieli della Libia, giudicandola però un passo avanti insufficente per essere decisivo. La Casa Bianca ha accolto con soddisfazione "l'importante passo" della Lega Araba che "rafforza la pressione internazionale su (Muammar) Gheddafi e appoggia la gente della Libia". Il presidente russo Dmitri Medvedev ha annunciato oggi che il leader libico Muammar Gheddafi e la sua famiglia non potranno entrare in Russia e che sarà bandita la possibilità di condurre operazioni finanziarie libiche in territorio russo.
13 marzo 2011 La crisi libica e il ruolo della superpotenza America, l'"obbligo" di agitare le armi La perdita di influenza degli Stati Uniti nel Mediterraneo (di cui fortunatamente nessun rivale strategico o regionale è ancora riuscito ad approfittare) è impressionante. Essa è resa paradossalmente evidente dal fatto che un presidente come Obama, della cui sincera preferenza per gli argomenti della persuasione rispetto a quelli della forza non abbiamo ragione di dubitare, si ritrova costretto contemplare tutta la vanità (nella sua duplice accezione) del soft power americano nell’area, e non riesce a fare molto di più che minacciare di ricorrere a una qualche forma di intervento militare per tentare di bloccare Gheddafi. Ovviamente il capo dello Casa Bianca sa bene quanto siano rischiose e vincolate le iniziative militari: tanto più in terre islamiche, dopo l’11 settembre e con due teatri operativi (Afghanistan e Iraq) ancora aperti. E possiamo immaginare la sua espressione sconsolata nel contemplare che, dopotutto e nonostante il suo elevatissimo costo politico, lo strumento militare resta il solo nella piena disponibilità del presidente e il solo in cui gli Stati Uniti ancora non temano rivali. Come abbiamo sostenuto più volte, mille ragioni sconsigliano un passo simile, e però il dilemma presidenziale è profondo, perché gli avvenimenti in corso nel Mediterraneo potrebbero ridisegnare non solo il quadro regionale, ma l’intero assetto strategico globale e segnare un rapido declino strutturale e permanente degli Stati Uniti come superpotenza globale.
Gli Stati Uniti giustificano agli occhi del mondo la propria posizione di global superpower per la funzione di garante dell’ordine e della sicurezza in due aree: il Medio Oriente allargato e l’Estremo Oriente. Il Medio Oriente è un’area tradizionalmente turbolenta, ma dalla quale finora non sono emersi mai credibili sfidanti anche solo in grado di imporre la propria leadership regionale. Neppure l’Iran, che pure in questi anni ha ottenuto molti vantaggi tattici, migliorando le proprie posizioni in Libano, a Gaza, in Iraq, in Afghanistan e più complessivamente nel Golfo, può seriamente essere presentato come un potenziale egemone: almeno finché Israele mantiene la sua supremazia militare e fino a quando non dovesse collassare completamente l’intero sistema regionale, a partire da Egitto e Arabia Saudita, cosa che è ancora di là da venire.
L’Estremo Oriente è un’area tradizionalmente più stabile, per lo meno a partire dalla fine della guerra del Vietnam, quando l’abilità di Nixon e Kissinger riuscì a trasformare una traumatica sconfitta militare in un successo diplomatico, traghettando compiutamente la Cina di Mao nel fronte antisovietico a guida americana. Ma è nel Far East che dall’inizio del Novecento sono continuativamente presenti grandi potenze regionali e bicontinentali (il Giappone, la Russia) e soprattutto è nel Far East che sta sorgendo quello che è ritenuto da molti il possibile futuro sfidante globale degli Stati Uniti: la Cina. Senza più la capacità di essere decisivi in questi due teatri (al netto dei danni economici immaginabili), gli Usa si vedrebbero scalati allo status di una grande potenza bicontinentale (atlantica): fortissima sul piano nucleare (come la Russia), ma dal peso politico ed economico calante (rispetto a una Cina ancora molto più indietro, ma dal trend in forte continua ascesa). Se la perdita di influenza che gli Usa stanno sperimentando in questi mesi nel Mediterraneo e nel Medio Oriente dovesse risultare stabile, quindi, agli Stati Uniti resterà solo il delicato e competitivo teatro dell’Asia Orientale per continuare ad affermare il proprio ruolo, cioè un teatro caratterizzato da un affollamento di potenze (medie, grandi e magari globali). È facile capire quali potrebbero essere le conseguenze negative di una perdita di centralità strategica dell’America sul ruolo del dollaro: un asset che oggi è più cruciale che mai per la gestione dei deficit (finanziario, commerciale e federale) e per la possibilità di "socializzarne" internazionalmente il costo alimentando un po’ di inflazione, e così scaricando anche sul resto del mondo il costo delle proprie politiche di sostegno a economia e occupazione. Ecco perché Obama, pur non amandola affatto e conscio dei rischi che comporterebbe, non può affatto premettersi di scartare l’ipotesi di un intervento militare capace di riaffermare il ruolo e lo status degli Stati Uniti nel Medio Oriente allargato. Vittorio E. Parsi
13 marzo 2011 La crisi libica e la prova che tocca all'Unione Europa, gli errori fatti e quelli da evitare Sbagliare fa parte della normale fisiologia dell’agire. Perseverare nell’errore, anche in diplomazia, può essere diabolico. Forse non a caso il leader di un’ipotetica Europa unita assume spesso nella letteratura un carattere luciferino, come nel Racconto breve dell’Anticristo di Solov’ëv e nel più recente romanzo Il nemico di Michael O’Brien. Nessuna puzza di zolfo oggi a Bruxelles, sia chiaro, ma qualche imbarazzo e qualche titubanza di troppo di fronte alla crisi del Maghreb, certamente sì. Tralasciamo pure le incoerenze e le volute omissioni più patenti del passato, quando scendere a patti con autocrati di varia ferocia era ritenuto il male minore rispetto al rischio fondamentalista e al caos che avrebbe potuto mettere in pericolo gli approvvigionamenti energetici e aprire le rotte delle migrazioni verso la sponda settentrionale del Mediterraneo. Scelta una linea di totale appeasement, la cosa più grave è stata lasciarsi completamente sorprendere dalle proteste e dal loro esito rivoluzionario in Tunisia e in Egitto. E dal contagio in Libia. Davanti al fatto compiuto, è stato inevitabile fare buon viso a cattivo gioco, con almeno l’alibi (sincero o meno) di un cammino verso democrazie non soltanto di facciata. Ma sarebbe del tutto illusorio pensare che la situazione a Tunisi e al Cairo andrà presto stabilizzandosi, con governi dimentichi del passato e pronti, magari per necessità, a stringere nuove collaborazioni con l’Europa. Così come sottovalutare i sommovimenti di altri Paesi arabi. Ma dove si rischia ancor di più con un atteggiamento altalenante e attendista è, ovviamente, il fronte di Tripoli. Al Gheddafi "convertito" all’Occidente si sono fatte negli anni aperture di credito che non contemplavano una sua traumatica uscita di scena. Eppure, dopo pochi giorni dallo scoppio delle insurrezioni, è cominciata una scoordinata corsa dei singoli membri dell’Unione a prendere le distanze dal regime e ad allacciare contatti con l’autoproclamato Consiglio nazionale di transizione. Doverosa la condanna delle uccisioni di civili, poco lucida la scelta che ci ha portato a rendere di fatto impossibile un proseguimento di relazioni con il Colonnello prima che fosse chiaro il suo destino. E che ora impone di fare sì che lasci la Libia e finisca, se possibile, davanti alla Corte penale dell’Aja. Detto in altre parole, l’Europa finora ha osservato e si è dimostrata assai riluttante a fare mosse decise su uno scacchiere cruciale ai suoi confini. La Francia che fino all’ultimo ha flirtato con Ben Ali propone di bombardare i bunker del rais, gli altri grandi del Continente frenano, con l’eccezione forse di Londra. La proposta di coinvolgere Lega Araba e Unione Africana in un tentativo di concertazione per avere la legittimazione Onu alla zona di non volo può essere un passo nella giusta direzione. Ma bisogna accelerare i tempi, prima che Gheddafi riconquisti il controllo sulle principali città e l’intervento si configuri come una tardiva sanzione, non diversa alla fine dall’attacco a Saddam Hussein. Non si può prescindere dalle posizioni americane, va da sé, eppure definire alcune linee comuni, che coniughino in modo accettabile real politik (modulare i flussi migratori e non perdere le forniture di gas e petrolio) con un sostegno a regimi più liberali, benefici per i popoli che governano e lontani da derive fondamentaliste, dovrebbe essere la priorità perché la Ue non precipiti nell’irrilevanza. Non è impresa facile, ma da porre subito in cima all’agenda. Anche per quanto riguarda Italia. Perché non si può nascondere che il nostro Paese abbia molto concesso alla Libia e si trovi ora in uno scomodo guado tra vecchie condiscendenze e nuove intransigenze. Dedicare un po’ di zelo del nostro dibattito pubblico alla politica internazionale non potrebbe che essere salutato con favore. Non lasciamo che l’Europa si macchi ancora di ignavia. Andrea Lavazza
14 marzo 2011 KABUL Afghanistan, attacco kamikaze decine di morti Un attentatore suicida si è fatto saltare in aria oggi vicino ad un Centro di reclutamento della polizia nella provincia settentrionale afghana di Kunduz causando "decine di morti". Lo hanno reso noto le autorità locali. L'attacco, scrive l'agenzia di stampa Pajhwok citando il portavoce del governo provinciale Mahbubullah Saedi, è avvenuto verso le 14 (10,30 italiane) vicino a Spin Zar, nel primo distretto di polizia di Kunduz City.
2011-03-12 12 marzo 2011 LIBIA La controffensiva di Gheddafi: attacco a Misurata Le forze di Gheddafi continuano la controffensiva. Dopo aver continuato a martellare tutta la giornata Ras Lanuf con raid aerei, sono passati ad attaccare anche la città di Misurata controllata dai ribelli. Il generale Abdel-Fattah Younis, ex ministro dell'Interno ora a capo dei ribelli in Libia, ha ammesso che gli insorti hanno perso il controllo di Ras Lanouf. Anche se si continua a combattere duramente nella città libica, mentre - secondo i ribelli - l'aviazione fedele al colonnello, Muammar Gheddafi, ha bombardato di nuovo la località di Brega. Secondo il portavoce del ribelli, Mustafa Geriani, alcuni residenti hanno cominciato ad abbandonare Brefa, che è già stata bombardata nei giorni scorsi. Geriani ha posto l'accento anche sull'importanza del riconoscimento internazionale dei ribelli come interlocutori del popolo libico: "Con il riconoscimento del Consiglio nazionale (di Transizione), speriamo che la gente abbandoni Gheddafi", ha detto il portavoce, secondo cui anche chi ancora sostiene il leader libico, una volta che Gheddafi rimanga isolato, lo abbandoneranno. Le truppe di Gheddafi, che hanno sostenuto per tutta la settimana duri combattimenti nell'enclave petrolifero di Ras Lanuf, minacciano Brega e da lì Ajdabiya, a 170 chilometri a sud di Bengasi. Questa città, diventata la retroguardia dei miliziani e il principale bastione dei ribelli prima di Bengasi, ha assunto un ruolo chiave sulla principale rotta di comunicazione con la capitale provvisoria del Consiglio Nazionale di Transizione. Intanto i ministri degli Esteri della Lega Araba, riuniti al Cairo, hanno chiesto al Consiglio di Sicurezza dell'Onu di assumersi le proprie responsabilità per imporre una zona di esclusione aerea sulla Libia. In mattinata il segretario generale della Lega Araba, Amr Mussa, si era detto favorevole all'imposizione di una no-fly zone sulla Libia e auspicato che l'organizzazione panaraba "svolga un ruolo" nella sua attuazione. Catherine Ashton, l'Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione europea, arriverà al Cairo nella tarda giornata di oggi per incontrare i leader della Lega araba, con i quali discuterà della situazione in Libia. La partenza è prevista a conclusione di un incontro in Ungheria con i ministri degli Esteri dell'Unione. La Ashton ha detto che parlerà di un "approccio di collaborazione" con il segretario generale della Lega, Amr Moussa. La Ashton ha detto che è necessario valutare l'efficacia delle sanzioni già imposte al regime di Muammar Gheddafi "mantenendo tutte le opzioni di andare avanti con eventuali misure aggiuntive".
12 marzo 2011 L'OFFENSIVA DI SANGUE Il rais minaccia l'Europa: sarete invasi dai terroristi Le forze di Muammar Gheddafi avanzano verso Est, avvicinandosi sempre più alla Cirenaica "liberata". Il Colonnello sta ribaltando la situazione a lui sfavorevole fino a qualche giorno fa schiacciando con la capacità militare del regime i rivoltosi che pure resistono in tante parti del Paese. Anche ieri gli scontri si sono concentrati a Ras Lanuf, strategico nodo petrolifero nel Golfo della Sirte e "porta" della Cirenaica. Le truppe governative hanno messo in atto una manovra a tenaglia che ha fatto capitolare la città: dal deserto sono entrati nella periferia 150 uomini appoggiati dai carri armati, mentre sul litorale si sono appostate quattro navi che hanno preso a martellare la costa. Poco più tardi, è cominciata ance l’offensiva dal cielo: i caccia hanno fatto raid sui checkpoint istituiti dai ribelli a est della città e sono andati anche oltre la linea del fronte, sganciando bombe sulla città di Uqaylah. Secondo al-Jazeera sono sei le persone morte negli scontri. La tv di stato ha mostrato le prime immagini delle brigate del rais nel centro abitato di Ras Lanuf. E ha inquadrato alcuni residenti che festeggiavano l’ingresso delle truppe di regime. I ribelli, in serata, hanno detto di essere riusciti a mantenere sacche di resistenza nel centro della città. Ma da Ral Lanuf, come da Zawia (la città riconquistata giovedì dai governativi) sono arrivati appelli alla Comunità internazionale affinché istituisca una zona interdetta al volo. "Tutto ciò che vogliamo – hanno spiegato i rivoltosi a Zawia – è una no-fly zone per impedire a Gheddafi di far volare i suoi aerei". Mentre la Comunità internazionale valuta la possibilità, il rais attacca anche sul fronte "esterno". Ieri ha minacciato l’Europa di ritirare il sostegno della Libia alla guerra contro il terrorismo internazionale e di bloccare qualsiasi forma di prevenzione dei flussi migratori clandestini, sottoponendo la Ue a una "invasione" di terroristi. "Se l’Europa non non appoggia il ruolo attivo della Libia nella lotta contro l’immigrazione e come garante della stabilità in Nord Africa – ha detto il Colonnello all’agenzia ufficiale Jana –, la Libia sarà obbligata a ritirare i suoi sforzi nella lotta contro il terrorismo e a cambiare completamente la sua politica verso al-Qaeda". "Milioni di neri affluiranno verso l’Europa", ha concluso Gheddafi. Oltre alla tv di Stato, il regime utilizza per la propaganda anche Sms "di massa". Ieri i cittadini libici si sono visti recapitare sul cellulare alcuni messaggi in cui veniva comunicato che le città della Cirenaica in mano agli insorti, in particolare Bengasi e Ajdabiya, "verranno a breve riconquistate". Nell’ovest del Paese, invece, continua a regnare una calma assurda. Ieri, venerdì di preghiera, la capitale era deserta e "isolata". I miliziani del regime controllavano i punti nevralgici, tenendo ben lontani i giornalisti. Le connessioni a Internet andavano a rilento e Facebook e Twitter erano inaccessibili. "La gente ha paura, sta chiusa in casa – ha raccontato monsignor Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, all’agenzia Fides –. Si vuol dare l’impressione di una vita normale, ma la situazione non è certo normale". Intanto, sono stati liberati i tre militari olandesi catturati a Sirte il 27 febbraio durante le operazioni di evacuazione di alcuni connazionali. Hanno già lasciato la Libia. Barbara Uglietti
12 marzo LA CRISI IN LIBIA I Ventisette: "Gheddafi è finito, lasci" Muammar Gheddafi se ne deve andare, il Consiglio nazionale di transizione (i ribelli cioè che resistono nella zona est della Libia) è di fatto il nuovo interlocutore politico (se pure non ufficialmente riconosciuto come governo separatista), non ci sarà per il momento una no-fly zone e qualsiasi opzione militare, dal blocco navale che sta studiando la Nato fino all’intervento diretto sul suolo libico con bombardamenti mirati potrà avvenire solo dopo una risoluzione dell’Onu e un’intesa con la Lega Araba e l’Unione Africana. Potrebbe sembrare che l’Unione Europea, riunita a Bruxelles in un vertice straordinario dei capi di Stato e di governo dedicato alla crisi nordafricana e soprattutto alla Libia, abbia preso tempo, stemperando com’è sua abitudine il decisionismo di Sarkozy, i bagliori bellicosi di Cameron e le sollecitazioni di Washington in quella prosa un po’ melliflua e avviticchiata su se stessa che spesso è il marchio di fabbrica dell’Europa dei Ventisette. Ma questa volta non è del tutto vero. Questa volta l’urgenza di una crisi che ghermisce il lembo meridionale d’Europa e che non è certo più possibile liquidare come un evento regionale considerate le implicazioni geopolitiche, sociali, economiche e i riflessi che questa crisi finirà per avere sull’intera Ue ha messo davvero in allarme l’Europa, dalla Svezia a Malta. Infatti mentre la Ue congela i beni del rais e mette in mora gli asset controllati da Lia, Lafico e dalla Banca centrale libica, Gheddafi minaccia apertamente l’Europa di aprire le porte a un’immigrazione incontrollabile e forse addirittura di fiancheggiare al-Qaeda. "Chiediamo l’organizzazione di un vertice a tre sulla questione della Libia che interessa sia i Paesi africani ed arabi, ma anche l’Europa in modo diretto", dice il presidente della Commissione Barroso. "Abbiamo detto chiaramente alle autorità libiche – spiega il presidente permanente della Ue Van Rompuy – che l’uso della forza contro i cittadini deve finire e che i responsabili andranno incontro a gravi conseguenze. Gheddafi deve dimettersi senza più ritardi e tutti i 27 Paesi lo hanno sottoscritto in maniera forte e chiara. Abbiamo la situazione sotto costante monitoraggio e manterremo la pressione su di lui". "L’Europa – dice l’Alto rappresentante per la politica estera Catherine Ashton – non deve avere fretta di prendere decisioni sulla Libia senza l’Onu. Il ruolo più importante sarà quello della Lega Araba, i cui ministri degli Esteri si riuniscono oggi. Io sarò al Cairo domenica per parlare con Amr Moussa per mostrargli l’importanza che noi diamo al loro ruolo". Niente bagliori di guerra, insomma, per il momento, senza contare il sostanziale veto di Angela Merkel: "Vista la situazione odierna – ha detto il cancelliere tedesco –, non vedo possibile una missione militare. Ogni giorno ci si presenta con una situazione nuova, invece occorre agire su chiare base legali, ovvero in presenza di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Se ci saranno tutte le condizioni, vedremo le opzioni sul tavolo. Per ora Berlino vuole aspettare e vedere come si evolve la situazione". "Abbiamo ritenuto di non citare la no-fly zone nel documento – conferma Silvio Berlusconi –, ma siamo attenti a tutte le opzioni che si rendessero necessarie, in accordo tuttavia con Onu, Lega Araba e Unione Africana. La Ue si comporterà in accordo con le decisioni di questi organismi. Abbiamo confermato che il colonnello Gheddafi non può più essere ritenuto un interlocutore per l’Europa. Con lui ho parlato solo una volta, due o tre settimane fa, poi non più. Quanto agli aiuti umanitari alla Libia, spero che il nostro esempio venga seguito e che il mio appello venga accolto, come mi è sembrato di capire, dagli altri capi di Stato e di governo: noi italiani per primi li abbiamo aiutati, trasportando ad esempio in patria molti egiziani". Sulla sostanziale unanimità dei Ventisette svetta tuttavia lo squillo di guerra di Sarkozy (con qualche eco spagnola, visto che Zapatero fa sapere che si potrebbe agire anche senza mandato Onu), che già nelle scorse ore aveva ventilato la possibilità di un intervento unilaterale francese sul suolo libico: "Se Gheddafi continuerà a prendere di mira i civili – dice Sarkozy – sarà necessario valutare una risposta militare: nessuno vuole un intervento militare, ma è chiaro che l’Europa sta mandando un messaggio e non vuole escludere questa opzione. Per questo gli Stati membri considereranno tutti le opzioni necessarie, non solo diplomatiche". Scarse le speranze che Gheddafi si arrenda o lasci spontaneamente la Libia. Dice Berlusconi: "Dal momento in cui qualcuno ha avanzato la proposta di sottoporlo al Tribunale penale internazionale, credo si sia radicata in lui l’idea di restare al potere e credo che nessuno possa fargli cambiare idea. Quanto all’esilio, non credo ci sia più questa possibilità dopo la caduta di legittimità internazionale". Per una volta abbiamo visto un’Europa soggetto attivo, al di là delle inevitabili dinamiche interne, e non il consueto fantasma di un club di nazioni prigioniere dei propri egoismi nazionali. Ci voleva la crisi libica perché accadesse. Giorgio Ferrari
2011-03-10 10 marzo 2011 MAGHREB IN FIAMME Sarkozy, sì a bombe sulla Libia Frattini: l'Italia è contraria Sarkozy avrebbe proposto di attaccare tre obiettivi: l'aeroporto militare di Sirte, a 500 chilometri da Tripoli, quello di Sebha, nel sud della Libia al confine con il Chad, e Bab al-Azizia, il quartier generale del colonnello Gheddafi a Tripoli. Si tratterebbe di "colpire un numero estramente limitato di bersagli, le zone da dove partono gli attacchi dell'aviazione libica contro la popolazione", ha spiegato la fonte, aggiungendo che durante l'incontro odierno fra Sarkozy e i membri del Consiglio di Bengasi uno dei delegati dei ribelli avrebbe suggerito di "distruggere il sistema di comunicazione" degli ordini di Gheddafi e il presidente francese avrebbe risposto: "È una buona idea". Interpellato dall'AFP, l'Eliseo non ha voluto confermare la notizia. "È prematuro parlarne. Bisogna ottenere le autorizzazioni giuridiche per utilizzare la forza contro Gheddafi". FRATTINI: L'ITALIA NON PARTECIPERA' A BOMBARDAMENTI "L'Italia chiede decisioni europee, condivise e unanimi". Lo ha affermato Franco Frattini nel corso del Consiglio informale dell'Ue a Bruxelles, riferendosi alla decisione con cui la Francia ha riconosciuto il Consiglio nazionale dei ribelli libici come unico e legittimo rappresentante del Paese. "Deve essere l'Europa a decidere, sia sulle sanzioni così come sui contatti con l'opposizione", ha aggiunto il capo della diplomazia italiana. Frattini ha anche affermato che l'Italia è comunque disponibile "ad accompagnare una eventuale missione Ue a Bengasi", dal momento che Roma sta per riaprire il proprio consolato nella città della Cirenaica. L'Italia inoltre non parteciperà ai bombardamenti mirati sulla Libia, che, secondo fonti vicine all'Eliseo, saranno proposti domani dal presidente francese, Nicolas Sarkozy, nel corso del Consiglio europeo straordinario. A precisare la posizione di Roma è stato sempre il ministro Frattini. "L'Italia vuole una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu" e quindi non un attacco diretto alle forze libiche bensì un controllo delle forze aeree di Gheddafi. VAN ROMPUY: L'UE NON PUO' STARE A GUARDARE L'Unione europea non può restare a guardare le violenze in Libia contro la popolazione, e Gheddafi se ne deve andare. È il messaggio del presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy alla vigilia del vertice straordinario di domani dedicato al Nord Africa. "Renderemo chiaro alla auotrità libiche che l'uso della forza contro i cittadini deve cessare, e i responsabili subiranno gravi conseguenze" tanto che "l'attuale leadership deve lasciare il potere senza aspettare oltre", ha dichiarato Van Rompuy, sottolineando che per questo "l'Ue non può semplicemente stare a guardare quando la sicurezza della popolazione è in gioco". GHEDDAFI CONTRATTACA SU TRE FRONTI Gheddafi attacca su tre fronti. Va in tv e minaccia l’Occidente. Sgancia bombe sui ribelli, ormai assediati nell’Ovest. Spedisce emissari in Europa per cercare un abbocco diplomatico. Il Colonnello non si arrende. E dal suo bunker a Tripoli si dimostra ancora in grado di muovere i fili della Libia, incurante di una spaccatura che sta lacerando il Paese, sordo alle pressioni di Stati Uniti ed Unione Europea. L’offensiva mediatica. Ha fatto arrivare duecento giornalisti stranieri nella hall dell’Hotel Rixos a Tripoli spiegando di avere "cose da chiarire". Li ha lasciati lì nove ore ad aspettare. Poi se ne è andato con le sue amazzoni dopo aver "concesso" un’intervista a due sole tv: una francese e una turca. In perfetto stile-Gheddafi, il Colonnello ha iniziato in questo modo la sua offensiva mediatica. Nel mirino, l’Occidente, accusato di condurre un "complotto" per "colonizzare di nuovo" il suo Paese. Il leader libico ne ha avute in particolare per la Francia (che insieme alla Gran Bretagna sostiene la linea dura sulla no-fly zone), dicendo di non escludere misure di rappresaglia contro Parigi. E ha quindi accusato le potenze straniere di essere coinvolte nella ribellione. "Vogliono umiliare il popolo libico, ridurlo in schiavitù, e controllare il petrolio", ha denunciato il Colonnello. Che ha minacciato: se le potenze occidentali imporranno la no-fly zone sul Paese, "il popolo libico impugnerà le armi contro di loro". Gheddafi è poi tornato ad agitare lo spettro del terrorismo, sostenendo che al-Qaeda avrebbe fatto il "lavaggio del cervello" ai ribelli. E tra le "contromisure" il regime ha messo una taglia di 500mila dinari (290mila euro) sulla cattura e la consegna di Mustafa Abdel Jalil, presidente del Consiglio nazionale libico (l’organismo nato alcuni giorni fa che rappresenta gli insorti e ha sede a Bengasi). La tv di Stato lo ha definito una "spia". Nell’intervista alla tv turca Trt, Gheddafi ha poi aggiunto che se al-Qaeda si impadronirà del suo Paese "l’intera regione fino a Israele si ritroverà in preda al caos". Più volte, nei suoi precedenti interventi, il leader libico aveva detto di sentirsi "tradito" dai Paesi occidentali con i quali aveva un "accordo" per combattere la rete internazionale del terrore. Ieri è tornato a rivolgere un appello, a modo suo, alla Comunità internazionale, chiedendo "capisca che dobbiamo impedire a Benladen di prendere il controllo della Libia e dell’Africa". L’offensiva diplomatica. Sarà forse per aiutare la Comunità internazionale a "capire" che ieri Gheddafi ha inviato emissari verso il Cairo e destinazioni europee. I tre Falcon privati del Colonnello sono decollati in tarda mattinata dall’aeroporto di Tripoli. Facendo addirittura pensare, in prima battuta, a un tentativo di fuga del leader libico. Non era così. A bordo del jet atterrato al Cairo c’era il generale Abdel Rahman Ben Ali el-Said al-Sawi, responsabile delle forniture militari, con un messaggio per il capo del Consiglio supremo delle forze armate egiziane, Hussein Tantawi. Forse al-Sawi incontrerà anche il segretario generale della Lega Araba, Amr Moussa. Un altro volo si è fermato a Malta. Gli emissari di Tripoli hanno incontrato funzionari della Valletta poi il volo è ripartito per Lisbona (il Portogallo martedì è stato nominato alla presidenza del Comitato per le sanzioni alla Libia creato con la Risoluzione 1970 dell’Onu). Il ministro degli Esteri portoghese Luis Amado si è reso infatti disponibile ad avere colloqui con gli inviati libici. Secondo fonti a Lisbona, l’incontro sarebbe stato concertato con l’Alto rappresentante per la politica estera Ue Catherine Ashton. Ma altre fonti hanno detto che la Ashton sarebbe stata semplicemente "al corrente" della cosa. Un terzo aereo si è diretto verso Bruxelles. Ma fonti della Ue e della Nato hanno fatto sapere di non avere alcun incontro in programma con gli emissari di Gheddafi. Si sono inoltre diffuse voci che uno dei tre Falcon avesse fatto scalo in Italia, ma la Farnesina ha smentito "nei termini più categorici". Piuttosto, da Bengasi, il portavoce del Consiglio nazionale, Abdel Hafiz al-Ghogha, ha fatto sapere che "ci sono contatti con il governo italiano che stanno andando nella giusta direzione". "Abbiamo avuto colloqui telefonici con il ministro degli Esteri Franco Frattini" ha riferito Ghogha, senza però specificarne il contenuto. L’offensiva militare. Intanto, Gheddafi continua a riconquistare terreno nell’ovest del Paese. I carri armati delle forze fedeli al Colonnello hanno dato l’assalto finale ai rivoltosi assediati nel centro di Zawia. La raffineria della città è stata chiusa a causa dei combattimenti. Fonti mediche hanno detto che nella sola giornata di ieri state 40 le vittime nel centro abitato. Altre fonti sanitarie, da Bengasi, hanno fatto sapere che sono almeno 400 i morti e 2.000 i feriti in tutto il Paese dall’inizio della rivolta. In serata, le forze filo-governative avrebbero ripreso il controllo di Zawia: la tv di Stato ha trasmesso le immagini di centinaia di sostenitori del regime nella piazza principale. Ma secondo i rivoltosi, il centro della città è ancora sotto il loro controllo. Si è combattuto pesantemente anche nel Nord-est, dove, nei giorni scorsi, sembrava essersi attestato il fronte più avanzato delle forze di opposizione in marcia dalla Cirenaica. Il regime ha bombardato con i caccia tutta l’area di Ras Lanuf, nel golfo di Sirte, da giorni in mano ai ribelli, colpendo anche il terminal petrolifero e una cisterna di gas. L’inviato della Bbc ha parlato di ameno due morti negli scontri. La tv di Stato ha accusato al-Qaeda di aver fatto esplodere il pozzo. Secondo fonti concordanti, gli insorti hanno cominciato la ritirata anche da questa città, nodo strategico per il petrolio. Barbara Uglietti
10 marzo 2011 LA REAZIONE DEL MONDO "Interventi anche senza Onu per inviare gli aiuti ai civili" Gli Stati Uniti e gli alleati europei stanno studiando, nell’ambito della Nato ma non solo, la possibilità di usare navi per distribuire aiuti alimentari in Libia e per impedire le forniture di armi al regime di Muammar Gheddafi. A svelare un retroscena della difficile partita diplomatica in corso sull’emergenza libica è stato ieri il Washington Post, che ha citato come fonti alcuni ufficiali statunitensi ed europei. Secondo il quotidiano, si tratterebbe di una delle alternative allo studio per agire in Libia, dato che per un intervento a carattere militare, tra cui una no-fly zone, occorrerebbe un via libera dell’Onu al momento difficile da ottenere, vista l’opposizione di Russia e Cina. "Con un mandato dell’Onu lungi dall’essere garantito – scrive il giornale – chi è favorevole ad una forma di intervento, e tra questi Usa, Francia, Gran Bretagna ed Italia, è alla ricerca di appoggi alternativi". L’appoggio a un’operazione internazionale potrebbe venire anche dai blocchi regionali, come era successo con gli attacchi della Nato in Serbia. Nel caso della Libia, se si prendono in considerazione gli appoggi potenziali all’operazione – dalla Lega Araba all’Unione Africana, dalla Nato all’Ue – si nota che sono presenti tutti i Paesi che si trovano entro un raggio di 8mila chilometri circa dalla Libia. L’azione navale, con appoggio aereo, consisterebbe nel fornire aiuti alimentari e garantire la sicurezza, scortandole, delle navi civili che intendono attraccare a Bengasi e nelle altre aree controllate dai ribelli. Un’analoga sorveglianza verrebbe effettuata nei pressi di Tripoli, ma per garantire il rispetto dell’embargo sulle forniture di armi alla Libia. Ciò non toglie che proseguono gli sforzi anche in seno all’Onu per arrivare a una decisione su un intervento con basi più ampie. Il premier britannico David Cameron ha ribadito che se la no- fly zone si renderà necessaria "dovrà avere il più vasto sostegno possibile, ed è questo il motivo per cui stiamo lavorando al testo di una risoluzione del Consiglio di sicurezza". Ma cauti sono ancora diversi Paesi. Nella bozza di conclusioni del vertice Ue di domani si legge che "il Colonnello Gheddafi deve lasciare il potere immediatamente". Ma se sul monito i Ventisette sono tutti d’accordo, le divisioni sulla no-fly zone restano. L’ambasciatore russo presso la Nato, Dmitri Rogozin, ha intanto sostenuto ieri che Usa e Gran Bretagna "stanno preparando un’operazione sul territorio libico fin dal 20 febbraio" e, anche senza avallo delle Nazioni Unite, sfrutteranno qualche azione contraerea delle truppe di Gheddafi per sferrare un attacco ammantato di "autodifesa". Da parte sua il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, non esclude che la comunità internazionale possa in futuro fornire armi ai ribelli libici, se sarà necessario. Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha peraltro spiegato che l’organizzazione non sta cercando di intervenire in Libia, ma sta facendo preparativi militari per "tutte le eventualità". La Nato, così come l’Ue, ha anche precisato che non risulta alcun incontro in programma con emissari del regime di Gheddafi. Ieri si è intanto registrato uno scontro istituzionale a livello europeo sul riconoscimento del Consiglio nazionale libico, istituito dai ribelli anti-Gheddafi. Il capo della diplomazia Ue Catherine Ashton ha infatti respinto la proposta del Parlamento europeo di riconoscere l’organismo libico. "C’è un Consiglio dei capi di Stato e di governo per prendere una tale decisione", ha detto la Ashton nel corso di un dibattito a Strasburgo sulla crisi in Libia. I leader dei grandi gruppi e la maggior parte dei deputati si erano invece espressi a favore del "riconoscimento immediato" chiesto già martedì dai due rappresentanti del Consiglio invitati a Strasburgo. Intanto domattina due emissari del Consiglio, Mahmud Jibril e Ali Essawi, saranno ricevuti all’Eliseo da Nicolas Sarkozy. "Sarà l’occasione per trattare la situazione generale in Libia, in particolare la situazione umanitaria e l’azione del Consiglio", recita una nota della presidenza francese. Ieri un altro emissario, Jebril El Waalfarvi, è stato ricevuto dal presidente svizzero Micheline Calmy-Rey. Paolo M. Alfieri
10 marzo 2011 TENSIONE IN EGITTO Al Cairo riesplode la violenza sui copti È almeno 13 morti e 140 feriti, secondo quanto reso noto dal ministero della Sanità egiziano e dalle Forze armate, il bilancio degli scontri a sfondo religioso avvenuti nei giorni scorsi fra cristiani e musulmani al Cairo. Fra le vittime delle violenze di martedì sera, 6 erano cristiane e 5 musulmane e altri due ancora da identificare. Mentre 25 persone sono state arrestate dalle forze dell’ordine perché coinvolte nei disordini. I feriti, copti e musulmani, sono ricoverati in almeno 3 ospedali cairoti. Teatro della guerriglia durata tutta la notte fra esponenti delle due comunità è stato il quartiere di Moqattam, ai piedi dell’omonima collina di calcare, dove un migliaio di copti si è riunito per protestare contro il rogo di una chiesa avvenuto sabato scorso a Sol, villaggio del governatorato di Helwan, a Sud del Cairo. Dalle dimissioni dell’ex presidente Hosni Mubarak, avvenute l’11 febbraio scorso dopo 18 giorni di manifestazioni popolari che hanno condotto in piazza milioni di egiziani indipendentemente dal loro credo, si tratta delle violenze interconfessionali più accese, difficili da contenere per il governo di transizione e il Consiglio supremo delle Forze armate, intenzionati a garantire la sicurezza e l’unità nazionale. La ricostruzione dei fatti è confusa: in principio, i manifestanti cristiani devono aver bloccato due tratti di tangenziale a Sud del Cairo, a ridosso del quartiere, povero e a maggioranza cristiana, paralizzando il traffico della megalopoli in direzione del centro. Un gesto a cui alcuni concittadini musulmani hanno risposto con violenza inattesa. Secondo alcuni, i militari sarebbero intervenuti avrebbero sparato in aria per disperdere la folla, mentre giovani musulmani e cristiani si affrontavano. Secondo padre Yohanna, della chiesa della Santa Vergine di Moqattam, in realtà sarebbero i militari gli unici responsabili delle morti: "L’esercito ha sparato sui copti e noi abbiamo i proiettili a dimostrarlo", ha spiegato ai media aggiungendo che i giovani musulmani hanno dato fuoco a tre abitazioni, tre depositi di plastica e altrettanti di cartone. "La situazione è grave e l’esercito si trova solo a uno dei sei accessi al quartiere degli zabbalin", comunità cristiana che si occupa da sempre della raccolta dei rifiuti. "Siamo anche preoccupati per quello che può succedere durante i funerali", ha sottolineato il religioso. Il riaccendersi delle divisioni religiose è stato commentato con durezza dalla guida suprema dei Fratelli musulmani, Mohamed Badie, che ha invitato il popolo egiziano a "raccogliersi dietro le forze armate". Badie ha affermato che "i tentativi dei residui del vecchio regime, il Partito nazionale democratico (Pnd) e la Sicurezza di Stato, di riaccendere le discordie in questo delicato momento sollecitano tutti a proteggere lo Stato e le sue istituzioni, a rispettare la legge e a esporre pacificamente le proprie legittime rivendicazioni". Per questo i Fratelli Musulmani hanno esortato a "dare sostegno alle nostre Forze armate e al Consiglio dei ministri perché possano soddisfare le richieste della rivoluzione". Intanto, il premier Sharaf, sospendendo il suo primo Consiglio dei ministri per partecipare a un incontro d’urgenza col Consiglio supremo delle Forze armate, ha chiesto un inasprimento delle pene per gli atti di intimidazione, gli attentati alla sicurezza di tutti i cittadini, non solo la minoranza copta. Da giorni bande armate attaccano manifestanti per strada. L’ultimo episodio è avvenuto in piazza Tahrir ieri pomeriggio. Sarebbe anche stato anticipato alle 21 (e non alle 24), il coprifuoco, ma la tv ha smentito. Infine, in serata, l’ambasciatore italiano al Cairo, Claudio Pacifico, ha chiesto ufficialmente al governo di "assicurare la sicurezza" della minoranza copta.
2011-03-03 3 marzo 2011 MAGHREB IN FIAMME Libia, al via ponte umanitario Obama: Gheddafi se ne vada L'operazione internazionale per evacuare centinaia di migliaia di migranti intrappolati al confine tra la Tunisia e la Libia è partita, ma l'emergenza umanitaria è destinata a intensificarsi con i nuovi bombardamenti aerei compiuti oggi sulla Cirenaica. Centinaia di egiziani sono stati trasferiti verso l'aeroporto di Gerba o il porto di Zarzis, mentre è cominciata l'evacuazione dei migranti intrappolati nel porto di Bengasi. La Germania ha annunciato l'invio di tre navi da guerra per trasferire in Egitto 4mila lavoratori. Il governo italiano ha dato il via libera alla missione umanitaria in Tunisia. Una missione civile partirà alla volta di Bengasi e Misurata. Ci sarà un Fondo nazionale per fronteggiare l'emergenza determinata dai flussi di migranti dal Nordafrica. Lo ha annunciato il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, al termine di un incontro al Viminale con i rappresentanti di Regioni, Province e Comuni. Potrebbe quantificarsi in almeno 50 mila il numero delle persone che potrebbero giungere sulle nostre coste a causa della crisi nel nord Africa. Il dato è stato fornito oggi dal ministro dell'Interno Roberto Maroni al termine di un vertice tecnico al Viminale con i presidenti di Regioni e Province, e alla presenza dei responsabili dell'Anci. Maroni è tornato a parlare di "grave emergenza umanitaria" tra Tunisia e Libia con la necessità di prepararsi "prevedendo una fuga di massa da quei Paesi. Se si verificasse lo scenario peggiore - ha detto poi Maroni - si creerebbe per il nostro Paese una situazione molto grave". Da qui quello che è stato definito un "impatto" di almeno 50 mila arrivi. E intanto la pressione internazionale sul Colonnello cresce. Dall'Aja è stato reso noto che Gheddafi e altri esponenti del regime sono indagati per crimini contro l'umanità dal Tribunale penale internazionale e l'incriminazione dovrebbe arrivare nel giro di "pochi mesi". Nel mirino, Gheddafi, alcuni suoi figli e la cerchia più ristretta del suo regime: tutti rischiano fino a 30 anni di prigione e, se l'"estrema gravità" del caso lo giustificasse, l'ergastolo. La Casa Bianca ha autorizzato l'uso dell'aeronautica militare per evacuare i profughi della Libia, oltre a decidere una serie di aiuti umanitari. Lo ha detto il presidente Usa Barack Obama in una conferenza stampa con il presidente messicano Felipe Calderon. Obama ha detto che gli Usa "si sentono oltraggiati dalle violenze commesse in Libia". "La violenza deve finire, Gheddafi deve andarsene". Ma Gheddafi non molla: ci sarebbero anche 800 guerriglieri separatisti tuareg tra i mercenari al servizio del regime libico: lo hanno riferito fonti dei servizi di sicurezza maliani e nigerini, secondo cui il grosso dei miliziani tuareg proviene appunto da Mali e Niger, ma ve ne sono altri originari dell'Algeria e del Burkina Faso. Intanto le due navi da guerra americane sono ormai prossime alle coste libiche mentre 400 marines sono stati trasferiti in una base Usa a Creta, la Souda. Vi sarebbero stati nuovi bombardamenti aerei su Marsa el Brega, il centro petrolifero nella Cirenaica da ieri teatro di una battaglia tra i ribelli e le milizie fedeli a Muammar Gheddafi, e ad Agedabia. Tre soldati olandesi sono stati catturati da milizie fedeli a Muammar Gheddafi mentre erano impegnati in un'operazione di soccorso umanitario nel nord della Libia, a Sirte. Infine nella crisi libica compaiono un mediatore e un piano di pace. Nella notte il leader libico ha sentito al telefono un suo vecchio amico e alleato. Hugo Chavez, il presidente venezuelano che sostiene Gheddafi, avrebbe ottenuto da quest'ultimo il via libera all'avvio di un negoziato tra il regime ancora in carica e i rivoltosi attraverso la mediazione di una commissione internazionale. Ma i ribelli hanno già respinto la proposta del leader venezuelano, insistendo sul fatto che il colonnello se ne deve andare. E anche la comunità internazionale sembra molto tiepida: "Non è certo la benvenuta una mediazione grazie alla quale a Gheddafi sia consentito di succedere a se stesso", ha già detto il ministro degli Esteri francese Alain Juppè. E anche Nabih Berri, presidente del Parlamento di Beirut ed esponente di primo piano del movimento sciita filo-siriano Amal, ha inviato al leader di Caracas una lettera in cui gli ricorda come Gheddafi sia "un assassino".
3 marzo 2011 LA REAZIONE DEL MONDO L'Aja: presto un mandato per arrestare il Colonnello "Siamo ai primissimi giorni di questa delicata fase investigativa. Il procuratore Luis Moreno Ocampo sta raccogliendo elementi, sulla base dei quali deciderà se emettere un mandato d’arresto internazionale per Gheddafi. Potrebbero volerci poche settimane, forse giorni". Silvana Arbia è il giudice cancelliere della Corte penale internazionale dell’Aja (Cpi). Toccherà a lei garantire la neutralità del procedimento, la protezione dei testimoni e il rispetto del diritto a una giusta difesa. Ad Avvenire anticipa le mosse della Cpi e i passi che saranno compiuti per dare giustizia alle vittime del regime. L’indagine è coordinata dal procuratore Ocampo, che ieri ha ufficializzato l’apertura dell’investigazione annunciando per oggi l’elenco dei crimini di cui è indagato Muammar Gheddafi e una serie di "informazioni preliminari sulle autorità di Tripoli e le persone incriminate". Un’accelerazione necessaria per scongiurare che possano essere commessi "ulteriori reati". Già responsabile di ventidue casi in fase preliminare, Arbia ha presieduto due processi sul genocidio in Ruanda del 1994. Gheddafi è stato ufficialmente indagato dalla Cpi dell’Aja. Ora rischia un mandato di cattura. Cosa consiglierebbe al Colonnello? La presunzione d’innocenza per noi è un presupposto essenziale. Nel caso di un formale atto di accusa, certo sarebbe preferibile che la persona indagata si consegnasse spontaneamente. Finché non vi è una condanna ogni diritto, dalla giusta e adeguata difesa fino a quello del miglior standard di detenzione nell’attesa del verdetto, saranno assicurati". Entro quanto tempo la Corte potrebbe decidere se emettere un mandato di cattura? Potrebbero volerci poche settimane. Stiamo comunque parlando di reati gravissimi, come quello di "crimine di genocidio", per il quale occorrerà ottenere indizi consistenti. Tutto dipenderà dalle prove che verranno raccolte a mano a mano. Inoltre, non essendo la Libia un Paese aderente alla Corte penale dell’Aja, la nostra giurisdizione su questo caso al momento si limita a quanto chiesto dal Consiglio di sicurezza: così come ci chiede l’Onu potremo accusare la leadership libica per quanto avvenuto dal 15 febbraio 2011. Inoltre la procura è in contatto, oltre che con le Nazioni Unite, anche con l’Unione Africana, la Lega degli Stati arabi, e diversi altri Stati. Però nell’inchiesta sul presidente del Sudan Omar el-Bashir, l’ordine d’arresto non è mai stato eseguito ed el-Bashir è rimasto al suo posto. Accadrà lo stesso con Gheddafi? Questo dipenderà dalla reale volontà di collaborazione degli Stati membri della Corte penale internazionale e di quelli che, pur non facendone parte (come Stati Uniti, Cina e Russia), siedono nel Consiglio di sicurezza Onu, che ha invocato un nostro intervento. La Libia, come il Sudan, non è uno Stato membro della Cpi e dunque se possiamo agire è perché le Nazioni Unite ce lo hanno chiesto. Ci aspettiamo che la comunità internazionale, nel caso si decidesse di arrestare Gheddafi, trovi il modo di consegnarcelo al più presto. Quali saranno le prossime mosse della Corte? Verranno raccolte testimonianze dirette, filmati dalle televisioni, immagini girate dai manifestanti, reportage dei giornalisti, prove offerte dalle organizzazioni non governative. Ogni elemento verrà valutato. Il problema, in casi come questi, è che non sappiamo su quale livello di cooperazione degli Stati possiamo contare. Italia compresa. In che senso? Il nostro Paese, pur avendo sottoscritto l’appartenenza alla giurisdizione dell’Aja (lo statuto della Cpi è stato varato proprio nella Conferenza di Roma del 1998, ndr) non ha ancora adattato i propri Codici alle prescrizioni condivise dai 114 Paesi membri, dunque auspichiamo che nel caso di un eventuale processo alla Libia, Roma anche per vicinanza geografica ci aiuti tanto nella fase investigativa quanto su altri fronti, dall’arresto degli imputati alla protezione dei testimoni nel procedimento contro Gheddafi. Non solo Libia, anche in Tunisia ed Egitto la repressione è stata spietata. Quando la corte indagherà anche su questi casi? Purtroppo neanche quei Paesi sono membri della Corte penale internazionale, dunque non abbiamo su di essi una giurisdizione diretta. Tra le modalità che ci consentirebbero di intervenire le più rapide sono la richiesta (che non è vincolante, ndr) del Consiglio di sicurezza Onu o il riconoscimento della nostra giurisdizione da parte dei nuovi governi, subentrati a quelli sconfitti dalle rivolte popolari. Nello Scavo
3 marzo 2011 LE DIPLOMAZIE No-fly zone, Clinton frena: rischio Somalia Il Senato americano ha approvato all’unanimità una risoluzione per chiedere l’imposizione di una no-fly Zone sulla Libia. Il testo "applaude" ai manifestanti che chiedono riforme democratiche e "condanna con forza" la repressione del regime di Muammar Gheddafi a cui viene chiesto di "dimettersi per permettere una transizione pacifica". All’Onu il Senato Usa chiede "di assumere ulteriori iniziative per proteggere i civili in Libia, compresa l’imposizione di una zona di interdizione al volo sul territorio libico". Cauti su questa ipotesi, secondo il Washington Post, sarebbero però i vertici della Difesa Usa, secondo i quali una no-fly zone richieda tra le altre cose il consenso politico interno e l’autorizzazione internazionale. Per il capo del Pentagono Robert Gates l’adozione di misure militari potrebbe avere conseguenze indirette "che devono essere analizzate". Per Gates la creazione di una no-fly zone richiederebbe un attacco contro la Libia e, inoltre, andrebbe a prosciugare le forze impegnate sul terreno in Afghanistan. Lo stesso segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, in un’audizione alla commissione Affari Esteri del Senato americano ha ammesso che la decisione sull’intervento è ancora "lontana" e che se l’intervento internazionale non sarà valutato con estrema cautela, "c’è il rischio che la Libia sprofondi nel caos e si trasformi in una gigantesca Somalia". La creazione di una no-fly-zone, hanno spiegato ex generali dell’Air Force, potrebbe essere rapida ma una sua prolungata attuazione richiederebbe l’impiego di centinaia di caccia ed altre unità aeree di appoggio. Il sistema di difesa aerea libico è inoltre significativamente più sviluppato delle difese che vennero distrutte nel 2003 in Iraq. Fra le opzioni per garantire la sicurezza del popolo libico c’è anche quella di imporre una no-fly zone di concerto fra la Lega araba e l’Unione Africana, secondo quanto si legge nella risoluzione finale della riunione dei ministri degli Esteri dell’organismo panarabo. Contraria comunque a un simile intervento è la Cina, secondo la quale la soluzione alla crisi libica deve essere ottenuta "solo attraverso mezzi pacifici". Intanto il presidente della Commissione europea Josè Barroso ha sottolineato ieri che "Gheddafi è parte del problema e non della soluzione, è arrivato il momento che se ne vada". Per Barroso la situazione in Libia è "semplicemente oltraggiosa e noi non possiamo accettarlo". "Voglio dire agli arabi che stanno lottando per la libertà e la democrazia: siamo con voi", ha aggiunto il presidente della Commissione Europea, ribadendo poi che la situazione in Libia, soprattutto per la forte pressione di profughi alle frontiere, è "una tragedia umanitaria" e per questo la Commissione ha deciso di aumentare il contributo per gli aiuti umanitari da 3 milioni a 10 milioni. Da Teheran, peraltro, il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad ha detto che "gli Usa e i loro alleati stanno facendo propaganda per preparare interventi militari" in Nord Africa o in Medio Oriente e "assumere il controllo delle riserve di petrolio e gas".
3 marzo 2011 LA SCHEDA Sedici nomi nella lista segreta Sono almeno 16 i libici su cui sta indagando in via preliminare la Corte dell’Aja. Alcuni saranno ufficialmente indagati da oggi. Per gli altri si valuterà caso per caso. Ecco la lista ottenuta da "Avvenire". Muammar Gheddafi. Guida della Rivoluzione, "ha ordinato la repressione delle manifestazioni; violazioni dei diritti umani" Abdulqader Al Baghadi. Capo dei Comitati Rivoluzionari, implicato nelle violenze Abdulqader Dibri. Capo della sicurezza del regime. Ha orchestrato le violenze contro i dissidenti. Abu Zayad Dorda. Capo dei servizi segreti Abu Bakr Yunis Jabir. Ministro della Difesa Matuq Mohammed Matuq. Segretario agli Affari pubblici Abdullah Al-Senussi. Capo dell’intelligence militare, cognato di Gheddafi, già condannato in contumacia a Parigi per l’esplosione del volo Uta 772 dal Ciad diretto in Francia il 19 settembre 1989: 170 i morti. Sayyid Qadhaf al-Dam. Cugino del leader libico Moammar Gheddafi è sospettato di essere coinvolto in una campagna di omicidi politici per l’eliminazione di membri dell’opposizione. Aisha Gheddafi. Hannibal Gheddafi. Khamis Gheddafi. Mohammed Gheddafi. Mutassim Gheddafi. Saif al-Arab Gheddafi. Figli del Colonnello, privi di incarichi, ma considerati "in associazione con il regime". Saadi Gheddafi. Figlio del Colonnello, capo delle forze speciali Saif al-Islam Gheddafi. Figlio del leader, direttore della "Fondazione Gheddafi", sarebbe accusato di avere "incoraggiato pubblicamente le violenze". N.S.
2011-03-02 2 marzo 2011 CAOS IN LIBIA Gheddafi: migliaia di morti se Usa o Nato ci attaccano ll leader libico Muammar Gheddafi è riapparso in pubblico, circondato dai suoi sostenitori, nelle celebrazioni del 34esimo anniversario dell'instaurazione dell'autorità del popolo, come è stato definito dalla televisione libica, manifestazione alla quale è stata invitata anche la stampa. "Dal 1977 ho consegnato il potere alle commissioni del popolo libico", ha detto Gheddafi, il futuro del Paese è "nelle mani del popolo libico": Il Colonnello ha partecipato a un evento celebrativo a Tripoli, circondato da persone che scandivano le parole: "Tu rimarrai grande". Abbiamo costretto l'Italia" a scusarsi per il suo colonialismo, costringendo Roma " pagare i danni". "Combatteremo per la Libia all'ultimo uomo e donna, perché è in atto una cospirazione per appropriarsi del petrolio libico". Poi ha fatto appello all'Onu affinché invii in Libia una commissione di inchiesta. "Nel primo scontro (dall'esplodere della rivolta in Libia, ndr) ci sono stati dai 100 ai 150 morti e sono rimasto sorpreso perché siamo passati dopo poco tempo a mille morti. Ho chiesto infatti di aprire un'inchiesta per capire cosa sia successo", ha detto. "Hanno attaccato le stazioni di polizia, e hanno perso il controllo della zona con le armi", ha aggiunto. Gheddafi ha poi detto di aver chiesto "alla brigata presente ad al-Baydha di non attaccare i manifestanti". Il Colonnello ha accusato al Qaeda di aver orchestrato i disordini in Libia. Se Washington o altre potenze straniere entreranno in Libia ci sarà una terribile guerra: "Inizieremo una guerra sanguinosa e migliaia di libici moriranno se gli Stati Uniti entreranno o se lo farà la Nato", ha messo in chiaro Gheddafi. "Vogliono che noi diventiamo ancora una volta schiavi, come lo eravamo degli italiani"? ha detto il leader libico, citando l'ex potenza coloniale. "Non lo accetteremo mai". Apparentemente fiducioso e rilassato, Gheddafi ha detto di essere pronto a discutere di modifiche alla Costituzione senza violenze e che è persino disponibile a parlare con al Qaeda. "Sono pronto a parlare con chiunque di loro, uno dei loro 'emirì, o come si chiamano, che vogliano venire da me per discutere. Ma loro non discutono... non hanno nessuna richiesta". MISSIONE UMANITARIA ITALIANA Una missione umanitaria italiana in Tunisia per dare assistenza ai profughi dalla Libia che si accalcano ai confini. È la decisione presa ieri sera al vertice a Palazzo Chigi sulla crisi nordafricana: un’operazione umanitaria che darà assistenza a 10mila profughi, tra i quali molti bambini. E che "partirà subito, entro 48 ore", assicura al programma tv "Ballarò" il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, aggiungendo che "stare a guardare è un delitto" e parlando del rischio che la Libia "diventi un Afghanistan alle nostre porte" con "l’Europa che non fa nulla, si muove come una lumaca". Il governo prova dunque a giocare d’anticipo e, prima che l’ondata di migranti in fuga dalle violenze si riversi su Lampedusa e le coste meridionali – momentaneamente interdette anche dalle condizioni avverse del mare – decide di portare i soccorsi in loco. La previsione della Farnesina comunque, è che il Colonnello ha i giorni contati. "Gheddafi cadrà", dice il ministro degli Esteri, Franco Frattini: "Forse non domani mattina, ma sicuramente entro qualche settimana. Non è più un interlocutore per nessuno". Il capo della diplomazia italiana ribadisce comunque che il trattato di amicizia con la Libia non va annullato, in previsione dell’arrivo di un interlocutore affidabile. LE FORZE DI GHEDDAFI RIPRENDONO DUE CITTA' Le forze leali a Gheddafi hanno ripreso il controllo di due città del nordovest, Gharyan e Sabratha, intorno alla capitale Tripoli. Lo riferisce la tv Al Jazira. Gharyan è a sud della capitale, sulla strada per Sebha. Sabratha è a ovest, sul mare. La tv di stato libica ha riferito anche che le forze armate l'aeroporto e il porto di Brega, contraddicendo la versione dei ribelli, secondo i quali l'attacco sarebbe stato respinto. FOLLA DI PROFUGHI AL CONFINE CON LA TUNISIA Una folla che si estende "per chilometri e chilometri" in Libia si accalca alla frontiera con la Tunisia. Lo ha dichiarato il portavoce dell'Unhcr che lancia un nuovo appello affinchè "siano noleggiati centinaia di aerei" per evacuare tutte queste persone.
2011-01-03 1 marzo 2011 EMERGENZA UMANITARIA Migliaia in fuga dalla Libia Frattini: Gheddafi cadrà "È indispensabile" mantenere alta la pressione sulla no-fly zone perché "non si deve dare tregua al regime di Gheddafi e l'Italia "è pronta a sostenere l'opzione che prevede l'uso di basi italiane se c'è una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite". Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini. Il ministro ha comunque ricordato che per il momento "non c'è ancora una determinazione forte" nel Consiglio, a partire da Russia e Cina. Muammar Gheddafi "cadrà", forse "non domani mattina" ma sicuramente "entro qualche settimana": ha aggiunto Frattini. Il colonnello, ha ripetuto il ministro, ormai "non è più un interlocutore per nessuno", tantomeno per l'Italia. Migliaia di profughi, almeno 12mila, sono ammassati davanti alla recinzione al confine tra Libia e Tunisia, un lembo di terra di soli 100 metri, per cercare di entrare in territorio tunisino. A stento l'esercito riesce a controllare la situazione. Per cercare di calmare la folla, i soldati stanno lanciando pane e bottiglie di acqua al di là della recinzione. La ressa viene risparmiata a donne e bambini, che vengono intercettati e fatti entrare da altro varco. Il resto della folla, una vera e propria marea umana chiusa in un recinto, deve attendere di passare attraverso cinque corridoi pedonali per accedere alla Tunisia. Il cancello resta comunque chiuso e chi passa lo fa scavalcando la recinzione con l'aiuto dell'esercito tunisino, la cui presenza appare esigua rispetto alla situazione che si è venuta a creare. "Si fa concreto il rischio di una catastrofe umanitaria con migliaia di sfollati interni, rifugiati e richiedenti asilo che si potrebbero riversare in tutto il Nord Africa e nella sponda nord del Mediterraneo". È l'allarme lanciato dalla Caritas italiana che scrive alle diocesi italiane per sollecitarle alla mobilitazione. "La rivolta, iniziata in Tunisia, le inquietudini che si sono manifestate praticamente in tutti i Paesi musulmani, dal piccolo Gibuti nel Corno d'Africa fino allo sconosciuto Yemen e perfino all'Arabia Saudita - spiega la Caritas in un comunicato sul suo sito -, non si spiegano solo con la povertà, la disoccupazione, la corruzione o la crisi culturale del mondo islamico, elementi pure presenti in varia misura. Ma, associandoci alle parole pronunciate dal presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, riteniamo che "Quando un popolo viene oppresso per troppo tempo da un regime che non rispetta i diritti umani, prima o poi scoppia" Il leader libico Muammar Gheddafi è un "cadavere politico senza alcun posto nel mondo moderno civilizzato". L'affondo arriva da una fonte interna al Cremlino, citata dall'agenzia stampa Interfax. La fonte russa, che ha parlato in condizione di anonimato, ha anche rivelato che il presidente Dmitry Medvedev "fin da subito ha reagito negativamente" alla violenza delle autorità libiche nei confronti dei manifestanti antiregime. La notizia arriva dopo un lungo silenzio da parte di Mosca. GHEDDAFI "ASSEDIATO" TRATTA Il confine è invisibile, mobile. Era a 400 chilometri da Tripoli, domenica. A duecento ieri. Di qui, a Ovest, il regime di Muammar Gheddafi; di là, in un "Est" che si fa sempre più vicino, i rivoltosi. Le città orientali liberate – Bengasi, Beisa, Derna, Tobruk – si stanno coordinando per collaudare il "Consiglio nazionale libico" che dovrebbe far ripartire il Paese. È una specie di governo di transizione, con sede provvisoria a Bengasi (almeno fino alla liberazione di Tripoli), lanciato sabato scorso dall’ex ministro della Giustizia Mustafa Abdeljalil (tra i primi a voltare le spalle a Gheddafi) e nato domenica. L’iniziativa ha raccolto il favore di Stati Uniti e Ue, che hanno avviato contatti con i leader della rivolta. E rinnovato l’appoggio ai manifestanti. Chiaro segnale: la Casa Bianca ha riposizionato le sue navi di fronte alle coste libiche "per essere pronta o ogni eventualità". Ma il compito politico è tutt’altro che facile. Perché sul nome di Abdeljalil non c’è il consenso unanime dell’opposizione. E perché la situazione sul campo non aiuta certo una svolta. I manifestanti controllano la Cirenaica. Ieri hanno conquistato anche l’aeroporto militare di al-Banin (pochi chilometri da Bengasi). Arruolano migliaia di volontari per preparare l’attacco finale su Tripoli. Ma il regime non sta fermo a guardare. Ieri i caccia dell’aviazione hanno bombardato depositi di munizioni in due località a sud di Bengasi. E i raid sono proseguiti per lunghe ore su tutta l’area. Questo mentre, dalla capitale, il colonnello organizzava "aperture". Secondo al-Jazeera, Gheddafi avrebbe infatti incaricato l’ex capo dell’intelligence all’estero, Bouzaid Dordah, di negoziare con i capi della rivolta nell’est. La mossa non è stata confermata ufficialmente. Quel che è certo, stride con quanto il colonnello ha fatto sinora. Con quanto ha detto. E con quanto ha ripetuto ieri sera, in un’intervista, tutt’altro che conciliante, alla giornalista della Abc Christiane Amanpour. "Tutto il popolo mi ama, morirebbero per proteggermi", ha esordito Gheddafi, sottolineando di non aver mai visto manifestanti a Tripoli e di non aver mai dato ordine di sparare sulla folla. Il rais ha quindi lamentato di essere stato "tradito" dai Paesi occidentali amici, Stati Uniti in testa: "Avevamo un’alleanza contro al-Qaeda e ora che stiamo combattendo il terrorismo ci hanno abbandonato". Gheddafi ne ha avute anche per il presidente Obama, "bravo ma disinformato". E ha insinuato che "forse gli Usa vogliono occuparci". Nel pomeriggio, parole altrettanto dure erano arrivate dal portavoce del governo, Ibrahim Moussa, che aveva accusato "gli imperialisti occidentali e al-Qaeda" di fomentare la rivolta. "Se la Libia sarà attaccata ci saranno migliaia di morti", aveva detto. Del resto, come intenda risolvere i problemi del Paese Gheddafi lo ha dimostrato anche ieri. A Misurata, città 200 chilometri a est di Tripoli parzialmente controllata dai rivoltosi, il regime ha spedito alcuni elicotteri a bombardare una stazione radio. Uno dei velivoli è stato abbattuto dai ribelli e i cinque membri dell’equipaggio sono stati catturati. Mentre si è combattuto tutto il giorno per il controllo della vicina base dell’aeronautica militare. Un testimone ha riferito che miliziani del regime hanno sparato sui passanti, uccidendone almeno due. Tensione anche a Zawia, (50 chilometri a ovest di Tripoli), dove l’opposizione sta concentrando le forze nel timore di un contrattacco del regime. Circa duemila uomini fedeli al colonnello hanno circondato la città. Tre soldati sarebbero già stati uccisi in sporadici scontri nel centro. "Attaccheranno presto – ha fatto sapere un ex maggiore della polizia che si è unito alla protesta – faremo del nostro meglio per respingerli". Sembra sotto il controllo dell’esercito, invece, Sabrata. Sicuramente presi tutti i pozzi petroliferi. L’opposizione ha anche annunciato di aver riaperto le esportazioni. Quanto a Tripoli, secondo <+corsivo>al-Arabiya<+tondo> il regime starebbe procedendo ad arrestare i militari che nei giorni scorsi hanno disertato. Mentre la gente continua a restare barricata in casa. Un corteo anti-Gheddafi è stato disperso dalle forze di sicurezza che hanno sparato in aria. Barbara Uglietti
1 marzo 2011 LE REAZIONI Clinton preme su Tripoli: "Aperte tutte le opzioni" "Esploreremo ogni tipo di opzione possibile. Ma finché il governo libico continuerà a minacciare e ad uccidere i cittadini libici, nessuna opzione è esclusa". Il segretario di Stato americano Hillary Clinton – per la quale sostenere le rivolte arabe "non è una questione di ideali ma un imperativo strategico" – è netta al termine di una cruciale sessione del Consiglio dei diritti umani dell’Onu a Ginevra nella quale la comunità internazionale ha cercato risposte alla violenza in Libia. "Gli Stati Uniti sostengono una transizione irreversibile e pacifica verso la democrazia", ha spiegato la Clinton intimando a Muammar Gheddafi di lasciare "senza ulteriori violenze o rinvii". Una presa di posizione ormai condivisa e fatta sua, tra gli altri, anche dal premier britannico David Cameron, il quale ha annunciato che la Gran Bretagna non esclude l’uso "di risorse militari". A Ginevra è arrivato un numero record di ministri degli Esteri. Per l’Italia era presente Franco Frattini: "Noi abbiamo in primo luogo confermato la necessità di una missione dell’Onu che svolga un indagine ispettiva in Libia, per raccogliere anche elementi che potrebbero essere preziosi per la Corte penale internazionale", ha sottolineato il titolare della Farnesina. Frattini ha anche citato il "forte impatto che la crisi libica potrebbe avere sulla Tunisia e sull’Egitto in termini socio-economici. Migranti e rifugiati – ha ricordato – stanno attraversando i confini per sfuggire alle violenze. "Siamo convinti che è estremamente importante porre fine alla violenza e iniziare a aprire un dialogo con la Libia, escludendo però il regime responsabile di così tante morti", ha detto ancora Frattini, secondo il quale "il regime libico non può più essere considerato un interlocutore legittimo". Sabato notte il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha approvato all’unanimità sanzioni punitive e il deferimento alla Corte penale internazionale contro Gheddafi e i suoi accoliti e stabilito il blocco di tutti i loro beni all’estero, il divieto di viaggio e l’embargo di vendita di armi. Un voto per chiedere la fine immediata degli attacchi sui civili, che costituiscono "crimini contro l’umanità". La risoluzione fa riferimento all’articolo 7 della Carta delle Nazioni Unite, che non esclude un intervento internazionale, se necessario. Ieri anche l’Ue ha approvato all’unanimità la messa in atto della risoluzione Onu 1970 e una serie di sanzioni complementari contro Gheddafi e altre 25 persone tra suoi familiari ed alleati. Tra queste, il divieto di ingresso nei territori europei. La lista delle persone che subiranno il congelamento dei beni e il divieto di ingresso nell’Ue "è più lunga di quella delle Nazioni Unite", ha precisato una fonte. La Nato, peraltro, sta lavorando all’ipotesi di una no-fly zone che però necessiterebbe dell’avallo del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Per imporre una no-fly zone, è il parere del ministro degli Esteri britannico William Hague, è necessario "un forte sostegno internazionale e i mezzi per poterlo istituire". Washington, intanto, ha congelato beni libici per 30 miliardi di dollari. David Cohen, sottosegretario al Tesoro per la lotta al terrorismo, ha dichiarato che si tratta della più grande somma di denaro mai bloccata negli Stati Uniti. Il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, ha detto che l’esilio di Gheddafi "è una delle opzioni" per la soluzione della crisi libica, ma ha definito "un’illazione" la possibilità che gli Usa aiutino il colonnello in questa eventualità. Lo stesso colonnello, peraltro, da Tripoli ha escluso un suo esilio: "Chi lascia il proprio Paese?". Gheddafi ha inoltre invitato l’Onu ed altre organizzazioni internazionali ad organizzare una missione in Libia. Paolo M. Alfieri
1 marzo 2011 Le città liberate Tra i rivoltosi di Nalut: "Non siamo l’Iraq" L’ultima volta che il colonnello è passato per questa città in mezzo al deserto era lo scorso mese di ottobre. Una visita di quelle consuete: farsi vedere nei possedimenti periferici del regno per immergersi nel tripudio popolare. Adesso i ritratti di Muammar Gheddafi, come rifiuti da distruggere col fuoco purificatore, si raccolgono a pezzi di carbone per le strade di Nalut, accanto al monumento dedicato al "Libro verde" che celebra il trionfo del gheddafismo, pure quello scorticato dalla rabbia del suo popolo. Mentre ovunque, su muri e case, sta incisa la parola più gridata al-hureia, libertà. Per raggiungere Nalut occorre quasi una mezza giornata d’auto, partendo dalla costa tunisina di Zarzis, attraverso un deserto di pietra e sabbia. La frontiera si taglia come burro. Tranne che per quella tunisina, nessun controllo, nessun visto d’ingresso per entrare in Libia. Come clandestini. I funzionari della Jamahirya islamica di Libia sonnecchiano negli uffici e chiudono un occhio, mentre un folto gruppo di giornalisti stranieri irrompe nel territorio libero della nuova Libia. C’è una delegazione del Comitato di liberazione che attende la stampa internazionale. Loro si definiscono al-towar, insorti, e sono giovani. Sulla strada incontriamo rari uomini armati di vecchi moschetti da caccia e qualche mitragliatore Kalashnikov. Naluf, 25mila abitanti, è nell’ovest della Libia. Un centinaio di chilometri a nord dei ricchi giacimenti petroliferi libici. Non porta segni di battaglia, bombardamenti o l’evidenza di scontri armati tra fazioni rivali. Le tracce della ribellione sono il nerofumo che ombreggia i resti delle finestre degli edifici governativi dati alle fiamme dagli insorti. Insorti che, tranne qualche sporadico caso di fuga verso la capitale, che dista 270 chilometri a nord, sono gli stessi ex poliziotti, gli ex militari, gli ex funzionari statali, e pure gli ex uomini che un tempo vivevano spargendo il terrore, gli agenti del mukabarat, la polizia segreta. Imat è il nome del giovane towar che ci introduce in città. Tra un mese e mezzo si sarebbe dovuto sposare: "Questo non è il momento". Imat ha rinviato il suo programma d’amore per entrare in un tunnel che lo porta allo scontro diretto con il colonnello dittatore: "Tutti noi abbiamo paura di morire. Ma senza quel demonio sarà più bello vivere e sposarsi. Libertà, democrazia. Questo è un Paese ricco di petrolio, ma il suo popolo soffre la fame". Due terzi dei libici, su 7 milioni di abitanti, vivono con due dollari al giorno. La città è nel caos solo perché dopo dieci giorni senza carburante, oggi è arrivata una cisterna di benzina. L’ingorgo soffoca il centro cittadino. Dove nessuno sembra fare caso alle minacce ripetute dal colonnello: riprendersi tutta la Libia e punire i ribelli: "Sono solo parole", osserva un automobilista che si preoccupa del pieno per la sua Toyota. Incontriamo i responsabili del Comitato dei saggi che adesso governa Nalut. A capo c’è l’avvocato Sahban Abuseta. Racconta di come la città si sia sciolta come neve sotto il sole, senza colpo ferire. Dice che Gheddafi ha i giorni contati, ma ci tiene a dire che: "Respingiamo ogni possibile interferenza internazionale interna alla Libia da parte di forze armate straniere per cacciare il dittatore: non vogliamo diventare come l’Iraq". È ora di tornare, viaggiare di notte resta pericoloso. Nell’ultimo villaggio libico, un gruppo di ragazzini scaglia sassi contro le nostre auto. Imat spiega che "Qui tifano per Gheddafi". dal nostro inviato a Nalut (Libia) Claudio Monici
1 marzo 2011 REPORTAGE Sul confine tunisino lo "tsunami dei migranti" Tutto trafelato, Fuad Younnus si fa largo nella bolgia umana che la frontiera con la Libia espelle come un magma informe, disordinato, ma soprattutto dolente. L’egiziano, che è basso di statura, ondeggia di qua e di là, per via del fatto che sulla testa trasporta una valigia che quasi è larga come un letto matrimoniale. Dentro ci ha messo tutto quello che poteva. Per lo più vestiti e scarpe. Una radio a batterie, qualche provvista di carne in scatola, biscotti secchi per il viaggio e una bambola. Il regalo di compleanno, "il 12 giugno", per la figlia più piccola, Aisha: "Il dono lo riceverà in anticipo, ma quando non lo so dire, se mi guardo attorno. Ma quanti siamo qui? Come pensano di portarci via? Ma dove? Tutto mi sembra più complicato e impossibile adesso che quando sono scappato dalla Libia". "Non è stato difficile raggiungere Ras Jedir – sottolinea Younnus –. Però quanta paura. Si sentiva sparare, soprattutto di sera. Finalmente, quando con gli altri sono arrivato alla frontiera, i libici prima di farmi passare mi hanno portato via il telefonino. E così è successo a tanti egiziani come me che sono scappati da Tripoli per rifugiarsi in Tunisia sperando ti tornare in Egitto". E adesso? "Adesso non lo so. Quello che so è che io ho perso tutto quello che avevo di più grande per me e per la mia famiglia che aiutavo in Egitto: il mio lavoro di cameriere. Adesso di professione faccio il profugo che dovrà andare a cercarsi un mestiere da un’altra parte nel mondo. Durante la fuga, con i miei amici, si parlava tanto di Europa". Sudata di dolore e sofferente per un futuro incerto, sboccia come un fiore, già malato nelle sue drammatiche dimensioni destinate ad aumentare ancora, l’emergenza dei profughi che lasciano quella Libia che giorno dopo giorno si decompone nell’attesa dello scontro finale tra chi deve vincere e chi deve morire. La portavoce dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur), Liz Eyster, l’ha definita uno "tsunami di migranti". Nel punto di frontiera tunisino di Ras Jedir, sono centinaia di migliaia che si addensano sulla nuda terra, spossati dal viaggio, dalle privazioni, dal non sapere che cosa fare e dove andare. Senza gabinetti, e da giorni senza acqua per lavarsi. Centinaia di persone che vengono spinte dentro gli autobus di linea oppure nei pullman turistici tunisini come sardine in scatola per essere portati da qualche parte. Tantissimi si radunano per amicizia o per provenienza di città e villaggio, con la schiena stanca gettata su montagne di valigie, scatole e cartoni sigillati con nastro adesivo o pezzi di cavi elettrici come fosse spago da viaggio. Sfollati che vagano disordinatamente, mentre sui loro volti protetti da pastrani e caftani tirati fin sulla fronte, per ripararsi dal freddo del primo mattino, sembra di scorgere già l’ombra dell’incertezza per il loro futuro prossimo. C’è anche chi gioisce davanti alle telecamere di decine di troupe televisive e giornalisti internazionali, ma negli occhi di molti sembra di cogliere lo sguardo pudico di un bambino rimasto solo nel buio, quando di colpo è privato dei genitori. Quando è sradicato dalle sue certezze per essere gettato nel buio della strada e di fronte a una sola domanda: "Che cosa ne sarà della mia vita?". In un istante sospinta sul ciglio dell’incertezza dal vento della paura, della guerra. Come il passato ci ha fatto vedere, purtroppo, tante volte. E sono immagini che ricordano gli esodi del Kosovo, del Ruanda. Della povera gente, resa ancora più povera e sola. Mentre si fa molto preoccupato l’allarme lanciato dagli operatori umanitari sulla situazione dei profughi. Domenica al confine tunisino si parlava di 50.000 sfollati, quasi la metà egiziani. Senza alcun tipo organizzazione, se non quella scaturita dalle mani e dalla spontanea buona volontà espressa da decine e decine di civili tunisini nel nome "della solidarietà araba". Un aiuto schiamazzato dai clacson delle auto lanciate a tutta velocità sulla strada per Ras Jedir, con le bandiere tunisine e quella della Libia insorta, con il loro carico umanitario fatto di coperte, materassi e tante ceste di baguette per farne panini imbottiti di tonno. Una incredibile solidarietà, una "Protezione civile dei poveri" che andava incontro ad altri poveri che ancora non sono di nessuno, come tanti egiziani, abbiamo sentito, lamentavano nei confronti delle distratte e lontane autorità del Cairo. Per la portavoce dell’Acnur, Liz Eyster, "la priorità è provvedere per ognuno a cibo e accoglienza e per questo sono in arrivo 10.000 tende e cibo altamente proteico. Il passo successivo sarà spostare la gente dalle frontiera e per questo si stanno organizzando navi e aerei". Ma sono già 100.000, in particolare tra Tunisia ed Egitto, le persone che hanno abbandonato la Libia, secondo una stima dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati: "Facciamo appello perché la comunità internazionale risponda rapidamente e generosamente per aiutare i governi a fronteggiare l’emergenza", ha detto l’Alto commissario Antonio Guterres. Un messaggio d’aiuto che i tunisini non sono stati ad aspettare atteso pur di andare in soccorso subito alla massa di disperati in fuga dalla Libia. Nonostante anche la Tunisia si trovi ancora in alto mare. Nel pieno di una crisi politica del dopo Ben Ali che domenica sera ha portato alle dimissioni del governo di Mohammad Gannouchi. Dimissioni a cui si è arrivati con i continui disordini di piazza repressi con morti e feriti. Una situazione dagli sviluppi imprevedibili, per un Paese che è diventato un test per la democrazia nei Paesi arabi insorti contro i loro despoti. Tanto che l’Alto commissario Guterres ha voluto elogiare i tunisini per gli sforzi fatti nel fornire soccorso agli sfollati dalla Libia: "È encomiabile quello che sono stati capaci di fare". dal nostro inviato a Ras Jedir Claudio Monici
1 marzo 2011 IRAN Iran, lacrimogeni sui manifestanti Oppositori arrestati: "Affari interni" Le forze di sicurezza hanno fatto uso di gas lacrimogeni nel centro di Teheran per disperdere i manifestanti dell'opposizione, secondo quanto riferisce il sito dell'opposizione Kaleme. Nel centro della capitale è segnalato un grande ingorgo di automobili, mentre manifestanti starebbero marciando sul Viale Enghelab, che taglia in due la città sull'asse est-ovest. Oltre ai siti dell'opposizione, anche testimoni segnalano un grande schieramento di forze di sicurezza nel centro di Teheran, dopo che su Internet erano circolati negli ultimi giorni diversi appelli del fronte anti-governativo a tornare a manifestare per chiedere la liberazione di Mir Hossein Mussavi e Mehdi Karrubi. Reparti anti-sommossa e miliziani islamici Basiji controllano le principali piazze e incroci della capitale, come avvenuto in occasione dei raduni del 14 e del 20 febbraio, dispersi con scontri che sono costati almeno due morti. Negli ultimi giorni, tra l'altro, la polizia è tornata a sequestrare in alcuni quartieri della città le antenne paraboliche per la ricezione dei canali satellitari dall'estero, che trasmettono anche notizie sull'attività dell'opposizione e sulle manifestazioni previste. I LEADER DELL'OPPOSIZIONE ARRESTATI: "AFFARI INTERNI" La sorte dei leader dell'opposizione iraniana Mir Hossein Mussavi e Mehdi Karrubi, che secondo i loro siti sarebbero stati arrestati, "è un affare interno" e "nessun Paese ha il diritto di interferire". Lo ha detto oggi il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Ramin Mehman-Parast, senza confermare la notizia. Ieri sera gli Usa hanno definito "inaccettabili" gli arresti di Mussavi e Karrubi, mentre la Germania e la Gran Bretagna hanno espresso preoccupazione per la loro sorte. "Le autorità giudiziarie esamineranno il caso, ma questa non può essere una scusa per gli Stati Uniti o altri Paesi occidentali per interferire", ha detto Mehman-Parast. Comunque, ha aggiunto il portavoce iraniano, chiedendo che venga rispettato il diritto dell'opposizione a manifestare Washington si preoccupa solo "di poca gente nelle strade", mentre "dovrebbe ascoltare la maggioranza del popolo", che sostiene il sistema al potere. Intanto i figli di Mir Hossein Mussavi e Mehdi Karrubi si sono rivolti con una lettera ai "leader religiosi" del Paese per chiedere loro di intervenire presso le autorità al fine di "prevenire atti illegali commessi nel nome dell'Islam". Lo riferisce oggi il sito Kaleme di Mussavi. Nella lettera i figli dei due capi dell'opposizione parlano di "incarcerazione" non solo dei rispettivi padri ma anche delle madri, che sarebbero state portate via con loro dalle loro abitazioni. "I nostri genitori non hanno commesso alcun reato ma hanno solo parlato di diritti e la loro carcerazione è la migliore dimostrazione che sono nel giusto", si legge ancora nella lettera. Javid Houtan Kian, l'avvocato dell'iraniana Sakineh Mohammadi Ashtiani, è stato condannato a morte e rischia l'impiccagione immediata. È l'allarme che lancia il Comitato internazionale contro la lapidazione, secondo il quale l'uomo ha subito quattro condanne a morte, di cui tre revocate. La terza resta valida e potrebbe essere eseguita in tempi molto stretti. Una fonte del Comitato ha riferito che "ieri Houtan Kian ha avuto la possibilità di fare una telefonata dal carcere e ha contattato un conoscente a Tabriz, a cui ha chiesto di mobilitarsi e rivolgere un appello alla comunità internazionale per la sua salvezza". Houtan Kian è stato arrestato il 10 ottobre 2010 insieme a Sajjad Ghaderzadeh, figlio di Sakineh, e a due giornalisti tedeschi (questi ultimi liberati due settimane fa) che li intervistavano a Tabriz sul caso della donna condannata alla lapidazione per adulterio e complicità nell'omicidio del marito. Rinchiuso in un primo momento nel carcere della città, l'avvocato è stato poi trasferito nel famigerato carcere di Evin, a Teheran.
2011-02-28 28 febbraio 2011 TRIPOLI Usa: esilio per Gheddafi Anche la Ue vara sanzioni Il mondo cerca il modo per fermare la violenza in Libia e da Washington spunta l'ipotesi esilio per Muammar Gheddafi. Il tutto mentre a Ginevra il Consiglio dei Diritti Umani dell'Onu ha puntato lo sguardo proprio sulle rivolte popolari nel mondo arabo e sulla necessità di trovare una soluzione alle violenze e e all'anarchia in cui sta sprofondando la Libia. Per Hillary Clinton sostenere le rivolte arabe "non è una questione di ideali ma è un imperativo strategico". In Libia l'ex capo dell'intelligence libica all'estero, Bouzid Durda, è stato incaricato da Muammar Gheddafi di negoziare con i capi della rivolta. L'Ue ha trovato l'accordo sulle sanzioni per stringere la morsa attorno a Gheddafi e il suo più ristretto entourage: congelati i beni, divieto di viaggio per tutti. Il tribunale Penale dell'Aja ha avviato la raccolta di materiale preliminare sui crimini commessi nella repressione della rivolta ed entro una settimana potrebbe incriminare Muammar Gheddafi per crimini contro l'umanità. La Nato, intanto, sta lavorando all'ipotesi di una No fly zone che però necessiterebbe dell'avallo del Consiglio di sicurezza dell'Onu. Ipotesi sostenuta con forza dal premier britannico David Cameron. Il Pentagono, intanto, in attesa di una decisione della Casa Bianca, ha ridispiegato le sue forze attorno alla Libia per essere pronta ad ogni eventualità. Tra le altre unità avvicinate al teatro libico la portaelicotteri d'assalto Kearsage, con a bordo un contingente di oltre 1.800 Marines. la nave trasporta 5 caccia bombardieri a decollo verticale Harrier, 42 elicotteri CH-46 Sea Knight e 6 SH-60F Seahawk. A Ginevra Franco Frattini proporrà una missione congiunta Unione Africana e Lega Araba nel Paese nordafricano. Il titolare della Farnesina incontrerà il segretario di Stato, Hillary Clinton. E intanto la situazione sul campo appare ancora in una sostanziale fase di stallo. Si combatte ancora vicino a Misurata, 200 chilometri a est di Tripoli. I ribelli hanno sventato un attacco delle forze lealiste, nei pressi della terza cità libica, e hanno abbattuto almeno un elicottero militare che aveva aperto il fuoco contro la locale stazione radiofonica. I ribelli libici che controllano Zawia, a soli 50 km a ovest da Tripoli, temono il contrattacco da parte delle forze di Gheddafi: 2.000 uomini fedeli al colonnello hanno infatti circondato la città. La città, con le sue raffinerie di petrolio e un porto, è situata in una posizione strategica. E intanto resta forte la preoccupazione per l'emergenza umanitaria e Frattini si è detto disposto a sostenere l'apertura di un corridoio umanitario per consentire l'arrivo degli aiuti. Oltre alla questione dei profughi, c'è il rischio che inizi preso a scarseggiare il cibo: nella Cirenaica le riserve basteranno solo per 2-3 settimane. Il regime di Muammar Gheddafi non controlla più i principali pozzi di petrolio in Libia. Lo ha annunciato il commissario europeo all'Energia, Gunther Oettinger. "Abbiamo tutte le ragioni per pensare che i più grandi giacimenti (di gas e petrolio) non sono più nelle mani di Gheddafi, ma si trovano sotto il controllo delle tribù e delle forze provvisorie che hanno ripreso il potere", ha spiegato alla stampa. In queste condizioni "abbiamo deciso di non imporre un blocco per non penalizzare le persone che non saranno coinvolte dalle sanzioni", ha aggiunto a margine di una riunione dei ministri dell'Energia dei Ventisette. In Libia, "la produzione petrolifera ha subito un colpo d'arresto", ha precisato aggiungendo che "le operazioni dovrebbero riprendere".
28 febbraio 2011 AFGHANISTAN Giovedì i funerali del tenente Ranzani Un militare italiano è morto e altri quattro sono rimasti feriti nell'ovest dell'Afghanistan. I militari italiani, del quinto Reggimento Alpini di Vipiteno, erano a bordo di un veicolo blindato Lince che è saltato su un ordigno improvvisato. Lo riferisce una nota dello Stato maggiore della Difesa. L'esplosione è avvenuta alle 12.45 ora locale e ha coinvolto un blindato Lince del 5° reggimento alpini. La vittima è il tenente Massimo Ranzani, 36 anni, nato a Ferrara il 24 marzo 1974. Era alla sua seconda missione in Afghanistan. Viveva con la famiglia ad Occhiobello (Rovigo). Il convoglio italiano stava rientrando alla base dopo un'operazione di assistenza medica alla popolazione locale. L'attentato è stato rivendicato dai talebani. In un comunicato di due righe pubblicato sulla loro pagina web gli insorti hanno reso noto che "una mina terrestre collocata da un mujaheddin nell'area di Company del distretto di Adar Sang ha sventrato un automezzo in pattugliamento dell'Isaf", la Forza internazionale di assistenza alla sicurezza sotto comando Nato. L'esplosione, si dice infine, "ha ucciso o ferito tutti gli invasori che si trovavano al suo interno alle 14:00" locali (le 10:30 italiane). Le condizioni dei quattro militari feriti sono gravi, ma stabili: sono ricoverati presso l'ospedale da campo "Role 2" di Shindand. Hanno riportato traumi e fratture primariamente agli arti inferiori, per due di loro si è reso neceassario un intervento. Per uno dei quattro militari è probabile sia necessario anche un intervento oculistico. La salma del tenente degli alpini dovrebbe rientrare in Italia mercoledì. Le esequie dovrebbero essere celebrate giovedì, nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, a Roma. LE REAZIONI Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, appresa con profonda commozione la notizia del gravissimo attentato perpetrato a Shindand, in Afghanistan, contro il contingente italiano impegnato nella missione internazionale ISAF, in cui un militare ha perso la vita e altri quattro sono rimasti feriti, esprime i suoi sentimenti di solidale partecipazione al dolore dei famigliari del caduto e un affettuoso augurio ai militari feriti. Lo rende noto un comunicato del Quirinale. "È un calvario, ci chiediamo se gli sforzi che stiamo facendo per la democrazia in quel lontano paese stiano andando in porto". Lo ha detto il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, commentando l'ultimo attacco a un convoglio di militari in Afghanistan, in cui un soldato italiano è rimasto ucciso e altri quattro sono rimasti feriti. "La linea non cambia di fronte a un evento luttuoso. Le scelte si fanno a prescindere da questo, certo anche tenendo conto del sacrificio che queste scelte comprendono". Così il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha risposto a chi gli chiedeva se la linea italiana in Afghanistan sarebbe cambiata dopo la morte questa mattina di un alpino a Shindand
28 febbraio 2011 ATTENTATO Afghanistan, morto un alpino La commozione di Napolitano Un militare italiano è morto e altri quattro sono rimasti feriti nell'ovest dell'Afghanistan. I militari italiani, del quinto Reggimento Alpini, erano a bordo di un veicolo blindato Lince che è saltato su un ordigno improvvisato. Lo riferisce una nota dello Stato maggiore della Difesa. L'esplosione è avvenuta alle 12.45 ora locale e ha coinvolto un blindato Lince del 5° reggimento alpini. Il convoglio italiano stava rientrando alla base dopo un'operazione di assistenza medica alla popolazione locale. Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, appresa con profonda commozione la notizia del gravissimo attentato perpetrato a Shindand, in Afghanistan, contro il contingente italiano impegnato nella missione internazionale ISAF, in cui un militare ha perso la vita e altri quattro sono rimasti feriti, esprime i suoi sentimenti di solidale partecipazione al dolore dei famigliari del caduto e un affettuoso augurio ai militari feriti. Lo rende noto un comunicato del Quirinale. "È un calvario, ci chiediamo se gli sforzi che stiamo facendo per la democrazia in quel lontano paese stiano andando in porto". Lo ha detto il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, commentando l'ultimo attacco a un convoglio di militari in Afghanistan, in cui un soldato italiano è rimasto ucciso e altri quattro sono rimasti feriti.
28 febbraio 2011 TRIPOLI Libia. la sfida del Rais: "Sanzioni non hanno valore" Braccato dalla comunità internazionale, dopo l'approvazione unanime di una durissima risoluzione delle Nazioni Unite che ne prospetta anche il deferimento alla corte dell'Aja, il dittatore libico Muammar Gheddafi è finito in un vicolo cieco dal quale sarà virtualmente impossibile uscire. Oltre a rischiare il carcere per possibili crimini di guerra e contro l'umanità il clan di Gheddafi - che ha definito la risoluzione "nulla" e senza alcun valore - vede congelati i beni piazzati all'estero, che secondo alcune fonti potrebbero toccare i 500 miliardi di dollari, e non può neppure più viaggiare fuori dal paese. Dopo il presidente Usa Barack Obama venerdì, anche la Gran Bretagna ha annunciato il blocco dei beni dei Gheddafi, e numerosi altri paesi sono pronti a seguire, tra cui i 27 dell'Ue domani, come richiesto dalle Nazioni Unite. La risoluzione dell'Onu, la 1970, è stata approvata in tempi rapidissimi e contiene decisioni durissime nei confronti del regime libico, senza precedenti nella storia del Palazzo di Vetro. È la seconda volta che i Quindici decidono di coinvolgere la Corte Penale Internazionale (Cpi) dell'Aja. Era già successo nel 2005 nei confronti del leader sudanese Omar al-Bashir, per il quale è stato poi emesso un mandato di cattura, ma il voto non era stato unanime: gli Usa del presidente George W. Bush e la Cina si erano astenuti, non riconoscendo il ruolo della Corte dell'Aja.
Questa volta la comunità internazionale ha voluto fare in fretta e dare un chiarissimo segnale sia a Gheddafi sia agli altri dittatori che in futuro colpiranno le popolazioni civili per rimanere disperatamente al potere. La risoluzione è stata approvata sotto l'ombrello del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, che autorizza come ha ricordato l'ambasciatore francese Gerard Araud "un intervento della comunità internazionale se un governo non è più in grado di proteggere i suoi cittadini".
Il Capitolo VII della Carta apre teoricamente la porta all' eventualità di un intervento armato, ma non siamo ancora a questo punto, dato che la risoluzione fa esplicitamente riferimento all' articolo 41, quello che parla di "misure che non coinvolgono l'uso di forze armate".
Hanno chiesto il riferimento Russia e Cina per evitare il ripetersi automatico o quasi di una guerra come in Afghanistan o in Iraq, spiegano fonti diplomatiche chiedendo di non essere citate. È l'articolo successivo, il 42 (non citato nella risoluzione), ad autorizzare l'uso della forza se le misure previste nell'articolo precedente non danno i risultati auspicati, prospettando interventi "via aria, mare o forze terrestri per mantenere o restaurare la pace e la sicurezza internazionale". Quindi teoricamente anche l'istituzione di una "no-fly zone" sotto l'ombrello Onu, una zona di non volo per proteggere le istallazioni petrolifere e le popolazioni civili dai Mig di Gheddafi, avrebbe bisogno di una nuova risoluzione. Ma non tutti i giuristi sono d'accordo su questo punto.
Dopo il voto unanime dei Quindici, nella notte tra sabato e domenica, il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon - che domani vedrà Obama alla Casa Bianca - ha definito le misure decise "dure", prima di aggiungere: "nei prossimi giorni se ce ne sarà bisogno, una azione ancora più dura potrebbe diventare necessaria". La condanna di Gheddafi, che deve lasciare il potere senza spargere nuovo sangue, è stata ribadita oggi dal cancelliere tedesco Angela Merkel, dal segretario al Foreign Office William Hague, e lo ha detto senza ambiguità anche il ministro degli esteri italiano Franco Frattini.
Il segretario di Stato Usa Hillary Clinton, partendo per Ginevra dove parteciperà domani per la prima volta al consiglio Onu sui diritti umani, ha fatto infine un timido riferimento all'opposizione in Libia, spiegando che Washington ha già avuto i primi contatti e rimane pronta a fornire assistenza, se verrà richiesta.
27 febbraio 2011 Ue e "rivoluzione" in Nordafrica e Medio Oriente La scelta necessaria Gli errori da non fare VITTORIO E. PARSI Mentre le coscienze di tutti noi sono scosse da quanto sta avvenendo in Libia, da più parti si chiede che la comunità internazionale intervenga per fermare il bagno di sangue. Qualcosa sta avvenendo in queste ore, attraverso il blocco dei beni riconducibili al Colonnello e al suo entourage, la precisazione che i responsabili dei crimini commessi contro il popolo libico saranno comunque perseguiti e le diverse sanzioni imposte al regime. Sono misure importanti, incapaci di arrestare il massacro, ma in grado di mandare un forte segnale che il mondo non è neutrale in questa sfida tra il tiranno e il suo popolo, né intende girare lo sguardo altrove. Poco, tanto? In proposito basterebbe ricordare come nel 1982 Afez el-Assad, padre dell’attuale presidente siriano, fece migliaia di morti nella città di Haman per stroncare una rivolta guidata dalla Fratellanza Musulmana nella sostanziale indifferenza del mondo. Qualcosa da allora, grazie a Dio, è cambiato. In queste ore, in particolare, si parla insistentemente dell’idea che la Ue possa stabilire unilateralmente una no-fly zone su tutto il territorio libico, per impedire al dittatore di bombardare il suo popolo. È una misura che, al di là della sua apparente semplicità, va valutata con la massima prudenza, per la sua estrema gravità, tanto più se attuata in assenza di un pronunciamento dell’Onu. Le no-fly zone, oltretutto, non hanno mai risolto nulla da sole e hanno semmai sempre portato, o prima o poi, alla presa in carico diretta dell’amministrazione del territorio che intendevano proteggere: è successo in Bosnia, nel Kurdistan e nel sud dell’Iraq dopo la guerra del 1990-91, in Kosovo. Una cosa è invece oggi chiara: non solo nessuno desidera garantire o gestire la possibile transizione della Libia post-Gheddafi, ma se anche qualcuno nutrisse una simile ambizione commetterebbe il più fatale degli errori. La drammaticità di quello che sta avvenendo in Libia non dovrebbe mai farci comunque dimenticare che qualunque decisione si sia in procinto di adottare deve riuscire a destreggiarsi tra due coppie di esigenze spesso in tensione tra loro. Occorre fare qualcosa che sia efficace subito (logica di breve periodo), ma che contemporaneamente non mini le chance di successo duraturo (logica di lungo periodo). È importante agire in uno specifico teatro (la Libia), ma senza che ciò possa creare le condizioni per vanificare la strategia complessiva nel quadro regionale (Maghreb e Medio Oriente). Questa gigantesca crisi è destinata a protrarsi ancora a lungo, e quindi è particolarmente opportuno tenere nella dovuta considerazione la storia di questa parte del mondo, soprattutto nei suoi rapporti con l’Occidente, per cui un intervento militare europeo in Libia (che non si limitasse alla protezione del rimpatrio di cittadini dell’Unione minacciati da forze ostili) alimenterebbe i sospetti di mire su quel petrolio e quel gas di cui la Libia è ricca. Ci sono poi almeno due altri vincoli difficilmente aggirabili: 1) il tempo in cui gli Usa esercitavano influenza determinante sulla regione sta tramontando. Questo è più importante del fatto che avessero o meno previsto ciò che sta accadendo, perché anche se lo avessero previsto non avrebbero potuto fare molto per evitarlo, condizionarlo o guidarlo; 2) è determinante evitare di mosse che possano contribuire a saldare la "rabbia araba" contro i propri governi con la rabbia araba contro la politica israeliana. Se il sentimento di umiliazione domestica si dovesse sommare con l’umiliazione regionale legata all’irrisolta vicenda israelo-palestinese ci troveremmo in guai decisamente peggiori degli attuali. Oltre a quello che già le autorità internazionali stanno approntando, la sola cosa concreta che possiamo fare, e che dobbiamo fare proprio perché è alla nostra portata, è organizzare immediatamente un piano europeo per i possibili profughi: accogliendo comunque subito chi arriva e valutando, caso per caso successivamente, quanti di questi potranno avere asilo o ospitalità permanente in Europa. Questo sì che farebbe percepire a tutta la regione la disponibilità europea ad accompagnare con "simpatia" i rivolgimenti in atto e a farsi carico di una parte del costo umano che, inevitabilmente, tutte le rivoluzioni hanno sempre comportato e sempre comporteranno. Vittorio E. Parsi
27 febbraio 2011 IL CAIRO Tunisia, Ghannouchi si dimette Beji Caid Sebsi è il nuovo premier Poche ore dopo l'annuncio del presidente tunisino ad interim, Mohammed Ghannouchi, nuovo primo ministro è stato nominato Beji Caid Sebsi. Nella capitale continuano gli scontri, gli atti di sciacallaggio e le proteste. L'ex primo ministro avevva annunciato, in un discorso televisivo, le sue dimissioni. Lo riferisce Al Jazira. "Queste dimissioni sono al servizio della Tunisia e della rivoluzione", ha detto. "Non sono uomo della repressione e non lo sarò mai", ha precisato Ghannouchi in francese, spiegando di volere lasciare il passo a un premier che possa essere "più capace di lui". E ha aggiunto che non prenderà decisioni che sfocino "in uno spargimento di sangue". LE DIMISSIONI DEL MINISTRO DEGLI ESTERI FRANCESE Il ministro degli Esteri francese, Michele Alliot-Marie ha dato le dimissioni. Il gesto era atteso, a seguito dello scandalo suscitato dai suoi rapporti con l'entourage del deposto presidente tunisino Ben Ali. "Nonostante non creda di aver commesso alcun illecito, ho deciso di dimettermi - ha scritto Alliot-Marie in una lettera a Sarkozy. Da alcune settimane sono stata bersaglio di attacchi politici e dei media, usati per creare sospetto, bugie e generalizzazioni", ha scritto. "Nelle ultime due settimane, è stata la mia vita privata che è stata molestata da certi media e non posso accettare che alcune persone usino questo complotto per provare a far credere alla gente che la politica internazionale francese sia stata indebolita", ha aggiunto. La Alliot-Marie era finita sotto accusa per aver offerto al regime di Ben Ali cooperazione di polizia durante gli scontri, al ritorno da una vacanza proprio in Tunisia. Ma ha anche accettato passaggi aerei gratuiti da uomini vicini al dittatore. In serata, Sarkozy ha annunciato un rimpasto di governo. Al posto della Alliot-Marie andrà Alain Juppé, fino a oggi ministro della Difesa, Sarà sostituito dal capogruppo dei senatori dell'Ump, Gerard Longuet. Confermata anche la sostituzione del ministro dell'Interno, Brice Hortefeux, con Claude Gueant, fino ad oggi segretario generale dell'Eliseo. Hortefeux diventa invece consigliere politico di Sarkozy, in vista delle elezioni presidenziali del 2012.
28 febbraio 2011 VIOLENZE NEL SULTANATO Oman, prosegue la protesta: ieri sei morti È di sei morti il bilancio degli scontri tra manifestanti pro-democrazia e forze di sicurezza registrati ieri in Oman. Lo hanno riferito fonti mediche del sultanato del Golfo. In un primo momento ieri sembrava che le vittime delle violenze fossero due. Intanto prosegue anche oggi la protesta contro il governo, con i manifestanti che hanno bloccato la strada verso Sohar, città industriale sede di una raffineria di greggio, teatro ieri degli scontri più aspri. Secondo testimoni oculari, gli agenti avrebbero aperto il fuoco contro i manifestanti, circa 2mila, scesi in piazza per chiedere lavoro e riforme politiche. La polizia avrebbe fatto ricorso a gas lacrimogeni e proiettili di gomma per disperdere la protesta.
2011-02-26 26 febbraio 2011 LIBIA Libia, Obama firma le sanzioni Berlusconi: stop al sangue "Se tutti siamo d'accordo possiamo mettere fine al bagno di sangue e sostenere il popolo libico". Lo ha detto Silvio Berlusconi intervenendo al 46/mo congresso dei Repubblicani. Il presidente del consiglio ha sottolineato che a suo avviso gli sviluppi della situazione del nord Africa "sono molto incerti perché quei popoli potrebbero avvicinarsi alla democrazia ma potremmo anche trovarci di fronte a centri pericolosi di integralismo islamico". "C'è il rischio - ha ribadito il premier - di una emergenza umanitaria con decine di migliaia di persone da soccorrere". "Di fatto il trattato" di amicizia tra Italia e Libia "non c'è più, è inoperante, è sospeso". Lo ha detto il ministro della Difesa Ignazio La Russa, parlando con i giornalisti in occasione della cerimonia di partenza della brigata Folgore da Livorno per Herat in Afghanistan. "Per esempio - ha spiegato il ministro - gli uomini della Guardia di finanza che erano sulle motovedette per fare da controllo a quel che facevano i libici, sono nella nostra ambasciata". "La conseguenza di questo fatto -ha sottolineato La Russa - è che noi pensiamo, consideriamo probabile, che siano moltissimi gli extracomunitari che possano via Libia arrivare in Italia, molto più di quanto avveniva prima del trattato". Il presidente americano Barack Obama ha imposto sanzioni contro la Libia, subito dopo il completamento delle operazioni di rimpatrio degli americani che erano nel Paese arabo. Il governo di Muhammar Gheddafi "ha violato le norme internazionali e la comune decenza e deve risponderne", ha affermato Obama, che ha parlato anche di "continue violazioni dei diritii umani" e di "oltraggiose minacce" da parte del regime di Tripoli. "Saremo accanto al popolo libico nella loro richiesta di diritti universali e di un governo che corrisponda alle loro aspirazioni", ha aggiunto. Con le sanzioni vengono congelati i beni negli Stati Uniti di Gheddafi, dei suoi familiari, di alti esponenti del governo libico e di chi ha ordinato o partecipato ad "abusi dei diritti umani relativi alla repressione politica in Libia", secondo quanto si legge nella lettera inviata da Obama ai leader della Camera e del Senato. Il segretario di Stato Hillary Clinton ha intanto sospeso tutte le licenze e le approvazioni per l'esportazione "di beni e servizi per la difesa" diretti alla Libia. Nella sua lettera, Obama ha sottolineato che i beni appartenenti al popolo libico verranno protetti. Attesa e incertezza a Tripoli dove stamani la situazione a Tripoli appare relativamente calma dopo i violenti scontri di ieri, la manifestazione a sostegno di Gheddafi e il violentissimo discorso del rais. Nella notte si sono uditi sporadici colpi di armi da fuoco. Le strade sono semideserte. Il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha raggiunto un accordo sulle prime sanzioni contro la Libia, che verranno varate oggi mentre il presidente Usa Barack Obama ha già firmato l'ordine esecutivo per il congelamento dei beni della famiglia Gheddafi e oggi arriverà anche il documento dell'Unione Europea. Ieri tuttavia Seif al Islam, il figlio 'riformistà del leader libico, aveva parlato di un possibile accordo con i ribelli. GHEDDAFI RESISTE. TRUPPE FERME PER NEGOZIARE Alcuni lo davano per morto. Altri sull’orlo del suicidio. Altri impotente nel suo bunker assediato da migliaia di manifestanti che da Misurata, conquistata ieri, Zuara, Zawia, Tojoura, Gharian, città nella cintura di Tripoli cadute una dopo l’altra nelle mai dei ribelli, si erano riversati nella capitale. Lui, il colonnello Muhammar Gheddafi, ha confezionato un colpo di scena clamoroso, perfettamente a misura del suo personaggio. Sfidando un’intera nazione che stava marciando per andare a prenderselo, il rais è comparso in una specie di fortino eretto in Piazza Verde, un colbacco spesso calato in testa, e, circondato da una folla osannante, ha parlato per tre minuti e mezzo. "Eccomi qui tra voi, chi non mi vuole, non merita di vivere", ha esordito il rais. "Sono venuto per incoraggiarvi e salutarvi. E vi dico: li respingeremo". Gheddafi ha sottolineato che i "depositi di armi sono aperti per armare il popolo" e che "assieme combatteremo". Ha quindi tirato in ballo il nostro Paese: "Sconfiggeremo i rivoltosi come abbiamo sconfitto gli italiani", ha detto. E poi si è rivolto a Usa e Ue: "Guarda Europa! Guarda America! Questo è il popolo libico, questo il frutto della rivoluzione". Quindi, dopo aver promesso di "lottare fino alla morte per la Libia", si è accomiatato chiedendo alla folla di "cantare e gioire ed essere felice". Come in un mondo improvvisamente ribaltato, la gente ha iniziato a gridare: "Solo Dio, Muhammar e Libia!". Cori in senso diametralmente opposti a quelli che, fino a poche ore prima, avevano saturato l’aria di Tripoli. Era cominciata in modo strano questa giornata. Una calma assurda aveva accompagnato la preghiera del venerdì nelle moschee della città, presidiate dalle forze di sicurezza. Qua e là piccoli e patetici cortei pro-Gheddafi. Il regime aveva affidato alla Tv di Stato l’ultimo tentativo di blandire la popolazione, annunciando, con un ritardo ormai lontanissimo dall’umore della gente, l’aumento degli stipendi per i dipendenti pubblici e sussidi per le famiglie. Poi, era cominciato l’afflusso di migliaia di manifestanti (50mila per al-Arabiya) nelle strade del centro e soprattutto in Piazza Verde. È stato a quel punto che le forze di polizia hanno cominciato a sparare "Sui civili" "indiscriminatamente", "ad altezza uomo", hanno riferito testimoni locali. I giornalisti stranieri sono stati portati via con la forza dagli uomini della sicurezza. E di nuovo, come nei giorni scorsi, è arrivata l’ondata di notizie non verificabili, contraddittorie, sul bilancio dei morti. Al-Jazeera ha parlato di una "carneficina", di "decine di vittime". Ha detto che i miliziani pro-regime hanno fatto strage casa per casa. Al-Arabiya ha parlato invece una decina di morti. La Tv libica nessuno. Impossibile capire quanti siano le vittime degli scontri di ieri. Impossibile anche arrivare a una stima del totale delle vittime di 11 giorni di violenze. Ieri il numero due della missione libica all’Onu, Ibrahim Dabbashi, ha parlato di migliaia di morti. Incerta pure la geografia delle "conquiste" fatte dai manifestanti. Sempre secondo al-Jazeera, a metà pomeriggio avevano preso il controllo dell’aeroporto internazionale di Maatiqa. Ma più tardi la notizia è stata smentita da giornalisti italiani, secondo i quali la base aerea è ancora sotto il controllo dei governativi. Sempre secondo fonti italiane, c’è stato un bagno di sangue anche nella periferia della capitale. "Dopo la preghiera la gente ha iniziato a correre gridando "libertà" – ha riferito l’inviato dell’Ansa – I miliziani si Gheddafi, senza divisa e confusi nella folla, hanno iniziato a sparare. Hanno anche usato le ambulanze per trasportare i mercenari, che aprivano le porte e sparavano sulla gente". La presenza di migliaia di mercenari è stata confermata da più fonti concordanti. Mercenari necessari perché i militari dell’esercito sarebbero divisi sulla reazione. In molti avrebbero rifiutato di tirare sulla gente, unendosi addirittura alle proteste. E sarebbero già tanti gli alti ufficiali che hanno disertato, voltando le spalle al regime. Divisioni ci sarebbero nella stessa brigata dell’esercito guidata da Khamis Gheddafi, uno dei figli del colonnello. Mentre sarebbe passato dalla parte dei rivoltisi il più giovane dei figli del rais, Saif al-Arab. Di certo, per tutta la giornata il regime ha perso pezzi. Si è dimesso per protestare contro la sanguinosa repressione il procuratore generale Abdelrahman al-Abbar. E avrebbe lasciato anche Ahmed Kadhaf al-Dam, cugino e uno degli uomini più vicini a Gheddafi. Mentre è fuggito da Tripoli il pilota personale del colonnello, il norvegese Aud Berger. È stato confermato, inoltre, che il governo non controlla più i pozzi petroliferi nell’Est. I ribelli a Bengasi hanno confermato che "i contratti – con imprese straniere – che sono legali e a beneficio del popolo libico verranno mantenuti". I campi sono comunque chiusi al 75%. Barbara Uglietti
26 febbraio 2011 LA REAZIONE DEL MONDO L'Onu e l'Ue stringono i tempi "Subito embargo e sanzioni" Sanzioni ed embargo alla vendita delle armi. Nazioni Unite e Unione Europea si stanno ancora consultando, ma il primo passo per fermare la violenza contro i civili sembra già stabilito. Al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è andato ieri in discussione un documento di Francia e Gran Bretagna che propone appunto l’embargo alla vendita di armi al governo di Tripoli e severe sanzioni finanziarie. Probabile pure il riferimento a una inchiesta internazionale, da affidare con incarico formale al Tribunale penale internazionale, per "crimini contro l’umanità". Una accusa contenuta pure nella bozza di risoluzione sotto esame. La discussione fra i quindici membri del Consiglio di sicurezza, che dovrebbe arrivare a un voto entro la prossima settimana, valuterà pure l’opzione di istituire una no-fly zone a protezione delle città in mano ai ribelli e degli impianti petroliferi. Tutte le opzioni restano ancora sul tavolo, avevano precisato giovedì dalla Casa Bianca e nei corridoi del Palazzo di Vetro sono pure iniziate a circolare ipotesi, al momento al quanto fantasiose, di interventi militari sotto l’egida dell’Onu. Dopo le consultazioni fra Obama, Sarkozy e Cameron, la comunità internazionale sembra avanzare decisa verso una condanna della feroce repressione del colonnello Gheddafi anche se restano da definire modalità ed efficacia delle contromisure. Gli Stati Uniti, fa sapere la Casa Bianca, stanno preparando delle sanzioni unilaterali e non escludono alcuna opzione, compreso il ricorso alla forza. Il primo atto concreto, molto significativo simbolicamente, sarà l’espulsione della Libia dal Consiglio dei diritti umani a Ginevra, mentre una missione sarà inviata in Libia per verificare gli abusi. La richiesta sospensione, approvata ieri in un vertice a Ginevra, sarà formalizzata con l’espulsione martedì al Palazzo di Vetro. "Sanzioni in pochi giorni", ha promesso pure l’alto commissario dell’Unione Europea Catherine Asthon in una azione che sembra correre parallela a quella dell’Onu. L’accordo politico su un pacchetto di sanzioni della Ue è ormai raggiunto fra i Ventisette che già lunedì o martedì lo formalizzeranno. Nel "pacchetto di sanzioni" è previsto l’embargo all’export di armi e di materiali ad uso bellico, il congelamento dei beni ed il divieto di ingresso nell’Ue per la famiglia Gheddafi. Una certa cautela è stata tuttavia espressa da Cipro, Malta e Italia, mentre la Francia ha spinto decisamente per muoversi rapidamente contro il leader libico: "Gheddafi se ne deve andare. La violenza non è accettabile. Questi Paesi devono diventare liberi", ha dichiarato il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ieri in visita in Turchia. Intanto Bruxelles ha già stanziato 3 milioni di euro per i soccorsi. L’ipotesi di un intervento di "ingerenza umanitaria" è stato ieri suggerito dagli europarlamentari italiani Mario Mauro e Gianni Pittella. Nella serata di ieri, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, in un incontro con la stampa fuori dall’aula del Consiglio di Sicurezza, ha detto che "è importante che i Paesi vicini (alla Libia), compresi quelli europei, lascino i confini aperti alle persone che stanno fuggendo" dal Paese. Ban ha sottolineato che ci sono "serie indicazioni di una crisi sempre più grandi per rifugiati e profughi" che stanno scappando dal Paese per evitare di essere uccisi. "Secondo le nostre stime, in circa 22mila hanno lasciato la Libia entrando in Tunisia, mentre in 15mila sono scappati Egitto", ha concluso Ban. Luca Geronico
26 febbraio 2011 La sete di democrazia e l'Europa Aiutiamo il futuro Il 25 gennaio 2011 sono iniziate le manifestazioni contro il dittatore della Tunisia Ben Alì. Solo un mese dopo, siamo spettatori di una rivolta popolare che ha coinvolto quindici Paesi islamici del Nord Africa e del Medio Oriente: Mauritania, Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Gibuti, Yemen, Giordania, Arabia Saudita, Bahrain, Kuwait, Qatar, Siria, Iran. Il 25 gennaio le manifestazioni contro il governo tunisino sembravano un fatto locale di scarsa importanza internazionale, oggi sappiamo che l’effetto domino di quella "rivoluzione" ha già coinvolto quasi tutti i Paesi arabo-islamici e l’Iran, causando il crollo di tre dittature: Tunisia, Egitto e Libia (Gheddafi sembra vicino alla fine dei suoi 42 anni di sanguinaria tirannia). Non solo, ma da questi giorni tragici e corruschi, possiamo già tentare alcune riflessioni. 1) In tutta evidenza i protagonisti di queste rivolte sono stati i giovani, mossi sostanzialmente dalle ristrettezze economiche e dalla mancanza di libertà, di sviluppo, di lavoro e di giustizia nei loro Paesi. Non chiedono uno stato teocratico come l’Arabia e l’Iran, vogliono una democrazia come alla tv e in Internet vedono che esiste nei vicini Paesi europei; non hanno bruciato bandiere americane o israeliane, ma vogliono vivere in pace; non sono stati animati da spirito di odio, violenza e vendetta contro i dittatori e i loro seguaci: Gheddafi fa eccezione perché ha fatto mitragliare e bombardare i manifestanti, ma Mubarak ha potuto ritirarsi nella sua villa: i 31 anni della sua dittatura, certamente dura e oppressiva, sono finiti quasi senza spargimento di sangue! 2) Nella storia dei Paesi a maggioranza musulmana è la prima volta che un movimento di popolo di queste proporzioni prende corpo e mette soprattutto in crisi l’islam politico, cioè la stretta connessione fra religione e politica fin dall’inizio. Maometto infatti era un capo religioso, politico e militare, come anche i suoi "califfi", cioè i successori del Profeta nei secoli seguenti. I giovani manifestanti non rifiutano l’islam e non sono affatto anti-cristiani. In Egitto, il Paese simbolo di questi giorni perché da sempre guida del mondo arabo-islamico, abbiamo visto le foto pubblicate da "Asia News": nella folla che occupava Piazza Tahrir cristiani e musulmani erano abbracciati e sventolavano festosamente le insegne identitarie delle loro religioni: la croce e la mezzaluna. D’altra parte, anche dalla Libia e dalla Tunisia non si segnalano assalti e violenze contro i cristiani, le loro chiese e istituzioni. 3) Tutto questo non significa che il fondamentalismo islamico non esiste più, ma solo che i protagonisti delle rivoluzioni nei Paesi a sud del Mediterraneo sono giovani che chiedono democrazia, rispetto dei diritti umani, sviluppo economico, cioè società dinamiche e non bloccate, come sono sempre, o quasi sempre, quelle islamiche. Il pericolo, già segnalato, è che, terminati i giorni dell’euforia e della festa per la liberazione, la mancanza di leader politici e di partiti in sintonia con queste aspirazioni possa aprire una porta a movimenti islamisti ben organizzati e radicati sul territorio, come in Egitto i "Fratelli musulmani" e in Libia le varie Confraternite di radice tribale. 4) Il problema fondamentale dell’islam è il rispetto dei diritti dell’uomo e della donna, i giovani manifestanti lo sentono e lo vivono in modo drammatico. In questi giorni è evidente che, nel difficile cammino per giungere alla meta desiderata, i popoli così vicini nel sud del Mediterraneo hanno urgenza dell’aiuto fraterno dell’Europa. Le distruzioni e i disastri economici prodotti dai sommovimenti popolari e dalle reazioni del potere, la miseria e la scarsità di strutture produttive ereditate dalle dittature non sono situazioni che favoriscono uno sviluppo democratico. L’Europa tutta, le istituzioni europee e i governi nazionali dovrebbero dare dei forti segnali di essere disposti ad aiutare con misure straordinarie questi popoli così vicini. Purtroppo, la crisi delle società europee ci rende popoli con una maggioranza di anziani e sempre meno giovani. Anche i Paesi "cristiani" sembrano paralizzati in una condizione di ricchezza economica e di miseria morale. Ma questo è un motivo in più per ritornare a Cristo, non come etichetta identitaria, ma come vita secondo il Vangelo. Piero Gheddo
26 febbraio 2011 I meccanismi perversi dei media Esagerare non serve Che la prima vittima della guerra sia la verità è un antico detto mai smentito. "Il bilancio della repressione in Libia è almeno di diecimila morti", ha riferito la tv Al-Arabiya in una breaking news che ha subito fatto il giro del mondo. "Breaking news" è, letteralmente, la notizia che rompe, quella dell’ultima ora che dovrebbe allargare l’orizzonte. A volte però diventa un flash abbagliante che impedisce una corretta visione. Il bilancio di 10 mila morti sarebbe stato riferito da un membro della Corte penale internazionale che però ha subito smentito Al-Arabiya, costretta a fare retromarcia. Ieri un suo inviato ha ammesso che "a Tripoli ci sono stati scontri fra dimostranti e polizia ma nessun raid aereo", contrariamente alle informazioni diffuse in precedenza anche da Al-Jazeera, l’altra grande tv del mondo arabo, spesso accusata di fomentare la rivolta contro i regimi del Maghreb. È un meccanismo perverso che tende a ingigantire e a demonizzare oltre ogni misura quel che sta succedendo, come se la realtà non fosse già abbastanza tragica. C’è un dittatore che ha dichiarato guerra al suo popolo, ci sono rivoltosi che si scontrano con miliziani e mercenari, ci sono morti e feriti. Non sappiamo quanti siano, la battaglia è ancora in corso. Se alla fine le vittime si conteranno a centinaia e non a migliaia, forse che Gheddafi risulterà più rispettabile? Se ha ordinato di sparare e uccidere i manifestanti, senza però ricorrere ai raid aerei, forse che il tiranno avrebbe diritto ad un giudizio più benevolo? Ci viene il sospetto che per scatenare l’indignazione di un’opinione pubblica assuefatta a tanti orrori ci sia bisogno di creare un nuovo mostro, invece che raccontare i misfatti di un dittatore in carne ed ossa, un implacabile nemico della libertà che fino a ieri è stato trattato con rispetto e timore. Non è la prima volta che succede. Quando nel dicembre del 1989 la Romania si ribellò a Ceausescu, venne creato il mito della città martire di Timisoara, il luogo dove l’ultima brutale repressione del tiranno dei Carpazi si era conclusa con un bagno di sangue. Per documentare la strage mostrarono montagne di cadaveri ai giornalisti accorsi sul posto. Ero lì, e ne rimasi sconvolto. Più di mille morti, raccontavano i testimoni. In realtà le vittime furono poche decine. Alla morgue di Timisoara (ma questo lo scoprii più tardi) avevano inscenato una lugubre farsa, ammucchiando i corpi dei defunti sottratti dalle tombe del cimitero. Che Ceausescu fosse il più dispotico fra tutti i dittatori comunisti era cosa risaputa. Ma per choccare l’opinione pubblica mondiale occorreva qualcosa d’altro, qualcosa di sconvolgente. E così s’inventarono una strage, ad uso e consumo dell’Occidente, bisognoso di una scossa umanitaria. Il giudizio storico su Ceausescu non è cambiato, ma Timisoara resta una pagina ingloriosa del giornalismo. Invece di raccontare la voglia di libertà di un popolo, tenuto in schiavitù per lungo tempo, ci fu la contabilità fasulla dei morti. Anche oggi, davanti al dramma libico, c’è chi gonfia il numero delle vittime. E chi, ancor peggio, ingigantisce il pericolo del fondamentalismo islamico dando per scontato il trionfo di Al Qaeda sulle rovine della dittature arabe e, di conseguenza, l’arrivo in Europa di orde di terroristi. Parlano come Gheddafi questi profeti di sventura. E nella primavera dei giovani popoli arabi vedono soltanto l’autunno della vecchia Europa. Luigi Geninazzi
2011-02-22 22 febbraio 2011 LA RIVOLTA IN LIBIA Gheddafi al contrattacco: resterò fino alla morte Ore 17 - L'Eni sospende per motivi precauzionali il gasdotto Greenstream La fornitura di gas attraverso il gasdotto Greenstream è sospesa. Lo comunica l'Eni, precisando di essere in grado di far fronte alla domanda di gas dei propri clienti. La decisione di chiudere temporaneamente il gasdotto "Greenstream", che collega l'Italia ai giacimenti della Libia, sarebbe stata decisa dall'Eni già nella tarda serata di ieri per motivi precauzionali. Ore 16.50 - il discorso di Gheddafi in tivù: riporterò l'ordine "Non sono un presidente e non posso dimettermi". "Sono un leader della rivoluzione e resterò a capo della rivoluzione fino alla morte, come un martire". Muammar Gheddafi, dopo la brevissima apparizione in tv della scorsa notte, torna in un discorso sulla rete nazionale libica per esortare con tutta la sua forza il Paese a reagire alle proteste, attaccando i media arabi "che vogliono rovinare la vostra immagine nel mondo" e i "giovani drogati", che imitano le rivolte in Egitto e dietro cui, ha detto "c'è un gruppo di persone malate infiltrate nelle città che pagano questi giovani innocenti per entrare in battaglia", "ratti pagati dai servizi segreti stranieri". "Chi ha designato questi attacchi ora è in sedi tranquille dopo aver dato loro ordine di distruggerci". Gheddafi è apparso in tv dalla sua residenza-caserma di Bab alAzizia, a Tripoli, dove si è asserragliato col crescere della rivolta nel Paese. Occhiali, turbante color cammello e casacca con mantella intonata, Gheddafi è apparso molto accalorato. Ha parlato in piedi, gesticolando e usando toni forti, urlati. "La vostra immagine è distorta nei mass media arabi per umiliarvi" ha detto e ha esortato il popolo, unico vero leader della Libia, a reagire. "Uscite dalle vostre case e attaccate i manifestanti". "Le famiglie dovrebbero iniziare a raccogliere i loro figli. A uscire dalle loro case se amano Gheddafi". "Non abbiamo ancora utilizzato la forza - ha aggiunto nel suo discorso in tv - e la useremo in conformità con le leggi internazionali". Gheddafi ha poi esortato anche l'esercito e la polizia a "schiacciare la rivolta" e ha ricordato che la legge libica prevede per i protestanti la pena di morte. Il colonnello Gheddafi si è poi rivolto ai giovani promettendo da domani una nuova Jamahirya (stato delle masse), con libera stampa, diritti dei blogger, una nuova Costituzione e un nuovo sistema giuridico. Ore 14.50 - Testimoni: mille morti a Tripoli Sono oltre mille i morti a Tripoli durante i bombardamenti sulla folla di manifestanti scesi in piazza per protestare contro il regime di Muammar Gheddafi. A riferirlo è il presidente della Comunità del Mondo Arabo in Italia (Comai) Foad Aodi, che è in costante contatto, da Roma, con alcuni testimoni in Libia. "Manca l'energia elettrica e i medicinali negli ospedali", ha riferito ancora Aodi, che ha rivolto un appello al governo italiano affinché si mobiliti "per un aiuto economico e con l'invio di medicinali in Libia. Il governo non rimanga in coma, sordo e cieco, alla rivoluzione che è in atto in queste ore". Ore 14.40 - L'Onu: l'Europa non respinga le persone in fuga L'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) ha lanciato un appello all'Europa e ai Paesi del nord Africa vicini alla Libia a non respingere le persone in fuga dagli scontri. L'Italia è tra i Paesi "che potrebbero ricevere un maggior flusso di persone in fuga dalla Libia", sia cittadini libici che rifugiati da altri Paesi, ha detto Melissa Fleming, portavoce dell'Alto Commissario per i rifugiati. Ore 13.50 - Napolitano: legittime le richieste di democrazia Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sta seguendo con attenzione le drammatiche notizie provenienti dalla Libia che riferiscono di un già pesante bilancio di vittime fra la popolazione civile. Il Capo dello Stato sottolinea come alle legittime richieste di riforme e di maggiore democrazia che giungono dalla popolazione libica vada data una risposta nel quadro di un dialogo fra le differenti componenti della società civile libica e le autorità del Paese che miri a garantire il diritto di libera espressione della volontà popolare. Lo afferma una nota del Quirinale. Ore 12.50 - Frattini: non ci risultano sospensioni nella fornitura di gas "Allo stato non ci risultano sospensioni di forniture di gas". Lo ha affermato il ministro degli Esteri Franco Frattini rispondendo alle domande dei giornalisti al Cairo. Ore 12.10 - Frattini: preoccupati per rischio guerra civile e marea immigrati "Siamo molto preoccupati per il rischio di una guerra civile e per i rischi di un'immigrazione verso l'Unione Europea di dimensioni epocali". Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini durante una conferenza stampa al Cairo seguita all'incontro con il segretario generale della Lega Araba Amr Mussa, durato circa 45 minuti. Ore 11 - Aeroporto distrutto, C130 per italiani non atterrerà a Bengasi "Non arriverà a Bengasi, dove l'aeroporto è stato bombardato, ma in un altro scalo della Libia" il C130 dell'Aeronautica Militare che dovrebbe rimpatriare oggi un centinaio di italiani. Lo ha detto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, sottolineando che "per motivi di sicurezza" non rende noto il luogo dove il velivolo militare atterrerà. La Russa ha anche detto che sarà il cacciatorpediniere lanciamissili Francesco Mimbelli a salpare dall'Italia per fare "da piattaforma per il controllo aereo nel sud del Mediterraneo". La Mimbelli è una unità multi-ruolo con un equipaggio di circa 400 persone. Ore 10.30 - L'Onu chiede inchiesta indipendente L'Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Navi Pillay ha chiesto oggi una "inchiesta internazionale indipendente" sulle violenze in Libia ed ha chiesto lo stop immediato delle gravi violazioni dei diritti dell'uomo compiuti dalle autorità libiche". Ore 10.10 - Da Nalut: taglieremo il gas all'Italia In un messaggio postato su Facebook dal sito di opposizione libica "17 febbraio" gli abitanti della regione occidentale della Libia, dalla città di Nalut fino a Gherban, hanno minacciato di tagliare le forniture di gas all'Italia e all'Ue. "Dopo il silenzio che avete osservato sui massacro perpetrato da Gheddafi, abbiamo deciso di tagliare il gas libico che parte dal campo di Al Wafa e che passa per la nostra regione verso l'Italia e il nord dell'Europa attraverso il Mediterraneo", si legge nel messaggio. Ore 9.50 - Testimoni: nuovi attacchi aerei sulla folla Residenti a Tripoli citati dalla tv Al Jazira sul suo sito riferiscono di nuovi attacchi aerei questa mattina su alcuni quartieri di Tripoli. Secondo le fonti "mercenari" sparano sui civili in città. Ore 8.30 - L'Egitto apre un valico per i feriti Le autorità egiziane rafforzeranno il controllo della frontiera con la Libia con guardie di frontiera ed apriranno il passaggio di Salloum per consentire l'ingresso in Egitto di persone malate e ferite. Lo ha detto una fonte militare. Ore 7.30 - C13 pronto a partire per recuperare gli italiani Un aereo C130 dell'Aeronautica Militare "è pronto a partire dall'Italia per rimpatriare un centinaio di connazionali che si trovano a Bengasi". Lo ha detto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, parlando con i giornalisti ad Abu Dhabi, dove si trova in visita ufficiale. L'APPARIZIONE DI GHEDDAFI - Muammar Gheddafi ha fatto un'apparizione lampo - appena 22 secondi - la notte scorsa sulla tv libica, la prima a una settimana dallo scoppio della rivolta contro il suo regime, per annunciare di trovarsi a Tripoli e non in Venezuela, e confutare quelle che ha definito "malevole insinuazioni" dei media occidentali. La brevissima - appena 22 secondi - apparizione di Gheddafi 'in diretta' alla tv libica aveva lo scopo di smentire le voci diffusesi ieri secondo cui egli aveva già lasciato la Libia per trovare rifugio in Venezuela. "Vado ad incontrare i giovani nella piazza Verde. E' giusto che vada per dimostrare che sono a Tripoli e non in Venezuela: non credete a quelle televisioni che dipendono da cani randagi", ha detto il colonnello facendo riferimento alle informazioni diffuse ieri da numerose tv e media internazionali sulla sua presunta fuga da Hugo Chavez. La immagini diffuse dalla tv libica mostravano il colonnello Gheddafi con un mantello e un ombrello in mano mentre saliva a bordo di un fuoristrada nella sua residenza-caserma di Bab Al Azizia. Con una scritta in sovrimpressione, la tv libica ha spiegato che "in un incontro in diretta con la rete tv satellitare Al Jamahiriya, il fratello leader della rivoluzione ha smentito le insinuazioni dei network malevoli". Continua la violenta repressione di Tripoli - Bombardata la folla in piazza, oltre 250 i morti solo ieri. Secondo un messaggio inviato via Twitter alla Bbc, elicotteri Apache hanno attaccato civili che marciavano da Misurata, terza citta' della Libia, verso la capitale. Seif al-Islam, uno dei figli di Gheddafi, ha ordinato una commissione d'inchiesta sulle violenze, capeggiata da un giudice libico e con partecipazioni libiche e straniere per i diritti umani.
22 febbraio 2011 LA REAZIONE DEL MONDO Bruxelles dà l'altolà, ma non isola il rais Tra prudenza e sdegno, di fronte alla sanguinosa repressione in Libia non è stato facile ai ministri degli Esteri dell’Ue mettersi d’accordo su una dichiarazione che condannasse il comportamento del regime di Tripoli senza perdere la faccia, ma anche senza interrompere i ponti con Tripoli. E rischiare di peggiorare ancora la situazione anche dal punto di vista dell’esodo di emigranti che Tripoli minaccia di non più ostacolare. Alla fine, il Consiglio dei ministri degli Esteri ha condannato l’uccisione di decine di dimostranti anti-regime governativi in Libia ma senza prospettare – almeno per ora – sanzioni economiche o di altro tipo. I Ventisette dichiarano che "condannano la repressione in corso contro i manifestanti in Libia, deplorano la violenza e la morte di civili", chiedono "la fine immediata dell’uso della forza" e ricordano che "la libertà di espressione e il diritto di riunirsi pacificamente sono diritti fondamentali di ogni essere umano e devono essere rispettati e protetti". I ministri chiedono poi che "alle legittime aspirazioni ed alle richieste del popolo per le riforme si risponda con un dialogo guidato dai libici, dialogo aperto, inclusivo, significativo e nazionale, che porti ad un futuro costruttivo per il Paese e per il popolo". "Noi incoraggiamo fortemente tutte le parti in questa direzione", si legge ancora nel documento che invita "tutte le parti a mostrare moderazione". Il ministro degli Esteri finlandese Alexander Stubb, spalleggiato dai colleghi di Svezia e Danimarca, avrebbe invece voluto una dichiarazione che in caso di mancato arresto della repressione minacciasse sanzioni come il blocco dei beni all’estero contro Muhammar Gheddafi personalmente, la sua famiglia e alti funzionari del governo. "Come possiamo da un lato vedere quel che succede in Libia, con quasi 300 persone uccise, e poi non parlare di sanzioni o divieti di viaggio per esempio per Gheddafi", ha detto Stubb, e ha osservato che "non è certo compito dell’Ue cambiare il leader in Libia ma la leadership di Tripoli dovrebbe ascoltare la popolazione e, ad essere onesti, ascoltare la gente non significa usare le armi automatiche". Senza arrivare all’analisi del ministro della Repubblica Ceca Karel Schvarzenberg, per cui la caduta di Gheddafi "sarebbe una catastrofe", la maggioranza dei ministri ha però ritenuto prematuro e con tutta probabilità anche controproducente parlare ora di sanzioni. Tantopiù considerando la minacca di Gheddafi di lasciare libero corso a nuove ondate di migranti sospendendo l’applicazione degli accordi di cooperazione – in primo luogo con l’Italia – per frenare il fenomeno. A Bruxelles il ministro degli Esteri Franco Frattini ha sottolineato che l’Europa ha buoni motivi per temere quella minaccia e ha proposto di mobilitare fondi europei in una sorta di "Piano Marshall" per aiutare i Paesi nord-africani e del Medio Oriente, mostrando di "appoggiare una riconciliazione pacifica" e senza dare l’impressione di voler "esportare la nostra democrazia". Franco Serra
22 febbraio 2011 LA PISIZIONE ITALIANA Berlusconi alla fine condanna le violenze L’amicizia tra Roma e Tripoli non può più esimere il governo italiano da un netto altolà al Colonnello. Silvio Berlusconi definisce "inaccettabile" l’uso della violenza contro i cittadini libici, segue con "estrema preoccupazione" l’evolversi della situazione e chiede che l’Ue "impedisca che la crisi degeneri in guerra civile". La presa di posizione del premier arriva in serata, dopo che il ministro degli Esteri, Franco Frattini ha già fatto sua la posizione di condanna dell’Ue. E mentre comincia l’evacuazione degli italiani - stamattina il primo volo speciale da Tripoli - il responsabile della Farnesina si prepara a rispondere domani in Parlamento alle opposizioni che accusano l’Esecutivo di atteggiamento "nebbioso". Diretta conseguenza, dicono, del feeling con Gheddafi, rinfacciando a Berlusconi il baciamani al Colonnello e i 5 miliardi di dollari promessi per chiudere il contenzioso coloniale. Dopo una giornata di accuse al governo di inattivismo, Palazzo Chigi in serata dirama una nota. Silvio Berlusconi, vi si legge, "segue con estrema attenzione e preoccupazione l’evolversi della situazione e si tiene in stretto contatto con tutti i principali partner nazionali e internazionali". Il premier "è allarmato per l’aggravarsi degli scontri e per l’uso inaccettabile della violenza sulla popolazione". E sollecita "l’Ue e la Comunità internazionale a compiere ogni sforzo per impedire che la crisi degeneri in una guerra civile" e "favorire invece una soluzione pacifica che tuteli la sicurezza dei cittadini così come l’integrità e stabilità del Paese e dell’intera regione". "In Libia – aveva anticipato nel pomeriggio Franco Frattini – siamo sull’orlo di una guerra civile, dobbiamo far sì che la richiesta forte dell’Europa sia ascoltata". Alla Farnesina intanto si mette a punto un piano di evacuazione per i cittadini italiani. Stamattina un volo speciale organizzato dal ministero affiancherà quelli di linea. Finmeccanica ha già fatto rientrare una decina di dipendenti, lo stesso l’Eni. Gli italiani in Libia sono circa 1.500, la maggior parte è a Tripoli, 500 dipendenti di grandi imprese, pochissimi a Bengasi. L’attivismo del governo però non basta a placare le opposizioni. A cominciare dal segretario del Pd, che chiama il titolare della Farnesina per avere notizie sull’evolversi della crisi e sollecitare il governo a impegnarsi al massimo per un impegno dell’Europa. Oggi sarà al Pantheon al sit-in del Pd. Duro il suo giudizio: "Ora ci vorrebbe un’Italia che non si limitasse a dire "tutto quello che dirà l’Europa, per me va bene" – attacca Pierluigi Bersani – perché è l’Italia che deve dire cosa deve fare l’Europa nel Mediterraneo". E il nostro Paese, primo partner commerciale nel Mediterraneo, "adesso si sta facendo di nebbia davanti a un popolo che chiede libertà". "Dal governo italiano non è giunta una sola parola contro la repressione violenta del regime di Gheddafi che ha causato centinaia di morti", accusa il vicecapogruppo di Fli alla Camera, Benedetto Della Vedova. Il portavoce dell’Idv, Leoluca Orlando accusa Frattini di "complicità". E il senatore dipietrista Stefano Pedica accusa il Pd di avere approvato nel 2009 il trattato di amicizia tra Roma e Tripoli. Luca Liverani
22 febbraio 2011 GENOVA Bagnasco: "Le popolazioni prima o dopo reagiscono alle dittature" "Oltre la Libia c'è tutta l'area del Nord Africa e questo a me pare che corrisponda ad un fatto generale che è successo anche nell'Est, vale a dire ad un certo momento, oltre che ai problemi economici e politici, le popolazioni prima o dopo reagiscono necessariamente ad una antropologia quindi ad una visione dell'uomo che è contro i suoi diritti fondamentali, contro la sua dignità". Così il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei e arcivescovo di Genova, ha commentato quanto sta accadendo in Libia e in tutto il Nord Africa. A margine di un convegno sul disarmo nucleare, il porporato ha ribadito: "Oltre agli elementi di tipo economico, certamente c'è questo dato di fondo che non può essere compresso da nessun regime, da nessuna dittatura. Prima o poi esplode".
22 febbraio 2011 La sfida di trovare nuovi interlocutori in Libia, comunque finisca Niente sarà più come prima. Gheddafi è ormai un "intoccabile" Il fumo dei mitragliamenti di Bengasi e delle bombe sganciate sulla capitale Tripoli ci impediscono di vedere ma, al tempo stesso, dicono tutto. Ad esempio, il prezzo che i libici sono disposti a pagare per liberarsi della famiglia Gheddafi, sfidando quelle armi che con troppa disinvoltura molti Paesi hanno fornito al rais dopo la conversione filo-occidentale. Secondo gli ultimi dati disponibili (2007), la Libia, con soli 6,5 milioni di abitanti, è il quarto acquirente di armi dell’Africa Settentrionale (e il nono miglior cliente delle fabbriche italiane d’armamenti), con una spesa annua di 423 milioni di euro. Ma, soprattutto, non c’è repressione, per quanto feroce, che possa impedire due riflessioni. La prima: ora che le rivolte hanno sconvolto per intero il Maghreb, dal Marocco (dove ci sono stati altri morti) alla Giordania, capiamo che l’architrave degli assetti regionali sta proprio in Libia. In Egitto e in Tunisia, la transizione verso nuovi regimi forse più democratici, pur dolorosa, si è avviata senza salti nel buio, con la partecipazione decisiva e organizzata delle forze armate, l’istituzione più compatta e meno screditata. In Libia, invece, il rivolgimento potrà solo essere radicale o non essere, e il bagno di sangue è già inevitabile. Quarant’anni di potere spregiudicato e tirannico hanno inciso tracce profonde nell’animo della gente. E la politica di spogliazione del clan Gheddafi ha provocato l’indignazione di molti e l’ambizione di altri. Fatichiamo a capire che cosa stia davvero succedendo a Tripoli e nelle altre città, ma ancor più difficile risulta immaginare il Paese che uscirà da tanta violenza. Abbiamo un’unica certezza, ed è la seconda riflessione: nulla sarà più come prima. Da questo punto di vista la sorte di Muhammar Gheddafi è indifferente. Se sarà sconfitto e cacciato, l’Italia e l’Europa avranno interlocutori nuovi e imprevedibili. Se il Colonnello riuscirà invece a restare in sella, l’avrà fatto solo al prezzo di stragi orrende. L’Europa (e l’Italia in particolare) che oggi gli chiede, e anzi quasi gli grida, di fermare le violenze potrebbe di nuovo averlo come interlocutore? Considerarlo un partner affidabile nella politica di contenimento dell’immigrazione irregolare? Firmare altri contratti per il petrolio e per il gas? Ospitarlo nelle proprie capitali, con tende, guardie del corpo e lezioni sul Corano incluse? Le poche notizie che arrivano in queste ore dalla Libia raccontano di ministri che si dimettono, unità dell’esercito che si ribellano, ambasciatori che disertano. E di civili massacrati per le strade. Bengasi e Al Bayda sono nelle mani dei ribelli e a Tripoli per la seconda notte consecutiva si è combattuto tra le case. È la fine violenta di un regime violento. Per un crudele paradosso, proprio il Paese più chiuso del Maghreb ora ci interpella nel modo più pressante. E ci propone la sfida più complessa. La richiesta di democrazia e benessere che viene dalle popolazioni del Maghreb non può essere ignorata, e deve anzi essere appoggiata. Ma i legittimi interessi dei nostri Paesi (gestione dei flussi migratori, forniture energetiche regolari, scambi commerciali ordinati, rispetto dei patti e degli accordi siglati) non devono essere sottovalutati. È un intreccio, che oggi però cambia trama. Si apre, appunto comunque vada, una stagione nuova nella millenaria vita dei popoli del Mediterraneo. Potremmo persino sperare che questi poveri morti della Libia servano a dare uno scossone alla vecchia e tremolante Europa. A farle capire quanto grande sia ancora, almeno in potenza, il suo ruolo sulla faccia del mondo. Fulvio Scaglione
22 febbraio 2011 IMMIGRAZIONE A Lampedusa sbarchi continui Ue: non ci saranno smistamenti Proseguono gli sbarchi di migranti provenienti dalle coste della Tunisia verso Lampedusa, nonostante le avverse condizioni del mare. In mattinata i carabinieri ne hanno bloccati 43, che erano riusciti ad approdare direttamente sulla terraferma. Nel Centro di prima accoglienza di Lampedusa si trovano meno di mille immigrati, dopo i massicci trasferimenti avvenuti a partire dal pomeriggio di ieri con un ponte aereo verso altri Cpt di Sicilia, Puglia e Calabria. Le condizioni meteo in peggioramento, con mare forza 6 e forti raffiche di maestrale, secondo la centrale operativa della Capitaneria di porto di Palermo dovrebbero tuttavia scoraggiare la partenza di altri barconi dalla Tunisia. "Solidarietà " con il governo italiano, "disponibilità a fornire materiale umano e mezzi finanziari", ma non ci sarà alcuna apertura nei confronti di una distribuzione del fardello dell'immigrazione proveniente dai Paesi del Nord Africa. È quanto si apprende da fonti diplomatiche europee. Secondo le fonti, i governi del nord Europa hanno intenzione di mettere sul tavolo del Consiglio affari interni e giustizia (Gai), che si terrà giovedì e venerdì prossimi, la disponibilità a considerare la questione delle rivolte nei Paesi arabi come "un problema europeo", ma fanno notare che "un paese di 60 milioni di abitanti non può avere problemi a fronteggiare qualche migliaio di migranti". Inoltre osservano che "la legislazione europea è chiara": nel senso che la gestione degli immigrati, intesa come rimpatrio degli illegali e valutazione delle domande d'asilo, spetta al Paese in cui essi approdano. "Tra l'altro - osserva la fonte - l'Italia non ha voluto alcuno degli immigrati che sono arrivati a Malta. E a suo tempo la Germania non battè ciglio di fronte ai 300.000 che arrivarono nel paese al tempo della crisi nei Balcani". Un aiuto politico per alleviare la pressione sull'Italia potrebbe semmai arrivare con la disponibilità ad una azione comune dei 27 nei confronti dei Paesi di origine per "convincerli" a facilitare la riammissione degli espatriati. E sul fronte immigrazione c'è da registrare anche una battuta di Bossi: gli immigrati in fuga dal Nord Africa "intanto non sono arrivati e speriamo che non arrivino. Se arrivano li mandiamo in Francia e Germania...". Il leader del Carroccio risponde così ai cronisti a Montecitorio che gli chiedono se la Lega Nord "è preoccupata per l'arrivo di immigrati in fuga dal Nord Africa". Quanto alla Libia, "aspettiamo ordini dall'Unione Europea". A LAMPEDUSA SBARCHI CONTINUI Era l’alba di ieri mattina quando 131 adulti stipati su due barconi - il primo con 89 persone a bordo, il secondo 42 - approdavano nel porto di Lampedusa dopo essere stati soccorsi a poche miglia dall’isola da due motovedette della Guardia costiera. Le due imbarcazioni, vecchi pescherecci, erano state avvistate la sera prima da un aereo militare in servizio di pattugliamento nel Canale di Sicilia. Domenica c’erano stati altri due sbarchi, con l’arrivo di 73 immigrati, che si sono dichiarati tunisini. Sempre ieri si è avuto un terzo sbarco: altri 6 uomini sono stati soccorsi al largo di Lampedusa su una piccola barca in avaria che procedeva a remi. Sull’isola, che conta poco più di 5.500 residenti, attualmente si trovano, ospiti nel Centro di prima accoglienza, ancora circa 1.300 immigrati, che fanno parte di quella ondata di una settimana fa che in poche ore ha riversato sull’isola migliaia di tunisini. Anche se la Centrale operativa della Capitaneria di porto di Palermo ha rilasciato un bollettino di cattivo tempo con previsioni meteo-marine in netto peggioramento, mare forza sei e forti raffiche di maestrale, che dovrebbero scoraggiare la partenza di altri barconi, sull’isola resta alta e accesa la preoccupazione di nuovi e ben più consistenti arrivi, se si dovessero aprire i "rubinetti" libici. "Sì, siamo e sono seriamente preoccupato, per quello che potrebbe abbattersi sull’isola. Con la Libia in pieno caos e Gheddafi che dicono dileguato all’estero, salterebbero anche gli accordi tra Roma e Tripoli stipulati per frenare l’esodo clandestino da quella nazione - avverte il sindaco di Lampedusa, Bernardino De Rubeis -. Il Paese sguarnito d’ogni autorità, il territorio senza più controlli alle frontiere, significa che dobbiamo solo prepararci ad affrontare eventuali ondate di umanità disperata. Il senso di apprensione che si respira sull’isola è anche la mia viva preoccupazione". E conclude: "A giorni si completerà nel suo insieme la missione "Frontex", uomini e mezzi, non solo navali, inviati sull’isola di Lampedusa per cercare di contrastare il fenomeno. Per affrontare l’emergenza immigrazione e ridurre il malumore che si respira proprio mentre stiamo preparandoci alla stagione estiva. Ho visto 5000 immigrati arrivare da noi in pochissimi giorni. Era una processione continua. Non riesco a immaginare quello che potrebbe accadere nella peggiore delle ipotesi. Ma effettivamente è preoccupante pensare a un ammassamento esagerato di persone in poche ore. La verità è che questa preoccupazione si avvicina sempre di più". Claudio Monici
2011-02-21 21 febbraio 2011 LIBIA - LA DIRETTA Tripoli: aerei contro la folla Bruciano i palazzi del potere Ore 19.43 - Sarkozy condanna "l'uso inaccettabile della forza" Il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha condannato "l'uso inaccettabile della forza" in Libia e ha sollecitato il Paese nordafricano a mettere "immediatamente fine" alle violenze. In un comunicato Sarkozy ha anche sollecitato le autorità libiche a "trovare una soluzione politica per rispondere alle aspirazioni di libertà e democrazia della gente". Ore 19.38 - Piloti atterrati a Malta rifiutano di bombardare la folla e chiedono asilo Hanno ricevuto l'ordine di bombardare i manifestanti a Bengasi e a quel punto hanno deciso di fuggire. È il racconto fatto al loro arrivo a Malta da parte dei due colonnelli dell'aeronautica libica fuggiti con due Mirage, secondo quanto hanno riferito fonti governative e militari. I due ufficiali hanno chiesto asilo politico e stanno fornendo informazioni riservate sulle attività militari in corso in Libia, che vengono messe a disposizione di tutti i Paesi dell'Unione europea . Ore 19.20 - Procedure di rimpatrio per i dipendenti italiani Impregilo ha attivato le procedure per rimpatriare i dipendenti italiani, e i loro familiari, basati in Libia. Lo si apprende da fonti della compagnia. Si tratta di una cinquantina di persone, in parte a Tripoli e in parte a Misurata. La decisione è stata presa dopo che, nel corso del fine settimana, i disordini si sono estesi da Bengasi, Bayda e Tobruk alle città dell'ovest, inclusa la capitale. Il rimpatrio dei dipendenti dell'Impregilo, che lavora in Libia da oltre 30 anni, è condotto d'intesa con l'unità di crisi attivata dalla Farnesina. Per ora non si prevede un ponte aereo per l'evacuazione e l'indicazione della Farnesina ai 1.500 connazionali che vivono "stabilmente" nel Paese è di partire con voli commerciali. Voli che Alitalia ha "potenziato", aumentando la capacità mentre una "squadra" dell'unità di crisi è pronta a partire per Tripoli per dare sostegno e assistenza. Il ministro degli Esteri Franco Frattini, da Bruxelles, ha affermato che l'Italia è pronta, "ove occorra, con piani di tutela nazionale dei nostri cittadini" a fare fronte a una situazione che "è in evoluzione". "Abbiamo già portato in patria parte del personale di Eni e di Finmeccanica", ha riferito Frattini. C'è inoltre l'idea "che l'Italia possa usare corridoi umanitari per portare interventi di emergenza. Questa è una posizione condivisa", ha aggiunto. Ore 19.18 - Al Jazira, si dimettono ambasciatori libici Gli ambasciatori libici in Cina, Gran Bretagna, Indonesia, Polonia, India e presso la Lega Araba si sono dimessi dalle loro funzioni. Lo riferisce la tv satellitare Al Jazira. Nove membri dell'ambasciata libica a Londra hanno lasciato l'edificio e si sono uniti alle proteste in strada. Lo riporta la Bbc. Ore 18.14 - Vice-ambasciatore libico all'Onu invoca intervento internazionale Il vice-ambasciatore libico all'Onu ha invocato un intervento internazionale contro quello che ha definito "un genocidio" perpetrato dal regime di Tripoli e ha chiesto che venga istituita una no fly zone su Tripoli. Lo riferisce la Bbc nel suo sito internet. Secondo l'emittente britannica l'intera delegazione libica presso le Nazioni Unite ha chiesto un'azione internazionale. Ore 18.09 - Allerta in tutte le basi aeree italiane "In tutte le basi aeree italiane il livello di allarme sarebbe massimo in relazione alla crisi libica": è quanto apprende l'Ansa da qualificate fonti parlamentari. Secondo le stesse fonti, una consistente quota di elicotteri dell'Aeronautica militare e della Marina militare in queste ore avrebbe ricevuto l'ordine di spostarsi verso il sud. Ore 17.50 - Ban ki-moon chiama Gheddafi: "Basta violenze" Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha parlato oggi, a lungo, con il leader libico, Muammar Gheddafi, chiedendogli di cessare ogni violenza. Lo si legge in una nota diffusa dalle Nazioni Unite. Il documento non precisa se il colonnello si trovi ancora in Libia. Ore 17.30 - L'Ue e Frattini condannano la violenza L'Italia, insieme all'Unione europea, condanna la violenza e la repressione in Libia "senza se e senza ma". Lo ha detto il ministro degli esteri Franco Frattini. L'Unione europea "condanna" la repressione delle manifestazioni in Libia e chiede la "cessazione immediata" dell'uso della forza. Lo chiedono i 27 ministri degli Esteri Ue in una dichiarazione comune adottata oggi nella quale si chiede anche "a tutte le parti" di astenersi da ogni forma di violenza. Ore 16 - Obama valuta "azioni appropriate" Barack Obama sta valutando "azioni appropriate" nei confronti della Libia. Lo ha annunciato una fonte dell'amministrazione americana che ha chiesto al regime di Muammar Gheddafi di non usare la forza contro i manifestanti anti-governativi. "Chiederemo chiarimenti al governo libico. Continueremo a sollevare la necessità di evitare il ricorso alla violenza contro i manifestanti pacifici e a invocare il rispetto dei diritti universali", ha spiegato la fonte. Ore 15.40 - Migliaia in piazza a Tripoli Un testimone riferisce che migliaia di persone si stanno radunando sulla Piazza Verde a Tripoli. "In queste ore migliaia di cittadini starebbero affollando Piazza Verde, la ex Piazza Italia", ha riferito il testimone, che ha chiesto di rimanere anonimo. Ore 15.20 - Si dimette il ministro della Giustizia Il ministro della Giustizia libico si è dimesso in segno di protesta "per l'eccessivo uso di violenza contro le manifestazioni". Lo riferisce il quotidiano libico Qurina. Ore 14 - La Fidh: diverse città in mano agli insorti Diverse città della Libia, tra cui Bengasi e Sirte, sono finite nelle mani dei manifestanti dopo le defezioni nell'esercito: è quanto ha annunciato la Federazione internazionale per i diritti dell'Uomo (Fidh). Ore 13.50 - Voci di golpe contro Gheddafi Fonti libiche hanno fatto sapere alla tv satellitare Al Jazira che all'interno dell'esercito vi sarebbero grandi tensioni, al punto da poter prevedere che il capo di stato maggiore aggiunto, El Mahdi El Arabi, possa dirigere un colpo di stato militare contro il colonnello Gheddafi. Ore 12.30 - Tarhouna, in Tripolitania, è caduta in mano ai manifestanti La città di Tarhouna, in Tripolitania, è caduta in mano ai manifestanti, secondo quanto afferma la tv satellitare al Jazira citando un attivista libico, Khaled al Tarhouni. Sempre secondo la stessa fonte tutte le Forze dell'ordine si sarebbero unite ai ribelli in numerose città. Ore 12.20 - Il vicario apostolico di Tripoli: la comunità cattolica non colpita "Dal luogo nel quale mi trovo non constato niente, la città è silenziosa ed è ferma. Non c'è niente che faccia pensare agli scontri, anche se ho avuto notizie di scontri e saccheggi avvenuti nella notte. La comunità cattolica non ha incontrato finora particolari difficoltà". È quanto riferisce sulla situazione in Libia mons. Giovanni Martinelli, vicario apostolico di Tripoli. Molti fedeli si recano nelle nostre chiese per implorare la pace. Le due chiese, di Tripoli e di Bengasi, non hanno subito alcuna offesa", dice il vescovo all'agenzia vaticana Fides. Ore 11.20 - Gheddafi non è fuggito, si trova nel Paese ll leader libico Muammar Gheddafi è ancora nel Paese e non si è rifugiato in Venezuela. Lo hanno detto fonti libiche alla tv al Arabiya, smentendo voci diffusesi in nottata. Ore 11.10 - 61 morti a Tripoli Si contano 61 morti oggi a Tripoli: lo afferma la tv satellitare Al Jazira, citando fonti mediche nella capitale libica. Ore 11 - Le forze dell'ordine partecipano ai saccheggi La tv satellitare al Jazira riferisce che a Tripoli forze dell'ordine si sono date a saccheggi di uffici e banche e che tutte le città della zona a sud della capitale, Jebal Nafusa, sono i mano ai ribelli. Ore 10.50 - Le tribù del Sud si schierano con i rivoltosi "La maggior parte delle tribù del sud della Libia è passata dalla parte dei manifestanti". È quanto ha reso noto un esponente delle tribù del sud del paese nord africano, Ahned Omar, alla tv araba 'al-Jazeerà. "I capi tribù del sud si sono schierati contro Muammar Gheddafi - ha affermato - e ora il colonnello non potrà contare sulla loro protezione". Ore 10 - La Ue pensa all'evacuazione dei suoi cittadini L'Unione europea sta considerando di evacuare i suoi cittadini dalla Libia, in particolare dalla città di Bengasi. Lo ha riferito il ministro spagnolo degli Esteri Trinidad Jimenez, al suo arrivo al Consiglio esteri della Ue. Ore 9.50 - Il ministro Frattini preocupato per una Libia divisa a metà Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha espresso grande preoccupazione "per il fatto che si stanno affermando ipotesi come quelle di emirati islamici nell'est della Libia". "A poche decine di chilometri dall'Europa questo costituirebbe un fattore di grande pericolosità", ha detto il ministro. "Sono molto preoccupato per una Libia divisa a metà, tra Tripoli e la Cirenaica", ha ribadito Frattini. Ore 9.30 - Saccheggiata una tv a Tripoli, edifici pubblici in fiamme La sede di una tv a Tripoli è stata saccheggiata e nella capitale libica alcuni edifici pubblici sono stati dati alle fiamme. Lo riferiscono testimoni. Incendiato il Palazzo del Popolo, uno dei principali edifici del governo libico. Ore 8.30 Human Rights Watch: 233 morti Sarebbero 233 le persone che hanno perso la vita durante le rivolte divampate in Libia contro il regime di Gheddafi dal 17 febbraio scorso. Di queste, 60 sarebbero morte ieri a Bengasi. È il bilancio aggiornato dall'ong Human Rights Watch. IL DISCORSO DI GHEDDAFI JUNIOR ALLA TV La Libia è vittima di un complotto esterno, corre il rischio di una guerra civile, di essere divisa in diversi emirati islamici, di perdere il petrolio che assicura unità e benessere al Paese, di tornare preda del colonialismo occidentale. Così si è espresso in nottata, mentre circolano voci incontrollate di una possibile fuga del rais Gheddafi, il figlio di quest'ultimo, Seif al-Islam, che, mentre i disordini arrivano a Tripoli e per le strade della capitale si spara, in un discorso alla tv alla nazione ha promesso al Paese riforme, una nuova Costituzione, e posto due opzioni: "Siamo a un bivio: o usiamo i nostri cervelli, stiamo uniti e facciamo le riforme insieme, altrimenti dimentichiamoci delle riforme e per decenni avremmo la guerra in casa". E ha assicurato che il padre-rais "dirige la battaglia a Tripoli" e che "vinceremo" contro il nemico e "non cederemo un pollice del territorio libico". Del rais non si hanno più notizia, e mentre si parla di un bilancio di 300 morti, 50 solo nel pomeriggio a Bengasi, e testimoni affermano di udire folle in fermento e spari a Tripoli, alcuni capi tribali abbandonano il regime, invitano Gheddafi a "lasciare il Paese" e anche il rappresentante libico alla Lega Araba annuncia che lascia l'incarico per "unirsi alla rivoluzione". In questo contesto Seif al-Islam, voce "riformista" e 'illuminatà del regime, ha detto, parlando apparentemente a braccio e in dialetto libico direttamente al suo popolo, che la Libia "non è la Tunisia e non è l'Egitto". Ha parlato di "giusta rabbia della gente" a Bengasi e in altre città per le persone che sono rimaste uccise, ha ammesso che "sono stati commessi degli errori", con l'esercito che "non era preparato" a una simile situazione e si è fatto cogliere dalla tensione. Anche se, ha detto, i media hanno "esagerato" il numero di morti. Ma la direzione della rivolta, ha detto a chiare lettere, viene da fuori: "C'è un complotto contro la Libia", diretto da gente, anche "fratelli arabi", che "vi usano", "standosene comodamente seduti a Londra o a Manchester". "Milioni di sterline sono state investite" in questo complotto, che però è mosso da poche centinaia di elementi, "che non esprimono il popolo libico". Il secondogenito di Gheddafi ha detto che sono state attaccate caserme, aperte prigioni, rubate armi pesanti, che dei "civili" guidano perfino "carri armati". Se tutti i libici si armano ne nascerebbe una "guerra civile" che durerebbe 40 anni. Non ci sarebbero 84 morti ma "migliaia"; il Paese verrebbe diviso in "staterelli" ed "emirati islamici", sarebbe un "bagno di sangue", ci vorrebbero visti da uno staterello all'altro, "come in Corea". E i libici, ha evocato Seif al-Islam, perderebbero il petrolio, che è "ciò che li tiene insieme", ne fa un Paese, e con esso le scuole, gli ospedali, il benessere. "Se ci separiamo - ha dichiarato - chi farà la riforma? Chi spenderà per i nostri figli, per la loro salute, la loro istruzione?". Inoltre, ha domandato, "pensate che il mondo occidentale, permetterebbero di perdere il nostro petrolio, permetterebbero un'emigrazione incontrollata", la formazione di emirati terroristi? Europa e Stati Uniti "tornerebbero a occuparci, a imporre il colonialismo". Quindi la proposta di convocare, entro poche ore, una Assemblea generale del popolo per costruire una "nuova costituzione", fare le riforme per creare insieme "la Libia che sognate". E una minaccia: "L'esercito - ha detto - ora ha il compito di riportare l'ordine con ogni mezzo" e "non è l'esercito egiziano o tunisino" "Distruggeremo la sedizione e non cederemo un pollice del territorio libico". I libici, ha concluso hanno combattuto e vinto contro gli italiani" e "sono capaci di farlo". YEMEN, UN ALTRO MANIFESTANTE UCCISO Un manifestante è stato ucciso oggi ad Aden, in Yemen, da colpi di arma da fuoco esplosi dalle forze di sicurezza. Lo riferiscono fonti ospedaliere. Il decesso porta a 12 il numero di manifestanti uccisi dal 16 febbraio, da quando sono iniziati gli scontri nella città. Secondo quanto riferito da testimoni, membri delle forze di sicurezza a bordo di due veicoli hanno aperto iul fuoco nel quartiere di Khor Maksar, in una zona dove i dimostranti avevano dato fuoco a dei pneumatici per interrompere la circolazione. Cinque i feriti, tra cui una persona poi deceduta in ospedale. BAHREIN, GLI USA SOSTENGONO LE RIFORME Restano tutti in Piazza della Perla, epicentro della contestazione a Manama, le migliaia di manifestanti, in maggioranza sciiti, che in Bahrein dallo scorso 14 febbraio stanno chiedendo con inusuale decisione riforme e cambiamenti strutturali, sull'onda delle rivolte in vari Paesi del Nord Africa. Ciò mentre gli Usa fanno sentire da più fonti la loro preoccupazione e mentre la gara inaugurale del Gran Premio di Formula Uno resta in forse. Ma - anche - mentre l'opposizione si prepara al dialogo, avendo raccolto la solidarietà di vari ordini e categorie professionali. Le azioni di forza per ora appaiono sospese: l'unione generale dei sindacati del Bahrein ha anche annunciato di aver revocato lo sciopero generale. Ora la palla passa alla politica, con i vari gruppi d'opposizione che lavorano a "un documento riassuntivo di tutte le loro richieste" da presentare alla famiglia dell'emiro, dal re al principe ereditario, allo zio primo ministro dall'indipendenza del 1971: i Khalifa che sono sunniti. A loro ieri si è rivolta anche il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, definendo "inaccettabili" le repressioni degli ultimi giorni e chiedendo che le autorità tornino "al più presto" a percorrere la via delle riforme. MAROCCO: CINQUE MORTI NEGLI SCONTRI AL NORD È di cinque morti il bilancio degli scontri di ieri oggi ad Al Hoceima, nel nord del Marocco. I cadaveri carbonizzati, ha annunciato il ministro dell'Interno Taib Cherkaoui, sono stati ritrovati all'interno di una banca che era stata data alle fiamme. I cadaveri non sono stati ancora identificati. Nel corso degli scontri di ieri nella città e in quelle di Marrakech e Larache, ha aggiunto il ministro, ci sono stati 128 feriti, 115 dei quali agenti di polizia. In manette sono finite 120 persone. Il ministro ha attribuito i disordini a dei "provocatori".
20 febbraio 2011 L'Europa, L'Italia e il colonnello Libia: il dovere e il coltello Anche in tempi di Wikileaks, la diplomazia cerca di lavorare sotto traccia. Ed è ciò che si può supporre e sperare stiano facendo in queste ore la Farnesina (malgrado le dichiarazioni di facciata del premier) e la commissione Ue, mentre in Libia la situazione rischia di precipitare. In realtà, le poche notizie che filtrano dalla cortina di censura imposta ai mezzi di informazione e di blackout operato sulle comunicazioni non permettono di capire la portata delle proteste popolari e della repressione governativa. Secondo le organizzazioni umanitarie, sarebbero cento le vittime nella regione di Bengasi, da sempre ostile al regime di Muhammar Gheddafi, mentre a Tripoli, mille chilometri più a Ovest, la situazione sarebbe tranquilla. In un Paese vastissimo, poco popolato (6,5 milioni di abitanti) e storicamente diviso tra tribù, i focolai di rivolta – sull’onda del contagio tunisino ed egiziano – hanno più difficoltà a saldarsi e la reazione dell’esercito sembra essere stata più decisa e brutale che a Tunisi e al Cairo. La presa sul potere del Colonnello è dimostrata dai suoi 41 anni al vertice, il più longevo dittatore dell’area mediorientale, capace di sopravvivere a un lunghissimo isolamento internazionale e di rinascere a leader del panafricanismo e partner presentabile dell’Occidente. Anche gli Usa ritennero, nel 1986, di provare a eliminarlo con i bombardamenti piuttosto che con un’improbabile sollevazione interna. Ma i tempi sono cambiati: Gheddafi si è "pentito" dell’appoggio diretto al terrorismo, risarcendo le vittime dell’attentato di Lockerbie, ha rinunciato alle armi di distruzione di massa, aperto a qualche concessione in tema di diritti umani. E, soprattutto, ha trasformato lo "scatolone di sabbia" di salveminiana memoria in un fornitore affidabile di energia. Ricompare qui lo stretto e, in questo momento, ancor più scomodo legame tra Roma e Tripoli. Dalla Libia (prima fonte di approvvigionamento) importiamo petrolio per 6,6 miliardi di euro e gas per 2,3 miliardi; molte nostre aziende chiave, a partire da Eni e Finmeccanica, hanno rilevanti commesse sul suolo africano. E, non ultimo, Banca centrale e fondo sovrano libici sono insieme i primi azionisti di Unicredit, tanto che la crescita nell’azionariato dell’Istituto fu in settembre tra le cause della rimozione dell’amministratore delegato Alessandro Profumo. Ma non c’è soltanto l’aspetto economico, come noto. Gheddafi, in cambio di sostanziose contropartite e dopo un cinico "apri e chiudi" delle frontiere, s’è impegnato infine a mettere il "tappo" ai flussi di migranti verso le coste siciliane. A quale prezzo, almeno in alcuni casi, lo testimonia la vicenda, documentata da Avvenire, degli eritrei respinti nel deserto e finiti nei campi dei predoni del Sinai. Dalle prime trattative fino all’intesa del 2007, con il governo Prodi, e al trattato di amicizia del 2008, con il governo Berlusconi, l’Italia ha scelto una comprensibile realpolitik nell’interesse nazionale, accompagnata da altri Paesi europei, desiderosi di entrare nella partita energetica. L’incendio, dunque, non può che preoccupare. Oggi, davanti alla sanguinosa repressione delle manifestazioni e alla luce della simpatia che hanno guadagnato le sollevazioni contro i despoti della regione, appare difficile schierarsi apertamente con chi dà ordine di sparare sui dimostranti. D’altra parte, non è nemmeno responsabile soffiare su un fuoco che può provocare danni enormi senza la garanzia che sia la vera scaturigine di un assetto migliore per il Paese. Né – ovviamente – ci si può fare sorprendere dagli eventi, fatta salva l’idea che le "ingerenze" vanno commisurate alla gravità dei fatti. Più che mai, quindi, serve un’azione incisiva dell’Europa. Con la prevedibilmente lenta e debole risposta Ue, sull’Italia ricadrebbe il dovere di far valere i suoi rapporti privilegiati con Tripoli. Invitare alla moderazione nel controllo delle proteste è la prima, doverosa mossa. Se poi la mobilitazione fosse rappresentativa di una spinta democratica, sensato sarebbe premere per autentiche riforme, sebbene sia noto che è il Colonnello ad avere il coltello dalla parte del manico. E che può schiacciare la rivolta minacciando di imporre un alto prezzo a chi voglia frenarlo dall’esterno.
21 febbraio 2011 AUTOMOBILISMO Formula 1, cancellato il Gp del Bahrein Gli organizzatori del Gran Premio del Bahrein hanno cancellato oggi quella che sarebbe stata la prima gara del Mondiale di Formula Uno per via delle rivolte nel paese mediorientale. "Il Bahrein International Circuit ha annunciato oggi che il Regno del Bahrein rinuncerà a ospitare il Gran Premio di Formula Uno di quest'anno così che il Paese possa concentrarsi sul suo processo di dialogo nazionale", hanno fatto sapere gli organizzatori.
21 febbraio 2011 GERMANIA La Merkel perde ad Amburgo Prima sconfitta del Cdu È stato un inizio d'anno catastrofico per la Cdu della cancelliera tedesca Angela Merkel: il partito ha perso il primo grande appuntamento elettorale del 2011, quello nella città-Land di Amburgo, dove è stato schiacciato dalla Spd. Le prime proiezioni parlano chiaro: i socialdemocratici torneranno al governo. Sono al 49,4% ma possono arrivare alla maggioranza assoluta; i conservatori, sprofondati al 21,4%, saranno costretti a lasciare leccandosi le ferite. E per la Cdu il risultato è perfino inferiore alle previsioni della vigilia, che stimavano una perdita massima di 20 punti percentuali: secondo le proiezioni, il rosso è di 21,2 punti, rispetto al 42,6% del 2008. Sempre rispetto alle elezioni precedenti, la Spd ha guadagnato 15,3 punti, mentre i Verdi hanno registrato un +1,6 punti all'11,2% e la Linke è rimasta sostanzialmente stabile, scendendo al 6,1% (6,4% nel 2008). L'altra novità di oggi è l'ingresso della Fdp nel Parlamento di Amburgo. Il partito del vice cancelliere e ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, infatti, ha superato la soglia di sbarramento del 5%, ottenendo il 6,5% dei voti. "Questo è un risultato storico. Non solo per noi, ma anche per gli altri", ha commentato il leader della Spd nazionale, Sigmar Gabriel, secondo il quale il risultato dimostra che il partito è stato capace di rispondere ai bisogni e alle preoccupazioni quotidiane dei cittadini. Per i cristiano democratici della Merkel, si tratta di una dura sconfitta e la stampa non nasconde la possibilità che questo risultato si trasformi in uno "sgradevole trend" nel corso dell'anno. Certo è, che per la Merkel il 2011 sarà particolarmente delicato: nei prossimi sette mesi, ci saranno altre sei elezioni regionali in Germania e la Cdu dovrà difendersi altre tre volte (Sassonia-Anhalt il 20 marzo, Baden-Wuerttemberg il 27 marzo e Meckleburgo Pomerania Occidentale il 4 settembre). Sconfitte come quella odierna, che segue la perdita del Nord Reno-Westfalia nel maggio 2010, metterebbero in serie difficoltà i conservatori in vista delle politiche del 2013. Già ora, a causa della batosta di Amburgo, per la coalizione della Merkel sarà ancora più difficile riuscire a passare le leggi al Bundesrat. Dopo la sconfitta nel Nord Reno-Westfalia, la coalizione aveva perso la maggioranza - per un voto - alla Camera alta dei rappresentanti regionali. Senza Amburgo, che conta tre seggi su 69, il divario si allarga a quattro voti e questo significa che sarà molto più difficile spingere per l'approvazione delle leggi senza fare grosse concessioni all'opposizione. Gli analisti politici si domandano se il voto di oggi possa davvero comportare rischi futuri per l'Unione (Cdu-Csu) della Merkel, che a livello nazionale sta risalendo gradualmente nei sondaggi (è al 36% circa, rispetto al 33,8% delle politiche 2009). Secondo alcuni osservatori, non ci dovrebbero essere conseguenze, soprattutto perchè il voto di Amburgo era basato su temi locali. Molti attribuiscono la debacle all'incapacità di governare del sindaco, Christoph Ahlhaus, il quale ha sostituto Ole von Beust lo scorso luglio. È da allora che la Cdu regionale ha cominciato a perdere terreno, insieme alla coalizione cristiano democratici-Verdi. Sfuma, quindi, anche il sogno di vedere l'alleanza Cdu-Verdi come un possibile modello da esportare a livello nazionale. La Spd torna così al potere ad Amburgo dopo 10 anni. Nel 2001, infatti, venne battuta dalla Cdu e dovette lasciare dopo avere governato la città anseatica per 44 anni di fila.
21 febbraio 2011 MISSIONE Afghanistan, 60 civili uccisi da raid Nato Karzai "addolorato", l'Isaf apre inchiesta Durante un attacco aereo della Nato domenica nella provincia orientale afghana di Nangarhar sarebbero stati uccisi per errore otto civili, fra cui sei membri di una stessa famiglia. Lo riferisce l'agenzia di stampa Afghan Islamic Press. Il portavoce provinciale, Ahmad Zia Abdulzai, ha precisato che un missile lanciato contro tre talebani che stavano collocando un ordigno esplosivo sul ciglio di una strada ha deviato la sua traiettoria colpendo la casa dove si trovavano i civili. L'incidente, se confermato, complica ulteriormente la fase di crisi apertasi con la denuncia dell'uccisione la settimana scorsa di una cinquantina di civili da parte della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf) nella provincia nord-orientale di Kunar, episodio stigmatizzato dal presidente Hamid Karzai e su cui l'Isaf ha aperto una inchiesta. In un comunicato a Kabul, ha successivamente reso noto che anche su questo "deplorevole episodio" è stata aperta un'inchiesta. Addolorato per le morti dei civili, il capo dello Stato Karzai ha disposto che le autorità competenti per la sicurezza inviino una commissione nel distretto di Ghaziabad. Citando informazioni fornitegli dai suoi servizi di intelligence, Karzai ha sostenuto che "durante operazioni militari internazionali e raid aerei, almeno 50 civili - compresi donne e bambini - sono stati uccisi e numerosi altri hanno riportato ferite". In precedenza, il governatore di Kunar, Sayed Fazullah Wahidi, aveva rivelato che negli attacci militari erano morti 51 civili, di cui almeno 20 donne, e 13 talebani. In un suo comunicato l'Isaf ha però assicurato che le vittime erano davvero 36 insorti, un dato confortato dai video di cui dispongono i sistemi d'arma utilizzati, anche se ha indicato di aver inviato sul posto una commissione di inchiesta perchè, ha precisato il colonnello Patrick Haynes, direttore del Centro per le operazioni congiunte del Comando Isaf, "prendiamo le accuse di vittime civili molto seriamente". ATTENTATO A KUNDUZ, 50 TRA MORTI E FERITI Almeno 20 persone sono morte e una trentina sono rimaste ferite in un attentato suicida nella provincia settentrionale afghana di Kunduz. Lo riferisce l'agenzia di stampa Islamic News Agency. L'attentato è avvenuto nel distretto di Imam Sahib, e secondo le prime informazioni i morti sarebbero almeno 20 ed altrettanti i feriti. L'attentatore suicida, si è appreso, si è fatto esplodere all'interno dell'edificio del governatorato del distretto, dove era affollata moltissima gente, da qui l'elevato bilancio delle vittime. Il capo del distretto, Ayub Haqyar, era fuori dall'edificio al momento dell'attentato, ma ha confermato che l'attacco è opera di un kamikaze e che "le vittime sono moltissime".
2011-02-19 19 febbraio 2011 L'ONDA LUNGA DEL MAGHREB Libia cresce la protesta: "Almeno 84 morti" Le forze di sicurezza hanno ucciso almeno 84 persone in Libia in tre di giorni di manifestazioni. Lo afferma Human Rights Watch citando testimonianze di fonti mediche e di residenti. Ieri sera Amnesty international aveva fornito un bilancio di 46 morti. "Le autorità libiche devono porre fine immediatamente agli attacchi contro i manifestanti pacifici e proteggerli da gruppi antigovernativi", si legge in un comunicato dell'organizzazione umanitaria che ha sede a New York. L'accesso a Internet è stato completamente bloccato in Libia nel corso della notte. Lo riferisce Arbor Networks, una società specializzata nella sorveglianza del traffico internet basata negli Stati Uniti.La Libia ha "bruscamente interrotto" l'accesso a internet alle 02.15 locali (le 1.15 in Italia), ha precisato la società, aggiungendo che le connessioni internet erano già molto disturbate ieri. Nelle manifestazioni degli ultimi giorni in Libia, soprattutto nelle città della Cirenaica, nell'est del Paese, sono rimaste uccise dall'intervento delle forze di sicurezza almeno 46 persone, secondo quanto ha riferito Amnesty International. E' sempre più in fiamme l'est della Libia: anche ieri Bengasi, Al Baida e oltre, verso il confine con l'Egitto, sono state teatro di nuove manifestazioni e di nuovi disordini nonostante il pugno di ferro del leader Muammar Gheddafi che, attraverso i "Comitati rivoluzionari e il popolo", ha minacciato "i gruppuscoli" anti-governativi di una repressione "devastante". Decine i morti. Gran parte delle vittime sono state registrate proprio a Bengasi e a Al Baida, afferma al'organizzazione umanitaria denunciando il comportamento "sconsiderato" delle autorità. A Bengasi, la seconda città del paese da sempre 'ribelle', migliaia di dimostranti sono scesi in piazza ed alcuni di loro hanno occupato l'aeroporto per impedire l'arrivo di rinforzi. La BBC in serata ha reso noto che lo scalo era stato chiuso. In alcune zone della città è stata sospesa l'erogazione della corrente elettrica. Per tarpare le ali tecnologiche della protesta, Facebook da ieri sera era stato reso inaccessibile e la navigazione su Internet resa più difficoltosa. Anche le comunicazione telefoniche per tutta la giornata di ieri sono risultate ardue.Due poliziotti sono stati impiccati dai manifestanti ad Al Baida (terza città del Paese) mentre a Bengasi la sede della radio è stata incendiata. Le forze di sicurezza hanno successivamente ricevuto l'ordine di ritirarsi dal centro delle due località, ufficialmente "per evitare ulteriori scontri con i manifestanti e altre vittime". Ma nello stesso tempo non si sono allontanate, prendendo il controllo di tutte le vie d'accesso, sia per impedire a chi ha partecipato ai disordini di allontanarsi sia per bloccare eventuali civili o miliziani intenzionati ad unirsi alla piazza. In serata il sito di un giornale online vicino al figlio riformista di Gheddafi, Seif al Islam aveva ammesso 20 morti a Bengasi e sette a Derna, dove ieri si sono celebrati i funerali delle vittime di giovedi. Ieri ci sono stati morti anche in due prigioni dove i detenuti avrebbero approfittato della situazione instabile per scatenare una rivolta: sei sarebbero stati uccisi a Jadaida, nella capitale; numerosi sono invece riusciti a fuggire dalla prigione al-Kuifiya di Bengasi, ed hanno poi appiccato il fuoco all'ufficio del procuratore generale, a una banca e a un posto di polizia. Poi, da un esule libico che vive in Svizzera, arrivano notizie simili ma con un punto di vista diverso. Al Baida e Derna sono ormai "due città libere" e "il potere è passato al popolo", proclama Hassan Al-Jahmi - uno dei promotori della 'Giornata della Collera' - ai sui circa 30.000 simpatizzanti su Facebook. E su Youtube un video amatoriale mostra incidenti a Tobruk, con un monumento al 'Libro Verde' di Gheddafi, simbolo della sua rivoluzione, gettato giù dal suo piedistallo. A Tripoli invece, per tutta la giornata la vita è andata avanti abbastanza normalmente. Gheddafi si è fatto vedere nel centro della città, nella Piazza Verde, dove è stato salutato con entusiasmo dai suoi sostenitori. Non ha parlato ma hanno parlato i comitati rivoluzionari: una risposta "violenta e fulminante" colpirà - hanno detto - gli "avventurieri" che protestano, e qualunque tentativo di "superare i limiti" si trasformerà in "suicidio". "No, non lo ho sentito. La situazione è in evoluzione e quindi non mi permetto di disturbare nessuno": così il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, lasciando palazzo Grazioli, ha risposto ai cronisti che gli chiedevano se avesse avuto modo di sentire il leader libico in queste ore. "Siamo preoccupati per tutto quello che sta succedendo in tutta l'area", ha aggiunto". "In Libia èin corso un silenzioso massacro di giovani intellettuali e lavoratori che protestano contro un regime liberticida. Le autorità italiane assistono in modo silenzioso e forse imbarazzato nel ricordare le indegne sceneggiate a cui ci ha costretto ad assistere il colonnello Gheddafi sul territorio italiano con la sola voce indignata di una parte dell'opposizione. Chiediamo che il Governo riferisca in Parlamento al più presto su quanto sta avvenendo e che le Camere esprimano una condanna netta e ferma per atti di violenza perpetrati nei confronti di spontanee manifestazioni di protesta popolare contro un regime tirannico". Lo afferma il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini.
19 febbraio 2011 L'ONDA LUNGA DEL MAGHREB Libia cresce la protesta: "Almeno 84 morti" Le forze di sicurezza hanno ucciso almeno 84 persone in Libia in tre di giorni di manifestazioni. Lo afferma Human Rights Watch citando testimonianze di fonti mediche e di residenti. Ieri sera Amnesty international aveva fornito un bilancio di 46 morti. "Le autorità libiche devono porre fine immediatamente agli attacchi contro i manifestanti pacifici e proteggerli da gruppi antigovernativi", si legge in un comunicato dell'organizzazione umanitaria che ha sede a New York. L'accesso a Internet è stato completamente bloccato in Libia nel corso della notte. Lo riferisce Arbor Networks, una società specializzata nella sorveglianza del traffico internet basata negli Stati Uniti.La Libia ha "bruscamente interrotto" l'accesso a internet alle 02.15 locali (le 1.15 in Italia), ha precisato la società, aggiungendo che le connessioni internet erano già molto disturbate ieri. Nelle manifestazioni degli ultimi giorni in Libia, soprattutto nelle città della Cirenaica, nell'est del Paese, sono rimaste uccise dall'intervento delle forze di sicurezza almeno 46 persone, secondo quanto ha riferito Amnesty International. E' sempre più in fiamme l'est della Libia: anche ieri Bengasi, Al Baida e oltre, verso il confine con l'Egitto, sono state teatro di nuove manifestazioni e di nuovi disordini nonostante il pugno di ferro del leader Muammar Gheddafi che, attraverso i "Comitati rivoluzionari e il popolo", ha minacciato "i gruppuscoli" anti-governativi di una repressione "devastante". Decine i morti. Gran parte delle vittime sono state registrate proprio a Bengasi e a Al Baida, afferma al'organizzazione umanitaria denunciando il comportamento "sconsiderato" delle autorità. A Bengasi, la seconda città del paese da sempre 'ribelle', migliaia di dimostranti sono scesi in piazza ed alcuni di loro hanno occupato l'aeroporto per impedire l'arrivo di rinforzi. La BBC in serata ha reso noto che lo scalo era stato chiuso. In alcune zone della città è stata sospesa l'erogazione della corrente elettrica. Per tarpare le ali tecnologiche della protesta, Facebook da ieri sera era stato reso inaccessibile e la navigazione su Internet resa più difficoltosa. Anche le comunicazione telefoniche per tutta la giornata di ieri sono risultate ardue.Due poliziotti sono stati impiccati dai manifestanti ad Al Baida (terza città del Paese) mentre a Bengasi la sede della radio è stata incendiata. Le forze di sicurezza hanno successivamente ricevuto l'ordine di ritirarsi dal centro delle due località, ufficialmente "per evitare ulteriori scontri con i manifestanti e altre vittime". Ma nello stesso tempo non si sono allontanate, prendendo il controllo di tutte le vie d'accesso, sia per impedire a chi ha partecipato ai disordini di allontanarsi sia per bloccare eventuali civili o miliziani intenzionati ad unirsi alla piazza. In serata il sito di un giornale online vicino al figlio riformista di Gheddafi, Seif al Islam aveva ammesso 20 morti a Bengasi e sette a Derna, dove ieri si sono celebrati i funerali delle vittime di giovedi. Ieri ci sono stati morti anche in due prigioni dove i detenuti avrebbero approfittato della situazione instabile per scatenare una rivolta: sei sarebbero stati uccisi a Jadaida, nella capitale; numerosi sono invece riusciti a fuggire dalla prigione al-Kuifiya di Bengasi, ed hanno poi appiccato il fuoco all'ufficio del procuratore generale, a una banca e a un posto di polizia. Poi, da un esule libico che vive in Svizzera, arrivano notizie simili ma con un punto di vista diverso. Al Baida e Derna sono ormai "due città libere" e "il potere è passato al popolo", proclama Hassan Al-Jahmi - uno dei promotori della 'Giornata della Collera' - ai sui circa 30.000 simpatizzanti su Facebook. E su Youtube un video amatoriale mostra incidenti a Tobruk, con un monumento al 'Libro Verde' di Gheddafi, simbolo della sua rivoluzione, gettato giù dal suo piedistallo. A Tripoli invece, per tutta la giornata la vita è andata avanti abbastanza normalmente. Gheddafi si è fatto vedere nel centro della città, nella Piazza Verde, dove è stato salutato con entusiasmo dai suoi sostenitori. Non ha parlato ma hanno parlato i comitati rivoluzionari: una risposta "violenta e fulminante" colpirà - hanno detto - gli "avventurieri" che protestano, e qualunque tentativo di "superare i limiti" si trasformerà in "suicidio".
19 febbraio 2011 Interrogativi aperti su Egitto e Tunisia Nel vulcano che ribolle la realtà brucia gli schemi Un nuovo Ottantanove, così alcuni osservatori, soprattutto tra i giornalisti che hanno assistito alle manifestazioni di Piazza Tahrir, definiscono il movimento che ha portato alla fuga di Ben Ali in Tunisia e alle dimissioni di Mubarak in Egitto. Che cosa sta succedendo in Medio Oriente? Il paragone con i fatti dell’89 ha senso o è un’esagerazione giornalistica? Dove arriverà l’onda lunga della protesta? E perché nessuno o quasi l’ha prevista? Sono queste alcune delle domande che si affacciano con più insistenza. Su Avvenire, Luigi Geninazzi e Riccardo Redaelli hanno già sottolineato aspetti inediti (che sconsigliano paragoni), incognite (che inducono a prudenze) e promesse che motivano quelle domande. Ma è naturale che la maggior parte di esse rimanga ancora senza risposta: i processi storici coinvolgono la libertà dei singoli e sono perciò indeducibili a priori. Alcuni elementi di riflessione tuttavia si possono già indicare. Il primo è la nuova fortuna della parola "rivoluzione". I giornali tunisini ed egiziani non parlano soltanto di intifada ("rivolta"), ma apertamente anche di thawra ("rivoluzione"). Per comprendere la portata della scelta lessicale, si tenga presente che in Egitto o Tunisia la Rivoluzione per antonomasia era finora quella che negli anni Cinquanta si era conclusa con la cacciata dei poteri coloniali diretti (francesi) o indiretti (re Farouq e gli inglesi). La nuova rivoluzione invece si è appuntata contro avversari interni con l’obiettivo di far cadere il regime. Come ha scritto Malika Zeghal commentando a caldo i fatti tunisini sulla newsletter di Oasis, "ci troviamo ora ben al di là di un nazionalismo che si definiva in rapporto all’altro (il colonizzatore e l’occidente) o attraverso certe ideologie". Il passato coloniale sembra finalmente archiviato, anche come immaginario. Non si tratta peraltro neppure della rivoluzione islamica tout court che ha conosciuto l’Iran nel 1979. Anche se la componente islamista è ben rappresentata, prevale per ora un riferimento a valori universali come la triade "lavoro-libertà-dignità nazionale" in Tunisia. In Egitto il tema principale è la lotta alla corruzione, con innumerevoli arresti di ministri, uomini d’affari e personalità illustri. È questo il significato di "rivoluzione" dopo il crollo delle ideologie? In realtà, un’ideologia è presente, soprattutto in Egitto, meno in Tunisia. Si tratta dell’islam politico. La domanda su cui si è incentrata finora l’attenzione di molti analisti è in che misura i movimenti islamisti, prima di tutto i Fratelli musulmani, mantengano nei fatti la visione teorica per cui l’islam fornisce un modello politico immediatamente applicabile e in grado di risolvere tutti i problemi, e in che misura invece abbiano virato verso posizioni che, limitando le tentazioni egemoniche, riconoscono un certo grado di mediatezza all’azione politica rispetto ai principi religiosi ispiratori. L’islam è la soluzione è e rimane il celebre slogan dei Fratelli musulmani, ma come si declina oggi concretamente? Si tratta di una domanda molto rilevante, ma forse – e questa è la terza osservazione – non la più rilevante. Che è piuttosto se per i giovani manifestanti la priorità sia davvero l’instaurazione di uno Stato islamico. In questi giorni lo Shaykh di al-Azhar è dovuto intervenire per mettere in guardia la Costituente dall’ipotesi di modificare l’articolo 2, che dichiara l’islam religione di Stato e la sharia fonte principale della legislazione. Già la presa di posizione dello Shaykh la dice lunga. Ma la cosa più interessante sono i 322 commenti alla notizia che si possono potevano leggere sul sito del quotidiano Ahram. Circa la metà dei pareri è negativa. Sono cristiani che scrivono (lo si capisce dai nomi), ma anche "egiziani" (senza ulteriore qualifica confessionale) e molti musulmani. Dichiarano "la religione a Dio e l’Egitto per tutti" o liquidano la presa di posizione delle autorità religiose con un lapidario "è finito il tempo dell’ingerenza". Altri domandano uno Stato civico dawla madaniyya, parola che nel mondo arabo indica uno Stato laico non ostile alla religione. Molti mettono in guardia: le autorità "stanno cercando di giocare di nuovo il vecchio gioco", dividendo cristiani e musulmani. C’è anche chi si domanda: se l’Egitto deve restare uno Stato islamico, perché protestare tanto contro il vicino Stato ebraico? Anche facendo la tara sul fatto che l’enorme massa di poveri che vive in Egitto non si trova rappresentata nei commenti sui forum perché non ha modo di accedere a Internet, l’impressione è che il dibattito sia apertissimo e tutt’altro che scontato nei suoi esiti. Martino Die< - Direttore Fondazione Oasis
2011-02-17 17 febbraio 2011 L'ONDA LUNGA NEL MAGHREB Libia, "giorno della collera" "9 morti negli scontri" La tensione nell'area mediorientale e del Maghreb resta alta. Oggi è il "giorno della collera" in Libia e ancora oggi si attendono grandi mobilitazione. A Tripoli si fronteggeranno i manifestanti anti-regime e i sostenitori del leader Muhammar Gheddafi. Già nei giorni scorsi le due fazioni sono state coinvolte in scontri e c'è il forte timore di una repressione autoritaria che faccia degenerare la situazione. La Farnesina mette in allerta gli italiani che dovessero recarsi nel Paese nordafricano indicando anche la giornata di venerdì come a rischio e consigliando di "evitare gli assembramenti di folla, di allontanarsi immediatamente dalle zone dove siano in corso manifestazioni e, in generale, di rimanere sempre aggiornati sull’attualità internazionale e regionale". MORTI E FERITI Su blog e social network, per tutta la giornata di ieri, si sono rincorse voci di incidenti in Libia. Lunghe ore di forte tensione che sono seguite a una notte di scontri, arresti, feriti e, secondo informazioni non confermate ufficialmente, ci sono anche delle vittime. Secondo siti vicino all'opposizione e alle ong libiche i morti a seguito delle colluttazioni di ieri tra manifestanti antigovernativi e polizia ad Al Baida, nell'est della Libia, sarebbero almeno 9, 13 secondo altre fonti. Sarebbero poi trentotto le persone rimaste ferite negli scontri avvenuti fino ad ora a Bengasi. Sostenitori del colonnello Muammar Gheddafi e polizia hanno caricato i manifestanti riuniti davanti a un commissariato, per chiedere la liberazione di un attivista. LE PRESSIONI DEGLI USA Gli Stati uniti hanno chiesto alle autorità di Tripoli di andare incontro alle aspirazioni della popolazione. "I Paesi della regione stanno affrontando le medesime difficoltà in materia di demografia, aspirazioni popolari e bisogno di riforme", ha dichiarato il portavoce del dipartimento di Stato americano, Philip Crowley. "Incoraggiamo questi Paesi a prendere delle misure specifiche che rispondano alle aspirazioni, ai bisogni e alle speranze del loro popolo. La Libia rientra senza alcun dubbio in questa categoria", ha aggiunto il diplomatico statunitense. Crowley ha evitato di rispondere esplicitamente a chi gli chiedeva se non ritenesse Muammar Gheddafi "un dittatore". Ma il suo pensiero è emerso con chiarezza: "Non credo che sia arrivato al potere democraticamente", ha detto.
17 febbraio 2011 LIBIA Dopo 40 anni il colonnello trema Vacilla anche il trono di Gheddafi. Al governo dal 1969, il colonnello risulta essere il più longevo tra i suoi pari arabi, con la sola eccezione del sultano Qabus dell’Oman. La "Guida della rivoluzione" aveva tradito un forte nervosismo assistendo al crollo di due dei suoi vicini diretti. Si era pure lasciato andare, quando era apparso chiaro che il rais tunisino avesse deciso di abbandonare il Paese, a un commento inequivocabile: "Non c’era persona migliore di Ben Ali per governare. La Tunisia ora vive nella paura". Anche durante i giorni decisivi della rivolta egiziana è rimasto costantemente in contatto telefonico con Muburak per "discutere degli sviluppi in corso in Egitto". Ora toccherà a lui far fronte alle manifestazioni di piazza convocate per oggi dalla Conferenza nazionale dell’opposizione libica, la piattaforma che raggruppa le principali formazioni critiche del regime. Una data scelta con cura, visto che il 17 febbraio ricorre l’anniversario dell’Intifada scoppiata a Bengasi nel 2006. D’altra parte, gli ingredienti per una rivolta ci sono tutti nella "Repubblica delle masse": regime autoritario, violazioni dei diritti umani, repressione sistematica di ogni forma di dissenso politico, controllo della stampa, ricorso ai tribunali segreti, pratica della tortura contro oppositori e rifugiati, corruzione diffusa. Senza parlare della volontà di trasformare la Jamahiriya in repubblica ereditaria affidata al figlio Saif al-Islam. In tutto questo l’Europa – e in particolar modo l’Italia – ha molte responsabilità. I ripetuti ricatti libici sul nostro Paese riguardo l’immigrazione clandestina o il passato coloniale fascista hanno finito per conferire alle stravaganze di Gheddafi carta bianca in cambio dell’apertura all’Italia dei cantieri libici. E il colonnello non aspettava altro per tenere, senza disturbo, le sue lezioni sull’islam nel cuore di Roma davanti a un pubblico strettamente femminile. Non meglio si è comportata la comunità internazionale favorendo la cosiddetta "soluzione libica": un cambio di rotta politica attuato in maniera morbida, con l’abbandono delle ambizioni nucleari e la fine del sostegno ai movimenti islamici radicali di mezzo mondo in cambio della revoca, nel 1999, dell’embargo economico internazionale motivato dal caso Lockerbie, e la risoluzione 748 dell’Onu con cui la Libia è stata depennata dalla lista degli Stati canaglia. Camille Eid
17 febbraio 2011 BAHREIN La piazza ora tenta la "spallata" al re Resta alta la tensione in Bahrein, dove ieri si è contato il terzo giorno di proteste. L’assunzione di responsabilità pubblica del re, che alla tv di Stato si è scusato per i manifestanti uccisi dalla polizia, non è bastata a placare gli animi. Centinaia di manifestanti anti governativi hanno partecipato al funerale di uno dei due manifestanti sciiti rimasti uccisi due giorni fa durante gli scontri con la polizia. In centinaia hanno trascorso la notte accampati in piazza delle Perle. I manifestanti promettono ancora battaglia: "Sabato organizzeremo – ha annunciato Ebrahim Sharif, il leader del movimento laico "Azione democratica nazionale" in un’intervista al quotidiano Wall Street Journal – la più grande manifestazione politica nella storia del Bahrein. Puntiamo a far scendere in strada 100 mila persone, di sicuro non saranno meno di 50 mila". L’organizzazione politica di Sharif fa parte di un comitato di sette gruppi, tra cui il blocco sciita al-Wafaq, nato per coordinare la protesta contro il governo e unificare le richieste dell’opposizione. Sheik Ali Salman, leader del blocco sciita, ha stilato le richieste dell’opposizione: "Potere al popolo, realizzazione di una "vera" monarchia costituzionale ed elezione del primo ministro, attualmente di nomina regia". Da parte sua re Al Khalifas, al potere dal 1971, avrebbe segretamente chiesto aiuto ai sauditi per domare la rivolta in patria. A svelarlo è il sito di intelligence israeliana Debkafile, secondo cui Al Khalifas ha chiesto a Riad di mettere le proprie forze in stato di allerta in modo che possano intervenire se la situazione dovesse sfuggire di mano. Riad, dal canto suo, ha già iniziato ad aumentare la sicurezza a tutela della propria minoranza sciita nelle regioni orientali del regno ricche di petrolio, proprio in conseguenza delle proteste in Bahrein. La situazione sta mettendo a serio rischio anche il Gran Premio di Formula Uno previsto in Bahrein per il mese prossimo. "Il pericolo è evidente, o no? – ha detto al Daily Telegraph il patron del Circus, Bernie Ecclestone – : se queste persone volessero fare storie e ottenere un riconoscimento a livello mondiale, sarebbe dannatamente facile. Prova a creare problemi sulla griglia in Bahrein e otterrai una risonanza planetaria". (E.A.)
17 febbraio 2011 IRAN "Mussavi e Karrubi saranno processati" "Sono disposto a pagare qualunque prezzo per il mio Paese". È un attivista politico dal 1962 Mehdi Karrubi, uno dei leader dell’opposizione iraniana. Conosce, dunque, fin troppo bene i rischi del dissenso. Tanto che queste parole le ha pronunciate ieri mattina. Diverse ore prima che la magistratura ne annunciasse l’imminente processo. Le "menti della sedizione", ovvero Karrubi e l’altro riferimento del fronte anti-Ahmadinejad, Hossein Mussavi, non sfuggiranno "ai doveri della giustizia" e "saranno processati a tempo debito", ha detto il vice-capo del potere giudiziario Ali Razini. L’ultima "colpa" dei due è quella di aver partecipato alle manifestazioni di lunedì duramente represse dal governo: negli scontri sono morti due ragazzi. L’ala conservatrice è determinata a punirli. Oltre al giudizio in aula, Mussavi e Karrubi saranno sottoposti a quello "del popolo": domani il regime ha promosso un corteo "d’odio" contro di loro, accusati di essersi "venduti" agli Usa e a Israele. Anche, ieri, nella comunità internazionale si sono levate le voci di condanna del pugno di ferro del cancelliere tedesco Merkel e del ministro degli Esteri italiano Frattini. Inutile l’intento di Mussavi di smentire ingerenze straniere. Il dissidente invitato gli altri Paesi a non immischiarsi, rispondendo così indirettamente al presidente Obama, che aveva espresso la speranza che gli iraniani "avessero il coraggio" di continuare a protestare. Un modo per prendere le distanze da Washington, il cui sostegno darebbe ad Ahmadinejad la giustificazione per una repressione feroce dell’opposizione. Gli oltranzisti, però, sono apparsi sempre più determinati a schiacciare il dissenso: un corteo conservatore nella città santa di Qom ha chiesto, ieri, a gran voce "l’impiccagione" dei due traditori. Le minacce, però, non riescono a fermare la protesta. Ieri ci sono stati nuovi scontri durante i funerali delle due vittime delle manifestazioni di lunedì, Saneh Jaleh e Mohammed Mokyhtari, di 26 e 22 anni. Mentre la loro identità è nota, l’appartenenza politica resta un enigma. Il governo sostiene che Jaleh fosse un "basiji", ovvero un suo attivista. Mussavi, però, ribadisce che si tratta di proprio sostenitore. Il sito dissidente Kaleme ha dato notizia di nuovi incidenti tra miliziani islamici e studenti nell’Università delle Arti, quella frequentata da Jaleh. Alcuni ragazzi e un docente – riporta la testata online – sarebbero stati arrestati. I pasdaran hanno fatto anche irruzione in casa del figlio di Karrubi, formalmente per una perquisizione. Secondo fonti dell’opposizione, in realtà, le forze di sicurezza avrebbero cercato il giovane Hossein per metterlo in cella. Lucia Capuzzi
17 febbraio 2011 LA RIVOLTA INFINITA Scioperi a catena nell'Egitto dei generali: fuori i corrotti Mentre continuano a peggiorare le condizioni di salute dell’ex presidente egiziano Hosni Mubarak, secondo i media intenzionato a morire nella propria residenza di Sharm-El-Sheikh, i ripetuti appelli rivolti dall’esercito a coloro che ancora manifestano sono finora caduti nel vuoto: assembramenti e scioperi sono segnalati in numerose città, soprattutto nella capitale e in alcuni centri del Delta del Nilo, del canale di Suez e di Alessandria. Gli operai chiedono aumenti salariali e migliori condizioni di lavoro, oltre alla rimozione di una classe dirigente compromessa con l’odiato regime, ma le forze armate invitano a riprendere le attività, fortemente compromesse da quasi tre settimane di stop. A causa del protrarsi della serrata del settore bancario almeno fino a domenica prossima, anche la Borsa del Cairo risulta ancora chiusa. Così come scuole, uffici pubblici e numerosi esercizi commerciali. Tutti i comparti produttivi sono travolti e penalizzati, dal tessile all’agricoltura, dalla sanità all’istruzione. Gli operatori turistici sono costretti a uno stop forzato in piena alta stagione: il turismo ha portato in Egitto nel 2010 oltre 12 milioni di visitatori (dati dell’Autorità egiziana per il Turismo, il cui obiettivo per il 2011 era di 14 milioni di presenze), per 13 miliardi di dollari annui, pari al 6 per cento del Pil. Musei e siti archeologici dovrebbero riaprire sabato. Ieri, la tv di Stato – citando fonti del ministero della Salute – ha calcolato in 365 le vittime delle proteste, 65 in più rispetto alla cifra diffusa dall’Onu. In tema di scuse anche quelle del maggiore quotidiano egiziano, Al Ahram, noto da sempre per le sue posizioni filogovernative, che in un editoriale ha chiesto scusa ai suoi lettori per la copertura "non professionale" degli avvenimenti. Il resto della stampa nazionale dà rilievo al moltiplicarsi delle indagini nei confronti dei ministri uscenti o di alti funzionari. Tra questi l’ex ministro degli Interni, Habib El Adli, ritenuto responsabile dell’organizzazione dell’attentato alla Chiesa dei Santi di Alessandria d’Egitto, il 1 gennaio di quest’anno: ieri è partita l’inchiesta. Secondo gli investigatori, El Adli avrebbe costituito negli anni una "task-force" di 22 uomini, a capo di un gruppo più ampio di ex-islamisti radicali, trafficanti di droga, criminali comuni e mercenari, pronti a entrare in azione ogni qual volta il regime di Mubarak si fosse sentito in pericolo. Il massacro di Alessandria d’Egitto, in cui sono morti 24 egiziani di fede cristiano copta, doveva ingigantire, agli occhi dell’opinione pubblica nazionale e internazionale, il pericolo del terrorismo islamico e quindi rafforzare il supporto alla presidenza Mubarak nell’anno delle elezioni presidenziali. I beni di El Adli sono stati congelati e il suo passaporto requisito. Fonti dell’intelligence britannica hanno ricostruito e avallato tale pista investigativa dopo aver ascoltato direttamente, presso l’ambasciata del Cairo, alcuni uomini del "gruppo scelto" evasi da una prigione egiziana durante le recenti proteste e recatisi presso la sede diplomatica. Intanto, il Consiglio supremo delle forze armate, alla guida dell’Egitto da neanche una settimana, ha incontrato i giuristi incaricati di effettuare la revisione costituzionale: i giuristi avranno una decina di giorni per apportare degli emendamenti alla Carta e indire un referendum, che si terrà entro due mesi. Poi, sarà la volta delle elezioni, legislative e presidenziali. Federica Zoja
17 febbraio 2011 IL POLITOLOGO "Obama punti sui giovani. I regimi sono vulnerabili" Nell’affaire egiziano l’Amministrazione Obama ha quasi perso la faccia. Se è riuscita a emergere dalla parte giusta della crisi che ha portato al collasso di uno storico alleato come Hosni Mubarak, lo si deve all’istinto di Barack Obama. Ma se Washington vuole avere un’influenza sui prossimi atti del dramma mediorientale, deve imparare a usare meglio il suo "soft power". Aiutata da una maggiore destrezza con i social network e da una buona dose di potere "hard", soprattutto economico. L’analisi di Joseph Nye, professore di Harvard ed ex presidente del National intelligence council della Casa Bianca, parte dalla constatazione che il "soft power" americano – insieme di valori trasmesso dai media e dalla cultura popolare, secondo la definizione da lui coniata nel 1990 – è in declino, soprattutto in Medio Oriente. Colpa dell’antiamericanismo nato dopo le guerre in Afghanistan e Iraq, ma anche di un messaggio poco chiaro dell’Amministrazione Obama. Professor Nye, che cosa può fare l’Amministrazione Usa per spingere nella direzione che desidera, vale a dire quella democratica, i movimenti anti-autoritari in corso in Medio Oriente? Quale può essere insomma il suo modello di "esportazione della democrazia"? Il governo americano deve trovare un messaggio forte da lanciare ai giovani della regione. Finora si è mosso in ordine sparso. Il segretario di Stato Clinton, il capo degli Stati maggiori riuniti Mullen, persino il senatore Kerry, a turno hanno prima invitato Mubarak a concedere riforme, poi hanno timidamente abbracciato la piazza. Ora hanno atteggiamenti ugualmente contraddittori nei confronti di Yemen e Barhein. La sensazione è che siano stati colti di sorpresa dalla forza di questi movimenti. Come è possibile? La realtà è che per l’Amministrazione Obama la promozione della democrazia non era inizialmente una priorità nei rapporti con i regimi mediorientali. Obama ha sempre sostenuto, in principio, la promozione della democrazia in Medio Oriente, ma è stato timido nel criticare i regimi autoritari della regione. In un discorso lo scorso febbraio in Qatar, ad esempio, Hillary Clinton ha elencato diritti umani e democrazia ultimi fra gli obiettivi di Washington nel mondo arabo, dopo la soluzione del conflitto israelo palestinese, il controllo del programma nucleare iraniano, la lotta all’estremismo violento e la promozione di opportunità per i giovani. A cosa si deve questa ambivalenza? Obama è salito al potere in un momento in cui il modello di promozione aggressiva della democrazia di George W. Bush era stato discreditato. Il nuovo presidente è arrivato alla Casa Bianca promettendo di riscattare l’immagine dell’America e assicurando amicizia al mondo islamico. Ma per non rischiare l’antiamericanismo e garantirsi la cooperazione dei regimi arabi nella lotta al terrorismo, si è adattato allo status quo, limitandosi a generici richiami alla mancanza di apertura dei regimi arabi. È stato così anche dietro le quinte? Non del tutto. L’amministrazione ha continuato a finanziare programmi di promozione della democrazia e a usare i propri ambasciatori per invitare i regimi alle riforme. Ma la sensazione è che la Casa Bianca abbia mantenuto un equilibrio precario. Una politica estera intelligente nell’età dell’informazione richiede una gestione più sofisticata del potere. In quali termini? Dobbiamo saper ragionare simultaneamente in termini di strumenti di potere "hard", come le minacce economiche e persino militari, e nuovi strumenti "soft" che possano far penetrare all’interno di queste società i nostri valori in forma attraente. Oggi accadono molte più cose fuori dal controllo anche dei governi più potenti e autoritari. Cose che gli Stati Uniti, se non vogliono essere colti di sorpresa e avere un impatto sull’esito di questi movimenti, non possono ignorare. Elena Molinari
2011-02-12 12 febbraio 2011 LA SVOLTA La resa di Mubarak, Egitto in festa L'esercito egiziano ha iniziato stamattina rimuovere le barricate dalle strade intorno a piazza Tahrir, a Il Cairo, simbolo delle proteste che hanno portato alle dimissioni del presidente Hosni Mubarak. Militari e volontari rimuovono le barriere di metallo, i barili e i rottami dei veicoli distrutti in questi 18 giorni di protesta e utilizzati come scudo durante i momenti di maggiore tensione. Per tutta la notte gli egiziani hanno festeggiato le dimissioni di Mubarak e già dalle prime ore di questa mattina in molti si sono riuniti nella storica piazza Tahrir in attesa delle prime dichiarazioni dell'esercito, che da ieri detiene il potere. Intanto, dagli attivisti del web ai manifestanti di piazza, dai dissidenti egiziani al potente movimento dei Fratelli Musulmani, tutta l'opposizione egiziana festeggia con entusiasmo le dimissioni di Hosni Mubarak che ieri ha consegnato il potere alle forze armate. Resta incerto però il futuro politico del Paese e il mondo arabo, ma non solo, guarda con attenzione alle prossime mosse del Cairo. La Russia "spera che le procedure democratiche in Egitto saranno pienamente ripristinate e che a questo scopo saranno utilizzate tutte le procedure elettorali legittime": lo ha detto il leader del Cremlino, Dmitri Medvedev. "Noi riteniamo anche molto importante - ha proseguito il presidente russo - che in Egitto siano mantenute la pace e la concordia interconfessionale. L'Egitto, come Paese democratico e forte, rappresenta un fattore importante per portare avanti il processo di pace in Medio Oriente". "L'EGITTO È LIBERO" È un urlo di gioia incontenibile quello che esplode in piazza Tahrir alle prime luci della sera. "L’Egitto è libero!", il presidente Mubarak si è dimesso ed il boato che accoglie l’annuncio tanto atteso ripaga la folla di tutte le sofferenze, le paure e le delusioni che hanno segnato una lotta durata 18 lunghi giorni. In un tripudio di bandiere nazionali centinaia di migliaia di persone s’abbracciano felici tra applausi e grida di giubilo, mentre da un lampione viene agitato il fantoccio del rais impiccato che era stato appeso giorni fa. "Abbiamo abbattuto il regime!", e ancora "Allah akbar!", Dio è grande, l’invocazione delle preghiere del venerdì che ora risuona come un grande inno di ringraziamento. Hosni Mubarak ha rinunciato al mandato presidenziale e ha passato il potere all’esercito. Lo annuncia il vice-presidente Omar Souleiman, pallido e teso. In un intervento alla televisione spiega che "Mubarak ha deciso di dimettersi dalla carica di presidente" aggiungendo che, come suo ultimo atto da Capo dello Stato, il rais ha incaricato il Consiglio supremo della Difesa di "gestire il Paese nelle difficili circostanze che sta attraversando". È una specie di golpe consensuale. Ma oggi tutti fanno festa ai militari artefici della svolta storica. Anche i Fratelli musulmani che, mettendo da parte le loro diffidenze, si sono congratulati con l’esercito "per aver mantenuto le promesse". ll più festeggiato è il generale Tantawi, il ministro della Difesa che da oggi è il capo provvisorio della nazione, salutato con entusiasmo dalla folla. Adesso Mubarak, l’uomo che ha retto l’Egitto per trent’anni con pugno di ferro, non è più al Cairo, si è rifugiato nel suo resort di lusso sul mar Rosso, a Sharm-el-Sheikh. Cocciuto e orgoglioso, non se l’è sentita di presentarsi a viso aperto alla nazione, come aveva fatto per ben tre volte dall’inizio della protesta, e ha mandato avanti il suo vice. "Un importante comunicato presidenziale", era stato preannunciato dalla Tv di Stato a metà pomeriggio, accolto con una buona dose di scetticismo dai dimostranti anti-Mubarak, furiosi per il discorso tenuto giovedì notte da un vecchio leader che s’ostinava a mantenere il potere, trasferendo solo alcune delle sue prerogative al vice Suleiman. Rabbia e delusione avevano spinto milioni di egiziani a scendere in strada per chiedere, con ancora più forza, la caduta del rais e la fine del regime. Fin dalle prime ore del mattino la piazza della Liberazione era stracolma di manifestanti, visibilmente scontenti ma fermamente decisi ad andare fino in fondo. Mentre il caos contagiava le altre città del Paese. A el-Arish (Sinai settentrionale), si sono registrate le ultime vittime della rivolta: dieci persone che hanno perso la vita negli scontri. Nel frattempo era scattata la parola d’ordine: assediamo pacificamente i luoghi simboli del potere. Un migliaio di persone aveva già passato la notte davanti all’orribile palazzo a forma di cilindro che ospita la Tv di Stato, altri continuavano a presidiare il Parlamento. E intanto si metteva a punto una nuova strategia d’attacco, puntando sul palazzo presidenziale a Heliopolis, vicino all’aeroporto. I dimostranti che marciano compatti in una città deserta per il venerdì festivo trovano la strada sbarrata dai carri armati della "Harass Gemoury", la Guardia Presidenziale, maglioni blu e berretti rossi. Non forzano il blocco, sarebbe una follia suicida. Si stendono per terra preparandosi a un lungo sit-in. Sanno che il palazzo presidenziale è vuoto, hanno appena appreso la notizia che è fuggito a Sharm-el-Shaik. "Ma non c’importa dove sia, l’importante è che non sia più presidente dell’Egitto". Messo da parte Mubarak, il potere passa al Consiglio supremo della Difesa e non al vice-presidente Suleiman. Che fosse l’esercito il vero arbitro della situazione lo si poteva facilmente intuire dal "Comunicato n. 1" diffuso giovedì pomeriggio da un portavoce militare. E ribadito ieri con altri due comunicati dove le Forze Armate promettono l’abolizione il più presto possibile dello stato d’emergenza, l’organizzazione di elezioni libere e trasparenti e la transizione pacifica del potere. L’esercito "non si opporrà alla volontà popolare", è l’impegno solenne dichiarato in tv. Da oggi in Egitto comandano i militari. E si apre la corsa alla successione. L’egiziano Amr Moussa, uno dei possibili candidati, si è dimesso con due mesi di anticipo sulla scadenza naturale del mandato da segretario generale della Lega Araba. Mentre l’ex direttore dell’Aiea. Mohammed el-Baradei, ha annunciato che "la presidenza non è nei miei pensieri". Ma il dittatore è caduto e la festa va avanti tra caroselli di auto e clacson assordanti fino a tarda notte. È un crepitio continuo di spari. Ma questa volta sono fuochi d’artificio. Luigi Geninazzi
12 febbraio 2011 LA SVOLTA IN EGITTO La vera forza della divisa è il mondo degli affari Sarà davvero sufficiente l’uscita di scena del presidente Hosni Mubarak a far voltare pagina alla Repubblica araba d’Egitto? La risposta non può che essere negativa. Il rais, in realtà, è solo la punta di un iceberg mastodontico, quello di una leadership militare che lo stesso presidente ha coccolato, nutrito, fatto arricchire nel corso di tre decenni. Fra Mubarak e i suoi generali esiste un rapporto di osmosi tale, fra interessi economici e politici condivisi, per cui oggi è difficile immaginare la sopravvivenza degli uni senza l’altro. Non sorprende che in Egitto, caduto il tabù della salute del presidente, anche dopo 18 giorni di proteste popolari non si parli apertamente degli interessi economici in divisa: le forze armate, la vera classe dirigente del Paese, sono rimaste sempre nell’ombra lasciando ad altri, i servizi segreti, il compito di sporcarsi le mani e attirarsi l’odio degli oppositori. Ancora oggi l’esercito gode della stima della popolazione, che lo considera super partes. Ma presto, c’è da scommetterci, l’opinione pubblica comincerà a sbirciare nelle tasche dei suoi vertici militari e a chiedere spiegazioni. Si ritiene che almeno il 45% dell’economia egiziana sia controllato dall’esercito, che negli anni ha ricevuto in "dono" terre, fabbriche, proprietà immobiliari e complessi industriali in tutto il Paese. I militari hanno goduto dei proventi non solo dell’industria bellica – con commesse da capogiro, negli anni ’80, da Saddam Hussein, dal Kuwait, dalla Somalia e dal Sudan, in particolare – ma anche di quella civile. Ecco dunque che le forze armate traggono guadagno dall’industria alimentare, tessile, manifatturiera, dall’agricoltura, dal turismo, dall’edilizia, da cementifici e acciaierie, dal comparto sanitario e da quello degli idrocarburi senza essere mai tenute a rendere noto il proprio bilancio: tutto passa sotto il grande ombrello protettivo del Segreto di Stato. Una volta in pensione dall’esercito, comandanti e generali assumono prestigiosi incarichi di governo oppure si convertono al business nelle maggiori realtà industriali, talvolta di proprietà dello Stato talvolta privatizzate. Un intreccio fra affari, politica e sicurezza che ricorda da vicino il modello americano, di cui l’Egitto è un’emanazione nel mondo arabo: ogni anno, un fiume di dollari (1,3 miliardi) scorre da Washington verso le casse del Cairo per finanziare la stabilità dell’alleato arabo, ritenuta indispensabile per il quieto vivere di Israele. Soldi di cui i cittadini egiziani non vedono neanche l’ombra, perché finiscono direttamente al ministero della Difesa e della produzione militare (circa 42.000 i dipendenti): è di almeno 250 milioni di euro annui il profitto netto derivante da attività civili. Il budget ministeriale, esclusi gli aiuti americani, è di 6 miliardi di dollari. Al decimo posto nel mondo per grandezza (tra 400.000 e 450.000 gli arruolati, mentre i riservisti sarebbero altrettanti), le forze armate egiziane si articolano in esercito, marina, aeronautica e aviazione militare, cui si aggiungono forze paramilitari. Infine, le Forze di sicurezza centrali e quelle di confine, che però fanno capo al ministero degli Interni. Ora ai militari egiziani il compito, paradossale, di pilotare una svolta epocale verso una società sempre più civile e meno militarizzata che ne lederà gioco forza gli interessi e ne ridimensionerà il ruolo. In parte, il ministro della Difesa Mohammed Tantawi sembra aver già dimostrato di essere l’uomo giusto, lui che, conosciuto come il "cane barboncino di Mubarak " fino a pochi giorni fa, non ha esitato, secondo indiscrezioni, a criticare il presidente con la controparte statunitense. Dimostrando di voler saltare giù dal treno prima che deragliasse. Federica Zoja
12 febbraio 2011 CRONOLOGIA DELLA RIVOLTA I 18 giorni in piazza per rovesciare il vecchio Faraone 18 giorni che hanno cambiato la storia dell’Egitto, e che probabilmente modificheranno gli assetti strategici di tutto il Medio Oriente, sono iniziati in sordina tra le righe della rivolta tunisina. Per giorni interni i giovani egiziani hanno guardato con ammirazione e invidia quanto accadeva a Tunisi, maturando la consapevolezza della possibilità di una svolta che si stava affacciando in Nord Africa. A metà gennaio, quando la destituzione del presidente tunisino Ben Ali segnava la vittoria della "Rivoluzione dei gelsomini", hanno preso coraggio. E sono passati dalla Tv ai computer. La rivolta è iniziata così, di tastiera in tastiera, su blog e social network. I Fratelli musulmani, principale gruppo di opposizione al Cairo, nemmeno si erano accorti del rimestio di frustrazione rabbia che stava coalizzando sul Web la parte più giovane e vitale del Paese. Chiusi nelle loro prospettive ideologiche, non erano in piazza quando, il 25 gennaio, il movimento di protesta nato su Internet proclamava la "Giornata della collera ", dando vita alle prime manifestazioni per chiedere la fine del regime di Mubarak. Quel giorno, quindicimila ragazzi sceglievano piazza Tahrir come il luogo in cui tutto sarebbe ricominciato. Le "Giornate della collera". La Giornata della collera vien presto declinata al plurale, perché i manifestanti non ci mettono molto a capire che indietro non si torna, che "si può" andare sino in fondo, come in Tunisia. Le "Giornate della collera" si estendono così al 26 e 27 gennaio, con manifestazioni partecipate al Cairo e nelle altre città. Il regime di Mubarak non perde tempo: agenti in assetti anti-sommossa, lacrimogeni, proiettili di gomma e colpi di arma da fuoco sparati in aria entrano nelle cronache egiziane come fu, a suo tempo, per quelle tunisine. Mohammed el-Baradei, ex direttore dell’Agenzia internazionale per l’Energia atomica e uno dei leader più rispettati dell’opposizione egiziana, rientra in tutta fretta al Cairo. Migliaia di manifestanti lo accolgono festanti all’aeroporto: cercano un volto per la rivoluzione. Il blocco delle comunicazioni. Il 28 gennaio entrano in scena i Fratelli musulmani. Con un tentativo maldestro di recuperare il ritardo di sensibilità, proclamano il "Venerdì della collera" e tentano di strutturare politicamente la rivolta. Il regime, intanto, non molla e con una reazione lenta e tardiva impone un blocco totale di Internet e telefonia. È la prima volta al mondo che un Paese intero viene completamente "sconnesso", isolato. La censura, peraltro efficacemente bypassata dai giovani della rete, suscita la violenta reazione della Comunità internazionale, Stati Uniti in testa, che chiedono alle autorità del Cairo di rimuovere immediatamente i blocchi. Mubarak tenta un’apertura nominando vice-presidente il capo dei Servizi segreti Omar Suleiman. Ma gli scontri proseguono. E il regime interviene con la mano pesante: 100 le vittime della repressione secondo fonti indipendenti, 300 secondo l’Onu. La "Marcia del milione". Il primo febbraio scendono in piazza al Cairo oltre due milioni di persone. La "Marcia del milione" segna la svolta nella rivolta egiziana: per la prima volta in trent’anni l’ipotesi che il "Faraone" se ne vada diventa una possibilità concreta. Piazza Tahrir è percorsa da un brivido quando viene annunciato un discorso di Mubarak alla nazione. Qualcuno pensa alle dimissioni. Non sarà così: il rais annuncia che non si ricandiderà alle elezioni di settembre, promette riforme, ma resta al suo posto. Il rischio guerra civile. In piazza cominciano a comparire i primi cortei pro-Mubarak. I fedelissimi del regime attaccano i manifestanti in piazza Tahrir. Almeno dieci persone muoiono negli scontri tra fazioni. Il rischio di una guerra civile attraversa il Paese. Il "Venerdì della partenza". Due milioni di persone tornano in piazza al Cairo. È il "Venerdì della partenza", anche se il presidente Hosni Mubarak non parte per nulla. Si dimettono però tutti i vertici del suo partito, il Pnd. Sono le prime crepe che sgretoleranno l’apparato. Suleiman tenta un dialogo con le opposizioni, annuncia due Commissioni indipendenti che faranno le riforme. Ma il rais resta dov’è. E la protesta si rafforza. I manifestanti si accampano in piazza Tahrir, determinati a non andarsene fino alle dimissioni del presidente. Il discorso alla nazione. Il 10 febbraio fonti ufficiali annunciano che alle 21 Mubarak parlerà alla nazione per annunciare le sue dimissioni. Piazza Tahrir esulta di gioia. Poi la doccia fredda. In tarda serata il rais compare in Tv: si dice pronto a cedere i poteri ma annuncia anche di voler restare al suo posto. Qualcuno parla di un messaggio registrato. Qualcuno dice che è solo un ultimo, estremo, tentativo di restare in sella. Ma la rabbia esplode tra i manifestanti. Si trasformerà in euforia il giorno dopo, quando verranno annunciate le dimissioni di Mubarak. La fine di un regno durato 30 anni. Una caricatura di Hosni Mubarak viene issata dai giovani su un semaforo nel centro del Cairo (Epa) Barbara Uglietti
12 febbraio 2011 MAGHREB Ora s'infiamma l'Algeria: manifestazioni e scontri nella capitale Scontri tra manifestanti e forze di sicurezza ad Algeri dove è in corso la protesta per chiedere le dimissioni del presidente Abdelaziz Bouteflika. Secondo quanto riferito da testimoni e giornalisti, ci sarebbero già stati alcuni arresti. L'opposizione e alcuni sindacati e gruppi della società civile hanno organizzato la protesta sfidando il divieto di manifestare nella capitale algerina in vigore dal 2001. Circa duemila dimostranti hanno forzato un cordone di polizia. Le autorità algerine hanno schierato un numero imponente di forze di sicurezza nel centro della città per impedire lo svolgimento della manifestazione. Già prima dell'inizio della protesta, convocata per le 11 nel centro della città, si erano registrati tafferugli tra gruppi di dimostranti e forze di sicurezza che avevano fermato diverse persone. La polizia ha schierato mezzi blindati e anti-sommossa a delimitare il centro della capitale algerina. Tra gli arrestati, vi sarebbe un alto esponente del movimento di opposizione Rcd, Othmane Maazouz, e la polizia avrebbe malmenato un 90enne, noto attivista per i diritti umani, Ali Yahia Abdelnour.
2011-02-11 11 febbraio 2011 SVOLTA IN EGITTO Mubarak si dimette Poteri all'esercito Dopo 30 anni ininterrotti al potere è finita l'era Mubarak in Egitto. Il vicepresidente Omar Suleiman ha annunciato che il presidente Hosni Mubarak si è dimesso e ha passato i poteri al Consiglio Supremo delle Forze Armate. Alla notizia piazza Tahrir, al Cairo, è esplosa in grida di giubilo. Centinaia di migliaia di persone festeggiano a piazza Tahrir, da dove si leva il coro "il popolo ha abbattuto il regime!". Suleiman, apparso sulla tv di stato spiegando che Mubarak "ha deciso rinunciare alla sua carica di presidente della Repubblica", ha aggiunto che con l'ultimo atto da presidente ha incaricato il Consiglio Supremo di Difesa (i militari) di gestire "il Paese nelle difficili circostanze che sta attraversando" Poche ore prima dell'annuncio, l presidente egiziano Hosni Mubarak aveva lasciato Il Cairo con la propria famiglia per raggiungere la propria residenza a Sharm el-Sheikh.
In mattinata si era riunito al Cairo il Consiglio Supremo delle Forze Armate egiziane: al ternine della riunione, l'esercito con un comunicato aveva decretato la fine dello stato di emergenza "una volta che saranno finiti i disordini", e si terrano elezioni libere e indipendenti. L'Esercito ha fatto appello perché "si torni a una vita normale": invitiamo "le persone nobili che hanno condannato la corruzione e chiedono le riforme", "a tornare a una vita normale", recita il comunicato. I militari si fanno inoltre garanti delle "riforme legislative e costituzionali" promesse dal presidente Hosni Mubarak. Il testo è stato letto alla Tv di Stato da uno speaker e non da un portavoce dell'esercito. Il palazzo è presidiato all'esterno dai manifestanti, che hanno impedito l'accesso ad alcuni ospiti previsti nei programmi mattutini, e costringendo la Tv a scusarsi per le assenze. Migliaia di dimostranti anti-governativi hanno presidiato piazza Tahrir al Cairo, così come altri luoghi sensibili della capitale, dal palazzo presidenziale alla sede della tv. I dimostranti, riferiscono i corrispondenti di al Jazira, hanno bloccato l'area di accesso al palazzo del Parlamento, poco distante da piazza Tahrir. Imponente la presenza anche nei pressi del palazzo della tv, visto dai dimostranti come uno dei simboli del potere del regime: centinaia di persone si aggirano nelle strade circostanti, avvolte ancora dalle coperte con cui hanno passato la notte. I manifestanti nella zona, sempre secondo al Jazira, superano già le 10-20 mila persone. SCONTRI NEL SINAI Una persona è morta e diverse altre sono rimaste ferite nell'attacco ad un commissariato a El Arish, località della penisola del Sinai prossima alla Striscia di Gaza. Lo ha riferito al Jazira, aggiungendo che un migliaio di persone ha attaccato la stazione di polizia con armi da fuoco, compreso un lanciagranate Rpg. La vittima è un manifestante. LA CRONACA DI GIOVEDI' H a parlato come "un padre che si rivolge alle giovani generazioni e accoglie le sue giuste domande", annunciando che trasferirà alcuni suoi poteri al vicepresidente,Omar Suleiman, ma non si capisce bene da quando. Il rais fa un passo indietro ma non si ritira del tutto, non dà le dimissioni ed orgogliosamente ribadisce che manterrà il suo mandato presidenziale fino a settembre, impegnandosi a garantire elezioni libere e corrette alle quali non si candiderà. Per questo procederà alla modifica di alcuni articoli della Costituzione. È disposto a togliere lo stato d’emergenza, "se ci saranno le condizioni". Ma, dice, "non accetterò diktat da altri Paesi e resterò qui nella mia terra fino alla morte". E, con aria contrita, afferma che il sangue dei martiri non è stato versato invano e che "i responsabili della repressione contro i dimostranti saranno puniti". Il discorso tanto atteso di Mubarak ha fatto esplodere la rabbia tra le decine di migliaia di dimostranti radunati in piazza Tahrir, dove fino a pochi istanti prima risuonavano le grida di giubilo. Grande era la delusione. "Vattene, vattene" è tornata a gridare la folla. La gente si è sentita presa in giro. Non solo da Mubarak, ma anche dal suo vice Suleiman, il quale dopo aver proclamato che "l’esercito proteggerà la rivoluzione dei giovani" ha invitato gli stessi a tornare a casa. A piazza Tahrir la gioia che era esplosa per molte ore nell’attesa dell’annuncio del presidente si è ben presto trasformata in sorda ribellione. La partita non è ancora conclusa, il braccio di ferro continua. Le prime anticipazioni del passo indietro di Mubarak erano arrivate nel pomeriggio. Lo aveva detto alla Bbc Hossan Badrawi, il neo-segretario generale del Pnd, il partito unico al potere. "Mi aspetto che il presidente risponda alle domande del popolo, perché alla fine ciò che conta per lui è la stabilità del Paese. La poltrona non gli interessa". Pare un epitaffio che sembra sancire la fine del presidente-Faraone. Lo conferma poco dopo anche il premier Ahmed Shafiq: "Mubarak è pronto a lasciare". Ma è sempre ai militari che bisogna rivolgersi per capire realmente cosa stia succedendo in queste ore convulse che segnano la fine di un’epoca. Nel pome- riggio la tv di Stato interrompe i programmi per dare voce ad un militare in uniforme. Faccia inespressiva e linguaggio burocratico, legge il Comunicato n.1 con cui il Consiglio superiore delle Forze armate, riunito in seduta d’emergenza, annuncia "l’avvio delle misure necessarie per proteggere la nazione e sostenere le legittime richieste del popolo". Traduzione: ci siamo assunti noi il compito di defenestrare il rais, come chiedevano i dimostranti. Strana riunione che vede l’assenza del Comandante supremo dell’esercito, il presidente Mubarak, e del suo vice Suleiman. Il Consiglio, viene spiegato, "ha deciso di rimanere riunito in sessione permanente per esaminare le decisioni che possono essere prese al fine di proteggere la nazione, le conquiste e le ambizioni del grande popolo d’Egitto". L’ombra del colpo di Stato cala sulla piazza. C’è chi continua a far festa e a cantare: "Il popolo voleva la caduta del regime ed il regime è caduto". Ma c’è chi inizia a gridare: "Non vogliamo un governo militare". Per la prima volta dall’inizio delle protesta la piazza è divisa. "Non ho voglia di far festa, sono molto preoccupato. Temo un golpe. A questo punto il problema non è il presidente ma il regime". Nel frattempo s’inseguono voci e smentite sulla sorte di Mubarak che varie fonti dell’opposizione danno in viaggio verso la sua residenza estiva sul mar Rosso, a Sharm-el-Sheikh. Una conferma, anonima, giunge dall’aeroporto militare. Altre fonti sostengono che il rais stia fuggendo all’estero. Poi l’ultimo colpo di scena: Mubarak spiega che non ha alcuna intenzione di lasciare l’Egitto. In queste ore di grande confusione ogni scenario è possibile. Ma è probabile che la protesta non si fermi. Già ieri era diventata sempre più vasta e massiccia con medici, avvocati, operai e impiegati statali, tutti uniti in uno sciopero generale. "Per salari più dignitosi e per la libertà", era lo slogan. Al Cairo il traffico, solitamente caotico, è rimasto completamente bloccato per lo sciopero dei mezzi pubblici. "Se va avanti così dovrà intervenire l’esercito ", aveva minacciato il ministro degli Esteri, Aboul Gheit. Brutti presentimenti gravano sul futuro dell’Egitto.
11 febbraio 2011 L'esercito prende le redini Il vero padrone Mubarak fa un altro passo indietro, pensa di trasferire alcuni suoi poteri al vice-presidente Omar Suleiman, ma non intende dimettersi. La vicenda egiziana è sempre più ingarbugliata, alla fine di una giornata drammatica, vissuta con il fiato sospeso dopo l’annuncio di una svolta che aveva galvanizzato la piazza. E che alla fine lascia la folla con la delusione di dimissioni che non sono arrivate. Eppure, è già possibile trarre qualche lezione. L’arbitro che ha deciso di cercare di mettere fine alla lunga e drammatica partita, apertasi il 25 gennaio tra il raìs ed il movimento di protesta, è l’esercito. Anche se la parola fine non è stata scritta. La rivolta, generata dalla profondità dello spazio virtuale della rete e dei social netwok, è dilagata in tutto il Paese. Un popolo costretto per tanti anni al mutismo ha alzato la voce gridando la sua voglia di libertà. È il trionfo di quella che è stata chiamata "la Repubblica di piazza Tahrir", la roccaforte della protesta dove per 17 giorni, nonostante i ricatti del governo e gli attacchi sanguinosi dei miliziani del partito unico di regime, è andato in onda l’incredibile spettacolo della democrazia, un happening variopinto cui hanno preso parte studenti in jeans e contadini in tunica, ragazze vestite all’ultima moda occidentale e donne col velo integrale, cristiani e musulmani, tutti insieme per chiedere verità e dignità, libertà e giustizia sociale. Di fronte a questa pressione dal basso la piramide del presidente-Faraone ha cominciato a perdere pezzi, in una confusa e tardiva perestrojka che però non ha investito del tutto il potere del vecchio leader, ostinatamente attaccato alla poltrona. La sua promessa di non candidarsi alle prossime elezioni di settembre è stata accompagnata dalla pretesa di rimanere a guidare il processo di transizione, contando sull’appoggio internazionale e sulle divisioni dell’opposizione. Intanto dagli Stati Uniti giungevano messaggi ambigui, con un portavoce che contraddiceva un altro. Un balletto che allargava la distanza tra il gioco politico (anche, e inevitabilmente, diplomatico e internazionale) e l’Egitto reale. Il movimento di protesta è rimasto infatti compatto nel chiedere le immediate dimissioni di Mubarak. Un braccio di ferro insostenibile per il più grande Paese del mondo arabo il cui leader, cocciuto e orgoglioso, è ormai un ostacolo da rimuovere per tanti, quasi tutti. In che modo? La risposta è stata abbozzata dall’esercito, i cui vertici sono apparsi in tv annunciando "l’avvio di misure necessarie per proteggere la nazione e sostenere le legittime richieste del popolo", una formula che ricalca i messaggi con cui nel mondo arabo sono spesso iniziati i colpi di Stato. Più delle parole sono state eloquenti le immagini: l’intero Stato maggiore riunito, ad eccezione del comandante supremo, Hosni Mubarak appunto. È stato evitato, probabilmente, lo scenario peggiore, quello di una repressione sanguinosa. A meno che la piazza, delusa, tenti la spallata finale. Mubarak resta come un simulacro vuoto, sotto la tutela dell’esercito, vero padrone della situazione. Le Forze armate si confermano l’arbitro principale del durissimo bracco di ferro tra la protesta polare e il vecchio raìs. Piazza Tahrir ha visto in poche ore trasformare la sua gioia in rabbia e delusione. E oggi sarà un altro venerdì di collera. Una collera sempre più grande. Luigi Geninazzi
11 febbraio 2011 IL REGIME DEGLI AYATOLLAH Teheran teme l’effetto Egitto Karrubi finisce agli arresti L’Onda verde, in piazza, farà a meno del suo leader. Mehdi Karrubi, capo dell’opposizione iraniana al governo, è stato arrestato ieri, nella sua casa di Teheran, alla vigilia del 32esimo anniversario della Rivoluzione islamica, che cade oggi. La conferma è stata data dal figlio stesso di Karrubi, su SahamNews , il sito dei democratici anti- governativi. Karrubi, insieme a Mir-Hossein Mussavi, altro leader dell’opposizione, stavano organizzando per il 14 febbraio una manifestazione nella capitale a sostegno delle rivolte in Egitto e Tunisia. Il figlio di Karrubi, che per primo ha diffuso la notizia, sarebbe stato fermato davanti la casa del padre da un gruppo di agenti della sicurezza che da tempo vi stazionano per attività di osservazione. Gli sarebbe stato intimato di non entrare in casa, dove Karrubi si troverebbe agli arresti domiciliari; l’unica persona a cui non sia stato dato il divieto d’accesso fino al 14 febbraio è la moglie del leader dell’opposizione. Già due giorni fa i Pasdaran avevano messo in guardia l’opposizione dalla tentazione di ritornare in piazza il 14 febbraio e i siti anti-governativi davano notizia dell’arresto di altri due politici: il collaboratore di Karrubi, Taghi Rahmani, e Mohammad Hossein Sharifzadegan, ex ministro nel governo del presidente riformista Mohammad Khatami e membro dell’ufficio elettorale di un altro leader dell’opposizione. Da mesi Karrubi e Mussavi denunciano di trovarsi nel mirino del governo, sottoposti a un regime di stretta sorveglianza, controllo dei loro movimenti e limitazione degli incontri con i loro sostenitori. Ieri, la notizia dell’arresto, dopo che il procuratore generale, Gholamhossein Mohseni-Ejei ha accusato i due leader dell’opposizione di volere creare "divisioni" all’interno del Paese con la manifestazione prevista per il 14 febbraio. Il governo iraniano, in questi giorni, ha sostenuto le proteste in Tunisia e, soprattutto, in Egitto, paragonando Hosni Mubarak allo scià Reza Pahlavi e le proteste in piazza Tahrir allo stesso movimento di Liberazione che segnò la nascita, 32 anni fa, della Repubblica islamica.
Ma Karrubi ha spostato l’asse della propaganda sulle contestatissime elezioni presidenziali del 2009, la cui validità aveva duramente contestato insieme a Mussavi, accusando il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad di brogli. E le sue parole, nei giorni scorsi, riferite al governo, avevano il segno di una vera e propria sfida: "Se non daranno il permesso al loro stesso popolo di protestare, ciò andrà contro quello che dicono a sostegno della rivoluzione in Egitto". Karrubi e Mussavi hanno anche insistito sulla dimostrazione di forza di entrambi i regimi, affermando che "l’arresto di manifestanti e l’uccisione di giovani uomini e donne, nelle strade e nelle prigioni non hanno potuto salvare gli autoritari dalla perdita della fiducia della popolazione ". Come dire che, alla rabbia, alla "hogra" delle popolazioni del Mahgreb nei confronti di una elite di potere e, per esteso, ai persiani della Repubblica iraniana, la repressione fa un baffo rispetto alla possibilità di ritornare in piazza. Nel Paese dell’ex scià, comunque, il malcontento, rispetto alla politica interna, è alto. Dal giugno 2007 il Paese raziona la benzina per auto, nel timore di nuove sanzioni Onu. E dalla fine di dicembre 2010 è duramente provata da una riforma economica che ha tagliato i sussidi pubblici che mantenevano artificiosamente basso il prezzo del carburante (11 centesimi di dollaro al litro, paria a mille rial nel 2007), quadruplicandolo. Le sanzioni Onu sono arrivate e l’Onda verde, che ha dimostrato per prima l’efficacia dei social network nelle sollevazioni di massa, guarda all’Egitto e alle proprie tasche, non dimentica Nasser e preme. Laura Silvia Battaglia
2011-02-10 10 febbraio 2011 IL CAIRO, Egitto alla svolta: "Mubarak potrebbe dimettersi domani" Il presidente egiziano "Hosni Mubarak potrebbe lasciare la presidenza della repubblica". È quanto ha annunciato il premier Ahmed Shafiq, citato dalla tv satellitare "al-Arabiya". "La situazione - ha spiegato - potrebbe risolversi presto".
9 febbraio 2011 IL PAESE IN RIVOLTA Egitto, tre morti in scontri nel sud Al Qaeda: ora la "guerra santa" È di almeno tre morti e circa cento feriti il bilancio ancora provvisorio di scontri tra manifestanti anti-governativi e forze di sicurezza in corso da ieri a el-Kharga, un'oasi situata oltre 400 chilometri dal Cairo, nel governatorato sud-occidentale egiziano di al-Wadi al-Jadid, noto anche come New Valley. Lo hanno riferito fonti di polizia, che hanno giustificato il ricorso alle armi con il pericolo di essere sopraffatti dalla folla. Le tre vittime sono decedute in ospedale. Dopo la reazione degli agenti in assetto anti-sommossa, i dimostranti hanno assaltato e dato alle fiamme diversi uffici pubblici, tra cui due commissariati, una caserma, un tribunale e la sede locale del Partito Democratico Nazionale, al potere da un trentennio e facente capo al presidente Hosni Mubarak. Si tratta del primo scontro serio tra poliziotti e contestatori del regime negli ultimi giorni: dopo gli attacchi contro i manifestanti del 28 gennaio, la Giornata della Rabbia, era sembrato che le forze dell'ordine fossero praticamente scomparse dalle strade in ogni parte dell'Egitto, e il controllo della situazione fosse passato all'esercito, mantenutosi fino ad allora neutrale. MANIFESTAZIONI AL CAIRO Circa diecimila manifestanti anti-regime si sono riuniti questa mattina davanti alla sede dell'Assemblea del popolo (Camera) al Cairo, e più o meno altrettanti davanti alla casa del premier, generale Ahmed Shafik. Altri gruppi di manifestanti hanno raggiunto anche la sede del ministero degli Interni e della presidenza del Consiglio dei ministri. E migliaia di manifestanti anti-Mubarak hanno trascorso la notte accampati nella "tendopoli" che ha occupato tutti i prati e le aiuole della gigantesca piazza Tahrir al Cairo e attorno ai carri armati dell'esercito. Dopo le grandi manifestazioni di ieri, che si sono estese in diverse città in tutto l'Egitto, stamani, nel 16.mo giorno della "Rivoluzione sul Nilo", piazza Tahrir appare tranquilla nelle immagini trasmesse in diretta dalle tv, fra cui Al Jazira International. "Non siate stanchi, non siate stanchi. La libertà non è stata ancora liberata", scandiva un manifestante con l'altoparlante mentre la popolazione di oppositori "accampati" si svegliava. Diversi militanti jihadisti facenti capo ad Al Qaida sono fra le migliaia di detenuti evasi dalle carceri in Egitto durante i disordini di queste settimane, secondo il vicepresidente egiziano, Omar Suleiman. Parlando ai giornalisti, Suleiman ha detto che le forze di sicurezza e di intelligence egiziane avevano "compiuto sforzi notevoli per ottenere l'estradizione in Egitto di militanti (islamici) dall'estero", di membri di "organizzazioni jihadiste... legati a leader esterni, in particolare ad Al Qaida". Si tratta, ha aggiunto Suleiman, di combattenti che non hanno rinunciato alla loro ideologia o alla violenza. Ora, ha detto il vicepresidente egiziano, "ci vorrà molto lavoro per riportarli in carcere". Il sedicente Stato Islamico dell'Iraq, branca irachena di al-Qaeda, ha chiamato alla jihad i manifestanti anti-governativi che da più di due settimane protestano contro il presidente Hosni Mubarak, e li ha esortati a battersi per l'instaurazione di un regime fondato sulla sharia, la legge coranica: l'appello è contenuto in un messaggio apparso nelle ultime 24 ore su diversi siti filo-integralistici di Internet, ed è stato intercettato dagli specialisti di Site, gruppo di monitoraggio anti-terrorismo on-line con sede negli Stati Uniti. Si tratta della prima reazione conosciuta di un qualche movimento comunque affiliato a al-Qaeda rispetto agli avvenimenti in corso in Egitto. Nel messaggio si afferma che nel Paese nord-africano "si è aperto il mercato della guerra santa", alla quale debbono partecipare tutti gli uomini in grado di combattere, e che si sono altresì "schiuse le porte del martirio". I dimostranti egiziani sono quindi invitati a non lasciarsi tentare dalle "vie ingannevoli e brute" del secolarismo, della democrazia e del "marcio nazionalismo pagano", in quanto "la vostra Jihad è a sostegno dell'Islam, degli egiziani deboli e degli oppressi, del "vostro popolo in Iraq e a Gaza", e "a favore di ogni musulmano che sia stato raggiunto dall'oppressione del tiranno d'Egitto e dei suoi padroni a Washington e a Tel Aviv". Segue l'offerta di "sette consigli" per costringere Mubarak alla caduta, e per assicurarsi che nessuno di coloro che fanno parte della sua cerchia possa mantenere il potere.
2011-02-09 9 febbraio 2011 IL PAESE IN RIVOLTA Proclama di al-Qaeda: egiziani, battetevi per la sharia Circa diecimila manifestanti anti-regime si sono riuniti questa mattina davanti alla sede dell'Assemblea del popolo (Camera) al Cairo, e più o meno altrettanti davanti alla casa del premier, generale Ahmed Shafik. Altri gruppi di manifestanti hanno raggiunto anche la sede del ministero degli Interni e della presidenza del Consiglio dei ministri. E migliaia di manifestanti anti-Mubarak hanno trascorso la notte accampati nella "tendopoli" che ha occupato tutti i prati e le aiuole della gigantesca piazza Tahrir al Cairo e attorno ai carri armati dell'esercito. Dopo le grandi manifestazioni di ieri, che si sono estese in diverse città in tutto l'Egitto, stamani, nel 16.mo giorno della "Rivoluzione sul Nilo", piazza Tahrir appare tranquilla nelle immagini trasmesse in diretta dalle tv, fra cui Al Jazira International. "Non siate stanchi, non siate stanchi. La libertà non è stata ancora liberata", scandiva un manifestante con l'altoparlante mentre la popolazione di oppositori "accampati" si svegliava. Diversi militanti jihadisti facenti capo ad Al Qaida sono fra le migliaia di detenuti evasi dalle carceri in Egitto durante i disordini di queste settimane, secondo il vicepresidente egiziano, Omar Suleiman. Parlando ai giornalisti, Suleiman ha detto che le forze di sicurezza e di intelligence egiziane avevano "compiuto sforzi notevoli per ottenere l'estradizione in Egitto di militanti (islamici) dall'estero", di membri di "organizzazioni jihadiste... legati a leader esterni, in particolare ad Al Qaida". Si tratta, ha aggiunto Suleiman, di combattenti che non hanno rinunciato alla loro ideologia o alla violenza. Ora, ha detto il vicepresidente egiziano, "ci vorrà molto lavoro per riportarli in carcere". Il sedicente Stato Islamico dell'Iraq, branca irachena di al-Qaeda, ha chiamato alla jihad i manifestanti anti-governativi che da più di due settimane protestano contro il presidente Hosni Mubarak, e li ha esortati a battersi per l'instaurazione di un regime fondato sulla sharia, la legge coranica: l'appello è contenuto in un messaggio apparso nelle ultime 24 ore su diversi siti filo-integralistici di Internet, ed è stato intercettato dagli specialisti di Site, gruppo di monitoraggio anti-terrorismo on-line con sede negli Stati Uniti. Si tratta della prima reazione conosciuta di un qualche movimento comunque affiliato a al-Qaeda rispetto agli avvenimenti in corso in Egitto. Nel messaggio si afferma che nel Paese nord-africano "si è aperto il mercato della guerra santa", alla quale debbono partecipare tutti gli uomini in grado di combattere, e che si sono altresì "schiuse le porte del martirio". I dimostranti egiziani sono quindi invitati a non lasciarsi tentare dalle "vie ingannevoli e brute" del secolarismo, della democrazia e del "marcio nazionalismo pagano", in quanto "la vostra Jihad è a sostegno dell'Islam, degli egiziani deboli e degli oppressi, del "vostro popolo in Iraq e a Gaza", e "a favore di ogni musulmano che sia stato raggiunto dall'oppressione del tiranno d'Egitto e dei suoi padroni a Washington e a Tel Aviv". Segue l'offerta di "sette consigli" per costringere Mubarak alla caduta, e per assicurarsi che nessuno di coloro che fanno parte della sua cerchia possa mantenere il potere.
2011-02-05 5 febbraio 2011 IL PAESE AL BIVIO Egitto ancora in piazza Esplode un gasdotto Un'esplosione è avvenuta stamane in un gasdotto nei pressi della cittadina egiziana di El Arish, nel nord del Sinai."È un atto di sabotaggio". Lo hanno detto fonti del governatorato del nord Sinai, spiegando che l'esplosione di questa mattina non ha provocato né vittime né feriti perché l'installazione è distante dal centro abitato. Le fonti hanno spiegato anche che l'incendio che è scoppiato dopo l'esplosione è stato domato. Intanto, in seguito all'esplosione nel gasdotto, è stato sospeso il flusso di gas verso Israele. Intanto il premio Nobel per la pace ed ex direttore generale dell'Agenzia atomica internazionale Aiea, Mohammed el-Baradei, ha confermato in un'intervista alla Cnn di essere pronto a guidare l'Egitto. "Io voglio vedere questo Paese muoversi verso la democrazia, una democrazia basata sulla giustizia sociale", ha premesso el Baradei. "In ogni modo, se il popolo mi chiede di guidare il Paese, io non lo abbandonerò", ha assicurato. Il Medio Oriente sta attraversando una "tempesta perfetta" e i leader della regione devono rapidamnente avviare vere riforme democratiche altrimenti il rischio è di instabilità ancora maggiore, secondo il Segretario di Stato Usa, Hillary Clinton. "La regione è scossa da una tempesta perfetta di potenti tendenze", ha detto Hillary Clinton durante il suo intervento alla conferenza internazionale sulla sicurezza in corso a Monaco di Baviera, "È questo che ha spinto i manifestanti nelle strade di Tunisi, del Cairo e di città in tutta la regione. Lo status quo semplicemente non è sostenibile".
5 febbraio 2011 IL FRONTE INTERNAZIONALE Obama liquida il faraone ed elegge Suleiman rais Una manovra di accerchiamento, una trattativa serrata per costringere Mubarak a capitolare. Un lavoro dietro le quinte che, significativamente, non deve restare troppo segreto. L’altra notte la Casa Bianca fa filtrare la notizia di una serie di colloqui con "autorità egiziane" per valutare una "varietà di modi differenti" per giungere all’uscita di scena di Hosni Mubarak e formare un governo di transizione. Una trattativa che lascia intendere contatti diretti di Washington con il vice presidente Omar Suleiman e un pressing serrato sui più stretti collaboratori del rais egiziano perché lo convincano ad uscire di scena. La prima conferma della nuova strategia di Washington, dopo il fallimento dell’inviato speciale Usa Frank Wisner, giunge da fonti anonime americane ed egiziane raccolte dal New York Times: Mubarak dovrebbe cedere il potere a un governo di transizione guidato dal vicepresidente Omar Suleiman con la supervisione delle forze armate e il beneplacito dei Fratelli Musulmani, con cui la Casa Bianca ha aperto diversi canali di comunicazione. Questa, nel concreto, la "transizione immediata" chiesta più volte dal presidente statunitense. E non è certo un caso che la Abc, la tv più vicina alla Casa Bianca, sia riuscita ieri ad intervistare per prima Suleiman. In serata, poi, la conferma ufficiale dello stesso Barak Obama: in Egitto "sono iniziate le discussioni" per giungere subito a una transizione politica che deve portare a elezioni "libere e giuste". "Inaccettabile" per il presidente Obama ogni violenza contro chi protesta pacificamente come contro la stampa mentre "il ritorno ai vecchi metodi non funzionerà". E soprattutto, Mubarak "deve ascoltare il suo popolo". Vale a dire andarsene. La proposta del Comitato dei saggi egiziani al vice presidente Suleiman di assumere il potere doveva essere ancora formulata, quando nel pomeriggio a Bruxelles inizia il vertice dei capi di stato e di governo della Ue dedicato anche alla crisi nel Nord Africa. "La transizione in Egitto deve cominciare ora", afferma la dichiarazione conclusiva dei Ventisette. Anche da parte loro un colpo sull’acceleratore se nella bozza preparatoria i leader europei chiedevano una "transizione rapida". Nel testo finale non viene mai citato il presidente Mubarak, ma il consiglio dell’Ue chiede moderazione alle parti in lotta e alle autorità egiziane che "vengano soddisfatte le aspirazioni del popolo egiziano con riforme politiche, non con la repressione". Un testo approvato anche dal premier italiano Silvio Berlusconi che tuttavia, prima del vertice, aveva auspicato una transizione democratica "senza rotture con il presidente Mubarak, che in tutto l’Occidente, Stati Uniti in testa, è considerato l’uomo più saggio e un punto di riferimento preciso". Spetterà all’alto rappresentante Ue, Catherine Ashton, mettere a punto un pacchetto di misure e a recarsi presto in Egitto e Tunisia per appoggiare la transizione. Solo la Russia si smarca criticando l’Onu per non aver rispettato la sovranità del Cairo. Intanto l’Egitto sembra aver trovato un traghettatore. Luca Geronico
5 febbraio 2011 LA SVOLTA Egitto, la piazza vince: "Fuori" Mubarak Cantano, danzano, si abbracciano in un clima di festa sulla grande piazza della Liberazione, tornata a riempirsi di una folla oceanica convocata per "il giorno della partenza" di Mubarak. Il giubilo è alle stelle quando si diffonde la notizia (falsa) delle dimissioni del rais. Ma è vero che il suo potere è ormai un vuoto simulacro, e a voler imbalsamare il presidente-Faraone sono proprio i suoi più stretti collaboratori. Dopo l’ultimatum della piazza ieri sera è giunto un suggerimento più che autorevole da parte del "Comitato dei saggi" (composto da un folto gruppo di personalità del mondo politico economico e culturale egiziano) per una passaggio morbido delle prerogative presidenziali nelle mani del vice, Omar Suleiman, lasciando all’82nne leader un potere formale. Lui per il momento resta. Ma anche il movimento di protesta che ha preso il via il 25 gennaio non dà segni di cedimento. Sembra un flash-back di martedì scorso, stessa gente e stessa richiesta. Come se qualcuno avesse girato l’interruttore cancellando in un colpo solo le terribili immagini di violenze e di scontri che fino all’altra sera erano sotto i nostri occhi. Già, che fine hanno fatto le squadracce di energumeni e di miliziani in borghese che per 48 ore avevano seminato il terrore? Di loro non c’è più traccia, almeno nel centro della capitale. L’esercito, sia pur tardivamente, ha preso in mano la situazione. Militari in tenuta antisommossa si schierano attorno alla piazza dove, in prima mattinata, era venuto a controllare le misure di sicurezza il ministro della Difesa Hussein Tantawi. Cavalli di frisia, filo spinato e nuovi check-point sono stati predisposti attorno agli alberghi ed ai luoghi sensibili. "Siamo qui per proteggervi, i sostenitori del governo non entreranno", è il messaggio che i soldati scandiscono con gli altoparlanti, mentre all’esterno gruppi di sostenitori di Mubarak iniziano a radunarsi per celebrare "il giorno della fedeltà" al vecchio rais. In serata i due schieramenti si sfiorano, l’esercito spara in aria per dissuadere i più facinorosi. E, incredibilmente, procede ad alcuni arresti tra i miliziani filo-regime. Sono poche migliaia i fans di Mubarak che si ritrovano in piazza Talaat Harb, non lontano dal luogo simbolo della rivolta, piazza Tahrir. Qui sono centinaia di migliaia, qualcuno dice addirittura due milioni, mentre ad Alesssandria sarebbero un milione. È la "Rivoluzione del loto" che fa seguito alla "Rivoluzione dei gelsomini" scoppiata in Tunisia, scrive il più importante quotidiano egiziano al-Ahram". La gente si mette pazientemente in fila nei pochi punti d’accesso alla piazza dove il servizio d’ordine è garantito dai Fratelli musulmani", la forza d’opposizione radicale, quella che ha presidiato la roccaforte della protesta resistendo all’assalto delle squadre pro-Mubarak. Ma oggi nessuno fa caso ai mucchi di pietre divelte dal selciato che possono sempre servire come armi di difesa. "Noi non ce ne andiamo, sei tu che te ne devi andare!" è lo slogan più ripetuto all’indirizzo di Mubarak, sullo sfondo di un gigantesco cartellone con la scritta "Game over". Un membro del clero islamico tiene il sermone dopo la preghiera di mezzogiorno, ricordando che "questa è una manifestazione nazionale dove si ritrovano uniti musulmani e cristiani". Ad Alessandria, la città segnata dalle violenze contro la Chiesa copta, un lungo corteo si snoda fino alla moschea di Al Kaed Ibrahim. E mentre i musulmani sono raccolti in preghiera, molti cristiani, presenti alla manifestazione anti-Mubarak, formano una catena umana a loro difesa. Al Cairo prende la parola Mohammed el-Tahtawy, portavoce dell’università al-Zahar, faro culturale dell’islam sunnita, annunciando le sue dimissioni e il suo sostegno alla rivoluzione. La presenza più significativa è quella di Amr Moussa, il segretario generale della Lega Araba venuto qui ad incontrare i leader della protesta. Moussa sta cercando di mediare tra dimostranti e governo e non nasconde di aspirare a un ruolo di prestigio in un futuro governo di transizione. A una domanda circa una sua possibile candidatura alla prossime elezioni presidenziali il politico egiziano risponde: "Perché no?", aggiungendo che un esecutivo di salvezza nazionale non potrà lasciar fuori i rappresentanti dei "Fratelli musulmani". No è l’unica "candidatura" della giornata, la sua. Perché in serata, dopo ripetute smentite, anche Mohammed el-Baradei, premio Nobel per la pace ed ex direttore generale dell’Agenzia atomica internazionale (Aiea), si dice pronto a diventare presidente "se il popolo lo chiederà". Intanto, secondo la tv al-Arabiya il vice-presidente Omar Suleiman avrebbe accolto l’idea avanzata dal "Comitato dei saggi" e sarebbe pronto ad assumere le prerogative del capo dello Stato in base all’art. 139 della Costituzione egiziana. L’ex capo dei servizi segreti, nominato recentemente vice di Mubarak, si sta dando molto da fare. In un’intervista alla tv americana Abc ha lasciato intendere che occorre trovare una via d’uscita dignitosa al vecchio rais, venendo incontro al suo desiderio espresso l’altra sera. "Sono stanco ma non posso lasciare il mio posto con questo caos", aveva dichiarato. Ma "è improbabile che il presidente rimanga solo con un ruolo formale", commenta il premier Shafiq. Preme la piazza, premono gli Stati Uniti, si alambiccano i consiglieri del sovrano. Tutti danno per scontata la fine imminente dell’era Mubarak. Luigi Geninazzi
2011-02-04 4 febbraio 2011 UN PAESE AL BIVIO Egitto, dalla Ue sostegno a "transizione rapida e ordinata" Cresce il pressing americano su Mubarak affinché il presidente egiziano lasci subito l'incarico. In nottata l'amministrazione Obama ha fatto filtrare la notizia che sta discutendo con "autorità egiziane" non meglio precisate una serie di opzioni che prevedono l'immediata uscita di scena di Hosni Mubarak e la formazione di un Governo di transizione. Una calma tesa, dopo le violenze e le intimidazioni di ieri e una notte relativamente tranquilla, regna al Cairo nella mattina del venerdì di preghiera che l'opposizione, che per 10 giorni ha tenuto la piazza, spera di trasformare in quella che ha convocato come la "giornata della partenza" di Mubarak, portando in strada almeno un milione di persone. Nel centro della capitale egiziana comincia a radunarsi qualche manifestante, sfidando il coprifuoco, secondo al Jazira International. Quest'ultima ha ascoltato in diretta una manifestante da Piazza Tahrir, che ha raccontato del clima di "eccitazione" per la giornata. La tv al Jazira ha detto che il segretario generale della Lega Araba è - per la prima volta dall'inizio delle manifestazioni anti Mubarak - in piazza Tahrir al Cairo, insieme con decine di migliaia di dimostranti.Secondo la 'radio della piazzà - una emittente sorta spontaneamente qualche giorno fa per raccogliere le voci della protesta di piazza Tahrir - Amr Moussa si starebbe preparando a tenere un discorso. Le comunicazioni non sono bloccate come alcuni giorni fa e che gli oppositori usano soprattutto i social network come Facebook e Twitter. I giornalisti, per lo più ormai relegati negli alberghi dopo gli arresti e le intimidazioni di ieri, temono di non poter garantire una copertura adeguata degli eventi. "Pieno sostegno" della Ue a un processo di "transizione ordinata e rapida" in Egitto e un forte impegno per completare la difesa dell'euro, rafforzando l'integrazione e la governance economica. Su queste due questioni si è concentrata l'attenzione dei leader della Ue, oggi a Bruxelles. Nella bozza di conclusioni, l'Europa ripete l'appello alle autorità egiziane perchè vengano evitate nuove violenze e si avvii subito un processo di riforme per rispondere alle domande del popolo. "Il dialogo con tutte le opposioni è assolutamente essenziale", ha detto al suo arrivo l'Alto rappresentante della politica estera della Ue Catherine Ashton, incaricata dai leader di mettere a punto un pacchetto di misure per aiutare il processo riformatore e democratico dell'Egitto e lo svolgimento di "libere e giuste" elezioni. Il premier Silvio Berlusconi ha auspicato che "si possa avere continuità di governo" nella transizione,
MUBARAK NON CEDE, ALTRI MORTI AL CAIRO Non accenna a spegnersi l’incendio che sta bruciando l’Egitto, vicino alla guerra civile, nonostante l’intervento di autorevoli "pompieri" come il primo ministro Shafiq e il vice presidente Suleiman. Gli scontri tra i sostenitori di Mubarak e i dimostranti anti-regime asserragliati in piazza Tahrir sono proseguiti anche ieri non più con sassi e bastoni ma con molotov e armi automatiche. E i cecchini appostati sui tetti, che hanno sparato sulla folla. Un’altra giornata di sangue dopo una notte segnata dal crepitio delle mitragliette che è andato avanti per due ore, intervallato dai cupi rimbombi dei colpi sparati verso il Nilo dai carri armati dell’esercito per scoraggiare i due schieramenti. La battaglia è ripresa la mattina e i professionisti della violenza, aiutati dagli agenti in borghese delle squadre filo-governative, sembrano aver avuto la meglio sui giovani dell’opposizione che a stento hanno presidiato il luogo-simbolo della protesta, e che hanno dovuto ritirarsi nelle strade adiacenti sotto il fuoco nemico. Il ministero della Sanità parla di 13 morti e 1200 feriti, numeri che inevitabilmente tenderanno a crescere. Tra le vittime c’è anche uno straniero di cui non si conosce ancora l’identità. Nel mirino ci sono soprattutto i giornalisti, molti dei quali sono stati picchiati e sequestrati dalle squadracce del rais, oppure arrestati dalla polizia. Le autorità hanno anche proceduto al fermo di alcuni attivisti dei diritti umani, tra i quali Daniel Williams, marito della giornalista italiana Lucia Annunziata, inviato al Cairo dell’organizzazione "Human Right Watch". "Il governo egiziano non deve prendersela coi giornalisti che fanno il loro lavoro", è il monito lanciato dal portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs. Nel Paese la tensione resta alta e persino il personale dell’Onu, circa 600 delegati, sta lasciando l’Egitto per trasferirsi "temporaneamente" a Cipro. Intanto l’esercito, dopo essere stato spettatore passivo, è riuscito a creare una zona-cuscinetto tra i due fronti, e per questo è stato subito accusato dai fans di Mubarak di aver preso le difese dei dimostranti. Se la battaglia sul terreno è sempre più aspra, nelle stanze del potere sta prendendo forma un atteggiamento più conciliante nei riguardi del movimento di protesta, giunta ieri al decimo giorno. Nel tentativo di riportare la calma è intervenuto dapprima il capo del nuovo governo, Ahmed Shafiq, che si è detto pronto ad andare in piazza per discutere con i manifestanti. Il premier ha ammesso di essere stato sorpreso dall’ondata di violenze di queste due giornate e ha chiesto scusa. "Si è trattato di un errore fatale", ha detto in una conferenza stampa promettendo un’inchiesta governativa. Ha negato però che dietro gli incidenti ci sia la regìa delle autorità. poi, nel pomeriggio, per la prima volta da quando è stato nominato vice-presidente, ha fatto sentire la sua voce anche il numero due di Mubarak, l’ex capo dei servizi segreti Omar Suleiman che ha annunciato una ripresa di contatti con l’opposizione. La sua apertura è stata seccamente respinta sia da Mohamed el-Baradei che dai Fratelli musulmani, i quali hanno ribadito la richiesta di sempre e cioè che prima di sedersi al tavolo delle trattative se ne deve andare il rais. Suleiman ha anche dichiarato che le elezioni presidenziali, previste per settembre, saranno anticipate di un mese e ha assicurato che non vedranno candidati né Hosni Mubarak né suo figlio Gamal, l’erede designato. E come gesto di buona volontà ha annunciato la liberazione di tutti i prigionieri politici. Mentre sarà proibito l’espatrio dei ministri sotto accusa per corruzione o per atti di repressione, come l’ex titolare degli Interni. Ma evidentemente alla folla non è bastato. E, in serata, si è fatto sentire Mubarak. "Mi dimetterei, se potessi, ma temo che il Paese precipiterebbe nel caos", ha detto il presidente in un’intervista alla corrispondente della Ab, Christiane Amanpour. Un segno di cedimento, o forse solo l’ultimo tentativo di restare in sella. Il Faraone, al potere dal 1981, ha accusato i Fratelli Musulmani di essere i responsabili di questa rivolta. Ha preso, ancora una volta, le difese dei suoi fedelissimi. "Sono molto scontento di quello che è successo ieri. Non voglio vedere gli egiziani combattersi tra di loro". Ha replicato alle critiche di Obama: "Tu non capisci la cultura egiziana, non sai cosa capiterebbe se io lasciassi ora", ha detto. Ha cercato di convincere un Paese che gli sta sfuggendo di mano. Lo stesso, "non scapperò mai – ha concluso il presidente Mubarak–. Morirò in questa terra". Luigi Geninazzi
2011-02-03 3 febbraio 2011 EGITTO AL BIVIO Al Cairo si spara ancora Assalto all'hotel dei giornalisti Sostenitori del presidente egiziano Hosni Mubarak hanno aperto oggi il fuoco sui manifestanti in piazza Tahrir al Cairo, dove gli scontri hanno causato sei morti e oltre 800 feriti in una nuova ondata di violenze. Gli scontri sono iniziati alle 4 ora locale (le 3 in Italia), ma la tv Al Arabiya ha fatto sapere che altri colpi d'arma da fuoco sono stati avvertiti anche nel primo pomeriggio. L'opposizione ha risposto agli attacchi rinnovando la richiesta che Mubarak lasci la guida del paese e anche i leader Ue hanno chiesto una rapida transizione verso un nuovo governo. Migliaia di oppositori del regime si sono barricati nella piazza centrale del Cairo, annunciando che resteranno fino a che il presidente non se ne andrà. Ma per la prima volta, oggi l'esercito è stato utilizzato per creare una zona cuscinetto di 80 metri tra oppositori e sostenitori del governo. Il nuovo primo ministro egiziano Ahmed Shafiq si è scusato per gli episodi di violenza nel centro del Cairo, che i manifestanti che chiedono le dimissioni del presidente Hosni Mubarak ritengono siano stati istigati proprio dal governo. "Come funzionari e come stato che deve proteggere i suoi figli, ho pensato fosse necessario per me scusarmi e dire che questa situazione non si ripeterà", ha detto il primo ministro ai giornalisti. Shafiq ha anche aggiunto di non sapere chi si celi dietro gli attacchi ma che il governo indagherà al riguardo. Sostenitori di Mubarak hanno preso d'assalto alcuni hotel del Cairo alla caccia di giornalisti stranieri. Lo dice la tv Al Arabiya. Al tradizionale National Prayer Breakfast, un incontro di preghiera che a Washington vede riuniti rappresentanti di tutte le fedi, Obama ha introdotto il suo intervento sottolineando che lui prega affinchè "un giorno migliore sorga in Egitto". "Siamo anche preoccupati per la violenza che vediamo in Medio Oriente - ha aggiunto -. Preghiamo che la violenza in Egitto abbia fine e i diritti e le aspirazioni del popolo egiziano possano essere realizzati. E che un giorno migliore sorga sull'Egitto e sul mondo intero". LA CRONACA DI MERCOLEDI' Scorre il sangue in piazza Tahrir, la pacifica roccaforte del movimento d’opposizione che ieri è stata presa d’assalto dai sostenitori del regime. È stata una giornata tragica, con scene di guerra civile. La tensione si respira già in mattinata, quando migliaia di persone, al grido di "Naem Mubarak!" ("sì Mubarak!"), marciano sul centro città innalzando i cartelli del raìs, riempiono la Corniche, il viale lungo il Nilo, ed invadono il ponte "6 ottobre". Me li trovo improvvisamente davanti all’uscita dell’hotel Hilton, a due passi dalla piazza occupata dai dimostranti anti-Mubarak. È lì che puntano con decisione, prendendo alla sprovvista coloro che sono rimasti a presidiarla dopo la manifestazione oceanica di martedì. S’accendono discussioni animate, qualcuno incomincia a tirare calci e pugni ed i tafferugli ben presto degenerano in scontri violenti. Uomini a cavallo e a dorso di cammello, armati di spranghe e bastoni, fanno irruzione sulla piazza costeggiando le mura rosate del Museo Egizio e seminando il panico. Decine di persone, colpite brutalmente, restano a terra. Subito dopo scoppiano fitte sassaiole tra le due fazioni che si trovano a distanza ravvicinata, separati da alcuni camion vuoti che vengono usati come riparo. Tutto questo avviene sotto gli occhi dei militari rimasti per lunghe ore spettatori passivi, chiusi dentro i loro carri armati. Non reagiscono neppure quando le pietre scagliate dall’una e dall’altra parte rimbalzano sulla blindatura dei mezzi corazzati. Si limitano a sparare qualche colpo in aria nel tentativo di disperdere la folla. I fan di Mubarak salgono sui tetti dei palazzi adiacenti, da dove scagliano massi di cemento sulla folla che presidia la piazza. Non si lanciano più solo pietre ma anche bottiglie molotov che provocano un incendio nel Museo Egizio. Solo allora intervengono unità dell’esercito con gli idranti per domare le fiamme e placare gli animi. Nel mirino finiscono anche i giornalisti stranieri, accusati di essere simpatizzati dei rivoltosi anti-Mubarak. Insulti e botte a varie troupes televisive, al-Arabya ha denunciato il sequestro di un suo reporter. La battaglia tra le due opposte fazioni va avanti fino a sera, sempre più furiosa e cruenta. Ci sono tantissimi feriti, stesi su barelle improvvisate o in fuga con la testa rotta e sanguinante. Oltre 1.500, secondo i dati forniti dal neo-ministro della Sanità, mentre ci sarebbero almeno 10 morti, tra cui un giovane soldato di leva. "L’attacco è stato guidato da agenti in borghese dei servizi di sicurezza", denunciano gli attivisti dell’opposizione che sono riusciti a mantenere il controllo di piazza Tahrir ma si trovano in difficoltà dopo le ultime mosse di Mubarak. Ferito ma non domo, il vecchio leone ha tirato fuori gli artigli. Dapprima l’annuncio in tv ("resto al potere fino alle prossime elezioni ma non mi ricandiderò"), quindi la discesa in campo dei suoi sostenitori e l’assalto al luogo-simbolo della rivolta. "Una folla in affitto" l’ha definita l’ex vice-segretario di Stato americano Jamie Rubin, secondo cui "i sostenitori di Mubarak sono stati assunti per creare instabilità". Anche El Baradei, a nome dei partiti d’opposizione, ha accusato il raìs di aver messo in atto "una strategia del terrore" ed ha chiesto di nuovo le immediate dimissioni del presidente. "Non se ne parla nemmeno". La scritta, a caratteri cubitali, è ben visibile in piazza Mustafà Mahmud, nel quartiere borghese di El Mohandiseen sull’altra riva del Nilo rispetto a piazza Tahrir. A prima vista sembra tutto uguale: folla variopinta, canti e slogan, bandiere nazionali. Ma è tutto il contrario. "Mubarak non te ne andare!", invocano migliaia di egiziani inneggianti al presidente-Faraone. Ci sono tante donne, tutte col velo, e uomini maturi che temono di perdere il piccolo benessere garantito loro dal raìs. In gran parte sono dipendenti pubblici, scesi in piazza su comando. Ce lo conferma un’insegnante, Maria Taha, che insieme ai suoi colleghi è stata "caldamente invitata" a prendere parte alle manifestazioni pro-Mubarak. Molti però l’hanno fatto con convinzione, come Abdel Haman, anziano ex ufficiale dell’esercito, che ci mostra una vecchia foto di Mubarak del ’73. "È l’eroe d’ottobre (in riferimento alla guerra d’Egitto contro Israele), noi lo amiamo!" dice commosso. E qui ci sono anche i poliziotti che sembravano spariti dalla città dopo la brutale repressione di venerdì scorso. Vengono applauditi dalla folla cui rispondono con grandi sorrisi innalzando le dita a V in segno di vittoria. "Quelli là (i dimostranti anti-Mubarak, ndr) hanno fatto la marcia di un milione? Noi siamo 80 milioni, il Paese è con il suo presidente", dicono i sostenitori del raìs. "Il presidente ha già concesso molto nel suo discorso in tv, la gente che è scesa in piazza a protestare adesso dovrebbe smetterla. Abbiamo bisogno di tranquillità e stabilità", è l’opinione che raccogliamo dalle labbra di padre Yusif, arciprete copto del quartiere. Ritorno alla normalità, è questa la parola d’ordine lanciata dall’alto e ripetuta con insistenza da radio e tv. Il coprifuoco è stato ridotto di due ore, molti negozi sono stati riaperti, da ieri funzionano i bancomat ed anche Internet, e non c’è penuria di generi alimentari anche se tutto costa più del doppio. D’improvviso lo scenario è cambiato, Mubarak appare più saldo al potere rispetto a qualche giorno fa, mentre l’esercito invita i dimostranti a porre fine alla protesta ed a sgomberare la piazza. Stessa cosa fa il vice presidente Omar Suleiman, per il quale il "dialogo con le forze politiche dipende dalla fine delle proteste". L’Egitto è ad un bivio drammatico. Luigi Geninazzi
2011-02-02 2 febbraio 2011 EGITTO AL BIVIO Cairo, scontri tra fazioni "Morti e feriti" Ci sono stati alcuni morti e molti feriti negli scontri in piazza Tahrir scatenati dall'arrivo dei manifestanti pro Mubarak. Lo ha detto la televisione Al Jazira. L'esercito egiziano ha invitato i manifestanti, ancora in piazza al Cairo contro il presidente Hosni Mubarak, di sospendere le proteste e tornare a casa. Lo ha riferito alla tv di Stato un portavoce delle forze armate. "L'esercito chiede ai manifestanti di tornare a casa per ristabilire la sicurezza e la stabilità delle strade", ha detto il portavoce riferendosi alla popolazione che anche oggi è scesa in piazza contro il governo Mubarak. La tv di Stato ha inoltre annunciato che il coprifuoco è stato ridotto in tre città del Paese tra cui nella capitale. Le attività del Parlamento in Egitto sono state sospese finché non verranno riesaminati i risultati delle elezioni legislative del 2010, contestati dall'opposizione. LA CRONACA DI LUNEDI' Lascerà il potere, ma non subito. Stretto nell’angolo da una protesta popolare che ieri ha toccato il suo culmine con centinaia di migliaia di persone scese in piazza per chiedere le sue dimissioni, Mubarak getta la spugna. Ma non pensa di fuggire come un qualsiasi dittatore, intende uscire di scena a testa alta. Lo ha annunciato a tarda sera in tv, in un discorso alla nazione al termine di una giornata che passerà alla storia. "Stiamo vivedo giorni molto difficili, la mia prima responsabilità è ristabilire la calma nel Paese. E a questo mi dedicherò nei mesi di mandato che mi restano. Non mi ricandiderò alle elezioni del prossimo settembre", ha dichiarato il raìs, anziano e sofferente, apparso molto provato e più malconcio del solito. Mubarak ha confermato l’avvio delle trattative tra il suo vice, Omar Suleiman, e le forze d’opposizione per mettere fine all’instabilità di questi giorni. E garantire la pacifica transizione del potere. Infine, ha affermato di essere pronto a cambiare la Costituzione per quanto riguarda la durata del mandato presidenziale e il potere dell’esecutivo. Il passo indietro gli è stato suggerito da Barack Obama, stando a fonti vicine alla Casa Bianca che hanno trovato conferma qui al Cairo. "Il tuo tempo è finito", avrebbe detto l’inviato americano Frank Wisner in un incontro molto teso con Hosni Mubarak. È una mezza vittoria per l’opposizione che ha ribadito la sua richiesta di immediate dimissioni del presidente: "Noi non lasceremo la piazza, è lui che deve lasciare subito". E ha annunciato che la protesta andrà avanti. "Mubarak, erhal!" (Mubarak, vattene!) è stato infatti lo slogan scandito da una folla oceanica per tutto il giorno. Mubarak "lasci il Paese per evitare un bagno di sangue", e lo faccia "entro venerdì", ha intimato Mohamed El Baradei, il premio Nobel per la pace divenuto un simbolo dell’opposizione egiziana. E dopo aver ascoltato il discorso del raìs ha commentato: "Non ci sarà alcun vuoto di potere se Mubarak se ne va". Poi ha aggiunto: "Non ascolta la voce del popolo" e la modifica della Costituzione è "una presa in giro". Non s’era mai visto sulle rive del Nilo un raduno di massa così imponente come quello che si è tenuto ieri nella centralissima piazza Tahrir, epicentro della rivolta che da otto giorni scuote l’Egitto. Accogliendo l’appello lanciato dal movimento spontaneo d’opposizione per una "Marcia di un milione di persone", una marea umana si è riversata per le strade e le piazze d’Egitto. A dire il vero non c’è stata alcuna marcia sul palazzo presidenziale di Heliopolis, alla periferia del Cairo, come invece era stato preannunciato. Un simile gesto avrebbe comportato l’abbandono di piazza Tahrir, riconquistata dai dimostranti venerdì scorso, col rischio di perdere il controllo del luogo simbolo della protesta popolare che ieri appariva invaso da una folla straripante. Trecentomila persone secondo le stime più realistiche, oltre un milione dicono gli organizzatori. Tantissima gente ha manifestato anche ad Alessandria, Suez, Ismaila e in molte altre città del Paese fino a tarda sera nonostante il coprifuoco, tranquillamente ignorato. Non è stata fermata neppure dal blocco dei treni e dalla chiusura delle strade principali, al Cairo c’è chi si è fatto decine di chilometri a piedi per unire la sua voce a quella dei dimostranti. Giovani e meno giovani, disoccupati e uomini d’affari, famigliole coi bambini ed anche moltissime donne non accompagnate da parenti (fatto insolito per un Paese islamico), ragazze in jeans e anziane signore con la jihab, il velo integrale, tutti in piazza della Liberazione (questo significa Tahrir in arabo) per condividere la speranza in un cambiamento che appare a portata di mano. Non c’è l’ombra di un poliziotto, in giro si vedono tantissimi militari che però mantengono un basso profilo. C’è una ressa enorme che s’accalca fin dalle prime ore del mattino, l’afflusso è lento ma ordinato ed i controlli vengono effettuati con gentilezza dai ragazzi del servizio d’ordine che distribuiscono volantini. Ma non c’è tensione bensì un clima di festa punteggiata da slogan fantasiosi ed ironici. "Mubarak, c’è un hotel a Gedda che ti sta aspettando", (alludendo alla fuga in Araba Saudita del dittatore tunisino Ben Alì). "Susanne (la moglie di Mubarak già fuggita a Londra, ndr), trascinati dietro tuo marito!". Protestano contro il regime, i trent’anni di leggi speciali, la corruzione diffusa. "Non abbiamo più paura – dice Magdi Allathay, ingegnere in pensione che ha sempre sognato questo momento – Abbiamo ritrovato la dignità". Al suo fianco c’è un giovane con la testa fasciata, Ahmed Balig, esponente del movimento studentesco "6 aprile". "Sono salvo per miracolo, mi hanno estratto una pallottola ad aria compressa, un regalo dei poliziotti che mi hanno sparato addosso durante una manifestazione", racconta. Nata spontaneamente dai giovani, la protesta contro Mubarak si è ben presto allargata a tutta la società coinvolgendo i partiti dell’opposizione tradizionale. I più attivi sono i Fratelli musulmani, l’organizzazione islamista messa fuori legge ma molto radicata nella società egiziana. Si dicono pronti ad un dialogo con i militari per "una pacifica transizione", insieme con tutte le altre forze che s’oppongono al raìs. Ma in Egitto c’è ancora chi sostiene Mubarak e ieri ha manifestato in suo favore. "Lui è il garante della stabilità del Paese, se cade finiremo come in Iraq!" hanno gridato alcune centinaia di persone che si sono radunate davanti all’edificio del ministero degli Esteri. È soprattutto la comunità copta, vittima spesso di violenze, a temere il caos e l’arrivo al potere degli integralisti islamici. Luigi Geninazzi
2 febbraio 2011 L'incendio nordafricano e l'Italia che ben pochi considerano Accade un mondo ma non lo si vuol vedere Si è incendiato il Nord Africa e brucia l’Egitto, Paese arabo da sempre considerato perno dell’amicizia con l’Occidente: un incendio che, per una miriade di fondate ragioni, fa paura, specie all’Europa, così geograficamente vicina, così politicamente (e culturalmente) lontana. Soprattutto colpevolmente distratta. Distrazione non solo europea. E non solo politica. Ma distrazione colpevole su tutta la linea. Perché, anche stavolta, di questo improvviso irrompere sulla scena di una rivolta popolare così ampia, così densa di allarmanti interrogativi per il futuro, quasi nessuno degli "esperti" s’era accorto, lo aveva previsto. E adesso, di fronte all’eruzione in corso, non trovano nulla da dire se non quello che qualsiasi profano vede a occhio nudo: è un rivolgimento, una rivoluzione, che resterà sui libri di storia. Ma in che modo, con quali conseguenze, nessuno lo sa . Eppure, averlo capito in tempo sarebbe stato necessario e utile, anche se non sufficiente. Così non è stato; ma non è una novità. Perché, solo per stare agli ultimi decenni, nessuno, o quasi, aveva previsto in tempi utili avvenimenti epocali quali il crollo del Muro di Berlino, non l’11 settembre 2001 a New York, non l’impennarsi del terrorismo, non la crisi finanziaria mondiale ancora in corso. Sono state tutte immense "sorprese". E si potrebbe continuare con gli esempi. Dunque, perché mai gli "esperti" non riescono a fare il loro mestiere? Per fortuna, qualcuno, fra loro, si pone onestamente la domanda. E dà risposte convincenti: se gli esperti non riescono più a vedere "avanti" come sarebbe loro compito, forse è perché si concentrano nello studio degli Stati, (governi, capi di stato, strutture economiche, politiche, culturali e simili), trascurando però quello dei popoli che li abitano. Sembra l’uovo di Colombo, ma probabilmente è vero. Tanto più in tempi di internet, di globalizzazione, ecc.. In altre parole: se non ti sforzi di andar a vedere, a sentire come vive e cosa pensa la massa delle persone, quella reale, non quella che ti passa il circuito dell’informazione più o meno "ufficiale", più o meno paludata, non potrai mai capire dove e come sta andando il mondo. È una lezione anche per l’attualità più stretta del nostro Paese: a volere credere ai mass media l’Italia è una nazione fatta di Ruby e dintorni (tutti i talk show che se ne sono occupati hanno, in effetti, aumentato l’audience),di immondizia per le strade, di mafiosi, di evasori al cubo, di politici corrotti e incapaci, e simili. Non che tutto questo non sia vero: ma c’è anche un’altra Italia (ed è maggioritaria) che sui mass media non compare. Un’Italia per bene che non fa audience: soprattutto perché il grosso dell’informazione non le dà spazio. Nessuno chiede di non denunciare i mali che affliggono il nostro Paese, diceva saggiamente il cardinal Tettamanzi ai giornalisti milanesi riuniti per la festa del loro protettore S. Francesco di Sales, ma questa che domina in questi giorni è una visione mutilata della realtà. Anzi: l’Italia vera è un’altra, fatela vedere. Ed è un peccato che a quella riunione mancassero i corrispondenti esteri, nonché quasi tutti gli "esperti" di cui sopra: i quali, tranne rare eccezioni, nel delineare il profilo del nostro Paese, più che ad andare a vedere come sono davvero gli italiani, (per le strade, nelle famiglie, nelle aziende, nelle scuole, nelle parrocchie, nelle associazioni di volontariato, nelle università) si limitano a ripetere quello che ne apprendono sui nostri mass media o frequentando solo certi circoli... E dunque, anche da noi c’è un vuoto di informazione sulle reali condizioni del nostro Paese. Che, se fosse davvero quello di Ruby & Co., sarebbe già scomparso da un pezzo. Perché, invece, sta ancora in piedi? Perché è sostanzialmente diverso da come lo si dipinge, anche se gli "esperti" non lo sanno, non lo vedono e, se lo vedono, non ne parlano. E questo è un danno, anche per loro: potrebbero venire, per l’ennesima volta, sonoramente smentiti. È una constatazione, ma anche una speranza. Gabriella Sartori
2 febbraio 2011 65 ANNI DI STORIA Il faro del mondo arabo che non sa più brillare "Un mondo arabo senza l’Egitto è perfino inimmaginabile: gli arabi perderebbero una parte della loro anima, il loro elemento di riferimento e di guida". Fu questa la reazione di un alto diplomatico egiziano alla decisione della Lega Araba che, nel 1979, decise di isolare per un decennio il Paese per ritorsione alla firma degli accordi di pace con Israele a Camp David. Una frase che suona insopportabilmente arrogante agli occhi di molti degli arabi non egiziani, ma che contiene almeno un fondo di verità. Dall’Egitto infatti partì il tentativo di modernizzazione, agli inizi del XIX secolo: dal nuovo esercito di Muhammad ’Ali fino alla costruzione di quel canale di Suez che ancora oggi ha una sua grande centralità geoeconomica mondiale. Ed egiziano è stato Muhammad Abduh, l’antesignano del riformismo islamico, un coraggioso e sfortunato movimento che – fra Ottocento e Novecento – voleva cogliere ciò che di buono veniva offerto dall’Europa per svecchiare l’islam partendo da un radicale rinnovamento dell’istruzione. E ancora in queste terre nacque l’organizzazione di maggior successo del radicalismo islamico, l’Associazione dei Fratelli Musulmani di Hasan al-Banna. Dopo la guerra, fu ancora l’Egitto con il colpo di stato degli "ufficiali liberi" e il socialismo islamico di Nasser (Gamal Abd al-Naser) a offrire un modello di governo postcoloniale e di rivoluzione. Insomma, l’Egitto si è sempre proposto come antesignano e punto di riferimento per il più vasto mondo arabo; eppure i risultati effettivi da esso raggiunti appaiono molto più deludenti: un riflesso sbiadito e deludente rispetto alle sue grandi ambizioni. Dalla monarchia alla repubblica Uno dei primi Paesi colonizzati ad ottenere l’indipendenza dopo la Prima guerra mondiale, l’Egitto rimase tuttavia a lungo sotto il controllo informale della Gran Bretagna, a cui era strettamente legata la monarchia regnante. Dopo il 1945, questa situazione risultava sempre meno tollerata dalla popolazione e dai movimenti nazionalisti. Con il colpo di stato militare degli "ufficiali liberi" del 1952, si aprì l’era repubblicana e, sotto la guida di Nasser, il Paese si propose quale potenza regionale di riferimento. La speranza era che, con la vera indipendenza, arrivasse il progresso economico, la forza militare e il primato politico fra gli arabi e nel più vasto movimento dei Paesi non allineati. Il nuovo presidente era convinto che le forze armate avrebbero dovuto essere l’architrave della modernizzazione della nazione: forti da garantire l’indipendenza e la sconfitta dell’odiato stato d’Israele che aveva già battuto gli arabi nella prima guerra arabo-israeliana del 1948; fautori di una modernità che si coniugava alla tradizione: il socialismo arabo, appunto. Infine – e questo era il compito più importante – l’Egitto doveva coagulare attorno a sé gli altri Paesi arabi, per dar vita a un unico grande stato che contenesse la nazione araba e realizzasse gli ideali pan-arabisti. La storia è stata molto severa con queste speranze: nel 1956, dopo aver nazionalizzato il Canale di Suez, l’Egitto venne attaccato da Francia e Gran Bretagna – imbarcatesi "nell’ultima avventura coloniale", come è stato detto – e da Israele. La sconfitta militare fu totale e immediata: solo l’intervento dell’Onu e l’unanime volontà di Usa e Urss obbligarono gli attaccanti a ritirarsi. Sconfitto militarmente, Nasser uscì tuttavia politicamente vittorioso dal conflitto e tentò di realizzare l’ideale pan-arabo con la Repubblica Araba Unita: l’unione con la Siria del 1958 doveva essere il primo passo per unire tutti i popoli arabi. Invece, già nel 1961 l’esperimento si risolse in un fallimento. E fallì anche l’ambizione di distruggere lo stato sionista tramite una politica di massiccio riarmo sostenuta dall’Unione Sovietica. Nel 1967, dopo continue provocazioni, Israele attaccò Egitto, Siria e Giordania infliggendo loro un’umiliante e disastrosa sconfitta nella celebre Guerra dei sei giorni. Questo fallimento sminuì il prestigio interno e internazionale di Nasser che rispose al crescente dissenso con l’aumento della repressione, sia verso i movimenti giovani marxisti, sia contro i vertici dei Fratelli musulmani, sempre più attivi e popolari. La svolta di Sadat Divenuto presidente nel 1970 alla morte di Nasser, Anwar Sadat sembrava la perfetta continuità con il passato. In realtà negli anni ’70 egli imporrà un cambiamento di rotta clamoroso, staccandosi dall’Unione Sovietica per divenire l’alleato cardine degli Stati Uniti. Prima però, occorreva "restituire l’onore agli arabi" vendicando l’umiliazione del 1967. E la guerra della Yom Kippur del 1973, pur non vinta dall’Egitto, ne risollevò il prestigio. Rafforzatosi, Sadat si preparò a incrinare la solidità del rifiuto arabo di Israele, avviando trattative con "l’entità sionista" (come veniva chiamato lo stato ebraico) che sfociarono negli accordi di pace di Camp David del 1979. L’Egitto riebbe il Sinai, perso nel 1967, e poté essere definitivamente riaperto il canale di Suez, i cui pedaggi sono fondamentali per l’economia del Paese. Il prezzo pagato fu però pesante: sospesa la sua partecipazione alla Lega Araba, il Cairo venne considerato come il traditore della causa dei palestinesi e del panarabismo. Ma, ancora una volta, l’Egitto aveva solo anticipato i tempi: molti altri Paesi arabi e la stessa Organizzazione per la liberazione della Palestina finiranno per riconoscere Israele e stringere accordi di pace. Agli inizi degli anni ’90, le speranze – poi infrante – di una pace definitiva in Medio Oriente riportarono il Cairo al centro della scena regionale. Ma Sadat non fece in tempo a vedere la storia dargli ragione: fu ucciso da un commando dei Fratelli Musulmani nel 1981, "giustiziato" per il suo tradimento. Il vice-presidente Hosni Mubarak ne prese il posto. La lunga stagnazione Anche se in questi giorni la folla che protesta per le vie del Cairo mostra delle foto di Hosni Mubarak ritoccate per richiamare visivamente Hitler, se c’è un dittatore che ricorda l’attuale (ancora per quanto?) presidente egiziano, questi è sicuramente il Segretario generale del partito comunista sovietico Leonid Breznev, l’uomo della lunga, grigia e desolante stagnazione che mise in ginocchio la superpotenza comunista. Similmente, sotto Mubarak, al potere da trent’anni, l’Egitto si è via via svuotato di ogni spinta propulsiva: sono stati abbandonati i grandi ideali di modernità e panarabismo, nonostante la retorica stantia di regime; represso ogni dissenso con la scusa di garantire l’ordine e di frenare l’integralismo; gestiti in modo populista, inefficiente e clientelare le ricchezze del Paese e la massa di aiuti economici fornita ogni anno da Stati Uniti e Unione Europea. La centralità e l’unicità regionale del Paese sono apparsi sempre meno evidenti e, agli occhi delle altre élite di potere arabe, sempre più insopportabili e ingiustificate le velleità di paese-guida che il Cairo continuava a propagandare. L’autunno del Faraone È davvero difficile non esprimere un giudizio severo verso il suo governo, in particolare per l’enorme corruzione che si annida nel Partito nazionale democratico (Pnr), al potere da sempre e che ormai ha perso ogni contatto con la società vera egiziana. Certo, contro Mubarak hanno giocato molti fattori: durante questi trent’anni egli ha dovuto lottare contro movimenti islamisti violenti che hanno insanguinato a lungo il Paese, accanendosi anche contro i turisti stranieri, nel tentativo di indebolire il regime. Paradossalmente essi lo hanno rafforzato: per difendersi dal "pericolo islamista", l’Occidente ha accettato di sostenere a qualsiasi costo il potere del "Faraone", il quale ha avuto buon gioco a scatenare una dura repressione delle opposizioni in nome della stabilità e della lotta al fanatismo religioso. Con il tempo, ogni opposizione – anche quelle moderate e liberali – sono finite schiacciate dal Moloch del partito-stato del presidente. Ancora più grave la sua volontà di trasformare l’Egitto repubblicano in una dinastia, cercando di imporre il figlio Gamal quale suo successore: una protervia che oggi paga a caro prezzo. Ma anche a livello internazionale l’Egitto non è stato aiutato. E in due modi contrapposti. Da un lato, la sua politica di favorire la pace fra palestinesi e israeliani è stata minata dal sistematico mancato rispetto degli accordi presi da parte israeliana (che hanno umiliato agli occhi delle masse arabe la moderazione egiziana) e dalla deriva estremista fra i palestinesi. Più il processo di pace naufragava, e più l’immagine di Mubarak si appannava nella regione. Ma anche l’Occidente lo ha indebolito: l’avventurismo di Bush ha posto i suoi alleati regionali in una situazione sempre più insostenibile; la quiescenza della comunità internazionale dinanzi alla corruzione del governo, alla manipolazione delle elezioni e alla repressione del dissenso hanno fatto sì che Mubarak percorresse fino in fondo il sentiero verso il disastro attuale. Un alto funzionario governativo non mostra tuttavia dubbi: "Ci aspettano tempi difficili e bui. In ogni caso, chiunque sarà al timone, l’Egitto continuerà a essere la pietra angolare del Medio Oriente e del mondo arabo". Speriamo solo, rispetto al passato, che sia una pietra meno insanguinata e più liberale per tutti i suoi abitanti. Riccardo Redaelli
2 febbraio 2011 SAMIR KHALIL "È un movimento di popolo Speriamo non si inquini" Per il bene dell’Egitto serve una transizione che sia insieme veloce e morbida, sull’onda di una protesta che per il momento mantiene la sua natura popolare e unitaria. Ma se permanesse il vuoto di potere derivante dall’inevitabile declino di Mubarak, verrebbe favorita l’ascesa dei Fratelli musulmani che già esercitano una forte egemonia sociale. Omar Suleiman, l’ex capo dei servizi segreti che il rais ha nominato vicepresidente da pochi giorni, è l’uomo che può guidare questo delicato passaggio. Samir Khalil, gesuita egiziano e islamologo di fama internazionale, insegna a Roma e Beirut ma conosce bene il suo Paese, e guarda con cauto ottimismo a quanto accade al Cairo. C’è da credere a chi parla di "rivoluzione laica" in un contesto in cui l’islam e gli islamisti sono così determinanti? Il movimento che sta terremotando il mio Paese è un movimento di popolo. Non è stato promosso dai religiosi, anche se i religiosi ne sono parte attiva. È una ribellione alimentata dalla miseria in cui vivono milioni di persone, acutizzata dalle conseguenze della crisi internazionale, e nella quale si innescano rivendicazioni diffuse di libertà e democrazia. Un movimento di opposizione, non a caso, si chiama Kefaya, che significa Basta. C’è un’insoddisfazione diffusa che non si è ancora tradotta in un programma strutturato e condiviso e in una leadership. Quale ruolo giocano i Fratelli musulmani, che godono di un vasto seguito nella società anche se sono stati finora di fatto esclusi dalla scena politica? Possono raccogliere i frutti del loro lavoro tra i ceti popolari, dove hanno dato risposte che lo Stato non dava realizzando iniziative nei campi dell’istruzione, dell’assistenza e della sanità, e sono molto potenti anche negli ordini professionali (avvocati, medici, ecc.). Tutto questo li rende autorevoli, rende più autorevoli le loro parole d’ordine. E in caso di elezioni possono candidarsi a guidare il Paese, usando la democrazia come mezzo per arrivare al potere. Ma per il momento sono solo uno degli attori della transizione. C’è chi prevede che dalle moschee arrivino parole d’ordine infuocate, come è accaduto venerdì scorso dopo la preghiera rituale. Cosa ci si può aspettare dagli imam? Manifestazioni e disordini successivi alla preghiera del venerdì sono un classico nel mondo islamico, anche l’Intifada e altri eventi sono nati così. Un fatto rivelatore: venerdì scorso girava su Internet un messaggio che consigliava di non lasciare le scarpe fuori dalle moschee ma di portarsele dentro in un sacchetto per evitare che la polizia, che presidiava all’esterno, le portasse via "indebolendo" così i manifestanti all’uscita. Comunque gli imam generalmente seguono la corrente che prevale, trovando nel Corano la "giustificazione" a quanto sta accadendo: per molto tempo hanno predicato a favore di Mubarak, adesso seguono l’onda dell’opposizione. L’altro giorno Shenuda III, il papa della Chiesa copta, ha invitato i suoi a non partecipare alle manifestazioni di protesta. Da dove nasce questo atteggiamento? I copti sono il 10% della popolazione ma non hanno potere, sanno che Mubarak ha arginato il fondamentalismo islamico impedendo eccessi anticristiani. Chiedono sicurezza e moderazione, temono salti nel buio. Dicono: meglio ciò che conosciamo di ciò che ancora non conosciamo, non vogliamo cadere dalla padella nella brace. Omar Suleiman, nominato vicepresidente pochi giorni fa da Mubarak, è in grado di garantire una transizione morbida verso una democrazia sostanziale? Dalla sua parte sta un curriculum significativo: è un uomo-chiave degli equilibri mediorientali, ha trattato con Hamas, con Israele e con gli americani, ha gestito il controllo e la repressione dei Fratelli musulmani è in grado di rinnovare il governo lasciando spazio all’opposizione, varando riforme sociali ed economiche e concedendo più spazi di libertà e democrazia. Se Mubarak si facesse da parte in tempi rapidi, potrebbe essere lui l’uomo che guida il cambiamento ed evitare che nel vuoto di potere trovino spazio forze estremiste. È necessario che il vento di libertà continui a soffiare e che l’unità di questo movimento di popolo non si frantumi e non si inquini. Giorgio Paolucci
2011-02-01 1 febbraio 2011 UN PAESE AL BIVIO Egitto, oggi un milione in marcia contro Mubarak Numerosi dimostranti anti-governativi si stanno radunando in piazza Tahrir al Cairo, nel giorno della "marcia di un milione" annunciata ieri. Lo riferiscono i media arabi. Obiettivo dei manifestanti il palazzo presidenziale, meta finale del corteo. In piazza Tahrir si nota ancora la presenza dei mezzi militari pesanti, che osservano il lento afflusso di persone, che già si contano a migliaia. I collegamenti internet restano bloccati in tutto il Paese, l'ultimo fornitore d'accesso ancora in funzione, il gruppo Noor, é stato bloccato ieri. Il colosso americano Google ha annunciato di aver messo a punto con Twitter un sistema che consente di inviare twit senza necessità di collegarsi al web. Stop anche ai treni, nel tentativo del governo di limitare l'afflusso di manifestanti al Cairo. Intanto, il principale leader dell'opposizione, Mohamed el-Baradei ha fatto appello a una revisione della politica di Wasghinton: "È necessario che inizi a costruire la fiducia con la gente, non con chi opprime la gente", ha detto il premio Nobel ed ex direttore generale Aiea rivolgendosi al presidente Usa Barack Obama in una intervista alla Cnn. Il vice presidente egiziano Omar Suleiman ha annunciato ieri sera di essere stato incaricato dal presidente Hosni Mubarak di avviare il dialogo con tutte le forze di opposizione sulla riforma costituzionale e legislativa. In serata alla tv ha detto che "il presidente Mubarak ha riaffermato la necessità di dare applicazione a tutte le sentenze della Corte di Cassazione". Secondo le prime interpretazioni, questa decisione potrebbe avere riflessi sui risultati delle elezioni parlamentari del dicembre scorso, che hanno escluso dal Parlamento egiziano la presenza di tutte le forze politiche di opposizione.Per Suleiman la priorità del nuovo governo è di combattere povertà, disoccupazione e corruzione, come ha riferito la televisione di Stato egiziana. L'emittente tv, citando Soleiman, ha inoltre riferito che il nuovo governo lavorerà per riequilibrare i bassi salari con l'alto livello di inflazione. Mentre l'Egitto si prepara allo sciopero generale e alla "marcia del milione" con l'obiettivo far scendere in strada un milione di persone al Cairo, ad Alessandria e nella altre città egiziane, l'esercito in un comunicato ha definito "legittim" le richieste dei manifestanti e ha promesso che non userà la violenza per reprimere le manifestazioni. UE, APPELLO MINISTRI LIBERE E GIUSTE ELEZIONI I ministri degli Esteri della Ue hanno lanciato un appello alle autorità egiziane perché spianino la strada allo svolgimento di "libere e giuste elezioni". Il Consiglio dei ministri degli Esteri della Ue chiede alle autorità egiziane di "intraprendere una ordinata transizione attraverso un governo di largo consenso che porti a un processo genuino di sostanziale riforma democratica nel pieno rispetto dello stato di diritto e dei diritti umani e delle libertà fondamentali, spianando la strada allo svolgimento di libere e giuste elezioni", recita il testo approvato al termine del consiglio Esteri della Ue.
1 febbraio 2011 REPORTAGE Caos e vetrine rotte: il rischio ora è l'anarchia Quando scatta il coprifuoco, anticipato ieri alle tre del pomeriggio, non dovrebbe più esserci in giro anima viva. Io però mi trovo bloccato nel traffico da un gigantesco ingorgo di auto sul ponte "6 ottobre" che costeggia il Nilo. Non funziona più nulla in questa megalopoli di oltre 15 milioni di abitanti piombata nel caos e nell’anarchia totale. La gente circola contromano a velocità pazzesca per aggirare i check-point dell’esercito. Banche, negozi e uffici sono chiusi, le pompe di benzina sono quasi tutte a secco e in quelle poche stazioni ancora aperte si formano lunghissime code. È iniziata la corsa all’accaparramento anche dei generi alimentari, con la conseguente impennata dei prezzi. E coi bancomat vuoti sta scarseggiando perfino il denaro contante. La Borsa, anch’essa chiusa, ha perso il 15% la settimana scorsa, gli ultimi turisti scappano, l’economia va a picco mentre continua il blocco di Internet che impedisce non soltanto il flusso delle comunicazioni ma anche qualsiasi tipo di transazione commerciale. Chi può ha messo in salvo i suoi capitali all’estero, 140 miliardi di dollari se ne sono già volati via dal Paese. Sul grande viale el-Dohal el-Arabia, il regno dello shopping di lusso fino a pochi giorni fa, non si contano le vetrine infrante e i negozi saccheggiati. Proprio mentre migliaia di dimostranti chiedevano democrazia sono entrate in azione bande di ladri e criminali che hanno devastato il centro città. Dalle carceri e dai commissariati di polizia sono evasi 16mila delinquenti (è la stima fatta dai giornali), probabilmente con la complicità dei sorveglianti e la regìa nascosta dei servizi segreti. Molti analisti parlano di una cinica strategia del presidente Mubarak che ha ordinato alle forze di polizia di ritirarsi dalle strade dopo gli scontri di venerdì scorso, gettando il Paese in un drammatico vuoto di sicurezza ed ordine pubblico. Volete la libertà? E allora avrete il caos! È questo il messaggio del vecchio rais al popolo che vorrebbe fare a meno di lui. Per proteggere case e proprietà la gente si è spontaneamente organizzata in squadre di auto-difesa che fanno la ronda nei quartieri. Mahmoud Elnouhei, 30 anni, ha passato la notte in auto, armato di un coltello da cucina. "Qui attorno ci sono stati veri e propri assalti ai palazzi", racconta mentre fuma la shisha, la tradizionale pipa con tabacco aromatizzato, al Pottery Café, uno dei pochi bar rimasti aperti nel quartiere di Zamalek. Mahmoud dirige un’impresa che esporta cotone in vari Paesi europei e negli ultimi giorni ha dovuto sospendere ogni attività. "Se quest’anarchia va avanti ancora per giorni, ci vorranno mesi o forse anni per risollevare l’economia del mio Paese", prevede tristemente. A Mohandissen, una delle più belle zone residenziali del Cairo, c’è un’aria spettrale. La paura si tocca con mano: molte strade sono bloccate da massi di cemento, le porte delle case e le vetrine dei negozi sono ricoperte da pesanti assi di legno, si respira un clima da stato d’assedio. La vita sembra invece scorrere pressoché normale nei quartieri più poveri. A Imbaba e Shoubra, dove le case sono addossate l’una all’altra formando un alveare umano, i vicoli sono affollati come sempre, le bancarelle di frutta e di carne non presentano segni di scarsità, ed i negozi sono aperti. Ma anche qui, quando cala il buio, ognuno si protegge come può. C’è chi ha divelto una panchina e l’ha messa di traverso davanti alla porta di casa. E chi fa roteare una spranga, minacciando di rompere la faccia ai malintenzionati. Il rischio è il dilagare della violenza in un Paese fuori controllo. Libertà e anarchia non sono mai state così vicine. Luigi Geninazzi
2011-01-29 29 gennaio 2011 NORD AFRICA IN FIAMME Egitto, esteso coprifuoco Ma la gente resta in strada I FIGLI DEL PRESIDENTE MUBARAK A LONDRA I due figli del presidente egiziano Hosni Mubarak, Alaa e Jamal, sono arrivati a Londra con le loro famiglie. Lo ha annunciato una fonte della comunità egiziana in Gran Bretagna alla tv araba al-Jazeera. Il figlio del presidente egiziano Hosni Mubarak, Jamal, era considerato candidato alla successione al potere. Già tre giorni fa la rivista online araba Ahbar al-Arab, edita negli Stati Uniti, aveva parlato di una sua fuga Londra con la moglie e la figlia. Secondo il sito, Mubarak Jr. sarebbe partito senza alcuna protezione da parte della sicurezza alla volta della Gran Bretagna, a bordo di jet privato dall'aeroporto della zona ovest del Cairo. La famiglia avrebbe caricato a bordo dell'aereo 97 valige. Poco dopo la diffusione di questa notizia, fonti del governo egiziano si erano affrettate a smentirla. CAPO SERVIZI SEGRETI NOMINATO VICEPRESIDENTE Il capo dei servizi segreti, Omar Soleiman, è stato nominato vicepresidente dell'Egitto dal rais Hosni Mubarak, durante una riunione straordinaria che si è tenuta alla presidenza. Secondo quanto riferisce l'Agenzia Mena, Soleiman ha già prestato giuramento, che è stato mostrato dalla televisione di stato egiziana. È la prima volta che Mubarak nomina un vicepresidente da quando è diventato capo di stato nel 1981. ESTESO IL COPRIFUOCO, MA LA GENTE RESTA IN STRADA Il governo egiziano ha esteso la durata del coprifuoco, che sarà in vigore dalle 16 (le 15 in Italia) alle 8 (le 7 in Italia) di domenica mattina. Lo ha annunciato la tv di Stato. Nonostante l'esercito abbia fatto sapere che "chiunque lo violi sarà in pericolo", decine di migliaia di manifestanti stanno convergendo in questo momento in piazza Tahrir al Cairo. TENTATO ASSALTO AL MINISTERO DEGLI INTERNI Un migliaio di manifestanti sta tentando di dare l'assalto al Ministero degli Interni e la polizia ha aperto il fuoco. È quanto riporta la televisione satellitare al Jazira. Il capo delle antichità egiziane, Zahi Hawass, ha affermato che è stato respinto in mattinata un tentativo di saccheggio al Museo Egizio. Lo riferisce la televisione di stato egiziana, affermando che l'esercito presidia la zona. EL BARADEI: OGGI TORNERÒ IN PIAZZA "Il presidente Mubarak non ha capito il messaggio del popolo egiziano. Il suo discorso era totalmente deludente, le proteste continueranno con sempre più intensità fino a che il regime non cadrà". Lo ha sottolineato il leader dell'opposizione laica egiziana El Baradei, in una dichiarazione a France 24. Il premio Nobel per la pace El Baradei ha inoltre annunciato: "Scenderò in piazza oggi con i miei colleghi per contribuire a un cambiamento e per dire al presidente Mubarak che deve andarsene. Quando un regime si comporta con tale bassezza e usa gli idranti su uno che ha vinto il Nobel per la pace, vuol dire che è l'inizio della fine e che è ora che se ne vada". 50MILA IN PIAZZA TAHRIR AL CAIRO Aumentano di ora in ora i manifestanti che stanno sfilando per il centro del Cairo contro il presidente egiziano Hosni Mubarak. Secondo l'inviato della tv araba al-Jazeera sarebbero circa in 50mila a piazza Tahrir, nel cuore della capitale. FRATELLI MUSULMANI: DESTITUZIONE DEL GOVERNO NON BASTA I Fratelli musulmani bocciano il discorso con cui Hosni Mubarak ha tentato di spegnere la rivolta dei giovani egiziani. La destituzione del governo decisa dal presidente egiziano "è solo un passo", ha spiegato Walid Shalabi, delegato alla comunicazione dalla guida suprema del gruppo, Ezzat al Badia. Gli obiettivi della protesta, ha aggiunto, sono soprattutto altri: "La fine dello stato di emergenza, lo scioglimento del Parlamento e l'indizione di elezioni libere e trasparenti". "Vogliamo un governo", ha aggiunto Shalabi, "che tenga conto delle libertà e che risolva il problema della disoccupazione". Nonostante sia ufficialmente messo al bando, il gruppo dei Fratelli musulmani è tollerato dal regime e ha collegamenti con diversi parlamentari. POLIZIA SPARA SUI MANIFESTANTI AD ALESSANDRIA Manifestanti si stanno scontrando ad Alessandria con forze dell'ordine che usano armi da fuoco con proiettili veri. Lo riferiscono le tv satellitari Al Jazira e Al Arabiya citando testimoni.. IL GOVERNO SI DIMETTE La tv egiziana ha annunciato le previste dimissioni del governo. Intanto si è dimesso anche il segretario generale del partito di Mubarak. 30 CADAVERI TRA CUI 2 BAMBINI AL CAIRO Trenta corpi, tra cui quelli di due bambini, sono stati portati all'ospedale Damardash del Cairo in seguito ai disordini di ieri. Lo riferiscono fonti sul posto. SPARI DAVANTI AL PARLAMENTO. CARRI ARMATI IN PIAZZA La polizia ha sparato alcuni colpo in aria per disperdere un gruppo di manifestanti che tentava di entrare nel Parlamento del Cairo. Lo hanno riferito fonti dei servizi di sicurezza egiziani. Il Parlamento si trova nei pressi di piazza Tahrir, epicentro delle proteste contro il presidente Hosni Mubarak, che stamattina è stata circondata dai carri armati. SCONTRI A ISMAILIYA Violenti scontri tra manifestanti e agenti di polizia si registrano nella città di Ismailiya. Reparti della polizia, che avevano lasciato la città ieri notte, sono tornati nel centro di Ismailiya. La tv riferisce di cariche della polizia contro i manifestanti, che rispondono lanciando sassi contro gli agenti. 200 PERSONE DAVANTI A STAZIONE DI POLIZIA DI SUEZ Sono circa 200 le persone che questa mattina hanno dato vita a una nuova manifestazione di protesta nella città egiziana di Suez. Secondo quanto riferisce l'emittente al-Jazeera, i manifestanti si sono concentrati davanti la stazione di polizia del quartiere di al-Arbayn della città, teatro nei giorni scorsi di violenti scontri tra polizia e manifestanti. Fonti locali sostengono che la piazza non abbia apprezzato il discorso tenuto ieri notte dal presidente, Hosni Mubarak. Non a caso vengono scanditi slogan che chiedono le sue dimissioni. TELEGRAPH, RIVOLTA PIANIFICATA DAL 2008 CON AIUTO USA La rivolta che minaccia il potere di Hosni Mubarak era stata pianificata da tre anni, con il sostegno segreto degli Stati Uniti. Un file redatto il 30 dicembre 2008 dall'ambasciata americana al Cairo e reso noto dal quotidiano britannico Telegraph, descrive il contenuto di un incontro tra un attivista del Movimento 6 aprile, protagonista delle proteste di questi giorni, e i diplomatici di Washington. "Diverse forze di opposizione (i partiti Wafd, Nasserite, Karama, Tagammu, i Fratelli musulmani, Kifaya, i Movimenti socialisti rivoluzionari)", si legge nel memo dell'ambasciatore Margaret Scobey, "hanno siglato un piano tacito per la transizione a una democrazia parlamentare, con una presidenza debole e un parlamento e un primo ministro forti, prima delle elezioni presidenziali del 2011". Il piano, prosegue Scobey, "è talmente delicato da non poter essere messo per iscritto". Così, anche la stessa identità del giovane attivista, avvertiva la diplomatica, avrebbe dovuto restare "segreta" per timore di "ritorsioni" da parte delle autorità egiziane al suo rientro in patria da un viaggio negli Stati Uniti. Washington, infatti, aveva provveduto a far partecipare il giovane - che si era guadagnato la fiducia americana anche per le torture inflittegli dal regime anni prima- a un "summit" di giovani attivisti organizzato a New York dal Dipartimento di Stato, dal 3 al 5 dicembre 2008. Al rientro l'attivista era stato fermato dalla polizia all'aeroporto del Cairo e gli erano stati sequestrati gli appunti sulla riunione americana.
29 gennaio 2011 IL CAIRO Distrutte due mummie di faraoni Saccheggiatori sono riusciti a entrare nel Museo Egizio del Cairo e a distruggere due mummie di faraoni, prima di essere respinti dalla polizia. Lo ha riferito la televisione di Stato egiziana. I dettagli dello scempio sono stati raccontati dall'archeologo Zahi Hawass, capo del Supremo consiglio delle antichità egiziane. "Sono rimasto profondamente amareggiato stamane quando sono arrivato al Museo e ho scoperto che qualcuno aveva tentato di saccheggiarlo con la forza durante la notte", ha riferito. "So che cittadini egiziani hanno cercato di fermare i saccheggiatori e si sono uniti alle forze della polizia turistica per respingerli, ma alcuni sono riusciti a penetrare dall'alto e hanno distrutto due delle mummie". I vandali hanno anche svaligiato la biglietteria. Nell'edificio a due piani del Museo, costruito nel 1902, sono conservate decine di migliaia di oggetti di incalcolabile valore, compresa la collezione del faraone Tutankamen.
29 gennaio 2011 NORD AFRICA IN FIAMME Mubarak scatena la battaglia del Cairo
Sotto una nuvola di fumo nero e acre brucia la città del moderno faraone, illuminata nel buio dai fuochi che si alzano dalle carcasse delle macchine e ormai in preda al saccheggio di massa. In serata, con un discorso alla tv di Stato, il presidente Mubarak si è rivolto direttamente al popolo esortandolo a smetterla con la violenza e annunciando le dimissioni del governo che "da domani sarà nuovo". La giornata era iniziata con una manifestazione, con una grande voglia di libertà che ha sfidato un impressionante dispiegamento di forze messe in campo dal vecchio rais. "La Mubarak!", no a Mubarak, è il grido che risuona sempre più forte e rimbalza dal Cairo ad Alessandria, da Suez a Porto Said in mezzo agli spari e ai cupi rimbombi delle armi da fuoco. "La giornata della collera" al culmine della protesta popolare che dura da tre giorni, ieri è diventata una giornata di guerra tra il regime egiziano e il suo popolo, segnando un drammatico punto di non ritorno dagli esiti imprevedibili. È passato da poco mezzogiorno quando la gente dopo la preghiera del venerdì in Moschea si dirige verso piazza Tahrir, simbolo dell’indipendenza del Paese, ma tutte le strade d’accesso sono sbarrate dai reparti antisommossa, migliaia di poliziotti in tuta nera e con il manganello ben in mostra. Non c’è alcuna possibilità di coordinamento tra i manifestanti. Fin dalle prime ore del mattino non ci si può connettere a internet, bloccati pure i telefoni cellulari e i satellitari. Il governo egiziano, l’alleato privilegiato dell’America e dell’Europa nel mondo arabo si comporta come la Cina comunista e la Birmania militarizzata. Ancora una volta sembrerebbe che Mubarak si stia aggiudicando la partita. In città piccoli gruppi dimostranti si fermano davanti ai cordoni di sicurezza, girano dietro l’angolo per rispuntare da un’altra parte. La scintilla della rivolta s’accende davanti alla grande Moschea di al-Fath all’inizio del lungo viale Ramsis che conduce alla piazza centrale. Ci troviamo in mezzo a una folla un po’ disorientata, non sa cosa fare ma ecco che all’improvviso siamo investiti dai gas lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo. La gente arretra poi forma vari cortei che si ingrossano man mano e avanzano lungo il viale. Sono soprattutto giovani in jeans e maglietta, gente semplice e normale mentre sono pochi gli uomini barbuti in tunica grigia, il distintivo degli integralisti come i Fratelli musulmani. I dimostranti sventolano le bandiere nazionali sollevano cartelli con la scritta "Mubarak c’è un aereo pronto anche per te!", alludendo alla fuga precipitosa del dittatore tunisino Ben Ali. Dall’alto del ponte 6 ottobre molti si fermano a guardare, ma poi da spettatori passivi si trasformano in protagonisti attivi, si uniscono ai manifestanti battendo le mani e urlando lo slogan contro il rais. Decine di migliaia di persone sono scese in piazza per la più imponente dimostrazione di protesta mai avvenuta negli ultimi trent’anni nel lungo regno dal faraone (così gli egiziani chiamano Mubarak), che sembra ormai agli sgoccioli. Compaiono ragazzi con la maschera sul volto davanti all’hotel Sheraton. Vedo una camionetta della polizia data alle fiamme sulla Corniche, l’elegante lungo fiume che costeggia il Nilo. Bruciano copertoni e si improvvisano barricate. Gli scontri sono sempre più violenti e si allargano ad altri quartieri della capitale. Gli incidenti scoppiano anche davanti all’università al-Azhar, centro intellettuale dell’Islam, viene presa d’assalto la sede del Partito nazionale democratico di Mubarak. Assediata per ore dai manifestanti pure la sede della tv di stato. La polizia dopo aver usato idranti e lacrimogeni per disperdere la folla passa alle maniere forti: carica la folla e la investe con le camionette. Fra i dimostranti si aggirano in borghese gli uomini del Mukabarat, i servizi segreti egiziani che colpiscono alle spalle. Corre voce che ci siano due morti fra i manifestanti, colpiti mentre tentavano di entrare in piazza Tahrir. Ci sono 13 vittime anche a Suez, secondo fonti mediche, e due a Mansura. Cinque morti solo al Cairo, 20 in tutto il Paese, oltre 900 i feriti nella capitale. Il governo proclama il coprifuoco fino alle sette di questa mattina. Prima al Cairo, ad Alessandria e Suez. A Suez, l’altro principale focolaio di rivolta, l’esercito intervenuto per sgomberare il centro avrebbe fraternizzato con i rivoltosi. A un certo punto, quando la situazione è ormai sfuggita di mano, anche al centro del Cairo si vedono comparire i blindati dell’esercito e i carri armati. Qualche colpo d’artiglieria pesante viene sparato. Brutto presagio per i giorni a venire. "L’inizio della fine per il regime di Mubarak " dice el-Baradei, l’ex direttore dell’Agenzia per l’energia atomica dell’Onu e Premio Nobel per la pace, tornato in patria per candidarsi alla guida del futuro governo di transizione. Dopo aver partecipato alla preghiera nel sobborgo di Giza, anche lui ha sfilato con la folla. Ma questa è una rivolta dal basso senza leader che si impongono dal-l’alto, e c’è qualcosa di emblematico nel fatto che el-Baradei ieri non abbia potuto unirsi ai dimostranti, riportato a casa sua dalle forze di sicurezza. Un presidio è rimasto davanti a casa fino a sera, ma non è ai domiciliari. Cade il buio al Cairo e l’incendio è ormai ben lontano dallo spegnersi. Mentre sto scrivendo suonano le sirene d’allarme dell’hotel che s’affaccia su piazza Tahrir. Gli spari si fanno sempre più vicini, sotto il centro commerciale è preso d’assalto e ormai brucia. Saccheggiati gli altri centri commerciali e alcune banche. Tutto attorno la polizia spara ormai a vista d’uomo. L’Egitto brucia e l’incendio rischia di propagarsi all’intero mondo arabo. La situazione è "molto fluida" commentano preoccupati dalla Casa Bianca che si dice pronta a rivedere la sua politica di aiuti militari ed economici al Cairo mentre significativamente Obama "non ha ancora deciso di telefonare" a Mubarak. Per tutto il pomeriggio si è atteso invano un discorso televisivo di Mubarak. Poi l’affondo della Casa Bianca: la situazione che si è venuta a creare "può essere risolta solo dal popolo egiziano". E il vecchio rais, ancora più solo, ha continuato a tacere. Luigi Geninazzi
29 gennaio 2011 LA RIVOLTA EGIZIANA Se crolla il "faraone" il Medio Oriente rischia il caos Casca o non casca? Con questo dubbio amletico sulle sorti del faraone Hosni Mubarak, inconcepibile anche solo qualche giorno fa, è trascorsa la giornata di venerdì, iniziata con l’oscuramento totale delle comunicazioni (telefoni fissi e mobili, internet, radio) eppure rivelatasi la più esplosiva dall’inizio delle agitazioni sociali in Egitto, martedì scorso. Sotto gli occhi sgranati di analisti, diplomatici, politici di tutto il mondo, che hanno potuto seguire su al-Jazeera e altre tv satellitari gli scontri al Cairo, la tradizionale rassegnazione egiziana è andata in frantumi come mai prima. Si è detto: Mubarak non è il tunisino Zine El Abidine Ben Ali, impossibile scalzarlo. Eppure la rabbia popolare sta facendo scricchiolare anche il suo trono trentennale. Ma l’Egitto non è la Tunisia, il Cairo ha un ruolo strategico nel Mediterraneo, a maggior ra- gione in questo primo scorcio di 2011. Ora che il Libano oscilla pericolosamente, in bilico sull’orlo di una nuova guerra civile, sotto gli occhi compiaciuti degli sciiti di Hezbollah; ora che i "palestinian papers" (le carte diffuse da Wikileaks) hanno assestato un nuovo duro colpo all’autorevolezza dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) nel processo di pace con Israele, dando nuovo fiato alle trombe di Hamas; ora che l’intero Nord Africa sembra aver raggiunto la saturazione dopo decenni di spietate oligarchie. L’Egitto è lì, chiave di volta di un complesso architrave. Un tassello di 80 milioni di cittadini compresso su tutti i fronti: a Est, dal dramma di un milione e 700 mila palestinesi di Gaza chiusi in gabbia e infiltrati da uomini di al-Qaeda; a Ovest, dall’imprevedibile Libia del colonnello Muammar Gheddafi; a Sud, dal colosso sudanese scosso da divisioni di ogni genere. Per tutto questo e altro ancora (investimenti stranieri che ammontano a parecchie centinaia di miliardi di dollari), lo stesso Mubarak o il blocco di interessi da lui rappresentato potrebbe essere "obbligato" a succedere a sé stesso, tirando fuori dal cilindro prima del tempo un successore. Con o senza la Rivoluzione dei gelsomini in Tunisia, il 2011 sarebbe stato un anno cruciale, con le elezioni presidenziali in agenda a settembre. Mubarak, in sella da cinque mandati consecutivi, è spesso costretto a soggiorni all’estero per cure mediche: secondo fonti di intelligence sarebbe già stato rimpiazzato da un direttorio di ministri fidati sostenuto dall’esercito. Fra di loro Omar Suleiman, numero uno dei servizi segreti, intermediario fra fazioni palestinesi, e fra Israele e Anp; Mohammed Sayyed Tantawi, ministro della Difesa, generale; Habib El Adly, ministro degli Interni, e altri fedeli. Fra di loro il probabile successore. La stella di Gamal, figlio 47enne del raìs, sembra ormai tramontata: inviso alla vecchia guardia del Partito nazionale democratico e all’esercito, Gamal si vede sempre di meno nelle occasioni ufficiali. Con apprensione la stampa israeliana segue gli sviluppi nel Paese confinante, l’unico fra gli Stati della Lega araba, insieme alla Giordania, ad aver firmato un trattato di pace (1979). Scrive il quotidiano Haaretz: "Gli analisti ritengono che probabilmente gli Stati Uniti vogliono evitare di accrescere l’incertezza politica (in Egitto) abbandonando Mubarak". Un auspicio, più che una affermazione. Perché nessuno può sapere chi sceglierebbero gli egiziani: Mohammed El Baradei? Oppure un esponente della Fratellanza musulmana? Il primo è sceso nell’agone politico da appena un anno dando vita all’Assemblea per il cambiamento, ma non ha saputo elaborare un programma convincente. La partecipazione alle manifestazioni di ieri e il suo arresto domiciliare potrebbero averne rilanciato le aspirazioni. La confraternita, invece, benché bandita dalla vita politica e costretta alla clandestinità, è ormai uno Stato nello Stato. Là dove le istituzioni sono assenti, i Fratelli vantano una rete capillare di ambulatori, studi legali, uffici di collocamento, negozi e supermercati, scuole. La Fratellanza, nelle sue correnti moderata o più radicale, non è una realtà estranea alla società. Con messaggi contraddittori: talvolta antiisraeliani e anti-occidentali, talvolta moderati. Come contraddittorio è l’atteggiamento Usa: ufficialmente solidale con il presidente, ma, secondo i cablogrammi di Wikileaks, pronto a finanziare le opposizioni tutte con almeno 150 milioni di dollari nel biennio 2008-2009. Federica Zoja
28 gennaio 2011 FAMIGLIA SOTTO ATTACCO Francia, la Corte costituzionale conferma il no ai matrimoni gay Il massimo consesso giuridico del Paese è stato chiamato ad esprimersi sugli articoli 75 e 144 del Codice civile che impediscono appunto il matrimonio fra persone dello stesso sesso. Ribadendo la costituzionalità dei limiti vigenti e demandando al Parlamento il compito, eventualmente, di cambiare la legge. All'origine della questione di costituzionalità, il caso di due donne, Corinne e Sophie, una pediatra l'altra professore di inglese, che vivono insieme da 15 anni in un Pacs. Le due sostengono che solo un matrimonio vero e proprio tutelarebbe appieno i quattro figli che entrambe crescono. Attualmente sono otto i Paesi europei che hanno legalizzato il matrimonio fra persone dello stesso sesso: Portogallo, Spagna, Inghilterra, Belgio, Olanda, Svezia, Norvegia e Islanda.
28 gennaio 2011 KABUL Afghanistan: attentato in un supermercato 8 morti Almeno 8 persone sono morte e altre sette sono rimaste ferite a causa di un'esplosione avvenuta all'interno di un supermercato di Kabul, la capitale dell'Afghanistan. Lo riferisce l'agenzia di stampa 'Dpà. La deflagrazione è avvenuta nel quartiere di Wazir Akbar Khan, dove si trovano molte ambasciate straniere. "Sei persone sono morte e tra loro ci sono alcuni stranieri", ha detto Mohammad Zahir, capo del dipartimento per le investigazioni criminali della capitale afghana. Un ufficiale della polizia afghana, che ha chiesto il rispetto dell'anonimato, ha precisato che tra le persone morte a causa dell'esplosione, vi sono due stranieri. Al momento non è ancora chiara la causa dell'esplosione. Pensiamo che sia stata opera di un attentatore suicida, ma non siamo sicuri e stiamo indagando", ha detto Zahir. I talebani hanno rivendicato l'attentato che ha colpito il supermercato Finest di Kabul, frequentato da stranieri, affermando che intendevano colpire gli stranieri.
28 gennaio 2011 DIRITTI NEGATI "Medio Oriente, cristiani a rischio di estinzione" L’assemblea del Consiglio d’Europa si schiera a grandissima maggioranza nel condannare le violenze contro i cristiani in Medio Oriente e nell’auspicare precise iniziative in loro difesa: chiede ai governi europei un elenco di misure contro i Paesi che "deliberatamente non tutelano la libertà di religione, compresa la libertà di cambiare la propria"; li invita a istituire un "organismo permanente di vigilanza" e a varare "d’urgenza" una vera "strategia" di difesa di questo elemento essenziale dei diritti dell’uomo; li incita a tenere conto del problema con una "clausola di democrazia" quando negoziano o gestiscono accordi di cooperazione. Nell’assemblea formata dai parlamentari dei 47 Paesi del Consiglio – l’organismo paneuropeo per i diritti umani – la risoluzione redatta e presentata dal presidente del gruppo Ppe-Cd Luca Volontè (Udc) è stata approvata con 125 "sì", nove "no" e 13 astensioni. "È un risultato di grande soddisfazione per il Ppe-Cd – ha commentato Volontè citando in particolare la solerzia dei colleghi italiani e francesi – ed è un segno di impegni chiari dopo la recente posizione dell’Europarlamento, forse meno dettagliata della nostra". Di tutta evidenza la risoluzione approvata ieri potrà influire sulla posizione che i ministri degli Esteri dell’Ue (tutti i Ventisette sono membri del Consiglio d’Europa) prenderanno lunedì sulla questione. La risoluzione infatti invita i governi a tener ben presente che "se non vengono adeguatamente affrontati i problemi della bassa natalità e dell’emigrazione, aggravati in alcune zone dalla discriminazione e dalle persecuzioni, le comunità cristiane rischiano di sparire dal Medio Oriente, regione nella quale ha avuto origine il cristianesimo". D’altro canto, si legge testo, "la scomparsa delle comunità cristiane dal Levante metterebbe in pericolo anche l’islam perché sarebbe un segnale di vittoria del fondamentalismo". Nel ricordare che il 75% delle violenze anti-religiose sono patite dai cristiani, il documento cita i massacri di fedeli nella cattedrale cattolica siriana di Baghdad e in una chiesa copta di Alessandria d’Egitto come "eventi particolarmente tragici" in una catena di "attacchi contro le comunità cristiane che si stanno moltiplicando in tutto il mondo". Tra i primi a commentare il voto, il presidente dell’Udc Rocco Buttiglione ha detto che "cominciamo a passare dalle parole ai fatti" e ha constatato che, grazie al Ppe, l’Europa riconosce la "centralità di questo problema impegnando i Paesi membri ad agire concretamente". Dichiarandosi esponenti "di una folta corrente cattolica" nella sinistra, i parlamentari del Pd, Andrea Rigoni e Paolo Giarretta, hanno sottolineato insieme che "la difesa della cristianità deve partire da casa nostra e la Chiesa va difesa non solo nelle assemblee istituzionali ma soprattutto in seno alla società civile" perché "la cristianità sia più forte e soprattutto più libera, come tutti, uomini e donne, dovrebbero essere dovunque nel mondo". Per le senatrici Idv, Patrizia Bugnano e Giuliana Carlino, l’importanza del testo "sta nel riaffermare che lo sviluppo dei diritti umani, della democrazia e delle libertà civili deve essere la base comune per tutte le relazioni internazionali". Al momento del voto l’unica delegazione nazionale a non approvare la risoluzione è stata quella turca, con sette no e quattro astensioni. Hanno votato no anche l’azero Fazil Mustafa (musulmano del gruppo liberale) e lo svizzero Andreas Gross, socialista. Si sono astenuti anche tre azeri, e singoli parlamentari di Russia, Svizzera, Olanda, Belgio, Danimarca e Islanda. La delegazione turca ha votato contro dopo aver tentato inutilmente di far eliminare un paragrafo che invita Ankara a "chiarire appieno le circostanze" dell’interruzione di Messe di Natale nel Nord di Cipro e di far processare i responsabili. "Chi mi conosce sa quanto io apprezzi gli sforzi che si stanno facendo in Turchia – ha commentato Volontè – e mi dispiace che i colleghi turchi abbiano votato in questo modo: quel paragrafo non era un attacco ma piuttosto un incoraggiamento da cogliere in positivo ma purtroppo così non è stato". Franco Serra
2011-01-28 28 gennaio 2011 NORD AFRICA IN FIAMME Scontri in Egitto, 10 morti Fermato el-Baradei Si allarga la protesta al Cairo. Secondo al-Jazira, circa 50mila manifestanti si sono raccolti nel quartiere di al Mahallah al Kubra, nel centro della capitale, nella zona della città vecchia. Migliaia di manifestanti sono anche radunati vicino alla sede del governatore della provinciale di al-Mansura: la polizia è schierata nei pressi, ma finora non è intervenuta. Alcuni giovani hanno appiccato il fuoco alla sede del partito al potere, il Pnd del presidente Hosni Mubarak, nella città di Ismailia e in quella di Porto Said. Lo riferiscono fonti locali, riferendo anche che a Suez sono stati incendiati tre edifici pubblici mentre nel Sinai del nord è stato appiccato il fuoco al municipio. DIECI MORTI Sono almeno dieci i manifestanti morti nelle proteste e negli scontri esplosi oggi in Egitto, secondo un bilancio del sito di al-Masry al-Youm. Le vittime si concentrano al Cairo, a Suez e ad Alessandria e tra loro c'è anche una donna, morta nella capitale. Alle vittime di oggi si aggiungono i sette manifestanti morti da quando la protesta antigovernativa è esplosa in Egitto martedì.
400 ARRESTI SOLO AL CAIRO Sono 400 i manifestanti arrestati oggi dalle forze dell'ordine solo al Cairo. Lo riferiscono fontidella sicurezza. EL-BARADEI AGLI ARRESTI DOMICILIARI La polizia egiziana avrebbe imposto gli arresti domiciliari al leader dell'opposizione, Mohammed el- Baradei. Lo riferisce una fonte della sicurezza citata da al-Arabiya. Sono stati invece rilasciati i quattro reporter francesi arrestati nelle scorse ore al Cairo, mentre seguivano le proteste in corso contro il governo. È quanto ha rivelato una fonte al quotidiano Le Figaro. IL NUNZIO APOSTOLICO "Sicuramente proteste inedite e mai viste prima se guardiamo agli ultimi 30 anni di storia egiziana, anche se il governo insiste nel dire che non hanno nulla a che fare con quelle che in Tunisia hanno portato alla fine del governo di Ben Ali". Lo dice all'agenzia Misna mons. Michael Louis Fitzgerald, nunzio apostolico in Egitto e missionario dei Padri bianchi. Profondo conoscitore del paese, in cui riveste il suo incarico dal 2006, e delegato della Santa Sede presso la Lega Araba, Fitzgerald preferisce non commentare quanto sta avvenendo in queste ore per le strade del Cairo e delle altre grandi città del paese. "Seguiamo con attenzione gli avvenimenti", dice, confermando che dalla zona di Zamalek, dove ha sede la nunziatura, un quartiere residenziale dall'altra parte del Nilo rispetto alla piazza Tahrir e ai palazzi delle istituzioni "la situazione appare tranquilla".
2011-01-25 25 gennaio 2011 LA RUSSIA SOTTO TIRO Attentato a Mosca Kamikaze forse donna Ci sono almeno sei stranieri, ma nessun italiano, tra le 35 vittime dell'attentato di ieri all'aeroporto Domodedovo. Lo riferisce il ministero russo per le Emergenze. Si tratta di due cittadini britannici, di un tedesco, un kirghizo, un tagiko ed un uzbeko. Finora sono stati identificati 25 corpi (quelli delle persone con addosso documenti), per gli altri sarà necessario il test del Dna. Del centinaio di feriti ancora ricoverati, la metà sono in condizioni serie o estremamente gravi. In buone condizioni invece l'italiano. Potrebbe essere stata una donna, con l'aiuto di un complice, a compiere l'attentato suicida, secondo una fonte della polizia all'agenzia Ria-Novosti. Entrambi gli attentatori sarebbero morti, secondo la fonte. "L'esplosione è avvenuta quando la presunta kamikaze, con a fianco un uomo, ha aperto una borsa. L'uomo è stato decapitato dall'esplosione", ha precisato la fonte. "Non è da escludere che i terroristi intendessero lasciare la borsa con l'ordigno nella sala degli arrivi dello scalo e che l'esplosione sia avvenuta accidentalmente oppure che l'ordigno sia stato azionato con un telecomando a distanza", ha precisato la fonte della polizia, che ha chiesto di rimanere anonima. Secondo alcune informazioni i due presunti terroristi sono stati condotti in aeroporto da un complice che poi ha aspettato in un'auto parcheggiata davanti allo scalo. L'attentato ha una chiara matrice caucasica, secondo quanto ha detto una fonte della polizia all'agenzia Ria-Novosti. "Le modalità sono quelle tradizionali dei terroristi provenienti dal Caucaso del Nord", ossia da repubbliche ribelli musulmane come Cecenia, Daghestan e Inguscezia, ha detto la fonte, che ha chiesto di rimanere anonima. Il leader del Cremlino Dmitri Medvedev parteciperà oggi alla annuale riunione dei servizi segreti, quella in cui viene tracciato il bilancio dell' attività dell'Fsb. Sulla seduta odierna incombe la tragedia di ieri. Sullo sfondo, le polemiche legate alle falle nelle misure di sicurezza allo scalo moscovita, come denunciato ieri anche dal comitato antiterrorismo. Medvedev ha annunciato che la direzione dell'aeroporto Domodedovo di Mosca dovrà rispondere dell'attentato, come riferisce l'agenzia Interfax. "Quello che è accaduto - ha dichiarato il presidente - dimostra chiaramente che ci sono state violazioni delle regole di sicurezza. C'é stato un vero fallimento per arrivare a portare, o far passare, una tale quantità di esplosivo", ha proseguito il capo dello Stato. "Tutti quelli che hanno delle responsabilità, quelli che prendono delle decisioni e la direzione dell'aeroporto dovranno rispondere di tutto. È un atto terroristico, è una tragedia", ha aggiunto.
2011-01-24 24 gennaio 2011 ATTENTATO SUICIDA Mosca, strage all'aeroporto Medvedev: puniremo i responsabili Attacco terroristico all'aeroporto di Mosca. Un kamikaze con addosso alcuni chili di esplosivo si è fatto esplodere nell'area delle salette vip, vicino al ristorante Asia Cafè, dello scalo Domodedovo, il più grande di tutta la Russia, intorno alle 16.37 ora di Mosca, le 14.37 italiane. Il bilancio è al momento di 35 morti. Tra i 150 feriti ci sarebbe un italiano. Testimoni oculari riportano scene i terrore con molte persone che girano per l'aeroporto insanguinate e fumo ovunque. Le forze di sicurezza hanno iniziato a evacuare l'aeroporto ed è stata rafforzata la sicurezza negli altri scali di Mosca Vnukovo e Sheremetyevo. La polizia sta intanto sorvegliando tutte le stazioni ferroviarie e la metro, mentre è stato disposto un servizio di emergenza in tutti gli ospedali della capitale. Venti ambulanze sono arrivate sul posto dell'esplosione. I responsabili dell'attacco terroristico all'aeroporto di Mosca saranno presi e puniti. Lo ha affermato il presidente russo, Dmitri Medvedev, commentando a caldo l'attacco terroristico all'aeroporto di Mosca. Medvedev ha convocato una riunione di emergenza con il procuratore generale, il capo dell'unità investigativa e il ministro dei Trasporti. Nel frattempo sono scattate misure speciali di sicurezza in tutti gli altri scali e in tutte le stazioni ferroviarie e metro. La polizia ha trovato i resti del kamikaze; secondo quanto riferisce l'agenzia Interfax è un trentenne dai tratti somatici arabi. È la prima volta che un terrorista attacca un aeroporto di Mosca. Condanna e turbamento della comunità internazionale per l'attentato suicida. "Condanno fermamente questo atroce atto di terrorismo contro il popolo russo", ha affermato il presidente americano, Barack Obama. Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha offerto la "solidarietà" dell'Alleanza, sottolineando di essere personalmente "sconvolto" dall'attentato: "Siamo insieme in questa lotta", ha sottolineato Rasmussen, "questo è il motivo per il quale nel Consiglio Nato-Russia dobbiamo rafforzare la nostra collaborazione nella lotta al terrorismo", ha aggiunto il segretario generale dell'Alleanza, alla vigilia di colloqui ad alto livello tra rappresentanti di Mosca e della Nato a Bruxelles. Il terrorismo "è una minaccia comune che dobbiamo affrontare uniti", ha ribadito il segretario generale. Il presidente del Parlamento Ue, l'ex premier polacco Jerzy Buzek, ha espresso le proprie "condoglianze" alla popolazione russa che ha "ripetutamente sofferto nel recente passato di simili atti disumani". Condanna anche dal presidente del Consiglio europeo, Herman van Rompuy, il quale ha chiesto che i responsabili dell'attentato siano "puniti". Il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, ha definito l'attacco un atto "barbaro e ingiustificabile" e ha espresso alle istituzioni e a tutta la popolazione russa il suo cordoglio per il grave lutto che ha colpito il Paese. Il titolare della Farnesina ha inoltre sottolineato la piena solidarietà al governo di Mosca nella lotta contro il terrorismo. Anche Francia e Germania hanno parlato di un attentato "barbaro", mentre il ministro degli Esteri britannico, William Hague, si è detto "profondamente sconvolto e addolorato". Nicolas Sarkozy ha assicurato alle autorità russe la "piena solidarietà della Francia". Il ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, inviando le sue condoglianze alle famiglie delle vittime, ha condannato l'"orribile e sanguinoso" attentato. IL MESSAGGIO DEL PRESIDENTE NAPOLITANO "In questo tragico frangente, l'Italia, unita al suo Paese da tradizionali vincoli di profonda amicizia, si stringe al popolo russo, con il quale condivide la più intransigente opposizione alla follia del terrorismo. Desidero pertanto trasmetterle a nome mio personale e di tutto il popolo italiano le espressioni del più sentito cordoglio", ha scritto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in un messaggio di solidarietà inviato al presidente della Federazione Russa, Dmitriy Anatloyevich Medvedv. Nel messaggio, reso noto dal Quirinale, Napolitano aggiunge: "Ho appreso con vivo sgomento dell'esplosione che ha colpito oggi l'aeroporto internazionale di Domodedovo, costata numerose vite umane e dietro la quale si profila una vile azione terroristica".
24 gennaio 2011 TIRANA Ancora tensioni in Albania "Non arrestano le guardie" Si acuisce lo scontro in Albania, con la Guardia repubblicana sott'accusa per l'omicidio dei tre manifestanti civili, mentre il governo ne prende le difese, rifiuta di eseguire gli arresti ordinati dalla Procura e avverte il leader dell'opposizione Edi Rama di rischiare di "essere punito in modo esemplare se tenterà un nuovo golpe". Nel mirino della maggioranza è finita anche il procuratore Capo della Repubblica. L'APPELLO DI RAMA ALL'ITALIA "L'Italia e l'Ue non devono accettare in Albania una realtà inaccettabile per il mondo democratico e condannare la violenza di Stato che uccide gente innocente". È questo l'appello lanciato stamani dal leader dell'opposizione socialista albanese, Edi Rama, conversando con i giornalisti italiani. Dalle prime ore di sabato, la Procura aveva emesso sei mandati di cattura per i massimi vertici della Guardia repubblicana, tra cui anche il comandante Ndrea Prendi, che ha il grado di generale. I sei vengono accusati di "omicidio plurimo, uso eccessivo della forza e abuso d'ufficio". Il video trasmesso dalla emittente tv albanese News 24, poche ore dopo gli scontri mostrava chiaramente i colpi partiti da un militare della Guardia dall'interno del cortile del palazzo di governo, e poi subito accasciati a terra, morti, due manifestanti. La polizia invece si è ostinatamente opposta a eseguire gli arresti, senza dare nessuna spiegazione pubblica. In giornata, dalla maggioranza partono gli attacchi alla Procura e al procuratore capo Ina Rama accusata di essere diventata "parte del golpe organizzato dall'opposizione". Più tardi è lo stesso premier a dire che "arrestare i vertici della Guardia repubblicana sarebbe stata una decapitazione di quella struttura che ha il dovere di difendere le istituzioni, e quindi - ha ribadito Berisha - non avrebbe fatto altro che esortare i criminali ad attaccare di nuovo le istituzioni". Inizialmente Berisha aveva sostenuto fosse stata l'opposizione socialista ad aver provocato essa stessa la morte dei propri dimostranti "colpiti con armi che non sono in dotazione alle nostre forze dell'ordine". Il Parlamento albanese ha approvato, con i soli voti della maggioranza di centrodestra, l'istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sugli atti di violenza e sul tentativo di rovesciamento dell'ordine costituzionale, all'indomani degli scontri di venerdì scorso a Tirana durante una manifestazione antigovernativa. La commissione avrà, tra l'altro, il compito di verificare l'attività delle istituzioni incaricate della sicurezza e dell'ordine pubblico, e di far luce sui responsabili del "tentativo di colpo di Stato".
24 gennaio 2011 PROCESSO DI PACE IN TERRA SANTA Carte segrete su colloqui Anp-Israele Hamas: "Traditori, così ci svendono" La leadership dell'Autorità Nazionale Palestinese (Anp) fa muro contro la sua Wikileaks: il capo negoziatore, Saeb Erekat, ha contestato l'autenticità dei documenti riservati pubblicati da al-Jazeerae dal Guardian, secondo cui nel 2008 offrì concessioni senza precedenti a Israele, e si è offerto di diffondere gli originali. Erekat - che dalle registrazioni risulta aver detto a Israele di non aver mai fatto una proposta così consistente, neanche a Camp David - liquida le rivelazioni come "una montagna di bugie". "L'Anp è disposta a pubblicare tutti gli archivi relativi ai negoziati con Israele per chiarire la posizione palestinese alla popolazione araba e palestinese", ha affermato sempre Erekat. "Se, come i documenti sostengono, avessimo fatto concessioni storiche agli israeliani, perché questi nonavrebbero accettato un'offerta tanto vantaggiosa?". Una smentita è arrivata anche dal presidente dell'Anp, Abu Mazen: "Non abbiamo mai nascosto alcunché ai nostri fratelli arabi", ha dichiarato all'agenzia palestinese Wafa. "Li abbiamo sempre tenuti al corrente delle nostre attività con israeliani e americani". Ma la posizione di Erekat, che negoziò gli accordi di Oslo e fa parte dell'equipe negoziatrice dal 1995, diventa sempre più difficile e a questo punto, secondo fonti palestinesi, sono probabili le sue dimissioni. Intanto è più che irritata la reazione di Hamas. Un portavoce, Osama Hamdan, ha detto che i palestinesi sono stati "traditi" dai negoziatori e che Saeb Erekat e i suoi colleghi hanno "svenduto" il popolo palestinese. "Svendevano parte di Gerusalemme Est mentre dicevano di essere impegnati a fare di Gerusalemme la capitale dello Stato palestinese". Secondo i documenti, i palestinesi offrirono in segreto nel 2008 a Israele l'annessione di tutti gli insediamenti ebraici costruiti illegalmente, dopo il 1967, a Gerusalemme, eccetto uno, quello di Har Homa. Israele respinse la proposta, la più generosa mai avanzata dai palestinesi in tutto il processo di pace, proprio per l'esclusione di Har Homa.
23 gennaio 2011 LE INCHIESTE L’Italia che aiuta l’Africa: ancora meno fondi ma si punta a "scelte mirate" La presenza di molti attori nella cooperazione allo sviluppo rivolta all’Africa richiedono una sempre maggiore attenzione, coordinamento e rispetto di procedure trasparenti e condivise, che sappiano rendere conto dei risultati ottenuti. Anche perché i fondi sono sempre meno. Nel 2009 l’Italia ha dedicato alla cooperazione solo lo 0,16% del Pil, molto lontano dall’obiettivo dell’0,5% che avrebbe dobuto raggiungere lo scorso anno e dello 0,7% fissato per il 2015. Eppure l’impegno del nostro ministero degli Esteri e delle Organizzazioni non governative che sono impegnate nell’assistenza sanitaria in Africa non viene meno, avendo condiviso, tramite le Linee guida recentemente costruite, obiettivi e strategie che contribuiscano a rendere efficace un’azione di aiuto a 360 gradi. Questi temi sono stati al centro della giornata di studio svoltasi ad Aosta "Come cambia il modo di fare cooperazione sanitaria in Africa", promossa dall’Azienda Usl Valle d’Aosta e dalla "Fondazione Maria Bonino", che da oltre cinque anni è attiva per sostenere progetti di cooperazione sanitaria in Africa. Gli stessi progetti in cui la pediatra Maria Bonino credeva fortemente e in cui si impegnava personalmente mettendo a disposizione la sua competenza negli ospedali dei Paesi africani più poveri. Fino a quando nel 2005, mentre lavorava in Angola a un progetto del Cuamm-Medici con l’Africa, fu contagiata e morì nell’epidemia del virus di Marburg che causò centinaia di vittime nella regione angolana di Uige. Nel corso degli ultimi decenni l’esperienza ha portato a riflettere sulla cooperazione sanitaria in Africa. "Si può dire – spiega Marco Sarboraria (Medici senza frontiere) – che si passa da una medicina che risponde al sintomo, cioè al bisogno, a una più strutturata, che prevede l’invio di grosse forniture di materiali e di personale sanitario. Poi sui progetti si comincia a lavorare su larga scala, si ottengono dati, che una volta elaborati evidenziano quanto l’impegno sia stato efficace. Così il lavoro fornisce spunti per la ricerca e per fare ulteriori progetti che siano validi nel tempo, scientifici e adatti al contesto particolare in cui devono essere applicati". Questo processo di revisione critica dei progetti si è reso tanto più necessario in quanto è cresciuta la pluralità di soggetti che fanno cooperazione, ha spiegato Elisabetta Belloni, direttore generale della Cooperazione allo sviluppo presso il ministero degli Esteri: "Il ruolo di coordinamento, che non può che spettare allo Stato, ha puntato alla messa a sistema delle varie istanze attraverso la redazione di Linee guida: non dettate dall’alto, ma frutto del lavoro di diversi tavoli con gli attori più significativi delle politiche di cooperazione, dalle Ong alle università, dalle regioni alla società civile, fino a cercare di coinvolgere il mondo dell’imprenditoria. Non si può parlare di sanità se non si ha un approccio integrato allo sviluppo, se non si parla contemporaneamente di educazione, di alimentazione, di ambiente". "Una strategia basata solo sull’offerta di servizi sanitari è poco efficace" ha confermato Giorgio Tamburlini, dell’Osservatorio italiano sulla salute globale. Infatti nei Paesi in via di sviluppo che hanno ottenuto i maggiori progressi anche sanitari "i risultati più importanti sono stati ottenuti con politiche che hanno affrontato in primo luogo la povertà, e contemporaneamente le cause intermedie di esposizione e suscettibilità alle malattie (istruzione, lavoro, nutrizione, ambiente)". Una lezione che Cuamm-Medici con l’Africa ha appreso da tempo. "Ci vogliono una strategia e un approccio chiaro – spiega don Dante Carraro, direttore del Cuamm –. Ciò significa che non si possono affrontare le singole malattie (la malaria o l’infezione da Hiv) senza prendere in carico il sistema sanitario locale, aiutarlo a crescere nel suo insieme. Senza spezzettare gli interventi, perché c’è a cuore più l’interesse del donatore che il bisogno della comunità". Ma fondamentale resta il poter rendere conto di ciò che si è fatto: "C’è una crisi culturale in quest’ambito, prendono piede teorie secondo cui l’aiuto ai Paesi africani fa danno. Noi rispondiamo che se l’aiuto allo sviluppo è favorire la corruzione e la non trasparenza, siamo d’accordo. Ma se la cooperazione è capacità di dialogare con le autorità locali, di intervenire in maniera integrata e di dimostrare quel che si fa, cioè l’efficacia dell’aiuto, allora far cooperazione può davvero cambiare la situazione". Infine, sottolinea don Dante Carraro, "servono due elementi, che Maria Bonino aveva: la grande serietà umana e professionale, che porta ad avere strategia e obiettivi chiari. E dall’altra la tenacia e la fiducia, che si radicava per Maria in quel Dio che l’ha sempre sostenuta e che ti dà la forza di continuare, senza illusioni da una parte, e senza frustrazioni dall’altra, con il sano realismo dei cristiani". Enrico Negrotti
2011-01-22 22 gennaio 2011 I CONTI CON LA STORIA Blair: profondo rimpianto per le vite perdute in Iraq "Ho profondi rimpianti per le morti in Iraq", ha ammesso ieri per la prima volta l’ex premier britannico Tony Blair di fronte all’Iraq Inquiry, la commissione d’inchiesta guidata da sir John Chilcot, che da due anni indaga sulle ragioni che hanno spinto l’ex leader a dichiarare guerra all’Iraq nel 2003 a fianco degli Stati Uniti ma contro il parere della maggioranza della popolazione britannica e di alcuni membri del suo stesso esecutivo. Per la seconda volta in un anno, l’ex premier laburista è stato chiamato a testimoniare davanti alla commissione d’inchiesta sull’Iraq facendo una difficile precisazione: "Quando ho detto – ha dichiarato riferendosi alla sua prima udienza del 29 gennaio 2010 – di non avere rimpianti riguardo la decisione di intervenire in Iraq non volevo dire di non avere rimpianti riguardo la perdita di vite umane". Ma il "mea culpa" non ha provocato alcun moto di simpatia nel pubblico presente all’udienza, tra cui i membri di famiglie di soldati caduti durante il conflitto. "È troppo tardi", ha gridato per tutti una voce femminile. Blair ha fatto marcia indietro anche riguardo un paragone fatto un anno fa tra Saddam Hussein e Adolf Hitler: "Non volevo suggerire che Saddam fosse Hitler", ha dichiarato. L’Iran. Nella seduta, durata quattro ore, l’ex premier ha ripetutamente fatto cenno alla "minaccia" rappresentata dall’Iran. Alla domanda di sir Chilcot se l’intervento in Iraq non abbia reso la situazione peggiore e spinto altri Paesi a sviluppare armi nucleari, Blair, che oggi fa l’inviato delle Nazioni Unite nel Medio Oriente, ha risposto: "Non credo proprio". "L’Iran – ha proseguito – ci pone di fronte a sfide incombenti. Conosco bene il Medio Oriente, ci vado spesso, e spesso noto l’impatto e l’influenza dell’Iran ovunque. È un’influenza negativa, destabilizzante e che nutre i gruppi terroristici". La nota a Bush. Le prime due ore dell’udienza si sono concentrate, come prevedibile, sulle ragioni che spinsero l’ex premier a dichiarare guerra all’Iraq. In particolare Blair è stato messo sulla graticola da Chilcot per una nota che scrisse al presidente americano George W Bush otto mesi prima dell’inizio del conflitto in cui aveva scritto: "Puoi contare su di noi". Blair ieri ha detto quello che molti hanno sempre sostenuto nei suoi confronti, ovvero di aver assicurato il suo "forte impegno" a fare ciò che era necessario "per disarmare Saddam", a prescindere dalle preoccupazioni legali. La nota, che è stata vista dai membri della commissione, rimarrà però segreta nonostante sir Chilcot ne abbia chiesto ripetutamente la pubblicazione. Blair ieri ne ha così sintetizzato il contenuto: "Saremo al tuo fianco in questo e non ci ritireremo quando la situazione diventerà difficile. Ma ci sono difficoltà e la strada delle Nazioni Unite è quella da intraprendere". La legalità della guerra. Blair ha inoltre ammesso di non aver tenuto conto del parere dell’allora procuratore generale, lord Goldsmith, sulla legalità del conflitto in quanto si trattava di un parere "provvisorio". Il 14 gennaio 2003, Goldsmith inviò a Blair un parere legale in sei pagine secondo il quale la risoluzione 1441 dell’Onu che certificava le violazioni dell’Iraq ai suoi obblighi di disarmo non era sufficiente per scatenare la guerra. In un memorandum presentato a sir Chilcot, Blair ha ieri spiegato che in quel preciso momento "non eravamo allo stadio di una richiesta formale di parere". "Per questo – ha proseguito – ho continuato a mantenere la posizione che un’altra risoluzione non era necessaria". Blair era convinto, ha continuato, che Goldsmith avrebbe "cambiato idea una volta venuto a conoscenza dei dettagli dei negoziati condotti da britannici e americani". A quel punto, ha concluso, "avrebbe capito che la risoluzione 1441 voleva proprio dire che se Saddam Hussein avesse violato le richieste internazionali ciò avrebbe riportato in vigore precedenti risoluzioni sull’autorizzazione della forza". A testa alta. A parte il rimorso espresso nei confronti delle vittime, Blair non è apparso assolutamente scalfito da questa nuova udienza. Ha ripetuto che il conflitto e la rimozione di Saddam Hussein erano per lui "la cosa giusta da fare". Non ha contraddetto precedenti dichiarazioni, non ha fatto gaffe, non si è mostrato commosso. Ha ribadito che, anche se le armi di distruzioni di massa non sono mai venute alla luce anche dopo il conflitto, non potrà mai rammaricarsi di aver contribuito ad abbattere "un leader brutale" e aver dato un "futuro migliore agli iracheni". Elisabetta Del Soldato
21 gennaio 2011 LA RIVOLTA Tirana, la polizia spara sulla folla: tre morti Tre manifestanti morti, uccisi da colpi d’arma da fuoco "sparati da molto vicino", e più di venti i feriti. Mentre sono 17 gli agenti di polizia medicati all’ospedale militare della capitale. La protesta politica incendia l’Albania e lo scontro di piazza si sporca di sangue nel cuore di Tirana, sul lungo boulevard Deshmoret e Kombit, un tempo il lungo viale dedicato a Joseph Stalin, dove si affacciano uffici e ministeri. E proprio il Palazzo del governo del primo ministro Sali Berisha era l’obiettivo della manifestazione di ieri organizzata dal Partito socialista all’opposizione e poi degenerata nella violenza. Quando ai cori contro il governo, accusato di essere corrotto, si sono aggiunti sassi, bastoni e gli ombrelli scagliati dai dimostranti, i poliziotti hanno risposto con lacrimogeni e idranti per disperdere una folla stimata in almeno 25mila persone. La situazione è subito sfuggita di mano e a terra sono rimasti morti e feriti, un pesante bilancio di vittime: quei tre corpi peseranno e renderanno ancora più esasperata una tensione che già cova da parecchio tempo. Da quei risultati delle elezioni legislative del giugno del 2009 che i socialisti albanesi non hanno mai voluto sottoscrivere perché considerate "il risultato di una frode" che si è rivelata a favore del partito democratico per una risicata manciata di voti. E se poi dovesse essere confermato quello che ha certificato il direttore dell’ospedale militare di Tirana e cioè che le tre vittime civili "sono stati uccisi da colpi d’arma da fuoco sparati a distanza ravvicinata", la situazione si potrebbe complicare ulteriormente se nel lutto si dovesse ravvisare una intenzionalità, una provocazione: colpire così pesantemente per incendiare gli animi ancora di più. La manifestazione di ieri era stata programmata dal Partito socialista che è all’opposizione ed è guidato dal sindaco di Tirana Edi Rama, il diretto avversario del primo ministro Berisha a capo del Partito democratico: "Non vogliamo prendere il potere con la forza e senza elezioni", arringava il sindaco Rama alla piazza dei manifestanti che fronteggiavano gli agenti in assetto antisommossa. "Il governo – aveva poi aggiunto – deve dare le dimissioni e aprire la strada a nuove elezioni anticipate. È la sola soluzione per far tornare il Paese alla normalità". Da li a poco c’è invece stato lo scontro. Da prima con un piccolo gruppo di manifestanti che però si è successivamente trasformato in una massa di persone che gridavano "Vittoria" e "Se ne vada", invito rivolto al primo ministro Berisha che però ieri pomeriggio era in visita in una località del nord dell’Albania. Già la settimana scorsa c’erano state iniziative di protesta che hanno fatto da anticamera alla giornata di ieri, dopo che il vicepremier e ministro dell’Economia Ilir Meta si era dimesso perché coinvolto in uno scandalo per corruzione. Una bufera scatenatasi con la diffusione di un video che mostrerebbe Meta mentre fa pressioni per nomine di persone a lui legate e per concessioni di licenze ed appalti, in cambio di tangenti: "Sulla vicenda è stata già avviata un’inchiesta e di fronte alla giustizia io vorrei essere un semplice cittadino come tutti gli altri", dichiarava il vicepremier nell’annunciare le proprie dimissioni. A Tirana la calma è tornata in serata quando la polizia ha ripreso il controllo del centro della capitale. Il capo dello Stato albanese Bamir Topi ha fatto appello alla calma: "Tutte le forze politiche devono tranquillizzare i loro sostenitori e garantire il ripristino dell’ ordine pubblico dando sostegno alle forze di polizia". Analogo invito alla calma è stato lanciato anche dal capo dell’opposizione Rama che ha però ha accusato il governo di aver attuato "provocazioni contro una pacifica protesta". L’8 maggio l’Albania andrà al voto per le amministrative. Un test politico che sarà di rilevanza politica, considerando che la capitale Tirana, da 12 anni, è una roccaforte controllata dai socialisti di Edi Rama. Claudio Monici
2011-01-19 19 gennaio 2011 UN PAESE AL BIVIO Tunisia, cade già a pezzi il nuovo governo di unità Un giorno di vita ed è già a pezzi. Il governo di transizione varato lunedì dal premier tunisino Mohammed Ghannouchi ha perso, ieri, cinque ministri. La presenza nella formazione di quattro ministri vicini all’ex presidente Ben Ali, per giunta in ruoli chiave (Interni, Esteri, Difesa e Finanze) non è piaciuta alla gente e non è piaciuta agli stessi membri del neo-esecutivo. I tunisini sono scesi in piazza nella capitale per manifestare il loro malcontento. La polizia in assetto antisommossa è di nuovo intervenuta con idranti, lacrimogeni e spari in aria per disperdere la folla. Ma la pressione della piazza, come accade da giorni, ha presto incontrato uno sbocco politico. Il più grande sindacato tunisino, l’Ugtt (che ha avuto un ruolo determinante nella destituzione di Ben Ali) ha detto di "non riconoscere", il nuovo governo e i suoi tre ministri si sono dimessi dai loro incarichi. Si tratta di Houssine Dimassi, titolare della Formazione e dell’impiego; Abdeljlil Bédoui, ministro presso il primo ministro; e Anouar Ben Gueddour, segretario di Stato presso il ministero dei Trasporti. Si è dimesso poi Mustafa Ben Jaafar, ministro della Salute. I quattro ministri non erano presenti ieri alla cerimonia di giuramento del governo. Avrebbe lasciato anche l’ex sindacalista Taieb Baccouch, responsabile dell’Istruzione. La "crisi" però potrebbe presto allargarsi. Anche il partito "Ettajdid" (Rinnovamento) ha minacciato di abbandonare l’esecutivo "se le sue rivendicazioni non saranno soddisfatte rapidamente". Ed è sul piede di guerra il movimento islamista "Ennahdha" ("Rinascita", messo al bando dal vecchio regime), che ha pesantemente criticato il nuovo governo ("è un esecutivo di esclusione nazionale", ha spiegato un portavoce, "che lascia fuori i pilastri della resistenza" al decaduto regime) e annunciato che boicotterà le prossime elezioni. Una posizione inasprita anche della dichiarazioni del premier Ghannouchi, che ieri ha annunciato che il leader di Ennahdha, Rachid Ghannouchi, potrà tornare in Tunisia "solo dopo una legge di amnistia" che annulli la condanna all’ergastolo del 1991 che pende sulla sua testa. Non bastasse, è rientrato a Tunisi, dopo anni di esilio in Francia, Moncef Marzouki, leader storico dell’opposizione al regime, che l’altro ieri aveva definito il nuovo esecutivo "una farsa". Il "fronte" anti-Ghannouchi si sta insomma rafforzando. E il nuovo governo di unità, che dovrebbe traghettare il Paese fino alle presidenziali (tra due mesi secondo la Costituzione, tra sei secondo il neo-premier) si trova davanti una strada tutta in salita. Ieri Ghannouchi ha cercato di giustificare le sue scelte politiche, spiegando che i quattro ministri del passato regime confermati nel suo governo "hanno sempre agito per preservare l’interesse nazionale" e hanno "le mani pulite e una grande competenza". Ha spiegato di aver provato a "dosare le forze politiche in rapporto alle differenze forze attive del Paese". Ha assicurato che tutti coloro che hanno avuto un ruolo nella repressione "ne risponderanno davanti alla giustizia". Ha cercato di ricordare che cosa il Paese si sta lasciando alle spalle, dichiarando che la Tunisia "sembrava gestita dalla moglie di Ben Ali". Lui e il presidente Foued Mebazaa si sono infine dimessi dal partito Rcd, che era guidato dal rais, per tentare di placare le proteste. Ma difficilmente queste mosse rassicureranno la gente. E alla gente piacerà ancor meno sapere che ieri Ghannouchi ha telefonato a Ben Ali per informarlo sulla situazione del Paese. "Gli ho riferito che c’è un rifiuto totale del suo regime e delle personalità che appartenevano al suo governo", ha sottolineato il premier. Ma quel contatto è stato considerato da molti un "tradimento". E rischia di esacerbare ancora di più la piazza in una situazione già sul filo del rasoio. E che sta contagiando altri Paesi africani. Continuano infatti gli episodi di emulazione del giovane disoccupato che a novembre era dato fuoco in Tunisia innescando la rivolta. In Egitto, un uomo si è incendiato al Cairo, e lo stesso ha fatto un ragazzo ad Alessandra, che è morto per le ustioni riportate. In Algeria, invece, si è dato fuoco un padre disoccupato di sei figli. Barbara Uglietti
19 gennaio 2011 MISSIONE ISAF Afghanistan, la salma dell'alpino rientra domani a Ciampino Il rientro della salma di Luca Sanna, il militare deceduto ieri, 18 gennaio, in Afghanistan è previsto per domani, 20 gennaio alle ore 9.30 presso l'aeroporto di Ciampino. LA CRONACA DELLA TRAGEDIA Non è stato "fuoco amico" ma un "terrorista in divisa" dell’esercito afghano. Il ministro della Difesa Ignazio La Russa ieri pomeriggio si è precipitato davanti a telecamere e registratori a rettificare una prima indiscrezione, attribuita a fonti della Difesa. Una sparatoria "all’interno dell’avamposto" di Highlander, a circa 10 chilometri dalla base principale a Bala Murghab, nell’Afghanistan occidentale. L’ennesima tragedia per un nostro militare a soli 18 giorni dall’attacco nel Gulistan costato la vita il 31 dicembre al caporal maggiore Matteo Miotto. La notizia veniva data dallo stesso ministro mentre era in corso a Vigna di Valle la cerimonia di avvicendamento al vertice del nostro stato maggiore. Si parlava subito di due feriti, uno dei quali – l’alpino Luca Sanna, colpito alla testa – era "appeso a un filo". Qualcosa di poco chiaro nella dinamica: un indizio che ha fatto pensare alle più inquietanti ipotesi e la peggiore, quella di un omicidio compiuto da "fuoco amico", era pure rilanciata da qualche "gola profonda" anonima. Negli stessi minuti giungeva la notizia che il caporal maggiore Luca Sanna, 32 anni, dell’ottavo reggimento alpini della Julia di stanza a Cividale del Friuli ma originario della provincia Oristano, non ce l’aveva fatta. Un lunghissimo "quarto d’ora" per il ministro La Russa, costretto dalle circostanze a bruciare tempi e protocollo anticipando i primi dettagli alla stampa e non alla Camera, convocata per questo pomeriggio. Questi i primi dettagli riferiti: nell’avamposto, costituito da due casematte occupato di norma da 12 italiani e 8 afghani in addestramento, uno di questi si è avvicinato ai due alpini facendo cenni amichevoli e indicando il suo fucile come se fosse inceppato. Quando è giunto a pochi passi l’attentatore "ha esploso repentinamente dei colpi" contro gli italiani riuscendo poi a dileguarsi nonostante una risposta al fuoco. Due le ipotesi, la seconda per il ministro la meno probabile: che si fosse "mascherato con la divisa afghana" riuscendo a raggiungere l’avamposto posto in una zona periferica proprio per colpire i nostri militari, oppure che si fosse infiltrato "ab origine" nell’esercito afghano con l’intenzione di colpire dopo aver superato il periodo di addestramento. Ma è stato "fuoco nemico. Poco ma sicuro", ha puntualizzato il ministro della Difesa assicurando la massima trasparenza e collaborazione con i vertici militari. La Russa ha sottolineato come da qualche tempo a questa parte è scesa in maniera significativa la minaccia degli ordigni esplosivi mentre è cresciuto in maniera esponenziale il numero degli attacchi con armi leggere anche se è la prima volta che gli italiani sono colpiti in questo modo. Una emergenza di cui il titolare della Difesa ha discusso in loco con il comando militare italiano durante la sua recente visita nel teatro operativo. Allo studio una riduzione dei turni negli avamposti, attualmente di due settimane. L’episodio "non mette in discussione la permanenza del contingente nella missione Isaf, ma impone di valutare giorno per giorno le condizioni in cui si opera", ha concluso il ministro. "Gravi" secondo lo stato maggiore le condizione di Luca Barisonzi, l’italiano ferito: la tac ha evidenziato una lesione midollare ed è necessario un intervento chirurgico. L’alpino, pure lui della Julia, è ricoverato presso l’ospedale di Camp Arena, a Herat, ma sarà trasferito al più presto a Kandahar. Sull’episodio la procura di Roma ha aperto un fascicolo. L’attacco mortale di ieri ha portato a 36 il numero delle vittime italiane cadute nella missione internazionale in Afghanistan. Luca Geronico
2011-01-18 18 gennaio 2011 IL PAESE AL BIVIO Tunisia, governo nuovo "a metà" Alla mattina presto erano di nuovo in strada nel centro di Tunisi e anche questa volta con una richiesta politica molto precisa: evitare che nel nuovo governo di unità nazionale entrassero esponenti dell’Rcr (il Raggruppamento costituzionale democratico) dell’ex presidente Ben Ali. Determinati a non farsi scappare l’opportunità storica di indirizzare il proprio destino, migliaia di tunisini non hanno mollato la presa nemmeno ieri. E mentre il premier incaricato Mohammed Ghannouchi annunciava la sua formazione, si sono fatto sentire con forza. Non è stata una giornata facile. Perché le autorità tunisine, seppure liberate dalla mano pesante del regime collaudato dai 23 anni di Ben Ali, sono intervenute più volte per contenere la rabbia della gente. Colpi in aria, idranti e lacrimogeni hanno macchiato il cielo nella capitale e nelle altre città del Paese. A Biserta un civile è stato ucciso da un cecchino. Portando a 78, secondo i conti delle autorità, le vittime degli scontri. Alla fine, comunque, l’atteso governo è nato, accompagnato da una lunga serie di dichiarazioni concilianti con cui il neo-premier ha inteso segnare il punto di svolta. Resta ora da vedere come la folla, attenta e con i nervi scoperti, accoglierà la lista. Di certo Ghannouchi ha provato a rompere con il passato, escludendo dalla sua formazione i partiti vicini al precedente governo e facendoci entrare i leader dell’opposizione. Solo tre, però: il fondatore del Partito democratico progressista , Najib Chebbi, nel ruolo di ministro per lo Sviluppo regionale; Mustafa Ben Jafaar, leader dell’Unione per la libertà e il lavoro, alla Salute; Ahmed Ibrahimi, leader degli ex comunisti dell’Ettajdid, all’Istruzione superiore. Confermati, però, quattro ministri del precedente esecutivo: il titolare degli Interni, Ahmed Friaa (insediato solo la scorsa settimana da Ben Ali nell’estremo tentativo di riprendere in mano il controllo del Paese), quello degli Esteri Kamel Morjane, quello della Difesa Rida Qarira e quello delle Finanze. Il premier ha anche deciso di abolire del tutto il ministero della Comunicazione, che era stato più volte accusato dai partiti di opposizione di essere uno strumento del deposto presidente per impedire la libertà di stampa. Ghannouchi ha poi annunciato, nell’ordine, che il nuovo governo libererà tutti i detenuti politici; che aprirà inchieste sulle persone sospettate di corruzione; che saranno riconosciuti i partiti prima considerati fuorilegge, e ai quali era stato proibito di partecipare alla vita politica; che verrà garantita "totale libertà" di stampa e di diritti umani. "Vogliamo traghettare il Paese verso la democrazia", ha detto il premier. Spiegando però che non basteranno i due mesi previsti dalla Costituzione per indire le presidenziali: "Ci vorranno almeno sei mesi", ha precisato. Il nuovo governo dovrà intanto superare il vaglio della piazza. E già sono arrivate le prime critiche. Secondo lo storico oppositore tunisino Moncef Marzuki (che intende candidarsi alle prossime presidenziali) la formazione presentata ieri è una "pagliacciata". "La Tunisia meritava molto di più" ha dichiarato, rilevando che il nuovo governo "di unione nazionale ha solo il nome, perché in realtà, è composto da membri del partito della dittatura". Il ministro degli Interni Friaa, facendo il punto in diretta Tv sulla situazione della sicurezza nel Paese, ha detto "la situazione sta tornando gradualmente alla calma", e che "l’80% delle attività commerciali è pronta a riaprire". Ma la Tunisia si affaccia con preoccupazione sul suo nuovo futuro. Barbara Uglietti
18 gennaio 2011 Non basta fermare il fondamentalismo, serve una politica lungimirante L'interessata cecità dell'Europa ha condannato il Maghreb alla rivolta Un nuovo governo che assicuri una pacifica e democratica transizione, un processo elettorale inclusivo che corregga gli errori del passato". Nell’auspicio formulato ieri dall’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea Catherine Ashton si racchiude - pur nell’encomiabile disponibilità a fornire "la necessaria assistenza per aiutare le autorità tunisine per far fronte alle necessità più urgenti" – il suo poco onorevole rovescio, ovvero la pluridecennale cattiva coscienza dell’Europa. Tunisia, Algeria, Egitto, Marocco, Libia: il grande Maghreb che l’Europa si è messo letteralmente sotto i piedi, come fosse la polvere da nascondere sotto il tappeto, chiudendo gli occhi di fronte alle pseudo-democrazie che si affacciano sul Mediterraneo, alla risicata per non dir evanescente tutela dei diritti umani che in molte di esse alberga, attenta – l’Europa – soprattutto a due tornaconti: quello degli affari e quello della lotta al fondamentalismo e al terrorismo di matrice islamica. Perché per molte nazioni europee questo è stato essenzialmente il patto del silenzio: turarsi il naso di fronte a questi regimi invecchiati e cristallizzati nelle proprie dinastie, nelle proprie monarchie ereditarie mascherate da democrazie parlamentari in cambio della garanzia che il pugno di ferro delle tante occhiute polizie, dei tanti Mukhabarat (quei servizi di sicurezza così efficienti, pervasivi e temuti) circoscrivesse la peste del terrorismo. Il che in effetti - il ministro Frattini ha ragione - ha funzionato, non c’è dubbio, anche se forse insieme all’eversione jihadista si è strangolata in buona parte la possibilità di un’evoluzione democratica. Fino a quando, dall’Atlante a Suez, una marea montante costituita essenzialmente da giovani – mossa dall’aumento dei prezzi del pane e dall’alto tasso di disoccupazione, ma più ancora dalla mancanza di speranze, una marea parente prossima dei casseurs francesi di ben nota memoria – ha acceso una protesta che per noi europei è soprattutto un lancinante segnale d’allarme e insieme un atto d’accusa – come giustamente rileva il nostro ministro degli Esteri – per il sostanziale fallimento dell’Unione per il Mediterraneo. Nata nel 1995 avendo come finalità la cooperazione e il dialogo fra le due sponde del Mare Nostrum, essa ha dovuto attendere il 2008 per il proprio battesimo ufficiale sotto la presidenza francese a causa dell’instabilità del Medio Oriente e dei tanti conflitti – dal Libano a Gaza – che hanno dominato la regione. Il che ha generato un drammatico ritardo nell’evoluzione dei rapporti fra Europa e Paesi arabi mediterranei, lasciando spazio solo agli appetiti (e alle inevitabili rivalità) delle singole nazioni al posto di una politica comune. Per questo appare oggi francamente tardivo il mea culpa del governo francese per aver sottovalutato l’esasperazione dell’opinione pubblica tunisina ed essere rimasto pilatescamente spettatore della rivolta, preoccupato unicamente di non apparire come il "gendarme del Mediterraneo". "L’Europa – spiega invece il presidente Napolitano – deve dare risposte concrete e convincenti alle attese delle popolazioni tunisine ed algerine". Ma finora l’Europa – e non stiamo certo parlando dell’Italia, o della Spagna – è stata sfrontatamente sorda di fronte alle emergenze che nascevano nel Mediterraneo. Pensiamo solo al problema dell’immigrazione clandestina, che a più riprese Bruxelles ha derubricato come un fastidio locale, anzi, una negligenza da attribuire all’inefficienza di greci, maltesi, italiani e spagnoli, come se le frontiere meridionali dell’Unione Europea non riguardassero il club delle nazioni a nord delle Alpi. I risultati, oggi, sono sotto i nostri occhi. Vorremmo poter pensare che anche a Bruxelles, a Berlino, a Stoccolma - fra una disputa e l’altra sui direttorati ancora da assegnare, fra i maneggi per barattare il sostegno tedesco al fondo di salvataggio con la poltrona di presidente della Bce – qualcuno spalanchi gli occhi su questi rumorosi ma indispensabili vicini di casa, oggi in cerca di un futuro e di una modernità finora sfuggita di mano, domani partner commerciali e politici di un’Europa migliore di quella che abbiamo oggi. Giorgio Ferrari
2011-01-17 17 gennaio 2011 TUNISIA Tunisi nel caos, esercito contro le guardie di Ben Ali Battaglia a Cartagine, di fronte al palazzo presidenziale e una domenica pomeriggio di sparatorie, con l'incubo dei cecchini, nel centro di Tunisi. In serata l'esercito ha circondato il palazzo della presidenza della repubblica, all'interno del quale sono asserragliati uomini della Guardia presidenziale, fedelissima di Ben Ali. Uomini che, fino al momento del suo arresto due giorni fa, rispondevano al generale Ali Seriati. Oggi si è appreso che l'alto ufficiale sarà incriminato per incitamento alla violenza e minaccia alla sicurezza nazionale. I militari assediano il complesso presidenziale, affiancati dalla polizia, mentre elicotteri sorvolano la zona. Nel centro di Tunisi il pomeriggio è stato un inferno. Si è sparato per oltre un'ora, con cecchini appostati sui tetti. Nel primo pomeriggio, davanti alla sede del Partito democratico progressista (Pdp), il principale partito d'opposizione, la polizia ha trovato armi in un taxi giallo. Sono stati sparati colpi in aria e sono stati effettuati arresti, anche di due svedesi, si è detto. Ma poi si è saputo che erano cacciatori. Più tardi sono comparsi blindati nella centralissima avenue Bourghiba. Ma l'intera giornata è stata caratterizzata da notizie drammatiche e non solo a Tunisi: già in mattinata circolavano voci su raffiche sparate nella notte da veicoli in corsa, anche ambulanze e taxi, con a bordo uomini mascherati, in diverse località periferiche di Tunisi. Al riguardo la polizia sconsiglia l'utilizzo di autovetture a noleggio, distinguibili per la targa di colore azzurro, in quanto verrebbero utilizzate anche per il trasporto di armi. Il tutto viene ricollegato a gruppi, definiti "terroristi", di fedelissimi - e tra questi appartenenti ai corpi di polizia - dell'ex presidente Ben Ali. Oggi ha fatto grande scalpore anche la notizia dell'arresto di un altro componente della temuta e odiata famiglia Trabelsi, il clan di Leila, moglie di Ben Ali: Murad Trabelsi è stato prelevato in un palazzo nel quale si era rifugiato a Laouina, un quartiere residenziale semi-centrale. Un altro fratello dell'ex first lady, il potente uomo d'affari Imed Trabelsi, è morto dopo essere stato pugnalato due giorni fa. Sarà annunciata oggi la composizione del nuovo governo tunisino dopo la deposizione dell'ex presidente Zine El Abidine Ben Ali, costretto ad abbanondare il Paese venerdì dopo una rivolta popolare in corso da un mese. Secondo esponenti dell'opposizione, nel nuovo esecutivo non saranno inclusi partiti vicini al presidente caduto in disgrazia dopo 23 anni al potere. Dopo un incontro con i leader dei principali partiti di opposizione, il premier Mohammed Ghannouchi ha deciso di escludere i partiti vicini al precedente governo.
15 gennaio 2011 LA FUGA DI BEN ALI Tunisia ancora nel caos "Governo di unità nazionale" All'indomani degli scontri e della fuga dalla Tunisia del presidente Ben Ali, che si è rifugiato in Arabia Saudita, i poteri presidenziali sono passati dal primo ministro al presidente del Parlamento, Foued Mebazaa, mentre il centro di Tunisi è sotto un cappa di "calma tesa". Già alla sua periferia però in scontri avvenuta sabato mattina una persona sarebbe rimasta uccisa e a Monastir, sulla costa, un carcere è in fiamme; il bilancio è particolarmente pesante: le vittime sono almeno 57. Arrestato il genero di Ben Ali, Mohamed Sakhr El Materi, deputato e uomo d'affari: a riferirlo è la tv tunisina 'Nesmà.El-Materi è a capo di una holding economica in Tunisia che comprende anche banche e giornali. Nei giorni scorsi si rincorrevano le voci di una sua fuga in Canada con la famiglia, smentita da lui stesso con un video diffuso su Facebook.
Nella capitale ci sono mezzi militari ovunque, blindati con mitragliatrici che segnano una presenza dell'esercito fino a ieri quantomeno non così visibile. Visibili sono anche i segni degli scontri di sabato, in centro come in periferia: sulla centrale avenue Borguiba rimangono le tracce con decine di scarpe abbandonate lungo le strade laterali dei dimostranti messi in fuga dalle forze dell'ordine. Mentre alle porte della città un centro commerciale preso d'assalto ieri è stato saccheggiato. In periferia oggi ancora scontri che hanno provocato anche un morto, riferisce al Jazira. Intanto si delineano i contorni della situazione istituzionale: sabato il presidente del Parlamento tunisino ha assunto temporaneamente i poteri presidenziali ed è stato annunciato che nuove elezioni presidenziali si "dovranno tenere entro i prossimi 60 giorni". Venerdì, invece, la carica di presidente ad interim era stata affidata, con un decreto firmato da Ben Ali, al primo ministro Mohammed Ghannouchi, con la motivazione che esisteva una "temporanea impossibilità" del presidente a svolgere il proprio mandato. Appena insediatosi come presidente tunisino ad interim, Fouad Mebazaa ha formalmente incaricato il premier Mohamed Ghannouchi di dare vita a un esecutivo di coalizione. "Ho chiesto al primo ministro di formare un nuovo governo di unità nazionale", ha annunciato lo stesso Mebazaa dopo la cerimonia del giuramento. Un accordo in tal senso era già stato raggiunto da Ghannouchi nel corso delle consultazioni avute dalla matinata con le forze di opposizione; la composizione della compagine governativa sarà decisa domenica, nel corso di ulteriori colloqui. Un governo unitario, ha sottolineato ancora il capo dello Stato ad interim, "è necessario nel più alto interesse del Paese". Mebazaa si è quindi impegnato a fare sì che "tutti i cittadini tunisini, senza alcuna eccezione nè esclusione, debbano essere coinvolti nel processo politico nazionale". In base alla Costituzione, nuove elezioni presidenziali dovranno tenersi in Tunisia non prima di 45 giorni ma non oltre sessanta da oggi. In tutto il Paese regna tuttavia l'incertezza, sebbene l'agenzia di stampa ufficiale tunisina abbia comunicato che lo spazio aereo è aperto e che gli aeroporti sono operativi, non si hanno notizie al momento di arrivi o partenze. A Monastir una prigione è in fiamme e ci sarebbero decine di morti, 57 accertati secondo al Jazira. Molti sarebbero i detenuti fuggiti approfittando dell'incendio. Voci si rincorrono intanto sulla morte di cinque persone a Madhia, uno dei più noti centri balneari della costa centrale della Tunisia, che sarebbero state uccise dalle forze di sicurezza la scorsa notte per non aver rispettato le disposizioni entrate in vigore ieri con lo stato di emergenza. Non vi sono comunicazioni ufficiali. È invece certa la notizia relativa all' incendio di uno dei posti di polizia della città. Negli alberghi, secondo quanto riferisce un'imprenditrice nel settore del turismo, vi sono numerosi italiani e la situazione, per quanto li riguarda, è tranquilla. Intanto più di cento persone - tra artisti, operai, donne e bambini - del Circo Italiano Bellucci, da tre mesi in tournee in Tunisia, sono bloccati dagli scontri divampati a Sfax, località a 300 km da Tunisi. La Farnesina, tramite l'ambasciata d'Italia a Tunisi e l'Unità di crisi, sta seguendo il loro caso - come quello di tutti i connazionali presenti in Tunisia. L'UNIONE EUROPEA L'Unione europea ha lanciato un appello a tutte le parti tunisine perché prevalga la volontà di dialogo allo scopo di dare alla crisi in corso una soluzione democratica duratura, per la quale si impegna a dare il sostegno necessario. In una dichiarazione congiunta, l'alto rappresentante della politica estera della Ue Catherine Ashton e il commissario Ue all'allargamento Stefan Fule lanciano un appello affinché le parti in causa diano prova di "moderazione e restino calme allo scopo di evitare nuove vittime e violenze". "Il dialogo è la chiave", affermano Ashton e Fule. "Noi confermiamo il nostro impegno con la Tunisia e il suo popolo e la nostra volontà ad aiutarli per trovare una soluzione democratica duratura alla crisi in corso". L'Unione europea continua a seguire gli avvenimenti in Tunisia con grande attenzione. LA FARNESINA Non risultano né vittime né feriti di nazionalità italiana negli scontri in Tunisia mentre, fa sapere la Farnesina, "si registrano invece danni a strutture di alcuni imprenditori italiani, in un contesto nel quale molte imprese, tunisine e straniere, hanno subito saccheggi e atti di vandalismo". La Farnesina, tramite l'Ambasciata d'Italia a Tunisi e l'Unità di crisi - si legge in una nota del ministero - sta seguendo ininterrottamente l'evoluzione della situazione in Tunisia per assicurare la più efficace assistenza ai connazionali che si trovano in tale Paese sia in qualità di residenti che di viaggiatori temporanei.
2011-01-15 14 gennaio 2011 LA RIVOLTA DEL PANE Il presidente Ben Ali lascia la Tunisia Stato d'emergenza in tutto il Paese Il presidente tunisino Zin el-Abidin Ben Ali ha lasciato il Paese. Lo ha annunciato la tv di Stato. Il presidente del Parlamento tunisino, Fouad el-Mabzaa, ha assunto temporaneamente la guida del Paese per traghettare la Tunisia verso le elezioni anticipate. Secondo l'emittente Al-Jazeera sarebbero stati arrestati alcuni familiari della moglie del presidente in fuga. La notizia è arrivata alla fine di una giornata carica di tensione. Il presidente tunisino aveva dichiarato lo stato di emergenza e avvisato che avrebbe aperto il fuoco contro i manifestanti, nel tentativo sempre più affannoso di sedare le rivolte. La televisione di Stato aveva annunciato che Ben Ali aveva sciolto il governo e indetto nuove elezioni entro sei mesi. Ben Ali ieri aveva annunciato che avrebbe lasciato la presidenza alla fine del 2014, dopo 23 anni di potere, allo scadere del suo quinto mandato. Le autorità avevano imposto un coprifuoco dalle 17 alle 7 del mattino, mentre i mezzi dell'esercito circondavano l'aeroporto internazionale della capitale. Air France ha annunciato di aver temporaneamente sospeso tutti i voli per Tunisi. Intanto fonti mediche e testimoni mettono assieme il bilancio degli scontri avvenuti la notte scorsa nella capitale e nella cittadina di Ras Jebel, nel nordest: 12 morti, dieci dei quali nella sola Tunisi. Circa 8000 persone si sono riunite stamani fuori dalla sede del ministero dell'Interno, gridando: "Ben Ali, vattene", "Ben Ali, assassino". La folla, composta soprattutto da giovani, ha scagliato sassi contro la polizia che ha risposto con lacrimogeni. Le proteste sono proseguite oggi anche a Sidi Bouzid, la città al centro del paese dove è nato il movimento di rivolta. Diversi paesi, tra cui Gran Bretagna e Usa, hanno sconsigliato ai propri cittadini di recarsi in Tunisia, minacciando così il turismo, la prima risorsa del Paese.
2011-01-13 13 gennaio 2011 MAGHREB IN FIAMME Tunisia, continuano i disordini "14 morti e numerosi feriti" Sarebbe di 14 morti il bilancio delle vittime degli scontri tra polizia e manifestanti in diverse città della Tunisia. Secondo quanto riferiscono fonti dei sindacati tunisini alla tv araba al-Jazeera, oltre alle cinque vittime delle violenze a Douz, nel sud del Paese, si contano morti anche a Hammamet e a Sfax, dove c'è stata la più grande manifestazione di protesta dell'ultimo mese con 100mila persone in piazza. Sempre secondo le stesse fonti, nel corso della notte gruppi di giovani hanno violato il coprofuoco uscendo in strada nella periferia di Tunisi. Secondo quanto riferisce al-Jazeera, gli spari sono stati sentiti nei quartieri dove i giovani hanno deciso di violare il coprifuoco, scendendo in strada e provocando nuovi disordini. Una di queste zone è appunto quella di Ettadhamen, dove due notti fa si sono registrate le prime violenze che hanno riguardato la capitale. Alcuni testimoni citati dai siti vicini all'opposizione riferiscono che ieri notte una persona è stata uccisa, dopo essere stata raggiunta da un proiettile. Ad Hammamet, un testimone ha riferito di aver assistito alla morte di un dimostrante 27enne colpito dal fuoco della polizia. Sempre secondo i siti dell'opposizione tunisina su Internet, si sarebbero registrati scontri anche a Sfax - ora sotto il completo controllo dell'esercito - dove diverse persone sono rimaste ferite in seguito all'intervento della polizia per un incendio appiccato dai manifestanti alla sede locale del partito di governo. Fiamme anche a Tozeur: nella città turistica alle porte del Sahara è stato incendiato il palazzo del Tribunale. L'ESERCITO PRESIDIA LA TV DI STATO Violenze si sono registrate nel centro di Tunisi dove la polizia ha lanciato di gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti. Secondo l'emittente satellitare al-Jazeera l'esercito presidia la sede della televisione di Stato, il Consiglio dei ministri e la strada principale della città intitolata a Habib Burghiba. Il presidente Ben Ali, riferisce ancora al-Jazeera, ha convocato per giovedì pomeriggio il Parlamento per discutere della situazione. Intanto si susseguono su internet voci non confermate di un possibile golpe militare in Tunisia in seguito al rifiuto dell'esercito di eseguire gli ordini del presidente Ben Ali di disperdere i manifestanti. È quanto scrive il sito del quotidiano egiziano El Wafd, il quale riferisce anche di altre voci secondo le quali la moglie del presidente tunisino sarebbe fuggita negli Emirati Arabi con le figlie per paura di un colpo di stato. Di colpo di Stato parla anche un blogger tunisino secondo il quale ci sarebbe anche un incendio nella sede del Parlamento e del ministero degli Interni a Tunisi. MINISTRI E MILITARI RIMOSSI Quanto sta avvenendo in Tunisia in questi giorni è un testa a testa continuo e violento tra il governo e il "popolo" che manifesta chiedendo il "risveglio" della Tunisia. Il presidente tunisino, Zin el-Abidin Ben Ali, ha rimosso dall'incarico il ministro dell'Interno, Rafiq al-Hajj. Secondo quanto riferisce la tv araba al-Jazeera, è stato nominato al suo posto Ahmad Faria. Inoltre, le autorità tunisine hanno deciso di formare una commissione d'inchiesta sulla corruzione nel Paese e hanno scarcerato le persone arrestate durante le manifestazioni dei giorni scorsi. Se questi atti del governo potevano sembrare tentativi del governo di dare segnali di distensione, quanto accade nei Palazzi e nelle strade non basta per sedare l'indignazione e la rabbia della gente. A Tunisi, la polizia ha avviato un'operazione contro la sede del sindacato generale dei lavoratori di Tunisi. Secondo quanto riferisce la tv satellitare al-Arabiya, i poliziotti hanno circondato la sede sindacale per arrestare le persone asserragliate all'interno. Negli scontri in corso si registrano tre sindacalisti feriti. Nel frattempo l'appena eletto ministro dell'Interno, Ahmad Faria, ha ordinato l'arresto di un ex detenuto politico scarcerato nel 2002, in prima linea nella rivolta dei disoccupati tunisini. Secondo quanto riporta il sito al-Hiwar.net, vicino all'opposizione tunisina, la polizia ha prelevato dalla sua abitazione Hama al-Hamami, noto come portavoce del Partito Comunista del Lavoro, fuori legge in Tunisia. Con lui è stato arrestato anche il suo avvocato, che si trovava in casa in quel momento. Al-Hamami era stato scarcerato nel 2002. Si era consegnato l'anno prima alle forze di polizia, dopo tre anni di latitanza seguiti a una condanna a nove anni di reclusione per la formazione di un partito fuori legge. Nei giorni scorsi aveva pubblicato sul web diversi interventi video critici nei confronti del governo e a sostegno della rivolta dei disoccupati tunisini. DISUBBIDIENTI Rimosso anche il capo di Stato maggiore dell'esercito, il generale Rashid Ammar, perché si sarebbe rifiutato di usare il pugno di ferro contro i manifestanti scesi in piazza nel corso delle ultime settimane per protestare contro la disoccupazione e il carovita. Secondo quanto riporta il sito informativo tunisino al-Hiwar.net, fonti bene informate sostengono che il generale, nominato proprio da Ben Ali alla guida dell'esercito, sarebbe stato silurato perché si sarebbe rifiutato di eseguire un ordine in occasione di una manifestazione che si è tenuta nei giorni scorsi a Cartagine, città dove risiede il presidente. "Ben Ali gli ha ordinato di aprire il fuoco sui manifestanti o di rinunciare all'incarico di capo di Stato maggiore e il generale ha scelto la seconda opzione", rivela la fonte. Sempre secondo il sito, le cui notizie non trovano conferme ufficiali, l'ufficiale si sarebbe più volte rifiutato di ordinare ai suoi uomini di usare la forza contro i manifestanti e questo avrebbe spinto il presidente tunisino a rimuoverlo dal suo incarico e a scegliere al suo posto il generale Ahmad Shabir, attuale capo dei servizi segreti militari. Il sito parla anche di casi di ammutinamento da parte di reparti della polizia che sarebbero stati costretti a caricare la folla su pressioni dell'esercito. IL SINDACATO COMMENTA LE PROMESSE DI BEN ALI "Non crediamo alle promesse del presidente tunisino Zin el-Abidin Bel Ali e per questo andremo avanti con la protesta". È con queste parole che il sindacalista Masoud Ramadani, dell'Unione generale del Lavoro di Kairouan, commenta alla tv araba al-Jazeera la decisione del capo di Stato tunisino di rimuovere il ministro dell'Interno, dare vita a una commissione che indaghi sulla corruzione nel governo e scarcerare le persone arrestate nelle scorse settimane. "Come possono promettere di rilasciare i detenuti se gli arresti continuano? - si è chiesto Ramadani -. Queste promesse non ci bastano. Le pallottole non cambieranno la voglia del popolo di riforme. Ieri notte i giovani di Tunisi hanno continuato a girare per la città, non rispettando il coprifuoco, perché crediamo che quel provvedimento non sia stato preso nell'interesse del Paese. Chiediamo riforme sociali e economiche". Della stessa opinione si dice anche Bushra Bin Hamida, ex presidente dell'Associazione delle donne tunisine democratiche, che alla tv satellitare al-Arabiya ha affermato di "non credere agli impegni assunti dal governo". "Hanno creato una commissione per indagare sulla corruzione, ma non sappiamo ancora chi ne farà parte - ha detto - e se davvero indagherà su quanto fatto dai membri dell'esecutivo".
13 gennaio 2011 AUSTRALIA Brisbane si sveglia sott'acqua Muore un giovane di 24 anni La terza città più grande dell'Australia, Brisbane sembra esser diventata una "zona di guerra", con interi quartieri sommersi dall'acqua e le infrastrutture distrutte dalla furia delle alluvioni che hanno colpito oltre 30mila abitazioni. Si registra anche un morto, un giovane di 24 anni, che eraa voluto andare a controllare le condizioni della casa di suo padre. In molti sono riusciti a scappare in tempo lasciandosi alle spalle le proprie case e i propri ricordi. Mentre si tenta di fare il punto sui danni delle alluvioni che hanno colpito il Queensland, le autorità sanitarie del Paese hanno avvisato del pericolo di malattie e del possibile aumento di infezioni a causa della presenza di carcasse di animali e dei danni al sistema fognario delle città colpite. Per comprendere la portata delle alluvioni i soccorsi parlano di una zona pari al doppio della grandezza dell'intero Texas. Oltre 100mila abitazioni a Brisbane sono rimaste senza energia e acqua potabile. "Ci aspettiamo che il numero di pazienti con infezioni salga visto che gli alimenti, l'acqua e i servizi igienico-sanitari continuano a essere compromessi", ha spiegato l'Australian Medical Association (Ama). "Sono grata a Madre Natura se non si sono avverate le previsioni più terribili, ma la gente si è svegliata di fronte all'incredibile agonia che sta vivendo la nostra città: interi sobborghi ed edifici, dei quali si vedono solo i tetti, sono sommersi dall'acqua", ha detto a Sky News Anna Bilgh, premier dello Stato.
13 gennaio 2011 UN ANNO DOPO Haiti in bianco per l’anniversario Ma la gente vuole ricominciare Nel fiume che scende dalle colline dietro Port-au-Prince bevono e si lavano uomini e animali. Non c’è altra acqua a Riviere Froid, 20mila abitanti, quasi la metà accorsi dalle colline dopo il sisma e il ciclone Tomas che a novembre ha distrutto i raccolti. È così in tutte le campagne di Haiti, le più depresse delle Americhe. Dove oggi si muore di nascosto. "Il colera arriva in questo modo e la gente si ammala e muore senza che nessuno lo sappia – denuncia padre Leandre Destin, haitiano, superiore della congregazione locale dei Piccoli Fratelli di Santa Teresa – nelle aree rurali del Paese sono già morte 6mila persone oltre alle 4mila decedute nella capitale. In tutto 10mila morti, ma non si dice. I malati sono almeno 200mila". L’epidemia dilaga per ignoranza delle norme igieniche, per la lontananza dagli ospedali e la carenza di latrine e acqua. I Piccoli Fratelli ne sono testimoni: vivono nelle zone più remote dove organizzano corsi quotidiani di prevenzione e distribuiscono bacinelle e amuchina per sciacquarsi le mani e acqua trattata col cloro. La Caritas italiana ha deciso di appoggiare i loro progetti di prevenzione sanitaria e quelli di sviluppo delle comunità delle campagne, per frenare, occupando almeno 1.500 persone, l’esodo verso le tendopoli della capitale. "Abbiamo capito ascoltando i partner locali che in questa fase dovevamo star fuori da Port-au-Prince per provare a decongestionarla – spiega Paolo Beccegato, responsabile dell’area internazionale della Caritas – puntando su sanità, formazione e lavoro e facendo diventare protagoniste le comunità. La priorità è fermare il colera, finora 100mila persone hanno beneficiato dei nostri programmi preventivi". Ad Haiti la Caritas italiana è presente con tre operatori per il coordinamento degli aiuti ed agisce a stretto contatto con la Caritas nazionale caraibica, che ha raggiunto un milione di beneficiari. Con la colletta indetta dalla Cei, l’organismo pastorale della Chiesa italiana, ha raccolto 21,6 milioni di euro avviando 51 progetti per circa 9,3 milioni. Come li ha impiegati? "Siamo in una situazione eccezionale – prosegue Beccegato – perché il sisma, il colera e il ciclone Tomas sommati alla miseria pregressa hanno prolungato l’emergenza oltre ogni limite, costringendo un milione di persone a vivere accampate in condizioni disumane. Volevamo incidere sulla povertà, così mentre 3,2 milioni sono stati destinati all’emergenza e tre milioni alla ricostruzione, per la prima volta abbiamo investito un terzo della somma raccolta in progetti socio economici e formativi". Sostiene il direttore, monsignor Vittorio Nozza, che "statistiche, numeri e voci di budget non raccontano la scelta di mettersi a servizio da compagni di strada e non da maestri". Ad esempio non dicono quanta dignità restituiranno ai terremotati di Lillevoise, a Nord della capitale, i progetti della fondazione Fhrd, composta da cattolici haitiani e da padre Giuseppe Durante della missione degli Scalabriniani. "Abbiamo comperato – afferma il missionario – alcuni terreni adiacenti alla missione per costruire case e rispondere all’emergenza abitativa. Il cantiere impiegherà sfollati mentre la Fondazione Marcegaglia donerà una macchina per fabbricare blocchi di cemento, introvabile sull’isola". Oltre all’edilizia, Fhrd stimolerà formazione professionale e agricoltura dando lavoro a 120 persone in un anno. Né un bilancio calcola l’entusiasmo generato dal dell’economia solidale, progetto di Caritas di Haiti del quale la Caritas italiana ha pagato l’avvio. "Abbiamo fondato – racconta Anis Deiby, responsabile di Ecosol – nelle nostre dieci diocesi altrettante microimprese agricole e di servizi. La Caritas costituirà una cooperativa per erogare microcrediti. Lo scopo è creare nuove filiere produttive". In due anni mille persone troveranno lavoro. L’industria tessile che esporta magliette negli States ne impiega seimila. Si poteva fare di più? Alle accuse di inefficacia risponde la rete Caritas. "Nel primo anno – spiega Jasmine Bates, segretaria delle 11 Caritas nazionali presenti ad Haiti – abbiamo investito 217 milioni di dollari, un terzo nell’emergenza, il resto in formazione, sanità e alloggi provvisori aiutando un milione e mezzo di vittime e lavorando con diocesi e parrocchie. Contando l’intervento anti-colera, abbiamo speso tra il 50 e il 60 per cento del budget. Poco? Senza stabilità politica sfido non si può fare di più". Il braccio caritativo della Chiesa punta sul lungo periodo per impedirci di dimenticare Haiti. Paolo Lambruschi
13 gennaio 2011 DISASTRO AMBIENTALE Brasile, il maltempo causa almeno 250 morti Continua a salire il numero delle vittime nello Stato di Rio de Janeiro, dove le piogge hanno ingrossato alcuni fiumi di almeno cinque metri e si sono verificate oltre 30 frane. Finora il bilancio provvisorio è di almeno 250 morti. Lo hanno reso noto le autorità locali, che hanno definito ''critica'' la situazione di queste ore nella regione. Teresopolis, a un centinaio di chilometri da Rio, è la città più colpita con almeno 130 morti. Qui in 24 ore sono cadute piogge che in media si registrano nell'arco di un mese. Altre 107 persone sono morte a Nova Friburgo e 20 a Petropolis, secondo quanto rendono noto le autorità.
2011-01-12 12 gennaio 2011 MAGHREB IN FIAMME Tunisi, 5 morti negli scontri Destituito ministro dell'Interno Cinque persone sono morte negli scontri in corso a Tunisi tra manifestanti e forze dell'ordine. Lo dice la televisione satellitare Al Jazira. Secondo Al Jazira le cinque vittime, incluso un professore universitario, sono state uccise con colpi di arma da fuoco durante gli scontri fra manifestanti e polizia. L'esercito, riferisce ancora l'emittente satellitare, è dispiegato in varie zone del Paese, ma non partecipa agli scontri. Anche nella notte, secondo testimoni, ci sarebbero state delle vittime. Il ministero dell'Interno tunisino ha decretato il coprifuoco notturno a Tunisi e dintorni in seguito ai disordini in "alcuni quartieri" della capitale. Lo si legge in un comunicato ufficiale. AGGREDITA TROUPE DEL TG3 A TUNISI Una troupe del Tg3 è stata aggredita oggi a Tunisi da alcuni manifestanti, mentre stava documentando le proteste in corso nel centro della città. "I colleghi erano scesi in piazza - spiegano dalla redazione del Tg3 - per seguire una delle manifestazioni, disperse poi dalla polizia con il lancio di lacrimogeni, quando sono stati aggrediti da un gruppo di persone non in divisa. Claudio Rubino è stato colpito e gli è stata strappata la telecamera, Maria Cuffaro è stata spinta a terra, ma entrambi sono riusciti a tornare in albergo. Sembra non sia nulla di grave, anche se ora sono a riposo perché sotto shock". I due giornalisti hanno immediatamente avvisato l'ambasciata italiana dell'accaduto. "Sono anche riusciti a riavere la telecamera, anche se sembra che sia rotta", concludono dalla redazione. SITO EGITTO, VOCI DI POSSIBILE GOLPE MILITARE Si susseguono su internet voci non confermate di un possibile golpe militare in Tunisia in seguito al rifiuto dell'esercito di eseguire gli ordini del presidente Ben Ali di disperdere i manifestanti. È quanto scrive il sito del quotidiano egiziano El Wafd, il quale riferisce anche di altre voci secondo le quali la moglie del presidente tunisino sarebbe fuggita negli Emirati Arabi con le figlie per paura di un colpo di Stato. Di colpo di Stato parla anche un blogger tunisino secondo il quale ci sarebbe anche un incendio nella sede del Parlamento e del ministero egli Interni a Tunisi. IN FIAMME TRIBUNALE TOZEUR La sede del tribunale di Tozeur, città turistica alle porte del deserto del Sahara, è stata data alle fiamme. Lo ha annunciato, nel corso di un'edizione straordinaria, Tunis7, la televisione di Stato tunisina. NOMINATO NUOVO MINISTRO INTERNO Il presidente tunisino Ben Ali ha nominato un nuovo ministro dell'Interno. Lo ha annunciato il premier Mohammed Ghannouchi in una conferenza stampa. Il nuovo ministro dell'Interno è Ahmed Fraa, ex accademico e sottosegretario. Ben Ali, secondo quanto ha detto il primo ministro, ha anche deciso la creazione di una commissione speciale che indaghi sulla corruzione e sui comportamenti di alcuni funzionari pubblici. BEN ALI ORDINA RILASCIO TUTTI ARRESTATI Il presidente tunisino Ben Ali ha ordinato il rilascio di tutte le persone arrestate in seguito ai disordini degli ultimi giorni, ha detto il premier tunisino Mohammed Ghannouci. CLINTON, AUSPICO SOLUZIONE PACIFICA Il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, ha auspicato oggi una soluzione pacifica in Tunisia. "Siamo preoccupati per i problemi e l'instabilità" in Tunisia, ha detto la Clinton in una intervista ad Al Arabiya, dicendosi egualmente preoccupata per "la reazione del governo, che sfortunatamente ha provocato la morte di alcuni giovani dimostranti". "Speriamo ci sia una soluzione pacifica, e che il governo tunisino riesca a trovarla", ha aggiunto il segretario di Stato nel corso della sua visita a Dubai. La Clinton ha poi espresso il proprio rammarico per la convocazione dell'ambasciatore Usa a Tunisi da parte delle autorità del Paese, che hanno espresso la propria "sorpresa" per le posizioni critiche assunte da Washington. FRATTINI, CONDANNA A OGNI TIPO DI VIOLENZA È necessario "condannare senza se e senza ma ogni forma di violenza contro civili innocenti, ma anche sostenere un governo come la Tunisia che ha pagato un prezzo di sangue per il terrorismo: noi siamo sempre dalla parte della lotta al terrorismo". Così il ministro degli Esteri, Franco Frattini, torna a commentare i disordini e gli episodi che stanno coinvolgendo alcuni paesi del Nord Africa sottolineando che la "ricetta" resta quella di sostenere questi Paesi nel creare le condizioni di sviluppo.
12 gennaio 2011 MAGREBH IN FIAMME Tunisia, la battaglia arriva nella capitale Nonostante le promesse televisive del presidente Zine al-Abidine Ben Ali, in particolare quella di 300 mila posti di lavoro per i giovani entro 2 anni, la Tunisia resta sul bordo del caos. Fra repressioni descritte come brutali dai testimoni, diversi focolai di rivolta sempre attivi nell’entroterra e una scia ormai lunga di suicidi giovanili di protesta, i morti si contano a decine nel Paese. E pare sgretolarsi irreversibilmente la regola del silenzio sull’altro volto del regime. Mentre per la prima volta ieri, la violenza ha raggiunto la periferia della capitale Tunisi: i dimostranti hanno attaccato edifici nel quartiere operaio di Ettadamen saccheggiando negozi e dando fuoco ad una banca e un posto di polizia. Gli agenti avrebbero quindi sparato ad altezza d’uomo e, secondo testimoni, vi sarebbero morti e feriti.I dimostranti hanno anche appiccato il fuoco allo stabile che ospita gli uffici della municipalità e in tutta la città è stata interrotta l’erogazione dell’energia elettrica. La polizia, secondo le stesse fonti, ha bloccato tutte le vie di accesso e uscita dalla città. Negli ultimi giorni, l’orrore si è fermato soprattutto a Kasserine, 290 chilometri a sud di Tunisi, capoluogo dell’omonimo governatorato confinante con l’Algeria. La polizia ha sparato sulla folla ed i morti sarebbero almeno una cinquantina, secondo testimonianze concordanti fornite dalla Federazione internazionale delle leghe dei diritti umani (Fidh) e da frange ormai dissidenti della confederazione sindacale Ugtt. In giornata, sono state smentite a più riprese le "stime" fornite dalle autorità, che invece parla di 21 vittime. Il "sabotaggio" più decisivo della versione ufficiale è giunto dal mondo sanitario. L’ospedale locale ha deciso di chiudere simbolicamente per un’ora le proprie corsie "per protestare contro il numero elevato di vittime". Ma pure numerosi cittadini si sono messi al servizio di una verità che filtra da settimane fra l’altro attraverso i network sociali su Internet, dopo diversi casi di giornalisti malmenati anche pubblicamente dalle forze dell’ordine. In alcune città dell’entroterra, come El-Kef e Gafsa, nuove proteste erano scoppiate proprio dopo il discorso televisivo di Ben Ali. Attraverso un paziente lavoro di confronto fra le testimonianze disponibili, si è appreso fra l’altro di cecchini pronti a sparare sulla folla e persino in certi casi sui cortei funebri, o ancora di saccheggi notturni attribuiti da più fonti alla polizia, la quale sarebbe stata persino sorpresa da semplici cittadini a Thala, mentre cercava di vandalizzare una farmacia. Con azioni del genere, il governo cercherebbe di alimentare a tutti i costi la versione ufficiale fornita in televisione da Ben Ali: quella di gruppi "terroristi" e di "saccheggiatori" guidati da una regia internazionale. Nella capitale poca gente si è recata al lavoro. Ma l’entroterra tunisino, resta una pentola a pressione. La tensione è sempre alta ad esempio a Sidi Bouzid, il capoluogo dove l’ondata di rivolte era cominciata lo scorso 17 dicembre. Qui, un nuovo giovane laureato senza lavoro, di 23 anni, si è suicidato gettandosi sui fili dell’alta tensione. Il quinto caso simile in 3 settimane. Intanto, nella scia delle rivolte in Tunisia e anche nella vicina Algeria – dove ha fatto scalpore le dichiarazioni del ministro dell’interno, Daho Ould Kablia per il quale "lo sport preferito dei giovani è la rapina" –, i governi dei Paesi vicini cercano di correre ai ripari. In Giordania il governo vuole evitare che esploda il malcontento popolare e prende misure "immediate" per far calare i prezzi dei generi essenziali: lo ha detto un alto responsabile governativo coperto da anonimato. Mentre per venerdì sono previste manifestazioni di protesta, sotto indicazione di re Abdallah II, il governo si appresta a varare misure che intendono "attenuare l’impatto dell’aumento dei prezzi dei prodotti di base sul livello di vita dei cittadini". Le tariffe dei mezzi pubblici, che dovevano aumentare a causa del rialzo dei carburanti, verranno congelate. I prezzi di riso e zucchero non aumenteranno negli 85 negozi dell’esercito, aperti anche ai civili. Daniele Zappalà
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CORRIERE della SERA
per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.corriere.it2011-08-02 WASHINGTON Sì del Congresso al piano anti-default 269 voti a favore e 161 contro alla Camera. Ok anche del Senato: sì all'aumento del debito di 2.100 miliardi NOTIZIE CORRELATE In Aula anche la democratica Gabrielle Giffords dopo l'attentato di Tucson (2 agosto 2011) MILANO - A poco più di 11 ore dalla scadenza del termine il Senato ha approvato la legge per l'innalzamento del debito Usa con 76 voti a favore e 26 contrari, tra cui, secondo FoxNews, 7 democratici dell'ala liberal delusi dal compromesso raggiunto cui il presidente Barack Obama ha dato il suo imprimatur. Adesso la misura, che consente un aumento del debito di 2.100 miliardi e introduce tagli alle spese per 2.500, andrà entro martedì alla firma del presidente per diventare legge. Ed è proprio Obama ad accogliere favorevolmente la notizia: l'approvazione della legge per innalzare il tetto del debito è "un primo importante passo" ma "l'economia resta fragile" e bisogna "lavorare insieme per tagliare il deficit". "Serve il giusto mix tra taglio del deficit e tasse" ha aggiunto Obama che ha assicurato che "lavorerà per garantire una ripresa più veloce". Il primo via libera era arrivato nella notte tra lunedì e martedì alla Camera, con 269 voti a favore e 161 contrari. Per l'occasione è tornata in aula anche Gabrielle Giffords, la deputata democratica ferita gravemente in gennaio in una sparatoria in Arizona. Il senato approva Obama soddisfatto RISCHIO RATING - La diplomazia è stata al lavoro nei corridoi di Capital Hill l'intera giornata, per raccogliere i voti necessari. L'accordo scongiura il rischio di un default, ma non quello di un downgrade (abbassamento della valutazione) del debito pubblico americano da parte delle agenzie di rating: l'ammontare della misura, un aumento del tetto del debito da 2.100-2.400 miliardi di dollari e tagli per almeno 2.100 miliardi di dollari in 10 anni, è decisamente inferiore ai 4.000 miliardi di dollari identificati da Standard & Poor's per il mantenimento del rating AAA (il migliore). E l'impatto della misura sull'economia, già fragile, preoccupa. "L'accordo è positivo per l'economia, evita altri danni" afferma il segretario al Tesoro, Timothy Geithner. Il presidente della Fed, Ben Bernanke, convoca una riunione del board per discutere di "politiche fiscali e di bilancio". OBAMA - Secondo gli osservatori, la Fed dovrà aiutare ancora l'economia. Barack Obama ha rassicurato: "I tagli saranno graduali, non peseranno e ci consentiranno di continuare a effettuare investimenti in settori che creano occupazione". Ma il presidente non convince i mercati: Wall Street, dopo un balzo iniziale, procede negativa, con la doccia fredda dell'indice Ism manifatturiero sceso ai minimi degli ultimi anni, confermando le difficoltà della ripresa. La crescita americana è lenta e i tagli alla spesa nell'accordo sull'aumento del tetto del debito potrebbero rallentarla ulteriormente. Se ci sarà un downgrade da parte delle agenzie di rating, la frenata potrebbe essere anche più forte. Standard & Poor's ha messo sotto osservazione il rating degli Stati Uniti e messo in guardia su un possibile downgrade nei prossimi 3 mesi. Moody's e Fitch si sono mostrate più caute, evidenziando che gli Usa potrebbero mantenere la tripla A. Un downgrade da parte di una sola agenzia sarebbe maggiormente gestibile e avrebbe un impatto più ridotto. "Abbiamo contatti regolari con le agenzie di rating" afferma il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, sottolineando che l'accordo rappresenta "una vittoria per gli americani" e un "messaggio rassicurante per il mondo". IL PIANO - L'accordo prevede un aumento del tetto del debito di 2.100-2.400 miliardi di dollari, tagli alle spese immediati per 1.000 miliardi di dollari, fino ad arrivare a 2.100 miliardi complessivi in 10 anni. Una commissione bipartisan sarà creata per determinare ulteriori tagli per 1.500 miliardi di dollari e dovrà presentare le proprie proposte entro il Giorno del Ringraziamento, a novembre. Il Congresso dovrà approvare i tagli proposti entro il 23 dicembre, altrimenti scatteranno tagli automatici a sanità e difesa. Redazione online 02 agosto 2011 21:58
2011-07-27 I cittadini Usa intasano le linee telefoniche del Congresso per fare pressione sugli eletti Debito Usa, è stallo. Borse in rosso Crescono i timori di un default americano. Piazza Affari in territorio negativo trascinata dai bancari NOTIZIE CORRELATE Listini in tempo reale Barack Obama (Afp) Barack Obama (Afp) MILANO - I mercati non accolgono con favore lo stallo nelle trattative per l'innzalzamento del tetto del debito Usa. Dopo due sedute negative, i principali indici europei sono partiti in rosso anche mercoledì. Piazza Affari ha avviato le contrattazioni con l'indice Ftse Mib in flessione dello 0,87%. Dopo un'ora di contrattazioni ha ampliato il calo (-2,31%) penalizzata dalle banche. A metà giornata ha poi ridotto le perdite (-1,3%) in concomitanza con il calo del rendimento del Btp decennale, che dimezza l'incremento a 8 punti base. Arginano le perdite Unicredit (-3,05%), Intesa Sanpaolo (-3,93%) e Banco Popolare (-2,86%), insieme a Bpm (-1,38%). Migliora Fiat (-0,56%), mentre riparte Fiat Industrial (+2,61%), già positiva due giorni fa dopo i risultati trimestrali. Sugli scudi Impregilo (+3,92%), sull'ipotesi di un rassetto tra i soci, con i Ligresti pronti a cedere la propria quota del 33,3% in Igli, la holding paritetica a monte del colosso delle costruzioni, al gruppo Gavio e ai Benetton. Sprint di Italcementi (+2,86%) e Luxottica (+1,38%), mentre tra i gruppi che presentano oggi i conti trimestrali Snam cede l'1,33%, Pirelli guadagna lo 0,28%, Mediolanum cede l'1,64% e Ti Media appare invariata. Balzo dei rendimenti sopra la soglia del 4% nell'asta dei Btp decennali assegnati mercoledì dal Tesoro. Buona la domanda, pari a 1,593 miliardi, contro i 942 assegnati. La cedola lorda è salita al 4,07% con un incremento di 156 punti base. Londra cede lo 0,27%, Francoforte lo 0,38% e Parigi lo 0,6%. Sui mercati resta la preoccupazione per un possibile default degli Usa e per un contagio in Europa della crisi greca. A Tokyo l'indice Nikkei è sotto pressione anche per i nuovi minimi degli ultimi 4 mesi segnati dal dollaro contro lo yen, a quota 77,70, nelle contrattazioni sui mercati valutari nipponici. LE TELEFONATE AL CONGRESSO - Hanno ripercussioni sulle Borse dunque i timori legati alla prospettiva di un downgrade del debito Usa se non verrà trovato un accordo entro il 2 agosto. Negli Stati Uniti, intanto, la Camera dei Rappresentanti ha fatto slittare fino a giovedì il voto sul piano repubblicano per aumentare il tetto del debito, perché l'ufficio bilancio del Congresso ha dimostrato che la proposta per ridurre il deficit non raggiungerebbe l'obiettivo dei 1.200 miliardi di risparmio. Cresce dunque l'ansia tra gli investitori e il popolo americano che vedono allontanarsi l'ipotesi di compromesso sul piano di innalzamento del debito pubblico. E la Casa Bianca ha fatto sapere di lavorare in queste ore a un piano B. L'appello del presidente Barack Obama per un compromesso sull'aumento del tetto del debito finora è caduto nel vuoto in Congresso, con i partiti che continuano a duellare. Ma è stato recepito dagli americani che, in massa, hanno intasato le linee della Camera per esercitare quella pressione sugli eletti che il presidente americano ha chiesto nel discorso alla nazione. IL VETO DELLA CASA BIANCA - A meno di una settimana dalla scadenza 2 agosto che innescherebbe un default con conseguenze disastrose sui mercati globali, i leader repubblicani e democratici profondamente divisi ancora stentano a trovare un terreno comune di intesa. Dopo settimane di aspro confronto, sono emersi i contorni di un possibile accordo, ma repubblicani e democratici si rimpallano l'un l'altro l'accusa di non accettare alcune richieste-chiave e si incolpano a vicenda di anteporre la politica agli interessi nazionali. Il voto su una proposta dello speaker dell Camera dei Rappresentanti, John Boehner, per uscire dall'impasse non si avrà prima di giovedì; e questo comporta il rischio di un ulteriore slittamento nei negoziati sull'innalzamento del tetto del debito, richiesto dal Tesoro prima del 2 agosto per rispettare i suoi impegni di pagamento. Un default sarebbe - evidenzia la Casa Bianca - un "cataclisma" sull'economia, ma i repubblicani non cedono e Boehner, lancia la sfida: "Abbiamo i voti alla Camera e in Senato per far passare" il piano su un aumento del tetto del debito in due fasi. Una misura alla quale la Casa Bianca si oppone fermamente e sulla quale "minaccia il veto": se la ricetta Boehner fosse approvata in Congresso e arrivasse al presidente per la firma, Obama opporrebbe il proprio no e rischierebbe di trovarsi sulla spalle la responsabilità di un default. ALLA RICERCA DI UN COMPROMESSO - Il piano di Boehner si oppone a quello del leader della maggioranza democratica al Senato, Harry Reid. La Casa Bianca e buona parte degli eletti al Congresso puntano a un compromesso tra i due testi, ma Harry Reid ha detto che i negoziati non riprenderanno fino a che la proposta di Beohner non sarà esaminata dal Congresso. La proposta dello speaker repubblicano avrebbe dovuto essere presentata mercoledì ai rappresentanti del Congresso, ma uno studio dell'ufficio Bilancio del Congresso, un organo bipartisan, ha dimostrato che il risparmio garantito dal quel piano sarebbe di 850 miliardi in dieci anni (e non 1.200 come affermato da Boehner). E l'annuncio ha scatenato la rabbia degli uomini del Tea Party, il movimento ultraconservatore repubblicano, almeno dieci dei quali hanno annunciato che avrebbero votato contro la proposta del loro 'speaker'. Il portavoce di Boehner, Michael Steel, si è affrettato ad annunciare che l'ufficio dello speaker sta rivedendo la proposta per "rispettare la nostra promessa". Redazione online 27 luglio 2011 15:14
RESTA IL NO DELL'iDV Missioni, sì del Senato al rifinanziamento Il Pd si spacca ma poi vota a favore Il decreto che rifinanzia le missioni ora va alla Camera MILANO - Sì del Senato al decreto che rifinanzia le missioni di pace all'estero: 269 i voti favorevoli, 12 quelli contrari, un astenuto. Dopo l'accordo di martedì sui fondi per la cooperazione in Afghanistan, il gruppo del Pd ha infatti fatto sapere che avrebbe votato "sì" in modo compatto, nonostante rimangano all'interno del gruppo una decina di "pacifisti" dissenzienti. È quanto è emerso dalla breve riunione dei senatori democratici che hanno chiesto una sospensione dell'Aula per un confronto interno. Nella riunione i dissidenti hanno espresso le loro motivazioni ma, secondo quanto riferisce Vincenzo Vita, hanno assicurato la disciplina di gruppo al momento del voto. NO DELL'IDV - Ha invece votato "no" invece l'Italia dei valori. Felice Belisario, presidente dei senatori dell'Idv, lo ha annunciato nel suo intervento in aula per dichiarazione di voto, chiedendo una "exit strategy". Belisario ha ribadito la "solidarietà, mai messa in discussione" con i militari italiani che "fanno per intero il loro dovere" ma ha sottolineato che le truppe "sono percepite, erroneamente, come occupanti". "Invece di votare ogni sei mesi il rifinanziamento - ha proposto l'esponente dipietrista - apriamo una seduta straordinaria del Parlamento dedicata al futuro delle missioni". Redazione online 27 luglio 2011 13:04
2011-07-25 il cordoglio di napolitano e di berlusconi Ancora sangue italiano in Afghanistan Ucciso un parà 28enne, due feriti Scontro a fuoco a nord-ovest di Bala Murghab. La vittima è il caporalmaggiore David Tobiini MILANO - Ancora sangue italiano in Afghanistan. Un militare, il caporalmaggiore David Tobini, è rimasto ucciso in uno scontro a fuoco a nord-ovest di Bala Murghab, nella parte occidentale del Paese. Nato a Roma il 23 luglio 1983, Tobini era in forza al 183ø reggimento paracadutisti "Nembo" di Pistoia. È la 41esima vittima italiana nel Paese asiatico dall'inizio della missione, nell 2004, ad oggi. Nell'attacco sono rimasti feriti altri due parà: uno è in gravi condizioni, mentre l'altro non sarebbe in pericolo di vita. Tobini è la terza vittima in Afghanistan in appena un mese (Gaetano Tuccillo è deceduto il 2 luglio, Roberto Marchini il 12 luglio) e la sua morte funesta la vigilia della discussione dei rifinanziamento delle missioni all'estero, già molto contestata in Senato. COMMOSSO IL CAPO DELLO STATO - Il capo dello Stato Giorgio Napolitano ha espresso "profonda commozione" per la morte del parà e attraverso un comunicato del Quirinale ha voluto farsi "interprete del profondo cordoglio del Paese, sentimenti di solidale partecipazione al dolore dei famigliari". "Siamo vicini alla famiglia del paracadutista caduto in Afghanistan e a quelle dei due militari rimasti feriti nell'agguato - ha detto in una nota il premier Silvio Berlusconi - . A tutti i nostri soldati impegnati nelle operazioni di pace contro il terrorismo rinnoviamo la gratitudine del governo e del Paese" ha aggiunto. LA NOTA - "Durante un'operazione congiunta tra militari italiani e forze afgane nella zona a nord ovest della valle di Bala Murghab - riferisce lo Stato Maggiore della Difesa -, l'unità nella quale erano presenti anche i militari italiani è stata attaccata. Durante lo scontro a fuoco è rimasto ucciso un militare italiano, mentre altri due risultano feriti", è stato precisato in una nota. "Uno è grave mentre il secondo non è in pericolo di vita". Redazione online 25 luglio 2011 10:56
norvegia, la confessione dell'attentatore Nove anni e 1.500 pagine "Sarò il mostro più grande" Dal Vaticano alle raffinerie: Italia nel mirino NOTIZIE CORRELATE Il memoriale di Breivik (24 luglio 2011) Il dolore del premier: rialziamoci (23 luglio 2011) Norvegia, attentato al cuore di Oslo. Spari al campus dei giovani laburisti. E' una strage (22 luglio 2011) LE REAZIONI - Napolitano: "Ripudiare ogni forma di violenza" LA MAPPA - Il luogo dell'esplosione e quello dell'assalto MULTIMEDIA - Le immagini, i filmati, gli audio sulla tragedia norvegese Da uno dei nostri inviati LUIGI OFFEDDU (Ansa/Epa) (Ansa/Epa) OSLO - L'uomo che ha ammazzato a sangue freddo quasi 100 persone giudica severamente lady Gaga e Madonna, per la loro "promiscuità sessuale". E anche sua madre e sua sorella, per la stessa ragione: "Mia sorella ha avuto 50 partner, il mio patrigno 500, mia madre ha contratto un herpes genitale, metà delle mie amiche di Oslo possono essere definite promiscue perché hanno avuto più di 20 relazioni intime...". A questo Anders Behring Breivik dedica il suo manifesto-testamento, il proclama che dovrebbe spiegare al mondo il suo gesto, diffuso su Internet due ore prima della strage. Ma c'è anche altro, naturalmente. Per esempio, "l'eroe, il modello" (così lo definisce un messaggio su Facebook) punta il dito sull'Italia: sul Vaticano, dove scorge un papa Benedetto XVI "codardo, incompetente, corrotto e illegittimo", come Giovanni Paolo II; sul Parlamento, dove siedono alcuni partiti "cultural-marxisti, umanisti-suicidi, capitalisti-globalisti", elencati minuziosamente: "Pdl, Pd, Idv, Udc". Ma soprattutto, nell'indicare i bersagli da colpire in quella che chiama più volte "Eurabia", Breivik elenca in Italia 16 raffinerie di petrolio: da Porto Marghera a Taranto, da Gela a Sarroch, ci sono proprio tutte. Con le istruzioni su come farle saltare: con un barcone da pesca e "con 30-100 mila euro" si può fare "un attacco di successo", danni "da 2 a 40 miliardi". E in Italia, dice ancora, ci sono "60.000 patrioti pronti alla battaglia". Del nostro Paese, conosce molte cose: "In una lettera apparsa sull'autorevole giornale Corriere della Sera, l'ex presidente Francesco Cossiga ha rivelato nel 2008 che il governo aveva concesso libertà di movimento ai terroristi arabi, negli anni 70, in cambio della cessazione degli attacchi". Seguono molte analisi dell'opera di Cossiga, di Moro, di altri. Il killer di Utoya Il killer di Utoya Il killer di Utoya Il killer di Utoya Il killer di Utoya Il killer di Utoya Il killer di Utoya Il killer di Utoya Il manifesto non è un manifesto, ma un fiume: 1.500 pagine, che a volte sembrano ricalcate dai proclami di Unabomber, il terrorista americano Theodore Kaczinsky. E chiuse dalle foto di Breivik: "Sarò visto come il più grande mostro (nazista) mai conosciuto dalla Seconda guerra mondiale". L'autore (rischia solo 21 anni di carcere, secondo la legge norvegese) spiega in una sorta di ideazione frenetico-mistica le premesse degli attentati di Oslo (svegliare, o punire, la gioventù cristiana troppo aperta al "multiculturalismo marxista" islamizzante, qualunque cosa esso sia); e rinarra duemila anni di storia europea fra citazioni stralunate di Hitler, Carlo Magno, e Oriana Fallaci; poi inneggia ai "cavalieri-giustizieri" che combatteranno la "guerra civile europea" sotto i vessilli cristiani di Lepanto e fra turbe di emiri fuggenti. Seguono tabelle chimiche sulla preparazione dei fertilizzanti (per la realizzazione di esplosivi?), e di nuovo studi approfonditi - centinaia i testi citati, compreso Gramsci sulla battaglia di Poitiers, sull'assedio di Vienna, sullo ius primae noctis praticato dai sultani ottomani. Una tragica via di mezzo fra il Mein Kampf e Tartarino di Tarascona. Il documento si apre con una croce purpurea e la scritta "2083 una dichiarazione europea di indipendenza". E più sotto: "In lode della nuova milizia dei Poveri commilitoni di Cristo e del Tempio di Salomone", cioè l'ordine dei cavalieri templari di Breivik. Ciò che segue, gronda minaccia: "Ho speso 9 anni di vita per questo progetto", "Se sei incapace di uccidere delle donne per cavalleria, non devi unirti alla resistenza armata", "Giovanni Paolo II baciò il Corano in pubblico... i preti sono i più strenui difensori dell'Islam... la corruzione va estirpata dal Vaticano", "Una volta che decidi di uccidere, meglio troppi che troppo pochi". E poi: Se potessi salvare 1000 individui sacrificandone 100, contribuiresti o no a uccidere quei 100?". Lui la risposta l'ha data: ne ha uccisi 93, l'altro ieri (ultimo bilancio) e secondo fonti ufficiose avrebbe usato pallottole esplosive, quelle che non lasciano scampo. E' orgoglioso, e dice di non essere solo. Alla fine, si firma infatti: "Con l'aiuto dei fratelli e sorelle in Inghilterra, Francia, Italia...".
Alle radici dell'orrore L'infinita idiozia del Male Il dolore, il cordoglio del mondo di CLAUDIO MAGRIS Finché non emergeranno inoppugnabili - per ora altamente improbabili - prove di una cospirazione terroristica, l'inaudito massacro norvegese va considerato un fatto di cronaca nera, ancorché di immani proporzioni. Esistono certo nel mondo tante e antitetiche associazioni terroristiche capaci di qualsiasi efferatezza, ma esiste anche il crimine - ancor più misterioso e più inquietante proprio perché spesso apparentemente immotivato - che nasce, si organizza e si consuma nella mente di un solo individuo, all'infuori di ogni pur delirante progetto politico. di CLAUDIO MAGRIS Come ha scritto sul Corriere Pierluigi Battista, cercare sempre il complotto (a suo modo razionale pur nella sua perversità), la spiegazione politica e sociologica, un preciso disegno collettivo, è un modo inconsapevole di rassicurarsi, identificando un ordine pur abbietto; un modo di abbandonarsi a fantasticherie su trame enigmatiche, fondamentalmente paurose ma anche involontariamente gratificanti, come è spesso gratificante soffermarsi sulle vaghe immagini dell'incubo, dell'orrore e della paura. Interpretare o cercare di interpretare dà sempre conforto, quando non addirittura supponente compiacimento; dinnanzi a tanti delitti ancora insoluti i pareri sulle loro più o meno nascoste motivazioni sembrano più importanti (e occupano più spazio nei giornali) delle indagini, che invece sono in quel momento la prima e forse l'unica cosa che conti. Certamente, come diceva uno strombazzato e spesso pappagallesco ma veritiero slogan sessantottesco, "tutto è politico". Nessun individuo arriva dalla luna. Ognuno è intessuto del mondo in cui vive, sia egli un solitario misantropo o il più socievole degli uomini; vive nel mondo e almeno in parte lo assorbe, mescola al proprio dna ciò che penetra consapevolmente o inconsapevolmente in lui dalla realtà esterna. Non c'è idea, passione, abitudine, desiderio, paura, comportamento che sia unicamente nostro; è vero che, come dicevano i filosofi Scolastici, l'individuo è ineffabile o almeno che c'è in ognuno qualcosa di ineffabile, ma anche questa imprendibile e mobile ombra del nostro cuore è intessuta di socialità. Detto questo, resta una netta differenza tra il gesto individuale di una persona e un progetto, collettivo anche se messo in atto individualmente, di un'organizzazione. L'omicida norvegese sembra assimilabile, con alta probabilità, ai Landru o a Jack lo Squartatore - pure essi, come tutti, figli del loro tempo - piuttosto che agli assassini dell'Italicus o di Piazza Fontana. Sarebbe infame usarlo per infangare l'uno o l'altro movimento politico. Il suo gesto atroce mostra la continua latenza del male, la sua possibilità di scatenarsi in qualsiasi inatteso momento; rivela la nostra convivenza quotidiana, gomito a gomito, con il male, sempre in agguato e talora spaventosamente in azione. Quella macelleria di esseri umani mostra pure l'infinita banalità e idiozia del male e della violenza, che tante volte ci vengono invece mostrati quasi avvolti di seduzione, espressioni di chissà quali infere ma profonde verità; il coltello di Jack lo Squartatore sembra aver affascinato come la spada di un angelo diabolico tante persone, anche se non certo il ventre squarciato e le sofferenze delle donne da lui uccise, le uniche, vere protagoniste di quella tragica storia, in cui lui è una sia pur sciagurata comparsa. È una vergogna, pur inevitabile, mandare a memoria il nome dell'assassino norvegese e non quelli delle sue vittime. Quel meccanico e ripetuto premere il grilletto fa assomigliare quell'assassino al meccanismo di una mostruosa catena di montaggio. Naturalmente anch'egli è un uomo la cui umanità non si esaurisce nei suoi crimini, uomo che va perseguito ma anche tutelato secondo la legge uguale per tutti, anche per gli efferati assassini; un uomo che probabilmente avrà avuto le sue ossessioni, le sue sofferenze, le sue paure. Si può e si deve avere rispetto - a parte la qualificazione giuridica dei suoi atti e la pena da essi richiesta - perfino per lui, ma non - secondo la banale retorica del male - perché è un assassino, bensì nonostante sia un assassino. Il suo delitto è la cosa non solo più orrenda, ma anche più stupida, più meccanica, più ottusa della sua vita. L'omicida di oltre 90 persone pare si sia definito "un fondamentalista cristiano", termine privo di qualsiasi senso. Spesso, fra l'altro, si identifica erroneamente il fondamentalismo con l'integralismo, specialmente religioso, di una o di un'altra fede (oggi soprattutto quella islamica), e in generale con una forma particolarmente intollerante di tradizionalismo religioso. Il fondamentalismo ha poco o nulla a che fare con la tradizione, anche con quella più gelosamente custode dell'osservanza e dell'immobilità di un credo. Il fondamentalismo non è un fenomeno tradizionale, radicato nel passato, ma è un fenomeno squisitamente moderno, caratteristico delle società di massa e della globalizzazione, così come - per fare un esempio - il fascismo è un fenomeno totalitario moderno radicalmente diverso dagli autoritarismi del passato. Quel dito meccanicamente omicida non dovrebbe indurre a riflessioni sulle società ricche e tranquille come quella norvegese o a disquisizioni del genere. Altre forme del male - queste sì politiche, sociali, collettive - giungono non solo da società arretrate e barbariche, bensì pure da società aperte e civili, considerate modelli di democrazia quali ad esempio l'Olanda o certi Paesi scandinavi in cui avanzano aggressivi movimenti xenofobi in aperto contrasto con la tradizione dei loro Paesi. Se la xenofobia è più forte in Olanda che in Spagna, ciò deriva forse dal fatto che la cultura di quest'ultima, come di altri Paesi, ha conservato più a fondo quel senso sacro della vita che distingue fortemente i molti, moltissimi valori che devono essere messi in discussione da quei due o tre valori essenziali (per esempio l'uguaglianza di tutti i cittadini a prescindere dall'appartenenza sessuale, etnica, religiosa o di altro genere) che dobbiamo considerare come assoluti, non più discutibili e non più negoziabili. Molto, quasi tutto, deve essere optional , ma non tutto. Quando "tutto è possibile", come scriveva con orrore Dostoevskij, il mondo diventa orribile. Ma non si può fare di questo una colpa all'assassino norvegese, né fondamentalista né cristiano; è sufficiente addebitargli oltre 90 omicidi. 25 luglio 2011 08:51
la strage norvegese e la mitraglietta del killer Quando la follia è aiutata dalle armi di BEPPE SEVERGNINI Domanda: perché un uomo che invocava "l'uso del terrorismo come mezzo per risvegliare le masse" teneva in casa, legalmente, una mitraglietta Ruger Mini 14 semi-automatica? Perché lo psicopatico che sognava di diventare "il più grande mostro dopo la Seconda guerra mondiale" - il suo diario pubblicato su Internet - ha potuto usare l'arma per condurre il suo sconvolgente safari umano? In Norvegia ci sono 439.000 cacciatori - uno ogni dieci abitanti - ed esistono leggi severe sulle armi da fuoco: evidentemente, non bastano. Anders Behring Breivik ha confessato nel suo farneticante memoriale: "Invidio i nostri fratelli Americani perché le leggi sulle armi in Europa fanno schifo in confronto. Sulla domanda ho scritto: "...per la caccia al cervo". Sarei stato tentato di dire la verità: "...per giustiziare marxisti culturali/traditori multiculturali categoria A e B. Giusto per vedere la reazione"". Simboli celtici e giallisti scandinavi, templari dilettanti e angoli bui nell'anima nordica: si discute di tutto, in queste ore, nel tentativo di spiegare l'inspiegabile. Di armi, però, si parla poco. Quasi fosse inevitabile che un cittadino si procuri una mitraglietta. Un prezzo da pagare alla modernità, uno dei tanti. E invece, se non ci fosse stata quell'arma, l'isoletta di Utoya - latitudine incerta, nome vagamente platonico - sarebbe rimasta un esotico indirizzo locale. I pazzi criminali ci sono sempre stati. Ma uno psicopatico con un coltello ammazza una persona, un fanatico con un fucile ne uccide due o tre. Un folle con una mitraglietta può sterminare dozzine di ragazzini, come se fossero leprotti in un recinto: ora lo sappiamo, purtroppo. Il mantra dei cittadini armati è noto: "Non sono le armi che uccidono, sono gli uomini". D'accordo: ma gli uomini, senza armi, uccidono meno. O non uccidono proprio. Non è semplicismo: è semplice buon senso per tempi cattivi, anzi pessimi. Qualcuno dirà: un criminale riesce comunque a procurarsi ciò che vuole. Forse è così. Ma la ricerca lascerà tracce, e le tracce destano sospetti. Il placido acquisto di una semi-automatica è una tragedia che aspetta di accadere. Molti americani, si sa, rifiutano questo discorso. Il diritto di portare armi è scritto nella Costituzione, viene da una storia dura e da una geografia difficile. Resta un fatto: quasi tutte le stragi degli ultimi anni sono avvenute perché lo psicopatico di turno aveva a disposizione un'arma sulla quale non avrebbe dovuto mettere le mani: Virginia Tech USA (2007, 33 morti); Jokela e Kauhajoki in Finlandia (2007 e 2008, 9 e 11 morti); Geneva County, Usa (2009, 10 morti); Bratislava, Slovacchia (2010, 8 morti); Cumbria, Uk (2010, 12 morti); Tucson e Grand Rapids, Usa (2011, 6 e 8 morti). Certo, potremmo osservare che - salvo eccezioni - queste tragedie sembrano accadere in Paesi disciplinati e socialmente coesi: come se la pressione, senza sbocchi quotidiani, esplodesse con più violenza. Ma rischieremmo di scivolare nella sociologia. Concentriamoci su un fatto, ed è un fatto fondamentale. Una società matura deve prevedere la follia: non potendola evitare completamente, provi a limitarne i danni. Le armi automatiche e semi-automatiche vanno tolte dalla circolazione; le armi sportive, concesse con grandissima cautela. In molti non sono d'accordo. La soluzione, secondo costoro, non è togliere di mezzo le armi: è armarsi tutti e di più. I sostenitori di questa tesi, nelle ultime ore, hanno invaso i social network e i blog - soprattutto negli Usa - ma non solo. La strage di Oslo - sostengono - dimostra che il "gun control" ha fallito; mentre la presenza di adulti armati sull'isola avrebbe impedito la tragedia. Rifiutano di ammettere che una mitraglietta è il mezzo con cui un omicidio diventa una strage, e una tragedia si trasforma in una catastrofe. Forse perché non avevano figli su quell'isola. Buon per loro. 25 luglio 2011 08:53
La strage dell'isola di Utøya Kasper, il tecnico informatico che ha salvato i ragazzini con la sua barca "Non sono un eroe, tanti avrebbero fatto la stessa cosa". Anche un turista tedesco ha tratto in salvo molte persone Kasper Ilaug intervistato dalla Cnn Kasper Ilaug intervistato dalla Cnn MILANO - Sulla sua piccola barca da pesca ha fatto avanti e indietro, dalla terraferma all’isola, e portato in salvo dozzine di giovani: lui è uno degli "eroi di Utøya", Kasper Ilaug, 53 anni, un tecnico informatico che, senza esitare un attimo, ha deciso di dare il suo aiuto. "Ero davanti alla tv a guardare il Tour de France quando sulla Cnn ho visto la strage che si stava compiendo sull’isola". Pochi minuti dopo l’esplosione nel quartiere governativo di Oslo, a Utøya inizia la strage dei giovani. Le persone fuggono prese dal panico verso l'acqua; alcuni si nascondono dietro le rocce, le mura, i cespugli o tentano di sfuggire lungo la spiaggia. Quando venerdì pomeriggio Kasper Ilaug ha ancorato la sua barca da pesca di sei metri sulle rive dell’isolotto a circa 40 chilometri dalla capitale, si è trovato di fronte decine di ragazzi e ragazze in preda al panico che chiedevano aiuto. "Alzavano le braccia al cielo, agitati, impauriti e sotto choc", ha raccontato alla Cnn. "Poi alcuni di loro si sono fatti coraggio, si sono avvicinati e mi hanno chiesto se anch’io fossi un poliziotto". Un uomo travestito da poliziotto aveva infatti appena fatto fuoco su di loro, uccidendo molti dei loro amici. IN VIAGGIO VERSO L'ISOLA DELL'ORRORE - Poche ore prima Ilaug si trovava nella sua casa estiva sull'isola di Storøya, vicino a Oslo. "Un amico mi ha chiamato al telefono, dicendomi: "Devi prendere la barca e salvare le persone a Utøya perché lì è accaduto qualcosa di terribile". All'inizio ho pensato che mi prendesse in giro", ha spiegato il programmatore norvegese. Poi non c'è stato un attimo da perdere. Di lì a poco il 53enne ha preso il suo iPad, il cellulare, una giacca di colore giallo chiaro, un casco rosso e gli stivali per proteggersi dalla pioggia ed è corso al molo dov'era ancorata la piccola barca di un conoscente. Un quarto d’ora più tardi si trovava sull’isola dell’orrore. "Mentre mi dirigevo verso Utøya mi è arrivato un sms da un amico che mi metteva in guardia da un pazzo che stava sparando sulla gente; quando ho visto gli elicotteri sopra la mia testa e sentito le urla di disperazione provenire dall’isola ho capito che non si trattava di uno scherzo". L'AIUTO VIA MARE - Ilaug ha caricato a bordo della piccola imbarcazione dozzine di giovani. ""Grazie, grazie, grazie, grazie", hanno continuato a ripetere i ragazzi per tutto il tragitto". L’uomo ha fatto avanti e indietro per un paio di volte, consapevole del pericolo a cui stava andando incontro. "Non solo rischiavo di capovolgermi, ma con quel casco rosso e la giacca gialla sapevo di essere un bersaglio perfetto per l'omicida", ha detto Ilaug. In ogni caso non vuole essere definito un eroe: "Ci sono molte persone che avrebbero fatto la stessa cosa". Il norvegese non è stato l’unico che, seduta stante, ha deciso di intraprendere qualcosa per fermare la strage. Molti turisti e semplici cittadini in possesso di una barca hanno prestato aiuto in quel tragico pomeriggio di venerdì. Come il tedesco Marcel Gleffe, in vacanza in un campeggio sull’isola di Utvika, sulla sponda opposta all'isolotto teatro dell'orrore, a circa 600 metri di distanza. Il 32enne ha tratto in salvo una ventina di ragazzi dalle acque gelide. "In mare c’erano adolescenti ovunque, fuggiti a nuoto da Utøya. Ho dato loro giubbotti di salvataggio, li ho estratti dall’acqua, trascinati sulla barca e portati a riva", ha spiegato. Marcel Gleffe, tuttavia, sottolinea: "Quello che ho fatto io, e hanno fatto altri con le loro barche private, era una cosa ovvia in quel momento". Elmar Burchia 24 luglio 2011 12:38
NORVEGIA Breivik progettava da due anni la strage Oslo, online il memoriale del killer: "Sono un mostro" Un giornale scrive: "largamente copiato da Unabomber" 2083 DECLARATION INDIPENDENCE Memoriale di BreivikBreivik con un arma automatica (Reuters) Breivik con un arma automatica (Reuters) MILANO - Un memoriale di 1500, "2083 Dichiarazione d'indipendenza europa", con il progetto dell'attentato di Oslo. Lo ha scritto Anders Behring Breivik, l'uomo arrestato per la strahe di Utoya e per l'esplosione in città a due passi dalla sede del primo ministro norvegese. Breivik stava preparando gli attentati almeno dall'autunno del 2009, quando il voluminoso documento è pubblicato su internet. Nel memoriale, il norvegese spiega nei dettagli i preparativi della spedizione, invocando "l'uso del terrorismo come mezzo per risvegliare le masse", e dice di aspettarsi di essere ricordato "come il più grande mostro dopo la Seconda Guerra Mondiale". PUBBLICATO POCO PRIMA DELLA STRAGE - La polizia norvegese ha riferito che il documento è stato pubblicato online venerdì 22 luglio, lo stesso giorno degli attentati. Le autorità non hanno confermato che sia stato Breivik a scrivere il manifesto, ma il suo avvocato, Geir Lippestad, vi ha fatto riferimento e ha spiegato che il suo assistito ci ha lavorato per anni. Il documento è firmato Andrew Berwick, pseudonimo anglicizzato dell'uomo che ha confessato di essere l'autore degli attentati. Su youtube il video sul memoriale LA DICHIARAZIONE D'INDIPENDENZA - Fregiata di simboli celtici e richiami alla storia dei cavalieri templari, dalla ricerca del sacro Graal alla croce di Gerusalemme, il libro è firmato dall'attentatore che per l'occasione ha usato la versione anglosassone del proprio nome: Andrew Breivik. Il memoriale rra apparso alcuni mesi fa sul sito di discussioni norvegese Freak. Nel testo si fa riferimento al popolo europeo parlando di "libere persone indigene d'Europa, dichiariamo guerra preventiva contro tutte le elite marxiste e multiculturaliste dell'Europa occidentale. Sappiamo chi siete, dove vivete e stiamo arrivando per voi". Il manifesto promette poi vendetta per chi ha "tradito" l'Europa. "Stiamo individuando ogni singolo traditore multiculturalista dell'Europa occidentale", continua il documento. "Voi - prosegue il manifesto - sarete puniti per i vostri atti di tradimento contro l'Europa e gli europei". Il manifesto fa anche riferimento a future vittime. "Per poter attuare con successo la censura dei media culturali marxisti e multiculturalisti saremo obbligati ad attuare operazioni significativamente più brutali e mozzafiato che porteranno a vittime". Infine il titolo, 2083, fa riferimento alla caduta della cultura occidentale prevista per quell'anno: "Potete stare certi che per allora crolleranno la cultura occidentale e i regimi multiculturali e marxisti".
IL PLAGIO - Il memoriale postato su internet da Anders Behring Breivik qualche ora prima delle stragi per spiegare le motivazioni del suo gesto è stato largamente copiato dal manifesto di Unabomber. A scriverlo è il quotidiano norvegese VG, che, mettendo a confronto i due documenti, quello del folle norvegese e quello di Theodore Kaczynski, il criminale americano condannato per aver inviato pacchi esplosivi per 18 anni, facendo 3 morti e 23 feriti, rivela come siano state cambiate solo poche parole, sostituendo "sinistra" con "multiculturalismo" e "marxismo culturale". Nelle 1500 pagine in inglese, intitolate "2083 - Dichiarazione europea di indipendenza", il giovane 32enne norvegese si scaglia contro la "paura irrazionale delle dottrine nazionalistiche" che, per il timore della venuta di "nuovi Hitler", "ci impedisce di fermare il nostro suicidio culturale mentre la colonizzazione islamica cresce di anno in anno". Breivik sottolinea di non odiare i musulmani ma minaccia la loro espulsione se non si saranno "assimilati al 100% entro il 2020". I LEGAMI GRUPPO RAZZISTA INGLESE - Breivik aveva collaborato con un gruppo inglese di estrema destra, l'English Defence League (Edl), un gruppo che aveva come scopo dichiarato alimentare nei propri Paesi l'odio contro gli islamici. In un'email al sito politico norvegese Document.no, Breivik aveva rivelato di aver discusso di tattiche e strategie "anti-islamiche" anche on un altro gruppo, Stop the Islamification of Europe. Breivik ammirava l'Edl per come era riuscito a provocare reazioni estreme da parte di gruppi musulmani e di estrema sinistra e sognava di fondare un gruppo simile in Norvegia per combattere l'immigrazione dei musulmani: "Devo dire che mi ha impressionato positivamente la velocità con cui sono cresciuti e questo è grazie a sagge scelte tattiche dei dirigenti. L'Edl è un esempio e una versione norvegese è l'unico modo per combattere le molestie nei confronti dei conservatori della cultura norvegese", aveva scritto Breivik nell'email. IL PADRE: L'HO SAPUTO DA INTERNET - Il padre di Breivik ha confessato a un quotidiano di essere "scioccato" e di aver saputo del coinvolgimento di suo figlio da internet. "Stavo leggendo i giornali online e all'improvviso ho visto il suo nome e la sua foto sulla rete - ha detto il padre al quotidiano Verdens Gang. Il giornale riferisce che l'uomo Š stato intervistato "da qualche parte in Francia", dove vive da pensionato. "È stato uno shock apprenderlo - ha aggiunto l'uomo -. Non mi sono ancora ripreso". Il padre ha detto di non avere contatti col figlio dal '95 Breivik da adolescente Breivik da adolescente UN COMPAGNO DI CLASSE: "ERA UN NERD" - L'autore della strage di Utoya da adolescente, "era un tipo timido e introverso, un nerd come si dice tra noi studenti". Lo racconta un compagno di scuola dell'autore della strage di Oslo. Poi, a 19 anni, dopo un viaggio negli Stati Uniti dove viveva la sorella, la svolta. Si sarebbe addirittura sottoposto a una plastica facciale: "Voleva naso e fronte più virili", spiega. "Nessuno lo aveva mai visto con una fidanzata, ma lui si vantava di mille avventure", prosegue quello che per nove anni è stato suo compagno di classe in un "liceo della buona borghesia di Oslo" che annoverava "tra gli studenti anche il principe ereditario". L'ultimo incontro, casuale, con il fondamentalista di destra risale a due anni fa: "Sono un uomo ricco - gli disse Breivik - ho avuto successo, per qualunque cosa rivolgiti a me". Redazione online 24 luglio 2011 18:17
Ordigno davanti agli uffici del governo. Inferno di piombo al campus politico estivo Norvegia, attentato al cuore di Oslo Spari al campus dei giovani laburisti Almeno 84 le vittime al meeting sull'isola di Utoya, altri sette uccisi da un'autobomba nel centro della capitale NOTIZIE CORRELATE LE REAZIONI - Napolitano: "Ripudiare ogni forma di violenza" LA MAPPA - Il luogo dell'esplosione e quello dell'assalto L'AUDIO - Il funzionario dell'ambasciata: "Un botto impressionante, verifiche sugli italiani" Soccorsi ai feriti sul luogo dell'esplosione (Ansa) Soccorsi ai feriti sul luogo dell'esplosione (Ansa) MILANO - Un'autobomba esplode nel centro di Oslo, a pochi passi dal palazzo che ospita gli uffici del primo ministro e dalla redazione di un quotidiano. E poco più tardi raffiche di mitra si abbattono sui giovani del partito laburista, radunati per un campo estivo nell'isola di Utoya, a una cinquantina di chilometri dalla capitale. Aspettavano il premier Jens Stoltenberg, il leader carismatico del movimento politico, che avrebbe dovuto portare il proprio saluto e il proprio incoraggiamento. Su di loro si scatena invece l'apocalisse: uno, cinque, dieci. Alla fine saranno ottantaquattro a cadere sotto i colpi sparati a ripetizione. Il cuore della capitale e una placida isola sul Tyrifjorden, uno dei più grandi tra i laghi della zona. Da una parte e dall'altra morti e feriti. È un'ecatombe. Un bilancio che con il passare delle ore si fa sempre più pesante. Complessivamente le vittime sono almeno diciassette, ma forse il numero è destinato a salire ancora. La polizia, che all'inizio si mantiene cauta, già nel tardo pomeriggio non ha più dubbi: la Norvegia è sotto attacco e i due episodi sono certamente collegati tra loro. I dettagli restano tutti da accertare, ma il quadro è chiaro. Non si tratterebbe, tuttavia, di terrorismo internazionale, legato magari ad una matrice islamica, come ipotizzato in un primo tempo: gli investigatori credono piuttosto che si sia trattato di un attacco tutto interno, ad opera di estremisti locali, mirato a scardinare il sistema politico nazionale. Scenari di guerra a Oslo LA PRIMA ESPLOSIONE - Il venerdì nero della capitale norvegese inizia alle 15,26. E' a quell'ora che una forte esplosione viene avvertita nel cuore della città, in un'area dove sorgono gli uni vicini agli altri i palazzi che ospitano le principali sedi istituzionali e i gruppi editoriali più influenti del Paese. Lo scoppio avviene sulla Akergataa, la strada che porta alla fortezza di Akershus, lo storico bastione eretto a protezione del porto, e all'Aker Brygge, il molo che divide i moderni palazzi della Oslo più trendy e la città storica e dove sorge anche il Nobel Peace Center, dedicato ai grandi uomini che negli anni hanno ricevuto l'ambito riconoscimento. Ma questo è il venerdì nero della nazione e lo scenario nel cuore cittadino è di guerra, non di pace. La deflagrazione distrugge gli edifici che si affacciano sulla strada e fa saltare le finestre di tutti quelli circostanti. Lo scoppio, i detriti e le schegge di vetro si abbattono sui passanti. All'inizio si parla di due vittime, ma le immagini che via via giungono dalla capitale lasciano intendere che quel numero dovrà per forza cambiare. Alla fine si parla di 7 morti e di diversi feriti, tra cui alcuni in condizioni particolarmente gravi. Esplosione a Oslo, morti e feriti Esplosione a Oslo, morti e feriti Esplosione a Oslo, morti e feriti Esplosione a Oslo, morti e feriti Esplosione a Oslo, morti e feriti Esplosione a Oslo, morti e feriti Esplosione a Oslo, morti e feriti Esplosione a Oslo, morti e feriti MISURE D'EMERGENZA - Il primo ministro, al momento dell'esplosione, non è alla sua scrivania e non è neppure nel palazzo. Le autorità si affrettano a far sapere che sta bene e che è in un luogo che per motivi di sicurezza non sarà rivelato. Tutto il centro viene evacuato, la stazione centrale è svuotata e perquisita minuziosamente. Si controllano i pacchi ancora non aperti arrivati in giornata nelle redazioni dei giornali. Gli artificieri perlustrano monumenti e edifici, i parchi pubblici e le altre sedi istituzionali. Si temono nuovi scoppi, nuove vittime. Il governo si riunisce in una località segreta e stabilisce misure di emergenza. L'esercito presidia le strade, si sospendono gli accordi di Schengen e si ristabiliscono i controlli alle frontiere. Dal web arriva la prima rivendicazione: la firma il gruppo terroristico Ansar al-Jihad al-Alami in un forum jihadista, mettendo gli attentati in relazione alla presenza della Norvegia in Afghanistan e agli "insulti" al profeta Maometto arrivati con la pubblicazione delle ormai note vignette satiriche danesi, rilanciate dai giornali scandinavi. Le autorità non sembrano però avallarla. La sparatoria di Utoya LA STRAGE SULL'ISOLA - A distanza di un paio d'ore, a qualche decina di chilometri dall'Akergataa che ormai appare come un campo di battaglia, scoppia di nuovo l'inferno. Un uomo vestito da poliziotto irrompe nella location in cui sono radunati i giovani laburisti per il loro meeting annuale. Un campus estivo, tra politica e natura. L'uomo è in divisa e forse per questo all'inizio nessuno bada al fatto che tra le mani ha una mitraglietta. All'improvviso la impugna e apre il fuoco. Si scatena il panico: è un fuggi fuggi generale e qualcuno per cercare scampo dalla pioggia di proiettili si getta in acqua e cerca di raggiungere la terraferma a nuoto. Anche in questo caso all'inizio le stime sulle vittime sono prudenti e la tv parla di quattro o cinque tra morti e feriti. Poi la realtà prende il sopravvento: su una spiaggia alcuni testimoni contano non meno di 20-25 cadaveri. La polizia parla invece di una decina. Ma nella notte si scoprono altri corpi. Il conteggio va avanti, si arriva a un'ottantina. E oltre. Avrebbero potuto essere molti di più: piazzati in vari punti di Utoya sono stati trovati alcuni ordigni non esplosi. Alla fine l'attentatore viene fermato e arrestato. E' un bianco, alto un metro e novanta, dall'aspetto decisamente scandinavo. In serata il capo della polizia di Oslo, Sveining Sponheim, rivela che l'uomo - che viene accertato essere un norvegese - sarebbe stato avvistato con un atteggiamento sospetto, sempre travestito da poliziotto, anche nelle vicinanze del luogo dell'attentato di Akergataa. Ma non trapela nulla di più su chi sia e per conto di chi abbia agito. Il premier Stoltenberg e il suo ministro della giustizia alla sera si rivolgono alla nazione: "Dobbiamo reagire e dobbiamo farlo in nome della democrazia". E ancora: "Prenderemo i colpevoli e li metteremo di fronte alle loro responsabilità". Sulla matrice degli attentati, però, le bocche sono cucite: "Ci sarà tempo per parlarne, ma non ora". La polizia ha specificato di aver trovato ordigni inesplosi sull'isola, mentre a Oslo altro esplosivo è stato rinvenuto vicino alla sede di un tv, come confermato dalla stessa emittente. Fuga a nuoto dall'isola dell'orrore Fuga a nuoto dall'isola dell'orrore Fuga a nuoto dall'isola dell'orrore Fuga a nuoto dall'isola dell'orrore Fuga a nuoto dall'isola dell'orrore Fuga a nuoto dall'isola dell'orrore Fuga a nuoto dall'isola dell'orrore Fuga a nuoto dall'isola dell'orrore VERIFICHE SUGLI ITALIANI - L'ambasciata italiana a Oslo si muove per verificare l'eventuale presenza di connazionali sul luogo dell'attentato. Pierluigi Cammarota è l'incaricato d'affari dell'ambasciata (ASCOLTA l'audio): "Il nostro personale si è recato presso il principale ospedale di Oslo, dove sono stati trasportati tutti i feriti, per verificare l'eventuale coinvolgimento di nostri connazionali. Ma al momento non ne risultano". Sono circa tremila gli italiani che vivono stabilmente nel territorio norvegese, tuttavia in questo periodo estivo è molto elevato anche l'afflusso di turisti. Per Cammarota, "la Norvegia come altri paesi Nato partecipa alle operazioni in Afghanistan e in Libia ed è quindi potenzialmente esposta ad attacchi terroristici, ma al momento non si può avallare nessuna ipotesi particolare". Alessandro Sala 22 luglio 2011(ultima modifica: 23 luglio 2011 11:45)
2011-07-23 Ordigno davanti agli uffici del governo. Inferno di piombo al campus politico estivo Norvegia, attentato al cuore di Oslo Spari al campus dei giovani laburisti Almeno 84 le vittime al meeting sull'isola di Utoya, altri sette uccisi da un'autobomba nel centro della capitale NOTIZIE CORRELATE Norvegia da tempo nel mirino qaedista di Guido Olimpio LE REAZIONI - Napolitano: "Ripudiare ogni forma di violenza" LA MAPPA - Il luogo dell'esplosione e quello dell'assalto L'AUDIO - Il funzionario dell'ambasciata: "Un botto impressionante, verifiche sugli italiani" Soccorsi ai feriti sul luogo dell'esplosione (Ansa) Soccorsi ai feriti sul luogo dell'esplosione (Ansa) MILANO - Un'autobomba esplode nel centro di Oslo, a pochi passi dal palazzo che ospita gli uffici del primo ministro e dalla redazione di un quotidiano. E poco più tardi raffiche di mitra si abbattono sui giovani del partito laburista, radunati per un campo estivo nell'isola di Utoya, a una cinquantina di chilometri dalla capitale. Aspettavano il premier Jens Stoltenberg, il leader carismatico del movimento politico, che avrebbe dovuto portare il proprio saluto e il proprio incoraggiamento. Su di loro si scatena invece l'apocalisse: uno, cinque, dieci. Alla fine saranno ottantaquattro a cadere sotto i colpi sparati a ripetizione. Il cuore della capitale e una placida isola sul Tyrifjorden, uno dei più grandi tra i laghi della zona. Da una parte e dall'altra morti e feriti. È un'ecatombe. Un bilancio che con il passare delle ore si fa sempre più pesante. Complessivamente le vittime sono almeno diciassette, ma forse il numero è destinato a salire ancora. La polizia, che all'inizio si mantiene cauta, già nel tardo pomeriggio non ha più dubbi: la Norvegia è sotto attacco e i due episodi sono certamente collegati tra loro. I dettagli restano tutti da accertare, ma il quadro è chiaro. Non si tratterebbe, tuttavia, di terrorismo internazionale, legato magari ad una matrice islamica, come ipotizzato in un primo tempo: gli investigatori credono piuttosto che si sia trattato di un attacco tutto interno, ad opera di estremisti locali, mirato a scardinare il sistema politico nazionale. Scenari di guerra a Oslo LA PRIMA ESPLOSIONE - Il venerdì nero della capitale norvegese inizia alle 15,26. E' a quell'ora che una forte esplosione viene avvertita nel cuore della città, in un'area dove sorgono gli uni vicini agli altri i palazzi che ospitano le principali sedi istituzionali e i gruppi editoriali più influenti del Paese. Lo scoppio avviene sulla Akergataa, la strada che porta alla fortezza di Akershus, lo storico bastione eretto a protezione del porto, e all'Aker Brygge, il molo che divide i moderni palazzi della Oslo più trendy e la città storica e dove sorge anche il Nobel Peace Center, dedicato ai grandi uomini che negli anni hanno ricevuto l'ambito riconoscimento. Ma questo è il venerdì nero della nazione e lo scenario nel cuore cittadino è di guerra, non di pace. La deflagrazione distrugge gli edifici che si affacciano sulla strada e fa saltare le finestre di tutti quelli circostanti. Lo scoppio, i detriti e le schegge di vetro si abbattono sui passanti. All'inizio si parla di due vittime, ma le immagini che via via giungono dalla capitale lasciano intendere che quel numero dovrà per forza cambiare. Alla fine si parla di 7 morti e di diversi feriti, tra cui alcuni in condizioni particolarmente gravi. Esplosione a Oslo, morti e feriti Esplosione a Oslo, morti e feriti Esplosione a Oslo, morti e feriti Esplosione a Oslo, morti e feriti Esplosione a Oslo, morti e feriti Esplosione a Oslo, morti e feriti Esplosione a Oslo, morti e feriti Esplosione a Oslo, morti e feriti MISURE D'EMERGENZA - Il primo ministro, al momento dell'esplosione, non è alla sua scrivania e non è neppure nel palazzo. Le autorità si affrettano a far sapere che sta bene e che è in un luogo che per motivi di sicurezza non sarà rivelato. Tutto il centro viene evacuato, la stazione centrale è svuotata e perquisita minuziosamente. Si controllano i pacchi ancora non aperti arrivati in giornata nelle redazioni dei giornali. Gli artificieri perlustrano monumenti e edifici, i parchi pubblici e le altre sedi istituzionali. Si temono nuovi scoppi, nuove vittime. Il governo si riunisce in una località segreta e stabilisce misure di emergenza. L'esercito presidia le strade, si sospendono gli accordi di Schengen e si ristabiliscono i controlli alle frontiere. Dal web arriva la prima rivendicazione: la firma il gruppo terroristico Ansar al-Jihad al-Alami in un forum jihadista, mettendo gli attentati in relazione alla presenza della Norvegia in Afghanistan e agli "insulti" al profeta Maometto arrivati con la pubblicazione delle ormai note vignette satiriche danesi, rilanciate dai giornali scandinavi. Le autorità non sembrano però avallarla. La sparatoria di Utoya LA STRAGE SULL'ISOLA - A distanza di un paio d'ore, a qualche decina di chilometri dall'Akergataa che ormai appare come un campo di battaglia, scoppia di nuovo l'inferno. Un uomo vestito da poliziotto irrompe nella location in cui sono radunati i giovani laburisti per il loro meeting annuale. Un campus estivo, tra politica e natura. L'uomo è in divisa e forse per questo all'inizio nessuno bada al fatto che tra le mani ha una mitraglietta. All'improvviso la impugna e apre il fuoco. Si scatena il panico: è un fuggi fuggi generale e qualcuno per cercare scampo dalla pioggia di proiettili si getta in acqua e cerca di raggiungere la terraferma a nuoto. Anche in questo caso all'inizio le stime sulle vittime sono prudenti e la tv parla di quattro o cinque tra morti e feriti. Poi la realtà prende il sopravvento: su una spiaggia alcuni testimoni contano non meno di 20-25 cadaveri. La polizia parla invece di una decina. Ma nella notte si scoprono altri corpi. Il conteggio va avanti, si arriva a un'ottantina. E oltre. Avrebbero potuto essere molti di più: piazzati in vari punti di Utoya sono stati trovati alcuni ordigni non esplosi. Alla fine l'attentatore viene fermato e arrestato. E' un bianco, alto un metro e novanta, dall'aspetto decisamente scandinavo. In serata il capo della polizia di Oslo, Sveining Sponheim, rivela che l'uomo - che viene accertato essere un norvegese - sarebbe stato avvistato con un atteggiamento sospetto, sempre travestito da poliziotto, anche nelle vicinanze del luogo dell'attentato di Akergataa. Ma non trapela nulla di più su chi sia e per conto di chi abbia agito. Il premier Stoltenberg e il suo ministro della giustizia alla sera si rivolgono alla nazione: "Dobbiamo reagire e dobbiamo farlo in nome della democrazia". E ancora: "Prenderemo i colpevoli e li metteremo di fronte alle loro responsabilità". Sulla matrice degli attentati, però, le bocche sono cucite: "Ci sarà tempo per parlarne, ma non ora". La polizia ha specificato di aver trovato ordigni inesplosi sull'isola, mentre a Oslo altro esplosivo è stato rinvenuto vicino alla sede di un tv, come confermato dalla stessa emittente. Fuga a nuoto dall'isola dell'orrore Fuga a nuoto dall'isola dell'orrore Fuga a nuoto dall'isola dell'orrore Fuga a nuoto dall'isola dell'orrore Fuga a nuoto dall'isola dell'orrore Fuga a nuoto dall'isola dell'orrore Fuga a nuoto dall'isola dell'orrore Fuga a nuoto dall'isola dell'orrore VERIFICHE SUGLI ITALIANI - L'ambasciata italiana a Oslo si muove per verificare l'eventuale presenza di connazionali sul luogo dell'attentato. Pierluigi Cammarota è l'incaricato d'affari dell'ambasciata (ASCOLTA l'audio): "Il nostro personale si è recato presso il principale ospedale di Oslo, dove sono stati trasportati tutti i feriti, per verificare l'eventuale coinvolgimento di nostri connazionali. Ma al momento non ne risultano". Sono circa tremila gli italiani che vivono stabilmente nel territorio norvegese, tuttavia in questo periodo estivo è molto elevato anche l'afflusso di turisti. Per Cammarota, "la Norvegia come altri paesi Nato partecipa alle operazioni in Afghanistan e in Libia ed è quindi potenzialmente esposta ad attacchi terroristici, ma al momento non si può avallare nessuna ipotesi particolare". Alessandro Sala 22 luglio 2011(ultima modifica: 23 luglio 2011 09:15)
La Ue: La Norvegia porta la pace nel mondo, non merita un atto del genere a casa propria Napolitano: "Ripudiare ogni violenza" Obama: "Con Oslo per trovare gli autori" Il messaggio di cordoglio del capo dello Stato italiano al popolo norvegese. Reazioni da tutto il mondo NOTIZIE CORRELATE Oslo, attentato in centro: morti e feriti. Sparatoria al campo estivo laburista (22 luglio 2011) Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (Emblema) Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (Emblema) MILANO - Molte le reazioni da tutto il mondo alla notizia dell'attentato esplosivo nel centro di Oslo e della successiva sparatoria al campo estivo di Utoya. Per l'Italia ha parlato direttamente il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha inviato al Re di Norvegia, Harald V, un messaggio in cui "esprime il più sentito cordoglio". "L'Italia - ha sottolineato il capo dello Stato - si stringe in questo tragico frangente all'amico popolo norvegese, oggetto di un sanguinoso e vile atto terroristico, e si unisce al suo Paese nel ripudio di ogni forma di violenza e nell'impegno a favore delle ragioni del dialogo e della pace". E al cordoglio si è poi aggiunto il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che ha detto che l'Italia è vicina "al popolo norvegese in questo momento difficile nella lotta comune contro ogni forma di terrorismo". LA UE - Una condanna di quanto accaduto è arrivata anche dall'Unione Europea. Il presidente Herman Van Rompuy ha tacciato di "vigliaccheria" gli autori dell'attentato e ha espresso la solidarietà della Ue al popolo e al governo norvegese. "Non c'è alcuna giustificazione per questi atti - ha detto -. La Norvegia rende un buon servizio alla pace nelle regione più instabili del pianeta. E l'ultima cosa che merita è un attentato terroristico sul suo territorio". Il presidente Usa, Barack Obama (Ansa) Il presidente Usa, Barack Obama (Ansa) GLI USA - Anche gli Stati Uniti che hanno mostrato particolare interesse per la vicenda - la Cnn ha seguito gli avvenimenti con una diretta ininterrotta di diverse ore - e hanno formalmente condannato "l'odioso" attentato di Oslo. La nota è stata diramata dal Dipartimento di Stato guidato da Hillary Clinton. "Condanniamo questi atti di violenza odiosi - si legge nel dispaccio -. Siamo vicini alle vittime e alle loro famiglie e abbiamo contattato il governo norvegese per portare le nostre condoglianze". Poi è intervenuto direttamente il presidente Barack Obama: "L'intera comunità internazionale abbia interesse a impedire che avvengano queste tragedie" e dal canto loro gli Usa daranno alla Norvegia "ogni sostegno" necessario nelle indagini per scoprire i responsabili degli attacchi. Redazione Online 22 luglio 2011 21:08
LA STRAGE Norvegia, il sospetto killer è norvegese "Ama la musica classica e i videogame" Il fermato ha 32 anni. Su Facebook: "Conservatore e cristiano". Su Twitter una citazione di Stuart Mill Anders Behrin Breivik, il presunto attentatore fermato sull'isola di Utoya (dal profilo Facebook) Anders Behrin Breivik, il presunto attentatore fermato sull'isola di Utoya (dal profilo Facebook) MILANO - La polizia norvegese, sotto choc come l’intero paese, ha fornito informazioni scarse sui responsabili della strage. Accantonata sin dalla serata di venerdì la pista qaedista, gli investigatori sono concentrati su quella neonazista. L’unico arrestato – un norvegese di 32 anni - ha idee di estrema destra ed è anti-islamico. Anders Behrin Breivik – questo il suo nome - è stato catturato sull’isola dove ha compiuto il massacro di giovani socialisti. MUSICA CLASSICA E VIDEOGAME - Sulla pagina "Facebook" – sempre che sia la sua – il presunto killer si descrive così: conservatore, di fede cristiana, ama la musica classica e i videogiochi Modern Warfare 2 (di guerra) e World Warcraft. I suoi film preferiti sono il Gladiatore e 300, quest’ultimo dedicato alla battaglia delle Termopili e al sacrificio dei guerrieri spartani per fermare i persiani. Interessante l’unico messaggio lasciato il 17 luglio su "Twitter". E’ una citazione del filosofo inglese, John Stuart Mill: "Una persona con un credo ha altrettanta forza di 100.000 persone che non hanno interessi". L'INCUBO DI OKLAHOMA CITY - Gli investigatori vogliono capire se Breivik abbia dei complici, qualcuno che lo abbia aiutato nel preparare l’esplosivo poi impiegato nel centro di Oslo. Per una fonte della polizia l’attacco ricorda quello di Oklahoma City, negli Usa (1995). In quell’occasione una coppia di attentatori di estrema destra colpì il palazzo federale con un camion-bomba: 250 le vittime. Un’operazione eversiva concepita e condotta da militanti anti-stato. Breivik appartiene a un gruppo neonazista o ha agito da solo? E il movente del massacro? La polizia, per ora, non ha risposte precise ma deve trovarle in fretta. Per comprendere se la Norvegia, oltre che a difendersi dalla minaccia qaedista (sempre presente), deve vedersela con un nemico interno non meno insidioso e letale. Guido Olimpio 23 luglio 2011 08:52
stoltenberg in un discorso alla nazione: "prenderemo i colpevoli" Il premier norvegese va in tv: "Non ci distruggerete" Il ministro della Giustizia è al suo fianco NOTIZIE CORRELATE Attentato nel centro di Oslo, 7 morti Norvegia, da tempo nel mirino qaedista Le reazioni, Napolitano: no ad ogni violenza Il premier norvegese Jens Stoltemberg Il premier norvegese Jens Stoltemberg MILANO - La Norvegia è stata colpita da "attacchi sanguinosi e scioccanti", ma "nessuno può sperare di metterci a tacere" o "distruggere la nostra democrazia". Lo ha detto il primo ministro norvegese Jens Stoltenberg in una conferenza stampa tenuta in serata in diretta televisiva, assieme al ministro della Giustizia, Knut Storberget. E ancora: "Prenderemo i colpevoli e li metteremo di fronte alle loro responsabilita". Un premier apparso visibilmente preoccupato per quello che è accaduto tra Oslo e l'isola di Utoya. Al suo fianco il ministro della Giustizia, Knut Storberget, ha affermato che l'arrestato è un cittadino norvegese, attenuando in parte l'ipotesi che gli attentati siano dovuti al fondamentalismo islamico Redazione online 22 luglio 2011(ultima modifica: 23 luglio 2011 08:24)
La Ue: La Norvegia porta la pace nel mondo, non merita un atto del genere a casa propria Napolitano: "Ripudiare ogni violenza" Obama: "Con Oslo per trovare gli autori" Il messaggio di cordoglio del capo dello Stato italiano al popolo norvegese. Reazioni da tutto il mondo NOTIZIE CORRELATE Oslo, attentato in centro: morti e feriti. Sparatoria al campo estivo laburista (22 luglio 2011) Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (Emblema) Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (Emblema) MILANO - Molte le reazioni da tutto il mondo alla notizia dell'attentato esplosivo nel centro di Oslo e della successiva sparatoria al campo estivo di Utoya. Per l'Italia ha parlato direttamente il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha inviato al Re di Norvegia, Harald V, un messaggio in cui "esprime il più sentito cordoglio". "L'Italia - ha sottolineato il capo dello Stato - si stringe in questo tragico frangente all'amico popolo norvegese, oggetto di un sanguinoso e vile atto terroristico, e si unisce al suo Paese nel ripudio di ogni forma di violenza e nell'impegno a favore delle ragioni del dialogo e della pace". E al cordoglio si è poi aggiunto il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che ha detto che l'Italia è vicina "al popolo norvegese in questo momento difficile nella lotta comune contro ogni forma di terrorismo". LA UE - Una condanna di quanto accaduto è arrivata anche dall'Unione Europea. Il presidente Herman Van Rompuy ha tacciato di "vigliaccheria" gli autori dell'attentato e ha espresso la solidarietà della Ue al popolo e al governo norvegese. "Non c'è alcuna giustificazione per questi atti - ha detto -. La Norvegia rende un buon servizio alla pace nelle regione più instabili del pianeta. E l'ultima cosa che merita è un attentato terroristico sul suo territorio". Il presidente Usa, Barack Obama (Ansa) Il presidente Usa, Barack Obama (Ansa) GLI USA - Anche gli Stati Uniti che hanno mostrato particolare interesse per la vicenda - la Cnn ha seguito gli avvenimenti con una diretta ininterrotta di diverse ore - e hanno formalmente condannato "l'odioso" attentato di Oslo. La nota è stata diramata dal Dipartimento di Stato guidato da Hillary Clinton. "Condanniamo questi atti di violenza odiosi - si legge nel dispaccio -. Siamo vicini alle vittime e alle loro famiglie e abbiamo contattato il governo norvegese per portare le nostre condoglianze". Poi è intervenuto direttamente il presidente Barack Obama: "L'intera comunità internazionale abbia interesse a impedire che avvengano queste tragedie" e dal canto loro gli Usa daranno alla Norvegia "ogni sostegno" necessario nelle indagini per scoprire i responsabili degli attacchi. Redazione Online 22 luglio 2011 21:08
2011-07-20 IL MINISTRO JUPPé IN UN'NTERVISTA Apertura francese a Gheddafi: "Può restare, ma fuori dalla politica" Ma l'ambasciatore di Tripoli a Mosca esclude questa ipotesi:"Il colonnello resta". A Brega sette morti MILANO - Può rimanere, ma solo se esce di scena dalla vita politica della Libia. E' la proposta che il ministro degli Esteri francesi Alain Juppè ha lanciato a Muammar Gheddafi in un'intervista con la tv Lci. "Uno degli scenari effettivamente contemplati è quello che prevede la sua permanenza in Libia ad una condizione che ripeto: e cioè che esca definitivamente dalla vita politica libica", ha spiegato. IL RUOLO FRANCESE - Due membri del Consiglio nazionale di transizione dei ribelli dovrebbero incontrare oggi il presidente francese Nicolas Sarkozy a Parigi. La Francia è stata la prima nazione a riconoscere pubblicamente il consiglio e la prima a condurre raid aerei contro le forze di Gheddafi, quando sono cominciate le operazioni militari, ora guidate dalla Nato, a marzo. LE TRATTATIVE RUSSE - Intanto si fa sentire anche la Russia, che tenta il rilancio dell'opzione "compromesso in Libia" con un incontro previsto per mercoledì a Mosca tra il ministro Sergey Lavrov e il capo della diplomazia di Gheddafi, Abdelati Obeidi. I colloqui sono previsti attorno alle 17 ora locale, le 15 in Italia. "L'obiettivo principale di questa visita è fare passi avanti verso la pace", ha commentato l'ambasciatore di Tripoli a Mosca, Amir Ali Gharib, in un'intervista a Moskovskie Novosti. Il diplomatico libico ha però escluso categoricamente la possibilità di discutere - e concordare - l'uscita di scena del colonnello: "Muammar Gheddafi non ha intenzione di lasciare il Paese e non discute alcuna proposta in tal senso". Ieri il presidente russo Dmitri Medvedev - che a più riprese ha appoggiato gli appelli occidentali a Gheddafi, affinchè lasci la scena politica - ha giudicato "raggiungibile" un compromesso tra le parti in conflitto in Libia. "Dobbiamo continuare a cercare una soluzione pacifica della situazione, un compromesso che, a mio parere, è possibile raggiungere tra Bengasi e Tripoli", ha detto il presidente russo in Germania, in una conferenza stampa al termine colloqui con il cancelliere tedesco Angela Merkel. LA BATTAGLIA - In Libia si continua a sparare. E a morire. È di sette ribelli morti e 45 feriti il bilancio della battaglia avvenuta ieri a Brega, in Cirenaica, tra le brigate fedeli al colonnello e i rivoltosi libici di Bengasi. Secondo quanto riporta il giornale arabo al-Quds al-Arabi, i ribelli sono penetrati ormai nel centro della cittá, ma gli uomini di Gheddafi sono ancora presenti nella periferia di Brega. "Buona parte delle forze di Gheddafi si sono ormai ritirate da Brega: sono rimasti in cittá tra i 150 e i 200 soldati", sostiene il portavoce dei ribelli, Abdel Razzaq al-Aradi. "Molti dei nostri uomini invece ancora non hanno raggiunto il centro cittadino - ha proseguito - perchè la zona è piena di mine e ci sono trincee con trappole esplosive". Redazione online 20 luglio 2011 12:07
2011-05-13 "Uccidere il colonnello? NOn è previsto dalla risoluzione Onu. Ma sarà incriminato" "Gheddafi via da Tripoli, ma ferito" Il Rais: "Sono vivo ma irraggiungibile" Il ministro degli Esteri, Frattini, a Corriere Tv: "La pressione internazionale sta disgregando il regime" NOTIZIE CORRELATE La tv libica: "Un gran numero di morti a Brega per le bombe Nato" (13 maggio 2011) Maroni: "Finisca subito la guerra, altrimenti gli immigrati continueranno ad arrivare" (13 maggio 2011) Il messaggio audio del Colonnello MILANO - "Stanato" da Frattini ("Gheddafi forse è ferito e in fuga"), il Colonnello replica: "Dico ai vigliacchi crociati che sono in un posto dove non mi potete raggiungerere e uccidere perché sono nel cuore di milioni di libici". In un'intervista video condotta da Maurizio Caprara su Corriere.tv. e poi in un successivo intervento, il ministro degli Esteri italiano aveva rivelato che il Rais potrebbe essere ferito. Il titolare della Farnesina aveva citato come fonte "il vescovo di Tripoli, che tendo a ritenere attendibile". Da Tripoli è poi arrivata la smentita del portavoce del governo, Ibrahim Moussa: "Gheddafi non è stato ferito e si trova a Tripoli", ha detto ad Al Arabiya. E anche monsignor Innocenzo Martinelli ha precisato: " Non ho mai affermato che Gheddafi sia stato ferito o che sia morto. Ho semplicemente detto che, dopo la morte del figlio in un raid, avrà subito turbamenti ma non ci sono segnali di un lutto. Probabilmente non è a Tripoli, la mia impressione è che sia in Libia in una zona desertica". Frattini viene smentito anche dal dipatimento di Stato Usa, il quale afferma di non essere in possesso di alcuna informazione che possa confermare l'ipotesi del ferimento di Gheddafi. PRESSIONE - Per Frattini, in ogni caso, "un dato è certo: la pressione internazionale ha verosimilmente provocato la decisione da parte di Gheddafi di mettersi al riparo in un luogo più sicuro". Quanto alla possibilità che il colonnello si nasconda in un'area desertica nella Libia centromeridionale, Frattini ha detto: "Noi non lo sappiamo, ma c'è sicuramente un effetto che tutto questo (la pressione internazionale, ndr) sta provocando: la disgregazione all'interno del regime, che è quello che noi auspicavamo". "UCCIDERLO NON SI PUÒ" - Il capo della Farnesina è poi tornato a precisare che uccidere Gheddafi "non è possibile" perché "non lo prevede il mandato della risoluzione 1.973 delle Nazioni Unite". La risoluzione, ha spiegato Frattini, "non mira a singole persone e non credo che si sarebbe raggiunto l'accordo in seno al Consiglio di sicurezza se avesse previsto l'uccisione" del leader libico. L'intervista a Frattini di Maurizio Caprara L'USO DEI MIGRANTI - Frattini ha poi puntato il dito contro la politica sinora adottata da Tripoli di inviare barconi carichi di migranti verso l'Europa, una pratica definita "uno strumento criminale che viene usato dal regime di Gheddafi" per esercitare pressioni. Frattini chiede quindi che questi "crimini vengano considerati nel dossier" che la Corte penale internazionale sta preparando sul rais libico. LO STOP AI COMBATTIMENTI - Quanto alla possibile fine dei combattimenti, ha detto il ministro, "io credo che non manchi molto: la rassicurazione che tutti noi vogliamo è che si possa arrivare in tempi ragionevoli a un governo provvisorio di unità nazionale". "Il momento chiave - ha puntualizzato - è l'incriminazione, fra poche settimane e presumibilmente entro maggio, di Gheddafi davanti al Tribunale penale internazionale. I margini di manovra per un esilio in questo caso vengono meno perchè quando c'è un ordine di arresto anche gli Stati vicini dovrebbero perseguirlo" Di certo , però, il cessate "il fuoco non può essere finalizzato a dividere la Libia in due", e se fosse fatto oggi, sarebbe uno strumento con cui il regime potrebbe "rafforzare il suo pezzo di territorio". Frattini ha detto di condividere l'appello del ministro dell'Interno Roberto Maroni sulla necessità di perseguire una soluzione politica, dicendo però che "quello che non solo l'Italia dice, ma tutti i paesi coinvolti", è che il cessate il fuoco non può "dividere la Libia in due". I PAESI AFRICANI - Sull'imminente visita del ministro degli Esteri del Ciad e dell'Egitto a Roma, nel quadro di un vertice alla Farnesina sulla riforma del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, il ministro ha risposto ricordando la recente visita a N'djamena dell'inviato speciale Margherita Boniver. E ha poi aggiunto: "Con il ministro egiziano avrò un bilaterale importante: sarà il suo primo viaggio all'estero. L'Egitto ha un enorme confine con la Libia e anche per questa ragione è rimasto molto cauto sulla crisi libica". Redazione online 13 maggio 2011
Raid Nato su Brega, "molti morti civili" L'annuncio è stato diramato dalla televisione di Stato libica, vicina alle posizioni di Gheddafi NOTIZIE CORRELATE Frattini: "Gheddafi via da Tripoli, ma è ancora in Libia" (13 maggio 2011) Una postazione lanciamissili dei ribelli (Reuters) Una postazione lanciamissili dei ribelli (Reuters) MILANO - Un "grande numero" di civili sono morti in un attacco della Nato su Brega, città della Libia orientale. Lo ha annunciato la tv di Stato libica. Le vittime complessive sarebbero almeno 16, a cui si aggiungono almeno quaranta feriti. L'emittente nazionale, vicina alle posizioni di Muammar Gheddafi, ha mostrato anche immagini di almeno nove corpi con diverse ferite e avvolti dentro a delle lenzuola. Non è stato possibile avere una conferma indipendente della notizia. "GHEDDAFI VIVO? NON CI SONO PROVE" - La Nato, dal canto suo, ha intanto fatto sapere che al momento non ha prove per confermare se l'apparizione televisiva del Colonnello di due giorni fa possa essere reale e non si tratti piuttosto di un vecchio spezzone registrato in passato e messo in onda per accreditare la tesi dell'esistenza in vita del Rais. "Non abbiamo persone sul terreno - ha detto il portavoce militare dell'Alleanza, Mike Bracken -, non siamo in grado di confermare la sua apparizione". Il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, ha invece fatto notare che a suo parere Gheddafi è in fuga dalla Capitale (e quindi vivo) ma che si troverebbe tutt'ora in territorio libico. Raid Nato, le immagini della tv di Stato Rcd "PROGRESSI REALI NELLA MISSIONE" - Intanto i portavoce della Nato fanno sapere da Bruxelles che la missione militare in Libia sta registrando "progressi reali", con una distruzione significativa - ha precisato Carmen Romero - "della macchina militare del regime di Gheddafi". In particolare, l'Alleanza ritiene che "significativi miglioramenti" siano stati fatti a Misurata dove mercoledì - ha riferito il portavoce militare Mike Brancken - non sono stati riportati attacchi ai civili". Le operazioni della Nato non finiranno, proseguiranno in Libia fino a quando il regime di Muammar Gheddafi continuerà ad attaccare il suo popolo. E questo è un punto su cui c'è totale accordo tra il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen e il presidente Usa Barack Obama. Redazione Online 13 maggio 2011
IMMIGRAZIONE - Ripresi gli sbarchi, SEI barconi IN UN GIORNO Lampedusa, arrivati oltre mille migranti Maroni: "L'Europa non rispetta patti" Le stime dell'Onu: dopo l'inizio della guerra morti in mare 1200 profughi partiti dalla Libia NOTIZIE CORRELATE A Lampedusa l'amore-odissea di Winny e Nizar (12 maggio 2011) Tre cadaveri recuperati sotto la barca naufragata a Lampedusa (9 maggio 2011) MILANO - Sono 1241 i migranti approdati nelle ultime ore a Lampedusa su sei barconi. L'ultimo sbarco, il più numeroso, si è concluso con l'arrivo in porto di 493 profughi (tra i quali 1o donne e 15 bambini) che erano su un'imbarcazione alla deriva soccorsa dalle motovedette della Guardia di Finanza e della Guardia Costiera. La "carretta", che imbarcava acqua a causa di una rottura all'elica, era già semiaffondata quando la Guardia costiera è intervenuta. In mattinata erano invece approdati tre barconi con 265, 191 e 142 profughi, tra i quali numerose donne e bambini. Non è stato ancora chiarito se tra i profughi arrivati a Lampedusa vi siano anche i 220 che ieri avevano lanciato l'Sos con un telefono satellitare mentre si trovavano ancora tra la Libia e Malta. L'arrivo di Alfio Sciacca IL MINISTRO MARONI - "A Lampedusa continuano ad arrivare profughi dalla Libia. Mentre con la Tunisia funziona l'accordo di rimpatrio. In Libia c'è la guerra e finchè dura la guerra arriveranno i profughi" ha commentato il ministro dell'Interno Roberto Maroni alla Festa della polizia penitenziaria a Roma. "Questo è il problema - rimarca il titolare del Viminale - e per questo abbiamo sollecitato e risollecitiamo un'azione forte della diplomazia che ponga fine alla guerra in Libia altrimenti non c'è modo di fermare gli sbarchi. L'Europa non sta facendo quello che si è impegnata a fare. Un mese fa aveva deciso di prendere alcune iniziative, che dopo un mese non sono state ancora prese". Critica Livia Turco, responsabile dell'immigrazione del Pd: "L'atteggiamento del ministro Maroni è schizofrenico. Vorrebbe un maggior impegno dell'Europa e che questa mettesse in atto, con tempi rapidi, le proposte individuate per fare fronte ai flussi dei migranti. Tempi rapidi, che però Maroni stesso non sta applicando quando si tratta di rispettare le regole". ECATOMBE - Sarebbero 1.200 le persone morte nella traversata del Mediterraneo fuggendo dalla Libia, secondo le ultime stime rese note oggi a Ginevra dell'Onu. Da fine marzo, quando è cominciata la fuga via mare dalla Libia verso Lampedusa e Malta a bordo di barconi malmessi e sovraccarichi, "stimiamo che potrebbero esserci fino a 1.200 persone che risultano disperse e che si presume morte" su un totale di oltre 12.000 persone giunte in Italia e a Malta, ha dichiarato la portavoce dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), Melissa Fleming. Una persona su dieci in fuga dalla Libia non sopravvive alla traversata. Redazione online 13 maggio 2011
2011-05-08 Esplosioni ad Abbottabad, la polizia: "Non è stato abbattuto il compound" Bin Laden, l'ultimo messaggio: "Sicurezza Usa legata a Palestina" Registrato poco prima del blitz e rivolto al presidente Obama. E' stato messo online da un sito estremista * NOTIZIE CORRELATE * La suocera di Bin Laden muore dopo la notizia dell'uccisione del genero (8 maggio 2011) * Allo schermo studiando i messaggi "Osama come non era mai stato visto" (7 maggio 2011) * La Cia da mesi teneva d'occhio il covo di Osama ad Abbottabad (6 maggio 2011) * Al Qaeda ammette: "Osama è morto" (6 maggio 2011) * MULTIMEDIA - Foto e video Esplosioni ad Abbottabad, la polizia: "Non è stato abbattuto il compound" Bin Laden, l'ultimo messaggio: "Sicurezza Usa legata a Palestina" Registrato poco prima del blitz e rivolto al presidente Obama. E' stato messo online da un sito estremista Bin Laden nel rifugio rivede i suoi comunicati in tv (Epa) Bin Laden nel rifugio rivede i suoi comunicati in tv (Epa) In un messaggio registrato poco prima di esser ucciso dal blitz delle forze americane nel bunker di Abbottabad, il fondatore di Al Qaida ha avvertito che non ci sarà sicurezza negli Stati Uniti senza la sicurezza in Palestina. Il messaggio è stato messo in rete domenica su un sito estremista islamico. Rivolto a Barack Obama, Osama lo avverte che "l'America non potrà sognare di vivere in sicurezza fino a quando non si vivrà in sicurezza in Palestina", perché "non è giusto che voi viviate in pace mente in nostri fratelli a Gaza vivono nell'insicurezza". Il fondatore di al Qaida aggiunge che "secondo la volontà di Dio i nostri attacchi continueranno fino a quando voi (gli Usa, ndr) continuerete a sostenere Israele". ESPLOSIONI AD ABBOTTABAD - Nel pomeriggio di domenica alcuni testimoni hanno riferito di aver udito due forti esplosioni ad Abbottabad, la cittadina in cui si nascondeva Osama bin Laden. Subito si sono sparse ipotesi secondo cui le autorità avrebbero avuto intenzione di demolire il compound, per cercare di porre un argine all'intensa attenzione dei media su Abbottabad. La notizia è stata smentita da un poliziotto pachistano incaricato della sorveglianza dell'edificio, che ha riferito alla stampa pachistana che il covo di Osama è sempre al suo posto e che le esplosioni sono avvenute in un'altra zona della città. "LE RIVOLTE UNA VITTORIA" - Nel frattempo Al Qaida nel Maghreb Islamico (Aqmi), la cellula per il Nord Africa della rete di Osama bin Laden, ha diffuso un messaggio via Internet in cui si afferma che le rivolte nel mondo arabo sono una vittoria di Al Qaida. Lo rende noto il Site, centro americano di monitoraggio dei siti islamici. Redazione online 08 maggio 2011
soldati hanno fatto irruzione nelle case per arrestare dei giovani Siria, 12enne morto a Homs Carri armati entrano a Tafas Gli Usa: "Assad può ancora varare riforme". Incriminato Riad Seif per manifestazione antigovernativa * NOTIZIE CORRELATE * Siria, 827 morti e 8 mila arrestati dall'inizio delle proteste contro Assad (7 maggio 2011) soldati hanno fatto irruzione nelle case per arrestare dei giovani Siria, 12enne morto a Homs Carri armati entrano a Tafas Gli Usa: "Assad può ancora varare riforme". Incriminato Riad Seif per manifestazione antigovernativa Il funerale di un poliziotto a Homs (Epa) Il funerale di un poliziotto a Homs (Epa) AMMAN - Nell'assalto durante la notte ad Homs, le forze armate siriane hanno ucciso un bambino di 12 anni. Lo riferisce l'Osservatorio siriano per i diritti umani che parla di "almeno un civile morto". I militari di Damasco, appoggiati da carri armati, sono penetrati in nottata in tre quartieri della città, Bab Sebaa, Bab Amro e Tal al-Sour. In precedenza la televisione araba al Jazeera parlava di almeno 12 persone morte sempre a Homs dove l'esercito di Damasco ha dispiegato soldati e carri armati. Diversi media internazionali riportano la notizia dell'arrivo di tank dell'esercito anche nella città di Tafas, presso Deraa. Lo affermano testimoni e residenti. Gli abitanti della città hanno detto che alle 6 della mattina almeno otto carri armati sono entrati nella città di 30 mila abitanti. Testimoni hanno aggiunto di aver udito colpi d'arma da fuoco e di aver visto soldati e poliziotti fare irruzione nelle case per arrestare dei giovani. Venerdì Tafas era stata teatro di una manifestazione: migliaia di abitanti di un villaggio della pianura di Hauran, a cui era stato impedito di entrare a Deraa, avevano ripiegato su Tafas e avevano marciato nella città, scandendo slogan contro il presidente Bashar al-Assad. BANIAS - Le forze di sicurezza siriane hanno anche condotto una serie di arresti dopo che i militari su veicoli armati e tank hanno assediato la città di Banias, sulla costa mediterranea. Lo rende noto un attivista siriano, che ha raccolto i racconti dei testimoni, secondo cui almeno 250 persone sono state arrestate nella notte. Inoltre, rispetto a quanto riferito sabato, si ha notizia di altri tre morti a Banias, il che porta a sei il totale delle vittime in due giorni. Sabato i militari erano entrati in città, prendendo posizione sulla collina del castello di Marqab, tagliando l'energia elettrica e le linee telefoniche. GLI USA - "Non abbiamo dati certi, ma sappiamo che la Siria può ancora varare riforme. Nessuno invece credeva che Gheddafi lo avrebbe fatto" Così il segretario di Stato americano Hillary Clinton ha sottolineato le differenze fra la situazione in Libia e Siria, nel corso di un'intervista concessa al quotidiano La Stampa. "La gente ritiene ci sia un percorso possibile con la Siria. per questo continuiamo insieme ai nostri alleati a fare pressioni", ha aggiunto il capo della diplomazia americana, riferendosi anche alle sanzioni che sono state varate nei confronti di Damasco. L'OPPOSIZIONE - Intanto Riad Seif, uno dei principali esponenti dell'opposizione siriana, è stato incriminato dalla magistratura per aver violato il divieto di manifestazioni: lo ha reso noto il suo legale. Il 64enne Seif era stato arrestato venerdì nei pressi della moschea di al-Hassan, nel centro di Damasco, dove aveva luogo una manifestazione antigovernativa alla quale partecipavano centinaia di persone. Già in carcere dal 2008 al 2010 per aver formato la "Dichiarazione di Damasco" in favore della democrazia, era stato condannato a cinque anni nel 2001 con l'accusa di aver voluto "cambiare la Costituzione in modo illegale". Redazione online 08 maggio 2011
EGITTO - Attaccata chiesa copta nel quartiere di Imbaba, un centinaio i feriti Al Cairo, scontri fra cristiani e musulmani: almeno 9 morti Gli assalitori credevano che una donna che voleva convertirsi all'islam fosse tenuta prigioniera nell'edificio EGITTO - Attaccata chiesa copta nel quartiere di Imbaba, un centinaio i feriti Al Cairo, scontri fra cristiani e musulmani: almeno 9 morti Gli assalitori credevano che una donna che voleva convertirsi all'islam fosse tenuta prigioniera nell'edificio AL CAIRO - È di almeno nove morti e un centinaio di feriti il bilancio delle vittime degli scontri fra cristiani e musulmani scoppiati questa notte in un quartiere del Cairo: lo hanno reso noto fonti della sicurezza egiziana, senza fornire ulteriori dettagli. I disordini più gravi sono avvenuti nei pressi di una chiesa copta nel quartiere di Imbaba, attaccata da un gruppo di musulmani: secondo alcune testimonianze gli assalitori credevano che una donna che voleva convertirsi all'islam fosse tenuta prigioniera nell'edificio. L'ESERCITO - L'esercito, intervenuto in forze, ha effettuato numerosi arresti, mentre una delle più alte autorità religiose del Paese, il Gran Mufti Ali Gomaa, ha chiesto di "non mettere a rischio la sicurezza del Paese" affermando che i responsabili delle violenze "non possono essere persone veramente religiose, cristiane o musulmane". Il premier egiziano Essam Sharaf ha convocato una riunione di emergenza del governo dopo i violenti scotri interconfessionali che hanno causato almeno nove morti in un quartiere del Cairo: lo ha reso noto la stampa egiziana. Redazione online 08 maggio 2011
2011-05-06 Ne ha dato notizia il sito Usa di monitoraggio Site Al Qaeda ammette: "Osama è morto" Un comunicato diffuso su Internet dai forum jihadisti: "Il suo sangue non sarà stato versato invano" Ne ha dato notizia il sito Usa di monitoraggio Site Al Qaeda ammette: "Osama è morto" Un comunicato diffuso su Internet dai forum jihadisti: "Il suo sangue non sarà stato versato invano" Ad Abbottabad l'ira anti-Usa dall'inviato Lorenzo Cremonesi MILANO - Dopo cinque giorni di silenzi, smentite e ipotesi fantasiose e complottistiche, anche Al Qaeda è costretta ad ammettere l'amara (per loro) verità: Osama Bin Laden è morto nel raid dei Navy Seals americani nella notte tra domenica e lunedì ad Abbottabad, in Pakistan. Lo si legge in un comunicato diffuso su Internet dai forum jihadisti, di cui ha dato notizia il sito Usa di monitoraggio Site. "Il suo sangue non sarà sprecato e continuerà ad attaccare gli americani e i loro alleati", dice il comunicato jihadista. "Dio volendo la loro (degli americani e dei loro alleati, ndr) felicità si trasformerà in tristezza", prosegue il comunicato, datato 3 maggio e siglato Comando generale di Al Qaeda, "e il loro sangue sarà mescolato con le loro lacrime". Si annuncia inoltre a breve un messaggio audio di Osama Bin Laden , registrato la settimana prima della sua morte. Infine si invitano i cittadini pakistani a ribellarsi contro i loro leader. Obama ucciso, proteste anti-Usa Obama ucciso, proteste anti-Usa Obama ucciso, proteste anti-Usa Obama ucciso, proteste anti-Usa Obama ucciso, proteste anti-Usa Obama ucciso, proteste anti-Usa Obama ucciso, proteste anti-Usa Obama ucciso, proteste anti-Usa MANIFESTAZIONI - Alcuni colpi di arma da fuoco sono stati sparati a Karachi durante una manifestazione di protesta contro il raid Usa ad Abbottabad. Lo riferisce GeoTv, spiegando che gli spari hanno messo in fuga i manifestanti. Le proteste, nel corso delle quali sono state bruciate bandiere Usa, sono state organizzate in tutto il Pakistan dai partiti islamici, tra cui Jamaat-e-Islami. Almeno 300 manifestanti appartenenti a organizzazioni islamiche salafite si sono radunati al Cairo per condannare la morte di Osama e sono stati bloccati dalla sicurezza egiziana nei pressi dell'ambasciata degli Stati Uniti. Altri 3 mila hanno pregato in una moschea nella capitale egiziana per il capo di Al Qaeda. Al Qaeda conferma la morte di Osama NUOVO RAID - Gli Stati Uniti hanno lanciato da un drone missili contro una casa nel Nord Waziristan, come riferito da fonti dell'intelligence locale. I morti sarebbero da 15 a 17 e numerosi sarebbero i feriti. OBAMA - Bin Laden è stato sepolto in mare in maniera "rispettosa" e "penso che abbiamo gestito la vicenda in maniera appropriata". Lo ha detto il presidente Barack Obama in un'altra anticipazione - dopo quella di due giorni fa sulle foto del cadavere del capo di Al Qaeda che non sarebbero state diffuse - dell'intervista che il capo della Casa Bianca ha concesso alla trasmissione 60 Minutes della Cbs e che andrà in onda domenica. Seppellire Osama in mare è stato il frutto di "una decisione comune", ha precisato il presidente Usa, secondo cui "abbiamo avuto maggiori accortezze nei suoi confronti, dello stesso Bin Laden quando ha ucciso 3 mila persone. Non li ha trattati con grande rispetto e sacralità. È questo che ci rende differenti". Redazione online 06 maggio 2011
RIVELAZIONI DAL COMPUTER-ARCHIVIO DI OSAMA I segreti del covo di Bin Laden "Studiava un altro 11 settembre" Attacco ai treni Usa nel decennale delle Torri Gemelle RIVELAZIONI DAL COMPUTER-ARCHIVIO DI OSAMA I segreti del covo di Bin Laden "Studiava un altro 11 settembre" Attacco ai treni Usa nel decennale delle Torri Gemelle WASHINGTON – Nel febbraio del 2010 Al Qaeda ha ipotizzato di colpire il sistema ferroviario americano per causare un alto numero di vittime. L’idea era di provocare il deragliamento di un treno, magari facendolo precipitare da un ponte. Come possibili date dell’attentato: Natale, Capodanno e il decimo anniversario dell’11 settembre. Queste informazioni sono emerse da una prima quanto sommaria analisi della documentazione sequestrata nel rifugio di Osama. Nel confermare la rivelazione, le autorità hanno però aggiunto una precisazione importante: il piano non era entrato ancora nella fase operativa, non esiste alcuna minaccia specifica e si tratta probabilmente di uno dei molti scenari considerati dai terroristi. Inoltre, non vi sarebbero indicazioni su un luogo geografico particolare. I treni, insieme agli aerei, sono stati sempre tra gli obiettivi dei qaedisti. Ci sono diverse stragi di grandi proporzioni a confermarlo: Madrid, Londra e un paio di attacchi in India. Centinaia le vittime. E anche durante il massacro negli hotel di Mumbai alcuni membri del commando hanno preso di mira la stazione. Sono bersagli che non hanno valore simbolico, ma permettono a chi attacca di provocare molti morti e di sconvolgere un sistema di trasporto comune. Nel 2009 l’Fbi ha arrestato un afghano che voleva far esplodere zaini-bomba nel metrò di New York. Le indiscrezioni sono comunque solo all’inizio. I tecnici dell’Fbi, chiusi negli uffici di Quantico, devono scardinare i programmi criptati che proteggono i lap top portati via da Abbottabad. Con loro lavorano anche dei traduttori in quanto i testi non sono in inglese. Dalle memorie – chiavette, hard drive – possono uscire informazioni cruciali sui progetti di Al Qaeda. Se dai file di Osama spunteranno risvolti operativi più precisi bisognerà rivedere il giudizio sul profilo del leader di Al Qaeda. Dopo l’11 settembre 2001 si è affermato che Bin Laden avrebbe assunto il ruolo di ispiratore lasciando ai collaboratori e a cellule affiliate il compito di preparare attacchi. Ora, invece, emerge un Bin Laden – sempre che siano fondate le rivelazioni – che non si limita a distribuire sermoni via Internet ma è parte del "fronte". Non è neppure da escludere che nel computer del fondatore di Al Qaeda ci siano le bozze di possibili operazioni presentate dai suoi uomini. Piani che attendevano l’approvazione dell’Emiro. Nella fase di preparazione dell’attacco all’America, Khaled Sheikh Mohammed aveva esposto almeno un paio di progetti che erano stati respinti da Osama perché ritenuti non fattibili. Dissidi che avevano irritato lo stesso Mohammed convinto del successo. Guido Olimpio 05 maggio 2011(ultima modifica: 06 maggio 2011)
La base avanzata venne aperta dopo l'estate scorsa e chiusa prima del raid La Cia da mesi teneva d'occhio il covo di Osama ad Abbottabad Missione di sorveglianza costosa con rapporti burrascosi con l'intelligence pakistana * NOTIZIE CORRELATE * I segreti del covo di Bin Laden: "Studiava un altro 11 settembre", di G. Olimpio (5 maggio 2011) La base avanzata venne aperta dopo l'estate scorsa e chiusa prima del raid La Cia da mesi teneva d'occhio il covo di Osama ad Abbottabad Missione di sorveglianza costosa con rapporti burrascosi con l'intelligence pakistana L'ultimo rifugio di Osama Bin Laden (Afp) L'ultimo rifugio di Osama Bin Laden (Afp) WASHINGTON – Come in un film. Un team della Cia ha tenuto d’occhio per diversi mesi il complesso dove viveva Bin Laden a Abbottabad, in Pakistan. Un paziente lavoro di sorveglianza condotto con prudenza nel timore di venire scoperti. La base avanzata dell’intelligence – aperta probabilmente dopo l’estate – è stata poi chiusa poco prima del raid. INDISCREZIONI - L’esistenza della "casa sicura" è stata rivelata dal Washington Post che ha raccolto le indiscrezioni di fonti militari. La missione del team era di "trovare e sistemare" (find and fix, in inglese) mentre il compito di finire (finish) è toccato alle unità speciali. Gli agenti hanno contribuito a realizzare "le linee di comportamento" di chi viveva nelle vicinanze e all’interno dell’edificio sospetto. Ossia abitudini, movimenti, presenza di vedette, attività anomale. È così che si sono accorti che gli abitanti del rifugio uscivano di rado, sembravano reclusi e bruciavano l’immondizia nel cortile. Le osservazioni da terra si sono sommate a quelle condotte dai satelliti spia. E come ha rivelato il direttore della Cia, Leon Panetta, almeno in un’occasione è stato avvistato un uomo alto che poteva essere Osama, ma non poi non sono riusciti a trovare conferme concrete. MISSIONE - L’intera missione di sorveglianza si è rivelata molto costosa al punto che in dicembre l’agenzia ha chiesto al Congresso un supplemento di fondi. Per i funzionari il lavoro degli 007 a Abbottabad non si è svolto, in apparenza, in un periodo favorevole. I rapporti tra gli americani e i pachistani sono stati piuttosto tempestosi. In particolare dopo la vicenda di Raymond Davis, un agente Cia che in gennaio ha ucciso due uomini che sospettava volessero aggredirlo. Lo 007 è finito in prigione mentre è emerso che le due vittime erano in realtà funzionari dell’Isi, il servizio segreto locale sospettato di connivenza con l’estremismo. Rapporti sui quali avrebbe indagato Davis, rimesso poi in libertà a marzo. La sua vicenda, per certi aspetti misteriosa, è legata all’inchiesta su Bin Laden? Per ora non ci sono risposte. Guido Olimpio 06 maggio 2011
Durante un attacco ad un villaggio cristiano. Lo ha annunciato la polizia Nigeria, uccisi nel nord 16 cristiani Il Paese è sconvolto da anni da violenze religiose tra musulmani e cristiani Durante un attacco ad un villaggio cristiano. Lo ha annunciato la polizia Nigeria, uccisi nel nord 16 cristiani Il Paese è sconvolto da anni da violenze religiose tra musulmani e cristiani KANO (NIGERIA) - Sedici persone di religione cristiana sono state uccise venerdì in un attacco ad un villaggio cristiano nel nord della Nigeria. Lo ha annunciato la polizia. Il Paese è sconvolto da anni da violenze religiose tra musulmani e cristiani. UOMINI ARMATI - Degli uomini armati non identificati hanno attaccato nella notte il villaggio di Kurum, nello Stato di Bauchi, uno dei più colpiti dai disordini seguiti alle elezioni il mese scorso. "Secondo le mie informazioni, 16 persone sono state uccise e 20 case bruciate nell'attacco", ha detto all'Afp il commissario Amama Abakasanga della polizia di Bauchi. Redazione online 06 maggio 2011
siria - cortei nella capitale. Protesta curda nel nord Damasco, spari sui manifestanti: morti Scontri tra esercito e forze di sicurezza Dopo il fuoco sulla folla, le forze di sicurezza, fedeli a Bashar al-Assad, si scontrano con l'esercito siriano siria - cortei nella capitale. Protesta curda nel nord Damasco, spari sui manifestanti: morti Scontri tra esercito e forze di sicurezza Dopo il fuoco sulla folla, le forze di sicurezza, fedeli a Bashar al-Assad, si scontrano con l'esercito siriano Manifestazioni Manifestazioni MILANO - È salito a ventuno morti il bilancio delle vittime della violenta repressione messa in atto dalle forze di sicurezza siriane a Homs, in Siria, dove era in corso una manifestazione contro il presidente Bashar al-Assad. Lo riferisce l'emittente satellitare al-Arabiya, spiegando che l'esercito ha dispiegato carri armati in città. CONTRO L'ESERCITO - Dopo gli scontri tra la sicurezza del presidente siriano e i manifestanti, testimoni oculari stanno raccontando su Twitter, che a Homs sarebbero in corso scontri armati tra le forze di sicurezza e i militari che si sarebbero rifiutati di sparare sui civili. Mentre la tv di stato siriana parla di un ufficiale e quattro soldati dell'Esercito siriano uccisi, sempre a Homs. Altre fonti, citate da attivisti siriani che trasmettono su Twitter, avevano in precedenza parlato dello scoppio di scontri armati tra forze di sicurezza e una brigata corazzata dell'esercito, che si sarebbe schierata a fianco dei manifestanti nel quartiere di Baba Amr di Homs. Secondo le testimonianze, che non possono essere verificate, gli scontri sarebbero cominciati da circa un'ora e sarebbero ancora in corso coinvolgendo l'intero quartiere. ATTIVISTI - Gli scontri erano cominciato già nella mattinata, quando, carri armati dispiegati a Barzeh, distretto di Damasco, e a Homs, nella Siria centrale, hanno puntato sui manifestanti. "Cinque corpi sono stati recuperati nella zona di Bab al-Sibaa. Ci sono decine di manifestanti feriti. Migliaia di persone stanno ancora sfilando pacificamente in altre zone di Homs", raccontava nella mattinata un attivista per i diritti umani, che ha chiesto di rimanere anonimo. Secondo le testimonianze riportate da SyrianJasmine, pseudonimo di un attivista siriano di spicco, gli agenti avrebbero aperto il fuoco contro manifestanti nei pressi della moschea Nuri di Homs, mentre un altro attivista, che scrive con lo pseudonimo di ZaynSyria, altri dimostranti sarebbero stati bersaglio del fuoco di forze di sicurezza a Tall, sobborgo a nord di Damasco. Migliaia di cittadini curdo-siriani si sono radunati a Qamishli, Amuda e Ayn Arab, nei pressi del confine nord-orientale con la Turchia invocando "la caduta del regime". SANZIONI UE - La gestione delle proteste da parte di Assad ha provocato critiche a livello internazionale. La Ue ha raggiunto un accordo per imporre il congelamento di asset e restrizioni sui viaggi a funzionari siriani responsabili della repressione violenta nei confronti dei manifestanti antigovernativi, come riferiscono diplomatici dell'Unione. La decisione fa seguito a un accordo di massima raggiunto la settimana scorsa per imporre un embargo sulle armi alla Siria. Le misure saranno approvate formalmente lunedì prossimo, se nel frattempo nessuno Stato membro avrà sollevato obiezioni. Sulla lista figurano 14 persone, ma al momento non è chiaro se tra loro ci sia il presidente Assad. Redazione online 06 maggio 2011
2011-05-01 [Esplora il significato del termine: L’Annuncio dei MEDIA LIBICI Raid Nato, ucciso figlio di Gheddafi Colpita nella sua abitazione a Tripoli Saif al-Arab, ultimogenito del Raìs. Ma l’Alleanza non conferma L’Annuncio dei MEDIA LIBICI Raid Nato, ucciso figlio di Gheddafi Colpita nella sua abitazione a Tripoli Saif al-Arab, ultimogenito del Raìs. Ma l’Alleanza non conferma MILANO - Uno dei figli di Gheddafi, Saif al-Arab (LEGGI LA SCHEDA), è stato ucciso nella notte di sabato da un raid della Nato sulla sua casa di Tripoli. Nell’abitazione secondo il governo libico si trovava anche il padre Muammar, rimasto illeso. Anche tre nipoti di Gheddafi sono morti. La Nato ha confermato un attacco su Tripoli, ma ha detto che aveva per obiettivo una struttura militare e non persone. I NIPOTI MORTI - Secondo quanto riferisce il portavoce del governo libico Moussa Ibrahim, hanno tutti meno di 12 anni i tre nipoti di Gheddafi morti. Ibrahim non ha però voluto rivelare l’identità dei bambini dicendo di voler garantire la privacy della famiglia. "Saif al-Arab stava giocando e parlando con suo padre, la madre, i suoi nipoti e altri amici quando è stato attaccato per non aver commesso alcun crimine" ha aggiunto Ibrahim. Raid Nato, ucciso uno dei figli di Gheddafi Raid Nato, ucciso uno dei figli di Gheddafi Raid Nato, ucciso uno dei figli di Gheddafi Raid Nato, ucciso uno dei figli di Gheddafi Raid Nato, ucciso uno dei figli di Gheddafi Raid Nato, ucciso uno dei figli di Gheddafi Raid Nato, ucciso uno dei figli di Gheddafi Raid Nato, ucciso uno dei figli di Gheddafi LA MINACCIA - Proprio sabato il Raìs in un discorso in tv aveva chiesto negoziati alla Nato per arrivare a un cessate il fuoco, ma aveva anche minacciato di "portare la guerra in Italia" per punire gli italiani di quello che considera un "tradimento". SCENE DI GIUBILO - A Misurata i ribelli sono scesi in strada in festa suonando clacson e cantando "Allahu Akbar" - cioè "Dio è grande" - non appena appresa la notizia dell’attacco Nato su Bab al-Aziziya e della morte del figlio più giovane di Gheddafi. Fuochi d’artificio sono stati sparati di fronte all’ospedale centrale di Hikma, facendo temere che la luce potesse attirare il fuoco delle forze del Raìs. Scene simili anche a Bengasi dove i ribelli i hanno accolto la notizia del raid con urla di giubilo e continue salve di mitra sparate in aria. "Sono così contenti che Gheddafi abbia perso suo figlio che stanno sparando in aria per celebrare (l’evento)", ha dichiarato il colonnello Ahmed Omar Bani, portavoce militare del Consiglio Nazionale Transitorio di Bengasi. LA NATO - Il generale canadese Charles Bouchard, comandante Nato delle operazioni in Libia, ha dichiarato che è stato attaccato "un edificio di comando e controllo nell’area di Bab al-Aziziya", precisando che comunque tutti gli obiettivi presi di mira sono di natura militare. Lo stesso Bouchard ha fatto poi riferimento a "notizie di stampa non confermate secondo le quali alcuni membri della famiglia di Gheddafi sarebbero stati uccisi" dicendo che la Nato è rammaricata per "ogni perdita di vite umane, soprattutto di civili innocenti che subiscono le conseguenze del conflitto in corso". Redazione online 01 maggio 2011] L'Annuncio dei MEDIA LIBICI Raid Nato, ucciso figlio di Gheddafi Colpita nella sua abitazione a Tripoli Saif al-Arab, ultimogenito del Raìs. Ma l'Alleanza non conferma L'Annuncio dei MEDIA LIBICI Raid Nato, ucciso figlio di Gheddafi Colpita nella sua abitazione a Tripoli Saif al-Arab, ultimogenito del Raìs. Ma l'Alleanza non conferma MILANO - Uno dei figli di Gheddafi, Saif al-Arab (LEGGI LA SCHEDA), è stato ucciso nella notte di sabato da un raid della Nato sulla sua casa di Tripoli. Nell'abitazione secondo il governo libico si trovava anche il padre Muammar, rimasto illeso. Anche tre nipoti di Gheddafi sono morti. La Nato ha confermato un attacco su Tripoli, ma ha detto che aveva per obiettivo una struttura militare e non persone. I NIPOTI MORTI - Secondo quanto riferisce il portavoce del governo libico Moussa Ibrahim, hanno tutti meno di 12 anni i tre nipoti di Gheddafi morti. Ibrahim non ha però voluto rivelare l'identità dei bambini dicendo di voler garantire la privacy della famiglia. "Saif al-Arab stava giocando e parlando con suo padre, la madre, i suoi nipoti e altri amici quando è stato attaccato per non aver commesso alcun crimine" ha aggiunto Ibrahim. Raid Nato, ucciso uno dei figli di Gheddafi Raid Nato, ucciso uno dei figli di Gheddafi Raid Nato, ucciso uno dei figli di Gheddafi Raid Nato, ucciso uno dei figli di Gheddafi Raid Nato, ucciso uno dei figli di Gheddafi Raid Nato, ucciso uno dei figli di Gheddafi Raid Nato, ucciso uno dei figli di Gheddafi Raid Nato, ucciso uno dei figli di Gheddafi LA MINACCIA - Proprio sabato il Raìs in un discorso in tv aveva chiesto negoziati alla Nato per arrivare a un cessate il fuoco, ma aveva anche minacciato di "portare la guerra in Italia" per punire gli italiani di quello che considera un "tradimento". SCENE DI GIUBILO - A Misurata i ribelli sono scesi in strada in festa suonando clacson e cantando "Allahu Akbar" - cioè "Dio è grande" - non appena appresa la notizia dell'attacco Nato su Bab al-Aziziya e della morte del figlio più giovane di Gheddafi. Fuochi d'artificio sono stati sparati di fronte all'ospedale centrale di Hikma, facendo temere che la luce potesse attirare il fuoco delle forze del Raìs. Scene simili anche a Bengasi dove i ribelli i hanno accolto la notizia del raid con urla di giubilo e continue salve di mitra sparate in aria. "Sono così contenti che Gheddafi abbia perso suo figlio che stanno sparando in aria per celebrare (l'evento)", ha dichiarato il colonnello Ahmed Omar Bani, portavoce militare del Consiglio Nazionale Transitorio di Bengasi. LA NATO - Il generale canadese Charles Bouchard, comandante Nato delle operazioni in Libia, ha dichiarato che è stato attaccato "un edificio di comando e controllo nell'area di Bab al-Aziziya", precisando che comunque tutti gli obiettivi presi di mira sono di natura militare. Lo stesso Bouchard ha fatto poi riferimento a "notizie di stampa non confermate secondo le quali alcuni membri della famiglia di Gheddafi sarebbero stati uccisi" dicendo che la Nato è rammaricata per "ogni perdita di vite umane, soprattutto di civili innocenti che subiscono le conseguenze del conflitto in corso". Redazione online 01 maggio 2011
LA GUERRA IN LIBIA Il Raìs è un bersaglio, la caccia è aperta L'uccisione di Saif Al Arab, primo messaggio chiaro della Nato a Gheddafi LA GUERRA IN LIBIA Il Raìs è un bersaglio, la caccia è aperta L'uccisione di Saif Al Arab, primo messaggio chiaro della Nato a Gheddafi WASHINGTON – L'uccisione di Saif Al Arab – se sarà confermata da fonti indipendenti - è il primo messaggio chiaro lanciato dalla Nato da quando è iniziata la crisi libica. Gheddafi e i suoi figli sono un bersaglio. L'alleanza lo aveva minacciato facendo seguire alle parole diversi raid sulla caserma-bunker del colonnello ma ora vi sarebbe un primo esito drammatico. E Gheddafi è al bivio: accetta di andarsene oppure pagherà le conseguenze. Fonti di intelligence, tuttavia, invitano alla cautela e vogliono avere maggiori elementi per capire cosa sia avvenuto a Tripoli. CACCIA APERTA - Il bombardamento è comunque la prova che la caccia al raìs è aperta e la Nato è decisa a portarla avanti. Perché ritiene che sia l’unico modo dare una svolta a una crisi che rischia di allungarsi pericolosamente. La soluzione – hanno affermato nei giorni scorsi politici di spicco americani - è "tagliare la testa del serpente". Frase che ha sollevato obiezioni morali – "non è giustificato" – come riserve tecniche. Per gli esperti il "target killing" va condotto senza fanfara o avvisi. Il nemico deve rimanere nell’incertezza, specie se si chiama Muammar Gheddafi, abile a fiutare la trappola. L’attacco può avere contraccolpi su più livelli. I paesi, come la Russia, che hanno manifestato con forza il loro dissenso per i raid alzeranno la voce e promuoveranno passi diplomatici. Il regime cercherà di vendicarsi. Gheddafi – secondo le autorità libiche – ha perso sotto le bombe un figlio e tre nipoti. Sangue chiama sangue. Dopo il fallito raid dell’86 sulla sua residenza, il raìs ha pianificato una lunga serie di attentati affidati a gruppi estremisti. Attacchi che hanno coinvolto aerei passeggeri, luoghi pubblici e obiettivi simbolici. Alcuni episodi hanno coinvolto l’Italia, sabato presa di mira dalle minacce dirette del colonnello. Un indizio, accompagnato da elementi raccolti dall’alleanza, che Gheddafi ha deciso di ricorrere al terrorismo da diverso tempo. E ha ordinato ai suoi uomini di prepararsi in attesa del pretesto. In fondo è quello che ha fatto per anni, prima di essere riammesso nella comunità internazionale. Guido Olimpio 01 maggio 2011
Si era SPARSA la voce che FOSSE PASSATO CON I RIBELLI Saif, lo studente che amava le feste Aveva 29 anni, fu denunciato per rissa in un locale a Monaco e rumori molesti con la sua Ferrari Si era SPARSA la voce che FOSSE PASSATO CON I RIBELLI Saif, lo studente che amava le feste Aveva 29 anni, fu denunciato per rissa in un locale a Monaco e rumori molesti con la sua Ferrari Saif al Arab Gheddafi aveva 29 anni ed era il sesto figlio del leader libico, colui che aveva mantenuto il profilo più basso tra i figli da quando la crisi ha avuto inizio. Secondo i media americani, a differenza del fratello Saif al Islam, al Arab non era mai apparso in televisione e aveva rilasciato pochissime dichiarazioni pubbliche. Saif al Arab Gheddafi era nato a Tripoli nel 1982. Sua madre è Safia Farkash, la seconda moglie del colonnello. Fonti non confermate hanno riferito che con lui sono stati uccisi tre nipoti del colonnello. Quest'ultimo, che si trovava in casa del figlio, sarebbe stato il vero obiettivo del raid. Saif al Arab nel 2006 si era iscritto alla Technical University di Monaco di Baviera, in Germania. Secondo quanto riferito da Al Jazira, il figlio di Gheddafi nel suo periodo universitario a Monaco aveva passato il tempo più che altro andando a feste e dedicandosi a business non specificati. Secondo una denuncia alla polizia tedesca, nel 2006 Al Arab fu coinvolto in una rissa con un buttafuori in un nightclub di Monaco. Nel 2008 sempre a Monaco fu presentata una nuova denuncia per l'eccessivo rumore che faceva la sua Ferrari F430, che fu sequestrata. Al Arab Gheddafi fu sospettato, sempre nel 2008, di tentare di portare una pistola e delle munizioni da Monaco a Parigi servendosi di un'auto dotata di targa diplomatica. Il caso fu successivamente lasciato cadere dalle autorità tedesche per insufficienza di prove. La risoluzione 1970 dell'Onu aveva imposto un divieto di viaggio a Saif Al Arab, ma non il sequestro dei suoi beni all'estero, come per altri figli dei rais. Dopo l'inizio della rivolta, il giovane Gheddafi era stato mandato dal padre all'est al comando di truppe per combattere gli insorti. Si era persino sparsa la voce che fosse passato dalla parte degli insorti, ma la notizia si era poi rivelata priva di fondamento. (Fonte Ansa) 01 maggio 2011
Almeno sei i morti, ma 300 soldati sarebbero passati con i rivoltosi Siria: Assad manda i tank a Deraa Granate e mitragliatrici pesanti negli scontri della moschea centrale. Una ong: 560 vittime in 6 settimane * NOTIZIE CORRELATE * Siria, la polizia spara sulla folla: 48 morti (29 aprile 2011) Almeno sei i morti, ma 300 soldati sarebbero passati con i rivoltosi Siria: Assad manda i tank a Deraa Granate e mitragliatrici pesanti negli scontri della moschea centrale. Una ong: 560 vittime in 6 settimane Carri armati sulla strada di Deraa (Reuters) Carri armati sulla strada di Deraa (Reuters) MILANO - Da 15 a 20 carri armati, secondo le fonti. Il presidente siriano Bashar Assad, ha deciso di impiegare lo stesso sistema del padre Hafez (a suo tempo utilizzato ad Hama) per stroncare la rivolta a Deraa, dove venerdì la polizia ha ucciso una cinquantina di persone sparando sulla folla. I tank sono entrati all'alba in città, dove è scoppiato un intenso scontro a fuoco per impedire i funerali delle vittime di venerdì. Ma, secondo quanto riferito da al-Jazeera, circa 300 soldati avrebbero abbandonato le fila dell'esercito, schierandosi al fianco dei manifestanti. Il regime siriano, secondo il gruppo per la difesa dei diritti umani Sawasiah, avrebbe già provocato almeno 560 vittime dall'inizio della sollevazione, sei settimane fa. FUNERALI - Colpi di artiglieria pesante sono stati uditi nelle prime ore della mattina, riportano testimoni sul posto. I colpi provengono dalla strada che porta verso la città vecchia. "Ho visto più di 15 carri armati arrivati dall'autostrada che porta a Damasco e diretti verso quell'area", dice una fonte citata da Ansa-Reuters. I militari, appoggiati dai tank e da tre elicotteri, hanno preso il controllo della moschea di Omar e nell'operazione hanno ucciso quattro persone, ha riferito un cittadino di Deraa, secondo il quale l'operazione è durata 90 minuti durante la quale le truppe hanno usato granate e mitragliatrici pesanti. Almeno sei le vittime, tra queste tre donne e il figlio dell'imam della moschea, uccisi da un carro armato che ha colpito la loro casa vicino alla moschea. I funerali delle vittime di venerdì si svolgeranno a partire dalle 16.30 (le 15.30 in Italia). Le autorità hanno "chiesto" che si svolgano in forma privata alla presenza solo dei famigliari più stretti. Redazione online 30 aprile 2011
Sabato pomeriggio l'annuncio a sorpresa William e Kate rinviano la luna di miele Passeranno il fine settimana in patria, poi l'erede al trono riprende servizio come elicotterista della Raf * Il giorno del sì: vip e reali * All'altare con il fantasma di Diana * Pippa e Harry, fratelli terribili * Amanti, ecologia e gusti eccentrici * Il principe del Bahrein declina l'invito * Obama e Sarkozy non ci sono * Il dilemma nuziale di Cameron * I genitori di Kate non passano l'esame * Kate si veste di rinascimento * "Kate si è disegnata da sola l'abito" * Il principe e la borghese Sabato pomeriggio l'annuncio a sorpresa William e Kate rinviano la luna di miele Passeranno il fine settimana in patria, poi l'erede al trono riprende servizio come elicotterista della Raf MILANO - L'annuncio a sorpresa arriva nel primo pomeriggio, dopo che i neoduchi di Cambridge (Williams & Kate per il resto del mondo) hanno già lasciato Buckhingam Palace in elicottero. Gli sposini hanno deciso di rinviare a data da destinarsi la loro luna di miele che "comunque si svolgerà all'estero". I due reali passeranno il fine settimana nel Regno - ma non nella loro residenza di Anglesey -, poi l'erede al trono tornerà al suo lavoro alla Royal Air Force, nonostante aveva annunciato di aver preso due settimane di congedo. Lo ha annunciato un comunicato della casa reale, che invita a "conservare la privacy della coppia durante questo fine settimane e nella luna di miele". Destinazione ancora segreta con gli allibratori che puntano su Kenya o Giordania. PARTENZA - Il duchi avevano lasciato Buckingham Palace a bordo di un elicottero, diretti verso una meta sconosciuta. La coppia, in abiti casual, si è diretta verso l'eliporto, ha stretto la mano ai membri dello staff ed è partita. Kate indossava un vestito blu tagliato appena sopra il ginocchio, e una giacca nera; William pantaloni kaki, camicia e giacca sportiva. La coppia sembrava rilassata, pronta per il primo viaggio insieme da marito e moglie. Redazione online 30 aprile 2011
fuori programma dopo la cerimonia: sull'auto scoperta addobbata con palloncini William e Kate pronunciano il sì reale Due miliardi di persone per le loro nozze Il principe accoglie la sposa all'altare: "Ti amo, sei bellissima". E lei con un filo di voce pronuncia il giuramento: "I will". Poi sulla carrozza: "Sei felice?" * Il giorno del sì: vip e reali * All'altare con il fantasma di Diana * Pippa e Harry, fratelli terribili * Amanti, ecologia e gusti eccentrici * Il principe del Bahrein declina l'invito * Obama e Sarkozy non ci sono * Il dilemma nuziale di Cameron * I genitori di Kate non passano l'esame * Kate si veste di rinascimento * "Kate si è disegnata da sola l'abito" * Il principe e la borghese fuori programma dopo la cerimonia: sull'auto scoperta addobbata con palloncini William e Kate pronunciano il sì reale Due miliardi di persone per le loro nozze Il principe accoglie la sposa all'altare: "Ti amo, sei bellissima". E lei con un filo di voce pronuncia il giuramento: "I will". Poi sulla carrozza: "Sei felice?" Londra è in festa per il "sì" reale di William e Kate. "I will": la voce degli sposi nell'abbazia di Westminster risuona in un evento planetario trasmesso via satellite e via Internet per un pubblico di oltre due miliardi di persone. Eppure, nonostante un'audience globale, nonostante una folla festante di decine di migliaia di persone lungo il percorso nelle strade di Londra, quella del principe secondo in successione al trono d'Inghilterra e della ex commoner Catherine Elizabeth Middleton è comunque una storia d'amore. Gli sposi si sono scambiati le promesse nuziali e l'arcivescovo di Canterbury li ha dichiarati marito e moglie nella splendida cornice dell'abbazia di Westminster a Londra. Lei ha pronunciato il suo giuramento di rito con un filo di voce e guardando negli occhi il suo sposo. La fede nuziale, che indosserà solo la sposa, è stata realizzata con oro del Galles, estratto da una miniera da cui provengono le fedi della Famiglia reale. Due i baci, breve e timido il primo, un po' più audace il secondo, che i novelli sposi si sono scambiati affacciandosi al balcone del palazzo reale e rispettando perfettamente il copione, senza strafare. Il bacio Il bacio Il bacio Il bacio Il bacio Il bacio Il bacio Il bacio FOLLA DI FAN - Il saluto dal balcone di Buckingham Palace, illuminato da un atteso sole su Londra, è stata anche l'ultima sequenza ad essere ripresa dalle telecamere: dopodiché è calato il sipario mediatico sul matrimonio, che continua nei ricchi saloni del palazzo reale. Agli ospiti sono stati offerti diecimila tartine, otto piani di torta nuziale e champagne Pol reserve Brut. La festa prosegue anche in strada, dove la febbre da matrimonio reale ha portato più di un milione di persone - scrive il Sun - assiepate dietro le transenne lungo il percorso reale o nei parchi davanti ai maxischermi, per seguire le nozze da favola. La gente ha salutato con grida di giubilo i reali al loro passaggio: prima il principe William e il testimone-fratello Harry arrivati in limousine all'abbazia di Westminster, poi il principe Carlo e la consorte Camilla e infine la Regina con il principe Filippo. Dopo di loro la sposa Kate, che ha sfoggiato in mondovisione il suo abito bianco. Scatenati i fan all'uscita di Kate e William dall'abbazia. Tra le urla della folla, i due sposi si sono avviati verso la carrozza reale, ma William ha tuttavia commesso un errore, sedendosi dalla parte sbagliata e mostrando le spalle alla strada. Un defaillance dovuta forse alla tensione. Più rilassata, invece la sposa, che ha camminato al suo fianco con il portamento eretto ed elegante di una navigata principessa. "Sei felice?" ha detto lei a lui scendendo dalla carrozza. Il momento del sì Il momento del sì Il momento del sì Il momento del sì Il momento del sì Il momento del sì Il momento del sì Il momento del sì GLI SPOSI - Regia perfetta per la cerimonia altamente coreografica, 19oo gli invitati in tutto. La Middleton, da vera principessa delle favole, ha fatto il suo ingresso, con un solo minuto di ritardo, nell'abbazia di Westminster. L'abito bianco che ha scelto di indossare è stato disegnato da Sarah Burton, la direttrice artistica di Alexander McQueen, il grande designer britannico scomparso l'anno scorso a 40 anni. Il vestito della sposa è ispirato a quello di Grace Kelly: uno scollo a v, maniche lunghe di pizzo, uno strascico di tre metri. Sui capelli, il diadema prestato ala Middleton dalla Regina Elisabetta. Accompagnato dal padre, Kate ha camminato raggiante ma emozionata lungo la navata, seguita dal corteo delle damigelle d'onore e dei paggetti. All'entrata, la sorella della sposa Philippa, le ha raccolto lo strascico. "I love you, You look beautiful" le prime parole che ha pronunciato William alla sua Kate. Il principe ha indossato l'uniforme di colonnello delle Irish Guards (casacca rossa con fascia azzurra, guanti bianchi, ma non il cappello di pelle di orso). Ha passato la notte a Clarence House, la casa del padre Carlo a Londra. Quando Kate è arrivata all'altare con il padre, lo sposo ha anche scherzato col suocero: "Ma non doveva essere un piccolo matrimonio di famiglia?". La sposa La sposa La sposa La sposa La sposa La sposa La sposa La sposa LA FAMIGLIA - Ha vinto chi aveva scommesso sul giallo: giallo canarino è infatti la tinta scelta da Elisabetta II per le nozze di suo nipote. La regina è stata l'ultima ad arrivare in cattedrale prima della sposa. Prima di lei erano giunti il principe Carlo e la Duchessa di Cornovaglia, in grigio pallido. E prima ancora il Duca di York e le principesse Beatrice ed Eugenia, con stravaganti cappelli, preceduti dai membri della Famiglia Reale allargata (il Duca e la Duchessa di Kent, il principe e la principessa Michael di Kent e la principessa Alexandra. Carol Middleton, la mamma di Kate, ha scelto un vestito grigio-celeste con un soprabito in tinta chiuso da una decorazione ed un cappello a falda larga ornato da un fiocco. "Che giornata meravigliosa!" avrebbe commentato al termine della cerimonia la Regina, con un sospiro di felicità. Clima di festa, ma anche qualche battibecco: durante la parata di ritorno, dall'abbazia di Westminster a Buckingham Palace, si sono visti il principe Carlo e Camilla, la duchessa di Cornovaglia, impegnati in un'animata conversazione. Lo sposo Lo sposo Lo sposo Lo sposo Lo sposo Lo sposo Lo sposo Lo sposo VIP E TESTE CORONATE - Già dalle 9:30 (ora italiana) della mattina hanno cominciato a prendere posto a Westminster i primi invitati alle nozze, 1900 in tutto (solo 600 quelli che però parteciperanno alla colazione in piedi a Buckingham Palace e 300 gli "happy few" invitati al pranzo serale offerto dal principe Carlo). Presenti le teste coronate d'Europa (tra gli altri, i principi delle Asturie, Felipe e Letizia, con la regina Sofia di Spagna; Harald e Sonia di Norvegia, Guglielmo e Maxima d'Olanda, Haakon e Mette Marit di Norvegia; Vittoria di Svezia e suo marito Daniel) e gli emiri del Medio Oriente. In abbazia anche il premier David Cameron con la moglie Samantha, che ha scelto di non indossare il cappello, un gesto che sembra un clamoroso "strappo" alla tradizione. Numerosi anche i vip presenti come la coppia David e Victoria Beckham, Elton John e il suo compagno David Furnish, il regista Guy Ritchie. Tra gli ospiti anche Chelsy Davy, la ragazza che è stata a lungo la fidanzata del principe Harry e che si dice abbia ripreso i rapporti con lui, fasciata in un abito verde acqua firmato dall'italiana Alberta Ferretti. Gli ospiti Gli ospiti Gli ospiti Gli ospiti Gli ospiti Gli ospiti Gli ospiti Gli ospiti I COMMENTI E IL FUORI PROGRAMMA - Naturalmente durante e dopo la cerimonia si sono inseguiti e accavallati i commenti. Sugli abiti, sui cappellini, sulle uniformi, sugli invitati. E anche sugli sposi. Una delle esperte di vicende legate alla monarchia britannica, Jennie Bond, ha per esempio commentato per la Bbc il bacio tra i novelli sposi e la reazione della folla. "Tutti stavano aspettando il bacio: il primo è stato un po' troppo sobrio e frettoloso. La folla voleva qualcosa di più, e William e Catherine se ne sono accorti". Dopo il secondo, "il pubblico è impazzito". Per tutto il resto della cerimonia, invece, la folla è stata "leggermente più contenuta" di quanto si aspettasse Bond. "C'è stato più realismo e un sentimento calmo durante la giornata", ha spiegato, aggiungendo che "i due episodi che hanno fatto eccezione sono stati quelli del bacio e dell'arrivo della carrozza". Ma va anche detto che Wiloiam e Kate hanno anche saputo imporre i propri desideri anche non convenzionali. Gli alberi lungo la navata dell'abbazia sono un desiderio realizzato di Catherine, che ha insistito nonostante le tante perplessità di Buckingham Palace. E di William invece l'idea di far addobbare una Aston Martin decapottabile blu con palloncini a forma di cuore e nastri colorati, con uno stile più da film americano che da tradizione british, per trasferirsi con la sua sposa da Buckingham Palace a Clarence House. Un fuori programma tuttodegli sposi che non era certo compreso nel severo cerimoniale di corte. Redazione online 29 aprile 2011
2011-04-26 "la gente non ne può più di questo governo e non ha intenzione di fermare le proteste" "Prima ci arrestavano, ora ci uccidono" Parla il blogger siriano Rami Nakhle, ricercato dal regime di Damasco è dovuto fuggire all'estero "la gente non ne può più di questo governo e non ha intenzione di fermare le proteste" "Prima ci arrestavano, ora ci uccidono" Parla il blogger siriano Rami Nakhle, ricercato dal regime di Damasco è dovuto fuggire all'estero Una manifestazione contro il regime in Siria (Ansa) Una manifestazione contro il regime in Siria (Ansa) "They want to kill me, but I will not stop my work". Vogliono ucciderlo, ma lui non ha intenzione di fermarsi. Il messaggio arriva forte e chiaro via skype, mentre sul suo computer si sente piovere una tempesta di messaggi. Arrivano dai giornalisti di tutto il mondo: Cnn, Bbc, Ap, Al Jazeera. Il suo vero nome è Rami Nakhle, ma è meglio conosciuto con lo pseudonimo Malath Aumran. Chiuso in una stanza di Beirut, dove si trova in esilio, tiene le redini della guerra telematica contro il regime siriano di Bashar Al-Assad. Vive di facebook, twitter, flickr. Rilascia interviste, organizza le rivolte, conta i morti, carica in rete "almeno 100 video al giorno", ognuno dei quali testimonia "le violenze di piazza commesse dall’esercito siriano". Sa di rischiare grosso: "Non soltanto il carcere, perfino la vita". L’anno scorso è miracolosamente scampato all’arresto, oltrepassando il confine libanese con la polizia siriana alle calcagna. I servizi segreti siriani gli stanno dando la caccia anche a Beirut, "ma sono ben nascosto", assicura lui. Vive da recluso, "non metto mai piede fuori di casa", passando le giornate attaccato al computer, alimentando l’onda della rivoluzione on line. Ventotto anni e una laurea in scienze politiche, ha iniziato a percorrere le vie del web cinque anni fa, fondando la rivista on line Siria News. Poco dopo ha lanciato la campagna contro la rete di telefonia cellulare Syriatel, accusata di corruzione e di proprietà di Makhlouf, cugino del leader Assad. Oggi è uno dei cyber-attivisti siriani più ricercati dai servizi segreti. Nei giorni scorsi, un messaggio via Facebook lo ha avvertito che sua sorella sarebbe stata arrestata qualora non avesse interrotto la sua propaganda antigovernativa. Rami Nakhle, le minacce sul web l’hanno messa di fronte ad una scelta. Cosa pensa di fare? "Vado avanti. Sono molto preoccupato, la mia vita e quella dei miei familiari è in pericolo, ma voglio continuare questa battaglia. Quando hanno minacciato di arrestare mia sorella, ho passato il giorno più brutto della mia vita, ma non posso fermare il mio lavoro proprio adesso, è una battaglia che ci riguarda tutti da vicino e che dobbiamo vincere". I suoi familiari la pensano allo stesso modo? "I miei genitori mi chiamano ogni giorno. Hanno paura, sono molto spaventati da quello che sta accadendo e mi suggeriscono di non andare oltre". Ma lei continua. "Sì, perché stiamo per vincere una guerra epocale e il regime sta per cadere". Adesso lei si trova a Beirut. Si sente sicuro? "Assolutamente no. I servizi segreti siriani mi stanno cercando anche qui. Conoscono la mia faccia e potrebbe essere pericoloso persino stare per strada. Non esco mai, né il giorno né la notte. Vivo insieme a un gruppo di amici e un giornalista americano. Pensano loro a comprare tutto quello che mi serve". Ha mai pensato di scappare anche dal Libano? "Non voglio scappare ancora, presto tornerò nel mio Paese, finalmente libero". Sembra ottimista: quale scenario prospetta per la Siria? "Seppur preoccupato per la nostra incolumità, rimango fiducioso per il futuro della Siria. Conosco il mio popolo, la gente è esausta di questo governo, è arrabbiatissima e non ha intenzione di fermare le proteste. Tutti i siriani vogliono il cambiamento". Come si svolgono le sue giornate? "Dormo tre ore a notte, sono connesso a internet tutto il giorno. Mi contattano tantissimi giornalisti da ogni parte il mondo. Rilascio interviste, aggiorno le mie pagine di facebook e twitter per denunciare le violenze quotidiane sulle strade delle nostre città, sono in contatto perenne con altri attivisti in Siria, ci scambiamo informazioni e organizziamo le rivolte. E’ l’unico modo per denunciare quello che succede. I giornalisti rimasti in Siria sono pochissimi, e quei pochi sono controllati dal Governo. I giornalisti siamo diventati noi". Il Governo siriano ha annunciato cambiamenti e aperture politiche. Qualcosa è cambiato? "No, anzi. Le cose sono notevolmente peggiorate: prima i manifestanti venivano arrestati, adesso vengono uccisi per strada". Alcuni bilanci parlano di circa 300 morti civili. Ce ne sono molti di più: almeno 400, forse 500". Jacopo Storni 26 aprile 2011
2011-04-16 la prossima flottiglia per la Striscia di Gaza sarà ribattezzata "Stay Human" Arrigoni, caccia al mandante giordano Le autorità di Hamas avrebbero identificato la "mente" del sequestro e dell'uccisione del volontario italiano * NOTIZIE CORRELATE * MULTIMEDIA: Tutte le foto e i video * "Abbiamo ucciso noi Arrigoni": confessano i due rapitori salafiti (16 aprile 2011) * Il blog di Vittorio Arrigoni * Vik, la voce della Striscia contro l'"assedio" di Israele di Francesco Battistini (15 aprile 2011) * La madre: "Non si metteva mai in pericolo" (15 aprile 2011) la prossima flottiglia per la Striscia di Gaza sarà ribattezzata "Stay Human" Arrigoni, caccia al mandante giordano Le autorità di Hamas avrebbero identificato la "mente" del sequestro e dell'uccisione del volontario italiano Veglia per Arrigoni (Epa) Veglia per Arrigoni (Epa) Le autorità di Hamas stanno dando la caccia a un cittadino giordano ritenuto la "mente" del sequestro e dell'uccisione di Vittorio Arrigoni, nella Striscia di Gaza. Secondo quanto riferisce Maariv, l'uomo è conosciuto negli ambienti salafiti come "Abdel Rahman il Giordano" e sarebbe entrato a Gaza dal Sinai, usando uno dei tunnel per il contrabbando. È quanto è emerso dagli interrogatori di un salafita, Haitem Salfiti, fermato nell'ambito delle indagini. Il quotidiano israeliano ha riferito che i servizi di sicurezza del movimento di resistenza islamico hanno intensificato i controlli per impedire che "il giordano" lasci la Striscia. Due militanti della cellula salafita Al Tawhid wal-Jihad (monoteismo e guerra santa) arrestati da Hamas, Farid Bahar e Tamer al-Hasasnah, sabato hanno confessato di essere rispettivamente il killer dell'attivista italiano e il basista dell'operazione. Si tratta di due ex militanti delle Brigate Ezzedine al Qassam, il braccio armato di Hamas; erano passati in un gruppo qaedista, ma ricevevano ancora uno stipendio dalle forze di sicurezza del movimento islamico. LA FLOTTIGLIA IN SUO ONORE - Arrigoni, chiamato anche Vik, era arrivato a Gaza nel 2008 a bordo della prima flottiglia di aiuti per la popolazione civile che riuscì a violare l'embargo israeliano. Per questo motivo, la prossima flottiglia in partenza a maggio per la Striscia di Gaza sarà ribattezzata "Freedom Flotilla-Stay Human" ("Rimaniamo umani"), riprendendo lo slogan caro ad Arrigoni. Lo hanno annunciato gli organizzatori. "Faremo del nostro meglio, Vik, per portare avanti il tuo lavoro - si legge nel comunicato citato dall'agenzia palestinese Wafa - la flottiglia tornerà a Gaza in tuo onore". "Mi hanno chiesto se ero d'accordo che la Flotilla venisse intitolata a Vittorio e lo sono", ha riferito la madre, Egidia Beretta. La donna però ha precisato precisando di non aver mai pensato a imbarcarsi, smentendo così alcune indiscrezioni che erano circolate in rete. Arrigoni, le veglie e il ricordo nel mondo Arrigoni, le veglie e il ricordo nel mondo Arrigoni, le veglie e il ricordo nel mondo Arrigoni, le veglie e il ricordo nel mondo Arrigoni, le veglie e il ricordo nel mondo Arrigoni, le veglie e il ricordo nel mondo Arrigoni, le veglie e il ricordo nel mondo Arrigoni, le veglie e il ricordo nel mondo IL RIENTRO DELLA SALMA - "Non mi interessano gli arresti, non ora, ho altro a cui pensare", ha aggiunto la signora. Quello che interessa la madre dell'attivista, ora, è che la salma di suo figlio torni a casa, ma ancora non ci sono notizie sul suo arrivo. "Non ho ancora notizie sul rientro di Vittorio e quindi - spiega Egidia Beretta, che è anche sindaco di Bulciago, il paese dove vivono gli Arrigoni - non abbiamo ancora potuto fissare i funerali. Sono d'accordo con il parroco che lo faremo appena ci sarà una certezza". Redazione online 17 aprile 2011
2011-04-16 Berlusconi: "Non parteciperemo ai bombardamenti sulla Libia" Il premier: rivedere le missioni estere Napolitano:"Le nostre missioni all'estero garantiscono la sicurezza dei nostri cittadini all'interno del nostro Paese" Berlusconi: "Non parteciperemo ai bombardamenti sulla Libia" Il premier: rivedere le missioni estere Napolitano:"Le nostre missioni all'estero garantiscono la sicurezza dei nostri cittadini all'interno del nostro Paese" Un Tornado dell'Aeronautica italiana (Ansa) Un Tornado dell'Aeronautica italiana (Ansa) ROMA - "Non parteciperemo ai bombardamenti sulla Libia". Sarebbe questo l'orientamento di Silvio Berlusconi, che ha anche affrontato la questione delle missioni italiane all'estero, nel Consiglio dei ministri ieri mattina a Palazzo Chigi. Il premier avrebbe così avviato una riflessione arrivando anche a ipotizzare di ridurre il numero degli uomini impegnati all'estero in teatri di conflitto, missioni che sono particolarmente dispendiose dal punto di vista economico. L'attenzione si sarebbe focalizzata soprattutto sulle forze impiegate in Libano. La questione era stata sollevata nei giorni scorsi dai leghisti che avevano proposto un ripensamento, sostenendo che in quell'area la nostra presenza non sarebbe più indispensabile. Ma il presidente Giorgio Napolitano, in una sorta di involontario botta e risposta con il premier, ricorda che "le nostre missioni all'estero garantiscono la sicurezza dei nostri cittadini all'interno del nostro Paese". Il ragionamento di Berlusconi si sarebbe soffermato soprattutto sul "grande impegno" economico profuso. Un impegno che potrebbe risultare poco compatibile con la gestione dell'emergenza immigrati, altrettanto oneroso sotto il profilo dei costi, dato che l'Italia si sta accingendo ad applicare il blocco navale in prossimità delle acque libiche ed è, al contempo, chiamata a gestire l'accoglienza di diverse migliaia di persone che fuggono dai Paesi del Nord Africa. L'ipotesi di un ripensamento con questo tipo di motivazione fa insorgere il deputato finiano Gianfranco Paglia, già ufficiale impegnato in operazioni di peace keeping: "Berlusconi deve capire che non può risolvere il problema immigrazione attraverso il taglio delle missioni militari all'estero". Analogo il commento di Francesco Tempestini (Pd): "Non si può sollevare la questione in modo così episodico, tanto meno con l'intenzione di fare cassa". E Pier Ferdinando Casini (Udc) riassume sarcastico: "Ridimensionare la nostra presenza nelle missioni di pace significa fare un atto di autentico harakiri politico". Di fronte ai dubbi della maggioranza e alla contrarietà delle opposizioni, Napolitano rimarca che con le missioni italiane non si dilapida il denaro pubblico. Anzi: sono uno strumento fondamentale per la pace e servono a difendere la nostra comunità. "Non illudiamoci - ammonisce Napolitano - di fare dei nostri confini una fortezza inespugnabile, oggi le minacce e il contagio dell'instabilità non si arrestano ai nostri confini. I nostri contingenti schierati nei Balcani, in Medio Oriente e in Afghanistan promuovono e sostengono quei principi di pace e rispetto dei diritti umani che affratellano i nostri popoli". Quegli stessi valori che "hanno spinto l'Italia a raccogliere il grido di aiuto del popolo libico". Un grido che non sfugge a tre grandi, Obama, Cameron e Sarkozy. In una lettera congiunta pubblicata su quatto quotidiani internazionali (Figaro, Times, International Herald Tribune e Al Hayat) affermano che "è impossibile immaginare un futuro della Libia con Gheddafi", dato che uno che "ha massacrato il proprio popolo non può giocare alcun ruolo nel futuro governo libico". Lorenzo Fuccaro 16 aprile 2011
L'ipotesi di un ufficiale americano Gli Usa convinti: "Entro pochi giorni anche gli italiani parteciperanno ai raid" I problemi dei Paesi impegnaiti nelle azioni aeree: le scorte di ordigni di precisione sono quasi esaurite * NOTIZIE CORRELATE * Berlusconi: "Niente bombe italiane in Libia" (16 aprile 2011) L'ipotesi di un ufficiale americano Gli Usa convinti: "Entro pochi giorni anche gli italiani parteciperanno ai raid" I problemi dei Paesi impegnaiti nelle azioni aeree: le scorte di ordigni di precisione sono quasi esaurite Il lancio di una bomba a guida laser Il lancio di una bomba a guida laser WASHINGTON – I sei paesi che conducono i raid in Libia affermano di avere due problemi: 1) Stanno finendo le bombe a guida laser. 2) Faticano a coprire le esigenze operative: servono una dozzina di aerei in più. Dopo quasi un mese di guerra fonti anonime hanno rivelato al Washington Post che le scorte di ordigni di precisione sono quasi esaurite. E allora è probabile che venga chiesto agli Stati Uniti di tornare in prima linea con i propri caccia. Il Pentagono, come è noto, non è di questa idea e auspica che quei paesi – come l’Italia - che fino ad oggi si sono limitati a pattugliare i cieli libici partecipino ai raid. Un ufficiale americano ha ipotizzato che l’aviazione italiana lo farà entro qualche giorno. Ma, venerdì, il governo Berlusconi ha ribadito che la nostra linea è di "non bombardare". Ignazio La Russa (Benvegnù - Guaitoli) Ignazio La Russa (Benvegnù - Guaitoli) LA RUSSA - È possibile che questo sia uno dei temi che affronterà il ministro della Difesa La Russa nella sua imminente visita a Washington. Le fonti citate dal giornale hanno spiegato che le azioni per neutralizzare l’apparato bellico di Gheddafi hanno richiesto un grande dispendio di munizioni al laser. Un problema che affligge soprattutto Francia e Gran Bretagna, i due paesi che hanno sostenuto il 50 per cento degli attacchi. Le altre operazioni con utilizzo delle armi sono state condotte da Belgio, Canada, Norvegia e Danimarca. Gli Stati Uniti hanno invece garantito il loro potenziale offensivo solo per la prima fase e ora partecipano alla missione con velivoli da rifornimento, aerei radar e per la guerra elettronica. Restano in riserva le famose cannoniere volanti Ac 130H e gli A10, mezzi adatti per la caccia a tank e veicoli. Tuttavia, il comando Usa ha precisato che le condizioni atmosferiche e la minaccia dei missili anti-aerei portatili o mobili hanno reso problematico il loro intervento. La rivelazione sulla presunta penuria di bombe ha sollevato perplessità. C’è chi la ritiene un’esagerazione o, peggio, una frottola. Altri, come John Pike, si interrogano sulla preparazione della Nato: "Questa non è certo una guerra di grandi proporzioni. Se hanno esaurito le munizioni così presto viene da chiedersi che tipo di conflitto abbiano pianificato". A meno che la storia che "abbiamo finito i colpi" non sia una forma di pressione per spingere altri a prendersi le proprie responsabilità. I resti di un ordigno a grappolo impiegato a Misurata I resti di un ordigno a grappolo impiegato a Misurata GHEDDAFI - Il colonnello Gheddafi, invece, non sembra avere problemi. Spara e basta. Anche con armi proibite, come le bombe a grappolo. L’organizzazione Human Right Watch (Hrw) ha accusato il regime di aver usato gli ordigni nelle zone residenziali di Misurata. Per gli esperti si tratta di proiettili da mortaio da 120 millimetri di produzione spagnola. Le bombe rilasciano a mezz’aria 21 sub-munizioni che esplodono al contatto con il terreno o con qualsiasi altro tipo di ostacolo. Sono state studiate per colpire concentrazioni di truppe e mezzi, il loro effetto è micidiale. Secondo Hrw i governativi le hanno sparate in un’area ampia circa un chilometro quadrato nella zona dell’ospedale di Misurata, la città da settimane sotto assedio. In base alle scritte sui frammenti è stato accertato che le bombe sono uscite dalla fabbrica spagnola Instalaza nel 2007. Un gran numero di paesi ha aderito alla messa al bando delle bombe a grappolo ma continuano ad essere impiegate in molti conflitti. Guido Olimpio 16 aprile 2011
I palestinesi commemorano Arrigoni: veglie di ricordo per l'attivista strangolato e ucciso "Abbiamo ucciso noi Arrigoni" Confessano i due rapitori salafiti La salma non passerà da Israele. Ban Ki-Moon: "Un crimine atroce" * NOTIZIE CORRELATE * Il blog di Vittorio Arrigoni * Vik, la voce della Striscia contro l'"assedio" di Israele di Francesco Battistini (15 aprile 2011) * La madre: "Non si metteva mai in pericolo" (15 aprile 2011) I palestinesi commemorano Arrigoni: veglie di ricordo per l'attivista strangolato e ucciso "Abbiamo ucciso noi Arrigoni" Confessano i due rapitori salafiti La salma non passerà da Israele. Ban Ki-Moon: "Un crimine atroce" MILANO - Hanno confessato due dei militanti salafiti arrestati venerdì dalla polizia di Hamas nella Striscia di Gaza nel quadro delle indagini sul rapimento e l'uccisione del volontario italiano Vittorio Arrigoni. Lo riferiscono all'Ansa fonti investigative locali, precisando che uno dei due è ritenuto il killer di Arrigoni, mentre l'altro ha ammesso di avere svolto un ruolo di fiancheggiatore nella logistica del sequestro. Fonti di uno dei gruppi ultraintegralisti salafiti della Striscia di Gaza hanno ammesso sabato, parlando con l'Ansa, la responsabilità di una loro cellula "fuori controllo" nel rapimento e nella feroce uccisione dell'attivista italiano. "A uccidere Vittorio - ha aggiunto - è stato un gruppo di estremisti isolati". LA SALMA - La salma dell'attivista italiano potrebbe essere trasferita in Egitto domenica (ma non prima), tramite il valico di Rafah, per poi proseguire verso l'Italia. Lo si è appreso da fonti palestinesi informate a Gaza City. Secondo queste fonti, un legale italiano è partito per il Cairo per conto della famiglia di Arrigoni, per occuparsi proprio del trasferimento della salma dall'Egitto e delle procedure necessarie. La famiglia, come ha confermato la madre dell'ucciso, vorrebbe evitare il passaggio del feretro attraverso Israele, per rispetto alla memoria dello scomparso e alla sua battaglia contro le politiche israeliane nei territori palestinesi. Battaglia che in alcuni casi costò a Vittorio Arrigoni provvedimenti di fermo da parte delle autorità israeliane e brevi periodi di detenzione. Il riconoscimento del corpo di Arrigoni è stato effettuato dai suoi compagni presso l'ospedale di Shifa che hanno riferito come l'uomo "perdeva sangue da dietro la testa" e "sui polsi recava i segni delle manette". Vittorio Arrigoni doveva rientrare in Italia per partecipare agli appuntamenti in memoria di Peppino Impastato. I TRIBUTI - Intanto la società civile palestinese lo commemora, interrogandosi sugli assassini e le loro motivazioni. Hamas, senza indugi, punta il dito contro Israele. Mentre in Italia cresce lo sdegno per la "barbarie terroristica". L'uccisione a Gaza di Vittorio Arrigoni - attivista dell'International solidarity movement (Ism) - da parte di un presunto gruppo salafita ha scosso la popolazione palestinese, che ha commemorato il volontario italiano. "La società civile palestinese è indignata, ha organizzato diverse manifestazioni per dimostrarlo. E questa è la ragione che ci spinge a restare" ha dichiarato Silvia Todeschini, attivista, come Arrigoni, dell'Ism. NOSTRO MARTIRE - E se per Samir Al Qariouty, commentatore per Bbc e Al Jazeera chi ha ucciso Arrigoni voleva colpire la causa palestinese, Hamas è stata ancora più diretta, accusando esplicitamente Israele. L'organizzazione, che governa la striscia di Gaza e a cui i sequestratori di Arrigoni avevano chiesto la liberazione di loro uomini detenuti dalla polizia palestinese, ha puntato il dito esplicitamente contro lo Stato ebraico. Il premier di Hamas Ismail Hanyeh ha telefonato alla famiglia di Vittorio Arrigoni, e ha promesso che "sarà fatta giustizia": "Non ci sono parole per esprimere la condanna di un crimine così efferato, che non rappresenta il popolo palestinese. Abbiamo fatto tutto il possibile per cercare di ritrovarlo prima di quel drammatico epilogo. Vittorio è un nostro martire". Arrigoni, le veglie e il ricordo nel mondo Arrigoni, le veglie e il ricordo nel mondo Arrigoni, le veglie e il ricordo nel mondo Arrigoni, le veglie e il ricordo nel mondo Arrigoni, le veglie e il ricordo nel mondo Arrigoni, le veglie e il ricordo nel mondo Arrigoni, le veglie e il ricordo nel mondo Arrigoni, le veglie e il ricordo nel mondo AL QAEDA - Ma secondo il sito israeliano Debka, vicino all'intelligence di Gerusalemme, Arrigoni sarebbe stato ucciso dalla principale organizzazione di al Qaeda presente nella Striscia di Gaza, Al-Tahwir al-Jihad, perché sospettato di essere una spia, anche se il movimento smentisce ogni suo coinvolgimento. Intanto, sul piano delle indagini, due uomini, presunti membri del gruppo di sequestratori che ha rapito e ucciso Arrigoni, sono stati già arrestati dalle forze di sicurezza di Hamas nella Striscia di Gaza, e si sta "ricercando un terzo uomo". Il corpo senza vita del cooperante italiano è stato ritrovato all'interno dell'abitazione di uno degli estremisti. Secondo le prime ricostruzioni, il 36enne italiano sarebbe stato strangolato dai suoi sequestratori. BAN KI-MOON - L'uccisione di Vittorio Arrigoni è un "crimine atroce" i cui "responsabili devono essere portati al più presto davanti alla giustizia" afferma il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, in una dichiarazione diffusa dal suo portavoce. "Questo crimine - ha ricordato Ban - è stato commesso nei confronti di una persona che è vissuta e ha lavorato tra la gente a Gaza". NAPOLITANO - In Italia, intanto, cresce lo sdegno per l'omicidio. In un messaggio inviato alla madre di Arrigoni, Egidia Beretta, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha espresso "sgomento" e "repulsione" per la "barbarie terroristica". "La comunità internazionale tutta - ha sottolineato il capo dello Stato - è chiamata a rifiutare ogni forma di violenza e a ricercare con rinnovata determinazione una soluzione negoziale al conflitto che insanguina la regione". A quello del presidente si sono aggiunti innumerevoli messaggi di cordoglio del mondo politico e della società civile italiana, scesa in piazza nel pomeriggio di venerdì a Roma, Milano e Torino. Redazione online 16 aprile 2011
2011-04-15 arrestate due persone. I medici: "È stato strangolato" Ucciso a Gaza il pacifista rapito Napolitano: accertare subito la verità Il corpo di Vittorio Arrigoni trovato in un appartamento: i rapitori salafiti non hanno rispettato l'ultimatum * NOTIZIE CORRELATE * Il blog di Vittorio Arrigoni * Vik, la voce della Striscia contro l'"assedio" di Israele di Francesco Battistini (15 aprile 2011) * La madre: "Non si metteva mai in pericolo" (15 aprile 2011) arrestate due persone. I medici: "È stato strangolato" Ucciso a Gaza il pacifista rapito Napolitano: accertare subito la verità Il corpo di Vittorio Arrigoni trovato in un appartamento: i rapitori salafiti non hanno rispettato l'ultimatum Vittorio Arrigoni Vittorio Arrigoni MILANO - Vittorio Arrigoni è stato ucciso. Il corpo senza vita del pacifista italiano 36enne, rapito giovedì mattina nella Striscia da un commando ultra-estremista salafita vicino ad Al Qaeda (ma sui siti vicini al network terroristico sono apparsi banner che definiscono "criminali" i responsabili della morte), è stato trovato in un appartamento di Gaza City dai miliziani di Hamas, al termine di un blitz condotto nel cuore della notte. I rapitori non hanno dunque rispettato la scadenza dell'ultimatum, assassinandolo diverse ore prima. Eppure, erano stati gli stessi sequestratori a fissare per le 16 di venerdì il rilascio dei loro "confratelli" detenuti, pena l'uccisione dell'ostaggio. "Questa barbarie terroristica suscita repulsione nelle coscienze civili" ha scritto il capo dello Stato Giorgio Napolitano, in una lettera inviata alla signora Egidia Beretta, mamma del cooperante assassinato. "Spero che si accertino la verità e le responsabilità su quanto è accaduto" ha detto il presidente della Repubblica incontrando i giornalisti. Dai primi esami sul cadavere, sembra che Arrigoni sia stato strangolato già giovedì sera (il che confermerebbe la versione di Hamas), probabilmente con un cavo metallico o qualcosa di simile, e in modo tanto brutale da lasciare sul collo anche segni con tracce di sangue. Due miliziani sono stati arrestati, mentre la polizia di Gaza è sulle tracce di una terza persona. Vittorio Arrigoni Vittorio Arrigoni Vittorio Arrigoni Vittorio Arrigoni Vittorio Arrigoni Vittorio Arrigoni Vittorio Arrigoni Vittorio Arrigoni "RESTIAMO UMANI" - Malgrado la triste notizia arrivata da Gaza, sono confermati al momento i due appuntamenti a Roma e Milano alle 16 per Arrigoni. "Vittorio è qui con noi": un cartello di una trentina di associazioni, partiti e sindacati ha organizzato per venerdì pomeriggio manifestazioni in tutta Italia per ricordare l'operatore umanitario ucciso a Gaza. "Vittorio è qui con noi - spiega il blogger Gianfranco Mascia - lo vogliamo pensare ancora nel suo lavoro quotidiano per la pace al fianco di agricoltori o pescatori assediati e minacciati, volutamente lontano dai grandi network, dalle telecamere famose. Raccontando la vita quotidiana di aree del mondo particolarmente sensibili. Ci sono tanti Vittorio Arrigoni che lavorano ed esiste tutto un mondo pacifista e di volontariato che viene allo scoperto solo quando avvengono episodi così tragici. Oggi sarà con noi con alcune delle sue frasi più significative che porteremo alle manifestazioni". Gli appuntamenti sono, nel pomeriggio intorno alle 16, a Roma al Colosseo, a Milano a Piazza Duomo, a Genova in Via Roma, a Brindisi a Piazza Vittoria, a Rimini a Piazza Cavour, a Lecco a Piazza Garibaldi, a Torino in Piazza Castello angolo via Garibaldi, a Napoli alle 17 davanti alla Prefettura Via Galileo Ferraris. Tra le sigle che hanno promosso le iniziative Associazione palestinesi in Italia, popolo Viola, Radio città aperta, Unione sindacale di base. "Vittorio è morto, restiamo umani" è la dedica del movimento pacifista in un presidio davanti alla prefettura di Genova. "Restiamo umani" è anche il monito con cui Arrigoni chiudeva le corrispondenze dalla Striscia di Gaza durante i giorni dell'assedio israeliano. LA CONDANNA DELLA FARNESINA - Attraverso il proprio Consolato generale a Gerusalemme, la Farnesina ha confermato il decesso del connazionale, che viveva a Gaza da tre anni: il corpo di Arrigoni è stato riconosciuto nell'obitorio dello Shifa Hospital. Tramite una nota, nella quale esprime "il forte sgomento per il barbaro assassinio" e "il più sincero cordoglio alla famiglia" del connazionale ucciso, il ministero degli Esteri ha anche "condannato nei termini più fermi il vile e irragionevole gesto di violenza da parte di estremisti indifferenti al valore della vita umana". Cordoglio e sgomento anche da parte dei presidenti di Camera e Senato. "Condanniamo questo crimine odioso ed esprimiamo tutta la nostra solidarietà alla famiglia della vittima" ha detto alla stampa Saeb Erekat, un esponente di spicco dell'Anp. "Un giorno triste", dolore in Rete È MANCATO IL TEMPO - Il sito israeliano di intelligence Debka avanza l'ipotesi che i rapitori del volontario italiano lo abbiano torturato ritenendolo un infiltrato dei servizi segreti occidentali. Secondo la versione di Yiab Hussein, portavoce del governo di Hamas a Gaza, l'italiano sarebbe stato ucciso "qualche ora prima del blitz". Le ricerche - affiancate dai primi tentativi della Farnesina di stabilire un qualche contatto diplomatico umanitario che non c'è stato nemmeno il tempo d'intrecciare - erano scattate nel pomeriggio di giovedì, dopo la diffusione di un video sul sequestro: rivendicato da una sigla poco nota della galassia salafita di Gaza che si ispira alle parole d'ordine di Al Qaeda, la Brigata Mohammed Bin Moslama. IL FILMATO - Nel video il volontario italiano appariva bendato e col volto insanguinato, mentre scorreva una scritta in arabo in sovraimpressione che lo accusava di propagare i vizi dell'Occidente fra i palestinesi e che imputava all'Italia di combattere contro i Paesi musulmani e ingiungeva a Hamas di liberare i salafiti detenuti nella Striscia entro 30 ore (le 16 italiane di venerdì, appunto). Poi, nella notte, è arrivata la svolta. Dopo la diffusione del video, le indagini hanno portato all'arresto di un primo militante salafita, il quale ha condotto gli uomini di Hamas fino al covo: un appartamento nel rione Qarame, a Gaza City, che i miliziani delle Brigate Ezzedin al-Qassam (braccio armato di Hamas) hanno espugnato nel giro di pochi minuti, dopo una breve sparatoria conclusa con la cattura di un secondo salafita. Per Arrigoni, però, ormai non c'era più nulla da fare. HAMAS - Nel condannare l'uccisione di Arrigoni, Hamas ipotizza inoltre che gli ultraintegralisti - protagonisti negli ultimi due anni di veri e propri tentativi di sollevazione - come quello represso nel sangue nel 2009 nella moschea-bunker di Rafah - abbiano sequestrato il cooperante italiano non solo per cercare di ottenere il rilascio dei loro compagni arrestati, ma anche perché ideologicamente ostili alla presenza di stranieri e "infedeli". ERA NOTO A GAZA - Blogger e giornalista, Arrigoni era stato il primo straniero a essere rapito a Gaza dopo il reporter britannico della Bbc Alan Johnston, catturato circa quattro anni fa da un altro gruppo locale simpatizzante di Al Qaeda, l'Esercito dell'Islam, e liberato dopo 114 giorni di prigionia e lunghe trattative sotterranee. L'attivista italiano erano molto noto a Gaza dove lavorava a da tempo per conto dell'International Solidarity Movement, una Ong votata alla causa palestinese. Aveva partecipato in passato, fra l'altro, alla missione di una delle prime flottiglie salpate per sfidare il blocco marittimo imposto da Israele all'enclave dopo la presa del potere di Hamas nel 2007 seguita all'estromissione violenta dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) del presidente moderato Abu Mazen. Redazione online 15 aprile 2011
l cooperante rapito e assassinato a gaza Parla la madre del pacifista ucciso "Sono orgogliosa di lui" Silenzio e dolore a Bulciago, dove la signora Arrigoni è sindaco da sette anni: "Stava per tornare" il cooperante rapito e assassinato a gaza Parla la madre del pacifista ucciso "Sono orgogliosa di lui" Silenzio e dolore a Bulciago, dove la signora Arrigoni è sindaco da sette anni: "Stava per tornare" "Era tranquillo, stava per tornare" MILANO - Bulciago si risveglia nel silenzio e nel dolore. Nel paesino della Brianza lecchese di neanche tremila anime, tutti si stringono attorno al loro sindaco, Egidia Beretta, la madre del pacifista italiano ucciso a Gaza. "Sono rimasta molto sorpresa, oltre che addolorata che sia successa una cosa del genere per l'attività che lui faceva lì: Vittorio non si metteva mai in situazioni di pericolo" ha detto la donna. "Mi hanno telefonato dei suoi amici poco fa da Gaza - ha aggiunto - mi hanno detto che Vittorio è ora in un ospedale della zona e che anche molti cittadini di Gaza sono molto scossi per la sua morte". I familiari del cooperante sono chiusi in casa e accolgono nella loro abitazione solo parenti e amici più intimi. SAREBBE RIENTRATO PRESTO - "Io e Vittorio eravamo molto uniti come idee, obiettivi e ideali, sono molto orgogliosa di lui, è sempre stato così" ha aggiunto mamma Egidia, confermando che il figlio sarebbe rientrato molto presto. "Mi aveva appena raccontato - ha spiegato - che era stato invitato in Sicilia per l'anniversario della morte di Peppino Impastato". I familiari avevano sentito il cooperante l'ultima volta all'inizio della settimana. "Ci sentivamo regolarmente la domenica - ha raccontato la madre -. Lui faceva uno squillo e noi lo richiamavamo, era sempre tranquillo". "SINDACO VIRTUOSO" - La Beretta amministra il paesino nel Lecchese dal 2004. Un anno fa è stata tra i protagonisti di un servizio di Report dedicato ai sindaci virtuosi: rinunciando all'indennità per il ruolo, il primo cittadino ha creato un fondo di solidarietà per i suoi cittadini. Sulla pagina personale della Beretta campeggia, come foto, la bandiera di Gaza. Redazione online 15 aprile 2011
Il ritratto Vik, la voce della Striscia contro l'"assedio" di Israele Vittorio Arrigoni, 36 anni, era il solo cronista sul campo quando nel dicembre 2008 scoppiò la guerra Il ritratto Vik, la voce della Striscia contro l'"assedio" di Israele Vittorio Arrigoni, 36 anni, era il solo cronista sul campo quando nel dicembre 2008 scoppiò la guerra La voce tremava ancora. In sottofondo, si sentivano i botti. "Sto in casa! Non ho sentito arrivare aerei, elicotteri, niente! Solo il primo scoppio. Poi gli altri. Per la prima mezz'ora, non ho capito bene che cosa stesse succedendo. Ci siamo accucciati, ognuno si rifugia dove può. Intorno esplode tutto...". Prima di Al Jazeera, prima dell'agenzia palestinese Ramattan. La mattina del 27 dicembre 2008, quando Israele scatenò su Gaza la guerra di Piombo fuso, la prima cartolina dall'inferno ce la mandò lui. Vittorio Arrigoni stava in un appartamento vicino alle due caserme di polizia colpite dal raid, non lontano dalla vecchia casa di Arafat. Per terra fra un tavolo e un letto, la finestra spalancata sul porto, Vik guardava fuori e intanto descriveva, lui l'unico dentro: "Sapevo di venire a vedere cose terribili, non cose così terribili...". Vittorio Arrigoni Vittorio Arrigoni Vittorio Arrigoni Vittorio Arrigoni Vittorio Arrigoni Vittorio Arrigoni Vittorio Arrigoni Vittorio Arrigoni Chiamare Arrigoni. Da quel giorno, e per 22 giorni, diventò un impegno fisso per chiunque volesse sapere che cosa si vedeva in quel lenzuolo di terra sigillato al mondo. Vittorio era arrivato nella Striscia da qualche mese soltanto, via mare da Cipro, assieme a una delle navi Free Gaza Movement che due anni dopo gl'israeliani avrebbero deciso di fermare a ogni costo. Cominciò a scrivere corrispondenze per il manifesto, sofferte, partecipi, molto lette, che ogni giorno finivano con la stessa frase: "Restiamo Umani, Vik da Gaza City" (titolo pure del suo libro, tradotto in quattro lingue). Lecchese, pacifista "per vocazione" prim'ancora che giornalista "per dovere di testimonianza", sul suo profilo di Facebook e sul suo blog guerrillaradio.iobloggo.com, Vik ha sempre detto con chiarezza da che parte stava: "Non credo ai confini e alle barriere, credo che apparteniamo tutti, indipendentemente dalle latitudini, alla stessa famiglia umana". E anche in questi mesi, mentre il Medio Oriente s'infiammava e nessuno parlava più di Gaza, lui ha sempre continuato a testimoniare il "criminale assedio israeliano", i 300 palestinesi morti nei tunnel scavati al confine con l'Egitto, la rivolta dei blogger contro Hamas... Schierato, sta con l'International Solidarity Movement, il gruppo che pagò la resistenza ai bulldozer israeliani con la vita della pacifista americana Rachel Corrie. Da Israele lo curavano con attenzione: nel 2008 era stato arrestato ed espulso mentre cercava con un peschereccio palestinese di forzare il blocco navale e di raggiungere la Striscia. Per maggio, Arrigoni si stava preparando all'ennesima flottiglia degli attivisti di Free Gaza. Di sinistra, il pacifista-giornalista non fa sconti: mesi fa ha attaccato anche Roberto Saviano per l'appoggio a una manifestazione romana pro-Israele. "Nelson Mandela - disse allo scrittore - sono anni che denuncia il razzismo d'Israele. Sto parlando di Nelson Mandela, non di Fabio Fazio". Il 26 marzo - quando nelle piazze di Gaza City erano di nuovo scese in piazza migliaia di giovani, un'imitazione delle rivolte di quest'inverno arabo, subito manganellata e repressa dal governo di Hamas - Vik era lì: "Aveva appena cambiato casa, ma era molto prudente e davanti ad altri non diceva mai quale fosse il nuovo indirizzo - racconta Aldo Soligno, fotoreporter di Emblema, che ha lavorato con Arrigoni nelle ultime due settimane -. Era eccitato da questa prova di ribellione. Ci sperava molto. Siamo andati insieme a trovare i blogger che criticavano Hamas. E quando Hamas li ha arrestati, è riuscito ad assistere ai loro interrogatori: la presenza d'uno straniero, questa era l'idea, avrebbe evitato abusi". Che i salafiti se la prendano con uno così, è per certi versi inspiegabile: "Sono dei veri stupidi - dice da un carcere israeliano Marwan Barghouti, leader palestinese condannato a cinque ergastoli -. Chi può avere interesse a rapire un cooperante italiano che lavora in un contesto difficile come Gaza?". Francesco Battistini 15 aprile 2011
IL PREMIER ITALIANO: "FACCIAMO già ABBASTANZA". "Rivedere tutte le missioni internazionali" Berlusconi: "Non bombarderemo" Obama, Cameron e Sarkozy: via il Raìs I tre leader: "Chi ha tentato di massacrare il suo popolo non può avere un ruolo nel futuro governo" * NOTIZIE CORRELATE * No-fly zone sulla villa di Carla Bruni (14 aprile 2011) IL PREMIER ITALIANO: "FACCIAMO già ABBASTANZA". "Rivedere tutte le missioni internazionali" Berlusconi: "Non bombarderemo" Obama, Cameron e Sarkozy: via il Raìs I tre leader: "Chi ha tentato di massacrare il suo popolo non può avere un ruolo nel futuro governo" Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi (Reuters) Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi (Reuters) MILANO - L'Italia non parteciperà ai bombardamenti in Libia. Silvio Berlusconi lo ha spiegato nel corso del Consiglio dei ministri. "Facciamo già abbastanza" ha detto il premier, sottolineando che l'impegno dell'Italia nel Paese del Raìs "è in linea con la risoluzione Onu". "Considerato la nostra posizione geografica ed il nostro passato coloniale, non sarebbe comprensibile un maggiore impegno" ha aggiunto il Cavaliere. La posizione dell'Italia che continua a dare il "massimo appoggio con le sue basi" ma non prevede un maggior impegno bellico nel paese - ha proseguito Berlusconi - "è stata capita e apprezzata dagli alleati". Il capo del governo ha anche ipotizzato una revisione complessiva della partecipazione italiana alle missioni internazionali, anche al di là del caso Libia, immaginando una riduzione di contingenti e numero di militari impegnati. Secondo quanto si apprende, il premier avrebbe sottolineato il grande impegno profuso, anche economico, nelle operazioni militari italiane all'estero. Ma di fronte all'emergenza immigrazione, che comporta anche costi ingenti per il Paese con l'applicazione del blocco navale e le operazioni di accoglienza, il premier avrebbe ventilato appunto l'ipotesi di ridurre la partecipazione italiana in alcune missioni molto impegnative dal punto di vista economico. Barack Obama (Epa) Barack Obama (Epa) "GHEDDAFI SE NE VADA" - In un intervento congiunto pubblicato sull'International Herald Tribune, su Le Figaro e sul Times di Londra, il presidente Usa Barack Obama, il premier britannico David Cameron e il presidente francese Nicolas Sarkozy scrivono intanto che Muammar Gheddafi non deve restare al potere in Libia e che lasciarlo continuare a governare "sarebbe un tradimento inconcepibile". "Fino a quando Gheddafi resterà al potere, la Nato ei suoi partner di coalizione devono proseguire le loro operazioni in modo da proteggere i civili e aumentare la pressione sul regime", spiegano i tre leader, sottolineando che i loro governi "sono uniti riguardo a quanto dovrà accadere" per porre fine alla crisi libica. RUOLO FUTURO - "Pur proseguendo le operazioni militari a protezione dei civili - scrivono Obama, Cameron e Sarkozy - guardiamo con determinazione al futuro" e "siamo convinti che il futuro ha in serbo tempi migliori per il popolo libico e un percorso che può essere forgiato al raggiungimento di questo obiettivo". I tre leader affermano quindi che, nonostante la no-fly zone autorizzata dalle Nazioni Unite per proteggere i civili, la popolazione in Libia "patisce ancora ogni giorno orrori terribili per mano di Gheddafi". "È impossibile immaginare un futuro per la Libia con Gheddafi al potere", ribadiscono Obama, Cameron e Sarkozy, rilevando che "è impossibile pensare che qualcuno che ha tentato di massacrare il suo popolo possa avere un ruolo nel futuro governo". Redazione Online 15 aprile 2011
2011-04-14 se hamas non libererà dei prigionieri morirà tra 30 ore Gaza: rapito volontario italiano Vittorio Arrigoni prigioniero di estremisti salafiti che minacciano di ucciderlo in un video * NOTIZIE CORRELATE * Il blog di Vittorio Arrigoni * "E' nelle mani di gente senza scrupoli" se hamas non libererà dei prigionieri morirà tra 30 ore Gaza: rapito volontario italiano Vittorio Arrigoni prigioniero di estremisti salafiti che minacciano di ucciderlo in un video MILANO - Un volontario italiano, Vittorio Arrigoni, è stato rapito a Gaza da un gruppo islamico salafita che, in un filmato pubblicato originariamente su You Tube ma che è possibile vedere anche qui sotto, minaccia di ucciderlo se entro 30 ore, a partire dalle ore 11 locali di stamane (le 10 in Italia), il governo di Hamas non libererà alcuni detenuti salafiti. Arrigoni è stato sequestrato da tre miliziani armati a Gaza City. Il cooperante è stato rapito mentre lasciava il campo di Jerbala con uno dei quadri delle milizie delle Brigate di al-Aqsa. "Ho riconosciuto l'uomo nel video, è un nostro attivista che è entrato e uscito da Gaza molte volte negli ultimi due anni". Così Huwaida Arraf, cofondatrice dell'Ism, conferma che nel video c'è Arrigoni che è uno degli attivisti del Movimento di solidarietà internazionale. IL VIDEO- Bendato e con evidenti segni di violenza sul lato destro del volto. Così appare Arrigoni, rapito a Gaza da un gruppo islamico salafita, nel video postato oggi su Youtube da "This is Gaza Voice". Il volontario italiano, con indosso una maglia nera, sembra avere le mani legate dietro la schiena, mentre qualcuno gli tiene la testa per i capelli. Sul viso, tracce di sangue che partono da sotto la benda nera che gli copre gli occhi. Una musica copre il sonoro del video, mentre in sovraimpressione appare una scritta in inglese che recita: "Il popolo di Gaza si dispiace per quello che questi bigotti hanno fatto a Vittorio. Siamo sicuri che sarà presto libero e salvo". Vittorio Arrigoni (Archivio Corsera) Vittorio Arrigoni (Archivio Corsera) ACCUSE ALL'ITALIA - Al termine del filmato scorrono scritte in arabo con la data di oggi in cui si sono accuse contro l'Italia e contro Hamas. Nelle scritte i rapitori accusano Arrigoni di diffondere "i vizi occidentali", il governo italiano di combattere contro i paesi musulmani e il governo del premier di Hamas Ismail Haniyeh di lottare contro la sharia (la legge religiosa musulmana). Nel messaggio sul video inoltre le scritte in arabo esortano i giovani di Gaza a sollevarsi contro il governo Haniyeh, reo ai loro occhi di gravi ingiustizie. LA FARNESINA - "Al momento non risultano rivendicazioni nei confronti dell'Italia da parte dei supposti sequestratori" sottolinea, in una nota, la Farnesina, spiegando di aver "già effettuato gli opportuni passi per ogni intervento a tutela", di Vittorio Arrigoni, rapito a Gaza. Il Ministro Frattini, in contatto "con i nostri rappresentati diplomatici, sta seguendo con la massima attenzione l'evolversi della situazione", prosegue la nota sottolineando che l'unità di crisi è già in contatto con la famiglia. Considerata la particolare delicatezza della vicenda il Ministero degli Esteri - conclude la nota- manterrà il consueto necessario riserbo". CHI E' - Vittorio Arrigoni, 36 anni nativo di Besate Brianza, era arrivato a Gaza nell’agosto del 2008, come inviato de "Il Manifesto", per raccontare il dramma che vivono i palestinesi della striscia di Gaza. In particolare celebre è stata la sua cronaca degli avvenimenti seguenti la nota operazione delle forze armate israeliane denominata "Piombo fuso". In quest'occasione Arrigoni riesce a mandare i suoi servizi dalla Striscia di Gaza sfruttando i pochi internet point funzionanti. "Vittorio Arrigoni ha iniziato a collaborare con noi mandando pezzi di cronaca sul conflitto a Gaza, dove si trovava come volontario di una ong", riferisce il vicedirettore del "Manifesto" Angelo Mastrandrea. "Pur non essendo un giornalista erano testimonianze in presa diretta - prosegue il vicedirettore del quotidiano - Quando è esploso il conflitto, gli abbiamo chiesto di fare un diario: erano cronache quotidiane molto vissute tanto che poi gli abbiamo proposto di metterle insieme per farci un libro, poi pubblicato, dal titolo "Restiamo Umani"". Redazione online 14 aprile 2011
se hamas non libererà dei prigionieri morirà tra 30 ore Gaza: rapito volontario italiano Vittorio Arrigoni prigioniero di estremisti salafiti che minacciano di ucciderlo in un video * NOTIZIE CORRELATE * Il blog di Vittorio Arrigoni * "E' nelle mani di gente senza scrupoli" se hamas non libererà dei prigionieri morirà tra 30 ore Gaza: rapito volontario italiano Vittorio Arrigoni prigioniero di estremisti salafiti che minacciano di ucciderlo in un video MILANO - Un volontario italiano, Vittorio Arrigoni, è stato rapito a Gaza da un gruppo islamico salafita che, in un filmato pubblicato originariamente su You Tube ma che è possibile vedere anche qui sotto, minaccia di ucciderlo se entro 30 ore, a partire dalle ore 11 locali di stamane (le 10 in Italia), il governo di Hamas non libererà alcuni detenuti salafiti. Arrigoni è stato sequestrato da tre miliziani armati a Gaza City. Il cooperante è stato rapito mentre lasciava il campo di Jerbala con uno dei quadri delle milizie delle Brigate di al-Aqsa. "Ho riconosciuto l'uomo nel video, è un nostro attivista che è entrato e uscito da Gaza molte volte negli ultimi due anni". Così Huwaida Arraf, cofondatrice dell'Ism, conferma che nel video c'è Arrigoni che è uno degli attivisti del Movimento di solidarietà internazionale. IL VIDEO- Bendato e con evidenti segni di violenza sul lato destro del volto. Così appare Arrigoni, rapito a Gaza da un gruppo islamico salafita, nel video postato oggi su Youtube da "This is Gaza Voice". Il volontario italiano, con indosso una maglia nera, sembra avere le mani legate dietro la schiena, mentre qualcuno gli tiene la testa per i capelli. Sul viso, tracce di sangue che partono da sotto la benda nera che gli copre gli occhi. Una musica copre il sonoro del video, mentre in sovraimpressione appare una scritta in inglese che recita: "Il popolo di Gaza si dispiace per quello che questi bigotti hanno fatto a Vittorio. Siamo sicuri che sarà presto libero e salvo". Vittorio Arrigoni (Archivio Corsera) Vittorio Arrigoni (Archivio Corsera) ACCUSE ALL'ITALIA - Al termine del filmato scorrono scritte in arabo con la data di oggi in cui si sono accuse contro l'Italia e contro Hamas. Nelle scritte i rapitori accusano Arrigoni di diffondere "i vizi occidentali", il governo italiano di combattere contro i paesi musulmani e il governo del premier di Hamas Ismail Haniyeh di lottare contro la sharia (la legge religiosa musulmana). Nel messaggio sul video inoltre le scritte in arabo esortano i giovani di Gaza a sollevarsi contro il governo Haniyeh, reo ai loro occhi di gravi ingiustizie. LA FARNESINA - "Al momento non risultano rivendicazioni nei confronti dell'Italia da parte dei supposti sequestratori" sottolinea, in una nota, la Farnesina, spiegando di aver "già effettuato gli opportuni passi per ogni intervento a tutela", di Vittorio Arrigoni, rapito a Gaza. Il Ministro Frattini, in contatto "con i nostri rappresentati diplomatici, sta seguendo con la massima attenzione l'evolversi della situazione", prosegue la nota sottolineando che l'unità di crisi è già in contatto con la famiglia. Considerata la particolare delicatezza della vicenda il Ministero degli Esteri - conclude la nota- manterrà il consueto necessario riserbo". CHI E' - Vittorio Arrigoni, 36 anni nativo di Besate Brianza, era arrivato a Gaza nell’agosto del 2008, come inviato de "Il Manifesto", per raccontare il dramma che vivono i palestinesi della striscia di Gaza. In particolare celebre è stata la sua cronaca degli avvenimenti seguenti la nota operazione delle forze armate israeliane denominata "Piombo fuso". In quest'occasione Arrigoni riesce a mandare i suoi servizi dalla Striscia di Gaza sfruttando i pochi internet point funzionanti. "Vittorio Arrigoni ha iniziato a collaborare con noi mandando pezzi di cronaca sul conflitto a Gaza, dove si trovava come volontario di una ong", riferisce il vicedirettore del "Manifesto" Angelo Mastrandrea. "Pur non essendo un giornalista erano testimonianze in presa diretta - prosegue il vicedirettore del quotidiano - Quando è esploso il conflitto, gli abbiamo chiesto di fare un diario: erano cronache quotidiane molto vissute tanto che poi gli abbiamo proposto di metterle insieme per farci un libro, poi pubblicato, dal titolo "Restiamo Umani"". Redazione online 14 aprile 2011
L'Alleanza si riunisce a Berlino per fare il punto e decidere se armare i ribelli "La Nato intervenga o sarà massacro" L'appello degli insorti: Misurata è allo stremo, oggi altre otto vittime causate dai missili di Gheddafi L'Alleanza si riunisce a Berlino per fare il punto e decidere se armare i ribelli "La Nato intervenga o sarà massacro" L'appello degli insorti: Misurata è allo stremo, oggi altre otto vittime causate dai missili di Gheddafi Supporter di Gheddafi esultano su un tank nella città di Misurata (Ansa) Supporter di Gheddafi esultano su un tank nella città di Misurata (Ansa) ROMA - Gli insorti libici hanno rivolto un disperato appello alla Nato, chiedendo ai Paesi dell'Alleanza di intensificare gli attacchi contro le forze di Gheddafi, altrimenti a Misurata sarà "un massacro". "Ci sarà un massacro se la Nato non interviene con forza", ha detto un portavoce degli antigovernativi, identificatosi come Abdelsalam, in una telefonata alla Reuters. Sempre gli insorti hanno parlato di almeno 80 missili Grad sparati nella mattinata di giovedì dalle forze di Gheddafi sulla zona vicina al porto di Misurata, ad est di Tripoli. L'attacco avrebbe ucciso otto combattenti antigovernativi, ferendone altri venti e ferendone una ventina. La città è ormai allo stremo dopo tre settimane di assedio. Oggi una seconda nave organizzata dalla Croce rossa francese ha raggiunto la città e consegnato oggi 80 tonnellate di aiuti - cibo e medicine. La nave ha consentito anche l'evacuazionedi una serie di espatriati ucraini ma a misurata rimangono ancora migliaia di stranieri, in massima parte africani). LA POSIZIONE DELLA NATO - Dopo la riunione del gruppo di contatto ieri a Doha oggi tocca alla Nato. I ministri degli Esteri dei 28 Paesi dell'Alleanza si riuniscono per una due giorni a Berlino per discutere il futuro della missione internazionale e gli eventuali aiuti ai ribelli. Parigi e Londra hanno già chiesto all'Alleanza non solo di mobilitare maggiori risorse aeree, ma anche di rendere più frequenti i bombardamenti, in modo da colpire con maggiore efficacia le truppe del regime libico. Al termine della cena di lavoro tenuta mercoledì sera a Parigi, il presidente francese Nicolas Sarkozy e il premier britannico David Cameron hanno sottolineato la necessità di rafforzare la pressione militare sul leader libico Muammar Gheddafi, "determinato a portare avanti la guerra contro la sua popolazione". Al vertice di Berlino sarà presente anche il Segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, che ieri ha denunciato gli "attacchi brutali e continui" del regime di Tripoli contro i civili. ARMI AI RIBELLI - Altro tema, la possibilità di rifornire con armi i ribelli. Secondo un portavoce degli insorti, Mahmoud Shammam, che ha parlato da Doha, il Consiglio Nazionale di Transizione libico potrebbe chiedere a determinati Paesi della coalizione internazionale delle forniture di armi "difensive" per la tutela della popolazione civile. Tuttavia, Shammam ha escluso che il Cnt possa acquistare armi grazie al nuovo fondo, assicurando che le risorse verranno usate per rispondere alle "necessità di base del popolo libico". Sul terreno, la situazione militare resta sostanzialmente in stallo e prosegue il dramma di Misurata, 14 aprile 2011
Dopo trent'anni al potere, il tramonto della dinastia che amava paragonarsi ai Kennedy Lingotti, gioielli, villa a Sharm La caduta degli ultimi Faraoni La dinastia Mubarak: il destino del padre, del "delfino" Gamal e del riservato Alaa Dopo trent'anni al potere, il tramonto della dinastia che amava paragonarsi ai Kennedy Lingotti, gioielli, villa a Sharm La caduta degli ultimi Faraoni La dinastia Mubarak: il destino del padre, del "delfino" Gamal e del riservato Alaa Gamal e Alaa, figli dell'ex presidente egiziano Hosni Mubarak (Ansa) Gamal e Alaa, figli dell'ex presidente egiziano Hosni Mubarak (Ansa) Quando Hosni Mubarak viene convocato a palazzo, crede che Anwar Sadat voglia ricompensarlo con un posto da ambasciatore per "le missioni eroiche" da comandante dell'aviazione nella guerra contro Israele del 1973, due anni prima. Il presidente gli offre invece di diventare il suo vice: la moglie Suzanne rinuncia al sogno di trasferirsi "in una bella città europea" (come aveva suggerito al marito di chiedere) e Hosni realizza quello di diventare il leader egiziano rimasto più a lungo al potere dai tempi di Mehmet Ali, viceré per l'impero ottomano. Più del generale rivoluzionario Gamal Abdel Nasser, più di Sadat (assassinato il 6 ottobre 1981). Quasi trent'anni di dominio. Fino a considerarsi "l'Indispensabile" anche nei diciotto giorni in cui i manifestanti gli hanno ripetuto di andarsene. "E' finita. Abbiamo fatto del nostro meglio per il Paese", ha confidato Suzanne, figlia di un medico egiziano e di un'infermiera gallese, a un'amica poche ore prima della caduta. Ancora incredula. "E' stata la tragedia dei Mubarak", commenta Daniel Kurtzer, ex ambasciatore americano al Cairo. "Essere convinti di rappresentare l'ultima diga, senza di loro la nazione si sarebbe disintegrata". I fratelli sono stati trasportati all'alba di ieri nel carcere di Tora, periferia elegante a sud del Cairo. Dai giorni della rivolta, le torrette di guardia restano annerite dalle fiamme, scure come la barba non rasata di Gamal e Alaa, "Hanno la faccia di chi non ci può credere" rivela al quotidiano Al Ahram il medico che li ha visitati. Ancora increduli. Al dottore il più sbigottito è sembrato Gamal, 47 anni, che dietro al muro di cinta giallo ritrova l'amico e socio in politica Ahmed Ezz, il magnate dell'acciaio finito in galera come altri industriali arricchiti dal legame con la dinastia. "I nostri impiegati hanno paura di raccontare che lavorano per la Ezz", racconta la moglie Abla al Washington Post. Lei va in giro "senza gioielli e su un'auto modesta per non sembrare una donna benestante". Continua a vivere nell'appartamento al ventiquattresimo piano dell'hotel Four Seasons, vista sul Nilo e sulle macerie dell'Ndp, il partito di regime Nazionale e Democratico. "Chi prova compassione per un milionario chiuso in cella? Nessuno. I ricchi in questo Paese sono ormai tutti considerati corrotti". Il procuratore generale egiziano ha comunicato agli Stati Uniti e ad altri governi occidentali che la famiglia Mubarak potrebbe aver nascosto all'estero contanti, oro, investimenti. Il documento di 12 pagine elenca i gioielli del tesoro e ne stima il valore totale attorno ai 700 miliardi di dollari, una cifra esagerata dalla voglia di ritorsione popolare. Nel 1982 il capostipite - secondo un testimone - avrebbe depositato all'UBS 19 mila chili in lingotti di platino (la banca svizzera smentisce). L'atto d'accusa del magistrato presenta i due figli come uomini d'affari spregiudicati che hanno manipolato il sistema finanziario dell'Egitto. Loro si arricchivano mentre la disoccupazione cresceva al 9,4 per cento. Il 90 per cento dei senza lavoro sono giovani, così numerosi che il ministero dell'Agricoltura aveva pianificato di ricollocarli in un'area di terre incolte attorno al delta del Nilo. Era stato chiamato Progetto Mubarak. Alla moschea Shenaway, la famiglia dell'ex presidente ha pregato per cent'anni. Un cugino di secondo grado taglia i tessuti nella bottega di sarto poco lontano. Dall'altra parte del fiume, la scuola militare fa allineare ancora i cadetti nel cortile dove ha marciato il piccolo Hosni. Eppure a Kafr el-Meselha (c'è nato nel 1928) è tornato poche volte dopo aver lasciato il villaggio per la capitale e la carriera militare. Mubarak ha costruito il suo mito attorno alla guerra contro Israele e ha preferito costruire una villa a Sharm el-Sheikh. Sadat (anche lui originario della provincia agricola di Menoufia) non ha mai depennato la campagna dalla biografia presidenziale e invitava i capi di Stato internazionali nella fattoria tra i campi del delta. Il successore ha scelto la residenza sul Mar Rosso per i vertici globali ed è lì chi si è esiliato fino al mandato d'arresto. Sharm è stata la Martha's Vineyard dei Mubarak. Così sarebbe piaciuto pensare a Gamal, che amava paragonare la dinastia ai Kennedy piuttosto che ai faraoni. Quando è toccato a lui prepararsi a diventare l'erede, ha annunciato il fidanzamento (anello da 27 mila dollari) con la figlia di uno dei più grandi costruttori egiziani e ha trasformato il matrimonio del 2007 in una questione di Stato con cerimonia privata. Adesso i pettegoli su Twitter rilanciano le voci: Khadija (anche lei laureata all'università americana del Cairo) avrebbe chiesto il divorzio e si terrebbe (tra l'altro) l'appartamento a Zamalek, l'elegante quartiere in stile europeo su un'isola in mezzo al Nilo, che suo padre aveva regalato alla coppia per le nozze. Nei discorsi terminali alla nazione Mubarak è rimasto convinto di dover preservare la stabilità dell'Egitto, la missione che si era assegnato dal 1981 e il ruolo che gli ha sempre riconosciuto Alaa. Due anni più vecchio di Gamal, ha accusato il fratello di aver rovinato "il nome di papà": "Hai contribuito a distruggere la sua immagine", gli avrebbe urlato il 10 febbraio, la notte finale del regime. Alaa era riuscito a entrare nei cuori sentimentali degli egiziani. Due anni fa ha perso il figlio dodicenne, morto per un'emorragia cerebrale dopo il fine settimana a casa dei nonni. Mohammed era il prediletto di Hosni (appare nella foto di copertina della biografia ufficiale) e l'ex presidente - raccontano gli amici - non si è mai ripreso da quella perdita. "Quello è stato l'ultimo momento di gloria", dice un confidente della famiglia alla rivista Newsweek. "Se avesse annunciato in quel momento le dimissioni, gli egiziani lo avrebbero implorato di rimanere". Mubarak ha scelto di restare. Allora e anche dopo, quando gli egiziani lo imploravano di andarsene. Fino al tracollo. Davide Frattini 14 aprile 2011
Il capo della Casa Bianca replica alla proposta anti-debito dei repubblicani Il piano di Obama: tagli per 4 mila miliardi Riduzione del deficit in 12 anni senza rinunciare agli investimenti e con aumenti di tasse per i più ricchi Il capo della Casa Bianca replica alla proposta anti-debito dei repubblicani Il piano di Obama: tagli per 4 mila miliardi Riduzione del deficit in 12 anni senza rinunciare agli investimenti e con aumenti di tasse per i più ricchi L'intervento di Obama alla George Washington University (Ansa) L'intervento di Obama alla George Washington University (Ansa) NEW YORK - Circa 4 mila miliardi di dollari di tagli in 12 anni, con un aumento delle tasse per i più ricchi. È questo in sintesi il piano presentato oggi a Washington dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama per rispondere all'opposizione repubblicana che punta a tagli leggermente superiori ma molto squilibrati secondo la Casa Bianca, non essendoci investimenti sul futuro. "Non c'è nulla di serio in un piano che mira a ridurre il deficit attraverso mille miliardi di dollari per i milionari ed i miliardari", ha detto Obama parlando del piano messo a punto dai repubblicani. "Non ho bisogno di nuove riduzione delle tasse, e neppure Warren Buffett", uno degli uomini più ricchi degli Stati Uniti, ne ha bisogno, ha poi chiosato l'inquilino della Casa Bianca. RISPARMI NELLA DIFESA - Obama ha presentato il suo ambizioso piano di riduzione del deficit pubblico americano mercoledì pomeriggio a Washington, prendendo la parola alla George Washington University, non lontano dalla Casa Bianca. Il presidente ha fissato anche l'obiettivo di un deficit pari al 2.5% del prodotto interno lordo (Pil) nel 2015 e sotto il 2% entro il 2020. "Oggi - ha tra l'altro detto Obama - propongo un approccio più equilibrato (di quello auspicato dall'opposizione repubblicana) per giungere ad una riduzione di 4mila miliardi del deficit in 12 anni". Per realizzarlo, Obama propone tra l'altro risparmi nel settore della Difesa e della previdenza, oltre ad una semplificazione del sistema fiscale con detrazioni limitate per i più ricchi, pari al 2% del totale. LA PROPOSTA REPUBBLICANA - I tagli proposti da Obama per ridurre il deficit sono leggermente inferiori a quelli proposti dall'opposizione repubblicana, che parla di 4.400 miliardi in 10 anni. Ci sono tuttavia grosse differenze tra le due proposte, dato che il piano dei repubblicani, messo a punto da Paul Ryan, il deputato del Wisconsin presidente della commissione budget della Camera dei Rappresentanti, non prevede nuovi introiti ma solo una riduzione drastica delle spese, non volendo un aumento delle tasse. Nel suo intervento Obama ha sostenuto che il piano dei repubblicani significa "una riduzione del 70% (degli investimenti) nell'energia pulita, del 25% nell'istruzione, del 30% nei trasporti" ed è una visione che "spiega perchè le nostre strade sono in cattivo stato, i nostri ponti crollano e perchè non siamo in grado di ripararli". ANZIANI E PREVIDENZA - Pur volendo fare qualche grosso risparmio nel settore, il presidente si impegna però a non rendere più difficile l'accesso al programma previdenziale Medicare per gli anziani, contrariamente ai repubblicani che vogliono introdurre un sistema di 'voucher' per averci accesso entro certi limiti. Per ridurre il deficit Obama pensa a risparmi di spesa (2 mila miliardi), diminuendo gli interessi sul debito di 1.000 miliardi, e riformando il fisco con tagli anche in questo caso di circa 1.000 miliardi. Nel frattempo, sono confermati i segnali di miglioramento negli Stati Uniti: secondo il Beige Book pubblicato oggi dalla Fed, l'economia ha continuato a migliorare a febbraio e a marzo, e il mercato del lavoro sta iniziando a riprendere. (Fonte: Ansa) 13 aprile 2011(ultima modifica: 14 aprile 2011)
2011-04-12 l'ex ministro libico kussa: "si rischia una nuova somalia" Libia, Juppè: "La Nato sta facendo troppo poco, deve giocare in pieno il suo ruolo" Il ministro degli esteri francese: "Si deve evitare che Gheddafi usi armi pesanti per bombardare popolazione" l'ex ministro libico kussa: "si rischia una nuova somalia" Libia, Juppè: "La Nato sta facendo troppo poco, deve giocare in pieno il suo ruolo" Il ministro degli esteri francese: "Si deve evitare che Gheddafi usi armi pesanti per bombardare popolazione" Alain Juppè (Ansa) Alain Juppè (Ansa) MILANO - Mentre in Libia si continua a combattere, l'Europa si interroga sul ruolo della nato nel conflitto. E dalla Francia arriva una critica decisa al ruolo che l'Alleanza Atlantica sta attualmente svolgendo. CRITICA FRANCESE - Il ministro degli esteri francese Alain Juppè ha infatti dichiarato oggi che il ruolo della Nato in Libia nella protezione dei civili non è sufficiente. Juppè ha spiegato che l'Alleanza atlantica non sta giocando "sufficientemente" il suo ruolo per neutralizzare le armi pesanti del colonnello Muammar Gheddafi e per proteggere la popolazione civile, in particolare quella di Misurata. "La Nato dovrebbe giocare pienamente il suo ruolo. Ha voluto prendere la guida delle operazioni, noi lo abbiamo accettato - ha detto Juppè alla radio francese - Oggi deve giocare il suo ruolo, che significa evitare che Gheddafi usi armi pesanti per bombardare la popolazione". Alla domanda se la Nato stia facendo quanto ci si attende, il capo della diplomazia francese ha risposto: "Non abbastanza". UNIONE AFRICANA - L'Unione africana ha invece chiesto ai ribelli libici di Bengasi "una piena cooperazione" affinché gli sforzi per trovare una soluzione alla crisi in Libia possano andare in porto. Il regime di Tripoli ha accettato la "road map" proposta questo fine settimana dall'Unione africana (Ua) che prevede la cessazione immediata delle ostilità, un corridoio per gli aiuti umanitari e il lancio di un dialogo fra le parti libiche in vista di una fase di transizione. Ma ieri i ribelli hanno respinto il cessate il fuoco, dichiarandosi contrari a qualsiasi mediazione che non contempli l'uscita di scena di Muammar Gheddafi. L'EX MINISTRO - Sempre sul fronte politico da segnalare l'appello dell'ex ministro degli Esteri libico, Mussa Kussa, riparato a Londra dopo avere abbandonato il regime di Tripoli. Per Kussa bisogna evitare che i combattimenti fra le truppe di Muamar Gheddafi e i ribelli dell'opposizione si trasformino in una vera e propria guerra civile, oppure la Libia si trasformerà in "una nuova Somalia". In un'intervista alla Bbc, il diplomatico ha lanciato il suo grido d'allarme: "Chiedo a tutti, a tutte le parti coinvolte di evitare di trascinare la Libia in una guerra civile". Un conflitto prolungato causerebbe "un tale versamento di sangue che la Libia diventerebbe la nuova Somalia", ha insistito Kussa. "Rifiutiamo la divisione della Libia, l'unità della Libia è essenziale a qualsiasi soluzione e ad ogni regolamento del conflitto", ha aggiunto l'ex ministro. Redazione online 12 aprile 2011
Un testimone oculare: ho visto DEL fumo e persone portate in superficie in barella Minsk, esplosione in metrò : 11 morti La procura: "È un atto di terrorismo" La deflagrazione in una stazione vicina al palazzo del presidente Lukashenko.Un centinaio i feriti Un testimone oculare: ho visto DEL fumo e persone portate in superficie in barella Minsk, esplosione in metrò : 11 morti La procura: "È un atto di terrorismo" La deflagrazione in una stazione vicina al palazzo del presidente Lukashenko.Un centinaio i feriti Un attentato, il primo della storia bielorussa. Il terrore colpisce la capitale Minsk, con una esplosione nella metropolitana che fa undici morti e più di cento feriti. Dopo un iniziale silenzio delle autorità, è il il vice capo della Procura Andrei Shved a confermare l'ipotesi già avanzata da una fonte della polizia: si è trattato di un atto di terrorismo. Il presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko, i cui uffici si trovano a poca distanza dalla stazione teatro dell'esplosione, non ha escluso che l'attentato possa essere stato organizzato all'estero. Lukashenko ha incaricato delle indagini i vertici dei servizi segreti, il Comitato per la Sicurezza dello Stato, e ordinato controlli in tutti gli arsenali della Repubblica ex sovietica. La deflagrazione si è verificata alle 17.55 locali, ora di picco nel traffico della metropolitana della capitale, nel vagone di coda di un convoglio, mentre i passeggeri stavano scendendo alla fermata Oktyabrskaya. La stazione è l'unico snodo tra le due linee di un sistema di trasporto veloce utilizzato da due milioni di persone al giorno. A causa della deflagrazione, almeno una parte del soffitto della stazione della metro è crollata. DECINE DI AMBULANZE - Un testimone oculare ha detto a Reuters di aver visto del fumo uscire dalla stazione della metro e persone portate in superficie in barella. Alcuni testimoni, inoltre, hanno sostenuto di aver visto un cratere, provocato probabilmente dalla detonazione di un ordigno. L'atrio si è riempito di fumo nero mentre la gente cercava di allontanarsi velocemente ma senza scene di panico, come ha mostrato la tv russa proponendo le prime testimonianze dei feriti con il volto insanguinato e le immagini del dramma, compresa una scala mobile divelta. "Ho sentito un boato e poi il fumo ha invaso la piattaforma, ho sentito molte persone urlare e cadere a terra", ha detto uno di loro. Anche l'intervento dei soccorritori si è svolto in modo ordinato, con decine di ambulanze e camion dei vigili del fuoco in azione. Ad alcuni feriti sono state messe le flebo subito all'uscita della metropolitana. LA BIELORUSSIA, LUKASHENKO E IL TERRORISMO - Lukashenko ha voluto deporre un mazzo di fiori sul luogo dell'esplosione prima di presiedere una riunione di emergenza, senza rilasciare dichiarazioni. Finora la Bielorussia non aveva mai conosciuto il fenomeno del terrorismo, a parte l'esplosione di un ordigno artigianale che il 4 luglio 2008, giornata dell'indipendenza, causò 50 feriti in una via del centro di Minsk. Ma fu considerato alla stregua di un atto di teppismo. Lukashenko guida con pugno di ferro questo tranquillo Paese di 10 milioni di abitanti dal 1994 e ha un pieno controllo della società anche attraverso i servizi segreti, che qui portano ancora il nome del famigerato Kgb. Aperta nel 1984, la metropolitana della capitale bielorussa attualmente consiste in due linee e 25 stazioni, per un'estensione totale di 30,3 km e circa un milione di passeggeri l'anno. Redazione online 11 aprile 2011
Irruzione di mezzi blindati nella sua residenza Costa d'Avorio, le forze speciali francesi hanno catturato Gbagbo E' stato consegnato alle forze leali a Ouattara riconosciuto come nuovo presidente del Paese * NOTIZIE CORRELATE * Costa d'Avorio nel caos. "Ad Abidjan si rischia la catastrofe umanitaria" (5 aprile 2011) * Costa d'Avorio, contro Gbagbo attacco francese (4 aprile 2011) Irruzione di mezzi blindati nella sua residenza Costa d'Avorio, le forze speciali francesi hanno catturato Gbagbo E' stato consegnato alle forze leali a Ouattara riconosciuto come nuovo presidente del Paese Laurent Gbagbo (Ap) Laurent Gbagbo (Ap) MILANO - Le forze speciali francesi di Liocorno hanno catturato il presidente uscente della Costa d'Avorio, Laurent Gbagbo, dopo essere penetrate nella sua residenza-bunker di Abidjan. La notizia, prima diffusa da un collaboratore di Gbagbo a Parigi, è stata poi anche confermata dall'ambasciatore di Francia in Costa d'Avorio. IRRUZIONE NELLA RESIDENZA - Lunedì mattina una colonna di oltre 30 veicoli armati era avanzata verso la residenza di Gbagbo a Abidjan, aveva detto a Reuters un testimone, e i veicoli erano poi penetrati nell'edificio. CONSEGNATO ALL'OPPOSIZIONE - Gbagbo è stato quindi preso in consegna dalla forze leali ad Alassaine Ouattara nell'Hotel Golf, quartier generale di Alassaine Ouattara, riconosciuto dalla comunità internazionale come nuovo presidente della Costa d'Avorio. 11 aprile 2011
I ribelli: "Non tiene conto della risoluzione dell'Onu e non rispetta il volere del popolo" "Niente mediazione se Gheddafi resta" La proposta dell'Unione Africana respinta dal Consiglio nazionale transitorio * NOTIZIE CORRELATE * "Si di Gheddafi alla "Road Map" dell'Unione Africana" (10 aprile 2011) I ribelli: "Non tiene conto della risoluzione dell'Onu e non rispetta il volere del popolo" "Niente mediazione se Gheddafi resta" La proposta dell'Unione Africana respinta dal Consiglio nazionale transitorio Supporter del colonnello Gheddafi (Ansa) Supporter del colonnello Gheddafi (Ansa) MILANO - "La proposta di mediazione avanzata dall'Unione Africana non include l'uscita di scena di Muammar Gheddafi e dei suoi figli, non tiene conto della risoluzione Onu e non rispetta i voleri del popolo libico": così Mustafa Jalil, capo del Consiglio nazionale transitorio (Cnt) libico dopo l'incontro con i rappresentanti dell'Unione Africana a Bengasi. (Fonte: Ansa) 11 aprile 2011
2011-04-09 LIBIA Battaglia a Misurata, Gheddafi in tv La Lega Araba: vertice con Ue e Onu Almeno 8 morti negli scontri. L'emittente di stato libica riprende il Raìs mentre visita una scuola LIBIA Battaglia a Misurata, Gheddafi in tv La Lega Araba: vertice con Ue e Onu Almeno 8 morti negli scontri. L'emittente di stato libica riprende il Raìs mentre visita una scuola MILANO - A Tripoli il Raìs è tornato sotto i riflettori della tv di Stato, mentre Misurata, la città in mano agli insorti anti-Gheddafi sempre più bersaglio della controffensiva delle forze lealiste, è stata teatro di una nuova giornata di duri combattimenti. Almeno otto le vittime tra i ribelli. I raid aerei della Nato hanno distrutto 15 blindati del Colonnello vicino Misurata e due a sud di Brega. Le forze alleate hanno anche intercettato un caccia Mig-23 pilotato da un appartenente alla ribellione libica che stava violando, la no fly zone, e lo hanno costretto ad atterrare. IL LEADER LIBICO IN TV - Gheddafi è riapparso, come si diceva, in tv: la televisione di Stato ha infatti mandato in onda alcune riprese in cui si vedeva il leader libico entrare in una scuola elementare di Tripoli. Circondato dalle guardie del corpo, addosso il tradizionale mantello marrone, gli occhiali da sole sul volto, il Raìs si è mescolato agli alunni, che nel frattempo scandivano in coro slogan anti-occidentali. Secondo l'emittente, la visita all'istituto è avvenuta in mattinata. L'ultimo messaggio conosciuto del Colonnello risaliva a tre giorni fa, quando scrisse al presidente americano Barack Obama per chiedergli di fermare la "crociata colonialistica" della Nato contro la Libia. La sua precedente apparizione in tv era invece stata il 4 aprile, vicino alla propria residenza-bunker, mentre era intento a salutare una folla di sostenitori. VERTICE - La Lega Araba intanto prova a rilanciare l'iniziativa diplomatica organizzando il 14 aprile a Il Cairo una conferenza internazionale sulla Libia alla quale prenderanno parte il segretario generale dell'Onu Ban Ki Moon, il capo della diplomazia Ue, Catherine Ashton e il presidente della commissione dell'Unione Africana, Jean Ping. Ne dà notizia un comunicato dell'organismo panarabo. La conferenza, ha spiegato il segretario generale aggiunto della Lega Araba, Ahmed Ben Helli, è stata convocata su iniziativa dell'Onu, per esaminare la situazione in Libia e per "rafforzare il coordinamento tra la Lega Araba, l'Onu, l'Unione Africana e l'organizzazione della Conferenza islamica". Redazione Online 09 aprile 2011
Notte di battaglia L'Egitto si riaccende, due morti Bus dei soldati in fiamme in piazza Tahrir Scontri tra manifestanti e polizia, gli agenti sparano in aria per disperdere la folla. Accorrono le ambulanze Notte di battaglia L'Egitto si riaccende, due morti Bus dei soldati in fiamme in piazza Tahrir Scontri tra manifestanti e polizia, gli agenti sparano in aria per disperdere la folla. Accorrono le ambulanze IL CAIRO - Un autobus per il trasporto di truppe sta bruciando su piazza Tahrir, dopo una notte di battaglia fra manifestanti ed esercito. Ambulanze sono arrivate sulla piazza che è stata completamente sigillata dalle forze armate anche con filo spinato. L'esercito afferma che la situazione è sotto controllo, ma,da fonti ospedaliere, si apprende che vi sono stati due morti e tredici feriti. FUMO E SPARI - I mezzi in fiamme sono sul lato della piazza vicino al palazzo della Lega araba e stanno provocando una fitta colonna di fumo che sovrasta la piazza. Secondo i manifestanti, inoltre, l'esercito ha cominciato a sparare per disperdere la folla che è rimasta sulla grande piazza simbolo della rivoluzione anti Mubarak anche dopo l'inizio del coprifuoco alle 2 del mattino ora locale, in seguito alla mega manifestazione di venerdì nella quale è stato chiesto un processo rapido all'ex rais e alla sua famiglia. Egitto, la protesta s'infiamma: due morti in piazza Egitto, la protesta s'infiamma: due morti in piazza Egitto, la protesta s'infiamma: due morti in piazza Egitto, la protesta s'infiamma: due morti in piazza Egitto, la protesta s'infiamma: due morti in piazza Egitto, la protesta s'infiamma: due morti in piazza Egitto, la protesta s'infiamma: due morti in piazza Egitto, la protesta s'infiamma: due morti in piazza IL SUMMIT Intanto l'agenzia di stampa egiziana Mena riferisce che il consiglio supremo delle forze armate ha ordinato l'arresto di Ibrahim Kamal, esponente di spicco del Partito nazionale democratico dell'ex rais Hosni Mubarak, con l'accusa di avere incitato gli scontri. Mentre il capo delle forze armate, il maresciallo Hussein Tantawi avrà un incontro "d'urgenza" con il premier ad interim, Essam Sharaf Non si conoscono le motivazioni del vertice, ma è probabile che Sharaf e Tantawi discutano della situazione alla luce delle recrudescenze violente in Piazza Tahri. Intanto, i manifestanti sono tornati nella piazza e lanciano slogan contro Tantawi, di cui chiedono le dimissioni. Redazione Online 09 aprile 2011
Le manifestazioni si sono scatenate dopo la preghiera del venerdì Siria, sale la protesta contro il regime Una cinquantina di morti a Daraa tra poliziotti e manifestanti. Scontri anche a Homs e Damasco * NOTIZIE CORRELATE * Spari sulla folla in Siria: sette vittime (1 aprile 2011) * REPORTAGE Quei graffiti dei ragazzini siriani che hanno acceso la rabbia di Deraa di D. Frattini (1 aprile 2011) * Siria, il governo rassegna le dimissioni (29 marzo 2011) * Siria, la polizia spara sui manifestanti (28 marzo 2011) * Siria, l'esercito entra a Latakia per sedare la rivolta contro il regime (26 marzo 2011) * In migliaia nelle piazze in Siria e Yemen (25 marzo 2011) * LA MAPPA: I luoghi della protesta Le manifestazioni si sono scatenate dopo la preghiera del venerdì Siria, sale la protesta contro il regime Una cinquantina di morti a Daraa tra poliziotti e manifestanti. Scontri anche a Homs e Damasco Manifestazione in Siria (Ansa) Manifestazione in Siria (Ansa) MILANO - Non si placa in Siria la protesta anti-regime. scontri sono in atto in diverse città del Paese. Ancora una volta il bilancio più grave è quello dei combattimenti in corso a a Daraa, nel sud della Siria, dove almeno una trentina di persone sono state uccise dalle forze di sicurezza. Lo riferiscono fonti mediche locali citate dai siti di monitoraggio sugli eventi siriani che trasmettono anche su Twitter. Nella città meridionale, in base al racconto di alcuni testimoni, la folla inferocita ha poi dato fuoco ad una sede del partito Baath e ha distrutto la statua di Basil al-Assad, fratello scomparso dell'attuale presidente. ma, secondo, la tv di Stato siriana vittime vi sarebbero anche tra le forze di polizia. I manifestanti avrebbero ucciso 19 poliziotti e ne avrebbero feriti altri 75. HOMS - Almeno due manifestanti, secondo la tv satellitare araba Al Jazeera, sarebbero morti e decine di altri sarebbero rimasti feriti invece a Homs, città a circa 180 km da Damasco, nel corso sempre di uno scontro tra manifestanti e forze di sicurezza. La città della Siria settentrionale è "assediata dalla polizia e dalle forze di sicurezza", arrivate con i "carri armati", come ha denunciato al servizio in arabo della Bbc l'attivista siriana per i diritti umani Najati Tayyara. La città, secondo l'attivista, è circondata dalle forze di sicurezza che impediscono alle auto di uscire dal centro abitato. SCONTRI A DAMASCO - Violenti scontri si sono registrati anche nella periferia della capitale siriana Damasco. Secondo quanto riferisce la tv satellitare Al-Arabiya, agenti della sicurezza in borghese sono entrati all'interno della moschea di al-Rifai, nel quartiere di Kfar Suseh, picchiando i fedeli che intendevano uscire in corteo dopo la preghiera del venerdì. Per la concorrente Al-Jazeera, la polizia è intervenuta anche nel quartiere di Duma, dove ha impedito lo svolgimento di una manifestazione e interrotto le linee di telefonia fissa e mobile della zona. Redazione online 08 aprile 2011(ultima modifica: 09 aprile 2011)
Quattro palestinesi uccisi a Gaza dai raid aerei israeliani Da quando è partita l'offensiva giovedì, le vittime sono già 18 MEDIO ORIENTE Quattro palestinesi uccisi a Gaza dai raid aerei israeliani Da quando è partita l'offensiva giovedì, le vittime sono già 18 MILANO- Continua la stretta israeliana su Gaza: altri quattro palestinesi sono stati uccisi nella Striscia in seguito ai raid aerei dell'esercito di Tel Aviv. Le vittime delle ultime incursioni ammontano ora a 18, dall'inizio dell'offensiva partita giovedì, in risposta all'attentato rivendicato da Hamas, in cui era stato lanciato un missile anti-carro contro uno scuola-bus, con due feriti. Il primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu venerdì aveva dichiarato :"Chiunque tenti di attaccare e uccidere i nostri ragazzi, mette la sua vita a rischio e pericolo". I militanti di Gaza, sempre da giovedì, hanno sparato almeno 70 razzi e colpi di mortaio in territorio israeliano, non facendo alcuna vittima. Secondo alcuni analisti, Hamas ha ripreso l'iniziativa militare per rivendicare la propria primazia rispetto ai rivali di Fatah e distrarre l'attenzione dell'opinione pubblica palestinese dalle rivolte nel mondo arabo. Redazione Online 09 aprile 2011
2011-04-08 Le manifestazioni si sono scatenate dopo la preghiera del venerdì Siria, sale la protesta contro il regime Una cinquantina di morti a Daraa tra poliziotti e manifestanti. Scontri anche a Homs e Damasco * NOTIZIE CORRELATE * Spari sulla folla in Siria: sette vittime (1 aprile 2011) * REPORTAGE Quei graffiti dei ragazzini siriani che hanno acceso la rabbia di Deraa di D. Frattini (1 aprile 2011) * Siria, il governo rassegna le dimissioni (29 marzo 2011) * Siria, la polizia spara sui manifestanti (28 marzo 2011) * Siria, l'esercito entra a Latakia per sedare la rivolta contro il regime (26 marzo 2011) * In migliaia nelle piazze in Siria e Yemen (25 marzo 2011) * LA MAPPA: I luoghi della protesta Le manifestazioni si sono scatenate dopo la preghiera del venerdì Siria, sale la protesta contro il regime Una cinquantina di morti a Daraa tra poliziotti e manifestanti. Scontri anche a Homs e Damasco Manifestazione in Siria (Ansa) Manifestazione in Siria (Ansa) MILANO - Non si placa in Siria la protesta anti-regime. scontri sono in atto in diverse città del Paese. Ancora una volta il bilancio più grave è quello dei combattimenti in corso a a Daraa, nel sud della Siria, dove almeno una trentina di persone sono state uccise dalle forze di sicurezza. Lo riferiscono fonti mediche locali citate dai siti di monitoraggio sugli eventi siriani che trasmettono anche su Twitter. Nella città meridionale, in base al racconto di alcuni testimoni, la folla inferocita ha poi dato fuoco ad una sede del partito Baath e ha distrutto la statua di Basil al-Assad, fratello scomparso dell'attuale presidente. ma, secondo, la tv di Stato siriana vittime vi sarebbero anche tra le forze di polizia. I manifestanti avrebbero ucciso 19 poliziotti e ne avrebbero feriti altri 75. HOMS - Almeno due manifestanti, secondo la tv satellitare araba Al Jazeera, sarebbero morti e decine di altri sarebbero rimasti feriti invece a Homs, città a circa 180 km da Damasco, nel corso sempre di uno scontro tra manifestanti e forze di sicurezza. La città della Siria settentrionale è "assediata dalla polizia e dalle forze di sicurezza", arrivate con i "carri armati", come ha denunciato al servizio in arabo della Bbc l'attivista siriana per i diritti umani Najati Tayyara. La città, secondo l'attivista, è circondata dalle forze di sicurezza che impediscono alle auto di uscire dal centro abitato. SCONTRI A DAMASCO - Violenti scontri si sono registrati anche nella periferia della capitale siriana Damasco. Secondo quanto riferisce la tv satellitare Al-Arabiya, agenti della sicurezza in borghese sono entrati all'interno della moschea di al-Rifai, nel quartiere di Kfar Suseh, picchiando i fedeli che intendevano uscire in corteo dopo la preghiera del venerdì. Per la concorrente Al-Jazeera, la polizia è intervenuta anche nel quartiere di Duma, dove ha impedito lo svolgimento di una manifestazione e interrotto le linee di telefonia fissa e mobile della zona. Redazione online 08 aprile 2011
DOmenica parte la commissione d'inchiesta Onu sulle violazioni dei diritti umani Vittime civili, la Nato alla fine si scusa Pressing sull'Italia: "Deve bombardare" Cordoglio di Rasmussen. Ma l'ammiraglio Harding: "Dall'alto non possiamo identificare gli automezzi" * NOTIZIE CORRELATE * Noi e la Libia, una guerra declassata in fretta di Pierluigi Battista (8 aprile 2011) * Assedio delle forze di Gheddafi a Misurata e Ajdibiya (8 aprile 2011) DOmenica parte la commissione d'inchiesta Onu sulle violazioni dei diritti umani Vittime civili, la Nato alla fine si scusa Pressing sull'Italia: "Deve bombardare" Cordoglio di Rasmussen. Ma l'ammiraglio Harding: "Dall'alto non possiamo identificare gli automezzi" Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen (Ap) Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen (Ap) MILANO - Alla fine ci ha pensato direttamente il segretario generale, Anders Fogh Rasmussen. Nel primo pomeriggio di venerdì il numero uno della Nato ha espresso il suo rammarico per le vittime causate da un raid aereo dell'Alleanza su una colonna di ribelli ieri a Brega, nell'est della Libia: "E' stato uno sciagurato incidente, mi dispiace moltissimo per i morti". Il gesto è arrivato dopo che in mattinata era stata invece adottata da parte del comando militare della missione una linea più intransigente. L'ammiraglio Russell Harding, vice comandante dell'operazione "Unified Protector" condotta dalla Nato in Libia, in un incontro stampa in collegamento tra Bruxelles e Napoli ha detto sostanzialmente che l'Alleanza non aveva nulla di cui farsi perdonare. "Non voglio chiedere scusa per le morti di civili per due motivi - ha puntualizzato Harding -: primo perché vedendoli dall'alto non possiamo identificare di che natura siano i mezzi e secondo perché vedendo quei veicoli che si spostavano avanti e indietro potevamo presupporre che fossero di forze leali al colonnello Gheddafi". Poco prima Harding aveva detto che i raid compiuti ieri dalla Nato in Libia potrebbero aver ucciso diversi civili. L'ammiraglio Russel Harding, vice comandante dell'operazione "Unified Protector" (Reuters) L'ammiraglio Russel Harding, vice comandante dell'operazione "Unified Protector" (Reuters) "SITUAZIONE FLUIDA" - Quanto al fronte militare, ha detto l'ammiraglio, la situazione "è fluida", non di stallo. Giovedì sera, invece, il generale Carter Ham, comandante dello US Africa Command, parlando al Congresso Usa, aveva al contrario detto che in Libia "si è delineata una situazione di stallo" tra le forze dei ribelli e quelle pro-Gheddafi. "ANCHE L'ITALIA BOMBARDI" - Sempre da ambienti nato arrivano poi pressioni sull'Italia affinché modifichi le modalità della sua partecipazione alla missione, sostanzialmente prevedendo anche l'esecuzione di bombardamenti. Una sollecitazione in tal senso è arrivata anche dal Consiglio Transitorio dei ribelli a Bengasi, che hanno convocato il nostro rappresentante in Cirenaica, Guido De Sancits, insieme con i colleghi britannico e francese. I tre si sono incontrari con Ali al-Isawi, responsabile dei rapporti con l'estero. "Ai tre è stato detto che le forze di Gheddafi si sono avvicinate e possono sfondare su Bengasi. Il Consiglio ci chiede di intervenire affinchè la Nato colpisca dal cielo", ha confermato il portavoce della Farnesina, Maurizio Massari, secondo quanto riferito dal Corriere della Sera. Il quotidiano afferma che anche il segretario della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha sondato ieri sera il ministro degli Esteri, Franco Frattini, sull'argomento. Quanto agli usa, hanno sempre chiarito che gli oneri delle operazioni dovevano essere per lo più europei, ricorda il quotidiano. LA COMMISSIONE D'INCHIESTA - Domenica, nel frattempo, partirà la commissione di inchiesta delle Nazioni Unite sulle violazioni dei diritti umani nella crisi in Libia. Lo ha annunciato oggi a Ginevra l'egiziano Cherif Bassiouni, presidente della commissione, istituita a fine febbraio da una risoluzione del Consiglio Onu dei diritti umani. La squadra di esperti intende recarsi "nell'est e nell'ovest del Paese" così come in Tunisia ed Egitto, ha detto Bassiouni. Le date esatte della missione non sono state rese note, ma i membri della commissione partiranno domenica e torneranno entro la fine del mese, ha detto Bassiouni in una conferenza stampa. "Un'inchiesta deve essere giusta, imparziale e indipendente. E questo è quello che intendiamo fare", ha detto Bassiouni. La squadra di esperti intende avere accesso ad ogni possibile fonte di informazione. La Commissione internazionale di inchiesta ha ricevuto per mandato di indagare tutte le presunte violazioni dei diritti umani in Libia, di stabilirne i fatti e le circostanze e se possibile identificare i responsabili. La commissione dovrà presentare un rapporto in occasione della prossima sessione del Consiglio in giugno. Redazione Online 08 aprile 2011
2011-04-06 al-Qaeda sta inviando kamikaze in Libia per compiere attacchi contro le brigate di Gheddafi Libia, Gheddafi scrive ad Obama Nato: raid difficili per gli scudi umani L'Alleanza risponde ai ribelli che l'accusano di aver abbandonato Misurata, sotto assedio da 40 giorni * NOTIZIE CORRELATE * L'infermiera del Raìs: "Era il "papà"" (5 aprile 2011) al-Qaeda sta inviando kamikaze in Libia per compiere attacchi contro le brigate di Gheddafi Libia, Gheddafi scrive ad Obama Nato: raid difficili per gli scudi umani L'Alleanza risponde ai ribelli che l'accusano di aver abbandonato Misurata, sotto assedio da 40 giorni Muammar Gheddafi (Emblema) Muammar Gheddafi (Emblema) MILANO - Il leader libico Muammar Gheddafi ha inviato un messaggio al presidente degli Stati Uniti Barack Obama "in seguito all'uscita dell'America dall'alleanza coloniale dei crociati contro la Libia". Lo riferisce l'agenzia ufficiale libica Jana senza fornire ulteriori dettagli. Il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, interrogata sul contenuto del messaggio, ha replicato che Gheddafi sa quel che deve fare: lasciare il potere ed andarsene dalla Libia. I RAID - Intanto la conduzione di raid aerei mirati contro gli obiettivi militari di Gheddafi "è diventata più difficile" a causa dell'utilizzo di civili come scudi umani, in particolare nella città di Misurata. Lo afferma la Nato, replicando alla critiche dei ribelli che l'accusano di agire troppo lentamente e di lasciar morire la popolazione di Misurata, sotto assedio. Le forze del regime libico "stanno cambiando tattica, usando veicoli civili e nascondendo i carri armati in città come Misurata. Inoltre, usano scudi umani per la loro protezione. Ciò rende più difficile colpire i target". È l'allarme lanciato da Oana Lungescu, portavoce Nato. La coalizione "resta vigile per evitare vittime civili", dice. "Il nostro mandato Onu è la protezione dei civili da attacchi e da minacce di attacchi. Noi rispetteremo pienamente questo mandato", ha assicurato la portavoce. Martedì la Nato ha riferito che ad oggi il 30% della capacità militare di Gheddafi è stata distrutta dagli attacchi aerei contro la Libia. In serata, i ribelli hanno accusato l'Alleanza di avere lasciato al suo destino Misurata, la terza città della Libia, che da 40 giorni è assediata dai fedeli di Gheddafi. La Nato ha replicato che la protezione di Misurata e della sua popolazione civile "è la priorità numero uno". MISURATA - Anzi, la Nato ha affermato di essere pronta "a fare tutto il necessario per proteggere i civili" di Misurata, rispondendo così all'accusa dei ribelli libici che hanno lamentato come l'inazione dell'alleanza stia "facendo morire" gli abitanti della terza città della Libia circondata dalle truppe di Gheddafi "La Nato - ha detto la portavoce aggiunta dell'alleanza, Carmen Romero - ha un mandato molto chiaro e farà di tutto per proteggere i civili". Misurata è la nostra priorità numero uno, ha proseguito la signora Romero riprendendo quanto detto martedì dal capo militare dell'alleanza Mark van Uhm. AL-QAEDA - Nel frattempo si apprende che la cellula di al-Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi), attiva nelle regioni del Sahara africano, sta inviando suoi kamikaze in Libia per compiere attacchi suicidi contro le brigate di Muammar Gheddafi. A rivelarlo è una fonte della sicurezza algerina al quotidiano locale Ennahar. Gli inquirenti seguono questa pista alla luce delle indagini che hanno portato all'identificazione di un terrorista algerino di al-Qaeda, Dhakar Abdel Qader, ucciso nei giorni scorsi nella provincia di Illizi, nel sud del paese vicino al confine con la Libia, durante uno scontro a fuoco con la polizia di frontiera algerina. Il terrorista era stato individuato ed inseguito poco prima dagli uomini della sicurezza del regime libico nei pressi della città di Ghadames. Secondo gli inquirenti algerini, il terrorista era stato inviato in Libia dal capo della cellula di Aqmi, Abu Zayd, per compiere un attentato kamikaze. Aveva infatti con se una cintura esplosiva ed un kalashnikov. Qader era riuscito ad attraversare via terra il confine tra Algeria e Libia, ma una volta arrivato a Ghadames è stato individuato dagli uomini di Gheddafi che lo hanno costretto a rientrare in Algeria e ad affrontare le guardie frontaliere algerine. Il terrorista si è rifiutato di arrendersi ed ha combattuto fino a quando non è stato ucciso. Gli inquirenti libici sono convinti che al-Qaeda si sia infiltrata tra le fila dei ribelli di Bengasi e che partecipi alla guerra contro le brigate di Gheddafi. 06 aprile 2011
Alle carenze di mezzi si aggiungono le differenti vedute sugli obiettivi Libia, la Nato non ha abbastanza aerei Dopo il ritiro dei caccia americani, non vi sarebbero velivoli a sufficienza Alle carenze di mezzi si aggiungono le differenti vedute sugli obiettivi Libia, la Nato non ha abbastanza aerei Dopo il ritiro dei caccia americani, non vi sarebbero velivoli a sufficienza (Reuters) (Reuters) WASHINGTON (USA) – Per i ribelli libici la Nato, in questi ultimi giorni, non ha fatto nulla per fermare il massacro a Misurata e consente ai governativi di avanzare indisturbati. La Nato ha risposto con i numeri. "Abbiamo distrutto il 30 per cento dell’apparato militare libico", ha annunciato un alto ufficiale. Poi i portavoce hanno fornito una cifra che dovrebbe impressionare: dalle ore 8 del 31 marzo, giorno in cui ha assunto il comando delle operazioni, la Nato ha condotto 851 sortite, delle quali 334 con "strikes" (attacchi). Quest’ultimo termine - "strikes" - non significa però che siano state sempre usate armi o bombe. Rientra nella categoria, ad esempio, l’illuminazione di un bersaglio con il radar anche se poi non gli tirano un missile. MEZZI INSUFFICIENTI - Da Bruxelles sono arrivate altre informazioni interessanti. La prima è che, dopo il ritiro dei caccia americani, non vi sarebbero velivoli a sufficienza. Alle carenze di mezzi si aggiungono le differenti vedute sugli obiettivi. E i turchi – come abbiamo sottolineato più volte – frenano su tutto. I francesi fanno per conto loro. Stanno usando una trentina di aerei, ma almeno la metà (in particolare dei caccia) sfugge al controllo pieno della Nato. Gli inglesi seguono con 17 velivoli (non tutti d’attacco). Poi restano Belgio, Canada, Danimarca e Norvegia che hanno condotto incursioni su obiettivi a terra. Il resto della coalizione – Italia compresa – si limita alla sorveglianza. Considerazioni politiche e mezzi insufficienti hanno dato ai governativi un grande vantaggio. Le fonti Nato hanno ripetuto che è più difficile colpire i bersagli perché i miliziani filo-Gheddafi si muovono su veicoli civili e nascondono i tank tra le case. A Misurata avrebbero trasportato i lanciarazzi su carretti tirati da trattori. Spiegazioni che hanno un fondamento parziale. I lealisti non sono sempre immobili nei loro rifugi. Almeno nell’Est. Sparano con i lanciarazzi a lunga gittata per mettere in fuga i ribelli, poi avanzano e occupano le località. A un certo punto sono costretti a muovere, dunque si espongono a eventuali raid. Tanto è vero che martedì la coalizione ha rivendicato la distruzione di due pick up. Dunque è possibile – a patto che si voglia – fermare i lealisti. Nel campo ribelle la situazione continua a essere precaria. E in attesa che arrivino le armi promesse, gli insorti si arrangiano con dei veicoli che ricordano, a volte, quelli del film "Mad Max". Nella zona di Brega sono comparsi lanciarazzi staccati dagli elicotteri (inutilizzabili) e fissati sui camioncini. Nulla di più impreciso e rustico. Alcune foto mostrano dei ribelli che hanno inventato una mini-rampa per razzi. Un tubo, un’intelaiatura e un cacciavite a regolarne l’alzo. Le due parti continuano a essere arroccate sulle loro posizioni, con Gheddafi per nulla disposto a cedere. Ecco perché un diplomatico citato dal "New York Times" ha fatto una cinica previsione: "Continueranno la stupida battaglia su quella strada fintanto che non avranno finito le munizioni". Guido Olimpio 06 aprile 2011
2011-04-05 LIBIA. dura battaglia a brega Gheddafi: basta bombe o Bengasi a secco E poi riappare in tv vicino al bunker Il colonnello saluta i sostenitori a Tripoli. Il regime minaccia di tagliare l'acqua alle città * NOTIZIE CORRELATE * LIBIA. dura battaglia a brega Gheddafi: basta bombe o Bengasi a secco E poi riappare in tv vicino al bunker Il colonnello saluta i sostenitori a Tripoli. Il regime minaccia di tagliare l'acqua alle città Il leader libico Gheddafi (Emblema) Il leader libico Gheddafi (Emblema) MILANO - Sugli insorti arriva la minaccia di Gheddafi. Stop ai bombardamenti Nato o le città libiche rischiano di restare senz'acqua. L'AVVERTIMENTO - Basta bombardamenti degli "aerei invasori" o molte città libiche, compresa la capitale dei ribelli Bengasi, andranno incontro "all'interruzione dell'approvvigionamento idrico alle popolazioni". In una nota diffusa tramite l'agenzia Jana, il ministero libico dell'Agricoltura avverte che le infrastrutture e le condotte del Grande fiume artificiale - un acquedotto che porta sulla costa le "acque fossili del Sahara" e che rappresenta la fonte idrica dalla quale dipende non meno del 70% degli abitanti della Libia - corrono gravi pericoli in seguito ai bombardamenti. Tripoli prospetta anche allagamenti e "disastri umani e ambientali che potrebbero accadere in qualsiasi momento" se le bombe della Nato continueranno a cadere. GHEDDAFI RIAPPARE - E dopo parecchi giorni di totale black-out la tv di Stato libica ha trasmesso delle immagini che ritraggono Muammar Gheddafi salutare alcuni sostenitori nelle vicinanze del complesso del suo bunker di Tripoli di Bab al-Aziziyah. Nelle immagini mostrate si notava gente festante intorno al Raìs, che agitava le bandiere verdi dei fedeli al colonnello libico. BREGA - Sul fronte strettamente militare un duro scontro tra forze fedeli al leader libico Muammar Gheddafi e insorti è in corso nella località portuale di Brega, dove la resistenza ha fatto ritorno nelle scorse ore, senza tuttavia riuscire a riconquistare l'intera città. Come riferisce l'inviato della tv satellitare Al-Jazeera, si sentono esplosioni nel centro, da cui si innalzano numerose colonne di fumo. I fronti dello scontro sono due, uno nei pressi dell'università e l'altro in un'area industriale. Gli insorti sarebbero riusciti a riprendere in mano la parte nuova della città, da cui i cittadini hanno cominciato a fuggire questa mattina, dopo che nella notte hanno subito pesanti bombardamenti da parte delle forze pro-Gheddafi. Secondo l'inviato, i lealisti stanno usando armi diverse da quelle usate finora, ricorrendo probabilmente anche a lanciarazzi da elicottero adattati ai loro veicoli e ai tank. La difficile avanzata degli insorti è agevolata dai raid della Nato, condotti nel corso della notte e portati avanti anche nella giornata. PROTESTA - Intanto una manifestazione di protesta nei confronti della Nato è nata spontaneamente a Bengasi, roccaforte dell'opposizione. Lo riporta la tv satellitare araba Al Jazeera. Gli attivisti dell'opposizione si sono dati appuntamento nella piazza principale della città. Hanno rivolto accuse alla coalizione, rea di non fare abbastanza per aiutarli nella loro lotta contro le forze di Muammar Gheddafi. L'opposizione chiede maggiore sostegno a Zintan e Misurata, nella parte occidentale della Libia e contro il passaggio di poteri al figlio del rais, Saif al-Islam. Redazione online 04 aprile 2011(ultima modifica: 05 aprile 2011)
Abidjan nel caos, rapiti due francesi Costa d'Avorio, contro Gbabgbo missili e raid aerei di Onu e Francia Sarkozy ordina l'attacco contro il presidente uscente ivoriano. Il portavoce: "Attacchi illegali" Abidjan nel caos, rapiti due francesi Costa d'Avorio, contro Gbabgbo missili e raid aerei di Onu e Francia Sarkozy ordina l'attacco contro il presidente uscente ivoriano. Il portavoce: "Attacchi illegali" Abidjan, i resti di un pick-up "armato" fatto saltare in aria Abidjan, i resti di un pick-up "armato" fatto saltare in aria MILANO - L'Onuci, la missione dell'Onu in Costa d'Avorio, e le forze armate francesi hanno condotto raid aerei contro le basi di Laurent Gbagbo, il presidente uscente della Costa d'Avorio. E missili sono stati lanciati verso gli stessi obiettivi, considerati le roccaforti del presidente uscente, che rifiuta da settimane di cedere il potere al vincitore delle elezioni riconosciuto dall'Occidente, Alassane Ouattara. La risposta militare è arrivata dopo il ferimento nei giorni scorsi di undici caschi blu. Il rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite in Costa d'Avorio, Choi Young-jin, ha accusato Gbagbo di aver condotto attacchi "senza senso" contro la base Onu di Abidjan. Mentre il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon ha puntualizzato che i raid "puntano a proteggere i civili e non ad attaccare il presidente uscente". Per la città, capitale economica del Paese, è stata un'altra giornata tesissima, con le forze del presidente riconosciuto dalla comunità internazionale che stanno sferrando un'offensiva contro le forze fedeli a Gbagbo. STRANIERI EVACUATI - Le truppe francesi della missione "Liocorno" stanno evacuando gli stranieri che risiedono in città. "Stiamo velocemente raggiungendo un punto critico. Stiamo pianificando un'azione, non possiamo più perdonare gli attacchi avventati e gratuiti contro i civili e i caschi blu dell'Onu con armi pesanti", aveva dichiarato Choi. "Ora siamo sotto assedio, non possiamo uscire liberamente, ci puntano con i cecchini. È un attacco deliberato contro le Nazioni Unite. Hanno preso di mira il nostro quartier generale, ci hanno tagliato l'acqua. Siamo in un bunker". Il rappresentante speciale ha detto che i 9.000 soldati che fanno parte dell'Onuci, la missione dell'Onu in Costa d'Avorio, non hanno il mandato per cacciare Gbagbo, ma hanno la possibilità di rispondere al fuoco. "Useremo i nostri aerei, agiremo presto", aveva detto. L'Onuci ha a disposizione tre elicotteri d'attacco Mi-24 ed elicotteri Mi-8 e Mi-17 dell'aviazione ucraina. MISSILI SU RESIDENZA GBAGBO - Fonti delle Nazioni Unite hanno riferito che elicotteri della missione dell'Onu hanno sparato contro il palazzo e la residenza del presidente uscente Gbagbo. "Elicotteri dell'Onuci hanno lanciato missili sui campi militari di Agban e Akouedo (basi dei sostenitori di Gbagbo, ndr) oltre che contro il palazzo e la residenza presidenziale" ad Abidjan, ha dichiarato il portavoce della missione dell'Onu in Costa D'Avorio, Hamadoun Tourè. "Abbiamo agito - ha aggiunto - in collaborazione con la forza francese "Liocorno", in conformità con il nostro mandato e la risoluzione 1975" dell'Onu. Parigi ha confermato l'intervento e ha precisato di essere scesa in campo "su richiesta" del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. "Il segretario generale dell'Onu - si legge in un comunicato dell'Eliseo - ha chiesto il sostegno delle forze francesi a queste operazioni. Il presidente (Nicolas Sarkozy, ndr) ha risposto positivamente a questa richiesta e ha autorizzato le forze francesi a partecipare alle operazioni condotte dall'Onuci per la protezione dei civili". "BLITZ ONU-FRANCIA ILLEGALE" - Il blitz da parte degli elicotteri dell'Onu e della Francia contro i campi militari, il palazzo presidenziale e la residenza di Gbagbo sono "atti illegali" e un "tentativo di assassinio". L'accusa arriva da un consigliere dello stesso Gbagbo, che ha parlato da Parigi. RAPITI DUE FRANCESI - La reazione delle forze fedeli a Gbagbo non si è fatta attendere: diverse persone, tra cui due francesi, sono state sequestrate da "uomini armati" nell'hotel Novotel di Abidjan, dove ormai da giorni regna il caos. Secondo fonti giornalistiche transalpine le persone sequestrate mentre si trovavano nell'albergo sarebbero in tutto 4 o 5. Diverse esplosioni sono state sentite nel centro di Abidjan, mentre le forze leali a Ouattara continuano ad avanzare nella città. Si sono uditi spari di armi automatiche lungo la strada che costeggia la laguna, a due isolati dal palazzo presidenziale e vicino a una grande base militare. L'obiettivo delle forze di Outtara sono il palazzo e la villa dove probabilmente si trova il presidente uscente Laurent Gbagbo. Redazione online 04 aprile 2011(ultima modifica: 05 aprile 2011)
2011-04-04 conferenza stampa dopo l'incontro col rappresentante degli esteri dei ribelli libici Libia, Frattini: "Armare i ribelli? Non escluso come extrema ratio" Il ministro degli Esteri: "Voli italiani per trasportare feriti. L'Italia riconosce il consiglio degli insorti" * NOTIZIE CORRELATE * Raid aerei, Nato "bloccata" chiede aiuto agli Usa di G. Olimpio (4 aprile 2011) * L'inviato di Gheddafi ad Atene: cessate il fuoco (3 aprile 2011) conferenza stampa dopo l'incontro col rappresentante degli esteri dei ribelli libici Libia, Frattini: "Armare i ribelli? Non escluso come extrema ratio" Il ministro degli Esteri: "Voli italiani per trasportare feriti. L'Italia riconosce il consiglio degli insorti" Il ministro degli Esteri Franco Frattini (Epa) Il ministro degli Esteri Franco Frattini (Epa) MILANO - Armare i rivoltosi libici "non può essere escluso come extrema ratio". Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini nella conferenza stampa dopo l'incontro con il rappresentante della politica estera dei ribelli libici Ali Al Isawi nel quale ha annunciato che "l'Italia riconosce il consiglio degli insorti". FERITI - Frattini ha anche annunciato che verranno utilizzati "voli italiani per trasportare i feriti dall'ospedale di Misurata e una nave ospedale". Poi ha aggiunto che bisogna "cooperare per evitare che il cessate il fuoco porti al consolidamento dello status quo della divisione in due della Libia, che è inaccettabile". "Vogliamo avere una Libia unita - ha aggiunto il responsabile della Farnesina - che attraverso il Consiglio Nazionale di Transizione promuova una riconciliazione nazionale". Redazione online 04 aprile 2011
Gli alleati disposti a sparare sono la minoranza e i jet a disposizione sono pochi Raid aerei, Nato "bloccata" chiede aiuto agli Usa Gheddafi sostituisce i mezzi militari con jeep civili, nasconde i tank nei centri abitati e mimetizza i pick up * NOTIZIE CORRELATE * Raid a Misurata, si combatte a Brega (3 aprile 2011) * Tripoli: vogliamo la fine della guerra (3 aprile 2011) * Gli alleati disposti a sparare sono la minoranza e i jet a disposizione sono pochi Raid aerei, Nato "bloccata" chiede aiuto agli Usa Gheddafi sostituisce i mezzi militari con jeep civili, nasconde i tank nei centri abitati e mimetizza i pick up Un Ac 130H, la cannoniera volante impiegata in Libia Un Ac 130H, la cannoniera volante impiegata in Libia WASHINGTON – La Nato, senza l’aiuto americano, ha dei problemi. Il comando alleato ha chiesto agli Usa di partecipare almeno fino a questa notte agli attacchi contro le forze libiche. Non solo. Una fonte statunitense ha rivelato che la richiesta riguarda espressamente l’impiego delle cannoniere volanti Ac 130H, dei caccia-carri A 10 e degli Av 8. Ossia di quel tipo di aerei adatti a distruggere blindati e veicoli impegnati da Gheddafi nella sua offensiva a Est. MALTEMPO - Prendendosela con il maltempo, la Nato ha sostenuto che i suoi aerei non sono stati in grado di colpire con efficacia il nemico. E diverse fonti hanno ammesso che grazie a questa particolare situazione – nubi e assenza delle cannoniere – i lealisti si sono ripresi il territorio perduto. LE DUE FASI - L’intera storia dimostra le contraddizioni – a volte imbarazzanti – di quanti hanno aderito alla spedizione in Libia. Nessuno è immune da responsabilità. Gli Usa sono stati determinanti nella prima fase - neutralizzando l’apparato missilistico libico – e nella seconda fase quando hanno colpito le unità terrestri di Gheddafi con le cannoniere volanti. Raid letali che hanno favorito i ribelli nonostante la loro totale impreparazione. Veicoli governativi distrutti: li avevano nascosto sotto degli alberelli Veicoli governativi distrutti: li avevano nascosto sotto degli alberelli IL COMANDO - Quando poi, nella terza fase, il comando è passato nelle mani della Nato la situazione sul terreno è mutata. Gli alleati disposti a sparare sono la minoranza e i jet a disposizione sono pochi. Così i lealisti hanno sbaragliato senza fatica gli insorti riprendendosi quello che avevano perso in Cirenaica. Un successo che è coinciso con il ritiro dal teatro delle cannoniere volanti: il Pentagono le ha messe in "stand by", pronte a muovere in caso di necessità. Una decisione legata sia alla volontà di Washington di ridurre l’impegno nel conflitto che dalla posizione di molti alleati contrari ad una distruzione dell’apparato militare del colonnello. Con il fine settimana, gli Usa hanno richiamato un buon numero di unità aeree e navali continuando a garantire un supporto logistico e l'intelligence. TATTICA - Il raìs, intanto, è corso ai ripari. Sostituendo i mezzi militari con jeep civili, nascondendo i tank nei centri abitati, cercando di mimetizzare il più possibile i pick up. A volte c’è riuscito, in altre meno. Le foto arrivate dalla Cireanica mostrano mezzi piazzati sotto gli alberi e ridotti a carcasse. Oppure camioncini armati all’ombra di edifici. Un pick up lealista in posizione accanto ad un edificio a Misurata Un pick up lealista in posizione accanto ad un edificio a Misurata I MASSACRI - I Grandi si sono imbarcati in un’altra guerra senza definire bene gli obiettivi e senza unanimità. Intanto Gheddafi massacrava gli abitanti di Misurata, Zintan, Zawiya. Persone inermi. Se doveva essere un intervento "umanitario" è riuscito in parte. Delle città libiche solo Bengasi e Tobruk ne hanno beneficiato. Non potendo arrivare fino a Tripoli la Nato – o una parte di essa - vuole congelare il conflitto per avviare un negoziato. Se i ribelli corrono troppo non li aiutiamo. Se stanno per soccombere ci muoviamo. Regole di gioco che non dispiacciono neppure al colonnello. Lui è convinto che in queste condizioni possa resistere a lungo, gli alleati scommettono invece sulla sua resa, anche se qualcuno non si dispiacerà se dovesse rimanere. Guido Olimpio 04 aprile 2011
missione segreta della diplomazia britannica a Bengasi Da Gheddafi messaggio al premier greco Il viceministro degli esteri giunto ad Atene: il regime vuole un cessate il fuoco missione segreta della diplomazia britannica a Bengasi Da Gheddafi messaggio al premier greco Il viceministro degli esteri giunto ad Atene: il regime vuole un cessate il fuoco Il leader libico Muammar Gheddafi (Ansa) Il leader libico Muammar Gheddafi (Ansa) MILANO - La guerra in Libia fa segnare una serie di novità anche sul fronte politico-diplomatico. Il vice ministro degli Esteri libico è infatti partito alla volta di Atene per consegnare un messaggio di Gheddafi al premier greco, secondo fonti ufficiali del governo greco. MESSAGGIO - Obeidi è giunto oggi ad Atene per consegnare un messaggio del leader libico Muammar Gheddafi al primo ministro greco, ha detto un funzionario del governo di Atene. Il regime libico vuole la fine dei combattimenti e sta cercando una via diplomatica che ponga fine al conflitto con i rivoltosi e ai bombardamenti della coalizione internazionale. È quanto emerso dall'incontro tra il vice ministro degli Esteri libico Abdelati Obeidi e il premier greco Georgoe Papandreu, secondo quanto riferito da fonti governative greche. MISSIONE BRITANNICA A BENGASI - Poco prima una "delegazione" britannica era arrivata a Bengasi, bastione dei ribelli nella Libia orientale: lo aveva annunciato un portavoce degli insorti, precisando che la sua missione resta "segreta". Mustapha Gheriani, portavoce del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), organo rappresentativo dei ribelli anti-Gheddafi, si è poi rifiutato di precisare la ragione dell'arrivo della delegazione. "È una delegazione", si è limitato a rispondere Gheriani. "È un segreto. È una questione di rispetto", ha aggiunto, rinviando a Londra l'onere di fornire maggiori dettagli. Un diplomatico francese, Antoine Sivan, ha già preso servizio come rappresentante di Parigi presso l'opposizione libica il 29 marzo. Lo stesso giorno, un emissario americano, Chris Stevens, è arrivato nella regione di Bengasi. Redazione online 03 aprile 2011
2011-04-03 La Caritas denuncia un massacro Costa Avorio, strage a Duekoué Un migliaio fra morti e dispersi Hillary Clinton:"Il presidente uscente si ritiri". Ad Abidjan i Peacekeeper francesi controllano l'aeroporto La Caritas denuncia un massacro Costa Avorio, strage a Duekoué Un migliaio fra morti e dispersi Hillary Clinton:"Il presidente uscente si ritiri". Ad Abidjan i Peacekeeper francesi controllano l'aeroporto DEI TIFOSI PRO-OUATTARA BRUCIA PNEUMATICI AD ABIDJAN(Olycom) DEI TIFOSI PRO-OUATTARA BRUCIA PNEUMATICI AD ABIDJAN(Olycom) ADIBJAN - Un migliaio di persone risultano morte o disperse nella località ivoriana di Duekoué, nell'ovest del Paese e teatro di un "massacro avvenuto fra domenica e martedì": lo ha reso noto l'ong Caritas. La strage è avvenuta nel quartiere "Carrefour", controllato dalle forze del presidente legittimo Alassane Oauttara "nel corso di combattimenti avvenuti fra domenica 27 marzo e martedì 29 marzo", si legge in un comunicato dell'organizzazione umanitaria. L'ong "ignora chi sia responsabile di questo massacro ma indica come un'inchiesta possa accertare la verità: la Caritas condanna gli attacchi contro i civili e sottolinea come la situazione stia peggiorando rapidamente". PEACEKEEPER - Nel frattempo si apprende che Peacekeeper francesi hanno preso il controllo dell'aeroporto di Abidjan. Lo riportano media francesi citando fonti delle Forze Armate. L'aeroporto "Felix Houphouet-Boigny" è situato a circa 16 chilometri dalla capitale commerciale della Costa d'Avorio. La Francia avrebbe inviato altri 300 militari ad Abidjan a sostegno delle operazioni di peacekeeping della missione delle Nazioni Unite Onuci. Il presidente eletto della Costa d'Avorio, Alassane Ouattara (Ansa) Il presidente eletto della Costa d'Avorio, Alassane Ouattara (Ansa) GLI USA - Il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha detto che Laurent Gbagbo deve ritirarsi "immediatamente". Gbagbo è il presidente uscente che si rifiuta di lasciare il potere ad Alassane Ouattara nonostante abbia perso le elezioni dello scorso novembre nel paese dell'Africa occidentale. el chiedere che Gbagbo "si ritiri immediatamente", la Clinton ha dichiarato che la sua resistenza porta il paese all'"anarchia". Nel corso di un'offensiva lampo condotta questa settimana, le forze fedeli a Ouattara, riconosciuto legittimo presidente dalla comunit… internazionale dopo le elezioni del novembre scorso, hanno preso il controllo di quasi tutto il Paese, tranne che delle roccaforti dei sostenitori di Gbagbo nella città principale, Abidjan. E anche sabato erano proseguiti intensi combattimenti attorno a queste sacche di resistenza. CASCHI BLU - Intanto quattro Caschi Blu del contingente dell'Onu (Onuci) in Costa d'Avorio sono stati "gravemente feriti" dai militari del presidente uscente Laurent Gbagbo: lo hanno reso noto fonti delle Nazioni Unite. "Una pattuglia dell'Onuci è stata ancora una volta oggetto di colpi d'arma da fuoco da parte delle forze speciali di Gbagbo mentre effettuava una missione umanitaria", si legge in un comunicato che non fornisce ulteriori dettagli sulla nazionalità dei Caschi Blu coinvolti. Redazione online 03 aprile 2011
2011-04-02 saif gheddafi contatta l'intelligence italiana e britannica per cercare via d'uscita Libia, la Gran Bretagna: " La risoluzione Onu permette di armare gli insorti" Primo caso di fuoco amico a Marsa el Brega: sotto le bombe Nato morti 15 ribelli, colpita autoambulanza * NOTIZIE CORRELATE * saif gheddafi contatta l'intelligence italiana e britannica per cercare via d'uscita Libia, la Gran Bretagna: " La risoluzione Onu permette di armare gli insorti" Primo caso di fuoco amico a Marsa el Brega: sotto le bombe Nato morti 15 ribelli, colpita autoambulanza (Infophoto) (Infophoto) MILANO - La situazione politico-militare in Libia, nonostante il fatto che sul campo sia segnata da un continuo avanzamento e ritirata degli insorti, si sta evolvendo. Ma per, ora i cambiamenti sono tutti sotto-traccia, evidenziati solo dalle indiscrezioni e, in qualche caso, dalle dichiarazioni dei protagonisti. ARMARE GLI INSORTI - Un primo chiaro segnale a come la situazione potrebbe cambiare è stata lanciata dalla Gran Bretagna. La risoluzione Onu permette di armare i rivoltosi ha detto il ministro della Difesa britannico Liam Fox durante un'intervista ad Al-Arabyia. Quindi sia francesi (che si erano già detti disponibili nei giorni scorsi) che i britannici potrebbero armare gli insorti, nonostante all'interno della Nato e più in generale della coalizione anti-Gheddafi. FUOCO AMICO - La guerra infatti va sbloccata sul campo, non bastando l'intervento dai cieli delle forze aeree Nato. Che stanno creando anche le prime polemiche a causa delle vittime civili denunciate dal regime e da quelle tra insorti provocate dai bombardamenti. Secondo quanto hanno riferito all'Ansa fonti degli insorti libici, infatti un attacco della Nato nel tardo pomeriggio di venerdì a Marsa el Brega ha colpito quattro veicoli dei ribelli, tra cui un'ambulanza, provocando la morte di 15 persone, tra cui tre infermieri e l'autista del mezzo. Tra l'altro Gheddafi ha ordinato alle sue milizie di non usare carri armati, facilmente intercettabili dai caccia della coalizione, e ricorrere bensì a pick-up attrezzati con mortai per attaccare i ribelli. Cosa che rende più difficile per le forze Nato distinguere i contendenti. LO SCONTRO SUL CAMPO - Secondo la tv satellitare Al Jazeera, le forze di Muammar Gheddafi per tutta la notte avrebbero attaccato la città di Misurata, con razzi e raid di terra. Altri testimoni sostengono che i rivoltosi avrebbero invece riconquistato Brega, importante terminal petrolifero sul versante est del Golfo della Sirte. DEFEZIONI - Mentre si continua a combattere indiscrezioni parlano di evoluzioni anche sul fronte politico. Fonti britanniche hanno dichiarato al quotidiano britannico "Daily Mail" di aver avuto nelle ultime settimane "diversi" colloqui con stretti collaboratori di uno dei figli di Gheddafi, Saif e hanno fatto sapere di essere pronte a offrire una via di uscita alla famiglia Gheddafi. Una fonte dei servizi di intelligence britannici ha dichiarato al Mail: "Ci sono stati diversi contatti nelle ultime settimane. Saif conosce molte persone nel Regno Unito e sa come entrare in contatto con i servizi di sicurezza. Ultimamente lo ha fatto avvalendosi di intermediari. Ci sono stati ripetuti tentativi di tastare l'ambiente. Sta anche trattando con gli italiani". NATO - Intanto la portavoce della Nato Oana Lungescu ha spiegato che gli aerei della Nato hanno diritto "a difendersi" se qualcuno spara contro di loro. La Lungescu ha precisato che per l'Alleanza Atlantica "è difficile verificare i dettagli esatti" del presunto raid della Nato che avrebbe provocato la morte di alcuni civili a Marsa el Brega "perchè non abbiamo fonti affidabili sul terreno". La Lungescu ha anche sottolineato come "ad attaccare sistematicamente i civili sono le forze pro-Gheddafi". Redazione online 02 aprile 2011
Ma il colonnello ha ancora margini di manovra Defezioni e fughe, una prima crepa nel "bastione Libia" Alcuni restano fedeli per scelta, altri per rispetto ai vincoli della propria tribù * NOTIZIE CORRELATE * Libia: i ribelli disponibili a una tregua. Ma il Colonnello rifiuta e attacca (1 aprile 2011) Ma il colonnello ha ancora margini di manovra Defezioni e fughe, una prima crepa nel "bastione Libia" Alcuni restano fedeli per scelta, altri per rispetto ai vincoli della propria tribù Musa Kusa era l'uomo incaricato da Muammar Gheddafi di trattare con l'Occidente (Epa) Musa Kusa era l'uomo incaricato da Muammar Gheddafi di trattare con l'Occidente (Epa) WASHINGTON – La defezione di Musa Kusa è importante. Era "un uomo della tenda" definizione per chi aveva accesso diretto a Muammar Gheddafi. E il suo esempio potrebbe essere seguito presto da altri. Fughe che rappresentano una prima crepa nel "bastione Libia". Ma il colonnello ha ancora margini di manovra. Le defezioni irritano il raìs che però – come rileva Marko Papic, analista di "Stratfor" – sarebbe molto più preoccupato se ad abbandonarlo fossero gli ufficiali che insieme ai figli guidano le unità scelte. L’apparato del colonnello non è un’armata gigantesca, può contare su 20 mila soldati, più i membri dei comitati. E sono pochi i quadri affidabili. Alcuni restano fedeli per scelta, altri per rispetto ai vincoli della propria tribù, altri ancora perché si battono per determinare il proprio destino. Perdere i generali potrebbe avere conseguenze in un teatro bellico che coinvolge numeri ridotti ed è concentrato attorno a 4 o 5 località. LE MANOVRE ALLEATE - Gli alleati hanno iniziato a "corteggiare" i collaboratori del raìs. Un’operazione condotta con alterne fortune durante l’invasione dell’Iraq. Molti sono rimasti al fianco di Saddam e la loro foto è finita nel celebre mazzo di carte dei ricercati. Ma qualche alto ufficiale si è fatto da parte evitando perdite agli americani. Gheddafi, in questi anni, ha studiato. Consapevole dei rischi di tradimento ha mescolato i soldati. Nelle aree critiche, insieme ai reparti tradizionali, operano mercenari e nuclei d’elite che hanno la stessa funzione dei battaglioni Kgb nei reparti sovietici. Combattono e sorvegliano. Con lo stesso obiettivo ha mixato, a volte, gli appartenenti delle tribù ritenute meno obbedienti con quelli di provata fede. L’intelligence alleata spera, con il tempo, di spingere alla diserzione i militari. Quando cominceranno a mancare rifornimenti e munizioni è possibile che qualcuno decida di abbandonare la partita. Ma è solo un’ipotesi. In attesa, la coalizione tende la mano ai politici libici che vogliono saltare il fosso. Per aumentare l’isolamento e trarre le informazioni su punti deboli del regime. Personaggi come Musa Kusa – che pure aveva perso molto del suo peso – hanno molto da raccontare. Al tempo stesso fanno da schermo ai contatti per una soluzione politica che per Gheddafi non implica necessariamente la via dell’esilio. Questo è quello che si augurano i suoi avversari. Il raìs, invece, è convinto di poter dettare delle condizioni. Alla peggio ha guadagnato dell’altro tempo. Intanto i ribelli sono alle prese con la riorganizzazione e un’alleanza che spedisce i suoi jet in modo discontinuo. Per 5 giorni – è stata la scusa – le condizioni meteo erano sfavorevoli (nubi, tempesta di sabbia) anche se a Washington molti congressisti hanno chiesto ai generali dove fossero finite le cannoniere volanti statunitensi. Macchine letali contro le unità mobili del colonnello. E la risposta è stata illuminante: restano in attesa che la Nato ne chieda l’impiego. Guido Olimpio 02 aprile 2011
LA PROTESTA Emergency chiama a raccolta i pacifisti A Piazza Navona con Gino Strada Vergassola, Vauro, Moni Ovadia. Persidi "no War" a Sigonella e Aviano LA PROTESTA Emergency chiama a raccolta i pacifisti A Piazza Navona con Gino Strada Vergassola, Vauro, Moni Ovadia. Persidi "no War" a Sigonella e Aviano Gino Strada Gino Strada ROMA - L'appuntamento è in piazza Navona alle 15. "La guerra non si può umanizzare. Si può solo abolire. Emergency cita Albert Einstein nel suo manifesto contro la guerra e invita a manifestare per chiedere al governo "il rispetto dell'articolo 11 della Costituzione, secondo cui l'Italia ripudia la guerra". Trai primi firmatari, Gino Strada, Carlo Rubbia, Luigi Ciotti, Renzo Piano, Maurizio Landini, Massimiliano Fuksas, Luisa Morgantini. Sul palco accanto al fondatore di Emergency Gino Strada anche la Sandrelli e Vergassola Molti anche i personaggi della cultura e dello spettacolo che hanno dato il loro appoggio all’iniziativa: Amanda Sandrelli, Moni Ovadia, Vauro Senesi, Dario Vergassola e Frankie Hi Energy, fra gli altri, hanno già annunciato che faranno il loro intervento dal palco di Piazza Navona. Nel corso della manifestazione si leggeranno brani contro la guerra di autori come Hannah Arendt, Gianni Rodari, Bertrand Russell e Bertolt Brecht. GINO STRADA - "Quando si bombarda si chiama guerra. Chi parla di difesa dei civili non ha titoli per farlo visto che a Lampedusa le persone sono trattate come animali. Cosa ha fatto fino ad oggi il governo contro la dittatura libica. Solo ora se ne accorge che in Libia c'è un dittatore?". Così Gino Strada, fondatore di Emergency, a margine della manifestazione per la pace che si sta svolgendo in piazza Navona. "Utopista non è un insulto, nessuno si meraviglia più di nulla, neppure del nostro presidente del Consiglio. Bisogna abolire la guerra come è stata abolita la schiavitù a suo tempo". Un sit in pacifista nei giorni scorsi davanti al Senato (Omniroma) Un sit in pacifista nei giorni scorsi davanti al Senato (Omniroma) ADESIONI - Gino Strada, fondatore di Emergency e primo firmatario dell’appello, ha raccolto da subito decine di adesioni fra le associazioni della società civile. Così, assieme ad Emergency, a partecipare alla mobilitazione ci saranno la Fiom, Legambiente, Libera, Associazione Luca Coscioni, oltre a Federazione della Sinistra, Sinistra Ecologia Libertà e diverse sigle studentesche. Ma non solo nella capitale si sfilerà per la pace: sono infatti previste manifestazioni anche a Milano, Torino, Bologna e Napoli, mentre ci saranno presidi "No War" davanti alle basi militari di Sigonella e Aviano. IL TESTO DELL'APPELLO - "Ancora una volta i governanti hanno scelto la guerra. Gheddafi ha scelto la guerra contro i propri cittadini e i migranti che attraversano la Libia. E il nostro Paese ha scelto la guerra "contro Gheddafi": ci viene presentata, ancora una volta, come umanitaria, inevitabile, necessaria. Nessuna guerra può essere umanitaria. La guerra è sempre stata distruzione di pezzi di umanità, uccisione di nostri simili. Ogni "guerra umanitaria" è in realtà un crimine contro l'umanità. Se si vuole difendere i diritti umani, l'unica strada per farlo è che tutte le parti si impegnino a cessare il fuoco, a fermare la guerra, la violenza, la repressione. Nessuna guerra è inevitabile. Le guerre appaiono a un certo punto inevitabili solo quando non si è fatto nulla per prevenirle. Appaiono inevitabili a chi per anni ha ignorato le violazioni dei diritti, a chi si è arricchito sul traffico di armi, a chi ha negato la dignità dei popoli e la giustizia sociale. Appaiono inevitabili a chi le guerre le ha preparate. Nessuna guerra è necessaria. La guerra è sempre una scelta, non una necessità. E' la scelta assurda di uccidere, che esalta la violenza, la diffonde, la amplifica, che genera "cultura di guerra". "Questa é dunque la domanda che vi poniamo, chiara, terribile, alla quale non ci si può sottrarre: dobbiamo porre fine alla razza umana o deve l'umanità rinunciare alla guerra?" Dal Manifesto di Russell-Einstein, 1955 Perché l'utopia diventi progetto, dobbiamo innanzitutto imparare a pensare escludendo la guerra dal nostro orizzonte culturale e politico. Insieme a tutti i cittadini vittime della guerra, della violenza, della repressione, che lottano per i diritti e la democrazia. "La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire." Albert Einstein". 02 aprile 2011
2011-04-01 nuovo attacco delle forze del regime. lA TV DI STATO: "aLTRE VITTIME CIVILI NEI RAID NATO" Libia: i ribelli disponibili ad una tregua Ma il regime chiude ogni possibilità Respinte le richieste tra cui l'addio di Gheddafi, lo stop alla militarizzazione, l'allontanamento dei mercenari * NOTIZIE CORRELATE * nuovo attacco delle forze del regime. lA TV DI STATO: "aLTRE VITTIME CIVILI NEI RAID NATO" Libia: i ribelli disponibili ad una tregua Ma il regime chiude ogni possibilità Respinte le richieste tra cui l'addio di Gheddafi, lo stop alla militarizzazione, l'allontanamento dei mercenari (Liverani) (Liverani) MILANO - I primi spiragli di tregua nell'ambito del conflitto libico, che si erano aperti nel pomeriggio, si sono già richiusi in serata. I ribelli libici si erano infatti detti disposti a un cessate-il-fuoco, purché venissero rispettate alcune condizioni: lo aveva annunciato Mustafa Abdel Jalil, presidente del Consiglio Nazionale Transitorio che governa le aree liberate della Cirenaica. "Non abbiamo alcuna obiezione rispetto a un cessate-il-fuoco", ha dichiarato Abdel Jalil durante la conferenza stampa tenuta a Bengasi insieme all'inviato speciale delle Nazioni Unite, l'ex ministro degli Esteri giordano Abdelilah al-Khatib. "A condizione però", ha proseguito, "che nelle città della parte occidentale del Paese i cittadini libici godano di piena libertà di espressione". Il capo del Consiglio insurrezionale ha anche chiesto che le forze fedeli a Muammar Gheddafi cessino di militarizzare i centri abitati della Tripolitania e che siano allontanati i "mercenari" di qualsiasi provenienza. Abdel Jalil ha infine ribadito che i rivoltosi non rinunceranno mai alla loro richiesta principale, cioè l'esilio per il colonnello e per la sua famiglia. IL NO DEL REGIME - Il regime libico ha però respinto l'offerta avanzata dai ribelli del Consiglio Nazionale Transitorio di Bengasi. Lo ha annunciato un portavoce del governo di Muammar Gheddafi ribadendo che le truppe lealiste non lasceranno le città libiche. IL CONFLITTO - Sul fronte più strettamente militare, le forze fedeli al colonnello Muammar Gheddafi hanno sferrato un attacco contro la città di Misurata con carri armati, mortai e lanciarazzi. I ribelli libici intanto stanno concentrando le loro forze nella città di Ajdabiya, in Cirenaica, con l'obiettivo di lanciare una controffensiva per riconquistare la città di Brega. Lo riferiscono fonti dei ribelli alla tv araba "Al-Jazeera". I rivoltosi hanno quindi lasciato il terminal petrolifero di Brega e il suo porto in mano alle brigate di Muammar Gheddafi, ripiegando su Ajdabiya. VITTIME CIVILI - I raid aerei della Nato hanno provocato altre vittime civili in serata in Libia. È quanto denuncia la tv di Stato citando fonti militari fedeli a Muammar Gheddafi. Le aree colpite sono Khoms e Arrujban. Un medico aveva riferito alla Bbc che un bombardamento aereo della coalizione aveva ucciso 7 bambini vicino a Brega. Redazione online 01 aprile 2011
fino a quando gli insorti non avranno armi pesanti ed addestramento non vinceranno Libia, è il lanciarazzi l'arma decisiva Le forze governative hanno dei modelli di "Grad" più potenti e li sanno usare meglio fino a quando gli insorti non avranno armi pesanti ed addestramento non vinceranno Libia, è il lanciarazzi l'arma decisiva Le forze governative hanno dei modelli di "Grad" più potenti e li sanno usare meglio Lanciarazzi usati dai ribelli Lanciarazzi usati dai ribelli WASHINGTON (USA) - I Grad sono al centro della strana guerra che si combatte in Libia. Armi non certo moderne impiegate dai due schieramenti. I lanciarazzi sono una versione aggiornata delle "Katiuscia" usate dall’Armata rossa contro i nazisti. Da allora sono comparsi in molti conflitti nelle mani di eserciti e guerriglieri. In Medio Oriente sono usati dai palestinesi di Hamas e dall’Hezbollah libanese contro Israele. Scarso l’impatto militare ma diventano strumento di pressione sulla popolazione. LANCIARAZZI - I ribelli libici sostengono che sono stati i lanciarazzi – oltre ai cannoni dei tank e all'assenza di raid – a costringerli alla fuga. I Grad usati dai governativi hanno una gittata sui 40 chilometri e possono provocare danni se l’avversario non adotta contromisure. Nel caso specifico gli insorti, senza alcuna preparazione, sono diventati un bersaglio facile: non si sono mai dispersi, sono rimasti raggruppati sulla strada. Un bersaglio facile che si è sciolto come la neve alla prima scarica. Su ogni veicolo c’è un sistema con 40 canne di sparo. Gli artiglieri possono sparare una salva in meno di 5 minuti e quindi ripartire. Per ricaricarli ne servono 10-15 nel caso che i serventi siano ben addestrati. Anche i ribelli hanno i Grad. La maggior parte sono quelli che hanno una portata di 20 chilometri e li hanno piazzati sui loro camioncini. Pochi i "pezzi" più potenti e comunque gli oppositori di Gheddafi non hanno certo l’addestramento dei loro nemici. In attesa che qualcuno decida di fornire armi più adeguate – e l’addestramento – gli insorti cercano di usare quello che hanno trovato nelle basi in Cirenaica. In un video su "Youtube" si vedono alcuni civili sistemare dei lanciarazzi che fanno parte della dotazione degli elicotteri d’attacco Mi 24 abbandonati in una base. Li hanno staccati, ridipinti con i colori della rivoluzione per poi sistemarli sui pick up. Verranno usate come armi "terrestri". Un tecnica già adottata dai mujahedin in Afghanistan: è possibile – come è stato sostenuto da alcune fonti – che tra i ribelli ci siano dei "veterani" di quel conflitto. Guido Olimpio 01 aprile 2011
aRRESTATA LA PRESUNTA MENTE DELL'ATTACCO Talebani attaccano sede Onu: strage Si parla di 20 morti, 2 sono stati decapitati Si sono mischiati alla gente che protestava contro il pastore Usa che aveva bruciato una copia del Corano aRRESTATA LA PRESUNTA MENTE DELL'ATTACCO Talebani attaccano sede Onu: strage Si parla di 20 morti, 2 sono stati decapitati Si sono mischiati alla gente che protestava contro il pastore Usa che aveva bruciato una copia del Corano MILANO - Dodici persone sono state uccise nell'attacco alla sede delle Nazioni Unite a Mazar-i-Sharif, grande città settentrionale dell'Afghanistan. Ma la conta dei morti potrebbe arrivare a venti, dicono funzionari dell'Onu che hanno chiesto l'anonimato. Tra le vittime, addetti stranieri e alcuni soldati Gurkha nepalesi impiegati per la sicurezza. Due dipendenti sono stati decapitati, l'unica italiana a lavorare in quella sede, è rimasta illesa (lo rendono noto fonti della Farnesina). Il governatore della provincia di Balkh, dove sorge Mazar-i-Sharif, conferma che a compiere l'assalto sono stati alcuni talebani che si sono mischiati ai manifestanti che protestavano per il rogo del Corano negli Usa. MANIFESTAZIONE - La folla protestava contro Wayne Sapp, pastore della Florida che il 21 marzo aveva bruciato una copia del Corano. Stando all'agenzia Dpa, la sede di Mazar-i-Sharif della missione di assistenza dell'Onu nel Paese (Unama) è stata incendiata e sono state lanciate pietre contro gli agenti della sicurezza di guardia. La Dpa, citando il portavoce della polizia locale Lal Mohammad Ahmadzai, dà notizia anche di almeno 12 feriti. Al momento non è chiara la nazionalità delle vittime. A Mazar-i-Sharif, le tensioni sono iniziate quando la manifestazione ha raggiunto la sede di Unama, sfociando in violenze. Il comandante della polizia nazionale afghana in alcune province del nord, il generale Daud, ha spiegato che tra le vittime ci sono cinque guardie nepalesi che lavoravano per l'Onu e altri due dipendenti dell'ufficio. Il portavoce del ministero dell'Interno, Zemeri Bashary, ha aggiunto che quattro manifestanti sono deceduti nelle proteste. I manifestanti sono entrati nell'ufficio, hanno sparato sulle guardie e hanno dato fuoco all'interno dell'edificio. ARRESTATA LA PRESUNTA MENTE DELL'ATTACCO - In serata la polizia afghana ha arrestato la presunta mente dell'attacco contro la sede Onu di Mazar-i-Sharif nel nord del Paese, che ha causato almeno sette vittime tra i dipendenti stranieri della missione Unama. Lo riferisce la rete britannica Sky News. Redazione online 01 aprile 2011
Nuove proteste nel paese. per la prima volta gente in piazza anche al nord Spari sulla folla in Siria: sette vittime Migliaia di persone in piazza. Le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco durante le manifestazioni in diverse città * NOTIZIE CORRELATE * REPORTAGE Quei graffiti dei ragazzini siriani che hanno acceso la rabbia di Deraa di D. Frattini (1 aprile 2011) * Siria, il governo rassegna le dimissioni (29 marzo 2011) * Siria, la polizia spara sui manifestanti (28 marzo 2011) * Siria, l'esercito entra a Latakia per sedare la rivolta contro il regime (26 marzo 2011) * In migliaia nelle piazze in Siria e Yemen (25 marzo 2011) * LA MAPPA: I luoghi della protesta Nuove proteste nel paese. per la prima volta gente in piazza anche al nord Spari sulla folla in Siria: sette vittime Migliaia di persone in piazza. Le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco durante le manifestazioni in diverse città Manifestazione a sostegno di Assad (Ap) Manifestazione a sostegno di Assad (Ap) DAMASCO - Un'altra giornata drammatica e ad altissima tensione in Siria, dove ancora in serata si avvicendavano versioni contrapposte su incidenti e colpi d'arma da fuoco che hanno fatto nuove vittime nel paese, dove la rivolta non si è placata dopo le dimissioni del governo e le riforme promesse da Assad. Il bilancio parla di sette persone uccise, mentre decine sono quelle rimaste ferite da colpi d'arma da fuoco sparati dalle forze di sicurezza durante le manifestazioni seguite alla preghiera del venerdì in diverse città: sei manifestanti sono morti a Duma, sobborgo a nord di Damasco, e un altro ha perso la vita a Deraa, nel sud del Paese. Gli scontri a Duma sono iniziati all'uscita della moschea quando alcune centinaia di persone, migliaia secondo altre fonti, hanno cominciato a sfilare per le vie della città e a lanciare pietre contro i poliziotti, che hanno risposto con gas lacrimogeni ma anche con proiettili veri: "Decine di persone sono state ferite e altre decine sono state arrestate", ha dichiarato un testimone. Le forze di sicurezza hanno anche piazzato diversi tiratori scelti sui tetti delle case: "Arrestano anche i feriti oppure impediscono loro di farsi curare in ospedale", riferiscono i testimoni. Nella località di Sanamein, vicino a Deraa, nel sud, epicentro della contestazione contro il regime, un manifestante di 20 anni, Yasser al-Chammari, è stato ucciso dai colpi d'arma da fuoco all'ingresso della citta dalla polizia che cercava di disperdere il corteo. Il giovane faceva parte di un gruppo di manifestanti provenienti dai villaggi limitrofi di Inkhel e Jassem. VERSIONE UFFICIALE - L'agenzia siriana Sana, citando una fonte ufficiale ha riferito che non meglio identificati "gruppi armati hanno sparato contro cittadini e forze dell'ordine a Duma, sobborgo di Damasco, e nella città di Homs, causando diversi morti e feriti. Una fonte ufficiale - ha affermato la Sana - ha detto che un gruppo armato si è piazzato sui tetti di alcuni edifici a Duma dopo mezzogiorno e ha aperto il fuoco su centinaia di cittadini che si erano riuniti e sulle forze di sicurezza". "Anche nella città di Homs - ha aggiunto l'agenzia - un gruppo armato ha aperto il fuoco su una riunione di cittadini nel quartiere di Bayyada, e una ragazza è rimasta uccisa". MANIFESTAZIONI ANCHE NEL NORD - Per la prima volta dall'inizio delle contestazioni in Siria, il 15 marzo scorso, si sono svolte manifestazioni anche nel nord del Paese, nella regione a maggioranza curda, nelle città di Kamishli e Amuda, circa 700 chilometri a nord-est della capitale. Due giorni fa, il presidente Bashir al Assad aveva pronunciato un discorso, lungamente atteso, che però ha deluso fortemente le aspettative dell'opposizione: il capo di stato infatti non ha annunciato alcuna iniziativa concreta in vista di riforme democratiche, richieste a suon di contestazioni che non hanno precedente alcuno nel paese. 01 aprile 2011
2011-03-30 Il presidente Usa intervistato dai media americani Libia, Obama: "Armi ai ribelli? Stiamo valutando" "Troppo presto per negoziare con Gheddafi Ma alla fine lascerà: il Raìs ha i giorni contati" * NOTIZIE CORRELATE * La Francia: pronti a dare armi ai ribelli (29 marzo 2011) * L'Italia: Gheddafi vada in esilio Frattini: "Cnt di Bengasi è credibile" (29 marzo 2011) * Il messaggio di Gheddafi: "Voi occidentali siete come Hitler" (29 marzo 2011) * Il presidente Usa intervistato dai media americani Libia, Obama: "Armi ai ribelli? Stiamo valutando" "Troppo presto per negoziare con Gheddafi Ma alla fine lascerà: il Raìs ha i giorni contati" Il presidente Barack Obama (Reuters) Il presidente Barack Obama (Reuters) MILANO - Il Presidente americano Barack Obama non esclude l'ipotesi di fornire armi all'opposizione libica, ma precisa che è in corso una valutazione sul rapporto di forze tra i ribelli e il regime di Muammar Gheddafi per arrivare a una decisione. Alla domanda sull'eventualità che gli Stati Uniti possano garantire assistenza militare diretta ai rivoltosi, Obama ha risposto: "Non lo escludo, ma non dico neanche che lo faremo. Stiamo valutando cosa faranno le forze di Gheddafi". "Una delle questioni a cui stiamo cercando di dare risposta - ha aggiunto Obama nell'intervista all'Nbc, alla Abc, alla Cbs News- è se le forze di Gheddafi sono state sufficientemente indebolite, perché allora non sarebbe necessario armare i ribelli". "Ma al momento non lo escludiamo", ha ribadito. NEGOZIATO - Non è ancora arrivato il momento per avviare un "formale negoziato" con Gheddafi in modo da gestire la fine del suo regime, ha aggiunto il presidente americano. "La cerchia attorno a Gheddafi - ha sottolineato Obama - ha capito di avere i giorni contati. Tuttavia non è detto che il Colonnello ne sia consapevole, per cui penso sia troppo presto per dare il via a un negoziato formale. Gheddafi sa esattamente cosa fare per porre fine ai bombardamenti costanti contro di lui. A un certo punto potrebbe cambiare posizione e cominciare a studiare come negoziare la sua uscita di scena. Tuttavia - ha concluso Obama - non credo che siamo ancora a quel punto". "Gheddafi ha ormai i giorni contati" ha detto il presidente, spiegando come a suo giudizio lo stesso pensi anche il ristretto circolo dei collaboratori del Colonnello. "Quello che stiamo vedendo - ha detto il presidente americano - è che chi frequenta da vicino Gheddafi ha capito che il cappio si stia stringendo e che i loro giorni siano ormai contati. E per questo stanno pensando cosa fare in futuro, quali saranno i loro prossimi passi". Obama, se il colonnello dovesse segnalare la volontà di dimettersi, la comunità internazionale dovrebbe decidere "il modo più appropriato per facilitare questa soluzione. Ad ogni modo, osserva, non si tratta di un processo che accadrà immediatamente: "Ci vorrà un poco di tempo, il processo non si metterà in moto subito", aggiunge Obama. Tuttavia, nel lodare l'azione militare degli Stati Uniti e della coalizione, Obama sottolinea che "l'alleanza è entrata in azione da soli nove giorni". Redazione online 30 marzo 2011
Faremo quel che dice l'Unione africana". Da giovedì il comando militare ala Nato Gheddafi: "Sterminio come sotto Hitler" Napolitano: "Rais non più legittimato" Messaggio del Colonnello nel giorno del vertice di Londra. Si discute di possibile esilio, ma i ribelli dicono no * NOTIZIE CORRELATE * Obama: in Libia fatto il nostro dovere. Ora il contributo americano si riduce (28 marzo 2011) Faremo quel che dice l'Unione africana". Da giovedì il comando militare ala Nato Gheddafi: "Sterminio come sotto Hitler" Napolitano: "Rais non più legittimato" Messaggio del Colonnello nel giorno del vertice di Londra. Si discute di possibile esilio, ma i ribelli dicono no Il leader libico Muammar Gheddafi (Olycom) Il leader libico Muammar Gheddafi (Olycom) MILANO - "Lasciate che sia l'Unione africana a gestire la crisi, la Libia accetterà tutto quello che l'Ua deciderà". È quanto ha dichiarato oggi il leader libico Muammar Gheddafi, nel messaggio pubblicato dall'agenzia ufficiale Jana. L'Unione africana si è opposta a ogni intervento militare straniero in Libia e ha creato un comitato, formato da cinque capi di Stato e dal presidente della Commissione dell'Ua, Jean Ping, per seguire la situazione in Libia. Nel vertice dell'Ua tenuto la scorsa settimana ad Addis Abeba, il governo libico si era già detto "pronto ad applicare la road map" proposta dalla stessa Unione, in cambio di un cessate il fuoco e della fine delle operazioni della coalizione internazionale. L'Ua ha proposto una cessazione immediata dei combattimenti e l'apertura di un dialogo tra libici, preliminare a una "transizione" democratica. Intanto la Nato ha reso noto che, dopo la decisione adottata dai rappresentanti dei 28 Stati, prenderà il comando delle operazioni in Libia a partire da giovedì mattina. L'IPOTESI DELL'ESILIO - Il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, ha anche ipotizzato che proprio dai Paesi africani potrebbero arrivare proposte per garantire l'esilio a Gheddafi, in cambio di una cessazione delle ostilità. "Vi sono paesi africani che potrebbero offrire ospitalità" al colonnello, anche se per ora "non ci sono ancora proposte formali", ha detto ieri Frattini. Fonti vicine a Muammar Gheddafi hanno tuttavia detto alla Bbc che il rais libico "difficilmente se ne andrà in esilio di sua volontà, a meno che non sia assolutamente costretto". La fonte ha detto alla Bbc: "Offrigli un rifugio è qualcosa che non gli interessa, a meno che non gli sia chiaro che non ha alternative". Lo stesso Consiglio nazionale di transizione, l'organismo di rappresentanza degli insorti, ha spiegato che quella dell'esilio è una condizione "non negoziabile" chiedendo invece che il rais sia giudicato dalla giustizia internazionale. "LA LIBIA AI LIBICI" - L'Unione Africana avrebbe dovuto partecipare oggi al vertice del "gruppo di contatto" sulla Libia in programma a Londra. Ma un portavoce del ministero degli Esteri britannico ha spiegato che l'Ua diserterà l'incontro, anche se nono sono state specificate le ragioni della scelta. Nel suo messaggio, Gheddafi ha invitato il gruppo di contatto a fermare "la vostra offensiva barbara e ingiusta contro la Libia": "Lasciate la Libia ai libici, state eseguendo un'operazione di sterminio, state distruggendo un popolo che viveva in pace e in sicurezza, state per distruggere un paese in corso di sviluppo". Gheddafi ha quindi paragonato l'operazione militare alleata in Libia alla campagna di Hitler in Europa: "Sembra che voi in Europa e negli Stati Uniti non comprendiate che questa operazione militare, barbara e malefica, somiglia alle campagne di Hitler quando invadeva l'Europa e bombardava il Regno Unito". "NON HA PIU' LEGGITTIMAZIONE" - Di Gheddafi ha parlato oggi anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in un intervista a Clas Cnbc e Class news: "Speriamo che Gheddafi e il suo entourage capiscano che gli è ormai impossibile governare il paese - ha detto il Capo dello Stato - . Non ha più la legittimazione internazionale per questo noi speriamo fermamente che ci siano nuove forze in Libia per assicurare un nuovo governo, più aperto e più disponibile a soddisfare le aspirazioni di liberà e giustizia della gente libica". . Redazione Online 29 marzo 2011
L'Italia non E' stata invitata. FRATTINI: "non soffriamo della sindrome da esclusione" Obama: in Libia fatto il nostro dovere Ora il contributo americano si riduce Il presidente: mercoledì il comando alla Nato. Questa sera meeting dei leader di Usa, Francia, Gb e Germania L'Italia non E' stata invitata. FRATTINI: "non soffriamo della sindrome da esclusione" Obama: in Libia fatto il nostro dovere Ora il contributo americano si riduce Il presidente: mercoledì il comando alla Nato. Questa sera meeting dei leader di Usa, Francia, Gb e Germania Barack Obama (Reuters) Barack Obama (Reuters) MILANO - In Libia gli Stati Uniti "hanno fatto il proprio dovere", ora il loro contributo si ridurrà quando, mercoledì prossimo, il comando passerà alla Nato. Lo ha detto il presidente Usa Barack Obama in un discorso tvalla nazione, in cui ha aggiunto che l'obiettivo "ampio" degli Stati Uniti è quello di una Libia "che appartiene non ad un dittatore ma al suo popolo". Il presidente Usa ha anche sottolineato che gli Stati Uniti "non si possono permettere" di commettere gli stessi errori dell'Iraq, "dove la transizione è durata otto anni" nel tentativo di rovesciare il regime di Gheddafi. "Per coloro che dubitavano sulla nostra capacità di portare a termine questa operazione, voglio essere chiaro: gli Stati Uniti d'America hanno fatto quello che avevano detto che avrebbero fatto. Questo non significa che il nostro lavoro sia completato. Oltre alle nostre responsabilità nei confronti della Nato - ha aggiunto Obama - lavoreremo con la comunità internazionale per fornire assistenza al popolo libico, a coloro che necessitano cibo e assistenza medica. Tuteleremo gli oltre 33 miliardi di dollari del regime libico che abbiamo congelato in modo che siano disponibili per la ricostruzione della Libia. Dopo tutto, quel denaro non appartiene a Gheddafi o a noi. Appartiene al popolo libico e faremo in modo che lo riceva". Ma il futuro non appare certo semplice: "La transizione che conduce a un governo legittimo che risponda alle aspettative del popolo libico sarà un compito difficile- aggiunto Obama - e anche se gli Stati Uniti faranno la loro parte per fornire il loro aiuto, è un compito che toccherà all'intera Comunità internazionale e soprattutto al popolo libico", ha sottolineato il presidente americano. "Anche dopo la partenza di Gheddafi, quaranta anni di tirannia lasceranno la Libia colpita e senza istituzioni civili forti" VIDECONFERENZA A QUATTRO, ITALIA FUORI - Il discorso di Obama era stato preceduto, lunedì sera, da una videoconferenza tra lo stesso presidente americano, il presidente francese Nicolas Sarkozy, il premier britannico David Cameron e la cancelliera tedesca Angela Merkel. L'incontro è iniziato intorno alle 19.15. I quattro hanno discusso della situazione in Libia e dei piani in vista del vertice in programma martedì a Londra. L'altro grande Paese protagonista della coalizione, vale a dire l'Italia, non è stato invitato alla videoconferenza. Il ministro degli Esteri Franco Frattini, intervistato su La7, ha detto che nella videoconferenza "non si sta decidendo niente e l'Italia non soffre affatto di sindrome da esclusione". Rivolto poi al Pd che per bocca di Lapo Pistelli aveva parlato in precedenza di un'Italia "lasciata fuori dalla porta" Frattini replica: "Se pensano che il bene dell'Italia è speculare sulla politica estera continuino a farlo...". Alla fine della videoconferenza, una nota dell'Eliseo ha comunicato che i quattro leader hanno "espresso sostegno alla conferenza che si svolge martedì a Londra e che deve riunire la comunità internazionale a sostegno della transizione politica in Libia". Nell'incontro si è parlato anche "del sostegno al processo di transizione in Egitto e della necessità di rilanciare il processo di negoziato israelo-palestinese" RUSSIA - In precedenza sul fronte diplomatico si era registrato l'intervento della Russia. Per Mosca l'intervento della coalizione nella guerra civile non è stato autorizzato dalla risoluzione 1973 del consiglio di sicurezza. Lo ha detto il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov: "Noi consideriamo che l'intervento della coalizione in quella che è essenzialmente una guerra civile interna non è stato autorizzato dalla risoluzione del consiglio di sicurezza dell'Onu", ha dichiarato il capo della diplomazia russa, ribadendo comunque che la difesa della popolazione civile "resta la nostra priorità". La decisione della Nato di assumere il comando delle operazioni in Libia rispetta la risoluzione 1973 del consiglio di sicurezza dell'Onu ma il suo unico mandato - ha aggiunto Lavrov - deve essere quello di proteggere la popolazione civile. LA MEDIAZIONE TURCA - Intanto, dopo la formalizzazione del passaggio alla Nato del comando di tutte le operazioni militari legate al rispetto della risoluzione 1973 dell'Onu, ovvero l'embargo, l'istituzione della no fly zone e la protezione dei civili dagli attacchi delle truppe governative, la Turchia si offre come mediatore per raggiungere "prima possibile" un cessate il fuoco tra le parti per evitare che la Libia si trasformi in un nuovo Iraq o Afghanistan. Lo ha dichiarato in un'intervista al britannico Guardian il premier turco Recep Tayyip Erdogan, che ha rivelato come siano già in corso contatti con i delegati di Gheddafi ed esponenti del Consiglio Nazionale Transitorio di Bengasi. Non solo. Erdogan riferisce che la Turchia, in accordo con la Nato, sta per assumere il controllo del porto di Bengasi per la gestione degli aiuti umanitari. Erdogan chiarisce che intende agire "nella cornice delle indicazioni della Nato, della Lega Araba e dell'Unione Africana". "Al momento è in corso una guerra civile in Libia e noi dobbiamo porvi fine", ha dichiarato il premier turco. I ribelli: "Presa Sirte". SARKOZY E CAMERON: "GHEDDAFI SE NE DEVE ANDARE" - Gheddafi se ne deve andare "immediatamente" e la transizione in Libia deve essere affidata al Comitato Nazionale di Transizione. È quanto sottolineato, in una nota congiunta, dal presidente francese Nicolas Sarkozy e dal primo ministro britannico, David Cameron. Sul fronte diplomatico cresce intanto l'attesa per il summit a Londra. Il ministro degli esteri italiano Frattini, anticipando i temi dell'incontro, ha detto che "nostro dovere istituzionale è eliminare le distanze, trovare una soluzione condivisa non solo tra i quattro più grandi paesi europei, ma con tutti" gli alleati. Secondo il capo della diplomazia, chiamato a commentare le divergenze con la Francia, "qualunque strategia politica divisiva" sulla crisi libica è "destinata a fallire". "Qualunque strategia politica divisiva sarebbe destinata a fallire - ha proseguito - ma le idee italiane, francesi e tedesche dovranno tutte confluire in un piano che, domani a Londra, potremo elaborare per dare una risposta: questa missione è il mezzo e non il fine" Redazione online 28 marzo 2011(ultima modifica: 29 marzo 2011)
"La Siria vittima di un complotto" Il presidente Assad: "È un momento eccezionalmente difficile, ma ce la faremo. Riforme a partire da oggi" * NOTIZIE CORRELATE * Siria, il governo rassegna le dimissioni (29 marzo 2011) * Siria, la polizia spara sui manifestanti (28 marzo 2011) * Siria, l'esercito entra a Latakia per sedare la rivolta contro il regime (26 marzo 2011) * In migliaia nelle piazze in Siria e Yemen (25 marzo 2011) * LA MAPPA: I luoghi della protesta DISCORSO IN PARLAMENTO "La Siria vittima di un complotto" Il presidente Assad: "È un momento eccezionalmente difficile, ma ce la faremo. Riforme a partire da oggi" L'intervento del presidente Assad L'intervento del presidente Assad MILANO - La Siria è vittima di "una grande cospirazione che viene dall'esterno e dall'interno" del Paese, fomentata dalle menzogne dei media internazionali, in particolare delle "Tv panarabe che insieme ai messaggi via sms da settimane fomentano la sedizione". E' questa la spiegazione che il presidente siriano Assad ha dato, nel suo attesissimo discorso in Parlamento all'indomani delle dimissioni dell'intero governo, delle sommosse di piazza che stanno sconvolgendo il Paese, con numerose vittime cadute sotto il fuoco delle forze di sicurezza. "È un momento eccezionalmente difficile, ma ce la faremo, mi dispiace per le vittime - ha esordito il presidente -. Intorno a noi sta cambiando il mondo con ripercussioni in tutta la regione Siria compresa. I recenti eventi hanno messo alla prova l'unità del Paese. I nostri nemici lavorano in modo continuo per colpirci, anche se non tutti i manifestanti erano con chi complottava contro il nostro paese". "RIFORME DA OGGI" - Poi Assad ha offerto un ramoscello d'ulivo, quando ha sostenuto che "i cittadini di Daraa (teatro delle proteste delle scorse settimane, ndr) non sono responsabili per quanto è successo e io avevo dato ordini precisi di non colpirli. È dovere dello stato dare ascolto alle proteste della gente, ma non possiamo sostenere il caos". E ho promesso le riforme: "A chi ci chiede riforme diciamo di sì, abbiamo ritardato, ma iniziamo a partire da oggi: è allo studio un piano anti-corruzione, un'ora fa abbiamo aumentato gli stipendi dei dipendenti pubblici e la prossima settimana proseguirà la discussione sulla riforma della legge sui partiti e sulla legge d'emergenza (in vigore dal 1963, ndr). Ci accusano di promettere riforme ma non realizzarle, ma siamo stati costretti a cambiare la priorità delle nostre scelte a causa delle ripetute crisi regionali e a causa di quattro anni di siccità. La stabilità della Siria è diventata la priorità della nostra agenda". Ma poi il presidente siriano, che più volte è stato interrotto dagli applausi dei sostenitori, ha chiuso il discorso promettendo battaglia: "Non accettiamo interferenze esterne sulle nostre terre. Se dobbiamo combattere, siamo pronti .Chi vuole la guerra dalla Siria l'avrà".
30 marzo 2011 "La Siria vittima di un complotto" Il presidente Assad: "È un momento eccezionalmente difficile, ma ce la faremo. Riforme a partire da oggi" * NOTIZIE CORRELATE * Siria, il governo rassegna le dimissioni (29 marzo 2011) * Siria, la polizia spara sui manifestanti (28 marzo 2011) * Siria, l'esercito entra a Latakia per sedare la rivolta contro il regime (26 marzo 2011) * In migliaia nelle piazze in Siria e Yemen (25 marzo 2011) * LA MAPPA: I luoghi della protesta DISCORSO IN PARLAMENTO "La Siria vittima di un complotto" Il presidente Assad: "È un momento eccezionalmente difficile, ma ce la faremo. Riforme a partire da oggi" L'intervento del presidente Assad L'intervento del presidente Assad MILANO - La Siria è vittima di "una grande cospirazione che viene dall'esterno e dall'interno" del Paese, fomentata dalle menzogne dei media internazionali, in particolare delle "Tv panarabe che insieme ai messaggi via sms da settimane fomentano la sedizione". E' questa la spiegazione che il presidente siriano Assad ha dato, nel suo attesissimo discorso in Parlamento all'indomani delle dimissioni dell'intero governo, delle sommosse di piazza che stanno sconvolgendo il Paese, con numerose vittime cadute sotto il fuoco delle forze di sicurezza. "È un momento eccezionalmente difficile, ma ce la faremo, mi dispiace per le vittime - ha esordito il presidente -. Intorno a noi sta cambiando il mondo con ripercussioni in tutta la regione Siria compresa. I recenti eventi hanno messo alla prova l'unità del Paese. I nostri nemici lavorano in modo continuo per colpirci, anche se non tutti i manifestanti erano con chi complottava contro il nostro paese". "RIFORME DA OGGI" - Poi Assad ha offerto un ramoscello d'ulivo, quando ha sostenuto che "i cittadini di Daraa (teatro delle proteste delle scorse settimane, ndr) non sono responsabili per quanto è successo e io avevo dato ordini precisi di non colpirli. È dovere dello stato dare ascolto alle proteste della gente, ma non possiamo sostenere il caos". E ho promesso le riforme: "A chi ci chiede riforme diciamo di sì, abbiamo ritardato, ma iniziamo a partire da oggi: è allo studio un piano anti-corruzione, un'ora fa abbiamo aumentato gli stipendi dei dipendenti pubblici e la prossima settimana proseguirà la discussione sulla riforma della legge sui partiti e sulla legge d'emergenza (in vigore dal 1963, ndr). Ci accusano di promettere riforme ma non realizzarle, ma siamo stati costretti a cambiare la priorità delle nostre scelte a causa delle ripetute crisi regionali e a causa di quattro anni di siccità. La stabilità della Siria è diventata la priorità della nostra agenda". Ma poi il presidente siriano, che più volte è stato interrotto dagli applausi dei sostenitori, ha chiuso il discorso promettendo battaglia: "Non accettiamo interferenze esterne sulle nostre terre. Se dobbiamo combattere, siamo pronti .Chi vuole la guerra dalla Siria l'avrà". 30 marzo 2011
2011-03-28 Continuano gli sbarchi. Il procuratore grasso: "Almeno 400 minori scomparsi" In 24 ore 2000 arrivi a Lampedusa Porto, pescatori bloccato l'accesso "Gruppo di extracomunitari ruba preziosi ed orologi" Igiene drammatica, il ministro Fazio invia due ispettori * NOTIZIE CORRELATE * Maroni: Regioni, accogliete i profughi (28 marzo 2011) * Lombardo: "Tendopoli anche a nord" (28 marzo 2011) * Frattini e la polemica sui fondi: "Non rifiutare i soldi della Ue" (27 marzo 2011) Continuano gli sbarchi. Il procuratore grasso: "Almeno 400 minori scomparsi" In 24 ore 2000 arrivi a Lampedusa Porto, pescatori bloccato l'accesso "Gruppo di extracomunitari ruba preziosi ed orologi" Igiene drammatica, il ministro Fazio invia due ispettori (Epa) (Epa) LAMPEDUSA (AGRIGENTO) - Alcuni pescatori stanno trainando quattro barconi usati dai migranti e sequestrati per posizionarli all'ingresso del porto di Lampedusa. Lo scopo è impedire il transito delle motovedette che soccorrono gli immigrati. Dal molo una cinquantina di donne sta incitando l'azione, invitando altri uomini alla partecipare alla protesta. Sulla banchina la tensione è altissima. I BARCONI - Intanto non si ferma l'ondata di immigrati sull'isola. E le notizie diventano drammatiche: non si hanno più notizie di un gommone partito dalla Libia con 68 migranti a bordo, tra i quali numerose donne e bambini, che domenica sera aveva lanciato l'Sos. Gli immigrati avevano raccontato di trovarsi a circa 60 miglia dalle coste libiche, con poco carburante e senza viveri. Un altro barcone partito sempre dalla Libia sabato sera, con circa 180 profughi a bordo, è stato invece segnalato da un peschereccio in navigazione verso le coste siciliane. Un barcone con circa 300 persone a bordo è invece ormai a circa 7 miglia al largo dell'isola, ma è in difficoltà perché imbarca acqua rischiando così di affondare. Le motovedette della Guardia costiera si stanno avvicinando all'ennesima imbarcazione. LE CIFRE - Sono 1.933 i migranti sbarcati in 24 ore sull'isola di Lampedusa, il numero di più alto da quando è iniziata la nuova emergenza. Sono così quasi settemila gli immigrati nordafricani presenti sull'isola su un numero di abitanti che sfiora i 5.000. Il numero più alto di migranti da quando è iniziata la nuova emergenza. Mentre sarebbero 400 i minori sbarcati a Lampedusa e scomparsi. La denuncia arriva dal procuratore nazionale Antimafia, Piero Grasso, intervenuto a un convegno sul tema della tratta delle immigrate e sullo sfruttamento della prostituzione. "Alcuni di loro - ha detto - sono stati trovati con dei bigliettini sui quali c'era scritto il numero di un referente al quale collegarsi e che, probabilmente, fa capo a qualche organizzazione criminale". IGIENE DRAMMATICA - Proprio questi numeri creano non pochi problemi, soprattutto dal punto di vista sanitario. "Non riteniamo che ci sia un rischio di epidemie, ma un problema igienico-sanitario importante e che potrebbe in futuro continuare. Anche per questo i nostri ispettori arriveranno sull'isola oggi" ha detto il ministro della Salute Ferruccio Fazio commentando la situazione dei migranti che in questi giorni si stanno accumulando sull'isola. "Non si tratta di emergenza - ha detto il ministro a margine lunedì a Milano di un'inaugurazione al'istituto nazionale dei tumori - ma le condizioni igienico sanitarie sono drammatiche: domenica ho parlato a lungo con l'assessore Russo, lui sta mandando due ispettori della regione e dell'Asl e noi stiamo mandando i nostri ispettori del ministero. Insieme a questi ci sarà un'osservatore dell'Oms che è già a Roma proprio per questo motivo, e anche un rappresentante dell'istituto dei migranti che dovrà valutare tutti gli aspetti inerenti alla copertura psicologica e sanitaria". Il ministro ha infine ricordato che il 13 aprile ci sarà una conferenza dei ministri della salute di tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo proprio per discutere di questa emergenza. IL FURTO - C'è poi un giallo in corso di chiarimento. Una coppia di coniugi di Lampedusa sarebbe stata aggredita e derubata nella propria abitazione da un gruppo di immigrati che avrebbe fatto irruzione nel loro appartamento domenica sera. Ma fonti investigative hanno riferito all'Ansa che la coppia non sarebbe stata rapinata, né aggredita nella loro casa. La circostanza emergerebbe dal racconto che Luigi Salina sta facendo in queste ore ai carabinieri che conducono le indagini. L'uomo, secondo quanto si apprende, avrebbe riferito che non era in casa domenica sera con la moglie e che, al rientro, i coniugi avrebbero scoperto che la loro abitazione era stata visitata dai ladri. In una precedente versione, riferita all'Ansa, Luigi Salina, 58 anni, avrebbe raccontato di essere stato colpito con un pugno alla zigomo da uno dei cinque o sei extracomunitari che stavano rubando diversi oggetti in casa, da dove sono stati asportati preziosi e orologi. Salina ha detto ai giornalisti di essersi presentato nella stazione dei carabinieri per la denuncia, col referto sanitario in mano. "Mi hanno detto che ho tempo 60 giorni per poterla fare: ma che risposta è! - protesta- Io voglio farla subito, è un mio diritto. Invece, mi hanno risposto di tornare tra due giorni. Qui si pensa agli immigrati, la gente è abbandonata. Abbiamo paura. Basta, basta, basta". Redazione online 28 marzo 2011
Nuova notte di raid aerei, bombe anche su Tripoli Gli insorti annunciano "Sirte è nostra" Ma i fedeli di Gheddafi smentiscono Le forze del Raìs: "Li abbiamo fermati a 140 km dalla città" e giornalisti nella zona confermano * NOTIZIE CORRELATE * Truppe di Gheddafi in ritirata. Il comando della missione passa alla Nato (27 marzo 2011) * Obama: "Missione di successo, abbiamo evitato un bagno di sangue" (26 marzo 2011) * Battaglia per Ajdabiya, gli insorti hanno la meglio (25-26 marzo 2011) * Nuova notte di raid aerei, bombe anche su Tripoli Gli insorti annunciano "Sirte è nostra" Ma i fedeli di Gheddafi smentiscono Le forze del Raìs: "Li abbiamo fermati a 140 km dalla città" e giornalisti nella zona confermano "Presa Sirte" di L.Cremonesi MILANO - In Libia, sul fronte del conflitto, lo snodo decisivo nel conflitto al momento è la battaglia di Sirte, sulla cui sorte ci sono due versioni contrastanti: i ribelli hanno dichiarato di averla riconquistata, con l'intera zona petrolifera in Cirenaica e dicono di puntare ora verso Tripoli. opposta la versione delle truppe governative che sostengono come l'avanzata dei ribelli sia stata fermata dalle forze pro-Gheddafi all'uscita da Ben Jawad, situata a 140 chilometri dalla città di Sirte. Questa versione sarebbe però stata anche confernata da un giornalista della France Presse e da uno della Reuters. I ribelli hanno preso domenica il controllo di Ben Jawad, dopo aver conquistato il sito petrolifero di Ras Lanuf, aiutati anche dai raid aerei della coalizione internazionale. Ma lunedì sono stati fermati dalle forze leali al colonnello Gheddafi, che erano a bordo di pick-up, sulla strada che conduce da Ben Jawad a Nofilia, in direzione di Sirte. Questa versione è confernata anche da Al-Jazeera, che ha mostrato in diretta gli scontri in corso tra le due parti. Anche l'inviato della tv qatariota smentisce quindi che i ribelli siano entrati a Sirte, sostenendo che il fronte degli scontri è ancora distante dalla roccaforte di Muammar Gheddafi. BOMBE SU SEBHA - La coalizione internazionale ha bombardato dei quartieri residenziali della città di Sebha, a circa 750 chilometri a sud di Tripoli: la città rappresenta il luogo di origine della tribù Kadhadfa, di cui fa parte anche il colonnello Muammar Gheddafi. "Le forze crociate hanno bombardato all'alba i quartieri residenziali di Sebha, provocando danni ad alcune abitazioni e facendo numerose vittime", ha riferito l'agenzia ufficiale Jana. La marcia delle donne "DONNE VIOLENTATE" - C'è poi il capitolo dei presunti stupri. Nel fine settimana una donna ha fatto irruzione in un hotel occupato dai giornalisti occidentali denunciando di essere stata stuprata ad un posto di blocco (ma domenica sera il portavoce del governo ha negato la circostanza e ha spiegato che la donna è una prostituta). Oggi arriva la denuncia di alcuni medici di Ajdabiya che sostengono che le forze fedeli a Gheddafi avrebbero commesso violenze sessuali su diverse donne della città, "colpevoli" di avere espresso il loro sostegno alla rivolta dell'opposizione contro il regime. Secondo un giornalista di Al Jazeera, in città sarebbero scomparse 175 persone, molte delle quali sono ritenute morte. Redazione Online 28 marzo 2011
diplomazia al lavoro sul caso libia "Intervento non autorizzato dall'Onu" Dura presa di posizione del ministro degli Esteri russo Lavrov diplomazia al lavoro sul caso libia "Intervento non autorizzato dall'Onu" Dura presa di posizione del ministro degli Esteri russo Lavrov Il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov (Ap) Il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov (Ap) MILANO - La Russia si mette di traverso sulle missioni della coalizione alleata in Libia: per Mosca l'intervento della coalizione nella guerra civile non è stato autorizzato dalla risoluzione 1973 del consiglio di sicurezza. Lo ha detto il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov: "Noi consideriamo che l'intervento della coalizione in quella che è essenzialmente una guerra civile interna non è stato autorizzato dalla risoluzione del consiglio di sicurezza dell'Onu", ha dichiarato il capo della diplomazia russa, ribadendo comunque che la difesa della popolazione civile "resta la nostra priorità". La decisione della Nato di assumere il comando delle operazioni in Libia rispetta la risoluzione 1973 del consiglio di sicurezza dell'Onu ma il suo unico mandato - ha aggiunto Lavrov - deve essere quello di proteggere la popolazione civile. LA MEDIAZIONE TURCA - Intanto, dopo la formalizzazione del passaggio alla Nato del comando di tutte le operazioni militari legate al rispetto della risoluzione 1973 dell'Onu, ovvero l'embargo, l'istituzione della no fly zone e la protezione dei civili dagli attacchi delle truppe governative, la Turchia si offre come mediatore per raggiungere "prima possibile" un cessate il fuoco tra le parti per evitare che la Libia si trasformi in un nuovo Iraq o Afghanistan. Lo ha dichiarato in un'intervista al britannico Guardian il premier turco Recep Tayyip Erdogan, che ha rivelato come siano già in corso contatti con i delegati di Gheddafi ed esponenti del Consiglio Nazionale Transitorio di Bengasi. Non solo. Erdogan riferisce che la Turchia, in accordo con la Nato, sta per assumere il controllo del porto di Bengasi per la gestione degli aiuti umanitari. Erdogan chiarisce che intende agire "nella cornice delle indicazioni della Nato, della Lega Araba e dell'Unione Africana". "Al momento è in corso una guerra civile in Libia e noi dobbiamo porvi fine", ha dichiarato il premier turco. I ribelli: "Presa Sirte". ATTESA PER IL VERTICE DI LONDRA - Sempre sul fronte diplomatico c'è anche attesa per il summit di martedì a Londra. Il ministro degli esteri italiano Frattini, anticipando i temi dell'incontro, ha detto che "nostro dovere istituzionale è eliminare le distanze, trovare una soluzione condivisa non solo tra i quattro più grandi paesi europei, ma con tutti" gli alleati. Secondo il capo della diplomazia, chiamato a commentare le divergenze con la Francia, "qualunque strategia politica divisiva" sulla crisi libica è "destinata a fallire". "Qualunque strategia politica divisiva sarebbe destinata a fallire - ha proseguito - ma le idee italiane, francesi e tedesche dovranno tutte confluire in un piano che, domani a Londra, potremo elaborare per dare una risposta: questa missione è il mezzo e non il fine" 28 marzo 2011
Ufficialmente avrebbero dovuto assistere ad una "marcia della pace" dei capitribù Venti giornalisti occidentali circondati per tre ore da folla armata Un gruppo di reporter prelevato dalle autorità e portato da Tripoli a Sirte, durante i raid aerei. Poi messi al sicuro Ufficialmente avrebbero dovuto assistere ad una "marcia della pace" dei capitribù Venti giornalisti occidentali circondati per tre ore da folla armata Un gruppo di reporter prelevato dalle autorità e portato da Tripoli a Sirte, durante i raid aerei. Poi messi al sicuro MILANO - Sono stati prelevati dal loro albergo a Tripoli e sono stati condotti verso Sirte con l'indicazione che avrebbero assistito ad una "marcia della pace" dei capi tribù, un lungo corteo che dalla capitale avrebbe dovuto raggiungere Bengasi passando da Sirte per avviare negoziati di pace con gli omologhi della Cirenaica. Una ventina di giornalisti occidentali si sono invece ritrovati circondati da folla armata e tutt'altro che accomodante nei loro confronti. I reporter sono stati caricati su tre pulmini senza alcuna insegna "press" e sono stati portati dalle autorità libiche a Sirte. E tramite i loro telefoni avevano fatto sapere di trovarsi in una "situazione sempre più tesa". BLOCCATI TRE ORE - I giornalisti, in particolare, si sono ritrovati bloccati per tre ore "all'interno dei loro van circondati da decine di persone, molte armate". Hanno insistito per essere portati in un albergo o quanto meno di spostarsi dal centro della strada "dove si percepiva", ha riferito all'Agi uno dei reporter, "la tensione e l'ostilità crescente della popolazione contro gli occidentali" Il tutto accentuato dai jet della coalizione che bombardano in lontananza la città. La loro vicenda è però finita bene: i reporter, dopo l'iniziale indecisione dei responsabili, sono stati portati in una zona residenziale di Sirte e alloggiati in alcuni villette. Redazione Online 27 marzo 2011
Nuove tensioni nella città di Daraa, circondata dai carri armati Siria, la polizia spara sui manifestanti Gli agenti hanno sparato contro il corteo che chiedeva l'abolizione della legge d'emergenza in vigore dal 1963 * NOTIZIE CORRELATE * Siria, l'esercito entra a Latakia per sedare la rivolta contro il regime (26 marzo 2011) * In migliaia nelle piazze in Siria e Yemen (25 marzo 2011) * LA MAPPA: I luoghi della protesta Nuove tensioni nella città di Daraa, circondata dai carri armati Siria, la polizia spara sui manifestanti Gli agenti hanno sparato contro il corteo che chiedeva l'abolizione della legge d'emergenza in vigore dal 1963 Spari in piazza (Al Jazeera) Spari in piazza (Al Jazeera) DAMASCO - Il regime di Assad cerca di rispondere con la proposta di riforme alla situazione interna sempre più difficile, ma la tensione riesplode di nuovo. Dopo giorni di proteste sanguinose, alla popolazione in rivolta non è bastato l'annuncio dei vertici del partito Baath di voler abrogare la legge d'emergenza in vigore da 48 anni. LA POLIZIA HA APERTO IL FUOCO - La polizia siriana ha infatti aperto il fuoco contro alcune centinaia di manifestanti che protestavano nella città di Daraa, nel sud della Siria, già teatro di violenze nei giorni scorsi. Lo riferisce la tv satellitare Al-Arabiya, secondo la quale la polizia avrebbe duramente represso la manifestazione indetta per chiedere l'abrogazione della legge d'emergenza in vigore nel paese dal 1963. Successivamente carri armati dell'esercito siriano hanno circondato Daraa, capoluogo della regione meridionale e teatro da dieci giorni di accese proteste anti-regime. LA LEGGE - "La decisione di abrogare la legge di emergenza è stata già presa ma non so quando verrà applicata", ha detto Boussaina Shaabane il consigliere del presidente Bashar Al-Assad. La legge, instaurata immediatamente dopo l'arrivo al potere della partito Baath nel marzo 1963, impone restrizioni sulla libertà di riunione e di spostamento, e permette l'arresto di "sospetti o di persone che minacciano la sicurezza". In questo modo è possibile sorvegliare le comunicazioni e fare un controllo preliminare su i giornali, le pubblicazioni, le radio e tutti i mass media. Secondo al Arabiya, che ha annunciato per martedì le dimissioni del governo, è imminente l'approvazione di una nuova legge sulla stampa riguardo la prevenzione della carcerazione dei giornalisti. Il regime, ha aggiunto la tv satellitare araba, modificherà inoltre l'articolo 8 del primo paragrafo della costituzione del Paese, che stabilisce che quello Baath è il partito guida della Siria. Il presidente Asad inoltre ha già autorizzato un aumento dei salari dei dipendenti pubblici pari al 20% dell'attuale retribuzione. Secondo gli analisti è però difficile pensare a una vera riforma all'interno del sistema, soprattutto perché la corruzione e le politiche di privatizzazione economica hanno creato un arricchimento di tutto il clan legato alla famiglia Assad: ma come dimostrano gli esempi egiziano o tunisino, senza un compromesso in tempi rapidi quella siriana rischia di essere la prossima rivoluzione. La Siria di Bashar al Assad del resto è un Paese totalitario dove l'ordine regna supremo e l'islam è diventato progressivamente più radicale. Il governo siriano è dominato dagli alawiti, una setta sciita che rappresenta solo il 10 per cento circa della popolazione in un paese sunnita al 75%. Alla sua elezione, nel giugno del 2000, Assad annunciò un pacchetto di riforme - soprattutto in materia di apertura al liberismo economico - noto come la "Primavera di Damasco", che però non è mai decollato con convinzione: troppo dura la resistenza della vecchia guardia, ostica al punto da costringere Assad a parlare di una "riforma economica attraverso una riforma politica", rivelatasi a conti fatti inesistente. E così, da un punto di vista politico, il paese non ha fatto registrare alcun progresso, neppure sul tema spinoso della pace con Israele. SCOMPARSI DUE REPORTER DELLA REUTERS - Intanto due giornalisti di Reuters Television che coprono le manifestazioni in corso in Siria sono considerati dispersi da sabato: lo ha annunciato un responsabile dell'agenzia di stampa. Il produttore Ayat Basma e il cameraman Ezzat Baltaji erano attesi sabato sera in Libano dove sono di stanza, ma l'autista inviato per riportarli a casa non è riuscito a trovarli nel punto di incontro designato, alla frontiera con la Siria. "Reuters è profondamente preoccupata per la sorte dei due giornalisti di Reuters Television che sono ritenuti scomparsi in Siria, da sabato", ha dichiarato Stephen Adler, caporedattore dell'agenzia. Redazione online 28 marzo 2011
2011-03-27 il regime libico chiede una tregua e una riunione dell'onu. Libia, gli insorti prendono il terminal petrolifero di Ras Lanuf Riconquistata anche Brega, decisivi i raid aerei della coalizione anti-Gheddafi il cui comando passa alla Nato * NOTIZIE CORRELATE * Obama: "Missione di successo, abbiamo evitato un bagno di sangue" (26 marzo 2011) * Battaglia per Ajdabiya, gli insorti hanno la meglio (25-26 marzo 2011) * il regime libico chiede una tregua e una riunione dell'onu. Libia, gli insorti prendono il terminal petrolifero di Ras Lanuf Riconquistata anche Brega, decisivi i raid aerei della coalizione anti-Gheddafi il cui comando passa alla Nato (Photomasi) (Photomasi) MILANO - In Libia si continua a combattere. Le forze antigovernative hanno riconquistato la strategica città di Brega, nella Libia orientale, e, successivamente avanzando verso ovest, hanno già raggiunto Uqayla, prima di conquistare il principale terminal petrolifero libico di Ras Lanuf. Con l'arrivo poi dei ribelli a Ben Jawad, tornano sotto il loro controllo tutti i maggiori terminal petroliferi del settore orientale della Libia (Es Sider, Ras Lanuf, Brega, Zueitina e Tobruk). I ribelli libici si dicono inoltre pronti a esportare petrolio "in meno di una settimana" e in grado di produrre "dai 100.000 ai 130.000 barili al giorno" ha annunciato un portavoce, dopo la conquista degli impianti e dei terminal a sud di Bengasi. COMBATTIMENTI - Sabato dopo pesanti raid aerei della coalizione internazionale contro le forze di Gheddafi, gli insorti avevano ripreso la città di Ajdabiya e in seguito avevano rivendicato anche la riconquista del porto petrolifero di Brega. Successivamente le forze fedeli a Muammar Gheddafi hanno ripreso l'attacco contro Misurata, la città portuale stretta tra Tripoli e Sirte. Lo riferiscono residenti. RICHIESTA DI TREGUA - Intanto il regime libico è tornato a chiedere il cessate-il-fuoco e una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza Onu. A Tripoli, il portavoce del governo, Mussa Ibrahim, ha detto che gli attacchi aerei della coalizione hanno ucciso soldati e civili lungo la strada tra Agedabia e Sirte: "Stanotte i raid aerei continuano a pieno ritmo. Stiamo perdendo molte vite, soldati e civili", ha detto e ha rinnovato il suo appello alla tregua e a una riunione urgente al Palazzo di Vetro. In effetti i raid, lanciati dalla coalizione occidentale per proteggere i civili, stanno effettivamente spostando l'equilibrio di potere sul terreno e sabato notte sono proseguiti senza sosta. I caccia francesi hanno anche distrutto almeno cinque aerei e due elicotteri delle forze lealiste nelle regioni di Zindan e Misurata. COMANDO ALLA NATO - Dall'Italia invece il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha annunciato che "Questa mattina i capi di stato maggiore della Difesa della coalizione della Nato hanno predisposto definitivamente il piano della no-fly zone plus e tutto praticamente è passato sotto l'egida della Nato, sia l'embargo navale che è comandato da un ammiraglio italiano sia le operazioni aeree". Redazione online 27 marzo 2011
"ci sia l'immediato avvio di un dialogo tra le parti" Libia, il Papa: "Fermate le armi" "Sì ad ogni mezzo di cui dispone l'azione diplomatica ed al sostegno anche del più debole segnale di apertura" "ci sia l'immediato avvio di un dialogo tra le parti" Libia, il Papa: "Fermate le armi" "Sì ad ogni mezzo di cui dispone l'azione diplomatica ed al sostegno anche del più debole segnale di apertura" Benedetto XVI (Ansa) Benedetto XVI (Ansa) MILANO - Stop ai combattimenti in Libia. Pregando per "un ritorno alla concordia in Libia e nell'intera Regione nordafricana" il Papa ha rivolto "un accorato appello agli organismi internazionali e a quanti hanno responsabilità politiche e militari, per l'immediato avvio di un dialogo, che sospenda l'uso delle armi". Papa Ratzinger lo ha detto dopo la preghiera dell'Angelus. L'APPELLO - "Di fronte alle notizie, sempre più drammatiche, che provengono dalla Libia, - ha affermato Benedetto XVI dopo la preghiera dell'Angelus recitata dalla finestra del suo studio su piazza San Pietro - cresce la mia trepidazione per l'incolumità e la sicurezza della popolazione civile e la mia apprensione per gli sviluppi della situazione, attualmente segnata dall'uso delle armi". Il Pontefice ha quindi rilevato come "nei momenti di maggiore tensione si fa più urgente l'esigenza di ricorrere ad ogni mezzo di cui dispone l'azione diplomatica e di sostenere anche il più debole segnale di apertura e di volontà di riconciliazione fra tutte le Parti coinvolte, nella ricerca di soluzioni pacifiche e durature". "In questa prospettiva, - ha aggiunto il Santo Padre - mentre elevo al Signore la mia preghiera per un ritorno alla concordia in Libia e nell'intera Regione nordafricana, rivolgo un accorato appello agli organismi internazionali e a quanti hanno responsabilità politiche e militari, per l'immediato avvio di un dialogo, che sospenda l'uso delle armi". Redazione online 27 marzo 2011
La conferenza Proposta dell'Italia agli alleati "Dialogo con tutte le tribù" Roma caldeggia una soluzione politica * NOTIZIE CORRELATE * Obama: "Missione di successo, abbiamo evitato un bagno di sangue" (26 marzo 2011) * Battaglia per Ajdabiya, gli insorti hanno la meglio (25-26 marzo 2011) * La conferenza Proposta dell'Italia agli alleati "Dialogo con tutte le tribù" Roma caldeggia una soluzione politica Il ministro degli Esteri Franco Frattini Il ministro degli Esteri Franco Frattini ROMA - Non solo Bengasi. Franco Frattini non lo dirà necessariamente così, ma questa è la linea che si consolida nel governo italiano in vista della conferenza di martedì a Londra tra i ministri degli Esteri dei Paesi più interessati alla guerra civile in corso in Libia. Gli interlocutori della comunità internazionale, secondo il titolare della Farnesina, non dovrebbero essere soltanto i membri del Consiglio formato nel capoluogo della Cirenaica e dell'insurrezione contro Muammar el Gheddafi, ma anche rappresentanti delle tribù libiche e altri soggetti politici esistenti o potenziali. Mentre gli insorti combattono contro le forze di regime e aerei francesi attaccano l'aviazione del Colonnello, il governo italiano tende a sottolineare la necessità di un "cessate il fuoco" che crei le condizioni di un "dialogo di riconciliazione nazionale". La fine dei combattimenti è un obiettivo della risoluzione 1973 dell'Onu che ha autorizzato "tutte le misure" adatte a proteggere i civili dalla repressione di Gheddafi. Tempi e modi della realizzazione però non sono indifferenti per i prossimi assetti dell'attuale Gimahiria. Il Foglio, quotidiano che con Silvio Berlusconi ha legami diretti, ha attribuito al Cavaliere l'idea di proporre una riunione a Napoli ai primi ministri degli Stati impegnati nelle operazioni sulla Libia destinate a passare sotto comando Nato. Al momento a Napoli, sede scelta per il comando, è previsto il 13 aprile un incontro ministeriale del cosiddetto "5+5" con cinque Stati della sponda Nord e cinque della sponda Sud del Mediterraneo. La conferenza internazionale più prossima è quella di Londra. Lì le sfumature sugli interlocutori in Libia andranno tenute presenti quanto il contenzioso con la Francia, tuttora in atto, sul comitato politico che dovrebbe affiancare il coordinamento delle operazioni militari affidato alla Nato (stasera a Bruxelles il Consiglio atlantico, nel quale per l'Italia c'è l'ambasciatore Riccardo Sessa, deve decidere con quali mezzi e compiti agirà ciascun Paese impegnato sulla Libia). Frattini non intende formulare la tesi su Bengasi in modo da irritare i ribelli. Da giorni mette in evidenza di aver avuto "contatti con il presidente del governo provvisorio libico, l'ex ministro della Giustizia Jalil", la riapertura del consolato d'Italia e l'invio di cibo italiano via mare alla città del Consiglio nazionale di transizione. "I vostri aerei in piena notte hanno distrutto i carri che si apprestavano a martirizzare Bengasi e a entrare nella città indifesa. Il popolo libico vi considera liberatori. La riconoscenza nei vostri riguardi sarà eterna", ha scritto Mahmoud Jibril, capo del Consiglio di transizione, in una lettera al presidente francese Nicolas Sarkozy. Frattini dice: "Ho avuto un colloquio con il professor Jibril e mi ha garantito non solo che manterranno tutti gli impegni internazionali verso i partner che vogliono una Libia unita, ma anche che rispetteranno i contratti petroliferi". La riconoscenza "eterna" per Parigi non è però elemento indifferente per Berlusconi, capo di governo del primo partner economico della Libia che riceve dalla Giamahiria circa un terzo del fabbisogno energetico. Maurizio Caprara 27 marzo 2011
no fly zone è già effettiva, ma le forze armate di gheddafi non si sono sfaldate Le incognite dei ribelli verso la vittoria Se i ribelli non riceveranno armi pesanti difficilmente il regime cadrà senza un intervento di terra della coalizione no fly zone è già effettiva, ma le forze armate di gheddafi non si sono sfaldate Le incognite dei ribelli verso la vittoria Se i ribelli non riceveranno armi pesanti difficilmente il regime cadrà senza un intervento di terra della coalizione Un portacarri dei governativi prima della battaglia di Ajdabya Un portacarri dei governativi prima della battaglia di Ajdabya WASHINGTON (USA) – Dopo una settimana di "Alba dell’Odissea" è possibile fare un primo bilancio delle operazioni militari in Libia. Come previsto, la coalizione ha neutralizzato aviazione e gran parte del sistema missilistico – peraltro obsoleto – e ha impedito il tracollo dei ribelli. L’apparato del colonnello, pur colpito, ha tenuto ed è in grado di minacciare numerosi centri abitati. La protezione dei civili – obiettivo dichiarato della campagna – è garantita solo nella regione Est. LA NO FLY ZONE – Sono bastati un paio di giorni per creare la no fly zone. Il regime ha tentato di far decollare due caccia. Una missione suicida. Sono stati abbattuti e altri sono stati distrutti al suolo. I MISSILI – Gli alleati hanno eliminato radar, centri comando e batterie di missili Sam 2 e Sam 5, gli ordigni capaci di raggiungere quote più alte. Rimangono sistemi mobili sistemati su blindati e missili usabili da un solo uomo. Vi sono centinaia di vecchi Sam 7 ma anche i più moderni Sa 24 russi. LA NO DRIVE ZONE – L’alleanza ha colpito colonne di corazzati e linee logistiche. Con due obiettivi: alleggerire la pressione sulle città assediate, impedire spostamenti sicuri dei lealisti. Le incursioni hanno evitato che Bengasi cadesse nelle mani di Gheddafi. I successivi raid ad Ajdabya hanno costretto i soldati a fuggire e di conseguenza gli insorti hanno guadagnato terreno verso Ovest. Le foto arrivate dalle zone degli scontri mostrano i mezzi inceneriti ai lati delle strada: i soldati erano esposti, non c’era modo di sfuggire alla distruzione. Si è salvato chi ha abbandonato il proprio tank. Un pick up con mitragliatrice impiegato dai ribelli Un pick up con mitragliatrice impiegato dai ribelli I GOVERNATIVI – Il colonnello può contare sui 15-20 mila uomini inquadrati in alcune unità speciali. Le migliori sono la Trentaduesima Brigata comandata da Khamis Gheddafi e il Nono Battaglione. Un altro reparto risponde agli ordini del fratello Muatassim. Per rimpolpare le fila, il regime ha arruolato mercenari nei paesi africani (in particolare il Ciad). I governativi hanno usato fino ad oggi due tattiche. La prima è quella dell’assedio: scelto l’obiettivo – quasi sempre un centro abitato – lo colpiscono con razzi e cannoni, poi avanzano. Di frequente tagliano luce e acqua, impediscono l’afflusso di rifornimenti. La seconda tattica, attuata in questi ultimi giorni, è una conseguenza dei raid aerei. Per rendere difficile il compito della coalizione, i governativi si nascondono nelle città, cercano di avvicinarsi il più possibile alle posizioni tenute dai ribelli. La sola comparsa dei caccia costringe i tank a cessare il fuoco, ma i miliziani mantengono i civili sotto tiro con i cecchini. Poi mandano avanti i carri armati, quindi li ritirano. E’ quello che sta avvenendo nella zona di Misurata. Il dato base è che in ogni caso lo schieramento di Gheddafi non si è dissolto sotto le bombe. A parte in Cirenaica non vi sono state defezioni di massa. E’ altrettanto vero che hanno dovuto sostenere scontri limitati e sempre in vantaggio di mezzi. Un carro armato lealista distrutto dai raid aerei Un carro armato lealista distrutto dai raid aerei I RAID – I jet della coalizione hanno aumentato gli attacchi sui reparti che si avventurano in campo aperto e tentato di centrare i corazzati che aprono il fuoco sulle località ribelli. La logistica del regime ha mantenuto un livello discreto fino a pochi giorni fa. Lo testimonia il gran numero di camion porta-carri usati per trasferire i corazzati da Sirte fino alle porte di Bengasi. Non è chiaro quanti ne abbiano ancora. Per la coalizione resta, però, la questione di fondo: senza il ricorso alle forze di terra sarà impossibile "ripulire" il territorio. I RIBELLI – Hanno poche armi, solo un nucleo ridotto di ex soldati sa come tenere in mano un fucile. Servono organizzazione e quadri intermedi. Quindi dovranno trovare l’equipaggiamento. Sembra che qualcosa sia arrivato dall’Egitto, gli Usa stanno considerando di aiutarli e così i francesi. Nelle caserme della Cirenaica conquistate dai "rivoluzionari" c’erano solo vecchi tank e qualche blindato. Quanto ai porta-carri hanno quei pochi catturati ai governativi. Dunque il loro raggio d’azione è limitato. Il mezzo base resta la jeep o il camioncino su cui hanno installato le mitragliere anti-aeree. Con questi veicoli possono andare veloci ma se incontrano le unità lealiste devono aspettare – e sperare – che gli alleati le bombardino. Guido Olimpio 27 marzo 2011
tremonti: "non c'è il petrolio, la voglia di intervento è minore" Siria, il governo verso le dimissioni "Stato d'emergenza sarà revocato" Il presidente Assad parlerà alla nazione dopo l'ondata di proteste senza precedenti dei giorni scorsi * NOTIZIE CORRELATE * Siria, l'esercito entra a Latakia per sedare la rivolta contro il regime (26 marzo 2011) * In migliaia nelle piazze in Siria e Yemen (25 marzo 2011) * LA MAPPA: I luoghi della protesta tremonti: "non c'è il petrolio, la voglia di intervento è minore" Siria, il governo verso le dimissioni "Stato d'emergenza sarà revocato" Il presidente Assad parlerà alla nazione dopo l'ondata di proteste senza precedenti dei giorni scorsi Strappati i manifesti di Assad (Ansa/Sky Tg24) Strappati i manifesti di Assad (Ansa/Sky Tg24) I vertici del partito Baath siriano hanno preso la decisione di abrogare la legge d'emergenza in vigore da 48 anni. Lo riferisce la tv panaraba al Arabiya, dopo le anticipazioni del consigliere presidenziale, Buthaina Shaaban. E a quanto sembra il governo siriano si dimetterà con molta probabilità a breve - si parla di martedì - e se ne formerà un altro incaricato di servire meglio gli interessi dei cittadini: lo riferiscono "fonti governative" di Damasco, sempre citate da al Arabiya. L'abrogazione della legge che conferisce poteri speciali alle forze di sicurezza è una delle richieste dei manifestanti che da giorni protestano contro il regime siriano. La legge, instaurata immediatamente dopo l'arrivo al potere della partito Baath nel marzo 1963, impone restrizioni sulla libertà di riunione e di spostamento, e permette l'arresto di "sospetti o di persone che minacciano la sicurezza". In questo modo è possibile sorvegliare le comunicazioni e fare un controllo preliminare su i giornali, le pubblicazioni, le radio e tutti i mass media. BAATH NON PIU' PARTITO UNICO - Le "fonti ufficiali" siriane citate da Al Arabiya hanno precisato che la direzione del Baath ha deciso l'abrogazione della legislazione d'emergenza "non appena entrerà in vigore la legge per l'antiterrorismo in corso di elaborazione". Inoltre, secondo le stesse fonti, le autorità siriane avrebbero deciso l'emendamento dell'articolo n.8 della Costituzione, che di fatto definisce il Baath il partito unico, "dopo la promulgazione della nuova legge sui partiti entro questa settimana". DISCORSO ALLA NAZIONE - Il presidente siriano, Bashar al Assad, ha deciso di fare un discorso alla nazione, mentre il Paese è scosso da una ondata di proteste senza precedenti dal suo arrivo al potere nel 2000. Lo ha annunciato il consigliere di Stato, Boussaina Shaabane, spiegando che il capo dello Stato vuole "spiegare la situazione e chiarire le riforme che intende condurre nel Paese". L'ESERCITO A LATAKIA - Intanto il regime siriano ha dispiegato truppe nella città di Latakia, teatro delle violente proteste degli ultimi giorni durante le quali sono state date alle fiamme sedi del partito Baath al potere e cecchini hanno sparato dai tetti contro i manifestanti. Secondo fonti governative citate dai media di Stato, i morti sabato a Latakia sono stati 12. L'intervento dei soldati, giunti a bordo di convogli di camion, ha messo per il momento fine alle manifestazioni. Ma dal web l'opposizione chiama allo sciopero generale in tutta la Siria, dopo le proteste che hanno investito nei giorni scorsi le città di Deera, Latakia e Tafas. La televisione di Stato non ha mandato in onda le immagini delle proteste, ma solo quelle di persone che inneggiavano al presidente Bashar al Assad. I feriti sarebbero 200, gran parte dei quali, secondo fonti governative, appartengono alle forze di sicurezza. Attivisti per i diritti umani hanno parlato di almeno sei morti a Latakia negli ultimi due giorni. RILASCIATA ATTIVISTA - Le autorità siriane hanno rilasciato Diana Jawabra, un'attivista il cui arresto aveva scatenato una serie di proteste nella sua città natale, Deraa, contro il partito al potere, Baath. Uno dei suoi avvocati ha reso noto che Jawabra è stata rilasciata insieme ad altri 16 attivisti politici, tutti fermati durante un sit-in organizzato per reclamare la liberazione dei detenuti politici, tra cui i 15 bambini di Deraa, arrestati perché sorpresi a scrivere graffiti anti-regime sui muri della loro scuola. TREMONTI: NON C'E' PETROLIO - "Quello che sta succedendo in Siria è un fatto molto importante, perché si tratta di un Paese mediamente grande e della caduta di un regime in piedi da mezzo secolo. Penso che la catena delle rivoluzioni arriverà fino in Asia", è l'analisi del ministro dell'Economia Giulio Tremonti alla trasmissione "In mezz'ora" di Lucia Annunziata su Rai 3. "Ho come l'impressione che non c'è il petrolio e che la voglia di intervento sia minore", ha aggiunto Tremonti. CLINTON: SIRIA NON E' LIBIA - Il segretario di Stato americano Hillary Clinton dal canto suo ha detto alla Cbs: "Non ci si deve aspettare adesso che gli Stati Uniti saranno coinvolti in Siria nella stessa misura in cui lo sono in Libia". In un'altra intervista rilasciata alla Nbc, Hillary Clinton ha aggiunto che nella riunione di martedì prossimo a Londra del Gruppo di Contatto verrà discusso come facilitare l'uscita di scena del colonnello Muammar Gheddafi. Redazione online 27 marzo 2011
2011-03-25 PREVISIONE DELl'ALLEANZA: LA NO-FLY ZONE POTREBBE DURARE NOVANTA GIORNI Sarkozy: "Ora soluzione diplomatica" Nuovo duello con Roma sulla regia Tutto il comando alla Nato. Intanto Tripoli si dice pronta alla "road map" proposta dall'Unione africana * NOTIZIE CORRELATE * "Alla Nato il comando della no fly zone" (24 marzo 2011) * Francia: Nato non avrà guida politica. Frattini: "Serve cessate il fuoco" (23 marzo 2011) * "La Nato farà rispettare l'embargo" Le dichiarazioni di Rasmussen VIDEO (22 marzo 2011) * PREVISIONE DELl'ALLEANZA: LA NO-FLY ZONE POTREBBE DURARE NOVANTA GIORNI Sarkozy: "Ora soluzione diplomatica" Nuovo duello con Roma sulla regia Tutto il comando alla Nato. Intanto Tripoli si dice pronta alla "road map" proposta dall'Unione africana Un caccia francese Rafale in volo sulla Libia (Ansa) Un caccia francese Rafale in volo sulla Libia (Ansa) MILANO - E' ancora tutto da verificare ma Tripoli si è detta "pronta ad attuare la road map" proposta dall'Unione africana per mettere fine alle ostilità in Libia. Lo ha affermato il rappresentante del regime di Muammar Gheddafi ad una riunione dell'organizzazione africana ad Addis Abeba. L'Unione africana (Ue), attraverso un piano ("road map") prodotto il 19 marzo a Nouakchott da un suo comitato sulla crisi libica, aveva chiesto una soluzione negoziale della crisi libica attraverso una fine immediata delle ostilità e l'avvio di un dialogo tra le controparti libiche, premessa di un "periodo di transizione" democratico. FRANCIA E GERMANIA - Nel frattempo Francia e Gran Bretagna sono al lavoro per preparare "una soluzione politica e diplomatica" per la Libia. Lo ha annunciato il presidente francese Nicolas Sarkozy al termine del vertice Ue. "Martedì al vertice di Londra - ha spiegato Sarkozy - con Cameron avanzeremo una proposta comune per scadenzare le prossime tappe dell'azione in Libia. Presenteremo un'iniziativa franco-britannica". La scadenza di martedì è decisiva anche per definire il passaggio alla Nato della guida e del coordinamento delle operazioni militari. Da quel giorno infatti il comando operativo passa all'Alleanza. Viene superato dunque il compromesso raggiunto giovedì alla riunione del consiglio Atlantico: la Nato assumeva il comando diretto delle operazioni militari di mantenimento della no fly zone ma non degli eventuali altri attacchi aerei di Paesi della coalizione contro truppe a terra, postazioni e mezzi blindati di Gheddafi. Ora invece la linea è più chiara: tutte le operazioni militari saranno coordinate e guidate dalla Nato. Per questo la Francia insiste ancora per un coordinamento politico dell'intera operazione aperto anche a Paesi arabi e africani che altrimenti parteciperebbero a operazioni militari ma senza alcun rapporto nella catena di comando con la guida complessiva affidata soltanto alla Nato. Sarkozy spiega la posizione francese al termine del vertice di Bruxelles (Reuters) Sarkozy spiega la posizione francese al termine del vertice di Bruxelles (Reuters) GUIDA POLITICA - Sono i motivi che hanno spinto il presidente francese Sarkozy, nel vertice Ue, a insistere sul fatto che l'aspetto fondamentale della missione è quello di avere una "guida politica", perché "non sono le forze della Nato che vanno a proteggere la popolazione libica, ma le forze di una coalizione di undici Paesi, tra cui due Paesi arabi". Per Sarkozy, dunque, "le decisioni sono prese dal coordinamento politico. Le missioni della Nato avverranno sulla base di obiettivi proposti da un coordinamento politico a più alto livello". Del resto - ha aggiunto il presidente - "la Nato non può assorbire Paesi come gli Emirati Arabi Uniti o il Qatar. È impossibile". COMANDO NATO - Resta il fatto che d'altra parte si afferma che la Nato assumerà "entro breve" la guida di "tutte le operazioni militari". Arriva anche la comunicazione che il comando è stato affidato al generale canadese Charles Bouchard . Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, conferma da Tunisi che "la Nato sarà operativa tra domenica e lunedì", ha spiegato in una conferenza stampa, "è quello che volevamo fin dal primo momento e per cui ci siamo battuti". La questione del coordinamento politico chiesto dai francesi è affidata a sottili distinguo, con la ricerca di termini adatti per accontentare tutti e . "Non ci sarà nessuna cabina di regia operativa" dice infatti Frattini, che però aggiunge che sarà attivo invece "un gruppo di contatto politico, che inizierà a lavorare martedì a Londra e a cui parteciperò anch'io". NOVANTA GIORNI - Da un funzionario dell'Alleanza arriva una previsione sulla durata dell'operazione di no-fly zone: novanta giorni, suscettibili di un prolungamento o di una riduzione se sarà necessario. Le notizie dalla Nato arrivano poche ore dopo che anche il Consiglio europeo ha espresso la sua posizione sull'intervento. "Le operazioni militari si concluderanno quando la popolazione civile sarà al sicuro dalla minaccia di attacchi e quando gli obiettivi della risoluzione 1973 (quella dello scorso 17 marzo sull'intervento in Libia, ndr) saranno raggiunti" scrivono in un documento in più punti i capi di Stato e di governo riuniti a Bruxelles. L'UE - Tra le conclusioni raggiunte dal Consiglio europeo c'è in primo luogo la sottoscrizione delle condizioni d'intervento poste dalle Nazioni Unite. L'Ue è "determinata a contribuire" all'applicazione della risoluzione Onu 1973 (ovvero quella adottata lo scorso 17 marzo dal Consiglio di sicurezza sull'intervento in Libia), si legge nel testo approvato a Bruxelles. I 27 sollecitano inoltre Gheddafi a farsi da parte "immediatamente", in modo da avviare il dialogo con le parti interessate e avviare la transizione democratica, tenendo comunque presente "la necessità di assicurare la sovranità e l'integrità territoriale della Libia". Un processo per il quale viene sottolineato il ruolo "cruciale" dei Paesi arabi, e in particolare della Lega araba. PETROLIO E GAS - Altro capitolo del documento del vertice, sulle sanzioni. L'Unione europea si è detta pronta a misure per assicurare che gli introiti provenienti da petrolio e dal gas non finiscano nelle tasche del regime di Gheddafi. Una proposta in questa direzione verrà anche presentata al Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Un provvedimento necessario "a garantire che Gheddafi non paghi i suoi mercenari con le risorse petrolifere", ha spiegato il presidente francese Nicolas Sarkozy. L'"embargo totale sul petrolio libico e ampie limitazioni commerciali", era stata ribadita giovedì dalla cancelliera tedesca Angela Merkel in un intervento al Bundestag prima del Consiglio europeo. Soddisfatto del documento del vertice il premier italiano Silvio Berlusconi. "TRA 8 MILA E 10 MILA MORTI" - A Misurata si combatte, con i ribelli che continuano a controllare il porto. Le truppe leali a Muammar Gheddafi hanno ripreso a bombardare Agedabia, città a 50 chilometri da Bengasi, riferisce Al Jazeera. Dai ribelli, intanto, arriva un bilancio delle vittime dall'inizio del conflitto: tra 8 mila e 10 mila persone. Il segretario di Stato Usa Hillary Clinton ha sottolineato che gli uomini del Colonnello "arretrano" ma restano una minaccia. Dagli Emirati arabi uniti, la notizia che saranno inviati 12 aerei per contribuire a far rispettare la no-fly zone. Redazione online 25 marzo 2011
PREVISIONE DELl'ALLEANZA: LA NO-FLY ZONE POTREBBE DURARE NOVANTA GIORNI Frattini: "Guida alla Nato entro lunedì" Sarkozy insiste su una guida politica Parigi: "Intesa con Londra per soluzione diplomatica". Vertice Ue: sì a nuove sanzioni. I ribelli: già 8 mila morti * NOTIZIE CORRELATE * "Alla Nato il comando della no fly zone" (24 marzo 2011) * Francia: Nato non avrà guida politica. Frattini: "Serve cessate il fuoco" (23 marzo 2011) * "La Nato farà rispettare l'embargo" Le dichiarazioni di Rasmussen VIDEO (22 marzo 2011) * PREVISIONE DELl'ALLEANZA: LA NO-FLY ZONE POTREBBE DURARE NOVANTA GIORNI Frattini: "Guida alla Nato entro lunedì" Sarkozy insiste su una guida politica Parigi: "Intesa con Londra per soluzione diplomatica". Vertice Ue: sì a nuove sanzioni. I ribelli: già 8 mila morti Un caccia francese Rafale in volo sulla Libia (Ansa) Un caccia francese Rafale in volo sulla Libia (Ansa) MILANO - La Francia e la Gran Bretagna stanno preparando "una soluzione politica e diplomatica" per la Libia. Lo ha annunciato il presidente francese Nicolas Sarkozy al termine del vertice Ue. "Martedì al vertice di Londra - ha spiegato Sarkozy - con Cameron avanzeremo una proposta comune per scadenzare le prossime tappe dell'azione in Libia. Presenteremo un'iniziativa franco-britannica". La scadenza di martedì è decisiva anche per definire il passaggio alla Nato della guida e del coordinamento delle operazioni militari. Da quel giorno infatti il comando operativo passa all'Alleanza. Restano comunque le posizioni espresse dal compromesso raggiunto giovedì alla riunione del consiglio Atlantico: la Nato assume il comando diretto delle operazioni militari di mantenimento della no fly zone, e il coordinamento degli eventuali altri attacchi aerei che i Paesi della coalizione compiono contro truppe a terra, postazioni e mezzi blindati di Gheddafi. Allo stesso tempo la Francia insiste per un coordinamento politico dell'intera operazione aperto anche a Paesi arabi e africani che altrimenti parteciperebbero a operazioni militari ma senza alcun rapporto con la guida complessiva se affidata soltanto alla Nato. Sarkozy spiega la posizione francese al termine del vertice di Bruxelles (Reuters) Sarkozy spiega la posizione francese al termine del vertice di Bruxelles (Reuters) GUIDA POLITICA - Per questo il presidente francese nel vertice Ue ha insistito sul fatto che l'aspetto fondamentale della missione è quello di avere una "guida politica", perché "non sono le forze della Nato che vanno a proteggere la popolazione libica, ma le forze di una coalizione di undici Paesi, tra cui due Paesi arabi". Per Sarkozy, dunque, "le decisioni sono prese dal coordinamento politico. Le missioni della Nato avverranno sulla base di obiettivi proposti da un coordinamento politico a più alto livello". Del resto - ha aggiunto il presidente - "la Nato non può assorbire Paesi come gli Emirati Arabi Uniti o il Qatar. È impossibile". COMANDO NATO - Resta il fatto che d'altra parte si afferma che Nato assumerà 0171entro breve" la guida di "tutte le operazioni militari". Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, conferma da Tunisi che "la Nato sarà operativa tra domenica e lunedì", ha spiegato in una conferenza stampa, "è quello che volevamo fin dal primo momento e per cui ci siamo battuti". La questione del coordinamento politico chiesto dai francesi è affidata a sottili distinguo, con la ricerca di termini adatti per accontentare tutti. "Non ci sarà nessuna cabina di regia operativa" dice infatti Frattini, che però aggiunge che sarà attivo invece "un gruppo di contatto politico, che inizierà a lavorare martedì a Londra e a cui parteciperò anch'io". NOVANTA GIORNI - Da un funzionario dell'Alleanza arriva anche una previsione sulla durata dell'operazione di no-fly zone: novanta giorni, suscettibili di un prolungamento o di una riduzione se sarà necessario. Le notizie dalla Nato arrivano poche ore dopo che anche il Consiglio europeo ha espresso la sua posizione sull'intervento. "Le operazioni militari si concluderanno quando la popolazione civile sarà al sicuro dalla minaccia di attacchi e quando gli obiettivi della risoluzione 1973 (quella dello scorso 17 marzo sull'intervento in Libia, ndr) saranno raggiunti" scrivono in un documento in più punti i capi di Stato e di governo riuniti a Bruxelles. L'UE - Tra le conclusioni raggiunte dal Consiglio europeo c'è in primo luogo la sottoscrizione delle condizioni d'intervento poste dalle Nazioni Unite. L'Ue è "determinata a contribuire" all'applicazione della risoluzione Onu 1973 (ovvero quella adottata lo scorso 17 marzo dal Consiglio di sicurezza sull'intervento in Libia), si legge nel testo approvato a Bruxelles. I 27 sollecitano inoltre Gheddafi a farsi da parte "immediatamente", in modo da avviare il dialogo con le parti interessate e avviare la transizione democratica, tenendo comunque presente "la necessità di assicurare la sovranità e l'integrità territoriale della Libia". Un processo per il quale viene sottolineato il ruolo "cruciale" dei Paesi arabi, e in particolare della Lega araba. PETROLIO E GAS - Altro capitolo del documento del vertice, sulle sanzioni. L'Unione europea si è detta pronta a misure per assicurare che gli introiti provenienti da petrolio e dal gas non finiscano nelle tasche del regime di Gheddafi. Una proposta in questa direzione verrà anche presentata al Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Un provvedimento necessario "a garantire che Gheddafi non paghi i suoi mercenari con le risorse petrolifere", ha spiegato il presidente francese Nicolas Sarkozy. L'"embargo totale sul petrolio libico e ampie limitazioni commerciali", era stata ribadita giovedì dalla cancelliera tedesca Angela Merkel in un intervento al Bundestag prima del Consiglio europeo. Soddisfatto del documento del vertice il premier italiano Silvio Berlusconi. "TRA 8 MILA E 10 MILA MORTI" - A Misurata si combatte, con i ribelli che continuano a controllare il porto. Le truppe leali a Muammar Gheddafi hanno ripreso a bombardare Agedabia, città a 50 chilometri da Bengasi, riferisce Al Jazeera. Dai ribelli, intanto, arriva un bilancio delle vittime dall'inizio del conflitto: tra 8 mila e 10 mila persone. Il segretario di Stato Usa Hillary Clinton ha sottolineato che gli uomini del Colonnello "arretrano" ma restano una minaccia. Dagli Emirati arabi uniti, la notizia che saranno inviati 12 aerei per contribuire a far rispettare la no-fly zone. Redazione online 25 marzo 2011
possono resistere ad alcune delle contromisure dei caccia occidentali Missili "proibiti" nelle mani di Gheddafi Le foto dalla Libia mostrano le forze del regime in possesso degli Sa 24, armi russe su cui c'è l'embargo possono resistere ad alcune delle contromisure dei caccia occidentali Missili "proibiti" nelle mani di Gheddafi Le foto dalla Libia mostrano le forze del regime in possesso degli Sa 24, armi russe su cui c'è l'embargo Un "Sa 24 Grinch" Un "Sa 24 Grinch" WASHINGTON (USA) - Tutto è nato da un filmato della Cnn e alcune foto arrivate dalla zona dei combattenti. Mostrano un missile anti-aereo su un camioncino dell’esercito libico: è un "Sa 24 Grinch" di fabbricazione russa. La rivista "Aviation Week" e qualche esperto hanno manifestato una certa sorpresa. Non era noto che la Libia avesse il missile nel suo arsenale. Il missile "Sa 24" e' ritenuto abbastanza sofisticato e insidioso perché resistente ad alcune delle contromisure dei caccia occidentali. INTERROGATIVO - La domanda è semplice: chi ha ceduto i "Grinch" alla Libia? Ufficialmente Mosca non ha venduto armi di questo tipo a Tripoli. O perlomeno non lo ha fatto in modo diretto. Questo ovviamente non esclude che i russi abbiano fatto arrivare gli ordigni con una triangolazione. Tra i sospettati anche il Venezuela che ha acquistato una versione del "Grinch" che può essere portata a spalla. Una fornitura che ha sollevato qualche timore a Washington che teme che i missili finiscano nelle mani dei terroristi. Dunque è possibile che Caracas abbia fatto un favore a Tripoli: tra i due paesi i rapporti sono molto stretti. Fonti Nato hanno confermato che anche nelle ultime settimane il regime ha continuato a ricevere armi, munizioni e altro equipaggiamento. Un traffico che si è sviluppato via mare. Subito dopo l’inizio della rivolta a Tripoli e Sebha sono arrivati carici di materiale bellico in provenienza dall’Est europeo. La risoluzione Onu prevede che la coalizione faccia rispettare l’embargo e autorizza le ispezioni su navi o aerei diretti in Libia. E da mercoledì è stata annunciata la formazione di una flottiglia Nato sotto il comando italiano con il compito di controllare lo spazio marittimo libico. Guido Olimpio 24 marzo 2011
Italians Berlusconi sa leggere l'umore nazionale Vorremmo evitare lo scontro con Gheddafi ma essere fedeli agli alleati Italians Berlusconi sa leggere l'umore nazionale Vorremmo evitare lo scontro con Gheddafi ma essere fedeli agli alleati Sono curioso di vedere Silvio Forever, il film/documentario di Faenza-Stella-Rizzo, per verificare un sospetto: Berlusconi è un paesaggio, più che una persona. Dentro ci sono vette e anfratti, rapide e paludi, autostrade e scorciatoie, rettilinei e curve (non quelle, signor Mora). Una biografia geografica, in cui tutti, prima o poi finiamo per ritrovare qualcosa di noi. A chi sta per gridare "Io no! Io non ho nulla a che fare con lui!", rispondo quello che ho risposto a un lettore (italiano) all'università di Zurigo, lunedì: "Mi faccia parlare con sua moglie, il suo commercialista e il suo confessore: poi ne discutiamo". Se è evidente che il personaggio è unico, è altrettanto chiaro che ha capacità di scavare e scovare istinti collettivi. L'uomo è un rabdomante delle debolezze italiane. Non un gran viatico per un leader; ma un buon modo di guadagnarsi attenzioni, assoluzioni e voti. Prendiamo la frase che ha segnato la prima settimana di una guerra frettolosa: "Sono addolorato per Gheddafi e mi dispiace". Scusi? Manda i Tornado e si dispiace? Offre le basi e si addolora? Qui siamo oltre la semplice incoerenza: siamo alla bellicosità empatica, al bon ton esplosivo, al futurismo governativo. L'immaginifico D'Annunzio avrebbe abbracciato il dispiaciuto Silvio. Il motto Genio et voluptati, in fondo, va bene per tutt'e due. Baciamano tripolitano, avanspettacolo romano, melodramma italiano: non ci siamo fatti mancare niente, e chissà se il Colonnello, chiuso nel suo bunker, riesce a vedere l'ironia del tutto. Quello che da lontano non riuscirà a capire - né lui né altri - è la capacità di lettura dell'umore nazionale da parte di Silvio B. L'uomo - ascoltando la pancia, non i consulenti - ha capito che vorremmo evitare lo scontro, ma essere fedeli agli alleati. Se le due cose sono incompatibili nei fatti, le rendiamo compatibili in una frase. Immaginate un pilota americano che si alzasse in volo pensando che il suo Presidente "è dispiaciuto" per i missili che sta per lanciare. I piloti italiani, siamo certi, non si sono posti il problema: sanno con chi hanno a che fare. Vogliamo salvare gli insorti di Bengasi dalla carneficina? Certo. Vorremmo sbarazzarsi di un personaggio che, avuta la notizia della risoluzione dell'Onu, ha detto: "Attaccherò i vostri aerei commerciali, punirò i vostri civili provocando una, due, tre nuove stragi come quella di Lockerbie"? Ovvio. Vogliamo risolvere il problema, ma non sappiamo come. Esistono due minoranze senza dubbi: i pacifisti, sempre contrari all'uso delle armi (ma incapaci di impedire che altri le usino); e i bellicosi secondo cui le armi risolvono tutto o quasi (sebbene la storia dimostri il contrario). Silvio B. parla per la maggioranza che, sostanzialmente, non ha una soluzione ma teme l'astensione. Su di noi esiste, nel mondo, un sospetto preventivo di indecisione. Potremmo rispondere che essere certi di fronte all'incertezza sembra poco saggio. Ma non lo facciamo. Preferiamo l'attacco riluttante agli ordini di un capo dispiaciuto. Beppe Severgnini 24 marzo 2011(ultima modifica: 25 marzo 2011)
Le opzioni sul tavolo Il rebus del Colonnello Tre scenari: l'esilio, il tradimento dei gerarchi, la divisione del Paese. Una possibilità: incriminazione sospesa in cambio dell'uscita di scena del Raìs Le opzioni sul tavolo Il rebus del Colonnello Tre scenari: l'esilio, il tradimento dei gerarchi, la divisione del Paese. Una possibilità: incriminazione sospesa in cambio dell'uscita di scena del Raìs WASHINGTON - Muammar Gheddafi ha promesso: "Io resto nella mia tenda". E la pensano così molti oppositori. Difficile che ceda. Eppure figure di primo piano del regime, Musa Kusa e Abdullah Senussi, hanno cercato dei contatti con Washington e nei paesi arabi. Altre mosse le ha compiute il figlio del raìs, Saif Al Islam, attraverso intermediari in Austria. Roger Tamraz, un uomo d'affari vicino alla Libia e ben conosciuto anche in Italia, ha confermato che il regime ha avviato un'iniziativa che potrebbe avere come esito una tregua ma non ha escluso neppure l'opzione dell'esilio. Fonti libiche hanno aggiunto che l'attuale premier Mahmoudi Bagdadi e un secondo dirigente hanno parlato con i ribelli di Bengasi. Non si sarebbero mossi senza il consenso del raìs. Notizie che fanno ipotizzare che, alla fine, il colonnello possa lasciare. E' davvero così? Magari il dittatore vuol buttare fumo negli occhi. O ancora: le indiscrezioni sono una manovra per insinuare dubbi nel bunker di Tripoli. In questa crisi, tutto è ancora aperto. C'è chi lavora - come l'Italia - ad un accordo sul cessate il fuoco seguito da una trattativa. Tre gli scenari considerati in ambienti diplomatici.
L'ESILIO Gheddafi, se dovesse cadere nelle mani del nemico, rischia la pelle. Come Ceausescu e Saddam. Oppure finisce in galera per i crimini compiuti contro la popolazione. Le prove - ha ribadito ieri il presidente della Corte penale Internazionale dell'Aja - sono abbondanti. Omicidi, torture e centinaia di persone fatte sparire. Al Colonnello viene proposto il baratto: sospendiamo l'incriminazione e tu va in esilio con una parte del tesoro. La soluzione può trovare un appiglio anche una scappatoia legale. Due Paesi, in ottimi rapporti con Tripoli, non hanno firmato il Trattato di Roma sulla Corte Penale internazionale, che regola i procedimenti per i crimini. Il primo è lo Zimbabwe di Robert Mugabe. Il secondo è la Guinea Equatoriale guidata da Teodoro Obiang Nguema attuale presidente dell'Unione Africana e coinvolto, nei giorni scorsi, in una timida mediazione. La "pista" dello Zimbabwe non è costruita sulla sabbia. Gheddafi ha molte proprietà nel Paese, ha investito denaro e sarebbe accolto come un amico al quale si deve molto. Inoltre qui non si applica il Trattato sui crimini. All'inizio della crisi si è pensato anche al Sudafrica, legato da relazioni speciali con il Colonnello. Le cose, però, si sono complicate. I sudafricani hanno votato in favore della no-fly zone anche se hanno ribadito che l'operazione non deve portare al cambio di regime. Un altro Paese che ha rapporti privilegiati è la Bielorussia, grande fornitore di armi. In alternativa l'Algeria che, in queste settimane, ha lavorato per la Libia. In sede diplomatica e sul campo favorendo - sembra - il transito di rifornimenti. Più lontani ci sono il Venezuela di Chavez e il Nicaragua di Ortega: i due presidenti sarebbero pronti a concedergli ospitalità. L'esilio venezuelano è stato evocato nei primi giorni della guerra. Uno dei figli del raìs è stato segnalato sull'isola Margarita, località turistica e di affari. I GERARCHI I negoziati segreti non riguardano Gheddafi ma piuttosto il suo "cerchio di ferro". Con messaggi diretti, minacce e offerte, la coalizione prova a sgretolare il regime dall'interno. In concomitanza con l'offensiva, l'intelligence ha ripetuto uno schema già adottato - con scarso successo - nell'Iraq di Saddam. Telefonate ai gerarchi perché cambino campo. Dopo che la Libia è stata "riabilitata" si sono sviluppate conoscenze dirette tra 007, diplomatici, alti funzionari. Fino a un mese fa si parlavano e non da avversari. Infatti, sono stati Musa Kusa e Senussi a cercare i primi approcci. Possono agire per conto del boss ma anche per se stessi. Se abbandonano Tripoli, l'apparato perderà pezzi importanti. Un vuoto che il raìs può bilanciare con il clan familiare. IL COMPROMESSO Le trattative hanno l'obiettivo di salvare Gheddafi. Almeno nel medio termine. Lui resta il re della Tripolitania e i ribelli sono i signori della Cirenaica. Quindi si cerca di avviare un dialogo che oggi appare impossibile. Gli insorti lo rifiutano, la Francia definisce Gheddafi un capo "screditato", Obama ha sostenuto che deve andarsene. Ma ci sono altri protagonisti - l'Italia è tra questi - che studiano soluzioni diverse che partono dal coprifuoco come prima passo. Un'azione che il governo Berlusconi insegue con due capitali amiche. Mosca e Ankara. Un terzetto contrario alla guerra, con forti interessi a Tripoli, che può trovare per strada altri compagni. Scommettono sulla disorganizzazione dei ribelli e la tempra del raìs. Il Cremlino non è certo contento di vedere partire un suo buon "cliente" e non lo è neppure la Turchia che sta svolgendo un ruolo primario. Snobbata da Parigi, è rientrata nella partita diplomatica. L'asse potrebbe allargarsi alla Lega Araba. C'è un blocco di paesi che non piange per la sorte di Muammar. Al tempo stesso i leader, alle prese con rivolte interne, si fanno due conti: oggi tocca Gheddafi, domani a noi. Se la rivoluzione libica dovesse arenarsi non sarebbero poi così dispiaciuti. Guido Olimpio 25 marzo 2011
ETICA E POLITICA Oggi la Libia, ieri il Kosovo e l'Iraq Perché questa guerra è giustificabile ETICA E POLITICA Oggi la Libia, ieri il Kosovo e l'Iraq Perché questa guerra è giustificabile Non è necessario essere pacifisti militanti per sostenere che la guerra sia una cosa orribile e ingiusta. Almeno sul piano etico, è difficile accettare che qualcuno possa decidere di bombardare e uccidere, anche quando i bersagli siano terroristi o dittatori. La guerra giusta è come il rischio zero nel nucleare: più grande è la falla nel sistema, più spazio c'è per polemiche e avvertenze prima dell'uso. Ma l'orrore per la guerra non può tramutarsi in indifferenza verso massacri e impotenza della comunità internazionale di fronte a gravi violazioni dei diritti umani. Il mondo è lontano dall'ideale della pace universale di Kant: occorre quindi l'accettazione (anch'essa morale) di guerre giustificabili, se non giuste. È uno dei criteri fondanti delle Nazioni Unite: i diritti dei popoli sono più importanti della sovranità degli Stati. Le polemiche sull'intervento in Libia e il rinfacciarsi fra destra e sinistra il sostegno a questa guerra o la condanna di guerre precedenti (dal Kosovo all'Iraq) avrebbero meno senso se alcuni punti fossero condivisi. In primo luogo il fatto che pochi interventi militari internazionali abbiano avuto un sostegno e una legittimazione così ampi quanto l'operazione "Odissea" in Libia, decisa dopo una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, con il sostegno della Lega araba e di molti Paesi europei. Si può argomentare sul "gallismo" dei francesi, sugli eccessi di protagonismo elettorale di Sarkozy, sulle divisioni non sorprendenti dell'Europa, sul recalcitrare della Lega araba dopo i primi missili, sull'opportunità o meno del comando Nato - necessario per il coordinamento delle operazioni, meno utile per le sensibilità dei Paesi arabi - ma sono appunti che non stravolgono la sostanza giuridica della decisione di bombardare la Libia. Tra l'altro, si tratta di un intervento multilaterale: non più soltanto occidentale, non più a guida americana. La Francia ha capito la posta in gioco e ha scommesso, con un occhio ai propri interessi, sul futuro della regione. Che potrà essere incerto, però sarà probabilmente senza alcuni dei dittatori di oggi. Non è stato così per l'intervento in Iraq, deciso unilateralmente dagli Stati Uniti, con il falso pretesto delle armi di distruzione di massa in possesso di Saddam. Non è stato così nemmeno in Kosovo, poiché il bombardamento della Serbia di Milosevic fu deciso in ambito Nato, adottando la tesi di un intervento "difensivo". Solo successivamente intervennero le Nazioni Unite, con una risoluzione che fra l'altro rispettava l'integrità della Federazione jugoslava (così si chiamava ancora il Paese di Milosevic) e non prevedeva l'indipendenza del Kosovo. L'intervento in Afghanistan fu legittimato dalle Nazioni Unite che dopo l'attentato alle Torri Gemelle affermarono la necessità di combattere con ogni mezzo il terrorismo. Valse per gli Usa il diritto all'autodifesa. Nella caduta di Kabul fu determinante l'Alleanza del Nord, la parte del popolo afghano che si opponeva ai talebani e che era doveroso aiutare. Furono sostenute dal consenso della comunità internazionale le operazioni in Somalia e a Timor Est. Purtroppo non si trovarono Paesi "volenterosi" per arrestare i genocidi in Ruanda e Cambogia. Agli argomenti giuridici, si possono muovere obiezioni sul piano morale. Milosevic e Saddam erano meno rispettabili di Gheddafi? E nei confronti di Milosevic e di Saddam l'Occidente non aveva intrattenuto quel genere di rapporti ambigui (affari, forniture di armi, rispettabilità e riabilitazione politica) che oggi vengono ricordati a proposito del rais libico? Le vittime della pulizia etnica nella ex Jugoslavia o della dittatura di Saddam erano più innocenti dei cittadini di Bengasi? La risposta, per quanto insoddisfacente, non può che essere politica. Se motivazioni morali e legittimazione giuridica dovrebbero essere argomenti condivisi, è la politica che stabilisce una gerarchia che offre il fianco alla polemica. Ed è la politica che - sempre a posteriori - stabilisce in base ai risultati la "convenienza" di un intervento. Nel caso dell'Iraq, è arduo negare le conseguenze dei bombardamenti sulla popolazione civile, lo stillicidio di attentati seguito all'occupazione militare, l'instabilità, il prezzo pagato dall'America e dall'Occidente in termini d'immagine ed esposizione al terrorismo. Per fare la guerra a Saddam si è scoperto il fronte afghano, si è permesso che il terrorismo accentuasse la presenza nel Paese, si sono forniti argomenti al fondamentalismo islamico.
Nel caso del Kosovo, le durissime operazioni della polizia serba avrebbero portato Milosevic al Tribunale dell'Aia per crimini di guerra. Si decise di appoggiare la secessione organizzata dai guerriglieri kosovari. Il distacco del Kosovo completò il processo di disgregazione della Jugoslavia. Chi scrive fu critico nei confronti di un intervento giuridicamente approssimativo, ma occorre riconoscere la preoccupazione morale di non veder ripetersi i massacri della Bosnia e l'obiettivo politico - non scritto in nessuna risoluzione, esattamente come oggi per Gheddafi - di sbarazzarsi di Milosevic, considerato un pericoloso e permanente fattore d'instabilità. Anche se poi fu la democratica rivoluzione dei serbi a cacciarlo. Nel caso della Libia, molte condizioni giuridiche, politiche e morali sembrano rispettate. Senza contare che in Libia, come in larga parte del mondo arabo, è in atto una rivoluzione per affermare libertà e diritti. Massimo Nava 24 marzo 2011
Ora scelte bipartisan In campo la Nato. Roma si è mosso fra esitazioni e incertezze. Ma sta passando la sua proposta Ora scelte bipartisan In campo la Nato. Roma si è mosso fra esitazioni e incertezze. Ma sta passando la sua proposta "La Nato rappresenta la soluzione di gran lunga più appropriata". Il timbro di Giorgio Napolitano ufficializza la richiesta italiana di una guida collegiale delle operazioni in Libia, affidata all'Alleanza atlantica; e conferma che la Francia rischia l'isolamento per il protagonismo militare eccessivo sfoggiato nell'interpretazione della risoluzione dell'Onu. Nel suo comunicato, il presidente della Repubblica parla di "piena sintonia" con Usa, Gran Bretagna ed "altri alleati". Le parole segnalano una potenziale crepa nella coalizione occidentale. E puntellano la richiesta del premier Silvio Berlusconi. Per capire se e in che modo la Nato parteciperà all'intervento sarà necessario aspettare qualche giorno; e soprattutto, superare ostacoli politici che non riguardano solo la Francia, piccata da quelle che definisce "polemiche artificiose". I contorni dell'azione contro il regime di Gheddafi rimangono ambigui: nel senso che ognuno finora ha teso a plasmarli secondo le convenienze nazionali. Ma proprio per questo, la capacità dell'Italia di avere posto alla comunità internazionale il tema di una gestione coordinata dell'intervento militare rappresenta un passo avanti. Come minimo, l'Occidente può evitare che la Libia diventi, è stato detto, una sorta di "Iraq dell'Europa": un pantano strategico, prima che militare, nel quale è facile entrare ma dal quale è difficilissimo uscire. Il governo di Roma si è mosso fra esitazioni e incertezze: prima spiazzato dall'interventismo franco-inglese; poi frenato e riorientato dalle cautele della Lega; e con un fondo costante di imbarazzo per i rapporti fra Berlusconi e Gheddafi. Ma sta passando la sua proposta, dettata anche dalla percezione acuta che ruolo e interessi italiani nel Mediterraneo corrono un pericolo mortale. A questo punto, il rischio è che si raggiunga un accordo di per sé laborioso sulla Nato, e poi manchino la convinzione e la disciplina per farlo funzionare: premessa indispensabile, quando si decide una missione che prevede bombardamenti aerei, indebolita dallo smarcamento della Germania. Per il governo di centrodestra, l'incognita riguarda la capacità di consegnare una questione così dirimente non a polemiche sterili fra maggioranza e opposizione, ma al Parlamento. Fra l'altro, ritrovare un simulacro di unità nazionale sulla politica estera significherebbe scoraggiare scarti e ripensamenti; e dare un'immagine del Paese meno sgualcita. C'è da chiedersi se non sarebbe stato meglio affidare allo stesso Berlusconi il compito di spiegare oggi in Parlamento l'intervento in Libia. Forse, è insieme il segno di una difficoltà e di una situazione in bilico: anche per le incognite pesanti dell'immigrazione dal Maghreb. L'appello italiano alla Ue affinché ne condivida i costi può preludere a tensioni non solo interne. Ma se non sarà governato, il problema dei profughi promette di diventare un fattore di debolezza e discordia in un momento in cui l'Europa dovrebbe mostrarsi unita: anche se non lo è. Massimo Franco 23 marzo 2011
Gli arabi e l'interventoL'ispiratore di Sarkozy Perché difendo comunque i Raid in Libia Questo intervento, che ha come primo scopo di proteggere i civili dai massacri, è, in ogni caso, il contrario di una spedizione coloniale Gli arabi e l'interventoL'ispiratore di Sarkozy Perché difendo comunque i Raid in Libia Questo intervento, che ha come primo scopo di proteggere i civili dai massacri, è, in ogni caso, il contrario di una spedizione coloniale Non è un intervento di terra, con carri armati, fanteria, occupazione, green zone e così via. È il contrario, dunque, della guerra, insensata, in Iraq. Il contrario della guerra, giusta, in Afghanistan. Non so se la guerra (giusta) in Afghanistan o la guerra (insensata) in Iraq fossero guerre "neocoloniali" (è infinitamente più complicato di questo); certo è che questa guerra, questo intervento, che ha come primo scopo di "santuarizzare" i civili massacrati di Misurata, Zawia, Bengasi, questa operazione di salvataggio, secondo cui nessun soldato occidentale dovrà posare un piede sul suolo libico è, in ogni caso, il contrario di una spedizione coloniale. Appunto, cos'è una guerra giusta? È una guerra che impedisce una guerra contro i civili. È una guerra che, per parodiare una celebre e incresciosa formula (quella di François Mitterrand che tenta di impedire, fino all'ultimo, gli attacchi aerei alle postazioni serbe sulle colline attorno a Sarajevo), sottrae la guerra alla guerra. Infine, è una guerra che, lungi dal pretendere, come in Iraq, di paracadutare, in un deserto politico, una democrazia pronta all'uso, si appoggia su un'insurrezione nascente, cioè permette, e permette soltanto, ai liberatori di fare il loro lavoro di liberatori e aiuta quindi, nella circostanza attuale, i libici a liberare la Libia. È una guerra di iniziativa francese, ma non è una guerra francese. È una guerra in cui si son visti, fin da sabato scorso, aerei francesi volare su Bengasi e cominciare a distruggere le capacità militari di un Gheddafi allo stremo e che aveva giocato l'ultima carta facendo piovere bombe sulla città. Ma è una guerra in cui sono entrati, a fianco della Francia e degli occidentali, nella stessa coalizione, il Qatar, gli Emirati, l'Egitto, mandatari sia di se stessi, sia di una Lega araba presente, fin dall'inizio, nel cuore di questo movimento di solidarietà mondiale con un Paese messo a ferro e fuoco dal proprio dirigente, sia di un popolo già impegnato (è il caso dell'Egitto) in una sommossa di cui legittimamente vuole universalizzare i comandamenti: è una guerra, dunque, non meno araba che occidentale. Qual è lo scopo di questa guerra? Di proteggere, davvero, soltanto, i civili di Misurata, Zawia, Bengasi? Di accontentarsi, eventualmente, di un Gheddafi che finga un atteggiamento moderato, metta via le armi e si ritiri nel suo feudo di Tripoli prima di riprendersi la rivincita fra sei mesi, un anno, o di più? Credo di no. Spero di no. Non si può pensare che la comunità internazionale faccia lo stesso errore che fece con Saddam Hussein lasciando intatta, vent'anni fa, dopo la prima guerra del Golfo, la sua capacità di nuocere, e di agire in maniera criminale. E non si può pensare che la risoluzione adottata giovedì scorso, con un voto storico, dalle Nazioni Unite, in cui si è saputo convincere cinesi e russi a non servirsi del loro diritto di veto, dia risultati così irrisori.Gheddafi ha commesso crimini contro l'umanità. Il primo riflesso di questo Gheddafi che, ci dicevano, era cambiato, aveva rinunciato al terrorismo ed era diventato (secondo Patrick Ollier, ministro francese - fino a quando? - dei Rapporti con il Parlamento) un fine lettore di Montesquieu, non è stato di dire, appena avuta la notizia del voto all'Onu: "Attaccate i miei aerei militari? In risposta, attaccherò i vostri aerei commerciali, punirò i vostri civili provocando una, due, tre nuove stragi come quella di Lockerbie"? Con questo Gheddafi non esistono negoziati né compromessi possibili. Al suo terrorismo senza limiti la comunità internazionale ha il dovere di rispondere, all'unisono con il popolo libico e il suo Consiglio nazionale di transizione: "Gheddafi, vattene!". Infatti, cosa vogliono i libici liberi? Chi sono? E cos'è il Consiglio nazionale di transizione che Nicolas Sarkozy, per primo, con un gesto politico decisivo e al tempo stesso coraggioso, ha riconosciuto? Certamente, non sono degli angeli (è da lungo tempo che non credo più agli angeli...). Non sono democratici alla Churchill, nati, chissà per quale miracolo, dalla coscia del gheddafismo (di cui alcuni furono, prima di disertare, servitori e debitori). Forse, ci sono fra loro persino antisionisti, magari antisemiti mascherati da antisionisti (sebbene, in nessuno degli incontri avuti a Bengasi e poi a Parigi, con nessuno dei loro dirigenti, abbia mai omesso di dire chi sono e in cosa credo).Penso solo che questi uomini e donne, come i loro fratelli della Tunisia, dell'Egitto o del Bahrein, siano in cammino verso una democrazia di cui stanno reinventando, a grande velocità, i principi e i riflessi. E sono sicuro che questi combattenti, che hanno imparato, di fronte alle colonne infernali e ai carri armati, cosa voglia dire libertà e in quale lingua dello spirito si scriva tale parola, saranno sempre meglio di un dittatore psicopatico che dell'apocalisse aveva fatto la sua ultima religione. Bernard-Henri Lévy 22 marzo 2011(ultima modifica: 24 marzo 2011)
OPERAZIONE LIBIA / 2 Gli interessi nazionali e le ipocrisie Noi i soli a ritenere l'interesse nazionale un "mostro morale", e a non perseguirlo con sano realismo, incoraggiati da una cultura progressista ondivaga OPERAZIONE LIBIA / 2 Gli interessi nazionali e le ipocrisie Noi i soli a ritenere l'interesse nazionale un "mostro morale", e a non perseguirlo con sano realismo, incoraggiati da una cultura progressista ondivaga L'intervento militare in Libia, da parte di una Comunità internazionale "dimezzata", solleva alcune domande di senso comune. Prima: perché si è intervenuti? Risposta: a seguito di una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu proposta da Francia e Gran Bretagna e approvata con l'astensione di Russia, Cina, Germania, India e Brasile. Giuridicamente, sembra lecito qualche dubbio sul diritto di intervento nei confronti di un Paese membro delle Nazioni Unite in preda a una rivolta interna. Resta in piedi la ragione politica; che "autorizza l'impiego di tutte le misure necessarie a proteggere le popolazioni civili e le zone abitate da civili". Fa testo la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo che motiva l'intervento - in contrasto col principio di sovranità sanzionato dalla pace di Westfalia che poneva fine alle guerre di religione (cuius regio, eius religio) e alle reciproche interferenze degli Stati - con le "ragioni umanitarie". Subentrano, però, due altre domande. Che senso ha intervenire contro il "tiranno" Gheddafi dopo averlo sostenuto a lungo? Perché in Libia sì e in altre parti del mondo, dove si sono consumati autentici genocidi, no? Emergono, così, due dati di fatto. Da una parte, la crisi di leadership degli Stati Uniti dopo l'irruzione della Cina, e della "nuova Russia", sulla scena mondiale. Dall'altra, dopo la fine della Guerra fredda, il ritorno dell'"interesse nazionale" in Europa. La Gran Bretagna vuole riprendersi il ruolo, se non sulla scena internazionale, almeno su quella europea, che aveva perso con la Seconda guerra mondiale; la Francia - che, dopo i fallimenti della sua politica di sostegno a Ben Ali in Tunisia e a Mubarak in Egitto, deve ripristinare la propria influenza nell'area - punta a sostituire l'Italia nei rapporti con la Libia (dal petrolio alle relazioni economiche e commerciali) del dopo-Gheddafi, precostituendosi relazioni privilegiate con la borghesia mercatista che subentrerà al Colonnello. Le rivolte popolari nei Paesi dell'Africa del Nord hanno messo in moto un riposizionamento delle grandi potenze regionali europee nell'area del Mediterraneo che sta relegando l'Italia in retroguardia. Prima di finire a rimorchio della Francia, e accodarsi a un intervento, ancorché inevitabile ma dal quale abbiamo tutto da perdere, sarebbe stata utile, da parte nostra, un'iniziativa diplomatica forte, come la proposta di una Conferenza dei Paesi dell'area, dalla Lega araba alle maggiori potenze europee. Ora, in quella che, per dirla con un tardo paradosso marxista, ha tutta l'aria di un'iniziativa para-coloniale, legittimata da una "guerra umanitaria" - della quale si eviterà probabilmente di fare il computo delle vittime - e condotta all'insegna di interessi nazionali accuratamente celati all'opinione pubblica da quel velo di ipocrisia che copre ogni operazione di Realpolitik, i giochi sono fatti alle nostre spalle. Siamo rimasti i soli a ritenere l'interesse nazionale un "mostro morale", e a non perseguirlo con sano realismo; incoraggiati da una cultura progressista ondivaga, che un giorno è internazionalista e l'altro nazionalista; un giorno è interventista e l'altro no. Piero Ostellino 22 marzo 2011(ultima modifica: 23 marzo 2011)
OPERAZIONE LIBIA / 1 Incertezze e dubbi fuori tempo Quando si spara e ci sono vite in gioco, si dovrebbe almeno capire che non è questo il momento di dividersi OPERAZIONE LIBIA / 1 Incertezze e dubbi fuori tempo Quando si spara e ci sono vite in gioco, si dovrebbe almeno capire che non è questo il momento di dividersi Gli aerei militari continuano a svolgere regolarmente le loro missioni, ma al suo terzo giorno l'operazione "Alba dell'Odissea" sta già vivendo una grave crisi politica che ha per protagonisti principali l'Italia e la Francia. Questa volta non si tratta, come tante altre, di eccessi di grandeur da parte francese contrapposti a eccessi di gelosia da parte italiana. Da ieri è in gioco molto di più: uno scontro sulla catena di comando che non riesce a nascondere due interpretazioni molto diverse della risoluzione 1973 dell'Onu. Dopo che per tutto il pomeriggio il ministro Frattini aveva chiesto a Bruxelles di porre "Alba dell'Odissea" sotto comando Nato avendo gli Usa confermato di voler fare un passo indietro, ieri sera è stato Silvio Berlusconi a dirsi "addolorato per Gheddafi" e a definire meglio la posizione italiana. Aggiungendo alla richiesta del comando Nato quello che è il vero oggetto del contendere: una più chiara definizione degli obiettivi della missione in Libia, "che per noi sono la no-fly zone, l'embargo e la protezione dei civili". Non solo: "I nostri aerei non hanno sparato e non spareranno - ha detto il presidente del Consiglio -, sono lì soltanto per il pattugliamento e per garantire il divieto di volo". Parole che sembrano comportare una correzione di rotta nella linea italiana, perché sin qui il nostro governo era parso consapevole del fatto che una no-fly zone non può essere imposta senza prima colpire le difese antiaeree di Gheddafi, e aveva comunque assicurato che l'Italia avrebbe fatto la sua parte non soltanto concedendo le basi ad altri. Appare verosimile che Berlusconi abbia voluto disegnare una posizione di compromesso che lo metta al riparo da uno scontro con la Lega, ma risulta difficile non rilevare come ciò avvenga nel bel mezzo di una operazione militare alleata e al cospetto di una risoluzione Onu che si presta tanto alle interpretazioni estensive quanto a quelle restrittive: è vero che obiettivi indicati sono la no-fly zone, l'embargo e la protezione dei civili, ma è anche vero che per proteggere i civili viene previsto il ricorso a "ogni mezzo necessario". E qui risiede, appunto, la vera sostanza della linea scelta da Berlusconi e del contrasto con la Francia sul comando Nato. Frattini ha spiegato i termini della questione. Nella prima ora l'attacco unilaterale francese contro i mezzi corazzati di Gheddafi era giustificato, ha detto, dall'emergenza e dal timore che la conquista di Bengasi portasse a un bagno di sangue. Ma ora occorre tornare nella normalità di un comando che coordini e controlli tutti, che informi tutti di quello che stanno facendo gli altri e che tenga d'occhio interpretazioni troppo larghe della risoluzione dell'Onu. Eccolo ancora una volta, il dente che duole. E per rinforzare la sue argomentazioni, Frattini ha avvertito che se a un comando Nato non si giungesse l'Italia si sentirebbe nel pieno e logico diritto di assumere in prima persona il comando delle sue basi. Si arriverebbe così a una moltiplicazione di comandi (perché beninteso "Alba" andrebbe avanti), ma lo stesso Frattini, che punta a un accordo nella giornata di oggi, ha specificato che non si tratterebbe di una buona soluzione. Alla interpretazione restrittiva dell'Italia si affiancano approcci che ben dimostrano cosa accade tra europei quando gli americani sono reticenti (e lo sono sempre di più) a impugnare loro la bandiera. I britannici, per esempio, sono tendenzialmente d'accordo con il comando Nato. Ma non lo sono affatto con il "non spareremo" di Berlusconi, e difatti sono tra quelli che sparano di più. Quanto ai francesi, hanno due motivi per contrastare l'approccio italiano. Il primo appartiene alla loro storia politica che non è completamente cambiata con Sarkozy e che non gradisce che le decisioni di Parigi vengano filtrate o addirittura determinate da una Alleanza Atlantica vista (in questo caso erroneamente) come cortile di casa degli americani. Il secondo motivo tocca ancora una volta la risoluzione Onu. Senza il nostro primo attacco - dicono a Parigi, e hanno ragione - le forze di Gheddafi sarebbero entrate a Bengasi e l'intera operazione sarebbe fallita prima di cominciare. Vogliamo perciò - e qui hanno meno ragione - restare liberi di fare le nostre mosse. Beninteso sulla base di una interpretazione del documento Onu opposta a quella italiana. Quel che maggiormente colpisce, in questo braccio di ferro che va ben oltre la discussione sul comando della Nato, è il suo ritardo. Possiamo immaginare qualche motivo di politica interna, in Italia e almeno parzialmente anche in Francia. Ma quando si spara (perché gli altri lo fanno) e ci sono vite in gioco, si dovrebbe almeno capire che non è questo il momento di dividersi. Franco Venturini 22 marzo 2011(ultima modifica: 23 marzo 2011)
OPERAZIONE "ALBA DELL'ODISSEA" Libia, gli italiani rischiano di più Siamo il Paese più vicino e il più esposto alle ritorsioni OPERAZIONE "ALBA DELL'ODISSEA" Libia, gli italiani rischiano di più Siamo il Paese più vicino e il più esposto alle ritorsioni Abbiamo fatto la cosa giusta, l'unica possibile, aderendo alla "coalizione di volenterosi" impegnati, dietro mandato Onu, a bloccare l'azione di Gheddafi contro i ribelli di Bengasi. E sicuramente faremo bene a partecipare con tutti i nostri mezzi a questa azione internazionale. Non potevamo di certo tirarci indietro. Impedire a Gheddafi di fare un bagno di sangue in Cirenaica è sacrosanto. Ciò premesso, qualche chiarimento in più lo dobbiamo a noi stessi, al Paese. Perché le guerre, come osservava giustamente Alberto Negri sul Sole 24 Ore di ieri, si sa come cominciano e non si sa come finiscono. E se anche l'opinione pubblica, forse, non lo ha ancora pienamente realizzato, siamo in guerra. In una guerra, per giunta, di cui non sono chiare le finalità e gli sbocchi possibili. Poiché è noto che i soli bombardamenti sono di rado risolutivi per vincere una guerra, e manca al momento qualsiasi copertura legale internazionale per una azione di terra contro le forze di Gheddafi, sembra evidente che l'impegno occidentale in corso ha un obiettivo di minima e uno di massima: quello di minima è impedire a Gheddafi di sopraffare l'intera Cirenaica. Una azione occidentale "di successo" potrebbe allora sancire la definitiva divisione della Libia in due tronconi. Non possiamo non chiederci se a noi italiani converrebbe un simile esito. L'obiettivo di massima, a quanto si capisce, è infliggere così tanti danni alle forze militari di Gheddafi da spingere le tribù che lo sostengono a "scaricarlo", consentendo così la riunificazione del Paese. Sarebbe un risultato eccellente (un vero, pieno successo della coalizione occidentale) ma è difficile negare che se quello è l'obiettivo, allora si tratta di una scommessa ad altissimo rischio. Cosa faranno in realtà i gruppi che sostengono Gheddafi nessuno oggi può saperlo. Si tenga poi conto del difficilissimo contesto internazionale: la Russia, dopo essersi astenuta sulla risoluzione 1973, ha ora assunto una posizione duramente ostile all'intervento occidentale. Anche la Cina è ostile ma più cauta. La Lega araba, il cui assenso aveva consentito agli Stati Uniti di rompere infine gli indugi e di passare all'azione, ora critica i bombardamenti ritenendoli al di là degli obiettivi della costituzione di una no-fly zone. Il che riflette il fatto che il mondo arabo è spaccato, diviso fra i nemici di Gheddafi e quelli che, come la Siria, l'Algeria e il Sudan, lo appoggiano. Il modo in cui il mondo occidentale si è mosso fin dall'inizio in questa vicenda solleva molte perplessità. Obama ha rivelato, con le sue oscillazioni nelle settimane che hanno preceduto l'intervento, una irresolutezza strategica imbarazzante: il leader del mondo occidentale non dovrebbe permetterselo. L'Europa ha fatto come al solito nei momenti di crisi: è andata in pezzi. La Germania non è il Lussemburgo e il fatto che si sia tirata fuori chiarisce definitivamente che l'Europa non dispone di una leadership all'altezza della gravità delle sfide. Anzi, non dispone di una leadership, punto. La Francia ha fatto il suo gioco: la Grandeur ha sempre un certo fascino per i francesi e Sarkozy aveva bisogno di riprendersi un po' della popolarità perduta. Ieri in Francia si sono tenute delle importanti elezioni cantonali (quando si dice le coincidenze), un test cruciale in attesa delle prossime presidenziali. Fare la guerra per spingere i concittadini a stringersi around the flag (intorno alla bandiera) è uno stratagemma classico della più classica realpolitik. La causa è nobile (salvare uomini dallo sterminio) e inoltre, il che non guasta, in Libia c'è la prospettiva di un grosso "bottino": chi farà i migliori affari con gli insorti a guerra conclusa? Per la Francia, come per la Gran Bretagna, i rischi di guerra sono più che compensati dai possibili guadagni. L'Italia, invece, è in tutt'altra situazione. Noi siamo quelli che rischiano di più. Non solo economicamente ma anche fisicamente. Siamo il Paese più vicino e il più esposto alle ritorsioni. Per carità di patria sorvoliamo sulle contorsioni fatte in questi giorni dal nostro governo (e speriamo anche che rientri il dissenso, che non conviene a nessuno, della Lega). Limitiamoci a riconoscere che noi avevamo, e abbiamo, obiettivamente, fra gli occidentali, la posizione in assoluto più difficile. Il calcolo costi/benefici è diverso per l'Italia e per la Francia. Il che obbliga anche chi, come chi scrive, è favorevole alla nostra presenza nel conflitto, a guardare comunque con rispetto alle perplessità, tutt'altro che campate in aria, di alcuni esponenti politici (come quelle espresse dal sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano sul Corriere di ieri). Noi italiani non siamo abituati a pensare alla politica internazionale in termini realistici. Non è passato in fondo troppo tempo da quando più di metà degli italiani stava sempre con gli americani a prescindere e i restanti italiani con i sovietici, sempre a prescindere. Siamo impreparati a un gioco in cui dobbiamo bilanciare solidarietà con gli alleati, perseguimento, quando è possibile, di "buone cause" e attenzione ai nostri interessi. Lo fanno gli altri, dobbiamo farlo anche noi. È una caratteristica di tutte le coalizioni di guerra: gli alleati hanno una causa comune ma anche interessi non coincidenti. Mentre a francesi e inglesi importa ridimensionare la nostra presenza in Libia noi abbiamo l'interesse opposto. Dovremmo, in primo luogo, impegnarci fin da subito, a guerra ancora in corso, in un piano di ricostruzione della Libia. Su questo terreno, grazie ai nostri storici rapporti con quel Paese, abbiamo un possibile vantaggio rispetto agli alleati e dovremmo sfruttarlo al massimo. Abbiamo bisogno di riprendere l'iniziativa e siamo certamente in grado di farlo più nell'ambito economico-civile che in quello strettamente militare (ove il nostro apporto non potrà essere determinante). Dovremmo, in secondo luogo, dimostrare al nostro Paese che la classe dirigente, di governo e di opposizione, è all'altezza della sfida che abbiamo di fronte. L'importanza della vicenda libica è tale che si rende necessario un dibattito parlamentare in cui maggioranza e opposizione spieghino agli italiani i tanti risvolti (sul piano militare, sul piano economico, su quello delle minacce terroristiche, su quello relativo agli sbarchi dei profughi) che ha per noi la guerra libica e mostrino, per una volta, la più ampia concordia di intenti possibile di fronte a una così grave crisi. Abbiamo appena festeggiato i centocinquant'anni dell'Unità d'Italia. Dimostriamo che non era solo retorica, che non siamo sempre divisi, come per lo più diamo l'impressione di essere, in tante "patrie" (non solo la Padania ma anche la destra, la sinistra, eccetera) che hanno in comune solo il livore reciproco, che siamo capaci, in un gravissimo frangente, di convergere intorno ai nostri più vitali interessi nazionali. Se non ora, quando? Angelo Panebianco 21 marzo 2011(ultima modifica: 23 marzo 2011)
Il commento Una scelta inevitabile Un'azione internazionalmente condivisa non diventa moralmente giusta in assoluto. Ma non dovrebbe essere complicato, nel caso della Libia, sapere da che parte stare Il commento Una scelta inevitabile Un'azione internazionalmente condivisa non diventa moralmente giusta in assoluto. Ma non dovrebbe essere complicato, nel caso della Libia, sapere da che parte stare È sintomatico che Gheddafi parli come Milosevic e Saddam, utilizzi le stesse minacce contro gli "aggressori", faccia previsioni funeste e denunci l'illegittimità dell'intervento internazionale come ingerenza negli affari interni. Inoltre, come accade nella mente dei dittatori che negano la realtà o ne perdono il contatto, continua a considerarsi amato da quel popolo che aggredisce con carri armati e mercenari. È evidente lo scopo di insinuare nelle coscienze interrogativi etici sulla giustezza di una guerra (perché di questo si tratta, dopo che la coalizione dei volenterosi ha già colpito obiettivi in Libia) e dubbi sulla sua utilità. Ma è altrettanto evidente che le cose stanno in modo diverso rispetto ai "bombardamenti umanitari" del recente passato. In primo luogo non si tratta di un'invasione, ma di interventi mirati e circoscritti, finalizzati a impedire il bagno di sangue, prima ancora di discutere sbocchi politici. A Gheddafi il mondo, quasi all'unanimità, ha chiesto di rinsavire e forse gli lascia ancora un margine di manovra per consentire una transizione. In secondo luogo, l'intervento preventivato al vertice di Parigi è sostenuto da una coalizione internazionale che ha la copertura del Consiglio di Sicurezza, il placet della Lega araba, la partecipazione - per quanto in ordine sparso - dei maggiori Paesi europei, con l'eccezione della Germania. Merito del presidente francese Sarkozy, il quale non si è curato di accuse di impulsività e protagonismo elettorale e ha superato inerzie europee e riserve americane. Meglio sarebbe stato vedere un'Europa più coesa fin da subito. E sarebbe stata utile un'iniziativa forte dell'Italia, con tempi di reazione adeguati al nostro Paese, che ha la storia e la posizione più complicate in rapporto alla Libia. Abbiamo subito la determinazione francese e siamo entrati in un'operazione che pochi immaginavano soltanto una settimana fa. A Parigi, si è avuta la sensazione di essere arrivati a cose fatte. Per la nostra immagine, come ha promesso il presidente Napolitano, speriamo che il Paese si prepari a fare la propria parte. Se si ricordano le esperienze militari in Iraq e in Afghanistan (e sotto alcuni aspetti in Kosovo) dobbiamo anche riflettere sui rischi di pesanti conseguenze per la popolazione civile e di risultati opposti agli obiettivi conclamati. Se ci si interroga sulle alternative politiche a Gheddafi non ci si può nemmeno nascondere, come ha scritto ieri sul Corriere Sergio Romano, che sappiamo poco o nulla dei capi della ribellione che il solo Sarkozy ha voluto riconoscere. Un'azione internazionalmente condivisa non diventa moralmente giusta in assoluto. Ma non dovrebbe essere complicato, nel caso della Libia, sapere da che parte stare. Sia per il governo, sia per l'opposizione. Ciò che rende diverso il confronto con interventi del passato è l'atteggiamento culturale, prima che politico, che si dovrebbe tenere nei confronti dei popoli arabi. La rivoluzione del Maghreb non brucia bandiere americane ma chiede libertà, democrazia, distribuzione delle ricchezze e un futuro di sviluppo che non può essere considerato alla stregua di minacce per le nostre coste o per le nostre economie. "I popoli arabi - ha promesso Sarkozy - devono essere padroni del proprio destino". Coloro che temono il dopo Gheddafi forse sottovalutano le insidie della sua permanenza al potere. Per il suo popolo e per le immense speranze dei popoli vicini. Massimo Nava 20 marzo 2011(ultima modifica: 24 marzo 2011)
la CRISI LIBICA Senza Ambiguità li interessi in gioco sono nazionali e devono essere difesi dall'intero Paese la CRISI LIBICA Senza Ambiguità li interessi in gioco sono nazionali e devono essere difesi dall'intero Paese Ecco un primo elenco delle anomalie della crisi libica ormai affidata alle armi. Nelle ultime settimane l'Europa è stata considerata inetta e impotente, ma due membri dell'Ue, la Francia e la Gran Bretagna, hanno adottato una posizione più avanzata di quella di Barack Obama e del suo segretario alla Difesa Robert Gates, ostile alla creazione di una no-fly zone. La Francia di Nicolas Sarkozy è stata il partner privilegiato dei regimi autoritari dell'Africa settentrionale (Mubarak era il vicepresidente dell'Unione Mediterranea, creatura del capo dello Stato francese), ma è diventata il più autorevole protettore dei ribelli libici. L'Ue si è divisa, come all'epoca della guerra irachena, ma la principale vittima della rottura è stato, in questo caso, l'asse franco-tedesco. La Lega Araba aveva già chiesto da qualche giorno la creazione di una no-fly zone, ma non ha pronunciato parola sull'intervento militare dell'Arabia Saudita nel Bahrein. La risoluzione dell'Onu ha avuto per effetto l'annuncio libico di una tregua (forse apparente ed effimera), ma potrebbe essere responsabile della divisione della Libia in due Stati: la Tripolitania di Gheddafi e la Cirenaica dei ribelli. Ho scritto "ribelli", senza meglio qualificarli, perché di loro ignoriamo quasi tutto. Sono l'appendice libica della Fratellanza musulmana? Sono l'ultima incarnazione della Senussia, la congregazione religiosa a cui apparteneva il primo e unico re della Libia post-coloniale? Sono membri di tribù ostili a Gheddafi? Sono giovani democratici, ansiosi di rinnovare le istituzioni del loro Paese? Per alcune di queste ragioni, chi scrive è stato contrario all'instaurazione di una no-fly zone. Ma le preferenze personali sono irrilevanti. Ciò che conta ora è quanto l'Italia farà, soprattutto una volta scoppiato il conflitto. Negli scorsi giorni ho capito la prudenza e la reticenza del governo, schiacciato fra i suoi interessi petroliferi, i rapporti speciali instaurati dal trattato del 2008 e l'impossibilità di giustificare la politica di un tiranno che combatte contro i suoi sudditi. Oggi la prudenza, la reticenza o la semplice acquiescenza alla risoluzione dell'Onu dimostrerebbero che l'Italia è ormai soltanto un collaboratore di iniziative sulle quali non ha la benché minima influenza. Ha delle responsabilità, anche storiche, e deve assumerle. Se si considera tenuta a collaborare con la Francia e la Gran Bretagna (come è emerso dall'ultimo consiglio dei ministri), lo faccia almeno con le sue idee e con i suoi progetti. Se ha canali di mediazione, li usi. La richiesta di utilizzazione delle sue basi può essere il momento in cui confrontare le reciproche esigenze. Non basta. Se la divisione della Libia è un rischio, la rottura del fronte europeo è, per noi, un male peggiore. Le reali posizioni dell'Italia sono probabilmente vicine a quelle della Germania. Si serva di questa affinità per tentare la ricomposizione del fronte europeo. Ho parlato dell'Italia, non del governo, perché questo non è un terreno su cui si possano combattere le interminabili guerre fratricide della politica italiana. Il governo non può ignorare l'opposizione e questa ha l'obbligo morale, oltre che politico, di rispondere a tono, come del resto è accaduto ieri in Parlamento. Gli interessi in gioco sono nazionali e devono essere difesi dall'intero Paese. Sergio Romano 19 marzo 2011(ultima modifica: 23 marzo 2011)
LA PREOCCUPAZIONE DEL CONSIGLIO EUROPEO per l'escalation di violenza In migliaia nelle piazze di Yemen e Siria A Samnin la polizia spara: 20 le vittime Anche a Sanaa, interviene l'esercito. Proteste a Damasco, a Daraa bruciata la statua dell'ex presidente Assad * NOTIZIE CORRELATE * Assad pronto a concessioni (25 marzo 2011) LA PREOCCUPAZIONE DEL CONSIGLIO EUROPEO per l'escalation di violenza In migliaia nelle piazze di Yemen e Siria A Samnin la polizia spara: 20 le vittime Anche a Sanaa, interviene l'esercito. Proteste a Damasco, a Daraa bruciata la statua dell'ex presidente Assad La protesta a Sanaa (Liverani) La protesta a Sanaa (Liverani) MILANO- In migliaia nelle piazze della Siria e dello Yemen. Proprio mentre a Bruxelles il vertice dei capi di Stato e di governo dell'Ue esprime preoccupazione per la crisi nei due Paesi e nel Bahrein, la rivolta continua ad allargarsi. In Siria, in particolare, si registra un nuovo bagno di sangue: le forze di sicurezza, secondo il resoconto di Al Arabiya, hanno aperto il fuoco contro i manifestanti a Samnin, località nei pressi di Daraa, nel sud della Siria ed epicentro delle proteste anti-regime. E si parla di almeno 20 vittime che facevano parte di un gruppo di manifestanti diretto nella cittadina principale per prendere parte alla protesta collettiva. E proprio a Daraa, mentre alcune persone hanno appiccato il fuoco alla statua dell'ex presidente Hafez al Assad, la polizia avrebbe ucciso un altro manifestante, secondo il racconto di Al Jazeera. La stessa emittente ha citato anche un secondo bilancio, fornito dai manifestanti, secondo cui i morti sarebbero due a cui si aggiungono una decina di feriti. SIRIA- Migliaia di persone si sono erano riunite già in mattinata nel centro di Daraa, teatro delle più massicce proteste anti-governative. Al termine della preghiera del venerdì sono stati intonati slogan per "la libertà" e per "vendicare il sangue dei martiri". A riferirli sono stati testimoni oculari citati da attivisti siriani che trasmettono su Twitter. Fonti mediche locali riferiscono che in una settimana sono morte a Daraa oltre 40 persone, ma il conto non tiene conto delle vittime di questo venerdì nero. Le proteste intanto si sono accese anche in altre città. A partire da Damasco, dove almeno 200 persone hanno tentato di sfilare in centro a sostegno dei manifestanti di Deraa. Le forze di sicurezza, tuttavia, sono subito intervenute per interrompere il corteo che intonava "Sacrifichiamo il nostro sangue, la nostra anima per te, Daraa". Decine di manifestanti sono stati arrestati. E a Samnin, come riportato sopra, le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco contro i manifestanti causando diverse vittime. Proteste anche a Homs, nell'ovest del Paese, dove i manifestanti in piazza cantano "Il popolo vuole la caduta del governatore!". YEMEN - Altro fronte, lo Yemen. I dimostranti anti-regime - decine di migliaia scrive la Bbc online - si sono riuniti per una grande protesta nella mattinata di venerdì nella capitale Sanaa. L'esercito governativo è intervenuto sparando colpi in aria per tenerli a distanza dai sostenitori del presidente Ali Abdullah Saleh, anche loro scesi in piazza. Sempre secondo la Bbc, le ambasciate stanno evacuando il loro personale e i voli per lasciare la capitale sono pieni. Saleh, al potere da 32, anni, si è detto pronto ad abbandonare il potere entro un anno, ma i dimostranti chiedono le dimissioni immediate. L'opposizione pretende anche una nuova Costituzione, le dimissioni del governo e lo scioglimento dei servizi di sicurezza interna. Le proteste durano da circa un mese e hanno conosciuto un'escalation di violenza. Venerdì scorso circa 50 persone sono state uccise da colpi d'arma da fuoco a Sanaa. Redazione online 25 marzo 2011 ù
2011-03-22 Bombe sul bunker del rais. L'ex diplomatico libico all'Onu: "Gheddafi vive come topo in tana" Notte di raid. E Gheddafi attacca i ribelli Precipita un F15 americano, salvi i piloti Colpiti obiettivi a Tripoli e Sirte. Le truppe del Colonnello puntano su Zintan e Misurata. Arrestati tre giornalisti * NOTIZIE CORRELATE * Parigi s'impunta, la coalizione va in crisi L'Italia: "Senza Nato comando separato" (21-22 marzo 2011) * Nuovi raid, decollati anche i jet italiani (20 marzo 2011) * Il Raìs: "La guerra sarà lunga, Italia traditrice" (20 marzo 2011) * LA SCHEDA: il caccia che neutralizza i radar (20 marzo 2011) * Raid degli alleati in Libia Gli Usa: "Lanciati 11o missili" (19 marzo 2011) * Bombe sul bunker del rais. L'ex diplomatico libico all'Onu: "Gheddafi vive come topo in tana" Notte di raid. E Gheddafi attacca i ribelli Precipita un F15 americano, salvi i piloti Colpiti obiettivi a Tripoli e Sirte. Le truppe del Colonnello puntano su Zintan e Misurata. Arrestati tre giornalisti Una manifestazione a sostegno di Gheddafi (Ansa) Una manifestazione a sostegno di Gheddafi (Ansa) MILANO - Mentre la diplomazia internazionale continua a discutere sull'evoluzione della crisi libica, con l'Italia che chiede con forza il passaggio alla Nato del comando delle operazioni, la Libia è uscita dalla terza notte consecutiva di bombardamenti aerei. E in mattinata le forze fedeli a Gheddafi hanno sferrato un nuovo attacco contro le posizioni degli insorti a Zintan, cittadina a 120 chilometri a sud-est di Tripoli, attaccata con armi pesanti, secondo quanto riferito dalla tv araba Al Jazeera. E altri attacchi sono stati riferiti dalla Bbc nella città di Misurata, dove testimoni citati dalle tv parlano di tank in azione. Tra le vittime di questi ultimi ci sarebbero anche quattro bambini, uccisi da un colpo sparato da un carroarmato che ha centrato l'auto su cui viaggiavano. Un portavoce dei ribelli ha parlato di un bilancio parziale di 40 vittime e di almeno un centinaio di feriti: "Le brigate di Gheddafi continuano a sparare - ha spiegato alla tv araba Al Arabiya - ed usano i civili come scudi umani". L'F15 PRECIPITATO - C'è poi la segnalazione del Daily Telegraph di un aereo da guerra americano, un F-15E Eagle, precipitato, sembra per un guasto. Uno dei due piloti, riuscito a catapultarsi fuori dal velivolo, è stato poi salvato dai ribelli; l'altro è stato recuperato nei minuti successivi da forze della coalizione. La notizia è stata data da un corrispondente del quotidiano in Libia ed è poi stata confermata anche dall'Africa Command, il comando militare Usa delle operazioni in Libia, che ha parlato di "avaria tenica". Il bunker di Gheddafi nel mirino I RAID NOTTURNI - Nel mirino dei raid aerei condotti durante la notte erano finiti soprattutto obiettivi legati alla difesa aerea libica a Tripoli e Sirte. Si sono uditi colpi di contraerea seguiti da esplosioni anche a Bab al-Aziziya, la zona in cui si trova anche il bunker di Gheddafi, colpita la notte prima da alcuni missili, che hanno distrutto un edificio che ospitava un centro di "comando e controllo" delle forze libiche. La televisione di Stato libica ha accusato la Danimarca dell'attacco di domenica, da cui gli Usa avevano preso le distanze spiegando di non avere tra gli obiettivi l'eliminazione del Colonnello (di cui si auspica tuttavia l'abbandono del potere, spontaneamente o sulla base delle spinte da parte della popolazione libica). "L'offensiva contro Bab al-Aziziya è stata comandata dalla Danimarca", ha riferito l'emittente, leggendo un comunicato in inglese, citato dalla Bbc. SCUDI UMANI VOLONTARI E NO - Proprio attorno all'area in cui risiede il Rais si stanno alternando alcuni sostenitori che si sono resi disponibili a fare da scudi umani per indurre gli aerei della coalizione a non sganciare bombe. Ma si parla anche di civili costretti a radunarsi nei pressi degli obiettivi a rischio contro la loro volontà. Non solo: anche i giornalisti stranieri verrebbero utilizzati allo scopo. Il Times di Londra rivela che un attacco è stato annullato dopo che alcuni reporter sono stati condotti nella zona del bunker del rais apparentemente con lo scopo di far constatare loro la situazione. Manifestazioni a sostegno di Gheddafi, in ogni caso, si susseguono quotidianamente nella capitale. Top gun italiano rimosso dall'incarico GLI ALTRI OBIETTIVI - I raid della coalizione internazionale hanno colpito anche una base navale situata 10 chilometri a est della capitale, dove sarebbe scoppiato un incendio, secondo quanto riferito da diversi testimoni. Le forze armate statunitensi hanno invece annunciato di avere lanciato 20 missili Tomahawk nelle ultime 12 ore. Complessivamente sono 159 i missili Tomahawks lanciati da Stati Uniti e Regno Unito nell'ambito dell'operazione militare avviata sabato scorso dalla coalizione internazionale. "ROVESCIARE GHEDDAFI" - Sul fronte politico, intanto, arriva la netta presa di posizione di Ibrahim Dabashi, numero due della missione libica all'Onu e tra i primi a defezionare già all'inizio della rivolta, intervistato a New York dal Tg3: secondo il diplomatico, la prima cosa da fare in Libia è "delegittimare il regime di Gheddafi e ottenere il riconoscimento del consiglio di transizione nazionale quale unico rappresentante del popolo libico". Dabashi ha confermato l'esistenza di un "coordinamento tra la coalizione e la gente a Bengasi, specialmente tra i comandi militari", ma anche a New York dove "siamo in contatto con i paesi coinvolti nel bombardamento". Dabashi, ora passato dall'altra parte, ha comunque fatto parte dell'establishment e il rais lo conosce bene: "Gheddafi vive come un topo che costruisce tane sotterranee. E sempre, anche quando sta a casa sua, la sua priorità è di avere a disposizione vie di fuga verso l'esterno da dove fuggire quando è in pericolo. Ma alla fine non potrà scappare, finirà nelle nostre mani o verrà ucciso". I danni a Misurata "MA DECIDANO I LIBICI" - Una replica indiretta a Dabashi arriva da Amr Moussa, segretario generale della Lega Araba: "Resto dell'idea che sia giusto impedire che vengano uccisi i civili e che a decidere la permanenza al potere di Muammar Gheddafi debba essere il popolo libico e non altri - ha detto al quotidiano arabo Al Hayat -. Il nostro non è stato un passo indietro, vogliamo proteggere i civili libici e lasciare loro la libertà di scelta, ma al contempo non vogliamo che vengano attaccati. Per questo vogliamo la no-fly-zone e l'applicazione delle risoluzioni dell'Onu". LA MISSIONE DEI TORNADO - Intanto l'Aeronautica italiana comunica che si sono concluse "positivamente" le "missioni di "accecamento"" dei siti radar libici condotte dai Tornado Ecr di stanza a Trapani. "Il positivo esito di una missione Sead (acronimo che sta per soppressione dei sistemi di difesa aerea, ndr) può essere di fatto conseguito anche in funzione di deterrenza, quando nell'ambito di un'operazione aerea complessa non viene rilevata la necessità di utilizzare l`armamento in dotazione al velivolo in quanto i sistemi radar presenti sul territorio ostile vengono appositamente spenti per non essere localizzati e successivamente colpiti, ha spiegato l'Aeronauitica italiana. "Ciò rende di fatto inoffensivi, come accaduto in queste prime missioni dei Tornado italiani, i sistemi di difesa aerea". GIORNALISTI ARRESTATI - Mentre lunedì il New York Times ha annunciato il rilascio dei quattro suoi giornalisti fermati la scorsa settiamna, arriva oggi la notizia della formalizzazione dell'arresto di due reporter dell'agenzia France Presse e un fotografo della Getty Images, fermati il 19 marzo nella zona di Tobruk. La conferma è arrivata dal loro autista. I giornalisti dell'Afp sono Dave Clark (britannico) et Roberto Schmidt (con doppio passaporto colombiano e tedesco) e il corrispondente americano di Getty Joe Raedle . L'autista, Mohammed Hamed, tornato domenica sera a Tobruk ha spiegato di aver preso a bordo i tre uomini venerdì mattina a Tobruk, città controllata dai ribelli, per accompagnarli sulla strada che porta a Ajdabiya. A poche decine di chilometri da Ajdabiya la loro auto ha incrociato una colonna di mezzi militari libici che li ha costretti a fermarsi. Fatti scendere sotto la minaccia delle armi i tre hanno cercato di spiegare di essere giornalisti (Dave Clark, gridava "sahafa, sahafa" (stampa, stampa), racconta l'autista). I tre giornalisti sono quindi stati fatti salire su un mezzo militare e portati via verso una destinazione sconosciuta. Redazione Online 22 marzo 2011
la crisi libica La Francia: "No a polemiche artificiali sulla Nato, il coordinamento funziona" Parigi replica all'Italia e a chi vuole portare in seno all'Alleanza Atlantica il comando delle operazioni * NOTIZIE CORRELATE * Parigi s'impunta, la coalizione va in crisi L'Italia: "Senza Nato comando separato" (21-22 marzo 2011) * Nuovi raid, decollati anche i jet italiani (20 marzo 2011) * Il Raìs: "La guerra sarà lunga, Italia traditrice" (20 marzo 2011) * LA SCHEDA: il caccia che neutralizza i radar (20 marzo 2011) * Raid degli alleati in Libia Gli Usa: "Lanciati 11o missili" (19 marzo 2011) * la crisi libica La Francia: "No a polemiche artificiali sulla Nato, il coordinamento funziona" Parigi replica all'Italia e a chi vuole portare in seno all'Alleanza Atlantica il comando delle operazioni Il presidente francese Nicolas Sarkozy (Epa) Il presidente francese Nicolas Sarkozy (Epa) MILANO - Il ruolo di governo della coalizione anti-Gheddafi, mentre siamo giunti al quarto giorno dell'operazione Odissey Dawn, è ancora motivo di scontro tra i Paesi che partecipano all'alleanza. Se dall'Italia per bocca del ministro degli Esteri Franco Frattini, ma anche del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, arriva ancora una volta, come già avvenuto lunedì, la richiesta di affidare alla Nato il coordinamento della coalizione, da Parigi arriva ancora una volta un secco "no grazie". COORDINAMENTO - Il coordinamento delle forze della coalizione in Libia, attualmente gestito dagli Stati Uniti, "funziona. L'efficacia delle operazioni non è contestabile. Mi pare che fino a questo momento non ci siano stati aerei della coalizione che si sono scontrati tra loro". Lo ha detto nel corso di una conferenza stampa a Parigi il portavoce del ministero degli Esteri francese, Catherine Fages. In ogni caso, ha aggiunto, "la priorità è l'attuazione della risoluzione 1973 delle Nazioni Unite" per uno stop delle violenze in Libia. "E per il momento mi pare che su questo la missione sia efficace". "Non creiamo polemiche artificiali" sul ruolo della Nato in Libia ha aggiunto Fages. E comunque la Francia, ha ribadito, non esclude "un contributo" dell'Alleanza. ATTRITI - Nessuna decisione potrà arrivare comunque prima di alcuni giorni: è quanto riferiscono fonti interne alla Nato citate dalla Bbc. Ad irritare gli alleati dei transalpini, in particolare Londra e Washington, sarebbe stato il primo attacco aereo lanciato da Parigi sabato scorso contro il regime libico, senza averne informato gli altri componenti della coalizione. Una circostanza che avrebbe provocato grandi tensioni anche durante l'ultima riunione del consiglio atlantico a Bruxelles. Secondo il quotidiano britannico Financial Times, gli ambasciatori francese e tedesco hanno abbandonato i lavori del consiglio dopo che il Segretario generale Anders Fogh Rasmussen ha criticato Parigi, per la sua contrarierà a un comando Nato dell'operazione, e Berlino, per la sua scarsa partecipazione. In vista della prossima riunione del consiglio, ha ricordato Frattini: "Mi auguro che da questo derivi la decisione", aggiungendo che il primo ministro britannico David Cameron "sostiene la stessa posizione italiana, cioè un comando Nato". "Ci auguriamo che gli amici americani siano della stessa posizione, come io ho speranza di ritenere", ha concluso il ministro. La perplessità del ministro Frattini sulla posizione americana è dovuta al fatto che nei giorni scorsi il ministro della Difesa americano Gates aveva spiegato che Washington aveva intenzione di cedere il coordinamento delle operazioni o direttamente alla Nato o a una cabina di regia franco-britannica, senza specificare quale fosse la sua opzione preferita. EMBARGO ARMI - Intanto la Nato, in una nuova riunione in corso a Bruxelles, ha deciso che farà rispettare l'embargo sulle armi alla Libia previsto dalla risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza dell'Onu. Un accordo in tal senso sarebbe stato raggiunto in sede di rappresentanti permanenti nel Consiglio Atlantico. Redazione online 22 marzo 2011
E Frattini corregge la Russa: "Nessun rischio attentati nel nostro Paese" Berlusconi "addolorato" per Gheddafi Casini: "Io lo sono per le sue vittime" Bersani: "Indecorosa nostalgia". Il governo insiste sul comando alla Nato. Napolitano: soluzione appropriata * NOTIZIE CORRELATE * Parigi s'impunta, la coalizione va in crisi L'Italia: "Senza Nato comando separato" (21 marzo 2011) E Frattini corregge la Russa: "Nessun rischio attentati nel nostro Paese" Berlusconi "addolorato" per Gheddafi Casini: "Io lo sono per le sue vittime" Bersani: "Indecorosa nostalgia". Il governo insiste sul comando alla Nato. Napolitano: soluzione appropriata Silvio Berlusconi lunedì sera a Torino (Lapresse) Silvio Berlusconi lunedì sera a Torino (Lapresse) MILANO - "Sono addolorato per Gheddafi e mi dispiace. Quello che accade in Libia mi colpisce personalmente". La frase pronunciata lunedì sera da Silvio Berlusconi a Torino a margine di una cene elettorale rischia di diventare il caso politico del giorno. Il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini, replica subito attraverso il suo blog: "Affronteremo con senso dello Stato il dibattito parlamentare, ma una cosa deve essere chiara: siamo addolorati per le migliaia di donne e di uomini assassinati da Gheddafi e dai suoi scherani, non certo per la sorte del leader libico. Tra il carnefice e le vittime non abbiamo dubbi da che parte stare". Anche Pier Luigi Bersani stigmatizzato le parole usate dal premier nei confronti del Raìs. "È un'indecorosa nostalgia - die il leader del Pd - che aggiunge una nota di confusione e discredito nella posizione del governo italiano e appare illeggibile agli occhi dell'Europa e del mondo". Per mercoledì pomeriggio è previsto il dibattito al Senato: per il governo ci sarà il ministro degli Esteri, Franco Frattini, anche se il Pd ha chiesto che intervenga direttamente Berlusconi. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (Ansa) Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (Ansa) "NATO SOLUZIONE APPROPRIATA" - Intanto gli esponenti del governo italiano continuano ad insistere sulla necessità di un passaggio del comando della missione alla Nato. E su questa linea sembra essere in sintonia anche il Quirinale: "Il presidente Giorgio Napolitano - si legge in una nota diffusa dal Colle - ha ribadito l'esigenza imprescindibile sostenuta dall'Italia, in piena sintonia con Stati Uniti, Regno Unito ed altri alleati, di un comando unificato, osservando che la Nato rappresenta la soluzione di gran lunga più appropriata". "NESSUN RISCHIO TERRORISMO" - Dell'esigenza di affidare all'Alleanza il coordinamento delle operazioni aveva parlato per primo Franco Frattini, a cui aveva poi fatto seguito l'imprimatur da parte dello stesso premier Silvio Berlusconi. "Quella in Libia non è una missione di guerra - ha sottolineato oggi il ministro degli Esteri-, ma di tipo umanitario per far rispettare a Gheddafi un cessate il fuoco assoluto" ed ora dopo tre giorni in cui era indispensabile un'accelerazione dell'azione "è tempo di tornare alle regole" con "un comando unificato della Nato". Frattini, intervenendo a Radio Anch'io, ha inoltre corretto le parole pronunciate lunedì da Ignazio La Russa, che a Corriere Tv aveva detto di non temere ritorsioni libiche mediante lanci di missili, quanto piuttosto eventuali attentati condotti sul territorio da singoli attentatori: "Il comitato antiterrorismo del ministero dell'Interno è attivo ed ha rafforzato tutte le misure di prevenzione. Gli italiani possono stare tranquilli. La nostra intelligence, le nostre forze di polizia fanno un lavoro straordinario di prevenzione antiterrorismo". "LA FRANCIA NON COMANDA" - Il sottosegretario all'Interno, Alfredo Mantovano, parlando a Canale 5 ha invece detto che "nessun paese è padrone del Mediterraneo". Di più: "C'è una risoluzione dell'Onu e non sta bene che qualcuno, come la Francia, vada più avanti anche perchè i danni maggiori di un intervento maldestro in Libia ricadrebbero sull'Italia sia in termini di massiccia immigrazione che di rischio terrorismo". Redazione online 22 marzo 2011
Nell'isola siciliana il numero degli stranieri ha superato quello dei residenti Un'altra notte di sbarchi a Lampedusa Il governo chiede l'impegno delle Regioni Maroni: "Dalle regioni ok all'accoglienza per 50mila" * NOTIZIE CORRELATE * Maroni promette: "Mi recherò in Tunisia per fermare le partenze" (21 marzo 2011) * "Siamo libici", due barconi a Catania (21 marzo 2011) * Il centro di Lampedusa è ormai allo stremo (21 marzo 2011) Nell'isola siciliana il numero degli stranieri ha superato quello dei residenti Un'altra notte di sbarchi a Lampedusa Il governo chiede l'impegno delle Regioni Maroni: "Dalle regioni ok all'accoglienza per 50mila" Lo sbarco di alcuni migranti nordafricani a Lampedusa (Ansa) Lo sbarco di alcuni migranti nordafricani a Lampedusa (Ansa) MILANO - Continuano gli sbarchi a Lampedusa. L'ultimo barcone con a bordo 164 persone tra cui un minore è arrivato in porto poco dopo le 8 di mattina. Durante la notte, invece, sono state scortate sull'isola due imbarcazioni in precarie condizioni con rispettivamente 22 e 105 persone a bordo. La situazione dell'isola è esplosiva e ci sono ancora più di 5 mila stranieri. Il numero dei migranti ha praticamente raggiunto il numero dei residenti e questo, con la stagione turistica alle porte, esaspera ulteriormente gli animi degli abitanti, che temono un crollo delle prenotazioni alberghiere su cui si regge l'intera economia dell'isola. Maroni: "Ok dalle regioni" IL PIANO DEL GOVERNO - Il governo sta cercando di affrontare la situazione insistendo su una ripartizione del numero dei migranti tra diversi Paesi europei. A Lampedusa, intanto, è in arrivo la nave San marco della Marina militare su cui saranno ospitati temporaneamente molti degli immigrati sbarcati a Lampedusa. Potrebbero essere un migliaio le persone alloggiate a bordo. Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ha parlato di una situazione solo temporanea, in attesa di individuare per loro una nuova collocazione, "perché le nostre navi non sono alberghi". Intanto il Viminale ha convocato i rappresentanti delle Regioni per cercare di attuare un piano di solidarietà che consenta di "spalmare su tutta la penisola i 14.918 stranieri arrivati in Italia con i 190 sbarchi registrati dall'inizio di gennaio e di cui fanno parte anche gli oltre cinquemila di Lampedusa. Da regioni, provincie e comuni c'è stata adesione alla richiesta di accogliere fino a 50mila migranti, "un numero molto realistico" ha detto il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, al termine di un incontro con i presidenti di regioni, Anci ed Upi. Il piano, ha aggiunto Maroni, "lo stiamo mettendo appunto e sarà presentato nei prossimi giorni. Nella distribuzione dei migranti terremo conto del numero di abitanti per ciascuna regione". "Il governo intende farsi carico del disagio dei lampedusani - ha aggiunto - ai quali va il nostro ringraziamento per la pazienza dimostrata, seppure con qualche scatto polemico". Il sottosegretario Sonia Viale avrà poi il compito di mettere a punto, entro due settimane, un piano di misure compensative per l'economia proprio per andare incontro ai prevedibili minori introiti che Lampedusa affronterà nella prossima stagione estiva. Redazione online 22 marzo 2011
Gli arabi e l'interventoL'ispiratore di Sarkozy Perché difendo comunque i Raid in Libia Questo intervento, che ha come primo scopo di proteggere i civili dai massacri, è, in ogni caso, il contrario di una spedizione coloniale Gli arabi e l'interventoL'ispiratore di Sarkozy Perché difendo comunque i Raid in Libia Questo intervento, che ha come primo scopo di proteggere i civili dai massacri, è, in ogni caso, il contrario di una spedizione coloniale Non è un intervento di terra, con carri armati, fanteria, occupazione, green zone e così via. È il contrario, dunque, della guerra, insensata, in Iraq. Il contrario della guerra, giusta, in Afghanistan. Non so se la guerra (giusta) in Afghanistan o la guerra (insensata) in Iraq fossero guerre "neocoloniali" (è infinitamente più complicato di questo); certo è che questa guerra, questo intervento, che ha come primo scopo di "santuarizzare" i civili massacrati di Misurata, Zawia, Bengasi, questa operazione di salvataggio, secondo cui nessun soldato occidentale dovrà posare un piede sul suolo libico è, in ogni caso, il contrario di una spedizione coloniale. Appunto, cos'è una guerra giusta? È una guerra che impedisce una guerra contro i civili. È una guerra che, per parodiare una celebre e incresciosa formula (quella di François Mitterrand che tenta di impedire, fino all'ultimo, gli attacchi aerei alle postazioni serbe sulle colline attorno a Sarajevo), sottrae la guerra alla guerra. Infine, è una guerra che, lungi dal pretendere, come in Iraq, di paracadutare, in un deserto politico, una democrazia pronta all'uso, si appoggia su un'insurrezione nascente, cioè permette, e permette soltanto, ai liberatori di fare il loro lavoro di liberatori e aiuta quindi, nella circostanza attuale, i libici a liberare la Libia. È una guerra di iniziativa francese, ma non è una guerra francese. È una guerra in cui si son visti, fin da sabato scorso, aerei francesi volare su Bengasi e cominciare a distruggere le capacità militari di un Gheddafi allo stremo e che aveva giocato l'ultima carta facendo piovere bombe sulla città. Ma è una guerra in cui sono entrati, a fianco della Francia e degli occidentali, nella stessa coalizione, il Qatar, gli Emirati, l'Egitto, mandatari sia di se stessi, sia di una Lega araba presente, fin dall'inizio, nel cuore di questo movimento di solidarietà mondiale con un Paese messo a ferro e fuoco dal proprio dirigente, sia di un popolo già impegnato (è il caso dell'Egitto) in una sommossa di cui legittimamente vuole universalizzare i comandamenti: è una guerra, dunque, non meno araba che occidentale. Qual è lo scopo di questa guerra? Di proteggere, davvero, soltanto, i civili di Misurata, Zawia, Bengasi? Di accontentarsi, eventualmente, di un Gheddafi che finga un atteggiamento moderato, metta via le armi e si ritiri nel suo feudo di Tripoli prima di riprendersi la rivincita fra sei mesi, un anno, o di più? Credo di no. Spero di no. Non si può pensare che la comunità internazionale faccia lo stesso errore che fece con Saddam Hussein lasciando intatta, vent'anni fa, dopo la prima guerra del Golfo, la sua capacità di nuocere, e di agire in maniera criminale. E non si può pensare che la risoluzione adottata giovedì scorso, con un voto storico, dalle Nazioni Unite, in cui si è saputo convincere cinesi e russi a non servirsi del loro diritto di veto, dia risultati così irrisori.Gheddafi ha commesso crimini contro l'umanità. Il primo riflesso di questo Gheddafi che, ci dicevano, era cambiato, aveva rinunciato al terrorismo ed era diventato (secondo Patrick Ollier, ministro francese - fino a quando? - dei Rapporti con il Parlamento) un fine lettore di Montesquieu, non è stato di dire, appena avuta la notizia del voto all'Onu: "Attaccate i miei aerei militari? In risposta, attaccherò i vostri aerei commerciali, punirò i vostri civili provocando una, due, tre nuove stragi come quella di Lockerbie"? Con questo Gheddafi non esistono negoziati né compromessi possibili. Al suo terrorismo senza limiti la comunità internazionale ha il dovere di rispondere, all'unisono con il popolo libico e il suo Consiglio nazionale di transizione: "Gheddafi, vattene!". Infatti, cosa vogliono i libici liberi? Chi sono? E cos'è il Consiglio nazionale di transizione che Nicolas Sarkozy, per primo, con un gesto politico decisivo e al tempo stesso coraggioso, ha riconosciuto? Certamente, non sono degli angeli (è da lungo tempo che non credo più agli angeli...). Non sono democratici alla Churchill, nati, chissà per quale miracolo, dalla coscia del gheddafismo (di cui alcuni furono, prima di disertare, servitori e debitori). Forse, ci sono fra loro persino antisionisti, magari antisemiti mascherati da antisionisti (sebbene, in nessuno degli incontri avuti a Bengasi e poi a Parigi, con nessuno dei loro dirigenti, abbia mai omesso di dire chi sono e in cosa credo).Penso solo che questi uomini e donne, come i loro fratelli della Tunisia, dell'Egitto o del Bahrein, siano in cammino verso una democrazia di cui stanno reinventando, a grande velocità, i principi e i riflessi. E sono sicuro che questi combattenti, che hanno imparato, di fronte alle colonne infernali e ai carri armati, cosa voglia dire libertà e in quale lingua dello spirito si scriva tale parola, saranno sempre meglio di un dittatore psicopatico che dell'apocalisse aveva fatto la sua ultima religione. Bernard-Henri Lévy 22 marzo 2011
OPERAZIONE LIBIA / 2 Gli interessi nazionali e le ipocrisie OPERAZIONE LIBIA / 2 Gli interessi nazionali e le ipocrisie L'intervento militare in Libia, da parte di una Comunità internazionale "dimezzata", solleva alcune domande di senso comune. Prima: perché si è intervenuti? Risposta: a seguito di una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu proposta da Francia e Gran Bretagna e approvata con l'astensione di Russia, Cina, Germania, India e Brasile. Giuridicamente, sembra lecito qualche dubbio sul diritto di intervento nei confronti di un Paese membro delle Nazioni Unite in preda a una rivolta interna. Resta in piedi la ragione politica; che "autorizza l'impiego di tutte le misure necessarie a proteggere le popolazioni civili e le zone abitate da civili". Fa testo la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo che motiva l'intervento - in contrasto col principio di sovranità sanzionato dalla pace di Westfalia che poneva fine alle guerre di religione (cuius regio, eius religio) e alle reciproche interferenze degli Stati - con le "ragioni umanitarie". Subentrano, però, due altre domande. Che senso ha intervenire contro il "tiranno" Gheddafi dopo averlo sostenuto a lungo? Perché in Libia sì e in altre parti del mondo, dove si sono consumati autentici genocidi, no? Emergono, così, due dati di fatto. Da una parte, la crisi di leadership degli Stati Uniti dopo l'irruzione della Cina, e della "nuova Russia", sulla scena mondiale. Dall'altra, dopo la fine della Guerra fredda, il ritorno dell'"interesse nazionale" in Europa. La Gran Bretagna vuole riprendersi il ruolo, se non sulla scena internazionale, almeno su quella europea, che aveva perso con la Seconda guerra mondiale; la Francia - che, dopo i fallimenti della sua politica di sostegno a Ben Ali in Tunisia e a Mubarak in Egitto, deve ripristinare la propria influenza nell'area - punta a sostituire l'Italia nei rapporti con la Libia (dal petrolio alle relazioni economiche e commerciali) del dopo-Gheddafi, precostituendosi relazioni privilegiate con la borghesia mercatista che subentrerà al Colonnello. Le rivolte popolari nei Paesi dell'Africa del Nord hanno messo in moto un riposizionamento delle grandi potenze regionali europee nell'area del Mediterraneo che sta relegando l'Italia in retroguardia. Prima di finire a rimorchio della Francia, e accodarsi a un intervento, ancorché inevitabile ma dal quale abbiamo tutto da perdere, sarebbe stata utile, da parte nostra, un'iniziativa diplomatica forte, come la proposta di una Conferenza dei Paesi dell'area, dalla Lega araba alle maggiori potenze europee. Ora, in quella che, per dirla con un tardo paradosso marxista, ha tutta l'aria di un'iniziativa para-coloniale, legittimata da una "guerra umanitaria" - della quale si eviterà probabilmente di fare il computo delle vittime - e condotta all'insegna di interessi nazionali accuratamente celati all'opinione pubblica da quel velo di ipocrisia che copre ogni operazione di Realpolitik, i giochi sono fatti alle nostre spalle. Siamo rimasti i soli a ritenere l'interesse nazionale un "mostro morale", e a non perseguirlo con sano realismo; incoraggiati da una cultura progressista ondivaga, che un giorno è internazionalista e l'altro nazionalista; un giorno è interventista e l'altro no. Piero Ostellino 22 marzo 2011
OPERAZIONE LIBIA / 1 Incertezze e dubbi fuori tempo OPERAZIONE LIBIA / 1 Incertezze e dubbi fuori tempo Gli aerei militari continuano a svolgere regolarmente le loro missioni, ma al suo terzo giorno l'operazione "Alba dell'Odissea" sta già vivendo una grave crisi politica che ha per protagonisti principali l'Italia e la Francia. Questa volta non si tratta, come tante altre, di eccessi di grandeur da parte francese contrapposti a eccessi di gelosia da parte italiana. Da ieri è in gioco molto di più: uno scontro sulla catena di comando che non riesce a nascondere due interpretazioni molto diverse della risoluzione 1973 dell'Onu. Dopo che per tutto il pomeriggio il ministro Frattini aveva chiesto a Bruxelles di porre "Alba dell'Odissea" sotto comando Nato avendo gli Usa confermato di voler fare un passo indietro, ieri sera è stato Silvio Berlusconi a dirsi "addolorato per Gheddafi" e a definire meglio la posizione italiana. Aggiungendo alla richiesta del comando Nato quello che è il vero oggetto del contendere: una più chiara definizione degli obiettivi della missione in Libia, "che per noi sono la no-fly zone, l'embargo e la protezione dei civili". Non solo: "I nostri aerei non hanno sparato e non spareranno - ha detto il presidente del Consiglio -, sono lì soltanto per il pattugliamento e per garantire il divieto di volo". Parole che sembrano comportare una correzione di rotta nella linea italiana, perché sin qui il nostro governo era parso consapevole del fatto che una no-fly zone non può essere imposta senza prima colpire le difese antiaeree di Gheddafi, e aveva comunque assicurato che l'Italia avrebbe fatto la sua parte non soltanto concedendo le basi ad altri. Appare verosimile che Berlusconi abbia voluto disegnare una posizione di compromesso che lo metta al riparo da uno scontro con la Lega, ma risulta difficile non rilevare come ciò avvenga nel bel mezzo di una operazione militare alleata e al cospetto di una risoluzione Onu che si presta tanto alle interpretazioni estensive quanto a quelle restrittive: è vero che obiettivi indicati sono la no-fly zone, l'embargo e la protezione dei civili, ma è anche vero che per proteggere i civili viene previsto il ricorso a "ogni mezzo necessario". E qui risiede, appunto, la vera sostanza della linea scelta da Berlusconi e del contrasto con la Francia sul comando Nato. Frattini ha spiegato i termini della questione. Nella prima ora l'attacco unilaterale francese contro i mezzi corazzati di Gheddafi era giustificato, ha detto, dall'emergenza e dal timore che la conquista di Bengasi portasse a un bagno di sangue. Ma ora occorre tornare nella normalità di un comando che coordini e controlli tutti, che informi tutti di quello che stanno facendo gli altri e che tenga d'occhio interpretazioni troppo larghe della risoluzione dell'Onu. Eccolo ancora una volta, il dente che duole. E per rinforzare la sue argomentazioni, Frattini ha avvertito che se a un comando Nato non si giungesse l'Italia si sentirebbe nel pieno e logico diritto di assumere in prima persona il comando delle sue basi. Si arriverebbe così a una moltiplicazione di comandi (perché beninteso "Alba" andrebbe avanti), ma lo stesso Frattini, che punta a un accordo nella giornata di oggi, ha specificato che non si tratterebbe di una buona soluzione. Alla interpretazione restrittiva dell'Italia si affiancano approcci che ben dimostrano cosa accade tra europei quando gli americani sono reticenti (e lo sono sempre di più) a impugnare loro la bandiera. I britannici, per esempio, sono tendenzialmente d'accordo con il comando Nato. Ma non lo sono affatto con il "non spareremo" di Berlusconi, e difatti sono tra quelli che sparano di più. Quanto ai francesi, hanno due motivi per contrastare l'approccio italiano. Il primo appartiene alla loro storia politica che non è completamente cambiata con Sarkozy e che non gradisce che le decisioni di Parigi vengano filtrate o addirittura determinate da una Alleanza Atlantica vista (in questo caso erroneamente) come cortile di casa degli americani. Il secondo motivo tocca ancora una volta la risoluzione Onu. Senza il nostro primo attacco - dicono a Parigi, e hanno ragione - le forze di Gheddafi sarebbero entrate a Bengasi e l'intera operazione sarebbe fallita prima di cominciare. Vogliamo perciò - e qui hanno meno ragione - restare liberi di fare le nostre mosse. Beninteso sulla base di una interpretazione del documento Onu opposta a quella italiana. Quel che maggiormente colpisce, in questo braccio di ferro che va ben oltre la discussione sul comando della Nato, è il suo ritardo. Possiamo immaginare qualche motivo di politica interna, in Italia e almeno parzialmente anche in Francia. Ma quando si spara (perché gli altri lo fanno) e ci sono vite in gioco, si dovrebbe almeno capire che non è questo il momento di dividersi. Franco Venturini 22 marzo 2011
2011-03-20 assalto di gheddafi a bengasi, 90 morti. lega araba: "AZIONI distolgono da vero obiettivo" Nuovi raid, dagli Usa 40 bombe Attacchi a Tripoli, aerei sulla residenza del Raìs. Truppe del Colonnello a Misurata. Scalo libico colpito da stealth * NOTIZIE CORRELATE * Raid degli alleati in Libia Gli Usa: "Lanciati 11o missili" (19 marzo 2011) * Il Raìs: "Colpiremo nel Mediterraneo" (19 marzo 2011) * assalto di gheddafi a bengasi, 90 morti. lega araba: "AZIONI distolgono da vero obiettivo" Nuovi raid, dagli Usa 40 bombe Attacchi a Tripoli, aerei sulla residenza del Raìs. Truppe del Colonnello a Misurata. Scalo libico colpito da stealth L'operazione "Odyssey Dawn" MILANO - Raid su Tripoli fino all'alba; una base aerea colpita da 40 bombe sganciate dagli stealth, gli aerei Usa "invisibili" ai radar; nuove incursioni aeree francesi: prosegue in Libia la "Odyssey Dawn", l'operazione militare della coalizione internazionale. Nella notte si sono susseguiti attacchi dal cielo e dal mare sulle coste del Paese nordafricano, colpito da una pioggia di missili per costringere Muammar Gheddafi al "cessate il fuoco". I bombardamenti contro gli obiettivi militari del Colonnello, brevemente sospesi domenica mattina sia a Tripoli che a Bengasi, sono ricominciati. Intanto, in uno nuovo messaggio trasmesso dalla tv di Stato, il Raìs ha fatto sapere che il popolo libico è pronto "ad una guerra lunga". Le truppe libiche di terra del Colonnello avrebbero riconquistato la città di Misurata in mano ai ribelli e uomini del Raìs, a bordo di imbarcazioni, avrebbero bloccato il porto. La tv di Stato ha fatto sapere che le sedi dei Comitati popolari libici e degli altri apparati del regime sono state predisposte per la distribuzione delle armi "per un milione di civili". IN AZIONE GLI AEREI "INVISIBILI" - L'offensiva della coalizione va avanti. Un non meglio precisato aeroporto libico è stato attaccato da bombardieri stealth B-2 Spirit, aerei Usa invisibili ai radar che hanno sganciato 40 bombe. Secondo la stampa inglese, inoltre, tra gli obiettivi colpiti nei primi raid di "Odyssey Dawn" ci sarebbe un aeroporto vicino a Tripoli usato per i voli dei fedelissimi del regime, preso di mira proprio per impedire agli uomini di Gheddafi di fuggire. Nuovi raid aerei compiuti intorno a Bengasi (che si era lentamente ripopolata in mattinata) hanno distrutto decine di mezzi del Colonnello e 19 caccia americani, stealth compresi, sono stati impiegati contro le truppe del leader libico e le difese aeree del Raìs, colpendo obiettivi a Tripoli e a Misurata. L'ammiraglio americano Mike Mullen, capo degli Stati maggiori congiunti, ha annunciato che la no fly zone è stata effettivamente imposta sui cieli libici. "Non vi sono indicazioni che Gheddafi si stia orientando sull'uso di armi chimiche" ha anche assicurato Mullen, spiegando che la prima fase dell'operazione "Odissey Dawn" è stata un successo. Missili Tomahawk sulla Libia Missili Tomahawk sulla Libia Missili Tomahawk sulla Libia Missili Tomahawk sulla Libia Missili Tomahawk sulla Libia Missili Tomahawk sulla Libia Missili Tomahawk sulla Libia Missili Tomahawk sulla Libia IL GOVERNO: "64 VITTIME CIVILI" - Nelle ultime ore cominciano a emergere le prime stime su morti e feriti. Secondo fonti sanitarie locali, più di novanta persone sarebbero decedute negli scontri a fuoco di sabato a Bengasi. Secondo un bilancio provvisorio fornito invece dal regime sarebbero almeno 64 le vittime dei raid occidentali. I feriti 150. Nel cimitero dei martiri del quartiere di al-Hani, a Tripoli, i funerali delle vittime dei raid aerei compiuti ieri sulla capitale libica. La tv di Stato, inoltre, ha comunicato che migliaia di libici si sono offerti come scudi umani attorno al bunker del Colonnello. Il Raìs: "Siete barbari" ESPLOSIONI LUNGO LA COSTA - Notte di raid nei cieli libici. Poco prima dell'alba, un bombardamento ha preso di mira Tripoli e il dispositivo antiaereo nella capitale libica è entrato in azione. Il fuoco della contraerea è stato seguito da esplosioni e crepitio di armi automatiche. Il cielo della capitale è stato illuminato da traccianti e si sono udite frasi come "Allah è grande". Un aereo della coalizione ha sorvolato la zona a sud della città, dove si trova la residenza-caserma del Raìs a Bab al Azizia. Sempre all'alba le forze di Gheddafi avrebbero bombardato nuovamente Bengasi, secondo quanto riportato da Al Jazeera. Anche la città libica insorta di Misurata è ancora circondata dalle forze fedeli al leader libico e nel centro sono entrati in azione i cecchini sui tetti. Ai raid occidentali, cominciati sabato, partecipano Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti. Italia e Canada, gli altri due membri della coalizione internazionale, non hanno ancora preso parte attivamente agli attacchi. Anche se il nostro Paese ha messo a disposizione sette basi militari e otto aerei, di fatto già operativi. I bombardamenti "LA RISOLUZIONE 1973 È NULLA" - Attraverso un comunicato, il ministro degli Esteri libico ha fatto sapere che il regime considera nulla la risoluzione 1973 che impone la no fly zone sulla Libia e che chiede una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Tripoli, viene inoltre spiegato, non coopererà più nella lotta all'immigrazione clandestina. IL FRONTE DEL NO - Sul fronte della diplomazia internazionale, il comitato dell'Unione africana sulla Libia ha chiesto lo "stop immediato a tutte le ostilità" in Libia. La Cina, come la Russia e l'India, ha espresso invece il suo "rammarico" per gli attacchi della coalizione internazionale contro le truppe del Colonnello. Pechino, insieme a Mosca, entrambi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con diritto di veto, si erano astenute al momento dell'approvazione della risoluzione 1973 che ha dato base legale all'intervento in Libia. Mosca ha chiesto a Francia, Gran Bretagna e Usa di "sospendere l'uso non selettivo della forza" contro la Libia. Ha duramente criticato i raid aerei anche la Lega Araba. Per il segretario generale della Lega, Amr Moussa, gli attacchi della coalizione internazionale sono andati oltre il loro obiettivo, che era di imporre una non fly zone. "Quello che vogliamo è proteggere i civili, non bombardarne altri", ha detto Moussa. Critiche a Barack Obama da Hugo Chavez. Il presidente del Venezuela ha criticato il presidente americano che ha vinto il Nobel per la Pace "ma che sta portando avanti un'altra guerra come in Iraq e Afghanistan". L'Iran dal canto suo ha esortato i libici a non fidarsi delle potenze occidentali, il cui "unico obiettivo è quello di conquistare un controllo neocoloniale su una nazione ricca di petrolio". LA CONDANNA DEI TALEBANI - Dai talebani afghani arriva una condanna, senza minacce, delle "interferenze dell'Onu e dell'Occidente negli affari interni della Libia" perché esse "avranno conseguenze che sono contro gli interessi dei Paesi islamici". In un comunicato, il portavoce dei talebani rivolge anche un appello alla popolazione libica a prendere il controllo della crisi e a non permettere che altri gestiscano il suo futuro. Redazione online 20 marzo 2011
L'ITALIA E LA LIBIA "Otto aerei italiani operativi in Libia" La Russa in tv: "I velivoli compiranno azioni da oggi, nessuna limitazione all'intervento italiano" * NOTIZIE CORRELATE * Libia sotto attacco, bombe su Tripoli (20 marzo 2011) * Raid degli alleati in Libia Gli Usa: "Lanciati 11o missili" (19 marzo 2011) * Il Raìs: "Colpiremo nel Mediterraneo" (19 marzo 2011) * L'ITALIA E LA LIBIA "Otto aerei italiani operativi in Libia" La Russa in tv: "I velivoli compiranno azioni da oggi, nessuna limitazione all'intervento italiano" Un tornado italiano (Ansa) Un tornado italiano (Ansa) MILANO - Oltre alle sette basi, l'Italia ha messo anche otto aerei a disposizione della coalizione che sta intervenendo in Libia. Ospite di Lucia Annunziata su Raitre, Ignazio La Russa ha spiegato che i velivoli "si aggiungono agli altri assetti forniti dalle altre nazioni che partecipano e da oggi compiranno le loro azioni sotto un unico comando che è a Napoli". Il ministro ha sottolineato che il nostro Paese ha aderito alla coalizione, "trasferendo sotto il comando della coalizione stessa, otto aerei, ma se fra un minuto ci chiedessero altri tipi di aerei valuteremmo. Una cosa è certa: non è intenzione dell'Italia mettere caveat al proprio intervento". "Vogliamo partecipare alla pari a questa operazione - ha aggiunto - finalizzata alla salvaguardia della popolazione libica". I caccia danesi a Sigonella I caccia danesi a Sigonella I caccia danesi a Sigonella I caccia danesi a Sigonella I caccia danesi a Sigonella I caccia danesi a Sigonella I caccia danesi a Sigonella I caccia danesi a Sigonella "RICHIESTA FORMALE" - "Ieri sera intorno alle ore 23 abbiamo avuto richiesta formale di assetti da parte di altri Paesi e dalle 23:59 abbiamo dato la disponibilità di 8 aerei: 4 caccia e 4 tornado in grado di neutralizzare radar" ha detto il nostro titolare della Difesa in tv, spiegando che gli aerei italiani potranno essere impiegati dal comando della coalizione "in ogni momento". IMMIGRAZIONE - Quanto all'emergenza migranti, il ministro ha chiarito in tv che Roma chiederà alla comunità internazionale "di non lasciare sola l'Italia". Una volta "messa a tacere la contraerea libica, si dovrà attuare una no fly zone per tutelare le vite dei cittadini libici. E in questo - ha specificato La Russa - siamo partecipi alla pari con gli altri Paesi. Con la stessa forza chiederemo alla comunità internazionale di non lasciare sola l'Italia nella gestione dei flussi migratori". "La risoluzione Onu - ha aggiunto - non pone il problema di cosa accadrà a Gheddafi. Peraltro quello è un aspetto che non dipende direttamente da noi, ma anche da una situazione diplomatica". BASI ITALIANE - Cosa sta avvenendo intanto nelle basi italiane? A Trapani sono arrivati quattro aerei Eurofighter provenienti da Grosseto, che l'Aeronautica militare ha rischierato in Sicilia in vista di un possibile impiego nella missione, e tre tornado provenienti dalla base militare del sesto stormo di Ghedi, nel bresciano. L'aeroporto di Trapani Birgi, confermano all'Ansa fonti dell'Enac, entro poche ore verrà chiuso al traffico aereo civile a causa delle operazioni dell'aeronautica militare che riguardano la Libia. I voli saranno dirottati su altri aeroporti. Da Decimomannu, nel corso della giornata, potrebbero alzarsi in volo i caccia spagnoli giunti sabato in Sardegna. Il ministro della Difesa britannico Liam Fox ha detto alla Bbc che tornado e typhoon della Raf si sposteranno "presto" in una base nell'Italia meridionale. Da Sigonella sono pronti a decollare sei caccia danesi F16 arrivati sabato. Redazione online 20 marzo 2011
Frattini: "Avanti fin quando il Raìs cadrà". BERSANI: "Sì AL SOSTEGNO, MA GOVERNO HA 2 LINEE" Napolitano: evitare gli allarmismi Appello del Papa: proteggere cittadini Appello del Quirinale: "Non cedere alle paure". Bagnasco (Cei): "Speriamo tutto si svolga rapidamente" * NOTIZIE CORRELATE * Libia sotto attacco, bombe su Tripoli (20 marzo 2011) * Raid degli alleati in Libia Gli Usa: "Lanciati 11o missili" (19 marzo 2011) * Il Raìs: "Colpiremo nel Mediterraneo" (19 marzo 2011) * Frattini: "Avanti fin quando il Raìs cadrà". BERSANI: "Sì AL SOSTEGNO, MA GOVERNO HA 2 LINEE" Napolitano: evitare gli allarmismi Appello del Papa: proteggere cittadini Appello del Quirinale: "Non cedere alle paure". Bagnasco (Cei): "Speriamo tutto si svolga rapidamente" MILANO - È un appello a non cedere alle paure quello che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano rivolge agli italiani in relazione alla crisi di Tripoli. "Sono del parere che non si debba mai cedere alle paure, immaginiamoci in questo caso" ha detto il capo dello Stato rispondendo alle domande dei giornalisti. Per Napolitano è necessario in questo momento "evitare allarmismi e anche assolute fantasie che sono soltanto tese a suscitare timori immotivati". "VICINANZA E PREGHIERA" - Anche il Papa ha rivolto un pensiero a quanto sta avvenendo in Libia. Subito dopo l'Angelus, Benedetto XVI ha detto di provare "grande apprensione" per la situazione nel Paese, ha assicurato la sua vicinanza e la sua preghiera alla popolazione e ha rivolto un "pressante appello a quanti hanno responsabilità politiche e militari, perché abbiano a cuore, anzitutto, l'incolumità e la sicurezza dei cittadini e garantiscano l'accesso ai soccorsi umanitari". "RISPETTO PER TANTA POVERA GENTE" - Il cardinale Angelo Bagnasco ha commentato l'inizio dei bombardamenti in Libia. "Speriamo che si svolga tutto rapidamente, in modo giusto ed equo" ha detto. In visita pastorale alla Chiesa di Nostra Signora del Rimedio, in piazza Alimonda a Genova, il presidente della Cei ha auspicato "il rispetto e la salvezza di tanta povera gente che in questo momento è sotto gravi difficoltà e sventure". "Preghiamo per la salvezza del popolo libico" ha detto anche l'arcivescovo di Genova. "AVANTI FINO ALLA CADUTA DEL REGIME" - Dalle pagine di Avvenire, anche il ministro degli Esteri Franco Frattini è tornato a parlare di quanto deciso dalle forze alleate. "La nostra scelta è irreversibile, assolutamente irreversibile. Andremo avanti fino a quando il regime non verrà rovesciato". Il titolare della Farnesina ha ribadito come in questo momento l'Italia non poteva "defilarsi": "Questo è il momento della responsabilità. E confermare l'impegno italiano è stata la scelta giusta perché era in gioco il prestigio internazionale e non potevamo certo correre il rischio di essere marginalizzati". Con un occhio poi alle polemiche interne della Lega, Frattini ha voluto sottolineare che "se la conseguenza dello scontro libico dovesse davvero essere un'ondata migratoria, l'Italia avrà uno straordinario argomento in più per rivendicare il burden sharing con l'Europa". Quanto all'impiego delle basi italiane, il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha spiegato che al momento "nessun aereo italiano ha partecipato ad azioni". "IL GOVERNO HA DUE LINEE" - Sull'impegno dell'Italia e sulla posizione della Lega è tornato anche Pier Luigi Bersani. Il segretario dei democratici ha detto che il Pd è pronto a sostenere un ruolo attivo del nostro Paese in Libia, ritenendo l'intervento "necessario e legale". Riferendosi alle divisioni interne alla maggioranza, il numero uno del Partito democratico ha spiegato che in questa fase "sarebbe meglio che i diversi ministri stessero zitti e il governo parlasse con voce univoca e venisse nelle commissioni competenti a definire meglio il nostro profilo in questa vicenda". "L'Italia - ha detto Bersani - in questo frangente si presenta in una situazione di debolezza grave". La debolezza dell'Italia, secondo il leader del Pd, c'è "sia perché il governo ha due linee, non c'è una maggioranza governativa a sostegno della posizione italiana, sia perché con la nostra diplomazia berlusconiana fatta di personalismi abbiamo sbilanciato largamente la nostra politica estera. Nessuno ha fatto come l'Italia mettendosi in una situazione quasi di subalternità. Questo ci indebolisce". Redazione online 20 marzo 2011
la cina, come la russia, "rammaricata" per LA SCELTA DELLA COALIZIONE INTERNAZIONALE Libia sotto attacco, bombe su Tripoli Raid sulla capitale, aerei sulla residenza-caserma del Raìs. Il regime chiede una riunione del Consiglio Onu * NOTIZIE CORRELATE * Raid degli alleati in Libia Gli Usa: "Lanciati 11o missili" (19 marzo 2011) * Il Raìs: "Colpiremo nel Mediterraneo" (19 marzo 2011) * la cina, come la russia, "rammaricata" per LA SCELTA DELLA COALIZIONE INTERNAZIONALE Libia sotto attacco, bombe su Tripoli Raid sulla capitale, aerei sulla residenza-caserma del Raìs. Il regime chiede una riunione del Consiglio Onu Il lancio di un missile Tomahawk dal cacciatorpediniere Barry della Marina militare Usa che incrocia nel Mediterraneo orientale Il lancio di un missile Tomahawk dal cacciatorpediniere Barry della Marina militare Usa che incrocia nel Mediterraneo orientale Tripoli sotto le bombe, all'alba del secondo giorno di "Odyssey Dawn", l'operazione militare in Libia della coalizione internazionale. Nella notte si sono susseguiti attacchi dal cielo e dal mare sulle coste del Paese nordafricano, colpito da una pioggia di missili per costringere il Colonnello Muammar Gheddafi al "cessate il fuoco". ESPLOSIONI LUNGO LA COSTA - Ai raid, cominciati sabato a Bengasi, partecipano al momento Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti. Italia e Canada, gli altri due membri della coalizione internazionale, non hanno ancora preso parte attivamente agli attacchi. Ma il nostro Paese sta fornendo un importante supporto logistico attraverso la messa a disposizione della coalizione di sette basi militari. Poco prima dell'alba, un bombardamento ha preso di mira Tripoli e il dispositivo antiaereo nella capitale libica è entrato in azione. Il fuoco della contraerea è stato seguito da esplosioni e crepitio di armi automatiche. Il cielo della capitale è stato illuminato da traccianti e si sono udite frasi come "Allah è grande". Un aereo della coalizione ha sorvolato la zona a sud della città, dove si trova la residenza-caserma del Raìs a Bab al Azizia, stando a quanto riferisce un inviato dell'Afp che si trova in un hotel ad un chilometro dal bunker del Colonnello. Le esplosioni stanno continuando dunque nella capitale e lungo tutta la costa della Libia. Gli attacchi sono condotti da statunitensi, inglesi e francesi, per far rispettare alle truppe del leader libico la no fly zone sul Paese decisa dalle Nazioni Unite. Le forze di Gheddafi avrebbero bombardato nuovamente Bengasi, secondo quanto riportato da Al Jazeera. Citando fonti anonime, il canale satellitare ha parlato di fuoco dai tank e lancio di razzi. Missili Tomahawk sulla Libia Missili Tomahawk sulla Libia Missili Tomahawk sulla Libia Missili Tomahawk sulla Libia Missili Tomahawk sulla Libia Missili Tomahawk sulla Libia Missili Tomahawk sulla Libia Missili Tomahawk sulla Libia CACCIA SPAGNOLI A DECIMOMANNU - In giornata si potrebbero alzare in volo dalla base di Decimomannu i caccia spagnoli giunti sabato in Sardegna. Attraverso un comunicato, il ministro degli Esteri libico ha fatto sapere che il regime chiede una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, spiegando di considerare nulla la risoluzione 1973 che impone la no fly zone sulla Libia, e ha annunciato che Tripoli non coopererà più nella lotta all'immigrazione clandestina. Ai raid delle forze alleate il Colonnello ha reagito fino a questo momento solo a parole con minacce gravissime: "il Mediterraneo - ha detto sabato sera attraverso un inusuale messaggio audio - è diventato un campo di battaglia". Il presidente del Parlamento Mohamed Zwei ha dichiarato che molti civili sono stati uccisi durante gli attacchi contro Tripoli e Misurata; ha inoltre ribadito che i ribelli sono appoggiati da Al Qaeda. Secondo la tv del regime, migliaia di libici si sono offerti come scudi umani attorno al bunker del Colonnello, mentre i morti per i raid occidentali, stando sempre alle fonti del regime, sarebbero almeno 48. "CINA RAMMARICATA" - Sul fronte della diplomazia internazionale, il comitato dell'Unione africana sulla Libia ha chiesto lo "stop immediato a tutte le ostilità" in Libia. Membri del comitato avrebbero dovuto recarsi domenica a Tripoli ma non hanno ricevuto l'autorizzazione. E dopo la Russia, anche la Cina ha espresso il suo "rammarico" per gli attacchi della coalizione internazionale contro le truppe del Colonnello. Pechino, insieme a Mosca, entrambi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con diritto di veto, si erano astenute al momento dell'approvazione della risoluzione 1973 che ha dato base legale all'intervento in Libia. LA CONDANNA DEI TALEBANI - Dai talebani afghani arriva una condanna, senza minacce, delle "interferenze dell'Onu e dell'Occidente negli affari interni della Libia" perché esse "avranno conseguenze che sono contro gli interessi dei Paesi islamici". In un comunicato, il portavoce dei talebani rivolge anche un appello alla popolazione libica a prendere il controllo della crisi e a non permettere che altri gestiscano il suo futuro. Redazione online 20 marzo 2011
fermato dopo aver sbarcato personale libico dell'eni Libia, sequestrato rimorchiatore italiano Tripoli: l'equipaggio composto da 8 connazionali, un ucraino e 2 indiani trattenuto nel porto da uomini armati * NOTIZIE CORRELATE * Libia sotto attacco, bombe su Tripoli (20 marzo 2011) * Raid degli alleati in Libia Gli Usa: "Lanciati 11o missili" (19 marzo 2011) * Il Raìs: "Colpiremo nel Mediterraneo" (19 marzo 2011) * fermato dopo aver sbarcato personale libico dell'eni Libia, sequestrato rimorchiatore italiano Tripoli: l'equipaggio composto da 8 connazionali, un ucraino e 2 indiani trattenuto nel porto da uomini armati MILANO - L'equipaggio di un rimorchiatore italiano, un Asso 22 della Società Augusta Off Shore, è stato sequestrato nel porto di Tripoli da uomini armati: lo apprende l'Ansa da fonti qualificate, secondo le quali le persone a bordo sono otto italiani, due indiani e un ucraino. Intorno alle 17 di sabato il rimorchiatore ha sbarcato personale libico dell'Eni. Alcuni uomini armati, tra cui uno che si sarebbe qualificato come il comandante del porto, hanno fermato l'equipaggio, impedendo al rimorchiatore di ripartire. Gli italiani e gli altri si troverebbero tuttora a bordo. Redazione online 20 marzo 2011
Il commento Una scelta inevitabile Il commento Una scelta inevitabile È sintomatico che Gheddafi parli come Milosevic e Saddam, utilizzi le stesse minacce contro gli "aggressori", faccia previsioni funeste e denunci l'illegittimità dell'intervento internazionale come ingerenza negli affari interni. Inoltre, come accade nella mente dei dittatori che negano la realtà o ne perdono il contatto, continua a considerarsi amato da quel popolo che aggredisce con carri armati e mercenari. È evidente lo scopo di insinuare nelle coscienze interrogativi etici sulla giustezza di una guerra (perché di questo si tratta, dopo che la coalizione dei volenterosi ha già colpito obiettivi in Libia) e dubbi sulla sua utilità. Ma è altrettanto evidente che le cose stanno in modo diverso rispetto ai "bombardamenti umanitari" del recente passato. In primo luogo non si tratta di un'invasione, ma di interventi mirati e circoscritti, finalizzati a impedire il bagno di sangue, prima ancora di discutere sbocchi politici. A Gheddafi il mondo, quasi all'unanimità, ha chiesto di rinsavire e forse gli lascia ancora un margine di manovra per consentire una transizione. In secondo luogo, l'intervento preventivato al vertice di Parigi è sostenuto da una coalizione internazionale che ha la copertura del Consiglio di Sicurezza, il placet della Lega araba, la partecipazione - per quanto in ordine sparso - dei maggiori Paesi europei, con l'eccezione della Germania. Merito del presidente francese Sarkozy, il quale non si è curato di accuse di impulsività e protagonismo elettorale e ha superato inerzie europee e riserve americane. Meglio sarebbe stato vedere un'Europa più coesa fin da subito. E sarebbe stata utile un'iniziativa forte dell'Italia, con tempi di reazione adeguati al nostro Paese, che ha la storia e la posizione più complicate in rapporto alla Libia. Abbiamo subito la determinazione francese e siamo entrati in un'operazione che pochi immaginavano soltanto una settimana fa. A Parigi, si è avuta la sensazione di essere arrivati a cose fatte. Per la nostra immagine, come ha promesso il presidente Napolitano, speriamo che il Paese si prepari a fare la propria parte. Se si ricordano le esperienze militari in Iraq e in Afghanistan (e sotto alcuni aspetti in Kosovo) dobbiamo anche riflettere sui rischi di pesanti conseguenze per la popolazione civile e di risultati opposti agli obiettivi conclamati. Se ci si interroga sulle alternative politiche a Gheddafi non ci si può nemmeno nascondere, come ha scritto ieri sul Corriere Sergio Romano, che sappiamo poco o nulla dei capi della ribellione che il solo Sarkozy ha voluto riconoscere. Un'azione internazionalmente condivisa non diventa moralmente giusta in assoluto. Ma non dovrebbe essere complicato, nel caso della Libia, sapere da che parte stare. Sia per il governo, sia per l'opposizione. Ciò che rende diverso il confronto con interventi del passato è l'atteggiamento culturale, prima che politico, che si dovrebbe tenere nei confronti dei popoli arabi. La rivoluzione del Maghreb non brucia bandiere americane ma chiede libertà, democrazia, distribuzione delle ricchezze e un futuro di sviluppo che non può essere considerato alla stregua di minacce per le nostre coste o per le nostre economie. "I popoli arabi - ha promesso Sarkozy - devono essere padroni del proprio destino". Coloro che temono il dopo Gheddafi forse sottovalutano le insidie della sua permanenza al potere. Per il suo popolo e per le immense speranze dei popoli vicini. Massimo Nava 20 marzo 2011
IL PUNTO MILITARE DOPO IL PRIMO GIORNO Colpiti decine di obiettivi Una campagna che imita su scala ridotta le azioni in Iraq IL PUNTO MILITARE DOPO IL PRIMO GIORNO Colpiti decine di obiettivi Una campagna che imita su scala ridotta le azioni in Iraq WASHINGTON – Imitando, su scala ridotta, le campagne irachene, la coalizione ha colpito decine di obiettivi in Libia. Un’azione per debilitare l’apparato militare di Gheddafi, neutralizzare i sistemi anti-aerei, alleggerire per quanto possibile l’assedio sulle città ribelli. Oggi sarà possibile comprendere i risultati della prima fase. (Epa) (Epa) Con oltre 110 missili da crociera Tomahawk lanciati da unità navali, gli americani hanno saturato una trentina – o forse più – siti che ospitavano Sam 2 e Sam 5, ordigni che posso minacciare a lunga distanza i velivoli della coalizione. Operazione che verrà proseguita con la distruzione dei radar e di altri missili in dotazione all’esercito del colonnello. L’eliminazione di questo scudo, concentrato soprattutto nella parte costiera della Libia e attorno alle città più importanti, favorirà l’imposizione della no fly zone. A farla rispettare gli aerei di molti paesi europei, in gran parte basati in Italia mentre gli americani tornerebbero in seconda linea pronti a sferrare altre incursioni. Sarà più delicata la caccia ai sistemi missilistici mobili piazzati su semoventi ruotati. Resterà la minaccia dei Sam 7, ordigni che può usare un miliziano da solo. Così come quella di centinaia di cannoncini a volte efficaci contro velivolo a bassa quota. I francesi, nelle prime ore dell’attacco, si sono occupati dei tank che minacciano Bengasi. Sono da attendersi altre incursioni per allontanare i cannoni che tengono sotto tiro la capitale ribelle, Misurata e altri centri. Spezzare l’assedio non ha solo un valore militare ma anche quello di dare coraggio a quanti sono rimasti neutrali o hanno continuato a parteggiare per il raìs. In quest’ottica è importante per la coalizione impedire i movimenti delle colonne lealiste: con le linee piuttosto lunghe e sotto il tiro dei caccia per i lealisti diventerà complicata mantenere la compattezza. E’ altrettanto strategico mantenere aperto il "corridoio" che da Bengasi porta fino in Egitto. E’ dal confine egiziano che arrivano aiuti per i civili e armi per gli insorti. Il terzo "fronte" riguarda i centri di comando e controllo. Missili cruise e gli ordigni Storm Shadow (prodotti in parte dall’Italia) sono stati impiegati per distruggere strutture che ospitavano i quadri dell’apparato bellico. Sarebbero stati colpiti anche dei bunker e sono stati segnalati attacchi nei pressi della caserma-rifugio di Gheddafi. Di nuovo, l’intento è quello di disarticolare la catena di comando sperando che senza guida le unità rimaste fedeli al regime sbandino. Gli osservatori sono cauti su questo aspetto: non è detto che i filo-Gheddafi, messi con le spalle al muro, alzino bandiera bianca. Guido Olimpio 20 marzo 2011
Nel bunker del Raìs Bombardamento aereo sulla capitale prima dell'alba. "Scudi umani" nella caserma di Gheddafi qui tripoli Nel bunker del Raìs Bombardamento aereo sulla capitale prima dell'alba. "Scudi umani" nella caserma di Gheddafi TRIPOLI - Un uomo, sono quasi le dieci di sera, nel quartiere di Ben Ashur si mette a correre tra la folla che manifesta da ore appoggio a Gheddafi. Grida e ripete: "Harb, harb". In arabo vuol dire: guerra. Dice di chiamarsi Saleh. Anche gli altri si mettono a gridare. Il figlio l'ha chiamato al cellulare, dicendo che la tv libica ha appena comunicato che i caccia "del nemico crociato" hanno bombardato dopo Bengasi anche Tripoli: "obiettivi civili", secondo il portavoce delle forze armate libiche, addirittura l'ospedale di Bir Usta Milad. Ci sarebbero dei feriti, eppure i reporter che corrono sul posto non trovano segni della rovina. (Ap) (Ap) Pioggia di bombe o guerra di propaganda? "Bombardamenti in corso nella zona orientale", dice al-Arabiya. E Saleh racconta che a Ben Ashur, quartiere a Est che non appare per nulla distrutto, la gente è vaccinata. "Qua vicino - ricorda - un tempo c'era la casa del signor Misherghi, ricco e stimato commerciante tripolino che la notte del 15 aprile 1986 morì insieme a buona parte della sua famiglia, sei vittime in tutto tra cui dei bambini, spazzato dalla traiettoria sbagliata di un missile americano durante il bombardamento notturno di Bab al Aziziyah. "Fecero laham mafruum - dice Saleh - carne tritata...". Il signor Misherghi e la sua famiglia furono uno dei "danni collaterali" di quella notte. Bab al Aziziyah è la residenza ufficiale del Colonnello Gheddafi, che nell'86 scampò all'attacco deciso da Ronald Reagan. Ma ora? Migliaia e migliaia di persone, una folla mai vista, con tanti anziani, donne e bambini, circondano la grande caserma per fare da "scudi umani" e proteggere il loro leader. Oggi poco prima dell'alba un aereo avrebbe sorvolato l'area del bunker del Colonnello sganciando alcune bombe. Secondo voci, raccolte a Tripoli da una fonte qualificata, Muammar Gheddafi sarebbe però già da giorni al sicuro altrove: forse a Sirte, la sua città natale. O forse nei pressi di Gharyan - dice la fonte - sulle montagne (il Gebel) a sud della capitale, dove avrebbe a disposizione un secondo bunker e dove anche molti tripolini sarebbero scappati nelle ultime ore, andando a rifugiarsi nelle case dell'infanzia. A mezzanotte, dopo le notizie dei primi bombardamenti, il Raìs è apparso alla tv di Stato: "Il Mediterraneo è ormai un campo di battaglia, attaccheremo anche noi adesso obiettivi civili e militari". Le speranze sembrano svanire. Una veglia in francese organizzata nella chiesa di San Francesco dal vescovo Antonelli ieri mattina non è andata a buon fine: Sarkozy non ha ascoltato. Il popolo però, Gheddafi l'ha sempre detto, a Tripoli è quasi tutto dalla sua parte. Popolo armato, "perché tutti gli arsenali sono stati aperti", avverte il Colonnello. E ieri la capitale si è mobilitata per lui. Scudi umani schierati dovunque per difendere gli obiettivi sensibili con gente ammassata davanti agli aeroporti. Una discreta bolgia anche sulla Piazza Verde di Tripoli, dove sul tardi è comparsa Aisha, la figlia del Colonnello, la "Claudia Schiffer del Nord Africa" come la chiamano, che molti volevano in fuga e invece ieri sera era lì, a manifestare contro "i nuovi colonizzatori". Ma Gheddafi aveva parlato già dal mattino, stavolta lanciando proclami epistolari. Era il giorno decisivo e lui ha mandato due lettere. La prima al presidente americano: "A nostro figlio sua eccellenza signor Barack Hussein Obama - così l'intestazione, con l'accento sul nome musulmano - Vi ho detto che anche se la Libia e gli Usa entrassero in guerra, Dio ce ne scampi, lei resterà sempre per me un figlio. La sua immagine ai miei occhi non cambia, non voglio che cambi". E' sembrato l'ultimo disperato appello per fermare i raid: "Tutto il popolo libico è con me. Io sono preparato a morire. Tutti noi in Libia, uomini, donne e bambini, sono con me. Niente di più". E poi è ritornato sul vecchio concetto della guerra ai terroristi di Al Qaeda, perché secondo il Colonnello i ribelli non sarebbero gruppi di cittadini semplicemente stanchi dei suoi 41 anni di regime, ma feroci seguaci di Bin Laden pronti a destabilizzare l'intera area del Maghreb: "Al Qaeda è un'organizzazione armata, ramificata in Algeria, Mauritania, Mali - ha scritto il Raìs ad Obama - Cosa farebbe Lei se Al Qaeda riuscisse a prendere il controllo con le armi della città americane? Farebbe quello che faccio io. Io sto soltanto seguendo il suo esempio". Tutt'altro tono, invece, ha usato nella seconda missiva, inviata al presidente francese Sarkozy, al premier britannico Cameron e al segretario generale dell'Onu, Ban Ki-Moon: "La Libia non è vostra, la Libia è dei libici e voi non avete il diritto d'intervenire nei nostri affari interni. Non è il vostro Paese, è il nostro. E perciò rimpiangerete ogni ingerenza in Libia, ve ne pentirete. Vittime civili? Non potremmo mai sparare una pallottola contro il nostro popolo. Questa aggressione è una palese forma di colonialismo, le risoluzioni Onu violano la Carta fondamentale, perciò sono inaccettabili e avremo ripercussioni sul Mediterraneo e in Europa". In serata un funzionario del regime ha annunciato alla tv di Stato che "la Libia ha deciso che non si farà più carico di fermare l'immigrazione illegale verso l'Europa". Il viceministro degli Esteri libico, Khaled Kaaim, ha aggiunto alla Bbc che "se ci fanno un attacco esterno, non solo i libici, ma anche la gente di Algeria, Tunisia, Egitto sarebbe pronta a prendere parte al combattimento". Ma il portavoce governativo, Ibrahim Moussa, mentre al Jazira trasmetteva le immagini della guerra a Bengasi, si ostinava a smentire: "Non c'è alcun attacco da parte nostra". Fabrizio Caccia 20 marzo 2011
LA GUERRA IN LIBIA Bengasi, ore di battaglia nella città ribelle I tank entrano in azione prima dell'attacco alleato. "Ecco i nemici". Abbattuto un aereo degli insorti * NOTIZIE CORRELATE * LA GUERRA IN LIBIA Bengasi, ore di battaglia nella città ribelle I tank entrano in azione prima dell'attacco alleato. "Ecco i nemici". Abbattuto un aereo degli insorti BENGASI - Esplosioni in città. Un ruggito ostile, che rimbomba tra i palazzi, con colonne di fumo all'orizzonte. I vetri tremano, meglio tenere aperte le finestre per evitare alla forza d'urto di infrangerle. Per la strada le auto corrono veloci, passano le ambulanze a sirene spiegate. Piazze, giardini, le banchine del lungomare: luoghi sino a ieri pacifici spettatori della quotidianità diventano pericolosi. Le bombe cadono un po' dovunque. Non sembra esservi una logica precisa. Due colonne d'acqua si alzano a qualche centinaio di metri dai vecchi pescherecci attraccati. "Hanno colpito il parcheggio dell'hotel Tibesti. Spostate le vostre auto in zona riparata. Ditelo agli autisti. Presto potrebbe toccare a noi" grida qualcuno nel corridoio. Ieri mattina Bengasi si è svegliata sotto attacco. La sua popolazione per qualche ora aveva sognato, si era illusa. E invece è passata dalla gioia per la decisione dell'Onu al terrore del bombardamento. Questo continuo altalenare di speranza e delusione, festa e terrore è parte integrante della sfida tra gli attivisti della "Rivoluzione del 17 febbraio" e la dittatura di Tripoli. Ma nelle ultime ore il salto in basso dell'umore collettivo è stato davvero da cardiopalma. L'altra sera le speranze in un attacco imminente dei caccia anglo-francesi avevano quasi fatto dimenticare la minaccia delle avanguardie di Gheddafi a meno di 50 chilometri dalle periferie occidentali. "Se ci attaccano, la Nato ci difenderà subito. Lo hanno promesso" dicevano gli abitanti. Ma verso l'alba quel maledetto rombo, un brusio minaccioso fatto di scoppi, tremori e sirene, è diventato più forte. E prima delle 7 era alle porte di casa. "Entrano. I nemici entrano a Bengasi! Venite a combattere" si sono messi a gridare dai megafoni gli attivisti. Molti giornalisti sono alloggiati all'Ouzu, un vecchio hotel non lontano dal porto, presso l'imbocco della statale che conduce verso la Sirte e Tripoli. Attorno ci sono poche abitazioni sparse, larghi spiazzi vuoti e un golfo rovinato dall'inquinamento. Così, dai piani alti, è stato facile osservare le fasi dell'attacco. In meno di due ore le bombe cadevano verso il centro, senza alcun rispetto per i civili. Altro che cessate il fuoco! In poche decine di minuti le operazioni belliche dell'esercito di Gheddafi hanno fornito qualsiasi tipo di legittimazione per l'intervento militare dell'Onu. Un intervento che però ieri mattina non c'è stato. Alle otto e trenta si svolge il dramma di uno dei pochi caccia dei ribelli colpito, sembra, dai missili terra-aria di Gheddafi. Poco prima due jet erano sfrecciati a qualche centinaia di metri dal suolo. Si ode un colpo secco nel cielo. L'aereo sembra stia cercando di mirare ai carri armati in avanzata. Si avvita su se stesso, scende in picchiata, a circa 500 metri da terra una fiammata si accende nella parte centrale della fusoliera. Così inizia a cadere tra le case, dove già si alzano alcune colonne di fumo color pece. Prima di schiantarsi perde un'ala. E' come se rallentasse, ormai condannato, sembra precipitare più piano nell'ultimo tratto. Poi sparisce in una nuvola di fuoco che incendia alcune abitazioni. A quel punto tra le postazioni dei ribelli vicine a noi partono lunghe raffiche. "Evviva abbiamo colpito un aereo di Gheddafi!". Ci metteranno parecchio per venire a sapere che nel rogo è appena morto uno dei loro piloti più esperti. Un'ora dopo occorre abbandonare l'albergo. I tank del Colonnello sono a 4 chilometri, non c'è tempo da perdere. Materiale televisivo, valigie, coperte, libri lasciati nei corridoi. Nessuno nella lobby. Cucine e bar deserti. Difficile trovare un'auto per lasciare la città. Alcuni taxisti sono giunti a chiedere sino a 2.500 dollari per un tragitto di 100 chilometri verso est. In tempi normali il prezzo non supera i 25. Le vie del centro sono sorvegliate da migliaia di ragazzi delle formazioni rivoluzionarie. Tornano le scene che erano famigliari due settimane fa sui fronti di Ajdabiya, Brega, Raf Lanuf. Disordine, tracotanza, tanta voglia di menare le mani, ma anche spavento, improvvisazione, disorganizzazione, impotenza. Ai posti di blocco controllano che nel bagagliaio non ci siano armi. I ragazzi si mettono i nastri di mitragliatrici pesanti attorno al collo, legati al petto. "Non ho paura. Facciamo vedere a Gheddafi che moriremo da eroi" gridano e cantano l'inno nazionale. Ma nel frattempo aumentano le code ai pochi benzinai rimasti aperti. Fluttua ulteriormente verso l'alto il cambio in nero per dollari ed euro. Sulla strada costiera che attraverso la Cirenaica porta a Tobruk e al confine con l'Egitto si incolonnano le famiglie. Profughi nel loro Paese. Diversi da quelli incontrati quattro giorni fa verso Tobruk. Allora la partenza era stata pianificata con calma. Le bombe non cadevano, come ora, dietro la schiena. Avevano avuto il tempo di fare i bagagli, organizzare le case di accoglienza in Egitto. Adesso molti non sanno proprio dove andare. "L'importante è uscire da qui. Voglio moglie e figli salvi. Poi vedremo" dice Ibrahim, alla guida di un camioncino stipato all'inverosimile. Le immancabili coperte legate sul tetto. Se ripensiamo alla storia del mondo arabo e ai suoi innumerevoli profughi negli ultimi decenni, le coperte sono una costante. Servono per dormire, pregare, ripararsi dal freddo, dal vento, dal sole, mettere le donne sedute in attesa con i bambini attorno. In un camioncino col cassone del bagaglio aperto c'è sdraiato Fraj Khalifa, 23 anni, combattente della rivoluzione appena ferito alle gambe da schegge di bomba. Spiega con un filo di voce: "Non voglio venire curato negli ospedali di Bengasi. Se mi trovano gli uomini di Gheddafi verrò ucciso a sangue freddo. E' già avvenuto ai nostri compagni ricoverati negli ospedali di Misurata e Tripoli". Intanto i tank avanzano nei quartieri occidentali. In poche ore, con un'azione da guerra lampo, ha posto i suoi mezzi tra le zone urbane di Bengasi. Ora sarà più difficile colpirli per i caccia della Nato. Un conto è compiere bombardamenti in pieno deserto, o comunque in zone aperte. Un altro operare con l'aviazione dove ogni bomba può colpire civili e abitazioni. Molti profughi non vanno lontano. Già una decina di chilometri fuori Bengasi si organizzano comitati di sostegno alla popolazione. Nei villaggi di Bujardar e Bursus grandi cartelli scritti a mano invitano le famiglie a trovare rifugio nella moschea e nella scuola locali. I giovani stendono stuoie e coperte a terra per giacigli improvvisati. Vengono offerti biscotti, verdura, frutta, bottiglie d'acqua e succhi. "Rivoluzione significa anche solidarietà e accoglienza. Da noi l'ospitalità è una cultura. E ora, nella lotta comune contro Gheddafi, diventa una missione" spiega l'imam di Bursus. Con il trascorrere delle ore la situazione sembra migliorare. I ribelli fanno sapere di avere fermato l'avanzata di Gheddafi ancora prima che arrivasse nel centro di Bengasi. "Abbiamo catturato almeno sette tank nemici. I criminali di Tripoli con i loro mercenari africani sono in fuga. Stiamo riguadagnando terreno verso ovest. Presto l'intera città tornerà libera. Speriamo nell'aiuto della Nato" dicono i loro portavoce. Ancora una volta l'indice degli sbalzi d'umore torna a puntare verso l'alto. Tanti profughi nel tardo pomeriggio stavano rientrando alle loro case. Altri si promettono di farlo oggi. Pronti a scappare ancora se fosse necessario. Lorenzo Cremonesi 20 marzo 2011
I missili libici hanno una gittata di 300 chilometri e quindi non arrivano neanche a Lampedusa Che cosa rischia l'Italia Missili, armi chimiche e azioni isolate: tutte le incognite della vendetta del Raìs * NOTIZIE CORRELATE * I missili libici hanno una gittata di 300 chilometri e quindi non arrivano neanche a Lampedusa Che cosa rischia l'Italia Missili, armi chimiche e azioni isolate: tutte le incognite della vendetta del Raìs ROMA - L'incognita adesso riguarda la potenza militare del regime di Gheddafi. Perché alcuni analisti e lo stesso presidente Silvio Berlusconi affermano pubblicamente che i missili a disposizione non hanno la gittata sufficiente per raggiungere il suolo italiano. Ma in realtà nessuno è in grado di fornire certezze sugli armamenti accumulati dopo la revoca dell'embargo e dunque sull'eventualità che il Colonnello sia in grado di colpire Lampedusa, Linosa e addirittura arrivare fino a Pantelleria. Del resto gli accordi economici stretti negli ultimi anni da numerosi Stati occidentali riguardano anche l'industria bellica, però non esiste una lista ufficiale delle apparecchiature consegnate. Gli apparati di sicurezza sono in regime di massima allerta e nessuna ipotesi viene scartata quando si analizzano le possibili "ritorsioni" già annunciate dal Raìs contro quegli Stati che gli hanno voltato le spalle, in testa proprio il nostro Paese. Non rassicura il fatto che nel suo proclama di ieri Gheddafi abbia minacciato esplicitamente soltanto Francia e Gran Bretagna. Perché il conto con l'Italia non appare affatto chiuso, soprattutto tenendo conto delle promesse che gli erano state fatte per ottenere la firma al Trattato di Amicizia e così bloccare i flussi dell'immigrazione clandestina. Allerta alle frontiere di terra e mare Un dispositivo particolare è scattato a protezione delle ambasciate e più in generale di tutte le sedi diplomatiche degli Stati coinvolti nei raid, così come sempre avviene in caso di una crisi internazionale tanto grave. Non risulta che i servizi di intelligence abbiano trasmesso al governo segnalazioni specifiche su possibili azioni progettate sul territorio. Ma due anni fa nessuno previde che Mohamed Game, cittadino libico residente da anni in Italia, si sarebbe fatto esplodere di fronte alla caserma Santa Barbara di Milano per protesta "contro il governo e Silvio Berlusconi responsabile della politica estera". Ed è proprio un eventuale gesto isolato ad allarmare, come è stato ribadito due giorni fa durante la riunione del Comitato per l'ordine e la sicurezza convocato al Viminale dal ministro dell'Interno Roberto Maroni. La circolare firmata dal capo della polizia Antonio Manganelli e indirizzata a prefetti e questori al momento si limita a sollecitare "la massima attenzione per gli obiettivi sensibili e soprattutto per le frontiere marittime e terrestri", ma la decisione di convocare in maniera permanente il Comitato di analisi strategica conferma le preoccupazioni relative all'evolversi di "una situazione di guerra che può diventare simile all'Iraq e all'Afghanistan però questa volta in un Paese che si trova a poche centinaia di miglia da noi". In queste ore si cerca di scoprire se negli arsenali del Raìs ci siano armi chimiche. Le voci sono contrastanti, ma è pur vero che l'analisi su quanto stava accadendo nel Paese è apparsa da tempo carente se si tiene conto che nessun servizio segreto occidentale aveva previsto che cosa sarebbe accaduto in Libia: né la rivolta degli oppositori partita dalla Cirenaica, né tantomeno la capacità di Gheddafi di riconquistare la maggior parte del Paese come ha mostrato di poter fare negli ultimi giorni, prima della risoluzione dell'Onu di due giorni fa che ha deciso l'intervento militare a protezione della popolazione. La rete degli ambasciatori Per cercare di raccogliere il maggior numero di informazioni i servizi di intelligence occidentale si affidano dunque a quegli ambasciatori libici che il 21 febbraio hanno deciso di abbandonare il regime e schierarsi con i ribelli. Un documento congiunto diramato quattro giorni dopo si rivolgeva al "popolo in lotta" con un messaggio esplicito: "Popolo nostro, in questi momenti noi siamo con te, noi non ti abbandoneremo e ci impegneremo al massimo per servirti come soldati leali al servizio dell'unità nazionale, della libertà e della sicurezza. Noi rimarremo al nostro posto per servire il nostro popolo nei Paesi in cui siamo, nei quali rappresentiamo il popolo libico. Dio abbia misericordia dei martiri del popolo libico". Firme di spicco erano quelle del rappresentante diplomatico in Italia Hafed Gaddur, quello all'Onu Abdurrahman Shalgam che con Gheddafi era stato anche ministro degli Esteri, entrambi ritenuti fedelissimi del Colonnello. La nota era stata sottoscritta anche dai loro colleghi in Gran Bretagna, Francia, Spagna, Germania, Grecia e Malta. Adesso sono tutti loro a poter fornire un aiuto prezioso per comprendere dove e come possa essere indirizzata la vendetta di Gheddafi. Il pericolo maggiore riguarda gli italiani e gli altri occidentali che si trovano ancora in Libia e potrebbero essere catturati per essere utilizzati poi come merce di scambio o comunque in un'azione di propaganda contro l'Occidente. Ma la paura per quanto potrà accadere ormai supera i confini dello Stato africano. Fiorenza Sarzanini 20 marzo 2011
L'isola di confine Lampedusa, una nave per i profughi Venticinque anni fa fu colpita da due Scud libici destinati a un'installazione militare degli Usa * NOTIZIE CORRELATE * L'isola di confine Lampedusa, una nave per i profughi Venticinque anni fa fu colpita da due Scud libici destinati a un'installazione militare degli Usa LAMPEDUSA - Arriva la San Marco, una nave militare, per alleggerire la presenza dei tunisini a Lampedusa. Ne potrà contenere un migliaio. Ma non basta a sedare i venti di rivolta echeggiati nell'isola perché albergatori, commercianti, pescatori hanno mal digerito l'annuncio del prefetto Giuseppe Caruso, il commissario straordinario dell'emergenza che non demorde dall'idea di allestire una tendopoli da mille posti. E il no all'accampamento è un coro che unisce tutti qui, destra e sinistra, parroco e circoli alternativi. Perché tutti vogliono svuotare l'isola dove invece continuano ad arrivare disperati, compresi i 16 salvati ieri da un peschereccio di Mazara del Vallo e i 60 da un pattugliatore della Marina. Ma non è solo su questo che s'infiamma l'isola. La paura di vedere sforare il muro dei 4 mila tunisini ammassati ovunque in angoli fetidi, alla stazione marittima, sotto i porticati, nelle vecchie grotte, si miscela infatti al terrore della guerra nell'isola che non ne può più. L'immagine delle motovedette stracariche, lasciate a pendolare in rada perché operatori turistici, casalinghe, giovani occupano le banchine per non fare sbarcare nemmeno donne e bambini, s'incrocia con l'incubo di chi ricorda i missili lanciati da Gheddafi nel 1986. Una ragione in più per sentirsi esposti dopo i primi attacchi francesi, mentre cinque aerei canadesi si piazzano nell'aeroporto di Trapani-Birgi e decine di blindati compaiono al porto di Palermo. Notizie che rimbalzano su questo scoglio inquieto del Mediterraneo. "E noi nel mezzo, a rischiare ritorsioni", tuona l'ex sindaco Totò Martello, l'albergo pieno di giornalisti e poliziotti. Infuriato contro il governo: "Ci lascia in balia dei clandestini e della guerra". E non si accontenta della rassicurazione del ministro Maroni ("Si sta affrontando l'emergenza da due mesi e mezzo") anche perché il suo sottosegretario Alfredo Mantovano, pragmatico, ammette che, a 70 chilometri dalla Libia, "quello che è accaduto finora è l'aperitivo". Riferimento diretto all'esodo: "Sono giunti soltanto quanti cercano un lavoro e condizioni di vita migliori. Ma prevediamo l'arrivo di decine di migliaia di rifugiati anche da Sudan, Eritrea, Somalia. Ci segnalano concentrazioni di pescherecci nei porti della Libia". Quanto basta per far lievitare la protesta culminata nei tafferugli di venerdì contro tunisini e poliziotti mai visti qui schierati con caschi, scudi e manganelli. Come ieri per un contestato comizio di Forza nuova in piazza. Una partita che ha per posta la partenza dei migranti "per non trasformare Lampedusa in una Guantanamo", come dice il sindaco Dino De Rubeis. Ma è lui a tentare di placare i concittadini, a chiamare il Quirinale per una mediazione, mentre la sua vice, la senatrice della Lega Angela Maraventano, fa esplodere il caso dei "200 minori respinti dagli albergatori di sinistra" che, dice lei, "predicano bene e razzolano male, decisi a rifiutarsi di alloggiarli". E scatta il finimondo, anche in consiglio comunale dove contrattacca il capogruppo del Pd Giuseppe Palmeri, titolare di un albergo: "Mai ricevuta una richiesta". È lo stesso per Martello, qui leader del Pd. Si scopre invece che nel cuore della notte ha aperto un residence Pino Maggiore, titolare di un paio di alberghi, infuriato pure con le associazioni umanitarie: "Alle tre di notte mi portano 35 bambini assiderati, 12 anni il più piccolo, 14 il più grande. E mi lasciano solo. Una notte e un giorno. Nessuno del Centro accoglienza o delle tante organizzazioni, fino a sera. Io solo a vegliarli, custode, responsabile. Un ragazzo col sangue al naso. Senza una camicia pulita. La mattina uno porta pane e latte: una busta ogni quattro bambini. E che sono cani?". Ecco un altro spinoso elemento di polemica poi sciolto con la partenza dei minori su uno dei tre voli di un ponte aereo comunque ancora asfittico. Niente rispetto alla mozione votata all'unanimità dal consiglio comunale su proposta di Palmeri. Un aut aut al governo: o si svuota l'isola in 48 ore o sarà sciopero generale "con blocco di aerei e navi". Felice Cavallaro 20 marzo 2011
LE REAZIONI La dissociazione di Bossi: ci voleva cautela "Noi abilissimi a prenderla in quel posto" "I democratici, da Napoleone in poi, li conosciamo bene". Di Pietro: ora bisogna pensare al dopo-Gheddafi LE REAZIONI La dissociazione di Bossi: ci voleva cautela "Noi abilissimi a prenderla in quel posto" "I democratici, da Napoleone in poi, li conosciamo bene". Di Pietro: ora bisogna pensare al dopo-Gheddafi (Ansa) (Ansa) MILANO - "Il mondo è pieno di famosi democratici, che sono abilissimi a fare i loro interessi, mentre noi siamo abilissimi a prenderla in quel posto: il maggior coraggio a volte è la cautela". Umberto Bossi, segretario della Lega Nord e ministro delle Riforme, in un incontro pubblico a Erba, ha preso vistosamente le distanze dall'operazione di attacco alla Libia. Bossi non ha specificato chi siano questi grandi "democratici", ma ha fatto una battuta che fa pensare al presidente francese Nicolas Sarkozy: "I famosi democratici, da Napoleone in poi li conosciamo bene...". Il leader della Lega ha anche rivelato che "il Consiglio dei ministri aveva però rallentato l'appoggio con una posizione cauta di non partecipazione diretta. Poi ci sono ministri che credono di essere più del premier e parlano a vanvera". Secondo Bossi, in vista delle possibili conseguenze, è stata la Germania a comportarsi nel modo più giusto, astenendosi dal voto in consiglio di Sicurezza delle nazioni Unite: "Io penso che ci porteranno via il petrolio e il gas e con i bombardamenti che stanno facendo verranno qua milioni di immigrati, scappano tutti e vengono qua. La sinistra sará contenta di quel che succede in Nordafrica perchè per loro conta solo portar qui un sacco di immigrati e dargli il voto. È questo l'unico modo che hanno per vincere le elezioni". Quasi a riecheggiare le parole di Bossi, la Libia ha in seguito annunciato che dopo l'attacco non fermerà più l'emigrazione illegale verso 'Europa. "BOSSI FA UN ERRORE" - Secondo Antonio Di Pietro, "Bossi non ha fatto una dichiarazione ipocrita ("se bombardiamo la Libia ci porteranno via petrolio e gas e arriveranno immigrati a milioni"), ma nel merito fa un errore. Sul piano economico l'errore che fa Bossi è pensare che stando con Gheddafi un domani ci saranno ancora petrolio e gas. Ormai è partita la coalizione, bisogna giá pensare al dopo Gheddafi". "Il "domani" e l'approvvigionamento delle materie prime dalla Libia -ha aggiunto il leader dell'Italia dei Valori durante un'intervista su La7 - sará a disposizione di coloro che hanno aiutato la transizione, non di coloro che si sono messi contro. Fare parte della coalizione non crea problemi, semmai il contrario. Ma non deve essere questa -conclude- la ragione per la quale non andiamo in Libia, sarebbe ragione volgare". Redazione online 19 marzo 2011(ultima modifica: 20 marzo 2011)
La tv libica: "colpiti civili" Raid degli alleati in Libia Gli Usa: "Lanciati 11o missili" Parigi: "Distrutti tank delle truppe del Colonnello". Il Pentagono: "Abbiamo colpito contraerea a Tripoli" * NOTIZIE CORRELATE * Usa, Francia, Gb: ultimatum a Gheddafi. Tripoli annuncia il cessate il fuoco (18 marzo 2011) * Aerei, Basi e navi: l'Italia è pronta ai raid (18 marzo 2011) * La tv libica: "colpiti civili" Raid degli alleati in Libia Gli Usa: "Lanciati 11o missili" Parigi: "Distrutti tank delle truppe del Colonnello". Il Pentagono: "Abbiamo colpito contraerea a Tripoli" (Ap) (Ap) E' guerra: bombardamenti occidentali sulla Libia. L'operazione è stata battezzata "Alba dell'odissea". Alle 17,45 è stata colpito il primo obiettivo militare dai caccia francesi. Poi è arrivata una pioggia di bombe e missili sulla Libia, lanciati da aerei francesi e inglesi e dalle navi Usa. Muammar Gheddafi non molla ma le forze della coalizione internazionale hanno iniziato a martellare mezzi e postazioni militari libiche. Nel giorno del summit di Parigi, che ha deciso l'intervento internazionale e all'indomani della dubbia dichiarazione di "cessate il fuoco" del Colonnello, le truppe di Tripoli avevano attaccato Bengasi e minacciato l'Occidente. La risposta delle forze alleate è arrivata. RAID AEREI: NEL MIRINO TANK E DEPOSITI - "Sono in corso raid dell'aviazione francese su obiettivi militari" appartenenti alle truppe del colonnello Muammar Gheddafi, ha riferito Al-Arabiya, prima emittente a diffondere la notizia nel mondo. Nel corso di questa prima missione sono stati distrutti almeno quattro carri armati appartenenti alle truppe del Colonnello e, secondo Al-Jazeera, il raid è avvenuto a sud-ovest di Bengasi. Poco più tardi è arrivata la conferma del ministero della Difesa francese: "Colpiti numerosi tank". Alle 17:45 ora italiana sono così iniziate le operazioni militari aeree contro le forze libiche leali a Muammar Gheddafi, in una zona di 100-150 chilometri intorno a Bengasi, bastione dei rivoltosi nell'est del Paese. In serata ci sono stati raid aerei anche su Misurata e sono stati bombardati i depositi che contengono le riserve di carburante delle brigate di Gheddafi. Anche due fregate di difesa aerea francesi sono attualmente al largo della Libia: la Jean Bart e la Forbin. Libia, abbattuto un aereo Libia, abbattuto un aereo Libia, abbattuto un aereo Libia, abbattuto un aereo Libia, abbattuto un aereo Libia, abbattuto un aereo Libia, abbattuto un aereo Libia, abbattuto un aereo NAVI USA COLPISCONO CONTRAEREA A TRIPOLI - Unità della marina americana dispiegate nel Mediterraneo hanno lanciato missili Cruise contro obiettivi in Libia. Lo rendono noto fonti del Pentagono citate da Cnn, precisando che l'obiettivo di questi primi attacchi sono batteriae della contraerea schierate nei dintorni di Tripoli. Una nota della difesa Usa ha poi aggiunto in questi primi attacchi sono stati lanciati 110 missili Tomhawk sulla Libia. La marina Usa ha anche schierato tre sottomarini nel Mediterraneo pronti a intervenire. Lo ha detto un responsabile della Difesa Usa. Il responsabile, parlando in condizioni di anonimato ha detto che i tre sottomarini - tra i quali i mezzi di attacco Newport News e il Providence - sono stati affiancati da due navi della Marina. Sempre secondo la stessa fonte i sottomarini sono equipaggiati con missili Tomahawk. Il Consiglio per la Sicurezza Nazionale statunitense, poco dopo la mezzanotte (ora italiana), ha riferito di ritenere che il sistema di difesa aerea libico sia stato "duramente danneggiato e reso inoperativo". "Al momento è troppo presto per prevedere come Gheddafi e le sue truppe di terra potranno rispondere ai bombardamenti". LA TV LIBICA: "COLPITI CIVILI, BOMBARDATA ANCHE SIRTE" - La televisione di Stato della Libia ha annunciato che gli attacchi aerei hanno colpito zone abitate da civili nella capitale Tripoli. La notizia non è stata confermata in maniera indipendente. Testimoni sul posto hanno detto all'Ansa che "è stato colpito nei pressi di Tajoura", sobborgo a poca distanza da Tripoli. Secondo i testimoni alcuni giornalisti stranieri ospitati in un albergo del centro, avrebbero parlato di esplosioni senza precisare esattamente il luogo nè l'intensità. Media libici hanno anche riferito che è stata bombardata Sirte, città natale di Gheddafi e che un jet francese è stato abbattuto. Quest'ultima notizia è stata però subito smentita fonti militari francesi. TRIPOLI CHIEDE RIUNIONE DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA - Durante la notte, e dopo aver subito un'intera di giornata di bombardamenti, il governo libico ha chiesto di convocare una riunione urgente del Consiglio di sicurezza dell'Onu. Lo ha reso noto il ministero degli Esteri libico. "RIMPIANGERETE L'INGERENZA" - Il Raìs, prima che scattasse l'attacco, in una lettera indirizzata a Nicolas Sarkozy e a David Cameron, aveva minacciato il presidente francese e il premier britannico, spiegando che le potenze occidentali non hanno diritto di intervenire in Libia e che "si pentiranno" della loro ingerenza. Secondo quanto detto dal portavoce del governo libico, Mussa Ibrahim, la lettera, oltre che ai leader francese e britannico, era indirizzata anche al segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon. Nella missiva Gheddafi scrive che ogni azione militare contro la Libia sarebbe una "un'ingiustizia, una chiara aggressione. Ve ne pentirete se interverrete nei nostri affari interni". "La Libia non è vostra... - prosegue la missiva, citata da Al Jazeera -. Voi non avete il diritto di intervenire nei nostri affari interni. Questo è il nostro paese, non è il vostro paese. Noi non potremmo sparare un solo proiettile contro il nostro popolo". In un'altra lettera inviata a Barack Obama, il leader libico scrive: "Tutto il popolo libico è dalla mia parte, tutti sono pronti a morire per me, io qui sto combattendo contro Al Qaeda, cosa pensa di fare?". Gheddafi sfida il mondo BATTAGLIA A BENGASI - In serata le forze fedeli a Muammar Gheddafi sono nuovamente avanzate dai quartieri occidentali verso il centro di Bengasi. Lo hanno rivelato forze dei ribelli libici alla tv araba Al Jazeera. ARRESTATI QUATTRO GIORNALISTI DI AL JAZEERA - Quattro giornalisti di Al Jazeera sono stati arrestati dalle forze di sicurezza libica nella Tripolitania, la parte occidentale del Paese. Lo riferisce la stessa rete qatariota specificando che si tratta di un britannico, un norvegese, un tunisino e un mauritano. E' stato invece ucciso il giornalista libico Mohammed al-Nabbous, fondatore del canale web Free Libya. Il suo sito, che si chiama anche Libya Al-Hurra, aveva mostrato le conseguenze degli attacchi da parte delle forze di Muammar Gheddafi. Il giornalista è stato colpito da un colpo di un cecchino mentre il colonnello inviava aerei da guerra, carri armati e truppe su Bengasi, la prima città caduta in mano ai ribelli. Redazione online 19 marzo 2011(ultima modifica: 20 marzo 2011)
2011-03-19 Discorso del Colonnello in tv Gheddafi: "Il Mediterraneo adesso diventa un campo di battaglia" Il Raìs minaccia di attaccare "obiettivi civili e militari" * NOTIZIE CORRELATE * Usa, Francia, Gb: ultimatum a Gheddafi. Tripoli annuncia il cessate il fuoco (18 marzo 2011) * Aerei, Basi e navi: l'Italia è pronta ai raid (18 marzo 2011) * Discorso del Colonnello in tv Gheddafi: "Il Mediterraneo adesso diventa un campo di battaglia" Il Raìs minaccia di attaccare "obiettivi civili e militari" La sedia sistemata per il discorso di Gheddafi che è invece rimasta vuota (Ap) La sedia sistemata per il discorso di Gheddafi che è invece rimasta vuota (Ap) TRIPOLI - Il Mediterrano si è trasformato in "un campo di battaglia". Questo il primo commento di Muammar Gheddafi all'attacco della coalizione internazionale in un discorso trasmesso soltanto via audio dalla tv di Stato libica. Il Colonnello ha anche annunciato che "i depositi di armi sono stati aperti" per consentire al popolo di difendere la Libia. Il colonnello libico Muammar Gheddafi ha poi minacciato di attaccare "obiettivi civili e militari" nel Mediterraneo.
SOLO MESSAGGIO AUDIO - Il Colonnello è tornato così a far sentire la sua voce, ma soltanto con un messaggio audio. Normalmente negli ultimi tempi era invece sempre comparso di persona quando pronunciava un discorso. 19 marzo 2011
assente l'unione africana Il vertice di Parigi decide sulla Libia Francia e Inghilterra pronte ad attaccare, a seguire l'intervento degli Usa * NOTIZIE CORRELATE * assente l'unione africana Il vertice di Parigi decide sulla Libia Francia e Inghilterra pronte ad attaccare, a seguire l'intervento degli Usa La Clinton ricevuta da Sarkozy all'Eliseo (Ansa) La Clinton ricevuta da Sarkozy all'Eliseo (Ansa) MILANO - I raid aerei contro le forze di Muammar Gheddafi potrebbero iniziare subito dopo il vertice di Parigi. Lo ha riferito una fonte che segue i lavori all'Eliseo, precisando che alla prima ondata di attacchi parteciperebbero Canada, Francia e Gran Bretagna, poi si unirebbero anche gli Usa e in seguito alcuni Paesi arabi Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è intanto giunto all'Eliseo dove, come gli altri leader presenti al vertice sulla Libia, è stato accolto dal presidente francese Nicolas Sarkozy. Nessun rappresentante dell'Unione africana figura nella lista dei partecipanti al vertice. L'UA, hanno precisato le fonti dell'Eliseo, si riunisce a Noukachott, capitale della Mauritania, per affrontare gli aspetti diplomatici della crisi libica. A Parigi ci si concentrerà soprattutto sugli "aspetti militari", hanno sottolineato ancora le fonti dell'Eliseo, precisando che questa decisione è stata presa di "comune accordo" con l'Unione Africana. ADESIONE- L'Italia metterà a disposizione sette delle proprie basi militari per le eventuali azioni contro la Libia sulla base della risoluzione dell'Onu che ha istituito anche la no fly zone sui cieli del Paese nordafricano. Queste le indicazioni di Ignazio La Russa. Il ministro della Difesa, nel confermare che la partecipazione italiana al possibile intervento militare in Libia, non si limiterà alla messa a disposizione delle basi, ma vedrà il Paese in prima linea nella "coalizione dei volonterosi", ha utilizzato una espressione colorita, sottolineando che il governo di Roma non si limiterà a fare "l'affittacamere". "Proprio perché siamo vicini alla Libia - ha detto La Russa a margine di un convegno a Milano - il nostro ruolo non può essere quello degli affittacamere, di quello che offre le basi e dà le chiavi di casa: il nostro ruolo deve essere propositivo, moderato ma determinante". Redazione Online 19 marzo 2011
nei raid vittime e feriti, Abbattuto jet. summit a parigi. LA FRANCIA: "AGIRE IN FRETTA" Le forze di Gheddafi entrano a Bengasi Il Raìs contro Londra e Parigi: vi pentirete Bombe sulla città, migliaia di civili in fuga. Il Colonnello nega l'attacco e dice a Obama: i libici moriranno per me * NOTIZIE CORRELATE * Usa, Francia, Gb: ultimatum a Gheddafi. Tripoli annuncia il cessate il fuoco (18 marzo 2011) * Aerei, Basi e navi: lì'Italia è pronta ai raid (18 marzo 2011) * nei raid vittime e feriti, Abbattuto jet. summit a parigi. LA FRANCIA: "AGIRE IN FRETTA" Le forze di Gheddafi entrano a Bengasi Il Raìs contro Londra e Parigi: vi pentirete Bombe sulla città, migliaia di civili in fuga. Il Colonnello nega l'attacco e dice a Obama: i libici moriranno per me (Ap) (Ap) Muammar Gheddafi non molla. Nel giorno del summit di Parigi chiamato a decidere sull'intervento internazionale e all'indomani della dichiarazione di "cessate il fuoco" (e dei dubbi sollevati dagli Stati Uniti, secondo i quali il Colonnello non starebbe rispettando la tregua) il Colonnello attacca Bengasi e minaccia l'Occidente. "RIMPIANGERETE L'INGERENZA" - In una lettera indirizzata a Nicolas Sarkozy e a David Cameron, il Raìs minaccia il presidente francese e il premier britannico, spiegando che le potenze occidentali non hanno diritto di intervenire in Libia e che "si pentiranno" della loro ingerenza. Secondo quanto detto dal portavoce del governo libico, Mussa Ibrahim, la lettera, oltre che ai leader francese e britannico, è indirizzata anche al segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon. Nella missiva Gheddafi scrive che ogni azione militare contro la Libia sarebbe una "un'ingiustizia, una chiara aggressione. Ve ne pentirete se interverrete nei nostri affari interni". "La Libia non è vostra... - prosegue la missiva, citata da Al Jazeera -. Voi non avete il diritto di intervenire nei nostri affari interni. Questo è il nostro paese, non è il vostro paese. Noi non potremmo sparare un solo proiettile contro il nostro popolo". In un'altra lettera inviata a Barack Obama, il leader libico scrive: "Tutto il popolo libico è dalla mia parte, tutti sono pronti a morire per me, io qui sto combattendo contro Al Qaeda, cosa pensa di fare?". Gheddafi sfida il mondo BATTAGLIA A BENGASI - Le forze del Raìs sono entrate alla periferia ovest di Bengasi, città roccaforte dei ribelli, dove ora si sta combattendo intensamente. Le truppe del leader libico starebbero avanzando inoltre dalla costa e da sud e starebbero bombardando anche i quartieri della zona orientale della città. Il bilancio dei raid delle forze pro-Gheddafi è al momento di 26 morti e e una quarantina di feriti, i civili in fuga sono migliaia. Un aereo militare dei ribelli è stato colpito e abbattuto. Il velivolo, che era passato sulla città diverse volte, è stato visto sorvolare un'ultima volta con il reattore destro in fiamme e poi schiantarsi al suolo in una palla di fuoco. Nelle immagini trasmesse da Al Jazeera si vede chiaramente anche il pilota che si lancia all'esterno prima dell'impatto, a poche decine di metri da terra. "Noi rivoluzionari abbiamo preso il controllo di quattro carri armati all'interno di Bengasi. Le forze degli insorti hanno respinto quelle di Gheddafi fuori da Bengasi e stanno rastrellando la periferia occidentale alla ricerca dei soldati di Gheddafi", sostiene il portavoce dei ribelli, Nasr al-Kaliki. Sempre Al Jazeera ha mostrato un carro armato che viaggiava lungo una strada con un manipolo di ribelli, seduti sulla torretta, che sventolano la bandiera monarchica, il vessillo degli insorti. Libia, abbattuto un aereo Libia, abbattuto un aereo Libia, abbattuto un aereo Libia, abbattuto un aereo Libia, abbattuto un aereo Libia, abbattuto un aereo Libia, abbattuto un aereo Libia, abbattuto un aereo ESPLOSIONI NELLA NOTTE - Nella notte si sono udite fortissime esplosioni, almeno quattro, a Bengasi. Diverse colonne di fumo si sono alzate dall'area sudoccidentale della città. Il Colonnello avrebbe quindi ignorato il "cessate il fuoco" che il suo regime si era impegnato a rispettare dopo la risoluzione di giovedì del Consiglio di sicurezza dell'Onu per accelerare l'avanzata prima del summit di sabato pomeriggio a Parigi che dovrebbe mettere a punto i dettagli per un intervento militare internazionale volto a proteggere i civili. "IL GOVERNO: ATTACCATI DAI RIBELLI" - Il portavoce del governo libico nega che ci stato "alcun attacco" contro Bengasi, denunciando anzi l'assedio dei rivoltosi. "Il cessate il fuoco è in vigore" ha affermato il viceministro degli Esteri libico, Khaled Kaaim, in un'intervista alla radio Bbc 4. "Le bande di Al Qaeda hanno attaccato le unità delle forze armate libiche ferme a ovest di Bengasi", si legge in una dichiarazione riportata dall'agenzia ufficiale Jana. Nella nota si accusano gli insorti di usare "un elicottero e un aereo da combattimento per bombardare le forze armate libiche". Al contrario, il presidente del Consiglio nazionale dell'opposizione libica, l'ex ministro della Giustizia Mustafa Abdel Jalil, ha detto ad Al Jazeera che il "cessate il fuoco" è una bugia e che gli insorti non hanno abbastanza armi e truppe per contrastare l'esercito. Bengasi bombardata, migliaia in fuga COMBATTIMENTI - Nel capoluogo della Cirenaica, i combattimenti sono iniziati già intorno alle due di notte e da quel momento sono proseguiti ininterrottamente, con colpi di mortaio, lanci di razzi katiuscia e scambi di colpi di mitragliatrice. All'alba ci sono stati almeno due raid aerei a distanza di 20 minuti con bombardamenti di zone attorno alla città. Un terzo bombardamento è avvenuto un'ora dopo. Colpite la strada per l'aeroporto e il quartiere di Abu Hadi. Testimoni hanno riferito di una jeep che sarebbe riuscita a entrare nei quartieri ovest della città con a bordo due mercenari di Gheddafi che hanno lanciato granate prima di essere uccisi dai ribelli. Dai documenti è risultato che i due, in abiti civili, erano nigeriani. L'INTERVENTO - L'ambasciatore francese alle Nazioni Unite Gerard Araud ha detto alla Bbc che un intervento militare contro la Libia potrebbe scattare già sabato, dopo il summit in programma a Parigi tra Ue, Unione Africana, Lega Araba e Stati Uniti. "La comunità internazionale deve agire in fretta" ha anche detto una fonte del governo di Parigi citata dalla Reuters. "Tutto è pronto - ha aggiunto - ma la decisione, ormai è solo politica". Il vertice si terrà alle 13:30, quando il presidente francese Nicolas Sarkozy intratterrà i partecipanti al vertice in un pranzo, seguito da una riunione di lavoro. Il vertice si chiuderà intorno alle 15:30, con una dichiarazione alla stampa dello stesso Sarkozy. Per gli Usa è prevista la partecipazione del segretario di stato Hillary Clinton. MINISTRO REINTEGRATO - Intanto, il regime di Muammar Gheddafi ha annunciato che il ministro dell'Interno libico, Abdel Fatah Yunes, che a inizio marzo era passato con i ribelli, è rientrato nei ranghi e ha ripreso il suo incarico. Una smentita è arrivata però dal Presidente del Consiglio nazionale di transizione di Bengasi. "L'ex ministro è con noi". Redazione online 19 marzo 2011
nel pomeriggio summit a parigi. LA FRANCIA: "AGIRE IN FRETTA" Le forze di Gheddafi entrano a Bengasi Bombardamenti sulla città roccaforte dei ribelli. Abbattuto un jet del Raìs. Il governo libico nega l'attacco * NOTIZIE CORRELATE * Usa, Francia, Gb: ultimatum a Gheddafi. Tripoli annuncia il cessate il fuoco (18 marzo 2011) * Aerei, Basi e navi: lì'Italia è pronta ai raid (18 marzo 2011) * nel pomeriggio summit a parigi. LA FRANCIA: "AGIRE IN FRETTA" Le forze di Gheddafi entrano a Bengasi Bombardamenti sulla città roccaforte dei ribelli. Abbattuto un jet del Raìs. Il governo libico nega l'attacco (Ap) (Ap) A Bengasi si combatte. All'indomani della dichiarazione di "cessate il fuoco" di Muammar Gheddafi e dei dubbi sollevati dagli Stati Uniti, secondo i quali il Colonnello non starebbe rispettando la tregua, le forze del Raìs sono entrate alla periferia ovest della città roccaforte dei ribelli, dove ora si sta combattendo intensamente, secondo quanto afferma l'emittente Al Jazeera. Le truppe del leader libico starebbero avanzano anche dalla costa e da sud. Un aereo militare è stato colpito e abbattuto dagli insorti. Il velivolo, che era passato sulla città diverse volte, è stato visto sorvolare un'ultima volta con il reattore destro in fiamme e poi schiantarsi al suolo in una palla di fuoco. Nelle immagini trasmesse dalla tv panaraba si vede chiaramente anche il pilota che si lancia all'esterno prima dell'impatto, a poche decine di metri da terra. Libia, abbattuto un aereo Libia, abbattuto un aereo Libia, abbattuto un aereo Libia, abbattuto un aereo Libia, abbattuto un aereo Libia, abbattuto un aereo Libia, abbattuto un aereo Libia, abbattuto un aereo ESPLOSIONI NELLA NOTTE - Nella notte si sono udite fortissime esplosioni, almeno quattro, a Bengasi. Diverse colonne di fumo si sono alzate dall'area sudoccidentale della città. Il Colonnello avrebbe quindi ignorato il "cessate il fuoco" che il suo regime si era impegnato a rispettare dopo la risoluzione di giovedì del Consiglio di sicurezza dell'Onu per accelerare l'avanzata prima del summit di sabato pomeriggio a Parigi che dovrebbe mettere a punto i dettagli per un intervento militare internazionale volto a proteggere i civili. "IL GOVERNO: ATTACCATI DAI RIBELLI" - Il portavoce del governo libico nega che ci stato "alcun attacco" contro Bengasi, denunciando anzi l'assedio dei rivoltosi. "Le bande di Al Qaeda hanno attaccato le unità delle forze armate libiche ferme a ovest di Bengasi", si legge in una dichiarazione riportata dall'agenzia ufficiale Jana. Nella nota si accusano gli insorti di usare "un elicottero e un aereo da combattimento per bombardare le forze armate libiche, in flagrante violazione della no fly zone imposta dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite". COMBATTIMENTI - Nel capoluogo della Cirenaica, i combattimenti sono iniziati già intorno alle due di notte e da quel momento sono proseguiti ininterrottamente, con colpi di mortaio, lanci di razzi katiuscia e scambi di colpi di mitragliatrice. All'alba ci sono stati almeno due raid aerei a distanza di 20 minuti con bombardamenti di zone attorno alla città. Un terzo bombardamento è avvenuto un'ora dopo. Colpite la strada per l'aeroporto e il quartiere di Abu Hadi. I ribelli sono poi riusciti ad abbattere un jet che è stato visto perdere fumo dalla coda prima di schiantarsi in una zona residenziale del sud di Bengasi (lo documentano anche alcune foto Ap e della France Presse). Testimoni hanno riferito di una jeep che sarebbe riuscita a entrare nei quartieri ovest della città con a bordo due mercenari di Gheddafi che hanno lanciato granate prima di essere uccisi dai ribelli. Dai documenti è risultato che i due, in abiti civili, erano nigeriani. A Gheddafi era arrivato nella serata di venerdì il monito di Barack Obama, che gli ha ricordato che "ha ormai perso l'appoggio della sua gente e la legittimità". Per questo l'unico modo per evitare un attacco era quello di rispettare la risoluzione dell'Onu che ha "chiare condizioni": fermare gli attacchi e ritirate le truppe. L'INTERVENTO - L'ambasciatore francese alle Nazioni Unite Gerard Araud ha detto alla Bbc che un intervento militare contro la Libia potrebbe scattare già sabato, dopo il summit in programma a Parigi tra Ue, Unione Africana, Lega Araba e Stati Uniti. "La comunità internazionale deve agire in fretta" ha anche detto una fonte del governo di Parigi citata dalla Reuters. "Tutto è pronto - ha aggiunto - ma la decisione, ormai è solo politica". Il vertice si terrà alle 13:30, quando il presidente francese Nicolas Sarkozy intratterrà i partecipanti al vertice in un pranzo, seguito da una riunione di lavoro. Il vertice si chiuderà intorno alle 15:30, con una dichiarazione alla stampa dello stesso Sarkozy. Per gli Usa è prevista la partecipazione del segretario di stato Hillary Clinton. Redazione online 19 marzo 2011
Violenta repressione da parte delle forze di sicurezza yemenite Dal Bahrein alla Siria, tensione in M.O. Lo Yemen proclama lo stato d'emergenza Quaranta morti tra gli oppositori a Sanaa, la polizia carica a Damasco. Coprifuoco violato a Manama * NOTIZIE CORRELATE * Francia pronta ad attaccare Gheddafi. Il Colonnello: "Reagiremo" (18 marzo 2011) Violenta repressione da parte delle forze di sicurezza yemenite Dal Bahrein alla Siria, tensione in M.O. Lo Yemen proclama lo stato d'emergenza Quaranta morti tra gli oppositori a Sanaa, la polizia carica a Damasco. Coprifuoco violato a Manama Una protesta anti-regime a Sanaa (Reuters) Una protesta anti-regime a Sanaa (Reuters) MILANO - Mentre i riflettori sono puntati sulla Libia e sulle possibili conseguenze di un'azione di forza connessa con la risoluzione dell'Onu sulla tutela sella popolazione, la situazione è particolarmente tesa anche in altre aree del Nord-Africa e del Medio Oriente. Quarantuno manifestanti sono rimasti uccisi a Sanaa nello stato della Yemen durante gli scontri con la polizia. Il presidente Ali Abdullah Saleh ha annunciato di aver proclamato lo stato di emergenza. Secondo quanto riferito da testimoni oculari, sulla folla che chiedeva le dimissioni del presidente avrebbero sparato non solo l'esercito ma anche miliziani fedeli al governo in abiti civili. La protesta era iniziata in maniera pacifica con migliaia di manifestanti che affollavano il viale di fronte all'università della capitale. A un certo punto una macchina sarebbe stata data alle fiamme e molti manifestanti si sarebbero mossi in direzione dell'auto da cui si sprigionava un denso fumo scuro. A quel punto la polizia avrebbe sparato per disperdere la folla subito affiancata nella repressione dai miliziani che fino a quel momento erano rimasti mischiati alla folla. SIRIA - Una manifestazione pacifica di decine di siriani è stata invece dispersa in mattinata dalle forze di sicurezza a Damasco, nei pressi della Grande moschea degli Omayydadi, nel cuore della città vecchia. Lo riferiscono testimoni oculari interpellati telefonicamente dall'Ansa. Le fonti precisano che decine di uomini, giovani ma anche di mezza età, si sono radunati nel piazzale antistante uno degli ingressi dell'antica moschea, rimanendo seduti e in silenzio, mentre numerosi agenti in divisa e in borghese sono intervenuti per allontanare i manifestanti. Su Internet è stata indetta per oggi una mobilitazione "per la libertà" contro il regime baatista al potere da quasi mezzo secolo. Altre fonti riferiscono di una contro-manifestazione inscenata da circa duecento lealisti nei pressi della stessa moschea. Le proteste anti-regime in Siria erano state indette anche in altre città del Paese. BAHREIN - Altro scenario, quello del Bahrein. Migliaia di manifestanti sciiti sono scesi in piazza questa mattina alle porte della capitale Manama, nonostante il coprifuoco e il divieto a tutte le manifestazioni decretato dalle autorità. I manifestanti gridano slogan contro il re al Khalifa e gli "occupanti" (le truppe saudite e degli emirati sbarcate nel paese). La manifestazione, che si tiene nel villaggio sciita di Diraz si svolge all'indomani dell'appello dell'opposizione a continuare le proteste radunandosi nei luoghi di culto piuttosto che nelle strade e mentre si registrano frizioni diplomatiche tra gli Stati Uniti, che hanno chiesto anche in questo caso il rispetto dei diritti di chi manifesta, e le altre potenze dell'area che sostengono la repressione da parte del regime. ARABIA SAUDITA - Tra queste c'è, appunto, l'Arabia Saudita dove re Abdallah ha però deciso di adottare una strategia improntata sulla trattativa e non sulla repressione e ha annunciato oggi una serie di "ordini reali", letti in modo alterno da due diversi annunciatori della tv di Stato, riguardanti l'innalzamento dei salari minimi a tutti i dipendenti statali, che riceveranno inoltre un bonus di due mensilità. 18 marzo 2011
2011-03-18 francia: "la minaccia resta". la nato: "pronti ad intervenire" Tripoli annuncia il cessate il fuoco: "Costretti a rispettare la risoluzione Onu" Gli insorti:"A Misurata si continua a combattere". Cdm: pronti a partecipare con mezzi, basi e uomini * NOTIZIE CORRELATE * Onu: sì all'uso della forza contro Gheddafi Tripoli: disponibili a un cessate il fuoco (17 marzo 2011) * La Libia: se attaccati dall'estero pronti a colpire navi e aerei nel Mediterraneo (17 marzo 2011) * francia: "la minaccia resta". la nato: "pronti ad intervenire" Tripoli annuncia il cessate il fuoco: "Costretti a rispettare la risoluzione Onu" Gli insorti:"A Misurata si continua a combattere". Cdm: pronti a partecipare con mezzi, basi e uomini (Ansa) (Ansa) MILANO- Ancora nulla è stato deciso ufficialmente, ma l'Italia sarà presto chiamata dagli alleati della Nato a fare la sua parte per la no-fly zone sulla Libia e sulle altre forme di intervento militare rese possibili dalla risoluzione votata giovedì sera dalle Nazioni Unite. Rese possibili ma non più così scontate, visto che la Libia ha annunciato l'immediato cessate il fuoco. La comunicazione è stata data dal ministro degli Esteri di Gheddafi. Mussa Kussa. Il provvedimento ha effetto immediato ed è stato adottato per proteggere i civili in linea con la risoluzione dell'Onu sulla no fly zone. Insomma, lo stop alle azioni militari nei confronti degli insorti anti-regime dovrebbe scongiurare l'eventualità di un conflitto di proporzioni più ingenti in cui sarebbero coinvolte, appunto, la forze della coalizione resasi disponibile a dare attuazione al pronunciamento delle Nazioni Unite. Resta ora da vedere quanto durerà lo stop alle armi e quali saranno le conseguenze sul fronte interno e su quello diplomatico internazionale. Mussa Kussa ha anche annunciato che la Libia si impegna a proteggere gli stranieri nel paese e i loro beni. "RISPETTIAMO L'ONU" - La Libia, "ha decso di osservare immediatamente un cessate il fuoco e di mettere fine a tutte le operazioni militari" ha detto il ministro aggiungendo che il suo Paese "è costretto a osservare la risoluzione in quanto paese membro delle Nazioni Unite". Parlando in conferenza stampa, Moussa Koussa ha detto che la Libia condivide l'articolo della risoluzione 1973 "relativo alla protezione dei civili e alla unità territoriale della Libia". Perciò - ha aggiunto - basandoci su questo articolo, apriamo tutti i canali di dialogo con chiunque sia interessato all'unità territoriale della Libia. "Il mio paese è molto serio nell'intenzione di continuare lo sviluppo economico, politico, sociale e umanitario della nazione libica" ha detto ancora il ministro che ha però anche aggiunto l'amareza del suo paese per una serie di misure implicate dalla risoluzione come "l'imposizione di una no-fly zone...una misura che porterà sofferenze a tutto il popolo libico... Così come il congelamento degli assets e degli investimenti del popolo libico...". GLI INSORTI: SI CONTINUA A COMBATTERE - Il comandante degli insorti libici, Khalifa Heftir, ha dichiarato che il cessate-il-fuoco annunciato poco fa dal ministro degli esteri di Gheddafi "non è importante" per l'opposizione, definendolo un "bluff". A Misurata infatti si continuerebbe a combattere. Un ultimo bilancio delle vittime è di 25 morti. LA RISPOSTA FRANCESEE QUELLA BRITANNICA - La Francia, la nazione capofila della coalizione anti-Gheddafi rimane "cauta" dopo l'annuncio del cessate il fuoco in Libia. "La minaccia sul terreno non è cambiata", hanno affermato le autorità di Parigi. Che in precedenza avevano dichiarato: "Gli attacchi contro le truppe di Gheddafi avverranno "in tempi rapidi" e la Francia vi prenderà parte". Muammar Gheddafi sarà giudicato dai fatti non dalle parole: ha detto invece il premier britannico David Cameron alla Bbc dopo l'annuncio da parte della Libia di un cessate il fuoco. LA NATO - "La Nato sta completando la propria pianificazione per essere pronta a prendere misure appropriate a sostegno della risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite" ha detto invece il segretario generale dell'Alleanza atlantica, Anders Fogh Rasmussen, al termine del Consiglio nordatlantico convocato per esaminare la risoluzione approvata al Palazzo di Vetro. LE BASI - L'opzione di un attacco resta comunque molto reale e molto vicina, anche se il governo libico ha mostrato in diverse dichiarazioni attribuite a Gheddafi e ai suoi famigliari di essere pronto anche ad uno scontro militare. A cui anche l'Italia avrebbe in qualche modo dovuto dare il proprio contributo, a partire dalla messa a disposizione delle basi. Più difficile (ma non è affatto escluso), invece, che jet italiani, visto il passato colonialista in Libia, possano attaccare direttamente il Paese nordafricano. Tra le diverse opzioni le più gettonate sono la base di Sigonella, in Sicilia vicino Catania, dove si trova una stazione della Marina Usa e il 41esimo Stormo Antisommergibili, e quella di Trapani Birgi, sede del 37esimo stormo. In Puglia, allungando di circa un'ora i tempi di intervento, c'è la base di Gioia del Colle, in provincia di Bari, che ospita il 36esimo stormo. PARTITA LA GARIBALDI - Intanto la portaerei Garibaldi è salpata dal porto di Taranto, completamente armata ed equipaggiata. La nave fa rotta verso le coste libiche e a bordo c'è la maggior parte del personale militare. Lo si apprende da qualificate fonti militari, secondo cui a bordo della portaerei non ci sarebbero ancora gli aerei da caccia che, se il Parlamento autorizzerà un'azione militare contro il regime di Tripoli, raggiungeranno la Garibaldi in navigazione. Secondo la fonte, il resto dell'equipaggio verrà imbarcato nelle prossime ore utilizzando gli elicotteri. CONSIGLIO DEI MINISTRI - L'Italia, nel quadro dell'attuazione della risoluzione Onu per la crisi in Libia, potrebbe mettere a disposizione della coalizione internazionale non solo le basi militari ma non è escluso neanche un coinvolgimento di mezzi e uomini. A quanto si apprende, è questa l'indicazione emersa dalla riunione del Consiglio dei ministri straordinario a Palazzo Chigi. MARONI - Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha convocato inoltre per il pomeriggio al Viminale il Comitato Nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica, proprio per discutere delle possibili conseguenze della crisi libica. LA LEGA - Da segnalare tuttavia una prima diversità di vedute sulla questione libica all'interno della maggioranza di governo. Se il Pdl si è detto favorevole ad un intervento militare in Libia nell'ambito della risoluzione Onu la Lega per bocca del suo leader Umberto Bossi ha dichiarato: "La Lega Nord si sente vicina alla posizione della Germania, per quanto riguarda il problema della Libia". Il Cancelliere tedesco, Angela Mekel, ha detto che la risoluzione Onu che ha dato il via libera alla No fly zone, e a eventuali raid aerei, "non è stata ponderata al 100%". AEREI - Quanto all'eventuale impiego di aerei, se si deciderà di impiegarli, si starebbe pensando all'utilizzo dei caccia F-16 e degli Eurofighter. Possibile anche il ricorso agli Harrier Av8. Particolarmente adatti alla missione di bombardamento delle difese aeree nemiche, riferisce una fonte, sarebbero inoltre i Tornado, che furono impiegati per compiti analoghi in Kosovo, assieme a velivoli tedeschi. MINACCE LIBICHE - Sull'intervento italiano pesa però la minaccia lanciata dal governo libico prima che venisse ordinato il cessate il fuoco. "Speriamo che l'Italia si tenga fuori da questa iniziativa": ha detto il vice-ministro degli esteri libico Khaled Kaaim, commentando la disponibilità del governo italiano a consentire l'utilizzo delle basi sul territorio italiano per la no-fly zone. "Speriamo che non consenta l'utilizzo delle sue basi e si tenga fuori da questa iniziativa decisa dall'Onu", ha poi aggiunto Kaaim. " La Libia non ha paura" ha detto successivamente Seif al-Islam, figlio del leader libico Muammar Gheddafi a proposito della risoluzione Onu. C'è stato poi anche l'intervento diretto del Colonnello che ha dichiarato: "Se le potenze occidentali ci attaccheranno ci sarà l'inferno". GRAN BRETAGNA - Anche la Gran Bretagna sta approntando la propria forza aerea per intervenire eventualmente sulla Libia. E' già stato disposto l'invio di uno squadrone di caccia Typhoon dislocati nella base aerea di Akrotiri, sulla costa meridionale dell'isola di Cipro. NORVEGIA - Da Oslo arriva invece la conferma che anche la Norvegia parteciperà alla coalizione militare contro la Libia. Lo ha dichiarato il ministro della Difesa norvegese Grete Faremo. "Contribuiremo all'operazione - ha dichiarato Grete Faremo - ma è presto per dire in che modo". Il ministro norvegese ha parlato dell'invio di aerei da combattimento come una possibilità. QATAR - Anche il Qatar ha annunciato che parteciperà alla no fly zone sulla Libia. È il primo paese arabo a dichiarare la sua partecipazione dopo l'approvazione venerdì da parte del Consiglio di sicurezza dell'Onu di una risoluzione sulla Libia e l'ok della Lega Araba. VERTICE DI PARIGI - Intanto il segretario generale dell'Onu ha fatto sapere che parteciperà sabato al vertice Unione Europea, Unione Africana e Lega Araba sulla Libia indetto a Parigi dal presidente francese Nicolas Sarkozy. Redazione online 18 marzo 2011
RIUNIONE DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA Onu: sì all'uso della forza contro Gheddafi Tripoli: disponibili a un cessate il fuoco La risoluzione autorizza la "no fly zone" e tutti i mezzi necessari per proteggere gli insorti. Londra: pronti per i raid. Juppè: questione di ore. La Libia: l'Italia resti fuori * NOTIZIE CORRELATE * * Italia, pronte tre basi per l'offensiva (18 marzo 2011) RIUNIONE DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA Onu: sì all'uso della forza contro Gheddafi Tripoli: disponibili a un cessate il fuoco La risoluzione autorizza la "no fly zone" e tutti i mezzi necessari per proteggere gli insorti. Londra: pronti per i raid. Juppè: questione di ore. La Libia: l'Italia resti fuori La sessione del CVonsiglio di sicurezza (Ap) La sessione del CVonsiglio di sicurezza (Ap) MILANO - Con 10 voti a favore, 5 astenuti (Russia, Cina, Brasile, India e Germania) e nessun voto contrario il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha approvato la risoluzione che autorizza l'imposizione di una no-fly zone sulla Libia "con tutti i mezzi a disposizione", incluso il ricorso all'uso della forza. La decisione arriva mentre Gheddafi sta per sferrare l'ultimo attacco in Cirenaica a Bengasi, dopo aver riconquistato quasi tutti i centri importanti che erano caduti nelle mani dei ribelli. L'obbiettivo della risoluzione è l'immediato "cessate-il-fuoco e la fine completa delle ostilità", frase inserita su richiesta della Russia, che voleva l'approvazione di un testo diverso da quello messo a punto, nella versione finale, dalla delegazione della Francia. Una limitazione, questa, che cambia di poco la sostanza delle cose: da questo momento è possibile l'uso della forza contro Gheddafi, in pratica è esclusa soltanto l'invasione della Libia. E i tempi, vista la situazione, sono stretti. Lo ha sottolineato il ministro francese Juppé nel suo intervento: "E' una questione di ore". Nessun aereo, però, partirà stanotte dalle basi italiane. Lo fanno sapere fonti del ministero della Difesa italiano, spiegando che l'aviazione militare francese, se dovesse intervenire nel giro delle prossime ore per far rispettare la no-fly zone imposta sulla Libia dal Consiglio di sicurezza dell'Onu, non utilizzerà basi militari italiane. Il viceministro degli Esteri libico Khalid Kaim , dopo il via libera del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, ha detto che il suo governo è pronto a osservare un cessate il fuoco ma che resta in attesa di dettagli tecnici dopo la risoluzione Onu. "Se ci attaccano risponderemo, questo è ovvio", ha aggiunto il ministro, che si è anche augurato che "l'Italia resti fuori" dall'azione. I PUNTI IN DISCUSSIONE - I temi chiave su cui si sono confrontati i membri del Consiglio di sicurezza dell'Onu sono stati la no fly zone, la protezione dei civili, da subito, a Bengasi, il divieto di voli commerciali da e per la Libia, il rafforzamento dell'embargo di armi. L'unica esclusione esplicita è stata quella che riguarda una "forza occupante" in Libia. La Gran Bretagna, poco prima dell'approvazione del documento, aveva annunciato che la Royal Air Force era pronta a sferrare la prima ondata di raid in poche ore. La risoluzione vieta "tutti i voli nello spazio aereo". Il divieto non si applica "ai voli il cui unico obiettivo è umanitario". Gli Stati, che "potranno agire a livello nazionale o tramite organizzazioni regionali", vengono autorizzati a mettere in atto la no fly zone. Le operazioni dei jet militari andranno intraprese "dopo aver notificato il segretario generale (dell'Onu) e il segretario generale della Lega Araba". NESSUNA FORZA OCCUPANTE - Il testo autorizza l'uso di "tutte le misure necessarie" per "proteggere i civili e le aree civili popolate sotto minaccia di attacco in Libia, compresa Bengasi", citata esplicitamente per permettere un intervento prima dell'arrivo delle forze di Gheddafi. L'Onu dovrà essere "informato immediatamente delle misure intraprese dagli Stati". In questo passaggio, rispetto alla prima versione, è stato aggiunto un inciso importante che "esclude una forza occupante". La bozza impone misure ancora più dure per fermare le armi che arrivano ai soldati di Gheddafi e "al personale mercenario armato", autorizzando ispezioni in "porti e aeroporti, in alto mare, su navi e aerei". Riguardo le sanzioni contro il regime, la bozza aggiunge nuovi nomi rispetto a quelli contenuti nella risoluzione 1970, approvata qualche giorno fa. In particolare, vengono inseriti l'ambasciatore della Libia in Ciad e il governato di Ghat (nella Libia del Sud), perché "coinvolti nel reclutamento dei mercenari" da altri Paesi dell'Africa. Vengono bloccate una serie di entità finanziare libiche quali la Central Bank of Libya, la Libyan Investment Authority, la Libyan Foreign Bank, oltre che la Libyan National Oil Company. Tutti i voli di tipo commerciale da e per la Libia vengono vietati, esattamente come quelli militari, per fermare l'afflusso di denaro nelle casse del Colonnello o l'arrivo di nuovi mercenari. INTERVENTI IMMEDIATI - Caduto il "no" di Russia e Cina, all'Onu è arrivata la svolta, particolarmente voluta dai francesi dopo l'esplicito sostegno di Sarkozy ai ribelli. Proprio il ministro francese Juppé, al consiglio di sicurezza Palazzo di vetro, spende le parole più decise: "Non c'è più tempo da perdere" e l'intervento militare è"questione di ore". Gli Usa, fino a pochi giorni fa più prudenti, hanno mutato posizione, temendo che Gheddafi possa "tornare al terrorismo e all'estremismo violento" se riuscisse schiacciare la rivolta. Dal canto suo l'Unione europea non ha alcuna intenzione di "riprendere più i contatti con il regime di Gheddafi". Lo ha detto Michael Mann, portavoce della rappresentante per la Politica estera europea, Catherine Ashton. "Ci basiamo sulle decisioni del Consiglio europeo di venerdì scorso - ha precisato Mann - non pensiamo di riprendere il dialogo". UE E NATO - Fonti ufficiali dell'Unione europea hanno fatto sapere che Bruxelles è pronta "a dare esecuzione" alla risoluzione Onu. Fonti anonime Nato hanno invece sottolineato che i Paesi membri dell'Alleanza Atlantica sono pronti a esaminare le conseguenze della risoluzione Onu in una riunione imminente. "La Nato esaminerà questa risoluzione per capire se ci sono i presupposti per agire", ha poi precisato il colonnello Massimo Panizzi, portavoce italiano della Nato, a SkyTg24. La risoluzione Onu, ha aggiunto, "andrà esaminata attentamente". GRAN BRETAGNA E USA - Il primo ministro britannico, David Cameron, ha convocato per venerdì mattina una riunione straordinaria del governo di Sua Maestà sulla crisi libica dopo la risoluzione dell'Onu sull'uso della forza, e ha annunciato che parlerà della Libia alla Camera dei Comuni. Lo ha detto una portavoce del governo. "Abbiamo ovviamente preparato un piano d'azione per essere pronti a sostenere la risoluzione. Siamo un membro permanente del Consiglio di sicurezza e giocheremo un ruolo" nel far valere la risoluzione, ha dichiarato la portavoce. Quanto agli Stati Uniti, che si sono detti soddisfatti della decisione Onu, fonti militari affermano che si attende che il tentativo per bloccare le forze aeree di Muammar Gheddafi possa iniziare entro domenica o lunedì. Lo sforzo comporterebbe l'intervento di jet, bombe e portaerei. PALAZZO CHIGI - Subito dopo la decisione dell'Onu è stata convocata una riunione urgente del presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi con il ministro della Difesa Ignazio La Russa, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta e i vertici militari. Alla riunione si è poi unito anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Successivamente "fonti qualificate" hanno fatto sapere che l'Italia è pronta a mettere a disposizioni basi e aerei per contribuire all'attuazione della "no fly zone" autorizzata dall'Onu. Le stesse fonti sottolineano che sono già state pianificate diverse opzioni che saranno ora valutate con gli altri partner internazionali. Redazione online 17 marzo 2011(ultima modifica: 18 marzo 2011)
Il commento L'azzardo feroce del Raìs che ha scosso l'Occidente * NOTIZIE CORRELATE * L'Onu: via libera agli attacchi contro Gheddafi (17 marzo 2011) Il commento L'azzardo feroce del Raìs che ha scosso l'Occidente Se Gheddafi avesse voluto scuotere una comunità internazionale immersa nel torpore, nulla avrebbe potuto essere più efficace delle minacce profferite nella serata di ieri: stiamo per prendere Bengasi - ha detto il Raìs - e con chi resiste non avremo pietà. In quelle stesse ore, a New York, il Consiglio di sicurezza dell'Onu tentava di trovare l'accordo su una risoluzione che spianasse la via a un intervento militare in Libia. Russi e cinesi si facevano ancora pregare, la Germania e l'India avanzavano perplessità, mentre i francesi e gli inglesi, spalleggiati questa volta dagli Stati Uniti, mettevano in risalto l'appoggio della Lega araba e facevano sapere che in caso di approvazione i bombardamenti a difesa degli insorti sarebbero cominciati a stretto giro di posta. Sul braccio di ferro diplomatico che si svolgeva all'Onu le parole di Gheddafi sono cadute pesanti come un macigno. Non soltanto il Raìs di Tripoli stava accelerando l'avanzata delle sue truppe verso la roccaforte dei ribelli. Non soltanto veniva di fatto annunciata una strage che non avrebbe potuto risparmiare i civili. Ma per tentare di impaurire i componenti del Consiglio le autorità tripoline preannunciavano, in caso di intervento straniero, attacchi sistematici contro il traffico aereo e marittimo nel Mediterraneo. A quel punto si trattava di rispondere al Colonnello o di dichiarare la resa. E sono allora giunte la disponibilità ad astenersi dei russi e dei cinesi, l'attenuazione delle altre obiezioni, la volontà di non permettere che la crisi libica si trasformasse in un clamoroso fallimento collettivo. La risoluzione, presentata da Francia, Gran Bretagna e Libano, prevede che possano essere applicate in Libia "tutte le misure necessarie" alla protezione dei civili, con la sola esclusione di un intervento ad opera di forze terrestri. La no-fly zone farà parte del dispositivo, ma è evidente che nell'attuale situazione essa sarà interpretata in maniera molto più offensiva di quanto inizialmente e vanamente discusso. E a chiarimento definitivo viene invocato il Capitolo VII, quello che nel codice Onu autorizza le operazioni militari. Dopo settimane di indecisionismo e di profonde diversità di approccio, l'Occidente si è finalmente reso conto che se il Raìs di Tripoli avesse vinto la sua sfida il prezzo sarebbe stato una generale perdita di immagine e di credibilità politica. Con il risultato di lanciare al mondo intero il segnale inequivocabile del passaggio a una nuova era, post occidentale e soprattutto post americana. Perché se è vero che a tirare il carro dell'intervento è stata soprattutto la Francia (che per l'occasione ha spedito a New York il ministro degli esteri Juppé), è ancor più vero che la novità fondamentale è venuta dal cambiamento della posizione americana. A lungo esitante e prudente, dilaniato tra il desiderio di farsi valere e il timore di impegnare gli Usa in una nuova guerra proprio ora che si avvicina la campagna presidenziale, Barack Obama era parso fino a ieri un presidente rinunciatario e sin troppo consapevole del calo (che rimane) della potenza e dell'influenza statunitensi. Nemmeno l'appoggio della Lega araba pareva avergli fatto superare il timore di essere accostato all'"imperialismo petrolifero" del suo predecessore. Nemmeno il fatto che l'Arabia Saudita avesse mandato soldati in Bahrein contro i suoi consigli e senza avvertirlo pareva essere stato per lui un campanello d'allarme abbastanza forte. Ma poi, alla fine, Obama deve essersi reso conto che Gheddafi non poteva vincere sul campo dopo che lui, il presidente degli Stati Uniti, aveva pubblicamente chiesto un suo immediato allontanamento dal potere in Libia. Si poteva al massimo mantenere una certa prudenza nel grado di coinvolgimento, lasciar fare il più possibile agli altri. Ed è così che una Europa più che mai divisa è riuscita in realtà a svolgere un ruolo di primo piano, almeno nelle componenti britannica e francese (non certo in quelle, assai scettiche, italiana e tedesca). Per Parigi si trattava oltretutto di evitare una pessima figura a Sarkozy, che aveva "riconosciuto" i ribelli e più di tutti aveva invocato le maniere forti contro Gheddafi. E gli inglesi, tra gli Usa e la Francia, non potevano certo rimanere alla finestra. Quanto all'Italia, come preannunciato "farà la sua parte" ora che un chiaro mandato internazionale esiste. Ma resta da vedere se si tratterà soltanto di concessione di basi o di una più attiva (e auspicabile) partecipazione alle operazioni. L'Italia come tutti, del resto, sa che il problema libico resta comunque aperto. Gheddafi cadrà o accetterà, come ventilato a Tripoli, dopo il voto all'Onu, un cessate il fuoco? Si andrà a una spartizione di fatto del Paese? Chi sono e cosa vogliono esattamente i rivoltosi ora protetti? Il petrolio ricomincerà a scorrere, e con le stesse concessioni e destinazioni di prima? Siamo soltanto all'emergenza, alla reazione della venticinquesima ora. Ma una strategia per la Libia non la fanno gli aerei, e da domani bisognerà pensarci. Franco Venturini 18 marzo 2011
La strategia del Colonnello Il cessate il fuoco di Gheddafi può essere solo un trucco Tripoli punta a rallentare un possibile attacco da parte della coalizione che si sta formando * NOTIZIE CORRELATE * Onu: sì all'uso della forza contro Gheddafi Tripoli: disponibili a un cessate il fuoco (17 marzo 2011) * La Libia: se attaccati dall'estero pronti a colpire navi e aerei nel Mediterraneo (17 marzo 2011) * La strategia del Colonnello Il cessate il fuoco di Gheddafi può essere solo un trucco Tripoli punta a rallentare un possibile attacco da parte della coalizione che si sta formando Muammar Gheddafi (Ap) Muammar Gheddafi (Ap) WASHINGTON – I dittatori pensano di essere più scaltri degli altri. E quando si sentono minacciati cercano di guadagnare tempo. Lo aveva fatto Saddam Hussein, ora tocca a Muammar Gheddafi. L’annuncio di "un cessate il fuoco immediato" rientra in questa tattica. Tripoli punta a rallentare un possibile attacco da parte della coalizione che si sta formando, spera in qualche canale diplomatico (è attesa una missione dell’Unione africana) e cerca di consolidare la sua posizione sul terreno. Per ora le truppe lealiste continuano a essere in vantaggio sugli insorti. E hanno insistito nel mantenere la pressione sugli avversari. L’offerta di tregua, infatti, è stata preceduta da duri bombardamenti sulle città ribelli: Misurata, Al Zitan, Nalut e le località dell’Est hanno patito le cannonate del regime. Sotto assedio, Tripoli ha lanciato segnali contradditori. Una confusione che può essere dettata da indecisioni all’interno dell’apparato ma anche da una strategia deliberata per creare una cortina fumogena. Agitando un tardivo ramoscello d’ulivo il Raìs si rivolge a quanti in Occidente sono contrari a un’altra guerra. Il fronte non interventista può appigliarsi alle parole dei governativi: vedete, c’è ancora spazio per una soluzione diversa. Nell’arco di poche ore il regime ha minacciato "l’inferno" nel Mediterraneo e una punizione implacabile per Bengasi. Quindi ci ha ripensato sostenendo che non avrebbe attaccato la capitale ribelle ed ha offerto clemenza a chiunque avesse rinunciato alla lotta. Poi di nuovo altre dichiarazioni baldanzose, seguite dall’annuncio di tregua. E’ possibile che il Raìs cambi ancora idea "giocando" con la diplomazia internazionale. E’ interessante notare che, come nei giorni iniziali della rivolta, Gheddafi si è fatto più cauto nell’esporsi. E giovedì i proclami di guerra sono stati lanciati con messaggi audio diffusi dalla tv. Forse aveva preso sul serio le notizie che davano per imminente un blitz sulla Libia. Indiscrezioni raccontano che la Guida avrebbe riunito la sua famiglia per decidere le future mosse. Un vertice del clan per quella che potrebbe essere una lunga battaglia. Guido Olimpio 18 marzo 2011
Violenta repressione da parte delle forze di sicurezza yemenite Dallo Yemen alla Siria, tensione in M.O. Trenta morti tra gli oppositori a Sanaa, la polizia carica i manifestanti a Damasco. Coprifuoco violato in Bahrein * NOTIZIE CORRELATE * Francia pronta ad attaccare Gheddafi. Il Colonnello: "Reagiremo" (18 marzo 2011) Violenta repressione da parte delle forze di sicurezza yemenite Dallo Yemen alla Siria, tensione in M.O. Trenta morti tra gli oppositori a Sanaa, la polizia carica i manifestanti a Damasco. Coprifuoco violato in Bahrein Una protesta anti-regime a Sanaa (Reuters) Una protesta anti-regime a Sanaa (Reuters) MILANO - Mentre i riflettori sono puntati sulla Libia e sulle possibili conseguenze di un'azione di forza connessa con la risoluzione dell'Onu sulla tutela sella popolazione, la situazione è particolarmente tesa anche in altre aree del Nord-Africa e del Medio Oriente. In Barhein resta Nello Yemen almeno 30 persone sono rimaste uccise e almeno altre 100 ferite a causa di colpi d'arma da fuoco sparati contro una manifestazione dell' opposizione contro il presidente, Ali Abdallah Saleh, stamani a Sanaa. SIRIA - Una manifestazione pacifica di decine di siriani è stata invece dispersa in mattinata dalle forze di sicurezza a Damasco, nei pressi della Grande moschea degli Omayydadi, nel cuore della città vecchia. Lo riferiscono testimoni oculari interpellati telefonicamente dall'Ansa. Le fonti precisano che decine di uomini, giovani ma anche di mezza età, si sono radunati nel piazzale antistante uno degli ingressi dell'antica moschea, rimanendo seduti e in silenzio, mentre numerosi agenti in divisa e in borghese sono intervenuti per allontanare i manifestanti. Su Internet è stata indetta per oggi una mobilitazione "per la libertà" contro il regime baatista al potere da quasi mezzo secolo. Altre fonti riferiscono di una contro-manifestazione inscenata da circa duecento lealisti nei pressi della stessa moschea. Le proteste anti-regime in Siria erano state indette anche in altre città del Paese. BAHREIN - Altro scenario, quello del Bahrein. Migliaia di manifestanti sciiti sono scesi in piazza questa mattina alle porte della capitale Manama, nonostante il coprifuoco e il divieto a tutte le manifestazioni decretato dalle autorità. I manifestanti gridano slogan contro il re al Khalifa e gli "occupanti" (le truppe saudite e degli emirati sbarcate nel paese). La manifestazione, che si tiene nel villaggio sciita di Diraz si svolge all'indomani dell'appello dell'opposizione a continuare le proteste radunandosi nei luoghi di culto piuttosto che nelle strade e mentre si registrano frizioni diplomatiche tra gli Stati Uniti, che hanno chiesto anche in questo caso il rispetto dei diritti di chi manifesta, e le altre potenze dell'area che sostengono la repressione da parte del regime. ARABIA SAUDITA - Tra queste c'è, appunto, l'Arabia Saudita dove re Abdallah ha però deciso di adottare una strategia improntata sulla trattativa e non sulla repressione e ha annunciato oggi una serie di "ordini reali", letti in modo alterno da due diversi annunciatori della tv di Stato, riguardanti l'innalzamento dei salari minimi a tutti i dipendenti statali, che riceveranno inoltre un bonus di due mensilità. 18 marzo 2011
2011-03-17 all'onu pronta una risoluzione per la no-fly zone Libia, bombardato l'aeroporto di Bengasi Il regime: presa Misurata. Gli insorti: si combatte ancora. La tv di Stato: siamo alle porte di Bengasi * NOTIZIE CORRELATE * La mini-guerra navale tra gli insorti e i lealisti Olimpio (17 marzo 2011) * Libia, attacco dei lealisti a Misurata: "In 48 ore Bengasi sarà riconquistata" (16 marzo 2011) * all'onu pronta una risoluzione per la no-fly zone Libia, bombardato l'aeroporto di Bengasi Il regime: presa Misurata. Gli insorti: si combatte ancora. La tv di Stato: siamo alle porte di Bengasi (Ansa) (Ansa) MILANO - Prosegue l'avanzata delle forze militari del Colonnello Gheddafi contro gli insorti in Tripolitania. Aerei militari delle forze pro-Gheddafi hanno bombardato l'aeroporto di Benina, 10 km a sud di Bengasi. Lo riferisce la tv Al Jazeera. "Uno degli aerei che hanno condotto un raid contro l'aeroporto internazionale Benina, nei pressi di Bengasi, è stato abbattuto dagli insorti". È quanto riferisce invece una fonte giornalistica a Bengasi. Un secondo aereo, secondo la fonte, sarebbe atterrato presso l'aeroporto, "ma non ci sono per ora elementi per dire se si tratti di una defezione". In città, per il momento, secondo la fonte, la situazione è "tranquilla". Una tesi che contrsta con quelle portate avanti dalla tv del regime per la quale le forze pro-Gheddafi sono alle porte di Bengasi. SI COMBATTE ANCORA A MISURATA - Intanto il leader libico Gheddafi ha affermato che le sue truppe lanceranno oggi "una battaglia decisiva" per prendere il controllo di Misurata, a 150 km da Tripoli. Lo mostrano immagini diffuse dalla tv nazionale libica. "La battaglia è cominciata a a Misurata e oggi sarà la battaglia decisiva", ha affermato il Gheddafi parlando a un gruppo di giovani di Misurata, una città che conta 500mila abitanti. Sul fronte militare a Misurata si contano almeno un centinaio di morti, secondo fonti mediche locali. Il regime ha successivamente dichiarato di aver preso Misurata, ma l'affermazione non è confermata da fonti indipendenti. Per gli insorti infatti combattimenti sarebbero ancora in corso. RISOLUZIONE ONU - Sul fronte diplomatico il Consiglio di sicurezza delle nazioni unite voterà oggi un progetto di risoluzione che prevede una "no-fly zone" sulla Libia. L'hanno reso noto mercoledì i diplomatici al termine di sette ore di maratona negoziale. "C'è un progetto di risoluzione che è stato messo a punto e che ha tenuto conto di un centro numero di d'osservazioni. Ma questo non vuol dire che è scritto nel marmo", ha dichiarato un diplomatico Onu anonimamente. "Abbiamo - ha continuato - il testo su cui voteremo". Ma questo testo potrà essere cambiato. L'ambasciatrice Usa all'Onu Susan Rice, dal canto suo, ha affermato che il Consiglio di sicurezza dovrebbe prevedere misure che vadano al di là della no-fly zone. "Abbiamo bisogno di prevedere delle tappe che comprendono una no-fly zone ma che forse vadano al di là", ha detto Rice senza precisare ulteriormente. L'ambasciatore russo all'Onu Vitaly Churkin ha spiegato che la Russia ha presentato mercoledì una contro-proposta al progetto di risoluzione. Il testo, molto più corto, prevede il cessate-il-fuoco di tutte le parti in conflitto. "Siamo venuti con l'idea d'adottare una risoluzione corta, ma incentrata su un cessate-il-fuoco", ha detto il diplomatico. Russia e Cina si sono finora mostrate reticenti con l'idea di una no-fly zone. NATO - "Prima l'Onu arriverà ad un accordo" sulla crisi libica e "meglio sarà" ha scritto il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, in un messaggio postato su Facebook nel quale definisce anche "inaccettabile" una vittoria di Gheddafi ed afferma che "la Nato è pronta ad agire per proteggere la popolazione civile dagli attacchi del regime". UE - Dal canto suo l 'Unione europea non ha alcuna intenzione di "riprendere più i contatti con il regime di Gheddafi". Lo ha detto Michael Mann, portavoce della rappresentante per la Politica estera europea, Catherine Ashton. "Ci basiamo sulle decisioni del Consiglio europeo di venerdì scorso - ha precisato Mann - non pensiamo di riprendere il dialogo". ENI - Intanto il ministro del petrolio libico ha confermato tutti i contratti petroliferi in essere con l'Eni e quindi con l'Italia: "Scaroni è un amico, abbiamo un'ottima relazione con l'Eni, una compagnia che lavora qui dagli anni '50 ed è tra le più importanti di quelle che operano in Libia", ha detto il ministro del Petrolio libico Shukri Ghanem. "Noi svolgiamo un ruolo fondamentale per la sicurezza energetica dell'Italia, Paese verso cui esportiamo un milione di metri cubici di gas. Per quanto ci riguarda confermiamo tutti i contratti con Eni, e speriamo che facciano lo stesso", ha sottolineato il ministro, precisando che la Libia intende "onorare" tutti i contratti in essere con le compagnie petrolifere straniere. Ghanem ha poi espresso rammarico per il fatto di non aver avuto aiuto, anche dall'Eni, "per domare gli incendi in alcuni degli impianti del Paese durante i disordini, installazioni che se fossero esplose avrebbero causato una catastrofe naturale in tutto il Mediterraneo". Redazione online 17 marzo 2011
Possibile che gli insorti stiano ricevendo assistenza dagli egiziani Libia, la mini-guerra navale tra i ribelli e i lealisti di Gheddafi La Marina libica ha ampliato il suo intervento. Denunciati dagli oppositori attacchi contro i centri abitati Possibile che gli insorti stiano ricevendo assistenza dagli egiziani Libia, la mini-guerra navale tra i ribelli e i lealisti di Gheddafi La Marina libica ha ampliato il suo intervento. Denunciati dagli oppositori attacchi contro i centri abitati Fregata classe Koni usata dai ribelli Fregata classe Koni usata dai ribelli WASHINGTON – Il confronto tra ribelli e lealisti non avviene solo nel deserto ma anche sul mare. Una mini-guerra navale con mezzi ridotti e molta inventiva. Un’attività che a volte ha solo un valore simbolico – uno show di forza – ma che in altre è legata al conseguimento di obiettivi reali. All’inizio della crisi Gheddafi ha cercato di usare le navi per colpire Bengasi. Ma l’equipaggio di una fregata inviata a bombardare si è ammutinato e l’unità ha trovato rifugio a Malta. Successivamente le forze governative hanno condotto operazioni su piccola scala. Battelli veloci hanno sbarcato nuclei di soldati nel tentativo di sorprendere i ribelli a Ras Lanuf. In un’occasione i lealisti hanno impiegato un mercantile che, armato con razzi di fabbricazione russa, ha condotto una sortita. Con il progredire dell’avanzata verso Est, la Marina libica ha ampliato il suo intervento e sono stati denunciati dagli oppositori attacchi contro i centri abitati. Gli insorti hanno risposto con alcuni raid a bordo di motoscafi veloci armati di mitragliatrici e lanciagranate. Una nave degli insorti a Bengasi Una nave degli insorti a Bengasi LA PETROLIERA - Nella giornata di mercoledì un gruppo di ribelli ha catturato una petroliera che doveva rifornire Tripoli e l’ha dirottata a Bengasi. Nelle prossime ore potrebbero entrare in azione anche due o tre fregate che erano all’ancora nella città ribelle. Il comando degli insorti è riuscito probabilmente a mettere insieme gli equipaggi. Un altro risvolto navale riguarda il flusso di armamenti. È’ vero che c’è l’embargo ma come sempre si trova il modo per violarlo. Le notizie, a questo proposito, sono impossibili da verificare. Nei giorni scorsi si è parlato dell’arrivo di una nave turca a Tripoli con un carico di armi destinato al regime. Un secondo mercantile sarebbe partito da Latakia (Siria) con a bordo blindati, munizioni e forse militari pronti ad aiutare Gheddafi. Sia Ankara che Damasco hanno subito smentito. Fonti di intelligence ritengono che i lealisti continuino a ricevere aiuti militari per via aerea: Bielorussia e Moldavia avrebbero garantito diverse spedizioni a bordo di grandi Ilyushin 76. Nel campo ribelle, invece, è stato segnalata la presenza di una nave a Bengasi: a bordo armi pagate dalla Francia e donate alla rivoluzione. Ma l’indiscrezione non ha ricevuto alcuna conferma. È invece possibile che gli insorti stiano ricevendo assistenza dagli egiziani. Un aiuto che avrebbe permesso di rimettere in servizio alcuni vecchi caccia ed elicotteri che erano stati catturati in una base aerea vicino a Bengasi. Guido Olimpio 17 marzo 2011
2011-03-16 Negli scontri 5 morti e 11 feriti. il figlio di gheddafi: presto tutto finito Libia, attacco dei lealisti a Misurata "In 48 ore Bengasi sarà riconquistata" Ultimatum del Colonnello agli insorti. L'Onu: "Immediato cessate il fuoco" * NOTIZIE CORRELATE * Libia, avanzano i pro-Gheddafi: attacco a Bengasi (15 marzo 2011) * Negli scontri 5 morti e 11 feriti. il figlio di gheddafi: presto tutto finito Libia, attacco dei lealisti a Misurata "In 48 ore Bengasi sarà riconquistata" Ultimatum del Colonnello agli insorti. L'Onu: "Immediato cessate il fuoco" Soldati a Ras Lanuf, 600 km a est di Tripoli (Ansa) Soldati a Ras Lanuf, 600 km a est di Tripoli (Ansa) MISURATA - Almeno cinque persone sono morte e altre undici sono rimaste ferite dopo che le forze lealiste libiche hanno sottoposto a un bombardamento a tappeto di artiglieria pesante la città di Misurata, circa 200 chilometri a est di Tripoli, ultimo importante bastione degli insorti nella Libia occidentale: lo hanno riferito fonti mediche locali, contattate telefonicamente, e il bilancio delle vittime è poi stato confermato dagli stessi ribelli. Questi ultimi hanno peraltro affermato che, sebbene "la città sia sotto attacco da tutti i lati", in particolare da est e da sud, "ne manteniamo ancora il controllo, e siamo riusciti a catturare due carri armati". Gli stessi rivoltosi hanno sostenuto anche che "l'offensiva è stata respinta", e che "l'intensità del fuoco è relativamente diminuita". L'assalto dei governativi contro Misurata era comunque atteso da diversi giorni. ULTIMATUM - Il colonnello Gheddafi è convinto però di poter superare facilmente le resistenze degli insorti a Misurata, tanto da aver lanciato anche un ultimatum (peraltro già scaduto) agli abitanti di Bengasi. Un testo apparso sull' emittente libica, rivolto ai civili di Bengasi, avverte che l'esercito sta arrivando "per aiutarvi e per ripulire la vostra città dalle bande armate". L'esercito libico "vi esorta a tenervi lontano per la mezzanotte (le 23 in Italia, ndr) dalle aree dove ci sono uomini armati e dalle quelle dove sono localizzati i depositi di armi". CROCE ROSSA LASCIA BENGASI - Il personale della Croce Rossa ha lasciato la città di Bengasi ed è stato trasferito a Tobruk, da dove continuerà ad assistere le vittime del conflitto. Lo ha annunciato la sede di Ginevra. L'ONU CHIEDE L'IMMEDIATO CESSATE IL FUOCO - Intanto il segretario dell'Onu Ban Ki Moon ha inviato al colonnello Gheddafi un appello per un immediato cessate il fuoco. Lo ha riferito il portavoce dell'Onu Martin Nesirky. Ban è "seriamente preoccupato" per i segnali di un prossimo assalto delle forze governative contro la città di Bengasi, recita il comunicato letto dal portavoce. Bombardare una città come Bengasi "metterebbe enormemente a rischio le vite dei civili. Il segretario generale invita tutte le parti coinvolte nel conflitto a siglare un immediato cessate il fuoco". CACCIA RIBELLI ATTACCANO POSIZIONI DI GHEDDAFI - Per la seconda volta in due giorni sono tornati in azione tre caccia militari, caduti in mano ai ribelli libici, che hanno bombardando le postazioni delle brigate di Muammar Gheddafi nella città di Ajdabiya, in Cirenaica. Lo ha annunciato Al-Jazeera. Nella giornata di martedì per la prima volta caccia libici della base aerea di Bengasi finiti nelle mani dei ribelli hanno condotto raid contro le brigate di Gheddafi per fermare la loro avanzata verso la parte orientale della Libia. IL FIGLIO DI GHEDDAFI - Intanto il figlio del leader libico Muammar Gheddafi, Saif al Islam, in un'intervista a Euronews promette che nelle prossime 48 ore le operazioni militari saranno finite, con la riconquista di Bengasi: "Le operazioni militari sono finite. Nelle prossime 48 ore sarà tutto finito. Le nostre forze sono quasi a Bengasi", ha detto Saif, aggiungendo che qualunque decisione sarà adottata dalla comunità internazionale, compresa quella su un'eventuale zona di interdizione di volo, arriverà "troppo tardi". QUATTRO GIORNALISTI DEL NEW YORK TIMES DISPERSI - Quattro giornalisti del New York Times risultano dispersi. A dare la notizia è il quotidiano stesso attraverso il proprio sito web. Il giornale non ha notizie dei reporter da martedì. Secondo informazioni riferite al Times da fonti che le avevano apprese da terzi, i giornalisti sarebbero "nelle mani del governo libico" nella città di Ajdabiya, dove la battaglia tra le forze armate e il ribelli è più accesa. Tuttavia sono informazioni ancora non verificate. "Abbiamo parlato con i funzionari del governo a Tripoli, ci hanno detto che stanno cercando di accertare dove si trovano i nostri giornalisti nel paese", ha detto il direttore del Times, Bill Keller. "Siamo grati al governo libico per la loro assicurazione che, nel caso in cui i reporter fossero stati catturati, verranno rilasciati prontamente e incolumi". I giornalisti dispersi sono Anthony Shadid, capo della redazione di Beirut, in Libano, e due volte vincitore del premio Pulitzer; Stephen Farrell, giornalista e operatore video, già rapito dai talebani in Afghanistan e liberato da un commando britannico nel 2009 e i fotografi Tyler Hicks e Lynsey Addario. SARKOZY CHIEDE LA NO FLY ZONE - Il presidente francese Nicolas Sarkozy ha chiesto al consiglio di sicurezza dell'Onu di appoggiare l'appello per la creazione di una no fly zone in Libia. Sulla crisi libica era già intervenuto il ministro degli Esteri francese, Alain Juppè, attraverso un messaggio on-line inserito sul proprio blog, secondo cui numerosi Paesi arabi sarebbero pronti a partecipare a un'operazione militare multinazionale in Libia per fermare l'avanzata delle forze fedeli a Muammar Gheddafi verso gli ultimi capisaldi dei ribelli. "Soltanto la minaccia della forza può fermare Gheddafi", scrive Juppé. "È bombardando le postazioni degli oppositori, con le poche decine tra aeroplani ed elicotteri di cui in realtà dispone, che è riuscito a ribaltare la situazione. Noi possiamo, o potremmo, neutralizzare i suoi mezzi aerei attraverso bombardamenti mirati", prosegue, riprendendo un'idea del presidente Nicolas Sarkozy. Al riguardo il ministro degli Esteri cita in particolare il Libano, insieme al cui ambasciatore al Palazzo di Vetro quelli francese e britannico "hanno appena presentato al Consiglio di Sicurezza una bozza di risoluzione che ci garantirebbe l'atteso mandato". Juppè ricorda poi che Sarkozy e il premier britannico David Cameron hanno "chiesto solennemente" allo stesso Consiglio di esaminare il testo e di "adottarlo" affinché si possa passare all'azione. "Accade spesso nella nostra storia recente che la debolezza delle democrazie dia mano libera ai dittatori", ammonisce in conclusione. "Non è tardi per rompere con tale regola". SCARONI - In Italia sul caso Libia si registra l'intervento dell'amministratore delegato dell'Eni, Paolo Scaroni a margine di un'audizione alla Commissione Bilancio della Camera. "Abbiamo terminato la produzione di petrolio in Libia anche a causa di un problema di spedizioni", ha detto Scaroni, aggiungendo che in Libia l'Eni "produce gas per uso domestico, alimentando tre centrali elettriche nella zona di Tripoli". È, ha concluso, "un'attività che consideriamo positiva per i libici e che vorremmo evitare di interrompere". Ai giornalisti che gli chiedevano se i rapporti con la Libia siano da considerarsi compromessi, Scaroni ha risposto "assolutamente no". "Non li considero affatto compromessi", ha detto, aggiungendo che l'Eni "mantiene rapporti con la National company libica, che è l'interlocutore naturale. Qualsiasi situazione politica si avrà nel futuro avrà una natural company con dei contratti e dei rapporti con noi, quindi non vedo ragioni perché i rapporti debbano essere compromessi". Redazione online 16 marzo 2011
2011-03-15 Torna invece verso il nord Africa un traghetto con marocchini partito da Misurata Affonda barcone, almeno 35 dispersi Lampedusa, il racconto di cinque tunisini superstiti, salvati da un'altra imbarcazione di migranti Torna invece verso il nord Africa un traghetto con marocchini partito da Misurata Affonda barcone, almeno 35 dispersi Lampedusa, il racconto di cinque tunisini superstiti, salvati da un'altra imbarcazione di migranti Un barcone di migranti scortato dalla Guardia di Finanza fino al porto di Lampedusa (Ansa) Un barcone di migranti scortato dalla Guardia di Finanza fino al porto di Lampedusa (Ansa) MILANO - Un'imbarcazione con a bordo 40 immigrati tunisini è naufragata al largo di Lampedusa. Delle persone che si trovavano a bordo, solo cinque sono riuscite a salvarsi, grazie ai soccorsi prestati da un'altra barca di migranti, transitata nello stesso punto a distanza di alcune ore, che stava a sua volta cercando di raggiungere le coste siciliane. Trentacinque degli occupanti, quasi tutti giovani, sono invece dispersi in mare. Anche il secondo barcone si è trovato in notevoli difficoltà e solo l'intervento di un'unità militare italiana, che lo ha scortato fino al porto, ha permesso di evitare conseguenze peggiori. IL RACCONTO DEI SUPERSTITI - Gli immigrati hanno raccontato, appena giunti in banchina, di essersi trovati prima su un natante con 40 persone che si è capovolto al largo delle acque tunisine. Solo loro si sono salvati, aiutati dall'altro barcone che stava giungendo è sempre diretto a Lampedusa. Per un po' la notizia non ha trovato un riscontro ufficiale, se non nelle parole degli immigrati appena arrivati. Successive verifiche compiute dalla capitaneria di porto con le autorità tunisine hanno permesso però di accertare la veridicità del loro racconto. Il sindaco De Rubeis: "I Cie tutti pieni" Videoreportage di Alfio Sciacca LA RICOSTRUZIONE - Secondo quanto ricostruito, il natante si è ribaltato dopo la partenza, quasi certamente ancor prima di uscire dalle acque territoriali della Tunisia. Il barcone era partito ieri sera intorno alle 21, il naufragio è avvenuto dopo circa un paio d'ore e gli occupanti, uno ad uno, sono stati sommersi dalle acque fatta eccezione per i cinque ragazzi poi testimoni a Lampedusa, che sono riusciti a farsi notare questa mattina, riuscendo a sopportare la notte nuotando in mare. SBARCHI CONTINUI - Continuano intanto le attività di assistenza e soccorso ai barconi provenienti dalle coste nord-africane. Unità della Guardia costiera e della Guardia di finanza si alternano in mare aperto alla ricerca delle imbarcazioni segnalate al largo, operando diversi soccorsi in situazioni estreme. Soltanto nelle ultime ore Guardia costiera e Guardia di Finanza hanno assistito e soccorso dodici barconi, con 816 persone a bordo, tutte di sesso maschile, nessun minore, e gli sbarchi non accennano a fermarsi. DIETROFRONT DEL TRAGHETTO - Avrebbe invece fatto nuovamente rotta verso il nord Africa la nave salpata dal porto libico di Misurata, e diretta in Sicilia, a Lampedusa, con a bordo circa 1800 immigrati maghrebini di cui lunedì si attendeva l'arrivo sulle coste siciliane. Lo riferisce la sala operativa della Capitaneria di porto di Palermo. Il traghetto, preso a nolo dal Marocco, sarebbe di nazionalità italiana e non sarebbe stato respinto dalle autorità maltesi, come emerso in un primo momento. Il Viminale aveva chiesto di verificare prima dell'attracco l'idendità dei migranti e la loro effettiva nazionalità 15 marzo 2011
le forze del regime vicine alla riconquista di brega La Russia chiude le porte a Gheddafi Il presidente Medvedev annuncia: il Colonnello e la sua famiglia non potranno entrare in Russia * NOTIZIE CORRELATE * La Lega Araba: "No fly zone sulla Libia" (12 marzo 2011) * E Saif minaccia l'Italia: "Traditori, reagiremo" (12 marzo 2011) * Libia, forze del regime a Ras Lanuf. Violenti scontri con gli insorti (11 marzo 2011) * Gheddafi "bonifica" l'ovest, ribelli in difficoltà G. Olimpio (10 marzo 2011) * Libia, emissari del Raìs in Europa. Taglia sul capo del governo provvisorio (09 marzo 2011) * Ultimatum degli insorti a Gheddafi: "Lasci il paese entro 72 ore e sarà salvo (8 marzo 2011) * Ultimatum Nato: "Basta colpire i civili" (7 marzo 2011) * "Accordo tra Gheddafi e le tribù". Battaglia a Misurata (6 marzo 2011) * le forze del regime vicine alla riconquista di brega La Russia chiude le porte a Gheddafi Il presidente Medvedev annuncia: il Colonnello e la sua famiglia non potranno entrare in Russia (Ansa) (Ansa) MILANO - In Libia si continua a combattere e se la situazione sul campo sembra volgere a favore delle truppe del regime di Muammar Gheddafi, non così avviene sul campo diplomatico. Una missione della Ue guidata dall'italiano Agostino Miozzosi trova a Bengasi. Il presidente russo Dmitri Medvedev ha annunciato che il leader libico Muammar Gheddafi e la sua famiglia non potranno entrare in Russia e che sarà bandita la possibilità di condurre operazioni finanziarie libiche in territorio russo. LE TRIBU': "STOP AL BAGNO DI SANGUE" - "Occorre fermare ora il bagno di sangue e impedire la guerra civile" ha detto il capo del Comitato per il dialogo in Libia, Bashir Ali Tammani. "Se dicessi che non è vero che si combatte e che non sta scorrendo il sangue mentirei" ha affermato il capo del Consiglio costituito dai rappresentanti delle tribù per risolvere la crisi in atto nel paese. SI COMBATTE A BREGA - Dal punto di vista militare la tv di stato libica ha mostratole immagini della città di Brega riconquistata dalle brigate fedeli al Colonnello. L'emittente ha mostrato le immagini delle strade della città portuale della Cirenaica ed intervistato diverse persone della zona. In sovraimpressione è apparsa la scritta "immagini di Brega liberata dalle bande di terroristi di Al-Qaeda". Una riconquista quella di Brega che è contestata dagli insorti che sostengono di controllare ancora la città portuale. L'esponente dell'opposizione ha quindi escluso che le truppe fedeli a Gheddafi riconquistino a breve Bengasi, ma al tempo stesso ha chiesto che l'Onu si attivi per aiutare gli insorti. Mentre il Consiglio nazionale transitorio costituito a Bengasi chiede una no-fly zone ma esclude l'ingresso di truppe di terra, per Hali Shalluf, leader del Partito per la giustizia e la democrazia, è necessario anche questo tipo di intervento e un rappresentante del Consiglio, Mahmoud Jibril, ne parlerá con il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton a Parigi. Se Francia e Gran Bretagna sono i più convinti fautori della no-fliy zone, la Russia appare estremamente riluttante (ma il governo russo nelle ultime ore ha chiesto chiarimenti) le caute si sono dimostrate Italia e Germania; perplessità persistono in seno alla stessa amministrazione Usa. BOMBARDAMENTI AD AL AJABIDIYA - L'emittente araba Al Jazeera ha dato notizia di forti bombardamenti in corso ad Al Ajabidiya. Domenica, al grido di "Allah O Akbar", decine di ribelli avevano lasciato Brega portando con sè le batterie anti-aeree in direzione di Ajdabiya, nodo di comunicazione 80 km più a est verso Bengasi. Domenica poi il comandante militare degli insorti, il generale Abdel Fattah Yunis, ha ribadito l'intenzione di difendere la città fino alla fine. Ajdabiya, ha detto, è una città "vitale". Intanto le forze fedeli a Muammar Gheddafi hanno lanciato un'offensiva a tenaglia anche contro l'ultima roccaforte degli insorti nella Libia occidentale. Si tratta di Zuwarah, situata a un centinaio di chilometri da Tripoli e una quarantina più a ovest di Zawiyah, l'ex bastione dell'opposizione caduto nei giorni scorsi. Al Jazira ha riferito che i lealisti hanno concentrato il fuoco sull'ingresso orientale della città ma, a detta di testimoni oculari contattati telefonicamente, in realtà sarebbero sotto attacco anche quelli a ovest e a sud. Nelle strade sono iniziati i primi scontri tra assalitori e rivoltosi che difendono la città. Redazione online 14 marzo 2011(ultima modifica: 15 marzo 2011)
2011-03-14 le forze del regime vicine alla riconquista di brega La Russia chiude le porte a Gheddafi Il presidente Medvedev annuncia: il Colonnello e la sua famiglia non potranno entrare in Russia * NOTIZIE CORRELATE * La Lega Araba: "No fly zone sulla Libia" (12 marzo 2011) * E Saif minaccia l'Italia: "Traditori, reagiremo" (12 marzo 2011) * Libia, forze del regime a Ras Lanuf. Violenti scontri con gli insorti (11 marzo 2011) * Gheddafi "bonifica" l'ovest, ribelli in difficoltà G. Olimpio (10 marzo 2011) * Libia, emissari del Raìs in Europa. Taglia sul capo del governo provvisorio (09 marzo 2011) * Ultimatum degli insorti a Gheddafi: "Lasci il paese entro 72 ore e sarà salvo (8 marzo 2011) * Ultimatum Nato: "Basta colpire i civili" (7 marzo 2011) * "Accordo tra Gheddafi e le tribù". Battaglia a Misurata (6 marzo 2011) * le forze del regime vicine alla riconquista di brega La Russia chiude le porte a Gheddafi Il presidente Medvedev annuncia: il Colonnello e la sua famiglia non potranno entrare in Russia (Ansa) (Ansa) MILANO - In Libia si continua a combattere. E se la situazione sul campo sembra volgere a favore delle truppe del regime di Muammar Gheddafi, non così avviene sul campo diplomatico. Anche il presidente russo Dmitri Medvedev ha annunciato oggi che il leader libico Muammar Gheddafi e la sua famiglia non potranno entrare in Russia e che sarà bandita la possibilità di condurre operazioni finanziarie libiche in territorio russo. SI COMBATTE A BREGA - Dal punto di vista militare la tv di stato libica ha mostratole immagini della città di Brega riconquistata dalle brigate fedeli al Colonnello. L'emittente ha mostrato le immagini delle strade della città portuale della Cirenaica ed intervistato diverse persone della zona. In sovraimpressione è apparsa la scritta "immagini di Brega liberata dalle bande di terroristi di Al-Qaeda". Una riconquista quella di Brega che è contestata dagli insorti che sostengono di controllare ancora la città portuale. L'esponente dell'opposizione ha quindi escluso che le truppe fedeli a Gheddafi riconquistino a breve Bengasi, ma al tempo stesso ha chiesto che l'Onu si attivi per aiutare gli insorti. Mentre il Consiglio nazionale transitorio costituito a Bengasi chiede una no-fly zone ma esclude l'ingresso di truppe di terra, per Hali Shalluf, leader del Partito per la giustizia e la democrazia, è necessario anche questo tipo di intervento e un rappresentante del Consiglio, Mahmoud Jibril, ne parlerá con il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton a Parigi. Se Francia e Gran Bretagna sono i più convinti fautori della no-fliy zone, la Russia appare estremamente riluttante (ma il governo russo nelle ultime ore ha chiesto chiarimenti) le caute si sono dimostrate Italia e Germania; perplessità persistono in seno alla stessa amministrazione Usa. BOMBARDAMENTI AD AL AJABIDIYA - L'emittente araba Al Jazeera dà la notizia di forti bombardamenti in corso ad Al Ajabidiya. Domenica, al grido di "Allah O Akbar", decine di ribelli avevano lasciato Brega portando con sè le batterie anti-aeree in direzione di Ajdabiya, nodo di comunicazione 80 km più a est verso Bengasi. Domenica poi il comandante militare degli insorti, il generale Abdel Fattah Yunis, ha ribadito l'intenzione di difendere la città fino alla fine. Ajdabiya, ha detto, è una città "vitale". Intanto le forze fedeli a Muammar Gheddafi hanno lanciato un'offensiva a tenaglia anche contro l'ultima roccaforte degli insorti nella Libia occidentale. Si tratta di Zuwarah, situata a un centinaio di chilometri da Tripoli e una quarantina più a ovest di Zawiyah, l'ex bastione dell'opposizione caduto nei giorni scorsi. Al Jazira ha riferito che i lealisti hanno concentrato il fuoco sull'ingresso orientale della città ma, a detta di testimoni oculari contattati telefonicamente, in realtà sarebbero sotto attacco anche quelli a ovest e a sud. Nelle strade sono iniziati i primi scontri tra assalitori e rivoltosi che difendono la città. Redazione online 14 marzo 2011
Gli Usa favorevoli alla "no fly zone" chiesta dalla Lega araba Gheddafi avanza: preso il porto di Brega I ribelli in ritirata dopo nuovi bombardamenti da parte dei miliziani. Ma Al Jazeera: "L'hanno riconquistata" * NOTIZIE CORRELATE * La Lega Araba: "No fly zone sulla Libia" (12 marzo 2011) * E Saif minaccia l'Italia: "Traditori, reagiremo" (12 marzo 2011) * Libia, forze del regime a Ras Lanuf. Violenti scontri con gli insorti (11 marzo 2011) * Gheddafi "bonifica" l'ovest, ribelli in difficoltà G. Olimpio (10 marzo 2011) * Libia, emissari del Raìs in Europa. Taglia sul capo del governo provvisorio (09 marzo 2011) * Ultimatum degli insorti a Gheddafi: "Lasci il paese entro 72 ore e sarà salvo (8 marzo 2011) * Ultimatum Nato: "Basta colpire i civili" (7 marzo 2011) * "Accordo tra Gheddafi e le tribù". Battaglia a Misurata (6 marzo 2011) * Gli Usa favorevoli alla "no fly zone" chiesta dalla Lega araba Gheddafi avanza: preso il porto di Brega I ribelli in ritirata dopo nuovi bombardamenti da parte dei miliziani. Ma Al Jazeera: "L'hanno riconquistata" Un guerrigliero stremato a Brega (Reuters) Un guerrigliero stremato a Brega (Reuters) I guerriglieri dell'opposizione perdono terreno nella guerra civile in corso in Cirenaica contro le forze regolari e i miliziani al soldo di Gheddafi. Secondo un corrispondente della France Presse sul posto, decine di ribelli stanno battendo in ritirata dopo nuovi violenti bombardamenti del regime alle porte di Brega, importante porto petrolifero nella Libia orientale, circa 250 chilometri a ovest di Bengasi. Nel frattempo, gli uomini di Gheddafi hanno preso il controllo del villaggio di Al Bisher, fra Uqaylah (più a ovest) e Brega. Gli insorti che erano appostati all'ingresso di Brega sono partiti in un convoglio di veicoli diretti ad Ajdabiya, 80 chilometri più a est sulla costa in direzione di Bengasi. Sabato il braccio armato del movimento "17 febbraio" aveva già abbandonato Uqaylah, ormai nelle mani di Gheddafi, alla volta di Brega. NOTIZIE DISCORDANTI - Gli scontri nell'area sono proseguiti per tutta la giornata. E alle notizie, riportate da diversi mezzi di informazione, di una "ritirata strategica" che avrebbe portato il fronte della resistenza a ridosso di Ajdabiya, i rivoltosi secondo Al Jazeera avrebbero infine ripreso il controllo di Brega. L'emittente cita il colonnello Hamed Al Hasi, presentato come portavoce degli insorti: "Abbiamo catturato 20 dei soldati di Gheddafi e ne abbiamo uccisi 25. Li abbiamo obbligati a ritirarsi di 20 km dalla citta", ha dichiarato l'ufficiale. La rete pan-araba sottolinea che manca una verifica indipendente di quanto gli insorti hanno rivendicato. In precdenza altre fonti avevano riportato che le truppe del Colonnello non solo aveva conquistato Brega ma stavano procedendo alla volta di Bengasi, la roccaforte dei ribelli. GLI USA FAVOREVOLI A NO FLY ZONE - Intanto, il governo degli Stati Uniti ha diffuso un comunicato in cui accoglie con favore la richiesta della Lega araba al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite per l'istituzione di una no-fly zone sulla Libia. Secondo la Casa Bianca si tratta di un "passo importante" per aumentare la pressione internazionale sul regime di Gheddafi. Nella nota si apprende che il governo statunitense vede un chiaro messaggio da parte della comunità internazionale per la fine della violenza nel Paese colpito dalla guerra civile. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha chiesto ripetutamente a Gheddafi di lasciare il potere, ma Washington non ha voluto imporre un blocco del traffico aereo sui cieli libici in maniera unilaterale. Sia gli Stati Uniti che l'Unione europea avevano chiesto supporto ai Paesi arabi per aumentare le pressioni sul governo libico. Redazione online 13 marzo 2011(ultima modifica: 14 marzo 2011)
la strage è avvenuta nei pressi di spin zar nella provincia di kunduz Afghanistan: nuovo attentato, 37 morti Attacco contro un centro di reclutamento dell'esercito nel nord del Paese. Ci sarebbero anche 42 feriti la strage è avvenuta nei pressi di spin zar nella provincia di kunduz Afghanistan: nuovo attentato, 37 morti Attacco contro un centro di reclutamento dell'esercito nel nord del Paese. Ci sarebbero anche 42 feriti MILANO - Non si ferma la violenza in Afghanistan. Almeno 37 persone sono morte e altre 42 sono rimaste ferite in un attentato contro un centro di reclutamento dell'esercito nel nord dell'Afghanistan. ATTACCO - L'attacco, scrive l'agenzia di stampa Pajhwok citando il portavoce del governo provinciale Mahbubullah Saedi, è avvenuto vicino a Spin Zar, nel primo distretto di polizia di Kunduz City. Redazione online 14 marzo 2011
2011-03-13 IL PAPA: "PREGO PER LE VITTIME". A FUKUSHIMA RISCHIO DI ESPLOSIONE NEL REATTORE NUMERO TRE La tragedia di Miyagi: "Diecimila morti" Il bilancio ufficiale: 3.000 tra vittime e dispersi. Il premier: "E' il momento peggiore dal dopoguerra" * NOTIZIE CORRELATE * Giappone, già più di mille le vittime. Trovati i 4 treni dispersi. "Tutti salvi" (12 marzo 2011) * Paura nucleare, 170m mila evacuati (12 marzo 2011) * Terremoto e tsunami, colpito il Giappone (11 marzo 2011) * Italiano a Tokyo: "La terratremava come il mare" (11 marzo 2011) * Allarme tsunami in tutto il Pacifico (11 marzo 2011) * Multimedia: video, audio e foto IL PAPA: "PREGO PER LE VITTIME". A FUKUSHIMA RISCHIO DI ESPLOSIONE NEL REATTORE NUMERO TRE La tragedia di Miyagi: "Diecimila morti" Il bilancio ufficiale: 3.000 tra vittime e dispersi. Il premier: "E' il momento peggiore dal dopoguerra" (Reuters) (Reuters) MILANO - Diecimila morti nella sola prefettura di Miyagi. Si aggravano sensibilmente le stime del terremoto e del conseguente tsunami che venerdì hanno devastato la costa nordorientale del Giappone. Per la polizia nazionale le vittime e i dispersi hanno superato nel complesso quota 3.000, ma la tv pubblica Nhk, citando altre fonti, fornisce dati assai diversi. "Non ho alcun dubbio", ha detto Naoto Takeuchi, capo della polizia della prefettura di Miyagi, parlando di diecimila vittime nel suo resoconto alla televisione di Stato. Il capoluogo Sendai, è stato devastato dall'onda anomala di oltre 10 metri di altezza e centinaia di corpi sono stati rinvenuti lungo le coste della prefettura. Mancano cibo, acqua e carburante e lunghe code di persone si sono formate davanti ai pochi negozi aperti. Migliaia di sfollati hanno trascorso un'altra notte al freddo, in rifugi di fortuna, sulla costa nord-orientale, secondo la Bbc. L'APPELLO DEL PREMIER - Il primo ministro giapponese Naoto Kan non nasconde la sua preoccupazione e si appella alla popolazione. "È il momento più difficile dalla fine della Seconda Guerra Mondiale -ha detto -: chiedo a tutti la massima unità". Il devastante sisma, secondo il premier, potrebbe provocare la più profonda crisi degli ultimi 65 anni per il Giappone. "Unendo le forze, aiutandosi a partire da parenti e amici, superiamo la crisi, ricostruiamo il Giappone. È questa la preghiera che faccio a tutti" ha detto. Il Paese prova comunque a ripartire. Lunedì le Borse di Tokyo e Osaka avranno apertura regolare, testando così il ritorno alla normalità. E il governatore della Bank of Japan (BoJ), Masaaki Shirakawa, ha fatto sapere che darà il suo sostegno nella difficile prova della riapertura dei mercati. "La liquidità - ha detto - sarà assicurata". IL VULCANO SI RISVEGLIA - Intanto, dopo lo Tsunami e con l'allarme nucleare in corso, ha ricominciato a svegliarsi anche il vulcano Shinmoedake, dopo due settimane di inattività. Cenere e lapilli si intravedono da quattro chilometri di distanza nell'aria, raccontano testimoni locali. Il vulcano, dall'altezza di 1.421 metri, si era risvegliato dopo 52 anni lo scorso gennaio, poi il primo marzo. Dopodiché è rimasto tranquillo da due settimane. È probabile che proprio lo tsunami abbia stimolato la sua attività. Le autorità intanto mantengono il livello di "warning" a tre su 5 e hanno bloccato l'accesso alla montagna. La tragedia di Miyagi La tragedia di Miyagi La tragedia di Miyagi La tragedia di Miyagi La tragedia di Miyagi La tragedia di Miyagi La tragedia di Miyagi La tragedia di Miyagi SOCCORSI - Kan ha anche ordinato il raddoppio del numero di militari (attualmente cinquantamila) impegnati nelle operazioni di soccorso. E sono arrivate anche le squadre provenienti da 40 Paesi di tutto il mondo. La Marina degli Stati Uniti sta trasportando alimenti e persone. Una squadra composta da 41 persone, composta prevalentemente da volontari provenienti dalla Germania, è pronta a partire per la zona del disastro. Il team è dotato di cani da soccorso, telecamere a raggi infrarossi, sistemi di tracciamento, una motosega per tagliare il calcestruzzo e attrezzature da taglio per l'acciaio. Giappone, il giorno dopo il disastro Giappone, il giorno dopo il disastro Giappone, il giorno dopo il disastro Giappone, il giorno dopo il disastro Giappone, il giorno dopo il disastro Giappone, il giorno dopo il disastro Giappone, il giorno dopo il disastro Giappone, il giorno dopo il disastro INCUBO NUCLEARE - Se il bilancio delle vittime si aggrava di ora in ora, non si allontana lo spettro della contaminazione nucleare, dopo l'esplosione di sabato nella centrale di Fukushima N°1, a 250 km da Tokyo. C'è infatti il rischio che nel reattore numero 3 dell'impianto, ora sotto stress, possa avvenire una esplosione simile a quella del reattore numero 1. A spiegarlo è stato il capo di gabinetto, Yukio Edano, parlando dell'accumulo di idrogeno a causa della decompressione in corso. NUOVE SCOSSE E NUOVI TSUNAMI - Nel frattempo, l'Agenzia meteorologica giapponese (Jma) ha declassato l'allarme tsunami su tutte le coste dell'arcipelago, che adesso sono soggette ad "allerta" per onde non superiori al mezzo metro di altezza. A due giorni dal devastante sisma nel nord-est, rivisto alla magnitudo di 9.0, le aree costiere occidentali del Giappone sono segnalate dall'Agenzia col colore giallo, a significare il cessato pericolo per onde anomale di grandi dimensioni. L'ultimo bollettino della Jma ha declassato il rischio tsunami nelle ultime quattro prefetture che erano segnalate in arancione - Iwate, Miyagi, Fukushima e il tratto costiero di Aomori -, cioè soggette al pericolo di onde alte fino a due metri. Sempre l'Agenzia meteorologica ha spiegato però che il Giappone deve attendersi nei prossimi giorni forti scosse di assestamento, fino al grado 7 della scala Richter, e prepararsi a nuovi tsunami. Lo tsunami sulla costa del Giappone Lo tsunami sulla costa del Giappone Lo tsunami sulla costa del Giappone Lo tsunami sulla costa del Giappone Lo tsunami sulla costa del Giappone Lo tsunami sulla costa del Giappone Lo tsunami sulla costa del Giappone Lo tsunami sulla costa del Giappone "VIA DA TOKYO" - La Francia ha invitato i suoi connazionali in Giappone a lasciare la regione di Tokyo e ha consigliato ai turisti di rimandare ogni viaggio pianificato. In un comunicato, l'ambasciata di Parigi ha ritenuto "ragionevole" suggerire a "coloro che non hanno particolari ragioni per rimanere n'area di lasciare la regione di Kanto per alcuni giorni". "Consigliamo vivamente i nostri connazionali - si legge ancora - a rimandare ogni viaggio pianificato nell'area". "PREGO PER LE VITTIME"- Un pensiero al popolo giapponese da Benedetto XVI, che subito dopo l'Angelus, ha espresso "forte impressione" per le notizie e le immagini sul "tragico terremoto" e il conseguente tsunami. Il Papa ha anche pregato per le vittime e per i loro familiari, incoraggiando i soccorritori e rinnovando la sua "spirituale vicinanza" alla popolazioni del Paese "che con dignità e coraggio stanno facendo fronte alle conseguenze di tali calamità". GLI ITALIANI - Quanto ai connazionali residenti nelle prefetture colpite dal sisma, l'ambasciata italiana in Giappone è ormai riuscita a mettersi in contatto con 25 di loro su trenta. In mattinata sembrava che fossero sei gli italiani formalmente dispersi, ma uno di loro è poi stato rintracciato. "Per quanto riguarda i non residenti, è stato stabilito un contatto con 11 di essi sui 12" di cui l'ambasciata ha avuto segnalazione, ha spiegato l'ambasciatore Vincenzo Petrone. Confermata anche la notizia che "tutti e cinque gli italiani residenti nella prefettura di Fukushima, quella delle centrali nucleari a rischio, sono stati contattati e sono in buone condizioni di salute". Redazione online 13 marzo 2011
il giappone e l'incubo contaminazione: 22 positivi ai test Nucleare, l'emergenza si estende "Ma non sarà un'altra Chernobyl" Rischio di nuova esplosione a Fukushima, problemi anche a Onagawa e a Tokai. Il premier rassicura il popolo * NOTIZIE CORRELATE * La tragedia di Miyagi: "Diecimila morti" (13 marzo 2011) * Paura nucleare, 170 mila evacuati E ora si teme una nuova esplosione (12 marzo 2011) * Radiazioni all'esterno di una centrale. Evacuata un'area fino a 10 chilometri (11 marzo 2011) * Terremoto e tsunami, colpito il Giappone (11 marzo 2011) * Italiano a Tokyo: "La terratremava come il mare" (11 marzo 2011) * Allarme tsunami in tutto il Pacifico (11 marzo 2011) * Multimedia: video, audio e foto il giappone e l'incubo contaminazione: 22 positivi ai test Nucleare, l'emergenza si estende "Ma non sarà un'altra Chernobyl" Rischio di nuova esplosione a Fukushima, problemi anche a Onagawa e a Tokai. Il premier rassicura il popolo MILANO - Si estende in Giappone l'allarme nucleare. Dopo Fukushima, infatti, le autorità hanno decretato lo stato d'emergenza in una seconda centrale, quella di Onagawa, nella prefettura di Miyagi. "Le autorità giapponesi - ha scritto in un comunicato l'Agenzia internazionale dell'energia atomica - hanno informato l'Aiea che il primo (cioè il più basso) livello di allerta è stato deciso nella centrale di Onagawa dalla Tohoku Electric Power Company". Secondo il governo di Tokyo, riferisce l'Aiea, i tre reattori del sito in questione "sono sotto controllo" e "l'allerta è stato dichiarato per il fatto che i livelli della radioattività registrati sono superiori ai livelli autorizzati nell'area vicino alla centrale". Nel pomeriggio l'agenzia Kyodo News ha poi riferito che anche le pompe dell'impianto di raffreddamento della centrale nucleare di Tokai si sono bloccate. L'impianto è lo stesso dove il 30 settembre 1999 si verificò il precedente incidente nucleare più grave con la morte di 3 dipendenti. La centrale è degli anni '70, contemporanea a quello di Fukusima Daichi ed è dello stesso tipo ad acqua bollente (Bwr). La centrale si trova nel distretti du Naka nella prefettura di Ibaraki. FUKUSHIMA - La situazione a Onagawa si unisce a quella, più nota di Fukushima, che "resta grave". Parola del premier giapponese, Naoto Kan. A due giorni dal tremendo sisma che ha colpito il suo Paese, Kan non ha nascosto l'emntità del problema. Ma ha comunque rassicurato la popolazione, spiegando che "non ci sarà un'altra Chernobyl". L'allarme in ogni caso resta alto. Soprattutto perché per tutta la giornata si è temuto che, dopo l'esplosione al reattore numero 1 dell'impianto, un incidente simile potesse verificarsi anche nell'edificio che ospita il reattore numero 3. Il problema, ha spiegato il portavoce del governo Yukio Edano Edano, è il possibile accumulo d'idrogeno. Le barre di combustibile hanno subito danni. "L'acqua nel reattore - ha precisato Edano - non tende a salire. La situazione resta critica". Al momento comunque sono in corso le operazioni di decompressione. RADIAZIONI - Sul rischio nucleare sono saltate tutte le previsioni. Anche perché emerge che i reattori di Fukushima non erano stati costruiti per reggere a una scossa superiore alla magnitudo 8. Oltre ai guai al reattore 1, il sistema di raffreddamento ha fallito nel reattore 3. La Tepco, la società giapponese per l'energia elettrica, ha iniziato a pompare acqua marina all'interno di tre dei reattori dell'impianto di Fukushima. Dopo essere intervenuti sull'uno e sul tre, i tecnici hanno iniziato a lavorare preventivamente anche sul reattore numero due. L'immissione di acqua marina serve a raffreddare le unità e ridurre la pressione interna che potrebbe generare un processo di fusione dei reattori. Il livello di radiazioni emesse dalla centrale nucleare di Fukushima è di 882 microsievert l'ora, oltre il limite consentito (500 microsievert l'ora). L'esplosione avvenuta nel reattore numero 1 è stata classificata al livello 4 della scala internazionale degli eventi radioattivi, che va da 0 a 7. L'incidente di Three Miles Island fu classificato al livello 5, Chernobyl al 7. Ciò significa che si è verificato un danno al combustibile e si è sprigionata una quantità significativa di radiazioni, pari a quelle liberatesi nell'incidente avvenuto nel 1999 a Tokaimura, il peggiore, fino a oggi, del Giappone. Centonovanta le persone esposte alle radiazioni. Su loro, che si trovavano nel raggio di dieci chilometri dall'infrastruttura, sono in corso i test per verificare se siano stati contaminati. Quelli risultati positivi, finora, sono ventidue. L'esplosione al reattore numero uno di Fukushima (Reuters) L'esplosione al reattore numero uno di Fukushima (Reuters) Un operaio è morto nella centrale nucleare di Fukushima Daini, diversa da quella che ha problemi ai reattori. Altri operai sono rimasti feriti. Anche sulle radiazioni però Kan ha voluto rassicurare il popolo giapponese. "Sono state rilasciate in aria - ha detto -, ma non ci sono rilevazioni che ci dicano che ciò sia avvenuto in grande misura". ENERGIA - E come conseguenza dell'emergenza nucleare, il Giappone razionerà da lunedì l'erogazione di energia elettrica. Lo ha comunicato il premier. Dall'isola russa Sakhalin è salpata nel frattempo una nave cisterna russa con 9.500 metri cubi di gas liquido. "Il Giappone ha giá chiesto un aiuto nella distribuzione dell'energia ", ha spiegato il vice primo ministro russo Igor Sechin. Una seconda consegna di 100.000 metri cubi, è prevista per lunedì. Redazione online 13 marzo 2011
IL REPORTAGE "Il mare ha preso la rincorsa Solo due minuti per fuggire" Nei villaggi dello tsunami, i corpi sulle spiagge Diecimila dispersi solo a Minamisanriku IL REPORTAGE "Il mare ha preso la rincorsa Solo due minuti per fuggire" Nei villaggi dello tsunami, i corpi sulle spiagge Diecimila dispersi solo a Minamisanriku dal nostro inviato MARCO DEL CORONA
CHOSHI (Giappone) - Il mare, questo mare, è lo stesso che più a nord ha massacrato città e villaggi. Come a Minamisanriku, dove a ieri sera non si avevano notizie di circa 10 mila persone. Il mare qui ancora non si vede quasi quando la strada sparisce sotto uno strato di sabbia compatta, modellata dalle onde. L'asfalto è nascosto, più avanti affiora di nuovo, ma c'è stato un lungo momento in cui era tutto liquido. Anche l'asfalto, quasi. Lo tsunami è passato di qui. Barche capovolte, un motoscafo in equilibrio precario su una balaustra, un capanno di legno sollevato e adagiato su un fianco. È decapitato uno dei palmizi piantati per provare a dare un'aria esotica a questo villaggio di pescatori dove le famiglie di Tokyo vengono (venivano) a godersi il sushi fuoriporta, 120 chilometri di strada per poi affacciarsi sul mare aperto. Choshi è su un promontorio che guarda la fetta di oceano sotto il quale si è sprigionata l'onda fatale. La forza del sisma è arrivata attenuata, ma non abbastanza: solo sei feriti, ma 2.081 sfollati, 159 abitazioni danneggiate, 11 strade a pezzi, 3 frane. Nella statistica non c'è la paura di Kazuhisa Ebata: "Ho sentito l'allarme dagli altoparlanti, ho avuto due minuti di tempo. Sono corso a casa, dove adesso sul tetto ho una voragine...". La sua barca, il gioiellino della sua pensione, è ormai inservibile, centinaia di metri da dove l'aveva lasciata. La devastazione a Minamisanriku (Reuters) La devastazione a Minamisanriku (Reuters) I mattoni del lungomare sono strappati dal cemento, intatti, a mucchi. Teruo Aso indica su un palo della luce l'altezza raggiunta dall'acqua: "Tre metri almeno - dice al Corriere - e in profondità mezzo chilometro, anzi di più. Vede le palme?". Le palme striminzite, laggiù, hanno i tronchi sporchi di fango. Aso il pescatore ed Ebata il pensionato hanno visto il mare ritirarsi, prendere come la rincorsa, distendersi e ritirarsi. "In tutto sarà stata una mezz'ora". Uno tsunami minore rispetto all'apocalisse liquido di Sendai, alle 215 mila persone che hanno abbandonato le loro case nelle aree prossime all'epicentro, più altre 200 mila intorno alla centrale nucleare danneggiata di Fukushima. Ma è qui a Choshi - margine meridionale della devastazione, dove si osservano chiazze di tegole mancanti sui tetti e si incrociano detriti sulle strade - che lo tsunami si mostra per quello che è. Un confine mobile, che lascia asciutto e intatto qualcosa e, appena un passo oltre, invece divora e spiana ciò che incontra. A Minamisanriku potrebbe averlo fatto in modo terribile, moltiplicando in un colpo solo le vittime della tragedia, se i 10 mila dispersi fossero davvero da considerare persi, per sempre. Ancora ieri il bilancio era incerto, forse sui 1.700 morti, ma l'annuncio a proposito della cittadina portuale dato dalla rete tv Nhk cambia le prospettive. Si tratta di quasi metà della popolazione, altri 7.500 erano stati evacuati e spostati in 25 punti di raccolta. Con i 10 mila, invece, la polizia e i soccorritori "non hanno avuto contatto". Il premier Naoto Kan appare in tv con il volto tirato. Indossa un giubbino celeste, come pure il suo capo di gabinetto, e se fa i conti con i costi che la natura infligge al Giappone non lo lascia capire (le zone colpite, inclusa Tokyo, producono quasi la metà del Pil nipponico). Dice piuttosto di vedere la sua gente "capace di affrontare e superare questo terremoto", il più violento del Giappone moderno e, almeno nella capitale, i fatti sembrano dargli ragione. Tokyo appare relativamente normale, ma è appena fuori che l'emergenza comincia a comandare. Le autostrade verso nord rimangono bloccate e solo alcune linee dell'area metropolitana hanno ripreso a funzionare. Circa 50 mila militari sono mobilitati e una cinquantina di Paesi hanno offerto aiuto e assistenza. Le strutture allestite per gli sfollati in cinque prefetture erano ieri sera già quasi 1.400. La compagnia elettrica Tepco ha avvertito che da oggi potrebbe sospendere la distribuzione di energia a rotazione, mentre brevi blackout si manifestano anche in zone non investite dal sisma. Il dopo tsunami ha volti diversi. La frenesia dei soccorsi intorno a Sendai, dove il personale di un ospedale invaso dalle acque è stato portato in salvo dopo aver scritto un grande "S.O.S." sul tetto. La composta disperazione di chi si mette in fila per una tazza di vermicelli "ramen" su cui gli addetti della protezione civile versano una mestolata di acqua calda. La corsa a fare presto degli elicotteri e delle squadre mediche che frugano tra le macerie di un mondo messo sottosopra. E poi c'è il silenzio calato su pezzi di Giappone, con le comunicazioni fragili o impossibili, quartieri fantasma nelle città della costa. Anche Choshi ieri appariva come un paese senza voce. Strade spopolate. Serrande abbassate dei negozi, qualcuno con un cartello affisso a uso dei clienti, più spesso senza. Un barbiere al lavoro, ma solo lui. Anche la foce del fiume, con i pescherecci protetti e dunque scampati alle acque cattive, tace. Non è il sabato di un villaggio vivo. Camminando su ciò che resta del lungomare, Teruo Aso guarda il mare e fa un gesto con la mano: "Io non vado via". Marco Del Corona 13 marzo 2011
il giappone e l'incubo contaminazione: 22 positivi ai test Nucleare, a Fukushima situazione grave "Ma non sarà un'altra Chernobyl" Il premier: "Radiazioni in ariano n in grande misura". Rischio di una nuova esplosione al reattore numero 3 * NOTIZIE CORRELATE * La tragedia di Miyagi: "Diecimila morti" (13 marzo 2011) * Paura nucleare, 170 mila evacuati E ora si teme una nuova esplosione (12 marzo 2011) * Radiazioni all'esterno di una centrale. Evacuata un'area fino a 10 chilometri (11 marzo 2011) * Terremoto e tsunami, colpito il Giappone (11 marzo 2011) * Italiano a Tokyo: "La terratremava come il mare" (11 marzo 2011) * Allarme tsunami in tutto il Pacifico (11 marzo 2011) * Multimedia: video, audio e foto il giappone e l'incubo contaminazione: 22 positivi ai test Nucleare, a Fukushima situazione grave "Ma non sarà un'altra Chernobyl" Il premier: "Radiazioni in ariano n in grande misura". Rischio di una nuova esplosione al reattore numero 3 MILANO - "La situazione nella centrale nucleare di Fukushima resta grave". Non nasconde l'entità del problema il premier giapponese, Naoto Kan. Anche se rassicura la popolazione spiegando che "non ci sarà un'altra Chernobyl". L'allarme in ogni caso resta alto. Soprattutto perché c'è il rischio che, dopo l'esplosione al reattore numero 1 dell'impianto, un incidente simile si verifichi anche nell'edificio che ospita il reattore numero 3. Il problema, ha spiegato il portavoce del governo Yukio Edano Edano, è il possibile accumulo d'idrogeno. Le barre di combustibile hanno subito danni. "L'acqua nel reattore - ha precisato Edano - non tende a salire. La situazione resta critica". RADIAZIONI - Sul rischio nucleare sono saltate tute le previsioni. Anche perché emerge che i reattori di Fukushima non erano stati costruiti per reggere a una scossa superiore alla magnitudo 8. Oltre ai guai al reattore 1, il sistema di raffreddamento ha fallito nel reattore 3, e nei due reattori nucleari potrebbe essere avvenuta la fusione. Il livello di radiazioni emesse dalla centrale nucleare di Fukushima è di 882 microsievert l'ora, oltre il limite consentito (500 microsievert l'ora). L'esplosione avvenuta nel reattore numero 1 è stata classificata al livello 4 della scala internazionale degli eventi radioattivi, che va da 0 a 7. L'incidente di Three Miles Island fu classificato al livello 5, Chernobyl al 7. Ciò significa che si è verificato un danno al combustibile e si è sprigionata una quantità significativa di radiazioni, pari a quelle liberatesi nell'incidente avvenuto nel 1999 a Tokaimura, il peggiore, fino a oggi, del Giappone. Centonovanta le persone esposte alle radiazioni. Su loro, che si trovavano nel raggio di dieci chilometri dall'infrastruttura, sono in corso i test per verificare se siano stati contaminati. Quelli risultati positivi, finora, sono ventidue. L'esplosione al reattore numero uno di Fukushima (Reuters) L'esplosione al reattore numero uno di Fukushima (Reuters) Un operaio è morto nella centrale nucleare di Fukushima Daini, diversa da quella che ha problemi ai reattori. Altri operai sono rimasti feriti. Anche sulle radiazioni però Kan ha voluto rassicurare il popolo giapponese. "Sono state rilasciate in aria - ha detto -, ma non ci sono rilevazioni che ci dicano che ciò sia avvenuto in grande misura". ENERGIA - E come conseguenza dell'emergenza nucleare, il Giappone razionerà da lunedì l'erogazione di energia elettrica. Lo ha comunicato il premier. Dall'isola russa Sakhalin è salpata nel frattempo una nave cisterna russa con 9.500 metri cubi di gas liquido. "Il Giappone ha giá chiesto un aiuto nella distribuzione dell'energia ", ha spiegato il vice primo ministro russo Igor Sechin. Una seconda consegna di 100.000 metri cubi, è prevista per lunedì. Redazione online 13 marzo 2011
IL PAPA: "PREGO PER LE VITTIME". A FUKUSHIMA RISCHIO DI ESPLOSIONE NEL REATTORE NUMERO TRE La tragedia di Miyagi: "Diecimila morti" Giappone, il bilancio ufficiale del sisma è di 1.600 vittime. Il premier: "È il momento più difficile dal Dopoguerra" * NOTIZIE CORRELATE * Giappone, già più di mille le vittime. Trovati i 4 treni dispersi. "Tutti salvi" (12 marzo 2011) * Paura nucleare, 170m mila evacuati (12 marzo 2011) * Terremoto e tsunami, colpito il Giappone (11 marzo 2011) * Italiano a Tokyo: "La terratremava come il mare" (11 marzo 2011) * Allarme tsunami in tutto il Pacifico (11 marzo 2011) * Multimedia: video, audio e foto IL PAPA: "PREGO PER LE VITTIME". A FUKUSHIMA RISCHIO DI ESPLOSIONE NEL REATTORE NUMERO TRE La tragedia di Miyagi: "Diecimila morti" Giappone, il bilancio ufficiale del sisma è di 1.600 vittime. Il premier: "È il momento più difficile dal Dopoguerra" (Reuters) (Reuters) Diecimila morti nella sola prefettura di Miyagi. Si aggravano sensibilmente le stime del terremoto e del conseguente tsunami che venerdì hanno devastato la costa nordorientale del Giappone. Anche se il bilancio ufficiale delle autorità nipponiche è di 1.600 vittime e quasi 700 dispersi, la tv pubblica Nhk, citando fonti della polizia, fornisce dati assai diversi. "Non ho alcun dubbio", ha detto Naoto Takeuchi, capo della polizia della prefettura di Miyagi, nel resoconto della Nhk, in relazione al catastrofico bilancio. Il capoluogo Sendai, è stato devastato dall'onda anomala di oltre 10 metri di altezza e centinaia di corpi sono stati rinvenuti lungo le coste della prefettura. Mancano cibo, acqua e carburante e lunghe code di persone si sono formate davanti ai pochi negozi aperti. Migliaia di sfollati hanno trascorso un'altra notte al freddo, in rifugi di fortuna, sulla costa nord-orientale, secondo la Bbc. Il primo ministro giapponese Naoto Kan non nasconde la sua preoccupazione e si appella al suo popolo. "È il momento più difficile dalla fine della Seconda Guerra Mondiale -ha detto -: chiedo a tutti la massima unità". Il devastante sisma, secondo il premier, potrebbe provocare la più profonda crisi degli ultimi 65 anni per il Giappone. "Unendo le forze, aiutandosi a partire da parenti e amici, superiamo la crisi, ricostruiamo il Giappone. È questa la preghiera che faccio a tutti" ha detto. SOCCORSI - Kan ha anche ordinato il raddoppio del numero di militari (attualmente cinquantamila) impegnati nelle operazioni di soccorso. E sono arrivate anche le squadre provenienti da 40 Paesi di tutto il mondo. La Marina degli Stati Uniti sta trasportando alimenti e persone. Una squadra composta da 41 persone, composta prevalentemente da volontari provenienti dalla Germania, è pronta a partire per la zona del disastro. Il team è dotato di cani da soccorso, telecamere a raggi infrarossi, sistemi di tracciamento, una motosega per tagliare il calcestruzzo e attrezzature da taglio per l'acciaio. Giappone, il giorno dopo il disastro Giappone, il giorno dopo il disastro Giappone, il giorno dopo il disastro Giappone, il giorno dopo il disastro Giappone, il giorno dopo il disastro Giappone, il giorno dopo il disastro Giappone, il giorno dopo il disastro Giappone, il giorno dopo il disastro INCUBO NUCLEARE - Se il bilancio delle vittime si aggrava di ora in ora, non si allontana lo spettro della contaminazione nucleare, dopo l'esplosione di sabato nella centrale di Fukushima N°1, a 250 km da Tokyo. C'è infatti il rischio che nel reattore numero 3 dell'impianto, ora sotto stress, possa avvenire una esplosione simile a quella del reattore numero 1. A spiegarlo è stato il capo di gabinetto, Yukio Edano, parlando dell'accumulo di idrogeno a causa della decompressione in corso. NUOVE SCOSSE E NUOVI TSUNAMI - Nel frattempo, l'Agenzia meteorologica giapponese (Jma) ha declassato l'allarme tsunami su tutte le coste dell'arcipelago, che adesso sono soggette ad "allerta" per onde non superiori al mezzo metro di altezza. A due giorni dal devastante sisma nel nord-est, rivisto alla magnitudo di 9.0, le aree costiere occidentali del Giappone sono segnalate dall'Agenzia col colore giallo, a significare il cessato pericolo per onde anomale di grandi dimensioni. L'ultimo bollettino della Jma ha declassato il rischio tsunami nelle ultime quattro prefetture che erano segnalate in arancione - Iwate, Miyagi, Fukushima e il tratto costiero di Aomori -, cioè soggette al pericolo di onde alte fino a due metri. Sempre l'Agenzia meteorologica ha spiegato però che il Giappone deve attendersi nei prossimi giorni forti scosse di assestamento, fino al grado 7 della scala Richter, e prepararsi a nuovi tsunami. Lo tsunami sulla costa del Giappone Lo tsunami sulla costa del Giappone Lo tsunami sulla costa del Giappone Lo tsunami sulla costa del Giappone Lo tsunami sulla costa del Giappone Lo tsunami sulla costa del Giappone Lo tsunami sulla costa del Giappone Lo tsunami sulla costa del Giappone "VIA DA TOKYO" - La Francia ha invitato i suoi connazionali in Giappone a lasciare la regione di Tokyo e ha consigliato ai turisti di rimandare ogni viaggio pianificato. In un comunicato, l'ambasciata di Parigi ha ritenuto "ragionevole" suggerire a "coloro che non hanno particolari ragioni per rimanere n'area di lasciare la regione di Kanto per alcuni giorni". "Consigliamo vivamente i nostri connazionali - si legge ancora - a rimandare ogni viaggio pianificato nell'area". "PREGO PER LE VITTIME"- Un pensiero al popolo giapponese da Benedetto XVI, che subito dopo l'Angelus, ha espresso "forte impressione" per le notizie e le immagini sul "tragico terremoto" e il conseguente tsunami. Il Papa ha anche pregato per le vittime e per i loro familiari, incoraggiando i soccorritori e rinnovando la sua "spirituale vicinanza" alla popolazioni del Paese "che con dignità e coraggio stanno facendo fronte alle conseguenze di tali calamità". GLI ITALIANI - Quanto ai connazionali residenti nelle prefetture colpite dal sisma, l'ambasciata italiana in Giappone è ormai riuscita a mettersi in contatto con 24 di loro su trenta. "non Sappimo nulla di sei italiani" ha detto l'ambasciatore Vincenzo Petrone. "Per quanto riguarda i non residenti, è stato stabilito un contatto con 11 di essi sui 12" di cui l'ambasciata ha avuto segnalazione. Confermata anche la notizia che "tutti e cinque gli italiani residenti nella prefettura di Fukushima, quella delle centrali nucleari a rischio, sono stati contattati e sono in buone condizioni di salute". Redazione online 13 marzo 2011
IL REPORTAGE "Il mare ha preso la rincorsa Solo due minuti per fuggire" Nei villaggi dello tsunami, i corpi sulle spiagge Diecimila dispersi solo a Minamisanriku IL REPORTAGE "Il mare ha preso la rincorsa Solo due minuti per fuggire" Nei villaggi dello tsunami, i corpi sulle spiagge Diecimila dispersi solo a Minamisanriku dal nostro inviato MARCO DEL CORONA
CHOSHI (Giappone) - Il mare, questo mare, è lo stesso che più a nord ha massacrato città e villaggi. Come a Minamisanriku, dove a ieri sera non si avevano notizie di circa 10 mila persone. Il mare qui ancora non si vede quasi quando la strada sparisce sotto uno strato di sabbia compatta, modellata dalle onde. L'asfalto è nascosto, più avanti affiora di nuovo, ma c'è stato un lungo momento in cui era tutto liquido. Anche l'asfalto, quasi. Lo tsunami è passato di qui. Barche capovolte, un motoscafo in equilibrio precario su una balaustra, un capanno di legno sollevato e adagiato su un fianco. È decapitato uno dei palmizi piantati per provare a dare un'aria esotica a questo villaggio di pescatori dove le famiglie di Tokyo vengono (venivano) a godersi il sushi fuoriporta, 120 chilometri di strada per poi affacciarsi sul mare aperto. Choshi è su un promontorio che guarda la fetta di oceano sotto il quale si è sprigionata l'onda fatale. La forza del sisma è arrivata attenuata, ma non abbastanza: solo sei feriti, ma 2.081 sfollati, 159 abitazioni danneggiate, 11 strade a pezzi, 3 frane. Nella statistica non c'è la paura di Kazuhisa Ebata: "Ho sentito l'allarme dagli altoparlanti, ho avuto due minuti di tempo. Sono corso a casa, dove adesso sul tetto ho una voragine...". La sua barca, il gioiellino della sua pensione, è ormai inservibile, centinaia di metri da dove l'aveva lasciata. La devastazione a Minamisanriku (Reuters) La devastazione a Minamisanriku (Reuters) I mattoni del lungomare sono strappati dal cemento, intatti, a mucchi. Teruo Aso indica su un palo della luce l'altezza raggiunta dall'acqua: "Tre metri almeno - dice al Corriere - e in profondità mezzo chilometro, anzi di più. Vede le palme?". Le palme striminzite, laggiù, hanno i tronchi sporchi di fango. Aso il pescatore ed Ebata il pensionato hanno visto il mare ritirarsi, prendere come la rincorsa, distendersi e ritirarsi. "In tutto sarà stata una mezz'ora". Uno tsunami minore rispetto all'apocalisse liquido di Sendai, alle 215 mila persone che hanno abbandonato le loro case nelle aree prossime all'epicentro, più altre 200 mila intorno alla centrale nucleare danneggiata di Fukushima. Ma è qui a Choshi - margine meridionale della devastazione, dove si osservano chiazze di tegole mancanti sui tetti e si incrociano detriti sulle strade - che lo tsunami si mostra per quello che è. Un confine mobile, che lascia asciutto e intatto qualcosa e, appena un passo oltre, invece divora e spiana ciò che incontra. A Minamisanriku potrebbe averlo fatto in modo terribile, moltiplicando in un colpo solo le vittime della tragedia, se i 10 mila dispersi fossero davvero da considerare persi, per sempre. Ancora ieri il bilancio era incerto, forse sui 1.700 morti, ma l'annuncio a proposito della cittadina portuale dato dalla rete tv Nhk cambia le prospettive. Si tratta di quasi metà della popolazione, altri 7.500 erano stati evacuati e spostati in 25 punti di raccolta. Con i 10 mila, invece, la polizia e i soccorritori "non hanno avuto contatto". Il premier Naoto Kan appare in tv con il volto tirato. Indossa un giubbino celeste, come pure il suo capo di gabinetto, e se fa i conti con i costi che la natura infligge al Giappone non lo lascia capire (le zone colpite, inclusa Tokyo, producono quasi la metà del Pil nipponico). Dice piuttosto di vedere la sua gente "capace di affrontare e superare questo terremoto", il più violento del Giappone moderno e, almeno nella capitale, i fatti sembrano dargli ragione. Tokyo appare relativamente normale, ma è appena fuori che l'emergenza comincia a comandare. Le autostrade verso nord rimangono bloccate e solo alcune linee dell'area metropolitana hanno ripreso a funzionare. Circa 50 mila militari sono mobilitati e una cinquantina di Paesi hanno offerto aiuto e assistenza. Le strutture allestite per gli sfollati in cinque prefetture erano ieri sera già quasi 1.400. La compagnia elettrica Tepco ha avvertito che da oggi potrebbe sospendere la distribuzione di energia a rotazione, mentre brevi blackout si manifestano anche in zone non investite dal sisma. Il dopo tsunami ha volti diversi. La frenesia dei soccorsi intorno a Sendai, dove il personale di un ospedale invaso dalle acque è stato portato in salvo dopo aver scritto un grande "S.O.S." sul tetto. La composta disperazione di chi si mette in fila per una tazza di vermicelli "ramen" su cui gli addetti della protezione civile versano una mestolata di acqua calda. La corsa a fare presto degli elicotteri e delle squadre mediche che frugano tra le macerie di un mondo messo sottosopra. E poi c'è il silenzio calato su pezzi di Giappone, con le comunicazioni fragili o impossibili, quartieri fantasma nelle città della costa. Anche Choshi ieri appariva come un paese senza voce. Strade spopolate. Serrande abbassate dei negozi, qualcuno con un cartello affisso a uso dei clienti, più spesso senza. Un barbiere al lavoro, ma solo lui. Anche la foce del fiume, con i pescherecci protetti e dunque scampati alle acque cattive, tace. Non è il sabato di un villaggio vivo. Camminando su ciò che resta del lungomare, Teruo Aso guarda il mare e fa un gesto con la mano: "Io non vado via". Marco Del Corona 13 marzo 2011
DI FRONTE ALLA CATASTROFE DEL GIAPPONE L'urlo universale della natura e la coscienza (perduta) del pericolo DI FRONTE ALLA CATASTROFE DEL GIAPPONE L'urlo universale della natura e la coscienza (perduta) del pericolo In queste ore si ha talvolta l'impressione di assistere alla fine del mondo in diretta; le voragini, l'acqua e il fuoco in furore che in Giappone stanno distruggendo tante vite umane e i loro luoghi ci arrivano in casa. D'improvviso, dinanzi alla natura - da noi così dominata, sfruttata, intaccata - ci si sente come i lillipuziani davanti a Gulliver; ondate sbriciolano grandi edifici come giocattoli, automobili e treni interi spariscono come fuscelli, il cielo s'incendia. Ma cos'è questa cosiddetta natura, cui spesso gli uomini si contrappongono - ora con l'arroganza del dominatore, ora con l'angosciata umiltà del colpevole guastatore - come se non facessero anch'essi parte della natura, come se non fossero anch'essi natura, al pari degli animali, delle piante o delle onde? Le catastrofi naturali inducono spesso a pensose e forse inconsciamente compiaciute geremiadi sulla punita superbia dell'uomo che pretende di dominare la natura, sulla tecnica che devasta la vita. Ogni disastro è buono per criticare ogni fiducia nella tecnica e nel progresso. L'apocalisse - immaginata, nella tradizione, ora per fuoco ora per acqua adesso confusi nella distruzione provocata dal terremoto - incute, a chi la guarda come noi in diretta ma da lontano e al sicuro o almeno pensando di essere al sicuro, un brivido di spavento. Come accade spesso con lo spavento, a questo si mescolano un'ambigua attrazione e un compunto monito sulla debolezza dell'uomo e la sua mancanza di umiltà nei confronti della natura. Tutto ciò si intensifica dinanzi a sciagure più direttamente dovute a responsabilità umane, a differenza dal carattere più decisamente "naturale" del terremoto e dello tsunami che infuriano in Giappone e che non sembra possano esser messi in conto all'insensatezza o alla disonestà umana, come invece ad esempio nel caso degli effetti scatenati dalle deforestazioni o dall'infame edilizia che, in molti casi - non sembra questo essere il caso del Giappone ora colpito - non si preoccupa, per incompetenza o avidità truffaldina, delle misure antisismiche. L'orgoglio dell'uomo che con la sua tecnica soggioga la natura o l'invettiva contro questo orgoglio partono da un abbaglio: dalla contrapposizione fra l'uomo e la natura e dalla contrapposizione, altrettanto fallace, fra naturale e artificiale. Come dice un grande inno alla natura scritto da Goethe - o trascritto da un suo seguace - tutto è natura, anche ciò che ai nostri occhi sembra negarla ed è invece una sua messinscena. C'è il mito di una natura pura e incorrotta, in quanto vergine di ogni intervento umano che la corromperebbe. Ma nemmeno il più schietto e sano vino esiste in natura senza l'agire di chi coltiva la vite e vendemmia l'uva. Anche i nidi degli uccelli non esistono senza l'attività di questi ultimi che li costruisce. Chi, come Goethe, ha il senso profondo dell'appartenenza della specie umana, come le altre specie, alla natura, sa che l'impulso dell'uomo a costruirsi una tenda o una casa non è meno naturale di quello che spinge i castori a costruire le loro dighe che si oppongono all'impeto, altrettanto naturale, delle acque. L'uomo non sta devastando "la natura", ma sta spesso compiendo un altro peccato, più autodistruttivo che distruttivo: sta minacciando non la natura, ma se stesso, la propria specie. I funghi velenosi non sono meno naturali di quelli mangerecci; le distese gelate di Plutone non sono meno naturali dei colli toscani in fiore; i gas che escono dai tubi di scappamento delle automobili non sono meno naturali del profumo dei fiori, perché sono composti di elementi chimici che fanno parte della natura, del Creato. Più semplicemente, funghi velenosi, pianeti gelidi e gas tossici sono letali per la nostra specie, di cui alla "natura" probabilmente non importa più che degli estinti dinosauri, ma che per noi invece conta. Tutto, comunque, appartiene alla natura delle cose, De rerum Natura. La cosiddetta tecnica non va quindi demonizzata come un peccato contro natura; è la sua dismisura, il suo abuso spesso dissennato e imbecille che vanno denunciati; non con toni di untuosa o apocalittica condanna della miseria dell'uomo, ma con la chiarezza della ragione, che non ha da inchinarsi alla natura - della quale e della cui evoluzione fa parte - bensì rendersi conto dei propri limiti, perseguire il progresso senza illudersi con tracotanza che esso sia illimitato ma misurandosi con tutti i problemi e i guasti che pure esso crea, e cercare di capire, volta per volta, quando sia necessario proseguire e quando sia necessario fermarsi o magari far qualche passo indietro, posto che ciò sia possibile. È questa avvertenza di un possibile pericolo che ci manca; anche vedendo le immagini della tragedia giapponese restiamo tranquilli, stupidamente convinti che mai qualcosa di simile ci possa accadere, qualsiasi madornale errore possiamo commettere. Allo stesso modo, quando muore qualcuno, di cancro o di infarto, siamo sotto sotto persuasi che ciò non ci accadrà mai. Questa protettiva incoscienza del pericolo caratterizza non solo gli individui, ma anche le civiltà, le culture, le società, certe di essere immortali. Pure le civiltà hanno le loro endorfine, le droghe che le proteggono dall'ansia di sapere di dovere, un giorno o l'altro, morire. Non so - e non ho alcuna competenza per poterlo sapere o capire - se il pericolo rappresentato dalla rottura del circuito di raffreddamento del reattore nucleare giapponese e dall'esplosione radioattiva sia la prova dello sbaglio di costruire centrali nucleari in genere o se invece indichi, come credo - ma senza alcuna certezza, data la mia ignoranza in materia - il pericolo sempre presente in ogni attività umana. Nel suo articolo, così vigoroso e convincente, apparso sul Corriere di ieri, Massimo Gaggi ha messo in evidenza la razionale e ferrea volontà dimostrata dal Giappone nel perseguimento della crescita, senza "sfide alla sorte", nella consapevolezza dei rischi e nella fattiva preparazione ad affrontarli. In generale, l'atteggiamento e il comportamento dei giapponesi in questa circostanza danno una grande prova del coraggio, della fermezza e della calma con cui l'uomo sa talora far fronte al disastro. Questa dignità e questa forza morale non hanno nulla a che vedere con la superbia prometeica di chi pensa, con allegra incoscienza, di poter sfidare impunemente l'equilibrio necessario alla sua specie, ritenendo che quella forma della natura che chiamiamo tecnica possa sganciarsi dall'antica madre ossia dalla totalità che l'ha generata e la comprende, come un ramo che pretendesse di rinnegare l'albero in cui e da cui è cresciuto e andarsene per conto proprio. Se tante reazioni antitecnologiche - pure certi toni del pathos antinucleare - appaiono irrazionali, ancor più giulivamente e autolesivamente irrazionale è la sicumera con la quale, in nome di un progresso che così cessa di esser tale e di una supponenza scientista convinta che la scienza sia Dio, si distruggono foreste, si sperperano energie, si esauriscono risorse senza pensare a come la Terra potrà nutrire un numero sempre più insostenibile di affamati e a come si potrà vivere in una Terra sempre più diversa da quella cui è abituata la nostra specie. C'è, nella specie umana, una presunzione di eternità che la rende irresponsabilmente scialacquatrice della vita e che va incontro con presunzione a una possibile trasformazione di se stessa. Studiosi seri parlano di un nostro prossimo futuro da cyborg, di uomini quali ibridi di corpi umani e integrazioni tecnologiche; è teoricamente possibile un mondo di sole donne, capaci di riprodursi senza intervento dell'uomo; l'ingegneria genetica promette - o minaccia - esseri umani radicalmente diversi da noi, tanto da essere difficilmente definibili "noi". Forse è in atto una radicale trasformazione della nostra specie, destinata a mutare il nostro modo di essere e di sentire; in un mondo in cui nascessero solo donne da donne, sarebbe ad esempio difficile capire Ettore che gioca con Astianatte sperando che suo figlio diventi più grande di lui o la passione di Paolo e Francesca, cose senza le quali non saremmo quello che siamo. Certo, le specie si sono sempre trasformate e continuano a farlo. Ma, a differenza dal processo che ha portato dagli organismi unicellulari (o dai frammenti del Big Bang) a Marilyn Monroe, la trasformazione della nostra specie avverrebbe in tempi brevissimi anziché in miliardi di anni, in tempi forse insostenibili per chi dovesse viverli. Questa eventuale trasformazione - irrazionalmente vagheggiata o temuta - ci addolorerebbe più della nostra morte individuale, perché ci conforta credere che dopo di noi ci saranno bambini come i nostri figli, donne e uomini amabili come le persone che abbiamo amato. La forza, la calma, la dignità con cui oggi quei giapponesi affrontano la gravissima catastrofe dimostrano che l'uomo classico, come lo conosciamo da millenni, non è ancora superato - come proclamava Nietzsche, sperandolo e insieme temendolo - ma è ancora degnamente al suo posto. Claudio Magris 13 marzo 2011
Le squadre La battaglia dei superpompieri con l'incubo di Chernobyl Gli unici che possono avvicinarsi e lavorare nei pressi del reattore numero uno di Fukushima * NOTIZIE CORRELATE * La tragedia di Miyagi: "Diecimila morti" (13 marzo 2011) * Giappone, già più di mille le vittime. Trovati i 4 treni dispersi. "Tutti salvi" (12 marzo 2011) * Paura nucleare, 170m mila evacuati (12 marzo 2011) * Terremoto e tsunami, colpito il Giappone (11 marzo 2011) * Italiano a Tokyo: "La terratremava come il mare" (11 marzo 2011) * Allarme tsunami in tutto il Pacifico (11 marzo 2011) * Multimedia: video, audio e foto Le squadre La battaglia dei superpompieri con l'incubo di Chernobyl Gli unici che possono avvicinarsi e lavorare nei pressi del reattore numero uno di Fukushima (Reuters) (Reuters) L'Agenzia per la sicurezza nucleare giapponese li chiama "superpompieri". Sono gli unici che possono avvicinarsi e lavorare nei pressi del reattore numero uno di Fukushima. Tute, protezioni di sicurezza, segnalatori di radiazioni e, soprattutto, rapidi cambi di turno ed esposizioni ridotte al minimo. Il loro compito è tutto sommato semplice: raffreddare la struttura, a ogni costo, per evitare guai peggiori. Ma se si superano i 100 millisievert - più o meno come esporsi a 100 radiografie - i danni da radiazione possono farsi seri. Se si va oltre i 6 mila millisievert, assorbiti in una sola settimana, la sopravvivenza è praticamente impossibile. Insomma, per i superpompieri giapponesi la faccenda suona assai delicata. Non è possibile, per ora, sapere a che livello di radiazione si sia arrivati a Fukushima. Le autorità rassicurano: dicono che vicino al reattore si è rilevata la presenza di Cesio 137 e Iodio 131, ma che i livelli sono in diminuzione. Se così fosse, la situazione sarebbe simile a ciò che accadde a Three Mile Island il 28 marzo del 1979 (dodici giorni prima sul grande schermo era apparso Sindrome Cinese con Jane Fonda, Jack Lemmon e Michael Douglas). Se la realtà si presentasse diversa, e peggiore, ci si avvicinerebbe piuttosto al disastro di Chernobyl di sette anni dopo. Lì i superpompieri erano "semplici" vigili del fuoco dell'allora Unione Sovietica, provenienti dalla vicina città di Pripyat, e lo scenario che si trovarono davanti era a dir poco apocalittico. L'Europa occidentale avrebbe saputo solo due giorni dopo che all'una e ventitre minuti, nell'impianto di Chernobyl, erano avvenute due esplosioni. La prima di vapore, causata da un test errato, che distrusse il nocciolo e sollevò il coperchio di acciaio della centrale, del peso di duemila tonnellate, facendolo ricadere di fianco dentro l'edificio. E poi una seconda, due o tre secondi dopo, per la reazione dell'idrogeno con l'aria. Entrambe causarono una pioggia di combustibile radioattivo, di parti del nocciolo e della struttura, e di grafite incendiata. Già dalle prime ore del mattino circa 250 pompieri "semplici" accorsero, e i primi fuochi furono domati. Ma poi si infiammò la grafite dei moderatori, il materiale che serve per controllare la reazione. Un incubo: gli incendi da grafite durarono 9 giorni, durante i quali circa 1.800 voli di elicottero, in mezzo alle colonne di fumo che trasportavano in alto gli elementi radioattivi, scaricarono sul reattore cinquemila tonnellate di materiali vari: boro, piombo, dolomite, sabbia, fosfati, polimeri liquidi. Tutti i pompieri "semplici" esposti per ore a radiazioni superiori di migliaia di volte alla dose "normale" di un anno morirono pochi giorni dopo. Poi arrivarono, nel corso degli anni successivi, circa 600 mila volontari per le operazioni di bonifica. Li hanno chiamati "i liquidatori", e una contabilità precisa sulle loro condizioni di salute non è forse neppure più possibile. A Fukushima, ripensando a quel tragico passato, i superpompieri giapponesi restano pur sempre degli eroi. Stefano Agnoli 13 marzo 2011
Gli Usa favorevoli alla "no fly zone" chiesta dalla Lega araba Gheddafi avanza: preso il porto di Brega I ribelli stanno battendo in ritirata dopo nuovi violenti bombardamenti da parte dei miliziani * NOTIZIE CORRELATE * La Lega Araba: "No fly zone sulla Libia" (12 marzo 2011) * E Saif minaccia l'Italia: "Traditori, reagiremo" (12 marzo 2011) * Libia, forze del regime a Ras Lanuf. Violenti scontri con gli insorti (11 marzo 2011) * Gheddafi "bonifica" l'ovest, ribelli in difficoltà G. Olimpio (10 marzo 2011) * Libia, emissari del Raìs in Europa. Taglia sul capo del governo provvisorio (09 marzo 2011) * Ultimatum degli insorti a Gheddafi: "Lasci il paese entro 72 ore e sarà salvo (8 marzo 2011) * Ultimatum Nato: "Basta colpire i civili" (7 marzo 2011) * "Accordo tra Gheddafi e le tribù". Battaglia a Misurata (6 marzo 2011) * Gli Usa favorevoli alla "no fly zone" chiesta dalla Lega araba Gheddafi avanza: preso il porto di Brega I ribelli stanno battendo in ritirata dopo nuovi violenti bombardamenti da parte dei miliziani Un guerrigliero stremato a Brega (Reuters) Un guerrigliero stremato a Brega (Reuters) I guerriglieri dell'opposizione perdono terreno nella guerra civile in corso in Cirenaica contro le forze regolari e i miliziani al soldo di Gheddafi. Secondo un corrispondente della France Presse sul posto, decine di ribelli stanno battendo in ritirata dopo nuovi violenti bombardamenti del regime alle porte di Brega, importante porto petrolifero nella Libia orientale, circa 250 chilometri a ovest di Bengasi. Nel frattempo, gli uomini di Gheddafi hanno preso il controllo del villaggio di Al Bisher, fra Uqaylah (più a ovest) e Brega. Gli insorti che erano appostati all'ingresso di Brega sono partiti in un convoglio di veicoli diretti ad Ajdabiya, 80 chilometri più a est sulla costa in direzione di Bengasi. Sabato il braccio armato del movimento "17 febbraio" aveva già abbandonato Uqaylah, ormai nelle mani di Gheddafi, alla volta di Brega. GLI USA FAVOREVOLI A NO FLY ZONE - Intanto, il governo degli Stati Uniti ha diffuso un comunicato in cui accoglie con favore la richiesta della Lega araba al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite per l'istituzione di una no-fly zone sulla Libia. Secondo la Casa Bianca si tratta di un "passo importante" per aumentare la pressione internazionale sul regime di Gheddafi. Nella nota si apprende che il governo statunitense vede un chiaro messaggio da parte della comunità internazionale per la fine della violenza nel Paese colpito dalla guerra civile. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha chiesto ripetutamente a Gheddafi di lasciare il potere, ma Washington non ha voluto imporre un blocco del traffico aereo sui cieli libici in maniera unilaterale. Sia gli Stati Uniti che l'Unione europea avevano chiesto supporto ai Paesi arabi per aumentare le pressioni sul governo libico. Redazione online 13 marzo 2011
L'ANALISI Il recupero di Gheddafi in 6 punti Come il Colonnello sta ribaltando la situazione L'ANALISI Il recupero di Gheddafi in 6 punti Come il Colonnello sta ribaltando la situazione WASHINGTON – Senza un aiuto dal cielo – e da terra – per i ribelli libici sarà difficile resistere alla probabile offensiva del regime. Superata la confusione iniziale e riattivato il suo apparato, Gheddafi ha ripreso l’iniziativa. Ribelli a Ras Lanuf (Reuters/Waguih) Ribelli a Ras Lanuf (Reuters/Waguih) 6 ELEMENTI - Sei gli elementi che hanno portato al "ritorno" dei lealisti. 1) La debolezza dei ribelli: disorganizzati, con pochi mezzi, addestramento inesistente o precario. 2) Il volume di fuoco: Tripoli ha semoventi, tank, elicotteri e aviazione che possono spazzare via il sottile velo nemico. 3) Le forze: Gheddafi ha affidato la controffensiva alle brigate speciali, in particolare quella guidata dal figlio Khamis. 4) Gli "aiuti": grazie ad una grande disponibilità di denaro il regime si è "comprato" diversi clan che si sono poi schierati al suo fianco (in particolare a Sirte) mentre altri si sono mantenuti neutrali. 5) I rifornimenti: Tripoli ha potuto ingaggiare mercenari (difficile dire quanti siano veramente) e far affluire armi (dalla Bielorussia). 6) La mobilità: le truppe del colonnello, già in vantaggio in termini di mezzi, hanno mostrato una discreta mobilità. A Ras Lanuf, ad esempio, hanno eseguito uno sbarco con 200-300 uomini che hanno colto di sorpresa gli avversari. Adesso Gheddafi punterà a strangolare Misurata, sempre sotto assedio, e ad ampliare la sua zona verso est. L’obiettivo non è solo quello di cacciare gli insorti ma di avere il pieno controllo di Ras Lanuf e, poi, di Marsa Al Brega, località importanti sotto il profilo economico. Ospitano infatti gli impianti petroliferi e il terminale del gasdotto verso l’Europa. Senza di questi ai ribelli rimarrebbe ben poco. RISCHIO REPRESSIONE - È possibile che Gheddafi voglia accelerare i tempi per rendere impossibile un intervento esterno. Se la situazione degli oppositori peggiorerà ancora sarà difficile che qualcuno possa agire con efficacia. I raid mirati contro basi aeree ma soprattutto tank ipotizzati dalla Francia dovevano essere sferrati ieri e non tra una settimana. Il rischio è che sia davvero tardi per evitare non solo la sconfitta della rivolta ma anche una repressione che sarà feroce. Guido Olimpio 12 marzo 2011
2011-03-12 UCCISO CAMERAMAN DI AL JAZEERA VICINO BENGASI La Lega Araba: "No fly zone sulla Libia" Gheddafi riprende Ras Lanuf Chiesto alle Nazioni unite il provvedimento contro il regime. Contrari Algeria, Siria, Yemen e Sudan * NOTIZIE CORRELATE * E Saif minaccia l'Italia: "Traditori, reagiremo" (12 marzo 2011) * Libia, forze del regime a Ras Lanuf. Violenti scontri con gli insorti (11 marzo 2011) * Gheddafi "bonifica" l'ovest, ribelli in difficoltà G. Olimpio (10 marzo 2011) * Libia, emissari del Raìs in Europa. Taglia sul capo del governo provvisorio (09 marzo 2011) * Ultimatum degli insorti a Gheddafi: "Lasci il paese entro 72 ore e sarà salvo (8 marzo 2011) * Ultimatum Nato: "Basta colpire i civili" (7 marzo 2011) * "Accordo tra Gheddafi e le tribù". Battaglia a Misurata (6 marzo 2011) * UCCISO CAMERAMAN DI AL JAZEERA VICINO BENGASI La Lega Araba: "No fly zone sulla Libia" Gheddafi riprende Ras Lanuf Chiesto alle Nazioni unite il provvedimento contro il regime. Contrari Algeria, Siria, Yemen e Sudan Combattimenti nella zona di Ras Lanuf Combattimenti nella zona di Ras Lanuf MILANO - In Libia si combatte ancora. Ras Lanuf sarebbe di nuovo nelle mani delle forze leali a Gheddafi. A darne notizia sono Sky News e Al Jazeera, che citano fonti dell'opposizione. Secondo la tv araba, anche l'altro centro petrolifero di Brega, teatro di durissimi combattimenti fino a una settimana fa, sarebbe stato riconquistato dai militari pro-regime nella mattinata di sabato, quando i rivoltosi sono stati costretti alla ritirata da intensi bombardamenti e fuoco d'artiglieria. Nella regione di Hawari, vicino a Bengasi, un cameraman di Al Jazeera è stato ucciso in un'imboscata mentre curava un reportage. Ne ha dato notizia da Doha la stessa rete tv. E le forze del governo libico hanno sferrato un attacco contro Misurata, cercando di riprendere il controllo dell'ultima città nella zona occidentale della Libia ancora sotto il controllo dei ribelli. Secondo fonti citate da Al Jazeera, le truppe fedeli al colonnello Gheddafi sono ormai a 10,5 chilometri dal centro abitato. Molte persone stanno lasciando le loro case, tutti i negozi sono chiusi e gli insorti stanno prendendo posizione nella periferia della città per tentare un'ultima difesa. LA "NO FLY ZONE" - La crisi di Tripoli resta, nel frattempo, sotto i riflettori della diplomazia internazionale. La Lega araba ha fatto sapere che chiederà al Consiglio di sicurezza dell'Onu di imporre una "no fly zone" sui cieli della Libia. La maggioranza dei ministri degli Esteri dei Paesi arabi che si sono riuniti sabato al Cairo avrebbe infatti deciso di appellarsi alle Nazioni Unite affinchè applichino questo provvedimento contro il regime del Raìs, e questo malgrado le resistenze di Algeria, Siria, Yemen e Sudan. "L'approvazione di una no fly zone sulla Libia potrebbe indirizzare la comunità internazionale ad effettuare un intervento militare in Libia": con queste parole un diplomatico siriano la posizione assunta dal suo Paese. La Lega araba ha inoltre deciso di aprire un canale ufficiale di dialogo con i rappresentanti dell'opposizione libica di Bengasi. Redazione online 12 marzo 2011
Il secondogenito del Raìs spavaldo nell'hotel dei giornalisti stranieri E Saif minaccia l'Italia: "Traditori, reagiremo" "Se perdiamo, sarete voi le prime vittime" "Scioccati dalla vostra posizione, anzi molto irritati" Il secondogenito del Raìs spavaldo nell'hotel dei giornalisti stranieri E Saif minaccia l'Italia: "Traditori, reagiremo" "Se perdiamo, sarete voi le prime vittime" "Scioccati dalla vostra posizione, anzi molto irritati" Saif Gheddafi (Ansa) Saif Gheddafi (Ansa) TRIPOLI - Mezzanotte di giovedì, Saif al Islam riceve i giornalisti italiani al primo piano dell'hotel Rixos di Tripoli, dove c'è una suite apposta per lui ("Scrivete da mesi che io e mio padre viviamo chiusi in un bunker - ride - come vedete non è affatto vero, viviamo e ci muoviamo con tranquillità..."). Ha appena finito il suo comizio davanti ai comitati giovanili del popolo. Il secondogenito del Raìs ha infiammato il cuore degli shabab con un discorso da capo militare ("Bengasi, stiamo arrivando..."), ma ora torna a indossare i panni del diplomatico. Perché sa che questa guerra si vince anche con le parole. Signor Saif, ha parlato con suo padre della posizione italiana sulla Libia? "Siamo rimasti scioccati dalla vostra posizione, anzi molto irritati, perché voi siete il primo partner della Libia al mondo; il numero uno nel gas, nel petrolio, nel commercio... Il presidente Berlusconi è nostro amico. Siamo vicini, amici. Perciò potevamo aspettarci questo dalla Francia, dalla Gran Bretagna, dalla Svezia: ma non dall'Italia! Guardatevi intorno: i cinesi ci sostengono, i brasiliani, gli indiani, i russi, il Sudafrica. Ma dove sono finiti gli italiani?". Vuole dire che cambieranno i rapporti tra i nostri due Paesi? "Beh, il messaggio per l'Italia è molto semplice: il popolo libico è unito, presto vinceremo la battaglia contro questi terroristi, insciallah, e presto faremo i conti con tutti. Sarà molto facile rimpiazzare l'Italia con la Cina o la Russia, sapete? La Cina ce lo chiede, vogliono rimpiazzare l'Italia come primo partner... Perciò state attenti. Se tu tradisci un tuo partner, come credi che quello debba reagire?". L'ad dell'Eni, Scaroni, ha detto che il petrolio libico presto si fermerà. "Scaroni è in contatto con Shukri Ganem, il capo della Noc; noi oggi (giovedì, ndr) abbiamo liberato il terminale di Ras Lanuf, e domani saremo a Brega. Presto tutto il settore oil & gas sarà sotto controllo". Quale è stato l'ultimo contatto ufficiale fra Italia e Libia? "Credo che oggi (giovedì, ndr) si siano sentiti il nostro primo ministro e il vostro ministro degli Esteri. Gli italiani pensano che noi siamo deboli, vicini alla catastrofe, che le milizie vinceranno: ma noi non crolleremo. E sapete invece cosa accadrebbe se le milizie prendessero il controllo del Paese? Che voi sareste le prossime vittime, avreste milioni di immigrati illegali, i terroristi salterebbero dalle spiagge di Tripoli verso Lampedusa e la Sicilia. Sarebbe un incubo per l'Italia. Svegliatevi!". Ha un messaggio particolare per Silvio Berlusconi? "La Libia è una linea del fronte per l'Italia. Quello che succede oggi qui da noi determinerà quello che succederà domani da voi. Lo ripeto: state attenti!". Non negherà, però, che voi state usando il pugno di ferro contro i ribelli... "Bene. Allora chiedo a voi italiani: fatemi vedere le tracce dei bombardamenti aerei su Tripoli! E dove sarebbero i mercenari? Questo è il momento per i veri amici: adesso l'Italia deve cambiare la sua posizione, deve capire che quello che si sentiva dire due settimane fa è falso! Invece siete rimasti in silenzio di fronte a questi terroristi che hanno ucciso i nostri poliziotti a sangue freddo. Non li avete visti i filmati in tv? Questi criminali hanno strappato il cuore dai cadaveri. E cosa fanno, invece, gli italiani? Sostengono i terroristi contro il popolo libico!". Pensa che possa esserci ancora lo spazio per un accordo con gli insorti o sarà solo guerra? "Sarà guerra fino alla fine. Questi terroristi non parlano di democrazia, di elezioni, di valori: sono semplicemente terroristi". Ma lei davvero non crede che anche il vostro regime abbia commesso degli errori? Che lei stesso non abbia portato avanti con forza le riforme per i cittadini? "C'è stato un po' di ritardo, questo è vero, nel costruire un esercito moderno, una polizia moderna, una nuova economia, una società più libera. Sapete però cosa è successo? Che in 48 ore 10 siti militari sono stati attaccati e presi dalle milizie: in due giorni questa gente è stata capace di impossessarsi delle armi e di mettere sotto ricatto un intero Paese. Come un serpente che mette fuori la testa all'improvviso. Ma ora il 90 per cento del Paese è tornato sotto il nostro controllo, presto tutto finirà". E come valuta la posizione del presidente francese Sarkozy, che ha riconosciuto i ribelli di Bengasi come rappresentanti del popolo libico? "Sarkozy è un uomo molto strano (funny, dice Saif, ndr). Lui parla di gente che si è autonominata "Consiglio per la Libia". Ma chi sono questi? Avete visto svolgersi elezioni? O un referendum?". Signor Saif, in conclusione, oggi suo padre avrebbe voglia di tornare in Italia? "Per essere onesto, adesso nessuno di noi verrebbe in vacanza o a fare altro lì da voi. Né a sciare né in Sardegna. Né a Roma né a Milano. Adesso siamo in guerra!". Fabrizio Caccia 12 marzo 2011
2011-03-10 Nuovi raid, ribelli in fuga. FRATTINI: "L'ITALIA NON PARTECIPERà A ATTACCHI MIRATI" Sarkozy alla Ue: "Bombardiamo la Libia" Ras Lanuf, missili dal cielo e dal mare Nato e Ue valutano i margini di manovra per un intervento. Vendita di armi a Tripoli, embargo di Mosca * NOTIZIE CORRELATE * Gheddafi "bonifica" l'ovest, ribelli in difficoltà G. Olimpio (10 marzo 2011) * Libia, emissari del Raìs in Europa. Taglia sul capo del governo provvisorio (09 marzo 2011) * Ultimatum degli insorti a Gheddafi: "Lasci il paese entro 72 ore e sarà salvo (8 marzo 2011) * Ultimatum Nato: "Basta colpire i civili" (7 marzo 2011) * "Accordo tra Gheddafi e le tribù". Battaglia a Misurata (6 marzo 2011) * Nuovi raid, ribelli in fuga. FRATTINI: "L'ITALIA NON PARTECIPERà A ATTACCHI MIRATI" Sarkozy alla Ue: "Bombardiamo la Libia" Ras Lanuf, missili dal cielo e dal mare Nato e Ue valutano i margini di manovra per un intervento. Vendita di armi a Tripoli, embargo di Mosca (Reuters) (Reuters) MILANO - L'Occidente potrebbe presto muoversi contro Gheddafi. Il presidente francese Nicolas Sarkozy intende infatti proporre ai partner dell'Unione europea "bombardamenti aerei mirati" in Libia. È quanto riferiscono fonti vicine al dossier, spiegando che il capo dell'Eliseo vuole anche criptare i sistemi di trasmissione del comando del colonnello Muhammar Gheddafi. INTERVENTISMO - Segnali di interventismo arrivano dal presidente della Ue, Herman Van Rompuy, che, in un messaggio indirizzato ai leader europei alla vigilia del vertice straordinario sulla Libia spiega: "I responsabili delle violenze in Libia andranno incontro a gravi conseguenze. L'attuale leadership libica deve lasciare il potere senza ritardi"". Per Van Rompuy, "l'Unione europea non può rimanere ferma quando si tratta della sicurezza di una popolazione". "L'Italia non parteciperà a bombardamenti mirati su territorio libico ha voluto dal canto suo precisare il ministro degli Esteri Franco Frattini, al termine della riunione straordinaria dei capi delle diplomazie dei 27 sulla Libia. A Bruxelles, Nato e Unione Europea discutono degli strumenti utili a fronteggiare la crisi di Tripoli e le sue potenziali ripercussioni sull'occidente. Venerdì sarò il turno anche dei leader europei per l'Italia sarà presente il premier Silvio Berlusconi. "Noi ci schieriamo con la comunità europea, che vuole essere in sintonia con la comunità internazionale, con la Nato e l'Onu" ha detto il premier. L'Italia riaprirà il consolato a Bengasi, chiuso dal 2006, ha annunciato il titoalre della Farnesina. Dal Cremlino, nel frattempo, arriva l'annuncio che la Russia proibirà completamente la vendita di armi alla Libia, sospendendo tutti i contratti in vigore con Tripoli. Il segretario di Stato Usa Hillary Clinton ha annunciato invece che intende incontrare esponenti della opposizione libica sia negli Stati Uniti che nel suo viaggio in Medio Oriente della prossima settimana. I NEGOZIATI - Gli emissari di Gheddafi sono intanto al lavoro in Europa e al Cairo. E anche i rappresentanti dei ribelli portano avanti i loro negoziati. Il Colonnello "è finito e ha perso la sua legittimità" agli occhi della comunità internazionale, avrebbe riferito il ministro degli Esteri portoghese Luis Amado all'inviato del Raìs a Lisbona. Ad Atene è durato un'ora e mezza l'incontro fra il vice ministro degli Esteri greco, Dimitris Dollis, e l'inviato del Raìs Mohamed Tahir Siala. All'Eliseo, invece, i due emissari di Bengasi hanno incontrato Sarkozy. Parigi, ha fatto sapere uno dei due inviati, riconosce "come rappresentante legittimo del popolo libico il Consiglio nazionale provvisorio". Sulla base di tale riconoscimento - hanno annunciato - "noi apriremo una ambasciata in Francia e Parigi ne aprirà una a Bengasi in via transitoria, in vista di un trasferimento della sede a Tripoli". In una intervista al quotidiano tedesco Die Welt, il presidente del Consiglio nazionale dei ribelli libici costituitosi a Bengasi, l'ex ministro di Giustizia Mustafa Abdel Jalil, ha spiegato di essere favorevole alla "no fly zone" o a una misura simile, ma non alla presenza di soldati stranieri in Libia. NATO - Al via la sorveglianza 24 ore su 24 dei cieli libici da parte della Nato che, da questa mattina all'alba, pattuglia con almeno tre Boeing E-3 Sentry lo spazio aereo sopra il Paese maghrebino. Il Segretario generale dell'Alleanza Atlantica Anders Fogh Rasmussen ha parlato di basi legali chiare e di un fermo sostegno della regione come presupposti per un intervento. IL VOTO DEL PARLAMENTO EUROPEO - Il Parlamento europeo ha approvato a larghissima maggioranza (584 sì, 18 no, 18 astenuti) una risoluzione che chiede ai governi Ue di riconoscere il Consiglio nazionale della transizione libico come l'autorità che rappresenta ufficialmente l'opposizione libica. Il testo invita inoltre l'Unione europea a prepararsi alla possibile istituzione di una no fly zone per impedire a Gheddafi di colpire la popolazione e aiutare il rimpatrio di chi fugge dalla violenza. LA SITUAZIONE SUL CAMPO - In Libia invece prosegue senza sosta la controffensiva delle forze di Gheddafi. A ovest della Libia le truppe del regime avrebbero assunto il controllo di Zawiya, dopo cinque giorni di combattimenti, mentre a est la linea del fronte si è avvicinata ancora a Ras Lanuf, mettendo di fatto gli insorti in fuga. La città petrolifera è stata bombardata dall'aria e dal mare dalle forze fedeli a Gheddafi. Una situazione che il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha descritto in termini di "guerra civile", affermando di prepararsi "al peggio". In mattinata, un ordigno sganciato da un aereo delle forze del Colonnello è caduto presso un check point dei ribelli a ovest. L'esplosione ha alzato un denso fumo nero e un fungo di sabbia. Immediatamente, i ribelli hanno cominciato a sparare con le mitragliatrici antiaeree montate sui loro pick up. Secondo testimoni citati dalla Reuters, una delle bombe o granate che hanno martellato la zona di Ras Lanuf ha colpito un'abitazione civile provocando vittime. Sarebbe di almeno quattro morti e 35 feriti il bilancio del bombardamento di Ras Lanuf. Lo riferiscono fonti ospedaliere. ZAWIYA - Nella notte, un migliaio di fedelissimi del leader libico Muammar Gheddafi ha festeggiato a Zawiya il "ritorno della città sotto il controllo dell'esercito" con una cerimonia organizzata in uno stadio di calcio cittadino, costellata dai fuochi di artificio. Lo hanno constatato i giornalisti stranieri condotti sul posto. "Sconfiggerli (gli insorti, ndr) non è stato difficile", ha assicurato alla stampa straniera un ufficiale dell'esercito: "Noi non abbiamo ucciso civili, tutto quello che si dice è falso. Sono loro che ammazzano le persone inermi". Sul prato del campo di calcio si è poi scatenata una vera e propria ressa quando i militari hanno cominciato a distribuire generi di prima necessità tra cui soprattutto farina e polpa di pomodoro, con la folla che ha letteralmente preso d'assalto i camion. Redazione online 10 marzo 2011
Il punto Gheddafi "bonifica" l'ovest, ribelli in difficoltà Il Colonnello vuole eliminare le sacche di resistenza. Guai militari per i suoi avversari il punto Gheddafi "bonifica" l'ovest, ribelli in difficoltà Il Colonnello vuole eliminare le sacche di resistenza. Guai militari per i suoi avversari (Ansa) (Ansa) Gheddafi esplora le vie del negoziato, punta a guadagnare tempo per alimentare i dubbi della diplomazia e intanto martella gli avversari. La strategia del Colonnello – secondo gli osservatori – è mirata a "bonificare" l’ovest del Paese, eliminando qualsiasi sacca di resistenza. Ed ecco l’assalto furioso, con decine di morte, a Zawiya, e l’assedio a Misurata. Una volta ristabilito il controllo nella parte occidentale della Libia, il Raìs tornerà a guardare a est. Intanto ha cercato di impedire nuove progressioni dei nemici e ne ha colpite le magre retrovie con gli aerei. I RIBELLI - I ribelli, dopo essersi lanciati in una serie di attacchi sono stati costretti a ripiegare: il volume di fuoco dei lealisti, che impiegano tank, artiglieria e aerei, è troppo pesante per gli insorti. Rapporti statunitensi con "testimoni sul campo" segnalano mancanza di addestramento, approssimazione, scarsa attività di ricognizione, nessun coordinamento. Precarie ed esposte ai raid dei Mig le linee di rifornimento. Gli avversari del Colonnello – che hanno sempre come obiettivo principale Sirte - devono pensare anche a difendersi proteggendo Ras Lanuf, centro strategico e sede di importanti impianti petroliferi. Operazione difficile perché i loro mezzi sono scarsi. Qualche vecchio T55, molti camioncini armati di mitragliatrici, batterie di razzi e persino vetture. Troppo poco per competere con le pur modeste forze governative. Tripoli ha fatto largo uso di semoventi, elicotteri d’attacco, mortai. Nei prossimi giorni potrebbe spostare verso est anche i tank T72. Un apparato non certo modernissimo ma sufficiente a garantire alla Guida la superiorità. LE COMUNICAZIONI - Altro risvolto importante quello delle comunicazioni. Quelle dei ribelli sono estremamente fragili e basate su due reti di cellulari controllate da un figlio di Gheddafi. Sul terreno gli insorti vorrebbero forse ripetere quanto avvenne nel Ciad negli anni ’80 con la famosa guerre delle Toyota perché combattuta soprattutto con i pick up armati. I libici furono sconfitti anche grazie ad un ombrello aereo francese: ecco perché dalla Cirenaica insistono per l’adozione della no fly zone. GLI APPROVVIGIONAMENTI - Ai guai militari si sommano quelli degli approvvigionamenti. I ribelli non hanno molto carburante: le scorte – sostengono fonti di Bengasi – finiranno entro una settimana. Per risolvere il problema è stato ipotizzato di inviare il greggio in Italia e di importare benzina. A patto di riuscire a garantire la sicurezza degli impianti e delle navi. I Mig del colonnello incombono ed hanno già creato danni alle installazioni di Ras Lanuf. Fonti dell’opposizione non escludono che il prossimo passo del Colonnello sia quello di incenerire gli impianti. Guido Olimpio 10 marzo 2011
2011-03-06 IL CLAN di Al-Isuhn con le forze governative. Il Papa: soccorso a popolazioni "Accordo tra Gheddafi e le tribù" Voci sulla cessazione delle ostilità. Attesa per un discorso in tv del Raìs. I ribelli: le città dell'Est nelle nostre mani * NOTIZIE CORRELATE * Venti giorni di proteste e sangue: i fatti dal 15 febbraio al 5 marzo IL CLAN di Al-Isuhn con le forze governative. Il Papa: soccorso a popolazioni "Accordo tra Gheddafi e le tribù" Voci sulla cessazione delle ostilità. Attesa per un discorso in tv del Raìs. I ribelli: le città dell'Est nelle nostre mani (Ap) (Ap) MILANO - I tank di Gheddafi sparano su Misurata. Un morto e otto feriti è il primo bilancio. Un'enorme esplosione è risuonata su Ras Lanuf. Seguita poi dal fuoco delle batterie antiaeree. Un elicottero delle forze governative è precipitato. I rivoluzionari di Ras Lanuf ne rivendicano l'abbattimento e assicurano di averlo visto precipitare in mare. Una mattina di guerre ed esplosioni per tutta la Libia. A Tripoli, dove la televisione di stato ha raccontato che l'esercito ha riconquistato numerose città ribelli e ha annunciato tagli alle imposte per "celebrare la vittoria del nostro grande popolo sulle bande dei terroristi", la domenica è cominciata con colpi di armi automatiche e di artiglieria. Poi l'esplosione di gioia, con le strade invase di auto che suonano i clacson e duemila persone davanti al campo di Bab al-Aziziya che sventolano bandiere verdi della Jamahiriya. SMENTITE - Secondo i media governativi la Libia starebbe tornando nelle mani del Raìs e l'esercito governativo avrebbe riconquistato le città che erano state "prese" dai ribelli, tra cui Zawiya, Misurata, Ras Lanuf e Tobruk, e marcia ora verso Bengasi. Gli insorti, però smentiscono che Tobruk sia stata riconquistata. Anche dal porto petrolifero di Ras Lanouf la notizia è contestata. "Non ci sono stati combattimenti nella notte, la città è sotto il nostro controllo", fanno sapere gli oppositori del Raìs, confermate da un giornalista della France Presse. "Siamo diversi giornalisti in un albergo all'ingresso ovest della città e non abbiamo sentito il rumore di combattimenti". E da Misurata, 200 km a est di Tripoli, i residenti fanno sapere che "la città è sotto il pieno controllo dei rivoluzionari, lo è da circa due settimane. Ora c'è calma e non ci sono combattimenti". Le stesse fonti hanno poi fatto sapere di avere sentito spari "questa mattina presso l'aeroporto..." . "Le brigate (di Gheddafi) sono là", dicono, "ma sono circondate dai ribelli e hanno sparato a caso per terrorizzare le persone". Secondo voci non confermate raccolte a Tripoli, nella notte sarebbe stato raggiunto un accordo tra Gheddafi e i capi di alcune tribù per la fine delle ostilità. IMBOSCATA - Sugli accordi con le tribù il leader libico farà un annuncio nelle prossime ore. A Ben Jawad le milizie ribelli si sarebbero ritirate, negli scontri sono rimaste uccise almeno due persone e altre 30 sono rimaste ferite. Secondo fonti ribelli la nuova linea di difesa sarà organizzata poco più a ovest, a Ras Lanuf: le truppe fedeli al leader libico Muammar Gheddafi sarebbero meglio armate, e in possesso di armi pesanti. Tra i feriti vi è anche un giornalista francese, ricoverato nell'ospedale locale e le cui condizioni non sono gravi. Secondo fonti locali a innescare gli scontri sarebbe stata un'imboscata tesa ai ribelli da alcuni miliziani della tribù di Al-Isuhn, che sarebbe passata dalla parte delle forze governative in cambio di denaro. ARMI FANTASMA - L'ofensiva governativa è in corso anche a Misurata. I carri armati stanno bombardando la sede della radio, e risuona anche il fuoco di armi automatiche: "Gli abitanti della città non sono armati, se la comunità internazionale non interviene rapidamente sarà un massacro", ha raccontato un residente raggiunto telefonicamente dall'Agence France Presse. Resta poi il giallo del nutrito fuoco di armi automatiche risuonato nel centro di Tripoli, non lontano dalla Piazza Verde: secondo le autorità libiche, si trattava di una manifestazione di gioia per la notizia della riconquista di alcune città nell'est del Paese. IMPOSTE -I dazi doganali sono stati annullati su tutti i generi di prima necessità e ridotti al 5% sul resto degli articoli di importazione. Sempre in nome della "vittoria del nostro grande popolo sulle bande dei terroristi", sono state eliminate tutte le imposte di consumo e produzione. PAPA: SOCCORSO A POPOLAZIONI - Sulla crisi libica si è espresso anche il Papa, nell'Angelus a San Pietro, domenica mattina: "Il mio accorato pensiero si dirige alla Libia, dove i recenti scontri hanno provocato numerose morti e una crescente crisi umanitaria. A tutte le vittime e a coloro che si trovano in situazioni angosciose assicuro la mia preghiera e la mia vicinanza, mentre invoco assistenza e soccorso per le popolazioni colpite", ha detto Benedetto XVI. MILITARI INGLESI CATTURATI - Secondo altre notizie, nel frattempo, Un commando delle forze speciali britanniche, composto da otto militari, è stato catturato dalle forze ribelli libiche nell'est della Libia. Lo riporta il Sunday Times, precisando che i militari stavano scortando un diplomatico britannico che sperava di poter avviare contatti con i rivoltosi. Il governo non ha voluto confermare nè smentire la notizia. "Non rilasciamo commenti sulle forze speciali", è stato detto dal ministero della Difesa di Londra. LA MINACCIA ALL'EUROPA - Intanto Gheddafi si fa sentire attraverso un'intervista rilasciata al settimanale francese Le Journal du Dimanche: "Migliaia di persone provenienti dalla Libia invaderanno l'Europa, senza nessuno che sia in grado di fermarle", ha detto. "Se mi minacciano, se destabilizzano il Paese ci sarà il caos, avrete il problema dell'immigrazione", ha proseguito il rais, avvertendo che l'Europa "avrà Bin Laden alle porte, verrà a sistemarsi in Africa del Nord". Gheddafi ha infatti ribadito la tesi dei disordini manovrati da Al Qaida, senza alcun movente di riforma democratica: "Avrete il jihad davanti a voi, nel Mediterraneo, attaccherà la Sesta Flotta americana e ci saranno atti di pirateria qui, a cinquanta chilometri dalle vostre frontiere. Sarebbe una catastrofe mondiale e non permetterò che accada". Il Raìs ha infine affermato di aver appreso dai servizi segreti che "gli uomini di Al Qaida hanno già preso contatti con Dako Amirov, che guida il jihad in Russia: sappiamo che tali contatti esistono e che vi sono discussioni in corso perché vengano ad aiutarli qui in Libia". Redazione online 06 marzo 2011
"Noi siamo qui, l'Europa è qui, è meglio dunque che ce ne occupiamo noi" "Libia, gli Usa si diano una calmata" Maroni: "Vorremmo evitare che la Libia diventi davvero un nuovo Afghanistan" "Noi siamo qui, l'Europa è qui, è meglio dunque che ce ne occupiamo noi" "Libia, gli Usa si diano una calmata" Maroni: "Vorremmo evitare che la Libia diventi davvero un nuovo Afghanistan" Roberto Maroni (Ansa) Roberto Maroni (Ansa) MILANO - E' il primo sintomo di un possibile scollamento, tra linea politica del governo e quella dell'Occidente sulla crisi libica. "Vorremmo evitare che la Libia diventi davvero un nuovo Afghanistan, ma gli americani farebbero bene a darsi una calmata. Noi siamo qui, l'Europa è qui, è meglio dunque che ce ne occupiamo noi" ha detto il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, dal palco di una festa della Lega Nord a Bergamo. RISCHIO AFGHANISTAN - Maroni ha ricordato che "fino a qualche settimana fa in Europa dicevano che stavamo esagerando, ma anche gli Usa adesso dicono le nostre stesse cose", sul rischio di un nuovo Afghanistan nel Mediterraneo. Redazione online 06 marzo 2011
2011-03-03 E la Ue blocca i beni del colonnello e dei suoi famigliari Libia, Gheddafi bombarda Brega Nel mirino il terminal petrolifero della città "ribelle" che ieri aveva respinto le milizie governative * NOTIZIE CORRELATE * Sotto il fuoco dei caccia del regime. Battaglia nella città dell'oro nero di L. Cremonesi (3 marzo 2011) E la Ue blocca i beni del colonnello e dei suoi famigliari Libia, Gheddafi bombarda Brega Nel mirino il terminal petrolifero della città "ribelle" che ieri aveva respinto le milizie governative Esponenti anti-regime inneggiano alla rivolta con l'antica bandiera libica al posto di quella verde adottata da Gheddafi (Ansa) Esponenti anti-regime inneggiano alla rivolta con l'antica bandiera libica al posto di quella verde adottata da Gheddafi (Ansa) MILANO - Un aereo da guerra ha bombardato giovedì il terminal petrolifero di Brega, la città libica orientale dove ieri gli insorti hanno respinto un attacco aereo e di terra delle truppe fedeli di Gheddafi. Lo riferiscono testimoni. La notizia si è diffusa velocemente. I ribelli libici stanno facendo rotta in massa verso Brega per rafforzare le loro posizioni prima di un eventuale attacco delle truppe del rais. "Le forze di Gheddafi preparano un nuovo attacco", ha dichiarato Mahmoud al-Fakhri, uno degli insorti che ha lasciato Ajdabiya per recarsi a Brega. Secondo quanto riferito dalla stessa fonte, i dintorni della città sono stati fatti oggetto di nuovi raid aerei mercoledì sera. Negli scontri che hanno avuto luogo nelle ultime 24 ore, almeno dieci persone sono morte. Mercoledì sera, però, l'opposizione aveva fatto sapere di avere respinto l'offensiva dei militari fedeli a Gheddafi e di avere il pieno controllo della città. Tutto questo mentre le tre navi da guerra Usa che hanno attraversato mercoledì il Canale di Suez, sono ora a 50 miglia al largo della costa libica e circa 400 marines sono arrivati nella base americana di Souda Bay a Creta, pronti a imbarcarsi a bordo delle unità da guerra Kearsage e Ponce che dovrebbero attraccare sull'isola greca nelle prossime ore. Il sottosegretario al dipartimento di Stato Philip Gordon, che si è incontrato ad Atene con il ministro degli Esteri Dimitri Droutsas, ha escluso che sia in fase di preparazione un'operazione militare contro la Libia. Gordon ha detto che "stiamo semplicemente preparandoci a far fronte a tutte le eventualità". Un portavoce degli insorti ha riferito che un centinaio di combattenti fedeli al colonnello Muammar Gheddafi sono stati fatti prigionieri dall'opposizione armata a Brega. Il portavoce, che ha preferito non dare il proprio nome, ha parlato di "non meno di un centinaio" di prigionieri. Brega è il terminal petrolifero sulla costa orientale dove mercoledì gli insorti hanno respinto un attacco aereo e di terra delle truppe fedeli di Gheddafi. Nuovo attacco a Brega APERTURA INCHIESTA - Il procuratore della Corte penale internazionale, Luis Moreno-Ocampo, ha annunciato l'apertura di un'inchiesta per crimini contro l'umanità in Libia. Intanto è diventato operativo il blocco dei beni dei sei principali componenti della famiglia Gheddafi e di 20 stretti collaboratori del regime libico. Il regolamento Ue che dispone il congelamento di tutti i fondi e le risorse economiche di queste 26 persone è stato pubblicato oggi sulla Gazzetta Ufficiale dell'Ue ed è entrato immediatamente in vigore. GLI INTERVENTI DIPLOMATICI - Nel frattempo, però, non si interrompono i tentativi di una ricomposizione diplomatica della situazione. Gheddafi, secondo la tv araba Al Jazeera, si sarebbe detto favorevole al piano di pace proposto mercoledì dal presidente venezuelano, Hugo Chavez. Nel corso di un colloquio telefonico tra i due leader, Chavez ha proposto di creare una missione internazionale formata da Paesi amici per mediare tra i dirigenti libici e ribelli. Proposta che non piace allo schieramento anti-regime: "Respingiamo con forza la proposta di pace avanzata da Chavez" ha affermato l'ex ministro della Giustizia libico e attuale leader dell'opposizione, Mustafa Abdel Jalil, in un'intervista ad Al Jazeera. "Non accetteremo la proposta di mediazione dei venezuelani - ha affermato - perché vogliamo la caduta di Muammar Gheddafi e del suo regime". L'ex ministro ha quindi chiesto "alla comunità internazionale il riconoscimento del Consiglio nazionale fondato nei giorni scorsi a Bengasi come rappresentante della volontà del popolo libico. Siamo già in contatto con la Lega Araba e con le diplomazie di diversi Paesi per ottenere questo riconoscimento". Redazione online 03 marzo 2011
E la Ue blocca i beni del colonnello e dei suoi famigliari Libia, Gheddafi bombarda Brega Nel mirino il terminal petrolifero della città "ribelle" che ieri aveva respinto le milizie governative * NOTIZIE CORRELATE * Sotto il fuoco dei caccia del regime. Battaglia nella città dell'oro nero di L. Cremonesi (3 marzo 2011) E la Ue blocca i beni del colonnello e dei suoi famigliari Libia, Gheddafi bombarda Brega Nel mirino il terminal petrolifero della città "ribelle" che ieri aveva respinto le milizie governative Esponenti anti-regime inneggiano alla rivolta con l'antica bandiera libica al posto di quella verde adottata da Gheddafi (Ansa) Esponenti anti-regime inneggiano alla rivolta con l'antica bandiera libica al posto di quella verde adottata da Gheddafi (Ansa) MILANO - Un aereo da guerra ha bombardato giovedì il terminal petrolifero di Brega, la città libica orientale dove ieri gli insorti hanno respinto un attacco aereo e di terra delle truppe fedeli di Gheddafi. Lo riferiscono testimoni. La notizia si è diffusa velocemente. I ribelli libici stanno facendo rotta in massa verso Brega per rafforzare le loro posizioni prima di un eventuale attacco delle truppe del rais. "Le forze di Gheddafi preparano un nuovo attacco", ha dichiarato Mahmoud al-Fakhri, uno degli insorti che ha lasciato Ajdabiya per recarsi a Brega. Secondo quanto riferito dalla stessa fonte, i dintorni della città sono stati fatti oggetto di nuovi raid aerei mercoledì sera. Negli scontri che hanno avuto luogo nelle ultime 24 ore, almeno dieci persone sono morte. Mercoledì sera, però, l'opposizione aveva fatto sapere di avere respinto l'offensiva dei militari fedeli a Gheddafi e di avere il pieno controllo della città. Tutto questo mentre le tre navi da guerra Usa che hanno attraversato mercoledì il Canale di Suez, sono ora a 50 miglia al largo della costa libica e circa 400 marines sono arrivati nella base americana di Souda Bay a Creta, pronti a imbarcarsi a bordo delle unità da guerra Kearsage e Ponce che dovrebbero attraccare sull'isola greca nelle prossime ore. Il sottosegretario al dipartimento di Stato Philip Gordon, che si è incontrato ad Atene con il ministro degli Esteri Dimitri Droutsas, ha escluso che sia in fase di preparazione un'operazione militare contro la Libia. Gordon ha detto che "stiamo semplicemente preparandoci a far fronte a tutte le eventualità". Un portavoce degli insorti ha riferito che un centinaio di combattenti fedeli al colonnello Muammar Gheddafi sono stati fatti prigionieri dall'opposizione armata a Brega. Il portavoce, che ha preferito non dare il proprio nome, ha parlato di "non meno di un centinaio" di prigionieri. Brega è il terminal petrolifero sulla costa orientale dove mercoledì gli insorti hanno respinto un attacco aereo e di terra delle truppe fedeli di Gheddafi. Nuovo attacco a Brega APERTURA INCHIESTA - Il procuratore della Corte penale internazionale, Luis Moreno-Ocampo, ha annunciato l'apertura di un'inchiesta per crimini contro l'umanità in Libia. Intanto è diventato operativo il blocco dei beni dei sei principali componenti della famiglia Gheddafi e di 20 stretti collaboratori del regime libico. Il regolamento Ue che dispone il congelamento di tutti i fondi e le risorse economiche di queste 26 persone è stato pubblicato oggi sulla Gazzetta Ufficiale dell'Ue ed è entrato immediatamente in vigore. NAVE FAO COSTRETTA A RIENTRARE - Una nave carica di mille tonnellate di farina della Fao diretta alla volta della Libia è stata costretta a tornare indietro senza poter consegnare il carico perché nella zona di destinazione è stata ripetutamente colpita dai bombardamenti aerei dell'aeronautica fedele a Gheddafi. Lo ha reso noto la stessa Fao. GLI INTERVENTI DIPLOMATICI - Nel frattempo, però, non si interrompono i tentativi di una ricomposizione diplomatica della situazione. Gheddafi, secondo la tv araba Al Jazeera, si sarebbe detto favorevole al piano di pace proposto mercoledì dal presidente venezuelano, Hugo Chavez. Nel corso di un colloquio telefonico tra i due leader, Chavez ha proposto di creare una missione internazionale formata da Paesi amici per mediare tra i dirigenti libici e ribelli. Proposta che non piace allo schieramento anti-regime: "Respingiamo con forza la proposta di pace avanzata da Chavez" ha affermato l'ex ministro della Giustizia libico e attuale leader dell'opposizione, Mustafa Abdel Jalil, in un'intervista ad Al Jazeera. "Non accetteremo la proposta di mediazione dei venezuelani - ha affermato - perché vogliamo la caduta di Muammar Gheddafi e del suo regime". L'ex ministro ha quindi chiesto "alla comunità internazionale il riconoscimento del Consiglio nazionale fondato nei giorni scorsi a Bengasi come rappresentante della volontà del popolo libico. Siamo già in contatto con la Lega Araba e con le diplomazie di diversi Paesi per ottenere questo riconoscimento". Redazione online 03 marzo 2011
Gli insorti hanno un esercito ancora male armato e troppo poco strutturato La strategia di Gheddafi: resistere controllando i punti chiave del Paese Sirte è uno dei capisaldi della difesa del colonnello. Che punta anche a tenere il controllo di aeroporti e raffinerie Gli insorti hanno un esercito ancora male armato e troppo poco strutturato La strategia di Gheddafi: resistere controllando i punti chiave del Paese Sirte è uno dei capisaldi della difesa del colonnello. Che punta anche a tenere il controllo di aeroporti e raffinerie Un supporter del colonnello Gheddafi alza al cielo una sua fotografia (Ansa) Un supporter del colonnello Gheddafi alza al cielo una sua fotografia (Ansa) WASHINGTON – La chiave delle operazioni militari è per ora a Sirte. La città non si è ribellata perché è il vero feudo di Gheddafi e in questi anni ha ricevuto aiuti in quantità dal regime. Base di unità scelte, milizie e aerei, è un ostacolo ad un’eventuale avanzata dei ribelli su Tripoli, lontana 448 chilometri. Al tempo stesso Sirte rappresenta l’avamposto dal quale i lealisti partono – con percorsi a tappe - verso le zone liberate. Distanze peraltro non brevi: la località è distante 340 chilometri da Marsa Al Brega e 568 da Bengasi. I CAPISALDI DI GHEDDAFI - Il colonnello punta su una serie di capisaldi che gli consentano di resistere il più a lungo possibile. La base principale resta Tripoli, con il bunker di Bab Al Aziziya, poi c’è Sirte e a sud, nel Fezzan, Sebha. Quest’ultima permette l’eventuale afflusso di mercenari dal cuore dell’Africa – ma ci sono dubbi sulla reale consistenza – che sono poi distribuiti con gli aerei in altri settori. A ovest la situazione militare del regime sembrerebbe meno grave, anche se non è riuscito ad eliminare diverse "sacche" di insorti. Per Gheddafi è importante mantenere il controllo degli aeroporti per il trasferimento di reparti da una regione all’altra del paese. Così come quello degli impianti petroliferi che diventano una carta non secondaria nel rapporto di forze. Marsa Al Brega, teatro di duri scontri, ospita una delle più importanti raffinerie del paese, un terminale del gasdotto e la centrale elettrica che alimenta Bengasi, la "capitale" degli oppositori. UN ESERCITO DA COSTRUIRE - Gli avversari del colonnello – secondo gli osservatori – devono consolidare le loro posizioni. Servono tempo e mezzi adeguati per migliorare il loro "esercito" composto da volontari poco addestrati e disertori. Il solo fervore rivoluzionario non è sufficiente per piegare il dittatore. O meglio non basta se rimane confinato in Cirenaica. OBIETTIVO TRIPOLI - Gli oppositori devono riuscire a scatenare la ribellione nell’intera Tripoli, per ora contagiata parzialmente. L’altra condizione è che quanti difendono Gheddafi nella capitale decidano di cambiare campo. Troppe variabili: ecco perchè gli analisti statunitensi non fanno previsioni e temono che il conflitto possa riservare molte sorprese. Guido Olimpio 03 marzo 2011
L'INTERVENTO Il governo oggi lancia la missione in Tunisia, una nave per Bengasi La diplomazia discute le opzioni militari. L'America frena: "No fly zone lontana" * NOTIZIE CORRELATE * Altri tre barconi approdati a Lampedusa: nella notte 151 migranti provenienti dalla Tunisia (3 marzo 2011) L'INTERVENTO Il governo oggi lancia la missione in Tunisia, una nave per Bengasi La diplomazia discute le opzioni militari. L'America frena: "No fly zone lontana" La tendopoli a 10 chilometri dal confine allestita dalla mezza luna rossa tunisina e dal Unhcr (Ansa) La tendopoli a 10 chilometri dal confine allestita dalla mezza luna rossa tunisina e dal Unhcr (Ansa) ROMA - Il Consiglio dei ministri esamina oggi i termini della missione umanitaria per la Tunisia decisa in fretta, l'altra sera, da Silvio Berlusconi e alcuni titolari di ministeri. Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha informato che "appena le condizioni di sicurezza saranno idonee" partirà anche, fornita dalla Difesa, una nave italiana diretta a Bengasi, città libica in mano agli insorti con scarsità di cibo e medicine. Nel governo c'è chi, come il sottosegretario Alfredo Mantica, immagina che potrà chiamarsi "Villaggio Italia" il campo profughi da costruire al confine tunisino con la Libia e destinato ad assistere pure sfollati egiziani. Di certo, per questo progetto che il ministro dell'Interno Roberto Maroni, leghista, ha presentato come passo volto a prevenire flussi di stranieri in Italia non mancheranno scelte di immagine finalizzate a dar l'idea di un Paese impegnato in buone azioni. La scossa agli equilibri del Nord Africa portata dalle rivolte contro i regimi del tunisino Ben Ali, dell'egiziano Hosni Mubarak e adesso del libico Muammar el Gheddafi portano però all'ordine del giorno nei contatti tra Stati argomenti che sullo sfondo hanno l'impiego delle armi. In più, una, poco filantropica, partita finanziaria sugli effetti delle sanzioni al "Leader". Usa e Gran Bretagna hanno in parte corretto i toni rispetto a quando, indicando la presenza di "tutte le opzioni sul tavolo", Washington si è attratta diffidenze di Cina, Turchia e Paesi europei mediterranei dubbiosi sulle ripercussioni di impieghi della forza dettati dal fine di accelerare la caduta del Colonnello. Dittatore meno precario, fino a ieri, rispetto a quanto ritenuto una settimana fa. Gli Stati Uniti sono "ancora lontani" dal decidere un'interdizione dei voli di aerei del regime sulla Libia, ha precisato il segretario di Stato americano Hillary Clinton, la stessa che lunedì aveva segnalato tra i temi in discussione la creazione di una cosiddetta no fly zone (ufficialmente dettata dallo scopo di impedire bombardamenti sui ribelli, ma conta la preoccupazione per i pozzi di petrolio). "Nella Nato non c'è consenso per il ricorso alla forza", ha constatato il segretario alla Difesa Robert Gates. Le sue affermazioni ieri hanno ridotto le ipocrisie del dibattito pubblico dei giorni precedenti. "Chiamiamo le cose con il loro nome. Una no fly zone inizia con un attacco contro al Libia per distruggere le sue difese aeree. Soltanto dopo un attacco così sarebbe possibile far volare i nostri aeroplani sul Paese senza timori che i nostri uomini vengano abbattuti", ha ammesso Gates ascoltato nel Congresso. Mentre il governo Berlusconi cala la carta della missione umanitaria anche per cambiare il centro dell'attenzione, dopo essere stato l'ultimo tra gli alleati a condannare la repressione voluta dal Colonnello, uno dei più restii alla no fly zone e privo di fretta nel bloccare le partecipazioni libiche in società italiane, il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha ripetuto quasi per intero la tesi di Gates. "Non dico né sì né no, ma certo Gates ha ragione, è un'operazione militare", ha aggiunto La Russa. Poi, sulle forze di Gheddafi: "E se la contraerea interviene contro i nostri aerei che fai? Devi bombardare". Prospettiva "molto, molto discutibile" secondo Mantica, Pdl come La Russa. L'opzione militare, tuttavia, resta. Il Consiglio atlantico dovrebbe incaricare oggi in via formale i generali della Nato di studiare la fattibilità di varie opzioni oltre all'assistenza ai profughi. L'Adnkronos ha riferito che Frattini, nel comitato parlamentare sui servizi segreti, avrebbe espresso riserve su partecipazioni italiane a interventi militari in Libia, senza escluderne di Usa e Regno Unito con collaborazioni di Francia, Canada, Svezia, Polonia. "Disinformazione", ha smentito la Farnesina, mentre Maroni frenava sul congelare quote libiche in società italiane. Vero o falso, fosse anche soltanto per intimidire Gheddafi la questione è sul tappeto. Maurizio Caprara 03 marzo 2011
2011-03-02 Bombardata La città di Brega. lEGA LIBICA diritti umani: "dALL'INIZIO DELLA RIVOLTA 6mila morti" La controffensiva di Gheddafi Tuona in tv: "Costretto Italia a scusarsi" A Berlusconi: "La Libia sono io". Il Papa: "Preoccupato". L'Ue: "Se ne vada" * NOTIZIE CORRELATE * Lampedusa, maxi sbarco nella notte Missione italiana per i profughi (2 marzo 2011) * Scudo missilistico e caccia anni '80, Usa valutano le difese di Gheddafi (2 marzo 2011) * Clinton: "Potremmo processare Gheddafi per Lockerbie" (1 marzo 2011) Bombardata La città di Brega. lEGA LIBICA diritti umani: "dALL'INIZIO DELLA RIVOLTA 6mila morti" La controffensiva di Gheddafi Tuona in tv: "Costretto Italia a scusarsi" A Berlusconi: "La Libia sono io". Il Papa: "Preoccupato". L'Ue: "Se ne vada" (Ap) (Ap) ADJABIYA (LIBIA) - Muammar Gheddafi è tornato in tv in occasione del 34mo anniversario della fondazione della Jamahiria. "Dal 1977 ho dato il potere al popolo e da allora non ho più poteri nel paese né di tipo politico né di tipo amministrativo", afferma Gheddafi parlando ai suoi sostenitori a Tripoli. "Saluto e faccio gli auguri al popolo libico per questa ricorrenza - ha affermato - dal 3 marzo del 1977 abbiamo passato il potere al popolo e voglio ricordare al mondo che da allora ho dato il potere al popolo. Abbiamo vinto l'occupazione italiana e americana e il popolo gestisce il petrolio e i suoi proventi". Questa volta l'incontro tra Gheddafi ed i suoi sostenitori si tiene al chiuso. Il colonnello è seduto dietro ad una scrivania, circondato da guardie del corpo, e tiene un discorso per il 34esimo anniversario della nascita dei Comitati popolari. Si tratta del suo terzo discorso da quando è iniziata la rivoluzione in Libia. "Non ho un incarico dal quale dimettermi, come negli altri paesi - aggiunge -. Sono rimasto stupito quando ho visto le manifestazioni in mio sostegno in diverse zone del paese - ha aggiunto - perché il mio non è un posto di potere dal quale dimettersi". "Quello che sta succedendo è solo una provocazione da fuori, dall'estero, e che non ha nulla a che fare con i libici. Ci sono dei circoli esterni che stanno provocando tutto quello che sta succedendo, l'opposizione viene da fuori la Libia e se hanno deciso di attaccare il nostro simbolo siamo pronti a morire uno a uno per difendere il nostro Paese". Seduto e con voce tuonante il rais ha lanciato il suo ricatto al mondo: "Vogliono farci tornare schiavi come eravamo sotto gli italiani?", ha detto Gheddafi: "Non lo accetteremo mai, entreremo in una sanguinosa guerra e migliaia e migliaia di libici moriranno se Usa o Nato entreranno nel Paese". Gheddafi torna in tv: "Ho costretto l'Italia a inchinarsi" A BERLUSCONI: "LA LIBIA SONO IO" - Rivendicando il ruolo della sua "guida" politica e esaltando la "rivoluzione" libica Gheddafi parlando alla cerimonia a Tripoli ha aggiunto: "abbiamo costretto l'Italia a inchinarsi". L'Italia, ha detto Gheddafi, "è stata costretta a chiedere scusa per la sua occupazione militare" e a pagare per questo. Abbiamo costretto l'Italia ad ammettere i suoi errori ottenendo uno storico successo... E tutte le ex potenze coloniali sono rimaste scioccate". Precedentemente Gheddafi aveva ribadito che il popolo libico è "sfidato in tutto il mondo". Lo era prima, sottoposto alla minaccia coloniale, e lo è adesso, ma da quando è stata insediata la Jamaihiria, ha proseguito, il "popolo è libero". Il Colonnello si è poi rivolto direttamente a Berlusconi: "Ha detto che non controllo la Libia? Io gli rispondo che la famiglia Gheddafi è la Libia". Il ministro Frattini , commentando le ultime dichiarazioni sull'Italia del leader libico, sceglie di non replicare: "Non rispondo a Gheddafi, la retorica anti italiana è il segno della debolezza del regime". AL QAEDA - "Al Qaeda è entrata nelle prigioni, ha reclutato criminali condannati all'ergastolo e li ha armati - ha detto Gheddafi -. In Libia, non c'è un singolo prigioniero politico, per la semplice ragione che il potere è nella mani del popolo". Secondo il leader libico, cellule dormienti di Al Qaeda sono entrate in azione a Bedia quando è iniziata la rivolta "attaccando il locale battaglione e le stazioni di polizia". Cellule di Al Qaeda sono presenti, sempre secondo Gheddafi, anche a Zawia, Bengasi e Misurata. L'INCHIESTA - "Nel primo scontro (dall'esplodere della rivolta in Libia, ndr) ci sono stati dai 100 ai 150 morti e sono rimasto sorpreso perché siamo passati dopo poco tempo a mille morti. Ho chiesto infatti di aprire un'inchiesta per capire cosa sia successo" ha detto il colonnello. "Hanno attaccato le stazioni di polizia e hanno preso il controllo della zona con le armi", ha aggiunto. Gheddafi ha poi detto di aver chiesto "alla brigata presente ad al-Baydha di non attaccare i manifestanti". PETROLIO - Gheddafi ha detto anche che i giacimenti petroliferi in libia sono sicuri, ma che le compagnie straniere sono state spaventate dai banditi. "I giacimenti petroliferi sono al sicuro... ma le compagnie hanno paura", ha detto in un discorso, aggiungendo che quel che temono sono "i fuorilegge armati". Poi ha aggiunto: "Sostituiremo in Libia le compagnie petrolifere occidentali con quelle cinesi e indiane". BREGA - In precedenza il regime del Colonnello ha inviato più di 500 veicoli blindati a Brega per la riconquista della città. Un testimone oculare sostiene che l'aviazione libica ha bombardato la città, anche se le forze fedeli al regime sembra abbiano avuto la meglio sui rivoltosi che avevano solo delle armi leggere. Nell'aeroporto di Brega sono atterrati tre aerei militari libici carichi di soldati e veicoli blindati che si stanno dispiegando nei quartieri della città: secondo quanto riporta la rete satellitare Al Arabiya il bilancio delle vittime sarebbe di almeno 14 morti. Poi una forte esplosione si è udita vicino all'università di Marsa el Brega, ad ovest di Bengasi. Per al Jazira, il bilancio di questo attacco è di 4 morti e molti feriti. Alcuni testimoni hanno raccontato che l'esplosione è avvenuta vicino ad una zona dove i ribelli erano riusciti a bloccare un gruppo di truppe filo-governative. . Le truppe di Gheddafi hanno lanciato una grande controffensiva questa notte per la riconquistà della città ma al momento sembrerebbe che i rivoltosi abbiano la meglio. Brega si trova a una sessantina di chilometri da Adjabiya, il cui arsenale militare è stato attaccato di nuovo mercoledì mattina dall'aviazione militare di Gheddafi, senza conseguenze; proprio Adjabiya dovrebbe essere la prossima tappa della controffensiva delle forze del raìs, e l'opposizione sta preparandosi a difendere la città. Tutto questo mentre giunge notizia che l'ex ministro della giustizia Mustafa Mohamad Abdeljalil presiederà il "Consiglio nazionale" di 30 membri istituito dagli oppositori che controllano la Libia orientale. USA E CINA - Se l'intervento internazionale sulla Libia non sarà valutato con estrema cautela, "c'è il rischio che la Libia sprofondi nel caos e si trasformi in una gigantesca Somalia" ha detto il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, che ha poi aggiunto come gli Usa siano ancora lontani da qualsiasi decisione sulla "No Fly Zone". Sull'argomento è intervenuta anche la Cina: la soluzione alla crisi libica deve essere ottenuta "solo attraverso mezzi pacifici" ha detto il rappresentante permanente di Pechino all'Onu, Li Baodong, presidente di turno del Consiglio di Sicurezza a marzo, escludendo quindi l'ipotesi di una no-fly zone. BARROSO - "È tempo che Gheddafi se ne vada" ha detto il presidente della Commissione europea Josè Manuel Barroso osservando che "le azioni assolutamente inaccettabili compiute dal regime libico nelle ultime settimane hanno ormai fatto capire che Gheddafi è parte del problema, non della soluzione". Ed è quindi "tempo che se ne vada". La situazione in Libia, soprattutto per la forte pressione di profughi alle frontiere è "una tragedia umanitaria": per questo la Commissione ha deciso di aumentare il contributo per gli aiuti umanitari dai 3 milioni stanziati nei giorni scorsi a 10 milioni. IL PAPA - Il Papa "ha espresso la sua preoccupazione per la gente innocente intrappolata in questa terribile tragedia" in Libia. Lo ha riferito Josette Fheeran, direttore esecutivo del programma alimentate mondiale delle Nazioni Unite, ricevuta in udienza privata oggi da Benedetto XVI. LEGA ARABA - La situazione in Libia è "tragica" ha detto il segretario generale della Lega araba Amr Mussa, davanti ai ministri degli Esteri arabi. "Non la dobbiamo accettare e dobbiamo sostenere il popolo libico che sta soffrendo molto nel suo cammino verso la libertà". Fra le opzioni per garantire la sicurezza del popolo libico c'è anche quella di imporre una no fly zone di concerto fra la Lega araba e l'Unione Africana (Ua). Lo si legge nella risoluzione finale della riunione dei ministri degli Esteri dell'organismo panarabo. LEGA LIBICA PER DIRITTI UMANI: "6MILA MORTI" - Intanto un esponente della Lega libica per i diritti umani citato dalla tv satellitare "al-Arabiya" ha annunciato un nuovo bilancio complessivo delle vittime. "Si contano 6mila morti dall'inizio della rivolta contro il regime di Muammar Gheddafi" TRIBUNALE PENALE INTERNAZIONALE - La procura del Tribunale Penale Internazionale ha deciso: è stata aperta un'inchiesta formale sulla Libia, per verificare se, per reprimere l'insurrezione scoppiata dopo il 15 febbraio, siano stati commessi crimini contro l'umanità. Redazione online 02 marzo 2011
il ministro dell'interno: da noi potrebbero arrivare 200mila immigrati clandestini Profughi, maxi sbarco a Lampedusa Maroni: rischio emergenza arrivi Sull'isola approdano 347 tunisini. Con loro anche due membri di una troupe tv tedesca il ministro dell'interno: da noi potrebbero arrivare 200mila immigrati clandestini Profughi, maxi sbarco a Lampedusa Maroni: rischio emergenza arrivi Sull'isola approdano 347 tunisini. Con loro anche due membri di una troupe tv tedesca Migranti sbarcati a Lampedusa Migranti sbarcati a Lampedusa MILANO - La crisi libica preoccupa il governo italiano che si prepara ad una vera e propria emergenza arrivi sulle nostre coste. "Stimiamo che in Libia ci siano circa 1,5 milioni di clandestini, entrati dai confini a sud, dal deserto. Mi aspetto che non appena la situazione lo consentirà questi riprenderanno la direzione nord verso l'Europa: sarebbe lo scenario peggiore possibile, che prevede movimenti di forse 200.000 persone in fuga" spiega il ministro dell'Interno Roberto Maroni, riferendo alle Commissioni riunite Affari costituzionali e Affari esteri della Camera sui recenti sviluppi della situazione nel Mediterraneo. "Noi ci stiamo preparando a subire il rischio di un impatto senza precedenti sulle nostre coste". " Proprio per questo - ha aggiunto Maroni - l'Italia organizzerà da subito una missione umanitaria in Tunisia per portare viveri e assistenza umanitaria, realizzando lì un campo profughi per consentire alle persone che scappano dalla Libia o dalla Tunisia di sopravvivere in maniera decente per i prossimi giorni, fino a un'altra soluzione". "Il trattato di amicizia siglato da Italia e Libia è stato approvato con una legge e non so chi è in grado di revocarlo: forse il parlamento o il presidente della Repubblica devono intervenire" ha poi aggiunto Maroni. Lo sbarco di Domenico Affinito (Rcd) MAXI SBARCO A LAMPEDUSA - Maxi sbarco intanto in nottata a Lampedusa. Dopo una pausa durata una settimana, un barcone con 347 migranti, tra cui quattro donne, è approdato intorno alle 2.30 di notte nel porto dell'isola scortato dalle motovedette della Guardia Costiera. I SOCCORSI - L'imbarcazione, lunga una quindicina di metri, era stata avvistata mentre era ancora in acque territoriali tunisine. Un altro sbarco si è registrato invece direttamente terra a Linosa, la più piccola delle isole Pelagie, dove i carabinieri hanno bloccato 22 extracomunitari. Era dal 23 febbraio scorso che non si registravano nuovi arrivi di immigrati, anche a causa delle cattive condizioni del mare che avevano scoraggiato la partenza di barconi dalle coste nordafricane. Gli ultimi arrivati si aggiungono ai circa 210 immigrati ospitati nel centro di accoglienza di Lampedusa. TROUPE TEDESCA - C'erano anche due giornalisti di una televisione tedesca sul barcone approdato in nottata a Lampedusa con 347 migranti. La troupe ha documentato, con una telecamera digitale, la traversata dalle coste tunisine. I due reporter sono stati fermati dalle forze dell'ordine e, dopo un controllo dei documenti, sono stati rilasciati. INDAGATI I CLANDESTINI - Nel frattempo, la procura di Agrigento ha iscritto nel registro degli indagati oltre seimila persone per immigrazione clandestina. Si tratta di tutti gli immigrati, per lo più tunisini, approdati a Lampedusa per fuggire alla crisi che sta attraversando tutto il nord Africa. "Siamo costretti a iscrivere tutti nel registro degli indagati", ha confermato il procuratore capo di Agrigento Renato Di Natale, precisando che la procedura è la stessa seguita, ormai da anni, per tutti gli sbarchi di migranti. L'iscrizione nel registro degli indagati di tutti gli immigrati è dovuta al fatto che "al momento in cui arrivano in Italia non hanno alcuno status di rifugiato politico. Quando e se lo avranno - conclude Di Natale - ci sarà il non luogo a procedere". SINDACO INDAGATO - La Procura di Agrigento ha anche iscritto nel registro degli indagati il sindaco di Lampedusa, Bernardino De Rubeis, per l'ipotesi di reato di istigazione all'odio razziale e abuso di autorità. L'inchiesta è stata aperta dopo l'ordinanza emessa dal primo cittadino per evitare "l'accattonaggio e comportamenti non decorosi" e impone il divieto di utilizzare i luoghi pubblici "come siti di bivacco e deiezione". L'ordinanza è stata fatta dopo le proteste dei lampedusani sul comportamento dei migranti ospitati nel Cie di Lampedusa che sono liberi di girare per le strade del centro abitato. Nel 2009, De Rubeis venne processato dal giudice monocratico di Agrigento, per diffusione di idee che incitano alla superiorità razziale perché in un'intervista pubblicata il 5 settembre 2008 da un quotidiano era scritto che lui aveva affermato: "Non voglio essere razzista, ma la carne dei negri puzza anche quando è lavata". Il sindaco venne assolto perchè il fatto non sussiste. Non è stato dimostrato che il sindaco in effetti pronunciò quella frase. LIBIA, FOLLA SI ACCALCA A CONFINE - Critica la situazione anche in Libia, dove una folla che si estende "per chilometri e chilometri" si accalca alla frontiera con la Tunisia. Lo ha dichiarato il portavoce dell'Unhcr che lancia un nuovo appello affinchè "siano noleggiati centinaia di aerei" per evacuare tutte queste persone. Redazione online 02 marzo 2011
Per dare assistenza a 10mila profughi libici Profughi dalla Libia verso la Tunisia sì alla missione umanitaria italiana Telefonata di Berlusconi con il premier inglese David Cameron perché anche altri paesi partecipino * NOTIZIE CORRELATE * Clinton: "Potremmo processare Gheddafi per l'attentato a Lockerbie" (1 marzo 2011) Per dare assistenza a 10mila profughi libici Profughi dalla Libia verso la Tunisia sì alla missione umanitaria italiana Telefonata di Berlusconi con il premier inglese David Cameron perché anche altri paesi partecipino Silvio Berlusconi e il ministro degli Esteri Franco Frattini, durante la riunione di Governo a Palazzo Chigi (Ansa) Silvio Berlusconi e il ministro degli Esteri Franco Frattini, durante la riunione di Governo a Palazzo Chigi (Ansa) MILANO - Una missione umanitaria italiana in Tunisia per dare assistenza ai profughi in loco, visto che ai confini arrivano tutte le persone in fuga dalla Libia. La stima è che la missione darà assistenza a 10mila profughi. È quanto è stato deciso secondo quanto si apprende da fonti presenti alla riunione, nel corso del vertice sulla situazione in Libia e nel Nord Africa di martedì sera a Palazzo Chigi. LA TELEFONATA - Nel corso del vertice, secondo quanto raccontano fonti presenti alla riunione, Berlusconi si è assentato per un colloquio telefonico con il premier inglese David Cameron informandolo della decisione appena presa dalla riunione e cioè di inviare una missione umanitaria in Tunisia. L'auspicio è che anche gli altri paesi possano adottare le stesse decisioni. MARONI - La missione umanitaria italiana "partirà subito, entro 48 ore", ha detto il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, parlando a Ballarò. Maroni ha spiegato così i contorni della missione umanitaria decisa stasera dal vertice di governo a palazzo Chigi. La missione, ha spiegato il titolare del Viminale, "è di emergenza, di carattere umanitario, che dà sollievo e tiene in territorio tunisino, d'intesa con le autorità tunisine, i profughi. Spero che poi segua l'intervento di altri paesi europei". Stasera, ha continuato a spiegare Maroni, si è assunta la decisione politica, domani mattina, invece ci sarà "una riunione tecnica" per mettere a punto l'intervento di assistenza umanitaria e sanitaria, per fare in territorio tunisino "un campo profughi". UNHCR - Intanto l'Alto Commissariato Onu per i rifugiati e le migrazioni (Unhcr) in una nota ha lanciato un "appello urgente ai governi in vista di una evacuazione umanitaria massiccia di decine di migliaia di egiziani e di gente di altre nazionalità in fuga dalla Libia" e che si accalcano sulla frontiera con la Tunisia. Rebazione online 01 marzo 2011
Washington non vorrebbe esercitare interferenze nella rivolta popolare in libia E gli Usa valutano la consistenza dello scudo missilistico di Gheddafi Le forze antiaeree del Colonnello consisterebbero in apparati di fabbricazione sovietica degli anni '80 Washington non vorrebbe esercitare interferenze nella rivolta popolare in libia E gli Usa valutano la consistenza dello scudo missilistico di Gheddafi Le forze antiaeree del Colonnello consisterebbero in apparati di fabbricazione sovietica degli anni '80 Il sistema di difesa antiaerea a Tripoli (Google) Il sistema di difesa antiaerea a Tripoli (Google) WASHINGTON (USA) – Il Pentagono muove le navi ma è molto cauto sulla possibilità di intervenire. E il generale James Mattis, responsabile del Comando Centrale, ha avvertito che l’eventuale imposizione della no fly zone sulla Libia potrebbe essere complessa. In realtà il freno è più politico che militare. INCERTEZZE - Washington non vorrebbe esercitare interferenze nella rivolta popolare, anche se dagli avversari di Gheddafi arrivano richieste d’aiuto. Gli osservatori statunitensi, da parte loro, suggeriscono che per creare la zona di interdizione potrebbe essere necessario eliminare radar e missili. A meno che Gheddafi non decida di lasciarli inattivi. Sean O’Connor, esperto di apparati anti-aerei, in un rapporto redatto nel 2010 ha rilevato che la Libia dispone, sulla carta, di un robusto ombrello - radar e missili - che copre i centri costieri (vedi le cartine) e le basi aeree. Il cuore sarebbe costituito da 31 siti dotati di ordigni a lungo raggio (come i Sa 2 e i Sa 5), più dozzine di sistemi mobili, in maggioranza di concezione sovietica. Resta da capire quanti siano in grado di funzionare. E comunque si tratta di apparati non certo moderni (sono stati forniti negli anni ’70 e ’80) che soffrono le contromisure elettroniche dei caccia Nato. Quanto agli aerei l’aviazione libica ne conta quasi 200: Mirage F1 francesi, Mig 23 e 25, Sukhoi 22 russi. Ma, come per i missili, ci sono forti dubbi sul reale stato operativo e sul numero di piloti pronti all’azione. Alcuni caccia sono stati usati in questi giorni per colpire le posizioni nemiche insieme agli elicotteri d’attacco. Due piloti sono fuggiti a Malta con i loro Mirage, altri due si sono rifiutati di obbedire agli ordini e si sono lanciati con il paracadute. Il caccia si è disintegrato al suolo. Guido Olimpio
2011-01-03 Per dare assistenza a 10mila profughi libici Profughi dalla Libia verso la Tunisia sì alla missione umanitaria italiana Telefonata di Berlusconi con il premier inglese David Cameron perché anche altri paesi partecipino * NOTIZIE CORRELATE * Clinton: "Potremmo processare Gheddafi per l'attentato a Lockerbie" (1 marzo 2011) Per dare assistenza a 10mila profughi libici Profughi dalla Libia verso la Tunisia sì alla missione umanitaria italiana Telefonata di Berlusconi con il premier inglese David Cameron perché anche altri paesi partecipino Silvio Berlusconi e il ministro degli Esteri Franco Frattini, durante la riunione di Governo a Palazzo Chigi (Ansa) Silvio Berlusconi e il ministro degli Esteri Franco Frattini, durante la riunione di Governo a Palazzo Chigi (Ansa) MILANO - Una missione umanitaria italiana in Tunisia per dare assistenza ai profughi in loco, visto che ai confini arrivano tutte le persone in fuga dalla Libia. La stima è che la missione darà assistenza a 10mila profughi. È quanto è stato deciso secondo quanto si apprende da fonti presenti alla riunione, nel corso del vertice sulla situazione in Libia e nel Nord Africa di martedì sera a Palazzo Chigi. LA TELEFONATA - Nel corso del vertice, secondo quanto raccontano fonti presenti alla riunione, Berlusconi si è assentato per un colloquio telefonico con il premier inglese David Cameron informandolo della decisione appena presa dalla riunione e cioè di inviare una missione umanitaria in Tunisia. L'auspicio è che anche gli altri paesi possano adottare le stesse decisioni. MARONI - La missione umanitaria italiana "partirà subito, entro 48 ore", ha detto il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, parlando a Ballarò. Maroni ha spiegato così i contorni della missione umanitaria decisa stasera dal vertice di governo a palazzo Chigi. La missione, ha spiegato il titolare del Viminale, "è di emergenza, di carattere umanitario, che dà sollievo e tiene in territorio tunisino, d'intesa con le autorità tunisine, i profughi. Spero che poi segua l'intervento di altri paesi europei". Stasera, ha continuato a spiegare Maroni, si è assunta la decisione politica, domani mattina, invece ci sarà "una riunione tecnica" per mettere a punto l'intervento di assistenza umanitaria e sanitaria, per fare in territorio tunisino "un campo profughi". UNHCR - Intanto l'Alto Commissariato Onu per i rifugiati e le migrazioni (Unhcr) in una nota ha lanciato un "appello urgente ai governi in vista di una evacuazione umanitaria massiccia di decine di migliaia di egiziani e di gente di altre nazionalità in fuga dalla Libia" e che si accalcano sulla frontiera con la Tunisia. Rebazione online 01 marzo 2011
2011-02-28 Il rais nomina un "negoziatore" per i ribelli: è il capo dell'intelligence Usa: "Gheddafi può andare in esilio" Il raìs: "Non lascerò mai la Libia" Il portavoce del governo: "Se gli imperialisti attaccano, ci saranno migliaia di morti". L'Ue approva le sanzioni * NOTIZIE CORRELATE * Tra i ribelli alle porte di Tripoli, di F. Caccia (28 febbraio 2011) Il rais nomina un "negoziatore" per i ribelli: è il capo dell'intelligence Usa: "Gheddafi può andare in esilio" Il raìs: "Non lascerò mai la Libia" Il portavoce del governo: "Se gli imperialisti attaccano, ci saranno migliaia di morti". L'Ue approva le sanzioni Murales anti-Gheddafi a Bengasi (Reuters) Murales anti-Gheddafi a Bengasi (Reuters) MILANO - L'esilio per Gheddafi "è una possibilità". L'apertura è della Casa Bianca. Il portavoce, Jay Carney, ha detto che "tutte le opzioni restano sul tavolo, compreso l'esilio". In questa ipotesi non si capisce però come ciò possa collegarsi con l'inchiesta sulle violenze in Libia, che potrebbe essere aperta dalla Corte penale internazionale (Cpi) entro pochi giorni, come ha dichiarato il procuratore della Cpi, Luis Moreno-Ocampo. Inoltre l'Ue ha deciso di adottare sanzioni contro Gheddafi e il commissario Ue all'energia, Gunther Oettinger, ha riferito che Gheddafi non controlla più i principali campi petroliferi del Paese. Il Pentagono ha spostato vicino alla Libia la portaelicotteri d'assalto Kearsage con a bordo un contingente di oltre 1.800 marines. La nave trasporta cinque caccia bombardieri a decollo verticale Harrier, 42 elicotteri CH-46 Sea Knight e sei SH-60F Seahawk. GHEDDAFI: "NON LASCERO' MAI LA LIBIA" - Il leader libico Muammar Gheddafi è tornato a parlare, questa volta non più in pubblico ma con intervista a Abc, Bbc e Sunday Times e di fatto risponde all'ipotesi dell'esilio: ha escluso di poter accettare l'offerta di un salvacondotto e l'esilio come via d'uscita alla crisi. Il Colonnello ha chiarito che non intende "lasciare il proprio paese. Tutto il popolo mi ama e morirebbe per proteggermi". Ha poi detto di essersi sentito tradito da alcuni paesi occidentali con i quali aveva costruito relazioni negli ultimi anni e li ha accusati di aver tentato di colonizzare la Libia. Il raìs ha poi aggiunto che "forse gli Usa vogliono occuparci". Nell'intervista il leader libico ha poi aggiunto di non aver mai ordinato di sparare sui manifestanti. Gheddafi ha negato anche di voler usare armi chimiche una volta messo alle strette: "sono armi terribili, non vedo come uno possa usarle contro i nemici, figuriamoci contro il proprio popolo", ha risposto il rais libico. Gheddafi ha poi invitato l'Onu e altre organizzazioni internazionali ad organizzare una missione in Libia. NO-FLY ZONE - Intanto Londra sta lavorando insieme ai propri alleati per stabilire una no-fly zone sopra la Libia, ha riferito il premier britannico David Cameron, aggiungendo di non escludere "assolutamente" l'uso di forze militari. Il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, avverte: "Serve una decisione del Consiglio di sicurezza dell'Onu che tenga conto delle implicazioni e delle conseguenze. Tutti i ministri che ho incontrato dicono che bisogna andare avanti sulla discussione sulle conseguenze di una no-fly zone. Credo che bisogna tornare a discuterne in termini pratici". Frattini ha anche precisato che "non prendiamo neanche in considerazione l'ipotesi di offrire rifugio a Gheddafi". In serata l'ambasciatrice Usa all'Onu Susan Rice ha detto che "è decisamente prematuro parlare di azioni militari mentre stiamo considerando attivamente e seriamente l'ipotesi di una no-fly zone". MISURATA - A Misurata si continua a combattere: le forze fedeli a Gheddafi hanno attaccato la città di Misurata controllata dall'opposizione ed hanno ucciso almeno due persone. Lo riferiscono testimoni citati dall'agenzia France Presse. Secondo i ribelli gran pare della città è ora comunque sotto il loro controllo. Un velivolo (secondo alcune fonti un elicottero, secondo altre un aereo) ha sparato lunedì sulla sede di Radio Misurata. Lo riferisce Al Arabiya. Testimoni hanno detto che il velivolo sarebbe stato abbattuto e l'equipaggio catturato. Inoltre un centinaio di cadetti dell'accademia militare di Misurata si sarebbero ribellati agli ordini dei superiori fedeli a Gheddafi. Gli allievi sarebbero poi stati trasferiti a Tripoli, sostengono i siti internet dell'opposizione. COLPITI DEPOSITI DI MUNIZIONI - Jet fedeli a Gheddafi avrebbero colpito depositi di munizioni ad Adjabiya e Rajma, nell'est della Libia. Secondo testimonianze, il bombardamento di Adjabiya avrebbe prodotto solo danni lievi e nessuna vittima. Il Colonnello in serata ha confermato il bombardamento di alcuni siti militari e depositi di armi. TRIPOLI - Intanto gli oppositori, dopo aver formato un Consiglio nazionale a Bengasi, stanno iniziando a muoversi verso ovest per unirsi alle forze contrarie a Gheddafi nei pressi di Tripoli e lanciare l'assalto finale alla capitale. A Tajura, alla periferia est di Tripoli, lunedì pomeriggio circa 400 persone hanno inscenato una manifestazione anti-Gheddafi che le forze di sicurezza hanno tentato di disperdere sparando colpi in aria. Lo riferisce l'inviato dell'emittente Bbc, aggiungendo che i manifestanti gridavano slogan come "il sangue dei martiri non è stato versato invano". Negli ospedali di al-Marj, in Cirenaica, sono stati ricoverati dodici feriti "aggregiti da bande armate che circolano nella città", secondo quanto riferisce la tv di Stato. SANZIONI UE - L'Ue ha adottato con una decisione unanime del Consiglio un pacchetto di sanzioni contro il regime di Gheddafi che vanno oltre quelle già varate dall'Onu. La scelta comprende l'embargo sulle armi e il divieto di viaggiare nell'Unione. I 27 della Ue hanno anche detto che congeleranno i beni di Gheddafi, della sua famiglia e del governo, mentre è vietata la vendita di prodotti come gas lacrimogeni ed equipaggiamento anti-sommossa, hanno riferito fonti diplomatiche. L'embargo dovrebbe entrare in vigore nei prossimi giorni. L'Ue sta pensando di convocare anche un vertice straordinario "nel fine settimana" sulla crisi libica, come richiesto dal presidente francese Nicolas Sarkozy. Lo ha riferito una fonte diplomatica all'Afp. "IMPERIALISTI" - "Se gli imperialisti occidentali ci attaccano, ci saranno migliaia di morti", ha detto Ibrahim Moussa, portavoce del governo libico. "L'occidente vuole il nostro petrolio, Al Qaeda vuole una base sul Mediterraneo per minacciare l'Europa", ha aggiunto. "Abbiamo catturato centinaia di terroristi islamici, anche legati ad Al Qaeda. Li stiamo interrogando e, se sarà possibile, ve li faremo incontrare in carcere", ha detto rivolto ai giornalisti occidentali. Secondo Debka, sito vicino ai servizi segreti israeliani, centinaia di consiglieri militari statunitensi, britannici e francesi sarebbero già in Cirenaica per collaborare con gli insorti contro il regime di Gheddafi. Posto di blocco a Tripoli delle truppe gheddafiane (Reuters) Posto di blocco a Tripoli delle truppe gheddafiane (Reuters) ACCORDO - Un accordo tra tribù di Zawiya, a ovest di Tripoli e teatro di una sollevazione anti-regime, e forze fedeli a Gheddafi sarebbe stato raggiunto per evitare che la rivolta si allarghi ad altre regioni occidentali e che, al tempo stesso, le forze di sicurezza lealiste attacchino i ribelli asserragliati nel centro cittadino. Lo riporta un "reportage esclusivo" di Al Arabiya. "La città è circondata dalle falangi di Gheddafi", ha detto il corrispondente dell'emittente naraba. "Grazie a un accordo tra le tribù di Zawiya, le forze di sicurezza lealiste non attaccano la città ma i rivoltosi non tentano sortite fuori dal perimetro urbano". Secondo Al Jazeera, Gheddafi avrebbe incaricato l'ex capo dei servizi segreti libici all'estero, Bouzid Durda, di avviare una trattativa con i rivoltosi della Cirenaica. Ma fonti governative smentiscono: "Un emissario partirà per portare medicine, cibo e attrezzature sanitarie alla popolazione di Bengasi". RIFUGIATI - L’Alto commissario Onu per i rifugiati, António Guterres, esprime preoccupazione per le decine di migliaia di rifugiati e altri cittadini stranieri che potrebbero essere intrappolati in Libia. "Non ci sono gli aerei e le navi necessarie per evacuare le persone provenienti da paesi poveri o devastati dai conflitti", ha detto Guterres. Le organizzazioni per i diritti umani lanciano l'allarme sulle sorte di migliaia di africani sub-sahariani presenti in Libia, presi di mira dai rivoltosi perché sospettati di essere mercenari al soldo di Gheddafi. Secondo il racconto di alcuni testimoni, raccolto da Al Jazeera, decine di lavoratori africani potrebbero essere stati uccisi, mentre in centinaia si nascondono per non cadere vittime della caccia "ai mercenari neri africani". Redazione online 28 febbraio 2011
Nelle ultime 48 ora ha dato segni di vitalità La strategia di Gheddafi Il Colonnello punta a congelare la situazione sul campo: io tengo Tripoli, voi l’Est, poi vediamo Nelle ultime 48 ora ha dato segni di vitalità La strategia di Gheddafi Il Colonnello punta a congelare la situazione sul campo: io tengo Tripoli, voi l’Est, poi vediamo WASHINGTON – La comunità internazionale vuole accentuare la pressione su Tripoli per impedire che Muammar Gheddafi riacquisti fiducia e punti a resistere ad oltranza. Nelle ultime 48 ore il colonnello ha però dato segnali di vitalità pur in una situazione difficile. Manovra, ordina, dispone per smentire chi lo dipinge ormai "perduto". E punta a congelare la situazione sul campo: io tengo Tripoli, voi l’Est, poi vediamo. I RAID – Dopo giorni passati a difendersi il colonnello ha lanciato qualche piccolo contrattacco. Ha fatto decollare caccia ed elicotteri per colpire i depositi di munizioni caduti nelle mani dei ribelli. Ecco perché diventa vitale l’imposizione di una no-fly zone. Le incursioni, anche se limitate, possono compromettere i movimenti degli insorti. Bengasi vorrebbe aiutare i contestatori di Tripoli, ma la capitale è troppo lontana (quasi 900 chilometri) e fino ad oggi sarebbe riuscita a mandare solo poche centinaia di elementi. COMANDO – Fonti dell’opposizione citate dalla tv Al Arabya sostengono che Gheddafi ha rimescolato le carte del suo comando. Le Brigate speciali sono state affidate a Mansur Al Qahasi che avrebbe preso il posto di Abdullah Al Senussi, accusato di non essere riuscito a difendere Bengasi. Il figlio del dittatore, Khamis, guida invece la difesa attorno a Tripoli. E’ sempre in mano lealista l’importante base di Sirte. Il regime può contare su circa 10 mila uomini. Restano incerta la posizioni di alcuni generali che probabilmente si sono chiusi nelle caserme in attesa di sviluppi. NEGOZIATO – E’ probabilmente una mossa disperata che, tuttavia, segnala la volontà del dittatore di prendere l’iniziativa. Il regime ha annunciato il capo dello spionaggio esterno, Bouzid Durda, deve condurre negoziati con i ribelli di Bengasi. Dialogo che l’opposizione non è disposta ad accettare. Guido Olimpio 28 febbraio 2011
l'attentato, avvenuto a shindand, nell'ovest del paese, rivendicato dai talebani Afghanistan: ucciso ufficiale italiano La vittima è il tenente Massimo Ranzani Esplode una bomba che colpisce un blindato Lince, feriti gravemente altri 4 soldati del quinto reggimento alpini * NOTIZIE CORRELATE * Afghanistan: ferito militare italiano (26 febbraio 2011) * Sono 37 i caduti italiani in Afghanistan l'attentato, avvenuto a shindand, nell'ovest del paese, rivendicato dai talebani Afghanistan: ucciso ufficiale italiano La vittima è il tenente Massimo Ranzani Esplode una bomba che colpisce un blindato Lince, feriti gravemente altri 4 soldati del quinto reggimento alpini Il tenente Massimo Ranzani (LaPresse) Il tenente Massimo Ranzani (LaPresse) MILANO - Ancora un altro militare morto in Afghanistan. Il tenente Massimo Ranzani, 37 anni, originario di Ferrara, appartenente al quinto reggimento alpini di stanza a Vipiteno, è morto e altri quattro soldati sono rimasti feriti gravemente nell'ovest dell'Afghanistan a seguito dell'esplosione di una bomba. I 4 feriti non sono in pericolo di vita. I talebani hanno rivendicato l'attacco. In un comunicato di due righe pubblicato sulla loro pagina web gli insorti hanno reso noto che "una mina terrestre collocata da un mujaheddin nell'area di Company del distretto di Adar Sang ha sventrato un automezzo in pattugliamento dell'Isaf", la Forza internazionale di assistenza alla sicurezza sotto comando Nato. Il tenente Ranzani Il tenente Ranzani Il tenente Ranzani Il tenente Ranzani Il tenente Ranzani Il tenente Ranzani Il tenente Ranzani Il tenente Ranzani L'ATTENTATO - Un ordigno improvvisato ha colpito un veicolo blindato Lince del quinto reggimento alpini nei pressi di Shindand, nell'ovest dell'Afghanistan. A bordo del veicolo c'era una pattuglia di rientro da un'operazione di assistenza medica alla popolazione locale. I militari sono stati evacuati presso l'ospedale militare (Role 2) della base "Shaft" di Shindand, sede del comando della Task Force Center". L'utilizzo degli ordigni improvvisati, nonostante gli importanti progressi svolti dagli uomini della missione Nato per contrastarne la minaccia, rappresenta una delle modalità di azione tra quelle utilizzate dagli "insurgent" e, nel 30% dei casi, colpisce vittime civili. La 37esima vittima italiana NAPOLITANO - Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, appresa con "profonda commozione la notizia del gravissimo attentato perpetrato a Shindand, in Afghanistan, contro il contingente italiano impegnato nella missione internazionale Isaf" ha espresso i suoi "sentimenti di solidale partecipazione al dolore dei famigliari del caduto e un affettuoso augurio ai militari feriti". BERLUSCONI - "È un tormento, un calvario e tutte le volte ci si chiede se questo sacrificio che impegna il parlamento con voto unanime e tutto il popolo italiano ad essere lì in un paese ancora medioevale sia uno sforzo che andrà in porto" ha detto invece il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Il premier ha quindi precisato: "dobbiamo andare avanti". LA RUSSA - Il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha spiegato che il blindato stava effettuando un trasferimento insieme ad altri mezzi e a un'ambulanza e si trovava a 25 chilometri a nord di Shindand, nella zona ovest del paese. "Il mezzo era dotato di un sistema dissuasore elettronico - ha spiegato il ministro - che impedisce l'accensione dell'ordigno a distanza. Ma evidentemente è stato azionato a mano o con una frequenza non coperta. Ancora una volta i nostri ragazzi pagano un tributo altissimo di sangue al loro impegno per liberare l'Afghanistan e consegnarlo alle legittime autorità. Pagano un prezzo tremendo alla volontà della comunità internazionale di contrastare con ogni mezzo il terrorismo per consentire alle nostre nazioni di essere più serene e tranquille". LA VITTIMA - Massimo Ranzani abitava a Santa Maria Maddalena, nel comune di Occhiobello in provincia di Rovigo, dove aveva la residenza con i genitori, il papà Mario di 62 anni e la mamma Ione di 58. Redazione Online 28 febbraio 2011
l'attentato a shindand, nell'ovest del paese Afghanistan: ucciso ufficiale italiano La vittima è il tenente Massimo Ranzani Esplode una bomba che colpisce un blindato Lince, feriti anche altri 4 soldati tutti del quinto reggimento alpini * NOTIZIE CORRELATE * Afghanistan: ferito militare italiano (26 febbraio 2011) * Sono 37 i caduti italiani in Afghanistan l'attentato a shindand, nell'ovest del paese Afghanistan: ucciso ufficiale italiano La vittima è il tenente Massimo Ranzani Esplode una bomba che colpisce un blindato Lince, feriti anche altri 4 soldati tutti del quinto reggimento alpini Militari italiani a Shindand (Ansa) Militari italiani a Shindand (Ansa) MILANO - Ancora un altro militare morto in Afghanistan. Il tenente Massimo Ranzani, 37 anni, appartenente al quinto reggimento alpini di stanza a Vipiteno, è morto e altri quattro soldati sono rimasti feriti nell'ovest dell'Afghanistan a seguito dell'esplosione di una bomba. L'ATTENTATO - Un ordigno improvvisato ha colpito un veicolo blindato Lince del quinto reggimento alpini nei pressi di Shindand, nell'ovest dell'Afghanistan. A bordo del veicolo c'era una pattuglia di rientro da un'operazione di assistenza medica alla popolazione locale. L'utilizzo degli ordigni improvvisati, nonostante gli importanti progressi svolti dagli uomini della missione Nato per contrastarne la minaccia, rappresenta una delle modalità di azione tra quelle utilizzate dagli "insurgent" e, nel 30% dei casi, colpisce vittime civili. NAPOLITANO - Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, appresa con "profonda commozione la notizia del gravissimo attentato perpetrato a Shindand, in Afghanistan, contro il contingente italiano impegnato nella missione internazionale Isaf" ha espresso i suoi "sentimenti di solidale partecipazione al dolore dei famigliari del caduto e un affettuoso augurio ai militari feriti". BERLUSCONI - "È un tormento, un calvario e tutte le volte ci si chiede se questo sacrificio che impegna il parlamento con voto unanime e tutto il popolo italiano ad essere lì in un paese ancora medioevale sia uno sforzo che andrà in porto" ha detto invece il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Il premier ha quindi precisato: "dobbiamo andare avanti". LA RUSSA - Il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha spiegato che il blindato stava effettuando un trasferimento insieme ad altri mezzi e a un'ambulanza e si trovava a 25 chilometri a nord di Shindand, nella zona ovest del paese. "Il mezzo era dotato di un sistema dissuasore elettronico - ha spiegato il ministro - che impedisce l'accensione dell'ordigno a distanza. Ma evidentemente è stato azionato a mano o con una frequenza non coperta. Ancora una volta i nostri ragazzi pagano un tributo altissimo di sangue al loro impegno per liberare l'Afghanistan e consegnarlo alle legittime autorità. Pagano un prezzo tremendo alla volontà della comunità internazionale di contrastare con ogni mezzo il terrorismo per consentire alle nostre nazioni di essere più serene e tranquille". Redazione Online 28 febbraio 2011
stefani (lega): "riflettere sul senso della missione" "Governo responsabile militari uccisi" Di Pietro: "Usciamo dal luogo comune di chi intende coprire la propria responsabilità in nome della patria" stefani (lega): "riflettere sul senso della missione" "Governo responsabile militari uccisi" Di Pietro: "Usciamo dal luogo comune di chi intende coprire la propria responsabilità in nome della patria" Antonio Di Pietro (LaPresse) Antonio Di Pietro (LaPresse) MILANO - La nuova vittima italiana in Afghanistan ha scatenato ancora polemiche sulla nostra missione militare nel Paese asiatico. DI PIETRO - "Siamo vicini alle famiglie del militare caduto in Afghanistan, dei quattro feriti e a tutti i commilitoni impegnati su quei territori. Esprimiamo profondo dolore e commozione per questa ennesima tragedia annunciata. Smettiamola e usciamo dal luogo comune di chi intende coprire la propria responsabilità in nome della patria e della bandiera. Da tempo l'Italia dei valori, che ha dato una bocciatura sonora al decreto di rifinanziamento di questa missione, denuncia che non ha più alcun senso restare in Afghanistan perchè nel Paese è in atto una vera e propria guerra civile, e quindi non portiamo avanti soltanto una lotta al terrorismo" afferma in una nota il presidente dell'Italia dei valori Antonio Di Pietro. "Denunciamo in modo forte e chiaro, che la responsabilità politica di queste morti -aggiunge Di Pietro- ricade sul governo e su tutti coloro che in Parlamento hanno votato per il proseguimento della missione. Ricordiamo che è stato un voto trasversale e, proprio per questo, ancora più inaccettabile". PD - Il Pd ha invece espresso cordoglio per le vittime. "Siamo vicini alle loro famiglie e ai loro colleghi", ha affermato in una nota Emanuele Fiano, presidente del forum Sicurezza del partito, aggiungendo: "Questa ennesima perdita che va ad aumentare l'alto sacrificio pagato dagli italiani per la partecipazione alla missione afgana". "Attenderemo nelle prossime ore - ha proseguito Fiano - i particolari di quanto accaduto per cercare di capire se questo ennesimo lutto sia il segno di un aumentato pericolo per i militari italiani o se la situazione permanga uguale a quella già conosciuta. LEGA - "Attendiamo notizie sui quattro ragazzi rimasti feriti nell'esplosione, ma ancora una volta dobbiamo riflettere sul senso di questa missione", dice Stefano Stefani, presidente della commissione Esteri della Camera, a proposito della morte in Afghanistan del militare italiano nei pressi di Shindand. "Esprimo profondo sconcerto per la morte del nostro soldato in un teatro di guerra - osserva il deputato della Lega - che ha visto spegnersi troppe vite e mi unisco al dolore della famiglia e dei commilitoni". Redazione online 28 febbraio 2011
LA SCHEDA Sono 37 le vittime italiane in Afghanistan LA SCHEDA Sono 37 le vittime italiane in Afghanistan Con l'attentato odierno sale a 36 il numero delle vittime italiane in Afghanistan. Il 18 gennaio 2011 viene ucciso l'alpino Luca Sanna da un infiltrato nella base di Bala Murghab. Il 31 dicembre 2010 muore l'alpino Matteo Miotto ucciso da un cecchino nella valle del Gulistan. Il 9 ottobre 2010quattro alpini vengono uccisi in un'imboscata nella zona di Farah, nel Gulistan. Sono il caporalmaggiore Gianmarco Manca, 32 anni, il caporalmaggiore Marco Pedone, 23 anni, il caporalmaggiore Sebastiano Ville, nato nel 1983, il caporalmaggiore Francesco Vannozzi, nato nel 1984. Il 17 settembre 2010 muore in una sparatoria nella provincia di Farah il tenente Alessandro Romani, incursore del Col Moschin. Il 28 luglio 2010 perdono la vita a una ventina chilometri da Herat, a seguito dell’esplosione di un ordigno rudimentale (ied), Mauro Gigli e Pierdavide De Cillis. Il 25 luglio 2010 muore, forse suicida, un militare italiano. Si sarebbe sparato un colpo di arma da fuoco all’interno del suo ufficio, a Kabul. Sull’episodio stanno indagando i carabinieri della polizia militare. Il 23 giugno 2010 muore a Shindand, nell’ovest dell’Afghanistan, il caporal maggiore scelto Francesco Saverio Positano. Il militare ha perso l’equilibrio ed è caduto da un mezzo blindato, riportando un forte trauma cranico. Apparteneva al 32esimo Reggimento Genio, della Brigata Alpina Taurinense. Il 17 maggio 2010, un veicolo blindato salta in aria per l’esplosione di un ordigno nella provincia di Herat. Muoiono il sergente Massimiliano Ramadù, 33 anni, e il caporal maggiore Luigi Pascazio, 25 anni. Le vittime appartenevano al 32esimo reggimento Genio della brigata Taurinense. Il 26 febbraio 2010 viene ucciso Pietro Antonio Colazzo, un funzionario della Aise, l’Agenzia di informazione e sicurezza esterna, nel corso di un attentato suicida compiuto dai talebani a Kabul contro due ’guest house’. Il 15 ottobre 2009 un militare del Quarto Reggimento alpini paracadutisti muore in un incidente stradale avvenuto sulla strada che unisce Herat a Shindad. Il 17 settembre 2009 sei militari muoiono in un attentato suicida a Kabul, rivendicato dai talebani. Le vittime, del 186esimo Reggimento Paracadutisti Folgore di stanza a Kabul, sono Antonio Fortunato, Matteo Mureddu, Davide Ricchiuto, Massimiliano Randino, Roberto Valente e Gian Domenico Pistonami. Il 14 luglio 2009 muore, in un attentato a 50 chilometri da Farah, il caporalmaggiore Alessandro Di Lisio, 25 anni. Paracadutista dell’Ottavo Genio Guastatori della Folgore, faceva parte di un team specializzato nella bonifica delle strade. Il 15 gennaio 2009 muore Arnaldo Forcucci, maresciallo dell’Aeronautica, per arresto cardiocircolatorio. Il 21 settembre 2008 muore per un malore a Herat il caporalmaggiore Alessandro Caroppo, 23 anni, dell’Ottavo reggimento bersaglieri di Caserta. Il 13 febbraio 2008 muore in un attacco il maresciallo Giovanni Pezzulo, 44 anni, del Cimic Group South di Motta di Livenza. L’attentato avviene a una sessantina di chilometri da Kabul, nella valle di Uzeebin, mentre i militari italiani sono impegnati in attività di distribuzione di viveri e vestiario alla popolazione della zona. Rimane ferito il maresciallo Enrico Mercuri. Il 24 novembre 2007 muore in un attentato suicida nei pressi di Kabul il maresciallo capo Daniele Paladini, 35 anni. Altri tre militari rimangono feriti. Il 4 ottobre 2007 muore al Policlinico militare del Celio l’agente del Sismi Lorenzo D’Auria. Il militare era stato gravemente ferito il 24 settembre 2007 durante un’operazione delle forze speciali britanniche per cercare di liberarlo. Due giorni prima, D’Auria era stato sequestrato assieme a un altro sottufficiale del servizio di sicurezza militare e a un collaboratore afgano. Il 26 settembre 2006 perdono la vita i caporalmaggiori Giorgio Langella, 31 anni, e Vincenzo Cardella, in seguito all’esplosione di un ordigno lasciato lungo una strada nei pressi di Kabul. I due militari appartenevano alla 21esima compagnia del Secondo Reggimento alpini di Cuneo. Il 20 settembre 2006 muore in un incidente stradale, a sud di Kabul, il caporalmaggiore Giuseppe Orlando, 28 anni. Faceva parte della 22/a compagnia del Secondo Reggimento alpini di Cuneo. Il 2 luglio 2006 il tenente colonnello Carlo Liguori, 41 anni è stroncato da un attacco cardiaco ad Herat. Il 5 maggio 2006, in seguito all’esplosione di un ordigno lasciato lungo una strada nei pressi di Kabul, muoiono il tenente Manuel Fiorito, 27 anni, e il maresciallo Luca Polsinelli, 29 anni, entrambi del Secondo Reggimento Alpini. I due soldati si trovavano a bordo di due veicoli blindati "Puma", a sud-est della capitale afgana, quando sono stati investiti dall’esplosione. L’11 ottobre 2005 muore il caporalmaggiore capo Michele Sanfilippo, 34 anni. Sanfilippo, effettivo al Quarto Reggimento Genio Guastatori di Palermo, viene ferito con un colpo alla testa, partito accidentalmente, nella camerata del battaglione Genio a Kabul. Muore poco dopo il ricovero in ospedale. Il 3 febbraio 2005 l’ufficiale di Marina Bruno Vianini perde la vita nello schianto di un aereo civile sul quale viaggiava, tra Herat e Kabul. Il capitano di fregata aveva 42 anni. Il 3 ottobre 2004, il caporal maggiore Giovanni Bruno, 23 anni, del Terzo reggimento alpini, è vittima di un incidente stradale mentre si trova a bordo di un mezzo dell’esercito nel territorio di Sorobi, a 70 chilometri da Kabul. Nell’incidente rimangono feriti altri quattro militari. Redazione online 28 febbraio 2011
Tra i ribelli alle porte di Tripoli Imbracciano i fucili come fossero figli loro, li accarezzano Tra i ribelli alle porte di Tripoli Imbracciano i fucili come fossero figli loro, li accarezzano Dal nostro inviato FABRIZIO CACCIA
ZAWIA - Ti vengono incontro con le foto dei loro morti in battaglia, ne scandiscono i nomi con solennità: "Si chiamavano Alrazaq Nusser, Asslam Kashood, Haytem Kader - piange un ragazzo -. Erano amici miei, prendete appunti. Non erano terroristi. Voglio che i loro nomi siano ricordati per sempre". Spoon River Zawia, nel cuore della sommossa. I giovani ribelli al nono giorno di occupazione hanno appena sepolto quei poveri resti nel grande giardino della piazza principale, all'ombra di un bandierone nero rosso e verde della monarchia. Ma hanno già scavato le fosse anche per sé. "Siamo pronti a morire - spiega il ragazzo con le foto in mano -. Questo e altro per la libertà". Zawia ad arrivarci fa paura, 45 chilometri a ovest di Tripoli, sull'autostrada ci sono i check-point del governo, carrarmati e autoblindo con i cannoncini della contraerea installati, filo spinato, soldati nervosi, solo qualche negozio aperto ai lati della strada e uomini seduti ai tavolini dei bar che guardano la scena con aria interrogativa. L'ultimo avamposto dell'esercito regolare si trova a circa cinque chilometri dal centro cittadino. Da laggiù arriva un taxi, è vuoto, a bordo c'è solo l'autista, che vede le telecamere, ma soprattutto vede le divise dei militari, si ferma e dice: "No, è tutto calmo, la città è sicura". Proprio ciò che il Raìs dice in un'intervista alla tv serba: "La Libia è completamente calma, non ci sono disordini. Prometto che rimarrò nel mio Paese". C'è "un piccolo gruppo" di oppositori, ma "è accerchiato" sostiene il Colonnello, che definisce "senza valore" le sanzioni decise dall'Onu. (Reuters/Jadallah) (Reuters/Jadallah) Calma? Basta arrivare all'inizio di corso Nasser per cominciare ad avere paura. Ti accoglie un tuono di mitragliatrice pesante, poi raffiche di kalashnikov in aria. È il benvenuto dei ribelli di Zawia. Imbracciano i fucili come fossero figli loro, li accarezzano quasi con amore. La strada è chiusa, bisogna superare prima delle barricate, c'è un'escavatrice gigante che blocca da sola metà della carreggiata, eppoi tronchi di palma, lampioni divelti, grosse ruote di carro. Il monumento di pietra dedicato alle tavole del Libro Verde è stato fatto a pezzi da qualcuno. Ci sono anche libri in arabo stracciati per terra, probabilmente altri brandelli dell'opera omnia del Colonnello. Eppoi edifici bruciati, muri sforacchiati dalle pallottole, vetri infranti e cecchini sui tetti, "perché Gheddafi ci può colpire da un momento all'altro, bisogna vigilare, la notte i suoi miliziani tentano di infilarsi dalla strada di Gordabiy ma noi là li aspettiamo", avverte un uomo che dice di chiamarsi Abdallah. "We need only justice - dice Abdallah parlando un po' d'inglese - noi vogliamo solo giustizia. E vogliamo perciò che Gheddafi se ne vada, anche se adesso abbiamo paura, perché lui is crazy, lui può buttarci addosso anche una nuclear bomb...". C'è un carrarmato al centro della piazza conquistata dai ribelli. Piazza ribattezzata ora "Free Garden", del Libero Giardino. Loro dicono di aver ricevuto il carrarmato in dono da ufficiali dell'esercito che si sono ammutinati, insieme a tutte le altre armi di cui sono dotati: fucili, mitragliatrici, Rpg e intere casse di proiettili sovietici. I carrarmati a loro disposizione sarebbero addirittura una quindicina. Da Tripoli, però, la versione governativa è diversa: i tank e le altre armi sarebbero bottini di guerra, beni sottratti all'esercito al termine degli scontri di giovedì da quelli che il regime ritiene solo fanatici integralisti sobillati da Al Qaeda. Per questo i ribelli hanno accettato di ricevere la colonna dei giornalisti. Per spiegare le loro ragioni: "Non siamo terroristi - dice Emad, 37 anni, ingegnere, che appare come uno dei capi della rivolta -. Siamo gente semplice, che studia o lavora. E guardate le nostre facce, vi sembriamo forse drogati? Oppure ubriachi, come dice Gheddafi? Noi non prendiamo tablets (droga, ndr), noi lavoriamo e studiamo. E siamo libici, non talebani. Perciò non vogliamo nemmeno ammazzare la nostra gente. Chiediamo semplicemente libertà". Si alzano cori e colpi di fucile. Saranno cinquemila in piazza, forse di più, niente donne ("Le abbiamo mandate al sicuro, fuori città", spiegano). Dicono di essere circondati, stretti nella morsa tra Tripoli e il vicino sobborgo di Srman dove sarebbero acquattate le brigate al soldo del Colonnello. Dicono che non hanno avuto pietà, quei miscredenti, nemmeno per la moschea, l'altra notte. E indicano i buchi di mitra sulla volta. Ma loro intanto hanno fatto anche due prigionieri, due soldatini pesti e terrorizzati rinchiusi in uno stanzino, che però giurano saranno liberati presto. Due ragazzi con i kalashnikov sono studenti: Ahmad Hasin, 24 anni, e Mohad Alaman di 25. Sono convinti che la rivolta dilagherà. "Anche a Tripoli c'è tanta gente scontenta e prima o poi si deciderà a uscire allo scoperto". È così che si vive o si muore oggi in Libia, sospesi in un limbo, aspettando la pace o la rivoluzione. 28 febbraio 2011
Mosca: inaccettabile L'uso della forza contro i civili Clinton: pronti a sostenere oppositori Contro la Libia anche le sanzioni Onu Blocco dei beni del Raìs, embargo alle vendite di armi. Frattini: "È inevitabile che Gheddafi se ne vada" * NOTIZIE CORRELATE * Obama: "Gheddafi se ne vada subito" (26 febbraio 2011) * A Tripoli si scavano le fosse comuni (23 febbaio 2011) * La condanna di Obama: "Violenza mostruosa" (23 febbraio 2011) * Gheddafi ancora una volta in tv: "Non lascio, morirò da martire" (22 febbraio 2011) * MULTIMEDIA: video-foto-audio * Gheddafi in piazza: difendete il Paese (25 febbraio 2011) Mosca: inaccettabile L'uso della forza contro i civili Clinton: pronti a sostenere oppositori Contro la Libia anche le sanzioni Onu Blocco dei beni del Raìs, embargo alle vendite di armi. Frattini: "È inevitabile che Gheddafi se ne vada" Il Consiglio di sicurezza dell'Onu vota le sanzioni contro la Libia (Epa) Il Consiglio di sicurezza dell'Onu vota le sanzioni contro la Libia (Epa) MILANO - Dopo quelle firmate dal presidente Obama, contro il regime di Muammar Gheddafi arrivano anche le sanzioni decise dal Consiglio di sicurezza dell'Onu, che si è espresso domenica notte approvando all'unanimità la risoluzione numero 1.970. E il segretario di Stato Hillary Clinton ha detto che gli Stati Uniti sono "pronti ad aiutare gli oppositori di Gheddafi". "Dobbiamo innanzi tutto vedere la fine del suo regime ed evitare un nuovo bagno di sangue" ha detto ai giornalisti in viaggio con lei alla volta di Ginevra. FRATTINI - Dura la presa di posizione del ministro degli Esteri Franco Frattini, secondo cui la situazione in Libia è a un "punto di non ritorno" ed è "inevitabile" che Gheddafi se ne vada: "Non avevamo mai visto situazioni in cui il capo di un regime dà ordine di uccidere i suoi stessi fratelli e le sue stesse sorelle, assoldando addirittura mercenari". La stessa richiesta di una cessione del potere da parte del raìs è stata formulata da Stati Uniti e Gran Bretagna. Frattini ha spiegato che l'Italia non ha alcun vincolo che le impedirebbe di intraprendere azioni nei confronti della Libia derivanti dall'accordo di amicizia tra Roma e Tripoli perché "la sospensione di fatto del trattato è già una realtà". LA RISOLUZIONE - Il documento dell'Onu (volto a "deplorare la grave e sistematica violazione dei diritti umani, tra cui la repressione di manifestanti pacifici") prevede il blocco dei beni del Raìs e di alcuni suoi familiari e dignitari, l'embargo alle vendite di armi e un possibile coinvolgimento della Corte penale internazionale dell'Aja per i crimini di guerra o contro l'umanità. I membri del Consiglio hanno espresso preoccupazione per le morti di civili, "respingendo inequivocabilmente l'incitamento alle ostilità e alla violenza contro la popolazione condotto dagli alti gradi del governo libico". L'ambasciatrice degli Stati Uniti all'Onu Susan Rice ha sottolineato che la risoluzione fa riferimento all'articolo 7 della Carta delle Nazioni Unite, che non esclude un intervento internazionale nel caso si mostrasse necessario. In realtà nel documento c'è un riferimento esplicito all'articolo 41 della Carta, quello che parla dell'ipotesi di "misure che non coinvolgono l'uso di forze armate", come è stato chiesto da Russia e Cina. È l'articolo successivo, il 42 (non citato nella risoluzione) ad autorizzare l'uso della forza se le misure previste nell'articolo precedente non daranno i risultati auspicati, prospettando interventi "via aria, mare o di forze terrestri per mantenere o restaurare la pace e la sicurezza internazionale". I PUNTI - Per ottenere un'"azione decisiva", ovvero porre fine alla repressione e allo spargimento di sangue nelle strade di Tripoli, i quindici del Consiglio, in linea con l'Unione Europea, hanno stabilito sanzioni dirette contro Muammar Gheddafi, otto dei suoi figli, due cugini e undici esponenti del regime di Tripoli, 22 persone in tutto. Nel documento si impone ai 192 Paesi che fanno parte delle Nazioni Unite di "congelare senza ritardo tutti i fondi, le disponibilità finanziarie e le risorse economiche di questi individui". Ci sono poi l'embargo sulle forniture di armi e il deferimento alla Corte dell'Aja. Secondo i quindici, oltre a Gheddafi, primo responsabile dell'eccidio in qualità di "comandante delle forze armate", vanno colpiti anche due suoi cugini: Ahmed Mohammed Ghedaf al-Daf, artefice di "operazioni contro i dissidenti libici all'estero e coinvolto direttamente in attività terroristiche", e Sayyid Mohammed Ghedaf al-Daf, "coinvolto in una campagna di assassini di dissidenti e probabilmente di una serie di uccisioni in giro nell'Europa". Presi di mira anche il capo delle forze armate Masud Abdulhafiz, il ministro della Difesa Abu Bakr Yunis, il capo dell'antiterrorismo Abdussalam Mohammed Abdussalam, oltre ad altri vertici dell'intelligence. "MESSAGGIO FORTE" - "Spero che il messaggio sia ascoltato e preso in considerazione dal regime in Libia" ha commentato il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, congratulandosi per il voto unificato, un voto - ha detto - che "manda un messaggio forte che le gravi violazioni dei diritti umani di base non possono essere tollerate". Poco prima Ban aveva chiamato il presidente del Consiglio Berlusconi per discutere le opzioni disponibili per risolvere la crisi e chiedere "il continuo appoggio dell'Italia e un suo ruolo attivo per un'azione decisiva". La linea dura decisa dal Consiglio è appoggiata dalla missione libica alle Nazioni Unite, che in una lettera sostiene le misure contro i "responsabili degli attacchi armati contro i civili libici, anche attraverso la Corte penale internazionale". La lettera è stata firmata dall'ambasciatore Mohamed Shalgham, ex sostenitore di Gheddafi che ha avuto un drammatico ravvedimento dopo lo scoppio delle repressioni. Venerdì Shalgham aveva chiesto al Consiglio di muoversi velocemente per fermare il bagno di sangue. Si muove l'Europa: l'Alto rappresentante per la politica estera Catherine Ashton ha detto che la repressione avrà "conseguenze" e ha chiesto di nuovo la fine "immediata" delle violenze e delle violazioni dei diritti umani. "Gheddafi e le autorità libiche sanno che le loro azioni inaccettabili e scandalose avranno conseguenze - spiega Ashton -. L'impunità contro i crimini commessi non sarà tollerata. Le sanzioni della Ue saranno formalmente adottate nel più breve tempo possibile". Anche la Russia prende posizione: in una telefonata al collega libico Musa Kusa, il ministro degli Esteri di Mosca Serghiei Lavrov ha condannato l'uso "inaccettabile" della forza contro i civili. E dopo quella di Washington c'è la dura presa di posizione di Londra: il ministro degli Esteri William Hague ha detto che Muammar Gheddafi se ne deve andare. La Gran Bretagna ha quindi revocato l'immunità al colonnello e ai suoi figli, "per far capire qual è la nostra posizione sul suo status di capo di Stato" ha spiegato Hague. In serata Londra ha congelato i beni di Gheddafi e dei figli in Gran Bretagna. Redazione online 27 febbraio 2011
attesa per la presentazione dell'esecutivo ad interim con sede a bengasi Libia, formato un Consiglio nazionale La cittadina di Zawia è in mano ai ribelli, controffensiva del regime a Misurata. A Tripoli calma carica di tensione * NOTIZIE CORRELATE * Libia, arrivano le sanzioni dell'Onu. Frattini: "Gheddafi se ne vada" (27 febbraio 2011) * Obama: "Gheddafi se ne vada subito" (26 febbraio 2011) * A Tripoli si scavano le fosse comuni (23 febbaio 2011) * La condanna di Obama: "Violenza mostruosa" (23 febbraio 2011) * Gheddafi ancora una volta in tv: "Non lascio, morirò da martire" (22 febbraio 2011) * MULTIMEDIA: video-foto-audio * Gheddafi in piazza: difendete il Paese (25 febbraio 2011) attesa per la presentazione dell'esecutivo ad interim con sede a bengasi Libia, formato un Consiglio nazionale La cittadina di Zawia è in mano ai ribelli, controffensiva del regime a Misurata. A Tripoli calma carica di tensione Ribelli in festa a Bengasi (Ap) Ribelli in festa a Bengasi (Ap) MILANO - Grande attesa in Libia per la presentazione del governo provvisorio post Gheddafi: la cerimonia avverrà nel tribunale di Bengasi, dove si sono insediati i comitati che gestiscono la città dopo la liberazione. Nella formazione del governo ad interim si è particolarmente impegnato l'ex ministro della Giustizia Mustafa Abdeljalil. La capitale resta a Tripoli, ha spiegato Abdeljalil al quotidiano indipendente Quryna, e non ci sarà alcuna resa dei conti: il clan Gaddafa del Raìs "è perdonato" e "lui solo è responsabile per i crimini commessi". Della nuova amministrazione, ha aggiunto, "faranno parte esponenti di città liberate come Misurata e Zawiyah". Alcuni incarichi ministeriali saranno lasciati vacanti "in attesa che vengano liberate Tripoli e altre città". CONSIGLIO NAZIONALE - Sempre a Bengasi alcuni esponenti dell'opposizione hanno annunciato la nascita di un Consiglio nazionale che coordinerà le attività dei gruppi di rivoltosi e governerà le aree della Libia liberate dal regime di Gheddafi. Secondo quanto riporta la tv satellitare Al Arabiya, nel corso di una conferenza stampa i promotori dell'iniziativa hanno precisato che "non si tratta di un governo provvisorio e che la proposta lanciata dall'ex ministro della Giustizia è solo una sua idea personale". ZAWIA AI RIBELLI - Intanto continuano lo scontro tra le forze fedeli a Gheddafi e i ribelli anti regime. Questi ultimi sarebbero riusciti a prendere il controllo della cittadina di Zawia, a una ventina di chilometri da Tripoli, prendendo molte armi e carri armati. La situazione è tesa: l'esercito libico è schierato tutto intorno alla città. Gli insorti, che hanno accolto con grande calore i giornalisti stranieri, affermano che in tre giorni di combattimenti ci sono stati 16 morti e che i soldati hanno sparato contro i civili. Nella piazza si vedono edifici bruciati, bombardati e sui muri i segni di colpi di artiglieria. Le uscite della piazza sono state bloccate con una decina di carri armati. Gli insorti affermano che sono stati abbandonati da soldati che hanno defezionato, una versione smentita dalle fonti ufficiali. Al termine della preghiera migliaia di persone stanno marciando sulla piazza della cittadina gridando slogan contro Gheddafi. Sono solo uomini perché le donne e le famiglie sono state mandate fuori dalla città. Nelle loro mani ci sono anche due soldati presi prigionieri. Sulla città sventola la bandiera libica monarchica. Ma molte città dell'ovest della Libia sono "nelle mani del popolo" da vari giorni e "preparano una marcia per liberare Tripoli". Lo ha indicato a Nalout, 60 chilometri dalla frontiera con la Tunisia, un dignitario membro del comitato rivoluzionario di questa città. "Anche le città di al-Rhibat, Kabaw, Jado, Rogban, Zentan, Yefren, Kekla, Gherien, Hawamed sono liberate da molti giorni", ha aggiunto. " Ci mettiamo sotto l'autorità del governo provvisorio di Bengasi. Con tutte le città liberate dalla montagna del djebel Nafusa e quelle che si trovano dall'altro lato della montagna, prepariamo le forze per andare su Tripoli e liberare la capitale da Gheddafi". CONTROFFENSIVA - Anche a Bengasi le forze anti-regime si stanno organizzando e preparano un esercito per marciare su Tripoli. Lo scrive il Washington Post. Il generale Ahmed Gatrani, divenuto uno tra i principali leader della protesta, ha affermato che diverse unità, composte da ribelli e militari che sono passati dalla parte degli anti-governativi, sono già arrivate nei pressi della capitale, e che un tentativo di prendere la città venerdì scorso è stato respinto dalle forze fedeli al Raìs. "Stiamo cercando di organizzare persone che sacrificheranno la propria vita per liberare Tripoli dal dittatore" ha detto Gatrani, attualmente al comando delle forze militari a Bengasi. Sull'altro fronte, le forze fedeli a Gheddafi hanno lanciato una controffensiva su Misurata, la città portuale a est di Tripoli controllata dai ribelli. Lo rende noto il Democratic Libya Information Bureau, associazione di esuli libici. CALMA TESA A TRIPOLI - A Tripoli c'è una calma carica di tensione. La città, apparentemente tranquilla di giorno, diventa pericolosissima di notte e sembra ancora saldamente nelle mani dei governativi, che hanno concentrato le proprie forze in periferia. Buone notizie infine per gli italiani in fuga dalla Libia: la nave San Giorgio della Marina militare, con 258 persone tra cui 121 italiani, è arrivata domenica mattina nel porto di Catania. Drammatica invece la situazione in Tunisia dove, secondo la Croce Rossa, è in atto una crisi umanitaria: solo sabato oltre 10 mila persone sono fuggite dalla Libia attraverso il confine a Ras Jedir; in una settimana hanno attraversato il confine 40mila profughi, tra loro oltre 15mila egiziani. Sono 256 le persone uccise a Bengasi nel corso dell'insurrezione, mentre i feriti sono 2 mila. Lo hanno indicato fonti sanitarie citate dal Comitato internazionale della Croce Rossa. Redazione online 27 febbraio 2011
sinergia tra Farnesina, Ministero della Difesa e Ambasciata La nave San Giorgio arrivata a Catania A bordo 258 persone, tra cui 121 italiani, scappate dalla Libia. I connazionali bloccati ad Amal presto in Italia sinergia tra Farnesina, Ministero della Difesa e Ambasciata La nave San Giorgio arrivata a Catania A bordo 258 persone, tra cui 121 italiani, scappate dalla Libia. I connazionali bloccati ad Amal presto in Italia MILANO - È arrivata nel porto di Catania la nave San Giorgio della Marina militare con 258 persone, tra cui 121 italiani, che hanno lasciato la Libia. A bordo, con 250 uomini di equipaggio al comando del capitano Enrico Giurelli, ci sono passeggeri di diverse nazionalità: oltre agli italiani sono presenti inglesi, francesi, belgi, olandesi, austriaci, turchi, albanesi, macedoni, portoghesi, slovacchi, ucraini, croati, romeni, indiani, messicani, thailandesi, filippini, marocchini, tunisini, algerini, cittadini della Tanzania, delle isole Mauritius e un libico. "MIRACOLO TORNARE" - "Essere riusciti a tornare in Italia per noi è un miracolo, non vedevamo l'ora perché lì cominciava a essere triste". A parlare è Francesco Baldassarre, 34 anni, sbarcato dalla nave San Giorgio con il padre Gino di 54. Entrambi di Brindisi, sono dipendenti della Tecnomontaggi. "Entrare sulla nave - ha aggiunto Francesco Baldassarre - è stato un po' problematico. Ci fermavano ai posti di blocco, erano armati, comunque ci hanno scortati e sentivamo dire che a 15 chilometri da noi stavano bombardando l'aeroporto di Misurata". Gli italiani rimpatriati raccontano che la situazione nel campo dove erano ospitati "era abbastanza tranquilla" e che i libici li hanno "trattati bene". POCHE DECINE - "Abbiamo rimpatriato con successo gran parte degli italiani residenti e presenti in Libia. Rimangono nel Paese poche decine di connazionali, che sono già segnalati e che rimpatrieremo nei prossimi giorni - ha detto il portavoce della Farnesina, Maurizio Massari -. Le operazioni sono un successo che rappresentano il risultato di una sinergia tra Farnesina, Ministero della Difesa e Ambasciata". In Libia "rimangono veramente pochi italiani e con il ministero della Difesa stiamo effettuando nuovi tentativi per riportarli a casa. Siamo già a 1.400 rientrati in Italia su 1.480" ha sottolineato il ministro degli Esteri Franco Frattini, precisando che "alcuni non hanno chiesto di rientrare". BLOCCATI AD AMAL - Non sono ancora tornati in patria i venti italiani rimasti bloccati ad Amal senza viveri. Alcuni di loro sono stati trasferiti a Creta su un aereo militare britannico; gli altri hanno raggiunto via terra il porto di Al Byraukah, dove sono stati imbarcati sul cacciatorpediniere Mimbelli della Marina militare insieme ad altri cittadini europei ed extraeuropei. Un C-130 è in arrivo a Pratica di mare domenica pomeriggio: a bordo non ci sono gli italiani evacuati da Amal, ma un altro gruppo di connazionali. Sull'aereo, proveniente da Tripoli, stanno rientrando circa 30 persone, tra cui dieci italiani. Redazione online 27 febbraio 2011
GLI OPPOSTI SCHIERAMENTI Carri armati, blindati e mitragliere Così insorti e governativi si combattono Il punto: il regime ha ottenuto rinforzi nella capitale GLI OPPOSTI SCHIERAMENTI Carri armati, blindati e mitragliere Così insorti e governativi si combattono Il punto: il regime ha ottenuto rinforzi nella capitale Un camion dei ribelli armato di lanciarazzi multipli Un camion dei ribelli armato di lanciarazzi multipli WASHINGTON – I due schieramenti sul campo di battaglia libico riorganizzano le loro forze. Muammar Gheddafi sembra aver guadagnato qualche posizione nella capitale grazie all’afflusso di uomini dal Fezzan. Altri reparti si sono mossi verso Misurata, città in mano agli insorti. Fonti locali sostengono che il regime ha ottenuto rinforzi dalla base di Sebha (Fezzan) ed ha usato la roccaforte di Sirte per bloccare un’avanzata da Est e per inviare truppe verso la stessa Misurata. I ribelli, invece, sono riusciti a tenere la città di Zawaiya, a circa 50 chilometri a ovest di Tripoli, ma non si esclude che nelle prossime ore la località possa essere di nuovo attaccata. Dalla Cirenaica sono partiti nuclei di combattenti – 2 o 3 mila – decisi a dare una mano ai ribelli a Tripoli. Alcuni dei convogli, però, sono stati intercettati dai lealisti. Libia, le armi dei contendenti Libia, le armi dei contendenti MORDI E FUGGI - In questa fase dei combattimenti i filo-Gheddafi hanno schierato tank, blindati e camion armati di mitragliatrici. In particolare quelle anti-aeree che sono state impiegate nei centri abitati con effetti devastanti contro oppositori e bersagli a terra. Anche i ribelli hanno usato lo stesso tipo di arma. In molti conflitti africani – come quello somalo o in Ciad – i guerriglieri hanno sistemato le loro anti-aeree su veicoli 4x4 per lanciare azioni "mordi e fuggi". Questo tipo di arma può garantire un certo volume di fuoco. Se guardiamo al passato un precedente famoso si è avuto nella battaglia di Dien Bien Phu: allora i soldati francesi assediati dai vietminh cercarono di respingere le ondate umane con le loro mitragliere quadrinate da 50 millimetri. Gli oppositori cercano di riutilizzare i mezzi abbandonati o strappati al nemico. A Bengasi c’erano, ad esempio, molti blindati ma non tutti in piena efficienza. Mancavano pezzi di ricambio, c’era penuria di carburante e munizioni. Una tattica del regime per prevenire eventuali golpe o rivolte militari. Nelle cittadine vicino alla capitale, invece, i corazzati erano in miglior stato e quando sono caduti nelle mani degli anti-Gheddafi sono stati schierati a protezione di aree "liberate". Guido Olimpio 27 febbraio 2011
archivio di video e foto in rete La rivoluzione egiziana è online Gli scontri filmati con i telefonini, spezzoni di telegiornali con i momenti chiave, l'appello della studentessa velata * NOTIZIE CORRELATE * Egitto, un milione per festeggiare il "Giorno della Vittoria" a piazza Tahrir (18 febbraio 2011) archivio di video e foto in rete La rivoluzione egiziana è online Gli scontri filmati con i telefonini, spezzoni di telegiornali con i momenti chiave, l'appello della studentessa velata Una foto dell'archivio online Iamjan25.com Una foto dell'archivio online Iamjan25.com MILANO - Per chi c’era e non vuole dimenticare, soprattutto per i milioni di persone che nel mondo hanno seguito con crescente passione i 18 incredibili giorni della Rivoluzione egiziana, trionfata l’11 febbraio con la caduta di Hosni Mubarak. I ragazzi del Movimento del 25 gennaio hanno messo in rete una straordinaria raccolta di video e di foto (VAI AL SITO), quasi 10mila, consultabile da tutti e creata in gran parte dalla base, come lo è stata l’intifada del Nilo che peraltro tanto sostegno ha avuto proprio dalla Rete. Sequenze di scontri filmate con i telefonini, dalla Marcia della Rabbia del 25 gennaio (l’inizio di tutto) alla battaglia con moltissimi morti del 28, compresa la fuga di un’auto diplomatica che travolge una ventina di manifestanti, fino alla vittoria. Spezzoni di telegiornali con i momenti chiave. L’occupazione di Piazza Tahrir e i suoi personaggi incontrati dalle grandi tv arabe e occidentali, tra cui è un cult l’intervista alla mitica femminista Nawwal Saadawi, con le sue trecce bianche, che dice: "Sono ottantenne ma non paura, continuo a lottare per la libertà". L'APPELLO - O il video che su internet ha dato un contributo fondamentale alla rivolta, poco prima della Giornata della Rabbia: l’appello della giovane Asmaa Mahfouz, studentessa velata, che urla al suo popolo di vergognarsi della sua apatia e di aver finalmente coraggio, di scendere in piazza per i suoi diritti. Il fantastico archivio dal nome "I am 25 Jan", "io sono il 25 gennaio" è un’enorme miniera da esplorare, in molte lingue, se è in arabo spesso è sottotitolata in inglese. Contiene poi due link interessanti: un memoriale online per i "martiri" della rivoluzione, ufficialmente 384 ma secondo gli avvocati per i diritti umani un migliaio: per molti di loro, quelli di cui si è potuto, c’è la foto, il nome, la professione e l’età, quasi tutti erano giovanissimi. E poi, ancora in lavorazione, "I am Tahrir", "io sono Tahrir" (nel senso della piazza simbolo ma anche di liberazione), una piattaforma online di "arte rivoluzionaria" con i contributi di artisti di tutto il mondo ispirati all’Onda che sta sconvolgendo i regimi arabi. Cecilia Zecchinelli 27 febbraio 2011(ultima modifica: 28 febbraio 2011)
Sabato cinque morti negli scontri nel centro di Tunisi Tunisia: si dimette il premier Ghannouchi Al suo posto nominato Beji Caid Sebsi, ex ministro degli Esteri sotto la presidenza di Habib Bourguiba * NOTIZIE CORRELATE * Tunisia, giallo su Ben Ali: "È morto" (19 febbraio 2011) * Tunisia: sgozzato un prete cattolico (18 febbraio 2011) * Tunisi: "Arrestate Ben Ali e la moglie" (26 gennaio 2011) Sabato cinque morti negli scontri nel centro di Tunisi Tunisia: si dimette il premier Ghannouchi Al suo posto nominato Beji Caid Sebsi, ex ministro degli Esteri sotto la presidenza di Habib Bourguiba Mohamad El Ghannouchi (Reuters) Mohamad El Ghannouchi (Reuters) MILANO - La forza della piazza ottiene il secondo successo in Tunisia. Dopo la fuga del presidente Ben Alì, ora costringe alle dimissioni anche Mohamad El Ghannouchi, il primo ministro del governo di transizione, considerato, come altri ministri, troppo compromesso con l'amministrazione di Ben Alì. Il premier lo ha annunciato domenica in un discorso televisivo. "Queste dimissioni sono al servizio della Tunisia e della rivoluzione", ha detto spiegando di non essere per la repressione. " Ho lavorato in una situazione difficile e sotto forti pressioni. Non sono uomo della repressione e non lo sarò mai", ha detto Ghannouchi, spiegando di volere lasciare il passo a un primo ministro che possa essere "più capace di lui. Non sarò un persona che prende qualsiasi tipo di decisione che sfoci in uno spargimento di sangue". Il nuovo premier è Beji Caid Sebsi, ex ministro degli Esteri sotto la presidenza di Habib Bourguiba. SCONTRI SABATO - Sabato almeno cinque persone erano morte negli scontri scoppiati fra manifestanti e forze dell'ordine nel pieno centro di Tunisi. La polizia ha lanciato numerosi lacrimogeni e sparato colpi di avvertimento mentre i manifestanti lanciavano pietre. Agenti delle unità anti-sommossa e altri in borghese, la maggior parte incappucciati, hanno tentato di respingere i manifestanti. La polizia ha effettuato numerosi arresti e ha richiesto rinforzi. Dei manifestanti hanno divelto pannelli pubblicitari e panchine per tentare di sbarrare il passaggio ai furgoni della polizia. Testimoni oculari parlano inoltre di civili, armati di bastoni e a volto coperto, intenti a cercare dimostranti per le strade della capitale tunisina. I dimostranti hanno anche saccheggiato e danneggiato negozi e supermercati. Le proteste che c'erano state venerdì, che hanno visto la partecipazione di oltre 100 mila persone, erano state duramente condannate dal ministero dell'Interno che in una dichiarazione aveva riferito anche di 51 feriti, tra cui 21 poliziotti, e tre stazioni di polizia parzialmente date alle fiamme e saccheggiate. AMBASCIATA ITALIA: "MASSIMA PRUDENZA" - L'ambasciata d'Italia a Tunisi raccomanda ai connazionali la massima prudenza data la situazione nel Paese segnalando - attraverso sms - che continuano scontri e atti di banditismo in vari quartieri della capitale e dintorni, e a Tozeur. La rappresentanza italiana consiglia inoltre di limitare le uscite da casa nelle ore serali ai casi di estrema necessità e a evitare in ogni caso luoghi di assembramento. Redazione online 26 febbraio 2011(ultima modifica: 27 febbraio 2011)
Il Paese, che confina con Yemen e Arabia, è dominato dal sultano bin Said dal 1970 Rivolta in Oman: palazzo del governo in fiamme , due morti in piazza Una manifestazione alla quale hanno preso parte circa 2000 persone per chiedere riforme è sfociata nel sangue Il Paese, che confina con Yemen e Arabia, è dominato dal sultano bin Said dal 1970 Rivolta in Oman: palazzo del governo in fiamme , due morti in piazza Una manifestazione alla quale hanno preso parte circa 2000 persone per chiedere riforme è sfociata nel sangue MILANO - Il palazzo del governo e il commissariato di polizia a Sohar sono in fiamme. Lo riferiscono testimoni. La città è stata teatro di una nuova manifestazione per chiedere riforme sfociata nel sangue: due i dimostranti uccisi quando la polizia ha sparato con proiettili di gomma per disperdere la folla. CINQUE FERITI - Nel corso degli scontri altre cinque persone sono state ferite e alcuni veicoli dati alle fiamme. Al corteo avrebbero partecipato almeno 2.000 persone. L'agenzia ufficiale Ona ha confermato che la manifestazione ha avuto luogo, parlando di un numero imprecisato di vittime. Il Paese, che confina con Yemen e Arabia Saudita, è dominato dal sultano Qaboos bin Said dal 1970.
27 febbraio 2011
2011-02-26 atteso per oggi ALLE 17 il voto all'onu Libia, Obama firma le sanzioni "Violata la decenza comune" Bloccati i beni del rais. Il figlio ai ribelli: "Trattiamo". Il governo inglese: disertate o andrete a processo * NOTIZIE CORRELATE * A Tripoli si scavano le fosse comuni (23 febbaio 2011) * La condanna di Obama: "Violenza mostruosa" (23 febbraio 2011) * Gheddafi ancora una volta in tv: "Non lascio, morirò da martire" (22 febbraio 2011) * MULTIMEDIA: video-foto-audio * Gheddafi in piazza: difendete il Paese (25 febbraio 2011) atteso per oggi ALLE 17 il voto all'onu Libia, Obama firma le sanzioni "Violata la decenza comune" Bloccati i beni del rais. Il figlio ai ribelli: "Trattiamo". Il governo inglese: disertate o andrete a processo Muammar Gheddafi (Ipp) Muammar Gheddafi (Ipp) MILANO - Si stringe il cerchio attorno al regime di Muammar Gheddafi. Gli ufficiali della base aerea militare Gamal Abdel Nasser, a sud di Tobruk nel nord-est del Paese, sono passati dalla parte dei rivoltosi e secondo alcune fonti il rais controllerebbe solo la zona intorno alla sua residenza-caserma di Bab Al-Azizia. SANZIONI DAGLI USA - Sul fronte internazionale il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha firmato una serie di sanzioni contro la Libia, tra cui il congelamento dei beni del rais e dei suoi familiari depositati negli Stati Uniti. L'ordine esecutivo entra in vigore immediatamente e colpisce, oltre al colonnello, quattro suoi congiunti: Ayesha, generale dell'esercito; Khamis; Mutassim, consigliere per la sicurezza nazionale e Saif al-Islam. Venerdì il leader libico ha invitato i suoi sostenitori a prendere le armi contro i manifestanti in un Paese messo a ferro e fuoco, dove le vittime sarebbero già molte migliaia: "Ci batteremo e vinceremo. Se occorresse, apriremmo tutti i depositi di armi per armare tutto la popolazione" ha detto nel suo primo intervento pubblico dall'inizio della rivolta. Saif al-Islam, figlio del rais, ha però aperto uno spiraglio al dialogo: ha proposto agli oppositori di sospendere gli attacchi e intavolare dei negoziati. "VIOLATA LA DECENZA" - Tra le motivazioni citate dal presidente Usa per giustificare le sanzioni c'e il fatto che Gheddafi, il suo governo e i suoi stretti collaboratori hanno "preso misure estreme contro il popolo libico, tra cui l'uso di armi da guerra e mercenari per commettere violenza contro civili inermi". In una dichiarazione diffusa dal suo portavoce, Obama scrive che "il governo ha violato le norme internazionali, la decenza comune e deve essere considerato responsabile. Per tali ragioni queste sanzioni lo colpiscono, mentre proteggono gli asset che appartengono al popolo libico". La risoluzione franco-britannica sulla sanzioni RISOLUZIONE ONU - Venerdì anche il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha trovato un'intesa e sabato alle 17 (ora italiana) si riunirà per votare un documento contro il regime del colonnello. Una bozza di risoluzione che circola fra i quindici Paesi membri valuta sanzioni tra cui un embargo sulle armi, sui viaggi del rais e sul blocco dei suoi asset. Il Consiglio deve prendere "misure decisive" in tal senso, ha spiegato il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon: "La violenza deve cessare, chi versa con brutalità sangue di innocenti deve essere punito. Una perdita di tempo significa una perdita di vite umane". La bozza di risoluzione avverte inoltre Gheddafi che le violenze potrebbero essere considerate come crimini contro l'umanità. Il Consiglio dei diritti umani dell'Onu chiede la sospensione della Libia dai suoi ranghi e un'indagine indipendente sulle violenze, mentre l'Unione europea potrebbe decretare un embargo sulle armi, il congelamento dei beni e il divieto dei visti nei confronti di Gheddafi e del suo entourage. "DISERTATE O PROCESSO" - Ma il colonnello si è attivato per tempo nella speranza di salvare il suo immenso patrimonio. Secondo il Times sarebbe riuscito a nascondere 3 miliardi di sterline in un fondo di investimenti privati a Mayfair (quartiere chic di Londra), grazie a un intermediario basato in Svizzera che prima aveva avvicinato una nota casa di investimenti della City con l'obiettivo di depositare lì i fondi ma era stato bloccato. Il Tesoro britannico ha sguinzagliato i suoi segugi per identificare i capitali libici nascosti nel Paese: miliardi di sterline in conti bancari, oltre a una villa a Hampstead valutata 10 milioni. Dalla Gran Bretagna, e in particolare dal quotidiano Guardian, arriva anche un'altra notizia, secondo cui le autorità inglesi starebbero contattando figure di spicco del regime libico per persuaderle ad abbandonare Gheddafi ed evitare così il processo per crimini contro l'umanità. Sarebbero stati messi a punto piani di emergenza per sgomberare l'ambasciata del Regno Unito a Tripoli, ma il Foreign Office ha smentito una chiusura della sede nel fine settimana. L'ex ministro dell'Interno libico Abdel Fattah Yunis, in un'intervista concessa alla tv Al Arabiya, ha invitato l'esercito a unirsi subito alla rivolta del popolo, perché "ci dono le condizioni per vincere questa battaglia". E come hanno fatto altri diplomatici nei giorni scorsi, anche l'ambasciatore libico in Iran ha chiesto che Gheddafi lasci il potere: "Darà un segno di coraggio, il popolo è in grado di guidare il Paese". NUOVI SCONTRI - Sabato mattina la capitale libica si è svegliata in una situazione di calma relativa, ma un giornalista ha detto ad Al Jazeera che un gruppo di attivisti e intellettuali che ha partecipato alle proteste sta creando un coordinamento di oppositori per operare in stretto contatto con i gruppi che controllano Bengasi e la Cirenaica, in modo da portare avanti una lotta organizzata. Ci sono nuovi scontri ad Al Zawiyah, 30 chilometri a ovest di Tripoli: le forze di sicurezza hanno attaccato gli insorti aprendo il fuoco. Sono 50mila le persone che hanno attraversato il confine con la Tunisia per trovare rifugio: in gran parte sono tunisini tornati in patria attraversando via terra il confine. Molti anche gli egiziani, circa 6.500. Secondo il presidente della Comunità del mondo arabo in Italia (Co-mai), Foad Aodi, Gheddafi sarebbe ormai circondato: "In base alle informazioni che raccogliamo dalle nostre fonti a Tripoli, controlla ormai solo la zona intorno alla sua residenza-caserma di Bab Al-Azizia. Ci sono ancora segnalazioni di spari in città da parte delle milizie vicine al colonnello". ITALIANI RIMPATRIATI - Infine, proseguono con qualche difficoltà i rimpatri dei connazionali che ne hanno fatto richiesta. Venerdì sera sono state completate le operazioni di imbarco a bordo della nave San Giorgio della Marina militare, che dal porto di Misurata ha sgomberato 245 persone, 130 delle quali italiane. Quindi ha fatto rotta verso Catania, dove dovrebbe arrivare domenica mattina. In Libia sono rimasti 25 dipendenti della società Bonatti nell'area a sud di Bengasi controllata dai rivoltosi. A largo della costa c'è il cacciatorpediniere Mimbelli, pronto a raccogliere i connazionali se riuscirà a ottenere i permessi di attracco. Restano in piedi le ipotesi di un nuovo tentativo con un C130 dell'aeronautica militare e il trasporto via terra fino al confine con l'Egitto. Redazione online 26 febbraio 2011
Il reportage Tripoli, fuoco sulla protesta I mercenari sparano sui ribelli all'uscita dalla moschea Il Colonnello arringa la piazza: "Schiacceremo i nemici" Il reportage Tripoli, fuoco sulla protesta I mercenari sparano sui ribelli all'uscita dalla moschea Il Colonnello arringa la piazza: "Schiacceremo i nemici" Dal nostro inviato FABRIZIO CACCIA
TRIPOLI - Lo davano per spacciato, nascosto, braccato, anzi finito, con poche ore di vita, chiuso a marcire nel bunker sotterraneo di Bab Al Aziziya, prigioniero del suo passato e di un presente incertissimo. Anzi, ieri, lo davano addirittura per morto. E invece quasi al tramonto di un'altra giornata drammatica per la Libia, il Colonnello Muammar Gheddafi riappare, come una icona miracolosa, dalla cima del muraglione della grande fortezza araba affacciata sulla Piazza Verde di Tripoli. Ha una specie di colbacco sulla testa che lo protegge dalle sferzate del vento. "Eccomi tra voi, ballate, cantate e siate felici", grida al microfono. Un boato lo accoglie. Sulla piazza ci sono alcune migliaia di persone, che si sono radunate lì fin dal mattino per gridare al mondo che la Libia, o almeno la capitale, di certo è ancora sua. Del Colonnello. Bandiere verdi sotto le palme, clacson in festa e colpi di mitra in aria a segnalare che il Paese è comunque a rischio. Le opposte fazioni si fronteggiano ormai sempre più da vicino. Il baratro della guerra civile sembra a un passo. "Sarà un inferno per chi non vuole", avverte il Raìs, che così riscalda il cuore dei suoi, ma lancia anche messaggi precisi all'intera comunità internazionale. "Guarda Europa, guardate Stati Uniti, questo è il popolo libico, questo il frutto della rivoluzione", scandisce le parole guardando giù in basso quella platea adorante. Assomiglia molto a una dichiarazione di guerra: "Apriamo gli arsenali e armiamo il popolo. Combatteremo per la terra di Libia, lotteremo e riconquisteremo ogni pezzo di territorio, la rivoluzione ha resuscitato Omar al-Mukhtar (l'eroe nazionale, ndr) e vinceremo come contro il colonialismo italiano. Preparatevi a difendere la Libia". Ma stavolta ricompare in carne e ossa e affida la sua voce al vento furioso del lungomare, non più a vaghi messaggi televisivi o a confusi messaggi audio, perché la propaghi il più lontano possibile. Il Colonnello ora torna sulla scena e gioca quella che sembra la sua ultima carta. Ieri mattina in piazza Algeria, davanti alla moschea dedicata a Nasser, poco dopo la fine del sermone del venerdì in cui l'Imam ha invocato la pace per questa terra difficile, un centinaio di giovani ha cominciato a innalzare cori guerreschi per Allah il Grande mentre a poche centinaia di metri nella Piazza Verde cominciava già a raccogliersi la gente devota al Colonnello. "Sono quelli di Al Qaeda", diceva un ragazzo con voce preoccupata, allontanandosi in fretta dalla zona. Tempo 2-3 minuti quelle grida guerresche si sono mosse in corteo, puntando verso la Piazza Verde. È intervenuta però la polizia con i kalashnikov. Sull'asfalto sono rimaste delle vittime. Un testimone parla di almeno un morto e dieci feriti. Ma è difficile tenere la contabilità. Le notizie qui a Tripoli arrivano confuse, incontrollabili e si spargono come ulteriore veleno sulle ferite di questa gente. La colpa secondo Gheddafi è della stampa: "Giornalisti stranieri bugiardi, cani", ha inveito anche ieri. La sua gente grida in piazza contro Al Jazeera (che nella giornata di ieri aveva dichiarato che il Raìs controllava ormai soltanto la caserma di Bab Al Aziziya) ma anche gli occidentali ormai vengono guardati con sospetto e disprezzati. La foto che ha fatto il giro del mondo, quella delle presunte fosse comuni scavate dal regime per sotterrare e far sparire i cadaveri scomodi della repressione, sarebbe in realtà un'immagine del cimitero storico, l'antico camposanto di Shat, vicino a Tagiura, alla periferia della capitale. Quelle fosse, secondo il governo, erano tombe in manutenzione. Da queste parti la verità è ormai diventata un prisma complesso e bisogna passarne in rassegna tutte le facce prima di sbilanciarsi e dare una spiegazione. Anche l'aeroporto militare di Mitiga ieri veniva dato per occupato dai ribelli. Ma non era vero. Davanti al cancello, effettuato un sopralluogo, c'erano i militari di guardia con la bandiera verde e nessuna traccia di rivoltosi. Che pure ci sono e ormai sono arrivati anche a Tripoli. Raffiche e pistolettate si sentono sempre più di frequente nell'aria. Scontri a fuoco tra polizia e ribelli sono stati segnalati nelle ultime ore anche nei quartieri di Janzour, Fashlum e Soug al Juma'a e spari sono stati uditi nel mercato di Tripoli. Secondo le agenzie stampa internazionali, le forze di sicurezza fedeli a Gheddafi avrebbero aperto il fuoco su manifestanti antigovernativi che cercavano di dirigersi verso la Piazza Verde dopo la preghiera anche in altre zone della capitale. Qualcuno giura di aver visto cinque morti per terra. E miliziani governativi che sparavano a casaccio dalle ambulanze in corsa. Alcuni testimoni hanno parlato di cecchini che sparavano dai tetti sulla folla. Intanto intorno alla capitale, le forze governative che avrebbero cercato di riconquistare le città di Zawiya, a ovest di Tripoli, e di Misurata, a est, sarebbero state respinte. Anche Zintan sarebbe nelle mani dei ribelli, che pare controllino alcune strade d'accesso alla città. Tra le ultime defezioni ci sono quelle del procuratore generale Abdul-Rahman al-Abbar, che ha detto alla tv Al Arabiya che rassegnava le dimissioni per unirsi agli oppositori, e dell'ambasciatore libico presso le Nazioni Unite Mohammed Shalgham, che ancora martedì definiva Gheddafi "un amico". Anche le delegazioni libiche presso la Lega araba e presso le Nazioni unite a Ginevra hanno abbandonato il Raìs. "Forse diamo fastidio - dicono Annuar Franca, imprenditore, e Badrya Bargawi, medico ginecologo, amico personale di Saif Al Islam, il potente secondogenito del Raìs - perché la Libia malgrado tutto grazie a Gheddafi sta vivendo un boom economico ininterrotto, ai disoccupati vengono garantiti dei sussidi e ciascuna famiglia ha diritto ogni anno a 10.000 dinari, che vengono ricavati dai proventi del petrolio". Il loro amico Saif anche ieri è tornato a dire in un'intervista televisiva a Cnn Turk che la famiglia Gheddafi vivrà e morirà in Libia, qualunque cosa accada. "E nessuno si sognerà mai di distruggere i pozzi di petrolio, lasciandoseli bruciare alle spalle dopo aver abbandonato la nave. Non sarà un gruppo di terroristi a mandarci via". In serata Saif Al Islam ha convocato alcuni giornalisti stranieri. Esprimendosi in inglese, il figlio del Colonnello ha ammesso che a Misurata e a Zawiya, due delle città che sarebbero controllate dagli insorti, "abbiamo effettivamente problemi". "Ma abbiamo a che fare con un gruppo di terroristi - ha aggiunto -. L'esercito ha deciso di non attaccare questi terroristi, per dare una possibilità al negoziato. Noi ci auguriamo di poter trovare una via pacifica e di poterlo fare entro domani". 26 febbraio 2011
Petrolio, armamenti, appalti Il dossier sugli interessi italiani La relazione degli 007 al Viminale: 100 imprese coinvolte Petrolio, armamenti, appalti Il dossier sugli interessi italiani La relazione degli 007 al Viminale: 100 imprese coinvolte ROMA - Sistemi di alta tecnologia, veicoli, elicotteri, infrastrutture, impianti, mangimi industriali: sono affari da miliardi di euro quelli che le imprese italiane hanno concluso in Libia negli ultimi anni. E nell'elenco delle esportazioni tra il 2008 e il 2010 figurano anche ricambi per navi da guerra e per armamenti, dispositivi di tiro, materiali per bombe, razzi e missili. L'ultima relazione trasmessa dagli apparati di sicurezza al ministero dell'Interno fa il punto sulla crisi che sta travolgendo il regime del colonnello Gheddafi. Dedica un ampio capitolo alle ripercussioni che la rivolta può avere sull'economia del nostro Paese. Conferma le relazioni tra il Raìs e le industrie belliche. Poi analizza le ripercussioni che la guerra civile può avere sulla nostra economia "tenendo conto che la Libia si colloca al quinto posto nella graduatoria dei Paesi fornitori dell'Italia con un peso percentuale del 4,5 per cento sul totale delle nostre importazioni, mentre il nostro Paese rappresenta il primo esportatore che ricopre circa il 17,5 per cento delle importazioni libiche con un interscambio complessivo stimato nel 2010 di circa 12 miliardi di euro". Non solo. Nella relazione viene evidenziato come "la Libia risulta essere il primo fornitore di greggio e il terzo fornitore di gas per l'Italia". Gli investimenti di 100 aziende L'elenco delle imprese che fanno affari in Libia comprende tra l'altro Telecom e Alitalia, Edison e Grimaldi, Visa e Saipem. Il dossier evidenzia come "Impregilo ha ottenuto contratti per oltre un miliardo di euro per la costruzione di tre centri universitari e per infrastrutture da realizzare a Tripoli e Misurata, mentre il Gruppo Trevi sta lavorando a diversi grandi progetti edilizi nel centro di Tripoli". Sono cinque i settori nei quali gli italiani sono maggiormente impegnati: impiantistica, costruzioni, trasporti, meccanica e mangimi industriali con la Martini Silos. Le considerazioni degli analisti fanno ben comprendere quali possano essere le conseguenze della crisi: "L'Italia risulta essere il terzo Paese investitore tra quelli europei (escludendo il petrolio) e il quinto a livello mondiale. L'importanza che il mercato libico riveste per il nostro Paese è dimostrata anche dalla presenza stabile in Libia di oltre 100 imprese. Il maggiore investitore è l'Eni, ma di rilievo è anche la presenza della Iveco spa presente con una società mista e un impianto di assemblaggio di veicoli industriali". Nell'elenco delle aziende "c'è la Sirti che unitamente alla francese Alcatel ha ottenuto commesse per la fornitura e la messa in opera di oltre 7.000 chilometri di cavi di fibre ottiche per un importo globale di 161 milioni di euro (di cui 68 per Sirti); la Agusta-Westland che ha ottenuto il contratto per la fornitura di dieci elicotteri con relativi corsi di formazioni e assistenza postvendita; Alenia Aermacchi ha invece ottenuto un contratto da tre milioni di euro per un programma di formazione e revisione dei sistemi di propulsione su 12 aerei Sf-260". Ricambi per bombe e siluri Alla relazione sono allegate le tabelle che danno conto degli affari più remunerativi ed elencano sia le "esportazioni definitive" sia le "trattative contrattuali per le esportazioni definitive". Si scopre così che l'8 maggio 2009 la società Mbda Italia ha firmato un accordo da 2,5 milioni di euro per la fornitura di "materiale per bombe, siluri, razzi e missili", mentre nell'ottobre dello scorso anno Agusta ha ottenuto due contratti per apparecchiature di alta tecnologia a un costo complessivo di oltre 70 milioni di euro. A novembre la Oto Melara ha invece avviato la negoziazione per "armi o sistemi d'arma di calibro superiore a 12,7 mm oltre a materiale, ricambi, tecnologia know-how, attrezzature". Nel 2010 la Selex Sistemi Integrati, gruppo Finmeccanica, ha siglato un contratto da oltre 13 milioni di euro per materiale e ricambi di apparecchiature elettroniche e apparecchiature per la direzione del tiro". A gennaio la Intermarine spa ha avviato un negoziato da 500 milioni di euro per la fornitura di materiale e software per le navi da guerra". E un mese dopo ha fatto partire una nuova trattativa per 100 milioni di euro, mentre la Oto Melara discuteva la stessa cifra per la fornitura di materiale di uso bellico. Il fondo d'investimento L'ultimo affare la Alenia Aermacchi l'ha siglato il 14 gennaio 2011: fornitura di ricambi per aeromobili per quasi un milione di euro. Selex e Oto Melara hanno invece avviato contrattazioni per complessivi 70 milioni di euro, mentre Agusta sta negoziando un contratto da 80 milioni di euro "per apparecchiature elettroniche e materiale per l'addestramento militare o per la simulazione di scenari militari". Non si sa che futuro avranno queste "commesse", così come ci si interroga sulla presenza del fondo "Libyan Investment Authority" in alcune aziende italiane. Oltre alle partecipazioni azionarie in Fiat, Finmeccanica, Eni e Unicredit, nel dossier si evidenzia il possesso del "31 per cento della società Olcese nel settore manufatturiero, il 7,5 per cento della Juventus e il 33 per cento della Triestina". Fiorenza Sarzanini 26 febbraio 2011
spari contro i manifestanti nella capitale libica: MORTI E FERITI Gheddafi in piazza a Tripoli: "Difendete il paese" Il Colonnello: "combatteremo e uccideremo chi protesta" Ma il figlio Seif: "Cerchiamo accordo con i ribelli" * NOTIZIE CORRELATE * A Tripoli si scavano le fosse comuni (23 febbaio 2011) * La condanna di Obama: "Violenza mostruosa" (23 febbraio 2011) * Gheddafi ancora una volta in tv "Non lascio, morirò da martire" (22 febbraio 2011) * MULTIMEDIA: video-foto-audio spari contro i manifestanti nella capitale libica: MORTI E FERITI Gheddafi in piazza a Tripoli: "Difendete il paese" Il Colonnello: "combatteremo e uccideremo chi protesta" Ma il figlio Seif: "Cerchiamo accordo con i ribelli" Forze dei ribelli libici a Tobruk (Afp) Forze dei ribelli libici a Tobruk (Afp) MILANO - Tripoli è alla battaglia finale e Gheddafi ha deciso di andare personalmente in piazza ad arringare la folla: "Voi siete il popolo, preparatevi a difendere il paese. La battaglia del jihad ci ha permesso di sconfiggere la colonizzazione italiana e il popolo armato può sconfiggere ogni attacco". È quanto ha affermato il colonnello Muammar Gheddafi parlando alla folla nella piazza Verde. "I depositi di armi sono aperti per armare il popolo e assieme combatteremo, sconfiggeremo e uccideremo chi protesta. Guarda Europa, guarda America: questo è il popolo libico, questo è il frutto della rivoluzione". Infine un invito: "Ballate e siate felici". "CERCHIAMO ACCORDO" - Ma in serata il figlio Seif al-Islam, parlando con giornalisti occidentali ha annunciato che all'esercito è stato ordinato di fermarsi per poter avviare negoziati con i ribelli, che ha definito "un gruppo di terroristi". Il secondogenito del rais ha riferito di battaglie in due città: "A Misurata e Zawiya abbiamo problemi. L'esercito ha deciso di non attaccare per dare a questo gruppo di terroristi una possibilità per negoziare. Auspichiamo che si possa farlo pacificamente domani". GLI SCONTRI A TRIPOLI - Dopo i sanguinosi combattimenti della notte a Misurata la giornata è stata segnata da scontri a fuoco in varie aree della capitale libica, con le forze di Gheddafi che hanno sparato sui manifestanti. Ci sono stati morti, decine secondo Al Jazeera, e feriti, anche se la tv di Stato lo nega. L'aeroporto internazionale di Mitiga, a Tripoli, non è caduto nelle mani degli insorti, come era invece stato detto da diverse fonti durante tutta la giornata. Secondo il presidente della Comunità del mondo arabo in Italia (Co-mai) Foad Aodi, anche uno dei figli di Gheddafi sarebbe passato dalla parte degli insorti. LA PROTESTE NELLE MOSCHEE - Una protesta contro Gheddafi è stata invece immediatamente repressa dalla polizia alla fine della preghiera del venerdì, nella moschea di piazza Algeria, a pochi passi dalla piazza Verde dove 200 manifestanti avevano cominciato a gridare slogan islamici e contro il rais. Un dimostrante ha detto che manifestazioni analoghe si sono svolte in molte moschee della città. GIORNALISTI PORTATI VIA - Le forze di sicurezza pro-regime hanno poi portato via con la forza i giornalisti stranieri presenti nel centro di Tripoli, mentre centinaia di civili si riversavano nuovamente nella piazza Verde per la grande manifestazione. Lo ha reso noto un sito arabo dell'opposizione vicino ai rivoltosi. Esplosioni di gioia nelle città liberate Esplosioni di gioia nelle città liberate Esplosioni di gioia nelle città liberate Esplosioni di gioia nelle città liberate Esplosioni di gioia nelle città liberate Esplosioni di gioia nelle città liberate Esplosioni di gioia nelle città liberate Esplosioni di gioia nelle città liberate MARCIA SU TRIPOLI - Sarebbero stati 50 mila i manifestanti che dal quartiere periferico di Tajura si sono diretti verso il centro di Tripoli. Lo hanno riferito testimoni citati da Al-Arabiya. "Abbiamo un piano per far cadere Tripoli - ha detto al Wall Street Journal Tareq Saad Hussein, uno dei sette colonnelli che a Bengasi hanno preso il comando della rivolta, conquistando la seconda città del Paese - non ci fermeremo fino a quando non avremo liberato tutto il Paese". CONTROLLO DEI POZZI - I manifestanti anti-Gheddafi hanno anche preso il controllo di quasi tutti i giacimenti petroliferi a est del terminal di Ras Lanuf. "Quasi tutti i giacimenti petroliferi a est di Ras Lanuf adesso sono sotto il controllo del popolo", ha detto Abdessalam Najib, ingegnere petrolifero della compagnia libica Agico e membro della coalizione del 17 febbraio, secondo quanto riporta la stampa araba. Nijiab ha detto che gli impianti stanno lavorando con una capacità del 25%. Sempre più piccola la Libia del Raìs Rcd "PRESA MISURATA" - All'indomani di quelli furiosi di giovedì a Zawya, le milizie anti-governative libiche avrebbero preso inoltre il controllo della città costiera Misurata, situata a meno di 200 km dalla capitale, dopo aver respinto una "violenta" controffensiva. Le informazioni sulla situazione della terza città del Paese sono state a lungo confuse. Gli oppositori di Gheddafi avevano annunciato mercoledì di aver preso la città; i residenti hanno detto che mercenari e soldati lealisti hanno lanciato una controffensiva, giovedì, ma che è stata respinta. "I manifestanti hanno sconfitto le forze di sicurezza e preso il controllo della città", ha raccontato Mohamed Senoussi, 41 anni, uno dei capi della rivolta, "la situazione adesso è calma dopo 4 ore di intensa battaglia avvenuta nella mattina. Gli abitanti celebrano la vittoria e cantano "Dio è grande". "I civili stanno adesso organizzando il traffico, ispezionando la gente per cercare armi; sono stati arrestati alcuni infiltrati che si ritiene provenissero da Tripoli". Alcuni testimoni hanno confermato che Misurata è stata abbandonata dalle forze rimaste fedeli al leader libico ed è controllata dai rivoltosi, ma violenti combattimenti si sarebbero registrati nei pressi di una base aerea in prossimità della città, facendo numerosi morti. 130 ITALIANI A BORDO DELLA SAN MARCO - In serata sono state completate le operazioni di imbarco a bordo di nave San Giorgio della Marina militare, che al porto di Misurata ha assicurato l'evacuazione di 245 persone, tra cui 130 italiani. L'unità da sbarco farà ora rotta verso Catania, dove dovrebbe arrivare nella mattinata di domenica. Il cacciatorpediniere "Mimbelli" rimane invece nell'area nell'eventualità di altri interventi per l'evacuazione di connazionali. L'APPOGGIO DI MUGABE - Dallo Zimbabwe, intanto, arriva la notizia che il dittatorere Robert Mugabe avrebbe inviato dei combattenti per dare man forte al colonnello Gheddafi. Il presidente dello Zimbabwe avrebbe inoltre offerto asilo nel suo Paese al leader libico. PARIGI, SI DIMETTE L'AMBASCIATORE - E a Parigi si è dimesso l'ambasciatore libico. La decisione, arrivata dopo l'assalto della sede diplomatica della capitale francese, è stata presa per condannare "gli atti di repressione in Libia". Lo ha riferito un comunicato diffuso a Parigi sottolineando che anche il rappresentante libico all'Unesco ha preso le distanze dal regime di Gheddafi, schierandosi al fianco della "rivoluzione". La stessa posizione è stata assunta da tutto il corpo diplomatico libico presente in India, secondo quanto riferisce Al Jazeera. Redazione online 25 febbraio 2011(ultima modifica: 26 febbraio 2011)
2011-02-22 "USCITE DALLE CASE E ATTACCATE MANIFESTANTi". E BERLUSCONI LO CHIAMA Gheddafi ancora una volta in tv "Non lascio, morirò da martire" Nuovo proclama dopo la fugace apparizione della notte: "Non sono un presidente, ma un leader rivoluzionario" "USCITE DALLE CASE E ATTACCATE MANIFESTANTi". E BERLUSCONI LO CHIAMA Gheddafi ancora una volta in tv "Non lascio, morirò da martire" Nuovo proclama dopo la fugace apparizione della notte: "Non sono un presidente, ma un leader rivoluzionario" MILANO - La situazione in Libia è critica. Il bilancio dei bombardamenti sulla folla di manifestanti si aggrava e Muammar Gheddafi torna in tv, dopo la brevissima apparizione, appena 22 secondi, della scorsa notte. Questa volta è un lungo messaggio quello che il raìs rivolge alla nazione, per dire, soprattutto, che non ha alcuna intenzione di lasciare la guida del Paese. "Non sono un presidente e non posso dimettermi" ha detto il Colonnello, sottolineando di essere invece il leader della rivoluzione e di voler rimanere, "fino all'eternità, un combattente". "Resterò a capo della rivoluzione fino alla morte, morirò come un martire, come mio nonno" ha aggiunto il raìs, lanciando una sorta di guanto di sfida al popolo che da una settimana contesta il suo potere e che ne chiede le dimissioni dopo più di 40 anni. "Io - ha ricordato - sono un rivoluzionario. Ho portato la vittoria in passato di questa vittoria si è potuto godere per generazioni". ACCUSE A ITALIA E USA - Gheddafi ha assicurato che il suo Paese non è in guerra e ha aggiunto di aver lasciato sempre il potere al popolo. "Voi avete deciso che il petrolio sia gestito dallo Stato, lo hanno deciso i comitati popolari" ha sottolineato. Riferendosi a quanto accaduto negli ultimi giorni a Tripoli, il Colonnello ha negato di aver fatto ricorso all'uso della forza. "Ma lo faremo" ha promesso pure, invitando i suoi sostenitori a scendere in piazza e a formare "comitati di sicurezza popolare". Quanto agli oppositori che hanno protestato in questi giorni, il leader libico non ha usato mezzi termini. "Hanno dato le armi ai ragazzini, li hanno drogati. Andate ad attaccare questi ratti. Le famiglie dovrebbero raccogliere i propri figli dalle strade" ha esortato Gheddafi, accusando anche gli Stati Uniti e l'Italia di aver "distribuito ai ragazzi a Bengasi" razzi rpg. "Se fossero confermate le parole di Gheddafi - ha replicato il ministro degli Esteri Franco Frattini - si tratterebbe di una purissima falsità che lascia sgomenti e sbigottiti". L'invito del Colonnello al popolo libico è comunque quello di "uscire dalle case" e di "attaccare i manifestanti" in quella che definisce una "marcia santa". Alla polizia e all'esercito il Colonnello ha chiesto invece di "schiacciare la rivolta". LA MINACCIA - Una vera e propria minaccia quella di Gheddafi, che ha promesso di "ripulire la Libia casa per casa" se le proteste continueranno. In tal caso, ai "ribelli" sarà data una risposta "simile a Tienanmen e Falluja". Nel discorso trasmesso in diretta dalla televisione libica, il Colonnello ha anche aggiunto che non ha "nulla in contrario" al fatto che "il popolo faccia" una nuova Costituzione e nuove leggi e ha affermato che già mercoledì, se così si desidera, può nascere una "nuova Jamahirya" (Repubblica) nel Paese. LA TELEFONATA - In serata Palazzo Chigi, con un comunicato, ha reso noto che "il presidente del Consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi, ha avuto nel pomeriggio una conversazione telefonica con il leader della Jamahiriya libica, Muammar El Gheddafi". Il leader libico avrebbe rassicurato il premier sulla situazione in Libia, dicendo che nel Paese va tutto bene e che la verità sugli eventi la dicono i media libici. Secondo l'agenzia Tmnews, nel corso del colloquio di una ventina di minuti, si è parlato anche del passaggio in cui Gheddafi ha sostenuto che l'Italia avrebbe fornito razzi ai manifestanti. Circostanza, quest'ultima, che secondo le fonti "Berlusconi ha seccamente smentito". Il cavaliere avrebbe invece fatto appello al leader libico affinché scongiuri una guerra civile. In passato, per due circostanze nell'ultimo anno, e con tutti gli onori, Berlusconi ha ospitato Gheddafi a Roma. Le lezioni di Corano impartite a frotte di hostess ingaggiate appositamente, le tende berbere a Villa Dora Pamphili, lo spettacolo del corpo dei carabinieri a cavallo, una serie di eventi eccezionali che fecero molto discutere visto la caratura del personaggio a cui erano dedicati. MERKEL: "DISCORSO SPAVENTOSO" - Angela Merkel ha definito "spaventoso" il discorso di Gheddafi. Il cancelliere tedesco ha anche chiesto "alle autorità libiche la fine della repressione contro la popolazione". Se "le violenze non cesseranno, rifletteremo su nuove sanzioni. Le informazioni che ci arrivano dalla Libia sono estremamente preoccupanti". LEGA ARABA - Intanto la Lega Araba ha escluso la Libia da tutte le riunioni dell'organizzazione fino a quando non risponderà alle richieste dei manifestanti e fino a quando continueranno le violenze. Lo si apprende da un comunicato. Gheddafi, fugace apparizione nella notte "SONO A TRIPOLI" - La notte scorsa, al termine di una giornata di caos con morti e feriti nelle maggiori città del Paese, il Colonnello aveva fatto una breve apparizione in diretta sulla tv libica dalla sua residenza di Bab al Azizia, a Tripoli. "Non dovete credere ai canali televisivi che appartengono ai cani randagi. Volevo dire qualcosa ai giovani e stare con loro fino a tardi ma poi è cominciato a piovere". Redazione online 22 febbraio 2011
L'ex presidente del consiglio intervistato dal Tg3 Prodi: "Con Gheddafi il governo Berlusconi ha dato spettacolo" "I rapporti sono utili ma la dignità va salvata" * NOTIZIE CORRELATE * Bombe su Tripoli: "Mille morti". Chiuso il gasdotto di GreenStream (22 febbraio 2011) L'ex presidente del consiglio intervistato dal Tg3 Prodi: "Con Gheddafi il governo Berlusconi ha dato spettacolo" "I rapporti sono utili ma la dignità va salvata" Gheddafi con Prodi quando era presidente della commissione Ue nel 2004 (Ansa) Gheddafi con Prodi quando era presidente della commissione Ue nel 2004 (Ansa) MILANO - Il governo è "andato oltre" nel rapporto con Gheddafi e alla fine si è "fatto spettacolo". Così Romano Prodi, intervistato dal Tg3, parla della situazione in Libia e dei rapporti tra il nostro paese e il regime. Prodi non si mostra ottimista su un processo di riconciliazione nel paese nordafricano perché "quando è corso molto sangue è difficile riconciliarsi". Quanto alla resistenza di Gheddafi al comando, Prodi non si sbilancia: "Nessuno può dirlo" anche se credo che "la situazione sia a un punto di non ritorno". IL GOVERNO - Il professore si concentra sull'atteggiamento del governo italiano: "Le violenze vanno condannate subito. In questo caso riconosco che c'erano stati tali legami e un tale intreccio di interessi per cui c'era qualche difficoltà ad avere la reazione che questi eventi richiedono", sottolinea. "I rapporti con la Libia sono utili ma la dignità va sempre salvata". Non è "utile andare oltre le coordinate" ma con il governo Berlusconi "si è andati oltre perchè non era necessario, si è fatto spettacolo". Prodi non sottoscrisse l'accordo con Gheddafi "perché non lo ritenevo conveniente" e poi si dice preoccupato "per le nostre imprese in Libia". "Ci saranno certamente mesi di turbolenza", prevede. Sull'ipotesi di nuove ondate di immigrati, Prodi dice: "Non penso arrivino nuovi immigrati", ma "quando arrivano dal mare non c'è alternativa ad accoglierli. Bisogna rimpatriarli ma dopo averli accolti". (fonte: Adnkronos)
il ministro degli esteri: "preoccupato per la possibilità di immigrazione epocale" L'Onu all'Italia: accogliete i rifugiati "200-300mila migranti in arrivo" L'allarme dal vertice di Palazzo Chigi. Bossi: "Li mandiamo in Germania" * NOTIZIE CORRELATE * Numeri utili Ambasciata, unità di crisi, Alitalia.... il ministro degli esteri: "preoccupato per la possibilità di immigrazione epocale" L'Onu all'Italia: accogliete i rifugiati "200-300mila migranti in arrivo" L'allarme dal vertice di Palazzo Chigi. Bossi: "Li mandiamo in Germania" (Ansa) (Ansa) MILANO - C'è il rischio che arrivino in Italia 200-300mila migranti in fuga dalla Libia. È uno degli scenari - secondo quanto si apprende da fonti governative - emerso nel vertice in corso a palazzo Chigi. Alla riunione, presieduta dal premier Silvio Berlusconi, partecipano i ministri degli Esteri, Franco Frattini, della Difesa, Ignazio La Russa, dell'Economia, Giulio Tremonti, del Lavoro, Maurizio Sacconi, della Giustizia, Angelino Alfano, e dell'Interno, Roberto Maroni. LE NAVI - Intanto sono in movimento verso la Libia le navi San Marco, San Giorgio e Mimbelli della Marina Militare italiana che potrebbero essere impiegate per le operazioni di rimpatrio dei nostri connazionali. Lo si apprende da fonti governative presenti al vertice a palazzo Chigi secondo le quali le navi rimarranno a distanza di qualche ora dalla costa libica, pronte ad essere immediatamente operative. Questo perché il C-130 programmato per martedì per il rimpatrio dei primi cento italiani dalla Libia non è partito per la mancanza delle necessarie condizioni di sicurezza. La notizia è stata confermata dal ministro della Difesa Ignazio La Russa. In particolare, secondo quanto si è appreso, in un primo momento l'aereo sarebbe dovuto atterrare a Bengasi, ma la pista è stata bombardata ed è quindi inagibile. Poi si è optato per lo scalo di Misurata, ma anche questo è stato reso inagibile proprio mentre il C-130 stava per decollare. Anche una terza opzione si è infine resa impraticabile, perché non ci sono le condizioni per ripartire. L'ONU - Il possibile flusso di profughi dalla Libia in fiamme spaventa l'Europa, e in particolare l'Italia, ma l'Onu lancia un appello affinché non si respingano le persone in fuga dagli scontri. Melissa Fleming, la portavoce dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) dell'Acnur, ha detto che l'Italia è tra i paesi che "più probabilmente riceveranno un afflusso di persone in fuga dalla Libia", tra cui cittadini libici e profughi di altre nazioni. "Stiamo dicendo, "per favore, non respingeteli"", ha detto in un briefing a Ginevra, dove l'agenzia ha la sede. "E' il momento di mostrare spirito umanitario e generosità verso gente che ha subito un forte trauma". Ci sono in Libia circa 8000 rifugiati politici registrati dall'Acnur e altri 3000 richiedenti asilo con la domanda in sospeso provenienti da Sudan, Iraq, Eritrea, Somalia, Ciad e Territori palestinesi. BOSSI: "LI MANDIAMO IN FRANCIA E GERMANIA" - La risposta di Umberto Bossi sbatte però la porta in faccia a questa soluzione: "intanto non sono arrivati - ha detto il leader della Lega - e speriamo che non arrivino. Se arrivano li mandiamo in Francia e Germania...". UE: "NESSUNO SMISTAMENTO" - Anche se non si tratta ancora di una posizione ufficiale, dalla Ue arriva una prima doccia fredda per l'Italia: "Solidarietà e disponibilità a fornire materiale umano e mezzi finanziari" ma non ci sarà alcuna apertura nei confronti di una distribuzione del fardello dell'immigrazione proveniente dai Paesi del Nord Africa. È quanto hanno anticipato alcune fonti diplomatiche europee. I governi del nord Europa hanno intenzione di mettere sul tavolo del Consiglio affari interni e giustizia (Gai), che si terrà giovedì e venerdì prossimi, la disponibilità a considerare la questione delle rivolte nei Paesi arabi come "un problema europeo", ma fanno notare che "un paese di 60 milioni di abitanti non può avere problemi a fronteggiare qualche migliaio di migranti". Inoltre osservano che "la legislazione europea è chiara": nel senso che la gestione degli immigrati, intesa come rimpatrio degli illegali e valutazione delle domande d'asilo, spetta al Paese in cui essi approdano. "Tra l'altro - osserva la fonte - l'Italia non ha voluto alcuno degli immigrati che sono arrivati a Malta. E a suo tempo la Germania non battè ciglio di fronte ai 300.000 che arrivarono nel paese al tempo della crisi nei Balcani". BERSANI: "GOVERNO INADEGUATO" - La segreteria nazionale del Partito Democratico, con una nota ha intanto denunciato "la gravità del comportamento del governo e la drammatica inadeguatezza della iniziativa politica del presidente del Consiglio e del ministro degli Esteri di fronte alla sanguinaria risposta del colonnello Gheddafi nei confronti della richiesta di democrazia da parte del popolo libico". Giorgio Napolitano Giorgio Napolitano PREOCCUPAZIONE DI NAPOLITANO - Anche il capo dello Stato Giorgio Napolitano "segue con attenzione le drammatiche notizie provenienti dalla Libia" e attraverso un comunicato ha chiesto che si fermino le violenze e che si ascolti il popolo. Intanto il governo italiano sta predisponendo i mezzi per cercare di evacuare i nostri connazionali presenti nel Paese di Muammar Gheddafi. Il capo dello Stato sottolinea "come alle legittime richieste di riforme e di maggiore democrazia che giungono dalla popolazione libica vada data una risposta nel quadro di un dialogo fra le differenti componenti della società civile libica e le autorità del Paese che miri a garantire il diritto di libera espressione della volontà popolare. Crisi libica, numeri e siti utili: ambasciata, unità di crisi... VOLI - Le possibilità di lasciare la Libia ovviamente sono legate alla regolarità dei voli. Sono atterrati in serata a Malpensa e Fiumicino i primi due voli speciali provenienti da Tripoli, messi a disposizione da Alitalia. Quasi 300 i passeggeri sbarcati a Roma e 140 quelli giunti a Milano. Nel frattempo, fonti delle Fiamme Gialle fanno sapere che si sono spostati dallo loro base a Bengasi all'ambasciata italiana a Tripoli i finanzieri che normalmente svolgono compiti di supporto a bordo delle motovedette libiche, come previsto dal trattato Roma-Tripoli sui pattugliamenti in mare. "Non si erano manifestate criticità - spiegano le stesse fonti - ma l'incarico è stato semplicemente sospeso visto che le autorità libiche non stanno svolgendo pattugliamenti in mare". Il ministero della Difesa ha fatto sapere che il cacciatorpediniere Mimbelli incrocia nelle acque del Canale di Sicilia: la nave è dotata di un sistema radar molto efficiente ed è quindi in grado di monitorare l'arrivo di nuovo velivoli dalla Libia, visto il caso precedente dei due caccia giunti a Malta. FRATTINI: "RISCHIO MAREA DI IMMIGRATI" - Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha dichiarato durante una conferenza stampa al Cairo seguita all'incontro con il segretario generale della Lega Araba Amr Mussa: "Siamo molto preoccupati per il rischio di una guerra civile e per i rischi di un'immigrazione verso l'Unione Europea di dimensioni epocali". Frattini si era detto lunedì "molto preoccupato per le ipotesi che stanno emergendo di un emirato islamico a Bengasi". Frattini aveva affermato che l'Ue "non deve interferire" nei processi di transizione in corso nel mondo arabo cercando di "esportare" il proprio modello di democrazia. Parole che hanno sollevato dure critiche da parte dell'opposizione. Ma proprio oggi Frattini si rivolge all'opposizione sull'apertura di Maroni e, dall'altra parte, di Casini: "Spero che la parte responsabile dell'opposizione possa in questo momento condividere quest'appello". Redazione Online 22 febbraio 2011 RIPRODUZIONE RISERVATA 22 febbraio 2011
La Casa Bianca: "Violenza spaventosa" Bombe su Tripoli: "Mille morti" Chiuso il gasdotto di GreenStream Porta 9,2 miliardi di metri cubi di gas Roma. Il governo italiano e la Ue rassicurano: c'è abbastanza stoccaggio La Casa Bianca: "Violenza spaventosa" Bombe su Tripoli: "Mille morti" Chiuso il gasdotto di GreenStream Porta 9,2 miliardi di metri cubi di gas Roma. Il governo italiano e la Ue rassicurano: c'è abbastanza stoccaggio I corpi carbonizzati MILANO - Dopo quella fugace di stanotte dalla caserma di Bab al Azizia, a Tripoli, Gheddafi è tornato a parlare sulla tv di Stato per ribadire che non lascerà il Paese, proprio mentre giunge notizia che sono oltre mille i morti a Tripoli durante i bombardamenti sulla folla di manifestanti scesi in piazza per protestare contro il regime. A riferire lo sconcertante dato è il presidente della Comunità del mondo arabo in Italia (Comai) Foad Aodi, che è in costante contatto, da Roma, con alcuni testimoni in Libia. "Manca l'energia elettrica e i medicinali negli ospedali", ha riferito ancora Aodi, che ha rivolto un appello al governo italiano affinchè si mobiliti "per un aiuto economico e con l'invio di medicinali in Libia. Il governo non rimanga in coma, sordo e cieco, alla rivoluzione che è in atto in queste ore". I battaglioni della sicurezza, fedeli a Gheddafi, hanno nuovamente aperto il fuoco infatti contro i manifestanti a Tripoli. Le violenze sarebbero avvenute nel quartiere di Fashlun, alla periferia della città, che lunedì è stata obiettivo dei raid dei caccia militari libici insieme al sobborgo di Tajura. A Bengasi gli abitanti hanno preso il controllo della città. Lo riferisce Ahmad Bin Tahir, medico locale citato dalla Bbc: "Qui non c'è più la presenza dello Stato - ha detto - Non c'è polizia, non c'è esercito, non ci sono figure pubbliche. Il popolo si è organizzato in comitati per riportare l'ordine". Dopo la tragica giornata di massacri, 250 solo i morti dei raid di lunedì, la Libia si prepara a fare la conta. La conta dei morti. E la conta di chi è rimasto con Gheddafi. Secondo l'International Federation for Human Rights (Ifhr), sono circa una decina le città in mano agli insorti. Oltre a Bengasi, dice Ifhr, i ribelli hanno il controllo di Sirte e Torbruk, Misrata, Khoms, Tarhounah, Zenten, Al-Zawiya e Zouara. "Il regime di Muammar Gheddafi controlla solo Tripoli, in questo momento lo scontro è in corso solo in quella zona, dove i manifestanti vengono attaccati" ha detto Muhammad Abdellah, vice presidente del gruppo di opposizione. Intanto sono state sospese le attività nei principali porti mercantili libici a causa delle violenze nel Paese. Lo riferiscono fonti di società marittime che operano nel Paese, precisando che si tratta in particolare dei porti di Tripoli, Bengasi e Misurata. SANGUE E GAS - In precedenza la pista dell'aeroporto di Bengasi è stata distrutta dai bombardamenti e gli aerei non possono decollare né atterrare, ne ha dato notizia il ministro degli Esteri egiziano. E mentre l'Egitto aumenta le guardie di frontiera, la Lega araba convoca una riunione straordinaria, a Nalut, pochi chilometri dalla Tunisia, i manifestanti hanno bloccato l'afflusso di gas verso l'Italia chiudendo il gasdotto che passa per la loro provincia. La minaccia, pubblicata sul sito Internet del gruppo di opposizione "17 febbraio", era rivolta "all'Unione Europea, e in particolare all'Italia. Con l'accusa di silenzio riguardo le stragi compiute da Gheddafi "la gente di Nalut", aveva annunciato la decisione di interrompere alla fonte l'afflusso di gas, chiudendo il giacimento di al-Wafa. "Per noi il sangue libico è più prezioso del petrolio o del gas", conclude il messaggio. Nel primissimo pomeriggio di martedì Eni conferma di aver chiuso il gasdotto di GreenStream: la condotta trasporta 9,2 miliardi di metri cubi di gas Roma. Sempre sul fronte energetico arriva la notizia, confermata da fonti del governo italiano, del blocco dei terminali libici del petrolio: "La situazione è preoccupante", dice la fonte. "Varcato il confine di Sollum, zona in mano ai ribelli" dal nostro inviato Lorenzo Cremonesi CASA BIANCA - La Casa Bianca ha condannato la "violenza spaventosa" in corso in Libia, e ha rivolto un appello alla comunità internazionale affinchè chieda "con una sola voce" di fermare la violenza. Il portavoce dell'amministrazione Obama, Jay Carney, parlando a bordo dell'Air Force One in volo verso Cleveland, dove oggi Obama ha un incontro pubblico, ha detto che la Libia ha il dovere di rispettare il diritti fondamentale del popolo. ATTENZIONE ALTA E STOCCAGGI - Intanto i flussi di gas importati attraverso il gasdotto Greenstream sarebbero rallentati già da lunedì sera. E la situazione "è in peggioramento" riporta la Staffetta Quotidiana, giornale specializzato sui temi dell'energia. Bombe sulla folla. "Genocidio" EGITTO E CONFINI - Si registrano anche le prime crepe tra i sostenitori di Gheddafi. Diversi militari e politici libici sono passati dalla parte dei manifestanti in seguito all'eccessivo uso della forza per reprimere i cortei. Mentre l'L'Egitto annuncia che sta rafforzando la presenza di truppe lungo il confine con la Libia. Obiettivi: rendere sicuro il confine egiziano e l'apertura del valico di Salum, il principale punto di passaggio sulla costa fra i due stati. In precedenza era stato aperto solo per poche ore al giorno, ora avrebbe il compito di lasciar passare i feriti. Secondo quanto annunciato due ospedali da campo sono già stati allestiti e nella zona sarebbero state aperte anche strutture per accogliere libici in fuga dalla patria. Messaggi da e per la Libia: il canale aperto per i lettori di Corriere.it SPAZIO AEREO E INVITI A GHEDDAFI - A Bengasi sarebbe atteso un C-130 dell'aeronautica militare italiana per rimpatriare i primi 100 italiani dalla città libica. Ma l'aeroporto è distrutto. Rispetto al rientro degli italiani altri due aerei di Alitalia dovrebbero partire alla volta della Libia. Tripoli ha, nel frattempo, autorizzato l'atterraggio degli aerei russi che rimpatrieranno i cittadini di questo paese residenti in Libia. Lo ha annunciato una telefonata dell'ambasciatore russo a Tripoli, Vladimir Chamov. Secondo precedenti informazioni diffuse dal ministero per le emergenze, sono 563 i russi che ancora si trovano in Libia, 204 dei quali dipendenti delle Ferrovie russe, impegnate nel progetto per l'alta velocità da Bengasi e Sirte. Intanto, da Mosca, il segretario del Partito Nazional democratico russo, Vladimir Zhirinovsky, in una dichiarazione pubblicata sul sito del suo partito si rivolge a Muammar Gheddafi. "Le suggerisco di fare di Mosca la sua residenza definitiva. La invito sinceramente come mio gradito ospite". Il governo turco sta, invece, organizzando il rimpatrio dei suoi cittadini con tre navi. "Ci sono 4.857 cittadini turchi a Bengasi e dintorni e le navi ne porteranno via circa 3mila, circa mille sono stati evacuati per via aerea", ha riferito il ministero degli Esteri turco Ahmet Davutoglu spiegando che i trasferimenti avverranno via mare dopo che non ha ottenuto i permessi per atterrare all'aeroporto di Bengasi. Il ministro ha detto anche che altri 10 Paesi hanno chiesto l'aiuto della Turchia per evacuare i propri cittadini, ma non ha specificato quali. La Anatolia news ha riferito che altre due navi potrebbero salpare oggi e domani. l.p. 22 febbraio 2011
Secondo il governo, non ci saranno contraccolpi neppure sul medio-lungo periodo "Nessun problema per le forniture di gas" L'annuncio del ministero dello Sviluppo economico: quelle dalla Libia sono solo un decimo del totale Secondo il governo, non ci saranno contraccolpi neppure sul medio-lungo periodo "Nessun problema per le forniture di gas" L'annuncio del ministero dello Sviluppo economico: quelle dalla Libia sono solo un decimo del totale (Ansa) (Ansa) ROMA - I consumi di gas per il medio-lungo periodo "sono assicurati". Lo afferma il ministero dello Sviluppo economico in una nota, in cui si spiega che "le procedure di messa in sicurezza attivate da Eni relativamente a Greenstream consentono un'opportuna tutela tecnica del gasdotto e non comportano alcun problema per la sicurezza degli approvvigionamenti e il consumo di gas per il nostro Paese". La fornitura di gas attraverso il gasdotto Greenstream è infatti stata sospesa, come ha comunicato l'Eni, precisando di essere in grado di far fronte alla domanda di gas dei propri clienti. "DIVERSE LE FONTI" - "L'Italia - prosegue la nota del governo - importa gas da diversi Paesi, attraverso un sistema differenziato di fonti e gasdotti, di cui quello libico rappresenta circa un decimo delle attuali forniture. Il sistema di stoccaggio di gas esistente nel nostro Paese può consentire, in caso di necessità, di avere un'ulteriore riserva per la sicurezza delle forniture. Pur non esistendo dunque alcuna problematica ed essendo assicurati i consumi per il medio-lungo periodo, si evidenzia che presso il ministero sono in funzione le strutture tecniche, in primis il Comitato monitoraggio gas, deputate a monitorare costantemente la situazione e esaminare gli scenari a medio-termine". CONVOCATO COMITATO EMERGENZA GAS - Il Comitato per l'emergenza gas è stato intanto convocato per mercoledì mattina. L'organismo, presieduto dal ministro dello Sviluppo economico e al quale partecipano anche gli operatori del settore, si occupa di monitorare e decidere le strategie in occasione di situazioni di pericolo per l'approvvigionamento 22 febbraio 2011
Intere popolazioni furono deportate per battere i ribelli Tripoli, arido suolo di dolore e fallimenti Il bilancio negativo del colonialismo italiano in Libia Intere popolazioni furono deportate per battere i ribelli Tripoli, arido suolo di dolore e fallimenti Il bilancio negativo del colonialismo italiano in Libia L'arrivo dei coloni italiani a Tripoli nel 1937 L'arrivo dei coloni italiani a Tripoli nel 1937 Mai colonizzazione fu più sfortunata di quella italiana in Libia. E pensare che tutto era parso facile nell'ottobre del 1911, quando le truppe italiane inviate dal governo liberale di Giovanni Giolitti erano sbarcate a Tobruk, Derna, Bengasi e si erano avventurate in quella terra senza quasi incontrare resistenza da parte dei duemila mal equipaggiati soldati ottomani lasciati a presidio dalla Turchia. Casomai il nostro esercito ebbe qualche problema da parte dei senussi, gli islamici che, senza entrare in conflitto con Istanbul, dalla metà dell'Ottocento (nel 1843 Muhammad al-Sanusi si era stabilito a sud-ovest di Cirene), avevano dato alle genti della Tripolitania e della Cirenaica nuove forme di organizzazione politico-sociale (oltre a una versione del tradizionale credo religioso maomettano più moderna, più adatta alla mentalità e alle esigenze delle popolazioni beduine). Ma l'impresa italiana ebbe comunque successo e nell'ottobre del 1912 la Sublime Porta (il governo di Istanbul) firmò il trattato di Ouchy (Losanna) in virtù del quale la Turchia ritirava le proprie forze armate dalla Libia, lasciando il Paese all'Italia. Dopodiché la guerriglia della Senussia proseguì e - con l'aiuto di parte dell'esercito turco non rassegnato a rispettare le decisioni di Ouchy - avrebbe potuto crearci seri guai se le ripercussioni in loco della Prima guerra mondiale e un'epidemia di peste (tra il 1916 e il 1917) non ne avessero mortificato le ambizioni. Così, terminato il grande conflitto, l'avventura della colonizzazione italiana in Libia poté riprendere. E procedere gradualmente alla conclusione che giustifica il titolo di un libro di Federico Cresti che l'editore Carocci si accinge adesso a dare alle stampe: Non desiderare la terra d'altri. La storiografia ci ha tramandato il racconto di un'Italia liberale che, dalla fine della guerra (1918) alla marcia su Roma (1922), tentò la via di una convivenza pacifica con i senussi e la popolazione locale; sarebbe stata poi l'Italia mussoliniana a riprendere la via delle armi. In parte le cose andarono così. Ma solo in parte. L'esperimento - successivo alla Prima guerra mondiale - di governo indiretto e di "associazione" dei locali, scrive Cresti, mostrò effettivamente "una volontà di conciliazione e di rispetto delle popolazioni della Libia che avrebbe forse potuto evitare, se applicata con continuità, gli eccidi e i disastri successivi". Ma già nel 1922, prima della marcia su Roma, all'epoca del governatorato di Giuseppe Volpi (quando era ministro delle Colonie Giovanni Amendola), da parte italiana, in Libia, si era tornati all'uso delle maniere forti. Sicché si può tranquillamente affermare che la seconda guerra italo-senussa, all'epoca enfaticamente presentata come la riconquista fascista della Cirenaica, era stata impostata prima dell'avvento del fascismo. Anche se poi la stagione più cruenta del conflitto sarà riconducibile alla responsabilità del maresciallo Pietro Badoglio, il quale entrò sulla scena libica alla fine del 1928 affermando che non avrebbe dato tregua a chi non si fosse sottomesso ("né a lui né alla sua famiglia né ai suoi armenti né ai suoi eredi") e a quella del generale Rodolfo Graziani, che dal marzo del 1930 diede avvio all'ultima e più dura fase di repressione della resistenza. In questo contesto furono organizzati spostamenti coatti di popolazione mai visti prima di allora. Scriveva Badoglio, poco dopo l'arrivo di Graziani: "Bisogna anzitutto creare un distacco territoriale largo e ben deciso fra formazioni ribelli e popolazione sottomessa; non mi nascondo la portata e la gravità di questo provvedimento che vorrà dire la rovina della popolazione cosiddetta sottomessa; ma oramai la via ci è stata tracciata e noi dobbiamo proseguirla fino alla fine anche se dovesse perire tutta la popolazione della Cirenaica". E Graziani prese l'ordine alla lettera, organizzando lo spostamento dell'intera popolazione della Cirenaica lungo la pianura costiera, tra il mare e le pendici dell'altipiano. Fu una marcia, in inverno, di centinaia e centinaia di chilometri. Si ebbe qualche gesto di pietà nei confronti delle popolazioni nomadi del Gebel? Pressoché nessuno. Badoglio così scrisse a Graziani nel 1932: "Non ricercare il rientro dei fuorusciti. È meglio perderli per sempre... Il Gebel deve essere dominato prevalentemente dal colono italiano... L'indigeno si convinca o, per meglio dire, si abitui a considerare quella (dei campi di concentramento lungo i territori costieri della Cirenaica e della Sirtica) come la sua destinazione permanente". Le direttive di Badoglio sul mantenimento delle popolazioni nei campi di concentramento, a meno che non fossero determinate da una precisa volontà di sterminio, erano insostenibili, osserva Cresti; "se si fossero concretizzate avrebbero portato, con ogni probabilità, alla progressiva distruzione delle popolazioni concentrate". Graziani fu più duttile. Ma l'esito di quelle politiche fu in ogni caso drammatico. Impossibile calcolare con esattezza il numero dei morti, che furono numerosissimi. Oltretutto Badoglio ordinò di passare per le armi chiunque, tra i nativi, fosse stato trovato sul Gebel da dove la deportazione aveva avuto inizio. Nel settembre del 1931 Umar al-Muktar, l'anziano capo della resistenza (aveva quasi 70 anni), fu catturato e impiccato. Il 24 gennaio del 1932 Badoglio fu in grado di dichiarare che la ribellione era definitivamente stroncata e la Libia "del tutto pacificata". Secondo i dati ufficiali italiani i morti nelle operazioni contro la guerriglia erano stati, tra il 1923 e il 1932, 6.500. Ma già gli studiosi Giorgio Rochat e Angelo Del Boca, che negli anni passati hanno approfondito la questione, hanno calcolato che furono invece diverse decine di migliaia. Forse centomila. Molti, certo, anche se infinitamente meno di quelli indicati da esponenti politici libici contemporanei quali Salah Buissir (un milione e mezzo) o Gheddafi (750 mila) che corrisponderebbero nel primo caso al doppio, nel secondo alla quasi totalità della popolazione locale presente all'epoca del censimento ottomano del 1911. Ali Abdellatif Ahmida, uno studioso di origine libica che attualmente insegna negli Stati Uniti, stima che mezzo milione di suoi connazionali morì in battaglia o di malattia, fame e sete; altri 250 mila furono costretti all'esilio in Egitto, Ciad, Tunisia, Turchia, Palestina, Siria e Algeria. Un altro storico libico, Yusuf Salim al-Bargathi, sostiene che i morti per la deportazione furono tra i 50 e i 70 mila (laddove Rochat e Del Boca calcolano che furono circa 40 mila). Il 13 agosto del 1932, su proposta del ministro per le Colonie Emilio De Bono, Luigi Razza viene nominato presidente dell'Ente per la colonizzazione della Cirenaica. Razza, già giornalista nel mussoliniano "Popolo d'Italia", sansepolcrista, ex segretario dei fasci d'azione, futuro ministro dei Lavori pubblici, vara un ambizioso piano per far giungere sul luogo italiani disposti al lavoro duro. Gente, in genere, con la fedina penale non immacolata. Non importa se pregiudicati a seguito di condanne politiche o per delitti comuni. Circostanza che costringerà in seguito Italo Balbo a "depurare", tra il 1938 e il 1939, quella corrente di immigrazione. Ma nella prima metà degli anni Trenta non si va per il sottile. Nel 1934 arriva in Cirenaica anche Amerigo Dumini, già condannato (anche se con una pena risibile: sei anni di cui quattro condonati) per l'uccisione, nel giugno del '24, di Giacomo Matteotti. Dumini, riarrestato in Italia per traffico d'armi, aveva cominciato a ricattare Mussolini e, su pressione del ministro dell'Interno Arturo Bocchini, era stato "accolto" in Libia. Arrivato lì, cominciò subito a lamentarsi dei terreni che gli erano stati assegnati e della riduzione dei finanziamenti che gli erano stati promessi. Poco dopo essere giunto in Libia, riprese a scrivere a Mussolini lettere sottilmente ricattatorie, i soldi arrivarono e nel giro di tre anni divenne un ricco possidente. Nel 1939 i terreni della sua azienda furono acquisiti dal governo della colonia e Dumini ne uscì con un lauto indennizzo. Restò in Libia dove, quando arrivarono gli inglesi, grazie alla sua padronanza della lingua (era nato negli Stati Uniti), per un breve periodo fece anche da interprete. Insomma se la passò più che bene. Ma per tutti gli altri che non avevano armi di ricatto nei confronti del Duce, fossero o meno pregiudicati, le cose andarono assai diversamente. Pieno di difficoltà è già l'adattamento dei nuovi arrivati. Si registrano casi "di eccitamento delle varie funzioni organiche seguito da lieve stato depressivo... specialmente nel sesso femminile"; "qualche caso importante di malattia cronica... qualche caso di forme oculari contagiose croniche e qualche caso di tricofizia e di tigna, tutti però cronici e cioè non avvenuti per contagio con elemento indigeno"; frequenti disturbi artritici, malattie cardiache, lue; tra i bambini, linfatismo, scrofolosi, altre patologie cutanee, qualche sporadico caso di tubercolosi. A detta di Armando Maugini, che dirigeva l'Ufficio per i servizi agrari della Cirenaica, i pugliesi erano quanto di meglio l'Italia potesse offrire alla Libia per la loro capacità di affrontare la durezza delle condizioni di vita di quella fase pioneristica. "Il colono pugliese" scriveva Maugini in un rapporto "è molto indicato per tale tipo di colonizzazione, non solo per lo spirito di adattamento e per la notevole sobrietà, ma anche perché, essendo molto attaccato ai parenti, ed essendo proveniente da territori aventi requisiti agrologici molto simili a quelli del Gebel Cirenaico, esercita un'influenza di attrazione verso gli elementi rimasti nella Madrepatria, i quali pertanto potrebbero un giorno intensificare spontaneamente l'opera di popolamento delle zone già occupate dai pugliesi". Luigi Razza conferma: "La scelta delle famiglie è stata effettuata in un primo tempo nelle Puglie, e più largamente nel barese, perché il primo nucleo di sei famiglie di Corato trasferite al completo in colonia all'inizio delle attività, a titolo di esperimento, dettero ottimo risultato, e si ebbe quindi un primo punto di appoggio che avrebbe potuto funzionare come assimilatore qualora fossero stati messi a suo contatto elementi della stessa provenienza... I coloni sono già ambientati tutti benissimo e si sono attaccati alla loro terra, della quale hanno già potuto accertare le buone attitudini alla valorizzazione". In subordine vengono apprezzati abruzzesi e calabresi. Le condizioni per avviare in colonia una nuova attività erano terribili. Agli inizi del 1935 una comunità di trenta pescatori fu trasferita a Zuetina. Ma già ai primi di giugno molti di loro chiedevano di tornare in Italia. L'isolamento e lo stato di abbandono della ridotta rendevano la vita assai difficile: un mobilio ridotto all'indispensabile, il pane che arrivava saltuariamente da Agedabia dove il piccolo forno funzionava poco e male per la mancanza di fornaio, farina e combustibile. Le imbarcazioni erano poche e si erano rovinate durante il tragitto dall'Italia. La calura lungo la costa sirtica, riferisce Cresti, era tale che già alla fine della giornata di lavoro una parte del pesce, ridotto in pessime condizioni, doveva essere buttata via. A terra le attrezzature di refrigerazione erano scadenti: uno dei locali della ridotta era stato trasformato in cella frigorifera, ma il ghiaccio disponibile era insufficiente. Ancor più difficile, prosegue Cresti, "si era dimostrata la vendita del pesce; la vettura disponibile non era attrezzata per il trasporto e si era dunque fatto ricorso ad un commerciante privato". Ma l'impresa si era rivelata poco remunerativa e il contratto era stato presto stracciato. In più i pescatori ebbero a lamentarsi dell'eccessiva fiscalità delle autorità locali dal momento che, una volta giunto a Bengasi e sottoposto al controllo dell'ufficio d'igiene, spesso il pesce era stato giudicato avariato e buttato via prima che potesse arrivare al mercato. Nel mese di settembre a Zuetina non rimanevano che quattro persone, anch'esse desiderose di rimpatriare al più presto. Nel tentativo di rilanciare l'esperimento furono presi contatti con una cooperativa di Trapani. Ma, a fine stagione, anche gli ultimi rimasti furono rimpatriati. Il 1936 fu poi, in Tripolitania, causa la siccità, un anno pessimo per i raccolti. Si giudicò da quel momento un errore l'aver mandato in Libia famiglie numerose: la presenza di bambini e vecchi si era rivelata un peso morto per la bonifica. E si cambiò registro. Il 1938 fu l'anno dell'operazione cosiddetta dei "ventimila". Tanti dovevano essere, secondo Italo Balbo, i "non emigranti" da trapiantare in Libia. Perché "non emigranti"? Il fascismo aveva sempre fatto una politica antiemigratoria e non poteva smentirsi. Il trasferimento in Libia dei ventimila, racconta Cresti, "venne così presentato dai giornali italiani come l'esatto contrario di tutto ciò che era stata l'emigrazione sofferta fino ad allora da quanti partivano alla ricerca di condizioni di vita che l'Italia non poteva offrire: non più un evento triste, ma un'avventura eccitante - dove l'inatteso era fonte di curiosità e non di angoscia (ovvero dove l'inatteso, come fonte di angoscia, era eliminato) - piena di sorprese positive, allegra; non più separazione, unicamente, dal proprio ambiente di vita e dalla società in cui coloro che partivano erano vissuti fino ad allora, ma la possibilità di realizzare nuovi legami forti, di gruppo, con coloro che partecipavano allo stesso evento; non più continuazione della miseria nelle condizioni del viaggio, ma partecipazione al lusso della modernità; non più la prospettiva della penuria, ma quella dell'abbondanza; non più la fredda, sospettosa accoglienza riservata a stranieri alla frontiera, ma la manifestazione del calore di un'accoglienza fraterna in una terra che si affermava non essere più "Oltremare" ma parte costituente della madrepatria". La partenza fu organizzata da Venezia il 28 ottobre, nell'anniversario della marcia su Roma. Grande fu la risonanza su tutti i giornali. Mussolini gradì fino a un certo punto l'enfasi che Balbo diede all'operazione. E, quando mancava meno di un anno all'inizio della Seconda guerra mondiale, cominciò a dare segni di insofferenza nei confronti dello stesso Balbo. L'Italia entrò in guerra solo nel giugno del 1940, ma l'andamento sfavorevole della stagione agricola aveva provocato notevoli difficoltà già alla fine del 1939. All'inizio del '40 si dovettero organizzare nuove spedizioni, in particolare di foraggio e di mangime per gli animali. Furono comprati più di mille buoi maremmani, ma molte bestie si ammalarono prima ancora di partire e dovettero sostare a lungo a Civitavecchia, con nuove spese per il foraggio che diventava sempre più caro. Il bestiame patì, nell'inverno del '40, di denutrizione a cui seguirono perdite di capi per mancanza di foraggio. Con il passare dei mesi, poi, era divenuto sempre più difficile trovare spazio per il trasporto delle merci. Nei mesi di aprile e maggio 1940 quasi tutte le navi erano state requisite per i servizi militari: in alcuni casi i beni e i materiali già imbarcati per la Libia erano stati scaricati a Siracusa e a Catania per liberare le navi. Un piroscafo carico di materiali agricoli partito da Genova nel mese di ottobre, a metà dicembre era ancora bloccato a Palermo in attesa di compiere la traversata. "In queste condizioni" nota l'autore "era sconsigliabile l'invio di merci deperibili, come le sementi o le talee di viti". Per cui, a ridurre le perdite, fu deciso di rivendere in Italia i materiali già acquistati per essere inviati in Libia. Una catastrofe. L'Italia entra in guerra nel giugno del 1940 e il 28 di quello stesso mese cade, nel cielo di Tobruk, l'aereo su cui è imbarcato Italo Balbo (la morte desta qualche sospetto di un ancora non provato coinvolgimento di Mussolini). Prende il suo posto Rodolfo Graziani, che è subito impegnato dal Duce in un'offensiva contro l'Egitto. Segue, nei mesi di febbraio e marzo del 1941, la prima occupazione inglese che, scrive Cresti, "dette una violentissima scossa all'edificio ancora malfermo della colonizzazione in Cirenaica". Praticamente non c'è pace per la Libia che, quando dovrebbe raccogliere i primi frutti dell'opera dei "ventimila", si ritrova ad essere teatro di guerra. I coloni vengono presi dal panico e si accalcano all'istituto di credito per ritirare i risparmi, cercando di fuggire verso Tripoli e di rientrare in Italia. Man mano che avanzano le truppe alleate, gli arabi in loco - spalleggiati da un corpo senusso che combatte a fianco degli inglesi - saccheggiano ogni volta che gliene è offerta la possibilità. Si distinguono per assenza di scrupoli gli australiani. Scrive nel suo diario l'agronomo Paolo Sabbetta: "Militari australiani entrano, di giorno e di notte, nelle case coloniche chiedendo generi diversi pagandoli, alcuni, profumatamente, altri invece, quasi sempre ubriachi, saccheggiando e violentando le donne mentre tengono gli uomini a bada con le armi in pugno". E le testimonianze di queste violenze sono numerose. Dall'Italia il regime cerca di minimizzare e di promuovere l'immagine di una popolazione libica della Cirenaica solidale con i coloni. Ma tra il dicembre del 1941 e il gennaio del 1942 per gli italiani è l'inizio della disfatta. Ancora un anno terribile e il 23 gennaio del '43 le truppe britanniche fanno il loro ingresso a Tripoli. Tra Libia e Italia è interrotto ogni contatto. Qualche migliaio di italiani resta lì a lavorare fino alla fine della guerra e oltre. Anche dopo che nel '49 l'assemblea generale delle Nazioni Unite vota per il progetto di una Libia come Stato a sé e dopo la proclamazione, nel '51, dell'indipendenza. Va aggiunto che nel dopoguerra, venuta meno l'autorità italiana sulla regione, si registrano sanguinose manifestazioni arabe ostili alla comunità ebraica che era stata fin lì una colonna della presenza italiana, al punto che Balbo nel '38 aveva ottenuto una sorta di esenzione della Libia dalle leggi razziali. I pogrom più sanguinosi saranno quelli del novembre 1945 (particolarmente raccapriccianti perché compiuti proprio nei giorni in cui, con l'uscita dei superstiti ebrei dai campi di concentramento d'Europa, il mondo veniva a conoscenza delle atrocità compiute nei lager nazisti) e del giugno del 1948, all'indomani della nascita dello Stato di Israele. Poi si ripeteranno nel 1967 all'epoca della guerra dei sei giorni. Nel 1956 un accordo tra Italia e Libia regola la presenza nella ex colonia dei nostri connazionali che si trasformano, la maggior parte, in piccoli possidenti. Ma saranno tutti cacciati dopo il colpo di Stato degli ufficiali liberi guidati da Gheddafi, che nel 1969 rovescerà la monarchia senussa. Nel frattempo la Libia, che ancora non conosceva la sua fortuna petrolifera, era tornata ad essere uno dei Paesi più poveri del mondo. I pastori-contadini della Cirenaica, una volta tornati sulle loro antiche terre, non potendo più avvalersi dei capitali, delle attrezzature e degli impianti italiani, avevano rapidamente ricondotto il Paese nel solco della tradizione. La Gran Bretagna, nel lungo periodo dell'amministrazione militare (1942-1951), aveva rifiutato di investire i propri soldi nella nostra ex colonia. E quando nel 1970 partirono gli ultimi italiani, il bilancio dei quasi sessant'anni di loro presenza in quella terra poteva vantare pochi punti al proprio attivo. Neanche quelli che hanno contrassegnato le esperienze coloniali negli altri Paesi del Terzo Mondo. Come se una punizione particolare si fosse abbattuta su chi aveva contravvenuto al comandamento inventato da Federico Cresti per il titolo del suo libro: Non desiderare la terra d'altri, appunto. paolo.mieli@rcs.itPaolo Mieli 22 febbraio 2011
a teheran arrestato il figlio del leader dell'opposizione karrubi Egitto, via libera alle navi iraniane a Suez Due imbarcazioni militari di Teheran in viaggio dal Mar Rosso al Mediterraneo. Irritazione di Israele a teheran arrestato il figlio del leader dell'opposizione karrubi Egitto, via libera alle navi iraniane a Suez Due imbarcazioni militari di Teheran in viaggio dal Mar Rosso al Mediterraneo. Irritazione di Israele Passaggio contestato MILANO - Sono entrate nel Canale di Suez , poi sono arrivate a Porto Said sulla costa mediterranea dell'Egitto e si dirigono verso il Mediterraneo, le due navi da guerra iraniane il cui passaggio nel canale, il primo dalla Rivoluzione iraniana del 1979, è considerato da Israele una grave "provocazione" e su cui negli ultimi giorni si è giocato più di un braccio di ferro diplomatico che ad un certo punto aveva indotto Teheran a desistere. Alla fine però il benestare al transito da parte delle autorità egiziane è arrivato. LA CONFERMA - La conferma è stata data da funzionari del canale di Suez che hanno precisato che le due imbarcazioni sono entrate questa mattina presto nelle acque dello stretto e raggiungeranno porto Said, lo sbocco del canale sul Mediterraneo, nel corso della giornata. Si tratta di una fregata e di una nave di approvvigionamento. È la prima volta in tre decenni che le navi militari iraniane attraversano il canale che collega il mar Rosso al Mediterraneo. I funzionari iraniani hanno detto che le navi sono dirette verso la Siria per una missione di addestramento. "E' UNA PROVOCAZIONE" - La presenza militare iraniana nel Mediterraneo "è provocatoria, senza precedenti e rappresenta una sfida alla comunità internazionale" ha affermato in termini generali un portavoce del ministero israeliano degli Esteri, commentando l'annuncio del via libera al passaggio delle imbargazioni militari. D'altra parte i mass media israeliani si limitano a citare le notizie provenienti dall'Egitto, ma non dispongono ancora di una conferma diretta da parte israeliana del transito delle navi. ARRESTI - Intanto a Teheran il regime continua la sua stretta sull'opposizione per tentare di fermare le proteste che proseguono nel Paese. E' stato infatti arrestato il figlio del leader dell'opposizione Karrubi. Il sito Sahamnews, dello stesso Karrubi, riferisce che la scorsa notte il figlio del leader dell'opposizione è stato arrestato insieme con la moglie, Nafiseh Panahi, che qualche tempo dopo è stata rilasciata, mentre le forze di sicurezza hanno compiuto un raid nella casa dello stesso Mehdi Karrubi e l'hanno perquisita, dopo aver rinchiuso lui e la moglie in due camere separate. Gli agenti, aggiunge il sito, se ne sono andati dopo aver cambiato la serratura della casa e portando via con sè numerosi documenti. Karrubi e un altro leader dell'opposizione, Mir Hossein Mussavi, sono da diversi giorni praticamente agli arresti domiciliari. Karrubi, che ha 73 anni, ha lamentato nei giorni scorsi che durante la notte miliziani fedeli al regime si riuniscono davanti a casa sua per gridare minacce contro di lui e nella notte tra domenica e lunedì hanno mandato in frantumi le finestre. Redazione Online 22 febbraio 2011
2011-02-21 Voci di fuga di Gheddafi. Dimissioni del ministro della giustizia Tripoli brucia tra saccheggi e scontri "Raid aerei sulla folla, 200 morti" Il vice-ambasciatore libico all'Onu: "Genocidio". Nuovo attacco aereo atteso tra due ore su Bengasi * NOTIZIE CORRELATE * Libia in rivolta, "Gheddafi ha lasciato". Minacce alla Ue: non collaboriamo più (20 febbraio 2011) Voci di fuga di Gheddafi. Dimissioni del ministro della giustizia Tripoli brucia tra saccheggi e scontri "Raid aerei sulla folla, 200 morti" Il vice-ambasciatore libico all'Onu: "Genocidio". Nuovo attacco aereo atteso tra due ore su Bengasi MILANO - La Libia è sprofondata nel caos, l'atmosfera è da guerra civile con aerei dell'aviazione libica che - secondo Al Jazeera - "hanno bombardato i dimostranti". Si parla di almeno 250 morti, circa 400 dall'inizio delle rivolte. E nuovi ruovi raid aerei sono stati registrati pochi minuti fa a Tripoli. Caccia militari hanno attaccato gruppi di manifestanti in via della Jamahiriya, racconta la tv araba. Mentre Fonti dell'esercito libico, citate dalla tv concorrente al-Arabiya, sostengono che i vertici delle forze armate hanno ordinato di eseguire entro due ore un raid aereo su Bengasi. A Tripoli si è scatenata una vera e propria "caccia ai dimostranti". Gli aerei libici hanno sorvolato e bombardato le vecchie vie della città dove erano in corso le manifestazioni anti governative. Due aviatori a bordo di altrettanti Mirage non hanno ubbidito agli ordini dell'esercito libico e sono atterrati a Malta dove hanno chiesto asilo politico. Già dal pomeriggio membri armati di un'organizzazione filo-governativa chiamata "Comitati rivoluzionari" si aggiravano per le strade della città vecchia in cerca degli anti governativi. Una presenza che ha fatto presagire nuovi scontri. Altro sangue. I manifestanti lanciano appelli, invitando i cittadini a unirsi a una nuova protesta prevista per la serata di lunedì nella Piazza verde a Tripoli. Ed è proprio nel corso della manifestazione che si teme scoppino altri sanguinosi scontri. Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha parlato in giornata a lungo, con il leader libico Libia, Muammar Gheddafi, chiedendogli di cessare ogni violenza. Il documento non precisa se il colonnello si trovi ancora in Libia. Per tutto il giorno si sono rincorse notizie confuse sulla sua partenza, l'ultima verso il Venezuela. Ma il protavoce di Chavez non ha confermato la notizia. Messaggi da e per la Libia: il canale aperto per i lettori di Corriere.it POLIZIA IN FUGA- In risposta all'ondata delle violenze, il ministro della giustizia libico, Mustafa Mohamed Abud Al Jeleil, ha dato le dimissioni. E fonti della Libia hanno fatto sapere ad Al Jazeera che all'interno dell'esercito vi sarebbero grandi tensioni, al punto da poter prevedere che il capo di stato maggiore aggiunto, El Mahdi El Arabi, possa dirigere un colpo di stato militare contro Gheddafi per mettere fine ai disordini. Le stesse milizie sarebbero nel caos. Polizia e forze di sicurezza sono fuggite in massa da al-Zawiya, località della Libia occidentale situata qualche decina di chilometri a ovest di Tripoli, lungo l'arteria che conduce alla frontiera con la Tunisia: lo hanno riferito testimoni oculari arrivati nella città di confine tunisina di Ben Guerdane. Da allora, hanno raccontato, la città è allo sbando: "Per due giorni ci sono stati scontri tra pro e anti Gheddafi e domenica la polizia ha lasciato la città. Da domenica tutti i negozi sono chiusi, una casa di Gheddafi è stata data alle fiamme, la gente ha rubato auto della polizia", è il racconto dei testimoni oculari. "Ci sono cecchini, ci sono case incendiate, non c'è polizia, se n'è andata. Nel centro della città ci sono manifestazioni pro Gheddafi". Fiamme a Tripoli ULEMA - In una Libia che brucia tra caos e sangue, il rais è abbandonato anche dai religiosi islamici: la Rete dei liberi ulema ha detto che la rivolta contro il regime è dovere divino di ciascuno. Violenti scontri sarebbero in atto tra i fedelissimi gheddafiani delle Guardie dei Comitati rivoluzionari e i militari golpisti. In questi scontri sarebbe rimasto gravemente ferito il comandante delle forze speciali, Abdalla El Senoussi, secondo alcune voci sarebbe morto. Si susseguono le voci non confermate sul destino di Muhammar Gheddafi: tra chi lo dà in fuga e chi nell'opposizione assicura che si trovi ancora in Libia. Nel caos che regna sovrano in Libia e il bilancio delle vittime che si aggiorna di minuto in minuto, l'israeliano Haaretz ha calcolato che dall'inizio della rivolta, sette giorni fa, i morti in Libia sono state oltre 600. Messaggi da e per la Libia: il canale aperto per i lettori di Corriere.it Incendiati i palazzi governativi FIAMME - Testimoni riferiscono che sono stati incendiati sia il Parlamento che la sede del governo. Si parla di saccheggi di banche e negozi anche da parte delle forze dell'ordine mentre l'esercito si sarebbe unito ai dimostranti. Secondo il sito informativo al-Manara, bande armate stanno circolando per il quartiere di al-Azizia, dove si trova la sede della tv pubblica e diversi palazzi istituzionali, oltre alla residenza di Gheddafi. Gruppi armati hanno attaccato la caserma di al-Baraim, a una decina di chilometri dal centro di Tripoli. Cecchini appostati sui tetti hanno aperto il fuoco contro i manifestanti che tentavano di avanzare verso il centro di Tripoli. Altri testimoni parlano di spari con arma da fuoco da auto in corsa. Secondo Al-Arabiya l'esercito avrebbe rifiutato di dispiegarsi nella città di Bani Walid. Tarhouna, in Tripolitania, sarebbe in mano ai manifestanti, così come Bengasi, Beida, Sirte (ma qui le fonti sono discordi), Zaouia e Gialo, nel deserto nei pressi dell'oasi di Cufra. "Un massacro" è stato definito quanto è accaduto nei sobborghi tripolini di Tajura e Fashlum. Testimoni, raccontano di bande armate nel quartiere di Tajura che sparavano indiscriminatamente contro la folla. Mentre dalle moschee del quartiere si lanciano appelli per ricevere aiuti medici. A Fashlum, invece, i mercenari sarebbero arrivati trasportati da elicotteri militari: anche qui vi sarebbero state sparatorie con numerosi morti. MESSAGGIO TV - Saif al-Islam, il figlio di Muhammar Gheddafi, in un messaggio tv lanciato alla nazione nella notte di domenica aveva detto che "la Libia è a un bivio". Nel discorso ha fatto più volte l'accenno a non meglio precisate "forze straniere" e "separatisti" che hanno messo in atto un "complotto" contro la Libia". Il figlio del rais ha indicato i nemici: islamisti, organi d'informazione, teppisti, ubriachi, drogati e stranieri, compresi egiziani e tunisini. "Arriveranno le flotte americane e europee e ci occuperanno", ha avvisato. Ha minacciato quindi di "sradicare le sacche di sedizione", in quanto "il nostro non è l'esercito tunisino o egiziano. Combatteremo fino all'ultimo uomo, all'ultimo proiettile". LA CONDANNA UE - A fatica ma alla fine è arrivata. Dopo un'intera giornata di riunione, i ministri degli Esteri dell'Unione Europea riuniti a Bruxelles hanno raggiunto una posizione comune: "condannano la repressione in corso contro i manifestanti in Libia, deplorano la violenza e la morte di civili", esortando "la fine immediata dell'uso della forza". Si legge nelle conclusioni del Consiglio affari esteri. I ministri europei chiedono che "alle legittime aspirazioni ed alle richieste del popolo per le riforme si risponda attraverso un dialogo guidato dai libici aperto, inclusivo, significativo e nazionale, che porti ad un futuro costruttivo per il Paese e per il popolo". "Noi incoraggiamo fortemente tutte le parti in questo senso", si legge nel documento dei ministri dell'Ue, nel quale si invitano "tutte le parti a mostrare moderazione". "La libertà di espressione ed il diritto di riunirsi pacificamente - continua il testo - sono diritti umani e libertà fondamentali di ogni essere umano che devono essere rispettati e protetti". E intanto gli Usa, annuncia il dipartimento di Stato di Washington, hanno ordinato al personale diplomatico "non essenziale" di lasciare la Libia. ALLERTA IN ITALIA - L'incendio libico sta contagiando il Mediterraneo. "In tutte le basi aeree italiane il livello di allarme sarebbe massimo in relazione alla crisi libica": lo ha appreso l'Ansa da qualificate fonti parlamentari. Secondo le stesse fonti, una consistente quota di elicotteri dell'Aeronautica militare e della Marina militare in queste ore avrebbe ricevuto l'ordine di spostarsi verso il sud. La Libia sta vivendo da ore nel sangue e nel caos. Il vice-ambasciatore libico all'Onu ha invocato un intervento internazionale contro quello che ha definito "un genocidio" perpetrato dal regime di Tripoli e ha chiesto che venga istituita una no fly zone su Tripoli. Lo ha da poco riferito la Bbc nel suo sito internet. Secondo l'emittente britannica l'intera delegazione libica presso le Nazioni Unite avrebbe chiesto un'azione internazionale. Redazione online 21 febbraio 2011
MARTEDì PRIMO VOLO SPECIALE PER I RIMPATRI. BERSANI CHIAMA IL TITOLARE DELLA FARNESINA Allertate le basi militari italiane Berlusconi: "Stop violenze sui civili" Il ministro della Difesa La Russa: "Unità italiana pronta a partire". Frattini: "In Libia la Ue non intervenga" MARTEDì PRIMO VOLO SPECIALE PER I RIMPATRI. BERSANI CHIAMA IL TITOLARE DELLA FARNESINA Allertate le basi militari italiane Berlusconi: "Stop violenze sui civili" Il ministro della Difesa La Russa: "Unità italiana pronta a partire". Frattini: "In Libia la Ue non intervenga" Il ministro degli Esteri Franco Frattini (Ansa) Il ministro degli Esteri Franco Frattini (Ansa) MILANO - Silvio Berlusconi rompe il silenzio su quanto sta avvenendo in Libia e, attraverso una nota diffusa da Palazzo Chigi, fa sapere di seguire con attenzione e preoccupazione l'evolversi della situazione e di considerare inaccettabile l'uso della violenza sulla popolazione civile. Nel comunicato si legge che il premier "è allarmato per l'aggravarsi degli scontri e per l'uso inaccettabile della violenza sulla popolazione civile". Nella nota Palazzo Chigi aggiunge che "L'Unione Europea e la Comunità internazionale dovranno compiere ogni sforzo per impedire che la crisi libica degeneri in una guerra civile dalle conseguenze difficilmente prevedibili, e favorire invece una soluzione pacifica che tuteli la sicurezza dei cittadini così come l'integrità e stabilità del Paese e dell'intera regione". Nel frattempo, proprio sulla scia di quanto sta accadendo a Tripoli, è stato innalzato, fino al massimo, il livello di allerta negli aeroporti e nelle basi aeree italiane. Una consistente quota di elicotteri dell'Aeronautica militare e della Marina militare in queste ore ha anche ricevuto l'ordine di spostarsi verso il Sud. PRONTA L'ELETTRA - L'innalzamento delle difese ha riguardato in particolare le basi dell'Aereonautica di Trapani e Gioia del Colle (Bari), dove sono schierati gli Eurofighter e gli F16: gli equipaggi di entrambi gli Stormi sono "al massimo livello di prontezza", pronti cioè a decollare immediatamente, se necessario, per neutralizzare eventuali minacce aeree. La decisione, hanno spiegato fonti della Difesa, è stata presa dopo l'atterraggio a Malta di due aerei e due elicotteri libici. "Ma non è nulla di più di quanto avviene per casi meno eclatanti" ha spiegato il ministro Ignazio La Russa, da Abu Dhabi dove è in visita ufficiale. "Abbiamo predisposto - ha aggiunto La Russa - l'invio di una piccola unità logistica in Libia: martedì sera avremo una riunione interministeriale con Maroni e Frattini, con cui sono in contatto continuo". Si tratterebbe della nave "Elettra" ha raccontato il ministro. "La nave, al momento, ancora ancorata, al porto di La Spezia, ha a bordo apparecchiature radar con strumentazioni di guerra elettronica, ascolto e raccolta di informazioni. Non è escluso che a bordo possano esserci unità delle forze speciali". Non c'è tuttavia la momento nessun coinvolgimento dell'Italia in quanto sta accadendo in Libia. Interpellato in merito alla notizie circolate in Rete sull'uso di caccia militari italiani, il portavoce della Farnesina ha fermamente stigmatizzato la diffusione di notizie e voci del tutto infondate ed incontrollate. Rispetto a Trapani e Gioia del Colle, entrambe fanno parte del dispositivo che garantisce la difesa aerea nazionale ed assicurano la copertura del Sud Italia. In situazioni normali, i due Stormi si alternano nell'offrire il massimo livello di prontezza, da lunedì, entrambi, sono pronti ad intervenire immediatamente. Se un velivolo entra nello spazio aereo italiano senza autorizzazione, i caccia si alzano in volo tenendosi pronti ad eseguire gli ordini. Possono scortare il velivolo fino ai confini dello spazio aereo o obbligarlo all'atterraggio. In teoria è possibile anche che il velivolo sconosciuto possa essere abbattuto: un ordine estremo che finora però non è mai arrivato. ITALIANI IN FUGA - La Libia è nel caos e inizia la fuga degli italiani. Già martedì mattina partirà per Tripoli un primo volo speciale, concordato con la Farnesina, che si affiancherà ai voli di linea previsti per il rientro dei connazionali, anche se, per ora, non si prevede un ponte aereo per l'evacuazione. L'indicazione del ministero degli Esteri ai 1.500 connazionali che vivono "stabilmente" nel Paese è di partire con voli commerciali, anche se è in via di attivazione un piano di rimpatri degli italiani in Tripolitania, gestito in coordinamento con l'Alitalia, per consentire in tempi quando più rapidi il rientro dei connazionali che stanno confluendo gradualmente all'aeroporto della capitale libica. Intanto alcune persone sono rientrate lunedì sera a Roma a bordo di un volo Alitalia partito da Tripoli. Hanno raccontato il silenzio surreale avvolgeva invece la città quando si sono diretti in aeroporto. "C'erano civili armati da tutte le parti, la situazione non era per nulla sicura", ha detto Zoran Siljak, impiegato serbo di un'azienda di vernici che ha aggiunto che "ci sono stati spari durante tutta la notte, la gente combatteva nelle strade". POLEMICHE - Rientri a parte, la situazione in Libia ha innescato numerose polemiche, che riguardano soprattutto il ruolo che devono giocare l'Italia e l'Ue nella vicenda. Per il ministro degli Esteri Franco Frattini, Bruxelles "non deve interferire" nei processi di transizione in corso nel mondo arabo cercando di esportare il proprio modello di democrazia. Rispetto alla Libia, il titolare della Farnesina auspica una "riconciliazione pacifica", arrivando a una Costituzione, come propone figlio Gheddafi. A Frattini ha telefonato in serata il segretario del Pd, Pierluigi Bersani,per avere informazioni sulla situazione a Tripoli in Libia e su quanto il governo italiano e l'Unione europea stiano facendo. A quanto di apprende, il segretario dei democratici ha chiesto al ministro che l'esecutivo sia la punta di diamante in Europa per una iniziativa che favorisca la soluzione della crisi e, soprattutto, garantisca la fine delle violenze. Il ministro degli Esteri ha riferito a Bersani sulla situazione e si è detto assolutamente disponibile a riferirne alle Camere al più presto. LE OPPOSIZIONI - Prima delle telefonata di Bersani a Frattini e della nota di Palazzo Chigi, Dario Franceschini aveva chiesto al premier di intervenire "per scongiurare che la rivolta non sia repressa nel sangue". Romano Prodi, invece, non ha risparmiato critiche all'Unione Europea. L'ex presidente della Commissione Europea imputa a Bruxelles "non la responsabilità nella vicenda in se stessa ma quella di avere difficoltà nel poter offrire soluzioni e nel non avere legami culturali e rapporti politici quotidiani" con quella parte del mondo oggi scossa da una rivolta che va dalla Tunisia alla Libia. Ancora più critico il leader Idv Antonio Di Pietro : "Cosa può fare l'opposizione se non richiamare la maggioranza ad occuparsi anche delle gravissime e drammatiche rivolte che stanno vivendo i Paesi del Mediterraneo? L'unica cosa che ho sentito da Berlusconi, di fronte ad un mondo che sta crollando, è stato che non voleva disturbare Gheddafi. In Italia, invece, se c'è una persona che deve andare a casa per non disturbare più i cittadini è proprio Silvio Berlusconi". Per il leader Udc Pier Ferdinando Casini si deve creare un "comitato di crisi che coinvolga maggioranza e opposizione per dimostrare almeno in questa situazione un'autentica coesione nazionale". Redazione online 21 febbraio 2011
Sale il greggio anche a New York La rivolta in Libia spinge il petrolio a oltre 105 dollari. Piazza Affari giù del 3,59% Il Brent a Londra ai massimi da settembre 2008 Ribassi in Borsa per le società più esposte con Tripoli Sale il greggio anche a New York La rivolta in Libia spinge il petrolio a oltre 105 dollari. Piazza Affari giù del 3,59% Il Brent a Londra ai massimi da settembre 2008 Ribassi in Borsa per le società più esposte con Tripoli Gheddafi lo scorso 16 febbraio a Tripoli (Epa) Gheddafi lo scorso 16 febbraio a Tripoli (Epa) MILANO - Il caos in Libia spinge al rialzo il prezzo del petrolio. A Londra il Brent, il greggio di riferimento del mare del Nord, ha superato quota 105 dollari per la prima volta dal settembre 2008, con un rialzo da oltre 2 dollari rispetto a venerdì. Negli scambi elettronici a New York (Wall Street è chiusa per festività), i futures sul West Texas Intermediate, il greggio di riferimento in Nord America, segnano un balzo di 3,37 dollari rispetto alla chiusura di venerdì scorso toccando 89,50dollari. BORSA - Milano paga l'essere il Paese più esposto verso la Libia. Chiusura in forte calo per Piazza Affari: il Ftse Mib ha perso il 3,59% a 22.230 punti, affondato proprio dai timori per le ripercussioni della rivolta in Libia. Redazione online 21 febbraio 2011
MEDIO ORIENTE IN FIAMME Tensione in Bahrein, niente Formula 1 Salta il Gran premio del 13 marzo, il via della stagione * NOTIZIE CORRELATE * Bahrein, l'esercito spara sui dimostranti (19 febbraio) MEDIO ORIENTE IN FIAMME Tensione in Bahrein, niente Formula 1 Salta il Gran premio del 13 marzo, il via della stagione Una Ferrari in Bahrein (Ap) Una Ferrari in Bahrein (Ap) La notizia era nell'aria, adesso è ufficiale: niente Gran premio del Bahrein di Formula 1. Salta così la gara inaugurale del Mondiale, che si sarebbe dovuta tenere il 13 marzo. RISCHI - La situazione nel piccolo stato del Golfo Persico, teatro nei giorni scorsi di duri scontri tra manifestanti e polizia, non è evidentemente stata ritenuta sufficientemente tranquilla perché un evento così importante (e complesso dal punto di vista organizzativo) si potesse svolgere senza rischi. Prima dell'annuncio ufficiale, era arrivata la decisione di sospendere i test delle scuderie previsti dal 3 al 6 marzo e spostati a Barcellona dall'8 all'11. COMUNICATI - Questo il comunicato degli organizzatori (che hanno pagato 30 milioni di euro per ospitare la Formula 1 e altri 14 perché fosse il primo appuntamento della stagione): "Il Bahrein International Circuit ha annunciato oggi che il Regno del Bahrein rinuncerà ad ospitare il Gran premio di Formula 1 di quest'anno così che il Paese possa concentrarsi sul suo processo di dialogo nazionale". Simile il testo diffuso dal principe Salman bin Hamad Al Khalifa, che detiene i diritti commerciali della corsa, dopo una breve telefonata a Bernie Ecclestone, patron del Circus: "Crediamo che sia importante per il bene del paese concentrarci con effetto immediato su altre questioni, penseremo più avanti all'organizzazione del Gran premio. Dopo gli eventi degli ultimi giorni la nostra priorità è scongiurare la tragedia, superare le divisioni e riscoprire il tessuto unitario del Paese così che il mondo possa tornare a guardarci come una nazione unita". VIA IN AUSTRALIA - Non è ancora chiaro se e quando la gara verrà recuperata. Ad aprire la stagione della Formula 1 sarà con ogni probabilità il Gp dell'Australia il 27 marzo. "È molto triste che il Bahrein sia stato costretto a cancellare la gara - ha dichiarato Bernie Ecclestone -. Auguriamo ogni bene a quella nazione e speriamo che sappia guarire in fretta dai suoi attuali problemi. L'ospitalità e il calore della gente del Bahrein è proverbiale e chiunque vi sia stato lo può confermare. Speriamo di tornarci al più presto". Redazione online 21 febbraio 2011
MARTEDì PRIMO VOLO SPECIALE PER I RIMPATRI. BERSANI CHIAMA IL TITOLARE DELLA FARNESINA Allertate le basi militari italiane Berlusconi: "Stop violenze sui civili" Il ministro della Difesa La Russa: "Unità italiana pronta a partire". Frattini: "In Libia la Ue non intervenga" MARTEDì PRIMO VOLO SPECIALE PER I RIMPATRI. BERSANI CHIAMA IL TITOLARE DELLA FARNESINA Allertate le basi militari italiane Berlusconi: "Stop violenze sui civili" Il ministro della Difesa La Russa: "Unità italiana pronta a partire". Frattini: "In Libia la Ue non intervenga" Il ministro degli Esteri Franco Frattini (Ansa) Il ministro degli Esteri Franco Frattini (Ansa) MILANO - Silvio Berlusconi rompe il silenzio su quanto sta avvenendo in Libia e, attraverso una nota diffusa da Palazzo Chigi, fa sapere di seguire con attenzione e preoccupazione l'evolversi della situazione e di considerare inaccettabile l'uso della violenza sulla popolazione civile. Nel comunicato si legge che il premier "è allarmato per l'aggravarsi degli scontri e per l'uso inaccettabile della violenza sulla popolazione civile". Nella nota Palazzo Chigi aggiunge che "L'Unione Europea e la Comunità internazionale dovranno compiere ogni sforzo per impedire che la crisi libica degeneri in una guerra civile dalle conseguenze difficilmente prevedibili, e favorire invece una soluzione pacifica che tuteli la sicurezza dei cittadini così come l'integrità e stabilità del Paese e dell'intera regione". Nel frattempo, proprio sulla scia di quanto sta accadendo a Tripoli, è stato innalzato, fino al massimo, il livello di allerta negli aeroporti e nelle basi aeree italiane. Una consistente quota di elicotteri dell'Aeronautica militare e della Marina militare in queste ore ha anche ricevuto l'ordine di spostarsi verso il Sud. PRONTA L'ELETTRA - L'innalzamento delle difese ha riguardato in particolare le basi dell'Aereonautica di Trapani e Gioia del Colle (Bari), dove sono schierati gli Eurofighter e gli F16: gli equipaggi di entrambi gli Stormi sono "al massimo livello di prontezza", pronti cioè a decollare immediatamente, se necessario, per neutralizzare eventuali minacce aeree. La decisione, hanno spiegato fonti della Difesa, è stata presa dopo l'atterraggio a Malta di due aerei e due elicotteri libici. "Ma non è nulla di più di quanto avviene per casi meno eclatanti" ha spiegato il ministro Ignazio La Russa, da Abu Dhabi dove è in visita ufficiale. "Abbiamo predisposto - ha aggiunto La Russa - l'invio di una piccola unità logistica in Libia: martedì sera avremo una riunione interministeriale con Maroni e Frattini, con cui sono in contatto continuo". Si tratterebbe della nave "Elettra" ha raccontato il ministro. "La nave, al momento, ancora ancorata, al porto di La Spezia, ha a bordo apparecchiature radar con strumentazioni di guerra elettronica, ascolto e raccolta di informazioni. Non è escluso che a bordo possano esserci unità delle forze speciali". Non c'è tuttavia la momento nessun coinvolgimento dell'Italia in quanto sta accadendo in Libia. Interpellato in merito alla notizie circolate in Rete sull'uso di caccia militari italiani, il portavoce della Farnesina ha fermamente stigmatizzato la diffusione di notizie e voci del tutto infondate ed incontrollate. Rispetto a Trapani e Gioia del Colle, entrambe fanno parte del dispositivo che garantisce la difesa aerea nazionale ed assicurano la copertura del Sud Italia. In situazioni normali, i due Stormi si alternano nell'offrire il massimo livello di prontezza, da lunedì, entrambi, sono pronti ad intervenire immediatamente. Se un velivolo entra nello spazio aereo italiano senza autorizzazione, i caccia si alzano in volo tenendosi pronti ad eseguire gli ordini. Possono scortare il velivolo fino ai confini dello spazio aereo o obbligarlo all'atterraggio. In teoria è possibile anche che il velivolo sconosciuto possa essere abbattuto: un ordine estremo che finora però non è mai arrivato. ITALIANI IN FUGA - La Libia è nel caos e inizia la fuga degli italiani. Già martedì mattina partirà per Tripoli un primo volo speciale, concordato con la Farnesina, che si affiancherà ai voli di linea previsti per il rientro dei connazionali, anche se, per ora, non si prevede un ponte aereo per l'evacuazione. L'indicazione del ministero degli Esteri ai 1.500 connazionali che vivono "stabilmente" nel Paese è di partire con voli commerciali, anche se è in via di attivazione un piano di rimpatri degli italiani in Tripolitania, gestito in coordinamento con l'Alitalia, per consentire in tempi quando più rapidi il rientro dei connazionali che stanno confluendo gradualmente all'aeroporto della capitale libica. Intanto alcune persone sono rientrate lunedì sera a Roma a bordo di un volo Alitalia partito da Tripoli. Hanno raccontato il silenzio surreale avvolgeva invece la città quando si sono diretti in aeroporto. "C'erano civili armati da tutte le parti, la situazione non era per nulla sicura", ha detto Zoran Siljak, impiegato serbo di un'azienda di vernici che ha aggiunto che "ci sono stati spari durante tutta la notte, la gente combatteva nelle strade". POLEMICHE - Rientri a parte, la situazione in Libia ha innescato numerose polemiche, che riguardano soprattutto il ruolo che devono giocare l'Italia e l'Ue nella vicenda. Per il ministro degli Esteri Franco Frattini, Bruxelles "non deve interferire" nei processi di transizione in corso nel mondo arabo cercando di esportare il proprio modello di democrazia. Rispetto alla Libia, il titolare della Farnesina auspica una "riconciliazione pacifica", arrivando a una Costituzione, come propone figlio Gheddafi. A Frattini ha telefonato in serata il segretario del Pd, Pierluigi Bersani,per avere informazioni sulla situazione a Tripoli in Libia e su quanto il governo italiano e l'Unione europea stiano facendo. A quanto di apprende, il segretario dei democratici ha chiesto al ministro che l'esecutivo sia la punta di diamante in Europa per una iniziativa che favorisca la soluzione della crisi e, soprattutto, garantisca la fine delle violenze. Il ministro degli Esteri ha riferito a Bersani sulla situazione e si è detto assolutamente disponibile a riferirne alle Camere al più presto. LE OPPOSIZIONI - Prima delle telefonata di Bersani a Frattini e della nota di Palazzo Chigi, Dario Franceschini aveva chiesto al premier di intervenire "per scongiurare che la rivolta non sia repressa nel sangue". Romano Prodi, invece, non ha risparmiato critiche all'Unione Europea. L'ex presidente della Commissione Europea imputa a Bruxelles "non la responsabilità nella vicenda in se stessa ma quella di avere difficoltà nel poter offrire soluzioni e nel non avere legami culturali e rapporti politici quotidiani" con quella parte del mondo oggi scossa da una rivolta che va dalla Tunisia alla Libia. Ancora più critico il leader Idv Antonio Di Pietro : "Cosa può fare l'opposizione se non richiamare la maggioranza ad occuparsi anche delle gravissime e drammatiche rivolte che stanno vivendo i Paesi del Mediterraneo? L'unica cosa che ho sentito da Berlusconi, di fronte ad un mondo che sta crollando, è stato che non voleva disturbare Gheddafi. In Italia, invece, se c'è una persona che deve andare a casa per non disturbare più i cittadini è proprio Silvio Berlusconi". Per il leader Udc Pier Ferdinando Casini si deve creare un "comitato di crisi che coinvolga maggioranza e opposizione per dimostrare almeno in questa situazione un'autentica coesione nazionale". Redazione online 21 febbraio 2011
Proteste contro il regime di Ahmadinejad, divieto di informare per i media stranieri Tensioni nel cuore di Teheran, arrestata la figlia di Rafsanjani Scontri tra manifestanti e polizia, lanciati lacrimogeni sulla folla. La Amanpour: "Almeno un morto" Proteste contro il regime di Ahmadinejad, divieto di informare per i media stranieri Tensioni nel cuore di Teheran, arrestata la figlia di Rafsanjani Scontri tra manifestanti e polizia, lanciati lacrimogeni sulla folla. La Amanpour: "Almeno un morto" L'ex presidente Rafsanjani (Ap) L'ex presidente Rafsanjani (Ap) TEHERAN - Faezeh Hashemi, figlia dell'ex presidente iraniano Akbar Hashemi Rafsanjani, è stata arrestata dalla polizia nel centro di Teheran mentre prendeva parte a una manifestazione dell'opposizione, secondo quanto scrive l'agenzia Irna. LACRIMOGENI SULLA FOLLA - La giornata è stata caratterizzata da grandi tensioni nella capitale iraniana. La polizia ha lanciato lacrimogeni contro i manifestanti che stavano protestando. Le manifestazioni si sono svolte in almeno quattro luoghi separati della capitale, compreso davanti alla sede della televisione di Stato, ritenuta uno dei principali organi di propaganda del regime. Il centro delle proteste è stato in piazza Vali Asr dove, secondo l'opposizione, si erano radunate migliaia di persone. Poliziotti in assetto anti sommossa hanno lanciato lacrimogeni contro i manifestanti, che sono fuggiti nelle strade adiacenti ma hanno fatto ritorno sulla piazza quando il fumo si è diradato. La polizia ha poi bloccato le vie d'accesso alla piazza, riferiscono testimoni citati su Internet. "ALMENO UN MORTO" - La giornalista americana di origine iraniana Christiane Amanpour, che lavora per l'emittente ABC, ha riferito che nel corso delle manifestazioni di oggi a Teheran almeno un manifestante è rimasto ucciso in scontri con le forze dell'ordine. La Amanpour ha precisato, con un messaggio via Twitter, che contro i manifestanti sono stati sparati colpi d'arma da fuoco. BAVAGLIO AI MEDIA - Le mobilitazioni contro il regime di Mahmoud Ahmadinejad sono iniziate o al grido di "Dio è grande" utilizzato dall'opposizione dell'Onda verde. Centinaia di persone si sono anche radunate davanti alla sede della rete televisiva Irib, considerata uno delle principali voci della propaganda del regime. Ai media stranieri presenti a Teheran è proibito riferire delle proteste. Intanto i due principali leader dell'opposizione, Mir-Hossein Moussavi e Mehdi Karroubi, continuano a trovarsi di fatto agli arresti domiciliari. Il sito di Moussavi riferisce che il governo sta pensando di costruire una sorta di "muro d'acciaio" attorno alla residenza dello stesso Moussavi a Teheran. Redazione Online 20 febbraio 2011
2011-02-20 la farnesina: "no tassativo ai viaggi in cirenaica". Frattini chiama Hillary Clinton Libia in rivolta: 285 morti a Bengasi Minacce alla Ue: non collaboriamo più Razzi Rpg sui manifestanti, Paese nel caos: cecchini sparano su un funerale. Militari passano con i rivoltosi * NOTIZIE CORRELATE * Il Viminale e i timori per la Libia. "Rischio invasione di clandestini" (20 febbraio 2011) la farnesina: "no tassativo ai viaggi in cirenaica". Frattini chiama Hillary Clinton Libia in rivolta: 285 morti a Bengasi Minacce alla Ue: non collaboriamo più Razzi Rpg sui manifestanti, Paese nel caos: cecchini sparano su un funerale. Militari passano con i rivoltosi (Ansa) (Ansa) MILANO- La Libia del colonnello Gheddafi fronteggia un una contestazione senza precedenti. La rivolta contro un potere che dura da più di 40 anni finisce nel sangue: si contano morti a decine. A Bengasi il bilancio tragico e comunque non ufficiale degli scontri del fine settimana è di oltre 280 vittime. Armi da fuoco e razzi usati da polizia e forze speciali dell'esercito, in una situazione che prefigura una vera e propria guerra civile. Le notizie dalla Libia continuano ad arrivare soltanto via Internet e con molta difficoltà, perché la Rete è stata bloccata e l'accesso chiuso quasi ovunque nel Paese. La tv di Stato, invece, mostra immagini di tranquillità nelle vie di Bengasi e Tripoli e afferma che il regime di Gheddafi non è in pericolo nè minacciato. Tuttavia un segnale che le cose non stiano proprio in questi termini arriva dalla notizia del rappresentante libico presso la Lega Araba che ha rassegnato le sue dimissioni affermando di essersi "unito alla rivoluzione". Il volto duro viene in ogni caso mostrato anche all'esterno, nei confronti dell'Europa e, quindi, anche dell'Italia, il Paese Ue più vicino ed esposto. Con una vera e propria minaccia arrivata alla presidenza ungherese di turno della Ue : se l'Unione Europea non cesserà di sostenere le rivolte in corso nei Paesi del Nord Africa e in particolare in Libia, Tripoli cesserà ogni cooperazione con la Ue in materia di gestione dei flussi migratori. Ma nel tardo pomeriggio arriva dall'alto rappresentante della politica estera Ue, Catherine Ashton, un nuovo invito alle autorità libiche affinché siano fermate "subito" le violenze contro i manifestanti. C'è ora attesa per un intervento che il figlio di Gheddafi, Seif, terrà alla tv pubblica. Un'immagine degli scontri a Bengasi da un servizio di SkyTg24(Ansa) Un'immagine degli scontri a Bengasi da un servizio di SkyTg24(Ansa) SPARI SUL CORTEO FUNEBRE- Il regime sta cercando di resistere alle proteste libertarie scoppiate sull'onda delle sollevazioni in Tunisia in Egitto e in altri Paesi del Nordafrica e persino nell'area del Golfo. Il leader libico ha reagito con la forza alle manifestazioni di protesta degli ultimi giorni, schierando reprati dell'esercito accanto alla polizia. Il bilancio degli scontri avvenuti sabato a Bengasi tra manifestanti e forze della sicurezza libica fedeli al regime sarebbe, secondo fonti mediche, di 285 morti e di 700 feriti. La tensione resta alta e proprio a Bengasi l'esercito, secondo quanto riferito da una testimone alla tv Al Jazeera, ha sparato razzi Rpg sui manifestanti. E non solo le adunate politiche sono arischio. Almeno 12 persone sono state uccise sabato quando cecchini hanno sparato sulla folla che partecipava a un corteo funebre. Quella tra sabato e domenica è stata una notte di scontri in diverse città libiche, compresa Tripoli, anche se al momento non è chiaro se nella capitale vi siano state vittime. Nella serata di domenica, membri di un'unità dell'esercito libico a Bengasi hanno detto ai manifestanti di essere passati dalla parte dei rivoltosi. La città è stata "liberata" dalle forze filogovernative, hanno affermato. Gheddafi (Imago Economica) Gheddafi (Imago Economica) IL BILANCIO VITTIME - C'è comunque ancora incertezza sul numero esatto delle vittime per il fatto che i giornalisti stranieri non vengono fatti entrare in Libia, mentre Internet è quasi totalmente bloccato. Secondo un testimone citato dal quotidiano britannico The Independent, Ahmed Swelim, le vittime sarebbero molte di più. "Il bilancio è molto più alto di quanto riferito. Ci sono più di 200 morti. Mio cugino, che è un medico di un grande ospedale, ha visto i cadaveri. Ci sono più di 1.000 feriti", ha spiegato. Intanto, le autorità libiche hanno spiegato di avere arrestato decine di cittadini arabi appartenenti a "un'organizzazione" che avrebbe come suo fine ultimo la destabilizzazione del paese. Secondo l'agenzia ufficiale Jana, che cita fonti della sicurezza, "le persone arrestate sono state prelevate in alcuni villaggi libici" perché impegnati a compromettere "la stabilità della Libia, la sicurezza dei suoi cittadini e la loro unità nazionale". Si tratta di "cittadini di nazionalità tunisina, egiziana, sudanese, palestinese, siriana e turca". Un dimostrante a Bengasi ha riferito inoltre alla Bbc che anche alcuni soldati stanno passando "dalla parte della protesta", mentre qualcuno riferisce di una città quasi "fantasma" con le forze di sicurezza ritiratesi nella cittadella fortificata, noto come il Centro di Comando, da dove "sparano i cecchini". E, secondo la tv araba Al Jazeera, sabato alcuni aerei da trasporto militari carichi di armi per la polizia sono atterrati in un aeroporto a sud di Bengasi. Forze speciali sarebbero inoltre pronte ad agire, pensate e organizzate per una lotta senza confini: l'obiettivo è annientare la protesta e per farlo, spiega un oppositore, si reclutano "unità militari di origine africana, che non hanno legami tribali e sulle quali si può quindi contare per una letale campagna di repressione". POLIZIOTTI IN OSTAGGIO - Intanto un gruppo di "estremisti islamici" ha preso in ostaggio poliziotti e civili nell'est della Libia. Lo ha reso noto un alto esponente libico. Il gruppo terroristico "per non uccidere gli ostaggi domanda la fine dell'assedio imposto dalle forze dell'ordine", spiega il portavoce del governo. FRATTINI E LA CLINTON - Sul fronte diplomatico il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha informato il segretario di Stato Usa Hillary Clinton sui tentativi di mediazione tra istituzioni e oppositori in Cirenaica condotti dal ministro degli Interni della Libia per favorire una soluzione pacifica. La Farnesina ha intanto diramato un comunicato per "sconsigliare tassativamente qualsiasi viaggio non essenziale" nella regione della Cirenaica e in particolare a Bengasi, Ajdabya, Al Marj, Al Beida, Derna e Tobruk. Cresce comunque l'allarme in Europa per la situazione in Libia. L'Austria ha annunciato oggi l'invio di un aereo militare a Malta per un'eventuale evacuazione di suoi cittadini e altri europei dalla Libia o altri Paesi arabi scossi da rivolte. Redazione online 20 febbraio 2011
2011-02-19 proteste e feriti anche in kuwait e bahrein Libia: ancora scontri, almeno 84 morti Bilancio di una ong americana. Testimoni parlano di 70 manifestanti uccisi a Bengasi. Caccia al figlio di Gheddafi proteste e feriti anche in kuwait e bahrein Libia: ancora scontri, almeno 84 morti Bilancio di una ong americana. Testimoni parlano di 70 manifestanti uccisi a Bengasi. Caccia al figlio di Gheddafi MILANO - Scontri e violenze. Il Nordafrica e parte del Medio Oriente sono ancora in sommossa. Dopo il cambio di regime in Tunisia ed Egitto proteste e manifestazioni si susseguono in Libia, Bahrein, Yemen e ora anche in Kuwait. LIBIA - Le forze di sicurezza libiche avrebbero ucciso almeno 84 manifestanti in tre giorni di proteste contro il regime di Muammar Gheddafi. A sostenerlo dal Cairo è l'organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch, che cita interviste telefoniche con fonti mediche e testimoni. In particolare il regime avrebbe ucciso almeno 70 manifestanti a Bengasi, seconda città della Libia, mentre sono in aumento in tutto il Paese le proteste contro il colonnello Muammar Gheddafi. Lo riferisce l'emittente Al Jazeera, citando un medico locale che ha visto i corpi nel principale ospedale cittadino. "L'ho visto con i miei occhi: almeno 70 cadaveri in ospedale", ha detto Wuwufaq al-Zuwail, aggiungendo che le forze della sicurezza hanno impedito alle ambulanze di recarsi nei luoghi delle proteste. Spiegando che il governo di Tripoli ha bloccato il segnale di Al Jazeera nel paese, l'emittente riferisce inoltre che, secondo testimonianze, è stato oscurato anche il sito web. Secondo una società specializzata americana in particolare la rete internet sarebbe stata disattivata in tutto il Paese. CACCIA AL FIGLIO DI GHEDDAFI - La rivolta contro il regime avrebbe anche coinvolto direttamente la famiglia del colonnello Gheddafi. C'era anche uno dei figli del leader libico, Saad, tra i fedelissimi del regime che venerdì sera sono stati assediati dai manifestanti nell'albergo "Uzu" di Bengasi. Secondo quanto riporta il sito "Libya al-Youm", ritenuto vicino alle opposizioni, Saad e altri uomini fedeli al colonnello sarebbero riusciti a fuggire dall'albergo, ma ancora bloccati in città. Per liberare Gheddafi junior il governo ha inviato un battaglione composto da 1500 uomini della sicurezza guidati del genero del leader libico, Abdullah Senoussi, il cui compito è quello di riportare Saad sano e salvo a Tripoli. Venerdì sera alcuni abitanti del quartiere dove si trova l'albergo avevano circondato la struttura per cercare di catturare il figlio del leader libico. KUWAIT - Proteste sono segnalate anche in Kuwait dove in una manifestazione tenutasi a Jahra a nord ovest di Kuwait city ci sarebbero stati almeno 30 feriti oltre a 50 arresti. In particolare la protesta è stata alimentata dai beduini che non hanno la nazionalità kuwaitiana. BAHREIN - In Bahrein la coalizione Wefaq, principale gruppo di opposizione sciita, ha respinto l'offerta di dialogo avanzata da re Hamad, ribadendo che prima il governo dovrá rassegnare le dimissioni e ritirare i soldati dalle strade di Manama. Lo riferisce la Bbc, ricordando che ieri sono stati almeno 50 i feriti durante i funerali dei 4 manifestanti uccisi nei giorni scorsi. Re Hamad Isa al-Khalifa aveva chiesto al figlio maggiore Salman di avviare colloqui a livello nazionale per risolvere la crisi. OMAN - Anche Muscat, in Oman, è stata teatro di manifestazioni anti-governative per chiedere "democrazia" e "più soldi e più lavoro". Venerdì , dopo la preghiera , nel distretto commerciale di Ruwi, nella capitale dell'Oman, circa 300 tra donne e uomini hanno manifestato pacificamente per circa un'ora. In risposta alle proteste nate per la disoccupazione e la povertà, il piccolo paese non-Opec ha aumentato gli stipendi dei dipendenti nazionali che lavorano nel settore privato. ALGERIA - Cariche della polizia e primi feriti anche nel centro di Algeri, dove 400 manifestanti stanno sfidando il divieto di manifestare nella capitale algerina. Nella piazza del 1 maggio, luogo di ritrovo del corteo dell'opposizione, le forze di sicurezza impediscono di sostare. Qualsiasi passante che si ferma viene picchiato dalla polizia, riferiscono testimoni oculari. "Il dispositivo di sicurezza - spiega il sito del quotidiano indipendente Al-Watan - è presente in modo massiccio, molto più numeroso della settimana scorsa, ed ha di fatto chiuso quasi ermeticamente la piazza". Il corteo convocato dal Coordinamento nazionale per il cambiamento e la democrazia (Cncd) segue di una settimana un'altra manifestazione dell'opposizione algerina, repressa dalla polizia con cariche ed arresti. Un deputato algerino del partito di opposizione "Raggruppamento per la cultura e la democrazia (RCD)", Tahar Besbes, è in coma dopo essere stato colpito da un pugno da un agente durante la manifestazione di Algeri. Lo ha riferito il portavoce del partito, precisando che il deputato ha battuto violentemente la testa cadendo a terra. OBAMA - Dagli Stati Uniti intanto è arrivata la condanna del presidente Barack Obama, che si è detto "molto preoccupato" dalle violenze contro i manifestanti in Libia e anche in Yemen e Bahrein. "Gli Stati Uniti condannano l'uso della violenza da parte dei governi contro i manifestanti pacifici", ha dichiarato il presidente in un comunicato. Redazione online 19 febbraio 2011
l'ex leader tunisino era stato costretto a lasciare il potere dopo 23 anni Tunisia, giallo su Ben Ali: "È morto" Ne è sicura l'emittente francese France 24. Era stato ricoverato a Gedda a seguito di un ictus l'ex leader tunisino era stato costretto a lasciare il potere dopo 23 anni Tunisia, giallo su Ben Ali: "È morto" Ne è sicura l'emittente francese France 24. Era stato ricoverato a Gedda a seguito di un ictus Zine El-Abidine Ben Ali (Epa) Zine El-Abidine Ben Ali (Epa) MILANO - L'addio al potere. E poi l'addio alla vita. Almeno secondo i media francesi. L'ex presidente tunisino e di fatto ex dittatore, Zine al-Abidine Ben Ali è morto, secondo fonti francesi citate dall'emittente di informazione continua France 24. Il decesso dell'ex leader tunisino, deposto il 14 gennaio dopo 23 anni al potere, sarebbe avvenuto dopo due giorni di coma. LE VOCI - È dal 16 febbraio che circolano voci sul web in merito a un ictus che avrebbe colpito lunedì il presidente tunisino Ben Ali, che si trova in Arabia Saudita. In seguito a questo, Ben Ali sarebbe entrato in stato di coma. BERLUSCONI - Chi non crede al decesso dell'ex presidente tunisino è il premier Silvio Berlusconi, il quale ha dichiarato che secondo le sue fonti "Ben Ali non è morto". Redazione online 19 febbraio 2011
TENSIONE anche nello yemen Libia in rivolta, la condanna di Obama Due agenti impiccati ad Al Baida Almeno 40 vittime dall'inizio delle proteste anti-Gheddafi. Spari sulla folla nel Bahrein * NOTIZIE CORRELATE * Tensione in Libia: 15 morti negli scontri Bahrein, la polizia carica: quattro i morti (17 febbraio 2011) TENSIONE anche nello yemen Libia in rivolta, la condanna di Obama Due agenti impiccati ad Al Baida Almeno 40 vittime dall'inizio delle proteste anti-Gheddafi. Spari sulla folla nel Bahrein La protesta a Sana'a (Reuters) La protesta a Sana'a (Reuters) Continuano manifestazioni e scontri in Medio Oriente e nel Maghreb. La situazione è critica in Libia, dove si contano una quarantina di vittime dall'inizio delle proteste anti-Gheddafi. E questo malgrado il pugno di ferro messo il campo dal leader libico che, attraverso "i Comitati rivoluzionari e il popolo", ha minacciato "i gruppuscoli" anti-governativi di una repressione "devastante". Dopo le decine di morti di cui tra giovedì e venerdì è giunta notizia da varie località senza ottenere conferme indipendenti, venerdì sera la Libia è letteralmente balzata al primo posto tra i Paesi della rivolta. Dall'America, il presidente Barack Obama ha condannato gli atti di violenza contro i manifestanti nel Bahrein, nello Yemen e in Libia ed ha lanciato un appello al rispetto della libertà di espressione. Il portavoce della Casa Bianca Jay Carney, parlando ai media a bordo dell'Air Force One, ha detto che il presidente Obama è "profondamente preoccupato" dalle notizie di atti di violenza. L'inquilino della Casa Bianca ha esortato tali governi a esercitare la massima moderazione verso i manifestanti astenendosi da atti di violenza. INTERROTTI I COLLEGAMENTI TELEFONICI - Solo a Bengasi, secondo l'edizione on line del quotidiano Oea, un giornale vicino al figlio del leader libico, Seif, sono state seppelliti venti cadaveri, mentre a Derna, nell'est del Paese, ne sono stati seppelliti cinque e due vittime sono ancora nell'obitorio dell'ospedale. Sempre Oea riferisce che due poliziotti sono stati impiccati da manifestanti ad Al Baida. La città 1.200 chilometri a est di Tripoli sarebbe di fatto nelle mani dei manifestanti e le forze della sicurezza hanno ricevuto l'ordine di lasciare la località. Lo riferisce una fonte della sicurezza libica, aggiungendo che le forze di sicurezza si sono posizionate intorno alla località e controllano le vie di accesso in entrata e in uscita. I membri della famiglia del leader libico Muammar Gheddafi residenti ad Al Baida (un cognato e i suoi familiari), secondo la fonte hanno abbandonato la città per recarsi nel sud della Libia, probabilmente a Sebha. Nella località sembra certo che siano morti due giovani durante gli scontri dei giorni scorsi, ma una fonte informata ha dichiarato alla stampa locale che le vittime sarebbero 14, fra cui anche alcuni esponenti locali del regime. I collegamenti telefonici con Al Baida sono interrotti da venerdì mattina mattina. Secondo altre autorità locali, "alle forze dell'ordine è stato detto di lasciare la città per evitare altri scontri con i manifestanti". CAOS A BENGASI - Il sito internet Quyrna riferisce che 1.000 detenuti del carcere di Bengasi avrebbero attaccato le guardie e sarebbero scappate. Tre degli evasi sarebbero stati uccisi a colpi di arma da fuoco sparati dalle guardie. I manifestanti in piazza hanno incendiato la sede della radio locale a Bengasi, dopo il ritiro delle forze che garantivano la sicurezza dell'edificio. Ci sono interi quartieri della città, in particolare la parte settentrionale e orientale della città, che sono rimaste stasera senza elettricità e senza la linea internet. Lo riferisce l'attivista Ziad Karim. Secondo Al Jazeera in queste ore ci sono 11 cadaveri di manifestanti uccisi negli scontri di ieri con la polizia ancora fermi nell'ospedale di Bengasi. YEMEN - Non va meglio nello Yemen. Tre dimostranti antigovernativi sono stati uccisi venerdì a colpi di arma da fuoco nella città di Aden, nel sud del Paese. Lo riferisce Al Jazeera secondo la quale, i feriti sono decine. Tensione anche nel Bahrein dove la polizia ha aperto il fuoco su una folla di dimostranti vicino alla Piazza della Perla a Manama. Secondo la Cnn, che ha citato gli autisti di un'ambulanza, quattro manifestanti sono rimasti uccisi. Altre persone sono rimaste ferite. "VIA LA FAMIGLIA REALE" - Nel Bahrein una imponente manifestazione è in programma per sabato, mentre quattro persone sono morte negli scontri a Manama tra polizia e manifestanti dell'opposizione, che chiedono una svolta democratica per questa monarchia del Golfo. Almeno 25 persone sono invece state ferite dal'esercito, che ha sparato sulla folla, per poi impedire alle ambulanze e ai medici di prestare soccorso. Nel Paese si sono svolti i funerali degli sciiti uccisi nel raid della polizia contro le proteste di Manama. L'ex deputato, Jalal Firuz, del movimento sciita che giovedì si è dimesso in blocco dal parlamento, ha detto che in un primo tempo i dimostranti hanno commemorato le vittime dei giorni scorsi in un'altra zona della città, dove la polizia antisommossa ha sparato lacrimogeni contro di loro. La folla si è allora diretta verso la Piazza della Perla, dove l'esercito ha aperto il fuoco. Secondo testimoni citati dalla France Presse, spari hanno preso di mira manifestanti vicino all'ospedale Salmaniya, nella capitale, causando diversi feriti. Migliaia di persone sono giunte nella cittadina di Sitra al grido di "Processate la banda criminale". "Un massacro" ha gridato un religioso sciita all'inizio della funzione aperta da due veicoli con i corpi di Ali Khodeir e Mahmoub Mekki avvolti nella bandiera nazionale. Mentre si celebravano i funerali dimostranti con gli striscioni continuavano a urlare: "La gente vuole la caduta del regime. Rimuovete la famiglia reale". STOP ALLE ESPORTAZIONI - Intanto la Gran Bretagna ha annunciato l"'annullamento" di 44 contratti per l'esportazione di materiale di sicurezza verso il Bahrein e otto simili contratti verso la Libia, nel timore che tale materiale possa essere utilizzato contro i manifestanti nelle proteste in corso nei due Paesi. Redazione online 18 febbraio 2011
a una settimana esatta dalla caduta di Hosni Mubarak Egitto, un milione per festeggiare il "Giorno della Vittoria" a piazza Tahrir I giovani di Facebook: "Ora c’è da ricostruire, ci fidiamo abbastanza dei militari ma non posso esserci solo loro" * NOTIZIE CORRELATE * "Mubarak è morente". No, sta bene". Le mille voci sulla sorte del Faraone (16 febbraio 2011) * Mubarak si è dimesso, la piazza in festa (11 febbraio 2011) a una settimana esatta dalla caduta di Hosni Mubarak Egitto, un milione per festeggiare il "Giorno della Vittoria" a piazza Tahrir I giovani di Facebook: "Ora c’è da ricostruire, ci fidiamo abbastanza dei militari ma non posso esserci solo loro" Dal nostro inviato Cecilia Zecchinelli
IL CAIRO – Piazza Tahrir dall’alba, appena finito il coprifuoco, è tornata a riempirsi. Tutta l’immensa città sta arrivando nel luogo simbolo della Rivoluzione. Bandiere di ogni dimensione, cartelli, slogan, canti e musica con l’inno nazionale suonato da bande e tamburi, qualche clacson intanto segna il ritmo. I carri armati, ormai pochi, sono in disparte. A mezzogiorno la preghiera in comune sarà guidata da Yusuf Qaradawi, il controverso sheikh molto vicino ai Fratelli Musulmani che da anni "telepredica" su Al Jazeera e la cui presenza non tutti apprezzeranno oggi in piazza e nel mondo. Piazza Tahir (Infophoto) Piazza Tahir (Infophoto) LA PIAZZA - Subito dopo la piazza sarà davvero un oceano di gente. "Un milione per festeggiare oggi il Giorno della Vittoria" è stato l’appello degli organizzatori dell’Intifada, i tanti leader più o meno famosi e riconosciuti del movimento per la democrazia. Un milione almeno in piazza oggi, a una settimana esatta dalla caduta di Hosni Mubarak. E da quando il Supremo consiglio delle forze armate ha preso il potere. "Dobbiamo stare attenti, vigilare, perché la rivoluzione l’abbiamo fatta e anche vinta ma ora c’è da ricostruire l’Egitto, ci fidiamo abbastanza dei militari ma non posso esserci solo loro al potere, non per lungo", dice Hisham, 20 anni, la faccia dipinta in bianco nero e rosso, i colori della bandiera arrivato a Tahrir dalle periferie. Sarà questo il messaggio che più tardi la piazza famosa nel mondo lancerà ai 16 generali che stanno gestendo la transizione, a meno di un mese dell’inizio di tutto, il 25 gennaio. Lo ripeteranno i "giovani di Facebook", gli intellettuali, i partiti ufficiali travolti il mese scorso da un’onda che non si aspettavano e poi rientrati almeno in parte nel gioco, dei Fratelli musulmani rimasti in disparte nei primi giorni della Rivoluzione e ora più forti e presenti, come la presenza di Qaradawi sembra anche indicare. A Mohandisin, sull’altra sponda del Nilo è attesa in oltre una manifestazione di pro-Mubarak o almeno del suo sistema (l’ex raìs pare sia sempre a Sharm Al Sheikh, in precarie condizioni di salute). L’ultima settimana di stordimento ha visto scioperi ovunque, le banche e molte fabbriche restano chiuse, tutti chiedono aumenti di stipendio e la fine della corruzione. Intanto i militari hanno disciolto il parlamento, sospeso la Costituzione e affidato a un gruppo di esperti la sua revisione, promesso che "tra sei mesi o quando ci saranno le elezioni" si faranno da parte. Hanno garantito giustizia per i tanti morti della Rivoluzione, negando di usare torture. E hanno pure iniziato a indagare su fatti e misfatti dell’era Mubarak. Ieri, tre ex ministri tra cui l’odiato capo degli Interni Habib Al Adly sono stati arrestati. A lui, tra l’altro, faceva capo la polizia responsabile di quasi tutti i 300 "martiri del 25 gennaio". 18 febbraio 2011
Marek Rybinski, salesiano polacco ucciso a Manouba Tunisia: sgozzato un prete cattolico Estremisti islamici a Tunisi cercano appiccare incendi nelle strade della prostituzione Marek Rybinski, salesiano polacco ucciso a Manouba Tunisia: sgozzato un prete cattolico Estremisti islamici a Tunisi cercano appiccare incendi nelle strade della prostituzione MILANO - Un sacerdote salesiano polacco è stato sgozzato a Manouba, in Tunisia. Si tratta di don Marek Rybinski, 34 anni, missionario a Manouba. Don Rybinski è stato rinvenuto in un ripostiglio con la gola tagliata. Si tratta del secondo religioso ucciso in Tunisia. Il 31 gennaio i salesiani di Manouba hanno trovato una lettera anonima che minacciava i religiosi di morte nel caso non avessero pagato una tangente. Al momento si segue la pista del furto, ma non è escluso il fondamentalismo religioso. In una dichiarazione, il ministero degli Interni ha detto che l'omicidio sembra essere opera di "un gruppo di terroristi fascisti estremisti". ISLAMICI - Nei giorni scorsi alcuni militanti del gruppo islamico Hizb al-Tahrir hanno manifestato nel centro di Tunisi per chiedere la chiusura della sinagoga. Venerdì al grido di "via le case chiuse", "chiudete i bordelli" a Tunisi diverse decine di islamisti hanno tentato di appiccare incendi in una delle strade della prostituzione nel centro della capitale. "Questi non sono islamisti, sono sempre le stesse persone organizzate dai vecchi servizi segreti", ha commentato Sihem Bensedrine, attivista per i diritti umani e fondatrice del Consiglio nazionale per le libertà in Tunisia. Redazione online 18 febbraio 2011
2011-02-17 Anche l'opposizione libica parla di quattro vittime a seguito delle colluttazioni a Bengasi "Giornata della collera", tensione in Libia Bahrein, la polizia carica: quattro i morti Si temono duri scontri a Tripoli tra i manifestanti anti-regime e i sostenitori di Gheddafi. Pressioni dali Usa * NOTIZIE CORRELATE * Libia: scontri tra manifestanti e polizia sostenuta da attivisti pro-Gheddafi (16 febbraio 2011) Anche l'opposizione libica parla di quattro vittime a seguito delle colluttazioni a Bengasi "Giornata della collera", tensione in Libia Bahrein, la polizia carica: quattro i morti Si temono duri scontri a Tripoli tra i manifestanti anti-regime e i sostenitori di Gheddafi. Pressioni dali Usa Un cartellone che inneggia a Gheddafi (Imagoeconomica) Un cartellone che inneggia a Gheddafi (Imagoeconomica) MILANO - La tensione nell'area mediorientale e del Maghreb resta alta. Oggi è il "giorno della collera" in Libia e ancora oggi si attendono grandi mobilitazione. A Tripoli si fronteggeranno i manifestanti anti-regime e i sostenitori del leader Muhammar Gheddafi. Già nei giorni scorsi le due fazioni sono state coinvolte in scontri e c'è il forte timore di una repressione autoritaria che faccia degenerare la situazione. La Farnesina mette in allerta gli italiani che dovessero recarsi nel Paese nordafricano indicando anche la giornata di venerdì come a rischio e consigliando di "evitare gli assembramenti di folla, di allontanarsi immediatamente dalle zone dove siano in corso manifestazioni e, in generale, di rimanere sempre aggiornati sull’attualità internazionale e regionale". MORTI E FERITI - Su blog e social network, per tutta la giornata di ieri, si sono rincorse voci di incidenti in Libia. Lunghe ore di forte tensione che sono seguite a una notte di scontri, arresti, feriti e, secondo informazioni non confermate ufficialmente, ci sono anche delle vittime. Secondo siti vicino all'opposizione e alle ong libiche i morti a seguito delle colluttazioni di ieri tra manifestanti antigovernativi e polizia ad Al Baida, nell'est della Libia, sarebbero almeno nove. Sarebbero poi trentotto le persone rimaste ferite negli scontri avvenuti fino ad ora a Bengasi. Sostenitori del colonnello Muammar Gheddafi e polizia hanno caricato i manifestanti riuniti davanti a un commissariato, per chiedere la liberazione di un attivista. LE PRESSIONI DEGLI USA - Gli Stati uniti hanno chiesto alle autorità di Tripoli di andare incontro alle aspirazioni della popolazione. "I Paesi della regione stanno affrontando le medesime difficoltà in materia di demografia, aspirazioni popolari e bisogno di riforme", ha dichiarato il portavoce del dipartimento di Stato americano, Philip Crowley. "Incoraggiamo questi Paesi a prendere delle misure specifiche che rispondano alle aspirazioni, ai bisogni e alle speranze del loro popolo. La Libia rientra senza alcun dubbio in questa categoria", ha aggiunto il diplomatico statunitense. Crowley ha evitato di rispondere esplicitamente a chi gli chiedeva se non ritenesse Muammar Gheddafi "un dittatore". Ma il suo pensiero è emerso con chiarezza: "Non credo che sia arrivato al potere democraticamente", ha detto. Nuove vittime nell'emirato TENSIONI IN BARHEIN - Nel frattempo in un altro scenario, quello del Bahrein, si aggiorna il bilancio delle vittime. È salito a 4 il numero dei manifestanti uccisi nel centro della capitale Manama in seguito all'assalto sferrato prima dell'alba dalle forze di sicurezza contro un accampamento improvvisato, dove si erano sistemati i manifestanti che da martedì protestano contro il regime monarchico assoluto del piccolo emirato. Due dimostranti erano morti sul colpo. Il terzo è deceduto poco dopo a causa delle gravi lesioni da arma da fuoco riportate al torace, come hanno denunciato fonti dell'opposizione sciita. Ci sarebbe poi una quarta vittima, secondo quanto riportato da una fonte dell'opposizione, ma non ci sono ulteriori dettagli. I feriti accertati a causa del blitz ammontano a cinquanta. In nemmeno tre giorni le vittime della repressione sono state complessivamente almeno cinque anche se via web molte fonti non governative lasciano intendere che possano essere di più. GRAN PREMIO A RISCHIO - Intanto le prove per il Gran Premio 2 dell'Asia, in programma sul circuito del Bahrein che il mese prossimo dovrà ospitare anche la gara di apertura di della stagione della Formula Uno, sono state rinviate. "Per via degli eventi in corso, lo staff medico normalmente in servizio al circuito è stato temporaneamente chiamato negli ospedali della cittá (per poter intervenire, ndr) in caso di emergenza", si legge in un comunicato diffuso dagli organizzatori della gara. "Per ovvie ragioni, gli organizzatori delle prove del GP2 hanno deciso di rinviare a domani l'attivitá prevista per oggi", prosegue il testo. Redazione Online 17 febbraio 2011
Sono 2 mila i tunisini rimasti nel centro di accoglienza Da Lampedusa trasferimenti a rilento Monta un'insidiosa agitazione e si temono proteste per le voci di un rimpatrio Sono 2 mila i tunisini rimasti nel centro di accoglienza Da Lampedusa trasferimenti a rilento Monta un'insidiosa agitazione e si temono proteste per le voci di un rimpatrio Il ringraziamento dei tunisini a Lampedusa Il ringraziamento dei tunisini a Lampedusa LAMPEDUSA - Rischiano di passare alla storia come i tunisini che nessuno voleva i duemila migranti rimasti nel Centro accoglienza di Lampedusa e sempre più in fermento perché ogni giorno si rinvia il trasferimento in altre regioni. Monta una insidiosa agitazione, si temono proteste e si parla addirittura di uno sciopero della fame, mentre a gruppi vagano per il centro abitato rilanciandosi la voce raccolta via sms dai loro parenti in Tunisia, ma priva di conferme ufficiali, su un’operazione finalizzata al rimpatrio. PAURA - È il loro terrore. "Meglio morire che tornare in Tunisia", dice Sofen, 26 anni, alla testa dei 115 che preferiscono dormire di fronte al campo sportivo. L’unico obiettivo è andare via dall’isola. E poi di trovare un sistema per raggiungere il Nord, soprattutto la Francia. Va comunque troppo a rilento la macchina dei trasferimenti che dovrebbe svuotare "un’isola al collasso", come la definisce il sindaco di Lampedusa Dino De Rubeis oggi a colloquio con il ministro Maroni. Da due giorni non partono i voli ogni volta annunciati. Annullati i quattro di martedì e due previsti mercoledì. Con una tensione crescente fra gli immigrati che entrano ed escono dal Centro accoglienza senza ostacoli. TENSIONE - Girano per il paese, fra le stradine popolate e le ville disabitate, spesso familiarizzando con i ragazzi di Lampedusa. Come è accaduto mercoledì sera quando un centinaio di tunisini in corteo si sono aggregati ai giovani dell’associazione Askavusa, al ritmo dei jembèè, con balli e canti per dire "Tahia Roma, Tahia Italia, Viva Roma, Viva l'Italia". Agitavano anche un cartello con il simbolo dell’Unione europea, le dodici stelle. Eloquente la scritta: "11 stelle con la bocca cucita, solo una che brilla, l’Italia". Il tutto davanti alla chiesa di don Stefano Nastasi, il parroco sempre più preoccupato: "I rischi sono alti, per quanto la stragrande maggioranza dei lampedusani sia accogliente. E aumentano perché a fare qualcosa non è l’Italia, ma solo questa isola sfortunata". SEGNALATI ALCUNI FURTI - Oltre la singolare incursione di sei tunisini che l’altra notte hanno sfondato la villa di Claudio Baglioni, dormendo fra letti e divani, dopo aver mangiato tonno sott’olio e bevuto ottimi vini, vengono segnalati piccoli furti, danneggiamenti alle case, una mini rapina per impossessarsi di un cellulare. Ci sono ragazzi che chiedono soldi ai passanti, altri che non riescono a cambiare i dinari. Tutti con l’esigenza di trovare una scheda telefonica, di mangiare un panino, di prendere un caffè. A dieci giorni dall’esodo che ha rovesciato sull’isola 5 mila migranti lasciandoli le prime notti all’addiaccio sul molo o nel campo sportivo, la lentezza dei trasferimenti ripresi a passo ridotto giovedì con la partenza di appena 70 tunisini in nave verso Porto Empedocle porta don Stefano a sospettare il peggio: "Temo pericolosi giochi esterni su Lampedusa. Questo continuo rinvio ci fa pensare che altri centri, altre regioni abbiano rifiutato di accogliere i tunisini. Ma Lampedusa non può sopportare questo peso da sola. Deve fare qualcosa tutto il Paese, e deve fare qualcosa l’Europa". APPELLO - È lo stesso appello rilanciato da Laura Boldrini, portavoce dell’Acnur, l’alto commissariato delle Nazioni Unite, drastica nel quesito: "Perché ci sono regioni intere che non hanno voluto queste persone?". È materia di polemica politica. Anche all’interno della maggioranza, visto che uno dei pupilli di Berlusconi, Gianfranco Micciché, alla guida di Forza del Sud, non le manda a dire: "Il Sud sta dando, ancora una volta, prova di maturità e umanità: ciò che in fondo ci distingue dagli altri, che pensano sempre e solo a come sbarazzarsi di questi ‘appestati’...". È un modo per sollecitare Maroni: "Lo conosco bene, sono certo che continuerà a gestire la situazione al meglio, ma abbiamo bisogno che l’Ue faccia la sua parte". GIALLO - Soffia quindi un brutto vento sull’isola dove non arrivano barconi da tre giorni. Ma resta il giallo di un peschereccio con 500 a bordo. Una voce lanciata mercoledì mattina. Vana ogni ricerca. La speranza è che sia rientrata verso costa, dalle parti di Zarzis. Ultima notizia che crea inquietudine è il primo risultato dell’inchiesta sui furti di eliche, timoni, radio, gps, gasolio a bordo dei barconi tunisini accatastati davanti al campo sportivo. Denunciate sette persone, compresi alcuni pescatori in lotta come tutta la categoria per il caro gasolio, pronti a reagire, a invocare attenzione concreta "senza essere scambiati per ladri". Felice Cavallaro 17 febbraio 2011
2011-02-15 GLI USA APPOGGIANO LE ASPIRAZIONI DELL'OPPOSIZIONE. "NO ALL'USO DELLA VIOLENZA" L'Egitto contagia l'Iran, scontri e caos Cortei a Teheran a sostegno delle rivolte al Cairo e in Tunisia. Un morto e diversi feriti. Due uccisi in Bahrein GLI USA APPOGGIANO LE ASPIRAZIONI DELL'OPPOSIZIONE. "NO ALL'USO DELLA VIOLENZA" L'Egitto contagia l'Iran, scontri e caos Cortei a Teheran a sostegno delle rivolte al Cairo e in Tunisia. Un morto e diversi feriti. Due uccisi in Bahrein MILANO - L'onda lunga delle rivolte nel Maghreb e in Egitto arriva in Iran e ridà vita all'Onda Verde. Teheran scende in piazza per una marcia non autorizzata, organizzata dall'opposizione proprio a sostegno delle proteste al Cairo e negli altri Paesi africani, e scoppia il caos. Un producer della Bbc ha riferito di "pesanti scontri" tra manifestanti e forze dell'ordine. I siti d'opposizione Peykeiran e Herana hanno parlato di un dimostrante morto e di due feriti. "Una persona è stata colpita da spari ed è morta e diverse altre sono rimaste ferite dai sediziosi che hanno manifestato a Teheran", è la versione dell'agenzia semiufficiale Fars, senza fornire altri dettagli. Secondo testimoni oculari, la polizia avrebbe aperto il fuoco vicino alla piazza Tohi. Spari sarebbero stati uditi nei pressi della piazza Enghelab, nel centro della capitale. "Migliaia di persone - secondo altri testimoni - hanno marciato nel centro di Teheran". I militari avrebbero usato anche i lacrimogeni per disperdere i manifestanti. E ci sarebbero stati "numerosi arresti". L'America segue con attenzione quanto sta avvenendo in Iran. E, a differenza della prudenza con cui gli Usa accolsero le proteste dell'Onda Verde nell'estate del 2009, stavolta Washington esprime il suo sostegno alle "aspirazioni" dell'opposizione iraniana e intima a Teheran di non ricorrere alla violenza contro i manifestanti. Lo ha spiegato Hillary Clinton, esortando il regime degli ayatollah a "sbloccare" il sistema politico del Paese. Intanto, secondo fonti diplomatiche, la polizia iraniana avrebbe arrestato il console spagnolo a Teheran, Ignacio Perez Cambra. GLI SCONTRI - Gli scontri più pesanti si sono registrati vicino alla piazza Azadi, in via Azerbaigian, testimoniati da un costante andirivieni di ambulanze fra la zona e un vicino ospedale. "La gente - ha scritto un giornalista della Bbc sul posto - ha dato fuoco a cassonetti nel centro di Teheran e la polizia ha sparato così tanti gas lacrimogeni che, in alcune parti della piazza Azadi, è quasi impossibile respirare". La rete di cellulari è stata completamente oscurata nel centro della capitale iraniana, secondo la fonte. Altri scontri sono stati registrati attorno all'università di Teheran e all'università Sharif. Le agenzie ufficiali iraniane negano gli incidenti, scrivendo al contrario che la città "è ancora più calma rispetto agli ultimi giorni". Secondo il sito d'opposizione iraniano Iranpressnews, l'opposizione in piazza ha chiesto le dimissioni della Guida suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, auspicando che il leader della Repubblica islamica lasci il potere così come è avvenuto al termine della rivolta popolare in Tunisia con il presidente Zine el-Ebidine Ben Ali e in Egitto con l'ex rais Hosni Mubarak. BRUCIATI I CASSONETTI - La protesta nella capitale, all'inizio silenziosa, era formata da piccoli gruppi di manifestanti che si sono riuniti nei pressi di piazza Azadi. In un secondo momento, alcuni oppositori hanno lanciato slogan anti-governativi e dato fuoco a bidoni della spazzatura. La protesta a Teheran è la prima dopo le manifestazioni del dicembre 2009, durante le quali furono uccise otto persone. Manifestanti dell'opposizione si sono radunati anche di altre città del Paese, in particolare Isfahan e Shiraz, secondo quanto riferiscono alcuni testimoni. Nella capitale, gli oppositori hanno dato vita a cortei e proteste nelle piazze Imam Hossein, Enghelab, Ferdowsi, Haft-e-Tir e Sadeghieh, ma sono stati affrontati da uno schieramento molto ingente di forze anti-sommossa. Sui siti d'opposizione viene rilanciato in queste ore un video assai violento che mostra un presunto basij, un miliziano filogovernativo, picchiato a Teheran dai manifestanti dell'Onda Verde. Il filmato è datato 14 febbraio, ma non è possibile per il momento accertare la veridicità delle immagini, né se la persona picchiata sia realmente un miliziano del governo. USA E FRANCIA - Consapevole dello "storico ruolo" svolto fin qui dai social network nelle proteste, il Dipartimento di Stato Usa ha cominciato a inviare messaggi su Twitter agli iraniani. Il flusso è cominciato domenica, quando gli Stati Uniti hanno accusato il regime di Teheran di ipocrisia perché, mentre a parole ha appoggiato i cortei anti-governativi in Egitto, ha poi cercato di soffocare le manifestazioni organizzate in Iran a sostegno delle rivolte popolari che stanno dilagando in tutto il Medio Oriente. L'ultimo 'tweet', in ordine di tempo, quello odierno, mentre da Teheran arrivavano le prime notizie degli scontri tra forze dell'ordine e manifestanti: sull'account, USAdarFarsi, Washington ha invitato Teheran a permettere "alle persone che godono degli stessi diritti universali di riunirsi pacificamente e di manifestare come al Cairo". E anche dalla Francia è arrivata una dura condanna per i "vincoli" imposti all'opposizione riformatrice dell'Iran, che si è vista impedire ogni manifestazione nella Repubblica islamica. "Siamo preoccupati per il divieto delle manifestazioni indette dall'opposizione iraniana e per i vincoli imposti all'opposizione", ha detto a Parigi il portavoce del ministero degli Esteri francese, Bernard Valero. "La Francia - ha aggiunto - chiede alle autorità iraniane di rispettare il diritto d'espressione di tutti i suoi cittadini. Chiede alle autorità iraniane di liberare tutte le persone detenute arbitrariamente". TENSIONE IN BAHREIN - Disordini tra la popolazione e la polizia si sono registrati anche in tre località abitate dalla maggioranza sciita in Bahrein (governato da una minoranza sunnita), in occasione del "giorno della rabbia", decretato sulla scia delle manifestazioni tunisine ed egiziane. Un ragazzo di 21 anni è morto lunedì nel villaggio di Daih, un secondo martedì secondo alcune fonti e ci sono stati scontri durante i funerali del primo. Analisti ritengono che i disordini in Bahrein potrebbero innescare scontri anche nella vicina Arabia Saudita. Infatti militari sauditi sarebbero già entrati in Bahrein per contenere la protesta, riferiscono fonti citate dalla Ahlul Bayt News Agency. Il gruppo parlamentare sciita al-Wifaq ha annunciato che sospenderà la partecipazione dei suoi deputati dalle attività della Camera per protesta contro la monarchia sunnita. Lo ha reso noto Al-Jazeera. Redazione online 14 febbraio 2011(ultima modifica: 15 febbraio 2011)
Giallo sull'ex capo di stato: Malato o in fuga? Egitto, dove è finito Hosni Mubarak? I giornali egiziani: "È in coma" L'America conferma. La rivista tedesca Stern afferma che sia negli Emirati. Per il Washington Post è in Germania. * NOTIZIE CORRELATE * Mubarak si è dimesso, la piazza in festa (11 febbraio 2011) * VIDEO - I 30 anni di potere di Hosni Mubarak (11 febbraio 2011) * Mubarak: "Resto fino alle elezioni". L'ira di Obama: "Opportunità mancata" (10 febbraio 2011) Giallo sull'ex capo di stato: Malato o in fuga? Egitto, dove è finito Hosni Mubarak? I giornali egiziani: "È in coma" L'America conferma. La rivista tedesca Stern afferma che sia negli Emirati. Per il Washington Post è in Germania. (Ap) (Ap) Sulle condizioni di salute di Hosni Mubarak è ormai un rincorrersi di notizie. E di smentite. Quella che arriva ora dagli Usa, invece è una conferma. L'ambasciatore americano al Cairo ha indirettamente confermato che Hosni Mubarak è gravemente malato. Dopo le indiscrezioni di stampa che parlano di un peggioramento delle condizioni di salute del Rais, forse addirittura in coma, ha parlato il diplomatico americano Sameh Shoukry: "Sto seguendo le indiscrezioni e le notizie di stampa su Mubarak e non nego che ho ricevuto comunicazione che l'ex presidente è in cattiva salute", ha riferito alla Nbc. Shoukry ha però precisato di non avere "informazioni sufficienti": per questo motivo, ha aggiunto, "non vorrei speculare" su queste notizia. IN COMA - La clamorosa ipotesi era stata avanzata del giornale Al Masri Al Youm secondo cui Mubarak sarebbe entrato in coma nella notte di sabato nella sua residenza di Sharm el-Sheikh. Secondo le fonti, i familiari avrebbero deciso di non portarlo in ospedale, ma di tenerlo sotto osservazione medica nella sua residenza, dove è arrivato venerdì dopo aver dato le dimissioni. Un suo ricovero in Germania era stato previsto in precedenza ma ora sembra che la famiglia non avrebbe ancora deciso se portarlo all'estero per sottoporlo a cure o lasciarlo in patria. L'ex presidente egiziano, che ha 82 anni, era già stato sottoposto ad un intervento chirurgico in Germania lo scorso marzo. Anche il quotidiano del Bahrein Alwasat News'scrive che l'ex rais si trova in stato di incoscienza, mentre altri media egiziani parlano di gravissime condizioni di salute e scrivono che Muabrak rifiuterebbe ogni cura medica. LA FAMIGLIA - La famiglia del deposto presidente avrebbe lasciato l'Egitto già martedì scorso e risiede adesso in un palazzo dello sceicco Sultan bin Mohammed Al Kasim. Negli Emirati sarebbe fuggito anche l'ex ministro dell'Industria e del Commercio Rashid Mohamed Rashid, uno degli uomini più vicini a Mubarak, riporta Stern secondo il quale l'ex presidente egiziano si trova negli Emirati arabi. Il Washington Post, invece, ipotizza che dopo lo scalo ad Abu Dhabi, Mubarak abbia raggiunto la Germania. Le fonti di entrambi i giornali concordano nell'affermare che l'ex capo di stato abbia lasciato Shaarm el Sheik già venerdì sera con un volo messo a disposizione da Air Arabia, che effettua quotidianamente i collegamenti tra Sharm e Abu Dhabi. Il portavoce della cancelleria, Steffen Seibert, ha dichiarato: "Non è in Germania, né sulla strada per la Germania". Redazione online 14 febbraio 2011(ultima modifica: 15 febbraio 2011)
la SUPERFINANZIARIA Usa, le megaforbici di Obama Taglio al deficit di 1.100 miliardi Obiettivo decennale. Manovra senza precedenti: l'ammontare complessivo sarà di 3.700 miliardi la SUPERFINANZIARIA Usa, le megaforbici di Obama Taglio al deficit di 1.100 miliardi Obiettivo decennale. Manovra senza precedenti: l'ammontare complessivo sarà di 3.700 miliardi Barack Obama (Ansa) Barack Obama (Ansa) MILANO - Una manovra senza precedenti. Il Presidente Usa, Barack Obama, ha annunciato una Finanziaria per il 2012 che punta a tagliare il deficit di 1.100 miliardi di dollari nell'arco dei prossimi 10 anni. L'ammontare della manovra è di 3.700 miliardi di dollari. I DATI - Secondo i dati anticipati dalla Casa Bianca, prima della presentazione ufficiale, il deficit di bilancio degli Usa quest'anno toccherà il record di 1.600 miliardi di dollari, pari al 10,9% del Pil, in rialzo dalla precedente stima del governo di 1.400 miliardi. Nel 2012 il deficit scenderà a 1.100 miliardi e nel 2018 a 607 miliardi di dollari, pari al 3,2% del Pil. "Il dibattito - ha dichiarato un portavoce della Casa bianca - a Washington non è se tagliare o spendere. Entrambi siamo d'accordo che dovremmo tagliare. La questione è come tagliamo e cosa tagliamo". I repubblicani tuttavia hanno già presentato proposte molto più dure di quelle del presidente, finalizzate a tenere a bada il crescente debito Usa, che nei prossimi mesi dovrebbe toccare il suo attuale limite legale. Redazione online 14 febbraio 2011
Al primo posto restano gli Stati Uniti Cina, nel 2010 è diventata la seconda economia mondiale Il Giappone deteneva il secondo posto dal 1968 Al primo posto restano gli Stati Uniti Cina, nel 2010 è diventata la seconda economia mondiale Il Giappone deteneva il secondo posto dal 1968 (Ap) (Ap) TOKYO - I risultati del Pil giapponese (-0,3% IV trimestre e +3,9% nel 2010) ufficializzano quello che già si sapeva da tempo. Il confronto dei numeri stabilisce che la Cina (+10,3% il Pil dello scorso anno) nel corso del 2010 è diventata la seconda potenza economica mondiale, scavalcando proprio il Giappone. Al primo posto restano gli Stati Uniti. GIAPPONE - Il Pil del Giappone, in termini nominali, è risultato pari a 5.474,2 miliardi di dollari, secondo le statistiche pubblicate a Tokyo. Il governo giapponese precisa che il Pil della Cina ha raggiunto dal suo canto l'equivalente di 5.878.6 miliardi di dollari. L'economia cinese ha superato i suoi vicini nel 2010 e diviene la seconda più grande del mondo, dietro gli Stati Uniti, un posto che era invece stato occupato dall'economia giapponese fin dal 1968. La Cina ha da anni un tasso di crescita vicino o superiore al 10%, ma il suo aumento del Pil nel 2010 è stato del 10,3%. Pesantemente colpita dalla recessione globale nel 2008 e 2009, l'economia del Giappone si è ripresa nel 2010, la crescita ha raggiunto il 3,9%, ma questo risultato non permette a Tokyo di mantenere la sua seconda posizione di fronte alla rapida ascesa della Cina. (fonte: Radiocor) 14 febbraio 2011
2011-02-13 prima riunione del governo. il generale Benny Gantz nuovo capo di stato maggiore Egitto, i militari sciolgono il Parlamento Rubate due statue di Tutankhamon I militari al potere hanno sospeso la Costituzione. Reso noto l'elenco degli oggetti sottratti al Museo egizio * NOTIZIE CORRELATE * "Rispettiamo i trattati", plauso di Israele (12 febbraio 2011) * Mubarak si è dimesso, la piazza in festa (11 febbraio 2011) * "Se n'è andato!", al telefono con la piazza di M. Montecucco (10 febbraio 2011) * Mubarak: "Resto fino alle elezioni". L'ira di Obama: "Opportunità mancata" (10 febbraio 2011) * In migliaia hanno trascorso la notte in piazza Tahir (9 febbraio 2011) prima riunione del governo. il generale Benny Gantz nuovo capo di stato maggiore Egitto, i militari sciolgono il Parlamento Rubate due statue di Tutankhamon I militari al potere hanno sospeso la Costituzione. Reso noto l'elenco degli oggetti sottratti al Museo egizio Statua in legno placcato oro di Tutankhamon cacciatore Statua in legno placcato oro di Tutankhamon cacciatore I militari al potere in Egitto hanno sciolto il Parlamento e sospeso la Costituzione. Il Consiglio supremo militare egiziano ha annunciato, in un comunicato trasmesso dalla tv di Stato, di aver formato una Commissione per emendare la Costituzione, dopo averla sospesa. Il Consiglio supremo delle forze armate gestirà il Paese per i prossimi sei mesi o fino allo svolgimento delle elezioni legislative e presidenziali. Lo afferma il comunicato numero 5 diffuso questa mattina dal quale si afferma anche che la Costituzionale è stata congelata. Il governo israeliano, riunito per la prima volta, ha nominato il generale Benny Gantz come nuovo capo di stato maggiore. Gantz sostituisce il tenente generale Gabi Ashkenazi, che si dimetterà lunedì dopo un mandato segnato da una grande approvazione dell'opinione pubblica, ma anche da tensioni con il ministro della Difesa Ehud Barak. Il nuovo capo di stato maggiore dovrà affrontare numerosi problemi, tra cui la crisi in Egitto, le minacce da parte dei militanti in Libano e a Gaza, nonché il discusso programma nucleare dell'Iran. Inizialmente, Barak aveva scelto per l'incarico il maggior generale Yoav Galant, ma ha dovuto ritirare la nomina a causa di uno scandalo immobiliare in cui è coinvolto Galant. LE STATUE DI TUTANKHAMON - Nel frattempo il direttore della sezione Antichità del Museo egizio del Cairo ha fatto sapere che, dopo il completamento dell'inventario dei danni subiti dal museo nell'assalto del 2 febbraio, si registra la scomparsa di numerosi reperti tra cui otto di valore inestimabile, comprese due statue del faraone Tutankhamon. Evidentemente i ladri non sono superstiziosi e non hanno avuto paura di incorrere nella "maledizione" che, secondo la leggenda, colpirebbe coloro che disturbano il riposo eterno del faraone. Hawass spiega, sul suo sito, che sono stati rubati una statua in legno placcato oro di Tutankhamon portato in spalla da una dea e una statua del giovane faraone negli stessi materiali mentre caccia. Mancano all'appello anche una statua del faraone Akhenaten con una tavoletta votiva, una testa in pietra di una principessa di Amarna, la statuetta di una scriba di Amarna, 11 statuette in legno e uno scarabeo di Yuya. Il capo dell'antichità egiziane spiega che è in corso un'inchiesta sul furto e che la polizia e l'esercito la porteranno avanti anche con le persone che sono state già arrestate per gli assalti al Museo avvenuti tra la fine di gennaio e gli inizi di febbraio. "Ho detto in passato che se il Museo egizio è sicuro anche l'Egitto è sicuro. Ora - afferma Hawass sul suo sito - sono preoccupato che l'Egitto non sia sicuro". LA PRIMA ASTA - La Banca centrale dell'Egitto ha offerto 6,5 miliardi di sterline egiziane (811 milioni di euro) in buoni del Tesoro, di cui 3 miliardi in buoni trimestrali e 3,5 in buoni da 266 giorni. È la prima asta dopo la resa di Mubarak. La banca aveva messo all'asta 3,5 miliardi di lire egiziane in buoni del Tesoro giovedì, alcuni giorni dopo aver venduto buoni per 13 miliardi di sterline egiziane (1,3 miliardi di euro) per raccogliere fondi supplementari per il Paese che deve lottare con la peggiore crisi politica degli ultimi tre decenni. Separatamente, il capo della EgyptAir, la compagnia aerea di bandiera, ha comunicato che l'azienza ha perso 80% del suo fatturato previsto nel corso delle ultime tre settimane dopo aver cancellato il 75% dei voli.Redazione online 13 febbraio 2011
2011-02-12 L'annuncio di Suleiman in televisione. Fischi e grida di giubilo in piazza Tahrir Mubarak si è dimesso, la piazza in festa Il presidente egiziano cede il potere alle forze armate: "Non ci sostituiremo alle aspirazioni del popolo" * NOTIZIE CORRELATE * "Se n'è andato!", al telefono con la piazza di M. Montecucco (10 febbraio 2011) * Mubarak: "Resto fino alle elezioni". L'ira di Obama: "Opportunità mancata" (10 febbraio 2011) * In migliaia hanno trascorso la notte in piazza Tahir (9 febbraio 2011) L'annuncio di Suleiman in televisione. Fischi e grida di giubilo in piazza Tahrir Mubarak si è dimesso, la piazza in festa Il presidente egiziano cede il potere alle forze armate: "Non ci sostituiremo alle aspirazioni del popolo" Il Cairo: dopo la notizia, boato nella piazza (Epa) Il Cairo: dopo la notizia, boato nella piazza (Epa) MILANO - La svolta arriva alle 5 del pomeriggio. "Cittadini, in nome di Dio misericordioso, nella difficile situazione che l'Egitto sta attraversando, il presidente Hosni Mubarak ha deciso di dimettersi dal suo mandato e ha incaricato le forze armate di gestire la situazione nel Paese. Che Dio ci aiuti". Così il vicepresidente Omar Suleiman, in un intervento alla televisione, ha annunciato le dimissioni del vecchio e contestato leader. La piazza esulta alla fine di 30 anni di regime La piazza esulta alla fine di 30 anni di regime La piazza esulta alla fine di 30 anni di regime La piazza esulta alla fine di 30 anni di regime La piazza esulta alla fine di 30 anni di regime La piazza esulta alla fine di 30 anni di regime La piazza esulta alla fine di 30 anni di regime La piazza esulta alla fine di 30 anni di regime LE PROMESSE DEI MILITARI - In serata è stato trasmesso in diretta tv un comunicato del Consiglio Supremo delle forze armate, che ha ricordato "i martiri" che hanno sacrificato la loro vita nella rivoluzione contro il regime e ringraziato il presidente Mubarak "per il contributo che ha dato al Paese in pace e in guerra". L'esercito, spiega il documento, "non è un sostituto alle aspirazioni legittime avanzate dal popolo. Siamo consapevoli della pericolosità della situazione e agiremo per venire incontro alle richieste dei cittadini. Definiremo in un secondo momento le misure e le procedure che seguiranno". Festa oceanica al Cairo ESULTA LA PIAZZA - Le dimissioni di Mubarak sono state accolte con un tripudio di bandiere in piazza Tahrir. Da un lampione penzola un fantoccio impiccato; lo accompagnano fischi e grida di giubilo. Alcuni urlano "dio è grande", altri "abbiamo abbattuto il regime". I soldati sui carri armati, in piedi, sorridono e rispondono alla gente, si fanno fotografare con pose da vittoria, con le dita che formano la 'v'. "È il più bel giorno della mia vita, il Paese è libero!". È il breve messaggio pubblicato su Twitter dal Premio Nobel Mohammed ElBaradei. Il leader dell'opposizione egiziana, non avrebbe, però, intenzione di presentarsi alle prossime elezioni presidenziali, secondo l'emittente Al Arabya. Un probabile candidato potrebbe essere Amr Moussa, segretario generale della Lega Araba dal 2001. Eletto ministro degli Esteri nel 1991, Moussa è rimasto a capo della diplomazia egiziana fino al 2001. Durante il suo incarico come ministro, non ha lesinato critiche alla politica estera degli Stati Uniti e le sue relazioni con Israele. ESERCITO - I Fratelli Musulmani, il più grande e importante gruppo di opposizione, si sono congratulati con l'esercito, "che ha mantenuto le sue promesse". La folla accorsa davanti all'ex palazzo presidenziale di Mubarak ha acclamato il ministro della Difesa, il maresciallo Mohammed Hussein Tantawi, che guiderà il Paese con il Consiglio Supremo di Difesa. Israele tra rabbia e paura di F. Battistini BENI CONGELATI - E se Israele teme per la sicurezza sui confini, Hamas esulta, le Borse salgono, il vicepresidente americano Joe Biden parla di "irreversibile cambiamento storico" e Ban Ki-moon auspica una transizione "pacifica e ordinata". Intanto si apprende che , come è già avvenuto per l'ex presidente tunisino Ben Ali, la Svizzera ha annunciato il congelamento di ogni eventuale conto o bene dell'egiziano Hosni Mubarak nella confederazione elvetica. Redazione online 11 febbraio 2011(ultima modifica: 12 febbraio 2011)
IL DOPO MUBARAK Tra dinosauri, falsi riformatori e generali-manager. Le nuove incognite dell'Egitto I capi. Le posizioni dell'esercito. Le passioni del popolo. I centri di potere economico. La storia non è finita... IL DOPO MUBARAK Tra dinosauri, falsi riformatori e generali-manager. Le nuove incognite dell'Egitto I capi. Le posizioni dell'esercito. Le passioni del popolo. I centri di potere economico. La storia non è finita... La piazza in festa dopo le dimissioni di Mubarak (Ap) La piazza in festa dopo le dimissioni di Mubarak (Ap) WASHINGTON – La "rivoluzione" è forte perché protetta dall’esercito e sorretta dal popolo, la "rivoluzione" è fragile perché l’esercito e il popolo potrebbero avere agende diverse. Sull’agenda della rivoluzione-golpe sono tanti i punti interrogativi. Questa storia – come ha detto un ex capo della Cia – non è ancora finita. I GENERALI – In apparenza il nuovo ordine è gestito dal ministro della Difesa Mohammed Tantawi e dal capo di stato maggiore Sami Enan. Il primo, 75 anni, addestrato in Urss, è sempre stato considerato un dinosauro, ostile a qualsiasi cambio. Gli americani lo hanno indicato, in passato, come "un ostacolo" alle riforme. Inoltre, con qualche problema di salute, Tantawi ha dato le dimissioni tre volte ma è rimasto su richiesta di Mubarak con il quale andava d’amore e d’accordo. Almeno fino a ieri. Diverso il generale Enan, addestrato negli Usa e meno rigido nell’osservare le direttive. La domanda che molti si pongono è se all’interno del Consiglio supremo – l’organismo che ha assunto il potere – ci siano altri ufficiali, meno conosciuti, che possono però incidere in modo più deciso. Un altro quesito riguarda la compattezza degli ufficiali. LE ELEZIONI – I generali manterranno la promessa di libere elezioni? Tutti se lo augurano e gli egiziani le sognano. Ma la storia delle rivoluzioni è piena di tradimenti. I militari potrebbero allungare i tempi giocando sulle divisioni degli oppositori e sulla mancanza di veri leader. Fino a ieri era facile trovare l’unanimità sulla cacciata del raìs, ma adesso dovranno decidere cosa fare: una parte è pronto a tornare alla normalità, un’altra non sembra disposta ad abbandonare la piazza perché non si fida. Teme i "falsi riformatori", personaggi che dopo essere cresciuti sotto l’ala del regime se ne sono staccati giusto in tempo. Senza dimenticare i sospetti dei militari verso la Fratellanza musulmana. Un movimento temuto – che fa di tutto per apparire mansueto – ma che può essere usato come pretesto per rallentare svolte. Specie se le cose si dovessero mettere male. GLI APPARATI – Partito Mubarak, è rimasto l’apparato. Oltre un milione di elementi del gigantesco sistema della sicurezza. Alcuni finiranno sotto processo ma la maggior parte non sarà toccata. E i militari potrebbero averne bisogno. Sarà interessante vedere il destino di Omar Suleiman. Fonti americane raccontano che avrebbe abbandonato il presidente al suo destino solo dopo il discorso di giovedì: quell'ostinazione era troppo anche per lo 007. Per i dimostranti Suleiman è stato uno dei volti della repressione. Ma l’uomo che dal 1993 ha guidato i servizi ha in cassaforte chissà quanti dossier imbarazzanti, magari anche sui suoi colleghi in divisa. Non solo. Come partner dell’America nella lotta al terrorismo sa molto anche sulla guerra segreta. E non tutto è gradevole. LA CASSA – L’esercito, attraverso ex ufficiali, controlla il 35-40 per cento dell’economia egiziana. Un sistema perfettamente integrato con il potere di Mubarak. Cosa accadrà adesso? I generali-manager ridistribuiranno la ricchezza? Permetteranno di abbattere le ingiustizie sociali che sono state una delle cause della rivolta? I cinici, passata la sbornia della festa, esprimono dei dubbi e dicono: il golpe ha "dirottato" la rivoluzione per mantenere l’esercito come centro di gravità. Se il ministro della Difesa non ha schiacciato la protesta è perché si è reso conto che una parte degli ufficiali – i capitani - non lo avrebbe seguito e forse i soldati non avrebbero mai sparato. Meglio assecondare un cambio e salvaguardare i privilegi. Guido Olimpio 12 febbraio 2011
SALE LA TENSIONE Algeri: partono le cariche della polizia Una nuova piazza s'infiamma. Giovani colpiti con manganelli di legno. I primi feriti. 50 arresti SALE LA TENSIONE Algeri: partono le cariche della polizia Una nuova piazza s'infiamma. Giovani colpiti con manganelli di legno. I primi feriti. 50 arresti (Reuters) (Reuters) MILANO - La polizia ha iniziato a caricare con violenza i manifestanti in piazza Primo Maggio ad Algeri per tentare di disperdere la folla. Alcuni giovani che sono stati colpiti con i manganelli di legno di cui è dotata la polizia sono rimasti feriti. I trasporti bloccati dal governo hanno bloccato l'arrivo dei manifestanti. In piazza, raggruppato intorno alla fontana è rimasto un gruppo di 2000 persone. La polizia blocca le strade di accesso. Tra i manifestanti si comincia a pensare di passare la notte sulla piazza. CARICHE - Fra le persone fermate ci sono molte donne, precisa il quotidiano algerino El Watan che aggiorna continuamente il suo sito. Una piazza ancora tiepida. Sono arrivate 15 mila persone. Quelle che hanno potuto. Un potente cordone di sicurezza accerchia la città soprattutto nelle strade intorno a piazza Primo Maggio, il cuore della capitale algerina. Molti fermi sono stati compiuti nel centro di Algeri dove stanno confluendo i manifestanti, nonostante il divieto delle autorità. E nonostante treni e autobus non circolino in quanto bloccati dalle autorità Uno schieramento imponente di forze dell'ordine presidia il centro della città per quella che da molti è stata definita come la "giornata della svolta". La piazza urla i giornali fanno satira La piazza urla i giornali fanno satira La piazza urla i giornali fanno satira La piazza urla i giornali fanno satira La piazza urla i giornali fanno satira La piazza urla i giornali fanno satira La piazza urla i giornali fanno satira La piazza urla i giornali fanno satira DIVISIONI - Sindacati, partiti d'opposizione e associazioni, hanno lanciato un appello a manifestare per reclamare "democrazia e libertà" ma anche "un cambiamento del regime". Nel frattempo alcuni drappelli di giovani violenti, che scandiscono slogan pro-Bouteflika (il presidente algerino, ndr) fanno incursioni contro i manifestanti, sotto lo sguardo della polizia, che non interviene. Circa 500 manifestanti, in maggioranza giovani, si sono disposti a protezione dei leader dell'opposizione Bouchachi, Ali Yahia Abdenour, Said Sadi, nei pressi della stazione di taxi situata alle spalle del Ministero della gioventù. I poliziotti continuano a circondare i manifestanti, mentre altre persone affluiscono verso il luogo del concentramento, in piazza Primo Maggio, la pizza del mercato. Redazione online 12 febbraio 2011
In calo i prezzi del petrolio Mubarak lascia, le Borse festeggiano Obama: "Siamo testimoni della storia" Ban Ki-moon: "Ora elezioni libere e giuste". Lega Araba: ottimismo per il futuro. Gente in festa a Tunisi e a Gaza * NOTIZIE CORRELATE * Egitto, Mubarak lascia. L'esercito: "Presto elezioni libere" (11 febbraio 2011) In calo i prezzi del petrolio Mubarak lascia, le Borse festeggiano Obama: "Siamo testimoni della storia" Ban Ki-moon: "Ora elezioni libere e giuste". Lega Araba: ottimismo per il futuro. Gente in festa a Tunisi e a Gaza Il presidente Obama (Reuters) Il presidente Obama (Reuters) MILANO - L'uscita di scena del presidente Hosni Mubarak rappresenta "un momento storico e noi abbiamo il privilegio di esserne testimoni". Così ha parlato il presidente degli Stati Uniti Barack Obama in un'attesa dichiarazione dopo il passaggio di poteri tra il rais e le forze armate. L'Egitto, ha scandito Obama, "è solo all'inizio della sua transizione. Il popolo si è espresso, la democrazia vincerà": il presidente americano ha impartito la sua "benedizione" agli eventi, ribadendo però che "la transizione deve essere credibile" e che "questo è un nuovo inizio per il Paese", al quale non mancherà il sostegno degli Stati Uniti. Obama ha poi chiesto di fermare le violenze, sottolineando che i militari hanno agito in modo "patriottico e responsabile", e ha citato Martin Luther King: "La libertà è nell'anima. È stata la forza morale della non violenza, e non il terrorismo, non le uccisioni folli, a curvare ancora una volta l'arco della storia verso la giustizia. La giornata di oggi appartiene al popolo egiziano e il popolo americano è commosso da queste scene. La parola "tahir" significa liberazione. È una parola che, come diceva King, arriva direttamente all'anima. Per sempre ricorderà agli egiziani di come loro hanno cambiato il loro Paese, e il mondo. Grazie". In una nota successiva al discorso di Obama, la Casa Bianca sottolinea che i problemi dell'Egitto possono essere risolti solo "con la piena partecipazione del popolo" e auspica che il nuovo governo che nascerà riconosca gli accordi presi con Israele. "ELEZIONI LIBERE" - "È stata ascoltata la voce del popolo egiziano": questo il commento dell'alto rappresentante della diplomazia Ue Catherine Ashton, secondo cui si "apre la strada a riforme più rapide e più profonde". La Ashton ha lanciato un appello per la formazione di un governo di ampio consenso e ha ribadito che la Ue è pronta a sostenere il processo di transizione democratica del Paese verso "libere e giuste elezioni". Anche il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon auspica una transizione "pacifica e ordinata" e libere elezioni: "La voce dei cittadini egiziani, specialmente dei giovani, è stata ascoltata - ha detto -: spetta a loro definire il futuro dell'Egitto. Ora ci siano elezioni libere, credibili e giuste". SU LE BORSE - La notizia delle dimissioni di Mubarak sembra aver avuto un effetto positivo sui mercati: Wall Street ha invertito la rotta tornando in territorio positivo. In calo i prezzi del petrolio, schizzati oltre i 100 dollari al barile nei giorni scorsi. Il petrolio con consegna a marzo ha chiuso le contrattazioni sul mercato di New York a 85,52 dollari. LEGA ARABA - Il segretario generale della Lega Araba, Amr Moussa, si è detto "ottimista" per il futuro dell'Egitto: "È la prima volta che una rivoluzione riesce a centrare il suo obiettivo quasi senza violenze e senza avere un capo. Il futuro dell'Egitto ora è nelle mani degli egiziani". Hamas ha accolto le dimissioni del presidente egiziano definendole "l'inizio della vittoria della rivoluzione". Secondo il portavoce del movimento, Sami Abu Zuhri, la nuova leadership dovrà aiutare per prima cosa i palestinesi a "mettere fine all'ingiusto assedio e a riaprire l'unico valico (quello di Rafah, ndr) nella Striscia di Gaza". Il governo iraniano parla di "grande vittoria del popolo nonostante la resistenza dei dirigenti che dipendevano dalle grandi potenze". Il portavoce ha aggiunto che le "rivoluzioni" in Tunisia ed Egitto dimostrano che un "risveglio islamico" è in corso nella regione e che per i cittadini israeliani "sarebbe meglio tornare ai loro Paesi d'origine". Obama: "Siamo all'inizio" ISRAELE - E Gerusalemme non nasconde la propria preoccupazione, auspicando che il periodo di transizione "verso la democrazia" si svolga senza scosse. Un alto responsabile del governo ha sottolineato la necessità di preservare il trattato di pace concluso fra Israele ed Egitto nel 1979, perché "costituisce una garanzia per la stabilità dell'intera regione". Il funzionario ammette però che i dirigenti dello Stato provano una certa preoccupazione di fronte alle incertezze create dalle dimissioni di Mubarak. Il partito arabo-israeliano Balad ha organizzato per sabato una manifestazione: "La vittoria della rivoluzione è un momento storico per il popolo egiziano e per tutta la nazione araba - ha detto un dirigente del partito -. Le aspirazioni popolari di libertà, giustizia e democrazia hanno vinto". EUROPA - Di "cambiamento di portata storica" parla la Cancelliera tedesca Angela Merkel, mentre il primo ministro inglese David Cameron sottolinea che l'Egitto ha un'"opportunità preziosa di avere un governo civile e democratico che può unire il suo popolo". Le dimissioni del rais sono una "decisione coraggiosa e necessaria" per il presidente francese Nicolas Sarkozy che ha augurato agli egiziani di continuare "la loro marcia non violenta verso la libertà". Il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov auspica che "gli ultimi eventi aiutino a ristabilire l'ordine nel Paese e a garantire il normale funzionamento di tutti gli organi di potere". Mosca è stata tra i maggiori sostenitori del regime di Mubarak. VATICANO - Monsignor Michael Louis Fitzgerald, nunzio apostolico al Cairo, parla di "momento storico per il Paese": "Speriamo che costituisca una tappa in direzione di una nuova epoca di pace e prosperità per il popolo - ha detto all'agenzia Misna -. Nei pressi di piazza Tahrir ho visto un'aria di festa, quasi da partita di calcio, senza toni aggressivi, ma con tante bandiere al vento. È stata una protesta di giovani, è vero, ma in piazza sono scese anche le famiglie, le donne, le persone di ogni età. Tutto l'Egitto ha fatto sentire la sua voce". FESTA A GAZA - Esplosioni di gioia e concerti di clacson hanno accolto a Tunisi e Algeri la notizia delle dimissioni del presidente egiziano. Nella capitale algerina però la polizia ha caricato i manifestanti e ci sarebbero alcuni feriti, oltre a diversi arresti. Nella Striscia di Gaza la gente è scesa in strada: le notizie giunte dal Cairo hanno innescato manifestazioni spontanee di gioia e gli automobilisti vengono fermati per strada da persone che distribuiscono dolciumi. Migliaia di persone hanno festeggiato davanti all'ambasciata egiziana di Amman, capitale della Giordania. Redazione online 11 febbraio 2011
2011-02-11 L'annuncio di Suleiman in televisione. Fischi e grida di giubilo in piazza Tahrir Mubarak si è dimesso, la piazza in festa Il presidente egiziano cede il potere alle forze armate: "Non ci sostituiremo alle aspirazioni del popolo" * NOTIZIE CORRELATE * "Se n'è andato!", al telefono con la piazza di M. Montecucco (10 febbraio 2011) * Mubarak: "Resto fino alle elezioni". L'ira di Obama: "Opportunità mancata" (10 febbraio 2011) * In migliaia hanno trascorso la notte in piazza Tahir (9 febbraio 2011) L'annuncio di Suleiman in televisione. Fischi e grida di giubilo in piazza Tahrir Mubarak si è dimesso, la piazza in festa Il presidente egiziano cede il potere alle forze armate: "Non ci sostituiremo alle aspirazioni del popolo" Il Cairo: dopo la notizia, boato nella piazza (Epa) Il Cairo: dopo la notizia, boato nella piazza (Epa) MILANO - La svolta arriva alle 5 del pomeriggio. "Cittadini, in nome di Dio misericordioso, nella difficile situazione che l'Egitto sta attraversando, il presidente Hosni Mubarak ha deciso di dimettersi dal suo mandato e ha incaricato le forze armate di gestire la situazione nel Paese. Che Dio ci aiuti". Così il vicepresidente Omar Suleiman, in un intervento alla televisione, ha annunciato le dimissioni del vecchio e contestato leader. LE PROMESSE DEI MILITARI - In serata è stato trasmesso in diretta tv un comunicato del Consiglio Supremo delle forze armate, che ha ricordato "i martiri" che hanno sacrificato la loro vita nella rivoluzione contro il regime e ringraziato il presidente Mubarak "per il contributo che ha dato al Paese in pace e in guerra". L'esercito, spiega il documento, "non è un sostituto alle aspirazioni legittime avanzate dal popolo. Siamo consapevoli della pericolosità della situazione e agiremo per venire incontro alle richieste dei cittadini. Definiremo in un secondo momento le misure e le procedure che seguiranno". Festa oceanica al Cairo ESULTA LA PIAZZA - Le dimissioni di Mubarak sono state accolte con un tripudio di bandiere in piazza Tahrir. Da un lampione penzola un fantoccio impiccato; lo accompagnano fischi e grida di giubilo. Alcuni urlano "dio è grande", altri "abbiamo abbattuto il regime". I soldati sui carri armati, in piedi, sorridono e rispondono alla gente, si fanno fotografare con pose da vittoria, con le dita che formano la 'v'. "È il più bel giorno della mia vita, il Paese è libero!". È il breve messaggio pubblicato su Twitter dal Premio Nobel Mohammed ElBaradei. Il leader dell'opposizione egiziana, non avrebbe, però, intenzione di presentarsi alle prossime elezioni presidenziali, secondo l'emittente Al Arabya. Un probabile candidato potrebbe essere Amr Moussa, segretario generale della Lega Araba dal 2001. Eletto ministro degli Esteri nel 1991, Moussa è rimasto a capo della diplomazia egiziana fino al 2001. Durante il suo incarico come ministro, non ha lesinato critiche alla politica estera degli Stati Uniti e le sue relazioni con Israele. ESERCITO - I Fratelli Musulmani, il più grande e importante gruppo di opposizione, si sono congratulati con l'esercito, "che ha mantenuto le sue promesse". La folla accorsa davanti all'ex palazzo presidenziale di Mubarak ha acclamato il ministro della Difesa, il maresciallo Mohammed Hussein Tantawi, che guiderà il Paese con il Consiglio Supremo di Difesa. Israele tra rabbia e paura di F. Battistini BENI CONGELATI - E se Israele teme per la sicurezza sui confini, Hamas esulta, le Borse salgono, il vicepresidente americano Joe Biden parla di "irreversibile cambiamento storico" e Ban Ki-moon auspica una transizione "pacifica e ordinata". Intanto si apprende che , come è già avvenuto per l'ex presidente tunisino Ben Ali, la Svizzera ha annunciato il congelamento di ogni eventuale conto o bene dell'egiziano Hosni Mubarak nella confederazione elvetica. Redazione online 11 febbraio 2011
In calo i prezzi del petrolio Mubarak lascia, le Borse festeggiano Obama: "Siamo testimoni della storia" Ban Ki-moon: "Ora elezioni libere e giuste". Lega Araba: ottimismo per il futuro. Gente in festa a Tunisi e a Gaza * NOTIZIE CORRELATE * Egitto, Mubarak lascia. L'esercito: "Presto elezioni libere" (11 febbraio 2011) In calo i prezzi del petrolio Mubarak lascia, le Borse festeggiano Obama: "Siamo testimoni della storia" Ban Ki-moon: "Ora elezioni libere e giuste". Lega Araba: ottimismo per il futuro. Gente in festa a Tunisi e a Gaza Il presidente Obama (Reuters) Il presidente Obama (Reuters) MILANO - L'uscita di scena del presidente Hosni Mubarak rappresenta "un momento storico e noi abbiamo il privilegio di esserne testimoni". Così ha parlato il presidente degli Stati Uniti Barack Obama in un'attesa dichiarazione dopo il passaggio di poteri tra il rais e le forze armate. L'Egitto, ha scandito Obama, "è solo all'inizio della sua transizione. Il popolo si è espresso, la democrazia vincerà": il presidente americano ha impartito la sua "benedizione" agli eventi, ribadendo però che "la transizione deve essere credibile" e che "questo è un nuovo inizio per il Paese", al quale non mancherà il sostegno degli Stati Uniti. Washington continuerà "a essere un partner e un amico". Obama ha poi chiesto di fermare le violenze, sottolineando che i militari hanno agito in modo "patriottico e responsabile". "ELEZIONI LIBERE" - "È stata ascoltata la voce del popolo egiziano": questo il commento dell'alto rappresentante della diplomazia Ue Catherine Ashton, secondo cui si "apre la strada a riforme più rapide e più profonde". La Ashton ha lanciato un appello per la formazione di un governo di ampio consenso e ha ribadito che la Ue è pronta a sostenere il processo di transizione democratica del Paese verso "libere e giuste elezioni". Anche il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon auspica una transizione "pacifica e ordinata" e libere elezioni: "La voce dei cittadini egiziani, specialmente dei giovani, è stata ascoltata - ha detto -: spetta a loro definire il futuro dell'Egitto. Ora ci siano elezioni libere, credibili e giuste". SU LE BORSE - La notizia delle dimissioni di Mubarak sembra aver avuto un effetto positivo sui mercati: Wall Street ha invertito la rotta tornando in territorio positivo. In calo i prezzi del petrolio, schizzati oltre i 100 dollari al barile nei giorni scorsi. Il petrolio con consegna a marzo ha chiuso le contrattazioni sul mercato di New York a 85,52 dollari. Amr Moussa, segretario della Lega Araba (Epa) Amr Moussa, segretario della Lega Araba (Epa) LEGA ARABA - Il segretario generale della Lega Araba, Amr Moussa, si è detto "ottimista" per il futuro dell'Egitto: "È la prima volta che una rivoluzione riesce a centrare il suo obiettivo quasi senza violenze e senza avere un capo. Il futuro dell'Egitto ora è nelle mani degli egiziani". Hamas ha accolto le dimissioni del presidente egiziano definendole "l'inizio della vittoria della rivoluzione". Secondo il portavoce del movimento, Sami Abu Zuhri, la nuova leadership dovrà aiutare per prima cosa i palestinesi a "mettere fine all'ingiusto assedio e a riaprire l'unico valico (quello di Rafah, ndr) nella Striscia di Gaza". Il governo iraniano parla di "grande vittoria del popolo nonostante la resistenza dei dirigenti che dipendevano dalle grandi potenze". Il portavoce ha aggiunto che le "rivoluzioni" in Tunisia ed Egitto dimostrano che un "risveglio islamico" è in corso nella regione e che per i cittadini israeliani "sarebbe meglio tornare ai loro Paesi d'origine". ISRAELE - E Gerusalemme non nasconde la propria preoccupazione, auspicando che il periodo di transizione "verso la democrazia" si svolga senza scosse. Un alto responsabile del governo ha sottolineato la necessità di preservare il trattato di pace concluso fra Israele ed Egitto nel 1979, perché "costituisce una garanzia per la stabilità dell'intera regione". Il funzionario ammette però che i dirigenti dello Stato provano una certa preoccupazione di fronte alle incertezze create dalle dimissioni di Mubarak. Il partito arabo-israeliano Balad ha organizzato per sabato una manifestazione: "La vittoria della rivoluzione è un momento storico per il popolo egiziano e per tutta la nazione araba - ha detto un dirigente del partito -. Le aspirazioni popolari di libertà, giustizia e democrazia hanno vinto". EUROPA - Di "cambiamento di portata storica" parla la Cancelliera tedesca Angela Merkel, mentre il primo ministro inglese David Cameron sottolinea che l'Egitto ha un'"opportunità preziosa di avere un governo civile e democratico che può unire il suo popolo". Le dimissioni del rais sono una "decisione coraggiosa e necessaria" per il presidente francese Nicolas Sarkozy che ha augurato agli egiziani di continuare "la loro marcia non violenta verso la libertà". Il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov auspica che "gli ultimi eventi aiutino a ristabilire l'ordine nel Paese e a garantire il normale funzionamento di tutti gli organi di potere". Mosca è stata tra i maggiori sostenitori del regime di Mubarak. VATICANO - Monsignor Michael Louis Fitzgerald, nunzio apostolico al Cairo, parla di "momento storico per il Paese": "Speriamo che costituisca una tappa in direzione di una nuova epoca di pace e prosperità per il popolo - ha detto all'agenzia Misna -. Nei pressi di piazza Tahrir ho visto un'aria di festa, quasi da partita di calcio, senza toni aggressivi, ma con tante bandiere al vento. È stata una protesta di giovani, è vero, ma in piazza sono scese anche le famiglie, le donne, le persone di ogni età. Tutto l'Egitto ha fatto sentire la sua voce". FESTA A GAZA - Esplosioni di gioia e concerti di clacson hanno accolto a Tunisi e Algeri la notizia delle dimissioni del presidente egiziano. Nella capitale algerina però la polizia ha caricato i manifestanti e ci sarebbero alcuni feriti, oltre a diversi arresti. Nella Striscia di Gaza la gente è scesa in strada: le notizie giunte dal Cairo hanno innescato manifestazioni spontanee di gioia e gli automobilisti vengono fermati per strada da persone che distribuiscono dolciumi. Migliaia di persone hanno festeggiato davanti all'ambasciata egiziana di Amman, capitale della Giordania. Redazione online 11 febbraio 2011
I 30 anni di Mubarak: Fece dimenticare le stragi di Luxor. Impedì che il fanatismo trionfasse Pugno di ferro con gli estremisti, emarginazione degli oppositori Ritratto del Faraone e della sua presidenza bifronte. Tra violazioni dei diritti umani e garanzia di stabilità I 30 anni di Mubarak: Fece dimenticare le stragi di Luxor. Impedì che il fanatismo trionfasse Pugno di ferro con gli estremisti, emarginazione degli oppositori Ritratto del Faraone e della sua presidenza bifronte. Tra violazioni dei diritti umani e garanzia di stabilità Hosni Mubarak (Afp) Hosni Mubarak (Afp) MILANO - Il drammatico annuncio viene dato dal vicepresidente Omar Suleyman, emozionato e ben consapevole della solennità del momento: "Il presidente Hosni Mubarak si è dimesso. Il potere passa alle forze armate". E’ finita. La rivoluzione egiziana è quasi compiuta. Mubarak se ne va, esule in casa propria, e si trasferisce nella sua villa di Sharm el Sheikh. Mai avrebbe pensato di uscire di scena con la decisiva spallata del suo popolo. E’ ancora difficile, in realtà, dire chi abbia vinto a parte il trionfo della moltitudine di piazza Tahrir, simbolo della volontà del nuovo Egitto, e dei milioni di persone che sono scese nelle piazze di tutto il paese, sicuri di poter piegare il Faraone. Adesso bisogna capire quanto abbiano pesato le pressioni internazionali; oppure se il colpo di maglio sia stato assestato dai militari, pronti a impedire che il paese precipitasse nel caos. Di sicuro il presidente Mubarak, che era lui stesso espressione del potere politico-militare, è uscito di scena, e ha lasciato il timone alle Forze armate. Apparentemente non vi è stata neppure la staffetta con il vicepresidente Suleyman. ONORE POLITICO - L’ultimo "Faraone", stanco, sfiduciato e soprattutto furioso per essere stato abbandonato da coloro con i quali era sempre stato leale (è stato durissimo nei confronti dell’alleato americano), ha gettato la spugna. Pretendendo che gli venisse riconosciuto almeno l’onore politico, nel senso di poter rimanere sulla sua terra, tra la sua gente. Non una fuga infamante quindi, come quella del tunisino Ben Ali, o come quella del dittatore comunista romeno Nicolae Ceausescu. Mubarak è partito con la famiglia per la sua Sharm el Sheikh, sul mar Rosso, dove per decenni aveva convocato i più importanti vertici internazionali sulle crisi della regione: corteggiato dai potenti del mondo, ammirato per la sua ostinata volontà di mediare tra le parti, elogiato per la sua saggezza. Hosni Mubarak con Anwar Sadat (Ap) Hosni Mubarak con Anwar Sadat (Ap) STABILITA' TRENTENNALE - Per tutte queste ragioni sarebbe davvero ingiusto, oggi, attribuirgli tutte le colpe di una trentennale presidenza bifronte: pugno di ferro contro tutti gli estremisti, emarginazione degli oppositori, limitazione della libertà e poco rispetto dei diritti umani; e dall’altre parte, rocciosa e fiera bandiera di un Islam moderato e dialogante, che ha garantito per 30 anni la stabilità della regione. Non so quanti ricordino che il generale Hosni Mubarak era al fianco del presidente Anwar Sadat, l’uomo che aveva fatto la pace con Israele, durante la parata militare dell’8 ottobre 1981. Per Sadat, odiato da quasi tutti i regimi arabi, quel giorno ci fu l’appuntamento con la morte. Un commando di terroristi, mimetizzati tra i soldati impegnati nella sfilata, e probabilmente inviati da quel campione di democrazia che è il colonnello libico Muammar Gheddafi, uccise il rais e ferì il suo vice, che da quel giorno dovette raccoglierne l’eredità. DETERMINAZIONE E IMPEGNO - Hosni Mubarak ha gestito questa eredità con determinazione (spesso spietata), ma anche con onorevole impegno, confermando il trattato di pace con Israele; ammantando di realismo l’approccio "glaciale" della sua opinione pubblica, che non ha mai digerito quella pace. Certo, ha utilizzato gli strumenti peggiori per mantenere il potere e per garantire la stabilità del più importante paese arabo. Ma in questo veniva sostenuto da quell’Occidente che lo ha considerato, fino a tre settimane fa, l’unico interlocutore possibile. Una garanzia. Oggi quelli che lo avevano sostenuto e incoraggiato lo hanno abbandonato. Questa è una lezione anche per il vecchio leader, che credeva d’aver ormai conquistato un posto d’onore nei libri di storia. Forse troppi hanno dimenticato in fretta le spaventose stragi degli anni ’90 e di inizio millennio al Cairo, a Luxor e altrove. Forse tanti hanno dimenticato che, dopo la firma della pace di Camp David tra Israele e l’Egitto, quest’ultimo fu emarginato dalla Lega araba, e allontanato come un traditore. Hosni Mubarak con Muammar Gheddafi (Ansa) Hosni Mubarak con Muammar Gheddafi (Ansa) GRIGIO E SEMPLICE - Con il tempo e con la costanza, Mubarak è riuscito a riconquistare la fiducia dei fratelli. E la sede della Lega è tornata nel suo alveo naturale, appunto il Cairo, e s’affaccia a un angolo della piazza Tahrir. Ora, in un mondo dove il carisma è troppo spesso coniugato con il glamour, Mubarak non brillava certo per un’immagine trascinante e affascinante. E’ rimasto un uomo grigio e semplice, nato nell’apparato militare, cresciuto politicamente con la quotidiana esperienza delle più ardite mediazioni: conservare il rapporto con lo stato ebraico, tessere tutte le possibili occasioni di incontro tra i palestinesi del laico Fatah e i fondamentalisti di Hamas; rilanciare il processo di pace. Mubarak, come altri leader moderati della regione, sa bene che pace e stabilità si avranno quando si risolverà la madre (o il padre) di tutti i conflitti: quello tra gli arabi, e in primis i palestinesi, e gli israeliani. RABBIA E RISENTIMENTO - Il rais va in pensione, macerandosi di rabbia e di risentimento, e cercherà a Sharm un po’ di vera pace. E’ un leader emotivo, che ha fallito perché non è riuscito a raggiungere i grandi obiettivi che si era presuntuosamente prefisso. Quando, durante un’intervista, gli chiesi che cosa si sarebbe potuto fare con Hamas, mi rispose ricordando un incontro con il premier israeliano Yitzhak Rabin, pochi mesi prima dell’assassinio del premier di Israele. "Rabin mi chiese: "Presidente, cosa facciamo con Hamas?" Risposi:"Ma l’ascesa di Hamas l’avete favorita voi". Rabin abbassò la testa: "Purtroppo è il più grave errore che abbiamo commesso". Manifestazioni nel centro del Cairo chiedono al fine del governo di Hosni Mubarak (Ap) Manifestazioni nel centro del Cairo chiedono al fine del governo di Hosni Mubarak (Ap) PREVISIONI DIFFICILI - Di errori, in verità, ne ha commessi tanti (troppi) anche il presidente egiziano. Sensibile al pessimo costume delle cosiddette "repubbliche ereditarie", aveva tessuto la trama per preparare il "trono" al figlio Gamal, irritando proprio quel mondo militare che ha gestito, per quasi mezzo secolo, i destini dell’Egitto. Questa irresistibile presunzione si è forse trasformata nel detonatore del processo di delegittimazione del rais. Un processo alimentato dalla crescente povertà di un popolo pur benedetto dalle lusinghiere tabelle della finanza internazionale. Certo, la forbice tra i nuovi "oligarchi dell’Egitto" (molti dei quali appartenenti all’apparato militare), grondanti ricchezza sfacciata, e la stragrande maggioranza della gente si era pericolosamente allargata. Fino a creare la situazione che l’Egitto sta vivendo e il mondo sta seguendo con apprensione e preoccupazione. C’è la svolta, ma nessuno sa predire come sarà il gigante arabo domani. Antonio Ferrari 10 febbraio 2011(ultima modifica: 11 febbraio 2011)
2011-02-10 Il ministro degli Esteri agli Usa: "non ci impongano la loro volontà" Egitto: "Mubarak si dimetterà venerdì" L'annuncio del premier Shafiq. I militari di guardia a piazza Tahrir ai manifestanti: "Avrete una bella notizia" * NOTIZIE CORRELATE * In migliaia hanno trascorso la notte in piazza Tahir (9 febbraio 2011) Il ministro degli Esteri agli Usa: "non ci impongano la loro volontà" Egitto: "Mubarak si dimetterà venerdì" L'annuncio del premier Shafiq. I militari di guardia a piazza Tahrir ai manifestanti: "Avrete una bella notizia" Una manifestazione di protesta dei medici al Cairo (Epa) Una manifestazione di protesta dei medici al Cairo (Epa) MILANO - "Hosni Mubarak potrebbe lasciare la presidenza, la situazione potrebbe risolversi presto". La fine di un regime quarantennale viene annunciata così dal premier egiziano Ahmed Shafiq. Conferma il segretario del Partito nazionale democratico di Mubarak, Hossam Badrawi: "Potrebbe dimettersi entro venerdì, assecondando le richieste del popolo". Badrawi ha detto alla Bbc di "sperare" che il potere passi nelle mani del vicepresidente Omar Suleiman e che probabilmente Mubarak parlerà giovedì sera alla nazione. Confermano anche i militari di guardia a piazza Tahrir, nel centro del Cairo, da giorni "alleati" dei manifestanti: "Questa sera avrete una bella notizia" ripetono. Un ufficiale aggiunge, con il megafono: "Verranno esaudite tutte le vostre richieste". Intanto il Consiglio superiore delle forze armate è riunito per "esaminare la situazione". SCIOPERI E PROTESTE - Nel diciassettesimo giorno della protesta anti-regime alle manifestazioni si aggiungono gli scioperi. Migliaia di lavoratori di varie categorie - dall'industria petrolifera, ai trasporti, alle telecomunicazioni - sono scesi in piazza per chiedere più trasparenza e migliori condizioni salariali, unendosi ai manifestanti di piazza Tharir che chiedono l'uscita di scena di Mubarak. Cinquemila avvocati, vestiti con le toghe nere, hanno marciato verso il palazzo Abdin, sede di uffici presidenziali. Medici e infermieri, in camice bianco, sono usciti dall'ospedale Kasr el Aini, nella zona centrale della città, per dirigersi verso la piazza Tharir, dove venerdì è prevista una nuova massiccia manifestazione, chiamata ancora una volta "dei milioni di persone" o "dei martiri" della protesta (sono trecentodue, secondo Human Rights Watch, le persone uccise finora). Molte altre manifestazioni vengono segnalate in varie zone del Cairo. Centinaia di persone si sono radunate davanti alla sede del ministero dell'Ambiente nel quartiere di Maadi, così come all'ospedale cardiaco del quartiere di Imbaba e davanti all'ospedale El Sahel del quartiere Shubra. Centinaia di manifestanti anche nel quartiere di Abbassiya, nella zona commerciale di piazza Ataba e sul grande viale Port Said. All'aeroporto internazionale del Cairo due presidi chiedono miglioramenti salariali e l'assunzione dei precari: uno davanti alla sede dell'Egypt Air e l'altra al terminal numero tre. Manifestazioni anche ad Assiut, nell'alto Egitto e in altri centri del Paese. TENSIONE CON GLI USA - Sul fronte politico-diplomatico, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha chiamato mercoledì il re dell'Arabia Saudita Abdullah. Lo ha reso noto la Casa Bianca, riferendo che "il presidente ha sottolineato l'importanza di adottare misure immediate per una transizione che sia ordinata, significativa, durevole e legittima, e che corrisponda alle aspirazioni del popolo egiziano". "Il presidente - ha precisato la Casa Bianca - ha riaffermato l'impegno a lungo termine degli Stati Uniti per la pace e la sicurezza nella regione". Mercoledì il vicepresidente Usa Joe Biden si era rivolto direttamente all'omologo egiziano Omar Suleiman, per chiedere di abolire le leggi di emergenza, liberare i detenuti politici e fermare gli arresti. Tanto da suscitare la reazione del ministro degli Esteri Ahmed Aboul Gheit: "Quando parlate di cambiamenti rapidi e immediati ad un grande Paese come l'Egitto, con il quale avete sempre mantenuto le migliori relazioni, gli imponete la vostra volontà". "Siamo già sul punto di cambiare" ha sottolineato il ministro, aggiungendo di essere stato "spesso infuriato, arrabbiato" nei confronti della reazione americana in occasione dei primi giorni delle manifestazioni nel centro del Cairo. Ma ora, ha aggiunto, "penso che l'amministrazione comprenda esattamente le difficoltà della situazione e i pericoli come pure i rischi che comporterebbe una rotta verso un caos senza fine". Redazione online 10 febbraio 2011
Tre morti e 100 feriti in un'oasi della provincia di al-Wadi al-Jadid Il Cairo: in migliaia hanno trascorso la notte in piazza Tahir In 10 mila manifestano al Parlamento e altrettanti davanti alla casa del premier Shafik * NOTIZIE CORRELATE * Cairo, tra sit in e prove di normalità. Obama: "Ora il tempo del cambiamento" (7 febbraio 2011) * Prove di dialogo del governo, ma il popolo della piazza non molla (8 febbraio 2011) Tre morti e 100 feriti in un'oasi della provincia di al-Wadi al-Jadid Il Cairo: in migliaia hanno trascorso la notte in piazza Tahir In 10 mila manifestano al Parlamento e altrettanti davanti alla casa del premier Shafik Manifestanti e carri armati in piazza Tahir al Cairo (Ap) Manifestanti e carri armati in piazza Tahir al Cairo (Ap) MILANO - Migliaia di manifestanti hanno trascorso la notte al Cairo accampati in piazza Tahrir, appoggiando tende e coperte ai carri armati che presidiano la piazza. Alle prime luci dell'alba, sono riprese le manifestazioni nel sedicesimo giorno di protesta contro il presidente Mubarak, la piazza però in mattinata è rimasta tranquilla senza scontri. Per il secondo giorno circa 10 mila manifestanti si sono riuniti in mattinata davanti alla sede dell'Assemblea del popolo e più altrettanti davanti alla casa del premier, generale Ahmed Shafik. Il noto attore e cantante Tamer Hosni è stato costretto a lasciare la piazza su pressione dei manifestanti antigovernativi che non gli hanno perdonato l'aver auspicato la fine delle proteste contro il presidente Mubarak. È quanto ha riferito il sito web di al-Jazeera. SCONTRI - Mentre la situazione al Cairo appare calma rispetto ai giorni scorsi, giungono notizie di scontri nella notte in un'oasi della provincia di Al-Wadi Al-Jadid: secondo fonti locali riportate dalla France Press vi sarebbero tre morti e un centinaio di feriti nella città di El Khargo. La folla ha datto alle fiamme sette edifici governativi, tra i quali due commissariati, il tribunale e la sede del partito di Mubarak. Gli agenti per disperdere la folla avrebbero aperto il fuoco e lanciato gas lacrimogeni. JIHADISTI EVASI - Tra le migliaia di detenuti evasi negli scorsi giorni, vi sarebbero anche diversi militanti di Al Qaeda. Lo ha detto il vic epresidente egiziano, Omar Suleiman. G li analisti di Credit Agricole stimano che la crisi stia costando all'Egitto 310 milioni di dollari al giorno. Il Canale di Suez ha riportato un calo dei ricavi dell'1,6% a gennaio rispetto a dicembre. CASA BIANCA INSODDISFATTA - Una situazione complessiva che non soddisfa l'amministrazione statunitense. Quello che sta facendo il Governo egiziano per le riforme non è ancora "sufficiente" e lo dimostra quello "che sta succedendo nelle strade del Cairo". Lo ha detto il portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs nel consueto briefing ai giornalisti. I negoziati con l'opposizione devono continuare ed essere allargati, lo stato d'emergenza deve finire e devono essere decisi cambiamenti alla costituzione in vista di vere elezioni democratiche, ha aggiunto Gibbs. AL JAZEERA - Dopo un'interruzione di undici giorni, in Egitto sono riprese le trasmissioni di Al Jazeera. Redazione online 09 febbraio 2011(ultima modifica: 10 febbraio 2011)
2011-02-09 Timori di finire come la Tunisia e l'Egitto Libia: Gheddafi preoccupato per la giornata di protesta del 17 febbraio Riunioni con giornalisti e capi locali per depotenziare la "Giornata della collera" Timori di finire come la Tunisia e l'Egitto Libia: Gheddafi preoccupato per la giornata di protesta del 17 febbraio Riunioni con giornalisti e capi locali per depotenziare la "Giornata della collera" Muhammar Gheddafi Muhammar Gheddafi MILANO - Il vento rivoluzionario nordafricano sta per interessare anche la Libia, Paese che finora era rimasto immune dell'ondata di proteste che ha travolto la Tunisia e sta seriamente minacciando il regime di Mubarak in Egitto. Secondo il quotidiano AlSharq Al-Awsat, il principale quotidiano arabo internazionale con sede a Londra, gruppi libici di opposizione hanno proclamato tramite internet il 17 febbraio "Giornata della collera", destando forti preoccupazioni nel colonnello Muhammar Gheddafi. SCOMPIGLIO - Secondo quanto riferisce il giornale, l'appello lanciato in rete per una protesta popolare ha creato scompiglio nel governo di Tripoli. Per correre ai ripari, da tre giorni Gheddafi convocherebbe giornalisti e attivisti politici per fare il punto della situazione. In particolare, nel corso di un incontro con alcuni giornalisti locali, secondo quanto riferisce il sito del giornale Libya al-Youm, Gheddafi "ha espresso preoccupazioni per la protesta, paventando i rischi connessi a una situazione di caos che potrebbe scatenarsi nel Paese". STUDENTI - È la prima volte che le autorità libiche mostrano segni di preoccupazione per una possibile rivolta. A scendere in piazza il 17 febbraio saranno in modo particolare gli studenti. È a loro infatti che si è rivolto Gheddafi nelle sue riunioni, criticando con forza anche Al-Jazeera per aver incitato, a suo giudizio, alla ribellione in Egitto. Commentando quanto accaduto di recente al Cairo, il colonnello avrebbe affermato: "È sbagliato prendersela con Mubarak, che è un uomo povero, non ha neanche i soldi per i suoi vestiti e più volte lo abbiamo aiutato. Quanto sta accadendo in Egitto è tutta opera dei servizi segreti israeliani". Redazione online 09 febbraio 2011
Tre morti e 100 feriti in un'oasi della provincia di al-Wadi al-Jadid Il Cairo: in migliaia hanno trascorso la notte in piazza Tahir In 10 mila manifestano al Parlamento e altrettanti davanti alla casa del premier Shafik * NOTIZIE CORRELATE * Cairo, tra sit in e prove di normalità. Obama: "Ora il tempo del cambiamento" (7 febbraio 2011) * Prove di dialogo del governo, ma il popolo della piazza non molla (8 febbraio 2011) Tre morti e 100 feriti in un'oasi della provincia di al-Wadi al-Jadid Il Cairo: in migliaia hanno trascorso la notte in piazza Tahir In 10 mila manifestano al Parlamento e altrettanti davanti alla casa del premier Shafik Manifestanti e carri armati in piazza Tahir al Cairo (Ap) Manifestanti e carri armati in piazza Tahir al Cairo (Ap) MILANO - Migliaia di manifestanti hanno trascorso la notte al Cairo accampati in piazza Tahrir, appoggiando tende e coperte ai carri armati che presidiano la piazza. Alle prime luci dell'alba, sono riprese le manifestazioni nel sedicesimo giorno di protesta contro il presidente Mubarak, la piazza però in mattinata è rimasta tranquilla senza scontri. Per il secondo giorno circa 10 mila manifestanti si sono riuniti in mattinata davanti alla sede dell'Assemblea del popolo e più altrettanti davanti alla casa del premier, generale Ahmed Shafik. Il noto attore e cantante Tamer Hosni è stato costretto a lasciare la piazza su pressione dei manifestanti antigovernativi che non gli hanno perdonato l'aver auspicato la fine delle proteste contro il presidente Mubarak. È quanto ha riferito il sito web di al-Jazeera. SCONTRI - Mentre la situazione al Cairo appare calma rispetto ai giorni scorsi, giungono notizie di scontri nella notte in un'oasi della provincia di Al-Wadi Al-Jadid: secondo fonti locali riportate dalla France Press vi sarebbero tre morti e un centinaio di feriti nella città di El Khargo. La folla ha datto alle fiamme sette edifici governativi, tra i quali due commissariati, il tribunale e la sede del partito di Mubarak. Gli agenti per disperdere la folla avrebbero aperto il fuoco e lanciato gas lacrimogeni. JIHADISTI EVASI - Tra le migliaia di detenuti evasi negli scorsi giorni, vi sarebbero anche diversi militanti di Al Qaeda. Lo ha detto il vic epresidente egiziano, Omar Suleiman. G li analisti di Credit Agricole stimano che la crisi stia costando all'Egitto 310 milioni di dollari al giorno. Il Canale di Suez ha riportato un calo dei ricavi dell'1,6% a gennaio rispetto a dicembre. AL JAZEERA - Dopo un'interruzione di undici giorni, in Egitto sono riprese le trasmissioni di Al Jazeera. Redazione online 09 febbraio 2011
2011-02-06 Entro marzo sarà costituito un comitato per le riforme costituzionali Egitto: accordo governo-opposizione Un milione in piazza Tahrir al Cairo Lunghe code davanti alle banche. Hillary Clinton benedice il dialogo. L'appello del papa * NOTIZIE CORRELATE * Mubarak cambia i vertici del partito (5 febbraio 2011) * Maroni: "Preoccupati per infiltrazioni Al Qaeda nel Maghreb" * BLOG - Salma e Fadia, la rivoluzione in due generazioni di Davide Frattini * BLOG - Morire per la libertà di Lorenzo Cremonesi * MULTIMEDIA: Tutte le immagini e i video dell'escalation egiziana Entro marzo sarà costituito un comitato per le riforme costituzionali Egitto: accordo governo-opposizione Un milione in piazza Tahrir al Cairo Lunghe code davanti alle banche. Hillary Clinton benedice il dialogo. L'appello del papa Il vicepresidente egiziano Omar Suleiman (Reuters) Il vicepresidente egiziano Omar Suleiman (Reuters) IL CAIRO - Entro marzo sarà costituito un comitato per le riforme costituzionali in Egitto. È questo il principale accordo raggiunto al Cairo tra il vicepresidente Omar Suleiman e le opposizioni, tra cui i Fratelli musulmani. Si tratta di un accordo di massima tra governo e rappresentanti dei partiti di opposizione per proseguire il dialogo e dare il via alle riforme e per l'applicazione delle promesse fatte dal capo di stato nel suo ultimo video messaggio. In particolare è prevista la fine dello stato d'emergenza, in vigore dal 1981, e il perseguimento dei responsabili degli incidenti e delle violenze dei giorni scorsi. È prevista poi la mancata ricandidatura di Mubarak alle prossime elezioni, la riforma degli articoli 76 e 77 della Costituzione, una riforma delle legge elettorale, il rinvio a giudizio di tutti i politici e funzionari accusati di corruzione e considerati responsabili degli episodi di violenza dei giorni scorsi in Egitto. Per essere certi che l'attuale governo faccia queste riforme, è stata decisa la creazione di una commissione, composta anche da giudici, che studi la fattibilità delle riforme costituzionali. Inoltre il governo si è impegnato ad aprire un ufficio che riceverà i ricorsi di tutti i detenuti politici. È stata deciso anche di concedere la massima libertà a tutti i media e di revocare lo stato d'emergenza. Una commissione, di cui faranno parte anche i gruppi di opposizione, dovrà controllare l'esecuzione di queste riforme. Il vicepresidente egiziano Joe Biden (Reuters) Il vicepresidente egiziano Joe Biden (Reuters) BIDEN TELEFONA A SULEIMAN - In precedenza Joe Biden, vice presidente Usa, ha telefonato ad Omar Suleiman chiedendo che si realizzino "progressi credibili nei negoziati comprensivi" che il vice presidente egiziano avvia con l'opposizione. Secondo quanto ha reso noto la Casa Bianca. Anche il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, sostiene il dialogo del governo egiziano con i Fratelli musulmani, la principale forza di opposizione in Egitto anzi afferma che debba essere il vice presidente Omar Suleiman a guidare "un'ordinata transizione". Hillary Clinton spinge per questa soluzione durante i lavori della conferenza per la Sicurezza a Monaco, secondo quanto riporta oggi il Financial Times, sottolineando il desiderio di Washington di vedere il processo di transizione verso la democrazia avanzare "nel modo più ordinato e veloce possibile". La Clinton ha detto che questa transizione politica dovrebbe essere gestita da Suleiman, e non dal presidente Honsi Mubarak, suggerendo l'idea che il vice presidente sia effettivamente ora alla guida del paese. FRATTINI - Al contrario di quanto vogliono di americani, il governo italiano, per bocca del ministro degli esteri Frattini, vuole sì la transizione ma con Mubarak. In Egitto "prima serve la riforma elettorale, poi una nuova costituzione, poi andare alle urne" a settembre. Così "la transizione sarebbe rapida ma non sarebbe il caos", come invece accadrebbe se il presidente Hosni Mubarak andasse "via domani", come qualcuno auspica, ha detto il ministro degli Esteri a l'Intervista di Maria Latella a Skytg24. IL PAPA - In mattinata giunge anche l'appello del Papa per l'Egitto, dopo l'Angelus: "In questi giorni seguo con attenzione la delicata situazione della cara Nazione egiziana. Chiedo a Dio che quella Terra, benedetta dalla presenza della Santa Famiglia, ritrovi la tranquillità e la pacifica convivenza, nell'impegno condiviso per il bene comune". È la prima volta che il Pontefice parla dell'Egitto da quando sono scoppiate le proteste. LA PIAZZA - Intanto sono un milione i manifestanti che si sono radunati domenica mattina in piazza Tahrir al Cairo. Lo ha annunciato la tv araba al-Jazeera. Secondo l'emittente qatariota sarebbe stato raggiunto il numero di manifestanti prefissato dagli organizzatori della protesta per quella che è stata battezzata "la domenica dei martiri". La manifestazione è infatti dedicata alle vittime degli scontri dei giorni scorsi tra sostenitori ed oppositori del presidente, Hosni Mubarak. I manifestanti hanno preannunciato altre iniziative analoghe nel corso della prossima settimana, per ottenere le dimissioni del presidente. Redazione online 06 febbraio 2011
2011-02-05 È accaduto nell'area di el-Arish, nel Sinai. Sospesa l'erogazione Egitto, fatto esplodere un gasdotto Clinton: rischio caos in Medio Oriente Intanto il direttore dell'ufficio di Al Jazeera al Cairo e uno dei suoi giornalisti sono stati arrestati * NOTIZIE CORRELATE * Obama: "Mubarak ascolti il suo popolo" (4 febbraio 2011) * Maroni: "Preoccupati per infiltrazioni Al Qaeda nel Maghreb" * BLOG - Salma e Fadia, la rivoluzione in due generazioni di Davide Frattini * BLOG - Morire per la libertà di Lorenzo Cremonesi * MULTIMEDIA: Tutte le immagini e i video dell'escalation egiziana È accaduto nell'area di el-Arish, nel Sinai. Sospesa l'erogazione Egitto, fatto esplodere un gasdotto Clinton: rischio caos in Medio Oriente Intanto il direttore dell'ufficio di Al Jazeera al Cairo e uno dei suoi giornalisti sono stati arrestati L'esplosione (Reuters) L'esplosione (Reuters) IL CAIRO - Ignoti "sabotatori" hanno fatto esplodere un gasdotto che attraversa il Sinai settentrionale, in Egitto, e porta il gas a Israele. "Dei sabotatori hanno approfittato della situazione relativa alla sicurezza e e fatto esplodere il gasdotto", ha annunciato un corrispondente tv, aggiungendo che c'è stata una grande esplosione; il cronista ha accusato i "terroristi" dell'esplosione. Anche gli abitanti nell'area hanno riferito che c'è stata una grande esplosione e che ci sono fiamme nell'area di el-Arish, nel Sinai ma non ci sono morti o feriti. In seguito all'esplosione nel gasdotto, riferisce la televisione di stato egiziana, l'Egitto ha sospeso il flusso di gas verso Israele. Ma la radio israeliana ha rassicurato che l'esplosione al gasdotto che unisce Israele all'Egitto non ha danneggiato la conduttura. E che la sospensione del rifornimento, attuata dalle autorità del Cairo, è stato decisa a titolo precauzionale. L'emittente ha citato un fonte del consorzio che controlla le importazioni di gas, secondo cui l'esplosione non è avvenuta "nient'affatto vicino" al gasdotto. L'esercito ha già chiuso la principale fonte di approvvigionamento della conduttura e sta cercando di controllare gli incendi. L'Egitto fornisce quasi il 40% del gas naturale ad Israele e a dicembre quattro aziende israeliane hanno firmato contratti ventennali del valore di 7,7 miliardi di euro per importare il gas. L'Egitto è comunque un esportatore modesto di gas; e il gasdotto nel mirino riforniva tanto Israele che la Giordania. Piazza Tahrir al Cairo (Epa) Piazza Tahrir al Cairo (Epa) AL JAZEERA - Nel frattempo, mentre la "rivoluzione egiziana" entra nel suo dodicesimo giorno, il direttore dell'ufficio di Al Jazeera al Cairo e uno dei suoi giornalisti sono stati arrestati, il giorno dopo un saccheggio che ha colpito la sede: lo riferisce l'emittente satellitare del Qatar. Le autorità egiziane hanno già vietato dal 30 gennaio all'emittente araba di coprire le rivolte contro il presidente Hosni Mubarak e di lavorare in Egitto. Al Jazeera ha da sempre relazioni tese con il governo egiziano. COPRIFUOCO - Per tutta la notte e sabato all'alba i dimostranti hanno sfidato ancora il coprifuoco a piazza Tahrir, diventata l'epicentro della rivolta al Cairo e ad Alessandria. Le proteste nel corso della notte sono state in generale pacifiche, ma al Jazeera ha riportato sabato mattina all'alba che la polizia ha sparato in aria nella piazza della capitale. Il coprifuoco era stato accorciato di tre ore, essendo diventato dalle 7 di sera alle 6 del mattino. Intanto è stato reso noto che Ahmad Mohamed Mahmoud, il giornalista egiziano morto venerdì a seguito delle ferite riportate una settimana fa mentre seguiva le proteste, è stato colpito da un proiettile sparato da un cecchino mentre stava filmando gli scontri tra polizia e dimostranti il 28 gennaio scorso. CLINTON - Il Medio Oriente sta attraversando una "tempesta perfetta" e i leader della regione devono rapidamnente avviare vere riforme democratiche altrimenti il rischio è di instabilità ancora maggiore, secondo il Segretario di Stato Usa, Hillary Clinton. "La regione è scossa da una tempesta perfetta di potenti tendenze", ha detto Hillary Clinton durante il suo intervento alla conferenza internazionale sulla sicurezza in corso a Monaco di Baviera, "È questo che ha spinto i manifestanti nelle strade di Tunisi, del Cairo e di città in tutta la regione. Lo status quo semplicemente non è sostenibile". MUBARAK - Intanto nelle trattative dietro le quinte in corso tra l'amministrazione Obama e membri dei vertici militari e civili egiziani per un'uscita onorevole di scena per Honsi Mubarak, prende corpo l'ipotesi di una partenza per la Germania, per il checkup medico cui l'anziano presidente si sottopone regolarmente. Secondo indiscrezioni pubblicate dal New York Times le parti ormai hanno capito che l'unico modo di uscire dal pericoloso tunnel in cui è entrato il paese è allontanare Mubarak dal potere, anche senza far decadere subito ufficialmente la sua presidenza. Oltre all'ipotesi del viaggio in Germania, che si prolungherebbe nel tempo quindi soddisfacendo la principale richiesta delle opposizioni che a questo punto potrebbero iniziare a negoziare con il governo transitorio guidato da Omar Suleiman, viene presa in considerazione anche quella di un esilio in patria nella residenza di Sharm el Sheik del rais. L'obiettivo è quello di trovare un modo sostanziale, anche se non formale, di togliere a Mubarak il potere decisionale e fargli lasciare il palazzo presidenziale del Cairo, simbolo stesso del suo potere. Per disinnescare la tensione ad altissimo rischio in Egitto bisogna avviare al più presto i colloqui con le opposizioni per riformare in senso democratico costituzione e sistema politico, è il ragionamento che continuano a ripetere gli americani a Suleiman e agli altri vertici militari. "Niente di tutto questo potrà succedere se Mubarak rimane al centro del processo, ma non è necessario che lasci la presidenza in questo momento", spiega una fonte di Washington. Redazione online 05 febbraio 2011
La notizia diffusa dalla rete Usa Fox, nessuna conferma ufficiale Egitto: voci di un attentato fallito al vicepresidente L'ex capo dei servizi segreti, Omar Suleiman, sarebbe sfuggito a un agguato in cui sono morte due guardie La notizia diffusa dalla rete Usa Fox, nessuna conferma ufficiale Egitto: voci di un attentato fallito al vicepresidente L'ex capo dei servizi segreti, Omar Suleiman, sarebbe sfuggito a un agguato in cui sono morte due guardie Omar Suleiman (Reuters) Omar Suleiman (Reuters) WASHINGTON – Omar Suleiman sarebbe sfuggito a un attentato dopo la sua nomina a vice presidente dell'Egitto. Nell’agguato, avvenuto il 29 gennaio, sono rimaste uccise due guardie del corpo. La notizia dell’attacco è stata diffusa nella notte dalla tv americana Fox e confermata da una fonte anonima dell’amministrazione Usa, mentre il portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs, si è rifiutato di commentarla. SCARSI DETTAGLI - Ancora scarsi – per ora – i dettagli: sembra che gli attentatori abbiano organizzato un’imboscata alla vettura con a bordo l’ex capo dell’intelligence. Difficile, al momento, stabilire la fondatezza della storia. Nel clima di tensione che avvolge il Cairo circolano voci incontrollabili. E non si possono escludere provocazioni come informazioni fasulle. Non sarebbe, però, una sorpresa se davvero qualcuno avesse cercato di eliminare quello che è il nuovo uomo forte. MOLTI NEMICI - Omar Suleiman, nella sua carriera di custode del regime, si è fatto tanti nemici. Tra i suoi avversari più tenaci gli islamisti radicali: ne ha fatti imprigionare a centinaia, ha autorizzato le torture, ha approvato azioni "sporche". E ha poi collaborato con le operazioni segrete lanciate dalla Cia contro i seguaci di Osama. Suleiman, per i qaedisti, è il bersaglio numero uno. Così come lo è per l’Hezbollah libanese (appoggiato dall’Iran) che, più di una volta, ha cercato di colpire in Egitto. Il responsabile di una cellula di attentatori è fuggito in Libano grazie alla rivolta e ha un conto aperto con gli 007 egiziani. In mezzo a queste due realtà eversive ci sono gli estremisti basati nel Sinai, spesso appoggiati dai clan beduini coinvolti in ogni tipo di traffico. Le autorità centrali, in questi anni, hanno provato a stroncarli con retate indiscriminate, seguite da trattamenti selvaggi per i detenuti. Ma i "ribelli" del Sinai si sono rivelati un osso duro. Tanto è vero che, in questi giorni, la situazione nella penisola è peggiorata. Infine non si può escludere l’azione di qualcuno collegato a esponenti del regime. RIVOLTA - È vero che i generali guidano la danza, ma i vari apparati non sono monolitici e la vecchia guardia non si è ancora arresa. Ci può essere il gerarca che teme di perdere tutti i suoi vantaggi, l’ufficiale geloso del nuovo potere, il personaggio contrario a qualsiasi concessione alla piazza. Un delitto eccellente può sconvolgere ogni piano. Del resto le incursioni dei cosiddetti attivisti pro-Mubarak – in realtà sbirri e militanti prezzolati – provano cosa siano capaci di fare. E non hanno smesso neppure gli uomini che fino a qualche giorno fa rispondevano agli ordini di Suleiman. Nelle prigioni della polizia segreta gli abusi vergognosi e le violenze sui fermati continuano. Per ora nulla è cambiato. Guido Olimpio 05 febbraio 2011
Nuovi scontri nel centro del Cairo. Morto un giornalista ferito nei giorni scorsi Obama: "Mubarak ascolti il suo popolo" E il comitato dei saggi chiede al vicepresidente Suleiman di assumere le prerogative di capo dello Stato * NOTIZIE CORRELATE * Morti in piazza e caccia ai giornalisti. Mubarak: sono stufo ma se lascio è caos (3 febbraio 2011) * Frattini: "Suleiman ha chiesto l'aiuto dell'Italia" (3 febbraio 2011) * I leader europei: "Subito una transizione ordinata, basta violenze" (3 febbraio 2011) * Obama: "Subito la transizione democratica" (2 febbraio 2011) * Mubarak in tv: "Non mi ricandido". E auspica un passaggio di potere pacifico (1 febbraio 2011) * L'esercito: proteste legittime (31 gennaio 2010) * MULTIMEDIA: Tutte le immagini e i video dell'escalation egiziana Nuovi scontri nel centro del Cairo. Morto un giornalista ferito nei giorni scorsi Obama: "Mubarak ascolti il suo popolo" E il comitato dei saggi chiede al vicepresidente Suleiman di assumere le prerogative di capo dello Stato Omar Suleiman, attuale vicepresidente egiziano: potrebbe assumere le prerogative di capo dello Stato al posto di Mubarak (Afp) Omar Suleiman, attuale vicepresidente egiziano: potrebbe assumere le prerogative di capo dello Stato al posto di Mubarak (Afp) MILANO - Il presidente egiziano, Hosni Mubarak, resterebbe presidente nei prossimi mesi solo formalmente. Secondo la tv Al Arabiya, il vice presidente Omar Suleiman avrebbe accettato alcune delle proposte avanzate dal "Comitato dei saggi" - composto da un folto gruppo di personalità del mondo politico economico e culturale egiziano - che ha avuto un faccia a faccia con l'ex capo dei servizi segreti egiziani. Tra queste proposte ci sarebbe anche quella di prendere in mano le redini del Paese assumendo le prerogative del capo dello Stato in base all'art. 139 della Costituzione egiziana. E Mubarak di conseguenza manterrebbe il ruolo solo a livello formale. I "saggi" avrebbero anche assicurato che i Fratelli Musulmani non presenteranno un loro candidato alle prossime presidenziali. Hanno inoltre chiesto che venga garantita l'incolumitá a tutti i manifestanti e che si formi un governo tecnico che guidi il paese in questa fase di transizione. "TRANSIZIONE SUBITO" - In serata è tornato a parlare anche il presidente americano Barack Obama che ha ribadito la necessità di una rapida e pacifica transizione, condannando gli "inaccettabili" attacchi contro i dimostranti e i giornalisti. Il capo della Casa Bianca ha invitato Mubarak ad "ascoltare cosa sta gridando il suo popolo e trarne le conseguenze". E ha ribadito la necessità più volte espressa negli ultimi giorni da Washington di "avviare un processo di transizione ordinato che inizi subito, e coinvolga tutte le parti, in grado di portare verso pratiche democratiche" e verso future elezioni "libere e giuste". Questo processo dovrà essere "gestito dal popolo egiziano" in cui il presidente statunitense "ripone" la sua "fiducia" spiegando che fino a che sarà il popolo ad autodeterminare il proprio futuro, gli Stati Uniti non mancheranno di stare al suo fianco. Obama ha anche confermato che i primi colloqui in Egitto per definire i particolari della transizione sono iniziati. L'ULTIMATUM DELLA PIAZZA - Insomma, tutto si muove nella direzione di un avvicendamento veloce al vertice della nazione. La posizione dei saggi va incontro alle richieste dei manifestanti che ancora oggi hanno sottolineato che le proteste e i presidi "continueranno fino a quando Mubarak non se ne andrà". Sin dalle prime ore di venerdì mattina piazza Tahrir al Cairo si è riempita di gente per quello che Mohamed ElBaradei ha definito "il venerdì della partenza" visto che in questa giornata scadeva quella sorta di ultimatum dato al rais di farsi da parte entro la fine della settimana (ascolta l'audio dell'inviato del Corriere della Sera, Davide Frattini). In piazza al Cairo si sono radunate due milioni di persone, mentre ad Alessandria, teatro di un'altra massiccia dimostrazione anti-governativa, i manifestanti sarebbero stati almeno un milione. Mubarak, ha detto in una intervista il premio Nobel ElBaradei - che oggi non ha escluso una sua possibile candidatura alle presidenziali "se il popolo dovesse chiedermelo"- sta solo cercando di prolungare la vita del suo "regime tossico". Dal canto suo però, il vicepresidente egiziano, Omar Suleiman, in mattinata aveva voluto specificare che "l'Egitto non sarà in alcun modo come la Tunisia" e che Mubarak "non lascerà il Paese", come invece ha dovuto fare il presidente tunisino Ben Ali. I Fratelli Musulmani sono disponibili a negoziare con il regime, ma solo dopo le dimissioni di Mubarak. "Siamo per il dialogo con chiunque voglia condurre riforme nel Paese, dopo la partenza di questo ingiusto, corrotto tiranno", ha dichiarato la guida dell'organizzazione islamica Mohamed Badie, riferendosi al capo dello Stato. Dai leader Ue arriva intanto un appello a evitare nuove violenze. "Mi auguro che si possa avere continuità di governo" nella transizione, ha detto il premier italiano, parlando di Mubarak come di un "uomo saggio". Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati ANCORA SCONTRI - Per le strade la situazione è rimasta tesa. I militari in tenuta antisommossa con armi automatiche si sono schierati attorno alla piazza principale della capitale egiziana per evitare disordini. Scontri tra le fazioni pro-Mubarak e uomini anti-regime si sono però registrati in piazza Talaat Harb, poco distante da piazza Tahrir. L'ufficio di Al Jazeera al Cairo è stato nuovamente preso d'assalto . In piazza è sceso in mattinata anche il ministro Mohammed Hussein Tantawi. E lo stesso ha fatto il segretario generale della Lega Araba, Amr Moussa, che a sua volta non ha escluso una sua candidatura alle presidenziali di settembre, ma ha sottolineato che il presidente dovrebbe rimanere al suo posto "fino alla fine di agosto", termine ultimo del suo mandato. Mubarak: "Se potessi mi dimetterei" I GIORNALISTI - Intanto va registrato il primo decesso di un giornalista dall'inizio dell'escalation di violenza. Si tratta di Ahmed Mohammed Mahmoud, 36 anni, che quattro giorni fa è stato raggiunto da un colpo di arma da fuoco mentre stava scattando fotografie dal balcone di casa sua, non lontano da piazza Tahrir. Ferito, era stato ricoverato in ospedale. Ma le cure dei medici si sono rivelate inutili. Mahmoud lavorava come reporter per Al-Taawun. Quanto agli altri giornalisti presenti al Cairo, la maggior parte di quelli arrestati in questi giorni è tornata in libertà, come aveva chiesto l'Alto commissario dell'Onu per i diritti umani Navy Pillay . Le redazioni di molti media hanno riferito della liberazione dei loro cronisti, anche se continuano fermi e maltrattamenti: venerdì mattina è successo anche a due giornalisti italiani, Michele Giorgio del Manifesto e Giovanni Porzio di Panorama, aggrediti da bande di adolescenti armati di bastoni e coltelli, poi fermati e interrogati prima di essere rilasciati. Secondo Reporters Sans Frontières, sono almeno sessanta i cronisti di vari e nazionalità che sono stati aggrediti negli ultimi dieci giorni in Egitto. IL RUOLO DELLA UE - Anche l'Europa prosegue il suo sforzo diplomatico. Da Bruxelles viene lanciato un forte appello ad evitare nuove violenze e a dare inizio ad "una transizione rapida e ordinata". I capi di Stato e di governo dichiarano "inaccettabile" ogni repressione della libertà di stampa, incluse le aggressioni e le intimidazioni ai giornalisti. Giungendo alla riunione del Consiglio europeo a Bruxelles, Silvio Berlusconi ha detto di confidare nel fatto che in Egitto la transizione "verso un sistema più democratico" avvenga "senza rotture con un presidente come Mubarak", e di augurarsi che "si possa avere una continuità di governo". "Tutto l'Occidente, Stati Uniti in testa - ha aggiunto il presidente del Consiglio -, considera Mubarak un uomo saggio". "LIBERARSI DAGLI USA" - Della situazione al Cairo ha parlato anche la Guida suprema iraniana, l'ayatollah Ali Khamenei, durante la preghiera del venerdì a Teheran. "La più importante motivazione" della sollevazione popolare in Egitto e in altri Paesi arabi, ha detto, è eliminare "la dipendenza dagli Stati Uniti". L'ayatollah ha detto che le proteste in diversi Paesi arabi, in particolare in Egitto, sono "un riflesso" della rivoluzione islamica del 1979 in Iran, invitando la popolazione egiziana a proseguire la sua rivolta fino all'instaurazione di un "regime popolare fondato sulla religione" musulmana. A Gerusalemme severe misure di sicurezza vengono adottate dalla polizia israeliana nella Città vecchia nel timore che le preghiere del venerdì nella Spianata delle Moschee possano sfociare in disordini, sulla scia di quanto sta avvenendo in Egitto e in altri Paesi arabi. Redazione online 04 febbraio 2011
INTERVENTIO ALLA CONFERENZA SULLA SICUREZZA DI mONACO Cameron: il multiculturalismo è fallito Il premier britannico: "La tolleranza passiva incoraggia la separazione. Lo stato liberale impone i suoi principi" INTERVENTIO ALLA CONFERENZA SULLA SICUREZZA DI mONACO Cameron: il multiculturalismo è fallito Il premier britannico: "La tolleranza passiva incoraggia la separazione. Lo stato liberale impone i suoi principi" Cameron e Merkel alla conferenza sulla sicurezza di Monaco (Epa/Ansa) Cameron e Merkel alla conferenza sulla sicurezza di Monaco (Epa/Ansa) LONDRA - Il multiculturalismo? E' fallito. La sentenza è del premier britannico, David Cameron. Ed è destinata a sollevare più d'una polemica e più d'una riflessione sui modelli di integrazione con i quali tutta Europa, e non soltanto la Gran Bretagna, ha affrontato il problema dell'immigrazione e dell'integrazione. Con riferimenti specifico all'Islam e in una situazione nella quale ciò che sta avvenendo in Medio Oriente pone nuovi e ulteriori rischi. VALORI COMUNI PER TUTTI- Secondo Cameron il ""multiculturalismo di stato" ha fallito e ha lasciato i giovani musulmani vulnerabili al radicalismo, ha affermato il primo ministro britannico nell'intervento alla conferenza sulla sicurezza a Monaco di Baviera. "È tempo di voltare pagina sulle politiche fallite del Paese. Per prima cosa, invece di ignorare questa ideologia estremista, noi dovremo affrontarla, in tutte le sue forme". E ancora: "Sotto la dottrina del multiculturalismo di stato, abbiamo incoraggiato culture differenti a vivere vite separate, staccate l'una dall'altra e da quella principale. Non siamo riusciti a fornire una visione della società, alla quale sentissero di voler appartenere. Tutto questo permette che alcuni giovani musulmani si sentano sradicati". Per Cameron è il momento di lasciare da parte la "tolleranza passiva" del Regno Unito con un "liberalismo attivo, muscolare", per trasmettere il messaggio che la vita in Gran Bretagna ruota intorno a certi valori chiave come la libertà di parola, l'uguaglianza dei diritti e il primato della legge. "Una società passivamente tollerante rimane neutrale tra valori differenti. Un paese davvero liberale fa molto di più. Esso crede in certi valori e li promuove attivamente" (fonte Ansa) 05 febbraio 2011
2011-02-04 Scontri vicino piazza Tahrir. ElBaradei: basta con un regime tossico Suleiman: "Mubarak non lascerà" Berlusconi: "È saggio, no a rotture" "Due milioni al Cairo", secondo alcune fonti: chiedono che il presidente vada via. Il vice: non farà come Ben Ali * NOTIZIE CORRELATE * Morti in piazza e caccia ai giornalisti. Mubarak: sono stufo ma se lascio è caos (3 febbraio 2011) * Frattini: "Suleiman ha chiesto l'aiuto dell'Italia" (3 febbraio 2011) * I leader europei: "Subito una transizione ordinata, basta violenze" (3 febbraio 2011) * Egitto, ancora morti. È quasi guerra civile. Sassaiole e molotov contro il museo egizio (2 febbraio 2011) * Obama: "Subito la transizione democratica" (2 febbraio 2011) * Mubarak in tv: "Non mi ricandido". E auspica un passaggio di potere pacifico (1 febbraio 2011) * L'esercito: proteste legittime (31 gennaio 2010) * MULTIMEDIA: Tutte le immagini e i video dell'escalation egiziana Scontri vicino piazza Tahrir. ElBaradei: basta con un regime tossico Suleiman: "Mubarak non lascerà" Berlusconi: "È saggio, no a rotture" "Due milioni al Cairo", secondo alcune fonti: chiedono che il presidente vada via. Il vice: non farà come Ben Ali Il ministro Tantawi a piazza Tahrir (Afp) Il ministro Tantawi a piazza Tahrir (Afp) È arrivato il giorno dell'ultimatum: piazza Tahrir al Cairo si riempie ancora una volta per quello che Mohamed ElBaradei ha definito "il venerdì della partenza". Nei giorni scorsi, infatti, il leader della protesta aveva chiesto le dimissioni di Hosni Mubarak, e la sua partenza, appunto, entro la giornata odierna (ascolta l'audio dell'inviato Davide Frattini). In piazza, secondo valutazioni di fonti giornalistiche contattate dall'Ansa, ci sarebbero due milioni di persone, mentre ad Alessandria, teatro come la capitale di una massiccia dimostrazione anti-governativa, i manifestanti sarebbero un milione: chiedono che il presidente lasci il Paese. Mubarak, ha detto in una intervista il premio Nobel ElBaradei, sta solo cercando di prolungare la vita del suo "regime tossico". Dal canto suo però, il vicepresidente egiziano, Omar Suleiman, ha voluto specificare che "l'Egitto non sarà in alcun modo come la Tunisia" e che il presidente Mubarak "non lascerà il Paese", come invece ha dovuto fare il presidente tunisino Ben Ali. I Fratelli Musulmani sono disponibili a negoziare con il regime, ma solo dopo le dimissioni di Mubarak. "Siamo per il dialogo con chiunque voglia condurre riforme nel paese, dopo la partenza di questo ingiusto, corrotto tiranno", ha dichiarato la guida dell'organizzazione islamica Mohamed Badie, riferendosi al capo dello Stato. Dai leader Ue arriva intanto un appello a evitare nuove violenze. "Mi auguro che si possa avere continuità di governo" nella transizione, ha detto il premier italiano, parlando di Mubarak come di un "uomo saggio". Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati SCONTRI - Per le strade la situazione è tesa. Già dalle prime ore della mattina, militari in tenuta antisommossa con armi automatiche si sono schierati attorno alla piazza principale della capitale egiziana. "Siamo qui per proteggervi, i sostenitori del governo non entreranno": è il messaggio che i soldati scandiscono con gli altoparlanti, mentre all'esterno gruppi di sostenitori di Hosni Mubarak iniziano a radunarsi. Scontri però si sono già registrati tra pro-Mubarak e uomini anti-regime in piazza Talaat Harb, poco distante da piazza Tahrir: ci sono feriti. L'ufficio di Al Jazeera al Cairo è stato nuovamente preso d'assalto da uomini sconosciuti, che hanno devastato la sede. In piazza, per ispezionarla, è sceso in mattinata anche il ministro Mohammed Hussein Tantawi. E in piazza c'è anche il segretario generale della Lega araba, Amr Moussa, al fianco dei dimostranti che chiedono le dimissioni di Mubarak. Moussa non ha escluso una sua candidatura alle presidenziali di settembre, ma ha sottolineato che il presidente dovrebbe rimanere al suo posto "fino alla fine di agosto", termine ultimo del suo mandato. I GIORNALISTI - Dopo una giornata di violenze, arresti e intimidazioni contro giornalisti egiziani e stranieri, nel frattempo, la maggior parte dei membri della stampa internazionale inviati in Egitto è di nuovo in libertà, come ha chiesto l'Alto commissario dell'Onu per i diritti umani Navy Pillay . Le redazioni di molti media hanno riferito della liberazione dei loro cronisti, anche se continuano fermi e maltrattamenti: in mattinata è successo anche a due giornalisti italiani, Michele Giorgio del Manifesto e Giovanni Porzio di Panorama, aggrediti da bande di adolescenti armati di bastoni e coltelli, poi fermati e interrogati prima di essere rilasciati. USA, UE - Gli sforzi diplomatici proseguono. Gli Stati Uniti starebbero negoziando con responsabili egiziani le immediate dimissioni del presidente e le modalità di una partenza immediata e del trasferimento dei poteri ad un governo di transizione diretto dal vicepresidente Omar Suleiman. Da Bruxelles viene lanciato un forte appello ad evitare nuove violenze e a dare inizio ad "una transizione rapida e ordinata". I capi di Stato e di governo dichiarano "inaccettabile" ogni repressione della libertà di stampa, incluse le aggressioni e le intimidazioni ai giornalisti. Giungendo alla riunione del Consiglio europeo a Bruxelles, Silvio Berlusconi ha detto di confidare nel fatto che in Egitto la transizione "verso un sistema più democratico" avvenga "senza rotture con un presidente come Mubarak", e di augurarsi che "si possa avere una continuità di governo". "Tutto l'Occidente, Stati Uniti in testa - ha aggiunto il presidente del Consiglio -, considera Mubarak un uomo saggio". Dall'Italia, il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha spiegato che le rivolte nel Maghreb fanno salire il rischio del terrorismo in Italia e in Europa, con la possibilità che uomini di al Qaeda si infiltrino tra i flussi di clandestini:. IRAN E ISRAELE - Della situazione al Cairo ha parlato anche la Guida suprema iraniana, l'ayatollah Ali Khamenei, durante la preghiera del venerdì a Teheran. "La più importante motivazione" della sollevazione popolare in Egitto e in altri Paesi arabi, ha detto, è eliminare "la dipendenza dagli Stati Uniti". Per Khamenei, se questo movimento sarà capace di continuare nel suo percorso, "per gli Americani sarà una sconfitta irreparabile". L'ayatollah ha detto che le proteste in diversi Paesi arabi, in particolare in Egitto, sono "un riflesso" della rivoluzione islamica del 1979 in Iran, invitando la popolazione egiziana a proseguire la sua rivolta fino all'instaurazione di un "regime popolare fondato sulla religione" musulmana. A Gerusalemme severe misure di sicurezza vengono adottate dalla polizia israeliana nella Città vecchia nel timore che le preghiere del venerdì nella Spianata delle Moschee possano sfociare in disordini, sulla scia di quanto sta avvenendo in Egitto e in altri Paesi arabi. Redazione online 04 febbraio 2011
Scontri vicino piazza Tahrir. ElBaradei: basta con un regime tossico Suleiman: "Mubarak non lascerà" Berlusconi: "È saggio, no a rotture" "Due milioni al Cairo", secondo alcune fonti: chiedono che il presidente vada via. Il vice: non farà come Ben Ali * NOTIZIE CORRELATE * Morti in piazza e caccia ai giornalisti. Mubarak: sono stufo ma se lascio è caos (3 febbraio 2011) * Frattini: "Suleiman ha chiesto l'aiuto dell'Italia" (3 febbraio 2011) * I leader europei: "Subito una transizione ordinata, basta violenze" (3 febbraio 2011) * Egitto, ancora morti. È quasi guerra civile. Sassaiole e molotov contro il museo egizio (2 febbraio 2011) * Obama: "Subito la transizione democratica" (2 febbraio 2011) * Mubarak in tv: "Non mi ricandido". E auspica un passaggio di potere pacifico (1 febbraio 2011) * L'esercito: proteste legittime (31 gennaio 2010) * MULTIMEDIA: Tutte le immagini e i video dell'escalation egiziana Scontri vicino piazza Tahrir. ElBaradei: basta con un regime tossico Suleiman: "Mubarak non lascerà" Berlusconi: "È saggio, no a rotture" "Due milioni al Cairo", secondo alcune fonti: chiedono che il presidente vada via. Il vice: non farà come Ben Ali Il ministro Tantawi a piazza Tahrir (Afp) Il ministro Tantawi a piazza Tahrir (Afp) È arrivato il giorno dell'ultimatum: piazza Tahrir al Cairo si riempie ancora una volta per quello che Mohamed ElBaradei ha definito "il venerdì della partenza". Nei giorni scorsi, infatti, il leader della protesta aveva chiesto le dimissioni di Hosni Mubarak, e la sua partenza, appunto, entro la giornata odierna (ascolta l'audio dell'inviato Davide Frattini). In piazza, secondo valutazioni di fonti giornalistiche contattate dall'Ansa, ci sarebbero due milioni di persone, mentre ad Alessandria, teatro come la capitale di una massiccia dimostrazione anti-governativa, i manifestanti sarebbero un milione: chiedono che il presidente lasci il Paese. Mubarak, ha detto in una intervista il premio Nobel ElBaradei, sta solo cercando di prolungare la vita del suo "regime tossico". Dal canto suo però, il vicepresidente egiziano, Omar Suleiman, ha voluto specificare che "l'Egitto non sarà in alcun modo come la Tunisia" e che il presidente Mubarak "non lascerà il Paese", come invece ha dovuto fare il presidente tunisino Ben Ali. I Fratelli Musulmani sono disponibili a negoziare con il regime, ma solo dopo le dimissioni di Mubarak. "Siamo per il dialogo con chiunque voglia condurre riforme nel paese, dopo la partenza di questo ingiusto, corrotto tiranno", ha dichiarato la guida dell'organizzazione islamica Mohamed Badie, riferendosi al capo dello Stato. Dai leader Ue arriva intanto un appello a evitare nuove violenze. "Mi auguro che si possa avere continuità di governo" nella transizione, ha detto il premier italiano, parlando di Mubarak come di un "uomo saggio". Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati SCONTRI - Per le strade la situazione è tesa. Già dalle prime ore della mattina, militari in tenuta antisommossa con armi automatiche si sono schierati attorno alla piazza principale della capitale egiziana. "Siamo qui per proteggervi, i sostenitori del governo non entreranno": è il messaggio che i soldati scandiscono con gli altoparlanti, mentre all'esterno gruppi di sostenitori di Hosni Mubarak iniziano a radunarsi. Scontri però si sono già registrati tra pro-Mubarak e uomini anti-regime in piazza Talaat Harb, poco distante da piazza Tahrir: ci sono feriti. L'ufficio di Al Jazeera al Cairo è stato nuovamente preso d'assalto da uomini sconosciuti, che hanno devastato la sede. In piazza, per ispezionarla, è sceso in mattinata anche il ministro Mohammed Hussein Tantawi. E in piazza c'è anche il segretario generale della Lega araba, Amr Moussa, al fianco dei dimostranti che chiedono le dimissioni di Mubarak. Moussa non ha escluso una sua candidatura alle presidenziali di settembre, ma ha sottolineato che il presidente dovrebbe rimanere al suo posto "fino alla fine di agosto", termine ultimo del suo mandato. I GIORNALISTI - Dopo una giornata di violenze, arresti e intimidazioni contro giornalisti egiziani e stranieri, nel frattempo, la maggior parte dei membri della stampa internazionale inviati in Egitto è di nuovo in libertà, come ha chiesto l'Alto commissario dell'Onu per i diritti umani Navy Pillay . Le redazioni di molti media hanno riferito della liberazione dei loro cronisti, anche se continuano fermi e maltrattamenti: in mattinata è successo anche a due giornalisti italiani, Michele Giorgio del Manifesto e Giovanni Porzio di Panorama, aggrediti da bande di adolescenti armati di bastoni e coltelli, poi fermati e interrogati prima di essere rilasciati. USA, UE - Gli sforzi diplomatici proseguono. Gli Stati Uniti starebbero negoziando con responsabili egiziani le immediate dimissioni del presidente e le modalità di una partenza immediata e del trasferimento dei poteri ad un governo di transizione diretto dal vicepresidente Omar Suleiman. Da Bruxelles viene lanciato un forte appello ad evitare nuove violenze e a dare inizio ad "una transizione rapida e ordinata". I capi di Stato e di governo dichiarano "inaccettabile" ogni repressione della libertà di stampa, incluse le aggressioni e le intimidazioni ai giornalisti. Giungendo alla riunione del Consiglio europeo a Bruxelles, Silvio Berlusconi ha detto di confidare nel fatto che in Egitto la transizione "verso un sistema più democratico" avvenga "senza rotture con un presidente come Mubarak", e di augurarsi che "si possa avere una continuità di governo". "Tutto l'Occidente, Stati Uniti in testa - ha aggiunto il presidente del Consiglio -, considera Mubarak un uomo saggio". Dall'Italia, il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha spiegato che le rivolte nel Maghreb fanno salire il rischio del terrorismo in Italia e in Europa, con la possibilità che uomini di al Qaeda si infiltrino tra i flussi di clandestini:. IRAN E ISRAELE - Della situazione al Cairo ha parlato anche la Guida suprema iraniana, l'ayatollah Ali Khamenei, durante la preghiera del venerdì a Teheran. "La più importante motivazione" della sollevazione popolare in Egitto e in altri Paesi arabi, ha detto, è eliminare "la dipendenza dagli Stati Uniti". Per Khamenei, se questo movimento sarà capace di continuare nel suo percorso, "per gli Americani sarà una sconfitta irreparabile". L'ayatollah ha detto che le proteste in diversi Paesi arabi, in particolare in Egitto, sono "un riflesso" della rivoluzione islamica del 1979 in Iran, invitando la popolazione egiziana a proseguire la sua rivolta fino all'instaurazione di un "regime popolare fondato sulla religione" musulmana. A Gerusalemme severe misure di sicurezza vengono adottate dalla polizia israeliana nella Città vecchia nel timore che le preghiere del venerdì nella Spianata delle Moschee possano sfociare in disordini, sulla scia di quanto sta avvenendo in Egitto e in altri Paesi arabi. Redazione online 04 febbraio 2011
L'UE: STOP ALLE VIOLENZE. Gli STATI UNITI lavorano per le dimissioni immediate Cairo, corteo per cacciare Mubarak Reporter italiani fermati e interrogati Ancora una manifestazione per chiedere che il presidente vada via. Il ministro Tantawi ispeziona la piazza * NOTIZIE CORRELATE * Morti in piazza e caccia ai giornalisti. Mubarak: sono stufo ma se lascio è caos (3 febbraio 2011) * Frattini: "Suleiman ha chiesto l'aiuto dell'Italia" (3 febbraio 2011) * I leader europei: "Subito una transizione ordinata, basta violenze" (3 febbraio 2011) * Egitto, ancora morti. È quasi guerra civile. Sassaiole e molotov contro il museo egizio (2 febbraio 2011) * Obama: "Subito la transizione democratica" (2 febbraio 2011) * Mubarak in tv: "Non mi ricandido". E auspica un passaggio di potere pacifico (1 febbraio 2011) * L'esercito: proteste legittime (31 gennaio 2010) * MULTIMEDIA: Tutte le immagini e i video dell'escalation egiziana L'UE: STOP ALLE VIOLENZE. Gli STATI UNITI lavorano per le dimissioni immediate Cairo, corteo per cacciare Mubarak Reporter italiani fermati e interrogati Ancora una manifestazione per chiedere che il presidente vada via. Il ministro Tantawi ispeziona la piazza Il ministro Tantawi a piazza Tahrir (Afp) Il ministro Tantawi a piazza Tahrir (Afp) È arrivato il giorno dell'ultimatum: piazza Tahrir si riempie ancora una volta per quello che Mohamed ElBaradei ha definito "il venerdì della partenza". Nei giorni scorsi, infatti, il leader della protesta aveva chiesto le dimissioni di Hosni Mubarak, e la sua partenza appunto, entro la giornata odierna. In piazza ci sarebbero già almeno 200 mila manifestanti (ascolta l'audio dell'inviato Davide Frattini ): chiedono che il presidente lasci il Paese. Due giornalisti italiani, Michele Giorgio del Manifesto e Giovanni Porzio di Panorama, sono stati arrestati in Egitto e rilasciati dopo essere stati interrogati. In piazza, per ispezionarla, è sceso anche il ministro Mohammed Hussein Tantawi, insieme ad alcuni vertici militari. Alcuni manifestanti hanno riferito che il titolare della Difesa si è recato nei pressi del Museo Egizio e ha parlato con i militari che circondano la piazza con i carri armati e i blindati. Alla tv araba una manifestante ha raccontato in diretta del clima di "eccitazione" per la giornata. Della situazione al Cairo ha parlato la Guida suprema iraniana, l'ayatollah Ali Khamenei, durante la preghiera del venerdì a Teheran. "La più importante motivazione" della sollevazione popolare in Egitto e in altri Paesi arabi, ha detto, è eliminare "la dipendenza dagli Stati Uniti". Per Khamenei, se questo movimento sarà capace di continuare nel suo percorso, "per gli Americani sarà una sconfitta irreparabile". Dai dai leader della Ue, riuniti in un vertice, viene lanciato ne frattempo un forte appello ad evitare nuove violenze e a dare inizio ad "una transizione rapida e ordinata". I capi di Stato e di governo dichiarano "inaccettabile" ogni repressione della libertà di stampa, incluse le aggressioni e le intimidazioni ai giornalisti. GLI USA NEGOZIANO - Intanto, secondo quanto riferisce il New York Times, gli Stati Uniti starebbero negoziando con responsabili egiziani le immediate dimissioni del presidente e le modalità di una partenza immediata e del trasferimento dei poteri ad un governo di transizione diretto dal vicepresidente Omar Suleiman. E mentre la diplomazia è al lavoro, il Senato americano ha approvato all'unanimità una risoluzione che chiede a Mubarak di avviare immediatamente la transizione politica. MILITARI IN TENUTA ANTISOMMOSSA - La Cnn rivela che militari in tenuta antisommossa con armi automatiche sono schierati numerosi attorno a piazza Tahrir e che uomini delle forze di sicurezza hanno proceduto all'arresto di alcune persone che lasciavano la piazza o sul vicino ponte 6 Ottobre, facendole distendere a terra puntando loro contro le armi. Il capo degli Stati maggiori riuniti americani, Mike Mullen, ha avuto contatti con i vertici militari egiziani, i quali gli hanno assicurato che non intendono sparare contro i manifestanti. Al Jazeera rivela che le comunicazioni non sono bloccate come alcuni giorni fa e che gli oppositori usano soprattutto i social network come Facebook e Twitter. I giornalisti, per lo più ormai relegati negli alberghi dopo gli arresti e le intimidazioni di giovedì, temono di non poter garantire una copertura adeguata degli eventi. Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di picchiatori pagati IRAN E ISRAELE - Sul Cairo sono concentrate le attenzioni della comunità internazionale. L'ayatollah Ali Khamenei, parlando alla preghiera del venerdì a Teheran, ha detto che le proteste in diversi Paesi arabi, in particolare in Egitto, sono "un riflesso" della rivoluzione islamica del 1979 in Iran. La guida suprema iraniana ha anche invitato la popolazione egiziana a proseguire la sua rivolta fino all'instaurazione di un "regime popolare fondato sulla religione" musulmana. Ha aggiunto che "il clero dovrebbe svolgere un ruolo, in particolare sostenendo la popolazione" ostile al potere egiziano. L'ayatollah ha inoltre auspicato che "l'esercito egiziano si unisca al popolo", visto che il "nemico principale dell'esercito è il regime sionista e non il popolo". A Gerusalemme severe misure di sicurezza vengono adottate dalla polizia israeliana nella Città vecchia nel timore che le preghiere del venerdì nella Spianata delle Moschee possano sfociare in disordini, sulla scia di quanto sta avvenendo in Egitto e in altri Paesi arabi. Giungendo alla riunione del Consiglio europeo a Bruxelles, il premier italiano ha detto di confidare nel fatto che in Egitto la transizione "verso un sistema più democratico" avvenga "senza rotture con un presidente come Mubarak", e di augurarsi che "si possa avere una continuità di governo". "Tutto l'Occidente, Stati Uniti in testa - ha aggiunto il presidente del Consiglio -, considera Mubarak un uomo saggio". Redazione online 04 febbraio 2011
PROTESTE IN EGITTO, Gli STATI UNITI lavorano per le dimissioni immediate Cairo, la "giornata della partenza" Corteo per cacciare Mubarak Ancora una manifestazione per chiedere che il presidente vada via. Il ministro Tantawi ispeziona la piazza * NOTIZIE CORRELATE * Morti in piazza e caccia ai giornalisti. Mubarak: sono stufo ma se lascio è caos (3 febbraio 2011) * Frattini: "Suleiman ha chiesto l'aiuto dell'Italia" (3 febbraio 2011) * I leader europei: "Subito una transizione ordinata, basta violenze" (3 febbraio 2011) * Egitto, ancora morti. È quasi guerra civile. Sassaiole e molotov contro il museo egizio (2 febbraio 2011) * Obama: "Subito la transizione democratica" (2 febbraio 2011) * Mubarak in tv: "Non mi ricandido". E auspica un passaggio di potere pacifico (1 febbraio 2011) * L'esercito: proteste legittime (31 gennaio 2010) * MULTIMEDIA: Tutte le immagini e i video dell'escalation egiziana PROTESTE IN EGITTO, Gli STATI UNITI lavorano per le dimissioni immediate Cairo, la "giornata della partenza" Corteo per cacciare Mubarak Ancora una manifestazione per chiedere che il presidente vada via. Il ministro Tantawi ispeziona la piazza Il ministro Mohammed Hussein Tantawi ispeziona piazza Tahrir (Afp) Il ministro Mohammed Hussein Tantawi ispeziona piazza Tahrir (Afp) È arrivato il giorno dell'ultimatum: piazza Tahrir si riempie per quello che Mohamed ElBaradei ha definito "il venerdì della partenza". Nei giorni scorsi, infatti, il leader della protesta aveva chiesto le dimissioni di Hosni Mubarak, e la sua partenza, entro la giornata odierna. I manifestanti, gli egiziani che vogliono che il presidente lasci il Paese, cominciano ad affluire nel centro del Cairo. Le tv Al Jazeera e la Bbc mostrano immagini in diretta dall'alto: si vedono già alcune migliaia di persone con grandi striscioni e l'atmosfera sembra per ora relativamente calma. In piazza, per ispezionarla, è sceso anche il ministro Mohammed Hussein Tantawi, insieme ad alcuni vertici militari. Alcuni manifestanti hanno riferito che il titolare della Difesa si è recato nei pressi del Museo Egizio e ha parlato con i militari che circondano la piazza con i carri armati e i blindati. Alla tv araba una manifestante ha raccontato in diretta del clima di "eccitazione" per la giornata. Della situazione al Cairo ha parlato la Guida suprema iraniana, l'ayatollah Ali Khamenei, durante la preghiera del venerdì a Teheran. "La più importante motivazione" della sollevazione popolare in Egitto e in altri Paesi arabi, ha detto, è eliminare "la dipendenza dagli Stati Uniti". Per Khamenei, se questo movimento sarà capace di continuare nel suo percorso, "per gli Americani sarà una sconfitta irreparabile". Intanto, secondo quanto riferisce il New York Times, gli Stati Uniti starebbero negoziando con responsabili egiziani le immediate dimissioni del presidente e le modalità di una partenza immediata e del trasferimento dei poteri ad un governo di transizione diretto dal vicepresidente Omar Suleiman. E mentre la diplomazia è al lavoro, il Senato americano ha approvato all'unanimità una risoluzione che chiede a Mubarak di avviare immediatamente la transizione politica. MILITARI IN TENUTA ANTISOMMOSSA - La Cnn rivela che militari in tenuta antisommossa con armi automatiche sono schierati numerosi attorno a piazza Tahrir e che uomini delle forze di sicurezza hanno proceduto all'arresto di alcune persone che lasciavano la piazza o sul vicino ponte 6 Ottobre, facendole distendere a terra puntando loro contro le armi. Il capo degli Stati maggiori riuniti americani, Mike Mullen, ha avuto contatti con i vertici militari egiziani, i quali gli hanno assicurato che non intendono sparare contro i manifestanti. Al Jazeera rivela che le comunicazioni non sono bloccate come alcuni giorni fa e che gli oppositori usano soprattutto i social network come Facebook e Twitter. I giornalisti, per lo più ormai relegati negli alberghi dopo gli arresti e le intimidazioni di giovedì, temono di non poter garantire una copertura adeguata degli eventi. Sangue, sassi e la denuncia di piacchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di piacchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di piacchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di piacchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di piacchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di piacchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di piacchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di piacchiatori pagati IRAN E ISRAELE - Sul Cairo sono concentrate le attenzioni della comunità internazionale. L'ayatollah Ali Khamenei, parlando alla preghiera del venerdì a Teheran, ha detto che le proteste in diversi Paesi arabi, in particolare in Egitto, sono "un riflesso" della rivoluzione islamica del 1979 in Iran. A Gerusalemme severe misure di sicurezza vengono adottate dalla polizia israeliana nella Città vecchia nel timore che le preghiere del venerdì nella Spianata delle Moschee possano sfociare in disordini, sulla scia di quanto sta avvenendo in Egitto e in altri Paesi arabi. Redazione 04 febbraio 2011
PROTESTE IN EGITTO, Gli STATI UNITI lavorano per le dimissioni immediate Cairo, la "giornata della partenza" Corteo per cacciare Mubarak Ancora una manifestazione per chiedere che il presidente vada via. Il ministro Tantawi ispeziona la piazza * NOTIZIE CORRELATE * Morti in piazza e caccia ai giornalisti. Mubarak: sono stufo ma se lascio è caos (3 febbraio 2011) * Frattini: "Suleiman ha chiesto l'aiuto dell'Italia" (3 febbraio 2011) * I leader europei: "Subito una transizione ordinata, basta violenze" (3 febbraio 2011) * Egitto, ancora morti. È quasi guerra civile. Sassaiole e molotov contro il museo egizio (2 febbraio 2011) * Obama: "Subito la transizione democratica" (2 febbraio 2011) * Mubarak in tv: "Non mi ricandido". E auspica un passaggio di potere pacifico (1 febbraio 2011) * L'esercito: proteste legittime (31 gennaio 2010) * MULTIMEDIA: Tutte le immagini e i video dell'escalation egiziana PROTESTE IN EGITTO, Gli STATI UNITI lavorano per le dimissioni immediate Cairo, la "giornata della partenza" Corteo per cacciare Mubarak Ancora una manifestazione per chiedere che il presidente vada via. Il ministro Tantawi ispeziona la piazza Il ministro Mohammed Hussein Tantawi ispeziona piazza Tahrir (Afp) Il ministro Mohammed Hussein Tantawi ispeziona piazza Tahrir (Afp) È arrivato il giorno dell'ultimatum: piazza Tahrir si riempie per quello che Mohamed ElBaradei ha definito "il venerdì della partenza". Nei giorni scorsi, infatti, il leader della protesta aveva chiesto le dimissioni di Hosni Mubarak, e la sua partenza, entro la giornata odierna. I manifestanti, gli egiziani che vogliono che il presidente lasci il Paese, cominciano ad affluire nel centro del Cairo. Le tv Al Jazeera e la Bbc mostrano immagini in diretta dall'alto: si vedono già alcune migliaia di persone con grandi striscioni e l'atmosfera sembra per ora relativamente calma. In piazza, per ispezionarla, è sceso anche il ministro Mohammed Hussein Tantawi, insieme ad alcuni vertici militari. Alcuni manifestanti hanno riferito che il titolare della Difesa si è recato nei pressi del Museo Egizio e ha parlato con i militari che circondano la piazza con i carri armati e i blindati. Alla tv araba una manifestante ha raccontato in diretta del clima di "eccitazione" per la giornata. Della situazione al Cairo ha parlato la Guida suprema iraniana, l'ayatollah Ali Khamenei, durante la preghiera del venerdì a Teheran. "La più importante motivazione" della sollevazione popolare in Egitto e in altri Paesi arabi, ha detto, è eliminare "la dipendenza dagli Stati Uniti". Per Khamenei, se questo movimento sarà capace di continuare nel suo percorso, "per gli Americani sarà una sconfitta irreparabile". Intanto, secondo quanto riferisce il New York Times, gli Stati Uniti starebbero negoziando con responsabili egiziani le immediate dimissioni del presidente e le modalità di una partenza immediata e del trasferimento dei poteri ad un governo di transizione diretto dal vicepresidente Omar Suleiman. E mentre la diplomazia è al lavoro, il Senato americano ha approvato all'unanimità una risoluzione che chiede a Mubarak di avviare immediatamente la transizione politica. MILITARI IN TENUTA ANTISOMMOSSA - La Cnn rivela che militari in tenuta antisommossa con armi automatiche sono schierati numerosi attorno a piazza Tahrir e che uomini delle forze di sicurezza hanno proceduto all'arresto di alcune persone che lasciavano la piazza o sul vicino ponte 6 Ottobre, facendole distendere a terra puntando loro contro le armi. Il capo degli Stati maggiori riuniti americani, Mike Mullen, ha avuto contatti con i vertici militari egiziani, i quali gli hanno assicurato che non intendono sparare contro i manifestanti. Al Jazeera rivela che le comunicazioni non sono bloccate come alcuni giorni fa e che gli oppositori usano soprattutto i social network come Facebook e Twitter. I giornalisti, per lo più ormai relegati negli alberghi dopo gli arresti e le intimidazioni di giovedì, temono di non poter garantire una copertura adeguata degli eventi. Sangue, sassi e la denuncia di piacchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di piacchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di piacchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di piacchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di piacchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di piacchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di piacchiatori pagati Sangue, sassi e la denuncia di piacchiatori pagati IRAN E ISRAELE - Sul Cairo sono concentrate le attenzioni della comunità internazionale. L'ayatollah Ali Khamenei, parlando alla preghiera del venerdì a Teheran, ha detto che le proteste in diversi Paesi arabi, in particolare in Egitto, sono "un riflesso" della rivoluzione islamica del 1979 in Iran. A Gerusalemme severe misure di sicurezza vengono adottate dalla polizia israeliana nella Città vecchia nel timore che le preghiere del venerdì nella Spianata delle Moschee possano sfociare in disordini, sulla scia di quanto sta avvenendo in Egitto e in altri Paesi arabi. Giungendo alla riunione del Consiglio europeo a Bruxelles, il premier italiano ha detto di confidare nel fatto che in Egitto la transizione "verso un sistema più democratico" avvenga "senza rotture con un presidente come Mubarak", e di augurarsi che "si possa avere una continuità di governo". "Tutto l'Occidente, Stati Uniti in testa - ha aggiunto il presidente del Consiglio -, considera Mubarak un uomo saggio". Redazione online 04 febbraio 2011
2011-02-03 LE CONTROMISURE DEL POTERE In azione i mercenari del regime I "baltajieh" entrano in azione ogni volta che i dittatori orientali sono minacciati. Primo bersaglio, l'informazione LE CONTROMISURE DEL POTERE In azione i mercenari del regime I "baltajieh" entrano in azione ogni volta che i dittatori orientali sono minacciati. Primo bersaglio, l'informazione Un presunto baltajieh su un cammello carica i dimostranti anti-Mubarak Un presunto baltajieh su un cammello carica i dimostranti anti-Mubarak WASHINGTON – Li chiamano i baltajieh, sono i mercenari al servizio dei regimi mediorientali. Agenti di polizia, attivisti di partito, persone che hanno tutto da perdere dalla cacciata del tiranno di turno. Se la polizia egiziana – nei primi giorni della rivolta – non ha retto all’urto dei dimostranti, non va dimenticato che il potere ha altre forze a sua disposizione. Il Mukhabarat e i più sofisticati servizi speciali possono contare su migliaia di informatori e "teppisti". Una massa di manovra da gettare in campo contro gli oppositori e la stampa. Costituiscono un apparato parallelo, finanziato e coordinato da quelli che impropriamente sono definiti 007. In realtà si tratta di sbirri, cani da guardia del despota. Le aggressioni ripetute contro manifestanti e giornalisti stranieri – secondo gli oppositori - sono coordinati dall’alto. Omar Suleiman, l’attuale vice presidente e fino a pochi giorni fa responsabile dell’intelligence, non è un uomo che si fa degli scrupoli. I suoi uomini sono capaci di far parlare anche un muto, la tortura non è l’eccezione ma la regola. FINTI PATRIOTI - Il regime egiziano, in queste ore, sta copiando quanto fatto da quei governi che sono riusciti a stroncare le proteste popolari: la Cina, l’Iran, Myammar. Per soffocare la contestazione è necessario non avere in giro testimoni scomodi e i giornalisti stranieri sono il primo bersaglio. Le immagini delle grandi tv satellitari come i reportage sono considerati un pericolo mortale da chi vuole restare sul trono. Ecco perché è fondamentale il ricorso ai baltajieh. Non vestono la divisa, le loro azioni sono fatte passare per la risposta di "patrioti" o di "cittadini preoccupati per il futuro". Li abbiamo visti in azione in Tunisia, dove però non sono riusciti a impedire la caduta di Ben Alì. Hanno agito invece con efficacia in Iran: gli ayatollah, oltre ai pasdaran, hanno schierato i basij, gli Hezbollah e una gang conosciuta come il "Sangue di Allah". Dalla Siria arrivano informazioni di una mobilitazione dei baltajieh da parte del clan Assad, preoccupato del contagio. BASTONI, COLTELLI E FUCILI - Alcuni di loro si muovono a pagamento, altri per convinzione. Non mancano i criminali. Sono pronti a tutto: compresa una folle carica a dorso di cammello contro le posizioni nemiche. Appaiono alla vigilia delle elezioni "libere", si muovono quando il potere si sente minacciato, partecipano agli scontri, fanno da provocatori. All’inizio usano bastoni e coltelli, se non basta passano alle armi da fuoco. Se poi ci scappano delle vittime la colpa ricade sulla "piazza". E lo spargimento di sangue diventa il pretesto per la successiva repressione. Gli eventi appaiono casuali, ma in realtà c’è una regia. Imperfetta, a volte approssimativa ma che alla fine ottiene ciò che vuole. Lo prova quanto ha rivelato Vodafone: il gruppo per le telecomunicazioni è stato costretto dalle autorità a inviare sms con appelli diretti agli "attivisti" pro-Mubarak. Guido Olimpio 03 febbraio 2011
ElBaradei: "La comunità internazionale non sostenga un regime che uccide la sua gente" Egitto, il premier chiede scusa e media Ucciso uno straniero. Caccia ai giornalisti La denuncia: in piazza picchiatori pagati dal partito del presidente. Appello dei leader Ue: "Basta violenze" * NOTIZIE CORRELATE * Frattini: "Suleiman ha chiesto l'aiuto dell'Italia" (3 febbraio 2011) * I leader europei: "Subito una transizione ordinata, basta violenze" (3 febbraio 2011) * Egitto, ancora morti. È quasi guerra civile. Sassaiole e molotov contro il museo egizio (2 febbraio 2011) * Obama: "Subito la transizione democratica" (2 febbraio 2011) * Mubarak in tv: "Non mi ricandido". E auspica un passaggio di potere pacifico (1 febbraio 2011) * L'esercito: proteste legittime (31 gennaio 2010) * MULTIMEDIA: Tutte le immagini e i video dell'escalation egiziana ElBaradei: "La comunità internazionale non sostenga un regime che uccide la sua gente" Egitto, il premier chiede scusa e media Ucciso uno straniero. Caccia ai giornalisti La denuncia: in piazza picchiatori pagati dal partito del presidente. Appello dei leader Ue: "Basta violenze" Un manifestante sta per essere colpito al volto da un sasso (Reuters) Un manifestante sta per essere colpito al volto da un sasso (Reuters) MILANO - Uno straniero è stato picchiato a morte in Piazza Tahrir al Cairo. Lo affermano testimoni e i servizi di soccorso. Non si sa nulla della sua identità, neppure se possa trattarsi di un giornalista, visto che decine di sostenitori del presidente egiziano Honsi Mubarak hanno fatto irruzione in un hotel del Cairo a caccia di operatori dei media. I quali denunciano un crescendo delle intimidazioni nei loro confronti, compresi episodi di pestaggio e arresti. SPARI E SASSAIOLE - Intanto però la tensione resta alta. Secondo Al Arabiya, i seguaci del presidente hanno raggiunto piazza Tahrir, cuore della capitale e luogo simbolo di questi dieci giorni di protesta, armati di "bastoni e coltelli". Al Jazeera racconta di nuove sassaiole da una parte all'altra della grande spianata (con oggetti lanciati anche dai balconi dei palazzi circostanti) e di un teso faccia a faccia tra i due schieramenti che vengono tenuti separati da una fascia-cuscinetto di circa 80 metri. E diversi testimoni parlano di molti spari uditi in piazza e nei dintorni. Nella giornata di oggi si registrano scontri tra le due fazioni in campo, quella dei sostenitori di Mubarak e quella degli oppositori al regime che chiedono un avvicendamento alla guida del Paese. Per cercare di riportare la calma, il primo ministro egiziano, Ahmed Shafiq, si è detto pronto ad andare in piazza per discutere con i manifestanti. Lo stesso Shafiq ha chiesto scusa per quanto accaduto nella giornata di mercoledì: "Si è trattato di un errore fatale. Quando le indagini riveleranno chi c'è dietro questo crimine e come è stato possibile che sia accaduto prometto che i responsabili saranno puniti per quanto hanno fatto". Gli scontri di mercoledì in piazza Tahrir, che si sono conclusi con oltre 1.500 feriti e un bilancio che è salito a dieci vittime, sono stati causati da picchiatori professionisti mandati tra la folla dal partito di Mubarak. E' la denuncia che è emersa da più parti nella giornata in cui il Paese è giunto sull'orlo di una guerra civile e che viene confermata dalle rivelazioni da una fonte dell'agenzia di stampa LaPresse al Cairo. LA DIPLOMAZIA INTERNAZIONALE - In Italia, il ministro degli Esteri Franco Frattini ha detto di essere stato contattato dal vicepresidente egiziano, Suleiman, e di avere ricevuto la richiesta di una mediazione italiana presso l'Europa affinché venga sostenuta una road map verso le riforme. Alcuni capi di Stato e di governo europei - Nicolas Sarkozy, Silvio Berlusconi, Angela Merkel, David Camerone Josè Luis Zapatero - hanno intanto diramato un comunicato congiunto invocando la fine delle violenze: "Assistiamo con estrema preoccupazione al deterioramento della situazione in Egitto. Il popolo egiziano deve poter esercitare il proprio diritto a manifestare pacificamente, e beneficiare della protezione delle forze di sicurezza. Le aggressioni contro i giornalisti sono inaccettabili". Anche Ban KiMoon, segretario generale dell'Onu, è intervenuto sostenendo che il processo di transizione politica in Egitto deve "iniziare subito". Gli scontri tra fazioni in piazza Tahrir Gli scontri tra fazioni in piazza Tahrir Gli scontri tra fazioni in piazza Tahrir Gli scontri tra fazioni in piazza Tahrir Gli scontri tra fazioni in piazza Tahrir Gli scontri tra fazioni in piazza Tahrir Gli scontri tra fazioni in piazza Tahrir Gli scontri tra fazioni in piazza Tahrir LE OPPOSIZIONI: "NO AL GOVERNO" - Sul fronte politico egiziano, va invece registrata la nuova presa di posizione dei gruppi di opposizione. Mohamed ElBaradei e i Fratelli Musulmani hanno respinto l'offerta di dialogo avanzata dal neo-premier Shafik, affermando che "prima deve andarsene Mubarak". "Abbiamo rifiutato l'incontro - ha spiegato ElBaradei - per noi qualsiasi negoziato presuppone le dimissioni di Mubarak e anche il ripristino della sicurezza a piazza Tahrir". Mohammed al-Beltagi, membro dei Fratelli musulmani, ha fatto sapere che la sua organizzazione "rigetta qualunque risultato emerga dall'incontro". Hanno invece accettato di dialogare con il governo, secondo quanto riferito da Al Jazeera, i liberali del partito Wafd. Un momento degli scontri in piazza Tahrir (Infophoto) Un momento degli scontri in piazza Tahrir (Infophoto) L'INGAGGIO DEI PICCHIATORI - C'è poi la polemica sui picchiatori che sarebbero stati ingaggiati direttamente dal partito di governo per creare disordini in piazza Tahrir. Una fonte dell'agenzia di stampa LaPresse parla di un prezzo pagato agli improvvisati miliziani che oscillerebbe "tra i 40 e 100 dollari a seconda della zona". Il testimone cita un caso personale: "Mio cugino è stato fermato nella città di Mansoura, mentre era in macchina da due uomini che si sono identificati come membri del Ndp e gli hanno offerto una cifra equivalente a 40 dollari per andare a picchiare i manifestanti". "Me l'ha raccontato subito per telefono" aggiunge, spiegando che "per le strade del Cairo il prezzo è più alto". Sempre la stessa fonte racconta che un uomo bloccato in piazza Tahrir nella capitale mentre picchiava manifestanti avrebbe chiesto: "Non fatemi niente, sono stato pagato, mi hanno dato 100 dollari per picchiare". Una versione, quella citata dall'agenzia, che fa il paio anche con il racconto di Davide Frattini, inviato del Corriere della Sera: "In mezzo a loro - si legge nell'articolo pubblicato oggi sul quotidiano - riappaiono (erano svaniti dopo il caos di venerdì) i giubbotti di pelle nera, gli occhiali da sole e gli sguardi che decidono da che parte stai. Agenti in borghese — o che almeno sembrano tali— dirigono la folla, danno indicazioni nei punti di accesso alla piazza". "MUBARAK RESPONSABILE DI TUTTO" - Che ci sia stato oppure no un vero e proprio reclutamento di milizie di provocatori, il presidente egiziano, Hosni Mubarak, sarà ritenuto comunque "responsabile" di ogni altro "massacro" che avrà luogo in piazza, ha dichiarato ad Al Jazeera Hamdy Kandil, portavoce dell'Associazione Nazionale per il Cambiamento, il movimento guidato ElBaradei. L'ex capo dell'agenzia atomica internazionale continua intanto a spiegare al mondo, attraverso interviste ai principali media, le ragioni che inducono lui e molti altri a chiedere un cambio della guardia al vertice del Paese. Parlando con il britannico Guardian, ElBaradei chiede che la comunità internazionale ritiri sul proprio sostegno a Mubarak e a "un regime che uccide la sua gente". "Le violenze di ieri sono l'ennesima prova che il regime ha perso il senso comune", ha affermato ElBaradei -. Non abbiamo alcuna intenzione di avviare un dialogo con questo regime finché il principale responsabile di tutto ciò, Mubarak, non lascerà il paese. Deve andarsene. Ha ricevuto un voto di sfiducia da tutto il popolo egiziano, spero che abbia l'intelligenza di capire che per lui è meglio lasciare ora prima che il paese crolli, economicamente e socialmente". Redazione Online 03 febbraio 2011
[Esplora il significato del termine: 03/02/2011 MORIRE PER LA LIBERTA’ Scritto da: Lorenzo Cremonesi alle 11:28 Uno dei messaggi forti che arriva dalle piazze del Medio Oriente è che vale la pena di morire per la libertà. Nella vecchia Europa l’avevamo un poco dimenticato. Dopo aver delegato per tanti anni agli Stati Uniti il monopolio della nostra difesa militare nell’era della Guerra Fredda, si era un po’ addormentata l’idea risorgimentale, poi maturata nella lotta ai totalitarismi tra Prima e Seconda Guerra Mondiale, per cui esistono valori superiori di eguaglianza, democrazia e libertà nella difesa dei quali possiamo anche rischiare ciò che per ognuno è più caro: la propria vita. Pensavamo di rappresentare un modello. Guardavamo ai dittatori nel mondo arabo come un compromesso e una barriera contro il rischio dell’islamizzazione in un mondo considerato culturalmente e politicamente incapace di esprime una società civile improntata alla democrazia. E non ci eravamo accorti (tranne poche eccezioni) che proprio quel mondo era radicalmente cambiato. E’ già stato sottolineato il ruolo di face book e internet. Cui si aggiungono le televisioni satellitari e le nuove comunicazioni in generale. Le donne nell’Iraq curdo, o nell’Afghanistan profondo e nella penisola arabica, che si danno fuoco perchè non accettano più le leggi tribali dei matrimoni combinati, fanno parte di questo fenomeno. Molte di loro proprio alla televisione o all’internet cafè del villaggio hanno scoperto che si può vivere in un altro modo. E non accettano più a 15 anni di essere costrette in sposa al cugino cinquantenne. La loro protesta ha dinamiche simili a quella dei milioni di cittadini qualunque che scendono in piazza a Tunisi, Il Cairo, Sana’a e Amman. A Tunisi volevano parlare gli studenti, ma anche i bancari, i dipendenti dei ministeri, gli infermieri. Tutti chiedevano libertà, eguaglianza, giustizia. Fa venire le lacrime agli occhi la loro passione. Alla base c’è il principio per cui occorre creare le condizioni necessarie per far si che la nostra vita valga la pena di essere vissuta. Basta abbassare la testa. Basta il compromesso con l’ingiustizia. Meglio morire che essere complici, che essere passivi, silenziosi, che subire cercando di vivacchiare. E’ un messaggio potente, dirompente, rivoluzionario. Per una volta la retorica rivoluzionaria è pregnante. Risponde a esigenze reali, sentite, diffuse. Anche i Fratelli Musulmani, che certo ci sono, aspettano, mirano a capitalizzare politicamente, dovranno comunque fare i conti con questo spirito di sana rivolta libertaria. E non è affatto detto che siano in grado di imporre la loro ideologia dopo la caduta della dittatura laica. La storia ci insegna che alle rivoluzioni seguono le controrivoluzioni. Dopo la presa della Bastiglia c’è stato Robespierre, poi Napoleone. Stalin è il prodotto della rivoluzione bolscevica. Il vento dell’anticolonialismo (per ricordare il più importante fenomeno di massa che 40 anni fa ha cambiato il Medio Oriente) ha poi prodotto quegli stessi regimi che oggi mostrano tutta la loro obsolescenza. Giusto dunque mettere le mani avanti. Sacrosanto ricordare che è a rischio la pace con Israele. Le violenze che già dividono il fronte delle rivolte in Egitto e Tunisia vanno seguite con preoccupazione. Però non buttiamo via troppo in fretta il bambino con l’acqua sporca. Ciò che sta avvenendo nelle piazze del Medio Oriente va apprezzato per la sua genuina, autentica, spontanea richiesta di democrazia. C’è gente pronta a morire per questo. Il popolo si riprende la sovranità. Le folle chiedono di ridiscutere la leggitmità del potere che le comanda. Siamo all’abc della politica. E’’ in atto un gigantesco esperimento di rielaborazione della politica. La vecchia Europa - con tutte le sua paure, i minimi garantiti, la pensione in crisi, le infinite intermediazioni tra società civile e poteri politici - ha il dovere di ascoltare. Per una volta potremmo essere noi a dover imparare dal Medio Oriente e dal coraggio della sua gente.] 03/02/2011 MORIRE PER LA LIBERTA' Scritto da: Lorenzo Cremonesi alle 11:28 Uno dei messaggi forti che arriva dalle piazze del Medio Oriente è che vale la pena di morire per la libertà. Nella vecchia Europa l'avevamo un poco dimenticato. Dopo aver delegato per tanti anni agli Stati Uniti il monopolio della nostra difesa militare nell'era della Guerra Fredda, si era un po' addormentata l'idea risorgimentale, poi maturata nella lotta ai totalitarismi tra Prima e Seconda Guerra Mondiale, per cui esistono valori superiori di eguaglianza, democrazia e libertà nella difesa dei quali possiamo anche rischiare ciò che per ognuno è più caro: la propria vita. Pensavamo di rappresentare un modello. Guardavamo ai dittatori nel mondo arabo come un compromesso e una barriera contro il rischio dell'islamizzazione in un mondo considerato culturalmente e politicamente incapace di esprime una società civile improntata alla democrazia. E non ci eravamo accorti (tranne poche eccezioni) che proprio quel mondo era radicalmente cambiato. E' già stato sottolineato il ruolo di face book e internet. Cui si aggiungono le televisioni satellitari e le nuove comunicazioni in generale. Le donne nell'Iraq curdo, o nell'Afghanistan profondo e nella penisola arabica, che si danno fuoco perchè non accettano più le leggi tribali dei matrimoni combinati, fanno parte di questo fenomeno. Molte di loro proprio alla televisione o all'internet cafè del villaggio hanno scoperto che si può vivere in un altro modo. E non accettano più a 15 anni di essere costrette in sposa al cugino cinquantenne. La loro protesta ha dinamiche simili a quella dei milioni di cittadini qualunque che scendono in piazza a Tunisi, Il Cairo, Sana'a e Amman. A Tunisi volevano parlare gli studenti, ma anche i bancari, i dipendenti dei ministeri, gli infermieri. Tutti chiedevano libertà, eguaglianza, giustizia. Fa venire le lacrime agli occhi la loro passione. Alla base c'è il principio per cui occorre creare le condizioni necessarie per far si che la nostra vita valga la pena di essere vissuta. Basta abbassare la testa. Basta il compromesso con l'ingiustizia. Meglio morire che essere complici, che essere passivi, silenziosi, che subire cercando di vivacchiare. E' un messaggio potente, dirompente, rivoluzionario. Per una volta la retorica rivoluzionaria è pregnante. Risponde a esigenze reali, sentite, diffuse. Anche i Fratelli Musulmani, che certo ci sono, aspettano, mirano a capitalizzare politicamente, dovranno comunque fare i conti con questo spirito di sana rivolta libertaria. E non è affatto detto che siano in grado di imporre la loro ideologia dopo la caduta della dittatura laica. La storia ci insegna che alle rivoluzioni seguono le controrivoluzioni. Dopo la presa della Bastiglia c'è stato Robespierre, poi Napoleone. Stalin è il prodotto della rivoluzione bolscevica. Il vento dell'anticolonialismo (per ricordare il più importante fenomeno di massa che 40 anni fa ha cambiato il Medio Oriente) ha poi prodotto quegli stessi regimi che oggi mostrano tutta la loro obsolescenza. Giusto dunque mettere le mani avanti. Sacrosanto ricordare che è a rischio la pace con Israele. Le violenze che già dividono il fronte delle rivolte in Egitto e Tunisia vanno seguite con preoccupazione. Però non buttiamo via troppo in fretta il bambino con l'acqua sporca. Ciò che sta avvenendo nelle piazze del Medio Oriente va apprezzato per la sua genuina, autentica, spontanea richiesta di democrazia. C'è gente pronta a morire per questo. Il popolo si riprende la sovranità. Le folle chiedono di ridiscutere la leggitmità del potere che le comanda. Siamo all'abc della politica. E'' in atto un gigantesco esperimento di rielaborazione della politica. La vecchia Europa - con tutte le sua paure, i minimi garantiti, la pensione in crisi, le infinite intermediazioni tra società civile e poteri politici - ha il dovere di ascoltare. Per una volta potremmo essere noi a dover imparare dal Medio Oriente e dal coraggio della sua gente.
su io donna Il cuore della rivolta Poche hanno partecipato agli scontri a fuoco. Ma tantissime in Tunisia, Algeria, Egitto hanno sfilato per le strade. su io donna Il cuore della rivolta Poche hanno partecipato agli scontri a fuoco. Ma tantissime in Tunisia, Algeria, Egitto hanno sfilato per le strade. MILANO - Una donna simbolo del potere da abbattere, della corruzione, dell’avidità: nella rivoluzione dei gelsomini in Tunisia, più ancora del deposto presidente Ben Ali era la moglie Leila il bersaglio principale della rabbia. L’ex parrucchiera diventata first lady, pronta a deporre il marito per prenderne il posto (si diceva prima), scappata con una tonnellata e mezzo di oro (si è detto poi), era odiata da tutti ma soprattutto dalle donne. Dalle migliaia di tunisine che hanno, anche loro, compiuto il miracolo abbattendo un regime in apparenza eterno. Poche hanno partecipato agli scontri a fuoco, è vero. Ma molte sono scese nelle strade una volta passate le violenze, tantissime lavoravano da anni per la democrazia. Come Radhia Nasraoui, avvocato, femminista, presidente dell’Associazione per la lotta alla tortura. Un passato tra clandestinità, prigione e scioperi della fame, la Shirin Ebadi tunisina è stata la prima il 17 dicembre a guidare la sollevazione popolare a Sidi Bouzid, dove un disoccupato si era dato fuoco per protesta, dando inizio alla rivoluzione. Come lei avvocato e femminista, Maya Jribi dal 2007 è presidente del Partito progressista democratico, forse la più nota tra le molte tunisine entrate in politica. Nel Parlamento ben il 23 per cento dei deputati sono donne (in Italia siamo al 21). Oggi, nel governo provvisorio, il ministero della Cultura è affidato alla regista Moufida Tlatly. E a partire dal 1956, nonostante la dittatura, la Tunisia ha proibito poligamia e matrimonio per le minori, permesso divorzio e aborto, resa obbligatoria l’istruzione delle bambine. Bene o male che sia - c’è dibattito anche tra i laici - il velo è stato di fatto vietato e non pochi oggi chiedono che torni la libertà di portarlo: già nelle manifestazioni di gennaio si sono viste ragazze indossarlo. le donne del Maghreb le donne del Maghreb le donne del Maghreb le donne del Maghreb le donne del Maghreb le donne del Maghreb le donne del Maghreb le donne del Maghreb Gli innegabili "privilegi" di cui godono le tunisine rispetto a molte sorelle del mondo arabo-islamico non sono finora bastati. Non a Lina Ben Mhenni, ad esempio: icona della giovane generazione, nel suo blog in tre lingue "A Tunisian Girl" ha denunciato a lungo le discriminazioni subite. "Nel suo Paese la ragazza tunisina non può esprimersi, il suo blog è censurato " è il sottotitolo della sua pagina internet, immutato nonostante la fine della censura. Qualcosa di diverso ora c’è, però: informazioni su manifestazioni, istantanee di raduni, foto di librerie che espongono opere una volta vietate. Segni della Nuova Era, o almeno del suo inizio. Se in Tunisia la protesta si è trasformata in rivoluzione, nella vicina Algeria dopo le rivolte di gennaio per l’aumento dei prezzi la situazione sembrava tornata "normale". Ma anche qui la tensione è alta, la disoccupazione pure, l’opposizione e i giovani chiedono più libertà e attenzione. E le donne giocano un ruolo in tutto questo, importante ma dietro le quinte. Qualcuna è in politica, come la celebre scrittrice e attivista Khalida Messaoudi, attuale ministra della Cultura. Soprattutto, il 70 per cento degli avvocati e il 60 per cento dei giudici sono donne e nelle università le ragazze superano i maschi. Tante sono insegnanti, giornaliste, attiviste, guidano autobus e taxi, lavorano alle pompe di benzina. "Ma è solo l’effetto perverso della crisi, gli uomini da noi emigrano in massa" sostiene Dahhu Gebril, direttrice della rivista Naqd (Critica). E intanto le donne restano discriminate da una società maschilista e violenta, aggiunge la giornalista Souad Belhaddad: "Se una viene aggredita, è una prostituta . Se sporge denuncia, è manipolata. Se ha la solidarietà internazionale, è sospetta". E se chiede aiuto, spesso è ignorata: tra gli algerini che per protesta si sono dati fuoco, c’è stata una cinquantenne di Sidi Bel Abbas, davanti al palazzo del Comune dove aveva chiesto invano un contributo economico. Non se n’è quasi parlato. Il cammino sarà lungo, dicono le attiviste algerine: intanto Nouara Saâdia Djaâfar, ministra per la Famiglia, ha lanciato un piano di formazione per raggiungere - inshallah - 220 mila donne in tutto il Paese. Spostandoci a est nell’altro grande, anzi ancor più grande Stato del Nord Africa in ebollizione, sono sempre tantissime le donne che si muovono, lottano, alzano la voce. L’Egitto che all’inizio del XX secolo vide il fiorire del movimento femminista arabo (un nome su tutti: Hoda Al Shaarawi), è oggi all’avanguardia nella lotta contro le mutilazioni genitali alle bambine. Merito della pur contestatissima first lady Suzanne Mubarak, della ministra per la Famiglia Moushira Khattab, di tante attiviste. E del sostegno internazionale e italiano in particolare, Emma Bonino in primis. "Ma le donne restano discriminate per mille cose, dal diritto di famiglia che le penalizza, all’isolamento di tante che non possono sposarsi. Per questo dobbiamo cambiare il sistema e il regime che lo difende" dice Farida Naqqash, storica femminista e dirigente del partito laico d’opposizione Tagammu. Nella turbolenta fase che attraversa il Paese, la guida dei partiti e delle organizzazioni è come sempre maschile. Ma le elezioni politiche di novembre hanno visto scendere in campo uno stuolo di donne preparate e molto, molto determinate. A parte quelle "governative", che si sono aggiudicate tutti i seggi delle quote rosa introdotte per la prima volta, la voce più forte tra i candidati della minoranza cristiana è stata femminile: Mona Makram-Ebeid. "Mi hanno rubato il seggio già assegnato, i soliti brogli" dice arrabbiata ma non sorpresa. "Se è successo perché sono donna, cristiana, o anti-Mubarak non saprei. Certo è che continuo a lottare". Nemmeno Gamila Ismail ce l’ha fatta, e nemmeno lei demorde. Ex giornalista ed ex moglie di Ayman Nour, l’unico che osò sfidare il raìs alle presidenziali 2006, Gamila spera soprattutto nei giovani. "Sono il futuro, il nostro sogno. Ci sono migliaia di ragazzi pronti a costruire un Egitto migliore. E ancor più le ragazze: per loro è più difficile ma non impossibile. Io sono divorziata, single, femminista. Eppure tantissimi mi hanno dato fiducia. Basta non arrendersi". Cecilia Zecchinelli 03 febbraio 2011
2011-02-02 Piazza Tahrir teatro di nuove tensioni. ElBaradei: "I facinorosi sono agenti del governo" Egitto, ancora morti. È quasi guerra civile Sassaiole e molotov contro il museo egizio Scontri tra i manifestanti anti-governativi e i sostenitori del presidente Mubarak. Che non vuole lasciare... * NOTIZIE CORRELATE * Obama: "Subito la transizione democratica" (2 febbraio 2011) * Mubarak in tv: "Non mi ricandido". E auspica un passaggio di potere pacifico (1 febbraio 2011) * L'esercito: proteste legittime (31 gennaio 2010) * ElBaradei: "Presidenza? Sono pronto". E Obama: "Serve transizione ordinata" (30 gennaio 2011) * Egitto, migliaia di piazza al Cairo Sui manifestanti caccia a bassa quota (30 gennaio 2011) * MULTIMEDIA: Tutte le immagini e i video dell'escalation egiziana Piazza Tahrir teatro di nuove tensioni. ElBaradei: "I facinorosi sono agenti del governo" Egitto, ancora morti. È quasi guerra civile Sassaiole e molotov contro il museo egizio Scontri tra i manifestanti anti-governativi e i sostenitori del presidente Mubarak. Che non vuole lasciare... Un ferito fa il segno della vittoria (Ap) Un ferito fa il segno della vittoria (Ap) MILANO -L'Egitto brucia e si divide dopo l'ennesima giornata di mobilitazioni. A otto giorni dall'inizio delle proteste, nella giornata di mercoledì non sono scesi in piazza solo i gruppi e i cittadini vicini all'opposizione, ma anche i sostenitori del presidente Mubarak. Tra le due fazioni c'è stato uno scontro duro in piazza Tahrir e nei suoi dintorni, con sassaiole e lanci di bombe molotov. E secondo il ministro della Sanità egiziano il bilancio degli scontri parla di almeno tre morti e più di 1500 feriti. Martedì la "marcia del milione" si era svolta senza incidenti, ma il movimento di protesta, iniziato il 25 gennaio e costato la vita ad almeno 300 persone secondo un bilancio non confermato, non si ferma. SCONTRI TRA FAZIONI - Il Paese, in bilico tra rivolta e rivoluzione, versa dunque altro sangue mentre nel Museo egizio sono esplose diverse molotov che hanno fatto divampare un incendio. Il giorno dopo il "milione in piazza", i manifestanti antiregime non hanno dunque mollato la presa: hanno ascoltato l'appello dell'esercito che li invitava a tornare a casa, ma poi hanno deciso di rimanere in piazza Tahrir indifferenti anche all'annuncio di Hosni Mubarak di non volersi ricandidare alle presidenziali di settembre. Poi però, quando un gruppo di manifestanti pro-Mubarak è entrato nel grande spiazzo, sul lato del museo egizio, la situazione è degenerata, con scontri violentissimi tra i manifestanti delle opposte fazioni. I sostenitori del presidente erano armati di spranghe e coltelli e, secondo alcune voci degli oppositori al regime, anche di armi automatiche. Un gruppo è arrivato a cavallo, in borghese, e altri su cammelli: hanno caricato i manifestanti nella zona nordorientale della piazza. In fiamme, quasi sicuramente a causa del lancio di bottiglie incendiarie, la sede dell'ex ministero degli Esteri egiziano, un edificio di epoca coloniale considerato patrimonio artistico del Cairo. ELBARADEI INVOCA L'ESERCITO - Mohammed ElBaradei, premio Nobel per la pace nel 2005 e oggi uno dei leader dell'opposizione egiziana, ha invocato l'intervento dell'esercito: "Chiedo ai militari di intervenire per proteggere le vite egiziane". L'ex capo dell'Aiea, l'agenzia internazionale per l'energia atomica, ha anche detto di avere le prove che quelli che hanno attaccato i manifestanti anti-governativi erano poliziotti. Molti osservatori stranieri, tra cui diversi giornalisti, hanno criticato l'immobilismo dei militari, che hanno consentito l'accesso alla piazza anche a persone armate e che non sono intervenuti con decisione per proteggere quanti manifestavano pacificamente. STOP AL PARLAMENTO - Intanto, sul fronte politico, va registrata la sospensione dell'attività della Camera e del Senato, in attesa che il tribunale del Cairo si pronunci in via definitiva sui ricorsi presentati da alcuni candidati non eletti nelle ultime consultazioni politiche. Un provvedimento di questo tipo era stato già preannunciato martedì nel discorso di Mubarak ed è volto a rispondere alle richieste dei partiti di opposizione che non hanno rappresentanti in Parlamento. Il governo in carica, dal canto suo, ha fatto sapere che l'Egitto rifiuta gli appelli a una transizione immediata del potere venuti da più parti. I Fratelli Musulmani, principale gruppo dell'opposizione, hanno invece fatto sapere che non ci potrà essere "nessun dialogo con il vice presidente Omar Suleiman senza le dimissioni del presidente Hosni Mubarak". E quanto agli scontri di piazza, il dirigente del partito Mohammed al-Baltanji ha parlato di "bande armate inviate dal governo per attaccare i nostri militanti con azioni preordinate".
RIDOTTO IL COPRIFUOCO - Intanto, nonostante le tensioni, è stato ridotto da 17 a 14 ore il coprifuoco al Cairo, ad Alessandria e a Suez. D'ora in poi scatterà alle 17 locali (le 16 in Italia), e rimarrà in vigore fino alle 7 del mattino seguente. Inoltre è stata parzialmente ristabilita la connessione a Internet, almeno al Cairo e ad Alessandria: i quattro provider del Paese sono ritornati operativi. I servizi on-line erano completamente interrotti da cinque giorni, dopo la mobilitazione popolare che aveva condotto per la prima volta all'occupazione di piazza Tahrir. TIMORI INTERNAZIONALI -La Casa Bianca, nel frattempo, è tornata a condannare le violenze nelle manifestazioni al Cairo e ha espresso, tramite il portavoce Robert Gibbs, profonda preoccupazione per gli attacchi agli organi di informazione. Hillary Clinton in serata ha invece contattato il vicepresidente egiziano, Omar Sulemain, confermandogli che, secondo gli Usa, "la transizione deve iniziare subito". Grande preoccupazione è stata espressa anche dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che ha avvertito che le conseguenze della rivolta in corso in Egitto potrebbero destabilizzare l'intera regione mediorientale "per molti anni". Il giorno del "milione in piazza" Il giorno del "milione in piazza" I manifestanti chiedono l'allontanamento di Mubarak DISPERSO MANAGER GOOGLE - A margine di questa giornata drammatica si registra anche un appello di Google per uno dei suoi manager, Wael Ghonim, disperso al Cairo. Gli uffici della società Usa sono stati chiusi temporaneamente per sicurezza e non si sa dove si trovi Ghonim, che l'ultima volta è stato visto nella capitale. Google ha dato un numero di telefono del Regno Unito per dare eventuali informazioni su Ghonim (+44-20-7031-3008). Oppure è possibile mandare un email all'indirizzo infoaboutwael@google.com. Redazione Online 02 febbraio 2011
Ma Per il presidente non è compito degli Usa scegliere i leader egiziani Egitto, Obama spinge: "Il processo di transizione deve iniziare ora" "Il processo deve portare a elezioni libere e pulite". E la Clinton: "Bisogna partire subito" * NOTIZIE CORRELATE * Scontri tra fazioni pro e contro Mubarak. Assalti con sassi e molotov (2 febbraio 2011) * Mubarak in tv: "Non mi ricandido (1 febbraio 2011) * L'esercito: proteste legittime (31 gennaio 2010) * MULTIMEDIA: Tutte le immagini e i video dell'escalation egiziana Ma Per il presidente non è compito degli Usa scegliere i leader egiziani Egitto, Obama spinge: "Il processo di transizione deve iniziare ora" "Il processo deve portare a elezioni libere e pulite". E la Clinton: "Bisogna partire subito" Barack Obama (Afp) Barack Obama (Afp) WASHIGNTON (Usa) - Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, nel suo discorso alla Casa Bianca, ha esoratato il governo egiziano, fedele alleato degli Usa, a iniziare immediatamente il processo di transizione del Paese verso una nuova leadership. Una posizione che in serata è stata ribadita dal segretario di Stato americano, Hillary Clinton, che ha chiamato il vicepresidente egiziano Omar Sulemain, confermandogli che, secondo gli Usa, "la transizione deve iniziare subito". La Clinton ha inoltre chiesto che siano puniti i responsabili degli atti di violenza di oggi al Cairo. AL TELEFONO CON MUBARAK - Poco prima del discorso di Obama, il presidente egiziano Hosni Mubarak aveva annunciato di non volersi ricandidare, ma anche che non si sarebbe dimesso dal mandato attuale. Nella breve dichiarazione alla Casa Bianca, Obama ha invocato il passato dell'Egitto, in quello che è sembrato un appello al desiderio di Mubarak di essere ricordato positivamente nella storia, come un leader potente e pacificatore. Ha detto di aver parlato con Mubarak per circa mezz'ora, poco prima che questi si rivolgesse al popolo egiziano. "Ha riconosciuto che lo "status quo" è insostenibile e che è necessario un cambiamento", ha detto di Mubarak. "Tutti noi che abbiamo il privilegio di servire in una posizione di potere politico lo facciamo secondo la volontà del nostro popolo", ha detto. "In migliaia di anni, l'Egitto ha conosciuto molti momenti di trasformazione. La voce degli egiziani ci dice che questo è uno di quei momenti, è uno di quei tempi", ha continuato Obama, aggiungendo che gli Stati Uniti sentono quelle voci che chiedono il cambiamento nella protesta antigovernativa che riempie le strade del Cairo e di altre città egiziane. Ha riportato di aver detto a Mubarak: "Credo che una transizione debba essere significativa, pacifica e immediata". Non ha detto che Mubarak avrebbe dovuto lasciare immediatamente e ha specificato che non è compito degli Usa scegliere i leader egiziani. "Inoltre, il processo deve includere un vasto spettro di voci e di partiti dell'opposizione. Deve portare a elezioni libere e pulite. E deve portare a un governo che non solo sia radicato in principi democratici, ma che sia anche reattivo rispetto alle richieste del popolo egiziano", ha detto ancora Obama. I MILITARI - Un ufficiale ha riferito che Obama ha trasmesso lo stesso messaggio a Mubarak nella loro "diretta e franca" telefonata. Obama ha elogiato la "passione e dignità" dei dimostranti che chiedono che Mubarak lasci, come una "ispirazione" per i popoli del mondo. Ha anche commentato positivamente il comportamento dei militari egiziani. "Alla gente dell'Egitto, e in particolare ai giovani, dico chiaramente: ascoltiamo la vostra voce. Credo che determinerete il vostro destino e che siate la promessa di un futuro migliore per i vostri figli e nipoti", ha detto Obama. Redazione Online 02 febbraio 2011
migliaia di persone in Piazza Tahrir Egitto, feriti negli scontri coi sostenitori di Mubarak Cresce di nuovo la tensione anche se è stato ridotto di due ore il coprifuoco. Ripristinato in parte anche il Web * NOTIZIE CORRELATE * Obama: "Subito la transizione democratica" (2 febbraio 2011) * Mubarak in tv: "Non mi ricandido". E auspica un passaggio di potere pacifico (1 febbraio 2011) * L'esercito: proteste legittime (31 gennaio 2010) * ElBaradei: "Presidenza? Sono pronto". E Obama: "Serve transizione ordinata" (30 gennaio 2011) * Egitto, migliaia di piazza al Cairo Sui manifestanti caccia a bassa quota (30 gennaio 2011) * MULTIMEDIA: Tutte le immagini e i video dell'escalation egiziana migliaia di persone in Piazza Tahrir Egitto, feriti negli scontri coi sostenitori di Mubarak Cresce di nuovo la tensione anche se è stato ridotto di due ore il coprifuoco. Ripristinato in parte anche il Web IL CAIRO - Il giorno dopo il "milione in piazza" migliaia di manifestanti antiregime non mollano: hanno ascoltato l'appello dell'esercito di tornare a casa ma sono rimasti in Piazza Tahrir, nel centro del Cairo, indifferenti anche all'annuncio di Hosni Mubarak di non volersi ricandidare alle presidenziali di settembre. Molti hanno trascorso la notte bivaccando lì, nel luogo simbolo della rivolta sotto gli occhi del mondo, nonostante il coprifuoco. Martedì la "marcia del milione" si era svolta senza incidenti, ma il movimento di protesta, iniziato il 25 gennaio e costato la vita ad almeno 300 persone secondo un bilancio non confermato, non si ferma. APPELLO DELL'ESERCITO, MA LA GENTE RESTA - "Il vostro messaggio è arrivato, le vostre richieste sono note. Ora potete riportare l'Egitto alla sua vita normale". Era stato questo l'appello rivolto ai manifestanti da un portavoce delle forze militari egiziane, che ha chiesto la fine delle manifestazioni che da più di una settimana sconvolgono il Paese, per chiedere che il presidente Hosni Mubarak lasci la carica. Ma i manifestanti sono rimasti in piazza. Nuovi scontri in piazza Tahrir Nuovi scontri in piazza Tahrir Nuovi scontri in piazza Tahrir Nuovi scontri in piazza Tahrir Nuovi scontri in piazza Tahrir Nuovi scontri in piazza Tahrir Nuovi scontri in piazza Tahrir Nuovi scontri in piazza Tahrir FERITI NEGLI SCONTRI COI SOSTENITORI DI MUBARAK, - In piazza Tahrir da quando un gruppo di manifestanti pro-Mubarak è entrato nel grande spiazzo, sul lato del museo egizio, è salita la tensione. Si sono verificati tafferugli di violenza crescente tra i manifestanti delle opposte fazioni: ci sono decine di feriti e, secondo Al Jazeera, i sostenitori del presidente sono armati di spranghe e coltelli. Si tratta di gruppo di uomini a cavallo in borghese ed almeno uno su un cammello puntare al galoppo contro i manifestanti nella zona nordorientale della piazza. Il gruppo viene dal lato della piazza dove sono raccolti i sostenitori di Mubarak. I manifestanti hanno reagito disarcionandoli e picchiandoli. STOP AL PARLAMENTO - Intanto è stata sospesa l'attività della Camera e del Senato, in attesa che il tribunale del Cairo si pronunci in via definitiva sui ricorsi presentati da alcuni candidati non eletti nelle ultime consultazioni politiche. Lo ha annunciato la tv di Stato egiziana. Un provvedimento di questo tipo era stato già preannunciato martedì nel discorso del presidente Hosni Mubarak ed è volto a rispondere alle richieste dei partiti di opposizione che non hanno rappresentanti in Parlamento. Il giorno del "milione in piazza" Il giorno del "milione in piazza" I manifestanti chiedono l'allontanamento di Mubarak RIDOTTO IL COPRIFUOCO, RIAPERTO PARZIALMENTE INTERNET - Intanto è stato ridotto da 17 a 14 ore il coprifuoco al Cairo, ad Alessandria e a Suez. Poco dopo l'appello con cui le Forze Armate egiziane hanno chiesto alla popolazione di "tornare alla vita normale" e rientrare "a casa per riportare la sicurezza e la stabilità nelle strade", è stato annunciato che d'ora in poi il coprifuoco nelle tre città scatterà alle 17 locali (le 16 in Italia), e rimarrà in vigore fino alle 7 ora del mattino. In precedenza il provvedimento aveva una durata compresa fra le 15 e le 8 successive (dalle 14 alle 7 italiane). Inoltre è stata parzialmente ristabilita la connessione a Internet, almeno al Cairo e ad Alessandria: i quattro provider del Paese sono ritornati operativi. I servizi on-line erano completamente interrotti in tutto il Paese da cinque giorni, dopo la mobilitazione popolare che aveva condotto per la prima volta all'occupazione di piazza Tahrir, nel cuore della capitale. FRATELLI MUSULMANI - "Nessun dialogo con il vice presidente Omar Suleiman senza le dimissioni del presidente Hosni Mubarak". È questa, intanto, la posizione dei Fratelli Musulmani, che per bocca del loro dirigente Mohammed al-Baltanji hanno commentato l'apertura del vice presidente egiziano al dialogo con le opposizioni. Il dirigente islamico ha anche commentato gli scontri in corso in Piazza Tahrir, al Cairo, tra sostenitori di Mubarak e oppositori. "Si tratta di bande armate inviate dal governo - ha aggiunto - per attaccare i nostri militanti con azioni preordinate". DISPERSO UNO DEI MANAGER DI GOOGLE - Uno dei manager di Google in Medio Oriente, Wael Ghonim, è disperso al Cairo. Gli uffici della società Usa sono stati chiusi temporaneamente per sicurezza e non si sa dove si trovi Wael Ghonim, che l'ultima volta è stato visto nella capitale. Google ha dato un numero di telefono nel regno Unito per avere notizie di Ghonim (+44-20-7031-3008). Oppure è possibile mandare un'e-mail all'indirizzo infoaboutwael@google.co 02 febbraio 2011
I media Usa denunciano il ruolo del nuovo vicepresidente egiziano Soleiman e la Cia, un patto lungo 15 anni per sequestri e torture I suoi agenti hanno fatto a gara con i loro colleghi giordani nell’usare le tecniche più spietate * NOTIZIE CORRELATE * Entra in scena "l'aggiustatore" (29 gennaio 2011) I media Usa denunciano il ruolo del nuovo vicepresidente egiziano Soleiman e la Cia, un patto lungo 15 anni per sequestri e torture I suoi agenti hanno fatto a gara con i loro colleghi giordani nell’usare le tecniche più spietate Omar Soleiman (Ansa) Omar Soleiman (Ansa) DALLAS – La stampa americana, con qualche giorno di ritardo, si è ricordata del "passato nero" di Omar Soleiman, l’ex capo dell’intelligence diventato vice presidente egiziano. Confermando quanto avevamo raccontato su Corriere.it il giorno della sua nomina, i media statunitensi sottolineano che Soleiman ha gestito insieme alla Cia le extraordinary rendition, le consegne speciali. Un programma – iniziato nel 1995 – in base al quale gli americani hanno arrestato o sequestrato presunti terroristi e li hanno trasferiti in diversi Paesi amici, dove poi hanno subito torture. RAPIMENTI E TORTURE - In Egitto – secondo fonti diverse – ne sono arrivati oltre 70, compreso Abu Omar, l’imam rapito a Milano nel febbraio 2003. Gli uomini di Soleiman hanno fatto a gara con i loro colleghi giordani – i più temuti dai qaedisti – nell’usare dure tecniche di interrogatorio. Ed hanno creato all’interno delle prigioni sezioni speciali dove hanno rinchiuso i seguaci di Osama. Nel suo lavoro, Soleiman è sempre stato solerte. Un episodio svela i suoi metodi. Gli americani uccidono un militante in Afghanistan e sospettano che possa trattarsi dell’egiziano Ayman Al Zawahiri. Chiedono allora all’Egitto di confrontare il Dna del cadavere con quello del fratello detenuto dopo una rendition. Soleiman risponde: se volete, vi mando un braccio. Nel novembre 2001, viene catturato in Afghanistan il leader islamista Sheikh Al Libi. Gli americani lo "passano" agli egiziani perché lo facciano parlare: la Cia – pressata dalla Casa Bianca – spera di avere una confessione sui legami tra Al Qaeda e Saddam. Al Libi è picchiato, chiuso in una piccola gabbia, sottoposto a pressioni. E alla fine "ammette": ci sono rapporti tra i qaedisti e gli iracheni. Una "notizia" – infondata - che finisce nel famoso discorso di Colin Powell all’Onu. Soltanto dopo qualche anno Al Libi ritratterà tutto e spiegherà: ho raccontato quella storia per sopravvivere. Il caso verrà citato da quanti negli apparati anti-terrorismo ritengono che la tortura sia non solo immorale ma anche controproducente. IL CASO ABU OMAR - Anche nella vicenda di Abu Omar non sono mancati aspetti strani. Sono gli 007 di Soleiman a "gestirlo" ma poi, inspiegabilmente, lo rilasciano. Fatto davvero raro per chi è finito nelle rendition. E l’imam, una volta liberato, svela quello che gli è successo chiamando in causa la Cia. Come si spiega la mossa degli egiziani? Una versione sostiene che ormai era bruciato, aveva raccontato quel poco che sapeva. Un’altra teoria, più intrigante, ipotizza che vi sia stata una faida tra servizi e Abu Omar è stato liberato per creare imbarazzo. Guido Olimpio 02 febbraio 2011
2011-02-01 L'azienda di Mountain View SI ALLEA CON TWITTER AGGIRANDO IL BLACKOUT ElBaradei: "Via Mubarak" E Google buca la censura sul web Mobilitazione al Cairo: un milione per la "spallata" al presidente. L'Iran: "Ora un Medio Oriente islamico" * NOTIZIE CORRELATE * L'esercito: proteste legittime (31 gennaio 2010) * ElBaradei: "Presidenza? Sono pronto". E Obama: "Serve transizione ordinata" (30 gennaio 2011) * Egitto, migliaia di piazza al Cairo Sui manifestanti caccia a bassa quota (30 gennaio 2011) * MULTIMEDIA: Tutte le immagini e i video dell'escalation egiziana L'azienda di Mountain View SI ALLEA CON TWITTER AGGIRANDO IL BLACKOUT ElBaradei: "Via Mubarak" E Google buca la censura sul web Mobilitazione al Cairo: un milione per la "spallata" al presidente. L'Iran: "Ora un Medio Oriente islamico" Manifestanti nelle strade del Cairo per la marcia del milione (Reuters) Manifestanti nelle strade del Cairo per la marcia del milione (Reuters) MILANO - L'obiettivo degli organizzatori, il movimento 6 Aprile, era portare in piazza un milione di persone per dire dare la spallata finale al presidente Hosni Mubarak. I numeri esatti non si conoscono ancora, ma di certo sono centinaia di migliaia - e secondo alcuni fonti locali si sono superati i due milioni -, i manifestanti che si sono radunati in piazza Tahrir al Cairo, per chiedere un cambio al vertice dello Stato. Un secondo corteo è stato organizzato ad Alessandria e in tutto il Paese è in corso uno sciopero generale. La tv di Stato egiziana ha invitato i cittadini a rimanere in casa ed evitare di unirsi alle manifestazioni, temendo possibili episodi di violenza. Al tempo stesso, militanti e dirigenti del Partito nazionale democratico di Mubarak starebbero preparando una contro-manifestazione ad Ismailiya in suo favore, anche se il clima generale non sembra molto propizio all'uomo che guida l'Egitto ormai da tre decadi. Intanto, interrotte le comunicazione telefoniche e quelle via internet, Google è riuscito a "salvare" le comunicazioni degli egiziani con l'esterno, grazie a un accordo con Twitter. Marcia del milione, ci sono anche le donne ULTIMATUM A MUBARAK - Una cinquantina di associazioni non governative hanno esortato Mubarak a farsi da parte, per evitare altri bagni di sangue qualora le manifestazioni di piazza degenerassero. L'Alto commissario delle Nazioni unite per i diritti umani, Navi Pillay, ha annunciato che si stimano già in 300 le persone morte nelle proteste degli ultimi giorni a cui si aggiungerebbero più di 3mila feriti e centinaia di arrestati. Intanto, è atteso oggi il rientro al Cairo di Ahmed Zewail, uno dei candidati più forti alla presidenza nel dopo-Mubarak. Anche Zewail, così come Moahmmed ElBaradei, è stato insignito di un premio Nobel: è accaduto nel 1999 per le sue ricerche sui laser applicati alla chimica. ElBaradei, dal canto suo, è tornato oggi a chiedere a Mubarak di lasciare "se vuole davvero salvare la pelle". E ha dato anche un ultimatum: se ne deve andare entro venerdì. GOOGLE ANTI-BAVAGLIO - Il governo sta tentando in tutti i modi di ostacolare la protesta. Nel tentativo di limitare l'afflusso di manifestanti al Cairo, in tutto il Paese i treni sono fermi ed è chiusa la metropolitana della capitale. Le comunicazioni telefoniche e i collegamenti internet restano bloccati in tutto il Paese, visto che l'ultimo fornitore d'accesso ancora in funzione, il gruppo Noor, è stato bloccato lunedì. Google tuttavia è riuscito a "bucare" la censura del web, in cooperazione con Twitter, "salvando" le comunicazioni degli egiziani con l'esterno. L'azienda di Mountain View ha messo a punto uno strumento con il quale gli utenti potranno continuare a twittare, inviando messaggi sul sistema di microblogging attraverso la voce: Google ha infatti messo a disposizione tre numeri di telefono internazionali ai quali gli utenti possono lasciare un messaggio vocale e il servizio istantaneamente "twitta" il messaggio taggandolo "egypt". Per tradurre il progetto in realtà, i tecnici di Google hanno lavorato senza sosta per tutto il fine settimana con un gruppo di ingegneri di Twitter e SayNow, appena acquisito dal colosso californiano. I tre numeri per chiamare sono +16504194196 o +390662207294 o +97316199855. Gli interessati possono ascoltare i messaggi chiamando gli stessi numero di telefono o visitando la pagina twitter.com/speak2tweet. Il giorno del "milione in piazza" Il giorno del "milione in piazza" Il giorno del "milione in piazza" Il giorno del "milione in piazza" Il giorno del "milione in piazza" Il giorno del "milione in piazza" Il giorno del "milione in piazza" Il giorno del "milione in piazza" IL RIMPASTO DI GOVERNO - Accerchiato dall'opposizione e criticato, se non espressamente scaricato, dalla comunità internazionale, il presidente egiziano si è affidato ai generali, in procinto di abbandonarlo al suo destino, e ha giocato le ultime carte a sua disposizione: un rimpasto di governo e l'apertura al dialogo. Dal nuovo esecutivo sono spariti l'odiato ministro dell'Interno e i magnati in affari con il regime. Ma per il resto, poche altre novità: il cambiamento più significativo è stato l'allontanamento di Habib el-Hadly, principale responsabile per la sanguinosa repressione delle proteste e che controllava le forze di sicurezza accusate di violazioni sistematiche dei diritti umani. La sua sostituzione era richiesta a gran voce dai manifestanti: al suo posto è andato Mahmud Wagdi, generale di polizia in congedo, ex capo delle istituzioni penitenziarie, che ha salutato Mubarak con un saluto militare. APPELLO NEL VUOTO - Mubarak ha anche lanciato un appello al dialogo con le opposizioni, subito respinto dai Fratelli Musulmani: "Troppo tardi". Da ultimo ha incaricato il neo vicepresidente Omar Suleiman di aprire "immediate trattative con tutte le forze di opposizione per avviare un dialogo sulle riforme costituzionali e legislative". Il vicepresidente ha aggiunto che il governo intende affrontare "prima possibile le priorità come la lotta alla disoccupazione, alla povertà e alla corruzione e raggiungere l'equilibrio tra i salari e i prezzi". I generali vedono ormai il rais come un ostacolo e cercano di mantenere l'immagine di affidabilità e credibilità conquistata nel corso degli anni. Ieri un generale era andato in tv a leggere una dichiarazione scritta con cui ha affermato che l'esercito non sparerà mai sui dimostranti e diversi militari sono scesi in piazza. In piazza in questi giorni anche i sostenitori di Mubarak (Ap) In piazza in questi giorni anche i sostenitori di Mubarak (Ap) "UN MEDIO-ORIENTE ISLAMICO" - Dall'Iran arriva intanto l'auspicio di una svolta islamica nella crisi israeliana. Secondo il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Ramin Mehman-Parast, il rovesciamento dei regimi attualmente al potere in diversi Paesi arabi, tra cui l'Egitto, porterebbe a un miglioramento dei loro rapporti con l'Iran e alla creazione di "un Medio Oriente islamico e potente capace di opporsi a Israele". "I grandi movimenti di popolo ai quali assistiamo in questi giorni in Medio Oriente e nel Nord Africa - ha affermato Mehman-Parast - mirano a mettere fine alla dipendenza dalle grandi potenze. Si tratta di un risveglio islamico e come andrà a finire dipenderà dalla situazione nella regione e dai popoli". Una posizione, quella di Teheran, che non è condivisa da Ankara: secondo il premier turco Tayyp Erdogan il presidente egiziano Hosni Mubarak "dovrebbe ascoltare le domande" che provengono dal popolo. L'Iran ha rotto le relazioni diplomatiche con il Cairo oltre 30 anni fa, dopo la rivoluzione islamica iraniana, per protesta contro i trattati di pace di Camp David firmati dal presidente egiziano Anwar Sadat con Israele. Ieri il premier israeliano Benyamin Netanyahu aveva detto di temere che in Egitto possa emergere un regime islamico radicale come in Iran. E proprio Israele, nel frattempo, ha rafforzato la sicurezza al confine con l'Egitto nel timore di infiltrazioni terroristiche a causa dei disordini e si prepara alla possibilità di una massiccia ondata di profughi beduini in arrivo dal Sinai. ITALIANI RIMPATRIATI - In Italia è rientrato intanto il C130 dell'aeronautica militare che ha rimpatriato le prime settanta persone che si trovavano in Egitto. Il volo, organizzato dal ministero degli Esteri, è atterrato all'aeroporto militare di Pratica di Mare poco dopo le sei del mattino. L'ultima a uscire dal velivolo è stata una bambina di circa 5 anni, in braccio alla madre. Tutte le persone sono state assistite da personale della Farnesina che hanno distribuito caffè, tè e cibo nell'attesa del disbrigo delle pratiche doganali. Hanno poi lasciato l'aeroporto a bordo di due pullman civili, dopo aver detto a militari e personale di non dimenticare gli altri italiani ancora al Cairo. L'ambasciatore italiano nella capitale egiziana, Claudio Pacifico, nel frattempo torna a sconsigliare "tassativamente" ai connazionali di recarsi in Egitto: "C'è obbligo di saggezza" ha detto parlando a Radio Anch'io, perchè anche nelle zone che in questo momento appaiono più tranquille, grazie all'intervento dell'esercito, "la situazione potrebbe cambiare" nel giro di poche ore. E il capo dell'unità di crisi della Farnesina, Fabrizio Romano, ha aggiunto: "L'emergenza in Egitto è tutt'altro che finita". Redazione Online 01 febbraio 2011
Chiuso l'ultimo provider Internet, Google lancia i tweet anti bavaglio. Rientrano gli italiani Egitto, un milione di persone in piazza L'Iran: "Ora un Medio Oriente islamico" Sciopero generale e grande mobilitazione al Cairo per dare la spallata definitiva al presidente Mubarak * NOTIZIE CORRELATE * L'esercito: proteste legittime (31 gennaio 2010) * ElBaradei: "Presidenza? Sono pronto". E Obama: "Serve transizione ordinata" (30 gennaio 2011) * Egitto, migliaia di piazza al Cairo Sui manifestanti caccia a bassa quota (30 gennaio 2011) * MULTIMEDIA: Tutte le immagini e i video dell'escalation egiziana Chiuso l'ultimo provider Internet, Google lancia i tweet anti bavaglio. Rientrano gli italiani Egitto, un milione di persone in piazza L'Iran: "Ora un Medio Oriente islamico" Sciopero generale e grande mobilitazione al Cairo per dare la spallata definitiva al presidente Mubarak Manifestanti nelle strade del Cairo per la marcia del milione (Reuters) Manifestanti nelle strade del Cairo per la marcia del milione (Reuters) MILANO - Sono già mezzo milione i manifestanti che si sono radunati in piazza Tahrir al Cairo per la mobilitazione contro il regime di Hosni Mubarak convocata dalle opposizioni. Gli organizzatori, il movimento 6 Aprile, hanno chiamato a raccolta gli egiziani all'insegna dello slogan "un milione in marcia". Un milione di persone tutte insieme per le strade per cercare di dare, in concomitanza con lo sciopero generale che paralizza il Paese, la "spallata" definitiva al presidente. Un secondo corteo è stato organizzato ad Alessandria. La tv di Stato egiziana ha invitato i cittadini a rimanere in casa ed evitare di unirsi alle manifestazioni paventando possibili episodi di violenza. Al tempo stesso, militanti e dirigenti del Partito nazionale democratico di Mubarak starebbero preparando una contro-manifestazione ad Ismailiya in suo favore. Intanto, è atteso oggi il rientro al Cairo, alle 15, di Ahmed Zewail, uno dei candidati più forti alla presidenza nel dopo-Mubarak. IL RIMPASTO DI GOVERNO - Accerchiato dall'opposizione e criticato, se non scaricato, dalla comunità internazionale, il presidente egiziano si è affidato ai generali, in procinto di abbandonarlo al suo destino, e ha giocato le ultime carte a sua disposizione: un rimpasto di governo e l'apertura al dialogo. Dal nuovo esecutivo sono spariti l'odiato ministro dell'Interno e i magnati in affari con il regime. Ma per il resto, poche altre novità: il cambiamento più significativo è stato l'allontanamento di Habib el-Hadly, principale responsabile per la sanguinosa repressione delle proteste e che controllava le forze di sicurezza accusate di violazioni sistematiche dei diritti umani. La sua sostituzione era richiesta a gran voce dai manifestanti: al suo posto è andato Mahmud Wagdi, generale di polizia in congedo, ex capo delle istituzioni penitenziarie, che ha salutato Mubarak con un saluto militare. In piazza in questi giorni anche i sostenitori di Mubarak (Ap) In piazza in questi giorni anche i sostenitori di Mubarak (Ap) APPELLO NEL VUOTO - Mubarak ha anche lanciato un appello al dialogo con le opposizioni, subito respinto dai Fratelli Musulmani: "Troppo tardi". Da ultimo ha incaricato il neo vicepresidente Omar Suleiman di aprire "immediate trattative con tutte le forze di opposizione per avviare un dialogo sulle riforme costituzionali e legislative". Il vicepresidente ha aggiunto che il governo intende affrontare "prima possibile le priorità come la lotta alla disoccupazione, alla povertà e alla corruzione e raggiungere l'equilibrio tra i salari e i prezzi". I generali vedono ormai il rais come un ostacolo e cercano di mantenere l'immagine di affidabilità e credibilità conquistata nel corso degli anni. Ieri un generale era andato in tv a leggere una dichiarazione scritta con cui ha affermato che l'esercito non sparerà mai sui dimostranti e diversi militari sono scesi in piazza. "UN MEDIO-ORIENTE ISLAMICO" - Dall'Iran arriva intanto l'auspicio di una svolta islamica nella crisi israeliana. Secondo il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Ramin Mehman-Parast, il rovesciamento dei regimi attualmente al potere in diversi Paesi arabi, tra cui l'Egitto, porterebbe a un miglioramento dei loro rapporti con l'Iran e alla creazione di "un Medio Oriente islamico e potente capace di opporsi a Israele".v"I grandi movimenti di popolo ai quali assistiamo in questi giorni in Medio Oriente e nel Nord Africa - ha affermato Mehman-Parast - mirano a mettere fine alla dipendenza dalle grandi potenze. Si tratta di un risveglio islamico e come andrà a finire dipenderà dalla situazione nella regione e dai popoli". Teheran ha rotto le relazioni diplomatiche con Il Cairo oltre 30 anni fa, dopo la rivoluzione islamica iraniana, per protesta contro i trattati di pace di Camp David firmati dal presidente egiziano Anwar Sadat con Israele. Ieri il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha detto di temere che in Egitto possa emergere un regime islamico radicale come in Iran. E proprio Israele, nel frattempo, ha rafforzato la sicurezza al confine con l'Egitto nel timore di infiltrazioni terroristiche a causa dei disordini e si prepara alla possibilità di una massiccia ondata di profughi beduini in arrivo dal Sinai. GOOGLE ANTI-BAVAGLIO - Il governo sta comunque tentando di ostacolare la protesta. I collegamenti internet restano bloccati in tutto il Paese, l'ultimo fornitore d'accesso ancora in funzione, il gruppo Noor, è stato bloccato ieri. Il colosso americano Google ha annunciato di aver messo a punto con Twitter un sistema che consente di inviare twit senza necessità di collegarsi al web. Nella giornata di oggi, in concomitanza con le manifestazioni di piazza, dovrebbero anche essere sospesi i collegamenti telefonici, se gli operatori daranno corso, come è probabile, alla richiesta arrivata dal governo. Stop anche ai treni, nel tentativo del governo di limitare l'afflusso di manifestanti al Cairo. ITALIANI RIMPATRIATI - Nel frattempo è rientrato in Italia il C130 dell'aeronautica militare che ha rimpatriato le prime settanta persone che si trovavano in Egitto. Il volo, organizzato dal ministero degli Esteri, è atterrato all'aeroporto militare di Pratica di Mare poco dopo le sei del mattino. L'ultima a uscire dal velivolo è stata una bambina di circa 5 anni, in braccio alla madre. Tutte le persone sono state assistite da personale della Farnesina che hanno distribuito caffè, tè e cibo nell'attesa del disbrigo delle pratiche doganali. Hanno poi lasciato l'aeroporto a bordo di due pullman civili, dopo aver detto a militari e personale di non dimenticare gli altri italiani ancora al Cairo. L'ambasciatore italiano nella capitale egiziana, Claudio Pacifico, nel frattempo torna a sconsigliare "tassativamente" ai connazionali di recarsi in Egitto: "C'è obbligo di saggezza" ha detto parlando a Radio Anch'io, perchè anche nelle zone che in questo momento appaiono più tranquille, grazie all'intervento dell'esercito, "la situazione potrebbe cambiare" nel giro di poche ore. Redazione Online 01 febbraio 2011
Israele: aiutate il raìs. Ma Obama lo "scarica" L'esercito: "Proteste legittime" Appello Ue a Mubarak: "Elezioni libere" Migliaia in piazza sfidano i divieti. Le forze armate: "Proteste legittime". Suleiman: dialogo con opposizioni * NOTIZIE CORRELATE * ElBaradei: "Presidenza? Sono pronto" E Obama: "Serve transizione ordinata" (30 gennaio 2011) * Egitto, migliaia di piazza al Cairo Sui manifestanti caccia a bassa quota (30 gennaio 2011) * MULTIMEDIA: Tutte le immagini e i video dell'escalation egiziana Israele: aiutate il raìs. Ma Obama lo "scarica" L'esercito: "Proteste legittime" Appello Ue a Mubarak: "Elezioni libere" Migliaia in piazza sfidano i divieti. Le forze armate: "Proteste legittime". Suleiman: dialogo con opposizioni IL CAIRO - Migliaia di persone scendono nuovamente in piazza, sfidando i divieti del regime. E l'esercito promette di non usare le armi per reprimere le proteste. "Le forze armate non useranno la violenza contro i cittadini, ma mettono in guardia contro atti che possano minacciare la sicurezza dello Stato", hanno affermato le forze armate in un comunicato diramato dalla tv di stato egiziana. Le forze armate giudicano anzi "legittime" le rivendicazioni del popolo egiziano che protesta da una settimana contro il governo. "La libertà d'espressione - hanno specificato - è garantita per tutti unicamente con mezzi pacifici". Martedì è in programma lo sciopero generale e la "marcia del milione" al Cairo. SULEIMAN: DIALOGO CON OPPOSIZIONE - Il vicepresidente egiziano ed ex responsabile dei servizi segreti, Omar Suleiman, ha proposto intanto all'opposizione l'apertura di un dialogo, nel corso di un discorso trasmesso dalla televisione di Stato. "Il presidente mi ha incaricato di aprire immediatamente dei contatti con tutte le forze politiche per avviare un dialogo intorno a tutte le questioni legate alle riforme costituzionali e legislative", ha dichiarato Suleiman. L'ex responsabile dei servizi segreti - considerato l'eminenza grigia del governo di Mubarak - ha parlato alla vigilia delle due manifestazioni di massa convocate dall'opposizione al Cairo e ad Alessandria, nelle quali gli organizzatori si aspettano la partecipazione di oltre un milione di persone. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (Ap) Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (Ap) IL FRONTE DIPLOMATICO - Nel frattempo, arriva direttamente da Bruxelles un appello alle autorità egiziane perché spianino la strada allo svolgimento di "libere e giuste elezioni". La richiesta dei capi delle diplomazie dei Ventisette, riuniti nel Consiglio Affari esteri dell'Ue, specificata in una dichiarazione comune, segue quella avanzata da Israele agli Stati Uniti e ad alcuni Paesi europei affinché venga sostenuto il presidente Hosni Mubarak e il suo governo, duramente contestati da un vasto movimento di piazza. "TRANSIZIONE ORDINATA" - I capi delle diplomazie dei Ventisette chiedono con urgenza alle autorità del Cairo di "intraprendere una transizione ordinata verso un governo con base ampia, che conduca a un processo di riforme democratiche, con il pieno rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali e dello stato di diritto, che spiani la strada a elezioni libere ed eque". La formula così approvata permette di superare l'impasse sul punto più controverso, ovvero l'opportunità di lanciare un appello affinché si svolgano presto delle elezioni nel Paese. Su questo punto, e sull'atteggiamento nei confronti del presidente Hosni Mubarak, Gran Bretagna e Francia, e anche l'Italia, secondo fonti Ue, erano sulle posizioni di Washington (andare alle elezioni, e se Mubarak perde se ne va), mentre la Germania e altri Paesi erano meno disposti a favorire questa via d'uscita per il presidente, puntando piuttosto su una soluzione "tunisina" (ovvero l'uscita di scena di Mubarak, come reclama a gran voce la rivolta). I tedeschi, fra l'altro, non volevano dare l'impressione di dettare "dall'esterno" la soluzione delle elezioni agli egiziani. Il testo approvato, pur menzionando le elezioni, le pone come punto d'arrivo di un percorso, più o meno lungo, di transizione democratica. ISRAELE - Secondo quanto riferito dal quotidiano Haaretz, i responsabili israeliani sottolineano invece che è "interesse dell'Occidente" e di "tutto il Medio Oriente mantenere la stabilità del regime in Egitto". "Occorre di conseguenza mettere un freno alle critiche pubbliche contro il presidente Hosni Mubarak", si sottolinea nel messaggio inviato dalle autorità israeliane alla fine della scorsa settimana. L'INIZIATIVA - La radio militare, che ha ripreso questa informazione di Haaretz, ha riferito che questa iniziativa rappresenta una dura critica agli Stati Uniti e ai paesi europei che non sostengono più il governo del presidente Mubarak. Un portavoce del primo ministro Benjamin Netanyahu si è rifiutato di commentare la notizia. Fino ad oggi la leadership israeliana ha adottato un profilo basso a proposito delle manifestazioni in Egitto contro Mubarak. Il premier dello Stato ebraico ha ordinato ai suoi ministri di astenersi dal fare dichiarazioni. OBAMA - Prima il Segretario di Stato, Hillary Clinton, e dopo Barack Obama hanno, di fatto, dato il benservito a Mubarak. Il presidente americano ha chiamato alcuni leader stranieri sostenendo che in Egitto serve "una transizione ordinata verso un governo che risponda alle aspirazioni del popolo". A chiedere un "governo di transizione" era stata tutta l'opposizione, compresi i potenti Fratelli Musulmani, che ha delegato a Mohamed ElBaradei il compito di negoziarla. L'ex capo dell'Aiea, rientrato da vienna in Egitto per guidare politicamente la protesta, sembra aver avuto successo nell'unificare il fronte della dissidenza: "Non torneremo indietro, Per l'Egitto si apre una nuova era", ha detto, parlando in piazza. L'opposizione egiziana negozierà la transizione non con il presidente Hosni Mubarak ma con l'esercito, ha poi dichiarato Ayman Nour, dissidente storico e oggi esponente di spicco della protesta. L'esercito "deve scegliere" tra l'Egitto e il rais, affermano da giorni i manifestanti, e, secondo il Sunday Times, il neo vice presidente egiziano, il generale Omar Suleiman, e il ministro della Difesa, Mohammed Tantawi, hanno chiesto a Mubarak di dimettersi, prospettandogli una soluzione "rispettabile", che salvaguardi, quantomeno, i frutti di un potere personale costruito in trent'anni di presidenza. GHEDDAFI - Chi si tiene in stretto contatto con il presidente egiziano Hosni Mubarak è il leader libico Muhammar Gheddafi: domenica il colonnello libico ha fatto la terza telefonata da quando è scoppiata la rivolta al Presidente egiziano. Sia la Jana, l'agenzia di stampa libica, che Oea, il quotidiano riformista online, nel darne notizia non riportano però il contenuto delle conversazioni. Intanto la Libia ha attivato domenica un ponte aereo fra Tripoli e il Cairo per permettere ai suoi cittadini residenti in Egitto di rientrare in patria malgrado le difficoltà all'aeroporto della capitale egiziana. Le due società aeree libiche, la Libyan Airlines e la Afriquyia Airways, hanno affermato domenica in una nota di aver "facilitato" il rimpatrio dei circa 2500 cittadini libici bloccati in aeroporto dalla mattina di domenica. NUOVO 007 - Intanto Mubarak ha nominato lunedì mattina il nuovo capo dei servizi segreti, che prende il posto di Omar Suleiman, "promosso" alla vicepresidenza dello Stato. A guidare l'intelligence sarà il generale Murad Mowafi, ex governatore del Sinai, secondo quanto riferito dal quotidiano di Stato, Ahram. Ma tra le mosse del presidente egiziano spicca la delega al governo per l'avvio del dialogo politico con le forze di opposizione. Lo ha annunciato la tv satellitare "al-Arabiya". Il capo di stato egiziano ha inoltre precisato che "la priorità è quella di esaudire le richieste legittime del popolo egiziano". Redazione online 31 gennaio 2011
LA PIAZZA E LA MOSSA DEI GENERALI Quei ragazzi del Cairo LA PIAZZA E LA MOSSA DEI GENERALI Quei ragazzi del Cairo La dichiarazione delle Forze Armate egiziane, che considerano "legittime" le rivendicazioni del popolo, aggiunge un ulteriore elemento di novità e sorpresa nella concatenazione di rivolte in Medio Oriente. Se la repressione di proteste di piazza è spesso il motivo conduttore dei regimi dittatoriali, il passaggio dei soldati dalla parte dei cittadini può essere la svolta verso quella transizione morbida o il meno possibile violenta incoraggiata da Stati Uniti e in ordine sparso dalle capitali europee. Anche per garantire la stabilità del punto più nevralgico della regione. Da oggi, il destino personale di Mubarak è meno importante rispetto alle scelte che gli hanno imposto le piazze e nelle ultime ore i poteri forti del Paese. Potrebbe uscire di scena subito o essere per qualche tempo uno degli attori delle riforme, ma non sarà lui a guidare l'Egitto di domani. Per valutare sviluppi positivi o rischiosi della situazione egiziana, e della rivoluzione in Medio Oriente - in particolare l'ipoteca del fondamentalismo islamico -, si è ricorsi questi giorni al confronto con eventi storici del recente passato. Alcuni ricordano la caduta del Muro di Berlino e l'effetto domino sui regimi comunisti. Altri riflettono sulle conseguenze disastrose della rivoluzione khomeinista. Se non si voglia sostenere che il mondo arabo e la religione musulmana siano incompatibili con la democrazia, sarebbe utile rievocare anche la rivoluzione indonesiana degli anni Novanta che abbattè il dittatore Suharto e avviò un processo democratico nel più grande Paese musulmano del mondo. Anche in Indonesia l'esercito rinunciò subito alla prova di forza. Gli avvenimenti delle ultime ore dicono che l'Egitto si è fermato in tempo sull'orlo del baratro e che i generali non vogliono o non osano mandare i soldati - anch'essi figli del popolo - contro milioni di cittadini che nella grande maggioranza non hanno in testa svolte ideologiche di sistema o derive religiose ma il sogno di essere partecipi dello sviluppo e garantiti nelle libertà fondamentali dell'uomo. È una decisione coraggiosa, ma anche una presa d'atto del ricambio generazionale e culturale del proprio Paese e dei Paesi vicini. Nessuno, nemmeno con i carri armati, può annullare gli effetti del rapporto stretto fra le popolazioni del Medio Oriente e i fenomeni sociali del nostro tempo: l'emigrazione di milioni di giovani in Europa, l'interagire delle comunicazioni sul web e in una certa misura lo sviluppo turistico. Fenomeni che sfuggono al controllo dei regimi. Milioni di emigrati in Europa trasmettono idee e valori occidentali a parenti e amici rimasti nei Paesi d'origine. Qui l'urbanesimo e la scolarizzazione di massa hanno favorito la ricezione e fatto crescere una middle class borghese e intellettuale che ritiene compatibili le tradizioni con le libertà civili. Gli Stati Uniti hanno compreso, prima dell'Europa, l'importanza della posta in gioco. Incoraggiano riforme e ricambio delle oligarchie. Per quanto rischiosa, è l'unica strada possibile, perché connessa a principi di autodeterminazione dei popoli e sovranità. Il sostegno di dittature screditate e corrotte non è meno fallimentare del tentativo di esportare la democrazia con le bombe. I generali egiziani hanno colto in tempo il messaggio. Massimo Nava 01 febbraio 2011
Diario dal Cairo Oggi in Egitto due mondi che si ignorano Il presidente e l'opposizione: ciascuno si ostina ad far finta che l'altro non esista. Il Cairo è una città in guerra Diario dal Cairo Oggi in Egitto due mondi che si ignorano Il presidente e l'opposizione: ciascuno si ostina ad far finta che l'altro non esista. Il Cairo è una città in guerra di Sarah El Sirgany *
Sarah El Sirgany, blogger egiziana Sarah El Sirgany, blogger egiziana L’Egitto ormai è uscito dalla fase di stallo. Oggi viviamo in due mondi, dove ciascuno si ostina a ignorare l’esistenza dell’altro. Da un lato, il presidente resta aggrappato al potere e si affanna a introdurre cambiamenti risibili nel suo governo, un’operazione di facciata nel migliore dei casi. Dall’altro, i manifestanti non prestano la minima attenzione ai suoi interventi: chiedono una sola cosa, che se ne vada. Ma né l’una né l’altra parte è disposta a cedere il passo. Che fare? L’opposizione ha fatto appello alla popolazione e ha indetto una marcia di un milione di persone per questo martedì. Già lunedì sera decine di migliaia di persone si sono radunate in centro, in piazza Tahrir, e intendono passarci la notte, in attesa dei compagni. Nel frattempo, non ho la più pallida idea di quello che Mubarak stia facendo, ma non credo che guardi la televisione. Altrimenti avrebbe sentito ripetere incessantemente la medesima parola da tutti i canali, tranne quello di stato: vattene. Nella città aleggia ovunque la stessa atmosfera di incertezza. Sono passate un paio d’ore dal coprifuoco e mentre attraverso il Cairo dal centro verso la periferia orientale dove abito – per andare a dormire a casa mia per la prima volta da venerdì scorso – vengo colta dal nervosismo. È una sensazione che non avevo provato al culmine della prima violenta repressione della protesta, il 28 gennaio. I posti di blocco militari che circondano il palazzo presidenziale e le pattuglie di vigilanti dei quartieri che si notano quasi a ogni angolo di strada danno l’idea di una città in guerra. Forse si tratta di una guerra civile contro un nemico infido, che alcuni identificano come gang di delinquenti e di saccheggiatori, mentre altri ritengono si tratti di poliziotti camuffati, inviati ad agitare le acque. Queste persone sembrano indifferenti alla marea di manifestanti infuriati che percorreva quelle stesse strade pochi giorni fa. Forse anche loro hanno partecipato a qualche corteo, a inizio giornata, o lo faranno più tardi. Non riesco a decifrare le loro intenzioni. Mi preparo a trascorrere la notte dall’altro lato della città e mi sento estraniata dalla rivoluzione in atto. Non mi resta che tenere sempre accesa la TV, è l’unico collegamento di cui dispongo nel perdurare del black out di Internet. Ma è un distacco fisico temporaneo, perché ho già rinunciato ad aspettare informazioni domani. Sono pronta alla marcia di un milione di persone e sono certa che tantissimi faranno la stessa cosa. *blogger egiziana 31 gennaio 2011
Attesi i ricorsi del ministero della Giustizia, a questione arriverà alla Corte Suprema Nuovo stop alla riforma di Obama Giudice federale stabilisce che è incostituzionale obbligare i cittadini ad avere una copertura sanitaria * NOTIZIE CORRELATE * Una riforma lontana dal "modello europeo" di M. Gaggi (23 marzo 2010) * Sanità, Obama firma la legge. "Dedicato anche a mia madre" (23 marzo 2010) Attesi i ricorsi del ministero della Giustizia, a questione arriverà alla Corte Suprema Nuovo stop alla riforma di Obama Giudice federale stabilisce che è incostituzionale obbligare i cittadini ad avere una copertura sanitaria Barack Obama, presidente degli Stati Uniti (Afp) Barack Obama, presidente degli Stati Uniti (Afp) WASHINGTON - Un giudice federale della Florida ha dichiarato incostituzionale uno dei capitoli chiave della riforma sulla Sanità pubblica varata lo scorso marzo dall'Amministrazione del presidente Usa, Barack Obama, confermando che sarà la Corte Suprema Usa a decidere in proposito. Alla fine dell'anno scorso, un primo no era venuto da un altro giudice federale, ma della Virginia. ASSICURAZIONE PER TUTTI - Il capitolo contestato è ancora una volta quello relativo all'obbligo per tutti di stipulare un contratto di assicurazione sanitaria a partire del 2014. In caso contrario si dovrebbe pagare una penale. Nel dicembre scorso il giudice distrettuale Henry Hudson, scelto nel 2002 dall'allora presidente Usa George W. Bush, aveva appoggiato la posizione dello stato della Virginia, secondo cui il Congresso non ha nè il diritto nè il potere di imporre ai cittadini americani di acquistare una assicurazione sanitaria o di pagare una multa se lo rifiuta. IL NUOVO STOP - Oggi è un giudice di Pensacola, in Florida, a raccogliere il testimone. Secondo Roger Vinson, che ha l'appoggio di ben 26 Stati Usa, "dato che il mandato individuale è inconstituzionale", l'intera legge "deve essere dichiarata nulla". Il caso finirà senza alcun dubbio dinnanzi alla Corte Suprema, visto che uno o più ricorsi in appello del ministero della Giustizia vengono dati per scontati e la stessa Casa Bianca ha fatto sapere di essere pronta a presentare l'appello. Secondo esperti americani, il caso potrebbe finire al Tribunale dei Tribunali già quest'autunno, ma è più probabile che il caso verrà trattato soltanto l'anno prossimo. (Fonte: Ansa) 31 gennaio 2011
[Esplora il significato del termine: Dopo le olimpiadi invernali di Vancouver gli affari erano precipitati Soppressi cento cani da slitta: pochi turisti, non servivano più Scoperta una fossa comune. Aperta un’inchiesta sulla società che li aveva in carico * NOTIZIE CORRELATE * IL FORUM: "Animali & Dintorni" * Il "Corriere Animali" su Facebook e Twitter Dopo le olimpiadi invernali di Vancouver gli affari erano precipitati Soppressi cento cani da slitta: pochi turisti, non servivano più Scoperta una fossa comune. Aperta un’inchiesta sulla società che li aveva in carico Alcuni cani husky utilizzati per lo sleddog (Afp) Alcuni cani husky utilizzati per lo sleddog (Afp) MILANO - La polizia canadese ha reso noto ieri di aver aperto un’inchiesta sulla brutale uccisione, nella località sciistica di Whistler, di un centinaio di cani Husky che erano stati impiegati come cani da slitta per i turisti durante i Giochi invernali di Vancouver del febbraio dell’anno scorso. UCCISI A UNO A UNO - I cani, rimasti senza lavoro, sarebbero stati uccisi a uno a uno per due giorni da un operaio che avrebbe usato un fucile e un coltello. Secondo testimoni citati dalla stampa locale, alcuni animali, feriti, sono riusciti a tirarsi fuori da una fossa comune. I motivi del massacro sarebbero puramente economici: le due società che avevano venduto ai turisti le escursioni in slitta, Outdoor Adventures e Howling Dogs, non avevano più bisogno dei cani, perchè la richiesta di gite era calata dopo le Olimpiadi invernali. STRESS DA ESECUZIONE - La vicenda è stata rivelata dallo stesso uomo che ha ucciso i cani, il quale ha chiesto e ottenuto un indennizzo da una banca locale per lo stress subito. Il suo avvocato ha detto a una radio di Vancouver, Cknw, che "non poteva essere un’esecuzione fatta bene, con un solo proiettile a disposizione" e "inevitabilmente (l’operaio) ha dovuto vedere scene orribili e, per dovere, porvi fine". Secondo la legge canadese una persona che uccide o ferisce un animale rischia fino a cinque anni di prigione. Far sopprimere un cane da un veterinario costa circa 100 dollari. Molti veterinari rifiutano però di sopprimere animali in buona salute. (Fonte: Ansa) 01 febbraio 2011] Dopo le olimpiadi invernali di Vancouver gli affari erano precipitati Soppressi cento cani da slitta: pochi turisti, non servivano più Scoperta una fossa comune. Aperta un'inchiesta sulla società che li aveva in carico * NOTIZIE CORRELATE * IL FORUM: "Animali & Dintorni" * Il "Corriere Animali" su Facebook e Twitter Dopo le olimpiadi invernali di Vancouver gli affari erano precipitati Soppressi cento cani da slitta: pochi turisti, non servivano più Scoperta una fossa comune. Aperta un'inchiesta sulla società che li aveva in carico Alcuni cani husky utilizzati per lo sleddog (Afp) Alcuni cani husky utilizzati per lo sleddog (Afp) MILANO - La polizia canadese ha reso noto ieri di aver aperto un'inchiesta sulla brutale uccisione, nella località sciistica di Whistler, di un centinaio di cani Husky che erano stati impiegati come cani da slitta per i turisti durante i Giochi invernali di Vancouver del febbraio dell'anno scorso. UCCISI A UNO A UNO - I cani, rimasti senza lavoro, sarebbero stati uccisi a uno a uno per due giorni da un operaio che avrebbe usato un fucile e un coltello. Secondo testimoni citati dalla stampa locale, alcuni animali, feriti, sono riusciti a tirarsi fuori da una fossa comune. I motivi del massacro sarebbero puramente economici: le due società che avevano venduto ai turisti le escursioni in slitta, Outdoor Adventures e Howling Dogs, non avevano più bisogno dei cani, perchè la richiesta di gite era calata dopo le Olimpiadi invernali. STRESS DA ESECUZIONE - La vicenda è stata rivelata dallo stesso uomo che ha ucciso i cani, il quale ha chiesto e ottenuto un indennizzo da una banca locale per lo stress subito. Il suo avvocato ha detto a una radio di Vancouver, Cknw, che "non poteva essere un'esecuzione fatta bene, con un solo proiettile a disposizione" e "inevitabilmente (l'operaio) ha dovuto vedere scene orribili e, per dovere, porvi fine". Secondo la legge canadese una persona che uccide o ferisce un animale rischia fino a cinque anni di prigione. Far sopprimere un cane da un veterinario costa circa 100 dollari. Molti veterinari rifiutano però di sopprimere animali in buona salute. (Fonte: Ansa) 01 febbraio 2011
2011-01-30 Decine di cadaveri vicino a un carcere, le autorità chiudono Al Jazeera Egitto, migliaia di piazza al Cairo Sui manifestanti caccia a bassa quota L'ambasciata Usa invita gli americani a lasciare il Paese. Giù le Borse del Golfo * NOTIZIE CORRELATE * Egitto, la polizia apre il fuoco. Assalto al Museo, chiuse le Piramidi (29 gennaio 2011) * Monito di Obama: "Rispettare i diritti di chi manifesta" (29 gennaio 2011) * Mubarak: "Basta violenze, subito un nuovo governo" (28 gennaio 2011) * Guerriglia in Egitto: 20 morti, mille feriti. Esercito in strada, quattrocento arresti. Fermato ElBaradei (28 gennaio 2011) * Cairo, in piazza proteste anti-Mubarak. Scontri con la polizia, tre morti (25 gennaio 2011) * MULTIMEDIA: Tutte le immagini e i video dell'escalation egiziana * LA SCHEDA: Dalla giornata della collera alle dimissioni del governo: i giorni che hanno infiammato l'Egitto Decine di cadaveri vicino a un carcere, le autorità chiudono Al Jazeera Egitto, migliaia di piazza al Cairo Sui manifestanti caccia a bassa quota L'ambasciata Usa invita gli americani a lasciare il Paese. Giù le Borse del Golfo Manifestanti in piazza Tahrir (Epa) Manifestanti in piazza Tahrir (Epa) MILANO - Più di cento morti in cinque giorni (150 secondo Al Jazeera, 33 solo sabato secondo fonti mediche), un regime incalzato dalle proteste dei cittadini, la polizia che spara sulla folla. In Egitto non c'è traccia di una tregua, nonostante le nomine decise dal presidente Hosni Mubarak, che ha affidato la vicepresidenza al capo dei servizi segreti Omar Suleiman, ruolo mai ricoperto dalla sua ascesa al potere trent'anni fa. Le nomine sono state respinte dai Fratelli Musulmani, la principale forza di opposizione. La tensione cresce: l'ambasciata americana al Cairo ha invitato i cittadini statunitensi a lasciare l'Egitto prima possibile: i voli per l'evacuazione cominceranno lunedì. E lo stesso hanno fatto Turchia, Corea del Sud e Svizzera. Nella Striscia di Gaza Hamas ha chiuso la frontiera a Rafah, valico che conduce in Egitto. La Farnesina ha fatto sapere che alcuni connazionali hanno subito attacchi o saccheggi e ha ribadito il consiglio a tutti i residenti di rimanere in casa e ai turisti di rimanere negli alberghi e agire con la massima prudenza. Alcuni gruppi di turisti italiani stanno tentando di lasciare Sharm el-Sheikh ma hanno difficoltà a partire. CACCIA A BASSA QUOTA - La capitale è presidiata dall'esercito. Caccia militari per tutto il pomeriggio hanno sorvolato il Cairo a bassa quota, passando sulla grande piazza Tahrir, anche oggi colma di gente. I manifestanti hanno urlato slogan contro il presidente: "Il popolo vuole la caduta del regime", "Mubarak vattene". Carri armati dell'esercito hanno circondato la piazza e le strade che vi transitano e l'esercito ha sparato colpi "di avvertimento" in aria. La polizia militare ha eretto posti di blocco e ispeziona tutte le auto nelle vie del centro. Il coprifuoco imposto venerdì è stato prolungato ancora, dalle 16 di domenica alle 8 di lunedì, ma ancora una volta è stato violato consapevolmente da migliaia di cittadini radunati nelle strade. L'albergo Intercontinental Semiramis, a pochi passi da piazza Tahrir, lunedì evacuerà tutti gli ospiti e chiuderà i battenti. Altri due grandi alberghi del Cairo, Hilton Ramses e Four Seasons, dicono di non avere più stanze disponibili. ElBaradei parla alla folla in piazza Tahrir (Ansa) ElBaradei parla alla folla in piazza Tahrir (Ansa) IL RUOLO DI ELBARADEI - Ai dimostranti si sono uniti imam e teologi dell'università islamica di al-Azhar, molti giudici, avvocati e giornalisti. Un gruppo di redattori del quotidiano filogovernativo Al Ahram si è ribellato alla linea del giornale chiedendo l'uscita di scena di Mubarak. Le forze di opposizione, e in particolare i Fratelli Musulmani, chiedono di affidare a Mohammed ElBaradei il mandato di avviare "negoziati con il regime" e lui si è detto disponibile ad assumere anche la presidenza temporanea del Paese, precisando di avere ricevuto da più parti politiche il mandato per un governo di unità nazionale. E nel tardo pomeriggio si è presentato in piazza Tahrir per parlare alla folla. E anche ai manifestanti ha ribadito la necessità di un allontanamento di Mubarak. "Non si torna indietro da ciò che si è iniziato - ha detto -. Dobbiamo continuare". RIVOLTE NELLE CARCERI - È intanto caos nelle carceri: fonti della sicurezza hanno diffuso la notizia che decine di cadaveri giacciono in strada vicino alla prigione di Abu Zaabal, a est del Cairo, dopo che è scoppiata una rivolta nella notte. Altri 14 cadaveri sono stati trovati in una moschea vicina, due potrebbero essere di poliziotti. "Tutti i detenuti della prigione di Abu Zaabal sono evasi dopo la rivolta" hanno detto gli abitanti del quartiere, che hanno sentito molti spari. Sabato otto detenuti erano stati uccisi e 123 feriti in scontri con la polizia durante una tentata fuga dallo stesso carcere. Nella notte migliaia di detenuti sono evasi da un'altra prigione, quella di Wadi Natrun a nord del Cairo: tra loro anche 34 militanti e dirigenti dei Fratelli Musulmani. Ad assaltare la prigione sono stati i parenti dei detenuti. Non ci sarebbero stati feriti: secondo il legale del partito il carcere è stato abbandonato dalle guardie. Sabato altri detenuti erano scappati del carcere di Khalifa. Tank nelle piazze Tank nelle piazze Tank nelle piazze Tank nelle piazze Tank nelle piazze Tank nelle piazze Tank nelle piazze Tank nelle piazze CHIUSA AL JAZEERA - Il governo tenta di mettere il bavaglio all'informazione: "Le autorità egiziane hanno deciso la chiusura dell'ufficio di corrispondenza di Al Jazeera al Cairo e ritirano gli accrediti ai suoi corrispondenti" ha annunciato la stessa tv satellitare. L'ordine è partito dal ministro dell'Informazione uscente, Anas El Fekki. Questi, scrive l'agenzia ufficiale egiziana Mena, "ha deciso che il servizio di informazione dello Stato deve fermare e annullare le attività della catena Al Jazeera nella repubblica araba d'Egitto, annullare tutte le autorizzazioni e ritirare tutti gli accrediti dei suoi dipendenti". L'emittente araba è stata fino ad oggi una delle principali fonti di notizie dal Paese: aveva telecamere puntate su piazza Tahrir e sul vicino ponte 6 Ottobre, ma ora non può più trasmettere in diretta dalla capitale. GIALLO MUBARAK - Intanto resta un mistero la sorte di Mubarak e della sua famiglia, moglie e due figli: secondo Al Jazeera questi ultimi si sarebbero rifugiati a Londra, ma lo notizia è stata smentita dalla tv di Stato. La stessa emittente ha diffuso le immagini del presidente 82enne mentre incontra i vertici militari al Cairo, nel centro operativo dell'esercito, alla presenza di Suleiman e del ministro della Difesa "per seguire le operazioni di controllo della sicurezza". Secondo altre voci, Mubarak si sarebbe rifugiato nella sua villa di Sharm el-Sheikh, ma intorno all'edificio - che in passato ha ospitato molti vertici con capi di Stato - si vedono poche forze di sicurezza. Una notizia che potrebbe essere confermata: le forze armate sono infatti entrate nella rinomata località turistica. CAOS AEROPORTI -Nel Paese c'è una situazione di caos per gli stranieri che cercano di tornare a casa. Soprattutto a causa del coprifuoco, tra le 1.500 e le duemila persone sono rimaste bloccate in aeroporto, dirette verso Arabia Saudita, Emirati Arabi, Giordania e Libano. Si tratta di turisti ed egiziani, compresi operatori economici per i quali le compagnie di bandiera dei rispettivi Paesi stanno tentando di approntare voli supplementari. Ma le difficoltà maggiori sono quelle di reperire velivoli ed equipaggi che devono essere dirottati da altre tratte per far fronte all'emergenza. Pressoché impossibile accertare le nazionalità precise di quanti sono bloccati all'aeroporto internazionale, anche a causa del ridotto funzionamento delle linee telefoniche mobili. La situazione ha indotto il personale di alcune compagnie aeree di bandiera a consorziarsi in una sorta di unità di crisi. Tra le società occidentali British Airways e Alitalia hanno modificato gli orari di partenza dei propri voli per non farli arrivare durante il coprifuoco. Lufthansa, Air Berlin e Lot (polacca) hanno invece cancellato i propri voli. Nei bar e ristoranti dello scalo si sono presto esaurite le scorte di cibo e bevande. Nonostante la situazione di caos, diversi esponenti di spicco degli affari e della burocrazia hanno lasciato il Paese su 19 aerei privati decollati dall'aeroporto del Cairo. BORSE DEL GOLFO - I disordini e le violenze in Egitto hanno fatto precipitare le Borse dei Paesi del Golfo. La Borsa saudita ha chiuso sabato con una perdita del 6,43%, mentre nel secondo mercato della regione, il Kuwait, il ribasso è stato del 2,14%. La Borsa del Qatar ha aperto domenica con un -5%, mentre peggio ha fatto il Dubai, dove l'indice Dfm ha perso il 6,27%; infine, la Borsa di Abu Dhabi ha fatto segnare -3,74% nei primi scambi. La Borsa egiziana è rimasta chiusa, su ordine delle Autorità di vigilanza: dopo perdite costanti e la sospensione delle contrattazioni, giovedì, l'indice principale ha perso l'11%. ALGERIA - La situazione resta incandescente anche in Algeria, dove un 26enne si è dato fuoco venerdì sera a Bordj Bou Arreridj, morendo per le ustioni. A Staoueli, alle porte di Algeri, un uomo di 40 anni si è cosparso di benzina davanti alla sede della banca BLD in cui lavorava. L'uomo, ha detto la Lega algerina per i diritti umani (LADDH), "ha cosparso di benzina anche sua figlia, portatrice di handicap, ma è stato bloccato in tempo dai colleghi che attualmente sono in sciopero in segno di solidarietà". Lakhdari lavora da qualche anno come agente di sicurezza nella banca ma ha un contratto temporaneo e "con il suo gesto ha voluto protestare contro le sue difficili condizioni di vita", precisa la stessa fonte. Un altro ragazzo di 21 anni ha tentato sabato di suicidarsi dandosi fuoco a Mostaganem e ora è ricoverato in gravi condizioni. Il giovane deceduto era disoccupato e di famiglia disagiata. "Non ne posso più, non ne posso più", ha gridato con il corpo in fiamme. Prima di morire ha chiesto perdono alla madre. A Mostaganem, il giovane ferito, figlio di un ricco imprenditore, avrebbe deciso di compiere questo gesto estremo non per motivi legati alla sua condizione, ma per amore. Almeno quindici persone si sono date fuoco in Algeria di recente: tre sono morte. TUNISIA - L'altro fronte "caldo" è quello tunisino. Rached Ghannouchi, leader islamista in esilio da 22 anni, ha lasciato Londra per tornare in patria, secondo quanto riferito dalla figlia. Un responsabile della compagnia aerea British Airways ha confermato che è atterrato a Tunisi. Ghannouchi era stato condannato a morte dal regime del deposto presidente Ben Ali, a sua volta costretto a fuggire con la famiglia in Arabia Saudita dopo la "rivoluzione dei gelsomini". Il leader islamista ha annunciato che non intendere correre per la carica presidenziale ma che vuole trasformare il proprio movimento in un partito che competerà nelle prossime elezioni. Redazione online 30 gennaio 2011
Decine di cadaveri vicino a un carcere, le autorità chiudono Al Jazeera Egitto, migliaia di piazza al Cairo Sui manifestanti caccia a bassa quota Frattini: "Fermare le violenze". L'ambasciata Usa invita gli americani a lasciare il Paese. Giù le Borse del Golfo * NOTIZIE CORRELATE * Egitto, la polizia apre il fuoco. Assalto al Museo, chiuse le Piramidi (29 gennaio 2011) * Monito di Obama: "Rispettare i diritti di chi manifesta" (29 gennaio 2011) * Mubarak: "Basta violenze, subito un nuovo governo" (28 gennaio 2011) * Guerriglia in Egitto: 20 morti, mille feriti. Esercito in strada, quattrocento arresti. Fermato ElBaradei (28 gennaio 2011) * Cairo, in piazza proteste anti-Mubarak. Scontri con la polizia, tre morti (25 gennaio 2011) * MULTIMEDIA: Tutte le immagini e i video dell'escalation egiziana * LA SCHEDA: Dalla giornata della collera alle dimissioni del governo: i giorni che hanno infiammato l'Egitto Decine di cadaveri vicino a un carcere, le autorità chiudono Al Jazeera Egitto, migliaia di piazza al Cairo Sui manifestanti caccia a bassa quota Frattini: "Fermare le violenze". L'ambasciata Usa invita gli americani a lasciare il Paese. Giù le Borse del Golfo Hosni Mubarak (Epa) Hosni Mubarak (Epa) MILANO - Più di cento morti in cinque giorni (150 secondo Al Jazeera, 33 solo sabato secondo fonti mediche), un regime incalzato dalle proteste dei cittadini, la polizia che spara sulla folla. In Egitto non c'è traccia di una tregua, nonostante le nomine decise dal presidente Mubarak, che ha affidato la vicepresidenza al capo dei servizi segreti Omar Suleiman, ruolo mai ricoperto dalla sua ascesa al potere trent'anni fa. Le nomine sono state respinte dai Fratelli Musulmani, la principale forza di opposizione. La tensione cresce: l'ambasciata americana al Cairo ha invitato i cittadini statunitensi a lasciare l'Egitto prima possibile. I voli per l'evacuazione cominceranno lunedì. Anche la Turchia sta mandando in Egitto due aerei di linea per evacuare i propri cittadini e Seul ha invitato i sudcoreani ad abbandonare il Paese. Nella Striscia di Gaza Hamas ha chiuso la frontiera a Rafah. CACCIA A BASSA QUOTA - La capitale è presidiata dall'esercito. Caccia militari stanno sorvolando il Cairo a bassa quota, passando sulla grande piazza Tahrir, che si sta riempiendo di gente. I manifestanti sarebbero 150mila. Gli slogan: "Il popolo vuole la caduta del regime", "Mubarak vattene". Ai dimostranti si sono uniti imam e teologi dell'università islamica di al-Azhar, molti giudici, avvocati e giornalisti. Un gruppo di redattori del quotidiano filogovernativo Al Ahram si è ribellato alla linea del giornale chiedendo l'uscita di scena di Mubarak. Le forze di opposizione, e in particolare i Fratelli Musulmani, chiedono di affidare a Mohammed ElBaradei il mandato di avviare "negoziati con il regime"; il gruppo politico ha dato sostegno all'ex direttore dell'Agenzia Onu per l'energia atomica fin da quando si è proposto come candidato per la corsa alla presidenza contro Mubarak. I militari, che hanno circondato tutta l'area centrale con mezzi blindati, non sono ancora intervenuti. Carri armati sono schierati in modo massiccio in ogni via che conduce alla piazza Tahrir, mentre nelle altre strade principali del centro cittadino, sin dalle prime ore dell'alba, la polizia militare ha eretto posti di blocco e ispeziona tutte le auto. Il coprifuoco imposto venerdì è stato prolungato ancora, dalle 16 di domenica alle 8 di lunedì. RIVOLTE NELLE CARCERI - È caos nelle carceri: fonti della sicurezza hanno diffuso la notizia che decine di cadaveri giacciono in strada vicino alla prigione di Abu Zaabal, a est del Cairo, dopo che è scoppiata una rivolta nella notte. Altri 14 cadaveri sono stati trovati in una moschea vicina, due potrebbero essere di poliziotti. "Tutti i detenuti della prigione di Abu Zaabal sono evasi dopo la rivolta" hanno detto gli abitanti del quartiere, che hanno sentito molti spari. Sabato otto detenuti erano stati uccisi e 123 feriti in scontri con la polizia durante una tentata fuga dallo stesso carcere. Nella notte migliaia di detenuti sono evasi da un'altra prigione, quella di Wadi Natrun a nord del Cairo: tra loro anche 34 militanti e dirigenti dei Fratelli Musulmani. Ad assaltare la prigione sono stati i parenti dei detenuti. Non ci sarebbero stati feriti: secondo il legale del partito il carcere è stato abbandonato dalle guardie. Sabato altri detenuti erano scappati del carcere di Khalifa. CHIUSA AL JAZEERA - Il governo tenta di mettere il bavaglio all'informazione: "Le autorità egiziane hanno deciso la chiusura dell'ufficio di corrispondenza di Al Jazeera al Cairo e ritirano gli accrediti ai suoi corrispondenti" ha annunciato la stessa tv satellitare. L'ordine è partito dal ministro dell'Informazione uscente, Anas El Fekki. Questi, scrive l'agenzia ufficiale egiziana Mena, "ha deciso che il servizio di informazione dello Stato deve fermare e annullare le attività della catena Al Jazeera nella repubblica araba d'Egitto, annullare tutte le autorizzazioni e ritirare tutti gli accrediti dei suoi dipendenti". L'emittente araba è stata fino ad oggi una delle principali fonti di notizie dal Paese: aveva telecamere puntate su piazza Tahrir e sul vicino ponte 6 Ottobre, ma ora non può più trasmettere in diretta dalla capitale. Tank nelle piazze Tank nelle piazze Tank nelle piazze Tank nelle piazze Tank nelle piazze Tank nelle piazze Tank nelle piazze Tank nelle piazze GIALLO MUBARAK - Intanto resta un mistero la sorte di Mubarak e della sua famiglia, moglie e due figli: secondo Al Jazeera questi ultimi si sarebbero rifugiati a Londra, ma lo notizia è stata smentita dalla tv di Stato. La stessa emittente ha diffuso le immagini del presidente 82enne mentre incontra i vertici militari al Cairo, nel centro operativo dell'esercito, alla presenza di Suleiman e del ministro della Difesa "per seguire le operazioni di controllo della sicurezza". Secondo altre voci, Mubarak si sarebbe rifugiato nella sua villa di Sharm el-Sheikh, ma intorno all'edificio - che in passato ha ospitato molti vertici con capi di Stato - si vedono poche forze di sicurezza. Una notizia che potrebbe essere confermata: le forze armate sono infatti entrate nella rinomata località turistica. FRATTINI - Al lavoro la diplomazia internazionale. Dopo gli appelli del presidente americano Obama e di molti leader europei, è oggi il ministro degli Esteri Franco Frattini a invitare le parti in conflitto alla moderazione: "La priorità è fermare le violenze ed evitare ulteriori vittime civili - ha dichiarato -. Bisogna fermare anche le azioni che producono danni materiali, in particolare quelle dirette contro i beni culturali del Paese che sono patrimonio culturale di tutta la società egiziana e dell'umanità". Sabato è stato infatti preso d'assalto e danneggiato il museo delle Antichità del Cairo e domenica un gruppo di saccheggiatori ha preso d'assalto il museo archeologico di Al Qantara, vicino a Suez, il principale della penisola del Sinai: molti dei 3mila pezzi che ospitava sono stati trafugati o danneggiati. La polizia è assente dalla città. "Il mio appello - aggiunge il ministro Frattini - va al presidente Mubarak e alle istituzioni egiziane affinché si evitino violenze contro civili disarmati e ai manifestanti affinché dimostrino pacificamente". Al presidente egiziano il governo italiano rivolge un auspicio: "Insieme al nuovo governo realizzi con la massima rapidità ed efficacia le riforme promesse in campo politico, economico e sociale - dice Frattini -. È fondamentale che vengano rispettati le libertà di espressione e comunicazione, il diritto a manifestare pacificamente". Il leader riformista Mohammed ElBaradei, ex capo dell'agenzia atomica mondiale, ha chiesto a Mubarak di lasciare la presidenza e il Paese per poter indire elezioni e stilare una nuova Costituzione. CAOS AEROPORTI - La Farnesina ha fatto sapere che alcuni connazionali hanno subito attacchi o saccheggi e ha ribadito il consiglio a tutti i residenti di rimanere in casa e ai turisti di rimanere negli alberghi e agire con la massima prudenza. Alcuni gruppi di turisti italiani stanno tentando di lasciare Sharm el-Sheikh ma hanno difficoltà a partire, secondo alcuni testimoni presenti nell'aeroporto della città sul mar Rosso; gli aerei della compagnia EgyptAir sono bloccati a causa della mancanza di connessioni al Cairo con voli internazionali. Nel Paese c'è una situazione di caos per gli stranieri che cercano di tornare a casa. Soprattutto a causa del coprifuoco, tra le 1.500 e le duemila persone sono rimaste bloccate in aeroporto, dirette verso Arabia Saudita, Emirati Arabi, Giordania e Libano. Si tratta di turisti ed egiziani, compresi operatori economici per i quali le compagnie di bandiera dei rispettivi Paesi stanno tentando di approntare voli supplementari. Ma le difficoltà maggiori sono quelle di reperire velivoli ed equipaggi che devono essere dirottati da altre tratte per far fronte all'emergenza. Pressoché impossibile accertare le nazionalità precise di quanti sono bloccati nello scalo del Cairo International Airport, anche a causa del ridotto funzionamento delle linee telefoniche mobili. La situazione ha indotto il personale di alcune compagnie aeree di bandiera a consorziarsi in una sorta di unità di crisi. Tra le società occidentali British Airways e Alitalia hanno modificato gli orari di partenza dei propri voli per non farli arrivare durante il coprifuoco. Lufthansa, Air Berlin e Lot (polacca) hanno invece cancellato i propri voli. In serata, dicono fonti aeroportuali, erano state anche esaurite le scorte di bevande, caffè, latte, dolci e panini nei bar dell'aeroporto, presi d'assalto dai passeggeri che non possono partire e da chi è arrivato ma non può abbandonare lo scalo. BORSE GOLFO - I disordini e le violenze in Egitto hanno fatto precipitare le Borse dei Paesi del Golfo. La Borsa saudita ha chiuso sabato con una perdita del 6,43%, mentre nel secondo mercato della regione, il Kuwait, il ribasso è stato del 2,14%. La Borsa del Qatar ha aperto domenica con un -5%, mentre peggio ha fatto il Dubai, dove l'indice Dfm ha perso il 6,27%; infine, la Borsa di Abu Dhabi ha fatto segnare -3,74% nei primi scambi. La Borsa egiziana è rimasta chiusa, su ordine delle Autorità di vigilanza: dopo perdite costanti e la sospensione delle contrattazioni, giovedì, l'indice principale ha perso l'11%. ALGERIA - La situazione resta incandescente anche in Algeria, dove un 26enne si è dato fuoco venerdì sera a Bordj Bou Arreridj, morendo per le ustioni. A Staoueli, alle porte di Algeri, un uomo di 40 anni si è cosparso di benzina davanti alla sede della banca BLD in cui lavorava. L'uomo, ha detto la Lega algerina per i diritti umani (LADDH), "ha cosparso di benzina anche sua figlia, portatrice di handicap, ma è stato bloccato in tempo dai colleghi che attualmente sono in sciopero in segno di solidarietà". Lakhdari lavora da qualche anno come agente di sicurezza nella banca ma ha un contratto temporaneo e "con il suo gesto ha voluto protestare contro le sue difficili condizioni di vita", precisa la stessa fonte. Un altro ragazzo di 21 anni ha tentato sabato di suicidarsi dandosi fuoco a Mostaganem e ora è ricoverato in gravi condizioni. Il giovane deceduto era disoccupato e di famiglia disagiata. "Non ne posso più, non ne posso più", ha gridato con il corpo in fiamme. Prima di morire ha chiesto perdono alla madre. A Mostaganem, il giovane ferito, figlio di un ricco imprenditore, avrebbe deciso di compiere questo gesto estremo non per motivi legati alla sua condizione, ma per amore. Almeno quindici persone si sono date fuoco in Algeria di recente: tre sono morte. TUNISIA - L'altro fronte "caldo" è quello tunisino. Rached Ghannouchi, leader islamista in esilio da 22 anni, ha lasciato Londra per tornare in patria, secondo quanto riferito dalla figlia. Un responsabile della compagnia aerea British Airways ha confermato che è atterrato a Tunisi. Ghannouchi era stato condannato a morte dal regime del deposto presidente Ben Ali, a sua volta costretto a fuggire con la famiglia in Arabia Saudita dopo la "rivoluzione dei gelsomini". Il leader islamista ha annunciato che non intendere correre per la carica presidenziale ma che vuole trasformare il proprio movimento in un partito che competerà nelle prossime elezioni. Redazione online 30 gennaio 2011
EGITTO IN FIAMME Manifestazione anti-Mubarak davanti alla sede dell'Ambasciata Anche da Roma si chiedono le dimissione del presidente egiziano. La situazione di partenze e arrivi a Fiumicino EGITTO IN FIAMME Manifestazione anti-Mubarak davanti alla sede dell'Ambasciata Anche da Roma si chiedono le dimissione del presidente egiziano. La situazione di partenze e arrivi a Fiumicino Proteste anti_mubarak a Roma (Lapresse) Proteste anti_mubarak a Roma (Lapresse) ROMA - Proteste anti-Mubarak anche a Roma, davanti alla sede dell'ambasciata egiziana di Roma, dove già sabato si erano radunati spontaneamente alcuni oppositori del presidente Hosni Mubarak. "Basta con i morti", "Il popolo vuole la caduta del regime", "Mubarak vattene", gli slogan e le scritte sui cartelli dei manifestanti, molti italiani di origine egiziana, molte le ragazze, in buona parte egiziani residenti nella capitale. Sembra un'eco di quello che si sente arrivare dal Cairo. Alcuni oltre alla bandiere del loro Paese mostrano le foto dei morti del Cairo, tutti invocano le dimissione di Mubarak. La manifestazione si è svolta dalle 11 alle 14 . "Siamo qui per dire a Mubarak che se ne deve andare - ha affermato uno dei manifestanti, Muhammad Abdel Qader - vogliamo la fine del regime, lo scioglimento del parlamento, l'annullamento delle leggi di emergenza e delle riforme. Condanniamo anche l'abuso commesso dalla polizia nel reprimere i manifestanti e il fatto che molte delle bande che compiono razzie e che hanno liberato i detenuti sono composte da agenti del ministero dell'Interni che vogliono portare l'Egitto nel caos per dimostrare che è meglio la dittatura". Egiziani e italiani a Fiumicino (Ansa) Egiziani e italiani a Fiumicino (Ansa) FIUMICINO - Per quanto riguarda, invece, i collegamenti aerei con l'Egitto, da sabato la Farnesina "sconsiglia viaggi in tutto il Paese che non rivestano carattere di urgenza", precisando che "scontri di una certa rilevanza sono stati segnalati in particolare nella capitale e nelle città di Alessandria, Suez, Ismailia e Luxor". L'attuale situazione in Egitto scoraggia anche le partenze dei turisti da Roma verso il Mar Rosso. È quanto risulta a Fiumicino dove i tre voli charter domenica mattina in partenza dal Leonardo da Vinci per Sharm el Sheikh sono decollati senza passeggeri. Secondo quanto si è appreso dai Tour Operator presenti nello scalo romano, su un totale di circa 500 persone distribuite su tre voli, solo una cinquantina si sarebbero presentate questa mattina in aeroporto. "A tutti - dice un operatore turistico - è stato sconsigliato di partire vista l'attuale situazione in Egitto". Tre le alternative offerte per la vacanza annullata: spostare la data di partenza per il Mar Rosso; cambiare la destinazione; chiedere il rimborso del viaggio. Nel frattempo, gli aerei dell'Alitalia e di Blue Panorama noleggiati da vari Tour Operator, sono decollati vuoti da Fiumicino per permettere ai turisti presenti a Sharm el Sheikh di rientrare a Roma. L'Associazione dei tour operator italiani (Astoi), però, rassicura: "Per le maggiori località balneari del Mar Rosso (Sharm El Sheik, Hurgada, Marsa Alam, Taba), si registra l'assoluta tranquillità dei luoghi e, pertanto, la programmazione continuerà a essere regolare". Confermato, invece il blocco delle partenze per il Cairo, "in attesa che la situazione si normalizzi". Red. on. 30 gennaio 2011
LA CRISI EGIZIANA. INTERVENTO congiunto dei leader europei Obama ribadisce : stop a violenza Appello di Parigi, Londra e Berlino La Casa Bianca interviene nella crisi egiziana: gli Usa sempre al fianco di chi lotta per decidere il proprio futuro * NOTIZIE CORRELATE * Mubarak: "Basta violenze, subito un nuovo governo" (28 gennaio 2011) * Guerriglia in Egitto: 20 morti, 1000 feriti. Esercito in strada, quattrocento arresti. Fermato ElBaradei (28 gennaio 2011) * Cairo, in piazza proteste anti-Mubarak. Scontri con la polizia, tre morti (25 gennaio 2011) LA CRISI EGIZIANA. INTERVENTO congiunto dei leader europei Obama ribadisce : stop a violenza Appello di Parigi, Londra e Berlino La Casa Bianca interviene nella crisi egiziana: gli Usa sempre al fianco di chi lotta per decidere il proprio futuro Il presidente americano Barack Obama durante il suo intervento alla Casa Bianca (Afp) Il presidente americano Barack Obama durante il suo intervento alla Casa Bianca (Afp) MILANO - Hosni Mubarak fermi le violenze e "si assuma la responsabilità di fare passi concreti per assicurare riforme politiche, sociali ed economiche al suo popolo". Il presidente americano Barack Obama interviene in prima persona nella crisi egiziana. In un breve discorso alla Casa Bianca dopo il messaggio alla tv con cui Mubarak si è rivolto alla nazione annunciando un nuovo governo, Obama ha ribadito che "i diritti di libertà sono universali, al Cairo come nel resto del mondo". Il presidente americano ha assicurato che gli Usa saranno sempre al fianco di "chi lotta pacificamente per decidere il proprio futuro" e ha esortato Mubarak a non usare la forza contro i dimostranti, che da cinque giorni protestano in piazza nelle principali città egiziane. "SUBITO LE RIFORME" - Il presidente degli Stati Uniti è poi tornato sulla crisi egiziana, al termine del suo incontro con lo staff della Sicurezza Nazionale dedicato alla crisi egiziana, per ribadire l'appello a fermare le violenze e a favore della moderazione. Il presidente è inoltre tornato a insistere sul suo sostegno "alla tutela dei diritti universali" e sul suo impegno "perchè ci siano passi concreti, da parte delle autorità egiziane, a favore delle riforme". I LEADER EUROPEI - Nel frattempo, Nicolas Sarkozy, Angela Merkel e David Cameron hanno lanciato un appello congiunto al presidente egiziano, Hosni Mubarak, perchè "eviti ad ogni costo l'uso della violenza contro civili disarmati", e ai manifestanti affinché "esercitino pacificamente i loro diritti". In un comunicato reso noto a Parigi dall'Eliseo, i leader di Francia, Germania e Gran Bretagna esprimono "preoccupazione" e riconoscono a Mubarak il "ruolo moderatore svolto da diversi anni in Medio Oriente. Noi - si legge nel comunicato congiunto - gli chiediamo ora di dar prova della stessa moderazione per affrontare l'attuale situazione in Egitto". "È essenziale che le riforme politiche, economiche e sociali future che il presidente Mubarak ha promesso - continua il comunicato dell'Eliseo - siano realizzate pienamente e rapidamente e che rispondano alle aspirazioni del popolo egiziano". "I diritti dell'uomo e le libertà democratiche - continua il testo - devono essere pienamente rispettate, compresa la libertà d'espressione e di comunicazione, in particolare l'uso del telefono e di Internet; oltre al diritto di riunione e di manifestazione pacifica". I tre leader aggiungono che "il popolo egiziano ha rivendicazioni legittime ed aspira a un futuro migliore e più giusto. Facciamo appello al presidente Mubarak per l'avvio di un processo di cambiamento che si traduca in un governo a rappresentanza allargata ed elezioni libere e giuste". "EVITARE FERIMENTI E MORTI" - Tornando a Obama, il presidente Usa ha detto di aver parlato al telefono con il suo omologo egiziano e di averlo avvertito che "la prima preoccupazione è di evitare ferimenti e perdita di vite". Obama ha detto che "il popolo egiziano ha dei diritti universali tra cui il diritto di assembramento pacifico" e che "sarà il popolo egiziano a determinare il futuro dell'Egitto". Tuttavia Obama non ha voluto rompere con un presidente che è stretto alleato di Washington da quando è salito al potere nel 1980: "Ci saranno giorni difficili, ma gli Stati Uniti continueranno a sostenere i diritti del popolo egiziano", ma anche "a lavorare con il governo". LA STAMPA AMERICANA - Intanto, però, la stampa Usa si divide sull'opportunità per Washington di mantenere il sostegno economico e militare al regime di Mubarak, che ammonta a 1,3 miliardi di dollari l'anno. "Piuttosto che chiedere a un governante intransigente di attuare le riforme, l'Amministrazione dovrebbe cercare di preparare una pacifica attuazione della piattaforma dell'opposizione", ha scritto in un editoriale il Washington Post, che invita Obama ad aprire a Mohamed ElBaradei. Ma per il Los Angeles Times, invece, Mubarak e l'Egitto restano un forte alleato degli Usa in una regione intrisa di anti-americanismo. "Firmando il trattato di pace con Israele, il defunto presidente Anwar Sadat ridusse drammaticamente le possibilità di una guerra con lo Stato ebraico e l'Egitto sotto Mubarak continua a svolgere un ruolo di mediatore nel processo di pace israelo-palestinese". Per questo il quotidiano californiano ritiene che "nessuno si aspetti che Washington persegua un cambiamento di governo in Egitto". Redazione Online 29 gennaio 2011(ultima modifica: 30 gennaio 2011)
LE FORZE ARMATE EGIZIANE I generali "colombe" restano a guardare I militari cercano di non farsi coinvolgere nella repressione voluta da Mubarak. Il ruolo degli Usa LE FORZE ARMATE EGIZIANE I generali "colombe" restano a guardare I militari cercano di non farsi coinvolgere nella repressione voluta da Mubarak. Il ruolo degli Usa WASHINGTON – Tutti guardano all’esercito. La Casa Bianca, i dimostranti e l’ala politica del regime. Il presidente Mubarak ha ordinato di imporre il coprifuoco a partire dalle 16 locali ma la gente lo ha ignorato. Mentre i soldati si sono limitati a presidiare le piazze e a intervenire – per ora – in casi estremi, come davanti alla Banca centrale, assalita dai manifestanti. Molti osservatori non escludono che le forze armate (468 mila uomini), che pure sono parte del regime, stiano cercando di calmare la situazione senza ricorrere ad un uso eccessivo della forza. Se i contestatori attaccano, i soldati rispondono, altrimenti restano in attesa. Oppure muovono per neutralizzare le bande di saccheggiatori che sfruttano il clima di rivolta. GENERALI "MORBIDI" - Per alcuni osservatori, in caso estremo, i militari potrebbero cercare di favorire una transizione morbida del potere. In questo scenario, Mubarak se ne va e l’esercito svolge un ruolo di tutela. Sempre i generali cercherebbero di evitare – per quanto è possibile – di essere coinvolti nella repressione. Se schiacciano la contestazione possono salvare la testa del Faraone, che pure ha beneficiato e coccolato i gradi più alti, ma perdono la loro integrità morale. Negli ultimi due giorni il rapporto all’interno della nomenklatura si sarebbe fatto più difficile. La tv Al Jazeera ha sostenuto che si è verificato un duro braccio di ferro tra lo stato maggiore e lo stesso presidente. Il leader avrebbe chiesto all’esercito di agire con durezza ma il generale Sami Annan si è opposto. L’alto ufficiale era negli Usa per una serie di incontri ma è tornato precipitosamente in patria. La sua presenza – per altre ragioni - nella capitale americana ha sollevato varie ipotesi su un possibile coordinamento con l’alleato americano. E a questo proposito si sottolinea che gli Usa garantiscono alle forze armate egiziane aiuti per 1,3 miliardi l'anno e sono dunque in grado di fare delle pressioni. PREVISIONI DIFFICILI - Ma tutto è così fluido – avvertono fonti diplomatiche di Washington – che è difficile fare una previsione su cosa possa accadere nelle prossime ore. La repentina cacciata di Ben Alì dalla Tunisia dimostra che può accadere di tutto. La decisione di Mubarak di creare la posizione di vice presidente affidandola al capo dell’intelligence Omar Suleiman è un altro segnale che qualcosa sta per cambiare davvero. Lo 007, uomo di mediazione e con ottime entrature internazionali, è stato spesso considerato tra i possibili successori del raìs. Guido Olimpio 29 gennaio 2011
IL NUOVO VICEPRESIDENTE Entra in scena "l'aggiustatore" Omar Suleiman, spietato repressore di estremisti islamici e del dissenso, è una figura leggendaria in Medio Oriente IL NUOVO VICEPRESIDENTE Entra in scena "l'aggiustatore" Omar Suleiman, spietato repressore di estremisti islamici e del dissenso, è una figura leggendaria in Medio Oriente Omar Suleiman (Epa) Omar Suleiman (Epa) WASHINGTON – È destino che Omar Suleiman, il capo dell’intelligence e ora vicepresidente egiziano, sia vicino a Hosni Mubarak nei momenti critici. Nel 1995 gli ha salvato la vita in un attentato ad Addis Abeba: aveva insistito perché il raìs viaggiasse su una limousine blindata. E quel giorno Suleiman era seduto al fianco del presidente. Testimone e custode di un momento drammatico. Ora il leader si aggrappa allo 007, probabile gestore di una transizione dei poteri. Nato a Qena nel 1935, ufficiale di fanteria, addestramento in Russia, veterano di tre conflitti, Omar Soleiman è una figura leggendaria in Medio Oriente. Diventato, nell’86, numero due dell’intelligence, è poi salito al vertice nel 1992 e da allora ha gestito i dossier più complicati. La crisi a Gaza, i rapporti con Israele, le relazioni complesse con Hamas, la situazione in Sudan, le infiltrazioni dell’Hezbollah e, soprattutto, la lotta senza quartiere agli islamisti. REPRESSORE DEL DISSENSO -P rima si è occupato dei terroristi che a metà degli anni ’90 hanno insanguinato il paese, poi si è dedicato ai seguaci di Osama. Poiché nelle file di Al Qaeda la colonia egiziana è numerosa e influente – basti pensare ad Ayman Al Zawahiri – gli agenti di Soleiman sono diventati tra i più esperti nel contrasto all’estremismo. Una lotta condotta con metodi brutali poi applicati per neutralizzare qualsiasi forma di dissenso. Nella tetra prigione di Tora (al Cairo) – una delle tante del paese - sono rinchiusi oppositori e terroristi. Tra questi ultimi alcuni militanti catturati dagli Usa con le famose rendition. Un elenco dove spicca il nome dell’imam Abu Omar, rapito a Milano nel febbraio 2003. "L'AGGIUSTATORE" - Garante della sicurezza, ben visto dalla diplomazia internazionale, spesso in sintonia con Usa e Israele, stimato dagli altri 007, Suleiman è stato a lungo considerato come il possibile successore di Mubarak. Il raìs, invece, aveva proposto un "sentiero" diverso: Suleiman diventa vice, quindi prende il posto di Mubarak e lascia infine la poltrona al figlio del raìs, Gamal. Il piano è però saltato per l’opposizione della vecchia guardia. E la spia è tornata a fare il suo mestiere nell’ombra. Poi è esplosa la rivolta e, in altre epoche, l’ufficiale avrebbe perso il posto perché non ha previsto la tempesta. Invece Soleiman, detto "l’aggiustatore", è arrivato alla sommità del potere, sospinto da una parte dei suoi colleghi in divisa. Ma sono in molti a credere che difficilmente i dimostranti accetteranno colui che è stato la guardia del corpo del regime. Guido Olimpio 29 gennaio 2011
IL BLACKOUT INFORMATICO Internet, in Egitto è stato spento così Richiesta agli operatori che hanno bloccato i router web IL BLACKOUT INFORMATICO Internet, in Egitto è stato spento così Richiesta agli operatori che hanno bloccato i router web MILANO - La sommossa egiziana ha indotto il governo di Mubarak a sospendere le connessioni Internet degli utenti, bloccando le comunicazioni. Uno spegnimento progressivo che ha interessato prima Twitter (da martedì), poi Facebook e Google (da mercoledì) e ora la quasi totalità delle connessioni private e dei siti web. Ma come è tecnicamente possibile che un governo inibisca le comunicazioni sul web? Anche in Egitto la rete telefonica, sui cui viaggiano pure i dati Internet, non è posseduta dallo stato, quindi il presidente Mubarak non ha un interruttore da spegnere. L'interruttore è nelle mani degli operatori, e difatti la dinamica della chiusura di quasi tutto il traffico è avvenuta per mano dei fornitori di connessione, che in Egitto sono cinque: Vodafone/Raya, Link Egypt, Telecom Egypt, Etisalat Misr e NoorGroup. I primi quattro sono stati convocati e hanno per legge dovuto obbedire alla richiesta di blocco, prima parziale e ora totale, secondo quanto riportato dalle società che monitorano il traffico internet mondiale come Renesys . SNODO FONDAMENTALE - Si volesse rappresentare graficamente la rete mondiale, oggi l'Egitto sarebbe un buco nero, attraverso cui passano solo i dati che attraversano il Paese con mittente e destinatario internazionali. L'Egitto infatti è uno snodo fondamentale per i cavi che mettono in comunicazione Europa e Asia. Tutte le altre comunicazioni, quelle interne e quelle che partono o arrivano in Egitto, invece sono impossibili. Con un'unica eccezione: l'unico operatore internet attualmente è raggiungibile è Noor Group, che gestisce le connessioni della borse valori egiziana e che – finora quantomeno – è accessibile. Per far questa operazione di censura è stato sufficiente intervenire sui router, equivalenti degli snodi che regolano le autostrade digitali. Ogni operatore ha "ordinato" al router di non far passare prima le comunicazioni su Twitter, poi quelle su Facebook e Google e infine ha definitivamente chiuso gli snodi. E il gioco è fatto: blackout delle comunicazioni. BLACKOUT RAPIDO - Dopo aver bloccato i router che regolano il traffico internet, il governo di Mubarak ha fatto lo stesso con gli sms e le telefonate via cellulare in alcune parti del Paese, come confermato attraverso un breve comunicato di Vodafone Egypt, utilizzando il sito corporate internazionale, visto che quello locale è inaccessibile. Anche in questo caso la dinamica dello spegnimento è identica alla prima, dato che la rete di comunicazione è una: anziché bloccare le comunicazioni al web sono state in questo caso inibite quelle dei messaggi di testo e quelle vocali selezionate geograficamente. I router sono gli stessi e hanno la stessa funzione. Al di là della tecnica del blackout, quello che ha reso possibile il disegno è stata la legge egiziana, che consente al governo di obbligare gli operatori a spegnere la luce. E il fatto che gli operatori presenti sul territorio nazionale fossero così pochi (non ci sono Internet provider piccoli come invece generalmente accade altrove) ha fatto sì che le comunicazioni siano state spente in tutto il paese in un arco di tempo molto breve: 13 minuti. Il pluralismo in questo caso avrebbe quantomeno rallentato l'esecuzione. Gabriele De Palma 29 gennaio 2011
30/01/2011 MUBARAK NON HA CAPITO Scritto da: Lorenzo Cremonesi alle 12:49 Troppo tardi e troppo poco. La scelta di Hosni Mubarak di nominare il massimo responsabile dell'intelligence militare, Omar Suleiman, a suo vice sembra dimostrare quanto il presidente egiziano speri ancora nella continuità del suo regime. Nulla a che fare con la richiesta di cambiamento radicale che arriva dalle piazze. Se almeno avesse coinvolto direttamente un laico moderato come Muhammad ElBaradei, il messaggio sarebbe stato che la nomenklatura ha capito di dover accettare un mutamento profondo, totale, strutturale. Ma ciò non avviene. Conscio della recente esperienza tunisina, Mubarak è nel dilemma: se ordina la repressione ancora più brutale c'è il rischio che il bagno di sangue alimenti ancor più la rabbia delle strade, se invece fa concessioni le sue aperture possono essere percepite come debolezza e invogliare le folle a dare uno spintone in più nella speranza che si sia ormai prossimi al collasso. L'opzione Suleiman indica comunque che alcune scelte Mubarak le ha fatte. Dimostra di appoggiarsi ai militiari. In Tunisia sono stati loro ad abbandonare Ben Ali, costringendolo all'esilio. Evidenzia la necessità di usare le maniere forti, prima di, eventualmente, fare aperture politiche alle opposizioni. Ribadisce la sua scelta di allearsi alle forze filo-occidentali: Suliman ha un lungo passato di collaborazione con gli Stati Uniti. Eppure tutto questo appare drammaticamente lontano dalle piazze in fiamme. I Fratelli Musulmani sono alle porte, rappresentano il gruppo meglio organizzato. Non c'è dubbio che ora cercheranno di lavorare al massimo per ottenere il loro fine, che non è la presa del potere, bensì l'islamizzazione della società. In Egitto manca la potente e altamente scolarizzata classe media tunisina. Qui caos significa immediatamente saccheggi e violenze. Mubarak non ha futuro. L'eventuale normalizzazione passa dalla sua presa d'atto di questa evidenza: il suo tempo è finito. Deve lavorare per creare una successione indolore aperta al nuovo. In Tunisia per ora ciò sembra possibile. In Egitto sino ad ora no.
2011-01-29 "La famiglia del presidente È a Londra". MA LA TV DI STATO SMENTISCE Egitto, la polizia apre il fuoco Suleiman nominato vicepresidente Il ruolo era vacante dall'ascesa al potere di Mubarak, trent'anni fa. Al Cairo assalto al ministero dell'Interno * NOTIZIE CORRELATE * Monito di Obama: "Rispettare i diritti di chi manifesta" (29 gennaio 2011) * Mubarak: "Basta violenze, subito un nuovo governo" (28 gennaio 2011) * Guerriglia in Egitto: 20 morti, 1000 feriti. Esercito in strada, quattrocento arresti. Fermato ElBaradei (28 gennaio 2011) * Cairo, in piazza proteste anti-Mubarak. Scontri con la polizia, tre morti (25 gennaio 2011) * MULTIMEDIA: Tutte le immagini e i video dell'escalation egiziana * LA SCHEDA: Dalla giornata della collera alle dimissioni del governo: i quattro giorni che hanno infiammato l'Egitto "La famiglia del presidente È a Londra". MA LA TV DI STATO SMENTISCE Egitto, la polizia apre il fuoco Suleiman nominato vicepresidente Il ruolo era vacante dall'ascesa al potere di Mubarak, trent'anni fa. Al Cairo assalto al ministero dell'Interno Manifestanti su un carroarmato a piazza Tahrir (Reuters) Manifestanti su un carroarmato a piazza Tahrir (Reuters) MILANO - Nuova giornata di tensione in Egitto, dove da cinque giorni sono in corso scontri tra manifestanti anti-governativi e forze dell'ordine e dove il presidente Hosni Mubarak ha annunciato l'azzeramento dell'esecutivo e la rapida formazione di un nuovo governo. Le dimissioni ufficiali dei ministri sono state annunciate sabato dalla tv di Stato e il presidente ha convocato nel pomeriggio un vertice di crisi. Il ministro dell'aviazione civile Ahmed Shafik è stato incaricato di formare il nuovo governo (succede ad Ahmed Nazif) e il capo dei servizi segreti Omar Suleiman è stato nominato vicepresidente. Si tratta di una svolta: è la prima volta che Mubarak nomina un vice dalla sua ascesa al potere, trent'anni fa. Suleiman, 75 anni, è una personalità di rilievo e da più parti è sconsiderato il candidato del Partito nazional democratico per le prossime elezioni presidenziali. USA: "NON BASTA" - Le autorità egiziane "non possono semplicemente mescolare le carte e rimanere fermi". Lo ha affermato, con un messaggio su Twitter, il portavoce del Dipartimento di Stato americano, P.J. Crowley, chiedendo a Mubarak di portare avanti un programma di riforme, oltre a cambiare il governo in carica: "È ora che faccia seguire fatti concreti alle sue parole". Un concetto già espresso in modo esplicito dal presidente Obama. Intanto la tv Al Jazeera, attraverso il proprio sito web, ha annunciato che Suzanne Mubarak, consorte del presidente egiziano, è fuggita a Londra, insieme ai due figli Alaa e Gamal, considerato il delfino. La notizia è stata però smentita dalla tv di Stato. LA POLIZIA SPARA - Nelle piazze continua la mobilitazione e cresce la tensione: il governo dimissionario ha esteso il coprifuoco al Cairo, ad Alessandria e a Suez anticipandolo alle 16 di sabato (le 15 in Italia) e fino alle 8 di domenica e ha fatto sapere che "l'esercito ha l'ordine di usare la mano pesante con chi lo violerà". Poco prima della scadenza dei termini, che peraltro almeno in 50mila al Cairo non hanno rispettato sfidando la reazione dei militari, un migliaio di persone ha tentato di assaltare la sede del ministero dell'Interno. Secondo quanto ha riferito Al Jazeera la polizia ha aperto il fuoco per respingere i manifestanti e tre di questi sarebbero morti. Un altro gruppo di dimostranti ha fatto irruzione nel Museo Egizio, riuscendo a danneggiare due mummie di faraoni prima di essere ricacciato all'esterno dagli agenti intervenuti in forze. Carroarmati nelle piazze Carroarmati nelle piazze Carroarmati nelle piazze Carroarmati nelle piazze Carroarmati nelle piazze Carroarmati nelle piazze Carroarmati nelle piazze Carroarmati nelle piazze ESECUZIONI SOMMARIE? - I Fratelli Musulmani, principale forza di opposizione in Egitto, hanno espresso forte preoccupazione per alcune voci che parlano della possibile uccisione di militanti del gruppo rinchiusi in carcere: "Circolano notizie sull'uccisione da parte della polizia di molti dei nostri militanti ancora in carcere - ha detto il dirigente Mohammed al-Baltaji -. Siamo preoccupati perché nelle carceri egiziane c'è metà del nostro gruppo dirigente, arrestato per le proteste in corso". Un detenuto nel carcere di al-Qatta, nella zona di Giza, ha detto che la polizia ha ucciso 70 suoi compagni di prigionia per prevenire una sommossa. Qualche ora prima le tv arabe avevano riferito di scontri a fuoco in due penitenziari, dove sono detenuti anche molti islamici, per evitare tentativi di evasione. Centinaia di detenuti sarebbero riusciti a fuggire nella notte da alcuni commissariati del Cairo, approfittando del caos. Nella capitale un incendio ha inoltre danneggiato il tribunale di al-Jala, dove in passato sono stati processati molti militanti del movimento giovanile "6 Aprile", in prima fila nella protesta contro Mubarak. Nuovi scontri all'alba ALTRE CITTÀ - Già in mattinata gli agenti, appoggiati dall'esercito, avevano sparato colpi al Cairo in una via laterale del centro che conduce a piazza Tahrir dove era in corso un raduno di protesta ma non è chiaro se si siano stati utilizzati proiettili veri o di gomma. Anche ad Alessandria, dove in mattinata Al Jazeera parlava di una ventina di cadaveri, le forze dell'ordine hanno aperto il fuoco sui dimostranti, contro cui hanno anche lanciato molti candelotti di gas lacrimogeno. Violenti scontri tra manifestanti e poliziotti si sono registrati poi a Ismailiya. Secondo quanto riferisce Al Arabiya, reparti della polizia, che avevano lasciato la città venerdì notte, sono tornati nella zona centrale e sono stati protagonisti di cariche a cui la folla ha risposto con lancio di sassi. I mezzi di informazione diffondono notizie di morti in diverse località, ma non ci sono riscontri ufficiali ed è difficile fare un bilancio complessivo delle vittime. Al Jazeera parla di 100 morti nella sola giornata di venerdì (per il governo sarebbero 38), quando ci sono stati gli scontri più intensi dopo la "giornata della collera" che ha dato inizio alla tensione. "MUBARAK LASCI O SARÀ INTIFADA" - Secondo Mohammed ElBaradei, uno dei leader delle opposizioni, il discorso tv di Mubarak "offensivo". L'ex capo dell'agenzia atomica mondiale ha anzi ribadito che è proprio il presidente quello che "se ne deve andare", non solo i ministri. Parlando ai microfoni di France24, il premio Nobel per la pace 2005 ha detto che il discorso di Mubarak è "un insulto all'intelligenza" dei cittadini egiziani e "una provocazione". Venerdì ElBaradei era stato sottoposto a fermo e sottoposto per alcune ore agli arresti domiciliari. All'emittente, che lo aveva contattato in mattinata, ha spiegato di trovarsi ancora in casa e di non vedere soldati davanti all'abitazione. Il leader dell'opposizione ha parlato anche ad Al Jazeera, confermando l'intenzione di scendere in piazza al fianco dei manifestanti "contro il regime dittatoriale". E assicurando che "se il regime non cade, l'intifada del popolo continuerà". "Serve una nuova costituzione", ha detto ElBaradei sottolineando che "il popolo ha diritto a chiedere il cambiamento in modo pacifico". Quindi ha esortato gli Usa a schierarsi apertamente con l'opposizione e non con il regime. MUBARAK "SCARICATO" - Chiara anche la posizione del segretario della Lega Araba Amr Moussa, egiziano, secondo cui "la politica in Egitto va cambiata": "Bisogna prendere in considerazione la rabbia del popolo - ha detto -. Sono in corso consultazioni serie e ad alto livello per decidere come gestire la situazione". I Fratelli Musulmani hanno lanciato un appello per una transizione pacifica del potere. Yussef el Qaradawi, uno dei più influenti e seguiti predicatori ed esponenti religiosi del mondo arabo ha chiesto che Mubarak lasci il potere e il Paese, esortando al tempo stesso i manifestanti a non ricorrere alla violenza. L'ultraottantenne teologo sunnita, egiziano di nascita ma che risiede attualmente nel Qatar, conduce sul Al Jazeera un seguitissimo programma, "La sharia e la vita", ed è uno degli autori del sito IslamOnline. Di tendenza integralista, ha pubblicato decine di libri, è uno degli sheikh più autorevoli dell'Islam sunnita e guida l'Unione internazionale del ulema (teologi) musulmani. Il segretario generale del Partito nazional democratico, Ahmad Ezz, considerato molto vicino al presidente egiziano, si è dimesso dal suo ruolo. Attestati di solidarietà a Mubarak sono invece arrivati dal re saudita Abdullah e dal leader libico, Muammar Gheddafi. ITALIANI NON COINVOLTI - I servizi di telefonia mobile, che venerdì erano stati bloccati dalle autorità in tutto in Paese così come i servizi internet, hanno ripreso parzialmente a funzionare in mattinata. Per il momento non risulta che ci siano italiani coinvolti nelle località dove infuriano gli scontri. Il ministero degli Esteri e l'ambasciata italiana al Cairo continuano a mantenersi in stretto contatto, così come prosegue l'attività di sensibilizzazione nei confronti dei connazionali presenti in Egitto ad adottare le più opportune misure di cautela e a evitare spostamenti non necessari. TIMORI NEGLI USA E NELL'UE - L'escalation egiziana è seguita molto da vicino dalla comunità internazionale e in particolare dagli Stati Uniti, preoccupati che l'insabilità del Paese possa avere ripercussioni anche sui fragili equilibri dell'intera area mediorientale. Il presidente Barack Obama, ha telefonato a Mubarak esortandolo a mantenere la calma e a garantire il diritto dei manifestanti di esprimere la propria opinione, senza che vi siano ferimenti o predite di vite. Dall'Unione Europea è arrivato un appello perché "cessino le violenze e lo spargimento di sangue" e vengano liberate le persone arrestate per motivi politici. Il presidente Herman Van Rompuy si è detto "profondamente sconvolto per la spirale della violenza che porta a una situazione che rende ancora più difficile il dialogo" e ha fatto appello al rispetto per i diritti umani fondamentali. La situazione in Egitto sarà discussa lunedì al vertice dei ministri degli Esteri della Ue. Redazione Online 29 gennaio 2011
IL BLACKOUT INFORMATICO Internet, in Egitto è stato spento così Richiesta agli operatori che hanno bloccato i router web IL BLACKOUT INFORMATICO Internet, in Egitto è stato spento così Richiesta agli operatori che hanno bloccato i router web MILANO - La sommossa egiziana ha indotto il governo di Mubarak a sospendere le connessioni Internet degli utenti, bloccando le comunicazioni. Uno spegnimento progressivo che ha interessato prima Twitter (da martedì), poi Facebook e Google (da mercoledì) e ora la quasi totalità delle connessioni private e dei siti web. Ma come è tecnicamente possibile che un governo inibisca le comunicazioni sul web? Anche in Egitto la rete telefonica, sui cui viaggiano pure i dati Internet, non è posseduta dallo stato, quindi il presidente Mubarak non ha un interruttore da spegnere. L'interruttore è nelle mani degli operatori, e difatti la dinamica della chiusura di quasi tutto il traffico è avvenuta per mano dei fornitori di connessione, che in Egitto sono cinque: Vodafone/Raya, Link Egypt, Telecom Egypt, Etisalat Misr e NoorGroup. I primi quattro sono stati convocati e hanno per legge dovuto obbedire alla richiesta di blocco, prima parziale e ora totale, secondo quanto riportato dalle società che monitorano il traffico internet mondiale come Renesys . SNODO FONDAMENTALE - Si volesse rappresentare graficamente la rete mondiale, oggi l'Egitto sarebbe un buco nero, attraverso cui passano solo i dati che attraversano il Paese con mittente e destinatario internazionali. L'Egitto infatti è uno snodo fondamentale per i cavi che mettono in comunicazione Europa e Asia. Tutte le altre comunicazioni, quelle interne e quelle che partono o arrivano in Egitto, invece sono impossibili. Con un'unica eccezione: l'unico operatore internet attualmente è raggiungibile è Noor Group, che gestisce le connessioni della borse valori egiziana e che – finora quantomeno – è accessibile. Per far questa operazione di censura è stato sufficiente intervenire sui router, equivalenti degli snodi che regolano le autostrade digitali. Ogni operatore ha "ordinato" al router di non far passare prima le comunicazioni su Twitter, poi quelle su Facebook e Google e infine ha definitivamente chiuso gli snodi. E il gioco è fatto: blackout delle comunicazioni. BLACKOUT RAPIDO - Dopo aver bloccato i router che regolano il traffico internet, il governo di Mubarak ha fatto lo stesso con gli sms e le telefonate via cellulare in alcune parti del Paese, come confermato attraverso un breve comunicato di Vodafone Egypt, utilizzando il sito corporate internazionale, visto che quello locale è inaccessibile. Anche in questo caso la dinamica dello spegnimento è identica alla prima, dato che la rete di comunicazione è una: anziché bloccare le comunicazioni al web sono state in questo caso inibite quelle dei messaggi di testo e quelle vocali selezionate geograficamente. I router sono gli stessi e hanno la stessa funzione. Al di là della tecnica del blackout, quello che ha reso possibile il disegno è stata la legge egiziana, che consente al governo di obbligare gli operatori a spegnere la luce. E il fatto che gli operatori presenti sul territorio nazionale fossero così pochi (non ci sono Internet provider piccoli come invece generalmente accade altrove) ha fatto sì che le comunicazioni siano state spente in tutto il paese in un arco di tempo molto breve: 13 minuti. Il pluralismo in questo caso avrebbe quantomeno rallentato l'esecuzione. Gabriele De Palma 29 gennaio 2011
29/01/2011 Medio Oriente: il sogno di Bush realizzato con altri mezzi Scritto da: Lorenzo Cremonesi alle 08:15 In modo del tutto inaspettato, almeno dai grandi media, ciò che sta avvenendo in queste settimane è la realizzazione del vecchio progetto neocons Usa per la creazione di un Medio Oriente democratico. Con il particolare fondamentale che ora la democrazia non viene "importata" dall'Occidente, come George Bush si era proposto di fare invadendo l'Iraq, ma nasce dal basso, scoppia letteralmente nel cuore dei regimi arabi. E proprio questa qualità autoctona conferisce al fenomeno un carattere autentico, dirompente, pregnante. Il fatto curioso è che sino a poco fa la tesi più diffusa era che il fallimento del progetto Usa (in Iraq come in Afghanistan) fosse dovuto al fatto che le società del Medio Oriente allargato avessero dimostrato di non essere pronte alla democrazia. Manca l'humus della società civile, dei media liberi, dei sindacati indipendenti, dei partiti, si diceva. Può essere: uno dei limiti della rivoluzione tunisina è proprio la disorganizzazione delle vecchie opposizioni all'ex regime di Ben Ali e in Egitto occorre ancora capire il collante tra avanguardie di giovani che si comunicano via facebook e rabbia delle masse disoccupate. Sempre in Egitto va ancora da valutare la capacità di mobilitazione e peso sulla piazza da parte dei Fratelli Musulmani. Però è indubbio che dall'Egitto allo Yemen c'è una grossa voglia di lottare per democrazia, eguaglianza, diritti civili, fine delle gerontocrazie, fine dei regimi di polizia e fine delle ingiustizie sociali. E' uno slancio che commuove ed eccita. Ricorda "la primavera della nazioni" dell'Europa nel 1848, riporta ai principi della Rivoluzione Francese, alla caduta del muro di Berlino nel 1989. Ancora non sappiamo dove tutto questo porterà davvero. Conforta enormemente che per una volta gli slogan di lotta non siano contro gli Stati Uniti o contro Israele. Le masse del mondo arabo questa volta prendono in mano il loro destino, si assumono le loro responsabilità, non si lasciano manipolare dalle vecchie teorie del "complotto" ai loro danni da "forze oscure straniere". Un'evidenza che già in sè è rivoluzionaria.
LE FORZE ARMATE EGIZIANE I generali "colombe" restano a guardare I militari cercano di non farsi coinvolgere nella repressione voluta da Mubarak. Il ruolo degli Usa LE FORZE ARMATE EGIZIANE I generali "colombe" restano a guardare I militari cercano di non farsi coinvolgere nella repressione voluta da Mubarak. Il ruolo degli Usa WASHINGTON – Tutti guardano all’esercito. La Casa Bianca, i dimostranti e l’ala politica del regime. Il presidente Mubarak ha ordinato di imporre il coprifuoco a partire dalle 16 locali ma la gente lo ha ignorato. Mentre i soldati si sono limitati a presidiare le piazze e a intervenire – per ora – in casi estremi, come davanti alla Banca centrale, assalita dai manifestanti. Molti osservatori non escludono che le forze armate (468 mila uomini), che pure sono parte del regime, stiano cercando di calmare la situazione senza ricorrere ad un uso eccessivo della forza. Se i contestatori attaccano, i soldati rispondono, altrimenti restano in attesa. Oppure muovono per neutralizzare le bande di saccheggiatori che sfruttano il clima di rivolta. GENERALI "MORBIDI" - Per alcuni osservatori, in caso estremo, i militari potrebbero cercare di favorire una transizione morbida del potere. In questo scenario, Mubarak se ne va e l’esercito svolge un ruolo di tutela. Sempre i generali cercherebbero di evitare – per quanto è possibile – di essere coinvolti nella repressione. Se schiacciano la contestazione possono salvare la testa del Faraone, che pure ha beneficiato e coccolato i gradi più alti, ma perdono la loro integrità morale. Negli ultimi due giorni il rapporto all’interno della nomenklatura si sarebbe fatto più difficile. La tv Al Jazeera ha sostenuto che si è verificato un duro braccio di ferro tra lo stato maggiore e lo stesso presidente. Il leader avrebbe chiesto all’esercito di agire con durezza ma il generale Sami Annan si è opposto. L’alto ufficiale era negli Usa per una serie di incontri ma è tornato precipitosamente in patria. La sua presenza – per altre ragioni - nella capitale americana ha sollevato varie ipotesi su un possibile coordinamento con l’alleato americano. E a questo proposito si sottolinea che gli Usa garantiscono alle forze armate egiziane aiuti per 1,3 miliardi l'anno e sono dunque in grado di fare delle pressioni. PREVISIONI DIFFICILI - Ma tutto è così fluido – avvertono fonti diplomatiche di Washington – che è difficile fare una previsione su cosa possa accadere nelle prossime ore. La repentina cacciata di Ben Alì dalla Tunisia dimostra che può accadere di tutto. La decisione di Mubarak di creare la posizione di vice presidente affidandola al capo dell’intelligence Omar Suleiman è un altro segnale che qualcosa sta per cambiare davvero. Lo 007, uomo di mediazione e con ottime entrature internazionali, è stato spesso considerato tra i possibili successori del raìs. Guido Olimpio 29 gennaio 2011
riattivate le comunicazioni telefoniche. Gli occhi del mondo puntati sul Cairo Egitto, nuova giornata di proteste Al Jazeera: "20 cadaveri ad Alessandria" Evasi centinaia di detenuti comuni, in fiamme il tribunale del Cairo. Mobilitazione anche in altre città del Paese * NOTIZIE CORRELATE * Monito di Obama: "Rispettare i diritti di chi manifesta" (29 gennaio 2011) * Mubarak: "Basta violenze, subito un nuovo governo" (28 gennaio 2011) * Guerriglia in Egitto: 20 morti, 1000 feriti. Esercito in strada, quattrocento arresti. Fermato ElBaradei (28 gennaio 2011) * Cairo, in piazza proteste anti-Mubarak. Scontri con la polizia, tre morti (25 gennaio 2011) riattivate le comunicazioni telefoniche. Gli occhi del mondo puntati sul Cairo Egitto, nuova giornata di proteste Al Jazeera: "20 cadaveri ad Alessandria" Evasi centinaia di detenuti comuni, in fiamme il tribunale del Cairo. Mobilitazione anche in altre città del Paese Carroarmati in piazza Tarir, nel cuore della capitale egiziana (Ap) Carroarmati in piazza Tarir, nel cuore della capitale egiziana (Ap) MILANO - Una nuova giornata di tensione si annuncia in Egitto, dove da giorni sono in corso scontri tra manifestanti anti-governativi e forze dell'ordine e dove il presidente Hosni Mubarak ha annunciato l'azzeramento dell'esecutivo e la rapida formazione di un nuovo governo. La polizia, appoggiata dall'esercito, ha esploso colpi in una via laterale del centro del Cairo che conduce a piazza Tahrir dove è in corso un raduno di protesta ma non è chiaro se si siano stati sparati proiettili veri o solo di gomma. La circostanza è riferita dalle agenzie di stampa che citano testimoni presenti in loco. Dopo gli spari i manifestanti si sono momentaneamente dispersi. Tuttavia sta crescendo, e secondo fonti giornalistiche ha raggiunto l'ordine delle "migliaia", il numero di persone che si stanno radunando nel centro del Cairo per dare vita a nuove forme di protesta. "20 CADAVERI AD ALESSANDRIA" - Una nuova manifestazione contro il presidente egiziano Hosni Mubarak si sta svolgendo anche nella cittá di Alessandria. Secondo la tv araba Al Jazeera alcune centinaia di persone si sono riunite davanti la moschea 'al-Ibrahim', dove già ieri era partito un primo corteo contro il governo. La tv satellitare araba sostiene inoltre che il suo corrispondente ha visto più di 20 cadaveri di manifestanti. Violenti scontri tra manifestanti e agenti di polizia si registrano invece nella città egiziana di Ismailiya. Secondo quanto riferisce Al Arabiya, reparti della polizia, che avevano lasciato la città ieri notte, sono tornati nel centro di Ismailiya. La tv riferisce di cariche della polizia contro i manifestanti, che rispondono lanciando sassi contro gli agenti. Nel frattempo, i servizi di telefonia mobile, che venerdì erano stati bloccati dalle autorità in tutto in Paese così come i servizi Internet, hanno ripreso parzialmente a funzionare in mattinata. Nuovi scontri all'alba DETENUTI IN FUGA - Alcune centinaia di detenuti comuni, presenti ieri sera nelle celle di sicurezza di alcuni commissariati del Cairo, sarebbero riusciti a fuggire nella notte approfittando del caos che regnava in città. Secondo l'inviato di Al Jazeera per alcune ore c'è stato un vuoto nella gestione della sicurezza, in particolare quando la responsabilità è passata dalla polizia all'esercito, e in quei momenti molte persone detenute in attesa di giudizio sono riuscite ad evadere. In questo momento un vasto incendio sta interessando il tribunale di al-Jala, al Cairo, dove in passato sono stati processati anche molti militanti del movimento giovanile "6 aprile", in prima fila nella protesta contro Mubarak. TIMORI NEGLI USA - L'escalation egiziana è seguita molto da vicino dalla comunità internazionale e in particolare dagli Stati Uniti, preoccupati che l'insabilità del Paese possa avere ripercussioni anche sui fragili equilibri dell'intera area mediorientale. Il presidente Usa, Barack Obama, ha telefonato a Mubarak esortandolo a mantenere la calma e a garantire il diritto dei manifestanti di esprimere la propria opinione, senza che vi siano ferimenti o predite di vite. Redazione Online 29 gennaio 2011
riattivate le comunicazioni telefoniche. Gli occhi del mondo puntati sul Cairo Egitto, nuova giornata di proteste Al Jazeera: "20 cadaveri ad Alessandria" Evasi centinaia di detenuti comuni, in fiamme il tribunale del Cairo. Mobilitazione anche in altre città del Paese * NOTIZIE CORRELATE * Monito di Obama: "Rispettare i diritti di chi manifesta" (29 gennaio 2011) * Mubarak: "Basta violenze, subito un nuovo governo" (28 gennaio 2011) * Guerriglia in Egitto: 20 morti, 1000 feriti. Esercito in strada, quattrocento arresti. Fermato ElBaradei (28 gennaio 2011) * Cairo, in piazza proteste anti-Mubarak. Scontri con la polizia, tre morti (25 gennaio 2011) riattivate le comunicazioni telefoniche. Gli occhi del mondo puntati sul Cairo Egitto, nuova giornata di proteste Al Jazeera: "20 cadaveri ad Alessandria" Evasi centinaia di detenuti comuni, in fiamme il tribunale del Cairo. Mobilitazione anche in altre città del Paese Carroarmati in piazza Tarir, nel cuore della capitale egiziana (Ap) Carroarmati in piazza Tarir, nel cuore della capitale egiziana (Ap) MILANO - Una nuova giornata di tensione si annuncia in Egitto, dove da giorni sono in corso scontri tra manifestanti anti-governativi e forze dell'ordine e dove il presidente Hosni Mubarak ha annunciato l'azzeramento dell'esecutivo e la rapida formazione di un nuovo governo. La polizia, appoggiata dall'esercito, ha esploso colpi in una via laterale del centro del Cairo che conduce a piazza Tahrir dove è in corso un raduno di protesta ma non è chiaro se si siano stati sparati proiettili veri o solo di gomma. La circostanza è riferita dalle agenzie di stampa che citano testimoni presenti in loco. Dopo gli spari i manifestanti si sono momentaneamente dispersi. Tuttavia sta crescendo, e secondo fonti giornalistiche ha raggiunto l'ordine delle "migliaia", il numero di persone che si stanno radunando nel centro del Cairo per dare vita a nuove forme di protesta. "20 CADAVERI AD ALESSANDRIA" - Una nuova manifestazione contro il presidente egiziano Hosni Mubarak si sta svolgendo anche nella cittá di Alessandria. Secondo la tv araba Al Jazeera alcune centinaia di persone si sono riunite davanti la moschea 'al-Ibrahim', dove già ieri era partito un primo corteo contro il governo. La tv satellitare araba sostiene inoltre che il suo corrispondente ha visto più di 20 cadaveri di manifestanti. Violenti scontri tra manifestanti e agenti di polizia si registrano invece nella città egiziana di Ismailiya. Secondo quanto riferisce Al Arabiya, reparti della polizia, che avevano lasciato la città ieri notte, sono tornati nel centro di Ismailiya. La tv riferisce di cariche della polizia contro i manifestanti, che rispondono lanciando sassi contro gli agenti. Nel frattempo, i servizi di telefonia mobile, che venerdì erano stati bloccati dalle autorità in tutto in Paese così come i servizi Internet, hanno ripreso parzialmente a funzionare in mattinata. Nuovi scontri all'alba DETENUTI IN FUGA - Alcune centinaia di detenuti comuni, presenti ieri sera nelle celle di sicurezza di alcuni commissariati del Cairo, sarebbero riusciti a fuggire nella notte approfittando del caos che regnava in città. Secondo l'inviato di Al Jazeera per alcune ore c'è stato un vuoto nella gestione della sicurezza, in particolare quando la responsabilità è passata dalla polizia all'esercito, e in quei momenti molte persone detenute in attesa di giudizio sono riuscite ad evadere. In questo momento un vasto incendio sta interessando il tribunale di al-Jala, al Cairo, dove in passato sono stati processati anche molti militanti del movimento giovanile "6 aprile", in prima fila nella protesta contro Mubarak. TIMORI NEGLI USA - L'escalation egiziana è seguita molto da vicino dalla comunità internazionale e in particolare dagli Stati Uniti, preoccupati che l'insabilità del Paese possa avere ripercussioni anche sui fragili equilibri dell'intera area mediorientale. Il presidente Usa, Barack Obama, ha telefonato a Mubarak esortandolo a mantenere la calma e a garantire il diritto dei manifestanti di esprimere la propria opinione, senza che vi siano ferimenti o predite di vite. Redazione Online 29 gennaio 2011
L'APPELLO al paese trasmesso in diretta anche dalle tv usa Mubarak: "Basta violenze, subito un nuovo governo" Il presidente in tv difende le forze di sicurezza: "Dispiaciuto per le vittime. Ora le riforme" * NOTIZIE CORRELATE * Obama: "Rispettare i diritti di chi manifesta" (29 gennaio 2011) * Guerriglia in Egitto: 20 morti, 1000 feriti (28 gennaio 2011) L'APPELLO al paese trasmesso in diretta anche dalle tv usa Mubarak: "Basta violenze, subito un nuovo governo" Il presidente in tv difende le forze di sicurezza: "Dispiaciuto per le vittime. Ora le riforme" Hosni Mubarak (Ansa) Hosni Mubarak (Ansa) IL CAIRO - "Questa sera ho chiesto al governo di dimettersi e domattina darò l'incarico per formare il nuovo esecutivo". Queste le parole del presidente Mubarak in diretta tv. Dopo una nuova giornata di scontri il presidente egiziano Hosni Mubarak ha parlato al Paese. "Interrompere immediatamente gli atti di violenza e di sabotaggio" è stato l'appello rivolto ai manifestanti pur difendendo le azioni delle forze di sicurezza egiziane. "DIALOGO NAZIONALE" - Le violenze di queste ore sono un "complotto per destabilizzare la società" ha detto il presidente sottolineando che "i nostri obiettivi non saranno raggiunti con la violenza ma con il dialogo nazionale". "Sono estremamente dispiaciuto per le vittime" e ha accusato "infiltrati" di aver provocato il caos. LE RIFORME - Quindi Mubarak ha confermato che non lascerà il potere ma insedierà un nuovo governo. Mubarak ha aggiunto anche che promuoverà la realizzazione di riforme sociali, economiche e politiche. Nel discorso il presidente egiziano ha detto di essere "dalla parte dei poveri", ha ribadito la volontà di "garantire la libertà di espressione, nel rispetto della legge e della costituzione". Negli Stati Uniti la Cnn, la Abc, la Fox e le altre principali emittenti nazionali hanno trasmesso in diretta il discorso. Redazione online 28 gennaio 2011(ultima modifica: 29 gennaio 2011)
2011-01-28 REtata tra i Feratelli Musulmani, bloccati Internet ed Sms Un morto e decine di feriti in piazza al Cairo. Fermato ElBaradei Il governo chiede a Vodafone di sospendere la copertura. L'operatore "ubbidisce". Oscurato anche Internet REtata tra i Feratelli Musulmani, bloccati Internet ed Sms Un morto e decine di feriti in piazza al Cairo. Fermato ElBaradei Il governo chiede a Vodafone di sospendere la copertura. L'operatore "ubbidisce". Oscurato anche Internet MILANO - Sangue nelle strade del Cairo anche oggi. Testimoni citati da un collegamento in diretta di al Jazira hanno detto che in piazza Tahrir ci sono morti. Secondo l'emittente il primo bilancio del "venerdì della collera" starebbe di un morto e decine di feriti. Gli oppositori del presidente Hosni Mubarak lo avevano denominato il Venerdì della Rabbia e i fatti hanno confermato che non si trattava soltanto di uno slogan: in tutto l'Egitto, la rabbia popolare è esplosa davvero, ancora più di quanto non fosse avvenuto nei giorni precedenti. E, come previsto e annunciato, è dilagata subito dopo le tradizionali preghiere del riposo settimanale islamico. NELLA MOSCHEA - L'ex capo dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) Mohammed ElBaradei, che era tornato in Egitto giovedì candidandosi a guidare la transizione, è stato fermato dalla polizia, riporta Al-Jazeera. La polizia ha usato manganelli per disperdere il cordone di manifestanti che si era formato attorno a ElBaradei per proteggerlo dall'intervento delle forze dell'ordine. I suoi sostenitori sono quindi stati picchiati dalle forze dell'ordine, che per disperdere la folla hanno anche fatto uso di idranti. Al momento dello scoppio dei duri scontri tra manifestai e la polizia presso la piazza della moschea di Guiza, il premio Nobel per la pace Mohamed Elbaradei si è messo al sicuro all'interno del luogo di culto. Lo riporta un fotografo dell'agenzia Afp. CARICHE DAVANTI ALLA MOSCHEA - Al Jazira ha precisato che gli agenti hanno proibito a ElBaradei, rientrato ieri in patria, di allontanarsi dalla zona, il popolare quartiere di Giza dove nel frattempo erano divampati nuovo disordini. Al contempo, una vasta folla si è radunata nei pressi di uno dei palazzi presidenziali della capitale egiziana, reclamando a gran voce la fine del regime di Hosni Mubarak. Persino davanti alla moschea di al-Azhar, cuore dell'Islam sunnita, si sono verificate cariche della polizia contro i manifestanti, che hanno reagito con lanci di pietre e immondizia agli idranti, ai lacrimogeni e ai proiettili rivestiti in gomma utilizzati dalle forze speciali per disperderli. OSCURAMENTO- E intanto, dalla notte internet risulta inaccessibile in tutto l'Egitto e da più parti si segnalano disturbi sulla Rete. "Oggi la rete Internet è inaccessibile in Egitto", ha fatto sapere la reception di un grande albergo della capitale. Informazione confermata da altre strutture alberghiere. E anche Seabone, il maggiore provider egiziano con sede in Italia, ha riferito che non si è registrato traffico in entrata e in uscita da mezzanotte e mezza, ora locale. Il governo sembra aver bloccato la principale arma degli attivisti. I social network sono stati fondamentali per l'organizzazione delle proteste cresciute in questi giorni . Bloccato anche il servizio di sms fra cellulari. La conferema arriva anche da Vodafone. L'operatore inglese ha fatto sapere che oggi il governo egiziano ha chiesto all'azienda di sospendere la copertura in alcune aree del Paese. E Vodafone ha fatto sapere che eseguirà la richiesta e che le autorità egiziane chiariranno la situazione a tempo debito. Sarebbero almeno dieci i giornalisti arrestati, si legge sul sito di al-Masry al-Youm, secondo il quale la polizia avrebbe aggredito un gran numero di reporter, tra cui quelli della Bbc, di al-Jazeera, di al-Arabiya e di altri media locali e internazionali. L'emittente satellitare al-Jazeera ha dato notizia di quattro reporter francesi arrestati al Cairo, di un suo corrispondente, Ahmed Mansour, picchiato da poliziotti in borghese, di un reporter della Bbc ferito, sempre al Cairo, mentre seguiva le proteste. Il canale all news di Al Jazira, Mubasher, è stato "completamente oscurato in Egitto": lo afferma un producer dell'emittente araba su Twitter. Reparti della polizia avrebbero inoltre aggredito due troupe della tv satellitare al-Arabiya nel centro della capitale, sequestrando il materiale filmato. In un momento in cui molti mezzi di cominicazione sono stati oscurati è difficle trovare conferme. Idranti sulla protesta per le strade del Cairo (Ap Idranti sulla protesta per le strade del Cairo (Ap SCONTRI - Le verità sono quelle "battute" dalle agenzie. Ci sono notizie di incidenti anche ad Alessandria (dove migliaia di dimostranti si sono raccolti attorno all'ex parlamentare nasseriano Hamdiia Sabahi, possibile candidato alla presidenza) e manifestazioni ad al-Munia e a Suez. Un reporter della Bbc è stato ferito, a due troupe di Al-Arabiya è stato sequestrato il materiale filmato. Secondo Al-Jazeera, la polizia è intervenuta al Cairo all'esterno della grande moschea di al-Azhar dopo la preghiera islamica del venerdì per disperdere la folla. Cortei si stanno dirigendo in direzione di piazza Tahrir, nei pressi della presidenza del Consiglio e del Parlamento. È massiccio il dispiegamento delle forze di sicurezza nella capitale egiziana. Gli uomini dei reparti speciali sono posizionati in tutti i punti strategici, riferiscono testimoni citati dal sito web del quotidiano The Telegraph. LE ALTRE PAZZE - Non solo al Cairo, ma in tutto l'Egitto il Venerdì della collera ha riscosso partecipazione popolare. Stando a quanto riferito dai diversi testimoni oculari, da Alessandria ad Assuan, da Suez a Mansoura, decine di migliaia di persone sono scese in piazza per protestare. Le autorità non hanno invece fornito alcuna stima. La situazione in molti casi è precipitata rapidamente e dai semplici raduni e cortei seguiti alle preghiere del venerdì si è passati a scontri di piazza con le forze di sicurezza, tavolta anche molto violenti. Nella capitale gli agenti in assetto anti-sommossa hanno completamente occupato la centralissima piazza al-Tahir, teatro nei giorni scorsi delle manifestazioni più imponenti. Massicio il dispiegamento di poliziotti e soldati anche in altri punti, in particolare presso la sede della televisione di Stato e la moschea di al-Azhar, cuore dell'Islam sunnita ELBARADEI - L'ex direttore dell'Aiea non è formalmente a capo di alcun partito, ma ha formato un movimento, l'Associazione nazionale per il cambiamento, che difende la necessità di riforme democratiche e sociali. Nell'ultimo anno ElBaradei è stato oggetto di una virulenta campagna di diffamazione da parte del regime. Uomo austero, considerato fermo nelle sue convinzioni, ElBaradei, considerato anche dagli studiosi occidentali "credibile candidato" alle elezioni presidenziali del prossimo settembre, aveva suscitato la simpatia in gran parte dell'opinione pubblica egiziana. In particolare fra i giovani e le classi medie: anche all'estero, soprattutto in alcuni Paesi europei, si era guadagnato fama di coraggio e integrità per essersi opposto - quando era a capo dell'Aiea - al "teorema" dell'amministrazione Bush sull'esistenza di armi di distruzione di massa in Iraq. ARRESTI - Prima delle nuove manifestazioni, le forze di sicurezza hanno arrestato una ventina di attivisti dei Fratelli Musulmani, principale forza di opposizione: lo ha reso noto il loro avvocato, Abdel-Moneim Abdel Maqsoud, secondo cui si potrebbe in realtà trattare di un numero anche più elevato, giacché "è difficile calcolare la cifra esatta", ha affermato. Arrestati, nel raid notturno, anche i portavoce Essam El-Erian, Mohamed Mursi e Hamdy Hassan. Una fonte della sicurezza ha confermato che le autorità hanno ordinato un'operazione contro il gruppo nella notte: "Abbiamo ordini per un'operazione di sicurezza contro i Fratelli", ha detto a Reuters la fonte. OPPOSIZIONE ISLAMICA - Finora i Fratelli Musulmani si erano mantenuti relativamente ai margini delle proteste di piazza contro il regime del presidente egiziano Hosni Mubarak, lasciando ai propri militanti libertà di scelta se parteciparvi o meno. Per oggi tuttavia avrebbero deciso di scendere pure loro nelle strade, dopo le preghiere del venerdì, seguendo l'esempio del più importante dissidente del Paese, ElBaradei, rientrato in patria giovedì. Il governo ha messo in guardia i giovani manifestanti perché non consentano ai Fratelli di strumentalizzare le proteste. Rappresentanti dell'opposizione come ElBaradei sostengono che il governo usi l'opposizione islamica come scusa per mantenere la stretta autoritaria. Gli attivisti puntano a organizzare venerdì la maggiore delle manifestazioni di questi giorni, ispirate da quanto successo in Tunisia. MINACCIA - Venerdì si presenta come decisiva per le proteste contro Mubarak, le più gravi mai affrontata dal rais nei suoi oltre trent'anni di governo. Il ministero degli Interni del Cairo ha avvertito di voler prendere "misure decisive" per arginare le proteste, "in conformità alla legge". L'arresto dei membri dei Fratelli Musulmani ne un esempio. Il malcontento popolare ha da giovedì anche un volto moderato e - almeno agli occhi della comunità internazionale - credibile su cui convogliare le sue speranze di cambiamento: l'ex direttore generale dell'Aiea e premio Nobel per la pace, Mohammed ElBaradei, tornato in patria per partecipare alle proteste, che al momento hanno causato sette morti e decine di feriti. Non appena arrivato all'aeoporto internazionale del Cairo, ElBaradei ha subito cominciato la campagna per la sua candidatura a "guidare la transizione" del regime egiziano: "La volontà di cambiamento deve essere rispettata, il regime non deve utilizzare la violenza nelle manifestazioni: è un momento critico nella storia egiziana". Redazione online 28 gennaio 2011
2011-01-25 PALESTINIAN PAPERS "I palestinesi? Mandiamoli in Cile" L'idea di Condoleezza Rice. Nelle carte segrete anche la rinuncia dell'Anp al rientro totale della diaspora PALESTINIAN PAPERS "I palestinesi? Mandiamoli in Cile" L'idea di Condoleezza Rice. Nelle carte segrete anche la rinuncia dell'Anp al rientro totale della diaspora Condoleeza Rice Condoleeza Rice MILANO - Il segretario di Stato americano Condoleezza Rice aveva preso in considerazione l'idea di mandare un certo numero di palestinesi in America Latina, per trovare una soluzione parziale ai milioni di profughi impossibilitati a tornare in quella che considerano la loro terra e che ora è lo stato d'Israele . Dal canto suo l'Autorità nazionale palestinese si sarebbe detta disposta a limitare a sole 100 mila persone la quota di rifugiati destinati a rientrare in Palestina, di fatto rinunciando a quella che finora è sempre stata considerata una clausola irrinunciabile nelle trattative, il cosiddetto "ritorno". Sono due delle nuove rivelazioni emerse dai Palestinian Papers,i documenti segreti divulgati dalla tv panaraba Al Jazeera e dal quotidiano britannico Guardian e che già hanno creato non pochi problemi all'Anp e agli Stati Uniti. CILE O AMERICA LATINA- L'idea della Rice risalirebbe al 2008: "Magari potrebbero trovare paesi che contribuiscono in natura, tipo Cile, Argentina, etc", dice la Rice in uno dei documenti. La Rice aveva lanciato la proposta, apparentemente basata sul fatto che il Cile ha una consistente e storica comunità palestinese e, come l'Argentina, vaste aree di territorio scarsamente popolato, in un incontro del giugno di quell'anno tra negoziatori americani, israeliani e palestinesi a Berlino, secondo le minute consultate dal Guardian. I verbali dell'incontro non sono "parola per parola" e la Rice è identificata con le iniziali CR. La proposta di creare una sorta di stato palestinese nelle Ande, analoga a quella fatta durante il secolo scorso di "sistemare" gli ebrei in Madagascar, non era mai venuta finora in luce e potrebbe esser stata influenzata dal trasferimento di 117 profughi palestinesi in Cile tra marzo e aprile 2008, poco prima dell'incontro di Berlino. Abu Mazen Abu Mazen LA DIASPORA "TRADITA" - L'Autorità nazionale palestinese nel 2009 sarebbe stata pronta a "scaricare" milioni di rifugiati palestinesi, tanto da accettare il rientro di sole 10.000 persone della diaspora. Lo scrivono Al Jazeera e Guardian, sempre pubblicando una seconda serie di documenti dei Palestinian Papers, citando un incontro del negoziatore palestinese Saeb Erekat con l'inviato speciale Usa George Mitchel nel febbraio e nel giugno 2009. Il negoziatore palestinese Saeb Erekat, scrive il Guardian, "ha detto all'inviato speciale Usa per il Medio Oriente George Mitchell, nel febbraio 2009, che "in materia di rifugiati l'accordo c'è". In un altro incontro con il proprio staff, nel giugno dello stesso anno - sempre secondo i file pubblicati da Al Jazeera e Guardian - lo stesso Erekat "conferma al proprio staff" che il premier israeliano "Olmert ha accettato (il rientro) di 1.000 rifugiati all'anno per i prossimi 10 anni" (per un totale di 10.000 persone, ndr). Anche il presidente dell'Anp, Abu Mazen - che, nota il Guardian, è un ex rifugiato - avrebbe confermato le offerte palestinesi in conversazioni private: "Sul numero dei rifugiati, è illogico chiedere a Israele di prenderne 5 milioni, o anche un milione. Ciò significherebbe la fine di Israele". E in un altro file pubblicato da Al Jazeera, ancora Erekat nel gennaio 2010 dice al diplomatico Usa David Hale che i palestinesi hanno offerto a Israele il rientro "di un numero simbolico" di rifugiati. Secondo l'emittente satellitare, Erekat avrebbe poi detto che i rifugiati non avrebbero avuto diritto di voto su un eventuale accordo di pace con Israele. Redazione online 24 gennaio 2011(ultima modifica: 25 gennaio 2011)
2011-01-24 terrore nella capitale russa. un itaLIANO TRA I FERITI Mosca: kamikaze in aeroporto, nell'esplosione morti e feriti Scoppio all'arrivo dei voli internazionali di Domodedovo: ci sarebbero almeno 35 vittime e 130 feriti * NOTIZIE CORRELATE * La tragedia di Beslan terrore nella capitale russa. un itaLIANO TRA I FERITI Mosca: kamikaze in aeroporto, nell'esplosione morti e feriti Scoppio all'arrivo dei voli internazionali di Domodedovo: ci sarebbero almeno 35 vittime e 130 feriti Le prime immagini dell'attentato MILANO - Forte esplosione all'aeroporto di Mosca di Domodedovo, nella zona degli arrivi dei voli internazionali. Lo scoppio provocato da un attentatore suicida ha causato almeno 35 morti e 130 feriti. L'attentatore suicida è un uomo di età compresa fra i 30 e i 35 anni, con lineamenti arabi. Fonti investigative citate dall'agenzia di stampa Interfax precisano infatti che è stato ritrovata la testa del terrorista. C'è anche un italiano fra le persone ferite, il signor Rosario Romano, ma non è grave, mentre tra i morti ci sarebbe anche un britannico ed altri stranieri. LO SCOPPIO - L'esplosione si è verificata alle 16.40 locali, le 14.40 italiane. Secondo una fonte della polizia locale, è avvenuta nella zona dove vengono consegnati i bagagli. L'esplosivo usato potrebbe essere quantificato fra i cinque e dieci chili di tritolo. Il bilancio delle vittime è comunque destinato a salire anche perchè venti feriti sono in condizioni molto gravi, secondo il ministero dell'Interno. È la prima volta che un terrorista attacca un aeroporto di Mosca. LA TESTIMONIANZA - "Ho sentito un'esplosione, ho visto pannelli di plastica cadere dal soffitto e ho sentito le grida della gente. Poi ho visto alcune persone scappare", racconta Sergei Lavochkin, che si trovava nella zona arrivi dall'aeroporto Domodedovo, nel momento dell'esplosione. Mark Green, un cittadino britannico appena arrivato all'aeroporto, ha detto che lo scoppio l'ha "letteralmente scosso. Mentre stavamo mettendo le borse nella macchina, abbiamo sentito le sirene e abbiamo visto delle persone scappare dal terminal, alcune di loro insanguinate". Medvedev: "Serve regime speciale" MASSIMA ALLERTA - La polizia di Mosca è in allerta e sta controllando le stazioni della metropolitana - dove lo scorso marzo due donne kamikaze si fecero saltare in aria provocando 40 morti e 130 feriti - e gli altri aeroporti della capitale, in particolare i bagagli. Le telecamere di sorveglianza hanno ripreso tre persone sospettate dell'attentato. Secondo quanto spiegato dalla polizia i tre sono entrati nel settore arrivi dopo aver attraversato una zona priva di metal detector. Questa circostanza sembra avvalorare una diversa versione dei fatti, quella secondo cui l'attacco è stato compiuto nella zona aperta al pubblico e non in quella dei nastri bagagli, ma al momento non ci sono conferme ufficiali in tal senso. REGIME SPECIALE - Intanto il presidente russo Dmitri Medvedev, parlando durante una riunione di emergenza al Cremlino, ha confermato che l'esplosione all'aeroporto Domodedovo è un atto terroristico e ha dato ordine di rafforzare i sistemi di sicurezza in tutti gli aeroporti e nelle stazioni ferroviarie. I responsabili dell'attacco terroristico all'aeroporto di Mosca saranno presi e puniti ha dichiarato Medvedev. "Occorre instaurare un regime speciale per garantire la sicurezza", ha detto ancora il presidente, durante una riunione con diversi ministri. Intanto tre persone sono ricercate dalle autorità russe in relazione alla pianificazione dell'attentato suicida. Lo rende noto l'agenzia di stampa Interfax, citando diverse fonti. Redazione online 24 gennaio 2011
SCHEDA Attentati a Mosca, i precedenti L'ultimo in marzo SCHEDA Attentati a Mosca, i precedenti L'ultimo in marzo 8 SETTEMBRE 1999: una bomba esplode di notte e distrugge un edificio di nove piani, nel quartiere Piciatniki, alla periferia di Mosca. Nell'attentato muoiono 92 persone, i feriti sono 200 13 SETTEMBRE 1999: una bomba esplode e distrugge un edificio di sette piani a Mosca, lungo il viale Kashirskoe. Nell'attentato muoiono 118 persone, tra cui 13 bambini. Neanche questo è rivendicato, ma sarà una delle cause dell'intervento russo in Cecenia, il 1 ottobre dello stesso anno 8 AGOSTO 2000: 13 morti e 92 feriti, nell' attentato compiuto con una ordigno esplosivo nei sottopassaggi di piazza Puskhin, a poca distanza del Cremlino 23-26 OTTOBRE 2002: il sanguinoso episodio del sequestro collettivo nel teatro Dubrovka di Mosca. Uccisi i 41 guerriglieri del commando ceceno, muoiono però 129 ostaggi la quasi totalità avvelenati dai gas usati dalle forze speciali della polizia 5 LUGLIO 2003: nell'aerodromo di Tushino (Mosca) due ragazze, di cui una di origine cecena, fanno esplodere le loro cinture al plastico in mezzo a una folla di giovani che attendevano di entrare a un raduno di musica rock. Nell'attentato restano uccise 15 persone, comprese le due terroriste, 59 i feriti 9 DICEMBRE 2003: una donna kamikaze si fa esplodere davanti all'hotel National, nella centralissima via Tverskaia di Mosca, a poche decine di metri dalla Duma causando sei morti, fra cui la stessa attentatrice, e 13 feriti 6 FEBBRAIO 2004: una bomba, forse trasportata da uno o più kamikaze, esplode su un convoglio della metropolitana tra le stazioni Paveletskaia e Avtozavodskaia, a ridosso del centro di Mosca. L'esplosione causa 41 morti e 134 feriti 31 AGOSTO 2004: una donna kamikaze cecena si fa esplodere all'entrata della stazione Rizhskaya della metropolitana: dieci le vittime, 51 i feriti. Restano forti dubbi sull'effettiva identità dell'attentatrice. 21 AGOSTO 2006: un ordigno rudimentale esplode nel grande mercato di Cerkizovski, alla periferia della capitale, con un bilancio di dieci morti e una cinquantina di feriti. Tre giovani del movimento xenofobo Unione Nazionale Russa, confessano giorni più tardi la loro responsabilità. 29 MARZO 2010: 39 persone restano uccise ed altre 70 ferite in attentati compiuti da due donne kamikaze nella metropolitana di Mosca. La prima, di 17 anni, si fa esplodere alle 7:56 durante la fermata di un convoglio alla stazione Lubianka e 40 minuti dopo un'altra donna aziona il suo ordigno alla stazione di Park Kulturi, vicino al Gorki Park. La prima era daghestana e la seconda cecena.
29 marzo 2010(ultima modifica: 24 gennaio 2011)
Il leader socialista Edi Rama ai giornalisti Appello dell'Albania all'Italia: "Da noi realtà inaccettabile" "L'Europa non tolleri che possano accadere cose che non accetterebbe mai nei suoi Paesi" * NOTIZIE CORRELATE * ( Albania, la polizia rifiuta di arrestare le Guardie che hanno sparato sulla folla (23 gennaio 2011) * L'Albania sull'orlo della guerra civile (22 gennaio 2011) * Scontri in Albania: tre morti (21 gennaio 2011) Il leader socialista Edi Rama ai giornalisti Appello dell'Albania all'Italia: "Da noi realtà inaccettabile" "L'Europa non tolleri che possano accadere cose che non accetterebbe mai nei suoi Paesi" MILANO - Il leader dell'opposizione socialista albanese, Edi Rama, conversando con i giornalisti italiani, ha lanciato un appello al nostro paese: "L'Italia e l'Ue non devono accettare in Albania una realtà inaccettabile per il mondo democratico e condannare la violenza di Stato che uccide gente innocente". "L'Europa - ha aggiunto Rama - non può accettare che in Albania possano accadere cose che non accetterebbe mai nei suoi Paesi, in base a principi e valori non negoziabili: che la gente muoia perché protesta o che l'opposizione venga definita "bastarda" dal governo". 24 gennaio 2011
2011-01-23 ANCORA TENSIONE A TIRANA. aperta un'inchiesta sulla morte dei tre manifestanti L'Albania sull'orlo della guerra civile L'opposizione sfida Berisha: "Torneremo in piazza". Lui: tentano golpe come in Tunisia. Ue: "Stop alle violenze" ANCORA TENSIONE A TIRANA. aperta un'inchiesta sulla morte dei tre manifestanti L'Albania sull'orlo della guerra civile L'opposizione sfida Berisha: "Torneremo in piazza". Lui: tentano golpe come in Tunisia. Ue: "Stop alle violenze" Scontri a Tirana (Ap) Scontri a Tirana (Ap) MILANO - È ancora alta la tensione nella capitale albanese Tirana, dove venerdì sono state uccise tre persone a colpi di arma da fuoco durante una manifestazione dell'opposizione degenerata in violenti scontri con le forze dell'ordine. Un'evoluzione drammatica nella crisi politica che vive l'Albania da un anno e mezzo. Tre manifestanti sono arrivati morti in ospedale, centrati dalle pallottole. Negli scontri ci sono stati inoltre 55 feriti, tra i quali 25 poliziotti e 30 civili. Le tre vittime sono state "uccise a bruciapelo con armi leggere, con pistole. E la polizia non possiede tali armamenti", ha garantito il primo ministro albanese, Sali Berisha, durante una conferenza stampa. "Ogni responsabilità per questi incidenti e per queste vittime va direttamente attribuita agli organizzatori di questa manifestazione", ha aggiunto. Il capo dell'opposizione socialista, Edi Rama, ha accusato da parte sua la polizia di aver sparato contro i manifestanti, "uccidendo tre innocenti". E dalla sua porta un video che dimostrerebbe inequivocabilmente come a sparare sia stato un membro della Guardia di Repubblica, appostato all'interno della sede del governo. APERTA UN'INCHIESTA - La Procura generale albanese avrebbe quindi emesso un mandato di cattura per 6 ufficiali della Guardia Repubblicana che comandavano i militari posti a difesa della Presidenza del Consiglio. Secondo quanto si apprende, i nomi al momento non sono stati ancora resi noti e l'accusa sarebbe di abuso di potere e omicidio. La rivolta di Tirana La rivolta di Tirana La rivolta di Tirana La rivolta di Tirana La rivolta di Tirana La rivolta di Tirana La rivolta di Tirana La rivolta di Tirana BERISHA ATTACCA I SOCIALISTI - Il primo ministro albanese Sali Berisha punta invece il dito contro l'opposizione albanese, accusandola di tentare "un colpo di Stato violento con uno scenario alla tunisina". Secondo Berisha, che ha parlato in nottata durante una conferenza stampa, il leader dell'opposizione socialista e sindaco della capitale Edi Rama avrebbe "voluto montare un colpo di stato violento, immaginando uno scenario alla tunisina per l'Albania". "Lui e queste carogne di Ben Alì albanesi hanno immaginato per voi, cittadini dell'Albania, uno scenario tunisino", ha aggiunto Berisha. La giornata di sangue era cominciata con una manifestazione indetta dall'opposizione socialista per chiedere le dimissioni del governo di centrodestra guidato da Berisha, e nuove elezioni. Rama ha respinto con forza ogni accusa di tentato golpe: "Non c'è nessun parallelo con la Tunisia" ha dichiarato, invitando Berisha a una "soluzione politica della situazione". La guardia repubblicana spara sulla folla Rcd LA CRISI - È la prima volta che un corteo dell'opposizione dà luogo a violenze del genere, con vittime, dall'inizio della crisi politica che vive l'Albania. L'opposizione guidata da Rama non ha mai riconosciuto i risultati delle elezioni politiche del giugno 2009, accusando il potere di frodi. Da allora, è braccio di ferro. L'opposizione si rifiuta di svolgere un ruolo attivo in Parlamento e annuncia un riconteggio dei voti, richiesta che il governo Berisha non ha mai accettato di assecondare. La manifestazione di venerdì aveva come parole d'ordine le dimissioni di Berisha e la convocazione di elezioni politiche anticipate. Migliaia di dimostranti si erano radunati nel primo pomeriggio di fronte alla sede del governo, nel centro di Tirana, protetta da un importante cordone di agenti. La tensione è stata immediatamente evidente e i manifestanti non hanno impiegato molto a lanciare diversi oggetti, compresi sassi, contro i poliziotti. Questi hanno reagito sparando gas lacrimogeni e ricorrendo agli idranti per respingere i manifestanti e disperdere la folla. L'APPELLO DELLA UE - In un appello congiunto, l'ambasciata degli Stati Uniti, la delegazione dell'Ue e l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) a Tirana hanno invitato "tutte le parti" alla "calma e al contegno, e ad astenersi da provocazioni". Nella serata di venerdì, alti responsabili dell'Unione europea avevano già rivolto inviti alla calma, rammaricandosi "con forza" della perdita di vite umane, ma hanno sottolineato il diritto dei cittadini a manifestare. "Manifestare è uno strumento della libertà di espressione e permette ai cittadini di raccogliersi pacificamente", hanno rimarcato il capo della diplomazia europea Catherine Ashton e il commissario europeo incaricato dell'Allargamento, Stefan Fuele, in un comunicato congiunto. Il segretario generale del Consiglio d'Europa, Thorbjorn Jagland, si è detto "molto preoccupato dall'esplosione delle violenze" e ha invitato "tutte le forze politiche a promuovere un dialogo costruttivo, nel quadro delle istituzioni democratiche attuali" albanesi. Redazione online 22 gennaio 2011
2011-01-22 ANCORA TENSIONE A TIRANA DOPO LA MANIFESTAZIONE FINITA NEL SANGUE L'Albania sull'orlo della guerra civile L'appello dell'Unione europea: "Stop alle violenze". L'opposizione non cede: "Torneremo in piazza" ANCORA TENSIONE A TIRANA DOPO LA MANIFESTAZIONE FINITA NEL SANGUE L'Albania sull'orlo della guerra civile L'appello dell'Unione europea: "Stop alle violenze". L'opposizione non cede: "Torneremo in piazza" MILANO - È ancora alta la tensione nella capitale albanese Tirana, dove venerdì sono state uccise tre persone a colpi di arma da fuoco durante una manifestazione dell'opposizione degenerata in violenti scontri con le forze dell'ordine. Un'evoluzione drammatica nella crisi politica che vive l'Albania da un anno e mezzo. Tre manifestanti sono arrivati morti in ospedale, centrati dalle pallottole. Negli scontri ci sono stati inoltre 55 feriti, tra i quali 25 poliziotti e 30 civili. GLI SCONTRI - Le tre vittime sono state "uccise a bruciapelo con armi leggere, con pistole. E la polizia non possiede tali armamenti", ha garantito il primo ministro albanese, Sali Berisha, durante una conferenza stampa. "Ogni responsabilità per questi incidenti e per queste vittime va direttamente attribuita agli organizzatori di questa manifestazione", ha aggiunto. Il capo dell'opposizione socialista, Edi Rama, ha accusato da parte sua la polizia di aver sparato contro i manifestanti, "uccidendo tre innocenti". È la prima volta che un corteo dell'opposizione dà luogo a violenze del genere, con vittime, dall'inizio della crisi politica che vive l'Albania. L'opposizione guidata da Rama non ha mai riconosciuto i risultati delle elezioni politiche del giugno 2009, accusando il potere di frodi. Da allora, è braccio di ferro. L'opposizione si rifiuta di svolgere un ruolo attivo in Parlamento e annuncia un riconteggio dei voti, richiesta che il governo Berisha non ha mai accettato di assecondare. La manifestazione di venerdì aveva come parole d'ordine le dimissioni di Berisha e la convocazione di elezioni politiche anticipate. Migliaia di dimostranti si erano radunate nel primo pomeriggio di fronte alla sede del governo, nel centro di Tirana, protetta da un importante cordone di agenti. La tensione è stata immediatamente evidente e i manifestanti non hanno impiegato molto a lanciare diversi oggetti, compresi sassi, contro i poliziotti. Questi hanno reagito sparando gas lacrimogeni e ricorrendo agli idranti per respingere i manifestanti e disperdere la folla. La rivolta di Tirana La rivolta di Tirana La rivolta di Tirana La rivolta di Tirana La rivolta di Tirana La rivolta di Tirana La rivolta di Tirana La rivolta di Tirana L'APPELLO DELLA UE - In un appello congiunto, l'ambasciata degli Stati Uniti, la delegazione dell'Ue e l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) a Tirana hanno invitato "tutte le parti" alla "calma e al contegno, e ad astenersi da provocazioni". Nella serata di venerdì, alti responsabili dell'Unione europea avevano già rivolto inviti alla calma, rammaricandosi "con forza" della perdita di vite umane, ma hanno sottolineato il diritto dei cittadini a manifestare. "Manifestare è uno strumento della libertà di espressione e permette ai cittadini di raccogliersi pacificamente", hanno rimarcato il capo della diplomazia europea Catherine Ashton e il commissario europeo incaricato dell'Allargamento, Stefan Fuele, in un comunicato congiunto. Il segretario generale del Consiglio d'Europa, Thorbjorn Jagland, si è detto "molto preoccupato dall'esplosione delle violenze" e ha invitato "tutte le forze politiche a promuovere un dialogo costruttivo, nel quadro delle istituzioni democratiche attuali" albanesi. Redazione online 22 gennaio 2011
2011-01-18 POLIZIA SCHIERATA nei LUOGHI CHIAVE. dispersa una nuova manifestazione Tunisia, nuovo governo già a rischio Tre ministri si sono dimessi La popolazione protesta contro lo scarso rinnovamento: "Non facciamoci scippare la rivoluzione" * NOTIZIE CORRELATE * Acrobati e animali nell'inferno tunisino. Il circo pugliese Bellucci sotto sequestro (15 gennaio 2011) * Tunisia, c'è un nuovo governo. L'ex first lady è scappata con l'oro (17 gennaio 2011) POLIZIA SCHIERATA nei LUOGHI CHIAVE. dispersa una nuova manifestazione Tunisia, nuovo governo già a rischio Tre ministri si sono dimessi La popolazione protesta contro lo scarso rinnovamento: "Non facciamoci scippare la rivoluzione" L'esercito per le strade di Tunisi (Reuters) L'esercito per le strade di Tunisi (Reuters) MILANO - Il nuovo governo in Tunisia non convince la popolazione e rischia di fermarsi sulla linea di partenza. La polizia è già intervenuta ad Avenue Bourghiba, nel centro di Tunisi, per disperdere una manifestazione organizzata contro il nuovo governo di unità nazionale. Gli agenti hanno lanciato gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti, che chiedono l'esclusione dei ministri del vecchio governo, legati a Ben Ali, dal nuovo esecutivo. L'accusa al nuovo esecutivo è infatti proprio quella di non rispecchiare lo spirito di rinnovamento rispetto al regime di Ben Ali, ma di averne anzi ripreso uomini e idee. "Non facciamoci scippare al rivoluzione" si sente dire per le strade della città. DIMISSIONI - Tre ministri si sono già ritirati dal nuovo governo di unità nazionale tunisino, varato dal premier ad interim Mohamed Ghannouchi. I dimissionari appartengono all'Unione generale dei lavoratori tunisini, l'Ugtt, un sindacato che ha giocato un ruolo assai importante nelle proteste contro l'ex rais Ben Ali e che proprio stamane si è pronunciato a sfavore del nuovo esecutivo. I ministri dimissionari sarebbero Houssein Dimassi, Abdeljelil Bedoui e Anour Ben Gueddour. LA MOGLIE DI BEN ALI GESTIVA IL PAESE - La Tunisia "sembrava gestita dalla moglie di Ben Ali" ha denunciato il premier tunisino Mohammed Ghannouchi parlando alla radio francese Europe 1. I ministri che sono stati confermati nel nuovo governo tunisino - ha detto Ghannouchi - hanno "sempre agito per preservare l'interesse nazionale" e "hanno le mani pulite". "Tutti coloro" che hanno avuto un ruolo nella repressione in Tunisia "ne risponderanno davanti alla giustizia" ha promesso il premier. IL CAPO ISLAMISTA - Poi ha sottolineato che Rachid Ghannouchi, il leader del partito islamista tunisino Ennahda messo al bando all'inizio degli anni '90 da Ben Ali potrà "rientrere in Tunisia solo dopo una legge di amnistia". ITALIANI RIENTRATI - Intanto in due giorni "circa 700 italiani" hanno lasciato la Tunisia per tornare in Italia "perché volevano rientrare ma non c'è nessun pericolo" per i nostri connazionali. Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini intervenendo a "La telefonata" su Canale 5. Il titolare della Farnesina ha poi ribadito che il circo italiani Bellucci bloccato da giorni a Sfax, 300 km da Tunisi, è protetto dall'esercito tunisino "finchè non ci saranno i mezzi, credo in queste ore, per riportare la compagnia in Italia". "Non ci sono condizioni di pericolo - ha aggiunto Frattini - anche per quegli imprenditori italiani" che volessero rimanere in Tunisia. (fonte: Ansa)
18 gennaio 2011
2011-01-17 oggi dovrebbe nascere il nuovo governo Tunisia, ancora violenze: la moglie di Ben Alì è scappata con 1,5 tonnellate d'oro Fedelissimi del regime, manifestanti ed esercito combattono ancora a Tunisi e a Cartagine oggi dovrebbe nascere il nuovo governo Tunisia, ancora violenze: la moglie di Ben Alì è scappata con 1,5 tonnellate d'oro Fedelissimi del regime, manifestanti ed esercito combattono ancora a Tunisi e a Cartagine Leila Trabelsi (Ansa) Leila Trabelsi (Ansa) MILANO - Mentre la tensione nel Paese resta alta (anche se secondo il sito web della Bbc, il primo ministro tunisino Mohammed Ghannouchi ha detto domenica che è stato raggiunto un accordo con le forze di opposizione per formare un governo di unità nazionale, che aprirà "una nuova pagina nella storia del paese"), si svelano i retroscena della fuga della famiglia dell'ex dittatore Ben Alì. La moglie del deposto presidente tunisino, Leila Trabelsi, venerdi scorso avrebbe lasciato il paese con 1,5 tonnellate d'oro per un valore di 45 milioni di euro, stando a quanto scrive nella sua edizione online il quotidiano francese Le Monde citando fonti dei servizi segreti francesi. Secondo informazioni raccolte a Tunisi, visto che la situazione stava precipitando la donna venerdi scorso si sarebbe recata alla Banca centrale a Tunisi per farsi consegnare dei lingotti d'oro. Al rifiuto del governatore, la first lady avrebbe allora chiamato il marito. Questi in un primo momento si sarebbe detto contrario ma poi avrebbe ceduto alla richiesta. "Sembra che la signora Ben Ali sia partita con l'oro, 1,5 tonnellate d'oro, e cioè circa 45 milioni di euro", hanno detto le fonti al quotidiano. Leila Trabelsi sarebbe poi partita per Dubai da dove con un altro aereo avrebbe raggiunto Gedda, in Arabia Saudita, dove nella notte è arrivato anche il marito dopo la sua precipitosa fuga dalla Tunisia. ANCORA VIOLENZA - Intanto la Tunisia sta lottando con tutte le sue forze per non finire nel baratro del caos mentre a Tunisi domenica si è sparato per ore e l'esercito ha circondato il palazzo presidenziale di Cartagine dove si sono asserragliati uomini della Guardia presidenziale, fedeli a Ben Ali. Tenta di resistere la Tunisia dei civili che si sono organizzati per l'autodifesa dalle bande armate che imperversano nel Paese, sparando e organizzando rapine e saccheggi. Tenta di resistere la Tunisia delle istituzioni, che vuole salvare il Paese nel rispetto della Costituzione ma sa che gli è rimasto davvero poco tempo per frenare la deriva con un governo di unità nazionale, unica riposta possibile alla crisi in cui in è caduto il Paese. E vuole resistere soprattutto la Tunisia di quel movimento che in queste settimane si è formato dal basso, innescato sì dal gesto estremo del giovane Mohammed che si è dato fuoco a Sidi Bouzid, e alimentato sì dall'esasperazione di tanti giovani disoccupati come lui, ma che si è trasformato ben presto in movimento per la libertà, la dignità della nazione e la fine della dittatura. NUOVO GOVERNO - Le forze sane delle istituzioni e quelle dell'opposizione stanno cercando una mediazione per definire la lista dei ministri del governo di unità nazionale, la cui composizione come detto verrà ufficializzata oggi. Si è saputo che tre leader dell'opposizione dovrebbero entrare nell'esecutivo: secondo alcune fonti, Najib Chebbi, fondatore del partito di opposizione Pdp, sarà ministro per lo sviluppo regionale, Ahmed Ibrahimi, leader del partito Ettajdid, avrà la responsabilità dell'istruzione superiore mentre a Mustafa Ben Jafaar, leader dell'Unione per la libertà e il lavoro, avrà il ministero della Salute. Ci saranno anche alcune conferme. Ahmed Friaa, nominato ministro dell'Interno al posto del destituito (e secondo Al Jazeera arrestato) Rafik Hadi Kacem resterà al suo posto così come Kamel Morjane, ministro degli esteri nel governo del deposto Ben Ali. CAMPO DI BATTAGLIA - Mentre la battaglia attorno al palazzo presidenziale continuava a infuriare, si è avuta notizia di altre violenze. Kaies Bel Ali, fratello del deposto presidente sarebbe stato arrestato nel pomeriggio di domenica alla periferia di Tunisi assieme a quattro poliziotti che, cercando di coprire la sua fuga, avrebbero aperto il fuoco uccidendo quattro persone e ferendone altre 11. L'Avenue Bourghiba, nel centro della capitale, domenica si è trasformata nuovamente in un campo di battaglia tra presunti miliziani delle forze di sicurezza di Ben Ali da una parte ed esercito e polizia dall'altra. Con i blindati che percorrevano il viale, davanti a quel ministero dell'Interno dove probabilmente si trova ancora in arresto il capo della sicurezza di Ben Ali, il generale Ali Seriati, vero leader delle milizie fedeli al vecchio leader, che continuano ad alimentare la rivolta. Non vi sarà "alcuna tolleranza" nei confronti di chi semina il caos, ha detto domenica sera il primo ministro Mohammed Ghannouchi parlando in tv. "Abbiamo arrestato un gran numero di bande criminali che cercano di seminare il caos - ha aggiunto - Le forze dell'ordine, l'esercito, la polizia e la guardia nazionale stanno facendo un lavoro enorme per garantire la sicurezza della nazione e dei cittadini". Ma non ha voluto dire, Gannouchi, se i criminali di cui parlava siano proprio gli uomini di Seriati, che oggi comparirà davanti ai giudici. Insomma, è la legalità che deve vincere. Domenica è finito in manette Murad Trabelsi, cognato dell'ex presidente, all'indomani della morte di un nipote della ex first lady, Imed. La legalità deve vincere sul piano politico. Questa è la scommessa del Partito Democratico Progressista di Chebbi, il leader più in vista dell'opposizione, che nel 2009 tentò inutilmente di candidarsi alle presidenziali. Proprio mentre lui era impegnato nei colloqui per il governo, la polizia fermava un taxi carico di armi davanti alla sede del Pdp, sparando colpi in aria e compiendo arresti. Il problema della sicurezza è un incubo non solo per i tunisini, ma anche per gli stranieri che vivono in Tunisia o che stanno cercando di lasciare il Paese. Da domenica più voli e anche navi sono a disposizione degli italiani che preferiscono rientrare. Resta difficile la situazione del Circo Bellucci, che vede tra le sue file un centinaio di persone, bambini inclusi, bloccato a Sfax. Ma la Tunisia ancora domenica sera guardava soprattutto alla battaglia di Cartagine, che potrebbe segnare una svolta nei rapporti di forza fra i fedelissimi di Ben Ali e quell'esercito che si era rifiutato di sparare sulla folla. Redazione online 17 gennaio 2011
L'INTERVISTA "La partenza di Ben Ali è una vittoria ma i suoi uomini sono ancora qui" Tunisia, Radhia Nasraoui, avvocato e attivista: "La nostra aspirazione è uno Stato democratico" L'INTERVISTA "La partenza di Ben Ali è una vittoria ma i suoi uomini sono ancora qui" Tunisia, Radhia Nasraoui, avvocato e attivista: "La nostra aspirazione è uno Stato democratico" Carcassa di un camion incendiato a Tunisi (Ap) Carcassa di un camion incendiato a Tunisi (Ap) Come per tutti i tunisini, anche per Radhia Nasraoui quella fra venerdì e sabato è stata una notte storica. La prima senza Ben Ali. E di sollievo, per la liberazione, nel pomeriggio, di suo marito Hamma Hammami, oppositore del regime e capo del Partito comunista dei lavoratori, prelevato dalla polizia due giorni prima dal suo domicilio, davanti agli occhi della loro figlia. Una notte di poco sonno, come nel resto della capitale, fra il rumore continuo degli elicotteri e i colpi di arma da fuoco. Radhia è un avvocato, attivista da trent’anni e presidente dell’Associazione tunisina di lotta contro la tortura. Al telefono dalla sua casa appena fuori il centro di Tunisi, quando fa cenno al presidente-dittatore che se n’è andato, usa il tempo presente, poi il passato, si confonde. Ancora il suo francese non ha digerito la fine di un’epoca. Qual è l’aria che si respira in città, cosa succede? "La situazione non è davvero del tutto chiara. Vengo dal Palazzo di Giustizia, i miei colleghi avvocati sono in riunione, riceviamo telefonate in cui ci raccontano di saccheggi ed incendi, la gente viene attaccata da persone talvolta armate, non è facile capire cosa stia accadendo. Per quanto riguarda la mia famiglia, questa mattina, un vicino ha sorpreso un uomo sospetto arrivato a bordo di una 206 grigia. Quell’auto mi dice molto, è la polizia politica. Mio marito ed io siamo stati spesso seguiti da un’auto di quel modello. Ha tentato di attaccare qualcosa sotto la mia auto. Giusto il tempo che il mio vicino gli chiedesse cosa facesse, quello si è dileguato". Signora Nasraoui, a dicembre, prima che Mohamed Bouazizi si desse fuoco, qualcuno in Tunisia poteva immaginare un’uscita di scena di Ben Ali come quella di ieri? "Sinceramente, chi conosce i tunisini se lo poteva aspettare, il fatto è che non ci si poteva immaginare un processo rapido fino a questo punto e che un evento riguardante una sola persona, immolata col fuoco, avesse come conseguenza una rivoluzione". Un blocco improvvisato a Tunisi: gruppi di abitanti si sono organizzati per difendere le loro case dai saccheggi (Ansa) Un blocco improvvisato a Tunisi: gruppi di abitanti si sono organizzati per difendere le loro case dai saccheggi (Ansa) Prima il discorso di Ben Ali alla nazione con tante promesse (di non ricandidarsi alle presidenziali del 2014, di tagliare i prezzi, di sospendere la repressione), poi la fuga. Cosa è successo nel mezzo? "Beh, la gente era furiosa, si è sentita presa in giro. Anche prima del discorso alla tv nazionale si parlò della liberazione di tutti coloro che erano stati arrestati nei giorni precedenti, eppure nessuno è stato rilasciato prima della grande manifestazione di venerdì. La gente si è accorta che le menzogne continuavano, che tentavano di imbonirla. Gli spari sulla folla non si sono fermati, però, tant’è vero che ci sono stati morti poco dopo il discorso. Ben Ali crede di tenere buoni i tunisini, perché non li ha mai rispettati. Credeva che la gente si lasciasse abbindolare, che non fosse sveglia al punto da comprendere che la natura del regime non permetteva aggiustamenti o miglioramenti". E adesso? "Qui vige comunque il regime di Ben Ali, lui è partito, i suoi uomini sono rimasti. È il caso del Primo Ministro Mohammed Ghannouchi, è vero che il suo nome non è stato trascinato nel fango dalle accuse di corruzione, ma era al corrente di tutto ed è rimasto passivo. La partenza di Ben Ali è comunque già una vittoria, anzi, un inizio di vittoria per i tunisini. Perché l’ex presidente è stato per tutti il principale bersaglio contro cui urlare. Dopo ogni suo discorso, nelle piazze si radunavano ancora più manifestanti. Come se fosse stato lui ad incoraggiare la gente a scendere ovunque per le strade, sempre più numerosa. Credo si debba continuare perché l’aspirazione dei tunisini è di vivere in uno Stato democratico, e questo non possiamo costruirlo con gli attuali dirigenti". Dopo una presidenza-lampo del Primo Ministro Ghannouchi, oggi il capo del Parlamento, Foued Mebazaa, ha prestato giuramento come nuovo capo di Stato ad interim. Un "vecchio barone del regime di Bourguiba e Ben Ali" commentano dalla casa di Radhia Nasraoui. Uno stratagemma "per lasciare la via libera a Ghannouchi di presentarsi alle prossime elezioni presidenziali". Francesca Ghirardelli 15 gennaio 2011(ultima modifica: 16 gennaio 2011)
2011-01-16 L'appello di Ban Ki-moon e dell'Unione Europa Tunisia: Ben Ali fugge, ma i saccheggi proseguono e nelle carceri è strage Misure di sicurezza nel centro di Tunisi. Il presidente del Parlamento assume i poteri. Elezioni tra due mesi * NOTIZIE CORRELATE * Tunisia, il presidente lascia il Paese e si rifugia in Arabia Saudita (14 gennaio 2011) L'appello di Ban Ki-moon e dell'Unione Europa Tunisia: Ben Ali fugge, ma i saccheggi proseguono e nelle carceri è strage Misure di sicurezza nel centro di Tunisi. Il presidente del Parlamento assume i poteri. Elezioni tra due mesi Manifestazioni a Tunisi (Epa) Manifestazioni a Tunisi (Epa) MILANO - Dopo le dimissioni del presidente Zine El Abidine Ben Ali e la sua fuga in Arabia Saudita - con il "giallo" dell'aereo tunisino atterrato venerdì sera a Cagliari - in Tunisia la situazione non si è ancora normalizzata, sono proseguiti i saccheggi di negozi e supermercati e si ha notizia di altre sei persone uccise negli scontri. Nelle carceri sono scoppiate rivolte: tra gli spari delle guardie sui detenuti che cercavano di fuggire e gli incendi appiccati le vittime si contano a decine. Intanto i poteri ad interim di capo di Stato sono passati dal premier Ghannouchi al presidente del Parlamento el-Mabazaa, sono stati riaperti gli aeroporti e lo spazio aereo e il Consiglio costituzionale ha annunciato elezioni entro due mesi. FUGA - L'Arabia Saudita ha annunciato di aver accolto Ben Ali "per la preoccupazione per le circostanze eccezionali in cui versa la Tunisia". Le autorità saudite hanno concesso asilo politico al presidente tunisino, a patto che non faccia politica nel territorio saudita. Secondo quanto riferiscono fonti giornalistiche locali citate dalla tv Al-Arabiya, Ben Ali rimarrà con la moglie a Gedda, ma non potrà svolgere attività politica. Al leader tunisino è stato vietato qualsiasi discorso pubblico. Ci sono imponenti misure di sicurezza intorno all'ambasciata saudita a Tunisi, circondata da unità speciali dell'esercito tunisino appoggiate da mezzi corazzati in timore di contestazioni. CARCERI - Purtroppo arrivano notizie di decine di vittime nelle rivolte scoppiate nelle carceri tunisine. È di 31 morti il bilancio nel carcere di Monastir. Lo riferiscono fonti mediche locali citate da Al-Jazeera. Le vititme sono in buona parte detenuti che cercavano di fuggire mentre le guardie sparavano su di loro. Sono almeno 42 i morti accertati, più 15 ustionati, tra i detenuti del carcere di Mahdia in seguito a un incendio che ha permesso un'evasione di massa. Il carcere sarebbe stato assaltato dall'esterno per permettere l'evasione. È scoppiato un incendio anche nel carcere di Biserta e vi sarebbe almeno un morto. SACCHEGGI - A Madhia cinque persone sarebbero state uccise dalle forze di sicurezza nella notte per non aver rispettato il coprifuoco, ma non vi sono conferme ufficiali. Al Jazeera rende conto di un morto in scontri in mattinata alla periferia della capitale. La stazione di Tunisi è stata data alle fiamme ed è un ammasso di cenere. Un ipermercato è stato saccheggiato tra la notte e sabato mattina alle porte di Tunisi, dopo che già il giorno prima era stato parzialmente incendiato. Decine di persone sono uscite dal centro commerciale portandosi via tutto ciò che potevano in assenza della polizia, ha constatato un fotografo della France Presse. Altri grandi magazzini erano stati saccheggiati negli ultimi giorni. Saccheggi e violenze sono testimoniati anche a Biserta, Kairouan e Gafsa. Numerosi testimoni citati dagli organi d'informazione francesi affermano che i saccheggi e le violenze sono commessi da miliziani del partito del presidente (Rdc), furiosi per la fuga all'estero di Ben Ali. Vi sarebbe infatti un coinvolgimento anche di esponenti della forza di sicurezza presidenziale nei saccheggi, tanto che anche il capo della Guardia presidenziale, Ali Seriati, sarebbe stato arrestato. Lo riferiscono fonti attendibili negli ambienti dell'opposizione. Secondo quanto si è appreso un numero imprecisato di individui avrebbe partecipato al saccheggio dei negozi, armati di fucili e con grandi quantità di denaro da distribuire ai ragazzi che poi hanno materialmente compiuto i saccheggi, specie a Cartagine. "Non abbiate paura, queste bande vogliono terrorizzare i tunisini e portare la paura nel Paese", è l'appello lanciato dalla tv di Stato, che ha ammesso la presenza di bande di ladri armati che assaltano negozi e case a Tunisi. Le violenze e i saccheggi hanno provocato "danni a strutture di alcuni imprenditori italiani", rende noto la Farnesina. MISURE DI SICUREZZA A TUNISI - La polizia sabato mattina ha isolato il centro di Tunisi ed è stata vietata la circolazione dei taxi. Nella capitale alle 7 è stato tolto il coprifuoco, dopo momenti di incertezza sull'orario. "Buongiorno Tunisia, oggi celebrate! Complimenti a tutti voi per un nuovo inizio della democrazia", scrive Anonymous, il network di hacker che ha sostenuto le protese in Tunisia, in un messaggio su Twitter che invita poi i simpatizzanti a ricordare che "la lotta non è finita". Il nuovo presidente ad interim el-Mabazaa (Afp) Il nuovo presidente ad interim el-Mabazaa (Afp) CAMBIO DEI POTERI - Il presidente del Parlamento, Fouad el-Mabazaa, ha assunto l'incarico di presidente temporaneo della Repubblica. Lo ha annunciato la Corte Costituzionale tunisina in base all'articolo 57 della Costituzione rendendo noto che Ben Ali ha lasciato la presidene in via definitiva. Venerdì era stato il primo ministro Mohammed Ghannouchi ad assumere la carica di presidente ad interim. "È escluso che Ben Ali possa tornare in patria come presidente", ha affermato Ghannouchi, che ha detto che sarà formato un governo di coalizione nazionale insieme all'opposizione. "La commissione creata per indagare su quanto sta accadendo dovrà scoprire chi c'è dietro le bande che rubano e devastano i negozi e le case", ha affermato. "Chiedo al popolo di intervenire, perché è necessario far tornare la calma nel Paese. Sono inaccettabili furti e razzie". DIPLOMAZIA - Il segretario generale delle Nazioni unite, Ban Ki-moon, fa appello a una "soluzione democratica" dopo la fuga di Ben Ali, ed esorta "tutte le parti in causa a risolvere i problemi pacificamente con l'obiettivo di rispondere alle rivendicazioni e lavorare su una regolamentazione democratica che soddisfi le aspirazioni del popolo tunisino". Anche l'Unione Europea ribadisce la sua "disponibilità a contribuire a trovare soluzioni democratiche durature". "Vogliamo esprimere il nostro sostegno al popolo tunisino e alle sue aspirazioni democratiche, che devono essere realizzate in modo pacifico", scrivono in una nota l'Alto rappresentante per la politica estera europea Catherine Ashton, e il commissario all'Allargamento Stefan Fule. Anche la Lega araba ha lanciato un appello alla calma e all'unità in Tunisia. A Milano 200 tunisini hanno manifestato davanti al consolato in piazza Cinque Giornate in solidarietà alla rivolta dei compatrioti, altre 100 persone davanti al consolato tunisino a Palermo. Redazione online 15 gennaio 2011
2011-01-15 Alle 23 un aereo atterra a Cagliari per rifornirsi, ma Ben Ali non c'è. Arrivato a Jedda Tunisia, il presidente lascia il Paese e si rifugia in Arabia Saudita Proclamato lo stato di emergenza dalle 17 alle 7. Il premier assume la guida ad interim della nazione * NOTIZIE CORRELATE * Tunisia, il ministro degli Esteri: "Possibile un governo di unità nazionale (14 gennaio 2011) * Tunisia in fiamme, scatta il coprifuoco (12 gennaio 2011) Alle 23 un aereo atterra a Cagliari per rifornirsi, ma Ben Ali non c'è. Arrivato a Jedda Tunisia, il presidente lascia il Paese e si rifugia in Arabia Saudita Proclamato lo stato di emergenza dalle 17 alle 7. Il premier assume la guida ad interim della nazione L'aereo atterrato a Cagliari (Ap) L'aereo atterrato a Cagliari (Ap) MILANO - Il presidente tunisino Zin el-Abidin Ben Ali ha lasciato il Paese e si è rifugiato in Arabia Saudita. La fuga dalla rivolta scatenatasi nelle ultime settimane è scattata nel tardo pomeriggio di venerdì, ma la destinazione del presidente della Tunisia è stata per lunghe ore incerta. Le prime informazioni davano possibile l'atterraggio del suo aereo a Malta, poi si è parlato della Francia, ma Parigi gli ha negato asilo. A questo punto sembrava possibile una destinazione in un Paese del Golfo. Verso le 23, invece, si è appreso che un aereo era atterrato a Cagliari in emergenza per fare rifornimento e si è sparsa la voce che a bordo c'era Ben Ali. Le autorità italiane hanno intimato all'aereo di rifornirsi e di ripartire subito con un nuovo piano di volo. Dall'interno del velivolo è stato fatto sapere che a bordo si trovavano sono solo un pilota brasiliano, una hostess tunisina e uno steward francese. Dopo circa un'ora in cui le voci si rincorrevano e si smentivano una dopo l'altra, fonti della Farnesina hanno negato la presenza di Ben Ali a bordo. Infine poco prima dell'1 di notte di sabato Al Arabiya dice che l'aereo di Ben Ali è atterrato a Jedda, in Arabia Saudita. E appena si diffonde la notizia, l'aereo di Cagliari accende i motori e riparte. "GIALLO" A CAGLIARI - L'aereo tunisino atterrato a Cagliari "non deve arrivare a Parigi". È quanto avrebbero chiesto, secondo quanto si apprende da fonti investigative, le autorità francesi a quelle italiane poco dopo le 21. Il velivolo - hanno accertato gli investigatori della quinta zona della polizia di frontiera e della Direzione centrale della polizia di frontiera che sono rimaste sempre in contatto con il capo della polizia, Antonio Manganelli - ha comunicato la prima volta con la torre di controllo di Cagliari alle 21,15 dicendo di dover atterrare in emergenza per fare rifornimento. Appena atterrato, il Falcon commerciale da 15 posti è stato fatto parcheggiare in un'area riservata dello scalo sardo. A quel punto le autorità francesi si sarebbero messe in contatto con quelle italiane, chiedendo di verificare chi fosse a bordo dell'aereo. Prima che questo avvenisse, però, dalla Francia hanno ricontattato il nostro governo dicendo che il velivolo non sarebbe comunque dovuto atterrare a Parigi. L'ultimo discorso in tv di Ben Ali prima di lasciare la Tunisia (Ap) L'ultimo discorso in tv di Ben Ali prima di lasciare la Tunisia (Ap) PRESIDENZA TEMPORANEA - Dopo che Ben Ali aveva lasciato "per impedimento provvisorio" la presidenza in base all'articolo 56 della Costituzione (e non per dimissioni o per impedimento assoluto come da articolo 57), il premier Mohammed Ghannouchi, con un intervento sulla tv di Stato ha comunicato di aver assunto ad interim la massima carica della repubblica tunisina. "Chiedo a tutti i tunisini di tutti i partiti - ha affermato - di assumere lo spirito nazionale e di aiutare tutto il Paese a uscire da questa fase critica". Ben Ali nel pomeriggio aveva annunciato che il governo era stato destituito, e che sarebbero state indette elezioni anticipate. Una svolta, dopo giorni di scontri che hanno causato decine di morti (13 solo nella giornata di giovedì, secondo gli ultimi dati ospedalieri). Ma in serata, riporta Al Jazeera, a Kasserine - una delle città del sud dove è scoppiata la rivolta popolare - la gente ha sfidato il coprifuoco contestando anche il presidente ad interim Ghannouchi. LA FRANCIA CONTRARIA ALL'ACCOGLIENZA - Le notizie sulla destinazione dell'aereo del presidente tunisino si sono rincorse per tutta la serata. Secondo la tv satellitare Al-Arabya, il leader tunisino avrebbe attraversato via terra il confine con la Tunisia per poi raggiungere sotto protezione libica l'isola di Malta. Sempre secondo la fonte citata dall'emittente, la polizia ha fermato i familiari della first lady tunisina, Leila Tarablesi, mentre tentavano di fuggire all'aeroporto di Tunisi. Si erano imbarcati su un volo diretto a Lione alle 17 , ma il pilota dell'aereo si è rifiutato di decollare con loro a bordo. Nicolas Sarkozy in serata ha detto di non volere che Ben Ali trovi rifugio in Francia. Altre fonti vicine al governo citate dall'agenzia France Presse hanno detto che la Francia "non auspica" l'arrivo di Ben Ali sul territorio transalpino, spiegando che Parigi ha assunto questa posizione anche per scongiurare la collera della folta comunità tunisina in Francia. STATO DI EMERGENZA, CHIUSO LO SPAZIO AEREO - Le autorità tunisine hanno nel frattempo proclamato lo stato d'emergenza in tutto il territorio nazionale dalle 17 alle 7 e alcune compagnie aeree, tra cui Alitalia e Air France hanno sospeso i voli. Lo ha annunciato la tv di Stato di Tunisi che ha poi aggiunto che "verranno usate le armi se gli ordini delle forze di sicurezza non saranno ascoltati". L'esercito tunisino ha anche preso il controllo dell'aeroporto di Tunisi ed è stato chiuso lo spazio aereo e anche quello marittimo. SCONTRI DAVANTI AL MINISTERO DELL'INTERNO - Anche venerdì ci sono stati scontri di piazza. Sono stati lanciati lacrimogeni ed esplose granate davanti al ministero dell'Interno a Tunisi, dove si sono radunati di nuovo i manifestanti. Sono stati anche uditi alcuni colpi d'arma da fuoco, dove è in corso una manifestazione antigovernativa. Secondo Al-Jazeera i colpi sono stati sparati dopo il tentativo di alcuni manifestanti di assaltare la sede del ministero. Negli scontri è rimasto ferito anche un fotografo francese. Fiamme anche alla stazione ferroviaria della capitale. OPPOSIZIONE - Giovedì era stata la leader dell'opposizione, May Eljeribi, a chiedere "che si formasse subito un nuovo governo di unità nazionale che si occupi dei temi più urgenti". Il segretario generale del Partito democratico progressista, aveva poi dichiarato: "il governo garantisca subito il ritiro dell'esercito dalle città, la scarcerazione dei manifestanti arrestati, il ritorno alla calma ed elezioni anticipate, in modo da scegliere un Parlamento che rappresenti davvero il popolo ed esaudisca le sue richieste". Hamma Hammami, leader del Partito comunista degli operai della Tunisia (Pcot), arrestato mercoledi scorso, è stato liberato. Lo riferisce da Parigi il Pcot. REAZIONI INTERNAZIONALI - Il popolo tunisino "ha il diritto di scegliersi i suoi governanti" ha affermato la Casa Bianca, commentando la partenza da Tunisi di Ben Ali. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha chiesto elezioni libere oltre al rispetto dei diritti umani. In una dichiarazione diffusa in serata dalla Casa Bianca, Obama ha condannato qualsiasi violenza e plaudendo alla dignità e al coraggio del popolo tunisino. "Chiedo con urgenza a tutte le parti di mantenere la calma ed evitare la violenza - scrive la Casa Bianca - e chiedo al governo tunisino di rispettare i diritti umani, di indire elezioni libere e corrette in un prossimo futuro, che riflettano la vera volontà e le aspirazioni del popolo tunisino". Nicolas Sarkozy e il primo ministro francese François Fillon si sono incontrati in serata all'Eliseo per discutere della situazione dopo la fuga di Ben Ali. Redazione online 14 gennaio 2011(ultima modifica: 15 gennaio 2011)
2011-01-13 Strage Arizona Obama: "La Giffords ha aperto gli occhi, il paese faccia lo stesso" Il presidente ricorda le vittime e lancia l'appello agli Usa * NOTIZIE CORRELATE * Negli Usa va a ruba la pistola usata per la strage di Tucson (12 gennaio 2011) * Arizona, sei i morti. La Giffords in coma (9 gennaio 2011) Strage Arizona Obama: "La Giffords ha aperto gli occhi, il paese faccia lo stesso" Il presidente ricorda le vittime e lancia l'appello agli Usa Il presidente Barack Obama (Epa) Il presidente Barack Obama (Epa) Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha reso omaggio alle vittime della strage in Arizona ed ha invitato il paese a una maggiore unità e a un dibattito pubblico "più misurato". Dinanzi a 27.000 persone riunite all'università di Tucson e in uno stadio vicino, l'inquilino della Casa Bianca ha annunciato che la deputata democratica rimasta gravemente ferita nella sparatoria di sabato scorso, Gabrielle Giffords, "ha aperto gli occhi per la prima volta". Appena arrivato, Obama è andato con Michelle a visitare Gabrielle Giffords in ospedale. E poi nel suo intervento ha annunciato che il marito gli ha poi detto "Gabby ha aperto gli occhi per la prima volta". "Gabby ha aperto gli occhi, dunque posso dirvi che sa che siamo qui, sa che l'amiamo e che resteremo al suo fianco in quello che sarè indiscutibilmente un difficile viaggio", ha affermato il leader della Casa Bianca. ESEMPIO - Gli occhi riaperti sono un esempio di forza e volontà che, secondo Obama, l'intero paese dovrebbe seguire. "Solo un dibattito pubblico più misurato e onesto può aiutarci a far fronte alle nostre difficoltà, come paese, in modo da essere degni" delle persone che hanno perso la vita per il folle gesto di Jared Lee Loughner, ha dichiarato Obama. "Siamo tutti americani e possiamo discutere le idee degli altri senza mettere in dubbio il loro amore per il paese", ha aggiunto il presidente. "Quello che non possiamo permetterci di fare è tornare a schierarci l'uno contro l'altro, tra reciproche accuse. Per tutti noi è importante fare una pausa, accertarci che davvero stiamo dialogando". "Voglio che la nostra democrazia sia quella immaginata" da Christina Taylor-Green, la più giovane delle vittime della strage di Tucson. "Voglio essere all'altezza delle sue aspettative. Voglio che l'America sia bella come lei la immaginava". Barack Obama ha citato più volte la bimba di nove anni uccisa sabato in Arizona nel discorso tenuto la notte scorsa a Tucson durante la cerimonia in memoria delle vittime dell'attacco. IN OSPEDALE - Nella camera d'ospedale della deputata Gabrielle Giffords, ferita nella sparatoria di Tucson in Arizona, quando ha aperto gli occhi c'erano tre delle sue colleghe del Congresso, quelle cui è più legata: Nancy Pelosi, Debbie Wasserman Schultz e Kirsten Gillibrand. "I medici hanno detto che non ci potevano credere. È la cosa più incredibile cui io abbia mai assistito", ha detto Wasserman Schultz alla Cnn. Redazione online 13 gennaio 2011
2011-01-12 Un anno dopo il sisma. Clinton: "iRRITATO PER LA LENTEZZA DELLA RICOSTRUZIONE" Msf: "Ad Haiti l'epidemia di colera mostra il fallimento degli aiuti" Medici senza frontiere: "Ci sono circa 12mila Ong, ma si è fatto poco per prevenire o contenere il contagio" * NOTIZIE CORRELATE * Terremoto ad Haiti, video e immagini Un anno dopo il sisma. Clinton: "iRRITATO PER LA LENTEZZA DELLA RICOSTRUZIONE" Msf: "Ad Haiti l'epidemia di colera mostra il fallimento degli aiuti" Medici senza frontiere: "Ci sono circa 12mila Ong, ma si è fatto poco per prevenire o contenere il contagio" La situazione un anno dopo la tragedia Alle 16,53 del 12 gennaio 2010, a 25 km a sud-ovest della capitale Port-au-Prince partiva una scossa di terremoto che, in 35 secondi, avrebbe steso l'isola di Haiti, paese già in ginocchio di suo: il più povero dell'intero continente americano dove, già prima di quest'ultima mazzata del destino, l'80% della popolazione viveva sotto la soglia di povertà e il 56% con meno di un dollaro al giorno. Un anno dopo, con tre miliardi e 600 milioni di dollari di aiuti elargiti e finiti non si sa bene dove, la situazione resta disperata, complice un'epidemia di colera che, da ottobre, ha ucciso altre 3000 persone ed è pure partita da una base dei caschi blu nepalesi. Ne seguirono scontri violenti e le truppe dell'Onu uccisero altre persone che protestavano contro di loro, in un girone infernale dove chi era lì per portare soccorso ha invece seminato nuovi lutti. Che qualcosa nella macchina degli aiuti si sia inceppato è ormai chiaro: il fiume di denaro versato, almeno in parte, ha preso direzioni inutili o sbagliate. L'ex presidente americano Bill Clinton, incaricato di coordinare gli aiuti internazionali, in visita sull'isola per l'anniversario, ha detto che nessuno è più "irritato" di lui per la lentezza con cui procede la ricostruzione del Paese: "solo il 60% di quanto è stato previsto per il primo anno è stato effettivamente speso" ha osservato l'ex presidente al quale, comunque, è stato fatto notare che sull'isola c'è gente più irritata di lui. LA DENUNCIA DI MSF - "Haiti rappresenta, sfortunatamente, lo scenario per l'ultimo fallimento del sistema degli aiuti umanitari - ha detto Unni Karunakara, presidente di Medici senza frontiere -. Il paese è piccolo e accessibile, e dopo il terremoto di gennaio ha registrato uno dei più imponenti e finanziati interventi di aiuto al mondo. Si stima che circa 12.000 organizzazioni non governative (Ong) siano presenti sul campo. Perché allora - chiede Karunakara - Haiti: le immagini della tragedia Haiti: le immagini della tragedia Haiti: le immagini della tragedia Haiti: le immagini della tragedia Haiti: le immagini della tragedia Haiti: le immagini della tragedia Haiti: le immagini della tragedia Haiti: le immagini della tragedia sono morte migliaia di persone per il colera, una malattia facilmente curabile e gestibile? Negli 11 mesi successivi al terremoto, poco è stato fatto per migliorare le condizioni igieniche a livello nazionale, consentendo al colera di diffondersi in tutto il paese ad un ritmo vertiginoso". Gli abitanti della baraccopoli di Cité Soleil non hanno ancora accesso ad acqua potabile clorata, sebbene le organizzazioni umanitarie inserite nel sistema dei "cluster" per l'acqua e l'igiene delle Nazioni Unite avevano accettato fondi per occuparsi di questo. "Abbiamo iniziato noi stessi la fornitura di acqua clorata - continua Karunakara-. A oggi c'è ancora un solo sito operativo per la gestione dei rifiuti in una città di 3,5 milioni di abitanti. Enormi quantità di aiuti si sono concentrati a Port-au-Prince, mentre scarso sostegno è stato fornito agli operatori sanitari privi di esperienza nelle zone rurali, dove il colera sta divampando. Team di Medici Senza Frontiere hanno trovato centri sanitari privi di soluzioni idrosaline salvavita o cliniche che erano semplicemente chiuse. È in questo contesto particolare che molte organizzazioni non governative hanno lanciato appelli di raccolta fondi, anche se le loro casse post-terremoto erano ancora piene". 250 MILA MORTI - Trentacinque secondi di orrore e devastazione su Port-au-Prince, città di 2,3 milioni di abitanti, e un destino, quello di Haiti, cambiato per sempre: il mega-terremoto di magnitudo 7 sulla scala Richter di martedì 12 gennaio 2009 ha ridotto in macerie non solo la capitale ma anche l'intera economia della fragile nazione caraibica, colpendo il 15% della popolazione, circa 2 milioni di persone. Il sisma ha ucciso circa 250 mila haitiani e lasciato senza tetto 1,2 milioni di persone solo nella capitale, che occupa la metà occidentale dell'isola di Hispaniola, dove Cristoforo Colombo attraccò al termine del suo primo viaggio, nel 1492. Gli scontri con le truppe Onu LA SITUAZIONE ATTUALE - Nella capitale il terremoto ha fatto crollare circa il 60% degli uffici governativi, compreso il Palazzo presidenziale, provocando seri danni anche alle vie della comunicazione, all'aeroporto di Port-au-Prince e ad alcuni porti, oltre che al 23% delle scuole. I detriti da rimuovere sono pari a 8 milioni di metri cubi e lì sotto, secondo quanto denuncia l'ong italiana Cesvi, ci sono ancora migliaia di cadaveri, una bomba ad orologeria contro la salute pubblica. Le macerie sono sparpagliate tra le tendopoli (dove vivono mezzo milione di bambini), spuntate un anno fa a seguito della distruzione che ha lasciato per strada circa 1,2 milioni di abitanti solo nella capitale, dove i primi cambiamenti consistenti a seguito dei lavori per la ricostruzione potranno vedersi solo fra cinque anni, precisano le autorità locali, ricordando che le perdite economiche per l'ecatombe sono state valutate in circa 5,8 miliardi di euro. IL TRAFFICO DI BAMBINI - La crescita enorme del numero dei piccoli orfani, e di occidentali che sull'isola si muovono fuori da ogni controllo, ha anche favorito che alla tragedia si aggiungesse il crimine. I bambini haitiani sono sempre più oggetto di traffici con l'estero, probabilmente destinati alle adozioni illegali. La denuncia è dell'Unicef Italia che, alla vigilia del primo anniversario del sisma, fa il punto sulla drammatica condizione dell'infanzia nel paese in un contesto generale in cui "è ancora pienissima emergenza. Nessuna ricostruzione è partita e si è molto in ritardo". "Haiti - ha spiegato il direttore dell'Unicef Italia Roberto Salvan - ha costituito una forza di polizia ad hoc che controlla di più le frontiere. Sono stati intercettati alcune migliaia di bambini perché sospettati di essere trafficati. In particolare, solo nel mese di settembre scorso, al confine con la Repubblica Domenicana, 1.800 bambini sono stati fermati e sottoposti a verifiche. Di questi, 15 sono poi stati portati in strutture protette perché quasi certamente erano stati prelevati illecitamente. Sempre nello stesso mese, un altro migliaio di altri casi sospetti sono stati individuati all'aeroporto; 6 sono stati poi accolti nella protezione. Questi 21 casi hanno bisogno di ulteriori accertamenti", ma il fenomeno esiste e alimenta le adozioni illegali. Subito dopo il terremoto l'associazione Save the Children ha avviato un programma per la riunificazione familiare: degli oltre 4500 bambini registrati come soli dopo il terremoto, 1100 sono stati ricongiunti con le famiglie. Gli altri 3400 restano in attesa di scontare il loro destino di haitiani, sperando che gli aiuti "umanitari" non glielo peggiorino. Stefano Rodi 11 gennaio 2011(ultima modifica: 12 gennaio 2011)
Sabato su io Donna - la storia di una bambina nata in mezzo alle macerie Un anno con Bedgina, aveva 40 giorni quando ci fu la scossa di terremoto Dignità, delusione, coraggio e debolezze: dalla ricostruzione mancata alle nuove emergenze Sabato su io Donna - la storia di una bambina nata in mezzo alle macerie Un anno con Bedgina, aveva 40 giorni quando ci fu la scossa di terremoto Dignità, delusione, coraggio e debolezze: dalla ricostruzione mancata alle nuove emergenze Bedgina tra le braccia della madre, in mezzo alle macerie Bedgina tra le braccia della madre, in mezzo alle macerie Un anno dal terremoto, un anno con Bedgina. Un Paese, una bambina. Raccontare la dignità, la delusione, il coraggio e le debolezze di Haiti, dalla ricostruzione mancata all’accavallarsi di nuove emergenze (dal colera alla violenza politica). Raccontarlo seguendo la storia di una neonata che aveva 40 giorni quando è rimasta ferita sotto le macerie della sua casa a Port-au-Prince il 12 gennaio 2010, il giorno che il sisma ha strappato alla vita 230mila persone. Bedgina Joseph, vittima qualunque eppure speciale, che ora ha trovato un tetto provvisorio e quattro mura in cui dormire. Io Donna, il femminile del Corriere, ha seguito il suo primo anno di vita in cui si riflettono le asprezze e le speranze di un Paese intero: la gamba in gangrena, l’amputazione, la prima protesi, la sopravvivenza in un accampamento di fortuna (ci vivono ancora oltre un milione di haitiani) senza acqua né servizi, sotto tende fatte di lenzuola a volte cucite insieme con l’ago. E cibo scarso fin dall’inizio, quando il chirurgo che aveva appena amputato la gamba di Bedgina (in sala operatoria andava un Cd di Bob Marley con Redemption Song) mise in mano alla madre Garlande, magrissima e sfinita, due panini vuoti perché potesse trovare le forze per allattarla. Michele Farina 11 gennaio 2011
LA GUERRA DEL PANE IN NORD AFRICA La guerriglia raggiunge Tunisi Il governo ammette che i morti sono 21. Gli Usa esprimono preoccupazione per l'eccessiva violenza LA GUERRA DEL PANE IN NORD AFRICA La guerriglia raggiunge Tunisi Il governo ammette che i morti sono 21. Gli Usa esprimono preoccupazione per l'eccessiva violenza (Reuters) (Reuters) Si aggrava la situazione in Tunisia. Le violenze raggiungono la capitale, Tunisi. Ed è lo stesso governo, obbligato dall'evidenza, ad aggiornare il bilancio dei morti: 21, secondo quanto detto dal ministro della Comunicazione Samir Labidi che tuttavia ha smentito, bollandole come false, le notizie che parlano di un numero di vittime più alto. "Vi confermo che il numero delle vittime nel fine settimane è di 21", ha detto il ministro nel corso di una conferenza stampa. "Tutte le altre stime date dalla tv e dalle agenzie che parlano di 40 o 50 (morti) sono completamente false". Lunedì il governo tunisino aveva ordinato la chiusura fino a nuovo ordine di tutte le scuole e università. DATI DISCORDANTI - Secondo Amnesty International, i morti negli scontri sono 23, mentre Souhayr Belhassan, che presiede la Federazione internazionale per i diritti umani, sostiene che siano 35. Intanto episodi di violenza si sono verificati anche nella capitale, Tunisi. I residenti hanno ingaggiato scontri con la polizia e hanno preso d'assalto alcuni edifici nei sobborghi. È la prima volta che i disordini coinvolgono anche la capitale tunisina. ETTADHAMOUN A FUOCO - I dimostranti, hanno attaccato edifici nel quartiere operaio di Ettadhamoun, a 15 chilometri dal centro di Tunisi, saccheggiando negozi e dando fuoco ad una banca. La polizia è intervenuta inseguendo la popolazioni con i manganelli. A sostegno della polizia sono stati mobilitati anche uomini dell'esercito. Secondo testimoni sarebbero morti e feriti. Il fuoco sarebbe stato appiccato anche allo stabile che ospita gli uffici della municipalità. In tutta la città è stata interrotta l'erogazione dell'energia elettrica. La polizia, secondo le stesse fonti, ha bloccato tutte le vie di accesso e uscita dalla città. Mentre i dimostranti avrebbero interrotto la circolazione sull' autostrada che unisce Tunisi a Biserta. LA PREOCCUPAZIONE AMERICANA - Nel frattempo gli Stati Uniti hanno espresso "preoccupazione" per l'uso eccessivo della forza da parte delle autorità tunisine nei confronti dei manifestanti. "Gli Stati Uniti sono profondamente preoccupati per le informazioni relative ad un uso eccessivo della forza da parte del governo tunisino", ha detto il portavoce del Dipartimento di Stato Mark Toner. GIORNALISTI SOTTO ASSEDIO- Sotto attacco anche i media. La polizia tunisina ha circondato la sede del sindacato dei giornalisti a Tunisi. Secondo quanto rivela il sindacalista tunisino Naji al-Baghuri alla tv araba al-Jazeera, i poliziotti hanno avuto l'ordine di impedire ai cronisti di uscire dalla sede del sindacato per evitare che scendano in strada e manifestino contro il governo. "Ci hanno circondati e ci impediscono di uscire - ha affermato - siamo circa un centinaio qui in sede e vogliamo manifestare contro le autorità che applicano la censura e ci impediscono di dare informazioni sulle proteste dei disoccupati". I giornalisti tunisini hanno proclamato uno sciopero in segno solidarietà con i disoccupati di Sidi Bouzid e delle altre città del paese nord africano. REPORTER SENZA FRONTIERE - Circondata anche la sede del giornale Al-Maouqif. In questi giorni, come racconta Al-Jaseera, rapper, blog e siti internet sono stati oscurati. E Reporters sans frontières, sul suo sito, racconta di diversi arresti di giornalisti. L'11 gennaio un giornalista di Radio Kalina , Nissar Ben Hassen, sarebbe stato arrestato a La Chebba (65 kma nord di Sfax), da agenti delle unità speciali della presidenza. Ben Hassen aveva appena pubblicato un video su quanto successo a Chebba e stava lavorando al montaggio di un video sulle violenze a Mahdia. Sempre secondo il racconto di Reporters sans frontières, il 6 gennaio quattro poliziotti in civile hanno bloccato con gas paralizzanti Moez Jemai, corrispondente di Radio Kalima à Gabès (400 km a sud di Tunisi). Fatto salire di forza su un'auto sarebbero stato portato a Tunisi, al Ministero degli Interni. Interrogato e malmenato è stato rilasciato l'8 gennaio a Tunisi. Redazione Online 11 gennaio 2011(ultima modifica: 12 gennaio 2011)
2011-01-09 i feriti sono 32 Iran, cade aereo con 105 a bordo Il velivolo è precipitato nei pressi della città di Urumiyeh nel nord-ovest del Paese: almeno 70 morti i feriti sono 32 Iran, cade aereo con 105 a bordo Il velivolo è precipitato nei pressi della città di Urumiyeh nel nord-ovest del Paese: almeno 70 morti Un aereo della Iran Air Un aereo della Iran Air MILANO - Tragedia in Iran. Un aereo passeggeri della IranAir, un Boeing, 727 con 105 persone a bordo si è schiantato nei pressi della città di Urumiyeh nel nord-ovest del Paese. È di almenoo 70 morti accertati e 32 feriti il bilancio provvisorio dell'incidente. Lo riferisce un funzionario della Mezza Luna Rossa citato dall'agenzia Irna. POSSIBILI SOPRAVVISSUTI - Secondo quanto rivela l'agenzia iraniana Fars: "L'aereo era decollato con un'ora di ritardo rispetto a quanto previsto a causa del maltempo e proprio le avverse condizioni meteo lo avrebbero fatto precipitare in una villaggio vicino a Urumiyeh", ha riferito un funzionario iraniano. "L'aereo è decollato da Teheran con un'ora di ritardo sull'orario previsto in direzione di Urumiyeh e a causa delle cattive condizioni climatiche si è schiantato nei pressi di Urumiyeh", ha aggiunto il funzionario. Redazione online
pacco sospetto inviato all'ufficio della deputata ma non era esplosivo Arizona, sei i morti. La Giffords cosciente "Era lei l'obiettivo della strage". Si cerca un complice di Loughner. Rinviato il voto sulla riforma sanitaria * NOTIZIE CORRELATE * Gabrielle Giffords nella mappa dei rivali di Sarah Palin * Sparatoria a Tucson, deputata americana lotta per la vita (8 gennaio 2011) * Il marito astronauta guiderà l'ultima missione dello Shuttle (8 gennaio 2011) * "L'ultimo ricordo di un terrorista" (8 gennaio 2011) pacco sospetto inviato all'ufficio della deputata ma non era esplosivo Arizona, sei i morti. La Giffords cosciente "Era lei l'obiettivo della strage". Si cerca un complice di Loughner. Rinviato il voto sulla riforma sanitaria Candele per Gabrielle Giffords davanti all'ospedale di Tucson (Reuters) Candele per Gabrielle Giffords davanti all'ospedale di Tucson (Reuters) WASHINGTON - È cosciente Gabrielle Giffords, la deputata democratica ferita alla testa da un 22enne che ha sparato all'impazzata durante un comizio davanti a un centro commerciale a Tucson, in Arizona. La 40enne ha subìto un lunghissimo intervento alla testa all'ospedale universitario cittadino e i medici sono cautamente ottimisti sulla possibilità che si salvi, ma il proiettile le ha trapassato il cervello e potrebbe essere necessaria un'altra operazione. La donna sta ancora lottando contro la morte,la ferita alla testa ha avuto effetti devastanti. Quando si è svegliata ha riconosciuto il marito, l'astronauta Mark Kelly. "OBIETTIVO DELLA STRAGE" - Sul fronte delle indagini la polizia non ha dubbi: era lei l'obiettivo dell'autore della strage, Jared Lee Loughner, che ha sparato all'impazzata uccidendo sei persone e ferendone 13. Le vittime sono Gabe Zimmerman, assistente trentenne della Giffords, Christina Greene di 9 anni (nata il giorno dell'attacco alle Torri Gemelle), il giudice federale 63enne John Roll e tre pensionati: Dorthy Murray, Dorwin Stoddard e Phyllis Scheck. Secondo un alto funzionario delle forze dell'ordine, Bill Livingood, la sparatoria non sembra essere parte di una minaccia più vasta contro il Congresso o essere di tipo terroristico. SI CERCA UN COMPLICE - Secondo lo sceriffo della contea di Pima, Clarence Dupnik, il giovane è "instabile", non folle, e nonostante dica di aver agito da solo, la polizia è alla ricerca di un complice - un uomo bianco dai capelli scuri, tra i 40 e i 50 anni, con jeans blu e giacca blu scuro - che lo avrebbe accompagnato nel mini-market e di cui gli agenti avrebbero alcune fotografie o video. Intanto Loughner - arrestato subito dopo la sparatoria - è stato consegnato agli agenti federali dell'Fbi. Ha usato una Glock 9 mm, pistola austriaca molto sofisticata e costosa, fatta in ceramica per risultare invisibile ai metal detector. Alex Villec, volontario impegnato nell'organizzazione del comizio a Tucson, ha detto che il 22enne, con berretto nero e pantaloni larghi, ha chiesto della deputata: "Gli ho detto che lei sarebbe stata ben felice di parlargli, al momento del suo turno". L'uomo si è allontanato, per tornare pochi minuti dopo e saltare oltre un tavolo che separava la donna dal pubblico. Villec ha detto di averlo visto sollevare il braccio e di aver poi sentito gli spari. Loughner ha mirato alla Giffords e al suo collaboratore, poi ha iniziato a colpire indiscriminatamente lo staff e le persone in coda per parlare alla deputata. Gabrielle Giffords Gabrielle Giffords Gabrielle Giffords Gabrielle Giffords Gabrielle Giffords Gabrielle Giffords Gabrielle Giffords Gabrielle Giffords PACCO SOSPETTO - Le autorità americane stanno indagando anche su un pacco sospetto indirizzato all'ufficio di Gabrielle Giffords. Inviato prima della strage, somiglierebbe a un barattolo di caffè, ma secondo la polizia non poteva esplodere. VOTO RINVIATO - Il presidente Barack Obama, in diretta tv, ha parlato di "gesto insensato e terribile che non può trovare posto in una società libera, una tragedia indicibile per l'intero Paese" e ha spedito in Arizona il capo dell'Fbi Robert Mueller. La Camera dei rappresentanti ha deciso di rinviare il voto sulla legge sull'assistenza sanitaria. Il leader della maggioranza Eric Cantor ha detto che tutte le azioni legislative "saranno posticipate in modo da permetterci di prendere qualsiasi azione necessaria alla luce della tragedia". Il voto era in programma per mercoledì. La Giffords, eletta per la prima volta al Congresso nel 2006, è al suo terzo mandato: di idee progressiste, è una paladina della riforma sanitaria, difende la legge sull'aborto e la ricerca sulle staminali, ma ha una linea dura sull'immigrazione. È stata presidente della sottocommissione per lo Spazio e l'Aeronautica, membro della commissione Scienza e Tecnologia e della commissione Forze Armate. Sarah Palin l'ha inserita nella lista dei rivali da "eliminare" politicamente (GUARDA). Redazione online 09 gennaio 2011
Gli agguati ai politici nella storia Usa Gli agguati ai politici nella storia Usa John F. Kennedy L'omicidio a Dallas Il presidente democratico John Fitzgerald Kennedy, alla Casa Bianca dal 1961 (primo cattolico nella storia degli Usa), è assassinato a Dallas il 22 novembre 1963 a 46 anni (nella foto Ap Jfk con la moglie Jacqueline Kennedy nell’auto pochi istanti prima di essere colpito) Martin Luther King Ucciso a Memphis Il 4 aprile 1968 Martin Luther King Jr, pastore protestante leader della lotta per i diritti civili dei neri d’America e premio Nobel per la Pace, muore colpito alla testa a Memphis in Tennessee a 39 anni (nella foto Ap il celebre discorso del 1963, "I Have a Dream", Ho un sogno) Bobby Kennedy Morte a Los Angeles Il fratello minore di Jfk, Robert Kennedy, viene ucciso nel 1968 durante la campagna delle primarie democratiche in vista delle elezioni presidenziali: all’alba del 5 giugno è colpito a morte nelle cucine dell’Hotel Ambassador di Los Angeles (nella foto Afp i funerali nella Saint Patrick Cathedral a New York) Ronald Reagan L'attentato fallito Il 30 marzo 1981 il presidente repubblicano Ronald Reagan (in carica dal 1981 al 1989), è colpito a colpi d’arma da fuoco a Washington (foto Ap): con il polmone sinistro perforato, Reagan viene operato d’urgenza. Ai medici in sala operatoria dice: "Spero siate tutti repubblicani". Si salva 09 gennaio 2011
Era nella "target list" della Palin per l'appoggio alla riforma sanitaria Giffords, il marito astronauta guiderà l'ultima missione dello Shuttle Dal matrimonio, celebrato nel 2007, sono nati due figli. È stata la prima deputata ebrea dell'Arizona Era nella "target list" della Palin per l'appoggio alla riforma sanitaria Giffords, il marito astronauta guiderà l'ultima missione dello Shuttle Dal matrimonio, celebrato nel 2007, sono nati due figli. È stata la prima deputata ebrea dell'Arizona L'astronauta Mark E. Kelly L'astronauta Mark E. Kelly MILANO - Il marito di Gabrielle Giffords, la deputata democratica colpita alla testa da un proiettile esploso da un attentatore ventenne, è un veterano dei lanci dello shuttle. A Mark E. Kelly, che cominciò a viaggiare nello spazio con l'Endeavour nel 2001, è affidata anche l'ultima missione della navetta, in partenza il 1° aprile prossimo. In tutto ha compiuto quattro missioni con lo shuttle. Dal matrimonio con Gabrielle Giffords, avvenuto nel novembre del 2007, sono nati due figli. ARTEFICE DELLA RIFORMA SANITARIA - Gabrielle Giffords è nata a Tucson, Arizona, nel 1970, da una famiglia ebrea. Fa parte dell'ala moderata del partito democratico. Da un lato è favorevole alla libera scelta in tema di aborto e alla ricerca sulle cellule staminali. Dall'altro ha posizioni rigide in materia di immigrazione. Nel suo discorso di insediamento, poco più di due anni fa, ha presentato un pacchetto di riforme che prevedono la pesante repressione dell'immigrazione illegale attraverso l'utilizzo alle frontiere di uomini e delle tecnologie più moderne, e pesanti sanzioni per chi assume consapevolmente immigrati irregolari. Gabrielle Giffords però ha votato a favore dell'aumento dei fondi federali da destinare alla ricerca sulle cellule staminali embrionali, ed è schierata a favore dell'aumento del salario minimo. La Giffords era nella "target list" di Sarah Palin: l'ex governatore dell'Alaska aveva stilato un elenco di avversari da sconfiggere politicamente "per la loro responsabilità nel disastro" rappresentato dal voto con cui il Congresso aveva approvato la riforma sanitaria (GUARDA). CONTRO LE "BIG OIL" - Durissima la sua posizione contro i sussidi alle grandi compagnie petrolifere: la deputata dell'Arizona, strenua sostenitrice dell'energia rinnovabile, ha votato per abrogare ogni tipo di sussidio. "Affidandoci alle risorse provenienti da Medio Oriente e America Latina - ha detto in un suo intervento alla Camera - abbiamo messo la nostra sicurezza nazionale a rischio". Gli stanziamenti federali in tal senso ammontano a 14 miliardi di dollari. Contraria alla vendita di parti di aerei F-14, la Giffords è stata invece favorevole al rifinanziamento della missione in Iraq del 2007: "Non posso, in coscienza, consentire di tagliare fondi ai militari sapendo che ogni giorno vengono attaccati". Nelle ultime elezioni di metà mandato, lo scorso novembre, la Giffords ha vinto di misura contro il candidato repubblicano ultraconservatore Jesse Kelly, sostenuto dai Tea Party. La Giffords ha giurato come nuovo deputato tre giorni fa. È la prima deputata ebrea dell'Arizona. Redazione online 08 gennaio 2011(ultima modifica: 09 gennaio 2011)
La democratica era sulla "TRAGET LIST" DELL'ex candidata alla vicepresidenza Giffords, gaffe della Palin su Facebook Postate e non rimosse le "sincere condoglianze" dell'ex governatore dell'Alaska * NOTIZIE CORRELATE * Sparatoria a Tucson, 5 persone uccise. Deputata Usa in fin di vita (8 gennaio 2010) La democratica era sulla "TRAGET LIST" DELL'ex candidata alla vicepresidenza Giffords, gaffe della Palin su Facebook Postate e non rimosse le "sincere condoglianze" dell'ex governatore dell'Alaska Sarah Palin Sarah Palin Sarah Palin offre "sincere condoglianze" alla famiglia della deputata democratica Gabrielle Giffords, rimasta gravemente ferita in un attentato a Tucson. La Palin ha postato sulla sua pagina di Facebook un messaggio, sul quale hanno espresso un "like" (e cioè un "mi piace") più di 7.000 fan. "Da parte di Todd e della mia famiglia", scrive l'ex governatore dell'Alaska e fonte di ispirazione del Tea Party, "preghiamo per tutte le vittime e per le loro famiglie, e per la pace e la giustizia". Difficile capire se quando il messaggio è stato postato, l'ospedale in cui è ricoverata la deputata avesse già annunciato che la donna lotta per la vita. In effetti, le prime notizie arrivate dall'Arizona lasciavano intendere che la Giffords fosse morta nell'agguato. Solo dopo si è appreso che la deputata, colpita a bruciapelo, è rimasta in vita. Il messaggio della Palin comunque, quando era ormai passata più di un'ora dall'annuncio dell'ospedale, si trovava ancora sulla bacheca di Facebook, e dunque destinato a passare come l'ennesima gaffe della Palin. "TARGET LIST" - C'è da dire, tra l'altro, che Gabrielle Giffords era sulla "target list" dell'ex governatore dell'Alaska ed ex candidata alla vicepresidenza: la Palin aveva stilato un elenco di avversari da sconfiggere politicamente "per la loro responsabilità nel disastro" rappresentato dal voto con cui il Congresso aveva approvato la riforma sanitaria. La Giffords, conosciuta per il suo impegno a favore dell'aborto, votò anche a favore della ricerca sulle cellule staminali embrionali, e contro i sussidi alle compagnie petrolifere. Era una sostenitrice delle energie rinnovabili. Democratica moderata della Blue Dog coalition, aveva sposato un astronauta. Alla fine di marzo dello scorso anno, in vista dell'approvazione finale della riforma sanitaria, l'ufficio della Giffords a Tucson era stato attaccato da vandali, che nella notte ne avevano distrutto la porta d'ingresso. Minacce e atti vandalici avevano avuto come obiettivo altri parlamentari, tanto da indurre gli agenti federali a un vertice con un centinaio di deputati democratici, considerati a rischio, e a decidere con loro le misure di sicurezza da prendere. Dopo l'attentato, il padre di Gabrielle Giffords ha risposto così al New York Post alla domanda di un cronista sull'esistenza possibili nemici della figlia: "Sì. L'intero Tea Party". (Fonte Agi)
08 gennaio 2011
Un ambulante si dà fuoco a Sidi Bouzid: È grave Rivolta del pane in Tunisia, 20 morti "La polizia smetta di sparare" Scontri per carovita, appello del leader dell'opposizione. In Algeria cinque vittime, oltre 800 feriti e mille arresti Un ambulante si dà fuoco a Sidi Bouzid: È grave Rivolta del pane in Tunisia, 20 morti "La polizia smetta di sparare" Scontri per carovita, appello del leader dell'opposizione. In Algeria cinque vittime, oltre 800 feriti e mille arresti Manifestanti a Tunisi (Ap) Manifestanti a Tunisi (Ap) MILANO - Si aggrava il bilancio della rivolta scoppiata in tutto il Maghreb contro la crisi economica e la disoccupazione. In Tunisia tra sabato e domenica venti manifestanti sono stati uccisi in due città, Tala e Kasserine, negli scontri con le forze dell'ordine. Molti i feriti. Secondo un testimone le vittime di Tala - tra i 17 e i 30 anni - sono state uccise dalla polizia, che ha aperto il fuoco sui manifestanti nel centro della città. Sei feriti gravi sono stati trasferiti in un ospedale di Kasserine, capitale della regione. Sempre in Tunisia, sabato un ambulante si è dato fuoco nel mercato di Sidi Bouzid, dove il 17 dicembre un altro commerciante aveva compiuto un gesto analogo, morendo poi per le ustioni. Il gesto dell'uomo aveva dato il via a un'ondata di contestazioni. Sabato è stata la volta del 50enne, sposato e padre di famiglia: si è cosparso di benzina e dato fuoco, poi è stato portato via in ambulanza; le sue condizioni sono gravi. "POLIZIA SMETTA DI SPARARE" - Un leader dell'opposizione tunisino, Ahmed Nejib Chebbi, ha rivolto un appello al presidente Zine Abidine Ben Ali perché dia ordine alla polizia di non sparare più. "Deve far cessare il fuoco" ha detto Chebbi, capo storico del Partito democratico progressista, spiegando che gli agenti "hanno sparato sui cortei funebri" a Tala e Kasserine. "Faccio un appello urgente al presidente della Repubblica per chiedergli far cessare il fuoco immediatamente per salvare la vita a cittadini innocenti e rispettare il loro diritto a manifestare". CINQUE MORTI IN ALGERIA - In Algeria ci sono stati cinque morti in quattro giorni, mentre dall'inizio delle proteste si contano - secondo il Ministero dell'Interno - 826 feriti, di cui 763 sono agenti. Domenica un uomo di 35 anni è stato ucciso a colpi d'arma da fuoco a Tiaret, durante un assalto di alcuni manifestanti che hanno tentato di saccheggiare il suo negozio di alcolici. Secondo un bilancio ufficiale, tre manifestanti sono morti a M'Sila, Boumerdes e Bou Smail, mentre la stampa parla di un altro decesso avvenuto sempre a M'Sila. Mille persone, in gran parte minorenni, sono state arrestate. Il governo ha adottato misure straordinarie per frenare l'impennata dei prezzi di prodotti alimentari, in particolare olio e zucchero, all'origine delle violente proteste. Rivolta per il pane, Algeria nel caos Rivolta per il pane, Algeria nel caos Rivolta per il pane, Algeria nel caos Rivolta per il pane, Algeria nel caos Rivolta per il pane, Algeria nel caos Rivolta per il pane, Algeria nel caos Rivolta per il pane, Algeria nel caos Rivolta per il pane, Algeria nel caos GLI SCONTRI - Il ministro dell'Interno algerino ha negato il carattere politico delle proteste in quanto "non hanno il sostegno del popolo", ma la rivolta contro gli aumenti dei prezzi va avanti da martedì. Venerdì, malgrado gli appelli alla calma lanciati dagli imam durante la preghiera nelle moschee, ci sono stati scontri nel centro di Algeri dove centinaia di giovani hanno lanciato pietre e bottiglie contro i poliziotti. Le violenze si sono estese ad altre città, come Annaba, Tizi Ouzou, Boumerdes, Bejaia. LE VITTIME - A morire venerdì negli scontri, un giovane di 18 anni, "colpito da alcuni proiettili mentre tentava di introdursi in un commissariato" a Ain Lahdjel, ma anche un ragazzo rimasto carbonizzato all'interno di un hotel incendiato dai manifestanti nei pressi di Boumerdes. Un uomo di 32 anni è morto invece a Bou Smail. Sarebbe stato colpito alla testa da un proiettile mentre altre fonti parlano di un lacrimogeno esploso sul volto. Ed è proprio a Bou Smail, porticciolo vicino a Tipaza, che decine di giovani sono scesi in strada e hanno affrontato le forze di sicurezza con particolare violenza, alimentata anche dalla notizia dell'uomo ucciso. A ferro e fuoco pure la berbera Cabilia, da sempre in contrasto con il potere centrale e roccaforte di Al Qaeda per il Maghreb islamico nel nord del Paese. Diverse strade della regione, tra cui la principale via di collegamento con la capitale, sono state bloccate dai manifestanti. Anche sabato protagonisti della protesta sono stati giovani e giovanissimi che hanno sfogato la loro rabbia e frustrazione. "DISPREZZO DALLO STATO" - "La chiusura di ogni spazio d'espressione non lascia che la rivolta e la strada come mezzo di contestazione - ha denunciato il principale partito d'opposizione algerino, il Raggruppamento per la cultura e la democrazia (Rcd) -. Davanti a una miseria dilagante, lo Stato risponde con il disprezzo, la repressione o la corruzione". "Quale che sia il risultato di queste proteste, avranno comunque contribuito al rafforzamento della resistenza cittadina e al discredito del sistema in vigore". Unanime la condanna degli altri partiti, tra cui la principale formazione algerina, il Fronte di Liberazione nazionale (Fln) e il Movimento della società per la pace (Msp, ex Hamas) che hanno denunciato "atti di violenza e vandalismo". Il ministro dell'Interno ha annunciato il pugno di ferro: "I tribunali saranno aperti e sono già stati coinvolti nei casi di giovani presi in flagrante reato di vandalismo o furto". Redazione online 08 gennaio 2011(ultima modifica: 09 gennaio 2011)
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REPUBBLICA per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.repubblica.it/2011-08-02 RISCHIO DEFAULT Debito Usa, ok della Camera all'accordo oggi il voto definitivo del Senato Il ramo del parlamento Usa controllato dai repubblicani approva a maggioranza l'accordo sull'aumento del tetto del debito e i tagli raggiunto ieri. Ora la palla passa al Senato, che voterà alle 18 ora italiana (le 12 negli States) per il via libera definitivo. Ma il rating AAA rimane a rischio. Tokyo in calo Debito Usa, ok della Camera all'accordo oggi il voto definitivo del Senato Capitol Hill, sede della Camera Usa WASHINGTON - E' arrivato poco dopo l'una (le 19 negli Stati Uniti) l'ok della Camera dei rappresentati al compromesso sull'aumento del tetto del debito 1 statunitense (legato a pesanti tagli al bilancio statale), piano che dovrebbe evitare il default e le sue pesanti ripercussioni economiche. Perché l'accordo - che è stato annunciato ieri notte da Barack Obama - diventi legge, manca il voto del Senato che è atteso alle 18 (ora italiana, le 12 negli States) e la firma del presidente. Il piano è stato approvato - al termine di una seduta fiume durata 11 ore - con 269 voti contro 161, con una nutrita pattuglia di oppositori sia democratici che repubblicani che si sono dissociati dall'indicazione dei partiti di votare sì. Il voto definitivo deve arrivare entro oggi per evitare il default tecnico di Washington: per legge infatti gli Stati Uniti non posso spendere più di un determinato valore stabilito per legge e il Tesoro ha fatto sapere che quel tetto verrà raggiunto oggi. Senza il voto quindi, sin da domani, gli Stati Uniti sarebbero impossibilitati a pagare pensioni e stipendi, ripagare debiti o emettere nuovi titoli di stato. Con conseguenze disastrose per tutta l'economia mondiale. Il piano prevede un aumento del tetto del debito di almeno 2.100 miliardi di dollari, associati a tagli della spesa di pari valore. Le misure verranno implementate in fasi successive e i settori a cui verranno ridotti i fondi saranno decisi da una commissione bicamerale entro novembre. L'accordo (se sarà approvato) non scongiura il rischio di un downgrade, l'abbassamento della valutazione, del debito pubblico americano da parte delle agenzie di rating: l'ammontare della misura è decisamente inferiore ai 4.000 miliardi di dollari identificati da Standard & Poor's per il mantenimento del rating AAA (il migliore). E l'impatto della misura sull'economia, già fragile, preoccupa. "L'accordo è positivo per l'economia, evita altri danni" afferma il segretario al Tesoro, Timothy Geithner. Il presidente della Fed, Ben Bernanke, convoca una riunione del board per discutere di "politiche fiscali e di bilancio". E secondo gli osservatori, nonostante l'accordo la Fed dovrà aiutare ancora l'economia. Borsa, Tokyo in calo. L'indice Nikkei viaggia in territorio negativo (-1,17%) per i timori di un rallentamento dell'economia statunitense, mentre gli investitori valutano anche l'ipotesi di un possibile intervento del Giappone sui mercati valutari per raffreddare la corsa dello yen. L'indice Nikkei si attesta a quota 9.848, in calo di 117,01 punti, scontando l'attività manifatturiera americana ai minimi da due anni e i timori di un downgrade degli Usa. Il dollaro si mantiene debole contro lo yen, a 77,39. (02 agosto 2011)
2011-07-27 AFGHANISTAN Ucciso da un kamikaze il sindaco di Kandahar Hamidi si trovava nel cortile del palazzo comunale quando l'attentatore suicida ha fatto esplodere la bomba che portava nel turbante. Due settimane fa nella stessa città l'uccisione del fratello di Karzai. I Taliban rivendicano Ucciso da un kamikaze il sindaco di Kandahar Il sindaco di Kandahar Hamidi KABUL - Il sindaco di Kandahar, città nel sud dell'Afganistan, è stato ucciso in un attentato suicida. Lo ha riferito il capo della polizia della provincia, Abdul Raziq. Il kamikaze ha fatto detonare l'esplosivo che nascondeva sotto il turbante davanti all'uomo, Ghulam Haidar Hamidi, che stava discutendo con altri amministratori nel cortile del Comune. Hamidi si era distinto per la sua lotta alla corruzione nella vita pubblica afgana. I Taliban locali hanno rivendicato l'attentato. Insieme ad Hamidi sono morte anche altre persone, il bilancio finale dell'attentato non è ancora noto. Immediatamente dopo l'attentato, militari afgani e della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf, sotto comando Nato) hanno preso posizione nella zona isolandola. Due settimane fa a Kandahar era stato ucciso il fratello del presidente afgano, Hamid Karzai, uno degli uomini più potenti e anche controversi dell'Afghanistan meridionale; e la sua uccisione ha fatto temere da subito una destabilizzazione dei precari equilibri nella zona. (27 luglio 2011)
2011-07-26 NORVEGIA "Ipotesi: crimini contro l'umanità" Solo così Breivik prenderà 30 anni La polizia norvegese pensa di invocare una nuova disposizione nei confronti dell'autore della strage di venerdì, per la quale la legge prevede una pena massima di 21 anni. E non crede a quando afferma di aver avuto dei complici: "Ha agito da solo", anche se il reo confesso insiste: cellule attive in Norvegia e all'estero. Il governo difende la polizia: "ha operato in modo fantastico". Il legale dell'omicida: "é malato di mente" "Ipotesi: crimini contro l'umanità" Solo così Breivik prenderà 30 anni OSLO - La polizia norvegese pensa di invocare una nuova disposizione del codice penale per "crimini contro l'umanità " nei confronti di Anders Behring Breivik, che ha ammesso di essere l'autore della strage di venerdì scorso a Oslo. Lo riferisce il procuratore citato da un giornale locale. Introdotta nel codice penale norvegese nel 2008, la norma sui crimini contro l'umanità prevede una pena massima di 30 anni di reclusione. Citato in forma indiretta dal giornale Aftenposten, il procuratore Christian Hatlo ha sottolineato che il ricorso a tale norma è al momento solo un'eventualità. Finora la polizia ha fatto riferimento ad "atti di terrorismo" che prevedono una pena massima di 21 anni. "Nessun complice". La polizia norvegese è ancora convinta che Anders Behring Breivik, l'estremista autore della duplice strage di Oslo e di Utoya in cui venerdi sono morte 76 persone, abbia agito da solo e non si sia appoggiato ad alcuna cellula esterna, come invece da lui sostenuto nell'udienza preliminare di ieri. "Riteniamo che l'accusato abbia una credibilità piuttosto bassa per quanto riguarda questa affermazione, certo nessuno di noi comunque può escludere del tutto che sia vera", ha detto all'agenzia Reuters una fonte vicina alle indagini. Si dubita anche che Brevik sia parte di una 'crociata' anti-Islam e anti-marxista, come da lui sostenuto nel'manifesto di oltre 1.500 pagine che alcuni esperti norvegesi vedono piuttosto come il frutto della fantasia di uno psicopatico che vuole solo confondere le acque. Ma Breivik: "altre cellule all'estero e in Norvegia". Il legale: è malato di mente. Breivik, però, insiste nel dire che la sua azione è supportata da due cellule solo in Norvegia e da diverse altre all'estero. Lo ha riferito il suo avvocato, che per il suo assistito ha parlato di infermità mentale. Il massacro perpetrato venerdì dimostra che il norvegese è malato di mente, ha dichiarato il legale Geir Lippestad, senza precisare se questa sarà la linea difensiva che verrà seguita in tribunale. Anders Breivik è un "lucido folle", non ha mostrato alcuna "pietà" per le vittime ed convinto che la sua "guerra" verrà portata avanti dagli altri "Cavalieri templari", ha detto l'avvocato. "E' dispiaciuto di aver dovuto compiere le stragi, ma ha dovuto farlo perché crede di essere in guerra", ha aggiunto il legale, "odia tutti quelli che non sono estremisti" ed è rimasto "sorpreso" di essere riuscito a portare a termine entrambi gli attentati. ''Pensava che sarebbe stato ucciso subito dopo l'esplosione, o dopo la sparatoria sull'isola o, addirittura, durante il processo", ha riferito l'avvocato. Governo difende la polizia. In risposta alle polemiche sull'intervento della polizia, giudicato tardivo sull'isola di Utoya, oggi il ministro della Giustizia ne ha invece elogiato l'operato. Ha fatto un lavoro "fantastico" ha detto il ministro, Knut Storberget, dopo un colloquio con il capo della polizia. "E' molto importante avere un atteggiamento aperto e critico, ma c'è un tempo per ogni cosa", ha dichiarato ai giornalisti il ministro. Un elogio che contraddice decisamente le critiche emerse in queste ore sul ritardo con cui la polizia è intervenuta per bloccare Anders Behring Breivik mentre massacrava i giovani laburisti sull'isoletta di Utoya. (26 luglio 2011)
2011-07-25 L'ATTACCO Afghanistan, ucciso soldato italiano Sparatoria a Bala Murghab, due feriti In uno scontro a fuoco durante un'operazione congiunta con le forze locali nel nord-ovest muore il caporalmaggiore David Tobini, altri due militari feriti: Simone D'Orazio versa in gravi condizioni, colpito al gomito Francesco Arena. Sale a 41 il numero di vittime italiane nell'operazione Isaf. Il cordoglio di Napolitano. La Lega torna a criticare le missioni, Di Pietro ripete la richiesta di ritiro. La Russa: "Non è momento di discutere nostra presenza" Afghanistan, ucciso soldato italiano Sparatoria a Bala Murghab, due feriti KABUL - Un soldato del contingente italiano in Afghanistan è stato ucciso nel corso di uno scontro a fuoco a Bala Murghab. Lo comunica lo Stato maggiore della Difesa. Altri due militari della nostra missione sono rimasti feriti, uno è "in condizioni critiche", ha detto il ministro della Difesa Ignazio La Russa. Il caduto è il primo caporalmaggiore David Tobini, nato a Roma il 23 luglio 1983, in forza al 183 reggimento paracadutisti "Nembo" di Pistoia. In gravi condizioni è Simone D'Orazio, 28 anni, che sta per essere trasportato all'ospedale di Kandahar. Il secondo militare ferito è Francesco Arena, 32 anni, colpito lievemente al gomito destro. I nomi dei feriti e la situazione clinica sono stati diffusi dal comandante della Folgore di Pistoia, il tenente colonnello Maurizio Zanchi. "La salma arriverà mercoledì mattina e probabilmente nella stessa giornata si terranno le esequie a Roma", ha aggiunto il ministro La Russa. I nostri militari erano entrati nel villaggio per cercare esplosivi, poi, all'uscita della zona controllata, attorno alle 4 di ieri mattina (ora italiana) hanno cominciato a sparargli contro. L'attacco è avvenuto durante un'operazione congiunta tra militari italiani e forze afgane nella zona a nord ovest della valle di Bala Murghab. Non è noto, al momento, se ci siano stati dei feriti anche tra i soldati afgani che svolgevano l'attività insieme agli italiani. Con la m orte di Tobini sale a 41 il numero dei militari italiani caduti in Afghanistan. Profondo cordoglio a nome di tutto il Paese è stato espresso dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: "Appresa con profonda commozione la notizia", si legge in una nota del Quirinale, il Capo dello Stato "esprime, rendendosi interprete del profondo cordoglio del Paese, sentimenti di solidale partecipazione al dolore dei famigliari". Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in una nota afferma: "Siamo vicini alla famiglia del paracadutista caduto in Afghanistan e a quelle dei due militari rimasti feriti nell'agguato. A tutti i nostri soldati impegnati nelle operazioni di pace contro il terrorismo rinnoviamo la gratitudine del Governo e del Paese". Ma sulla morte del soldato italiano si innesta nuovamente la critica della Lega Nord per le missioni italiane all'estero: "Ma tutto ciò serve? O muoiono invano?", chiede Stefano Stefani, presidente della Commissione Esteri della Camera. "C'è da chiedersi se, data per scontata l'agenda di disimpegno dell'Italia dal pantano afgano, si può ancora proseguire in una strategia che lascia i nostri ragazzi troppo esposti e, di converso, poco tutelati contro un nemico che non ha regole", dice Stefani. E il leader Idv Di Pietro ribadisce la sua richiesto di ritiro dall'Afghanistan: "È ora di dire basta a una guerra che non ci appartiene e che sta producendo un dispendio inutile di vite e risorse economiche". Parole che suonano come un campanello d'allarme in vista del ddl sul rifinanziamento delle missioni che arriva domani al Senato. "Non è il momento dei lutti quello in cui discutere delle ragioni della nostra presenza in Afghanistan". Così Ignazio La Russa, durante la conferenza stampa indetta dopo la notizia della morte di David Tobini. "Mi auguro che proprio per rispettare questi ragazzi non si riaprano le polemiche sul rifinanziamento delle missioni militari all'estero", auspica il sottosegretario alla Difesa Crosetto, esponente del Pdl. "Sarebbero una mancanza di rispetto" perché - sostiene - "i momenti per riaprire le discussioni non sono quelli del lutto, che deve essere rispettato". (25 luglio 2011)
L'ATTACCO Afghanistan, ucciso soldato italiano Sparatoria a Bala Murghab, due feriti In uno scontro a fuoco durante un'operazione congiunta con le forze locali nel nord-ovest muore il caporalmaggiore David Tobini, altri due militari feriti: Simone D'Orazio versa in gravi condizioni, colpito al gomito Francesco Arena. Sale a 41 il numero di vittime italiane nell'operazione Isaf. Il cordoglio di Napolitano. La Lega torna a criticare le missioni, Di Pietro ripete la richiesta di ritiro. La Russa: "Non è momento di discutere nostra presenza" Afghanistan, ucciso soldato italiano Sparatoria a Bala Murghab, due feriti KABUL - Un soldato del contingente italiano in Afghanistan è stato ucciso nel corso di uno scontro a fuoco a Bala Murghab. Lo comunica lo Stato maggiore della Difesa. Altri due militari della nostra missione sono rimasti feriti, uno è "in condizioni critiche", ha detto il ministro della Difesa Ignazio La Russa. Il caduto è il primo caporalmaggiore David Tobini, nato a Roma il 23 luglio 1983, in forza al 183 reggimento paracadutisti "Nembo" di Pistoia. In gravi condizioni è Simone D'Orazio, 28 anni, che sta per essere trasportato all'ospedale di Kandahar. Il secondo militare ferito è Francesco Arena, 32 anni, colpito lievemente al gomito destro. I nomi dei feriti e la situazione clinica sono stati diffusi dal comandante della Folgore di Pistoia, il tenente colonnello Maurizio Zanchi. "La salma arriverà mercoledì mattina e probabilmente nella stessa giornata si terranno le esequie a Roma", ha aggiunto il ministro La Russa. I nostri militari erano entrati nel villaggio per cercare esplosivi, poi, all'uscita della zona controllata, attorno alle 4 di ieri mattina (ora italiana) hanno cominciato a sparargli contro. L'attacco è avvenuto durante un'operazione congiunta tra militari italiani e forze afgane nella zona a nord ovest della valle di Bala Murghab. Non è noto, al momento, se ci siano stati dei feriti anche tra i soldati afgani che svolgevano l'attività insieme agli italiani. Con la m orte di Tobini sale a 41 il numero dei militari italiani caduti in Afghanistan. Profondo cordoglio a nome di tutto il Paese è stato espresso dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: "Appresa con profonda commozione la notizia", si legge in una nota del Quirinale, il Capo dello Stato "esprime, rendendosi interprete del profondo cordoglio del Paese, sentimenti di solidale partecipazione al dolore dei famigliari". Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in una nota afferma: "Siamo vicini alla famiglia del paracadutista caduto in Afghanistan e a quelle dei due militari rimasti feriti nell'agguato. A tutti i nostri soldati impegnati nelle operazioni di pace contro il terrorismo rinnoviamo la gratitudine del Governo e del Paese". Ma sulla morte del soldato italiano si innesta nuovamente la critica della Lega Nord per le missioni italiane all'estero: "Ma tutto ciò serve? O muoiono invano?", chiede Stefano Stefani, presidente della Commissione Esteri della Camera. "C'è da chiedersi se, data per scontata l'agenda di disimpegno dell'Italia dal pantano afgano, si può ancora proseguire in una strategia che lascia i nostri ragazzi troppo esposti e, di converso, poco tutelati contro un nemico che non ha regole", dice Stefani. E il leader Idv Di Pietro ribadisce la sua richiesto di ritiro dall'Afghanistan: "È ora di dire basta a una guerra che non ci appartiene e che sta producendo un dispendio inutile di vite e risorse economiche". Parole che suonano come un campanello d'allarme in vista del ddl sul rifinanziamento delle missioni che arriva domani al Senato. "Non è il momento dei lutti quello in cui discutere delle ragioni della nostra presenza in Afghanistan". Così Ignazio La Russa, durante la conferenza stampa indetta dopo la notizia della morte di David Tobini. "Mi auguro che proprio per rispettare questi ragazzi non si riaprano le polemiche sul rifinanziamento delle missioni militari all'estero", auspica il sottosegretario alla Difesa Crosetto, esponente del Pdl. "Sarebbero una mancanza di rispetto" perché - sostiene - "i momenti per riaprire le discussioni non sono quelli del lutto, che deve essere rispettato". (25 luglio 2011)
LA STRAGE IN NORVEGIA Oslo, processo a porte chiuse Breivik: "Non ho agito da solo" Il reo confesso chiedeva un giudizio pubblico. Il Paese si ferma per un minuto di silenzio in memoria delle 93 vittime. L'autore delle stragi ha confessato davanti al giudice di aver commesso i due attentati ed è stato incriminato per atti di terrorismo. La folla cerca di assaltare l'auto che lo trasporta Oslo, processo a porte chiuse Breivik: "Non ho agito da solo" Oltre 1500 pagine di deliri Ecco le teorie del mostro di Oslo articolo Oltre 1500 pagine di deliri Ecco le teorie del mostro di Oslo Utoya, il killer in azione: il video video Il killer in azione senza pietà Breivik in un video anti-Islam su YouTube video Crociata annunciata su YouTube Utoya, l'isola della morte foto Utoya, l'isola della morte L'angoscia negli occhi dei ragazzi "Noi, scampati per un soffio alla strage" articolo L'angoscia negli occhi dei ragazzi "Noi, scampati per un soffio alla strage" Croci celtiche, Odino e rock metal l'ultra-destra del Nord Europa articolo Croci celtiche, Odino e rock metal l'ultra-destra del Nord Europa Norvegese, di destra e anti islamico il ritratto dell'attentatore di Utoya articolo Norvegese, di destra e anti islamico il ritratto dell'attentatore di Utoya Anders Behring Breivik, il profilo online foto Anders Behring Breivik, il profilo online Norvegia sotto shock, oltre 90 i morti Il "fondamentalista cristiano": era necessario articolo Norvegia sotto shock, oltre 90 i morti Il "fondamentalista cristiano": era necessario Oslo, esplosione davanti al palazzo del governo foto Oslo, esplosione davanti al palazzo del governo Esplosione nel centro di Oslo video Le fiamme e i danni Oslo, il panico per la strada video Il panico in strada Oslo, i danni delle esplosioni foto Oslo, i danni delle esplosioni Bomba a Oslo, i primi soccorsi ai feriti foto Bomba a Oslo, i primi soccorsi ai feriti Utoya, sparatoria sull'isola. Si contano le vittime foto Utoya, sparatoria sull'isola. Si contano le vittime Utoya, le prime immagini dopo la sparatoria video Utoya, le prime immagini dopo la sparatoria Utoya, persone in fuga dalla sparatoria video Utoya, persone in fuga "Una palla di fuoco e fumo bianco Ho visto l'inferno nel centro di Oslo" articolo "Una palla di fuoco e fumo bianco Ho visto l'inferno nel centro di Oslo" Da Washington a Bruxelles l'onda dei messaggi di solidarietà articolo Da Washington a Bruxelles l'onda dei messaggi di solidarietà Bomba a Oslo e sparatoria a Utoya almeno 87 morti, la polizia: "Una catastrofe" articolo Bomba a Oslo e sparatoria a Utoya almeno 87 morti, la polizia: "Una catastrofe" OSLO - Si è tenuta a porte chiuse l'udienza preliminare per la carcerazione preventiva di Anders Behring Breivik. Il tribunale di Oslo, secondo il reporter di Tv2, ha preso la sua decisione per motivi di sicurezza e non ha permesso che l'autore delle stragi di Oslo e Utoya abbia contatti diretti con i media. Alle 13, Breivik, che sul web ha pubblicato poche ore prima della strage European Declaration of Independence - 2083 1, un manuale di 1.500 pagine piene di deliri, analisi e istruzioni su come creare una bomba, è arrivato il Tribunale di Oslo per l'udienza preliminare. Ad accoglierlo c'era una folla che ha cercato di bloccare l'automobile che lo trasportava, battendo con le mani sui vetri. La polizia è dovuta intervenire per consentire il passaggio della vettura. L'udienza è durata meno di un'ora. Durante la quale Breivik ha detto di aver compito la strage "per salvare l'europa dall'invasione musulmana" e dal "marxismo culturale" e inviare "un forte segnale al Paese, affossato dai laburisti". Breivik ha affermato di aver preparato gli attentati in Norvegia con l'aiuto di "due cellule", chiamando per la prima volta dal suo arresto in causa dei complici. L'autore delle stragi ha confessato davanti al giudice di aver commesso i due attentati ed è stato incriminato per atti di terrorismo. Il giudice ha disposto una custodia cautelare di otto settimane, il massimo consentito dalla legge, di cui quattro in totale isolamento. Il lutto. La Norvegia intera si è fermata per un minuto di silenzio a mezzogiorno in punto per onorare i 93 morti della duplice strage di venerdì scorso (ma il bilancio, fanno sapere fonti di polizia, potrebbe essere rivisto e risultare meno grave). Le indagini. Intanto, è giallo sulla notizia del fermo a Breslavia, in Polonia, di un commerciante di prodotti chimici online, da cui forse si sarebbe rifornito Breivik; la polizia ha smentito l'arresto ma ha confermato che sono in corso indagini per appurare eventuali legami con le stragi. "Stiamo indagando dietro richiesta della polizia norvegese", ha spiegato il portavoce della procura di Breslavia, Malgorzata Klaus. E sempre nell'est europa, precisamente a Praga, l'attentatore norvegese cercò di procurarsi delle armi. I fatti risalgono con ogni probabilità ai giorni a cavallo fra agosto e settembre dello scorso anno, nel corso di un soggiorno durato meno di una settimana. Breivik andò nella capitale della repubblica ceca con la convinzione di recarsi in un luogo caratterizzato da un prospero traffico di armi e droga. Dopo cinque giorni di tentativi - durante i quali provò a prendere contatti con la malavita locale mettendo in giro la voce di essere interessato all'acquisto di un fucile automatico ak-47 e di bombe a mano - si rese conto di non poter raggiungere i propri obiettivi. Pensò persino che i suoi interlocutori lo considerassero un infiltrato della polizia o un pazzo. FOTO - Le lacrime della Norvegia 2 Nel mirino del killer l'ex premier Brundtland. Gro Harlem Brundtland, ex premier laburista norvegese, era sull'isola di Utoya la mattina di venerdì e ha lasciato l'isola appena poche ore prima dello sbarco di Anders Behring Breivik. Probabilmente anche lei era nel mirino del killer, scrive il quotidiano Aftenposten, secondo il quale Breivik voleva arrivare sull'isola al mattino, quando Brundtland teneva un discorso ai partecipanti al campus estivo. Nei suoi dibattiti online Breivik puntava il dito contro la storica leader del partito laburista, accusandola di aver rovinato la società norvegese e di averla portata nella "direzione sbagliata" con la sua politica di tolleranza e multiculturalismo. Capo dell'esecutivo norvegese per oltre dieci anni (fra il 1981 e il 1996) Brundtland ha anche ricoperto la carica di direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità dal 1998 al 2003. Tra le vittime il fratellastro della principessa. Trond Bernsten, fratellastro della principessa Mette-Merit, è tra le vittime del massacro sull'isola di Utoya, dove è morto cercando di fermare l'attentatore. Bernsten era un ufficiale di polizia ma a Utoya non si trovava in servizio ed era quindi disarmato. Secondo il giornale, ha cercato di bloccare Anders Breivik, che lo ha freddato all'istante. Anche la portavoce del palazzo reale, Marianne Hagen, ha confermato la morte di Bernsten, senza però fornire ulteriori dettagli. L'uomo era figlio del patrigno della principessa Mette-Marit, moglie del principe ereditario Haakon. Breivik aveva legami con estrema destra britannica. Breivik aveva legami con gli ambienti dell'estrema destra britannica, scrivono oggi diversi quotidiani d'oltremanica. La polizia britannica ha inviato un suo alto dirigente per collaborare con gli investigatori norvegesi dopo la lettura del "manifesto" di Breivik in lingua inglese, nelle quali, fra l'altro, l'uomo fa riferimento a una presunta società segreta fondata a londra nel 2002 per portare avanti la crociata antimusulmani. Il manifesto - sottolinea il Telegraph - è stato firmato con il nome in versione inglese "Andrew Nerwick" e il killer descrive il suo "mentore" come un uomo inglese, di nome Richard. Il premier David Cameron è stato invitato - scrive il Times - ad avviare un monitoraggio degli ambienti dell'estremismo di destra dopo l'ammissione da parte di Breivik di aver avuto contatti con l'English Defence league e di aver fatto allusione all'intenzione di quel gruppo di voler distruggere un sito nucleare britannico. Oggi il premier Cameron presiederà un vertice con il National security council. Fratellastro della principessa la guardia uccisa a Utoya. Era il fratellastro di Mette Marit, moglie del principe ereditario norvegese Hakon, il poliziotto che era in servizio di guardia sull'isoletta di Utoya e che è stato ucciso per primo da Anders Behring Breivik. Lo rivela la televisione pubblica norvegese Nrk. Il poliziotto si chiamava Trond Berntsen, aveva 51 anni, ed era il figlio del secondo marito della madre della principessa. Era in servizio sull'isola a spese del movimento giovanile del partito laburista, che aveva organizzato l'annuale campo estivo a Utoya. (25 luglio 2011)
IL CASO Oltre 1500 pagine di deliri Ecco le teorie del mostro di Oslo Anders Behring Breivik ha impiegato un anno a scriverlo. European Declaration of Independence - 2083 è il suo testamento ideologico e un manuale per compiere stragi. Mix incredibile di analisi e indicazioni pratiche su come costruire una società di crociati anti islamica. E su come eliminare, con armi di distruzione di massa, coloro che sono per il multiculturalismo. Compreso il Papa di JAIME d'ALESSANDRO Oltre 1500 pagine di deliri Ecco le teorie del mostro di Oslo Oggi Breivik davanti al giudice Nel mirino ex premier Brundtland articolo Oggi Breivik davanti al giudice Nel mirino ex premier Brundtland Utoya, il killer in azione: il video video Il killer in azione senza pietà Breivik in un video anti-Islam su YouTube video Crociata annunciata su YouTube Utoya, l'isola della morte foto Utoya, l'isola della morte L'angoscia negli occhi dei ragazzi "Noi, scampati per un soffio alla strage" articolo L'angoscia negli occhi dei ragazzi "Noi, scampati per un soffio alla strage" Croci celtiche, Odino e rock metal l'ultra-destra del Nord Europa articolo Croci celtiche, Odino e rock metal l'ultra-destra del Nord Europa Norvegese, di destra e anti islamico il ritratto dell'attentatore di Utoya articolo Norvegese, di destra e anti islamico il ritratto dell'attentatore di Utoya Anders Behring Breivik, il profilo online foto Anders Behring Breivik, il profilo online Norvegia sotto shock, oltre 90 i morti Il "fondamentalista cristiano": era necessario articolo Norvegia sotto shock, oltre 90 i morti Il "fondamentalista cristiano": era necessario Oslo, esplosione davanti al palazzo del governo foto Oslo, esplosione davanti al palazzo del governo Esplosione nel centro di Oslo video Le fiamme e i danni Oslo, il panico per la strada video Il panico in strada Oslo, i danni delle esplosioni foto Oslo, i danni delle esplosioni Bomba a Oslo, i primi soccorsi ai feriti foto Bomba a Oslo, i primi soccorsi ai feriti Utoya, sparatoria sull'isola. Si contano le vittime foto Utoya, sparatoria sull'isola. Si contano le vittime Utoya, le prime immagini dopo la sparatoria video Utoya, le prime immagini dopo la sparatoria Utoya, persone in fuga dalla sparatoria video Utoya, persone in fuga "Una palla di fuoco e fumo bianco Ho visto l'inferno nel centro di Oslo" articolo "Una palla di fuoco e fumo bianco Ho visto l'inferno nel centro di Oslo" Da Washington a Bruxelles l'onda dei messaggi di solidarietà articolo Da Washington a Bruxelles l'onda dei messaggi di solidarietà Bomba a Oslo e sparatoria a Utoya almeno 87 morti, la polizia: "Una catastrofe" articolo Bomba a Oslo e sparatoria a Utoya almeno 87 morti, la polizia: "Una catastrofe" ROMA - Deliri e analisi, istruzioni su come creare una bomba o un file per iPad, citazioni colte e proclami rabbiosi che sembrano il frutto di una mente infantile e piena di paure. Le mille e cinquecento pagine di A European Declaration of Independence - 2083, il testo che l'assassino di Utoya ha messo online poche ore prima di fare una strage, costituiscono un manuale d'odio che ha richiesto oltre un anno di lavoro. Scritto completamente in inglese e firmato da Andrew Berwick, ovvero Anders Behring Breivik, racconta come costruire una rivoluzione europea che porti nel 2083 l'intero continente a liberarsi del multiculturalismo, dell'Islam e delle tante idee sbagliate che secondo l'autore stanno distruggendo le radici europee. Il tutto rendendo "onore alle nuove milizie cristiane" che si rifanno all'Ordine dei Templari. L'analisi storica. Si parte con un attacco alla scuola di Francoforte, per Breivik una delle principali fonti di corruzione intellettuale, con una carrellata dei suoi esponenti che vanno da Herbert Marcuse a Erich Fromm fino a Theodor Adorno. Gli antichi valori del patriarcato, del cristianesimo, della famiglia, la cancellazione delle differenze fondanti fra uomo e donna, sarebbero stati annichiliti da loro e da quelli che l'omicida pensa siano stati i suoi compagni, fra i quali figura anche Antonio Gramsci. Poi si passa all'Islam e ai suoi piani di infiltrazione, con citazioni prese dal Corano, un'analisi delle maggiori scuole sunnite, del concetto di Jihad e accenni di storia medievale con ripetuti riferimenti alle Crociate. I crociati, nella testa di Anders Behring Breivik, sono la spina dorsale del nuovo ordine. Dopo la lunghissima esposizione sui motivi che hanno contrapposto i cristiani ai musulmani, nel testo si legge: "Eurabia (l'Europa in mano all'Islam, ndr.) può esser eliminata solo distruggendo le organizzazioni che l'hanno fatta nascere, l'Unione Europea". Al pari delle Nazioni Unite, anche Bruxelles è vista come uno dei grandi problemi da risolvere. Il centro di una società filo araba, aperta all'immigrazione e che trova appoggio nei media corrotti. Il Papa. Fra i corrotti c'è anche Papa Benedetto XVI, definito come un "codardo, incompetente e illegittimo". Uno che ha abbandonato la cristianità e i cristiani europei. Come i suoi immediati predecessori, tutti accomunati secondo Breivik dalla stessa attitudine reverenziale per i musulmani. "Quando le forze conservatrici prenderanno il potere in cinque decadi, dovremo prendere tutte le misure necessarie per sradicare la corruzione dalla Chiesa", scrive l'attentatore. Armi di distruzione di massa. Ma la parte peggiore viene dopo, e non è tanto quella dedicata alla fabbricazione di ordigni. E' la sezione ideologica che Breivik mette a metà del suo memoriale. Quando parla di obiettivi militari da perseguire, scrive ad esempio: "Ci sono stati già migliaia di attacchi da parte di europei coraggiosi. Ma la maggior parte non ha avuto alcun effetto ideologico. Per penetrare la censura marxista e multiculturalista dei media, bisogna essere più brutali e mettere in piedi operazioni capaci di provocare molte vittime. E' legittimo in questo senso usare armi di distruzione di massa". Strumenti e obiettivi. I Commilitones Christi Templique Salomonici, l'ordine cavalleresco immaginato da Breivik, si allenano ad uccidere ma non amano la violenza. Devono però usarla per risvegliare gli europei. Seguono, nel testo, indicazioni pratiche su come portare a termine azioni militari, come raccogliere fondi, informazioni, come muoversi senza attirare l'attenzione delle autorità, quali armi usare e come usarle e quale tipo di equipaggiamento scegliere. Fino a teorizzare una guerra "open source", provocata da cellule clandestine che comunicano via Web. Verso la fine c'è un elenco di obiettivi possibili da colpire. Per l'Italia si tratta di 16 raffinerie come quella di Milazzo, Trecate, Cremona. Amici e nemici. I soldati di Breivik sono a favore del nazionalismo, della crociata pan europea, del conservatorismo, del monoculturalismo, del patriarcato e di Israele. Ma Breivik scrive anche che sono contro il nazismo e il fascismo, oltre che dediti a combattere Islam, femminismo, l'Unione Europea e la globalizzazione. Divisione singolare fra buoni e cattivi, meno ovvia però di quel che ci si sarebbe potuto aspettare. C'è anche una sezione dedicata agli schieramenti politici da appoggiare. Un elenco suddiviso per Paesi, inclusa l'Italia, dove vengono fatti i nomi di movimenti di ieri e di oggi. Da Alleanza Nazionale passando per la Lega Nord, il Movimento Sociale Fiamma Tricolore, La Destra, il Fronte Sociale Nazionale, Forza Nuova e Destra Nazionale. La cura per i dettagli a tratti è maniacale. Anders Behring Breivik spende fiumi di parole per raccontare le caratteristiche di un certo fertilizzante o di un determinato corpetto antiproiettile. Elenca peso, costo, pro e contro. E questo è valido anche per tutto il resto. Dalla descrizione dei gradi dell'ordine cavalleresco e delle onorificenze destinate ai paladini della cristianità, all'individuazione meticolosa dei "traditori". Coloro che vanno eliminati perché legati ai media, all'industria o alla politica del "marxismo multiculturalismo". Una lunga, lunghissima lista di persone. Parte consistente della società di tanti Paesi europei che va assolutamente sradicata. Come ha fatto lui, uccidendo decine di ragazzi indifesi solo perché laburisti. (24 luglio 2011)
LA STRAGE IN NORVEGIA Oslo, processo a porte chiuse Breivik: "Non ho agito da solo" Il reo confesso chiedeva un giudizio pubblico. Il Paese si ferma per un minuto di silenzio in memoria delle 93 vittime. L'autore delle stragi ha confessato davanti al giudice di aver commesso i due attentati ed è stato incriminato per atti di terrorismo. La folla cerca di assaltare l'auto che lo trasporta Oslo, processo a porte chiuse Breivik: "Non ho agito da solo" Oltre 1500 pagine di deliri Ecco le teorie del mostro di Oslo articolo Oltre 1500 pagine di deliri Ecco le teorie del mostro di Oslo Utoya, il killer in azione: il video video Il killer in azione senza pietà Breivik in un video anti-Islam su YouTube video Crociata annunciata su YouTube Utoya, l'isola della morte foto Utoya, l'isola della morte L'angoscia negli occhi dei ragazzi "Noi, scampati per un soffio alla strage" articolo L'angoscia negli occhi dei ragazzi "Noi, scampati per un soffio alla strage" Croci celtiche, Odino e rock metal l'ultra-destra del Nord Europa articolo Croci celtiche, Odino e rock metal l'ultra-destra del Nord Europa Norvegese, di destra e anti islamico il ritratto dell'attentatore di Utoya articolo Norvegese, di destra e anti islamico il ritratto dell'attentatore di Utoya Anders Behring Breivik, il profilo online foto Anders Behring Breivik, il profilo online Norvegia sotto shock, oltre 90 i morti Il "fondamentalista cristiano": era necessario articolo Norvegia sotto shock, oltre 90 i morti Il "fondamentalista cristiano": era necessario Oslo, esplosione davanti al palazzo del governo foto Oslo, esplosione davanti al palazzo del governo Esplosione nel centro di Oslo video Le fiamme e i danni Oslo, il panico per la strada video Il panico in strada Oslo, i danni delle esplosioni foto Oslo, i danni delle esplosioni Bomba a Oslo, i primi soccorsi ai feriti foto Bomba a Oslo, i primi soccorsi ai feriti Utoya, sparatoria sull'isola. Si contano le vittime foto Utoya, sparatoria sull'isola. Si contano le vittime Utoya, le prime immagini dopo la sparatoria video Utoya, le prime immagini dopo la sparatoria Utoya, persone in fuga dalla sparatoria video Utoya, persone in fuga "Una palla di fuoco e fumo bianco Ho visto l'inferno nel centro di Oslo" articolo "Una palla di fuoco e fumo bianco Ho visto l'inferno nel centro di Oslo" Da Washington a Bruxelles l'onda dei messaggi di solidarietà articolo Da Washington a Bruxelles l'onda dei messaggi di solidarietà Bomba a Oslo e sparatoria a Utoya almeno 87 morti, la polizia: "Una catastrofe" articolo Bomba a Oslo e sparatoria a Utoya almeno 87 morti, la polizia: "Una catastrofe" OSLO - Si è tenuta a porte chiuse l'udienza preliminare per la carcerazione preventiva di Anders Behring Breivik. Il tribunale di Oslo, secondo il reporter di Tv2, ha preso la sua decisione per motivi di sicurezza e non ha permesso che l'autore delle stragi di Oslo e Utoya abbia contatti diretti con i media. Alle 13, Breivik, che sul web ha pubblicato poche ore prima della strage European Declaration of Independence - 2083 1, un manuale di 1.500 pagine piene di deliri, analisi e istruzioni su come creare una bomba, è arrivato il Tribunale di Oslo per l'udienza preliminare. Ad accoglierlo c'era una folla che ha cercato di bloccare l'automobile che lo trasportava, battendo con le mani sui vetri. La polizia è dovuta intervenire per consentire il passaggio della vettura. L'udienza è durata meno di un'ora. Durante la quale Breivik ha detto di aver compito la strage "per salvare l'europa dall'invasione musulmana" e dal "marxismo culturale" e inviare "un forte segnale al Paese, affossato dai laburisti". Breivik ha affermato di aver preparato gli attentati in Norvegia con l'aiuto di "due cellule", chiamando per la prima volta dal suo arresto in causa dei complici. L'autore delle stragi ha confessato davanti al giudice di aver commesso i due attentati ed è stato incriminato per atti di terrorismo. Il giudice ha disposto una custodia cautelare di otto settimane, il massimo consentito dalla legge, di cui quattro in totale isolamento. Il lutto. La Norvegia intera si è fermata per un minuto di silenzio a mezzogiorno in punto per onorare i 93 morti della duplice strage di venerdì scorso (ma il bilancio, fanno sapere fonti di polizia, potrebbe essere rivisto e risultare meno grave). Le indagini. Intanto, è giallo sulla notizia del fermo a Breslavia, in Polonia, di un commerciante di prodotti chimici online, da cui forse si sarebbe rifornito Breivik; la polizia ha smentito l'arresto ma ha confermato che sono in corso indagini per appurare eventuali legami con le stragi. "Stiamo indagando dietro richiesta della polizia norvegese", ha spiegato il portavoce della procura di Breslavia, Malgorzata Klaus. E sempre nell'est europa, precisamente a Praga, l'attentatore norvegese cercò di procurarsi delle armi. I fatti risalgono con ogni probabilità ai giorni a cavallo fra agosto e settembre dello scorso anno, nel corso di un soggiorno durato meno di una settimana. Breivik andò nella capitale della repubblica ceca con la convinzione di recarsi in un luogo caratterizzato da un prospero traffico di armi e droga. Dopo cinque giorni di tentativi - durante i quali provò a prendere contatti con la malavita locale mettendo in giro la voce di essere interessato all'acquisto di un fucile automatico ak-47 e di bombe a mano - si rese conto di non poter raggiungere i propri obiettivi. Pensò persino che i suoi interlocutori lo considerassero un infiltrato della polizia o un pazzo. FOTO - Le lacrime della Norvegia 2 Nel mirino del killer l'ex premier Brundtland. Gro Harlem Brundtland, ex premier laburista norvegese, era sull'isola di Utoya la mattina di venerdì e ha lasciato l'isola appena poche ore prima dello sbarco di Anders Behring Breivik. Probabilmente anche lei era nel mirino del killer, scrive il quotidiano Aftenposten, secondo il quale Breivik voleva arrivare sull'isola al mattino, quando Brundtland teneva un discorso ai partecipanti al campus estivo. Nei suoi dibattiti online Breivik puntava il dito contro la storica leader del partito laburista, accusandola di aver rovinato la società norvegese e di averla portata nella "direzione sbagliata" con la sua politica di tolleranza e multiculturalismo. Capo dell'esecutivo norvegese per oltre dieci anni (fra il 1981 e il 1996) Brundtland ha anche ricoperto la carica di direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità dal 1998 al 2003. Tra le vittime il fratellastro della principessa. Trond Bernsten, fratellastro della principessa Mette-Merit, è tra le vittime del massacro sull'isola di Utoya, dove è morto cercando di fermare l'attentatore. Bernsten era un ufficiale di polizia ma a Utoya non si trovava in servizio ed era quindi disarmato. Secondo il giornale, ha cercato di bloccare Anders Breivik, che lo ha freddato all'istante. Anche la portavoce del palazzo reale, Marianne Hagen, ha confermato la morte di Bernsten, senza però fornire ulteriori dettagli. L'uomo era figlio del patrigno della principessa Mette-Marit, moglie del principe ereditario Haakon. Breivik aveva legami con estrema destra britannica. Breivik aveva legami con gli ambienti dell'estrema destra britannica, scrivono oggi diversi quotidiani d'oltremanica. La polizia britannica ha inviato un suo alto dirigente per collaborare con gli investigatori norvegesi dopo la lettura del "manifesto" di Breivik in lingua inglese, nelle quali, fra l'altro, l'uomo fa riferimento a una presunta società segreta fondata a londra nel 2002 per portare avanti la crociata antimusulmani. Il manifesto - sottolinea il Telegraph - è stato firmato con il nome in versione inglese "Andrew Nerwick" e il killer descrive il suo "mentore" come un uomo inglese, di nome Richard. Il premier David Cameron è stato invitato - scrive il Times - ad avviare un monitoraggio degli ambienti dell'estremismo di destra dopo l'ammissione da parte di Breivik di aver avuto contatti con l'English Defence league e di aver fatto allusione all'intenzione di quel gruppo di voler distruggere un sito nucleare britannico. Oggi il premier Cameron presiederà un vertice con il National security council. Fratellastro della principessa la guardia uccisa a Utoya. Era il fratellastro di Mette Marit, moglie del principe ereditario norvegese Hakon, il poliziotto che era in servizio di guardia sull'isoletta di Utoya e che è stato ucciso per primo da Anders Behring Breivik. Lo rivela la televisione pubblica norvegese Nrk. Il poliziotto si chiamava Trond Berntsen, aveva 51 anni, ed era il figlio del secondo marito della madre della principessa. Era in servizio sull'isola a spese del movimento giovanile del partito laburista, che aveva organizzato l'annuale campo estivo a Utoya. (25 luglio 2011)
TERRORE IN NORVEGIA Bomba a Oslo e sparatoria a Utoya almeno 87 morti, la polizia: "Una catastrofe" Due attentati hanno colpito il paese scandinavo. Prima lo scoppio in un palazzo vicino agli uffici del governo. Sette le vittime confermate. Poi la strage a un meeting politico per giovani su un isolotto a 30 km, dove era atteso il premier. Il bilancio provvisorio parla di almeno 80 morti. La polizia: "Potrebbe salire". Arrestato l'attentatore: è un norvegese legato ai movimenti estremisti di destra. Perde peso la pista islamica Bomba a Oslo e sparatoria a Utoya almeno 87 morti, la polizia: "Una catastrofe" Il palazzo colpito dall'esplosione Oggi Breivik davanti al giudice Nel mirino ex premier Brundtland articolo Oggi Breivik davanti al giudice Nel mirino ex premier Brundtland Oltre 1500 pagine di deliri Ecco le teorie del mostro di Oslo articolo Oltre 1500 pagine di deliri Ecco le teorie del mostro di Oslo Utoya, il killer in azione: il video video Il killer in azione senza pietà Breivik in un video anti-Islam su YouTube video Crociata annunciata su YouTube Utoya, l'isola della morte foto Utoya, l'isola della morte L'angoscia negli occhi dei ragazzi "Noi, scampati per un soffio alla strage" articolo L'angoscia negli occhi dei ragazzi "Noi, scampati per un soffio alla strage" Croci celtiche, Odino e rock metal l'ultra-destra del Nord Europa articolo Croci celtiche, Odino e rock metal l'ultra-destra del Nord Europa Norvegese, di destra e anti islamico il ritratto dell'attentatore di Utoya articolo Norvegese, di destra e anti islamico il ritratto dell'attentatore di Utoya Anders Behring Breivik, il profilo online foto Anders Behring Breivik, il profilo online Norvegia sotto shock, oltre 90 i morti Il "fondamentalista cristiano": era necessario articolo Norvegia sotto shock, oltre 90 i morti Il "fondamentalista cristiano": era necessario Oslo, esplosione davanti al palazzo del governo foto Oslo, esplosione davanti al palazzo del governo Esplosione nel centro di Oslo video Le fiamme e i danni Oslo, il panico per la strada video Il panico in strada Oslo, i danni delle esplosioni foto Oslo, i danni delle esplosioni Bomba a Oslo, i primi soccorsi ai feriti foto Bomba a Oslo, i primi soccorsi ai feriti Utoya, sparatoria sull'isola. Si contano le vittime foto Utoya, sparatoria sull'isola. Si contano le vittime Utoya, le prime immagini dopo la sparatoria video Utoya, le prime immagini dopo la sparatoria Utoya, persone in fuga dalla sparatoria video Utoya, persone in fuga "Una palla di fuoco e fumo bianco Ho visto l'inferno nel centro di Oslo" articolo "Una palla di fuoco e fumo bianco Ho visto l'inferno nel centro di Oslo" Da Washington a Bruxelles l'onda dei messaggi di solidarietà articolo Da Washington a Bruxelles l'onda dei messaggi di solidarietà OSLO - Un'esplosione, edifici distrutti, città nel panico, sette vittime, esercito schierato. Poi, a qualche decina di chilometri, un'improvvisa sparatoria. E decine di altri morti, tra cui molti ragazzi: "Almeno 80 - fa sapere la polizia - ma il bilancio potrebbe crescere. E' una strage di dimensioni catastrofiche". La Norvegia è sprofondata nel caos e nel terrore alle 15,26 quando una bomba ha distrutto la sede del tabloid norvegese 'VG', nel cuore della capitale Oslo (mappa 1), investendo anche l'ufficio del primo ministro norvegese, Jens Stoltenberg e facendo saltare la maggior parte delle finestre dell'edificio. La polizia non è stata ancora in grado di confermare se si sia trattato di un'autobomba. L'esplosione ha causato sette vittime. VIDEO Esplosione nel centro di Oslo 2
Almeno 80 i morti nella strage sull'isolotto di Utoya, a 30 km dalla capitale, dove un uomo travestito da poliziotto ha cominciato a sparare sulla folla. L'uomo, norvegese e con legami con l'estremismo di destra, è stato poi arrestato. Sarebbe legato anche alla bomba nella capitale: era stato visto nella zona del palazzo esploso. VIDEO Utoya, persone in fuga dalla sparatoria 3 Sparatoria a meeting di laburisti. Circa un'ora e mezza dopo le esplosioni nel centro della capitale, sull'isola di Utoya, a 30 km di distanza, un uomo ha fatto fuoco con un fucile automatico durante un meeting di giovani laburisti, partito del premier Stoltenberg, dove era stata annunciata la sua presenza. Alla manifestazione partecipavano soprattutto ragazzi di 15-16 anni. Il bilancio della sparatoria è "catastrofico", come ha detto la polizia in nottata. I morti sarebbero almeno 80, di cui molti ragazzi: "Ma il numero potrebbe crescere". In un primo momento le autorità avevano confermato solo dieci vittime, ma un testimone aveva raccontato di aver visto almeno "venti-venticinque morti" sulla spiaggia dell'isola. Una stima che si è purtroppo rivelata troppo bassa. L'attentatore è stato arrestato. Si tratta di un norvegese di 32 anni (il ritratto 4), alto un metro e novanta, con legami con l'estremismo di destra e di idee anti islamiche, che aveva con sè un fucile automatico e una pistola. L'uomo - ha fatto sapere la polizia - è sicuramente legato alla bomba esplosa a Oslo. Proprio da quelle parti era stato visto aggirarsi ieri, ha detto il capo ad interim della polizia di Oslo Seinung Sponheim. Sull'isola sono stati trovati molti ordigni inesplosi. 5 Il premier: "Situazione drammatica". "La violenza non ci deve terrorizzare", ha detto il premier norvegese, Jens Stoltenberg, in una intervista video alla televisione di stato Nrk da una località non precisata "per motivi di sicurezza". Il primo ministro ha aggiunto che "i terroristi ci vogliono spaventare" ed ha invitato la popolazione a seguire le indicazioni della polizia. Stoltenberg ha parlato di "situazione drammatica", affermando che le forze di sicurezza edrano però preparate per affrontarle. Poi, in serata il premier ha parlato in tv: "Nessuno può sperare di metterci a tacere" o "distruggere la nostra democrazia", ha detto assieme al ministro della Giustizia, Knut Storberget. "Prenderemo i colpevoli e li metteremo di fronte alle loro responsabilita", ha assicurato. La polizia: "Lasciate il centro di Oslo". Gran parte del centro della città è stato evacuato e la polizia ha invitato il pubblico a non restare in zona e a limitare l'uso dei telefoni cellulari per non ostacolare i soccorsi. Le autorità hanno raccomandato "cautela" durante una conferenza stampa trasmessa in diretta televisiva. "Lasciate il centro di Oslo", ha detto il capo della polizia, Anstein Gjengedal, aggiungendo che "non è il momento di essere in giro per strada" e raccomandando ai turisti di "restare in albergo". Evacuata anche la stazione centrale, in seguito al rinvenimento di un pacco sospetto, e le sedi dei principali media. L'esercito e la polizia norvegesi hanno rafforzato le misure di sicurezza nei pressi di edifici e istituzioni che potrebbero essere nel mirino dei terroristi. Il premier non era nell'edificio. Il primo ministro norvegese in quel momento non si trovava all'interno del suo ufficio. Anche la polizia ha parlato di "morti e feriti" in seguito alla deflagrazione. Il palazzo davanti al quale è avvenuta l'esplosione è sede anche di altri ministri, incluso quello del Petrolio, dove è scoppiato un incendio, obiettivo dell'attentato secondo il quotidiano "Aftonbladet". La polizia ha circondato la zona e evacuando i dipendenti delle sedi del governo."L'intero edificio ha tremato, pensavamo fosse un terremoto", ha riferito un giornalista dell'emittente pubblica Nrk che si trovava nell'area al momento dello scoppio. La rivendicazione e poi la smentita. Poco dopo il primo attentato è giunta una rivendicazione da parte del gruppo terroristico Ansar al-Jihad al-Alami che ha diffuso un messaggio sul forum jihadista 'Shmukh' in cui motiva gli attentati ad Oslo come ritorsione alla presenza della Norvegia in Afghanistan e agli "insulti" al profeta Maometto. "Dall'attentato a Stoccolma, avevamo avvertito che vi sarebbero state altre operazioni", si legge nel messaggio. Successivamente il gruppo ha smentito tutto: "Non siamo stati noi". In serata, poi, è arrivata anche l'indiscrezione secondo cui la polizia è convinta che non si tratti di terrorismo internazionale. Per gli investigatori gli attacchi sono invece collegati a "movimenti sovversivi locali". Sospesi accordi Schengen. Massima l'allerta nel Paese, che ha deciso di "rafforzare i controlli alle frontiere", precisando che è stata applicata la norma che permette la sospensione della libera circolazione prevista dagli accordi Schengen ai quali la Norvegia aderisce anche se non fa parte dell'Unione europea. Le verifiche della Farnesina. Al momento non risultano italiani coinvolti negli attentati di oggi pomeriggio. E' quanto si riferisce alla Farnesina interpellata sulla vicenda. Al ministero degli Esteri si precisa però che i funzionari dell'ambasciata italiana in Norvegia stanno continuando accurate ricerche in tutti gli ospedali della capitale per verificare che non ci siano italiani coinvolti. L'ambasciata, inoltre, rimane in stretto continuo contatto con le autorità norvegesi. (22 luglio 2011)
STATI UNITI Il piano repubblicano non piace lontano l'accordo sul debito Boehner presenta un accordo in due fasi: tagli per mille miliardi e un rialzo del tetto del deficit, ma il partito di Obama dice no. Reid, espressione della maggioranza al Senato mette a punto misure per tagliare 2mila 700 miliardi di dollari Il piano repubblicano non piace lontano l'accordo sul debito Barack Obama NEW YORK - E' stallo sulla crisi del debito americano, l'intesa bipartisan non è arrivata neppure con la riapertura dei mercati in Asia, tutti in ribasso per lo spettro di un "default" sovrano della più grande economia mondiale. La serata di domenica si è chiusa a Washington con un nulla di fatto. Invece di trovare un piano comune, che consenta di alzare il tetto del debito Usa prima della cessazione dei pagamenti statali (che scatterà il 2 agosto), il Congresso si è spaccato in due. La Camera a maggioranza repubblicana e il Senato a maggioranza democratica procedono ciascuno con un progetto diverso. Sono due manovre incompatibili, che non hanno i numeri per arrivare all'approvazione finale e quindi approdare sul tavolo di Barack Obama per la firma presidenziale. Alla Camera si arrocca il presidente John Boehner, condizionato dal suo gruppo parlamentare dove i seguaci del Tea Party rifiutano nuove tasse. Il piano Boehner prevede quindi un'azione in due tempi: prima un taglio di spese limitato a mille miliardi, e un rialzo del tetto del debito che consentirebbe al Tesoro di rifinanziarsi solo fino alla fine del 2011; rinviando all'anno successivo in piena campagna per l'elezione presidenziale lo scontro finale sul risanamento delle finanze pubbliche. Al Senato i democratici guidati da Harry Reid procedono con un piano diverso: 2.400 miliardi di tagli al deficit, con riduzioni delle spese sociali ma anche nuove entrate (l'eliminazione degli sgravi concessi da George Bush ai contribuenti più ricchi), per alzare il tetto del debito fino al 2013. Senza un piano comune appoggiato da una maggioranza bipartisan nei due rami del Congresso, i mercati non hanno certezze: di qui il calo del dollaro e il nuovo record dell'oro all'apertura delle piazze asiatiche. Si avvicina sempre più pericolosamente la scadenza del 2 agosto, quando il Tesoro avrà esaurito l'autorizzazione legale per emettere nuovi Treasury Bond da collocare tra gli investitori per rifinanziarsi e pagare stipendi, pensioni, cedole sui titoli già in circolazione. Le agenzie di rating potrebbero trarne le conseguenze già questa settimana e infliggere un clamoroso declassamento al voto di solvibilità degli Stati Uniti. Tra le varie ipotesi per evitare la paralisi totale e il "default", viene rilanciata la proposta di Bill Clinton: rispolverare una legge di guerra che consenta al presidente la facoltà unilaterale di alzare il tetto del debito. E' una mossa azzardata che rischia di darla vinta ai repubblicani: quel che vogliono è proprio che Obama rimanga col "cerino acceso", simbolicamente come l'unico responsabile per un debito pubblico sempre più elevato, oltre la soglia dei 14.300 miliardi. (25 luglio 2011)
2011-05-08 TERRORISMO Bin Laden, messaggio prima della morte "Sicurezza Usa legata alla Palestina" Sarebbero le stesse parole del comunicato con cui Al Qaeda annunciava la morte del leader. Nella registrazione anche un richiamo ad un attentato fallito nel 2009, che rimanda all'11 settembre. Udite due forti esplosioni ad Abbottabad, un poliziotto smentisce la provenzienza dalla zona del compound. La stampa inglese: "Il Principe Harry prossimo obbiettivo dei fondamentalisti" Bin Laden, messaggio prima della morte "Sicurezza Usa legata alla Palestina" Il rifugio-bunker di Osama Bin Laden a Abbottabad ROMA - Le parole che Bin Laden avrebbe pronunciato e registrato prima di morire sarebbero le stesse contenute nel comunicato del 3 maggio, con cui Al Qaeda annunciava la morte di Osama: "Gli Usa non potranno mai vivere in sicurezza fino a quando il popolo palestinese non godrà della pace". Il messaggio è stato messo in rete oggi su un sito estremista islamico, shamikh1.Net, e duea un'ora e due minuti. Il messaggio specifica che gli attacchi di Al Qaeda contro gli Usa "proseguiranno finchè proseguirà il vostro sostegno a Israele. E' ingiusto che voi viviate in pace mentre i nostri fratelli a Gaza vivono nell'angoscia", aggiunge lo "sceicco del terrore" in questa registrazione. L'attentato del 2009. Nel messaggio, Bin laden aggiunge di aver voluto lanciare agli Stati Uniti un messaggio anche attraverso il l'azione del nigeriano Umar Farouk Abdulmutallab, autore del fallito attentato del 25 dicembre 2009 su un aereo di linea americano. Un piano che avrebbe dovuto richiamare l'11 settembre. "Se i nostri messaggi per voi fossero stati possibili con le sole parole, non avremmo dovuto ricorrere agli aerei per farveli arrivare", afferma il capo di Al Qaeda, "Così, il messaggio che avevamo voluto trasmettervi attraverso l'aereo dell'eroe, il combattente Umar Farouk, che dio sia con lui, conferma un precedente messaggio che vi è stato trasmesso dai nostri eroi dell'11 settembre", conclude Osama. Esplosioni ad Abbottabad. Intanto nel pomeriggio ad Abottabbad sono state udite due forti esplosioni nella zona del compound di Osama. L'origine delle esplosioni non è chiara ma alcune indiscrezioni indicavano che le autorità pachistane avrebbero presto potuto demolire la casa per cercare di frenare l'intensa attenzione dei media in città. Ma un poliziotto pachistano incaricato della sorveglianza dell'edificio ha dichiarato che Il covo di Osama Bin Laden a Abbottabad è sempre al suo posto e le notizie di esplosioni nella città non riguardano il compound dove è stato ucciso il capo di Al Qaeda. Al Qaeda "Rivolte nel mondo arabo nostra vittoria". La cellula per il Nord Africa della rete di Osama bin Laden ha diffuso un messaggio via Internet in cui si afferma che "Le rivolte nel mondo arabo sono una vittoria di Al Qaida". Lo rende noto il Site, centro americano di monitoraggio dei siti islamici. Al Qaeda, obbiettivo principe Harry? Secondo News of the World, il principe Harry d'Inghilterra, terzo in linea di successione al trono, è diventato l'obiettivo numero uno degli estremisti islamici per vendicare la morte di Osama bin Laden. Il magazine ha intercettato in rete un video opera del gruppo jihadista 'Musulmani contro i crociati', in cui viene simulata la morte di Harry. Un nome non casuale: il principe ha combattuto segretamente in prima linea in Afghanistan come Capitano delle guardie a cavallo della Regina, nel 2007. Il gruppo terrorista, che venerdì ha tentato di assaltare l'ambasciata Usa a Londra, ha ricordato non solo l'impegno militare di Harry ma anche lo scandalo di quando fu immortalato in una divisa nazista con tanto di svastica al braccio e il video in cui irrideva un commilitone chiamandolo "paki", appellativo spregiativo utilizzato per rivolgersi alle persone con tratti indo-asiatici. (08 maggio 2011)
TERRORISMO Bin Laden, messaggio prima della morte "Sicurezza Usa legata alla Palestina" Sarebbero le stesse parole del comunicato con cui Al Qaeda annunciava la morte del leader. Nella registrazione anche un richiamo ad un attentato fallito nel 2009, che rimanda all'11 settembre. Udite due forti esplosioni ad Abbottabad, un poliziotto smentisce la provenzienza dalla zona del compound. La stampa inglese: "Il Principe Harry prossimo obbiettivo dei fondamentalisti" Bin Laden, messaggio prima della morte "Sicurezza Usa legata alla Palestina" Il rifugio-bunker di Osama Bin Laden a Abbottabad ROMA - Le parole che Bin Laden avrebbe pronunciato e registrato prima di morire sarebbero le stesse contenute nel comunicato del 3 maggio, con cui Al Qaeda annunciava la morte di Osama: "Gli Usa non potranno mai vivere in sicurezza fino a quando il popolo palestinese non godrà della pace". Il messaggio è stato messo in rete oggi su un sito estremista islamico, shamikh1.Net, e duea un'ora e due minuti. Il messaggio specifica che gli attacchi di Al Qaeda contro gli Usa "proseguiranno finchè proseguirà il vostro sostegno a Israele. E' ingiusto che voi viviate in pace mentre i nostri fratelli a Gaza vivono nell'angoscia", aggiunge lo "sceicco del terrore" in questa registrazione. L'attentato del 2009. Nel messaggio, Bin laden aggiunge di aver voluto lanciare agli Stati Uniti un messaggio anche attraverso il l'azione del nigeriano Umar Farouk Abdulmutallab, autore del fallito attentato del 25 dicembre 2009 su un aereo di linea americano. Un piano che avrebbe dovuto richiamare l'11 settembre. "Se i nostri messaggi per voi fossero stati possibili con le sole parole, non avremmo dovuto ricorrere agli aerei per farveli arrivare", afferma il capo di Al Qaeda, "Così, il messaggio che avevamo voluto trasmettervi attraverso l'aereo dell'eroe, il combattente Umar Farouk, che dio sia con lui, conferma un precedente messaggio che vi è stato trasmesso dai nostri eroi dell'11 settembre", conclude Osama. Esplosioni ad Abbottabad. Intanto nel pomeriggio ad Abottabbad sono state udite due forti esplosioni nella zona del compound di Osama. L'origine delle esplosioni non è chiara ma alcune indiscrezioni indicavano che le autorità pachistane avrebbero presto potuto demolire la casa per cercare di frenare l'intensa attenzione dei media in città. Ma un poliziotto pachistano incaricato della sorveglianza dell'edificio ha dichiarato che Il covo di Osama Bin Laden a Abbottabad è sempre al suo posto e le notizie di esplosioni nella città non riguardano il compound dove è stato ucciso il capo di Al Qaeda. Al Qaeda "Rivolte nel mondo arabo nostra vittoria". La cellula per il Nord Africa della rete di Osama bin Laden ha diffuso un messaggio via Internet in cui si afferma che "Le rivolte nel mondo arabo sono una vittoria di Al Qaida". Lo rende noto il Site, centro americano di monitoraggio dei siti islamici. Al Qaeda, obbiettivo principe Harry? Secondo News of the World, il principe Harry d'Inghilterra, terzo in linea di successione al trono, è diventato l'obiettivo numero uno degli estremisti islamici per vendicare la morte di Osama bin Laden. Il magazine ha intercettato in rete un video opera del gruppo jihadista 'Musulmani contro i crociati', in cui viene simulata la morte di Harry. Un nome non casuale: il principe ha combattuto segretamente in prima linea in Afghanistan come Capitano delle guardie a cavallo della Regina, nel 2007. Il gruppo terrorista, che venerdì ha tentato di assaltare l'ambasciata Usa a Londra, ha ricordato non solo l'impegno militare di Harry ma anche lo scandalo di quando fu immortalato in una divisa nazista con tanto di svastica al braccio e il video in cui irrideva un commilitone chiamandolo "paki", appellativo spregiativo utilizzato per rivolgersi alle persone con tratti indo-asiatici. (08 maggio 2011)
USA Casa Bianca: "Zawahiri non è come Osama ma Al Qaeda non è strategicamente sconfitta" In un'intervista il consigliere alla sicurezza nazionale di Obama sminuisce il ruolo del successore naturale dello "sceicco del terrore". "Ma l'organizzazione rappresenta ancora una minaccia". E sul Pakistan: "Non abbiamo prove che sapessero della presenza di Bin Laden" Casa Bianca: "Zawahiri non è come Osama ma Al Qaeda non è strategicamente sconfitta" Tom Donilon alla Nbc NEW YORK - Tom Donilon, consigliere alla sicurezza nazionale della Casa Bianca, non ha dubbi sul fatto che il blitz di Abbottabad ha decapitato Al Qaeda. E lo dichiara in un'intervista alla rete televisiva Nbc: "Ayman al-Zawahiri, il successore naturale, è lungi dall'essere un capo come è stato Osama Bin Laden". Secondo Donilon, la statura del numero due dell'organizzazione terroristica sarebbe ben inferiore a quella dello "sceicco del terrore", anche se si tratta dell'ideologo principale di Al Qaeda. "Certo - ha aggiunto - i vertici dovranno darsi da fare per trovare una qualche successione al loro ex capo, ma la morte di Bin Laden per loro è stato un colpo davvero duro". I VIDEO SEQUESTRATI NEL BUNKER DI BIN LADEN 1 Fonti del Pentagono nei giorni scorsi avevano smentito le illazioni secondo cui Osama sarebbe ormai stato relegato ai margini dell'attività di Al Qaeda, restando più che altro un personaggio di facciata: dal materiale confiscato nel suo nascondiglio 2 sarebbe emerso come Osama fosse non solo tuttora pienamente operativo, ma come la base ad Abbottabad costituisse una vera e propria "centrale di comando". "Non è ancora sconfitta". Donilon ha comunque avvertito che sebbene priva di una vera testa, "Al Qaeda non può essere dichiarata strategicamente sconfitta, perché continua a rappresentare una minaccia per gli Stati Uniti". L'eliminazione di Bin Laden è "una vera e propria pietra miliare per l'operazione di smantellamento di quella rete", ha aggiunto Donilon, per concludere: "E' per noi assolutamente cruciale rimanere vigili mentre continuiamo a dare loro addosso". "Non abbiamo prove che il Pakistan sapesse". Il consigliere del presidente Barack Obama ha poi affrontato la delicata questione che vede il Pakistan con un ruolo indefinito riguardo la presenza di Bin Laden a Abbottabad. "Almeno per il momento gli Stati Uniti non hanno elementi per sostenere che le autorità di Islamabad sarebbero state a conoscenza della presenza di Osama Bin Laden nel palazzo-bunker di Abbottabad, ad appena 80 chilometri dalla capitale del Pakistan". E ha aggiunto: "Non ho visto prove in grado di dirci che i vertici politici, militari o dei servizi segreti pachistani avessero conoscenza in anticipo della presenza di Bin Laden. Un qualche sostegno a favore di Bin Laden ad Abbottabad c'è stato, ma prove nessuna". Però, ha concluso, "le autorità pachistane devono indagare al riguardo. Stiamo facendo pressioni su di loro per questo, e ci hanno comunicato che indagheranno. In Pakistan si tratta di una questione enorme". (08 maggio 2011)
EGITTO Il Cairo, scontri tra musulmani e cristiani Il governo: "Pugno di ferro contro i violenti" Almeno dodici morti e 232 feriti vicino a una chiesa copta attaccata nella notte da un gruppo di musulmani. Oggi ferite cinque persone in una sparatoria Il Cairo, scontri tra musulmani e cristiani Il governo: "Pugno di ferro contro i violenti" IL CAIRO - Torna alta la tensione in Egitto, dopo i violenti scontri interconfessionali 1 che la notte scorsa hanno fatto almeno 12 vittime (in maggioranza musulmani, secondo la tv di Stato) e più di duecento feriti. La giunta militare che guida il governo di transizione ha annunciato l'arresto di 190 persone, che saranno giudicate da un tribunale militare e il premier, Essam Sharaf, ha convocato una riunione d'emergenza del consiglio dei ministri e ha rinviato un viaggio in Bahrein e negli Emirati Arabi Uniti per affrontare il problema della violenza interreligiosa. Stamani colpi d'arma da fuoco sono stati uditi nei pressi della chiesa di San Mina e nella sparatoria sono rimaste ferite cinque persone. E il governo egiziano ha annunciato che userà il "pugno di ferro" per stroncare le violenze. Gli autori dei violenti scontri scoppiati in nottata al Cairo sono "una minoranza criminale" e saranno giudicati immediatamente e condannati "con le pene più severe". Lo ha affermato il ministro della Giustizia egiziano, Abdel Aziz El Ghenzy, al termine del Consiglio dei Ministri, che ha spiegato, sarà riunito in permanenza. Il governo "applicherà da subito e con fermezza le leggi contro gli attacchi ai luoghi di culto e alla libertà religiosa", ha spiegato il ministro, aggiungendo che le leggi antiterrorismo saranno utilizzate contro i colpevoli di questi reati.
Nella notte è stato il quartiere di Imbaba il teatro degli scontri che hanno fatto rivivere tensioni confessionali, apparentemente sedate dopo le rivolte che hanno disarcionato il regime di Hosni Mubarak. Gli scontri più importanti sono avvenuti attorno a una chiesa attaccata dai musulmani che sostenevano che, al suo interno, fosse rinchiusa una donna cristiana che voleva convertirsi all'Islam. Ma nel quartiere è stata bruciata anche un'altra Chiesa; e per sedare gli scontri sono dovuti intervenire soldati e agenti in tenuta anti-sommossa. I militari hanno imposto il coprifuoco nelle strade adiacenti alle chiese interessate dai violenti scontri.
VIDEO: La chiesa in fiamme 2 - LE FOTO 3 Le tensioni tra cristiani e musulmani, nel Paese, vanno avanti da mesi, innescate dalla presunta conversione all'Islam delle moglii di due preti copti, Camilia Shehata e Wafa Constantine. La prima sparì per alcuni giorni nel luglio scorso ma la polizia riuscì a ritrovarla e riportarla a casa; la chiesa copta spiegò che non era stata rapita dagli islamici e che si era allontanata spontaneamente da casa. La vicenda, tuttavia, suscitò le proteste dei musulmani, secondo cui Camilia si era volontariamente convertita all'Islam. A dar fuoco alle polveri, inoltre, un'immagine, probabilmente ritoccata, in cui la donna compariva avvolta in un niqab. La seconda scomparve invece nel 2004, a quanto sembra dopo che il marito le aveva rifiutato il divorzio. Alcuni ufficiali governativi affermarono che la donna aveva intenzione di abbracciare la religione musulmana, ma era stata impedita dalla famiglia. Non appena circolarono alcune voci su una sua possibile conversione, i fedeli copti diedero vita a violente proteste davanti alla cattedrale di San Marco al Cairo. Secondo i qaedisti, le due donne sono attualmente tenute recluse in monastero. Una versione che la chiesa copta rifiuta categoricamente, affermando che non hanno mai abbandonato la religione cattolica. I due casi hanno suscitato aspre dispute nel Paese, minacciandone il fragile equilibrio religioso. In Egitto i copti rappresentano circa il 10% degli 80 milioni di egiziani e sono la più grande comunità cristiana in Medio Oriente; e di recente sono stati spesso oggetto di attacchi da parte degli estremisti islamici: il più recente, la vigilia della notte di Capodanno quando un attacco alla Chiesa di Alessandria causò 21 morti. (08 maggio 2011)
LE PROTESTE Siria, i militari entrano a Tafas e Homs nei rastrellamenti ucciso un 12enne Dopo i duri scontri di venerdì che hanno provocato decine di vittime a Deraa, l'esercito "occupa" altre città teatro delle manifestazioni antigovernative. Il governo: "Conferenza per il dialogo", ma per ora prevale la linea repressiva Siria, i militari entrano a Tafas e Homs nei rastrellamenti ucciso un 12enne AMMAN - Le forze di sicurezza siriane sono entrate nella città meridionale di Tafas, non lontano da Deraa, per settimane culla della rivolta anti-regime. Almeno otto i blindati penetrati all'alba nella città, che conta 30mila abitanti. Testimoni hanno raccontato che ci sono stati colpi d'arma da fuoco e che l'esercito e gli agenti di sicurezza hanno fatto irruzione nelle case per arrestare numerosi giovani. Venerdì Tafas era stata teatro di una manifestazione 1: migliaia di abitanti di un villaggio della pianura di Hauran, a cui era stato impedito di entrare a Deraa, avevano ripiegato su Tafas e avevano marciato scandendo slogan contro il presidente Bashar al-Assad. Nella stessa giornata c'erano state altre dimostrazioni, represse nel sangue 2 in diverse città siriane, tra cui Deraa, dove ci sono stati decine di morti. E truppe dell'esercito siriano, appoggiato da mezzi corazzati, sono entrate all'alba di oggi in alcuni quartieri della città di Homs, nel centro del Paese, mentre proseguono le operazioni nella località costiera di Banias. Lo hanno reso noto fonti delle organizzazioni per i diritti umani siriane. Dopo le vittime di ieri, oggi secondo l'emittente Al Jazeera, vi sarebbero stati altri 12 manifestanti uccisi. Tra questi anche un bambino di 12 anni, riferisce l'Osservatorio siriano per i diritti umani. I militari di Damasco, appoggiati da carri armati, sono penetrati in nottata in tre quartieri della città, Bab Sebaa, Bab Amro e Tal al-Sour, roccaforti dell'opposizione, dopo avere tagliato l'energia elettrica e le comunicazioni telefoniche: secondo alcune testimonianze sarebbero in corso delle sparatorie. Isolata anche Banias, dove dei cecchini sarebbero appostati sui tetti delle case dei quartieri meridionali dove vivono oltre 20mila persone. Almeno 22 persone sono morte negli scontri avvenuti ieri nelle due località: 16 manifestanti sono stati uccisi a Homs dalle forze di sicurezza che hanno aperto il fuoco su un corteo che cercava di dirigersi verso il centro della città, mentre sei persone - fra cui quattro donne - sono morte a Banias. Nella città di Hama, invece, circa quattrocento manifestanti hanno dato l'assalto agli studi 3 della Tv di Stato. Intanto, il governo siriano starebbe valutando l'ipotesi di una "Conferenza nazionale per il dialogo" che raggruppi partiti politici e personalità vicini al regime e dell'opposizione: è quanto riporta la rete satellitare araba Al Jazeera, citando fonti di stampa siriana. Fonti secondo le quali è previsto un mese di negoziati incentrati sulle riforme da varare e poi una conferenza per l'approvazione dei provvedimenti. Ma il pugno duro del regime si abbatte anche penalmente sui dissidenti: Riad Seif, uno dei principali esponenti dell'opposizione siriana, è stato incriminato dalla magistratura per aver violato il divieto di manifestazioni: lo ha reso noto il suo legale. Il 64enne Seif era stato arrestato venerdì nei pressi della moschea di Al-Hassan, nel centro di Damasco, dove aveva luogo una protesta antigovernativa alla quale partecipavano centinaia di persone. Già in carcere dal 2008 al 2010 per aver firmato la "dichiarazione di Damasco" in favore della democrazia, era stato condannato a cinque anni nel 2001 con l'accusa di aver voluto "cambiare la Costituzione in modo illegale". (08 maggio 2011)
2011-05-01 LIBIA Ucciso figlio Gheddafi, festa a Bengasi Nato: "Colpiti solo obiettivi militari" L'Alleanza conferma il raid nel settore di Bab Al-Aziziya dove si trova il bunker del rais, ma non l'uccisione di Saif al-Arab. Illeso il colonnello. La capitale degli insorti celebra la notizia. La Russia condanna gli attacchi: "Oltre risoluzione Onu". Londra: "Attaccate sedi diplomatiche straniere" Ucciso figlio Gheddafi, festa a Bengasi Nato: "Colpiti solo obiettivi militari" TRIPOLI - La Nato ha confermato di avere condotto raid aerei nel settore di Bab Al-Aziziya a Tripoli, mentre non ha fornito conferme né smentite sulla morte del figlio più giovane del leader libico Muammar Gheddafi, 1 Saif al Arab, annunciata dal portavoce del governo. L'obiettivo dell'attacco era naturalmente il Gheddafi, ha detto Mussa Ibrahim, aggiungendo che il colonnello è rimasto illeso. Ibrahim ha dichiarato che almeno tre missili hanno colpito la casa di Saif, proprio quando intorno alle 20,30 ora italiana erano state avvertite tre forti esplosioni dopo il passaggio di alcuni jet Nato. Le autorità libiche hanno portato i giornalisti ad effettuare un sopralluogo alla casa dell'ultimogenito del colonnello, che sorgeva in un quartiere residenziale della capitale. Il tetto è quasi completamente distrutto: restano in piedi solo delle travi d'acciaio. Nel giardino un calciobalilla e poco altro e ciò che resta dell'edificio, una villa. Il ministero degli affari Esteri di Londra, intanto, ha reso noto che alcune sedi diplomatiche "straniere" sono state "attaccate" a Tripoli dalle forze di Muammar Gheddafi. Il ministero ha spiegato di avere aperto "un'inchiesta" sulla presunta distruzione di una delle sue sedi nella capitale libica. FOTO - Il bunker bombardato 2/ VIDEO 3 Non appena si è diffusa la notizia, migliaia di persone sono scese in piazza a Bengasi, la città che è diventata la capitale dei ribelli, per festeggiare. "Sono così contenti che Gheddafi abbia perso un figlio in un'incursione aerea che tutti sparano in aria per festeggiare" la sua morte, ha dichiarato il portavoce militare del Consiglio nazionale di transizione, il colonnello Ahmed Omar Bani. A Saif al Arab erano state affidate dal padre delle truppe di combattenti, da guidare contro i rivoltosi nell'est del paese. Alcune settimane fa, voci incontrollate lo avevano dato ormai schierato al fianco dei ribelli: indiscrezioni rivelatesi poi infondate. FOTO - La festa a Bengasi 4 La Nato ha assicurato che le sue incursioni non hanno come obiettivo l'eliminazione di persone fisiche. "La Nato ha proseguito i suoi raid contro gli impianti militari del regime di Gheddafi a Tripoli questa notte, tra cui alcune su un noto edificio di comando e controllo nel settore di Bab Al-Aziziya, poco dopo le 18 gmt di sabato sera", le 20 in Italia, ha indicato l'Alleanza atlantica in un comunicato. "Sono al corrente di informazioni non confermate dei mass media secondo le quali alcuni membri della famiglia Gheddafi potrebbero essere stati uccisi", ha dichiarato il generale Charles Bouchard, comandante dell'operazione "Unified protector", in questo comunicato. "Ci rammarichiamo di ogni perdita di vita umana, particolarmente quella di civili innocenti", ha aggiunto. Tuttavia "tutti gli obiettivi della Nato sono di natura militare e sono chiaramente legati agli attacchi sistematici del regime di Gheddafi contro la popolazione libica e le zone popolate. Non prendiamo di mira le persone", ha sottolineato il generale Bouchard. "La Nato proseguirà le sue operazioni fino a quando non cesseranno tutti gli attacchi e le minacce contro i civili, fino a quando tutte le forze fedeli a Gheddafi, compresi cecchini, mercenari e forze paramilitari, non siano rientrate nelle loro basi, e fino a quando non ci sarà alcun ostacolo alla consegna degli aiuti umanitari ad ogni persona che richiede assistenza", ha confermato l'Alleanza atlantica. Attacco Nato contro convoglio forze Gheddafi. Un attacco aereo della Nato ha distrutto 45 veicoli delle forze di Muammar Gheddafi dopo che queste avevano ucciso cinque civili in combattimenti in due città orientali. Lo riferiscono un funzionario del settore petrolifero e un portavoce dei ribelli. Secondo gli insorti, le forze di Gheddafi sono entrate nelle città Jalu e Awlijah, a sud della fronte orientale vicino a Ajdabiya, aprendo il fuoco e provocando la morte di cinque civili ed il ferimento di altri dieci. AbdelJalil Mayouf, addetto stampa della compagnia petrolifera Agoco che ha i giacimenti nella zona tenuta dai ribelli, ha aggiunto che la Nato ha attaccato un convoglio di 45 mezzi delle forze filo Gheddafi subito dopo che avevano lasciato Jalu. Cameron: "Raid non hanno come obiettivo individui". I bombardamenti della Nato in Libia non hanno come obiettivo ''individui particolari''. Lo ha detto oggi il primo ministro britannico, David Cameron, che non ha voluto commentare la notizia relativa all'uccisione di uno dei figli del colonnello Muammar Gheddafi. ''La linea seguita dalla Nato e dagli alleati nella scelta degli obiettivi è in linea con la risoluzione 1973 dell'Onu e si riferisce ad evitare l'uccisione di civili prendendo di mira le macchine da guerra di Gheddafi tra le quali i carri armati, armi da fuoco, razzi, ma anche di commando e di controllo'', ha detto Cameron in una intervista alla BBC. ''Sono raid non mirati a particolari individui'', ha sottolineato aggiungendo poi di non voler commentare su ''notizie non confermate'' del figlio e di tre nipoti di Gheddafi rimasti uccisi nei bombardamenti aerei. Mosca: "Nato andata oltre risoluzione Onu". Mosca ha accusato la Nato di essere andata oltre il mandato della risoluzione 1973 dell'Onu, mirata alla protezione dei civili in Libia. Il ministero degli Esteri russo lo ha affermato in riferimento al bombardamento a cui è stato sottoposto il bunker di Muammar Gheddafi. Il governo russo ha espresso seri dubbi sulla dichiarazione con cui la Nato ha voluto escludere che fossero Muammar Gheddafi e la sua famiglia l'obiettivo dei raid. Londra indaga su attacco a suo edificio. La Gran Bretagna sta ''investigando'' sulla possibile distruzione di uno dei suoi edifici ufficiali a Tripoli. Lo ha annunciato un portavoce del ministero degli esteri. ''Siamo al corrente di informazioni secondo le quali la residenza britannica a Tripoli è stata distrutta e stiamo investigando'', ha detto il portavoce. ''Pensiamo - ha aggiunto - che altre residenze straniere siano state attaccate''. ''Tali azioni se confermate, sarebbero deplorevoli in quanto il regime di Gheddafi a un dovere di protezione delle missioni diplomatiche'', ha precisato notando che si tratterebbe ''di un nuovo attacco agli obblighi internazionali da parte di Gheddafi''. Londra ha richiamato il suo ambasciatore a Tripoli all'inizio del conflitto e non ha più una rappresentanza diplomatica a Tripoli, ma è presente a Bengasi, cittàù in mano agli insorti. Migliaia in coda verso la Tunisia. Migliaia di profughi libici hanno raggiunto questa mattina il valico di frontiera di Dehiba, al confine con la Tunisia. La polizia tunisina ha registrato la cifra record di 4.970 persone in un solo giorno. A metà mattina decine di veicoli libici si sono messi in coda per superare il confine, nonostante il regime abbia inviato propri soldati a pochi chilometri dal valico di transito a scopo intimidatorio. Giovedì scorso 5i soldati fedeli a Muammar Gheddafi avevano aperto il fuoco contro i ribelli nella stessa area, superando il confine e suscitando vive proteste in tunisia. Da allora, il governo di Tunisi ha deciso di schierare in loco alcune centinaia di militari. (01 maggio 2011)
LIBIA Raid Nato, Gheddafi illeso ucciso figlio e tre nipoti In un discorso di 80 minuti il Colonnello aveva chiesto negoziati con Usa e Francia per "fermare le bombe", pronto a un cessate il fuoco. La minaccia: "Porteremo la guerra in Italia". Poi il bombardamento, scene di giubilo a Bengasi Raid Nato, Gheddafi illeso ucciso figlio e tre nipoti La casa bombardata TRIPOLI - Saif al-Arab, figlio più giovane del dittatore libico Gheddafi, è stato ucciso nella notte in un raid aereo della Nato. Lo ha confermato un portavoce del regime. Il Colonnello si trovava nella stessa casa bersaglio del bombardamento, è rimasto illeso insieme alla moglie. Morti tre suoi nipoti. Alla notizia, Bengasi, città in mano ai ribelli, ha festeggiato. Secondo le prime notizie, Gheddafi si trovava insieme a parenti e amici proprio nella casa del figlio Saif, 29 anni. Protesta il governo libico: "E' stata un'azione diretta ad uccidere il leader di questo paese". I pochi giornalisti occidentali presenti a Tripoli sono stati accompagnati a visitare una villa distrutta dai bombardamenti, in un quartiere residenziale della città. Altre esplosioni sono state udite nei pressi del bunker dove presumibilmente è ora rifugiato il Colonnello. Chi era il figlio (scheda Ansa). Saif al Arab Gheddafi era il sesto figlio del leader libico. Secondo i media americani, a differenza del fratello Saif al Islam, al Arab non era mai apparso in televisione e aveva rilasciato pochissime dichiarazioni pubbliche. Sua madre è Safia Farkash, la seconda moglie del colonnello. Saif al Arab nel 2006 si era iscritto alla Technical University di Monaco di Baviera, in Germania. Secondo quanto riferito da Al Jazira, il figlio di Gheddafi nel suo periodo universitario a Monaco aveva passato il tempo più che altro andando a feste e dedicandosi a business non specificati. Secondo una denuncia alla polizia tedesca, nel 2006 Al Arab fu coinvolto in una rissa con un buttafuori in un night club di Monaco. Nel 2008 sempre a Monaco fu presentata una nuova denuncia per l'eccessivo rumore che faceva la sua Ferrari F430, che fu sequestrata. Al Arab Gheddafi fu sospettato, sempre nel 2008, di tentare di portare una pistola e delle munizioni da Monaco a Parigi servendosi di un'auto dotata di targa diplomatica. Il caso fu successivamente lasciato cadere dalle autorità tedesche per insufficienza di prove. La risoluzione 1970 dell'Onu aveva imposto un divieto di viaggio a Seif Al Arab, ma non il sequestro dei suoi beni all'estero, come per altri figli dei rais. Dopo l'inizio della rivolta, il giovane Gheddafi era stato mandato dal padre all'est al comando di truppe per combattere gli insorti.
Il discorso in televisione. Questo raid provocherà sicuramente delle conseguenze nella politica del leader libico. Che in giornata si era detto pronto a negoziare con i Paesi della Nato per mettere fine agli attacchi aerei sulla Libia e nello stesso tempo aveva minacciato il nostro Paese e attaccato "l'amico" Silvio Berlusconi: "Porteremo la guerra in Italia, lo vuole il popolo libico. Il mio amico Berlusconi ha commesso un crimine". All'alleanza atlantica il rais dice: "Noi non li abbiamo attaccati né abbiamo sconfinato. Perché ci stanno attaccando? Trattiamo, siamo pronti a parlare con i Paesi che ci attaccano. Trattiamo", ha detto il Colonnello in un discorso alla nazione trasmesso questa mattina dalla televisione di Stato e riportato da Al Jazeera. Ma la Nato non cede. "Servono fatti, non parole", ha risposto alla richiesta del rais. Le operazioni "proseguiranno - ha dichiarato un alto funzionario dell'Alleanza - fino a quando gli attacchi e le minacce contro i civili non finiranno". VIDEO: IL DISCORSO 1 - TRIBU' 2 - FOTOSTORIA 3 - CRONOLOGIA 4 - AEREI ITALIANI 5 Nel discorso di 80 minuti in diretta tv, Gheddafi ha annunciato che non lascerà il potere, ha chiesto negoziati con Usa e Francia per "fermare i bombardamenti della Nato" e si è detto pronto a un cessate il fuoco "non unilaterale". "Paesi che ci attaccate, fateci negoziare con voi", ha detto il Colonnello. "Siamo i primi ad accogliere un cessate il fuoco, la porta alla pace è aperta", ha detto. Senza evitare un duro riferimento all'Italia. "Tra noi e l'Italia è guerra aperta", ha detto il colonnello nel discorso. "Il governo italiano oggi attua la stessa politica fascista e coloniale dei tempi dell'occupazione", ha proseguito Gheddafi, affermando che "l'Italia ha ucciso i nostri figli nel 1911, all'epoca della colonizzazione, e ora lo fa di nuovo nel 2011. E' stato un errore che non si sarebbe ripetuto, ora sta facendo lo stesso errore". Il riferimento è ai raid aerei dell'Italia sulla Libia nell'ambito dell'operazione Nato contro il regime. "Con rammarico prendiamo atto che l'amicizia tra i due popoli è persa - ha concluso Gheddafi - e che i rapporti economici e finanziari sono stati distrutti". "Mi sono rattristato quando ho sentito oggi i figli del popolo libico nei loro discorsi minacciare di trasferire la guerra in Italia - ha minacciato Gheddafi -. Ma hanno ragione in quel che dicono e io non posso porre un veto sulle decisione dei libici che vogliono difendere la loro vita e la loro terra e trasferire la battaglia nei territori nemici". "Avete commesso un crimine - dice il rais rivolgendosi all'Italia celebrando il 96/o anniversario della battaglia di Gardabiya contro gli italiani - l'ha commesso il mio amico Berlusconi, l'ha commesso il Parlamento italiano. Ma ci rendiamo conto che non esiste un Parlamento in Italia, né tanto meno la democrazia. Solo l'amico popolo italiano vuole la pace". Il rais ha quindi aggiunto che il regime libico è pronto a negoziare anche se è il petrolio quello a cui puntano i Paesi della coalizione; se invece l'Alleanza atlantica non intende trattare, allora il popolo libico combatterà fino alla morte per contrastare gli attacchi "terroristici". "O libertà o morte - ha sottolineato Gheddafi - nessuna resa. Nessun timore. Nessuna fuga". Quindi si è rivolto ai ribelli che oggi controllano la zona orientale del Paese, invitandoli a deporre le armi: "Non possiamo combattere tra di noi, noi siamo una sola famiglia". Blocco navale a Misurata. Ibrahim, il portavoce del rais, ha confermato il blocco navale a Misurata, ribadendo la minaccia di colpire tutte le navi che cercheranno di entrare nel porto. La Nato è impegnata in un'operazione di bonifica di mine che le forze di Gheddafi hanno piazzato nelle acque del bacino. Una nave per aiuti umanitari è bloccata nel poto e altre due sono ferme al largo in attesa del completamento delle operazioni da parte dell'Alleanza. Il regime ha fatto sapere che gli aiuti destinati alla città dovranno essere trasportati "via terra e sotto il controllo dell'esercito" fedele al Colonnello. La risposta dei ribelli però è scettica, non si fidano: "Non crediamo che Gheddafi possa veramente rispettare un cessate il fuoco - ha detto Abdel Hafiz Ghoga, portavoce dei ribelli, in collegamento telefonico con l'emittente satellitare Al Jazeera -. Non lo ha fatto finora, violando tutte le risoluziioni Onu e continuando a bombardare città come Misurata". Proprio durante il discorso di Gheddafi, i jet della Nato hanno lanciato almeno tre missili contro obiettivi prossimi all'edificio che ospita i locali della tv di Stato, senza causare danni. Le bombe hanno aperto una voragine nei pressi del ministero della Giustizia e hanno colpito altri due uffici governativi. "Un edificio vicino alla sede di al jamahiriya è stato bombardato durante la trasmissione del discorso del Colonnello e questo significa che il leader della rivoluzione è un obiettivo lui stesso", ha detto la tv di Stato, citata da Al Jazeera. A tarda notte, la conferma. (01 maggio 2011)
LA SCHEDA Gli otto figli di Gheddafi Saif era il meno noto Il leader libico Muammar Gheddafi ha avuto otto figli da due moglie diverse: da Fatima ha avuto il primogenito Mohammad, da Safia gli altri Gli otto figli di Gheddafi Saif era il meno noto Saif al Arab Gheddafi Mohammad: l'imprenditore. Presidente del Comitato olimpico libico e capo di Lybiana, una delle due aziende nazionali di telefonia mobile. Secondo notizie dell'intelligence americana rivelate da Wikileaks, si è scontrato con i fratelli Mutassim e Saadi per il controllo dell'azienda che produce la Coca Cola in Libia. Saif Al Islam (39 anni): l'erede designato. E' il più noto dei figli di Gheddafi, quello che tiene i rapporti con i media internazionali. Laureato in Inghilterra in Architettura, ha conseguito un dottorato alla London School of Economics con un tesi risultata in gran parte copiata. E' sempre apparso come il più progressista dei figli del dittatore, quello più aperto alla democrazia e alle riforme. Possiede tre reti televisive e due giornali ed è presidente della associazione caritatevole Fondazione Gheddafi. Saadi (38): il leggerone. Giocatore di calcio senza talento, grazie alle conoscenze del padre ha militato brevemente in Perugia, Udinese e Sampdoria. E' il più gaudente dei figli del rais, famoso per le feste e le imitazioni. Guida la Federcalcio libica e ha investito un centinaio di milioni di dollari in una società di Hollywood che avrebbe dovuto produrre film. Mandato a Bengasi all'inizio della rivolta, si è salvato a stento dalle grinfie dei ribelli. Mutassim Bilal: il militare. Tenente colonnello dell'esercito, ha guidato il Consiglio per la sicurezza nazionale. Dopo Saif al Islam, è considerato un possibile erede di Muammar. Hannibal: il picchiatore. Ha mandato in ospedale la moglie a Londra, ha picchiato fotografi e poliziotti in Italia, è stato condannato per armi in Francia. E' stato arrestato in Svizzera per maltrattamenti alla servitù e suo padre per rappresaglia ha scatenato una guerra diplomatica, tenendo agli arresti per mesi due cittadini elvetici. Ha avuto anche flirt con attricette italiane. Aisha (33): la combattente. Avvocato, ha fatto parte del collegio difensivo di Saddam Hussein. Nota per la sua bellezza, ma anche colta e intelligente, è stata delegata dell'Onu per la lotta all'Aids. Sposata e madre di figli, dopo che è scoppiata la rivolta è apparsa in pubblico più volte a sostegno del padre. Saif Al Arab (29): studente a Monaco di Baviera, si è dedicato più alle feste che agli studi, facendosi denunciare per rissa in un locale, rumori molesti con la sua Ferrari, contrabbando di armi verso la Francia e altri affari non specificati. Dopo lo scoppio dell'insurrezione gli erano state affidate delle truppe per combattere i ribelli. Si era anche sparsa la voce che avesse defezionato e fosse passato con loro. Un raid della Nato lo ha ucciso stanotte nella sua casa di Tripoli, insieme a tre nipoti. Secondo il governo libico, nell'abitazione c'erano anche suo padre Muammar (vero obiettivo dell'attacco) e sua madre, che sono rimasti illesi. Khamis (28): il macellaio (definizione degli insorti). Laureato all'accademia militare di Tripoli, comanda la Brigata Khamis, in prima linea nella repressione della ribellione. Era stato dato per morto il 20 aprile, ma la notizia era falsa. (01 maggio 2011)
IL COMMENTO Sparare sui profughi e trattare con il raÌs di EUGENIO SCALFARI NON POSSO non ricordare che oggi è il 1° maggio, festa dei lavoratori cioè di tutti, come afferma la Costituzione nel suo primo articolo. E non posso non ricordare che oggi il popolo dei credenti festeggia la beatificazione di Karol Wojtyla che fu vicario di Cristo per 27 anni. Il suo pontificato segnò una discontinuità rilevante nella storia moderna della Chiesa cattolica. Una discontinuità variamente interpretata e discussa con aspetti contraddittori, legati tuttavia da una altrettanto rilevante continuità: la denuncia dell'ingiustizia e delle ineguaglianze. Quella denuncia è stata una costante del suo pontificato e spiega la popolarità che il suo messaggio ha avuto in tutto il pianeta, soprattutto tra gli umili e i poveri dell'America Latina, dell'Africa, dell'Oceania, dell'Est europeo. Non affrontò il tema della modernità, non risolse i problemi interni della Chiesa, anzi se ne tenne lontano. Ma il problema dell'ingiustizia fu il suo costante rovello e su di esso costruì un rapporto indissolubile con tutti i derelitti del mondo. È certamente un caso che la sua beatificazione coincida con la festa dei lavoratori, ma si tratta d'una coincidenza che ci induce a riflettere. L'ingiustizia è il solo e vero peccato del mondo e tutti ne siamo in qualche modo coinvolti sia come vittime sia come peccatori. La lotta contro quel peccato evoca due principi valoriali: la libertà e l'eguaglianza, in assenza dei quali l'ingiustizia regna sovrana. Karol Wojtyla va ricordato per questo suo insegnamento che al di là d'ogni steccato rappresenta la sostanza nobile dell'umanità. Anche la politica dovrebbe aver presenti quei valori. Spesso li dimentica o addirittura li calpesta perdendo autorevolezza e credibilità. Noi siamo ora ad uno di questi tornanti, forse il più grave della nostra storia repubblicana. Sembra smarrito il senso profondo dell'interesse generale, dello Stato, del futuro, della giustizia. Prevale l'egoismo che divide, la rissa di tutti contro tutti. In queste condizioni un soprassalto di fierezza e di dignità è l'obiettivo urgente da realizzare. Il 3 e 4 maggio il Parlamento è chiamato ad esprimersi sul caso Libia. Il 15 e il 16 dello stesso mese 12 milioni di elettori saranno chiamati alle urne per rinnovare gli organi di governo di molti Comuni e Province. Sono due appuntamenti importanti e forse decisivi per uscire dal pantano in cui il Paese si trova da molti mesi. *** Comincio da una constatazione. La Lega, per la prima volta da quando esiste, si trova in un vicolo cieco. Non condivide la politica di Berlusconi ed è tentata di staccare la spina e mandare a casa il governo di cui fa parte, ma non può. Se questo governo cadesse anche la Lega sarebbe a mal partito, chiusa nel suo egoismo territoriale. Perciò ha le mani legate e annaspa alla ricerca della "quadra". Ma anche il governo ha le mani legate. Se Bossi decidesse di punirlo Berlusconi vedrebbe finire il suo regno, ma non è in condizione di tirarsi indietro dalle decisioni che ha preso dopo un lungo e insostenibile tergiversare con la Nato di cui facciamo parte. Perciò anche il governo è incartato come la Lega. L'uomo della mediazione potrebbe essere Tremonti? È incartato anche lui. Il ministro dell'Economia è di fatto padrone del governo perché ha in mano la chiave della cassaforte ed è lui a decidere come spartire le poche risorse disponibili. Non gode di alcuna popolarità nel suo partito, è invece benvoluto dalla Lega. Potrebbe essere il momento giusto per lui di vibrare il colpo, ma non può. È lucidamente consapevole che la caduta di Berlusconi farebbe venir meno il cemento che tiene unita la coalizione di centrodestra. Perciò Tremonti non si muove. Ciascuno di questi tre soggetti politici, Bossi Berlusconi Tremonti, ha obiettivi che confliggono tra loro; l'uno ricatta gli altri e ne è ricattato. Il risultato è la paralisi del governo nel momento in cui c'è uno scontro militare in atto, un problema di immigrazione da gestire e una crisi economica che sembra avviarsi verso un nuovo culmine di speculazioni e di difficoltà. Si profila la necessità d'una manovra finanziaria da 40 miliardi. Sta emergendo una nuova e imponente bolla speculativa di titoli tossici nei portafogli delle banche americane ed europee. La Banca centrale europea è in allarme. Di fronte a questo quadro la maggioranza è a pezzi e il governo è paralizzato. Si può continuare a lungo così? *** Il 3 e 4 maggio, per volontà della Lega, il Parlamento dovrà pronunciarsi sui bombardamenti che alcuni aerei italiani stanno effettuando su obiettivi militari di Gheddafi nell'ambito delle operazioni decise dalla Nato in ottemperanza della risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu. La nostra adesione a quelle operazioni è già stata votata dal Parlamento nello scorso marzo con larga maggioranza, Lega compresa. Ma è intervenuta una novità: fino alla settimana scorsa l'Italia si limitava a fornire alcune basi militari e un contingente di aerei da ricognizione. La Nato ha ritenuto che il contributo italiano dovesse essere rafforzato e che anche i nostri aerei dovessero partecipare ai bombardamenti. Il presidente Obama ha chiamato il capo del nostro governo, Sarkozy e Cameron hanno fatto altrettanto. Il governo italiano non poteva che accettare le loro indicazioni. Ma Bossi ha messo il veto, offeso per non essere stato informato prima che la decisione venisse presa e debitamente attuata. Non vuole far cadere il governo ma lo vuole condizionare e chiede: che venga fissata una data che ponga fine alla nostra partecipazione al conflitto; che le nuove "regole d'ingaggio" dei nostri aerei non abbiano alcun riflesso tributario; che uno schieramento di navi militari impedisca l'arrivo di migranti dalle coste africane; che gli immigrati siano "spalmati" su tutti i Paesi dell'Unione europea; che non vi sia alcun intervento di truppe italiane in terra libica (ma questo è anche previsto dalla risoluzione dell'Onu). Infine la Lega chiede poltrone nel governo, nella Rai e soprattutto a Milano dove rivendica un vicesindaco forte a fianco d'una Moratti alquanto sghemba (se vincerà). La mozione leghista è già stata presentata in Parlamento ed ora è all'esame della presidenza della Camera che vigila sull'ammissibilità dei vari documenti presentati. Alcune delle richieste leghiste saranno probabilmente accettate dal governo ma altre sembrano irricevibili. Berlusconi sembra orientato a non presentare alcuna mozione e a non farne votare nessuna di quelle delle opposizioni. Lascia a Bossi la patata bollente ma si riserva di trattare nei tre giorni che gli restano prima del voto. E le opposizioni? *** Le opposizioni di fatto sono due. Il pacifismo di Di Pietro, che sa di posticcio, è poco pertinente all'attuale dibattito parlamentare. Il terzo polo appoggia le posizioni del governo. Il Pd appoggia l'evoluzione naturale delle operazioni Nato alle quali aveva già aderito in marzo. Se il partito di Berlusconi si asterrà dal voto i due documenti delle opposizioni, che presumibilmente voteranno sia il proprio che l'altro, dovrebbero sconfiggere in larga misura la mozione leghista. Il fatto avrebbe un notevolissimo rilievo politico: maggioranza divisa, Lega battuta. Tanto da prevedere una crisi di governo o quantomeno uno sconquasso nel centrodestra. Con presumibili ripercussioni sulle elezioni di metà maggio. Vorrei qui aggiungere che le opposizioni si sono fatte sfuggire qualche giorno fa l'occasione di battere la maggioranza sul documento economico presentato da Tremonti. Quaranta assenti, di cui almeno trenta ingiustificati in un passaggio parlamentare decisivo. Non risulta che il capogruppo del Pd abbia deciso le adeguate sanzioni per quei deputati che sono pagati per esser presenti a sedute di quest'importanza. Se si vuole uscire dalla palude, occasioni perse di questo genere non dovrebbero mai più ripetersi. Una parola sul Presidente della Repubblica. Napolitano resta, e non c'era da dubitarne, un punto di riferimento essenziale. Esercita il suo mandato al di sopra delle parti e dalla parte della Costituzione, come può e come deve. L'ha ricordato ancora una volta ieri aggiungendo una nota amara sull'ipocrisia con la quale troppe volte i suoi rilievi vengono accolti dai destinatari. Ha detto "basta", una parola ferma di cui sarà opportuno che gli interessati tengano conto. Dall'altra parte del Mediterraneo il raìs libico ha annunciato che porterà la guerra in Italia, non contento di insanguinare ogni giorno il suo paese per puntellare la sua dittatura. Si tratta all'evidenza di un folle sanguinario e disperato ed è con un regime di quella fatta che la Lega vorrebbe ristabilire i rapporti rimpiangendo il bacio della mano berlusconiano del "buon tempo andato"? (01 maggio 2011)
LA PAROLA Di CARLO GALLO Bombardamento L'atto bellico del lanciare bombe. La potenza di fuoco e l'efficacia distruttiva a largo raggio del bombardamento sono state per lungo tempo affidate all'artiglieria; ma l'avvento dell'arma aerea ha svincolato il bombardamento dalla dimensione terrestre e tattica, cioè limitata al campo di battaglia, e gli ha progressivamente conferito una dimensione strategica, mettendolo in grado di vincere le guerre o almeno di mutarne la qualità e di influenzarne profondamente l'evoluzione. L'Italia è strettamente legata alla storia dei bombardamenti aerei: sia perché è stata la prima ad effettuarli, il 1 novembre 1911, contro l'esercito turco, nella guerra di Libia; sia perché il generale italiano Giulio Douhet nel suo fortunato libro Il dominio dell'aria (1921) è stato il primo a teorizzarne la valenza decisiva nelle guerre del futuro.
Come hanno tragicamente dimostrato dapprima le vicende della guerra civile spagnola (durante la quale nel 1937 le forze aeree tedesche distrussero la cittadina basca di Guernica), e in seguito della Seconda guerra mondiale (culminata con i bombardamenti atomici sul Giappone), il bombardamento aereo è stato uno dei fattori determinanti dell'avvento della 'guerra totale', cioè di una guerra condotta non più contro solo le forze armate del nemico, ma contro tutta la sua società, la sua economia, le sue infrastrutture, le sue città, e contro l'intera popolazione, per demoralizzarla e per annientarla.
Per la sua incapacità di distinguere i civili dai militari il bombardamento aereo è l'emblema della guerra nella sua forma più violenta, cioè della guerra indiscriminata contro i civili, ed è quindi una pratica assai discussa, anche eticamente; è quindi difficilmente compatibile con le operazioni di polizia internazionale avallate dall'Onu. Tuttavia, data la sua grande efficacia - che però non è mai decisiva per le sorti della guerra, poiché le truppe terrestri restano indispensabili per la vittoria - le forze armate dei Paesi più progrediti cercano di dotarsi di bombe 'intelligenti', in grado di colpire con chirurgica precisione i bersagli, solo militari, del nemico: in tal modo il bombardamento sarebbe legittimato agli occhi delle opinioni pubbliche e della politica internazionale. I bombardamenti mirati, tuttavia, sono esposti a tragici errori, che coinvolgono le popolazioni civili; il che - particolarmente per l'Italia, la cui Costituzione ripudia la guerra - rende sempre altamente controversa e problematica la decisione del bombardamento, come è accaduto anche ai tempi della guerra in Kosovo. (29 aprile 2011)
LA SCHEDA Le tribù che si contendono la Libia IN TOTALE sono più di 100, con nomi, distribuzione geografica e schieramenti politici impossibili da seguire e registrare. Ma le principali tribù, quelle che fanno davvero la differenza e possono condizionare l'esito della guerra, in Libia sono quattro: i Warfalla, i Ghadala, i Megarha e gli Zuwayya. I loro ruolo, in base allo schieramento scelto, potrebbe essere sempre più importante da oggi, dopo che le truppe verdi di Gheddafi si sono ritirate da Misurata, lasciando proprio alle tribù il compito di trovare una soluzione. Dall'inizio degli scontri, nel febbraio scorso, diverse tribù hanno abbandonato il Rais o si sono spaccate al loro interno, con una consistente parte che si è unita ai ribelli. La prima, forte, defezione, all'inizio degli scontri, Gheddafi l'ha ricevuta proprio dalla più grande, quella dei Warfalla, una delle principali della Tripolitania che raccoglie oltre un milione di libici. La maggior parte di loro, ha abbandonato il rais e trasformato Misurata, la città simbolo della rivolta, nella loro roccaforte, dopo che uno dei loro leader ha dichiarato che "Gheddafi non è più un fratello" e deve lasciare il paese. Una "chiamata alle armi", quella dei Warfalla, che sarebbe stata accolta anche dai Tuareg, che in Libia sono mezzo milione. Il secondo strappo è arrivato dagli Zuwayya, ramificati nella parte orientale del paese, zona strategica perchè attraversata dalle condutture petrolifere. E la prima minaccia al regime, lanciata dopo la defezione dal capo tribù, non a caso è stata proprio quella di bloccare l'esportazione di oro nero, se non fossero cessate le violenze. Ancora fedele a Gheddafi la "sua" tribù, quella dei Ghadala, numericamente più piccola, ma molto potente per il legame con il Rais: è la tribù di Sirte, luogo di nascita di Gheddafi. Tra i fedelissimi del rais ci sarebbe anche la tribù dei Megarha che si trova nella parte sud occidentale della Libia. (23 aprile 2011)
2011-04-26 LIBIA Berlusconi: "Colpiremo solo obiettivi militari" Bossi preannuncia no: "Le guerre non si fanno" Da Napolitano via libera a cambio missione: "Non potevamo restare indifferenti davanti alla sanguinaria reazione di Gheddafi". La Lega conferma la contrarietà. Di Pietro: "Non è sviluppo costituzionalmente corretto". Idv presenta una mozione in Parlamento sulla tenuta della maggioranza, anche il Pd per la verifica. Il premier: "Decisione difficile, ma necessaria". Gaffe sulle "bombe a grappolo" Berlusconi: "Colpiremo solo obiettivi militari" Bossi preannuncia no: "Le guerre non si fanno" ROMA - ''L'ulteriore impegno dell'Italia in Libia costituisce il naturale sviluppo della scelta compiuta dall'Italia a marzo, secondo la linea fissata nel Consiglio supremo di difesa da me presieduto e quindi confortata da ampio consenso in Parlamento''. L'imprimatur alla svolta del governo, che ieri ha annunciato l'estensione della missione militare italiana in Libia 1, arriva dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, durante il suo intervento in occasione dell'incontro con gli esponenti delle associazioni combattentistiche, partigiane e d'arma. L'essenza della missione viene spiegata da Berlusconi durante la conferenza stampa congiunta al termine del bilaterale con il presidente francese Nicolas Sarkozy: "Non si tratta di bombardamenti, ma di raid mirati con missili di precisione su obiettivi militari". Ma la Lega non cede: "Porteremo il nostro no in Consiglio dei ministri", ha annunciato il ministro per la semplificazione Roberto Calderoli, e Bossi ha spiegato: "Sono contrario ai bombardamenti". Ma Berlusconi assicura: "Con Bossi tutto a posto". Napolitano dà il via libera. "Nel ricordo delle lotte di liberazione e del 25 aprile - aveva detto il capo dello Stato - in particolare noi italiani sentiamo di non poter restare indifferenti di fronte al rischio che vengano brutalmente soffocati movimenti comunque caratterizzati da una profonda carica liberatoria. Non potevamo rimanere indifferenti alla sanguinaria reazione del colonnello Gheddafi in Libia" ha aggiunto il capo dello Stato che ha precisato: "Di qui l'adesione dell'Italia al giudizio e alle indicazioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni uniti e quindi al piano di interventi della coalizione postasi sotto la guida della Nato". "Ancora una volta il Presidente della Repubblica ha usato parole nelle quali tutto il Paese si può e si deve riconoscere esortando le istituzioni e le forze politiche a operare per l'interesse nazionale dell'Italia da inquadrare dentro la costruzione di un ordine internazionale fondato sulla giustizia e sulla pace", ha detto Giorgio Tonini, capogruppo Pd in Commissione Esteri al Senato. Berlusconi: "Necessario nostro intervento. Useremo razzi di precisione su obiettivi mirati". "Abbiamo sentito di non poterci sottrarre'' a un coinvolgimento maggiore dell'Italia in Libia con raid mirati "anche perché c'era bisogno di questo nostro intervento". Silvio Berlusconi, nella conferenza stampa seguita al vertice italo-francese 2 a Villa Madama, ha illustrato quale sarà l'impegno dell'Italia nella missione in Libia, facendo anche una gaffe terminologica: "A leggere i giornali sembra che ci apprestiamo, così come i nostri alleati, a fare i bombardamenti, quelli famosi con le bombe a grappolo (messe al bando da gran parte del mondo perché, per loro natura, non possono colpire con precisione e sono ad alto rischio per la popolazione, anche anni dopo il loro lancio, ndr), si tratta di interventi con dei razzi di estrema precisione su singoli obiettivi militari, come mezzi in movimento e via dicendo". ASCOLTA L'AUDIO 3 Il premier ha poi spiegato che il cambio di posizione è stato in qualche modo imposto dalle pressioni alleate: "L'Italia dava già un contributo con i suoi velivoli e navi, ma insistentemente ci hanno chiesto gli alleati e gli Usa di poter far intervenire i nostri velivoli su obiettivi militari", ha detto il premier, aggiungendo di poter "escludere con certezza" la possibilità di "provocare danni alla popolazione civile". Berlusconi ha aggiunto che la decisione "è il seguito logico della decisione Onu", alla quale "abbiamo sentito di non doverci sottrarre perché riteniamo che di questo nostro intervento c'è bisogno". "Non è stata facile la decisione del nostro Governo, e io conto di parlarne ancora con gli alleati della Lega che erano sulle mie stesse posizioni - ha aggiunto Silvio Berlusconi - Non volevo che l'Italia fosse una partecipante non a pieno titolo". Sarkozy: "Ci rallegra decisione italiana". La Francia si rallegra della decisione italiana di partecipare ai bombardamenti sulla Libia: lo ha dichiarato il presidente francese, Nicolas Sarkozy, al termine della bilaterale con Silvio Berlusconi a Villa Madama. "Ci rallegriamo della decisione italiana di inviare aerei, abbiamo bisogno della partecipazione italiana", ha affermato il titolare dell'Eliseo. Del resto, si è chiesto Sarkozy, "chi potrebbe capire se l'Italia non partecipasse al lavoro della coalizione che permette ai libici di vivere liberamente?". "Nessuno capirebbe visto che l'Italia è stata tanto vicina alla storia della Libia", ha aggiunto. "Non invieremo truppe di terra" in Libia perché "abbiamo una regola che è quella della risoluzione dell'Onu" che non prevede questa opzione, ha assicurato il presidente francese. E' stato poi confermato che il Gruppo di contatto sulla Libia si riunirà a Roma il prossimo 5 maggio. La riunione sarà a livello di ministri degli Esteri. Si tratta del terzo meeting dopo quelli di Londra e Doha Domani Frattini e La Russa riferiscono alle Camere. Domani, alle 14, i ministri degli Esteri e della Difesa Franco Frattini e Ignazio La Russa riferiranno alle commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato in seduta congiunta sulla scelta del governo di dare il via ai raid aerei in Libia. Lega Nord contraria, no in Cdm. La posizione della Lega sembra inamovibile. Umberto Bossi preannuncia il suo no in Cdm: "Sono contrario ai bombardamenti. Le guerre non si fanno e soprattutto non si preannunciano così. Dopo le dichiarazioni di Berlusconi, Gheddafi ci riempirà di clandestini". ''La Lega Nord è contraria alla guerra, e soprattutto a quelle che coinvolgono dei poveretti, che poi inevitabilmente si riverseranno nel nostro Paese'', aggiunge il ministro per la semplificazione Roberto Calderoli. E ancora: ''Avevamo chiesto di aiutarli a casa loro ma gli aiuti ad una popolazione oppressa non si danno con bombe o missili, a torto, definiti intelligenti, che non distinguono tra buoni e cattivi. La Lega Nord non condivide la nuova evoluzione della nostra partecipazione alla missione libica, che porterà a nuovi rilevanti oneri e, conseguentemente, ad un aumento delle tasse o delle accise sulla benzina, rincari che andranno a colpire i tanti cittadini che non condividono questa guerra. La gente ha altri problemi: i Paesi che vogliono le guerre se le facciano da soli. Questa è la posizione che porteremo con Umberto Bossi al prossimo Consiglio dei Ministri''. Pd e Idv: "Governo non ha maggioranza, serve una verifica". "Il governo non ha una maggioranza sulla politica estera. Sta procedendo in modo ondivago e confuso", dice il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, commentando le polemiche sulla situazione in Libia. Il Pd, ribadisce Bersani è a favore di un intervento in Libia "nello stretto mandato Onu, fatto per evitare che Gheddafi massacri le popolazioni ribelli". Dopo questa fase, continua, si deve passare "il più rapidamente possibile a un iniziativa politica e diplomatica. Il governo sa a che punto è questa iniziativa?". Quindi è "indispensabile che il governo venga in parlamento a verificare i numeri e la linea della sua maggioranza in politica estera". Ipotesi che l'Idv ha già in serata trasformato in una mozione per verificare se il governo ha ancora una maggioranza. Lo ha annunciato Di Pietro aggiungendo che "si coordinerà con le altre opposizioni in modo che ci sia un'iniziativa comune". Dopo le dichiarazioni di Bossi, si apprende che il Pd valuta la possibilità di chiedere una verifica in Parlamento della tenuta della maggioranza sulla politica estera. Bersani ha sondato i capigruppo del partito Dario Franceschini e Anna Finocchiaro ragionando sulla possibilità di cambiare strategia e presentare un documento su cui chiedere il voto delle Camere. "In questo nuovo quadro non possono bastare semplici comunicazioni dei ministri - afferma Franceschini - domani mattina ne parleremo all'Assemblea del gruppo e con le altre forze di opposizione. Dopo le ultime parole di Bossi sulla Libia, che certificano che in politica estera non c'è una maggioranza, mi pare davvero difficile immaginare che il Parlamento non si esprima con chiarezza". Le riserve del Pdl. Ma sui bombardamenti italiani in Libia "anche all'interno del Pdl ci sono delle riserve". Lo ha detto il sottosegretario agli Interni Alfredo Mantovano, intervenuto a '24 mattino' su Radio 24. "A me piace più l'Italia che manda gli aiuti umanitari a Bengasi piuttosto che l'Italia che bombarda - ha spiegato - la mia è una posizione personale, in un momento di confusione non vuole essere un elemento di ulteriore polemica. Ma non solo la Lega ha delle perplessità sull'intera storia per come è nata e si è sviluppata", ha concluso Mantovano. Per il capogruppo alla Camera del Pdl Fabrizio Cicchitto, "Il governo rimane nel'ambito di quanto già deliberato dal Parlamento rispetto alla risoluzione 1973 dell'Onu, come ha dato atto anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Non c'è nessun salto di qualità rispetto alla linea già discussa in Parlamento''. Idv: "Bombardare non è sviluppo naturale". Con le parole del capo dello Stato non è d'accordo il leader dell'Italia dei valori, Antonio Di Pietro: "Bombardare una nazione non ci pare possa essere considerato uno sviluppo né naturale né costituzionalmente corretto. Né può valere l'ipocrita giustificazione che tutto ciò sarebbe già stato autorizzato dalle Nazioni Unite e dal Parlamento italiano. Infatti, l'Onu non ha mai avallato tale scelta e, soprattutto, le nostre Camere non hanno mai discusso, né approvato un provvedimento in cui c'era scritto, nero su bianco, di fare guerra ad un'altra nazione. È stato solo deliberato di impedire che avvenissero dei massacri della popolazione inerme durante una guerra civile. L'Italia non dovrebbe interferire nelle decisioni interne di un altro Stato, ma solo prodigarsi per fornire assistenza, solidarietà e supporto umanitario alla popolazione civile", ha affermato in una nota Di Pietro. Finocchiaro: "Inaccettabile polemica di Di Pietro". A difendere il Colle scende in campo il Pd. Per la presidente dei senatori Pd Anna Finocchiaro la polemica di Di Pietro contro il capo dello Stato è "inaccettabile": "Di fronte al responsabile richiamo che oggi il presidente della Repubblica ha rivolto alle forze politiche e alle istituzioni, suonano stonate e inaccettabili le parole di Antonio Di Pietro di oggi, come sono incomprensibili le posizioni espresse da ministri della Lega di ieri". "Casomai va chiarito, e per questo abbiamo chiesto che il governo venga in Parlamento, il perché di questo repentino cambio di rotta operato dall'esecutivo". (26 aprile 2011)
SIRIA Francia e Italia: "Fermare repressione" Sarkozy chiede a Ue e Onu "misure forti" Il vertice bilaterale si apre sulla questione delle violenze del regime di Assad contro l'opposizione. Il presidente francese: "Situazione inaccettabile" ma "non ci sarà intervento senza risoluzione delle Nazioni Unite". Parigi apre il nuovo fronte facendo pressione per un intervento internazionale concertato. A Daraa cecchini ancora in azione Francia e Italia: "Fermare repressione" Sarkozy chiede a Ue e Onu "misure forti" Un corteo funebre per le vittime degli scontri in Siria ROMA - Nicolas Sarkozy arriva a Roma con un'aggiunta all'agenda attesa, incentrata su Libia e immigrazione, e impone l'apertura della conferenza stampa con un "appello comune" per la situazione in Siria. "Siamo molto preoccupati - ha detto Berlusconi - per gli sviluppi che verifichiamo in questo paese, per le numerose vittime. L'appello alle autorità siriane è per fermare la repressione violenta, si tratta di dimostrazioni pacifiche, chiediamo a tutte le parti moderazione e auspichiamo che si dia un seguito immediato alle importanti riforme" annunciate. E Sarkozy parla di "situazione inaccettabile" a Damasco, precisando che il precedente della risoluzione dell'Onu per l'intervento in Libia ha segnato una "svolta" nella politica estera francese anche se "questo non significa che si debba intervenire ovunque nel mondo" e assicura che "non ci sarà intervento in Siria senza una risoluzione dell'Onu". La Francia ha già cominciato però a fare pressione per un giro di vite internazionale anche nei confronti di Damasco. Il ministro degli Esteri ha dichiarato poche ore prima del vertice italo-francese che Parigi vuole dall'Onu e dalla Ue l'adozione di "misure forti" per far cessare "l'uso della forza contro la popolazione". A Daraa continua la battaglia di strada, all'indomani dell'operazione militare contro la città 1 epicentro della contestazione al regime di Bashar al Assad: testimoni sul posto hanno descritto oggi una città in preda ai cecchini, anche se cominciano a circolare voci su alcune diserzioni nell'esercito. "Gli spari contro gli abitanti continuano", ha indicato un attivista per i diritti umani, Abdallah Abazid. "Nuovi rinforzi delle forze di sicurezza e dell'esercito sono entrati a Daraa, c'è un carro armato nel centro". I punti di accesso alla città sono bloccati da carri e barricate, ma secondo l'attivista, alcuni soldati della quinta divisione hanno disertato e si sono uniti a noi" contro l'esercito fedele al regime. Abazid ha aggiunto che oggi le forze di sicurezza hanno circondato l'abitazione del mufti di Daraa, che sabato si era dimesso per protestare contro la repressione, "ma il mufti non era in casa". Nel frattempo, gli Stati Uniti hanno ordinato ieri sera alle famiglie dei diplomatici e al personale non essenziale della loro ambasciata di Damasco di lasciare la Siria, a causa "dell'instabilità e della situazione incerta" che regna nel paese. Ieri migliaia di soldati con blindati e carri armati hanno preso d'assalto la città, 100 km a sud di Damasco, uccidendo almeno 25 persone. Le autorità siriane, che accusano "bande di criminali armati" di organizzare le manifestazioni, sostengono che l'esercito sia entrato a Daraa su richiesta della popolazione per "farla finita con i gruppi terroristi". La repressione delle proteste contro il regime siriano di Assad, iniziate a metà marzo, ha provocato finora almeno 400 morti, secondo le stime degli attivisti antiregime. (26 aprile 2011)
2011-04-16 LIBIA Si cerca in Africa esilio per Gheddafi Ribelli: "Stiamo ricevendo le armi" Bombardamenti su Misurata, si combatte ad Ajdabiya. Il Nyt: "Usa e alleati vagliano la disponibilità di paesi non firmatari del Trattato sulla Corte dell'Aja, che impedisce di dare ospitalità ad accusati Si cerca in Africa esilio per Gheddafi Ribelli: "Stiamo ricevendo le armi" I resti di una bomba a grappolo trovata a Misurata NEW YORK - L'amministrazione Obama insieme agli alleati sta cercando un Paese, per lo più in Africa, che sia disposto ad accogliere Gheddafi qualora dovesse lasciare il potere in Libia. Lo riferisce oggi il New York Times, precisando che, almeno per il momento, Gheddafi non ha nessuna intenzione di cedere alle richieste occidentali. Nello stesso tempo in Libia - scrive il quotidiano citando fonti dell'amministrazione - nessun leader è emerso tra i ribelli come successore del colonnello. La ricerca dell'amministrazione americana - precisa il quotidiano - è complicata dalla circostanza che Gheddafi potrebbe essere incriminato dalla Corte Internazionale dell'Aja. Per questo l'amministrazione Usa sta cercando un Paese che non sia firmatario del trattato internazionale in base al quale ogni Paese è tenuto a consegnare alla giustizia chiunque sia sotto accusa nell'ambito di un processo davanti all'Alta Corte. La battaglia per il controllo del territorio è ancora concentrata intorno ad Ajdabiya e nell'assedio di Misurata, la città martire dei ribelli dove si continua a denunciare il martellamento dell'artiglieria delle forze di Gheddafi che secondo testimoni stanno compiendo un vero massacro. Secondo testimonianze dirette e prove materiali, le forze del colonnello stanno utilizzando missili terra-terra e bombe a grappolo 1 - le cosiddette "armi indiscriminate" che non possono colpire obiettivi con precisione. La resistenza degli insorti potrebbe essere però rafforzata da forniture di armi non ufficiali che stanno in queste ore arrivando ai ribelli. Lo dice al Nyt uno dei leader militari, il generale Abdel Fattah Younes, secondo cui i ribelli stanno ricevendo armi da governi non meglio precisati. (17 aprile 2011)
2011-04-16 MEDIO ORIENTE Arrigoni, presi i killer: avrebbero confessato I salafiti: "Ad ucciderlo una cellula impazzita" Il corpo dell'attivista italiano tra 48 ore in Italia: "Non passi per Israele". Manifestazioni, fiaccolate e presidi a Gaza e in Italia. Riaperta la sua pagina Facebook. Fonti palestinesi: "Chiesto a Hamas riscatto da un milione di dollari". I teologi islamici lanciano una "fatwa" contro gli assassini Arrigoni, presi i killer: avrebbero confessato I salafiti: "Ad ucciderlo una cellula impazzita" Le manifestazioni di protesta a Gaza per l'assassinio di Vittorio Arrigoni GAZA - Gli esecutori materiali dell'omicidio di Vittorio Arrigoni sono stati catturati. Lo riferisce il ministero dell'Interno del governo di Hamas, senza però precisare ulteriori particolari. In precedenza, il governo di Hamas aveva annunciato l'arresto di due salafiti coinvolti nel rapimento, senza specificarne il ruolo. Secondo quanto riferito dall'Interno, sarebbero in tutto quattro gli estremisti arrestati per il sequestro e l'assassinio del pacifista italiano. I due arrestati oggi, secondo fonti della polizia di Hamas, hanno confessato il loro ruolo nel sequestro e nell'omicidio di Arrigoni precisando che uno dei due è ritenuto il killer, mentre l'altro ha ammesso di avere svolto un ruolo di fiancheggiatore nella logistica del sequestro. Cominciano a emergere dettagli sull'omicidio: l'attivista pacifista è stato soffocato con un sacchetto di plastica. Secondo fonti palestinesi, il gruppo salafita responsabile del sequestro avrebbe chiesto al governo di Hamas per il suo rilascio il pagamento di un riscatto di un milione di dollari oltre alla liberazione del suo leader Abdel Walid al-Maqdisi. Lo ha rivelato una fonte a condizione di anonimato, citata dal quotidiano palestinese 'Resalah', vicino ad Hamas. "I rapitori hanno chiesto un riscatto di un milione di dollari e hanno avanzato la richiesto ad Hamas attraverso un intermediario", ha affermato la fonte, citata da 'Risalah'. La fonte ha quindi confermato che Arrigoni è stato ucciso soffocato da un nastro di plastica "dopo aver fatto resistenza". Fonti di uno dei gruppi ultraintegralisti salafiti della Striscia di Gaza hanno ammesso oggi la responsabilità di una loro cellula "fuori controllo" nell'azione. Le fonti, che parlavano a nome di 'al-Tawhid wal-Jihad' - una della fazioni salafite più note di Gaza, ispirate agli slogan di Al Qaida -, hanno negato che l'azione sia stata ordinata dai vertici del gruppo. "E' stata una iniziativa incomprensibile, compiuta da una cellula impazzita, fuori controllo, e che contrasta con l'insegnamento dell'Islam e i nostri interessi". E un comitato di teologi islamici ha emesso oggi a Gaza una fatwa (decreto religioso islamico) in cui afferma che l'assassinio di Arrigoni è "un crimine contro l'Islam" e per di più "fa il gioco del nemico sionista (Israele)". Il decreto, il cui contenuto è stato trasmesso alla stampa, è stato firmato dal Comitato dei teologi islamici, organo che, secondo fonti informate a Gaza, non è formalmente legato al governo di fatto di Hamas a Gaza ma i cui membri, al fianco di altri considerati indipendenti, sono in maggioranza legati a questo movimento islamico. La salma di Vittorio Arrigoni 1 lascerà Gaza tra domani e dopodomani: è questa l'ipotesi più realistica, secondo quanto si apprende, considerate le formalità burocratiche che devono prima essere risolte. Fonti di Hamas sostengono che il corpo domani passerà il valico con l'Egitto. La famiglia del pacifista italiano ha infatti espresso il desiderio che il feretro non passi da Israele ("una scelta simbolica", ha detto venerdì la madre, Egidia Beretta 2): e questo richiede l'apertura del valico di Rafah, la frontiera tra l'Egitto e la Striscia di Gaza. Ma l'attraversamento è stato chiuso nel 2007, quando Israele ha imposto il blocco su Gaza e la riapertura richiede complicate procedure burocratiche che potrebbero allungare i tempi del rientro in Italia della salma. "Dalla Farnesina mi hanno assicurato che stanno facendo il possibile per far rientrare Vittorio attraverso il confine con l'Egitto, ma non sono ancora in grado di darmi né date né modalità", ha spiegato la madre di Vittorio Arrigoni. "Ci farebbe piacere se fosse così, ma comunque per il nostro dolore cambia poco", ha concluso Egidia Beretta. Mentre si moltiplicano le manifestazioni di rabbia e sdegno 3 per l'assassinio del cooperante italiano sia a Gaza che in Italia 4, la sua pagina Facebook 5riapre ad opera degli amici più stretti. Il suo blog, Guerrilla Radio, è fermo al 13 aprile, ma il profilo Facebook di Vittorio Arrigoni (che aveva anche una pagina personale ora inattiva) da ieri sera ha ripreso a pubblicare notizie su Gaza. "Vittorio ha lasciato in mani fidate l'accesso a questa pagina. D'accordo con la famiglia abbiamo deciso di continuare a pubblicare" si legge in un post, che si conclude con il monito di Vittorio, 'Stay Human'. Sulla pagina Facebook riaperta sono stati quindi postati alcuni video di Arrigoni, tra cui uno girato il 9 aprile scorso, intitolato 'a narghile under the bombs', dove l'attivista dialoga con un altro pacifista. L'ultimo messaggio, che accompagna la foto di braccia palestinesi con la scritta 'Vittorio', dice che "Il coraggio e la compassione del popolo palestinese sono di ispirazione per il mondo". Centinaia da tutto il mondo, arabo e occidentale in ugual misura, i messaggi dolenti in ricordo di Vittorio 'Utopia' Arrigoni, cui è anche stata dedicata anche un'altra pagina Facebook che lo propone come prossimo premio Nobel per la pace 6. Una serata in ricordo di Vittorio Arrigoni, è organizzata lunedì prossimo dalle 21.30 dall'Arci Valle d'Aosta all'Espace populaire, di cui lo stesso Arrigoni fu ospite nel 2009. E stamattina, a Napoli, uno striscione "Restiamo Umani", le parole con le quali l'attivista pacifista chiudeva ogni sua corrispondenza per "Il Manifesto" dai Territori, sarà presente nel corteo nazionale contro la guerra organizzato dall'Assemblea napoletana contro la guerra, una rete di associazioni, comitati e collettivi. Circa 500 manifestanti hanno sfilato da piazzale Tecchio fino alla base Nato di Bagnoli, centro di comando della missione 'Unified Protector', condotta dalla forza internazionale in Libia. E in ricordo di Vittorio Arrigoni la Piattaforma delle Ong italiane in Medio Oriente ribadisce l'impegno di solidarietà e cooperazione per la popolazione civile della Striscia di Gaza e chiede la fine dell'embargo israeliano. Anche il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ha condannato l'omicidio: "Sono molto addolorato per la morte di Arrigoni, non ne conosco le specifiche attività, ma sicuramente quando uno perde la vita in questa condizione nessun riconoscimento è mai abbastanza". (16 aprile 2011)
AFGHANISTAN Attacco kamikaze contro base militare nove soldati uccisi nell'esplosione L'attentatore si è fatto saltare in aria uccidendo quattro militari afgani e cinque dell'Isaf. Sale così a 20 il numero di vittime delal missione internazionale dall'inizio di aprile Attacco kamikaze contro base militare nove soldati uccisi nell'esplosione Militari Usa in partenza per l'Afghanistan KABUL - L'attacco oggi di un kamikaze davanti ad una base mista militare afghano-internazionale nell'Afghanistan orientale ha avuto un bilancio di dieci morti e otto feriti. Lo riferiscono varie fonti a Kabul. Oltre infatti all'attentatore suicida, che indosssava l'uniforme dell'esercito nazionale, sono morti nell'esplosione quattro soldati afgani e cinque della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf, sotto comando Nato). Il comando Isaf di Kabul ha confermato la morte di cinque suoi uomini, ma non ha fornito dettagli su come e dove è avvenuta la strage. In precedenza un portavoce del ministero della Difesa aveva riferito però di un attacco suicida contro una base nella zona di Dasht-e-Gamberay nella provincia orientale di Laghman, aggiungendo che nel bilancio andavano considerato anche il ferimento di otto militari afgani. In una email di rivendicazione inviata alla stampa, il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid ha indicato che il kamikaze era originario della provincia di Daykundi (Afghanistan centrale) ed era entrato nell'esercito un mese fa. Mujahid ha affermato inoltre che l'attacco ha prodotto un bilancio di "tre soldati americani uccisi e due feriti". Con le nuove cinque vittime annunciate dal comando Isaf il numero dei militari stranieri morti in Afghanistan è saliti a 128 dall'inizio dell'anno e a 20 dal primo aprile 2011.una una base dell'esercito afgano nell'est del paese. (16 aprile 2011)
LIBIA Bombe a grappolo su Misurata Forze Nato a corto di bombe intelligenti Human Rights Watch accusa le forze governative di utilizzare armi messe al bando da gran parte del mondo perché non possono colpire con precisione. Tripoli smentisce. Il Washington Post: "Il regime manda al fronte soldati minorenni" Bombe a grappolo su Misurata Forze Nato a corto di bombe intelligenti Una strada di Misurata TRIPOLI - Non si ferma la battaglia a Misurata dove, stando all'organizzazione umanitaria Human Rights Watch (Hrw) le forze governative fedeli al leader libico Muammar Gheddafi hanno fatto uso di bombe a grappolo, messe al bando da gran parte del mondo perché, per loro natura, non possono colpire con precisione e, quando sono lanciate in aree densamente popolate, mettono la popolazione a gravissimo rischio, anche anni dopo il loro lancio. L'accusa, perà, è stata smentita da un portavoce ufficiale a Tripoli. Secondo alcuni testimoni, inoltre, Gheddafi sta mandando a combattere anche minorenni. Difficoltà per le forze Nato: secondo fonti militari citate dal Washington Post scarseggiano le munizioni di precisione per colpire con efficacia i mezzi del regime. Esplosioni a Misurata. Forti esplosioni hanno scosso questa mattina Misurata, 200 chilometri a est di Tripoli, sotto assedio dall'inizio della rivolta libica. Le deflagrazioni sono state accompagnate da colpi di armi da fuoco provenienti dal centro della città. Tre persone sono rimaste uccise. Secondo un portavoce dei ribelli, Gemal Salem, i lealisti hanno colpito un caseificio e una struttura che produce olio ''per affamare il popolo'', mentre scontri sarebbero in corso nella centrale Tripoli Street. La scorsa notte ci sono stati altri cinque morti e 31 feriti sono stati trasferiti nell'ospedale Hikma. Ieri le forze del leader libico hanno lanciato decine di razzi contro Misurata, uccidendo almeno otto persone. Giovedì scorso, la città è stata colpita da artiglieria pesante e razzi, che hanno causato la morte di almeno 23 civili, perlopiù donne e bambini, secondo quanto riferito da fonti locali. Il regime manda in battaglia soldati minorenni. Per piegare i ribelli, Ghedafi sembra pronto a tutto. Il regime libico - raccontano dei testimoni al Telepgrah - manda al fronte di Misurata soldati minorenni. I ragazzini vengono addestrati, armati e mandati a combattere nella città sotto assedio da settimane, con la minaccia di essere uccisi se si ritirano o disertano. Due dei minori catturati dai ribelli hanno raccontato di essere stati mandati a combattere a Misurata contro "drogati, miliziani islamici e invasori egiziani". Nato a corto di bombe di precisione. A meno di un mese dall'inizio della missione militare in Libia, i paesi dell'Alleanza sono a corto di bombe di precisione, scrive il Washington Post, citando alti funzionari Usa e Nato. Il quotidiano sottolinea come questa penuria evidenzi le limitate capacità di Regno Unito, Francia e degli altri paesi europei e condurre un'operazione militare modesta per un periodo di tempo prolungato. Associata al limitato numero di caccia disponibili, la mancanza di munizioni degli alleati europei ha sollevato dubbi tra alcuni funzionari sull'opportunità che gli Stati Uniti non partecipino alla campagna militare, con il rischio che il leader libico riesca così a rimanere alla guida del paese ancora per diversi mesi. L'Alleanza atlantica ha assunto il 31 marzo scorso il comando dell'operazione militare lanciata in Libia il 19 marzo da una coalizione internazionale guidata da Stati Uniti, Francia e Regno unito. Al vertice Nato di giovedì scorso, Washington si è rifiutato di tornare in prima linea in Libia. Duri scontri ad Ajdabiya. Dopo una serie di forti esplosioni avvertite questa mattina a ovest di Ajdabiya, strategico snodo nell'est della Libia, nella zona sono in corso duri combattimenti e i ribelli stanno effettuando un'avanzata dopo una serie di raid della Nato contro le forze governative. Sei persone sono morte e oltre 20 sono rimaste ferite nei combattimenti. I ribelli hanno affermato di controllare una zona vasta diversi chilometri lungo la strada che dalla costa porta alla città petrolifera di Brega. Negli ultimi tre giorni gli aerei Nato hanno intensificato le loro azioni favorendo l'avanzata sul terreno degli insorti e secondo alcune fonti le forze ribelli sarebbero già alle porte di Brega. I ribelli hanno riconquistato Ajdabiya lunedì scorso; la città, a 160 chilometri da Bengasi, è contesta tra insorti e governativi che l'hanno riconquistata e persa a più riprese. Morti e feriti a Brega. Si registrano almeno 4 morti e 30 feriti tra le fila degli insorti a Brega, centro petrolifero libico in cui sono in corso violenti scontri con le forze fedeli al colonnello Muammar Gheddafi. Lo hanno riferito fonti dei ribelli citate dall'emittente satellitare al-Arabiya. In mattinata, gli insorti avevano fatto sapere di essere riusciti a distruggere 13 veicoli delle truppe di Gheddafi e avevano annunciato di essere vicini alla riconquista di Brega. Raid Nato su Sirte. Aerei della Nato hanno effettuato questa mattina dei raid su Sirte bombardando la città natale del leader libico Gheddafi. Secondo l'agenzia ufficiale libica Jane, i mezzi dei "colonialisti crociati" hanno colpito la città anche se Ka Kana non precisa quali siano stati gli obbiettivi colpiti. Sirte era già stata fatta bersaglio delle incurioni aeree della Nato nella giornata di ieri. (16 aprile 2011)
SIRIA Cinquantamila in piazza a Damasco Ong: "Manifestanti torturati" Proteste contro il regime a Daraa, Banias, Deir az Zor e Qamishli. La polizia carica con i lacrimogeni. Le accuse di Human Rights Watch ai servizi di sicurezza all'indomani del rilascio di centinaia di persone arrestate durante le contestazioni Cinquantamila in piazza a Damasco Ong: "Manifestanti torturati" DAMASCO - Ancora un venerdì di sfida al regime al potere da quasi mezzo secolo in Siria. Almeno cinquantamila persone sono confluite verso il centro della capitale provenienti da diversi cortei, nonostante l'intervento delle forze di sicurezza con cariche con lacrimogeni. La folla lancia slogan come: "Il popolo vuole abbattere il regime" e sta strappando manifesti con l'effigie del presidente Assad. Circa 1.500 persone sono tornate in piazza a Banias, nel nord-ovest. Al termine della preghiera, migliaia di dimostranti si sono radunati nei pressi della principale moschea di Deir az Zor, principale città della regione orientale dell'Eufrate. A migliaia nelle strade anche a Homs, 180 chilometri a nord di Damasco. Corteo a Qamishli, un centro a maggioranza curda. A Daraa tra le 2.500 e le 3.000 persone hanno dato vita a una manifestazione nella piazza più importante della città simbolo della protesta scandendo slogan tipo "Meglio la morte che l'umiliazione". Queste dimostrazioni si svolgono all'indomani della creazione di un nuovo governo e dell'annuncio della liberazione di centinaia di cittadini arrestati durante le contestazioni iniziate un mese fa. Secondo le organizzazioni umanitarie internazionali e siriane, in queste settimane la repressione ha provocato oltre cento morti nella sola Daraa. E centinaia di manifestanti sono stati arrestati. A questo proposito l'organizzazione di difesa dei diritti umani Human Rights Watch (HRW) accusa i servizi di sicurezza e di informazione di aver torturato numerosi manifestanti. Le accuse sono basate sulle testimonianze di 19 persone arrestate dal servizio segreto Mukhabarat a Damasco, Daraa, Duma, Al-Tal, Homs e Banias. Fra i detenuti ci sono due donne e tre adolescenti. L'ong afferma di aver visionato un video sul quale prigionieri rilasciati a Daraa "portano segni di torture sul corpo... Tutti i detenuti arrestati durante le manifestazioni, a eccezione di due, hanno riferito ad Human Rights Watch che ufficiali del Mukhabarat li hanno picchiati durante l'arresto e la detenzione, e che hanno visto decine di di altri detenuti picchiati o hanno sentito grida di persone che venivano picchiate". Alcuni hanno detto di essere stati torturati "con apparecchi da elettrochoc, cavi e fruste". Erano rinchiusi in celle sovraffollate e molti di loro sono stati privati del sonno, del cibo e dell'acqua.SI (15 aprile 2011)
EGITTO Tribunale scioglie il partito di Mubarak I fondi torneranno allo Stato egiziano La sede e tutti gli edifici saranno trasferiti al governo. Gran parte della classe dirigente del partito è oggetto di inchieste per corruzione e molti esponenti sono già dietro le sbarre Tribunale scioglie il partito di Mubarak I fondi torneranno allo Stato egiziano Hosni Mubarak IL CAIRO - L'Alta corte del Cairo ha disposto lo scioglimento del Partito nazionale democratico di Hosni Mubarak, chiudendo definitivamente un trentennio di potere in Egitto. I fondi a disposizione del partito torneranno allo Stato egiziano. Il Partito nazionale democratico guidava l'Egitto dal 1978, quando al potere salì Anwar el-Sadat, il predecessore di Mubarak. "Il tribunale amministrativo ha ordinato la dissoluzione del Pnd e la confisca del suo denaro. La sede e tutti gli edifici saranno trasferiti al governo", hanno dichiarato le fonti. Il Pnd è stato guidato per tre decenni da Hosni Moubarak e gran parte della sua classe dirigente è oggetto di inchieste per corruzione e molti personaggi sono già dietro le sbarre. (16 aprile 2011)
2011-04-15 MORTE DI ARRIGONI Napolitano: "Barbarie suscita repulsione" La mamma: "Non si metteva in pericolo" A Bulciago, paese di Vittorio, dolore e sgomento per la sorte dell'attivista ucciso a Gaza. I colleghi in Medio Oriente non hanno ancora deciso se restare o venire via. Manifestazioni davanti a Montecitorio e a Gaza Napolitano: "Barbarie suscita repulsione" La mamma: "Non si metteva in pericolo" Vittorio Arrigoni BULCIAGO (LECCO) - ''Questa barbarie terroristica suscita repulsione nelle coscienze civili''. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, così scrive nel messaggio inviato alla signora Egidia Beretta, mamma di Vittorio Arrigoni, ucciso a Gaza 1. ''Ho appreso con sgomento - ha affermato il capo dello Stato - la terribile notizia della vile uccisione di suo figlio Vittorio a Gaza. Questa barbarie terroristica suscita repulsione nelle coscienze civili. La comunità internazionale tutta è chiamata a rifiutare ogni forma di violenza e a ricercare con rinnovata determinazione una soluzione negoziale al conflitto che insanguina la Regione. Esprimo a lei e alla sua famiglia, in quest'ora di grande dolore, i sensi della mia più sincera e affettuosa vicinanza e del più grande rispetto per il generoso impegno di suo figlio. Spero - ha aggiunto il presidente - che si accertino la verità e le responsabilità su quanto è accaduto''. A Gaza, intanto, è in atto una grande manifestazione con molte persone con bandiere italiane. Hamas ha dichiarato di voler celebrare un funerale pubblico per Arrigoni. Durante la cerimonia parlerà il capo del governo, che esprimerà tutto il dolore del popolo palestinese e ribadirà che non ci sarà alcun tentennamento di fronte all'estremismo islamico. Ferma condanna per l'uccisione di Arrigoni è stata espressa dal governo di Hamas che ha definito "odioso crimine" l'omicidio del volontario italiano. "Il governo palestinese condanna questo crimine odioso che non riflette i nostri valori, la nostra religione, i nostri costumi e tradizioni. Daremo la caccia al resto del gruppo e applicheremo la legge", ha detto il portavoce del ministero degli Interni di Hamas, Ihab al-Ghoussein, nel corso di una conferenza stampa televisiva. In onore di Arrigoni Hamas sta organizzando una solenne cerimonia, alla quale prenderà parte anche il primo ministro. Nel corso della manifestazione, Hamas ribadirà la dura condanna contro l'integralismo islamico. E sgomento prova la mamma dell'attivista: "Sono rimasta molto sorpresa, oltre che addolorata che sia successa una cosa del genere per l'attività che lui faceva lì: Vittorio non si metteva mai in situazioni di pericolo. Mi hanno telefonato dei suoi amici poco fa da Gaza - ha aggiunto - mi hanno detto che Vittorio è ora in un ospedale della zona e che anche molti cittadini di Gaza sono molto scossi per la morte di Vittorio". Tutto il paese di Bulciago si è stretto intorno ai parenti dell'attivista. Da stamattina, appena hanno saputo la notizia, i familiari di Arrigoni si sono chiusi in casa e hanno accettato di aprire la porta solo ai parenti e agli amici più stretti. Davanti all'abitazione, in via Papa Giovanni XXIII, si è formato un gruppetto di giornalisti. Dolore per la morte di Arrigoni tra i pacifisti operanti nella Striscia di Gaza e in altre zone calde, soprattutto nelle file dell'International Solidarity Movement a cui dal 2004 apparteneva il 36enne attivista italiano. Lasciare l'enclave palestinese è un'eventualità sulla quale i militanti dello stesso Ism non hanno ancora preso decisioni. "Non credo che sia necessario andarsene", ha però osservato un'amica di Vittorio, Huwaida Arraf, co-fondatrice del Movimento. "Sono rimasta completamente sotto shock, e non certo per un minuto. Non sono nemmeno in grado di affermare che avessi immaginato, almeno all'1%, che avrebbero fatto del male a Vittorio, che lo avrebbero ucciso. Ho pianto tutta la notte", ha detto la donna. "Anche soltanto pensare al video con i suoi ultimi momenti di vita, a Gaza che amava tanto", ha continuato, "pensare al fatto che quelli sono stati i suoi ultimi istanti, è davvero duro da mandare giù". Su siti Al Qaeda banner: "Criminale chi l'ha ucciso". "Un gruppo terroristico-criminale ha ucciso Vittorio Arrigoni". È quanto si legge su un banner apparso questa mattina sui principali forum jihadisti, che esalta la figura del volontario italiano e condanna di fatto la sua uccisione. I siti che diffondono la propaganda di al-Qaeda hanno mostrato un banner in cui si pongono interrogativi sui reali obiettivi di questo omicidio. "Per quale colpa è morto Vittorio Arrigoni?", si legge nell'intestazione del banner che mostra due foto del cooperante italiano. Il corpo resta a Gaza. Il corpo di Arrigoni resta per il momento a Gaza - vegliato in quello stesso ospedale Shifa in cui era solito accompagnare ambulanze con i feriti ai tempi dell'offensiva israeliana Piombo Fuso di due anni fa - in attesa che domenica venga riaperto il valico di Erez fra Gaza e Israele. Sit-in davanti a Montecitorio e a Gaza City. La Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese ha organizzato un presidio in Piazza Montecitorio per capire che "logica ci sia dietro questa irragionevole crudeltà. È difficile capirlo, ma dobbiamo riuscire a farlo per poter sconfiggere l'aberrazione che ha mosso i suoi assassini". Il presidio resterà in piazza, dicono gli organizzatori, finché il sottosegretario Letta non riceverà una delegazione. "Il Governo deve intervenire - dicono - soprattutto orta che la situazione è diventata pericolosa e in vista del fatto che a maggio è in rogramma la partenza di 15 navi della Freedom Flotilla 2, di cui una è italiana". Davanti a Montecitorio ci sono anche tanti ragazzi della comunità palestinese. Diab Hatali, portavoce della comunità, ha voluto ricordare Arrigoni: "Vittorio non è morto, un seme di Vittorio è in ciascuno di noi e tutti i palestinesi sono con lui". Manolo Luppichini, regista Rai che per Presa diretta aveva fatto riprese subito dopo l'Operazione piombo fuso, aveva conosciuto Vittorio Arrigoni: "Lascia un vuoto incolmabile - ha detto -. Aveva una grande capacità comunicativa e amava ciò che faceva". Infine, Patrizia Cecconi, presidente dell'associazione Amici Mezzaluna Rossa Palestinese, ha dichiarato: "La voce di Vittorio faceva più male a Israele dei razzi. Non è da escludere che dietro ai salafiti ci sia la mano armata di Israele". E mentre a Roma il sit-in prosegue, un'altra manifestazione è in corso a Gaza City con tantissime persone che espongono bandiere italiane. Ban Ki-moon, scoccato e rattristato. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, si è detto ''scioccato e rattristato'' per l'uccisione di Arrigoni. Lo ha detto Martin Nesirky, portavoce del Palazzo di Vetro. ''Il segretario generale è al corrente della situazione, lo ho informato io stesso questa mattina - ha detto Nesirky - vi posso dire che era scioccato e rattristato''. Amnesty: "Fatto sconvolgente". "Un fatto sconvolgente, per la sua crudeltà e per la rapidità del tragico esito. L'amministrazione di Hamas a Gaza deve fare chiarezza e individuare i responsabili dell'omicidio di Vittorio Arrigoni". Così Riccardo Noury, portavoce della Sezione Italiana di Amnesty International, ha espresso solidarietà e commozione per la morte dell'attivista. "Ci aspettiamo - ha aggiunto - che le istituzioni italiane facciano la loro parte per ottenere verità e giustizia per la morte di un cittadino italiano". Ue: "Mettere fine a violenza". L'Unione europea condanna con forza l'uccisione a Gaza del volontario italiano. ''Si tratta di un atroce assassinio'', afferma in una nota l'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza della Ue, Catherine Ashton, per la quale l'omicidio '' è ancor più deplorevole dal momento che Arrigoni da anni aiutava il popolo palestinese nella Striscia di Gaza''. ''Rivolgo a tutti un appello per mettere fine a questa violenza'', conclude Ashton. Le reazioni del mondo politico. Un barbaro assassinio. Così il presidente della Camera, Gianfranco Fini, definisce l'uccisione di Vittorio Arrigoni: "Ho appreso con sgomento la tragica notizia del barbaro assassinio del volontario italiano per i diritti umani Vittorio Arrigoni, rapito e poi ucciso a Gaza, dove svolgeva la sua opera di solidarietà nell'ambito dell'International Solidarity Movement - ha affermato Gianfranco Fini, presidente della Camera - In questo momento doloroso, desidero esprimere ai familiari della vittima del terrorismo, il cordoglio mio personale e della Camera dei deputati". Anche il presidente del Senato, Renato Schifani, ha espresso profondo cordoglio e ha invitato l'Aula a osservare un minuto di silenzio. (15 aprile 2011)
LIBIA Berlusconi: "Non possiamo bombardare" Obama, Cameron e Sarkozy avvisano Gheddafi Articolo congiunto dei tre leader su quattro quotidiani internazionali: "Impossibile immaginare che il paese abbia un avvenire con il Colonnello". Palazzo Chigi stabilisce che l'Italia non parteciperà ai raid offensivi. Il premier: "Ridurre impegno italiano in missioni all'estero, economicamente impegnative" Berlusconi: "Non possiamo bombardare" Obama, Cameron e Sarkozy avvisano Gheddafi Gheddafi durante un giro per Tripoli ROMA - L'Italia non parteciperà ai bombardamenti in Libia. E' questa la determinazione del Consiglio dei Ministri e di Silvio Berlusconi, secondo quanto riferito da alcuni ministri presenti a Palazzo Chigi. Il premier ha aggiunto che è arrivato anche il momento di rivedere la partecipazione italiana in alcune missioni all'estero particolarmente impegnative dal punto di vista economico, tra cui quella in Libano. Ieri il ministro degli Esteri Franco Frattini aveva annunciato che avrebbe posto la questione. Dopo la riunione dei governo, si è riunita l'unità di crisi sulla Libia. "Facciamo già molto, la Libia è stata colonia italiana e non possiamo bombardare", avrebbe affermato il presiente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Posizione precisata poi dal ministro della Difesa Ignazio La Russa. "Proseguiamo come abbiamo fatto finora, l'intero governo è stato concorde nel ritenere che l'attuale linea dell'Italia sia quella giusta e non pensiamo di modificare il nostro apporto alle operazioni militari in Libia", ha sottolineato. "In Consiglio dei ministri - ha aggiunto - abbiamo confermato che la linea in atto è quella giusta sia per quanto riguarda l'attività in ossequio alla risoluzione dell'Onu sia quella relativa all'immigrazione, io sto andando a Lampedusa dove i nostri militari stanno facendo un ottimo lavoro". "Ridurre impegno in missioni all'estero". Conversando con i ministri nel Cdm, Berlusconi avrebbe sottolineato la necessità di ridurre l'impegno italiano in alcune missioni all'estero visto il "grande impegno" anche economico che esse comportano. Di fronte all'emergenza immigrazione, che comporta anche costi ingenti per il Paese con l'applicazione del blocco navale e le operazioni di accoglienza, il premier avrebbe ventilato l'ipotesi di ridurre la partecipazione italiana a operazioni in corso, tra avrebbe citato quella in Libano. Gheddafi, lavvertimento di Usa, Gb e Francia. In un articolo comune pubblicato su quattro quotidiani (Figaro, Times di Londra, International Herald Tribune e Al Hayat) Barack Obama, David Cameron e Nicolas Sarkozy hanno affermato che è "impossibile immaginare che la Libia abbia un avvenire con Gheddafi". Il presidente americano, il premier britannico e il capo dello Stato francese sottolineano la necessità di continuare le operazioni militari per accelerare la partenza del leader libico e permettere così una transizione. Nonostante la no-fly zone autorizzata dalle Nazioni Unite per proteggere i civili, la popolazione in Libia, sostengono, "patisce ancora ogni giorno orrori terribili per mano di Gheddafi". "Non si tratta di spodestarlo con la forza - prosegue l'articolo - Ma è impossibile immaginare che la Libia abbia un avvenire con Gheddafi" e "che qualcuno che abbia voluto massacrare il proprio popolo giochi un ruolo nel futuro governo libico". Ai tre leader occidentali ha risposto indirettamente Aisha Gheddafi, la figlia del Colonnello. "Parlare di dimissioni di Gheddafi è un'umiliazione per tutti i libici", ha detto in un discorso pronunciato nella residenza del padre a Tripoli. Di fronte ad alcune centinaia di giovani sostenitori del regime, Aisha si è rivolta ieri sera ai Paesi della coalizione intervenuta militarmente a difesa dei ribelli e ha affermato: "Volete uccidere mio padre con il pretesto di proteggere i civili. Ma dove sono questi civili? Non sono quelli che impugnano armi, lanciagranate, bombe a mano?". "Nel 1911 gli italiani hanno ucciso mio nonno in un raid aereo e ora cercano di uccidere mio padre - ha proseguito la figlia del Colonnello nell'intervento trasmesso anche dalla tv di Stato al Aziziya in occasione del 25esimo anniversario dell'attacco americano contro la residenza-bunker di Gheddafi - Dio maledica le loro mani". "Ci lanciarono addosso i loro missili e bombe, provarono a uccidermi e uccisero decine di bambini in Libia - ha proseguito - Un quarto di secolo dopo, gli stessi missili e bombe piovono sulla mia testa e su quella dei nostri bambini". Si combatte ad Adjabiyah. Se la diplomazia è in fermento, sul terreno intanto si continua a combattere. Le forze di Gheddafi hanno aperto oggi il fuoco nella parte ovest della città di Adjabiyah, uccidendo almeno una persona. Gli uomini del colonnello "usano dei veicoli e arrivano poi a piedi dal deserto", ha detto alla Reuters un ribelle armato, Mansour Rachid. "E' molto difficile reperirli. Hanno aperto il fuoco contro di noi. Abbiamo due feriti e un ragazzo è stato ucciso". Le forze lealiste inoltre, secondo quanto riferito da Al Jazeera, hanno lanciato una pioggia di razzi su Misurata, città occidentale contesa agli insorti, uccidendo almeno otto persone. (15 aprile 2011)
NOLEGGIATA DALL'OIM Una nave carica di aiuti a Misurata per portare via dalla guerra 1200 profughi L'Organizzazione Internazionale delle Migrazioni ha noleggiato una nave per portare aiuto e sostegno alle migliaia di persone che affollano la banchina del porto libico. I migrandi saranno portati in Egitto, dopo una sosta a Bengasi per essere curati. Due ore di attesa prima dell'attracco per i colpi d'artiglieria Una nave carica di aiuti a Misurata per portare via dalla guerra 1200 profughi MISURATA - Mentre nel Golfo della Sirte risuonavano i colpi dell'artiglieria, la Ionian Spirit, la nave dell'OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, agenzia dell'ONU) scaricava sulla banchina del porto di Misurata una ingente quantità di aiuti di ogni genere. Terminato lo scarico sulla nave, partita da Brindisi due giorni fa, ha accolto a bordo circa 1200 persone, quasi tutte in condizioni fisiche provatissime. Il porto di attracco sarà quello di Bengasi, dove i profughi - quasi tutti dell'Africa subsahariana - saranno curati per qualche giorno, per poi essere portati in Egitto, attraverso un "corridoio umanitario" predisposto dall'OIM. La speranza di fuggire. "La nave è ripartita per Bengasi", ha detto alla Misna (l'agenzia d'informazione) Jumbe Omari Jumbe, portavoce dell'OIM, l'organismo al quale spetta l'onere di coordinare l'intervento umanitario. A bordo della nave ci sono soprattutto egiziani, sudanesi, ghanesi e nigerini, una piccola parte dei circa 6.500persone, migranti accampati da settimane nel porto di Misurata, nella speranza di fuggire dalla guerra via mare. La nave-ospedale. "Sulla nave c'erano medicinali e altro materiale essenziale per gli ospedali", ha sottolineato Jumbe, "ma anche acqua, pomodori e olio da cucina per i migranti: gli operatori li hanno trovati disidratati, affamati e in condizioni igieniche drammatiche, dopo tante notti trascorse all'aperto". Due ore prima di attraccare. Prima di attraccare, ieri sera, la nave ha dovuto aspettare due ore, a causa dei colpi di artiglieria pesante che cadevano nella zona del porto. Combattimenti sono stati segnalati anche oggi da diversi testimoni, anche se non è per ora possibile confermare la notizia dei 120 razzi che, secondo l'emittente panaraba, Al Jazeera, sarebbero caduti sulla città. Un'altra nave nei prossimi giorni. Dovrebbe arrivare a Misurata una seconda nave per portare un altro gruppo di migranti verso Bengasi e, di qui, in Egitto. "Ma se non ci saranno altre donazioni internazionali", ha precisato Jombe, "saremo costretti ancora una volta a scegliere chi soccorrere e chi no". (15 aprile 2011)
SIRIA Cinquantamila in piazza a Damasco Ong: "Manifestanti torturati" Proteste contro il regime a Daraa, Banias, Deir az Zor e Qamishli. La polizia carica con i lacrimogeni. Le accuse di Human Rights Watch ai servizi di sicurezza all'indomani del rilascio di centinaia di persone arrestate durante le contestazioni Cinquantamila in piazza a Damasco Ong: "Manifestanti torturati" DAMASCO - Ancora un venerdì di sfida al regime al potere da quasi mezzo secolo in Siria. Almeno cinquantamila persone sono confluite verso il centro della capitale provenienti da diversi cortei, nonostante l'intervento delle forze di sicurezza con cariche con lacrimogeni. La folla lancia slogan come: "Il popolo vuole abbattere il regime" e sta strappando manifesti con l'effigie del presidente Assad. Circa 1.500 persone sono tornate in piazza a Banias, nel nord-ovest. Al termine della preghiera, migliaia di dimostranti si sono radunati nei pressi della principale moschea di Deir az Zor, principale città della regione orientale dell'Eufrate. A migliaia nelle strade anche a Homs, 180 chilometri a nord di Damasco. Corteo a Qamishli, un centro a maggioranza curda. A Daraa tra le 2.500 e le 3.000 persone hanno dato vita a una manifestazione nella piazza più importante della città simbolo della protesta scandendo slogan tipo "Meglio la morte che l'umiliazione". Queste dimostrazioni si svolgono all'indomani della creazione di un nuovo governo e dell'annuncio della liberazione di centinaia di cittadini arrestati durante le contestazioni iniziate un mese fa. Secondo le organizzazioni umanitarie internazionali e siriane, in queste settimane la repressione ha provocato oltre cento morti nella sola Daraa. E centinaia di manifestanti sono stati arrestati. A questo proposito l'organizzazione di difesa dei diritti umani Human Rights Watch (HRW) accusa i servizi di sicurezza e di informazione di aver torturato numerosi manifestanti. Le accuse sono basate sulle testimonianze di 19 persone arrestate dal servizio segreto Mukhabarat a Damasco, Daraa, Duma, Al-Tal, Homs e Banias. Fra i detenuti ci sono due donne e tre adolescenti. L'ong afferma di aver visionato un video sul quale prigionieri rilasciati a Daraa "portano segni di torture sul corpo... Tutti i detenuti arrestati durante le manifestazioni, a eccezione di due, hanno riferito ad Human Rights Watch che ufficiali del Mukhabarat li hanno picchiati durante l'arresto e la detenzione, e che hanno visto decine di di altri detenuti picchiati o hanno sentito grida di persone che venivano picchiate". Alcuni hanno detto di essere stati torturati "con apparecchi da elettrochoc, cavi e fruste". Erano rinchiusi in celle sovraffollate e molti di loro sono stati privati del sonno, del cibo e dell'acqua.SI (15 aprile 2011)
2011-04-14 DAI SALAFITI Gaza, rapito volontario italiano Ultimatum: tra 30 ore lo uccidiamo Il gruppo che ha preso in ostaggio Vittorio Arrigoni pretende la liberazione da parte del governo di Hamas dei propri compagni detenuti in Palestina Gaza, rapito volontario italiano Ultimatum: tra 30 ore lo uccidiamo GAZA - Un volontario italiano, Vittorio Arrigoni, è stato rapito oggi a Gaza da un gruppo islamico salafita - la 'Brigata Mohammed Bin Moslama - che, in un filmato su YouTube, minaccia di ucciderlo se entro 30 ore, a partire dalle ore 11 locali di stamane (le 10 in Italia), il governo di Hamas non libererà detenuti salafiti. Lo hanno riferito fonti stampa a Gaza. Bendato e con evidenti segni di violenza sul lato destro del volto. Così appare Vittorio Arrigoni, in un video postato oggi 1su Youtube da 'ThisisGazaVoice'. Il volontario italiano, con indosso una maglia nera, sembra avere le mani legate dietro la schiena, mentre qualcuno gli tiene la testa per i capelli. Sul viso, tracce di sangue che partono da sotto la benda nera che gli copre gli occhi. Una musica copre il sonoro del video, mentre in sovrimpressione appare una scritta in inglese che recita: "Il popolo di Gaza si dispiace per quello che questi bigotti hanno fatto a Vittorio. Siamo sicuri che sarà presto libero e salvo". Al termine del filmato scorrono scritte in arabo con la data di oggi. Vittorio Arrigoni, secondo le prime informazioni raccolte, è stato sequestrato da tre miliziani armati a Gaza City. Nelle scritte in arabo che compaiono sul video del rapimento di Vittorio Arrigoni e attribuite al gruppo salafita ci sono accuse contro l'Italia e contro Hamas. Stando a una libera traduzione, i rapitori accusano Arrigoni di diffondere "i vizi occidentali", il governo italiano di combattere contro i paesi musulmani e il governo del premier Ismail Haniyeh di lottare contro la Sharia (la legge religiosa musulmana). Nel video, il cooperante italiano viene descritto come "uno che entra nella nostra casa portandoci la corruzione morale" e dietro il quale c'è uno "staterello, l'Italia, infedele, il cui esercito è presente ancora nel mondo islamico". I rapitori si rivolgono poi al "governo apostata" di Islam Haniyeh chiedendogli di liberare "tutti i detenuti salafiti" che si trovano nelle carceri di Hamas nella Striscia di Gaza. I salafiti appartengono a una corrente islamica ultraradicale di Hamas, che contesta da posizioni ancora più integraliste. Nel messaggio sul video, inoltre, la scritta in arabo esorta i giovani di Gaza a sollevarsi contro il governo Haniyeh di Hamas, reo ai loro occhi di gravi ingiustizie. Lo sceicco al-Saidani, noto anche come Abu Walid al-Maqdisi, il principale fra i detenuti di cui i salafiti di Gaza chiedono la scarcerazione, è il leader di Al-Tawhid Wal-Jihad una formazione salafita impegnata nella Jihad (guerra santa ad oltranza) e fiancheggiatrice di Al Qaida. Egiziano di origine, aggiungono le fonti, Abu Walid al-Maqdisi è stato arrestato poco più di un mese fa dai servizi di sicurezza egiziani perchè ritenuto coinvolto in una serie di attentati. Secondo Haaretz, nell'aprile 2006 Al-Tawid al-Maqdisi rivendicò la paternità di attentati contro alberghi nel Sinai (Egitto) in cui rimasero uccise 19 persone. Il giornale sostiene che Hamas ha adesso elevato lo stato di allerta nel timore di ritorsioni da parte dei sostenitori dello sceicco.
Arrigoni è il secondo italiano rapito nel Nord Africa e Medio Oriente. Sandra Mariani, volontaria toscana rapita nel Maghreb, dal 18 febbraio non dà più notizie di sé. Nell'ultimo messaggio 2 diceva di essere nelle mani di Al Qaeda. Vittorio Arrigoni ha una pagina Facebook 3 su cui ora stanno arrivando centinaia di messaggi di solidarietà e su cui compaiono i suoi ultimi post. Il cooperante italiano, oltre a collaborare col quotidiano "Il Manifesto", ha anche un blog 4 in cui racconta la situazione a Gaza. Il Suo ultimo post risale a ieri, 13 aprile: "4 lavoratori sono morti ieri notte per via del crollo di uno dei tunnel scavati dai palestinesi sotto il confine di Rafah - si legge nel blog 'Guerrilla radio' - tramite i tunnel passano tutti i beni necessari che hanno permesso la sopravvivenza della popolazione di Gaza strangolata da 4 anni dal criminale assedio israeliano. Dai tunnel riescono a entrare nella striscia beni principali quali alimenti, cemento, bestiame". Su altri blog di attivisti e amici sono già stati pubblicati diversi appelli per la sua liberazione, come quello di Omar Ghraieb: "tutti gli amici di Vittorio, qui e ovunque, chiedono ad Hamas di intervenire immediatamente per far liberare Vittorio che lavora duro per aiutare Gaza da tanto tempo. Per favore, preghiamo tutti perché torni a casa sano e salvo". Per chiedere la sua liberazione 5 è stata anche realizzata un'apposita pagina Facebook. Stiamo provando a contattarlo da ieri notte senza riuscirci: all'inizio non abbiamo dato peso alla cosa, capita spesso che la linea salti, ma adesso siamo preoccupati". Lo riferisce Germano Monti, del coordinamento Freedom Flottilla Italia. "Stiamo contattando referenti della società civile sia a Gaza che in Palestina - prosegue - ma per il momento non siamo riusciti ad avere nessuna notizia". "Vittorio si trovava a Gaza con altri volontari dell'International Solidarity Movement ma lui era l'unico italiano - aggiunge Monti - Noi stiamo organizzando la seconda flotta per Gaza, per questo eravamo in contatto permanente con lui. Speriamo che si risolva tutto al più presto: siamo molto affezionati a Vittorio a al suo lavoro". "Vittorio Arrigoni - ricorda - è l'unico italiano che restò a Gaza durante i bombardamenti dell'operazione 'Piombo fuso', dal dicembre 2008 al 18 gennaio 2009". In un sito che indica i "nemici" da colpire, Vittorio Arrigoni è indicato come il bersaglio numero uno. Di lui e di altri cooperanti, Jenny Linnel e Ewa Jasiewicz, sono pubblicate foto, dettagli e segni particolari per poterli identificare. L'unità di crisi della Farnesina sta verificando la notizia del rapimento. "Al momento non risultano rivendicazioni nei confronti dell'Italia da parte dei supposti sequestratori". E' quanto sottolinea, in una nota, la Farnesina, sottolineando di aver "già effettuato gli opportuni passi per ogni intervento a tutela", di Antonio Arrigoni, rapito a Gaza. Il Ministro Frattini, in contatto "con i nostri rappresentati diplomatici, sta seguendo con la massima attenzione l'evolversi della situazione", prosegue la nota sottolineando che l'Unità di Crisi è già in contatto con la famiglia. Considerata la particolare delicatezza della vicenda il Ministero degli Esteri - conclude - manterrà il consueto necessario riserbo. 'Sconcerto e angoscia per il rapimento del cooperante italiano Vittorio Arrigoni, è stata espressa dal capogruppo Pd nella commissione Esteri di Montecitorio, Francesco Tempestini, il quale ha aggiunto: "Arrigoni è una persona che sta dalla parte delle buone cause e auspichiamo che possa tornare subito libero. Non può che destare preoccupazione il fatto che ci sia un nuovo innalzamento della tensione che rischia di aprire ulteriori scenari di pericolo nell'area di Gaza. Naturalmente contiamo che tutti facciano la propria parte per risolvere subito la vicenda". "Vittorio Arrigoni ha iniziato a collaborare con noi mandando pezzi di cronaca sul conflitto a Gaza, dove si trovava come volontario di una Ong", riferisce il vicedirettore del "Manifesto", Angelo Mastrandrea. "Pur non essendo un giornalista, erano testimonianze in presa diretta - prosegue il vicedirettore del quotidiano - Quando è esploso il conflitto, gli abbiamo chiesto di fare un diario: erano cronache quotidiane molto vissute tanto che poi gli abbiamo proposto di metterle insieme per farci un libro, poi pubblicato, dal titolo 'Restiamo Umani'". (14 aprile 2011)
LIBIA Gheddafi tempesta di missili Misurata Parigi gela il Cnt: "Non armiamo i ribelli" Le forze del colonnello hanno lanciato circa 80 Grad nella zona del porto.I paesi del Brics si sono dichiarati contrari all'intervento armato per risolvere la crisi libica e hanno criticato i bombardamenti della Nato. Il ministro Juppé smentisce gli insorti: "Contrari a fornire armi a Bengasi" Gheddafi tempesta di missili Misurata Parigi gela il Cnt: "Non armiamo i ribelli" TRIPOLI - Violenta offensiva di Gheddafi contro Misurata. Le forze leali al colonnello hanno scatenato una tempesta di missili Grad nella zona del porto. Secondo alcune versioni ne sarebbero stati lanciati almeno 80, uccidendo otto combattenti antigovernativi e ferendone una ventina. "Hanno sparato missili Grad su Kasr Ahmad, una zona residenziale vicina al porto. Finora abbiamo otto martiri e 20 feriti", ha detto il portavoce dei ribelli antigovernativi Abdelbasset Abu Mzereiq alla Reuters per telefono. Dopo aver subito l'attacco gli insorti libici hanno rivolto quindi un disperato appello alla Nato, chiedendo ai paesi dell'Alleanza di intensificare gli sforzi contro le forze di Gheddafi, altrimenti a Misurata sarà "un massacro". "Ci sarà un massacro se la Nato non interviene con forza", ha detto un altro portavoce degli antigovernativi, identificatosi come Abdelsalam, in una telefonata alla Reuters. Intanto, proprio alla vigilia di questa nuova fiammata del conflitto, Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica si sono dichiarate contrarie all'"uso della forza" per risolvere la crisi libica. I principali Paesi emergenti hanno criticato con decisione i bombardamenti della Nato. In una bozza della dichiarazione che concluderà il vertice, i cinque del cosiddetto Brics hanno aggiunto di essere "seriamente preoccupati" per i recenti avvenimenti nel Medio Oriente e nel nord Africa, dove si sono sviluppati movimenti popolari contro i locali regimi autoritari. Russia e Cina si sono astenute nel voto del Consiglio di sicurezza dell'Onu che ha autorizzato l'intervento militare contro le forze del colonnello libico Muammar Gheddafi. Il Sudafrica ha votato a favore ma domenica scorsa, nel corso di una visita a Tripoli, il presidente Jacob Zuma ha chiesto la fine dei raid aerei. I cinque, secondo la bozza circolata a Sanya, la località del sud della Cina nella quale si tiene il vertice, "condividono i principio secondo il quale l'uso della forza deve essere evitato" per risolvere la crisi in corso. Oltre a Zuma e l' ospite cinese Hi Jintao, partecipano al summit la brasiliana Dilma Roussef, l'indiano Manmohan Singh e il russo Dimitri Medvedev. Oltre alla crisi in Libia, i cinque si occuperanno della riforma del sistema monetario internazionale, degli squilibri commerciali e di altri problemi economici di interesse comune. Da Berlino arriva poi un'altra dichiarazione che gela l'entusiasmo dei ribelli di Bengasi: Parigi si dice contraria ad armare i ribelli anti-Gheddafi. "La Francia non è in questa disposizione di spirito", ha risposto il ministro degli Esteri Alain Juppé, in un incontro stampa a Berlino, poco prima dell'avvio del ministeriale Esteri della Nato. Ieri il Cnt di Bengasi aveva annunciato che Italia, Francia e Qatar avevano accettato di fornire armi agli insorti "per autodifesa". (14 aprile 2011)
EGITTO Mubarak agli arresti per 15 giorni In carcere anche i due figli L'ex presidente in custodia cautelare. Ieri durante un interrogatorio davanti al procuratore del Sinai aveva avuto un attacco cardiaco, nella notte una nuova crisi. La misura restrittiva nell'ambito dell'inchiesta sulla repressione delle proteste di massa dello scorso gennaio al Cairo Mubarak agli arresti per 15 giorni In carcere anche i due figli La folla radunata davanti al tribunale dove erano in corso gli interrogatori di Mubarak e dei suoi figli IL CAIRO - L'ex presidente Hosni Mubarak è stato posto in custodia cautelare per 15 giorni. Lo ha annunciato la procura poco dopo aver attuato la stessa misura nei confronti dei due figli Alaa e Gamal Mubarak. Ieri, durante un interrogatorio davanti a un procuratore del Sinai, l'ex presidente aveva avuto un infarto. Nella notte ha avuto una nuova crisi cardiaca dopo la notizia dell'arresto dei figli, e si trova in terapia intensiva. E' stato trasferito d'urgenza, dall'ospedale di Sharm el Sheik, al Cairo dove è stato ricoverato nell'ospedale militare di Hadaeiq el-Qobba. Anche la moglie di Mubarak, Suzanne, è stata interrogata ieri insieme al marito, a proposito delle accuse di malversazione dei fondi della biblioteca di Alessandria. Il provvedimento a carico della famiglia Mubarak è motivato da esigenze investigative in pendenza dell'inchiesta: così ha disposto il procuratore capo per il governatorato egiziano del Sinai del Sud, Abdullah al-Shazli, che ieri aveva interrogato sia lo stesso ex presidente sia Alaa e Gamal, per accertare eventuali responsabilità dirette nella brutale repressione delle proteste in massa iniziate il 25 gennaio scorso in piazza Tahrir 1 al Cairo, culminate l'11 febbraio con la caduta del regime 2. DOSSIER VIDEO: L'EGITTO VOLTA PAGINA 3 In un comunicato pubblicato su una pagina Facebook della procura, un portavoce ha spiegato che il procuratore Abdel Maguid Mahmoud ha ordinato "l'arresto per 15 giorni" di Mubarak e dei suoi due figli "nel quadro dell'inchiesta" sulle violenze contro i manifestanti, del gennaio e febbraio scorsi. Durante la rivolta persero la vita circa ottocento persone. Stando a fonti riservate delle forze di sicurezza, i due figli di Mubarak sono stati trasferiti nel penitenziario di Tora, al Cairo, dove sono arrivati in manette. Qui gli è stata consegnata la "divisa bianca" e gli sono stati sottratti i cellulari. Mubarak, che ieri aveva lasciato la propria lussuosa residenza a Sharm el-Sheikh per la prima volta da quando era stato costretto a rifugiarvisi insieme alla famiglia, a bordo di un blindato era stato trasferito anch'egli ad al-Tor, capoluogo del governatorato noto anche come Tur Sinà, per essere interrogato in un commissariato. Si era però sentito male, e i medici gli avevano diagnosticato un attacco cardiaco; il deposto rais, che compirà 83 anni il 4 maggio prossimo, era stato ricoverato a Sharm. Per i Fratelli Musulmani, la decisione di porre agli arresti Mubarak è coraggiosa e audace, e conferma "la fiducia del popolo egiziano" nei confronti dell'esercito e della procura. Lo ha detto Galal Taggeddine, portavoce dell'organizzazione, aggiungendo che ora è necessario "fissare con urgenza la data del giudizio" nei confronti dell'ex rais e dei suoi due figli. (13 aprile 2011)
USA Il piano di Obama "Ridurre il deficit di circa 4.000 miliardi in 12 anni" Il capo della Casa Bianca ha presentato il suo progetto in risposta a quello dei repubblicani che prospetta una riduzione di 4.400 miliardi in dieci anni. L'amministrazione prevede anche un aumento delle tasse per i più ricchi Il piano di Obama "Ridurre il deficit di circa 4.000 miliardi in 12 anni" NEW YORK - Riduzione del deficit di circa 4.000 miliardi di dollari in 12 anni e aumento delle tasse per i più ricchi. Questi i punti centrali del piano presentato oggi a Washington dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama per rispondere all'opposizione repubblicana che punta a riduzioni di spesa leggermente superiori ma che secondo la Casa Bianca non prevedono investimenti per il futuro. "Non c'è nulla di serio in un piano che mira a ridurre il deficit attraverso mille miliardi di dollari per i milionari e i miliardari", ha detto il capo della Casa Bianca parlando delle misure messe a punto dai repubblicani. "Non ho bisogno di nuove riduzione delle tasse, e neppure Warren Buffett", uno degli uomini più ricchi degli Stati Uniti, ne ha bisogno, ha poi chiosato. Obama ha presentato il suo ambizioso progetto alla George Washington University. E ha fissato l'obiettivo di un deficit pari al 2,5% del prodotto interno lordo (Pil) nel 2015 e sotto il 2% entro il 2020. "Oggi - ha tra l'altro detto Obama - propongo un approccio più equilibrato (di quello auspicato dall'opposizione repubblicana) per giungere a una riduzione di 4.000 miliardi del deficit in 12 anni". Per realizzarlo, Obama propone tra l'altro risparmi nel settore della Difesa e della previdenza, oltre a una semplificazione del sistema fiscale con detrazioni limitate per i pù ricchi, pari al 2% del totale. I tagli proposti da Obama per ridurre il deficit sono leggermente inferiori a quelli proposti dall'opposizione repubblicana, che parla di 4.400 miliardi in dieci anni. Ci sono tuttavia grosse differenze tra le due proposte, dato che il piano dei repubblicani, messo a punto da Paul Ryan, il deputato del Wisconsin presidente della commissione bilancio della Camera dei Rappresentanti, non prevede nuovi introiti ma solo una riduzione drastica delle spese, non volendo un aumento delle tasse. Nel suo intervento Obama ha sostenuto che il piano dei repubblicani significa "una riduzione del 70% (degli investimenti) nell'energia pulita, del 25% nell'istruzione, del 30% nei trasporti" ed è una visione che "spiega perché le nostre strade sono in cattivo stato, i nostri ponti crollano e perché non siamo in grado di ripararli". Pur volendo fare qualche grosso risparmio nel settore, il presidente si impegna a non rendere più difficile l'accesso al programma previdenziale Medicare per gli anziani, contrariamente ai repubblicani che vogliono introdurre un sistema di 'voucher' per accedervi entro certi limiti. Per ridurre il deficit di 4mila miliardi in 12 anni, Obama pensa a risparmi di spesa (2mila miliardi), diminuendo gli interessi sul debito di 1.000 miliardi, e riformando il fisco con tagli anche in questo caso di circa 1.000 miliardi. Nel frattempo, sono confermati i segnali di miglioramento negli Stati Uniti: secondo il Beige Book pubblicato oggi dalla Fed, l'economia ha continuato a migliorare a febbraio e a marzo, e il mercato del lavoro inizia a riprendersi. (13 aprile 2011)
2011-04-13 EGITTO Mubarak agli arresti per 15 giorni In carcere anche i due figli L'ex presidente in custodia cautelare. Ieri durante un interrogatorio davanti al procuratore del Sinai aveva avuto un attacco cardiaco, nella notte una nuova crisi. La misura restrittiva nell'ambito dell'inchiesta sulla repressione delle proteste di massa dello scorso gennaio al Cairo Mubarak agli arresti per 15 giorni In carcere anche i due figli La folla radunata davanti al tribunale dove erano in corso gli interrogatori di Mubarak e dei suoi figli IL CAIRO - L'ex presidente Hosni Mubarak è stato posto in custodia cautelare per 15 giorni. Lo ha annunciato la procura poco dopo aver attuato la stessa misura nei confronti dei due figli Alaa e Gamal Mubarak. Ieri, durante un interrogatorio davanti a un procuratore del Sinai, l'ex presidente aveva avuto un infarto. Nella notte ha avuto una nuova crisi cardiaca dopo la notizia dell'arresto dei figli, e si trova in terapia intensiva. E' stato trasferito d'urgenza, dall'ospedale di Sharm el Sheik, al Cairo dove è stato ricoverato nell'ospedale militare di Hadaeiq el-Qobba. Anche la moglie di Mubarak, Suzanne, è stata interrogata ieri insieme al marito, a proposito delle accuse di malversazione dei fondi della biblioteca di Alessandria. Il provvedimento a carico della famiglia Mubarak è motivato da esigenze investigative in pendenza dell'inchiesta: così ha disposto il procuratore capo per il governatorato egiziano del Sinai del Sud, Abdullah al-Shazli, che ieri aveva interrogato sia lo stesso ex presidente sia Alaa e Gamal, per accertare eventuali responsabilità dirette nella brutale repressione delle proteste in massa iniziate il 25 gennaio scorso in piazza Tahrir 1 al Cairo, culminate l'11 febbraio con la caduta del regime 2. DOSSIER VIDEO: L'EGITTO VOLTA PAGINA 3 In un comunicato pubblicato su una pagina Facebook della procura, un portavoce ha spiegato che il procuratore Abdel Maguid Mahmoud ha ordinato "l'arresto per 15 giorni" di Mubarak e dei suoi due figli "nel quadro dell'inchiesta" sulle violenze contro i manifestanti, del gennaio e febbraio scorsi. Durante la rivolta persero la vita circa ottocento persone. Stando a fonti riservate delle forze di sicurezza, i due figli di Mubarak sono stati trasferiti nel penitenziario di Tora, al Cairo, dove sono arrivati in manette. Qui gli è stata consegnata la "divisa bianca" e gli sono stati sottratti i cellulari. Mubarak, che ieri aveva lasciato la propria lussuosa residenza a Sharm el-Sheikh per la prima volta da quando era stato costretto a rifugiarvisi insieme alla famiglia, a bordo di un blindato era stato trasferito anch'egli ad al-Tor, capoluogo del governatorato noto anche come Tur Sinà, per essere interrogato in un commissariato. Si era però sentito male, e i medici gli avevano diagnosticato un attacco cardiaco; il deposto rais, che compirà 83 anni il 4 maggio prossimo, era stato ricoverato a Sharm. Per i Fratelli Musulmani, la decisione di porre agli arresti Mubarak è coraggiosa e audace, e conferma "la fiducia del popolo egiziano" nei confronti dell'esercito e della procura. Lo ha detto Galal Taggeddine, portavoce dell'organizzazione, aggiungendo che ora è necessario "fissare con urgenza la data del giudizio" nei confronti dell'ex rais e dei suoi due figli. (13 aprile 2011)
YEMEN Polizia spara contro ufficiali ribelli Sette morti e una decina di feriti Nuovi scontri nel Paese. Attacco ad un posto di blocco ad Amrane allestito da membri dell'esercito passati all'opposizione, da parte delle forze di sicurezza. Vittime anche nel sud, ad Aden Polizia spara contro ufficiali ribelli Sette morti e una decina di feriti Dimostrazioni anti-regime in Yemen SANA'A - Sale di nuovo la tensione in Yemen, dove ieri almeno sette persone sono morte e una decina sono rimaste ferite. Quattro poliziotti ed un soldato sono rimasti uccisi vicino alla capitale Sana'a: ad Amrane, 170 chilometri dalla capitale, la polizia yemenita ha attaccato un posto di blocco allestito da alcuni ufficiali dell'esercito passati con i rivoltosi e fedeli al generale Ali Mohsen - che settimane fa aveva annunciato la sua defezione 1 - uccidendone uno e ferendo almeno altri 10 militari. Vittime anche tra i poliziotti: in quattro sono morti in seguito ai violenti scontri a fuoco con armi automatiche e lancia granate tra le forze di sicurezza e i manifestanti anti-regime. Vittime anche nel sud dello Yemen: fonti mediche e alcuni testimoni hanno raccontato che ad Aden, seconda città del paese, due manifestanti sono morti, dopo che le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco sui dimostranti scesi in piazza per uno sciopero generale contro il regime di Ali Abdullah Saleh. Secondo alcuni testimoni, l'esercito ha sparato su dei giovani che piazzavano dei barili sulla strada nel quartiere di Mansura per paralizzare la circolazione in vista dello sciopero, in favore del quale hanno lanciato appelli i manifestanti che da circa due mesi chiedono le dimissioni del presidente Saleh 2, al potere da 32 anni. (13 aprile 2011
LIBIA Italia favorevole ad armare i ribelli Il Cnt: "Riconoscimento internazionale" A Doha riunito il Gruppo di contatto. La Farnesina: "In discussione ipotesi forniture dirette, escluso intervento a terra". Il prossimo appuntamento a maggio in Italia. Stasera vertice Sarkozy-Cameron. Ban Ki-Moon: "3,6 milioni di persone a rischio umanitario". Forti esplosioni a Tripoli Italia favorevole ad armare i ribelli Il Cnt: "Riconoscimento internazionale" DOHA - Vertice sulla Libia oggi a Doha dove si è riunito il neonato "gruppo di contatto", in versione ridotta rispetto al primo incontro di Londra: 20 paesi contro i 40 rappresentanti di paesi e organizzazioni internazionali che si riunirono a fine marzo 1. Presenti i paesi coinvolti nel conflitto, l'ex ministro degli Esteri libico Mussa Kussa e una delegazione del Consiglio nazionale transitorio di Bengasi, che ieri ha ribadito le proprie condizioni per avviare una soluzione alla crisi: la rimozione di Muammar Gheddafi e dei suoi figli. Il portavoce dei ribelli, Mahmud Shammam, ha fatto sapere che l'obiettivo di Bengasi è ottenere il riconoscimento internazionale dell'assemblea provvisoria come legittimo governo della Libia. Finora, solo Francia, Italia e Qatar hanno riconosciuto il Consiglio. L'Italia, ha comunicato il portavoce della Farnesina Maurizio Massati, a Doha, non incontrerà Mussa Kussa, dal quale hanno preso le distanze anche i rappresentanti del Cnt. Presenti alla riunione anche i rappresentanti dell'Unione Africana. Intanto l'agenzia di stampa tunisina Tap ha confermato che il ministro degli esteri libico Abdelati Obeidi è giunto oggi in Tunisia ed è diretto a Cipro. Nel pomeriggio due forti esplosioni vicino all'aeroporto di Tripoli. Secondo, alcuni testimoni prima delle esplosioni la capitale sarebbe stata sorvolata da alcuni apparecchi militari, ma non sarebbe chiaro quali siano stati gli obbiettivi di un'eventuale incursione. In precedenza la televisione di Stato libica aveva reso noto che la Nato aveva condotto dei raid su Miurata, Al Aziziya e Sirte, città natale del leader libico Muammar Gheddafi. L'Italia, comunque, si è sostanzialmente dichiarata favorevole sia a finanziare il Consiglio nazionale transitorio di Bengasi, sia a fornire armi ai ribelli. In Italia ai primi di maggio la prossima riunione Gruppo di contatto. La prossima riunione del Gruppo di contatto sulla Libia si terrà in Italia durante la prima settimana di maggio. Ban Ki-Moon: "3,6 milioni a rischio umanitario. La Comunità internazionale resti unita". ''Circa 3,6 milioni di persone'' potrebbero aver bisogno di aiuto umanitario in Libia. Lo ha detto il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-Moon, alla riunione del Gruppo di contatto a Doha. Il segretario ha poi esortato la Comunità internazionale a restare unita. Finanziamenti a ribelli libici. Il Gruppo di contatto sulla Libia ha deciso di fornire finanziamenti ai ribelli libici. ''I partecipanti concordano che un meccanismo di finanziamento temporaneo potrebbe fornire al Cnt e alla comunità internazionale un modo di gestire le risorse per le necessità finanziarie a breve termine e i bisogni strutturali della Libia'', si legge nel comunicato finale. Napolitano: "Non si poteva restare indifferenti". Berlusconi: "Ho pensato di dimettermi". Giorgio Napolitano ha ribadito le motivazioni della partecipazione dell'Italia ad azioni ''che hanno carattere anche militare'' di fronte alla situazione che si è creata in Libia con la repressione ordinata da Gheddafi e della rivendicazione della popolazione della Cirenaica di diritti e autonomie. D'accordo con l'Onu si è deciso che ''non si poteva restare indifferenti'', ha detto aggiungendo che l'Italia ''coopera alla ricerca di soluzioni di carattere politico e diplomatico''. La situazione in Libia ha messo in difficoltà il premier, Silvio Berlusconi, che ha ammesso di aver addirittura pensato alle dimissioni, prima di dare il via libera alla partecipazione dell'Italia alla missione dei volenterosi. La rivelazione, secondo quanto viene riferito da alcuni partecipanti, è stata fatta ieri sera dallo stesso presidente del Consiglio nel corso di una cena con alcuni giornalisti della stampa straniera. "È stata una decisione difficile per me - ha spiegato il premier - ho anche pensato di dare le mie dimissioni, ma poi alla fine ho deciso di rimanere al mio posto". Durante la cena il Cavaliere ha ripercorso la storia dei suoi rapporti con il colonnello Gheddafi sin dal '94 e delle difficoltà dovute al passato colonialista. "Ogni volta che andavo il Libia - avrebbe riferito - Gheddafi mi faceva vedere delle foto di persone impiccate o torturate dai soldati italiani. Mi sono sentito in dovere di fare un passo importante e ho chiesto perdono. Da allora i rapporti sono costantemente migliorati. Gheddafi mi ha anche regalato tre cammelli che ho fatto fatica a sistemare". Bossi contrario ad armare i ribelli. Umberto Bossi esprime la sua contrarietà all'ipotesi che l'Italia fornisca armi ai ribelli libici: "è meglio che ci sia prima uno stato democratico in Libia, poi si vedrà", dice il leader della Lega. Petrolio in cambio di aiuti. Il Consiglio nazionale transitorio libico vuole chiedere ai governi occidentali di fornire 1,5 miliardi di dollari in aiuti umanitari per la popolazione civile, proponendo in cambio forniture di petrolio. Lo ha detto uno dei portavoce del Cnt, Mahmud Awad Shamman, prima dell'inizio della riunione. Vertice Francia-Gran Bretagna. Il premier britannico David Cameron incontrerà stasera all'Eliseo il presidente francese Nicolas Sarkozy per una cena seguita da un incontro sulla crisi libica cui parteciperanno anche i ministri della Difesa di Parigi e Londra, Gerard Longuet e Liam Fox. Intanto, il ministro degli Esteri francese, Alain Juppè, a Doha, ha insistito nel sostenere che la Nato deve tenere alta ''la pressione militare'' su Muammar Gheddafi perché se ne vada, e incrementare il coordinamento con i ribelli sul terreno in merito ai raid aerei. Rasmussen: "Operazioni Nato non sono lente". La Nato non è troppo lenta nelle operazioni in Libia. Lo ha affermato il segretario generale dell'Alleanza Anders Fogh Rasmussen. "Non sono d'accordo con la descrizione di una Nato lenta", ha affermato Rasmussen incontrando i giornalisti a Doha. "Le nostre operazioni - ha spiegato - termineranno quando non ci saranno più minacce per i civili sul terreno". Ue, 10 milioni di euro per rimpatrio stranieri. La Commissione europea ha deciso oggi lo stanziamento di 10 milioni di euro di nuovi aiuti alla Libia, che serviranno per l'evacuazione di stranieri, in particolare da Misurata, e per il loro rimpatrio. "la Commissione europea resta in prima linea sul fronte degli aiuti umanitari e grazie al generoso contributo dei nostri Paesi membri abbiamo tutti insieme impedito un disastro umanitario". Clinton: "Iniziato il disgelo". Dagli Usa arriva intanto l'analisi del segretario di Stato americano Hillary Clinton sulla fase cruciale attraversata dal mondo arabo. Intervenendo al Forum Usa-Islam a Washington, Clinton ha esortato le popolazioni del Medio Oriente a consolidare i progressi democratici raggiunti negli ultimi mesi, perché non diventino "un miraggio nel deserto". La primavera araba per il segretario di Stato Usa ha sfatato il "mito" che il mondo arabo non fosse adatto alla democrazia e ai diritti universali e che i suoi leader potessero rimanere indefinitivamente al potere con una gestione autoritaria. "Ora è iniziato il disgelo di un lungo inverno. Per la prima volta in decenni vi è la possibilità di un cambiamento duraturo", ha proseguito la Clinton, promettendo l'appoggio americano al cambiamento democratico in corso in Tunisia ed Egitto. E ai governo di transizione di questi due paesi ha chiesto la protezione dei diritti civili, con particolare attenzione a quelli delle donne e le minoranze, oltre al consolidamento delle regole democratiche. Al tempo stesso la Clinton ha stigmatizzato la repressione violenta delle proteste in Libia, Yemen, Siria, ma anche in un paese strettamente alleato agli Stati Uniti, come il Bahrein. Gli Usa continuano i bombardamenti. Gli Stati Uniti stanno continuando a bombardare le difese aeree libiche, ha reso noto oggi il Pentagono. A Misurata emergenza umanitaria per migranti africani. Migliaia di migranti africani sono accampati nel porto di Misurata nella speranza di una nave per fuggire dalla guerra: lo dicono all'agenzia missionaria MISNA i rappresentanti del Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr), dopo aver visitato una città da settimane ostaggio dei combattimenti tra i sostenitori e i nemici di Muammar Gheddafi. Un aiuto potrebbe arrivare dall'Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), che nei prossimi giorni conta di portar via circa 1000 persone. "La nave - dice alla MISNA Flavio Di Giacomo, un responsabile di Oim - è salpata lunedì dal porto italiano di Brindisi: l'obiettivo è effettuare due viaggi tra Misurata e Bengasi, da dove i migranti sarebbero trasferiti in Egitto". Bossi e Maroni cauti su riconoscimento ribelli. "So che girano per Roma da settimane, ma noi abbiamo un problema: il petrolio ed il gas. Perciò dobbiamo trattare con chi vince in Libia. Io sarei più cauto". Il leader della Lega Umberto Bossi rispondendo ai giornalisti in merito alla trattativa con i ribelli libici, attesi venerdì a Roma, procede con i piedi di piombo. A lui fa eco il ministro dell'Interno, Roberto Maroni. Bisogna essere cauti nei rapporti con i ribelli libici così come sostenuto dal ministro delle Riforme, Umberto Bossi? "Condivido le affermazioni di Bossi al 200%", ha detto il ministro parlando con i giornalisti a Montecitorio. (13 aprile 2011)
USA Il piano di Obama "Ridurre il deficit di circa 4.000 miliardi in 12 anni" Il capo della Casa Bianca ha presentato il suo progetto in risposta a quello dei repubblicani che prospetta una riduzione di 4.400 miliardi in dieci anni. L'amministrazione prevede anche un aumento delle tasse per i più ricchi Il piano di Obama "Ridurre il deficit di circa 4.000 miliardi in 12 anni" NEW YORK - Riduzione del deficit di circa 4.000 miliardi di dollari in 12 anni e aumento delle tasse per i più ricchi. Questi i punti centrali del piano presentato oggi a Washington dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama per rispondere all'opposizione repubblicana che punta a riduzioni di spesa leggermente superiori ma che secondo la Casa Bianca non prevedono investimenti per il futuro. "Non c'è nulla di serio in un piano che mira a ridurre il deficit attraverso mille miliardi di dollari per i milionari e i miliardari", ha detto il capo della Casa Bianca parlando delle misure messe a punto dai repubblicani. "Non ho bisogno di nuove riduzione delle tasse, e neppure Warren Buffett", uno degli uomini più ricchi degli Stati Uniti, ne ha bisogno, ha poi chiosato. Obama ha presentato il suo ambizioso progetto alla George Washington University. E ha fissato l'obiettivo di un deficit pari al 2,5% del prodotto interno lordo (Pil) nel 2015 e sotto il 2% entro il 2020. "Oggi - ha tra l'altro detto Obama - propongo un approccio più equilibrato (di quello auspicato dall'opposizione repubblicana) per giungere a una riduzione di 4.000 miliardi del deficit in 12 anni". Per realizzarlo, Obama propone tra l'altro risparmi nel settore della Difesa e della previdenza, oltre a una semplificazione del sistema fiscale con detrazioni limitate per i pù ricchi, pari al 2% del totale. I tagli proposti da Obama per ridurre il deficit sono leggermente inferiori a quelli proposti dall'opposizione repubblicana, che parla di 4.400 miliardi in dieci anni. Ci sono tuttavia grosse differenze tra le due proposte, dato che il piano dei repubblicani, messo a punto da Paul Ryan, il deputato del Wisconsin presidente della commissione bilancio della Camera dei Rappresentanti, non prevede nuovi introiti ma solo una riduzione drastica delle spese, non volendo un aumento delle tasse. Nel suo intervento Obama ha sostenuto che il piano dei repubblicani significa "una riduzione del 70% (degli investimenti) nell'energia pulita, del 25% nell'istruzione, del 30% nei trasporti" ed è una visione che "spiega perché le nostre strade sono in cattivo stato, i nostri ponti crollano e perché non siamo in grado di ripararli". Pur volendo fare qualche grosso risparmio nel settore, il presidente si impegna a non rendere più difficile l'accesso al programma previdenziale Medicare per gli anziani, contrariamente ai repubblicani che vogliono introdurre un sistema di 'voucher' per accedervi entro certi limiti. Per ridurre il deficit di 4mila miliardi in 12 anni, Obama pensa a risparmi di spesa (2mila miliardi), diminuendo gli interessi sul debito di 1.000 miliardi, e riformando il fisco con tagli anche in questo caso di circa 1.000 miliardi. Nel frattempo, sono confermati i segnali di miglioramento negli Stati Uniti: secondo il Beige Book pubblicato oggi dalla Fed, l'economia ha continuato a migliorare a febbraio e a marzo, e il mercato del lavoro inizia a riprendersi. (13 aprile 2011)
2011-04-12 COSTA D'AVORIO Gbagbo catturato nel bunker di Abidjan arrestato dalle forze del rivale Ouattara Blindati ed elicotteri hanno preso d'assalto la residenza del leader uscente ivoriano, da giorni asserragliato nel suo palazzo. E' stato poi condotto al quartier generale del suo rivale, appoggiato dalla comunità internazionale. Ora verrà processato. La Clinton: "Chiaro segnale per tutti i dittatori" Gbagbo catturato nel bunker di Abidjan arrestato dalle forze del rivale Ouattara Blindato delle forze francesi speciali Licorne ABIDJAN - Il presidente uscente della Costa D'Avorio Laurent Gbagbo è stato arrestato dalle forze del capo di stato Alassane Ouattara e condotto, insieme alla moglie Simone e al figlio, al Golf Hotel, quartier generale del presidente riconosciuto dalla comunità internazionale. Lo ha precisato l'ambasciatore francese ad Abidjan, Jean-Marc Simon, smentendo che l'arresto sia stato eseguito dalle forze speciali francesi, come riferito in precedenza. In serata, l'ex presidente è apparso sulla Tci, la tv dei sostenitori di Ouattara, e ha rivolto un appello ai suoi affinché fermino le armi. Sempre in tv Alassane Ouattara, presidente riconosciuto dalla comunità internazionale della Costa D'Avorio, ha annunciato l'avvio di "una procedura giudiziaria contro Gbagbo, sua moglie" e i suoi collaboratori. Ed ha aggiunto che "sono state prese tutte le misure" necessarie a garantire "la loro integrità fisica". Rimangono tuttavia poco chiare le circostanze che hanno portato all'arresto dell'ex leader. Testimoni hanno riferito che diversi tank sono entrati oggi nella residenza di Gbagbo ad Abijdan, capitale economica del Paese, dove da giorni si era asserragliato. I numerosi tentativi di arrivare ad un accordo per la sua resa, nelle ultime settimane, non sono andati a buon fine 1. Da parte francese è stato precisato che le forze speciali francesi non sono mai penetrate nella residenza, ma che Gbagbo "si è arreso alle forze repubblicane di Ouattara poco dopo le 15:00", 13:00 ora locale. A chi lo stava prelevando ha detto: "Non uccidetemi". Il ministero della difesa francese, citato da Le Monde, ha detto che le forze di Ouattara hanno operato l'arresto con il sostegno della missione Onu e di quella francese Licorne. Mezzi blindati francesi e Onu erano infatti stati dispiegati lungo la strada che conduce alla residenza di Gbagbo, "parzialmente distrutta" dai bombardamenti lanciati la scorsa notte dalle forze Onu e francesi. IL VIDEO 2 Da Parigi, la presidenza francese aveva sottolineato in precedenza che "l'intervento militare è stato richiesto dall'Onu per proteggere la popolazione" e che la missione della Francia "non è quella di deporre Gbagbo per via militare". Il segretario delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, ha confermato di aver chiesto l'attacco e ha ribadito le accuse del palazzo di vetro nei confronti di Gbagbo, che la scorsa settimana "ha riunito le sue forze e ha dispiegato nuovamente l'artiglieria pesante". Dopo la notizia dell'arresto di Gbagbo, Ouattara ha avuto una lunga telefonata con il presidente francese Nicolas Sarkozy. Per il primo ministro di Ouattara, Guillaume Soro, "è la fine di un incubo". Ora l'ex leader verrà processato dalla magistratura della Costa D'Avorio, ha riferito l'ambasciatore Onu del paese africano, Youssoufou Bamba, confermando che il presidente che si è rifiutato di cedere il potere si trova in stato d'arresto e assicurando che "è in buona salute". Da Londra è stato lanciato un appello perché Gbagbo venga trattato con rispetto. "Gbagbo ha agito, negli ultimi mesi, contro tutti i principi democratici", ha spiegato il ministro degli Esteri britannico William Hague, sottolineando però che è indispensabile che "venga trattato con rispetto" e che venga sottoposto a regolare processo. Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu si è riunito per consultazioni sul futuro della Costa D'Avorio e da Palazzo di Vetro Alain Leroy, il capo del dipartimento Onu per il peacekeeping, ha detto che spetterà ad Ouattara a decidere cosa fare con Gbagbo. La sua incolumità e quella della moglie sono garantite da gendarmi Onu, che piantonano le stanze dove l'ex leader e la moglie sono tenuti in custodia. La Francia non nasconde la propria soddisfazione, dichiarando che l'arresto di Gbagbo porterà al Paese la pace e un nuovo sviluppo economico, come ha dichiarato il ministro dell'interno Claude Gueant. Per il segretario di Stato americano Hillary Clinton, la cattura dell'ex leader manda un chiaro segnale a tutti i dittarori, che "non possono ignorare la volontà del popolo espressa attraverso le elezioni". Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, si è detto soddisfatto oggi per l'arresto di Gbagbo, e ha rivolto un appello alle milizie perché depongano le armi. Per Obama, l'arresto di Gbagbo "rappresenta una vittoria per la volontà democratica del popolo ivoriano". Gli scontri fra le forze fedeli al leader uscente e quelle di Alassane Ouattara 3, vincitore delle ultime elezioni presidenziali di novembre e sostenuto dalla comunità internazionale ma considerato da Gbagbo un usurpatore, hanno provocato migliaia di vittime 4 nel Paese e una situazione umanitaria tragica 5, come hanno denunciato diverse organizzazioni umanitarie. Negli ultimi quattro mesi è esplosa una vera e propria guerra civile che ha causato milioni di profughi. (11 aprile 2011)
LIBIA Ribelli: "Gheddafi via, o niente tregua" Frattini, no all'intervento di terra Il Consiglio di transizione conferma le precondizioni all'accettazione del cessate il fuoco dopo la disponibilità del colonnello ad accettare il piano dell'Unione africana. "Ritiro delle truppe e libertà di espressione". Il presidente sudafricano Zuma a Bengasi. Un team di Emergency a Misurata Ribelli: "Gheddafi via, o niente tregua" Frattini, no all'intervento di terra Gheddafi incontra Zuma a Tripoli TRIPOLI - Mentre sul terreno proseguono i combattimenti, i ribelli libici ribadiscono di non esser intenzionati ad accettare alcun cessate il fuoco se Muammar Gheddafi non se ne andrà. Lo stop arriva dopo la notizia che il colonnello avrebbe accettato la tregua contenuta nel piano di pace proposto dall'Unione Africana. Come precondizioni al negoziato il Consiglio di transizione pone il preventivo ritiro delle truppe di Gheddafi dalle zone rioccupate e da Tripoli, e il rispetto della libertà di espressione. La posizione del Cnt, anticipata dal portavoce Chamseddine Abdelmaoula, è stata confermata dal Mustafa Jalil, il capo dell'organismo di Bengasi, dopo l'incontro con i rappresentanti dell'Oua: "La proposta di mediazione avanzata dall'Unione Africana non include l'uscita di scena di Muammar Gheddafi e dei suoi figli, non tiene conto della risoluzione Onu e non rispetta i voleri del popolo libico". "Quella proposta è datata 10 marzo" e in questo mese Gheddafi "ha ripetutamente violato le risoluzioni Onu, bombardando le città libiche - ha aggiunto il presidente del Cnt nel corso di una conferenza stampa cui non ha preso parte nessun rappresentante dell'Oua - L'unica proposta accettabile è che Gheddafi e i figli lascino la Libia. Gheddafi vada via se vuole salvarsi la pelle. Noi vinceremo". La missione dell'Oua era arrivata oggi a Bengasi per proseguire la mediazione. Il presidente sudafricano Jacob Zuma, che guida la delegazione, aveva fatto una breve sosta di due ore sull'isola di Malta durante la notte dopo un incontro con il colonnello Gheddafi a Tripoli. La comunità internazionale discute ancora le prossime mosse, in particolare come rafforzare la resistenza degli insorti senza violare la risoluzione dell'Onu. "Un intervento a terra in Libia per me è impossibile", ha detto stamattina il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, alla radio francese Europe 1, aggiungendo però che "la risoluzione Onu permette che siano fornite armi. Ma si tratta di una mia opinione, non abbiamo ancora discusso di questo, ma ora ce ne sarà l'opportunità". Frattini ha quindi annunciato che venerdì Jalil sarà a Roma venerdì prossimo. Durante la visita (inizialmente prevista per domani e poi rinviata) il capo del Cnt incontrerà il premier Silvio Berlusconi, mentre non potrà invece vedere il capo dello Stato Giorgio Napolitano che venerdì sarà a Bratislava e Praga. Emergency a Misurata. Un team di Emergency ha iniziato a lavorare oggi a Misurata, presso l'ospedale di riferimento in città per feriti di guerra, soprattutto da bombe e da pallottole. Lo comunica l'organizzazione umanitaria. L'équipe è composta da un chirurgo generale, un chirurgo ortopedico, un anestesista, quattro infermieri e un logista. In città non sono disponibili altri chirurghi che abbiano esperienza in chirurgia di guerra. L'ospedale dispone di cinque sale operatorie, 60 posti letto in corsia, sette letti in terapia intensiva. Lo staff di Emergency gestisce direttamente una sala operatoria, un reparto di terapia intensiva e alcuni letti in corsia. (11 aprile 2011)
SIRIA L'esercito assedia la città ribelle Banias Almeno 5 morti. Le ong: "Inchiesta subito" Dopo le violenze contro gli oppositori, il centro petrolifero a maggioranza sunnita è ora circondato dai militari. Interrotte le comunicazioni telefoniche e l'elettricità. Scontri davanti all'Università di Damasco: arresti L'esercito assedia la città ribelle Banias Almeno 5 morti. Le ong: "Inchiesta subito" Folla al funerale di una vittima degli scontri a Daraa, fermoimmagine da un video amatoriale DAMASCO - E' sotto assedio la città delle proteste dei siriani, Banias. Circondata com'è da reparti dell'esercito e da forze di sicurezza. Qui ieri pomeriggio e stanotte le milizie alawite fedeli al presidente Bashar al Assad hanno aperto il fuoco 1 contro manifestanti contro il regime di Assad uccidendone cinque (secondo le forze di sicurezza ci sarebbero 9 morti tra i militari, caduti in un'imboscata), secondo testimoni oculari e diverse organizzazioni siriane per i diritti umani, che hanno chiesto l'apertura di una "commissione d'inchiesta al fine di sanzionare gli autori delle violenze". Testimoni oculari citati stamani dai siti di monitoraggio Rassd e NowSyria affermano che oltre 15 carri armati dell'esercito sono stati schierati ai margini di Banias, e che posti di blocco di agenti in borghese delle forze di sicurezza bloccano gli accessi alla città. Le comunicazioni dei telefoni fissi e cellulari sono state interrotte per tutta la notte, così come anche l'erogazione dell'elettricità. La città costiera, a maggioranza sunnita ma circondata da montagne abitate in prevalenza da alawiti, è sede di due raffinerie di petrolio ed è il luogo natale dell'ex vice presidente siriano Abdel Halim Khaddam (sunnita), dal dicembre 2005 esiliato in Europa dopo esser stato epurato dai vertici del potere dominato dalla famiglia Assad e dai clan alawiti ad essa alleati. Secondo l'agenzia ufficiale Sana, nove soldati dell'esercito sarebbero stati uccisi in agguati tesi da non meglio precisati "uomini armati" nei pressi di Banias. "L'esercito sta sparando sporadicamente per provocare la gente ma dai dimostranti non è partito un colpo", ha riferito un testimone, aggiungendo che dagli altoparlanti delle moschee risuonano appelli all'esercito perchè "smetta di sparare". Conferme dell'assedio alla città sono arrivate anche da uno dei leader del movimento d'opposizione, Anas al-Shuhri, che ha accusato uomini vicini al regime di aver aperto il fuoco sui civili e sugli stessi militari per provocare una reazione armata, nel tentativo di "scatenare scontri settari" con la minoranza alauita. Abdul Karin Rihawi, a capo della Lega siriana per la difesa dei diritti umani, ha denunciato nella notte l'arresto di diversi attivisti, fra i quali Ahmad Mussa e Mohammad Alaa Bayati, assistenti dell'ex vice presidente siriano Abdel-Halim Khaddam, dissidente in esilio a Parigi dal 2006. Tensione anche a Damasco, dove almeno sette studenti sono stati arrestati davanti all'Università della capitale siriana durante due diverse manifestazioni e raduni anti-regime. Lo riferisce all'ANSA Wissam Tarif, attivista di spicco per i diritti umani interpellato telefonicamente, che non è però in grado di confermare la presunta morte di uno studente. Sui siti di monitoraggio Rassd e NowSyria compare inoltre la notizia della morte di almeno uno studente Fadi al Asmi, "ucciso dalle forze di sicurezza di fronte alla facoltà di Legge", nel quartiere di Baramke nel centro di Damasco. "Attualmente - afferma Tarif - sono in corso delle contromanifestazioni di lealisti nella facolta di Legge e in quella di Medicina. Le forze di sicurezza hanno sprangato le porte dell'ateneo". Le violenze degli ultimi giorni in Siria hanno provocato la condanna di Francia e Germania, entrambe ferme nel chiedere a Damasco di mettere fine alle gravi violazioni dei diritti umani. "Le violenze in corso contro i dimostranti sono sconvolgenti e allarmanti", ha dichiarato il portavoce del governo tedesco Steffen Seibert, riportando la richiesta del cancelliere Angela Merkel "al governo siriano e personalmente al presidente Bashar Assad di proteggere il diritto di espressione e di tenere dimostrazioni pacifiche". Stesso tono per il ministero degli Esteri francese che, tramite una portavoce, ha chiesto alle autorità siriane di "rinunciare immediatamente all'uso della forza e mettere in atto senza ulteriore ritardo un programma di riforme che risponda alle aspirazioni delle popolazione". (11 aprile 2011)
2011-04-09 EGITTO Due morti nella battaglia a Piazza Tahrir Continuano le proteste nel dopo Mubarak Decine di migliaia di persone contro il capo di Stato maggiore dell'esercito, Mohamed Hussein Tantawi. ll consiglio supremo delle forze armate ha ordinato l'arresto di Ibrahim Kamal del Partito nazionale democratico dell'ex rais per aver incitato gli scontri. Nuova manifestazione nel pomeriggio Due morti nella battaglia a Piazza Tahrir Continuano le proteste nel dopo Mubarak Manifestazione a piazza Tahrir IL CAIRO - Due persone sono morte al Cairo per ferite da arma da fuoco dopo che l'esercito ha disperso la folla sulla piazza Tahrir durante le proteste scoppiate nella notte. E' stato uno sconto violento, come testimoniano le strade della piazza lastricate di pietre e di ciottoli usati nelle sassaiole tra manifestanti e forze dell'ordine. Le due persone uccise, secondo fonti all'ospedale del Cairo, erano tra le 15 ferite dai proiettili. Il consiglio supremo delle forze armate egiziano ha quindi ordinato l'arresto di Ibrahim Kamal, esponente di spicco del Partito nazionale democratico dell'ex rais Hosni Muabarak, con l'accusa di avere incitato gli scontri di questa notte. Mandati di cattura anche per alcuni componenti dello staff di Kamal. Nel comunicato numero 34 delle forze armate postato su Facebook, si legge che continueranno a perseguire i fedelissimi del vecchio regime e del partito democratico nazionale di Mubarak: "Le forze armate continueranno a lavorare per soddisfare le aspirazioni del popolo egiziano" dice il comunicato. LE FOTO 1 I manifestanti chiedono la deposizione della giunta militare che tiene il governo provvisorio e si stanno organizzando per convocare una mega manifestazione più tardi. Nel frattempo hanno bloccato con filo spinato e anche con un grande camion a rimorchio messo di traverso al museo egizio, i punti di accesso alla piazza. Decine di persone, fra le quali si confondono anche alcuni turisti, stanno affluendo nel grande spazio simbolo della rivoluzione del 25 gennaio 2 che ha portato alla cacciata di Hosni Mubarak (l'11 febbraio) 3, e guardano i resti bruciati e ancora fumanti di un autobus e di un camion ai quali è stato dato fuoco. In un angolo della piazza, circondata da filo spinato c'è una grande macchia di sangue, accanto alla quale i manifestanti dicono che ci sono stati molti feriti, e fra i quattro e i sette morti, ma fonti ospedaliere per ora parlano di due vittime. L'esercito, che governa la transizione in Egitto, ha reso noto in un comunicato che "elementi del ministero dell'Interno" con l'aiuto di civili hanno liberato la piazza dalla presenza di elementi "fuorilegge", che non rispettavano il coprifuoco notturno, e ha affermato inoltre che gli agenti della sua polizia si sono limitati a sparare colpi di avvertimento in aria, e comunque con proiettili a salve. Dopo la preghiera del venerdì, decine di migliaia di persone si erano radunate nella piazza-simbolo della rivoluzione scandendo slogan contro il capo di Stato maggiore dell'esercito, il feldmaresciallo Mohamed Hussein Tantawi. Sfidando le istruzioni dei propri superiori di non manifestare in uniforme, sette luogotenenti hanno preso la parola per chiedere "il giudizio dei corrotti" e una epurazione dell'esercito. A mezzanotte, gli ufficiali dissidenti erano ancora sul posto, riuniti in una tenda e protetti da manifestanti che dicevano di voler impedire loro di essere arrestati. (09 aprile 2011)
MEDIO ORIENTE Scontri in Siria, 30 morti a Daraa proteste e vittime anche in Yemen Violente cariche di polizia contro le manifestazioni dell'opposizione nel sud, incidenti anche alla periferia di Damasco. Nel nord scendono in piazza i curdi. La tv di Stato: "19 uccisi tra le forze dell'ordine" Scontri in Siria, 30 morti a Daraa proteste e vittime anche in Yemen Manifestazione antigovernativa in Yemen DAMASCO - Violenti scontri a Daraa, la città del sud della Siria epicentro della protesta contro il regime di Bashar Al Assad. Secondo testimoni citati da Al Jazeera, 30 civili sono stati uccisi da agenti in borghese delle forze di sicurezza. Le fonti della tv panaraba hanno riferito che quelli che l'agenzia ufficiale Sana ha identificato come "uomini armati" sarebbero in realtà agenti in abiti civili che hanno sparato dal cavalcavia che collega la parte vecchia di Daraa al quartiere al Mahatta, dove si trova la stazione ferroviaria. La televisione di Stato ha dato notizia di 19 uomini delle forze dell'ordine uccisi e di 75 feriti. La protesta contro Assad va avanti, non solo a Daraa. Manifestazioni si sono svolte anche nella città di Homs, nella regione centrale, il giorno dopo il siluramento del governatore da parte di Assad. Colpi d'arma da fuoco si sono uditi ad Harasta, un sobborgo di Damasco. I manifestanti hanno anche distrutto una statua di Basil al-Assad, fratello del presidente. E ad Hama, una roccaforte dell'Islam sunnita radicale a nord della capitale, migliaia di manifestanti sono stati dispersi da forze di sicurezza e agenti in borghese. Nel febbraio del 1982 il centro storico della città fu quasi completamente raso al suolo e le sue moschee furono bombardate dall'aviazione e dall'artiglieria del regime, che riuscì così dopo sei anni di confronto armato a schiacciare la ribellione dei Fratelli musulmani. Le organizzazioni umanitarie internazionali denunciarono un conto delle vittime altissimo, circa 20.000 morti, ma la cifra non è mai stata confermata. In questa fase convulsa torna ad avanzare le sue richieste autonomistiche la minoranza curda. Manifestanti curdi sono scesi in strada a Qamishli e Amuda, due cittadine al confine con Turchia e Iraq, nella ricca regione nord-orientale. Il presidente Assad aveva ieri concesso, dopo mezzo secolo, il diritto di nazionalità a decine di migliaia di curdi dell'area. Ma alcuni partiti curdi non riconosciuti dalle autorità hanno giudicato insufficiente la misura e hanno appoggiato la nuova mobilitazione anti-regime indetta per oggi in tutta la Siria. Repressione anche in Yemen. Due persone sono state uccise e decine sono rimaste ferite a Taiz, a sud della capitale Sana'a, dove le forze dell'ordine sono intervenute aprendo il fuoco per disperdere una manifestazione antigovernativa. Secondo la ricostruzione fornita da un testimone, "le forze di sicurezza hanno voluto disperdere un raduno nei pressi della scuola Al-Shaab, e hanno sparato proiettili veri oltre ai gas lacrimogeni". Taiz è uno dei centri più attivi della protesta contro il presidente Ali Abdullah Saleh. (08 aprile 2011)
2011-04-08 MEDIO ORIENTE Scontri in Siria, 30 morti a Daraa proteste e vittime anche in Yemen Violente cariche di polizia contro le manifestazioni dell'opposizione nel sud, incidenti anche alla periferia di Damasco. Nel nord scendono in piazza i curdi. La tv di Stato: "19 uccisi tra le forze dell'ordine" Scontri in Siria, 30 morti a Daraa proteste e vittime anche in Yemen Manifestazione antigovernativa in Yemen DAMASCO - Violenti scontri a Daraa, la città del sud della Siria epicentro della protesta contro il regime di Bashar Al Assad. Secondo testimoni citati da Al Jazeera, 30 civili sono stati uccisi da agenti in borghese delle forze di sicurezza. Le fonti della tv panaraba hanno riferito che quelli che l'agenzia ufficiale Sana ha identificato come "uomini armati" sarebbero in realtà agenti in abiti civili che hanno sparato dal cavalcavia che collega la parte vecchia di Daraa al quartiere al Mahatta, dove si trova la stazione ferroviaria. La televisione di Stato ha dato notizia di 19 uomini delle forze dell'ordine uccisi e di 75 feriti. La protesta contro Assad va avanti, non solo a Daraa. Manifestazioni si sono svolte anche nella città di Homs, nella regione centrale, il giorno dopo il siluramento del governatore da parte di Assad. Colpi d'arma da fuoco si sono uditi ad Harasta, un sobborgo di Damasco. I manifestanti hanno anche distrutto una statua di Basil al-Assad, fratello del presidente. E ad Hama, una roccaforte dell'Islam sunnita radicale a nord della capitale, migliaia di manifestanti sono stati dispersi da forze di sicurezza e agenti in borghese. Nel febbraio del 1982 il centro storico della città fu quasi completamente raso al suolo e le sue moschee furono bombardate dall'aviazione e dall'artiglieria del regime, che riuscì così dopo sei anni di confronto armato a schiacciare la ribellione dei Fratelli musulmani. Le organizzazioni umanitarie internazionali denunciarono un conto delle vittime altissimo, circa 20.000 morti, ma la cifra non è mai stata confermata. In questa fase convulsa torna ad avanzare le sue richieste autonomistiche la minoranza curda. Manifestanti curdi sono scesi in strada a Qamishli e Amuda, due cittadine al confine con Turchia e Iraq, nella ricca regione nord-orientale. Il presidente Assad aveva ieri concesso, dopo mezzo secolo, il diritto di nazionalità a decine di migliaia di curdi dell'area. Ma alcuni partiti curdi non riconosciuti dalle autorità hanno giudicato insufficiente la misura e hanno appoggiato la nuova mobilitazione anti-regime indetta per oggi in tutta la Siria. Repressione anche in Yemen. Due persone sono state uccise e decine sono rimaste ferite a Taiz, a sud della capitale Sana'a, dove le forze dell'ordine sono intervenute aprendo il fuoco per disperdere una manifestazione antigovernativa. Secondo la ricostruzione fornita da un testimone, "le forze di sicurezza hanno voluto disperdere un raduno nei pressi della scuola Al-Shaab, e hanno sparato proiettili veri oltre ai gas lacrimogeni". Taiz è uno dei centri più attivi della protesta contro il presidente Ali Abdullah Saleh. (08 aprile 2011)
LIBIA Bombe su insorti, il "rammarico" della Nato Continua la marcia alla conquista di Brega Il segretario generale dell'Alleanza Rasmussen si dice dispiaciuto, ma nessuna scusa. Come il vice comandante Harding: "Non avevamo visto i ribelli, ma ci sono prove di carri armati che attaccano civili. Dobbiamo proteggerli". Il Consiglio provvisorio: "No a mediazione della Turchia. Erdogan fa il suo interesse" Bombe su insorti, il "rammarico" della Nato Continua la marcia alla conquista di Brega Il contrammiraglio Russell Harding, vice comandante dell'operazione Unified Protector BRUXELLES - Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha espresso il suo rammarico per le vittime causate dal raid aereo dell'Alleanza 1 su una colonna di ribelli ieri a Brega, nell'est della Libia. E' stato un "incidente sfortunato. Si tratta di un episodio molto spiacevole", ha detto Rasmussen al canale televisivo dell'Alleanza. Dispiacere dunque, ma nessuna scusa ufficiale. Da questa mattina la posizione della Nato è infatti decisamente orientata a difendere il bombardamento. Il contrammiraglio Russell Harding, vice comandante dell'operazione Unified Protector, in un incontro stampa tra Bruxelles e Napoli, si è infatti limitato ad ammettere che i blitz su Brega "potrebbero avere ucciso molti ribelli" di Bengasi ma non ha voluto fornire un bilancio preciso delle vittime. "Non voglio dare una casistica precisa perché desidero chiedere alla Nato di fare un controllo efficace. Non posso dare una risposta dettagliata", ha commentato. VIDEO DEL MISSILE 2 - CRONOLOGIA 3 - FOTOSTORIA 4 "Non mi scuso perché fino a quel momento non avevamo visto alcun carro armato guidato dai ribelli", ha detto in mattinata Russ Harding, senza tirarsi indietro. "Oggi - ha spiegato - abbiamo prove documentali di carri armati che attaccano civili, così come sappiamo che gli stessi civili vengono usati come scudi umani e che l'esercito di Gheddafi sta posizionando carri armati nelle vicinanze di moschee e scuole, per impedire che vengano bombardati da noi. La nostra missione, come recita la risoluzione 1973, è quella di proteggere i civili". Per il contrammiraglio certo è però che la situazione in Libia sul fronte militare "è fluida", non in stallo. E questo nonostante ieri sera il generale Carter Ham, comandante dello US Africa Command, parlando al Congresso Usa, avesse detto che in Libia "si è delineata una situazione di stallo" tra le forze dei ribelli e quelle pro-Gheddafi. Gli insorti libici comunque non chiedono le scuse della Nato. Casomai di migliorare le comunicazoni con l'Alleanza atlantica. "Non abbiamo mai preteso le scuse della Nato, ma soltanto delle spiegazioni. Non mettiamo in discussione la buona fede dell'Alleanza", ha detto alla France Presse Shamseddin Abdelmolah, un portavoce del Consiglio nazionale transitorio libico (Cnt) di Bengasi, aggiungendo che "sembra ci sia un'interruzione nelle comunicazioni, forse dovuta alle condizioni sul terreno, che ha fatto in modo che la posizione dei nostri tank non fosse resa nota alla Nato". Missili contro Ajdabiya. "I pozzi di petrolio non sono stati bombardati". Harding ha replicato all'accusa con fermezza: "E' totalmente falso, nessun velivolo lo ha fatto". Sulla stessa posizione del comandante della missione, Charles Bouchard, Harding ha ribadito che l'obiettivo non è quello di bombardare i pozzi, ma di "bloccare il trasporto di petrolio verso Tobruk, impedendo così l'approvvigionamento alle truppe di Gheddafi". I combattimenti più violenti, che anche oggi continuano soprattutto tra la semideserta Ajdabiya e il sito petrolifero di Brega, 80 chilometri più a ovest, ieri erano stati interrotti dal fuoco 'amico' di aerei Nato che aveva causato la morte di almeno quattro persone, due insorti e due medici, e la fuga dalla città che comunque resta saldamente nelle loro mani nonostante ancora oggi però le truppe di Gheddafi abbiano lanciato sei missili costringendoli alla ritirata verso il centro della città. Ribelli: "Nessuna mediazione". Gli insorti hanno intanto respinto la proposta di mediazione del premier turco Eyyp Erdogan e hanno ribadito che il Consiglio nazionale provvisorio che controlla parte del Paese, non intende negoziare con Gheddafi. "Rispettiamo la posizione del popolo turco ma non riteniamo che la posizione di Erdogan rifletta quella del popolo turco", ha detto il portavoce Ahmad Bani in dichiarazioni all'emittente satellitare araba Al Arabiya. Il premier turco ieri 5 aveva ribadito che Ankara è al lavoro a una Road Map per la pacificazione della Libia. Il piano, secondo quanto ha dichiarato, prevede tra l'altro un cessate il fuoco e il ritiro delle forze governative da alcune città. Nel corso della crisi, la Turchia ha tenuto contatti sia con gli insorti sia con le alutorità di Tripoli. "Erdogan probabilmente ha espresso un suo interesse personale perché noi abbiamo già detto che non vi sono possibilità di trattative prima che Gheddafi e i suoi familiari lascino il Paese", ha affermato Bani. "Credo che abbia parlato non nell'interesse del popolo libico ma per un suo interesse personale", ha concluso. E mentre il governo tedesco, per bocca del suo ministro degli Esteri Guido Westerwelle, si è detto pronto a inviare sul campo soldati della Bundeswehr - ma solo per missioni a scopo umanitario - i ribelli hanno confermato di aver ricevuto per la prima volta armi da Paesi stranieri. Secondo quanto riferisce Al Jazeera, si tratterebbe di armi anticarro del Qatar. La posizione dell'Italia. Il Consiglio Transitorio dei ribelli a Bengasi, che ha convocato il nostro rappresentante in Cirenaica, Guido De Sancits, insieme con i colleghi britannico e francese, ha sollecitato l'Italia a modificare la sua partecipazione alla missione Nato in Libia, con l'esecuzione anche di bombardamenti 6. I tre si sono incontrari con Ali al-Isawi, responsabile dei rapporti con l'estero. "Ai tre è stato detto che le forze di Gheddafi si sono avvicinate e possono sfondare su Bengasi. Il Consiglio ci chiede di intervenire affinché la Nato colpisca dal cielo", ha confermato il portavoce della Farnesina, Maurizio Massari. Quanto agli Usa, hanno sempre chiarito 7 che gli oneri delle operazioni dovevano essere per lo più europei. Il presidente del Consiglio nazionale transitorio libico, Mustafa Abdel Jalil, sarà a Roma martedì per incontrare il ministro degli Esteri, Franco Frattini. Giornalisti spariti. Quattro giornalisti sono stati sequestrati martedì dalle forze fedeli al Colonello nei pressi del porto petrolifero di Brega. Lo riferisce la rivista americana The Atlantic, con la quale collaboravano due dei reporter catturati, entrambi statunitensi: Clare Morgana Gillis e James Foley. Con loro sono stati presi anche Manu Brabo, un fotografo spagnolo, e Anton Hammerl, fotografo sudafricano. Dei ribelli avrebbero visto i reporter a bordo di un'auto, poi sequestrata dai soldati del rais. Due giornalisti russi del quotidiano Komsomolskaya Pravda sono stati invece arrestati dai ribelli libici. A riferirlo è lo stesso giornale, secondo cui i reporter sono stati fermati nella città di Ajdabiya. La Russia ha espresso in più occasioni una posizione critica nei confronti della missione militare in Libia in aiuto degli insorti. 8 (08 aprile 2011)
L'ANALISI Ocse, nella lotta alla povertà L'Italia ha la maglia nera negli aiuti Ennesima dimostrazione di come appaia sempre più contraddittoria la politica del governo Berlusconi sull'immigrazione: da una parte si afferma: "Aiutiamoli a casa loro", ma dall'altra l'Italia abbatte la media europea per quanto riguarda le risorse destinate all'aiuto allo sviluppo Ocse, nella lotta alla povertà L'Italia ha la maglia nera negli aiuti ROMA - Da una parte, c'è la linea del governo Berlusconi sull'immigrazione , che poggia su due principi fondamentali: "Che arrivino solo se hanno un lavoro" e l'altra che dice "Aiutiamoli a casa loro". Poi però ci sono anche i dati sulla lotta alla povertà, che nella classifica europea assegna all'Italia la maglia nera per quanto riguarda gli aiuti, o - se si preferisce -il primo premio per inaffidabilità, visto che mancano all'appello ben 5,4 miliardi di euro promessi nel 2005. Non solo, ma con nuovi tagli, -35% rispetto al 2008, manda a fondo la cooperazione della Ue e il g8. Perché contribuisce sempre meno allo sforzo collettivo per l'aiuto allo sviluppo. I dati OCSE e la denuncia delle Ong. A denunciare la situazione, l'atteggiamento di un Paese che continua a mettere all'ultimo posto delle proprie scelte in bilancio l'aiuto pubblico allo sviluppo e le mancate promesse, sono le Organizzazioni Non Governative italiane (Ong). Il tutto con dati rigorosamente ufficiali alla mano. I numeri sullo stato dell'aiuto pubblico allo sviluppo dell'Italia, appena fatti circolare dall'OCSE, "sono la dimostrazione del drammatico stato in cui versa la cooperazione allo sviluppo nel nostro Paese", segnalano le Ong. L'aiuto italiano, stando ai dati forniti dall'OCSE/DAC, sarebbe infatti sceso dallo 0,16% allo 0,15% del PIL, con una contrazione in termini reali rispetto al 2009 del 1,5%, ma del 35% rispetto al 2008. L'Italia trascina l'Europa. In questo modo, dicono le Ong, il nostro paese sta provocando l'allontanamento di tutta l'Unione Europea dagli obiettivi continentali: mentre l'aiuto UE sale del 6,7%, infatti, l'Italia si conferma fanalino di coda dei paesi dell'Unione, addirittura dopo la Grecia che, invece, nonostante le difficoltà di bilancio continua a destinare lo 0,17% de Pil all'aiuto pubblico allo sviluppo. L'aiuto pubblico del nostro Paese in termini assoluti è pari a quello del Belgio e della Danimarca. Il contributo dell'Italia nella comunità dei Paesi OCSE donatori scende dal 3,9 % del 2008 al 2,5% nel 2010 con una contrazione del suo contributo più forte a livello UE dal 6,7% al 4,4%. Ossia l'Italia contribuisce sempre meno allo sforzo collettivo per l'assistenza allo sviluppo. Eppure c'è chi aumenta gli aiuti. Nonostante la crisi economica, pochi sono i Paesi OCSE che hanno tagliato gli aiuti. Non il Portogallo e neppure gli Stati Uniti, che hanno aumentato gli stanziamenti rispettivamente del 31,5% e del 3,5%. I Paesi che hanno ridotto l'aiuto oltre l'Italia sono stati la Grecia, l'Irlanda e la Spagna, ma, a parte la Grecia, gli altri due Paesi destinano rispettivamente lo 0,53% e lo 0,43% del loro PIL all'aiuto pubblico allo sviluppo. Rispetto a quanto l'Italia si era impegnata a fare a livello europeo nel 2005, infatti, mancano attualmente all'appello 5,4 miliardi di euro: il nostro Paese è responsabile del 43% dell'ammanco europeo rispetto all'obiettivo collettivo e contribuisce al mancato rispetto delle promesse del G8 di Gleneagles del 2005 per il 43%. (08 aprile 2011)
2011-04-05 LIBIA Il regime è pronto a trattare Gheddafi non lascia il potere Il governo di tripoli sarebbe pronto a un negoziato per arrivare ad una soluzione politica della crisi, ed anche a preparare il paese alle elezioni. Ma le dimissioni del raìs non sono trattabili. Usa ritirano caccia da combattimento Il regime è pronto a trattare Gheddafi non lascia il potere TRIPOLI - Si cerca una soluzione diplomatica in Libia, ma Muammar Gheddafi non intende lasciare la guida del Paese. Intanto, gli Stati Uniti hanno ritirato i caccia da combattimento dal teatro delle operazioni libiche, dopo oltre due settimane dall'avvio della missione internazionale. Gheddafi appare in pubblico. Il leader libico è comparso ieri tra la folla nella sua residenza-bunker di Tripoli, Bab al-Aziziya, per la prima volta dopo la sua ultima apparizione pubblica del 22 marzo scorso. Da parte sua, il portavoce del governo Mussa Ibrahim ha commentato con la stampa la missione diplomatica in Turchia, Grecia e Malta di un emissario di Gheddafi, sottolineando che "il capo non ha alcun incarico ufficiale da cui dimettersi. Ha un valore simbolico per il popolo libico. Come viene governata la libia è un'altra questione. Quale sistema politico applicare nel paese? Questo è negoziabile. Possiamo parlarne". "Possiamo avere tutto, elezioni, referendum, qualsiasi cosa - ha aggiunto il portavoce - ma il capo è la valvola di sicurezza per il paese e per l'unità della popolazione e delle tribù. Pensiamo sia molto importante che sia lui a guidare qualsiasi transizione verso un modello democratico e trasparente. Molti libici vogliono che sia lui a guidare il processo perché temono che senza di lui possa ripetersi quanto accaduto in iraq, in somalia e in afghanistan". I ribelli insistono: "Gheddafi deve andare via". Ieri, la stampa americana ha riferito di una trattativa avviata da due figli di Gheddafi, Saif e Saadi, per favorire una transizione democratica del paese, guidata da Saif, che prevederebbe però il ritiro dalla scena del colonnello. I ribelli di Bengasi hanno immediatamente bocciato la proposta, ribadendo che "Gheddafi e i figli devono andarsene prima di avviare qualsiasi negoziato diplomatico". Sul campo. Sul fronte militare, l'esercito americano ha annunciato di aver ritirato tutti i suoi aerei da combattimento e i suoi missili tomahawk, dopo aver concesso un'ultima proroga di 48 ore nel fine settimana su richiesta della Nato. Domenica scorsa, Washington aveva accettato di condurre ancora dei raid in Libia, per recuperare il tempo perduto a causa del maltempo. Nato ferma navi ribelli con aiuti e armi. Unità navali Nato hanno fermato oggi quattro imbarcazioni dei ribelli cariche di armi e aiuti umanitari partite da Bengasi e dirette a Misurata. È stata data loro la scelta se consegnare le armi o tornare indietro. Un'imbarcazione è stata fermata a 65 miglia da Bengasi, un'altra a 30 miglia da Misurata. La Jelyana, il cui comandante è Mustafa Ibrahim, sta tornando a Bengasi, da cui era partita ieri sera. Misurata è da giorni cannoneggiata da forze fedeli a Muammar Gheddafi che secondo fonti dei ribelli fanno anche strage di civili. Londra: "Forniremo equipaggiamento non letale a ribelli". Il governo di Londra fornirà "equipaggiamento non letale" ai combattenti dell'opposizione al regime di Muammar Gheddafi in Libia. Lo ha rivelato il ministro degli Affari esteri di Londra, William Hague, precisando che si tratta in particolare di strumentazione per le telecomunicazioni. In un comunicato inviato ai parlamentari, il capo della diplomazia britannica ha confermato che l'intervento militare in Libia ha scongiurato "enormi perdite di vite umane e una catastrofe umanitaria". Hague, si legge sul Guardian, ha smentito le voci secondo le quali il governo di Londra sarebbe impegnato nel tentativo di armare i ribelli. "Come ho già spiegato alla camera la scorsa settimana, non stiamo armando le forze di opposizione. Ci stiamo preparando a fornire equipaggiamento non letale, che sarà utile per la protezione di vite umane e la consegna di aiuti umanitari", ha precisato Hague.
(05 aprile 2011)
2011-04-04 LIBIA L'Italia riconosce governo ribelle In Turchia si discute la tregua Il ministro degli Esteri dopo un incontro con l'inviato del comitato di transizione di Bengasi, Ali al Isawi: "È unico interlocutore legittimo". Ad Ankara un emissario di Gheddafi, seguito da uno degli insorti. Governo turco: "Vedremo se c'è terreno comune per cessate il fuoco". Nyt: i figli del raìs stanno tentando una soluzione di mediazione, ma gli insorti rifiutano L'Italia riconosce governo ribelle In Turchia si discute la tregua Ribelli libici accolgono i feriti di Misurata a Bengasi ROMA - "L'Italia riconosce il Consiglio nazionale transitorio di Bengasi come unico interlocutore legittimo e rappresentante del popolo libico". La svolta del governo italiano è annunciata dal ministro degli Esteri Frattini, al termine di un colloquio con il responsabile esteri dell'amministrazione provvisoria di Bengasi, Ali al Isawi. Un riconoscimento che avverrà in maniera formale, ha detto Frattini che nel suo intervento ha parlato anche del problema dell'immigrazione e delle forme di aiuto che il nostro Paese vuole offrire alla popolazione libica. Vengono però dalla Turchia gli sforzi di mediazione più consistenti. Ad Ankara si sono susseguiti prima l'inviato del governo di Tripoli e poi quello di Bengasi, e il governo turco parla di "discussioni per trovare un terreno comune per arrivare a un cessate il fuoco". Sembra invece irricevibile per gli insorti l'ipotesi di compromesso che i figli di Gheddafi stanno tentando di proporre agli alleati della coalizione, con un passaggio dei poteri al "delfino" Saif e l'uscita di scena del colonnello. Rifornimento di armi estrema ratio. Nell'ambito della missione internazionale in Libia "l'estrema ratio sarà quella di aiutare le persone ad autodifendersi, e il rifornimento di armi è un'opzione che non può essere esclusa", ha detto Frattini. "È una questione molto delicata, che dovremo discutere con tutti i partner", ha sottolineato. Il ministro, poi, ha annunciato che per prestare soccorso alla popolazione verranno utilizzati "voli italiani per trasportare i feriti dall'ospedale di Misurata e una nave ospedale". "Credo sia difficile soppiantare l'Italia nel cuore e nelle relazioni storiche con la Libia. La nostra è una risposta al popolo libico, non alla Francia", ha sottolineato Frattini. La Libia non può essere divisa. Bisogna "cooperare per evitare che il cessate il fuoco porti al consolidamento dello status quo della divisione in due della Libia, che è inaccettabile", ha detto Frattini. "Vogliamo avere una Libia unita - ha aggiunto il responsabile della Farnesina - che attraverso il Consiglio Nazionale di Transizione promuova una riconciliazione nazionale". Immigrazione illegale usata come arma. "Il regime di Tripoli usa l'immigrazione illegale come un'arma di pressione nei confronti dell'Europa",ha detto Frattini, nel corso della conferenza stampa. Presto ufficio di rappresentanza a Bengasi. ''Ho già individuato il nome dell'inviato speciale dell'Italia a Bengasi. Inaugureremo molto presto l'Ufficio di rappresentanza italiano (nel capoluogo della Cirenaica) alla presenza del nostro inviato speciale e del Consiglio nazionale transitorio libico'', ha annunciato il ministro degli Esteri, Franco Frattini. ''Abbiamo già a Bengasi alcuni funzionai italiani che operano con enti italiani in diversi settori. C'e' una stabile presenza nell'ex consolato italiano'', ha aggiunto Frattini. Cnt: "Grazie a Italia per sostegno a rivoluzione". "Voglio ringraziare l'Italia per il suo sostegno alla rivoluzione" in Libia e "per aver contribuito a raggiungere la decisione di realizzare la no-fly zone", ha detto il capo del Consiglio nazionale transitorio libico Mustafa Abdul Jalil. "Con il nostro inviato a Roma chiediamo che l'Italia abbia una grande ruolo nell'ambito della missione Nato" per proteggere il popolo libico, ha aggiunto. "Nato ci dia armi o ci liberi da cecchini". "Abbiamo due strade: o la Nato ci aiuta a liberarci dai cecchini sui tetti o ci aiuta ad avere le armi, in modo che siano i nostri combattenti a farlo", ha aggiunto il capo del Consiglio nazionale transitorio libico Mustafa Abdul Jalil, in un'intervista al Tg2 nella sua casa di Bengasi. Trattativa ad Ankara. L'emissario di Tripoli, il viceministro agli Esteri Abdelati Obeidi, è atteso oggi ad Ankara dove "chiederà l'aiuto della Turchia" per arrivare a un cessate il fuoco con i ribelli. Lo hanno dichiarato fonti ufficiali turche. Ieri Obeidi ha incontrato in Gregia il premier Papandreou, a cui avrebbe dichiarato che il "regime sta cercando una soluzione" al conflitto in atto. Dopo il ministro del regime, ad Ankara arriverà un rappresentante del Cnt. Il governo turco ha reso noto che "si discuterà per trovare una base comune per raggiungere un cessate il fuoco". I figli di Gheddafi propongono mediazione, i ribelli rifiutano. Saif e Saadi Gheddafi hanno avanzato una proposta per favorire la risoluzione del conflitto libico e la transizione democratica del paese che potrebbe comportare il ritiro dalla scena del padre, il colonnello Muammar Gheddafi. La transizione sarebbe guidata dallo stesso Saif Al Islam, stando alla trattativa avviata dai due fratelli Gheddafi con i governi occidentali di cui riferisce oggi il quotidiano Usa New York Times, citando un diplomatico e un funzionario libico. Non è chiaro se questa proposta abbia avuto il via libera del colonnello, anche se una persona vicina ai due fratelli Gheddafi ha dichiarato che il raìs ha dato il suo consenso. In ogni caso, i ribelli ribadiscono il loro rifiuto di un compromesso che veda ancora i Gheddafi al potere. Uno dei due figli Gheddafi ha detto molte volte che "le richieste dei ribelli sono le stesse sue". Il Nyt ricorda che Said e Saaid sono ritenuti i figli del colonnello più aperti all'occidente, rispetto invece a Khamis e Mutassim, considerati più intransigenti. La fonte diplomatica ha precisato che le trattative sono ancora nella fase iniziale e ha sottolineato come l'obiezione dei ribelli di Bengasi contro qualsiasi ruolo politico della famiglia Gheddafi nel futuro della Libia sia "la posizione iniziale dell'opposizione". "Le trattative devono ancora cominciare", ha sottolineato. Bombe su campo petrolifero di Misla. Forze fedeli a Muammar Gheddafi hanno bombardato il campo petrolifero di Misla, nell'est della Libia. Lo riferisce il canale satellitare Al Jazira citando testimoni anonimi. Brega, respinte le forze di Gheddafi. Gli insorti libici hanno respinto le forze di Gheddafi fuori dalla città di Brega. Lo riferiscono fonti interne ai ribelli precisando che l'esercito fedele al leader libico si trova adesso fuori dalla porta ovest della città petrolifera. "Gli scontri continuano", ha raccontato alla Reuters uno degli insorti. Nelle scorse settimane la città di Brega, nella parte est della Libia, è passata di mano diverse volte. Evacuati in Turchia i feriti di Misurata e Bengasi. - Caccia delle forze Nato e una nave da guerra turca hanno partecipato a un'operazione condotta da Ankara per evacuare 460 rifugiati feriti durante i bombardamenti a Misurata su una nave ospedale. Il trasporto è avvenuto grazie a un traghetto turco trasformato per l'operazione in un ospedale sul quale sono stati caricati medicinali e aiuti umanitari. Secondo la stampa turca, sono stati recuperate 270 persone a Misurata, che si trova a circa 200 chilometri est da Tripoli e assediata dalle forze del colonello Gheddafi. Altri 190 sono stati recuperati a Bengasi, nella parte orientale del paese e città simbolo dei ribelli insorti. Il traghetto-ospedale, è stato scortato nella sua operazione di soccorso da 12 caccia f-16 e da una nave da guerra turca. Il traghetto ha potuto così accostare nelle acque di Misurata, dopo 4 giorni di attesa. Secondo la stampa turca dovrebbe arrivare oggi a Cesme, sulla costa egea della Turchia. Nato, 58 attacchi in 24 ore. Sono stati 58 gli ''attacchi'' compiuti in Libia dagli aerei operanti sotto il comando Nato durante la giornata di ieri. Lo ha reso noto l'Alleanza Atlantica precisando che le missioni aeree compiute nelle scorse 24 ore sono state complessivamente 154. Da quando la Nato ha assunto il comando delle operazioni in Libia, le missioni compiute dagli aerei alleati sono state in tutto 701: in 276 casi (tra i quali i 58 di ieri) sono stati presi di mira precisi obiettivi, ma ciò non vuol dire - si specifica in un comunicato - che si sia sempre fatto ricorso all'uso delle armi di cui sono dotati i caccia. (04 aprile 2011)
YEMEN Militari fanno fuoco su manifestanti, 15 morti Almeno 409 persone ferite negli scontri È avvenuto a Taez, 200 chilometri a sud di Sana'a. Secondo i testimoni i soldati hanno sparato sulla folla da più parti. Disperso il corteo diretto verso il palazzo presidenziale a Hudaida. Nella capitale, militari proteggono i dimostranti dalla polizia. Secondo il New York Times l'amministrazione Obama non sostiene più il presidente Saleh Militari fanno fuoco su manifestanti, 15 morti Almeno 409 persone ferite negli scontri Le protestea Taez SANA'A - È salito a quindici morti il bilancio degli scontri tra manifestanti anti governativi ed esercito yemenita a Taez, 200 chilometri a sud della capitale Sana'a. Lo hanno riferito fonti mediche, secondo cui soldati yemeniti hanno ucciso 15 manifestanti. Decine di migliaia di persone, hanno riferito testimoni, stavano marciando verso la sede del governo quando i militari hanno cominciato a sparare da più parti. La polizia ha inoltre disperso con cariche e lanci di lacrimogeni un corteo di manifestanti diretto verso il palazzo presidenziale a Hudaida, città dello Yemen affacciata sul Mar Rosso. Fonti mediche hanno riferito che 409 persone sono rimaste ferite negli incidenti. Il bilancio però potrebbe essere più pesante: testimoni hanno raccontato che poliziotti in abiti civili si sono confusi tra i manifestanti e hanno aperto il fuoco. Intanto nella capitale Sana'a soldati dissidenti impediscono agli agenti di polizia di muoversi verso i manifestanti anti-governativi radunati in piazza. I militari hanno protetto dalla polizia i migliaia di dimostranti che chiedono nella capitale la fine del regime del presidente Saleh, al potere da 32 anni. I poliziotti, circa 200, avanzavano verso l'Università dove i dimostranti sono accampati dal 21 febbraio scorso. I militari appartengono alla prima divisione blindata, il cui comandante, generale Ali Mohsen al-Ahmar, ha annunciato il 21 marzo scorso 1 la propria adesione alla protesta. Il presidente Saleh potrebbe presto perdere l'appoggio degli Stati Uniti. Secondo il New York Times, gli Stati Uniti, a lungo sostenitori del presidente yemenita, anche davanti alle sempre più imponenti proteste popolari, dietro le quinte hanno in realtà cambiato posizione e sono arrivati alla conclusione che Ali Abdullah Saleh non sarebbe in grado di realizzare le riforme richieste e dovrebbe pertanto essere allontanato dal potere, rivelano funzionari americani e yemeniti citati oggi dal quotidiano americano. L'amministrazione Obama ha continuato a sostenere in privato Saleh ed ha evitato di criticarlo in pubblico in modo diretto perché è sempre stato considerato un alleato chiave nella lotta contro il terrorismo di Al Qaeda. Atteggiamento che ha attirato critiche a Washington, accusata di essere intervenuta contro il regime in Libia e di non essersi mossa per paesi considerati invece alleati strategici come lo Yemen e il Bahrein. Questa posizione è iniziata a cambiare nell'ultima settimana, spiegano funzionari dell'amministrazione. Non vi sono state aperte pressioni nei confronti di Saleh, ma in privato i rappresentanti dell'amministrazione hanno spiegato agli alleati che ritengono giunto il momento per Saleh di andarsene. (04 aprile 2011)
2011-04-03 LIBIA I lealisti bombardano Misurata Brega ritirata strategica dei ribelli Ancora scontri nella terza città libica assediata dalle forze di Gheddafi. Una persona è morta e molte sono rimaste ferite nel crollo dell'edificio. I ribelli cedono terreno nella città petrolifera a sud di Bengasi I lealisti bombardano Misurata Brega ritirata strategica dei ribelli Muammar Gheddafi TRIPOLI - Ancora una ritirata strategica. I ribelli che combattono il regime di Gheddfai hanno lasciato i loro avamposti di Brega, lo strategico centro petrolifero che si trova lungo la strada fra Tripoli e Bengasi. Dopo che sabato gli Shebab avevano annunciato la riconquista della città 800 chilometri a est della capitale, che segna il fronte dei combattimenti con le forze del Raìs, è stato deciso un ripiegamento strategico imposto dalle imboscate dei cecchini lealisti. In particolare c'erano stati violentissimi scontri a fuoco nella zona dell'università, alla periferia di Brega. Circa 300-400 guerriglieri sono stati visti ritirarsi 10 chilometri più a ovest, in una zona controllata dai ribelli. Intanto le forze fedeli a Muammar Gheddafi hanno continuato a martellare con i loro obici la città di Misurata, dove c'è stato un morto e diversi feriti nel crollo di un edificio. È quanto ha riferito un testimone, spiegando che il palazzo veniva usato per curare i feriti. In poco più di un mese ci sono già stati almeno 160 morti nei combattimenti in quello che ora è l'ultimo bastione dei ribelli in Tripolitania. La terza città libica è assediata e isolata e ai ribelli non arrivano più rifornimenti. Secondo testimoni, le forze governative avrebbero bombardato stamani Yafran, una cittadina circa 100 chilometri a sudovest di Tripoli, in una regione montagnosa: "Ci attaccano da ieri, già due persone sono morte, altre quattro ferite", ha riferito un testimone ad Al Arabiya. (03 aprile 2011)
IL REPORTAGE Negoziati segreti e tradimenti l'ultima battaglia del raìs La guerra in fase di stallo: ribelli e lealisti non riescono a dare il colpo decisivo. La coalizione non accelera: teme che la caduta della capitale porti a un bagno di sangue di BERNARDO VALLI Negoziati segreti e tradimenti l'ultima battaglia del raìs BENGASI - È una tragedia classica. Sembra ricalcata su un testo antico. Manca soltanto il finale. Nessuno sa ancora quale sarà la fine del tiranno. Né chi gli vibrerà l'ultimo colpo, quello decisivo. Politico o fisico. Forse un collaboratore tra i più vicini, giudicato tra i più fedeli. Oppure una tribù che l'abbandona. Il tradimento estremo potrebbe essere ordito anche da un familiare. Nulla è escluso. Soltanto i tempi sono incerti. Nella realtà il sipario non cala a un'ora fissa. Certa è la scena. Tutto ruota attorno al rifugio di Tripoli da dove Muhammar Gheddafi conduce la sua ultima battaglia di raìs. Ieri, poco prima dell'alba, si sono udite sparatorie nelle vicinanze e due testimoni hanno poi giurato di avere visto pozze di sangue sul selciato, presto cancellate. E quando la città si è svegliata ha scoperto che gli uomini armati si erano moltiplicati per le strade. Le armi erano più numerose dei cellulari in una contrada pacifica. Ne erano state distribuite nelle ore precedenti, senz' altro a persone fidate, non ancora incorporate nelle milizie e mobilitate per affrontare un'emergenza ormai estrema. Di miliziani non se ne erano mai visti tanti in giro, sulla Piazza Verde, nel suk della medina, nelle vicinanze della moschea Gurgi o dell'Arco di Marcaurelio. Era il segno evidente che il livello della tensione, del sospetto, della paura si era bruscamente alzato. Il laccio infatti si stringe. Gheddafi lo sente ormai sul collo. Conta poco quel che accade sulla strada tra il Mediterraneo e il deserto, dove lealisti e ribelli si contendono una manciata di città vuote. Che Brega sia ancora nelle mani dei primi (come è ancora adesso), o sia sul punto di essere ripresa dai secondi, ha ormai scarsa rilevanza. I ribelli non hanno la forza di arrivare a Sirte, città natale di Gheddafi e punto strategico di primo piano, e ancor meno a Tripoli; e i lealisti non possono sottomettere la Cirenaica, e conquistare Bengasi dove c'è di fatto un governo provvisorio, con un ambasciatore accreditato, quello francese, e non pochi diplomatici che gli ronzano intorno nell'attesa di imitare Parigi. Un diplomatico italiano è tra questi. Gli aerei occidentali, sotto il comando della Nato, impongono dei confini a quel campo di battaglia, dove non si gioca la partita decisiva. Quel che si aspetta è lo sgretolamento del regime di Tripoli, il suo crollo, e non la conquista militare di Tripoli, che gli occidentali vorrebbero non avvenisse, per evitare vendette e conseguente spargimento di sangue. Per Gheddafi e i suoi non sembra esistere una via di scampo. Tenuto conto del carattere del raìs, non è escluso che il fatto di essere isolato, in un mondo in larga parte ostile, sia per lui una situazione esaltante. Tragica, ma eccitante. Al tempo stesso terribilmente infida. Chi tradisce o chi pensa di tradire tra i cortigiani, tra i fedelissimi che lo circondano? La diserzione di Mussa Kussa, collaboratore fedele per decenni e complice di innumerevoli complotti e delitti, ministro al di sopra di ogni sospetto, è stata per il raìs una pugnalata alle spalle. Non è stata soltanto una fuga. Mussa Kussa ha portato a Londra i segreti del regime e anche vitali informazioni sull'apparato di sicurezza attorno al raìs di Tripoli. Mussa Kussa è senz'altro il più importante dei disertori, ma non è il solo. Rinuncio a elencare ministri ed alti ufficiali passati ai ribelli, perché non sono in grado di distinguere le notizie vere da quelle false, tra quelle diffuse dalle emittenti arabe, o dagli stessi responsabili del Consiglio nazionale di transizione, basato a Bengasi e ad Al Beida. Il clima che regna attorno al raìs è rivelato dai tentativi di prendere contatto con le potenze occidentali. È la prova che si cerca una via d'uscita. Dei ribelli Gheddafi non si fida. Non li vuole come interlocutori. Potrebbero diventare giustizieri. Del resto i ribelli si sono dichiarati pronti a discutere, ma non con Gheddafi. Per questo Seif el Islam, il più ragionevole dei suoi figli, un tempo indicato anche come possibile successore, ha mandato a Londra un amico fidato, Mohammed Ismail, affinché getti le basi per una trattativa. Mohammed Ismail sarebbe già ritornato a Tripoli, e si ignora la disponibilità degli inglesi alle sue proposte. Né si conosce quel che lui, Mohammed Ismail, ha chiesto. La sua destinazione è tuttavia indicativa. La famiglia Gheddafi preferisce avere a che fare con gli occidentali. I quali sono però, almeno sul piano formale, nell'impossibilità di agire in prima persona. Spetta ai libici decidere gli affari interni al loro paese. Al massimo possono essere intermediari (e in quanto tali gli italiani potrebbero avere un ruolo). Non sono gli avvenimenti militari sulla strada litoranea, che fanno comunque salire la (già alta) tensione a Tripoli. È la diffidenza, non certo nuova, che regna all'interno del regime. La sensazione è che il raìs abbia intensificato l'epurazione. Il sostegno su cui poteva contare all'inizio della crisi aveva tre fonti. Anzitutto i Warfalla, i quali sono installati a centottanta chilometri a sud-ovest di Tripoli, e costituiscono la tribù più numerosa del paese. Essi hanno inoltre una forte comunità nella capitale, e occupano posti di rilievo, come professionisti, commercianti e funzionari. Altro sostegno di Gheddafi è la sua stessa tribù, concentrata nella provincia della Sirte a cinquecento chilometri a est di Tripoli. L'alleanza (definita "di sangue") tra Warfalla e la tribù di Gheddafi è precedente al colpo di Stato del '69. È antica e quindi difficile da sciogliere. Gheddafi ha potuto finora contare su quelle tribù e sul loro pregiudizio (a volte ostilità) nei confronti delle altre comunità libiche. In particolare di quella di Misurata. E questo spiega la gagliarda resistenza della popolazione di quel porto mediterraneo assediato da tutte le parti. Per ora Gheddafi si è appoggiato sull'alleanza delle tribù a lui fedeli, che dominano un triangolo con base il Mediterraneo, e una profonda punta nell'interno del paese, dice il giornalista libico Mustafa Feturi. Ed è all'interno di quel triangolo che il raìs vive la sua tragedia. (03 aprile 2011)
2011-04-02 COSTA D'AVORIO Croce Rossa: "Ottocento uccisi a Duekouè" Si torna a combattere ad Abidjan Secondo l'organizzazione è il numero delle vittime delle violenze di martedì. Il paese scosso da una guerra civile fra i sostenitori del presidente uscente Gbagbo e quelli di Ouattara, riconosciuto vincitore delle elezioni presidenziali dalla comunità internazionale. 1400 stranieri rifugiati in una base francese. Denunciate fosse comuni nell'ovest del Paese Croce Rossa: "Ottocento uccisi a Duekouè" Si torna a combattere ad Abidjan Forze leali a Ouattara preparano l'avanzata verso Abidjan GINEVRA - "Almeno 800 persone" sono state uccise martedì scorso in violenze a Duekouè, nell'ovest della Costa d'Avorio. Lo ha reso noto oggi il Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr), citando informazioni raccolte sul posto negli ultimi due giorni da delegati dell'organizzazione. Gli stessi delegati "hanno visto un gran numero di cadaveri", ha affermato la portavoce del Cicr Dorothea Krimitsas. Notizie che arrivano da un Paese scosso da una vera e propria guerra civile, con da una parte i sostenitori dell'uomo forte Laurent Gbagbo, dall'altra quelli di Alassane Ouattara, riconosciuto vincitore delle presidenziali del 28 novembre scorso dalla comunità internazionale il cui risultato non è stato accettato dall'avversario. Sono ripresi oggi ad Abidjan i combattimenti con armi pesanti: le forze fedeli a Ouattara assediano da giovedì sera gli ultimi bastioni del presidente uscente nella capitale economica del Paese, dove è in vigore da ieri un coprifuoco notturno. Colpi di armi pesanti sono state uditi questa mattina attorno alla sede della televisione di stato Rti, alla residenza di Gbagbo e al palazzo presidenziale. Proprio dalla tv di stato, riconquistata ieri dalle forze dell'ex presidente, i militari di Gbagbo hanno lanciato oggi un appello alla mobilitazione delle forze armate del Paese per "proteggere le istituzioni della repubblica". Ieri, il rappresentante in Europa di Gbagbo ha fatto sapere che il presidente uscente non intende lasciare il potere "a un ribelle qualunque", accusando Ouattara di "un colpo di stato post-elettorale sostenuto da una coalizione internazionale". Secondo fonti francesi, Gbagbo si troverebbe ad Abidjan, "all'interno della sua residenza". Da parte sua Ouattara ha denunciato oggi di aver scoperto "numerose fosse comuni" nell'ovest del paese. La resa dei conti tra i due presidenti della Costa D'Avorio ha raggiunto il culmine lunedì scorso, quando Ouattara ha lanciato l'offensiva militare, conquistando il controllo di diverse città, tra cui la capitale Yamoussoukro e il porto strategico di San Pedro, senza incontrare grande resistenza. Diversa invece la situazione ad Abidjan, dove gli uomini di Ouattara non sono ancora riusciti a espugnare i luoghi simbolo del potere di Gbagbo. La violenza dei combattimenti ha indotto 1.400 cittadini stranieri e trovare rifugio nella base francese presente in città. Dalla comunità internazionale sono invece stati lanciati diversi appelli perché Gbagbo lasci la guida del paese. (02 aprile 2011)
LIBIA "Ribelli e civili uccisi in raid della Nato" Londra: "Possiamo armare gli insorti" La replica dell'Alleanza atlantica: "I nostri hanno diritto a difendersi" se qualucno spara contro di loro. Nel Paese arrivano gli operatori umanitari. Uno dei figli dei rais pronto a lasciare il padre? "Ribelli e civili uccisi in raid della Nato" Londra: "Possiamo armare gli insorti" BENGASI - Almeno tredici tra ribelli e civili libici sono rimasti uccisi dopo un raid aereo della Nato alla periferia di Marsa el Brega, terminal petrolifero a sud di Bengasi in cui sono in corso furiosi combattimenti con le forze di Muammar Gheddafi. Nel corso dell'attacco sono stati colpiti quattro veicoli, tra cui un'ambulanza e nove uomini armati più quattro civili sono rimasti uccisi. In precedenza fonti dello schieramento che si batte contro il regime del Colonnello avevano riferito di aver riconquistato la città. La notizia delle vittime tra i ribelli e i civili data dagli stessi insorti arriva dopo le ripetute accuse lanciate dal regime di Tripoli. L'Alleanza atlantica replica che gli arei della Nato hanno diritto "a difendersi" se qualcuno spara contro di loro. La portavoce Oana Lungescu precisa che per la coalizione "è difficile verificare i dettagli esatti" del presunto raid che avrebbe provocato la morte di alcuni civili a Marsa el Brega "perché non ci sono fonti affidabili sul terreno". Quindi sottolinea come "ad attaccare sistematicamente i civili siano le forze pro-Gheddafi". Londra manda intanto un messaggio agli insorti: "La risoluzione dell'Onu non esclude che si possano armare i ribelli, la questione è allo studio e presto prenderemo una decisione" spiega il ministro della Difesa britannico Liam Fox. Che aggiunge: "La coalizione sta molto attenta per evitare che vi siano vittime civili ma Gheddafi è l'unico uomo che può porre fine alla guerra lasciando il potere". E alcuni segnali sembrano far intravedere il disgregamento del potere dei rais. Secondo il britannico Daily Mail Saif al Islam, uno dei figli di Gheddafi, avrebbe cercato di entrare in contatto con l'intelligence britannica e italiana, tanto da alimentare il sospetto che sia pronto ad abbandonare il padre. Per ora il regime ha rimandato al mittente la proposta di cessate il fuoco 1 del Consiglio di transizione di Bengasi. "Non so proprio come altro definirla se non come un'idea folle", ha dichiarato il portavoce del governo, Musa Ibrahim, nella tarda serata di ieri. Sul fronte umanitario si profila, "a brevissimo", l'arrivo in Libia degli operatori dell'agenzie umanitarie per portare sostegno alla popolazione. Lo ha detto il presidente di Unicef Italia, Vincenzo Spadafora, annunciando che nell'ambito della missione è stato affidato all'Unicef il coordinamento dell' azione igienico-sanitaria. "E' molto importante entrare in Libia - ha precisato Spadafora - stiamo aspettando l'ok definitivo, è questione di ore. Un team è già sul luogo per le verifiche delle condizioni di sicurezza". Quando gli operatori umanitari saranno sul campo, l'Unicef metterà a disposizione, fra l'altro, kit per le vaccinazioni e acqua potabile. (02 aprile 2011)
2011-04-01 LIBIA Bbc: "Vittime civili dopo un raid Nato" Ribelli: "Tregua, ma esilio per Gheddafi" Sarebbero sette i morti tra la popolazione dopo un'azione della coalizione. Ancora in stallo la situazione sul terreno, con gli insorti che difendono Brega. Il figlio del raìs Saif manda un inviato a Londra. Voci di negoziati segreti dopo le defezioni, secondo la stampa inglese altri 10 alti funzionari pronti a tradire il rais. Gl i insorti propongono un cessate il fuoco condizionato, ma il regime respinge Bbc: "Vittime civili dopo un raid Nato" Ribelli: "Tregua, ma esilio per Gheddafi" TRIPOLI - Continua incessante la battaglia tra forze fedeli a Muammar Gheddafi e ribelli per il controllo di Marsa el-Brega, strategica località lungo la direttrice che conduce a Bengasi. Lo hanno riferito fonti giornalistiche presenti ad Ajdabiya, un'ottantina di chilometri più a est, senza peraltro poter fornire dettagli sui combattimenti perché gli insorti hanno vietato ai reporter ma anche ai semplici civili di uscire dalla città per raggiungere Brega o la linea del fronte. E continuano anche i raid notturni della Nato, che secondo la Bbc nelle ultime ore avrebbero fatto anche almeno 7 vittime civili, tra cui molti bambini. La coalizione appare ancora divisa sul proseguio delle operazioni. La Germania insiste, con il suo ministro degli Esteri Westerwelle 1, a criticare la "soluzione militare", e gli Usa con il ministro della Difesa Robert Gates raffreddano il dibattito sull'ipotesi di forniture dirette di armi ai ribelli. Ma sul fronte diplomatico tutti gli sforzi sembrano concentrati su Londra, dove da ieri sono in corso i colloqui-interrogatorio di Mussa Kussa, il ministro degli Esteri di Gheddafi che ha defezionato. Sarebbe arrivato nella capitale inglese in gran segreto anche un emissario di Saif Gheddafi, il figlio del colonnello, per negoziare una via d'uscita per il padre. Mentre secondo la stampa britannica sarebbero almeno 10 gli alti funzionari del regime pronti a defezionare. Il ministro del Petrolio hukri Ghanem ha però negato le indiscrezioni secondo cui avrebbe rassegnato le proprie dimissioni. Vittime civili a Brega. Una fonte medica ha dichiarato alla Bbc che un attacco delle forze della coalizione a Zawia el Argobe, 15 chilomentri da Brega, ha causato sette vittime e 25 feriti tra la popolazione. Il raid aveva come obbiettivo un camion che trasportava munizioni, ma l'esplosione del mezzo ha distrutto due abitazioni nei paraggi. Le vittime avevano tutte un'età tra i 12 e 20 anni, ma non ci sono ancora conferme sull'incidente. La Nato ha già aperto un'inchiesta. La situazione al fronte è in stallo. Non è chiaro per dove passi la stessa linea del fronte, dati i continui rovesciamenti. Giovedì i governativi erano riusciti a respingere la controffensiva nemica grazie alle artiglierie pesanti. Per questo i capi della rivolta hanno lanciato un nuovo appello alla coalizione multinazionale affinché lanci ulteriori raid aerei sulle postazioni delle forze di Gheddafi. Secondo Al Jazeera, i raid notturni della Nato avrebbero aiutato i ribelli a guadagnare terreno, ma solo per poco. "Mandano avanti le sentinelle, prima di fare avanzare le loro unità" ha raccontato l'inviata Sue Turton, rimarcando un certo miglioramento di disciplina e coordinamento fra gli uomini del braccio armato del movimento '17 febbraio'. I soldati e le milizie fedeli a Gheddafi però hanno reagito rapidamente con colpi di mortaio che hanno danneggiato diverse auto, costringendo i ribelli alla fuga. All'inizio della settimana le forze dell'opposizione erano già state costrette a ripiegare su Ajdabiya, 150 chilometri a sud di Bengasi, ultimo baluardo dei ribelli sulla via per Bengasi. La guerra civile nella striscia di terra che porta da ajdabiya a Bin Jawad va avanti ormai da settimane. I rivoltosi sono armati principalmente di furgoni pick-up su cui hanno caricato mitragliatrici e lanciagranate, e non sono riusciti a registrare grandi successi nonostante siano passate quasi due settimane dall'avvio dei bombardamenti alleati. Ieri la città di Misurata - sul golfo della Sirte, a circa 210 chilometri da Tripoli - è stata bersagliata pesantemente dalle forze del rais. Ribelli: "Tregua ed esilio", ma Il regime respinge. In una conferenza stampa a Bengasi, i ribelli si sono dichiarati disponibili a un "cessate il fuoco". Tuttavia hanno fissato precise condizioni e hanno avvertito che mai rinunceranno alla richiesta di esilio per Muammar Gheddafi e la sua famiglia. Un punto, questo, su cui hanno insistito anche gli interlocutori britannici dell'intermediario del regime Mohammed Ismail, inviato segretamente a trattare a Londra da Saif al-Islam, secondogenito e virtuale delfino di Muammar Gheddafi. Abdel Jalil ha chiesto che le forze fedeli a Gheddafi "si ritirino e levino l'assedio" dalle località attualmente circondate; e ancora, che siano allontanati i "mercenari" di qualsiasi provenienza. Ma il regime ha respinto l'offerta attraverso le parole di un portavoce di Gheddafi, che ha ribadito che "Le truppe lealiste non lasceranno le città libiche".
L'emissario di Saif a Londra. Un inviato di Seif al Islam, il figlio "riformista" di Muammar Gheddafi, si è recato in segreto a Londra per negoziare un'eventuale exit strategy dalla crisi in Libia. Secondo quanto riferisce il quotidiano britannico Guardian, alcuni responsabili di Londra hanno incontrato Mohammed Ismail, funzionario libico molto vicino al figlio del colonnello. Citando una fonte anonima del governo britannico, il quotidiano ha precisato che l'incontro segreto è stato uno dei tanti organizzati nelle ultime due settimane tra i due paesi e avrebbe riguardato la possibilità di una via di uscita per Gheddafi. Una delle possibili soluzioni che sarebbe stata discussa è quella di costringere Gheddafi alle dimissioni e insediare al suo posto il figlio Mutassim, attuale consigliere per la sicurezza nazionale, con la carica di presidente di un governo di unità nazionale ad interim. "Altri 10 pronti a defezionare". Dopo la fuga di Mussa Kussa in Gran Bretagna, il governo del Regno Unito sarebbe in trattative con altre dieci figure di primo piano del regime libico per organizzarne la defezione. Lo scrive l'Independent. Le voci raccolte dall'Independent suffragano quelle circolate tutto ieri a Tripoli su fughe possibili del capo dei servizi segreti esterni Omar Dudali, del segretario del Congresso del Popolo Mohammed Zwei, del ministro del petrolio Shokriu Ghanem e del numero due di Kussa, Abdul Ai Obeidi, che avrebbe accompagnato il suo capo almeno fino a Tunisi. Intanto Kussa viene interrogato in una località segreta e sicura di Londra da agenti dell'MI6 e diplomatici britannici. Preoccupato per lo stato mentale dell'ex ministro, definito ieri "debole e vulnerabile", il governo Cameron lo ha circondato di personaggi a lui familiari come l'ambasciatore a Tripoli Richard Northern, tornato adesso a Londra dopo la chiusura della missione britannica. L'inviato del Cnt a Roma. E' Ali Abd-al-Aziz al-Isawi l'inviato del Consiglio nazionale transitorio libico, organismo rappresentativo dei ribelli a Muammar Gheddafi, che lunedì incontrerà a Roma il ministro degli Esteri Franco Frattini. Già ambasciatore di Tripoli in India, al-Isawi è stato uno dei primi a voltare le spalle al Colonnello, rassegnando le sue dimissioni il 21 febbraio, pochi giorni dopo l'inizio della Rivoluzione libica. La sua defezione è stata motivata in segno di protesta per la dura repressione delle manifestazioni contro il regime da parte dell'armata verde. Nato nel 1966, è tra i più giovani esponenti del Consiglio dei ribelli, ma ha già guidato il ministero dell'Economia (2007-2009) di Tripoli, un ente per le privatizzazioni e il Centro per lo sviluppo dell'export. All'interno del Consiglio dei ribelli svolge il ruolo di ministro degli Esteri del governo ad interim nominato dagli insorti. (01 aprile 2011)
IL CASO Libia, nuovo strappo della Germania "La crisi non si risolve con mezzi militari" Il ministro degli Esteri Westerwelle dalla Cina ribadisce la posizione controcorrente della Merkel sull'intervento internazionale. "Occorre soluzione politica tramite un cessate il fuoco" dal nostro corrispondente ANDREA TARQUINI Libia, nuovo strappo della Germania "La crisi non si risolve con mezzi militari" Guido Westerwelle BERLINO - Nuovo, duro strappo della Germania del centrodestra di Angela Merkel dalla linea Nato sul caso Libia. Il vicecancelliere e ministro degli Esteri, Guido Westerwelle, in visita in Cina, ha detto che "non è con i mezzi militari che si può risolvere la crisi libica". Westerwelle ha aggiunto che occorre una soluzione politica, la quale secondo lui deve passare da un cessate-il-fuoco, che "anche" Gheddafi dovrebbe rispettare. Le dichiarazioni di Westerwelle, sicuramente accolte con molta soddisfazione a Pechino dove egli si trova, così come a Mosca (due potenze contrarie all'intervento lanciato dalla Nato per salvare i civili libici dai massacri ordinati dal dittatore e dal suo clan) minacciano di creare nuove spaccature e gravi tensioni tra la Germania e i suoi alleati, e difficoltà politiche al campo occidentale. La Germania come è noto si era clamorosamente astenuta al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla risoluzione 1973, quella che autorizzava l'uso della forza e l'istituzione di una no-fly zone per proteggere i civili libici dalla violenza del regime. Berlino aveva votato insieme a Russia, Cina, India e Brasile rompendo il fronte Ue e Nato. All'Onu, hanno scritto i media tedeschi, il vicecancelliere avrebbe addirittura voluto votare contro la risoluzione, e solo la Merkel lo avrebbe in parte frenato, ma senza comunque rinunciare allo strappo con gli alleati. Nei giorni scorsi Westerwelle aveva rincarato la dose parlando di rischio di "avventura militare di lunghezza incalcolabile" e di "escalation". Le prese di posizione non hanno risparmiato al centrodestra tedesco la disfatta elettorale di domenica scorsa nel Baden-Wuerttemberg e nella Renania-Palatinato. (01 aprile 2011)
LA RIVOLTA Siria, migliaia di nuovo in piazza Scontri e morti a Damasco e Homs Ancora manifestazioni contro il governo in diverse città. Nella capitale, duemila persone chiuse nella moschea degli Omayyadi, dove agenti hanno sparato gas lacrimogeni. Gruppi armati sparano contro civili e polizia. Manifestazioni anche a Homs, Daraa, Latakia e Banias Siria, migliaia di nuovo in piazza Scontri e morti a Damasco e Homs DAMASCO - Ancora manifestazioni contro il regime in varie città della Siria. E secondo l'emittente Al Arabiya dieci persone sarebbero rimaste uccise. L'agenzia di stampa ufficiale siriana Sana smentisce, mentre altre fonti parlano di tre morti. E' una nuova giornata di protesta, partita da una mobilitazione via social network, dove dissidenti e attivisti si sono dati appuntamento "in tutte le moschee del Paese" per dirigersi, dopo la preghiera del venerdì, "verso le piazze pubbliche per occuparle in modo pacifico". In serata, nel sobborgo di Duma e nella città di Homs, alcuni gruppi armati hanno sparato contro cittadini e forze dell'ordine, e nella città di Homs (180 km a nord di Damasco) causando diversi morti e feriti. Circa duemila dimostranti sono stati rinchiusi all'interno della grande moschea degli Omayyadi, nel cuore della città vecchia di Damasco, da agenti in borghese giunti in forze a presidiare la zona, teatro due settimane fa di analoghe manifestazioni non autorizzate. Qui una persona sarebbe rimasta uccisa. Gli agenti, hanno raccontato testimoni sul posto, hanno sparato gas lacrimogeni. E colpi di arma da fuoco sono stati anche uditi nei pressi della moschea al Rifai in un sobborgo di Damasco, Kfar Suse, dove si erano radunati altri dimostranti: lo riferiscono testimoni oculari citati dai siti di monitoraggio Rassd e NowSyria, che trasmettono anche su Twitter. A migliaia oggi sono scesi in piazza oggi a Daraa, nel sud della Siria, epicentro delle proteste anti-regime in corso da oltre due settimane, scandendo slogan contro il Baath, di fatto partito unico da mezzo secolo. Migliaia di persone, secondo al Arabiya di fede sia musulmana che cristiana, si sono radunate nel centro di Homs, di fronte alla principale moschea della città. Manifestazioni per chiedere la fine del regime di Bashar Assad si sono svolte anche a Latakia e Banias. In Siria il regime baathista è al potere da quasi mezzo secolo e la famiglia presidenziale al Assad è ai vertici del sistema da 40 anni. Le manifestazioni del venerdì 18 marzo scorso si erano concluse con l'arresto, il ferimento e l'uccisione di un numero imprecisato di manifestanti, in particolare a Latakia, porto a nord-ovest di Damasco, nella stessa capitale, a Homs e a Dayr az-Zor. (01 aprile 2011)
AFGHANISTAN Rogo del Corano negli Usa, esplode la protesta Assalto a Sede Onu: 20 vittime, due decapitate I manifestanti hanno attaccato la sede dell'Organizzazione a Mazar-i-Sharif. Probabile presenza di talebani tra la folla. A scatenare la violenza, le proteste per il rogo del Corano messo in atto da un religioso in Florida. Due delle vittime sarebbero state decapitate. La Farnesina: "Sgomento e preoccupazione" Rogo del Corano negli Usa, esplode la protesta Assalto a Sede Onu: 20 vittime, due decapitate KABUL - Una giornata di tensione in Afghanistan, dove è esplosa la protesta in seguito a un rogo in cui, lo scorso 21 marzo, un pastore americano ha bruciato una copia del Corano, a suo dire "responsabile di crimini contro l'umanità". Il fatto più tragico nella città settentrionale di Mazar-i-Sharif, dove potrebbero salire a venti le vittime in un attacco alla sede dell'Onu. In un primo momento si era parlato di dodici vittime, ma il numero sembra destinato ad aumentare. Tra queste almeno sette stranieri, impiegati delle Nazioni Unite. Due delle vittime, secondo fonti della polizia, sarebbero state decapitate. Tra i morti alcuni soldati Gurkha nepalesi, impiegati per la sicurezza Secondo il governatore provinciale, cinque dei morti sono manifestanti afghani. Il governatore afferma anche che la responsabilità della strage è di talebani armati, che si sono mescolati ai manifestanti. I fondamentalisti sono entrati in azione con le armi che nascondevano indosso quando il corteo è giunto davanti alla sede dell'Onu. IL VIDEO 1 Era stato il pastore americano Wayne Sapp, poco più di una settimana fa, a inscenare in Florida un "processo" al testo sacro dell'Islam, giudicato alla fine "colpevole" di crimini contro l'umanità. Ad aiutarlo nella messa in scena, la cui notizia si era diffusa rapidamente nel mondo, il controverso reverendo Terry Jones, figura già all'attenzione delle cronache nel settembre scorso, quando annunciò di voler bruciare il Corano in occasione dell'anniversario dell'11 settembre. Salvo poi ripensarci dopo le enormi pressioni internazionali, compresa quella del presidente americano Barack Obama. L'attacco alla sede Onu è avvenuto al termine di una marcia di protesta a Kabul. I manifestanti, alla fine delle preghiere del venerdì, hanno anche bruciato una bandiera a stelle e strisce. Uno dei dimostranti ha riferito che l'invito a scendere in strada contro il rogo del Corano era stato rivolto direttamente dal mullah durante il suo sermone. Duecento persone hanno manifestato davanti all'ambasciata degli Stati Uniti gridando "Morte all'America" e dando fuoco a una bandiera Usa. Ma la violenza in Afghanistan continua ad esplodere in più zone. Duri scontri sono avvenuti negli ultimi due giorni nella provincia orientale di Kunar, al confine con il Pakistan, in cui sono rimasti uccisi sei militari Usa della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza, e 25 talebani. Il ministero degli Esteri in un comunicato esprime "sgomento e preoccupazione per un attentato che ha causato la perdita di vite innocenti, fra dipendenti delle Nazioni Unite e manifestanti, un episodio drammatico che condanniamo fermamente". La condanna di Obama e Ban Ki-moon. "Condanno nei termini più forti l'attacco contro l'Ufficio Assistenza delle Nazioni Unite oggi in Afghanistan", ha detto il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, "Il loro lavoro è essenziale per creare un più forte Afghanistan per il beneficio di tutti i cittadini". Poco dopo gli avvenimenti, anche Il segretario generale delle nazioni Unite Ban ki-moon ha condannato l'attacco: "Si tratta di un atto rivoltante e vile contro personale dell'Onu, che non si può giustificare in alcun modo. La condanno nei termini più forti". (01 aprile 2011)
GUERRA CIVILE La costa d'Avorio è in fiamme "L'ultimo attacco a Laurent Gbagbo" I racconti di un commerciante italiano e un sacerdote da Abidjan. "Sparano cannonate". I sostenitori di Ouattara occupano la sede della Tv. Assediata la casa del presidente uscente che denuncia: "Sono vittima di un complotto Usa-Francia". Preso il porto di S. Pedro, luogo nevralgico per il cacao di CARLO CIAVONI La costa d'Avorio è in fiamme "L'ultimo attacco a Laurent Gbagbo" ABIDJAN - "Sparano come pazzi. Anche col cannone. Tremano le pareti. Lo hanno fatto per tutta la notte. Sono chiuso in casa, non ho coraggio di affacciarmi alla finestra. Anche adesso, non accennano a fermarsi un attimo. Hanno attaccato la sede della televisione e stanno facendo la stessa cosa al palazzo presidenziale di Gbabo. Ma io resto chiuso in casa..." E' la testimonianza di Salvatore Zarlengo, un operatore commerciale italiano, da anni ad Abidjan per lavoro, che ha contattato Repubblica.it per dare la sua testimonianza diretta su quanto sta accadendo in Costa d'Avorio. Un'altra testimonianza. "Sono arrivati stanotte, verso l'una e mezza. Le cannonate hanno fatto vibrare i palazzi. Ci siamo svegliati di soprassalto. Poi hanno continuato con le mitraglie". E' invece il racconto di padre Dario Dozio, provinciale della società Missioni Africane, alla MISNA 1. "Lo avevano annunciato e ci sono riusciti - prosegue il religioso- Pare che l'attacco sia partito dai quartieri di Cocody e Plateau, dove c'è la residenza di Gbagbo e il palazzo presidenziale. Il nostro quartiere (Abobo Doumè - Yopougon) è ancora nelle mani dei patrioti e di miliziani non bene identificati", aggiunge il missionario. "Tutt'intorno - continua padre Dozio- si vedono miliziani armati, ma che non sembrano appartenere nè all'uno nè all'altro schieramento". Combattimenti furiosi. Sono notizie che non fanno che confermare tutte le altre in arrivo da diverse fonti di informazione. Tutte parlano di "furiosi combattimenti", tra i gruppi armati che fanno capo al presidente uscente, Laurent Gbagbo - accusato dal suo antagonista, Alassane Ouattara e dalla comunità internazionale di aver manipolato a suo favore l'esito delle elezioni del novembre scorso - e la fazione fedele a quello che viene invece indicato come il reale vincitore della competizione elettorale. Ouattara, appunto. Negli ultimi due giorni, le cosiddette Forze repubblicane, fedeli al presidente considerato vincente sono arrivate nel Sud del Paese, conquistando il porto di San pedro, il più importante porto del mondo per l'esportazione del cacao e punto nevralgico dell'economia della Costa d'Avorio. Nel mirino dei "Cecos". Gli scontri attualmente sono in corso a Cocody, quartiere residenziale nella parte nord di Abidjan, dove si trova la residenza ufficiale di Laurent Gbagbo: le forze fedeli al suo avversario, dopo aver conquistato anche la sede della televisione di Stato hanno lanciato l'assalto alla roccaforte di Gbagbo, difesa dalle unità di élite della Guardia Repubblicana e dei commando chiamati 'Cecos'. "La residenza di Gbagbo è sotto attacco", ha confermato Patrick Achi, portavoce del governo 'parallelo', nominato da Ouattara". Testimoni oculari hanno poi riferito che intorno al complesso "c'è un'intensa sparatoria, i punti di fuoco provengono da quattro o cinque direzioni diverse, e continua ad arrivare di continuo tanta gente armata". Aumentano a vista d'occhio. I miliziani di Ouattara sembrano aumentare di numero e in possesso di armi sempre più potenti, man mano che la battaglia aumenta d'intensità. Un appoggio di massa, insomma (sebbene non si capisce armato da chi) per appoggiare i gruppi armati sul teatro di quella che potrebbe essere la battaglia finale per il potere nel Paese dell'Africa occidentale, primo produttore mondiale di cacao. C'è chi sostiene, tra gli abitanti della zona vicina alla residenza presidenziale, di aver visto cortei con due-tremila persone a piedi dirigersi verso la casa di Gbagbo, "seguite da decine di veicoli con i fari accesi". L'esodo biblico e pallottole vaganti. Gli scontri armati hanno provocato già molte vittime tra la popolazione civile. Le agenzie hanno dato conto della morte di una funzionaria dell'Onu di nazionalità svedese, uccisa da un proiettile vagante e di un professore di nazionalità francese ucciso nella sua camera di albergo a Yamoussoukro, città a nord ovest di Abidjan dove gli scontri sono stati particolarmente violenti. Il docente, secondo fonti d'informazione francesi, potrebbe essere stato colpito - anche lui - da una pallottola vagante. La guerra civile, intanto, ha dato il via ad un vero e proprio esodo di massa dalla capitale, sia verso i villaggi all'interno del Paese, ma anche verso Ovest, in direzione del confine con la Liberia e ad Est verso il Ghana. L'UNHCR ha calcolato che a fuggire non siano meno di un milione di persone. "Negli ultimi due giorni, le Forze repubblicane di Alassane Ouattara sono arrivate nel Sud, conquistando il porto di San Pedro, il più importante porto al mondo per l'esportazione del cacao e luogo nevralgico per l'economia nazionale ivoriana. I soccorsi della Caritas. "Qui, nella regione di Gran Gedeh - dice Mike Jurry, direttore di Caritas nel Sud Est della Liberia, uno dei paesi più coinvolti dall'esodo di civili in fuga dai combattimenti - forniamo assistenza a circa 30 mila persone, ma in tutto il paese, dall'inizio della crisi, ne sono arrivate almeno 120 mila. Cibo, acqua ma anche generi di prima necessità, per quanto possibile. All'inizio, tra i mesi di gennaio e febbraio - ha detto ancora Jurry - erano soprattutto donne e bambini ad arrivare, dopo qualche giorno di cammino. Ad attraversare la frontiera, oltre alle donne, sono anche gli uomini, spesso feriti da arma da fuoco". Solo la notte scorsa, 95 uomini si sono presentati presso le locali strutture della Caritas, cercando riparo, "ma temiamo - dice - che i profughi siano molto di più. Le persone che arrivano dai villaggi sono profondamente traumatizzate. Hanno subito delle violenze o si sono visti uccidere dei familiari sotto gli occhi". "Gbagbo ha le ore contate". "Non credo che Laurent Gbagbo sia capace di resistere più a lungo, con tutte le defezioni nei suoi ranghi. Ha un istinto suicida, s'impegna in una strada senza uscita ed è condannato ad essere cacciato". Lo ha dichiarato alla France Presse una portavoce di Ouattara. "Se vuole darsi alla macchia, sarà trattato come un fuggitivo" ha aggiunto, senza fornire dettagli sulla situazione attuale negli scontri. Intanto, fonti ufficiali della Farnesina ha dichiarato che "tutti gli italiani presenti nel Paese, qualche centinaio, sono in costante contatto con l'ambasciata italiana ad Abidjan". "Ouattara golpista fantoccio di Usa e francesi". "Il presidente Gbagbo non ha intenzione di abdicare o arrendersi ad un qualsiasi ribelle - ha dichiarato Alain - Si trova davanti a un colpo di Stato post-elettorale di Alassane Ouattara, che è sostenuto da una coalizione internazionale. Si parla di una guerra ivoriana, ma in realtà c'è un conflitto regionale - ha aggiunto - Ouattara ha l'appoggio di mercenari e soldati venuti dal Burkina Faso e anche dal Mali, dalla Nigeria..". A fianco di questo sostenitori africani, sempre secondo Alain, "c'è una coalizione internazionale guidata dalla Francia e dagli Stati Uniti, che portano equipaggiamento, intelligence e armi. Ouattara è stato presentato come un democratico, ma è un signore della guerra, come noi abbiamo sempre detto", ha aggiunto. L'inizio della crisi. Ha origine dalle elezioni del 28 novembre scorso. La vittoria elettorale di Alassane Ouattara, con il 54% dei voti, è stata proclamata il 2 dicembre 2010 dalla commissione elettorale. Ma il giorno successivo, il Consiglio Costituzionale ha invalidato il risultato in sette province, proclamando vincitore il presidente in carica, Laurent Gbagbo, che ha quindi deciso di rimanere al potere. La comunità internazionale ha però riconosciuto la vittoria di Ouattara, che si è inizialmente asserragliato nel Golf Hotel di Abidjan, protetto da 800 dei 10mila caschi blu dispiegati in Costa d'Avorio nell'ambito della missione di pace. Ouattara ha anche nominato primo ministro Guillame Soro, capo dell'ex gruppo ribelle Forze Nuove. Le continue intimazioni a Gbagbo. Sono quindi iniziate una serie di esortazioni, da parte dell'Unione africana, dall'Onu, dell'UE e dalla Francia (ex potenza coloniale) ed è stata avviata una mediazione, affidata a diversi presidenti africani, che hanno offerto a Gbagbo un'aministia in cambio della sua uscita di scena. Sia dalla Francia, che dagli Stati Uniti e l'Onu, sono giunti inviti perché Gbagbo si facesse da parte e l'Ue ha varato sanzioni nei suoi confronti. Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha rinnovato di sei mesi il mandato della missione di pace, ignorando il fatto che Gbagbo avesse intimato ai caschi blu di lasciare il paese. Intimazione inutilmente rivolta anche ai 900 uomini della missione militare francese Licorne, che agisce in maniera distinta ma complementare alle forze di pace dell'Onu. Eppure ci furono 30 anni di stabilità. Il paese dell'Africa occidentale è stato un esempio di stabilità dopo i primi 30 anni di indipendenza, con la presidenza di Felix Houphouet-Boigny. La crisi ebbe inizio con il colpo di Stato che nel 1999 rovesciò il successore di Houphouet-Boigny, Henri Bediè. Si accesero così delle rivalità di tipo etnico, peraltro mai manifestatesi prima, tra una maggioranza musulmana al Nord e le comunità cristiane prevalenti nel Sud del paese. Gbagbo fu eletto nel 2000, dopo una consultazione elettorale dalla qu ale venne escluso Ouattara (ex primo ministro) per una sua presunta origine straniera. Gbagbo sopravvisse nel 2002 al colpo di Stato che portò alla guerra civile e alla divisione del paese. Nel 2007 un accordo di pace ha portato al governo i ribelli settentrionali di Guillame Soro, con i quali si è poi alleato Ouattara. Le elezioni presidenziali, svoltesi in due turni a ottobre e novembre, avrebbero dovuto completare il processo di pacificazione, sei rinvii dalla scadenza del mandato di Gbagbo nel 2005. (01 aprile 2011)
2011-03-30 ffonda un gommone muoiono 11 migranti La tragedia è avvenuta durante il viaggio dal Nord Africa alla Sicilia. I sopravvissuti sono stati portati a Lampedusa di FRANCESCO VIVIANO Affonda un gommone muoiono 11 migranti Uno dei sopravvissuti all'affondamento del gommone LAMPEDUSA - Erano in 17, si sono salvati in sei. È finito in tragedia l'attraversamento del Canale di Sicilia da parte di un gommone con a bordo ghanesi e nigeriani. Il gommone è affondato e undici migranti, fra i quali un bambino, sono annegati. Gli altri sei sono stati salvati. VIDEO L'arrivo dei sopravvissuti a Lampedusa L'imbarcazione era partita cinque giorni fa dalle coste libiche ma, per cause ancora da chiarire, durante la navigazione è affondata. I sopravvissuti sono stati salvati da un peschereccio egiziano. Sono poi passati su una nave e infine trasferiti su una motovedetta che li ha condotti a Lampedusa. Uno dei naufraghi era disidratato e quasi privo di sensi. Per questo è stato immediatamente trasportato al pronto soccorso. (30 marzo 2011)
LIBIA I ribelli arretrano e perdono Brega Gheddafi, ipotesi esilio in Uganda Tra le soluzioni del vertice a Londra, il possibile trasferimento del Rais. Incontri tra il ministro degli esteri libico e funzionari francesi, mentre il paese africano si dice disponibile ad accogliere il Colonnello. Ma si comincia a parlare anche della possibilità di armare i ribelli. Sul fronte, ribelli costretti a ripiegare: i lealisti riprendono il terminal petrolifero di Brega I ribelli arretrano e perdono Brega Gheddafi, ipotesi esilio in Uganda ROMA - Il fronte dei ribelli libici arretra di nuovo, dopo le riconquiste degli ultimi giorni. "Abbiamo deciso di effettuare una ritirata per motivi tattici dalla citta' di Ras Lanuf, lungo la via che porta a Brega", dichiarano gli oppositori. Ma potrebbe essere a rischio perdita anche l'importante terminal petrolifero di Brega, snodo chiave nella logistica della battaglia, anche se stamattina i caccia della coalizione sono intervenuti in zona, effettuando raid contro i carri armati delle truppe fedeli al regime nella zona di Uqaylah, tra Ras Lanuf e Brega. "Abbiamo deciso di posizionarci in questa zona", spiegano i ribelli, "per creare difficoltà alla linea di rifornimento delle brigate di Gheddafi, costringendole a esporsi ai raid aerei alleati, per poi riprendere l'offensiva". Ancora attacchi a Misurata e Ajdabiya. La città di Misurata ha nuovamente subito gli attacchi dei miliziani del rais, che utilizzano razzi e cannoni dei carri armati, e sono i 18 le vittime dei bombardamenti di ieri. Anche Ajdabiya, a 16 km dalla costa mediterranea e a 154 km da Bengasi, è esposta al fuoco del regime. Nel pomeriggio si è diffusa la notizia di un'avanzata delle truppe del colonnello verso la città di Brega, mossa che avrebbe spinto intere famiglie del posto a una fuga proprio in direzione di Ajdabiya. Un raid aereo contro le forze pro-Gheddafi è stato lanciato nel pomeriggio a ovest di quest'ultima città, ma le forze di Gheddafi hanno disseminato mine anti-uomo e anti-veicolo nei dintorni della zona urbana. Due dozzine di mine anti-veicolo e circa tre dozzine di mine anti-uomo sono state trovate nella periferia orientale dove vivono circa 100.000 persone. Intanto a Misurata è stata posto fine al blocco del porto di Misurata imposto dalle forze pro-Gheddafi, consentendo così l'arrivo di aiuti via mare e l'evacuazione di feriti. I rivoltosi libici hanno chiesto alla coalizione internazionale di attaccare le truppe di Gheddafi con nuovi raid aerei su Ras Lanuf, il terminal petrolifero riconquistato dai lealisti. I ribelli hanno chiesto inoltre di essere riforniti di armi leggere per poter continuare a combattere, mentre all'interno della coalizione si è aperto il dibattito sull'ipotesi, che vede l'Italia scettica, di armare gli insorti. Armi agli insorti. Il dibattito nella coalizione sull'eventualità di armare i ribelli è rovente. Arriva in giornata la dichiarazione del ministro degli Esteri libico, Moussa Koussa, secondo cui l'ipotesi di fornire armi ai ribelli sarebbe "Una palese violazione delle risoluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu, ed equivarebbe a prestare aiuto ai terroristi", quest'ultimo uno dei termini che il regime usa per indicare gli insorti. Il governo libico ha anche annunciato chefarà causa a qualsiasi azienda internazionale che concluderà affari con i ribelli nel settore dell'energia. Sulla questione interviene anche Rasmussen, segretario generale della Nato: "La Nato è per proteggere civili, non per armarli". Secondo Rasmussen, "La risoluzione dell'Onu parla chiaro: chiede l'imposizione di un embargo sulle armi, e noi dunque siamo là per proteggere le popolazioni e non per armarle". Anche la Lega Araba ha preso oggi le distanze dalla proposta di armare i ribelli contro Gheddafi, e un no arriva anche da Belgio e Norvegia. Il presidente Usa Barack Obama appare invece possibilista: Si stanno esaminando tutte le possibilità in campo per fornire supporto al popolo libico in modo da avere una transizione verso un Paese più stabile e pacifico", ha detto Obama. Anche il premier britannico ha detto che la possibilità di armare i ribelli non è esclusa, seppure nessuna decisione in questo senso sia stata presa. Mentre i ribelli lamentano una mancanza di armi, si interviene sulle risorse di Gheddafi: l'Olanda ha congelato beni riconducibili al leader libico per un valore di 3,1 miliardi di euro, in conformità alle sanzioni economiche decise dall'Unione europea: lo ha annunciato il ministero delle Finanze olandese. Esilio per Gheddafi? Il messaggio di Obama sul destino del rais è chiaro: "Ci aspettiamo che Gheddafi ceda e lasci il potere. Oltre ad aver imposto una no-fly zone puntiamo a proteggere i civili con una serie di strumenti politici e diplomatici, come le sanzioni, tutti elementi che puntano a porre fine al regime libico". E si profilano ipotesi su un esilio del rais, visti anche i movimenti del ministro degli Esteri libico Kussa, che avrebbe incontrato ieri in Tunisia dei funzionari francesi. L'indiscrezione potrebbe avvalorare l'ipotesi di un possibile trattativa in corso per una soluzione al dopo-Gheddafi, che vedrebbe Kussa tra i mediatori. E tra gli stati pronti ad accogliere il Colonnello c'è in prima fila l'Uganda: Il portavoce del presidente Yoweri Museveni, ha espresso disponibilità del suo Paese a ospitare il rais in un eventuale esilio. In questo contesto, il ministro degli Esteri francese Alain Juppè, ha parlato di "prime defezioni" nell'entourage di Gheddafi. Defezioni nel regime. Il ministro degli Esteri libico, Moussa Koussa, avrebbe lasciato il Paese: lo ha riferito l'emittente televisiva pan-araba 'al-Jazira', citando proprie fonti non meglio specificate. L'emittente ha anche precisato che il ministro s'è rifugiato a Londra. A Bengasi, principale roccaforte degli insorti, l'indiscrezione diffusa dalla televisione con sede nel Qatar è stata accolta da scene di giubilo: la folla assiepata davanti a un maxi-schermo allestito nella principale piazza cittadina ha applaudito ed esultato, considerandola un segnale di cedimento del regime di Muammar Gheddafi. In giornata il ministro degli Esteri francese, Alain Juppè, aveva affermato che all'interno della cerchia più ristretta di Gheddafi si starebbero registrando "le prime defezioni". Fonti dell'opposizione libica citate dall'emittente televisiva in lingua araba al Arabyia avrebbero confermato che il ministro degli esteri libico si è rifugiato nella capitale inglese. Era di poche ore fa la notizia, attribuita a fonti del governo tunisino, che Koussa ieri aveva incontrato a Djerba funzionari del governo francese. Koussa era arrivato lunedì in Tunisia attraverso il valico di frontiera di Ras Jedir in una visita che era stata descritta come "privata" dal ministero, degli Esteri tunisino.
Domani conferenza stampa della Nato. Il generale canadese Charles Bouchard, responsabile delle operazioni della Nato in Libia terrà domani alle 14, nella sede del "Joint Force Command' della Nato a Napoli una conferenza stampa sull'andamento della missione "Unified Protector" e anche l'embargo navale e la "No fly zone" sulla Libia. Il ministro degli Esteri italiano La Russa ha espresso l'aspettativa che "la Nato nel conflitto non si schieri con nessuna delle parti in causa". Intanto, anche la Bulgaria si aggiunge alle forze della coalizione, malgrado le critiche all'operazione espresse solo pochi giorni fa dal premier Boris Borisov. (30 marzo 2011)
Diretta Libia, ipotesi armi ai ribelli Insorti in ritirata verso est Libia, ipotesi armi ai ribelli Insorti in ritirata verso est La conferenza di Londra si chiude con lo scenario di un possibile esilio del rais di Tripoli. L'Uganda dà la sua disponibilità ad accoglierlo. Ma si comincia a parlare anche della possibilità di armare i ribelli. Obama: "In esame ogni ipotesi per fornire supporto al popolo libico". Francia concorde, per l'Italia occorrerebbe una nuova risoluzione Onu. La Russia si oppone. Anche a Washington acceso dibattito. Napolitano dagli Stati Uniti: con l'intervento "è stata fatta la scelta giusta". Sul fronte ribelli costretti a ripiegare: i lealisti riprendono Ras Lanuf e, secondo fonti degli insorti, anche il terminal petrolifero di Brega (Aggiornato alle 19:02 del 30 marzo 2011) 19:02 Regime libico espelle giornalista Reuters 50 – Il regime di Tripoli ha espulso un corrispondente della Reuters, Michael Georgy, che lavorava nella capitale libica sin dal 28 febbraio. "Deploriamo la decisione delle autorità libiche di espellere il nostro corrispondente e anche il fatto che non sia stata fornita alcuna spiegazione per la sua espulsione", ha commentato il Direttore della Reuters, Stephen Adler 19:00 Frattini, colloqui con partner della coalizione 49 – Gli argomenti della conferenza di Londra sulla Libia sono stati oggetto di alcuni contatti telefonici avuti oggi dal ministro Frattini con i partner della coalizione. In particolare Frattini ha avuto un colloquio con il Ministro degli Esteri tedesco Westerwelle e con il Primo Ministro e Ministro degli Esteri del Qatar, lo sceicco al Thani. 18:52 Frattini: "Gheddafi in Italia? Escluso" 48 – Il ministro degli Esteri Franco Frattini respinge l'ipotesi che Muammar Gheddafi possa venire in esilio in Italia. "Lo escludiamo categoricamente", ha risposto infatti il titolare della Farnesina ieri in un'intervista concessa alla Bbc 18:51 Ajdabiya di nuovo sotto attacco di Gheddafi 47 – La città di Ajdabiya, a 16 km dalla costa mediterranea e a 154 km da Bengasi, è nuovamente sotto l'attacco delle truppe fedeli al colonnello Muammar Gheddafi. E' quanto riferisce la Bbc, che cita alcuni testimoni. Nel pomeriggio si è diffusa la notizia di un'avanzata delle truppe del colonnello verso la città di Brega, mossa che avrebbe spinto intere famiglie del posto a una fuga proprio in direzione di Ajdabiya. 18:44 Ministro degli Esteri libico, incontro con funzionari francesi 46 – Il ministro degli esteri libico, Mussa Kussa, avrebbe incontrato ieri a Djerba, in Tunisia, funzionari francesi. Lo riferisco alcuni siti online, citando dichiarazioni rilasciate da fonti tunisine all'agenzia tedesca Dpa, senza rendere noti ulteriori dettagli sui contenuti dei colloqui. L'incontro sarebbe avvenuto in un hotel sull'isola tunisina. Un'indiscrezione che potrebbe avvalorare l'ipotesi di un possibile trattativa in corso per una soluzione al dopo-Gheddafi che vedrebbe Kussa tra i mediatori. 18:43 Frattini: "Da Berlusconi umana pietas per Gheddafi" 45 – Il ministro degli Esteri Franco Frattini intervistato ieri dalla Bbc in occasione della conferenza di Londra ha dichiarato che "Silvio Berlusconi ha avuto verso il colonnello Gheddafi un moto di "umana pietas" quando ha detto di sentirsi addolorato per lui". Secondo Frattini il premier "ha fatto una distinzione tra gli orribili crimini che Gheddafi ha commesso e un senso di pietà che va riservato ad ogni essere umano". 18:16 Ministro Esteri libico: "Armi agli insorti sarebbe terrorismo" 44 – Il ministero degli Esteri libico ha bollato l'ipotesi di fornire armi agli insorti come una palese violazione delle risoluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu, sottolineando inoltre che ciò equivarebbe a prestare aiuto ai "terroristi" 17:47 Olanda, congelati beni di Gheddafi per 3,1 miliardi di Euro 43 – L'olanda ha congelato beni riconducibili al leader libico per un valore di 3,1 miliardi di euro, in conformità alle sanzioni economiche decise dall'Unione europea: lo ha annunciato il ministero delle Finanze olandese. 17:46 Caccia francesi, colpito un sito di missili anti-aerei 42 – I caccia francesi hanno colpito ieri "un sito di missili anti-aerei" del regime di Muammar Gheddafi a un centinaio di chilometri a sud-ovest di Tripoli: lo scrive oggi lo Stato maggiore dell'esercito sul sito internet del ministero della Difesa francese 17:28 Nato, via al trasferimento del comando 41 – La Nato ha annunciato di aver Iniziato ad assumere il comando delle operazioni in Libia, fino ad ora in mano statunitense: il trasferimento delle responsabilità dovrebbe procedere "gradualmente" e dovrebbe terminare domani mattina. 17:04 Raid aereo contro milizie vicino Ajdabiya 40 – Un raid aereo contro le forze pro-Gheddafi è stato lanciato poco meno di un'ora fa a ovest di Ajdabiya. 17:03 "Brega ripresa da Gheddafi" secondo i ribelli 39 – Le forze di Gheddafi hanno ripreso oggi la città di Brega, nell'est della Libia. Lo hanno riferito all'Afp fonti vicine ai ribelli ad Ajdabiya. 16:27 Lega Araba, nssuna intenzione di armare i ribelli 38 – La Lega Araba ha preso oggi le distanze dalla proposta di armare i ribelli contro Gheddafi formulata ieri dal Gruppo di contatto sulla Libia a Londra. 16:20 Germania agli Usa: "Noi non chiudiamo gli occhi" 37 – La Germania nega di essere una delle nazioni accusate dagli Usa di chiudere gli occhi davanti ai ribelli libici che lottano per rovesciare il regime del colonnello Gheddafi. "Credo sia sufficientemente evidente che la Germania sta prestando attenzione", ha affermato Christoph Steegmans, un portavoce del governo di Berlino, replicando alla richiesta di un commento alle affermazioni del presidente Usa Barack Obama che ieri aveva affermato che, "ci sono nazioni capaci di chiudere gli occhi davanti alle atrocità commesse in altri Paesi", aggiungendo che "gli Stati Uniti sono diversi". 16:18 Miliziani del rais a Uqaylah, im narcia verso Brega 36 – Le brigate fedeli a Muammar Gheddafi hanno raggiunto la cittadina di Uqaylah, a est di Ras Lanuf, e si dirigono verso Brega, importante terminal petrolifero della Ciranaica. Questa mattina i ribelli avevano ripiegato su Ras Lanuf, non riuscendo a fermare l'avanzata delle truppe di Gheddafi. 16:07 Juppè, prime defezioni in entourage Gheddafi 35 – Il ministro francese degli Esteri,Alain Juppè, ha parlato di "prime defezioni" nell'entourage di Gheddafi, all'indomani della conferenza internazionale di Londra sull'avvenire della Libia. "Si segnalano sul piano politico, e forse questo preannuncia sviluppi positivi, delle prime defezioni intorno a Gheddafi a Tripoli", ha detto oggi Juppè, nel corso del question time all'Assemblea Nazionale di Parigi. 15:46 Misurata, finito il blocco del porto 34 – E' stata posta fine al blocco del porto di Misurata imposto dalle forze pro-Gheddafi, consentendo così l'arrivo di aiuti via mare e l'evacuazione di feriti. Lo ha annunciato un portavoce dei ribelli. 15:21 Mine antiuomo ad Ajdabiya 33 – Le forze di Gheddafi hanno disseminato mine anti-uomo e anti-veicolo nei dintorni di Ajdabiya. La denuncia - che conferma voci diffuse da giorni - è arrivata da Human rights watch - organizzazione non governativa che si occupa della difesa dei diritti umani - secondo cui due dozzine di mine anti-veicolo e circa tre dozzine di mine anti-uomo sono state trovate nella periferia orientale della città, dove vivono circa 100.000 persone, in mano alle forze governative dal 17 al 27 marzo. 15:05 Russia: "La Nato resti neutrale" 32 – La Russia si aspetta che la Nato nel conflitto libico non si schieri con nessuna delle parti in causa. Lo ha sottolineato il rappresentante permanente del Cremlino presso l'Alleanza atlantica, Dimitry Rogozin. Il diplomatico russo ha sottolineato che le parole sulla "neutralità della Nato" pronunciate dal segretario generale della struttura militare occidentale, Anders Fogh, "non restino solo sulla carta". 14:45 Nato, domani a Napoli conferenza stampa del Generale Bouchard 31 – Il generale canadese Charles Bouchard, responsabile delle operazioni della Nato in Libia terrà domani alle 14, nella sede del "Joint Force Command' della Nato a Napoli una conferenza stampa sull'andamento della missione "Unified Protector", che riguardo l' embargo navale e la "No fly zone" sulla Libia. 14:29 Governo libico farà causa alle aziende che lavoreranno coi ribelli 30 – Il governo libico farà causa a qualsiasi azienda internazionale che concluderà affari con i ribelli nel settore dell'energia 13:59 Uganda pronta a dare asilo a Gheddafi secondo Al Arabiya 29 – L'Uganda è disposta a dare asilo politico a Muammar Gheddafi. E' quanto riferisce l'emittente Al Arabiya. E' stato il portavoce del presidente dell'Uganda, Yoweri Museveni, a esprimere la disponibilità del suo Paese a ospitare il Colonnello in esilio. 13:49 Belgio: "Non forniremo armi ai ribelli" 28 – Il Belgio, che partecipa All'intervento internazionale in Libia, ha escluso oggi di volere armare i ribelli, contrariamente alla Francia e la Gran Bretagna che non escludono questa opzione 13:48 Anche la Bulgaria nella coalizione 27 – Malgrado le critiche espresse solo pochi giorni fa dal premier Boris Borisov anche la Bulgaria è entrata ufficialmente a fare parte della coalizione multinazionale sotto comando Nato: il ministro della Difesa, Anyu Angelov, ha infatti annunciato che il Consiglio dei Ministri ha approvato l'invio sul teatro delle operazioni della fregata 'Drazki'. 13:42 GB: espulsi cinque diplomatici libici 26 – La Gran Bretagna ha espulso cinque diplomatici libici dal Regno Unito. Lo ha reso noto il ministro degli Esteri William Hague alla Camera dei Comuni. Hague ha detto che ieri una missione diplomatica britannica si è recata a Bengasi: era guidata da Christopher Prentice, l'ambasciatore a Roma 13:40 Hu Jintao (Cina) a Sarkozy: "In Libia la violenza non risolve, dialogo unica via" 25 – "La storia ha mostrato ripetutamente che l'uso della forza non è la risposta ai problemi, ma li rende solo più complicati". E' quanto ha affermato il presidente cinese, Hu Jintao, commentando la crisi libica. "Il dialogo e altri mezzi pacifici sono l'unica via per la risoluzione dei problemi", ha detto Hu che ha incontrato a Pechino il presidente francese Nicolas Sarkozy. 13:38 18 morti nei bombardamenti di ieri a Misurata 24 – Gli attacchi di ieri a Misurata delle forze fedeli a Gheddafi hanno causato la morte di 18 persone. Lo affermano fonti sanitarie della città libica. 13:29 Ancora bombardamenti su Misurata 23 – L'artiglieria delle forze pro-Gheddafi attacca Misurata con razzi e cannoni dei carri armati. Lo hanno reso noto gli insorti. 13:28 Ribelli chiedono armi alla coalizione e raid su Ras Lanuf 22 – I rivoltosi libici hanno chiesto alla coalizione internazionale di attaccare le truppe di Gheddafi con nuovi raid aerei su Ras Lanuf, il terminal petrolifero riconquistato dai lealisti. I ribelli hanno chiesto inoltre di essere riforniti di armi leggere per poter continuare a combattere, mentre all'interno della coalizione si è aperto il dibattito sull'ipotesi, che vede l'Italia scettica, di armare gli insorti 13:20 Norvegia: "Armare i ribelli non è all'ordine del giorno" 21 – Armare i ribelli libici "non è una questione all'ordine del giorno": lo ha dichiarato il ministro degli Esteri norvegese, Grethe Fremo, commentando un'ipotesi difesa soprattutto da Stati Uniti e Francia per facilitare la caduta del regime di Gheddafi. 13:18 GB: Cameron non esclude armi ai ribelli 20 – Londra non esclude di fornire armi ai ribelli. Lo ha detto il primo ministro David Cameron alla Camera dei Comuni. 13:15 Usa, sondaggio: 47% contrari a intervento 19 – Il 47% degli statunitensi intervistati dall'Università di Quinnipiac si dice contrario all'intervento militare in Libia, che riscuote un 41% di pareri favorevoli. Consensi maggiori per i raid aerei (53%) mentre il 48% si dice d'accordo con il presidente Obama sul fatto che Gheddafi non debba essere deposto con la forza. 13:05 Cameron: non esclusa ipotesi armi ai ribelli 18 – Il premier britannico ha detto che la possibilità di armare i ribelli non è esclusa dalla Gran Bretagna, ma nessuna decisione in questo senso è stata presa. "L'embargo sulle armi riguarda tutta la Libia, ma la risoluzione 1973 prevede tutte le misure necessarie per proteggere i civili e le aree popolate dai civili" 12:54 A Bengasi ambasciatore francese 17 – E' già arrivato a Bengasi l'ambasciatore nominato dalla Francia per rappresentare Parigi presso il Consiglio nazionale di transizione dei rivoltosi libici, riconosciuto dall'Eliseo. Antoine Sivan ha incontrato i membri del Consiglio ma non sono state diffuse notizie sui contenuti del colloquio. 12:51 Ribelli: "Ritirata tattica da Ras Lanuf" 16 – 'Abbiamo deciso di effettuare una ritirata per motivi tattici dalla citta' di Ras Lafun, lungo la via che porta a Brega". E' quanto ha affermato una fonte dei ribelli libici alla tv araba 'al-Jazeera'. "Abbiamo deciso di posizionarci in questa zona - ha affermato - per creare difficoltà alla linea di rifornimento delle brigate di Muammar Gheddafi, costringendole a esporsi ai raid aerei alleati, per poi riprendere l'offensiva". La fonte ha confermato che questa mattina i caccia della coalizione hanno effettuato raid contro i carri armati delle truppe fedeli al regime nella zona di Uqaylah, tra Ras Lanuf e Brega, nell'est del Paese. 12:35 Raid aerei su Uqaylah 15 – Secondo quanto riferisce la Bbc, la Coalizione ha lanciato nuovi raid aerei vicino a Uqaylah, nell'est del Paese. La città si trova tra Ras Lanuf e Brega. 12:19 Pentagono: operazione costata agli Usa 550 milioni di dollari 14 – L'operazione militare in Libia è costata finora agli Stati Uniti 550 milioni. Lo hanno reso un portavoce del Pentagono, fornendo la prima stima ufficiale dei costi dell'operazione Odyssey Dawn, sottolineando che rimangono "altamente incerti" i costi futuri che dovranno essere sostenuti per imporre la no-fly zone in Libia. Ma si prevede che, man mano che gli Stati Uniti ridurranno la propria attività cedendo la guida alla Nato, dovranno essere molto inferiori, intorno ai 40 milioni nelle prossime settimane. Così, rendono ancora noto dal dipartimento della Difesa, si stima che i costi della missione potranno stabilizzarsi intorno ai 40 miloni di dollari al mese. 12:07 Aisha Gheddafi su un carro armato al fronte 13 – Aisha Gheddafi, la bella e bionda figlia del Colonnello, è scesa in campo in prima linea, insieme ai militari di Tripoli, per esprimere il suo sostegno alla lotta contro i ribelli. Gheddafi spera così che la sua unica figlia femmina, soprannominata la 'Claudia Schiffer del deserto' per la sua avvenenza, possa risollevare il morale delle truppe in un momento in cui i raid della Coalizione internazionale si fanno sempre più pesanti. E così Aisha, avvocato di 35 anni già nel consiglio difensivo dell'ex dittatore iracheno Saddam Hussein, è stata fotografata a bordo di un carro armato mentre sventola una bandiera libica. Velata, tutta sui toni della sabbia in rispetto del costume tradizionale libico, Aisha ha detto ai soldati che suo padre "è un grande uomo e un leader". La sua decisione di recarsi al fronte, come riporta il 'Daily Mail', è stata presa in seguito alle notizie circa la presunta morte del fratello Khamis, 27 anni, che secondo alcune fonti sarebbe stato ucciso in un attentato kamikaze. Versione comunque smentita ieri da Tripoli, secondo cui Khamis si trovava all'estero dall'inizio della rivolta popolare. 11:35 Russia preoccupata per presenza Al Qaeda tra i ribelli 12 – Mosca è allarmata dalle notizie che elementi di Al-Qaeda sarebbero presenti nell'opposizione libica: lo ha detto il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov, citato dall'agenzia Interfax. "Stanno arrivando notizia davvero allarmanti, secondo cui elementi di Al-Qaida potrebbero essere presenti molto probabilmente nelle forze dell'opposizione. Questo sicuramente non può che allarmarci. Noi tutti capiamo come tale piaga potrebbe diffondersi in tutta la regione, e non solo lì", ha dichiarato Lavrov. Il capo della diplomazia russa, dopo aver incontrato il suo collega austriaco Michael Spindelegger, ha detto che a suo avviso "gli obiettivi prioritari sono il cessate il fuoco e colloqui immediati". "Sono necessarie riforme. Ma i libici dovrebbero decidere da soli quale Stato costruire. E' chiaro che esso sarà un altro regime, un regime democratico", ha aggiunto. 10:48 Lavrov: no armi ai ribelli 11 – Il ministro degli Esteri russo Lavrov si è detto contrario all'ipotesi di armare i ribelli libici. "Poco fa il ministro degli Esteri francesi ha detto che Parigi è disposta a discutere con i partner della coalizione le forniture di armi per l'opposizione libica. Il segretario generale della Nato Rasmussen ha dichiarato che l'operazione in Libia si svolge per proteggere la popolazione e non per armarla e noi su questo siamo pienamente d'accordo con il segretario della Nato", ha dichiarato il capo della diplomazia russa, citato dall'agenzia Interfax 10:47 Frattini: "Mai parlato di fallimento di Londra" 10 – "La Farnesina smentisce fermamente che il ministro Frattini abbia mai parlato di fallimento della conferenza di Londra". Lo precisa una nota del Ministero degli Esteri. "Abbiamo al contrario sottolineato - prosegue la nota - i risultati positivi conseguiti a Londra per quanto riguarda l'affermazione condivisa da tutti i paesi della coalizione internazionale dei principi politici della strategia per la Libia del dopo Gheddafi e salutato con soddisfazione la creazione del gruppo di contatto per monitorare e dare seguiti operativi a tale strategia". 10:38 I lealisti riprendono Ras Lanuf 9 – Secondo giornalisti francesi, le forze fedeli a Gheddafi hanno ripreso il controllo del terminal petrolifero di Ras Lanuf, costringendo gli insorti a ripiegare in direzione di Bengasi 09:44 Frattini: "Sforzo congiunto perché Gheddafi lasci" 8 – E' necessario "lavorare con l'Unione Africana, con la comunità internazionale per far capire" a Muhammar Gheddafi che è necessario "che lasci, che se ne vada". E' quanto ha dichiarato il ministro degli Esteri Franco Frattini in una intervista a Sky Tg24 sottolineando come l'uscita di scena del colonnello potrà permettere "che si apra una stagione politica" nuova, "che il comitato di Bengasi è pronto a guidare", essendo riuscito a ottenere "la legittimazione che lo rende idoneo". 09:31 Farnesina: "Armare i ribelli misura estrema" 7 – "Armare i ribelli sarebbe una misura controversa, una misura estrema e certamente dividerebbe la comunità internazionale". Lo ha assicurato il portavoce della Farnesina Maurizio Massari. 09:25 Riapre parte dell'aeroporto di Trapani 6 – Ha riaperto parzialmente al traffico civile dalle 7.30 di stamattina l'aeroporto di Trapani Birgi. La decisione ieri nel corso di una riunione presso lo Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare. Inizialmente dallo scalo trapanese saranno garantiti 18 arrivi e 18 partenze. 08:49 Nato: fra i ribelli infiltrati di Al Qaeda 5 – L'intelligence americana avrebbe avuto notizia di infiltrazioni terroristiche tra i combattenti dell'opposizione. Lo spiega il comandante della Nato in Europa, ammiragio James Stavridis. "Stiamo esaminando attentamente il volume, la composizione, le personalità, per capire chi sono i leader di queste forze di opposizione". Ma mentre la leadership sembra composta "da uomini e donne responsabili", secondo l'ammiraglio fra i militanti ci sarebbero infiltrazioni di "Al Qaeda ed Hezbollah". 08:06 Napolitano: "Intervento scelta giusta" 4 – Con l'intervento in Libia "è stata fatta la scelta giusta". Così il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ospite della facoltà di Legge della New York University. Il capo dello Stato si è detto d'accordo con Obama "quando dice che l'azione in Libia non è un problema solo americano". 08:05 Rasmussen: "La Nato è per proteggere civili, non per armarli" 3 – Il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen ha detto che l'Alleanza è stata mobilitata in Libia "per proteggere le popolazioni e non per armarle". Interpellato da SkyNews sulla possibilità di fornire armi agli insorti, Rasmussen ha risposto che la risoluzione dell'Onu parla chiaro: "Chiede l'imposizione di un embargo sulle armi, e noi dunque siamo là per proteggere le popolazioni e non per armarle". 08:04 Obama: "Mi aspetto che Gheddafi ceda il potere" 2 – "Grazie alle forti pressioni, non solo militari, ci aspettiamo che Gheddafi ceda e alla fine lasci il potere - ha dettoil presidente Usa Barack Obama in un'intervista alla Nbc - oltre ad aver imposto una no-fly zone puntiamo a proteggere i civili con una serie di strumenti politici e diplomatici, come le sanzioni, tutti elementi che puntano a porre fine al regime libico". 08:03 Obama: "Armare i ribelli? In esame ogni ipotesi" 1 – Il presidente americano Barack Obama non eslude l'ipotesi di armare i ribelli anti-Gheddafi. Lo ha detto ai microfoni della Nbc."Si stanno esaminando tutte le possibilità in campo per fornire supporto al popolo libico in modo da avere una transizione verso un Paese più stabile e pacifico". (30 marzo 2011)
SIRIA Assad attacca Al Jazeera e paesi stranieri "Cospirazione, chi vuole guerra l'avrà" Il presidente siriano in Parlamento fa appello all'unità della Siria critica i media panarabi: "Notizie falsificate, divisioni fomentate da canali satellitari". E sugli scontri a Daraa: "La gente non ha responsabilità. Chi ha sbagliato pagherà". E promette "riforme a partire da oggi", ma non la revoca dello stato d'emergenza Assad attacca Al Jazeera e paesi stranieri "Cospirazione, chi vuole guerra l'avrà" Manifestazione pro-Assad a Damasco 'Stiamo affrontando dei complotti contro il nostro paese ma li supereremo, un grande complotto non solo esterno ma anche interno. Ma non tutti coloro che sono scesi nelle strade ne sono parte". E' quanto ha affermato il presidente siriano, Bashar al-Assad, nel corso del discorso letto oggi nel corso di una riunione del parlamento di Damasco e trasmesso in diretta tv. Un discorso in cui il presidente declina ogni responsabilità per le violente repressioni delle manifestazioni di protesta a Daraa, che avrebbero fatto almeno 150 morti secondo l'opposizione. Dà la colpa ai media panarabi, senza citare Al Jazeera, e minaccia chi ventila improbabili interventi in stile libico: "Non accettiamo interferenze estere sulle nostre terre. Chi vuole la guerra dalla Siria l'avra". La "carota" delle riforme viene offerta a metà, nessun cenno al gesto più atteso la revoca di quella legge d'emergenza che dal '63 tiene il paese sotto il tallone di ferro del controllo militare. "Abbiamo assistito a quanto accade nel mondo arabo - ha detto Assad - noi non siamo isolati dal mondo arabo ma siamo diversi da altri paesi. Speriamo che i fatti recenti accaduti nei paesi arabi possano dare maggiore sostegno alla causa palestinese. Sul fronte interno la struttura del paese sta crescendo. Dobbiamo ritornare a lavorare in modo strutturato per dare maggiore stabilità alla Siria". Lo ha dichiarato nel suo attesissimo discorso in parlamento il presidente Siriano Basher al-Assad in carica dal 2000, quando ha ereditato la presidenza succedendo a suo suo padre Hafez al-Assad. "La regione di Daraa è nel cuore di tutti i siriani, la gente non ha alcune responsabilità per quello che è successo. Ho dato chiare disposizioni per non ferire alcun cittadino. Mi dispiace per le vittime, e mi sento triste per loro, indagheremo sugli eventi che hanno provocato la morte dei nostri concittadini. Chi ha sbagliato pagherà". Così il presidente Basher Assad nel suo intervento in Parlamento, sottolineando che i video amatoriali degli scontri "sono tutti falsi". "Le Tv panarabe, messaggi via sms, da settimane fomentano la sedizione", ha aggiunto. Durissimo l'attacco, anche se non esplicito, ad Al Jazeera: "Parte della colpa è di chi su Internet e in tv ha falsificato le notizie - ha aggiunto - le divisioni sono iniziate settimane fa attraverso i canali satellitari". Il capo di stato siriano ha aggiunto che "gli incidenti avvenuti nel paese sono stati istigati attraverso questi media". Per placare le proteste, Assad tenta la carta della riforma o almeno delle promesse. "Ha ragione chi pretende il cambiamento subito, noi siamo in ritardo ma cominceremo da oggi. E' dovere dei governi ascoltare le rivendicazioni del proprio popolo". Le riforme, promette il presidente, "cominceranno da oggi" anche se "Abbiamo lavorato seguendo alcune priorità, la legge sui partiti e quella sullo stato d'emergenza erano già allo studio del parlamento". "Stavamo già lavorando alle riforme - ha aggiunto - ma seguendo un metodo, perché le riforme non sono una campagna stagionale". Assad ha ribadito che lo Stato "non può sostenere il caos dei giorni scorsi" e che la situazione nel paese "è tornata alla normalità". (30 marzo 2011) 2011-03-28 Diretta I ribelli rivendicano riconquista di Sirte Frattini: "L'Africa potrebbe ospitare Gheddafi" I ribelli rivendicano riconquista di Sirte Frattini: "L'Africa potrebbe ospitare Gheddafi" Ribelli si spostano verso Sirte Gli insorti libici hanno annunciato la conquista della città natale di Gheddafi. La notizia è stata accolta da manifestazioni di giubilo a Bengasi. Ma reporter stranieri smentiscono: "Qui nessun segno di battaglia". A Misurata prosegue il bombardamento da parte delle forze leali al Colonello. Un portavoce dell'opposizione ha dichiarato alla tv Al Arabiya che 7 persone sono state uccise e più di 24 ferite. Segnalata la presenza di cecchini sui tetti dei palazzi. Una nave di aiuti donati da libici che vivono in europa sarebbe arrivata oggi in città, secondo quanto diffuso da alcuni blogger su Twitter. Non si fermano gli sforzi diplomatici, con il premier turco Rayyp Erdogan che in un'intervista al Guardian propone un ruolo di mediazione per la Turchia. Dramma immigrati: dei 5.496 a Lampedusa, 3.500 sono senza alloggio (Aggiornato alle 15:25 del 28 marzo 2011) 15:25 Ribelli controllano solo una parte di Misurata 48 – Le forze pro-Gheddafi hanno preso il controllo solo su una parte di Misurata, non sull'intera città: lo ha detto un portavoce degli insorti. "Parte della città è sotto il controllo degli insorti e un'altra parte sotto quello delle forze pro Gheddafi", ha affermato la fonte, che non ha voluto rivelare il suo nome. 15:23 Gb, Raf ha distrutto 22 blindati e artiglieria lealista 47 – L'aviazione inglese ha distrutto 22 blindati e rifugi di artiglieria dei lealisti. "I tornado Gr4 della Royal Air Force sono intervenuti a sostegno della risoluzione Onu 1973, distruggendo 22 carri armati e diversi rifugi delle forze fedeli a Gheddafi ad Ajdabiya e Misurata", ha detto un portavoce dell'esercito britannico, il generale John Lorimer. 15:14 Ribelli contattano la tribù dei Firjan per Sirte 46 – Potrebbe essere la tribù dei Firjan, storicamente ostile a quella dei Gheddafi, la chiave per far cadere Sirte, dove si è attestata la battaglia tra lealisti e insorti. Fonti militari dei ribelli hanno confermato che sono in corso tentativi per entrare in contatto con il potente clan dei Firjan, spingendolo a rivoltarsi contro l'esercito e così spianando la strada agli insorti. All'inizio di questo mese, quando i ribelli sono entrati nel porto petrolifero di Brega, hanno riferito di aver trovato venti cadaveri ammanettati di ufficiali di etnia Firjan, forse assassinati per essersi rifiutati di sparare contro la folla in rivolta. Una strage che potrebbe aver fomentato l'odio del clan verso il Colonnello. Quanto alle altre tribù della città - gli Zayaynah, gli Hamamlah, gli Hoassoun e i Meaadan - hanno sempre mantenuto un comportamento neutrale e, dunque, con ogni probabilità non prenderanno parte ai combattimenti, secondo i ribelli. 14:46 Spagna, esercito scontento, manca intelligence 45 – Un "ampio settore" dell'esercito spagnolo è scontento per il modo nel quale il governo ha deciso l'intervento in Libia senza effettuare uno studio dei rischi e imponendo 'dall'alto' i mezzi della missione, riferisce oggi il quotidiano Abc tradizionalmente vicino alle forze armate. Fonti dell'esercito spagnolo spiegano che l'informazione di intelligence in possesso della Spagna sulla Libia "è praticamente nulla" perchè il Cifas - i 007 militari - ha solo un uomo per coprire Libia e Tunisia e quindi le notizie arrivano principalmente da "fonti aperte e da organismi internazionali". 14:45 Nato: "Proteggeremo civili in modo imparziale" 44 – La Nato farà rispettare "in modo imparziale" il mandato Onu di "proteggere e aiutare" la popolazione civile in Libia. Lo ha detto la portavoce Oana Lungescu, rispondendo a domande su come la Nato intende agire qualora siano i ribelli, e non le forze di Gheddafi, a rappresentare una minaccia per le popolazioni. 14:43 Frattini vedrà Clinton mercoledì a Washington 43 – Il ministro degli Esteri Franco Frattini vedrà mercoledì il segretario di Stato americano Hillary Clinton a Washington. Al centro del colloquio, ha detto il portavoce della Farnesina Maurizio Massari al consueto briefing per la stampa, vi saranno i temi della Libia, il Nordafrica, il Medio Oriente e l'Afghanistan, con l'avvio del trasferimento agli afghani delle responsabilità sulla sicurezza che coinvolgerà anche l'area di Herat sotto controllo italiano. 14:42 Bouchard: "Da ieri operazioni per rispetto 'no fly zone'" 42 – Aerei della Nato hanno cominciato da ieri a fare rispettare l'interdizioni di voli sulla Libia. Lo ha annunciato il generale Charles Bouchard, che guida le operazioni "Unified protector" in Libia, in una conferenza stampa a Napoli, trasmessa a Bruxelles. 14:34 Berlino: "Contatti con tutti i partner internazionali" 41 – La Germania "è in costante contatto con tutti i suoi partner internazionali, anche con l'Italia, ma non solo". Così un portavoce del ministero degli Esteri tedesco ha respinto l'ipotesi di una strategia italo-tedesca per una via di uscita dal conflitto in Libia. 14:10 Generale Bouchard: "Ridurremo danno al minimo" 40 – "Ogni azione della Nato verrà intrapresa facendo in modo che il danno collaterale sia ridotto al minimo". Così il generale di divisione Charles Bouchard a chi gli domanda dettagli sulle regole d'ingaggio dell'operazione Unified protector in Libia. 13:51 Ministro Esteri Madrid: "Rifiutati contatti con Gheddafi" 39 – Nei giorni scorsi il regime di Muammar Gheddafi ha tentato senza successo di contattare il governo spagnolo che ha respinto le iniziative del colonnello e dei membri del suo governo. Lo ha detto il ministro degli Esteri di Madrid, Trinidad Jimenez, all'emittente statale TVE. 13:38 Frattini: "Positiva l'avanzata a Bengasi dei ribelli" 38 – "Le notizie sull'avanzata dell'opposizione di Bengasi sono un fatto positivo. La missione internazionale inizia a mostrare un grande successo per la protezione delle grandi città". Così il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha commentato gli aggiornamenti che rimbalzano dalla Libia sulla avanzata degli insorti nella riconquista di alcuni centri nel Paese. 13:35 A Sirte soldati Gheddafi "pochi ma bene armati" 37 – A Sirte i soldati di Gheddafi sono "pochi ma bene armati". I soldati del colonnello, hanno detto, dispongono di armi pesanti e controllano gli accessi alla città. 13:34 Scontri coi ribelli a 50 chilometri da Ben Jawad 36 – Scontri sono in corso tra insorti e pro-Gheddafi a 50 chilometri da Ben Jawad, sulla strada verso Sirte. Lo hanno detto ribelli alle agenzie di stampa. 13:26 Frattini: "Paesi africani potrebbero ospitare Gheddafi" 35 – "Vi sono Paesi africani che potrebbero offrire ospitalità" a Gheddafi. E' quanto ha sottolineato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, spiegando che comunque "ancora non ci sono proposte formali" al riguardo. "Gheddafi - è tornato a sottolineare il capo della diplomazia italiana - deve comprendere che da parte sua sarebbe un gesto di coraggio dire 'me ne devo andare'". 13:24 Gb, Cameron: "Azione in linea con risoluzione Onu" 34 – Per Downing Street l'azione della coalizione in Libia non è uscita dai termini del mandato della risoluzione dell'Onu: lo ha detto un portavoce del primo ministro britannico David Cameron. "Il primo ministro ha sempre detto che tutto quel che facciamo deve essere in linea con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza. La risoluzione parla della protezione dei civili e questo significa tutti i civili. Il contesto è che c'erano proteste pacifiche in Libia e sono state represse nel sangue dal regime di Gheddafi", ha detto il portavoce di Downing Street. 12:55 Gheddafi bombarda Misurata, 7 morti e oltre 24 feriti 33 – Prosegue anche oggi il bombardamento di Misurata - 150 chilometri a est di Tripoli - da parte delle forze leali a Gheddafi. Un portavoce dell'opposizione ha dichiarato alla tv Al Arabiya che sette persone sarebbero state uccise e più di 24 ferite. Segnalata sempre la presenza di cecchini sui tetti dei palazzi. Una nave di aiuti donati da libici che vivono in europa sarebbe arrivata oggi in città, secondo quanto diffuso da alcuni blogger su Twitter. 12:54 Ribelli prendono città di Nawfaliyah 32 – I ribelli libici hanno preso il controllo della città di Nawfaliyah, costringendo le forze fedeli al colonnello Muammar Gheddafi a rititarsi. Lo riferisce l'emittente satellitare Al Jazeera, sottolineando il fatto che, con questa conquista, i ribelli proseguono l'avanzata verso Sirte, città natale del leader libico nell'ovest del Paese. 12:49 Immigrazione: igiene drammatica, Fazio invia ispettori 31 – "Non riteniamo che ci sia un rischio di epidemie, ma un problema igienico-sanitario importante e che potrebbe in futuro continuare. Anche per questo i nostri ispettori arriveranno sull'isola oggi". Così il ministro della Salute Ferruccio Fazio ha commentato la situazione dei migranti che in questi giorni si stanno accumulando sull'isola di Lampedusa a causa dei conflitti in Libia. 12:41 Segretario generale Nato Rasmussen vertice Londra 30 – Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, parteciperà alla prima riunione del gruppo di contatto sulla Libia in programma domani a Londra: lo ha reso noto la stessa alleanza. 12:40 Anche la Raf decolla da base Trapani Birgi 29 – Un aereo Vc 10 della Raf, l'aviazione militare britannica, utilizzato per il rifornimento in volo si è alzato dalla base di Trapani Birgi nell'ambito dell'operazione in Libia. Da Birgi è previsto il decollo dei Tornado italiani che tuttavia non hanno ancora acceso i motori. Due F-18 canadesi sono stati invece impegnati in missione la scorsa notte. 12:32 Turchia assume gestione aeroporto di Bengasi 28 – La Turchia prevede di assumere la gestione dell'aeroporto di Bengasi, nelle mani degli insorti, per facilitare il trasporto e la distribuzione degli aiuti umanitari in arrivo in Libia. Lo ha annunciato il primo ministro turco Recep Tayyp Erdogan secondo il quale "un accordo perchè la Turchia si incarichi della responsabilità dell'aeroporto di Bengasi per distribuire l'assistenza umanitaria, è concluso". 12:32 A Decimomannu schierati F16 olandesi 27 – Sei F16 olandesi e altrettanti Mirage degli Emirati arabi arrivati ieri sera si sono aggiunti ai mezzi militari e uomini di Spagna e Olanda schierati nei giorni scorsi nell'aeroporto militare di Decimomannu, vicino a Cagliari, una delle sette basi messe a disposizione dalla Difesa per le operazioni in Libia. 11:54 Code di mezzi di ribelli alla raffineria di Ras Lanuf 26 – Centinaia di mezzi degli insorti libici sono in coda alla raffineria di Ras Lanuf e a tutti i benzinai da Ajdabiya verso ovest, per fare rifornimento di carburante in vista dell'avanzata verso Sirte. A far la coda per il rifornimento sono pickup con la mitragliatrice pesante (le cosiddette 'tecniche') o pickup e auto carichi di guerriglieri pesantemente armati. Su molti veicoli ci sono anche bidoni di carburante. 11:38 Qatar riconosce consiglio degli insorti 25 – Il Qatar ha riconosciuto oggi il Consiglio nazionale transitorio istituito a Bengasi dagli insorti come legittimo rappresentante del popolo libico. Lo riferisce l'agenzia di stampa dell'emirato petrolifero Qna, citando una fonte del ministero degli Affari Esteri. La fonte, non identificata, spiega che il riconoscimento nasce dalla convinzione che il Consiglio, compresi tutti i rappresentanti nelle varie province, sia de facto diventato la rappresentanza della Libia e del suo popolo, ampiamente approvato dal popolo libico stesso. Il Qatar è il secondo Paese, dopo la Francia, a riconoscere il Cnt. 11:38 Lavrov: "Verificare notizie di civili uccisi da coalizione" 24 – Il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, ha detto che le notizie sulle morti tra civili come risultato degli attacchi della coalizione in Libia devono essere urgentemente verificate. Lo riferisce l'agenzia Interfax. 11:24 Lavrov: "Intervento coalizione non è autorizzato Onu" 23 – L'intervento della coalizione nella guerra civile in Libia non è stato autorizzato dalla risoluzione 1973 del consiglio di sicurezza: lo ha detto il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov. "Noi consideriamo che l'intervento della coalizione in quella che è essenzialmente una guerra civile interna non è stato autorizzato dalla risoluzione del consiglio di sicurezza dell'Onu", ha dichiarato il capo della diplomazia russa, ribadendo comunque che la difesa della popolazione civile "resta la nostra priorità". Lo riferiscono le agenzie russe. 11:23 Uhcr, due i barconi di cui non si hanno notizie 22 – Sono almeno due i barconi partiti dalla Libia dai quali in queste ore è stato lanciato l'Sos attraverso telefoni satellitari e dei quali finora non è stata trovata traccia. Lo conferma Laura Boldrini, portavoce dell'Unhcr, l'Alto commissariato Onu per i rifugiati. A bordo ci sono persone di nazionalità somala, eritrea e libica, compresi molte donne e molti bambini. 11:22 Al Arabiya, vittime a Sebha per raid coalizione 21 – Un raid aereo della coalizione degli alleati condotto all'alba di oggi sulla ciità di Sebha, nel sud della Libia, ha provocato alcune vittime. Lo riferiscono fonti ufficiali libiche citate dalla tv satellitare Al Arabiya. 11:18 Al Jazeera, ribelli combattono a 140 km da Sirte 20 – I ribelli libici stanno combattendo contro le brigate fedeli a Muammar Gheddafi nella zona di al-Nuafiliya, a circa 140 chilometri da Sirte. Lo riferisce la tv araba Al Jazeera, che mostra in diretta gli scontri in corso tra le due parti. L'inviato della tv qatariota smentisce quindi che i ribelli siano entrati a Sirte. 10:59 5.496 immigrati a Lampedusa, 3.500 senza alloggio 19 – Sono attualmente 5.496 gli immigrati presenti a Lampedusa, 1.200 dei quali nel centro di accoglienza di contrada Imbriacola, 200 nella ex base Loran, 550 in strutture messe a disposizione dalla Chiesa e il resto, circa 3.500, si trovano nella stazione marittima. A questi vanno aggiunti i 250 stranieri ancora bloccati a Linosa. Per oggi dovrebbe essere approntati nuovi voli di trasferimento ma il ministero dell'Interno non ha ancora reso noto quanti saranno e dove saranno diretti. 10:20 La battaglia dei ribelli verso Sirte 18 – I ribelli hanno preso ieri il controllo di Ben Jawad, dopo aver conquistato il sito petrolifero di Ras Lanuf, aiutati anche dai raid aerei della coalizione internazionale. Ma questa mattina sono stati fermati dalle forze leali al colonnello Gheddafi, che erano a bordo di pick-up, sulla strada che conduce da Ben Jawad a Nofilia, in direzione di Sirte. Gli insorti sono quindi confluiti verso Ben Jawad prima di rispondere con l'artiglieria pesante. Lo scambio di fuoco è durato fino a mattina inoltrata. Sirte rimane il prossimo obiettivo dei ribelli. 10:12 Ribelli fermati a 140 km da Sirte 17 – L'avanzata dei ribelli libici è stata fermata questa mattina dalle forze pro-Gheddafi all'uscita da Ben Jawad, situata a 140 chilometri dalla città di Sirte. Lo ha constatato un giornalista della France Presse. 10:04 Allarme per gommone partito da Libia 16 – Non si hanno più notizie del gommone partito dalla Libia con 68 migranti a bordo, tra i quali numerose donne e bambini, che ieri sera aveva lanciato l'Sos perché stava finendo il carburante ed era senza viveri. La richiesta di aiuto, attraverso un telefono satellitare, era stata raccolta da Don Mosè Zerai, il presidente dell'agenzia Habeshia che si occupa di rifugiati e richiedenti asilo. 09:59 Giornalista Reuters: "A Sirte tutto tranquillo" 15 – 'Sembra tutto abbastanza normale, da quello che abbiano potuto vedere ha detto il reporter che si è recato nella città costiera con un viaggio organizzato dal governo libico. A dispetto di quanto annunciato nella notte dal quartier generale dei ribelli a Bengasi, il giornalista ha detto di aver visto qualche soldato e qualche poliziotto in città, ma nessun segno di battaglia. 09:47 "Per Sirte combatteremo come per Stalingrado" 14 – Gli uomini di Muammar Gheddafi non ammettono la caduta di Sirte, città natale del Colonnello, e sostengono sia ancora nelle mani dell'armata verde. Mentre i ribelli dichiarano di aver conquistato la roccaforte del leader libico, Muhammed, da Sirte, scrive alla Bbc: "Questi terroristi non hanno guadagnato il controllo di Sirte. Quando attaccheranno Sirte, con i vostri aerei americani e britannici, noi saremo pronti a difendere la città, come fu a Stalingrado". Chiamando i ribelli "terroristi", l'uomo di Gheddafi fa riferimento alle accuse del Colonnello che dietro la rivolta popolare in corso in Libia ci sia al-Qaeda. "Combatteremo fino all'ultimo uomo per salvaguardare la rivoluzione del fratello Gheddafi", ha aggiunto l'uomo fedele al Colonnello. 09:45 Otto morti a MIsurata 13 – Nella notte si sono registrati otto morti e 24 feriti a Misurata durante gli attacchi delle forze di Gheddafi all'avanzata dei ribelli verso ovest. Lo hanno raccontato testimoni. 09:44 Atterraggio d'emergenza ad Ancona per due jet Usa 12 – Atterraggio d'emergenza per due aerei militari da attacco Usa, due A6-Intruder, stamani nell'aeroporto di Ancona-Falconara. Uno dei due velivoli, decollati con i loro armamenti della base di Aviano per la missione in Libia, ha avuto problemi di carburante, e ha chiesto di atterrare nell'aeroporto delle Marche, in coppia con l'altro velivolo. L'operazione è avvenuta alle 6:40, secondo le procedure standard del piano di emergenza, con il supporto dei vigili del fuoco aeroportuali. I due Intruder sono ancora fermi in pista: i piloti hanno superato il loro monte ore di volo, e verranno sostituiti da altri due top gun, in arrivo da Aviano. 09:42 Reporter Reuters: "Nessuna conferma su Sirte" 11 – Un reporter dell'agenzia britannica Reuters precisa che "non ci sono indicazioni" che la città di Sirte sia stata conquistata dalle forze ribelli anti-Gheddafi 09:37 Frattini: "In Libia carri armati contro i civili" 10 – La Libia è un paese nel quale ci sono "i carri armati puntati contro i civili" e la situazione libica "non può essere paragonata" a quello che sta accadendo in altri paesi del sud del mediterraneo, come la Siria. Ne è convinto il Ministro degli Esteri Franco Frattini che, rispondendo ad una domanda in diretta telefonica ad Uno Mattina, ha definito "improprio" immaginare altre azioni come quella Onu in Libia in altri paesi. 09:04 Medici: "Donne violentate ad Ajdabiya" 9 – Le forze fedeli al colonnello Muammar Gheddafi avrebbero commesso violenze sessuali su donne della città di Ajdabiya, che avevano espresso il loro sostegno alla rivolta dell'opposizione contro il regime. La denuncia è arrivata oggi da alcuni medici della città libica, che è tornata sabato in mano ai ribelli, citato da Al Jazeera. Secondo un giornalista del network, in città sarebbero scomparse 175 persone, molte delle quali sono ritenute morte. 08:38 Portavoce Gheddafi: raid contro civili innocenti 8 – Civili innocenti sono un obiettivo dei raid aerei condotti dalla coalizione internazionale impegnata contro le truppe di Muammar Gheddafi in Libia. E' questa l'accusa formulata dal portavoce del governo libico a Tripoli, Ibrahim Moussa, che tramite la Bbc ha accusato l'alleanza occidentale di andare oltre il proprio mandato di proteggere i civili, come stabilito dalla Risoluzione 1973 votata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. 08:37 A Sirte torna la calma 7 – La calma è tornata a Sirte dopo una serie (nove) di potenti deflagrazioni che hanno scosso all'alba la città natale di Muammar Gheddafi. Secondo un reporter della France Presse, le strade sono deserte, non si registra il sorvolo di aerei in cielo e non è chiaro se i bombardamenti aerei di domenica sera e della notte abbiano creato danni. Il giornalista dell'AFP, che fa parte di un gruppo di reporter invitati nella città dal regime libico per un resoconto dal posto, non c'è alcun segno dell'avanzata di ribelli verso la città natale di Gheddafi.Le esplosioni, registrate in maniera intermittente tra le 06:20 e le 6:35 ora italiana in un momento in cui la città era sorvolata dagli aerei, hanno fatto pensare a detonazioni provocate da un raid aereo della coalizione. 07:18 "Nessuna resistenza a Sirte" 6 – Il portavoce dei ribelli, Shamsi Abdul Molah, ha detto all'emittente Al Jazeera che le forze di opposizione sono entrate in città intorno alle 23.30 di ieri sera."Hanno trovato una città indifesa. Non hanno avuto alcun problema ad entrare, non hanno incontrato alcuna resistenza", ha spiegato un giornalista dell'emittente panaraba che si trova a Bengasi. 07:13 Erdogan: "Gestiremo porto e aeroporto Bengasi" 5 – Il premier turco ha annunciato inoltre che il suo paese, d'accordo con la Nato, si appresta ad assumere la gestione del porto e dell'aeroporto di Bengasi per facilitare la distribuzione degli aiuti umanitari. 07:13 Erdogan: "Faremo da mediatori" 4 – Il primo ministro turco Recep Tayyp Erdogan ha detto che il suo paese è pronto a svolgere un'opera di mediazione per giungere a un rapido cessate il fuoco in Libia ed impedire che il paese nord-africano si trasformi "in un secondo Iraq" o "in un nuovo Afghanistan". In un'intervista esclusiva che il quotidiano britannico Guardian pubblica sul suo sito Internet, Erdogan ha affermato che contatti sono da tempo in corso sia con Muammar Gheddafi sia con gli insorti. 07:12 Esplosioni a Sirte 3 – Nove forti esplosioni sono state avvertite questa mattina a Sirte, hanno detto testimoni locali tra cui un giornalista della France Presse. Le esplosioni sono avvenute verso le 5.30 mentre la città era sorvolata da alcuni apparecchi della coalizione internazionale, il che indica che si sia trattato di un'incursione aerea: le batterie antiaeree non sono tuttavia entrate in azione. 07:11 Giubilo a Bengasi 2 – La notizia è stata accolta da spari in aria e dal suono dei clacson nella roccaforte orientale dei ribelli, Bengasi. Se fosse confermata, la conquista di Sirte, città di importanza strategica ma anche simbolica, sarebbe un pesante colpo assestato al regime. Prosegue dunque l'avanzata verso ovest dei ribelli che, protetti dagli attacchi aerei della coalizione occidentale, hanno invertito la tendenza delle ultime settimane e, negli ultimi giorni, si sono ripresi una serie di città, tra le quali tutti i terminali petroliferi nella parte orientale della Libia, fino alla cittadina di Bin Jawad. 07:10 I ribelli: "Riconquistata Sirte" 1 – Il portavoce dei ribelli libici ha annunciato che Sirte, la città natale del colonnello Muammar Gheddafi, è stata catturata dai rivoltosi. Shimsiddin Abdulmolah ha aggiunto che i rivoltosi non hanno incontrato molta resistenza delle forze lealiste. (28 marzo 2011)
IL REPORTAGE La lunga marcia degli insorti di BERNARDO VALLI La Libia rivela l'Italia. E gli italiani. Riflessi nello specchio libico, periodicamente riscopriamo alcuni caratteri che ci rendono riconoscibili a noi stessi e al mondo. Purtroppo non i migliori. La prima volta fu cent'anni fa, quando la "Grande Proletaria" volse alla conquista di Tripolitania e Cirenaica. E gli automezzi carichi di munizioni e viveri, e le armi automatiche, mitragliere e lancia razzi, che si lasciano alle spalle sono segni concreti di un fuga, e non di una ritirata strategica, come affermano i portavoce di Tripoli. In poche ore, da quando hanno dovuto abbandonare Ajdabiya, la città che sembrava imprendibile a centosessanta chilometri da Bengasi, le truppe lealiste sono state costrette ad allontanarsi precipitosamente dalla Cirenaica in rivolta, della quale stavano per riprendere il controllo. Gli shabab, i ragazzi delle bande ribelli, sono entrati nella tarda mattina di ieri a Ras Lanuf, l'importante centro petrolifero, dopo avere occupato Brega ed altre due località minori. Più che una battaglia è stata una corsa di almeno trecento chilometri. La strada costiera sembra quella di una città all'ora di punta. Colonne di autocarri e camionette made in Japan corrono verso Ovest, portando ribelli che sparano per aria in segno di vittoria, E adesso l'obiettivo più ambizioso è la provincia della Sirte, dove è nato Gheddafi, e dove si trova la sua tribù d'origine. Quando covava grandi sogni, il colonnello voleva fare del modesto capoluogo la capitale degli Stati Uniti d'Africa. Se i suoi soldati dovessero abbandonarlo, sarebbe per lui una dura umiliazione. Questa cronaca, con accenti in apparenza trionfalistici, deve essere accompagnata da un'analisi assai meno ottimista. Comunque ricca di incognite. La situazione si è rovesciata perché la dinamica degli interventi aerei della coalizione, in particolare quelli francesi e inglesi, è cambiata. Si è intensificata e inasprita. Gli attacchi non hanno più come bersagli l'aviazione e gli altri mezzi militari impegnati a colpire o a minacciare la popolazione civile. Questo è accaduto in generale all'inizio dell'operazione no-fly zone. Poi sono state prese di mira le truppe a terra. E' quel che è accaduto ad Ajdabiya. I soldati di Gheddafi erano asserragliati nella città con i loro carri armati e tenevano a distanza con qualche razzo o tiro di mortaio gli shabab non abbastanza armati per promuovere un vero assedio. Gli aerei della coalizione sono intervenuti e hanno ridotto al silenzio con i loro missili l'artiglieria e i mezzi blindati dei gheddafisti. I quali sono stati costretti ad abbandonare la città, dove gli shabab sono entrati quando era praticamente vuota. Senza l'appoggio degli aerei francesi e inglesi sarebbero rimasti inchiodati alle porte di Ajdabiya. Con i loro poveri kalasnikov e qualche vecchia mitragliatrici non avrebbero potuto fare altro. Molto più a Ovest, non lontano da Tripoli, nella città portuale di Misurata un coraggioso gruppo di shabab tengono testa ai gheddafisti. La sorte di quella città isolata dove si combatte da settimane tiene in ansia i libici dei due campi. Da alcune ore gli aerei francesi scaricano missili sui gheddafisti. Il loro è un appoggio diretto agli shabab, che lo meritano. L'interpretazione della risoluzione dell'Onu lascia aperto un ampio campo d'azione. L'obiettivo della no-fly zone è di proteggere i civili. Ma l'intero apparato militare di Gheddafi è destinato a reprimere la popolazione insorta in febbraio contro la dittatura del raìs di Tripoli. Quindi l'attività degli aerei della coalizione può, o deve, essere implicitamente estesa a tutte le forze armate lealiste. Comprese quelle di terra al momento non impegnate contro la popolazione civile. Sul terreno la nuova dinamica adottata da francesi e da inglesi interpreta la risoluzione del Consiglio di Sicurezza in senso lato. In breve: per proteggere la popolazione civile bisogna eliminare l'apparato militare di Gheddafi. E questo implica la messa fuori gioco dello stesso Gheddafi. Ogni eventuale trattativa deve condurre non solo all'allontanamento di Gheddafi, al suo esilio, quindi alla sua definitiva messa fuori gioco, ma anche allo smantellamento di quel che resta del suo regime. Poiché i successori, i figli o gli stretti alleati tribali, potrebbero facilmente ripartire alla riconquista della Libia perduta, una volta che questa non fosse più protetta dalla coalizione, tra poche ore affidata alla direzione militare della Nato. La ribellione, che ha la sua sede a Bengasi, ha bisogno di tempo per creare le necessarie strutture politiche e un esercito in grado di competere con quello di Tripoli, sia pur dimezzato. Un portavoce della Nato ha previsto che la no-fly zone potrebbe durare tre mesi. Sembrano molti, ma non mi paiono sufficienti. Bengasi conta su un intervento più forte della coalizione. Soprattutto nei prossimi giorni e settimane, quando i suoi shabab, avvicinandosi ai capisaldi occidentali di Gheddafi, dovranno affrontare una resistenza ad oltranza, e l'impegno di Mirages, Rafales e Tornado, e dei missili americani, saranno essenziali, come lo sono stati del resto nell'ultima settimana. Finora la guerra civile si è svolta sulla striscia di terra che si stende tra il Mediterraneo e il deserto, nelle rare città distanti una dall'altra spesso centinaia di chilometri. Le battaglie calano dal cielo, come nell'Apocalisse. E si spandono in un paesaggio per lunghi tratti vuoto, lunare. Sono micidiali e irreali. Il cronista che ha seguito per decenni le tragedie arabe, che ha raccontato le vicende dei raìs avidi o generosi, crudeli o illuminati, odiati o amati, ma sempre subiti dalla loro gente, stenta a seguire con freddezza professionale questa insurrezione araba. Anche se ha imparato a detestare la violenza, come un chirurgo il cancro che cura, gli capita di vedere negli shabab dei paladini in lotta contro l'ingiustizia e il despotismo. Paladini disordinati, confusi e chiassosi, spesso armati di solo entusiasmo, in marcia sulla lunghissima, interminabile strada per Tripoli, dove forse non arriveranno mai. (28 marzo 2011)
SIRIA Daraa, carri armati e spari sulla folla "Assad parlerà alla nazione entro 48 ore" Gli agenti hanno aperto il fuoco su centinaia di manifestanti che invocavano "dignità e libertà". Secondo i gruppi per i diritti umani, quasi 150 persone sono state uccise nella città epicentro della protesta e a Latakia Daraa, carri armati e spari sulla folla "Assad parlerà alla nazione entro 48 ore" Un negozio dato alle fiamme durante gli incidenti a Latakia DAMASCO - Le forze di sicurezza siriane hanno sparato su centinaia di dimostranti che protestavano contro le leggi di emergenza nella città meridionale di Daraa, epicentro della protesta contro il regime di Bashar al Assad iniziata due settimane fa. I carri armati hanno poi circondato la città. Secondo testimoni, gli agenti hanno aperto il fuoco mentre i dimostranti convergevano verso la piazza principale intonando slogan come "Vogliamo dignità e libertà" e "No alle leggi speciali". Evidentemente gli oppositori non si fidano dei vari esponenti del governo che hanno anticipato l'abrogazione dello stato d'emergenza 1 in vigore dal 1963. Da tre giorni viene a più riprese annunciato un discorso di Assad. Oggi è toccato al vicepresidente Faruq al Sharaa dire che il capo dello Stato parlerà al Paese entro le prossime 48 ore per comunicare importanti novità. In attesa del discorso alla nazione, il Parlamento siriano ha chiesto ad Assad di andare in aula a spiegare il suo programma di riforme democratiche, che si è impegnato ad attuare, e ha osservato un minuto di raccoglimento in memoria delle vittime delle manifestazioni di questi giorni. Secondo le organizzazioni per i diritti umani, circa 130 persone sono state uccise a Daraa. A Latakia hanno perso la vita altri 15 manifestanti e 150 sono rimasti feriti. (28 marzo 2011)
YEMEN Esplode fabbrica di armi, 110 morti "Assaltata da miliziani di Al Qaeda" Molti feriti con gravi ustioni, investiti anche decine di civili tra cui bambini. Ieri l'assalto alla struttura da parte di esponenti dell'opposizione e - secondo fonti ufficiali - di estremisti islamici per rubare rifornimenti per le armi SANA'A - Almeno 110 persone sono morte nell'esplosione stamani di una fabbrica di munizioni nel sud dello Yemen che è stata saccheggiata da presunti terroristi di Al Qaeda. Lo ha reso noto un'amministratore locale, che ha aggiunto che altre 90 persone sono rimaste ferite, fra le quali dei bambini. Tra le vittime ci sarebbero molti oppositori del regime ed estremisti islamici che stavano portando via esplosivi. Da domenica la fabbrica di munizioni, insieme all'edificio di una radio e a una foresteria delle autorità locali, era passata sotto il controllo di miliziani legati ad Al Qaeda. (28 marzo 2011)
LAMPEDUSA Isola allo stremo, 2000 migranti in 24 ore Cittadini in rivolta: "No alla quarantena" Proteste al porto: pescatori trainano le barche bloccare l'arrivo deri barconi. Alcuni consiglieri di centrodestra si incatenano mentre vengono rovesciati alcuni cassonetti. Allarme sanitario, Fazio invia gli ispettori. Maroni: "Pronti ai 'rimpatri forzosi'. E sempre in Sicilia, oltre al Villaggio Mineo, è in arrivo un'altra area d'accoglienza per i nordafricani fuori Trapani, una tendopoli dell'ex aeroporto militare di Kinisia. Insorge il sindaco Isola allo stremo, 2000 migranti in 24 ore Cittadini in rivolta: "No alla quarantena"
LAMPEDUSA - Situazione esplosiva al porto di Lampedusa dove alcuni consiglieri di centro destra si sono incatenati in segno di protesta. Contemporaneamente alcuni pescatori stanno trainando quattro barconi usati dai migranti e sequestrati per posizionarli all'ingresso del porto di Lampedusa. Lo scopo è impedire il transito delle motovedette che soccorrono gli immigrati. Dal molo una cinquantina di donne sta incitando l'azione, invitando altri uomini alla partecipare alla protesta. Sulla banchina la tensione è altissima. Alcune donne si sono incatenate Un altro gruppo di cittadini ha rovesciato i cassonetti per bloccare il passaggio davanti il varco militare del porto. In strada sono stati gettati anche due grossi recipienti usati per contenere acqua, vasi e pietre. Alcuni dei manifestanti si sono seduti davanti al cumulo di macerie, alzando due bandiere: quella della Trinacria, simbolo della Sicilia, e quella a scacchi di Lampedusa. Intanto, la polizia osserva. "Non vogliamo entrare in quarantena", urla un ragazzo. Altri invocano lo "sciopero generale". "Noi siamo il popolo di Lampedusa, lo sappiano i leghisti che ci costringono a vivere in questa situazione - dice uno dei manifestanti - Rivogliamo indietro la nostra libertà, solo questo chiediamo. Difendiamo la nostra dignità, siamo stanchi". Il bilancio delle ultime 24 ore. Nelle ultime 24 ore sono 1.973 i migranti sbarcati sull'isola. E' il numero più alto di arrivi da quando sono ripresi gli sbarchi. In tarda mattinata un'imbarcazione con a bordo una quarantina di extracomunitari è approdata al porto. Dopo la mezzanotte sono sbarcate 388 persone, presumibilmente tutti tunisini. Fra loro c'è anche un disabile. Impressionante anche il dato degli ultimi tre giorni: da venerdì sull'isola sono arrivati 3.721 migranti. Ora complessivamente ci sono 5.534 i migranti a Lampedusa. E sulla situazione sanitaria scende in campo il ministro della Salute Ferruccio Fazio: "C'è un problema igienico-sanitario importante e che potrebbe in futuro continuare. Non riteniamo però che ci sia un rischio di epidemie. Oggi sull'isola arriveranno i nostri ispettori". Intanto è scattata una protesta: alcuni consiglieri comunali di centrodestra si sono incatenati al porto per protestare contro la situazione. Gli ultimi sbarchi Ieri sera una coppia di coniugi ha denunciato di essere stata aggredita e derubata nella propria abitazione da un gruppo di immigrati. I carabinieri hanno però ridimensionato l'episodio: non c'è stata nessuna violenza né rapina. Si è trattato di un semplice furto in appartamento mentre i due erano fuori casa L'odissea di donne e bambini In Sicilia la seconda tendopoli. Sempre in Sicilia, oltre al Villaggio Mineo, è in arrivo una seconda area d'accoglienza per gli immigrati, una tendopoli fuori Trapani. Sono già in corso i lavori per l'allestimento del campo nell'ex aeroporto militare di Kinisia, a poca distanza da Birgi. Ma scoppia la polemica: il sindaco di Trapani ha scritto a Berlusconi a a Maroni: "Non è accettabile che il peso dell'emergenza, che deve riguardare tutto il territorio italiano, Nord compreso, e l'Unione Europea, venga scaricato esclusivamente sulla Sicilia". E ancora: "Il sito individuato per l'installazione della tendopoli è del tutto privo dei requisiti minimi in termini di servizi (acqua, scarico reflui, etc) e riversare un gran numero di persone a Chinisia, in queste condizioni, potrebbe determinare, oltre che una condizione di vita disumana per gli stessi, seri problemi di salute pubblica. E alle già annunciate proteste dei cittadini della provincia di Trapani si aggiungerebbero le altrettanto legittime proteste degli extracomunitari, i quali verrebbero 'abbandonati' in un'area assolutamente inidonea allo scopo". Maroni: "Pronti a rimpatri forzosi" | Napolitano: "No a reazioni sbrigative" Due gommoni partiti dalla Libia. Sono almeno due i barconi partiti dalla Libia dai quali in queste ore è stato lanciato l's.o.s. attraverso telefoni satellitari e dei quali finora non è stata trovata traccia. Lo conferma Laura Boldrini, portavoce dell'Unhcr, l'Alto commissariato Onu per i rifugiati. A bordo ci sono persone di nazionalità somala, eritrea e libica, compresi molte donne e molti bambini. E intanto sono state avviate le operazioni di soccorso per un barcone con circa 300 persone a bordo che si trova in difficoltà a 7 miglia al largo di Lampedusa. Verso il barcone, che starebbe imbarcando acqua, si stanno dirigendo le motovedette della Capitaneria di porto. A bordo ci sono anche donne e bambini. Nella notte, subito dopo l'ennesimo arrivo al porto una ventina di extracomunitari annunciano di avere intrapreso lo sciopero della fame, mostrando cartelli con scritte in francese e arabo. Lombardo: "Nessun blocco delle scuole". Oggi il presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo, ha visitato l'isola per capire la situazione delle scuole. "Ho constatato che, nonostante gli allarmi lanciati, non si e' verificato finora il temuto blocco dell'attività scolastica. Salvo pochi casi, i ragazzi vanno regolarmente a scuola e l'istituzione scolastica lavora normalmente. E' un ottimo segnale per l'isola", ha detto dopo essere stato nell'istituto scolastico omnicompresivo 'Pirandello'. Un Cara a Mineo. Il centro di Mineo sarà un Cara, un centro per richiedente asilo. Lo ha stabilito con un decreto il ministro Maroni e la gestione verrà affidata al prefetto di Catania Vincenzo Santoro. La scorsa notte altri 500 migranti sono stati trasferiti nel Villaggio della solidarietà di Mineo, nel Catanese, che, attualmente, ospita complessivamente circa 2.000 extracomunitari. Le persone portate nella notte nel Residence degli aranci sono cittadini somali, eritrei, egiziani, richiedenti asilo che erano su due barconi soccorsi da navi della capitaneria di porto al largo delle Egadi e portati a Porto Empedocle. Per protestare contro il loro a Mineo si è tenuta una manifestazione organizzata dalla federazione provinicale di Catania della Destra-As. "Siamo di fronte a un fenomeno epocale dovuto anche al fatto che le rivoluzioni africane in atto stanno coinvolgendo milioni di cittadini e tutto questo accade mentre a Bruxelles sembrano dimenticare che l'obiettivo dei migranti non è invadere l'Italia ma raggiungere ogni lembo dell'Europa", ha detto il segretario regionale della Destra, Gino Ioppolo. Violentate in Libia, i mariti su altri barconi Barcone in avaria a Pantelleria. L'emergenza non si ferma. Ventuno uomini e una donna sono stati soccorsi e portati in salvo da una motovedetta della Guardia costiera di Pantelleria. Erano su un peschereccio alla deriva nel canale di Sicilia a circa 38 miglia a nord dell'isola. Sono stati segnalati dall'aereo del Frontex che da circa un mese monitorizza l'area. Il personale della Guardia costiera li ha raggiunti e li ha presi a bordo della motovedetta. Il peschereccio è stato lasciato alla deriva ed è stato emesso un avviso per i naviganti. (28 marzo 2011)
L'EMERGENZA PROFUGHIi A Manduria esplode la rabbia in arrivo altri 870 immigrati Stamattina consiglio comunale di fuoco con il sottosegretario Mantovano che rassicura: "Nel campo non più di 1500 profughi". La nave passeggeri della Grimaldi è salpata alle 2,45 della notte da Lampedusa diretta a Taranto.Le ruspe continuano a lavorare. I tecnici del Viminale: tende per cinquemila immigrati Dal nostro inviato LELLO PARISE A Manduria esplode la rabbia in arrivo altri 870 immigrati La tendopoli di Manduria MANDURIA - Avevano detto che al massimo sarebbero stati settecento. Ma già da oggi o al più tardi domani saranno il doppio. Sono 827 i migranti imbarcati nella nave passeggeri della Grimaldi salpata alle 2:45 della notte dall'attracco di Lampedusa e diretta a Taranto. "La tendopoli di Manduria non ospiterà più di 1500 immigrati, compresi gli 827 in arrivo con una nave da Lampedusa", ha cercato di rassicurare il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano intervenendo stamani a una riunione del consiglio comunale straordinario convocato dal sindaco, Paolo Tommasino, a Manduria per esaminare la situazione dei profughi. Mantovano ha poi annunciato che da oggi cento fra carabinieri e poliziotti saranno impiegati "per il controllo del territorio". La tendopoli "è una soluzione dettata da un'esigenza assolutamente transitoria - ha aggiunto Mantovano - e non sarà l'unica". Quanto alla distinzione se potrà trasformarsi in Centro di immigrazione e di espulsione (Cie) oppure Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara), Mantovano ha risposto che la tendopoli "è una estensione di Lampedusa, dove stiamo gestendo la prima accoglienza. Di certo non è un Cie, che è una struttura chiusa". "Chi se ne andrà volontariamente perderà il diritto d'asilo e diventerà clandestino" ha aggiunto Mantovano, riferendosi al centinaio di tunisini che già sono fuggiti nelle campagne abbandonando la tendopoli che è ancora in allestimento. I tecnici del Viminale fanno sapere che hanno tende per cinquemila immigrati. "Siamo come Lampedusa" scuote la testa il sindaco pidiellino di Manduria, Paolo Tommasino che stamattina ha riunito il consiglio comunale per fare chiarezza e per tranquillizzare i residenti che ieri per un'ora hanno bloccato una strada in segno di protesta. Intanto tra i 547 tunisini sbarcati a Taranto da nave San Giorgio e poi trasferiti nella tendopoli allestita nel giro di ventiquattr'ore dai vigili del fuoco tra la città del Tarantino e Oria, nel Brindisino, un centinaio riesce a fuggire. Pattuglie di vigili urbani ne acciuffano trenta. Massimo Ferrarese, presidente Udc dell'amministrazione provinciale di Brindisi, allarga le braccia: "Li ospitano all'interno di questo vecchio ospedale militare per farli scappare. È inevitabile, la recinzione metallica è alta appena due metri". Per attrezzare il campo profughi le aziende locali fanno lavori che ammontano ad un paio di milioni di euro, ci sono anche le docce alimentate con l'energia prodotta dai pannelli solari. Accudire, rifocillare, fare dormire i nordafricani costerà qualcosa come 500 mila euro al mese, secondo i calcoli del direttore di questo villaggio della disperazione, Nicola Lonoce, in nome e per conto della Connectig people. L'aria che tira a contrada Paioni, non è delle migliori. Gli extracomunitari sono uomini tra i 18 e i 35 anni, solo uno è minorenne: "Fuggiamo dalla guerra e abbiamo paura, non siamo terroristi" raccontano. Nella maggior parte dei casi, sognano di raggiungere la Francia. Come Jamel, 20 anni: "Sono stato a Lampedusa per due giorni, ho dormito all'aperto, voglio andare a Parigi, incontrerò mio fratello. No, non ci penso proprio a restare in Italia, voi avete la crisi". Il sindaco Tommasino avvisa: "Scateneremo il finimondo se continueranno a non rispondere alle nostre domande. Tutta questa gente deve essere assistita, ma quanti migranti arriveranno? Per quanto tempo resteranno accampati? Nessuno apre bocca. Gli uomini politici di tutti gli schieramenti, vengono, fanno la sfilata e vanno via. Quando si spengono i riflettori delle telecamere, se ne fregano. Inviterò i miei cittadini ad emigrare in Tunisia, così almeno si beccano i 1.500 euro promessi dal ministro Maroni". (28 marzo 2011)
2011-03-27 Napolitano, missione negli Usa "Tempi difficili, ma ce la faremo" Primo giorno della visita del Presidente. Il riongraziamento a Obama e l'incontro con la comunità italo-americana: "Nell'anniversario dell'Unità ho visto emergere un rinnovato spirito nazionale. We shall overcome" Napolitano, missione negli Usa "Tempi difficili, ma ce la faremo" Napolitano in aereo poco prima di atterrare a New York NEW YORK - Tempi difficili si prospettano nel futuro dell'Italia, ma non ci si preoccupi: ce la faremo. Anzi: "We shall overcome", promette Giorgio Napolitano che, per la sua professione di ottimismo, mutua le parole del più famoso inno dei neri d'America in lotta per i diritti civili al seguito di Martin Luther King. Prima giornata del terzo viaggio americano del Capo dello Stato. Napolitano incontra i rappresentanti della comunità italoamericana nel cuore di Manhattan. Omaggio ad Obama, che per l'anniversario dell'Unità d'Italia ci ha inviato "una straordinaria proclamazione" tutta puntata su due parole: "Orgoglio e fiducia". Tra due giorni il Presidente della Repubblica sarà a Ellis Island, simbolo dell'immigrazione italiana in America. "Siamo grati agli Stati Uniti per le opportunità che ha saputo offrire ai nostri cittadini. Sono un Paese che è capace di premiare il duro lavoro e di promuovere gli avanzamenti sociali". Anche per questo gli italoamercani continuano a provare "sincero affetto" per il loro Paese d'origine. Come faceva Geraldine Ferraro, la prima donna nella storia americana a far parte di un 'ticket' per la Casa Bianca. Oggi "ne piangiamo la scomparsa", ricorda il Presidente della Repubblica. "Il mondo di oggi è contrassegnato da opportunità e sfide", conclude, "i prossimi anni non saranno facili per facili per nessuno, ed in particolare per l'Italia. Ma oggi ho il grande piacere che le celebrazioni per il nostro 150esimo anniversario hanno visto emergere un rinnovato spirito nazionale. Questo il nuovo spirito di orgoglio e fiducia, la rinnovata volontà di rafforzare la nostra unità e coesione nazionale sono le condizioni per superare le difficoltà che sono davanti a noi. Sì, we shall overcame". (27 marzo 2011)
LAMPEDUSA Telefonata Berlusconi-Lombardo "Cerchiamo navi per gli immigrati" Il premier ha detto al governatore di aver parlato con i ministri Maroni e La Russa, per non far più sbarcare immigrati nell'isola e di accoglierli a bordo di imbarcazioni per poi smistarli nei centri di accoglienza. Poco prima il presidente della Regione aveva parlato di "situazione disumana". E sui disagi aveva attaccato la Lega: "Non vorrei pensare al dolo". Al prefetto Caruso ha aggiunto: "Rischio di epidemia" di ENRICO BELLAVIA Telefonata Berlusconi-Lombardo "Cerchiamo navi per gli immigrati" Il presidente della Regione Sicilia durante la visita all'ex base Loran di Lampedusa Un Consiglio dei ministri su Lampedusa. È la rassicurazione del premier Silvio Berlusconi al governatore siciliano Raffaele Lombardo che dopo una visita dell'isola, aveva cercato di mettersi in contatto con il presidente del Consiglio. Con una telefonata di dieci minuti, Berlusconi ha detto a Lombardo di aver parlato con i ministri Maroni e La Russa, della possibilità prospettata da Lombardo di non far più sbarcare immigrati nell'isola e di accoglierli a bordo di navi per poi smistarli nei centri di accoglienza. "Ho avuto la disponibilità di un armatore per avere delle navi. Parlerò di nuovo con i ministri e ti farò sapere sulla richiesta di un Consiglio dei ministri apposito per Lampedusa", così ha detto Berlusconi a Lombardo. La telefonata di Berlusconi al presidente della Regione è arrivata in risposta alle dure dichiarazioni di Lombardo durante il suoi tour a Lampedusa. Il governatore aveva definito "inadeguata e incredibile" la risposta del governo nazionale all'emergenza ed era tornato a invocare l'intervento del presidente Napolitano al quale chiederà di essere ricevuto. Per Raffaele Lombardo "Lampedusa è ormai come Tunisi". Gli immigrati vagano alla ricerca di cibo e sigarette, "ogni angolo ormai è un bivacco". Una "situazione disumana" che per il governatore siciliano non ha sbocchi se non si adotta la procedura del soccorso in mare dei migranti e del trasporto via nave verso i centri di accoglienza. "Niente tendopoli a Lampedusa", ha ribadito il governatore che parlando al telefono con il commissario per l'emergenza immigrazione, il prefetto Giuseppe Caruso, ha lanciato un allarme per il "rischio epidemia". "La gente - ha spiegato ancora Lombardo - non li vuole perché teme che siano permanenti". Mentre gli sbarchi si susseguono, con 1.200 nuovi arrivi in 24 ore, il capo dell'esecutivo siciliano ha visitato anche la base Loran dove sono ospitati donne e bambini. Negli incontri con gli immigrati in molti hanno invocato il trasferimento a Roma. Concludendo il giro e rispondendo ai giornalisti, Lombardo ha scaricato sul governo nazionale la responsabilità dei disagi, dall'assedio dell'isola, ai pasti che scarseggiano. Ha annunciato con gli esponenti del governo l'allestimento di una cucina da campo per 2.000 pasti, ma è poi tornato a polemizzare sul carico che grava esclusivamente sul Sud. "Non vorrei pensare al dolo del governo", ha risposto circa la possibilità che l'emergenza Lampedusa sia il frutto della necessità della Lega di rassicurare il proprio elettorato. "Nemmeno la Val d'Aosta vuole gli immigrati", ha sottolineato Lombardo, raccontando degli impegni disattesi dalle altre regioni. "Si prevedono altri 10 o 20 mila arrivi - ha aggiunto Lombardo - Quelli che sono giunti qui in questi giorni erano ampiamente previsti e annunciati ma il governo nazionale non è stato capace di approntare un piano e darsi una migliore organizzazione. Non si può continuare a lasciare l'isola abbandonata a se stessa e in ginocchio a meno che - conclude Lombardo - a qualcuno, incoscientemente e proditoriamente, non sia balenata la terribile idea di riportare Lampedusa, come era ai tempi del fascismo e prima ancora, colonia penale per deportati e confinati". (27 marzo 2011)
Diretta Controllo delle operazioni alla Nato Oltre 8 morti a Misurata, insorti a Sirte Controllo delle operazioni alla Nato Oltre 8 morti a Misurata, insorti a Sirte Continuano anche gli scontri a Misurata. L'appello su Twitter: "Aiutateci. Ci sono molti morti e feriti dalla scorsa notte", scrive un giovane. Almeno otto persone sono state uccise e 24 sono rimaste ferite dai colpi di mortaio delle truppe di Muammar Gheddafi. Passa la decisione dei Ventotto per il passaggio del comando in Libia dalla coalizione dei volenterosi all'Alleanza Atlantica. I 28 Alleati hanno approvato i piani per assumere sotto la loro responsabilità l'implementazione di "tutti gli aspetti" della risoluzione Onu 1973, incluso il paragrafo 4, che autorizza la comunità internazionale a prendere "tutte le misure necessarie" per proteggere i civili e le aree popolate sotto minaccia di attacco, escludendo solo "l'occupazione sotto qualsiasi forma" di qualsiasi parte del territorio libico. Le forze alleate oggi hanno continuato a colpire dal cielo le truppe fedeli a Gheddafi. Un portavoce del governo libico ha chiesto che i raid finiscano immediatamente, invocando una seduta straordinaria del Consiglio di sicurezza Onu. Intanto i ribelli riconquistano terreno: il terminale di Ras Lanuf è nuovamente in mano loro. Appello del pontefice alla pace: "Basta armi. Avviate il dialogo". Prosegue il dramma dei profughi: nelle ultime 24 ore gli sbarchi a Lampedusa sono stati più di 1.200 (Aggiornato alle 21:53 del 27 marzo 2011) 21:53 Situazione tesa per giornalisti a Sirte 55 – "E' sempre più tesa" la situazione per la ventina di giornalisti occidentali che a bordo di tre pulmini senza alcuna insegna 'press' sono stati portati dalle autorità libiche da Tripoli a Sirte. Convocati in teoria per assistere a una "marcia della pace" dei capi tribù, che da Tripoli doveva raggiungere Bengasi via Sirte per avviare negoziati di pace con gli omologhi della Cirenaica, i reporter "si ritrovano bloccati da oltre 2 ore all'interno dei loro van circondati da decine di persone, molte armate". 21:51 Altre quattro esplosioni a Tripoli 54 – Almeno altre quattro esplosioni sono state avvertite stasera a Tripoli, dopo le sei udite poco più di un'ora fa seguite dal fuoco della contraerea. I giornalisti dell'agenzia Reuters nella capitale libica riferiscono di avere visto il cielo illuminarsi sopra il settore sud della cittàe di avere udito forti boati. 21:26 Misurata, 8 morti e 24 feriti da salve mortai Gheddafi 53 – Almeno 8 persone sono state uccise e 24 feriti dai colpi di mortaio delle truppe di Muammar Gheddafi che hanno martellato il centro di Misurata. Lo riferiscono testimoni locali. 20:58 Italia soddisfatta del comando Nato 52 – "L'Italia è soddisfatta" della scelta di affidare alla Nato il comando unico delle operazioni militari in Libia alla Nato. E' quanto hanno dichiarato fonti qualificate delle Farnesina, sottolineando che "questo era quanto il governo italiano aveva auspicato, convinto della necessità un'unicità di comando". 20:57 Rasmussen: "Passaggio a Nato con effetto immediato" 51 – Il passaggio del comando di tutte le operazioni militari sulla Libia dagli Usa alla Nato avrà "effetto immediato". Lo ha chiarito il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen al termine della riunione del Consiglio Atlantico dei Ventotto. Il controllo della No-fly zone e dell'embargo navale era già sotto ombrello Nato e affidato al generale canadese Charle Bouchard dal quartier generale di Napoli. Bouchard guiderà ora anche le operazioni finora riservate alla cosidetta 'coalizione dei volenterosi' guidata dagli Usa, con il sostegno, in primis, di Francia e Gran Bretagna spettavano le operazioni di attacco al suolo a "protezione dei civili libici" secondo quanto stabilito dall risoluzione 1973 delle Nazioni Unite. 20:39 Gommone a largo della Libia lancia Sos 50 – Un gommone partito dalla Libia con 68 profughi tra i quali numerose donne e bambini si trova in questo momento a circa 60 miglia dalle coste nordafricane e ha lanciato un sos. A dare l'allarme è stato, ancora una volta, Don Mosè Zerai, il sacerdote eritreo presidente dell'Agenzia Habesha, che è stato contattato con un satellitare. I migranti hanno detto di essere partiti venerdì sera da Tripoli e sollecitano un intervento di soccorso perché il carburante si sta esaurendo. 20:38 Frattini: "Bisogna portare Gheddafi all'esilio" 49 – L'esilio di Gheddafi "è una delle opzioni che la comunità internazionale sta valutando: dubito che lui se ne voglia andare ma la comunità internazionale deve insistere". E quanto ha sottolineato il ministro degli Esteri Franco Frattini - in una dichiarazione al Tg1 - spiegando che, in questa direzione, l'Unione Africana "ha un ruolo importante da svolgere". 20:32 Raid aerei coalizione a Tripoli e Sirte 48 – Con il calare della sera i jet della coalizione tornano in azione sopra Tripoli e a Sirte. Almeno sei esplosioni sono state avvertite nella capitale libica e due nella citta natale di Gheddafi. 20:26 Il comando attivo in 48-72 ore 47 – Il passaggio delle consegne tra la 'coalizione dei volenterosi' e l'Alleanza si concluderà entro 48-72 ore. 20:17 Nato proteggerà i civili da attacchi Gheddafi 46 – La Nato ha deciso oggi di implementare tutti gli aspetti della risoluzione Onu 1973 per proteggere i civili e le aree popolate da civili sotto minaccia di attacco da parte del regime di Gheddafi. Lo riferiscono fonti qualificate dell'Alleanza. 20:14 Nato, raggiunto l'accordo. Operazioni all'Alleanza Atlantica 45 – Accordo raggiunto a Bruxelles tra i 28 ambasciatori del Consiglio Atlantico della Nato: all'Alleanza sarà affidato il comando di tutte le operazioni militari previste dalla risoluzione 1973 delle Nazioni Unite sulla Libia. Lo riferiscono fonti dei Ventotto. La Nato sarà quindi responsabile non solo dell'applicazione della no-fly zone e dell'embargo navale - compiti già assegnati a Bruxelles - ma anche le operazioni di attacco al suolo a difesa dei civili, finora competenza esclusiva della cosiddetta 'coalizione dei volenterosi' guidata dagli Usa, cui hanno partecipato anche in prima battuta Francia Gran Bratagna, oltre Canada e Italia. 20:00 Nato, accordo ormai concluso 44 – E' in dirittura d'arrivo la decisione dei 28 stati membri della Nato per il passaggio del comando di tutte le operazioni militari in Libia dalla coalizione dei volenterosi all'Alleanza Atlantica. Lo riferiscono fonti qualificate della Nato, parlando di "accordo ormai concluso". 18:55 Nato inizia a applicare 'no fly zone' e embargo navale 43 – In attesa del via libera del Ventotto membri della Nato all'assunzione di tutte le operazioni militari sulla Libia, l'Alleanza ha già cominciato a "eseguire le operazioni per l'imposizione della no-fly zone" sulla Libia e dell'embargo navale delle armi. Lo ha annunciato il generale canadese incaricato di coordinare le operazioni, Charles Bouchard. 18:45 Santa Sede parteciperà martedì a conferenza di Londra 42 – Anche la Santa Sede sarà presente, in qualità di osservatore, alla conferenza di Londra sulla Libia di martedì prossimo. A rappresentare la Santa Sede sarà il Nunzio apostolico in Gran Bretagna, Mons. Antonio Mennini. Lo ha riferito il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, interpellato sull'argomento. 18:43 Convoglio militari e civili lasciano Sirte 41 – Un convoglio di 20 mezzi militari e dozzine di civili sono stati visti lasciare oggi Sirte, città natale di Muammar Gheddafi, diretti verso Tripoli. 18:27 Ribelli entrati a Nawfaliya 40 – I ribelli libici affermano di essere entrati a Nawfaliya, circa 100 km a est di Sirte, e ultima città di rilievo prima della roccaforte di Muammar Gheddafi. Lo riferisce la Bbc online. 18:04 Anarchici in marcia a Genova contro la guerra 39 – Una cinquantina di anarchici e di frequentatori di centri sociali hanno dato vita questo pomeriggio a una manifestazione contro l'intervento dell'Italia in Libia. 17:59 Ancora scontri a Misurata. Twitter: morti e feriti 38 – Scontri tra ribelli e forze fedeli a Muammar Gheddafi sono in corso nel centro di Misurata, la città stretta tra Tripoli a ovest e Sirte a est. Lo riferiscono fonti dei ribelli. Secondo testimoni, citati da Al Arabiya, le forze di Gheddafi stanno utilizzando carri armati e armi pesanti per portare avanti l'attacco. Su Twitter rimbalzano gli appelli di molti, che si dicono residenti in città, per l'invio di medici e aiuti umanitari: "Ci sono molti morti e feriti dalla scorsa notte", scrive un giovane. 17:42 La Nato vuole limitare i raid a protezione dei civili 37 – La Nato intende limitare i raid a protezione dei civili e delle zone abitate. Lo hanno dichiarato fonti diplomatiche. Il piano messo a punto dall'Alleanza atlantica non prevede interventi per sostenere gli insorti che combattono le forze del Colonnello, hanno precisato questi diplomatici, sottolineando che l'Alleanza intende restare "imparziale" nel conflitto. 17:41 Quarto barcone di libici partito verso Lampedusa 36 – Un altro barcone partito ieri dalla Libia, il quarto nel giro di poche ore, è in navigazione verso Lampedusa. Sono stati gli stessi migranti, che hanno detto di essere circa 300 in gran parte somali ed eritrei, a telefonare con un satellitare ad alcuni loro familiari residenti in Italia. Un quinto barcone, partito sempre dalla Libia, sarebbe stato invece costretto a rientrare a causa di un'avaria al motore. 17:31 Gb, coalizione internazionale non armerà ribelli 35 – La coalizione internazionale non armerà i ribelli libici in lotta contro il regime di Gheddafi. A dichiararlo è stato il ministro della Difesa britannico Liam Fox, spiegando che una simile eventualità violerebbe l'embargo Onu sulle armi. 17:19 Nato, al generale Bouchard il comando Task force 34 – Il Generale di divisione dell'Aeronautica militare canadese, Charles Bouchard, è stato recentemente nominato Comandante della Task force multiforze combinata per l'operazione 'Unified Protector' dal comandante supremo alleato in Europa, ammiraglio James Stavridis. Il Generale Bouchard, è spiegato in un comunicato stampa, "avrà il comando delle forze Nato e non-Nato assegnate all'operazione Unified Protector. Le operazioni Nato in Libia sono finalizzate all'attuazione dell'embargo e della No-fly zone". 17:17 Portavoce: "Gheddafi è in costante movimento" 33 – Il portavoce del governo di Tripoli ha sostenuto che Gheddafi sta dirigendo personalmente le proprie truppe e si sposta da un punto all'altro della Libia. "Sta conducendo la battaglia. Sta guidando la nazione dappertutto nel paese", ha detto il portavoce Mussa Ibrahim. Gheddafi non è più apparso in televisione dal suo discorso di mercoledì scorso e da ancora prima non sono più stati visti i suoi figli Saif Al Islam e Khamis che invece erano soliti parlare con i media stranieri. 17:05 Si intensifica attività aeroporti sardi 32 – Diventa sempre più intensa l'attività dell'aeroporto militare di Decomomannu, a pochi chilometri da Cagliari, nell'operazione 'Odissey down'. Dopo l'arrivo degli 6i "Fighting Falcon" F-16 AM dell'aeronautoica reale olandese, e dei 4 F18 spagnoli, ieri è arrivato in Sardegna il primo jet dell'aeronautica degli Emirati Arabi Uniti, un gigantesco Antonov AN 124, che trasporta materiali avionici e personale addetto alla manutenzione. 16:58 Coalizione, incertezza su guida politica operazioni 31 – Se la disputa sulla struttura del comando militare tra Francia, Gb, Usa e Turchia, sembra in via di soluzione, resta ancora grande. Aspetto quest'ultimo che sarà affrontato nella conferenza internazionale che si terrà a Londra martedì. 16:56 Vertice Bruxelles: Nato pronta al comando 30 – La Nato è pronta a prendere il pieno comando della missione in Libia dalla prossima settimana, della no fly zone e dei raid aerei, che al momento sono coordinati dagli Stati Uniti, impazienti di cedere le redini all'Alleanza. La decisione dovrebbe arrivare questa sera a conclusione del vertice degli ambasciatori dell'Alleanza Atlantica oggi a Bruxelles. 16:47 Ribelli pronti a esportare petrolio in meno di sette giorni 29 – I campi petroliferi riconquistati nelle ultime 48 ore consentiranno ai ribelli di "produrre almeno 100mila, 130mila barili al giorno, e possiamo facilmente arrivare a un ritmo di 300mila", ha detto Ali Tarhoni, responsabile per gli affari economici dei ribelli che hanno il controllo di Ras Lanuf, Marsa el Brega e Tobruk. 16:43 In centinaia ancora imprigionate a Tripoli 28 – Ci sono ancora centinaia di persone imprigionate a Tripoli, arrestate nelle settimane scorse nelle città ribelli di Misurata, Zawiya e altre ancora: lo riferisce il corrispondente Bbc da Tripoli, citando la testimonianza di una persona rilasciata da uno dei carceri principali. 16:40 Ribelli, accordo con Qatar per esportazione petrolio 27 – I ribelli libici "hanno raggiunto un accordo" con il Qatar per l'esportazione del petrolio dell'est del Paese. Lo riferisce un esponente dei ribelli: "Il prossimo invio è previsto in meno di una settimana". 16:28 Le forze di Gheddafi attaccano Misurata 26 – Abitanti di Misurata riferiscono che le forze fedeli a Gheddafi hanno ripreso l'attacco contro la città portuale situata tra Tripoli e Sirte. Un ribelle, sempre da Misurata, ha detto che Gheddafi sta spostando tutto il suo peso su Misurata allo scopo di poter controllare l'intera parte ovest del paese dopo aver perso quella est. 16:28 Ribelli: "Pronti a esportare petrolio" 25 – I ribelli libici si dicono pronti a esportare petrolio "in meno di una settimana" e in grado di produrre "dai 100.000 ai 130.000 barili al giorno". Lo ha annunciato un portavoce, dopo la conquista oggi degli impianti e dei terminal a sud di Bengasi 15:42 Frattini: promuovere immediato cessate il fuoco 24 – Frattini: "Dobbiamo promuovere un immediato cessate il fuoco per garantire alla popolazione un futuro di libertà e di democrazia" senza Muammar Gheddafi. Per il titolare della Farnesina "le truppe italiane partecipano alla missione navale e aerea ma la nostra finalità ultima è il dopo-Gheddafi, garantire alla popolazione libica la possibilità di vivere senza la paura del regime e delle rappresaglie" 15:01 Festa ad Ajdabiya dopo ritorno forze ribelli 23 – E' festa ad Ajdabiya, la città a sud di Bengasi riconquistata ieri dalle forze antigovernative dopo giorni di battaglia con le forze di Muammar Gheddafi. In città, ha constatato il corrispondente Ansa, viene distribuito pane. Letteralmente preso d'assalto l'unico distributore di benzina aperto, dove centinaia di auto hanno creato una lunga coda. 14:52 Gates: "Crisi libica mette a rischio Egitto e Tunisia" 22 – La situazione in Libia, secondo il ministro della Difesa americano, Robert Gates, rischia di minacciare la fragile stabilità di Egitto e Tunisia. Lo ha detto oggi lo stesso Gates intervistato insieme al segretario di Stato, Hillary Clinton, nell'ambito della trasmissione domenicale della Abc 'This Week'. Gli scontri tra ribelli e forze ancora leali al colonnello Muammar Gheddafi "rischiano di mettere a rischio le rivoluzioni di Egitto e in Tunisia" ha affermato. 14:51 Gates e Clinton: "Defezioni importanti tra forze Gheddafi" 21 – Il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, e il ministro della Difesa, Robert Gates, hanno riferito oggi a tv americane di avere notizia che tra le forze pro-Gheddafi vi sono state "defezioni importanti" in Libia. Anche alcuni tra i più stretti collaboratori del colonnello libico si sarebbero allontanati da lui. 14:50 Tremonti: "Soluzione e crisi può essere solo europea" 20 – "La soluzione può essere solo Europea". A sostenerlo a 'In Mezz'orà è il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, in merito alla crisi in Libia. 14:38 Inviato dell'Ansa: "Soldati di Gheddafi sono spariti" 19 – Lungo la strada da Bengasi a Ras Lanuf non c'è "segno della presenza dei soldati di Muammar Gheddafi": lo ha constatato il corrispondente dell'ANSA che segue l'avanzata delle forze antigovernative verso Sirte. Ieri Tripoli aveva affermato di aver ritirato le proprie forze dall'area a sud di Bengasi, sede di strategici impianti energetici. 14:30 Atterrati in Sardegna aerei Emirati Arabi Uniti 18 – E' cominciato nel primo pomeriggio il rischieramento in Sardegna dei velivoli degli Emirati Arabi Uniti che parteciperanno alla coalizione che su mandato dell'Onu dovrà garantire la no fly zone sulla Libia. Alle 14.00 nell'aeroporto "Mario Mameli" di Cagliari-Elmas è atterrato un Airbus-330 con materiali e personale logistico. 13:53 Attesi a Londra martedì 35 ministri degli Esteri 17 – I ministri degli Esteri di oltre 35 paesi hanno confermato la loro partecipazione alla riunione del gruppo di contatto politico sulla Libia, in programma martedì a Londra. Lo ha annunciato il Foreign Office in un comunicato. 13:35 In mano ai ribelli anche avamposto di Ben Jawad 16 – E' ora in mano dei ribelli anche Ben Jawad, cittadina a una cinquantina di km a ovest di Ras Lanuf e punto più avanzato raggiunto dalle forze anti Gheddafi nel loro primo assalto verso Tripoli di inizio mese. Lo hanno constato giornalisti dell'agenzia Afp. 12:16 Papa: "Anche in Libia convivenza fraterna" 15 – Benedetto XVI è tornato oggi a chiedere la fine della violenza in Medio Oriente, facendo riferimento all'attentato dell'altro giorno a Gerusalemme. "Il mio pensiero - ha detto il Papa dopo l'accorato appello per la fine dell'uso delle armi in Libia - si indirizza alle Autorità ed ai cittadini del Medio Oriente, dove nei giorni scorsi si sono verificati diversi episodi di violenza, perché anche là sia privilegiata la via del dialogo e della riconciliazione nella ricerca di una convivenza giusta e fraterna". 12:13 La Russa: "E' passato tutto in mano alla Nato" 14 – "Questa mattina i capi di stato maggiore della Difesa della coalizione della Nato hanno predisposto definitivamente il piano della no-fly zone plus e tutto praticamente è passato sotto l'egida della Nato, sia l'embargo navale che è comandato da un ammiraglio italiano sia le operazioni aeree". Lo ha dichiarato il ministro della Difesa Ignazio La Russa presente questa mattina a Cesano Maderno per partecipare ad una cerimonia promossa per l'Unità d'Italia. 12:09 Papa: "Avviare dialogo, fermare le armi" 13 – Pregando per "un ritorno alla concordia in Libia e nell'intera Regione nordafricana" il Papa rivolge "un accorato appello agli organismi internazionali e a quanti hanno responsabilità politiche e militari, per l'immediato avvio di un dialogo, che sospenda l'uso delle armi". apa Ratzinger lo ha detto dopo la preghiera dell'Angelus. 11:28 Ras Lanuf in mano agli insorti 12 – Il terminal petrolifero di Ras Lanuf, nella Libia orientale, è caduto nelle mani delle forze antigovernative. Lo hanno constatato giornalisti della France Presse. 11:08 Difesa britannica smentisce stampa: "Niente armi ai ribellI" 11 – "Non stiamo armando i ribelli e non abbiamo in programma di fornire loro armi". Lo ha detto alla Bbc Liam Fox, segretario alla Difesa britannico. Secondo il sito dell'emittente britanica, Fox ha detto che la coalizione è intervenuta "per difendere i civili nella speranza che possano dormire nei loro letti la notte senza chiedersi se il regime li ammazzerà". Secondo indiscrezioni raccolte dal Washington Post, gli Usa e gli alleati stanno considerando la possibilità di fornire armi agli insorti libici per aiutarli a sconfiggere le forze del colonnello Gheddafi. 10:37 Ribelli annunciano presa del porto di al-Burayqa 10 – I ribelli che combattono contro il regime libico di Muammar Gheddafi affermano di aver preso il controllo del porto petrolifero di al-Burayqa. Lo riferisce il sito dell'insurrezione Libya al Youm. In città, si legge, l'elettricità è stata tagliata da giorni e scarseggia il cibo. 10:03 Forze anti Gheddafi in marcia verso Las Ranuf 9 – Le forze antigovernative hanno riconquistato la strategica città di Brega, nella Libia orientale, e, avanzando verso ovest, hanno già raggiunto Uqayla, l'ultima località prima del principale terminal petrolifero libico, Ras Lanuf. Lo ha riferito un corrispondente di Al Jazira. 09:57 Arrivato a Linosa barcone con 282 migranti 8 – E' giunto questa notte alle 4.40 a Linosa, la più piccola delle isole Pelagie, il barcone con 282 migranti, tra cui 12 bambini e 80 donne, partito quattro giorni fa dalla Libia. Sulla "carretta", soccorsa ieri sera da due motovedette della Guardia Costiera, viaggiava anche la donna etiope di 26 anni che ha partorito durante la traversata un bimbo chiamato Yeabsera (dono di Dio ndr). E' morto invece il bimbo di un'altra donna, incinta di tre mesi, che era sempre sul barcone. 09:56 Intercettata imbarcazione con a bordo 200 profughi 7 – Un altro barcone carico di profughi partito dalla Libia è in arrivo sulle coste italiane. L'imbarcazione è stata intercettata ad una sessantina di miglia da Lampedusa e ha il motore in avaria. A bordo ci sono circa 200 persone e verso l'imbarcazione sono già salpate da Lampedusa le motovedette della Guardia di Finanza. 09:56 A Lampedusa arrivati 1.227 profughi in 24 ore 6 – Sono 1.227 i migranti sbarcati nelle ultime 24 ore a Lampedusa. Tra questi sono compresi i 284 profughi eritrei ed etiopi, tra cui 80 donne e 12 minori, che si trovavano su un barcone proveniente dalla Libia e che sono arrivati attorno alle 4 della scorsa notte a Linosa. 09:54 Arrestata donna che ha denunciato stupro 5 – E' agli arresti, e non in ospedale, come avevano detto funzionari libici, la donna che ieri ha fatto irruzione nell'albergo che ospita i giornalisti stranieri a Tripoli e ha denunciato di essere stata sequestrata e stuprata da soldati di Muammar Gheddafi. Lo ha riferito un inviato dalla Cnn a Tripoli, Nic Robertson. Dopo aver urlato la sua denuncia ai reporter stranieri, la donna di circa 30 anni, di nome Iman al-Obeidi, era stata bloccata e portata via con la forza da funzionari della sicurezza. "E' mentalmente disturbata, l'abbiamo portata in ospedale", avevano detto ai reporter. 09:53 In porto a Taranto nave San Marco con 547 profughi 4 – Ha ormeggiato nella base navale di Mar Grande, a Taranto, la nave San Marco della Marina militare, che ha trasportato da Lampedusa 547 profughi (tutti uomini, un solo minore) destinati al centro di identificazione ed espulsione di Manduria (Taranto). Una decina i pullman messi a disposizione dalla Marina militare per condurre i profughi alla tendopoli. 09:52 Pentagono: "Gheddafi sposta cadaveri dopo attacchi" 3 – Le forze del colonnello Muammar Gheddafi spostano i corpi delle loro vittime sui siti bombardati dalla coalizione per far credere che siano civili uccisi dai raid degli alleati. Lo ha affermato il segretario alla Difesa statunitense, Robert Gates. "Abbiamo numerose rapporti secondo cui Gheddafi sposta i cadaveri della gente che ha ucciso per metterli nei siti che abbiamo attaccati", ha dichiarato Gates in un'intervista che sarà diffusa oggi dalla televisione Cbs. 09:50 Tripoli chiede stop a raid e riunione urgente dell'Onu 2 – Il regime di Muammar Gheddafi ha chiesto la fine degli attacchi aerei della coalizione internazionale e ha lanciato un nuovo appello per una riunione urgente del Consiglio di sicurezza dell'Onu. L'appello è giunto dopo gli intensi bombardamenti degli alleati lungo la strada che collega Ajbadiya, la strategica città orientale riconquistata ieri dagli insorti, e Sirte, la città natale del colonnello. Un portavoce del regime, Ibrahim, ha definito l'offensiva "sanguinaria, immorale e illegale" e ha nuovamente parlato di "numerose vittime tra i militari ma anche tra i civili". 09:50 Attacchi alleati nella notte contro forze fedeli a Gheddafi 1 – La coalizione internazionale in nottata ha attaccato le forze fedeli Muammar Gheddafi lungo la strada che collega Ajdabiya a Sirte. Lo ha reso noto un portavoce governativo a Tripoli. (27 marzo 2011)
Diretta Tripoli chiede una tregua, insorti a Ras Lanuf Il Papa: "Fermare le armi e avviare dialogo" Tripoli chiede una tregua, insorti a Ras Lanuf Il Papa: "Fermare le armi e avviare dialogo" Ribelli festeggiano la riconquista di Ajdabiya Le forze alleate hanno continuato a colpire dal cielo le truppe fedeli a Gheddafi anche nel corso della notte. Un portavoce del governo libico ha chiesto che i raid finiscano immediatamente, invocando una seduta straordinaria del Consiglio di sicurezza Onu. Intanto i ribelli riconquistano terreno: il terminale di Ras Lanuf è nuovamente in mano loro. Appello del pontefice alla pace. Prosegue il dramma dei profughi: nelle ultime 24 ore gli sbarchi a Lampedusa sono stati più di 1.200. Continuano gli scontri a Misurata. L'appello su Twitter: "Aiutateci. Ci sono molti morti e feriti dalla scorsa notte", scrive un giovane (Aggiornato alle 18:55 del 27 marzo 2011) 18:55 Nato inizia a applicare 'no fly zone' e embargo navale 43 – In attesa del via libera del Ventotto membri della Nato all'assunzione di tutte le operazioni militari sulla Libia, l'Alleanza ha già cominciato a "eseguire le operazioni per l'imposizione della no-fly zone" sulla Libia e dell'embargo navale delle armi. Lo ha annunciato il generale canadese incaricato di coordinare le operazioni, Charles Bouchard. 18:45 Santa Sede parteciperà martedì a conferenza di Londra 42 – Anche la Santa Sede sarà presente, in qualità di osservatore, alla conferenza di Londra sulla Libia di martedì prossimo. A rappresentare la Santa Sede sarà il Nunzio apostolico in Gran Bretagna, Mons. Antonio Mennini. Lo ha riferito il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, interpellato sull'argomento. 18:43 Convoglio militari e civili lasciano Sirte 41 – Un convoglio di 20 mezzi militari e dozzine di civili sono stati visti lasciare oggi Sirte, città natale di Muammar Gheddafi, diretti verso Tripoli. 18:27 Ribelli entrati a Nawfaliya 40 – I ribelli libici affermano di essere entrati a Nawfaliya, circa 100 km a est di Sirte, e ultima città di rilievo prima della roccaforte di Muammar Gheddafi. Lo riferisce la Bbc online. 18:04 Anarchici in marcia a Genova contro la guerra 39 – Una cinquantina di anarchici e di frequentatori di centri sociali hanno dato vita questo pomeriggio a una manifestazione contro l'intervento dell'Italia in Libia. 17:59 Ancora scontri a Misurata. Twitter: morti e feriti 38 – Scontri tra ribelli e forze fedeli a Muammar Gheddafi sono in corso nel centro di Misurata, la città stretta tra Tripoli a ovest e Sirte a est. Lo riferiscono fonti dei ribelli. Secondo testimoni, citati da Al Arabiya, le forze di Gheddafi stanno utilizzando carri armati e armi pesanti per portare avanti l'attacco. Su Twitter rimbalzano gli appelli di molti, che si dicono residenti in città, per l'invio di medici e aiuti umanitari: "Ci sono molti morti e feriti dalla scorsa notte", scrive un giovane. 17:42 La Nato vuole limitare i raid a protezione dei civili 37 – La Nato intende limitare i raid a protezione dei civili e delle zone abitate. Lo hanno dichiarato fonti diplomatiche. Il piano messo a punto dall'Alleanza atlantica non prevede interventi per sostenere gli insorti che combattono le forze del Colonnello, hanno precisato questi diplomatici, sottolineando che l'Alleanza intende restare "imparziale" nel conflitto. 17:41 Quarto barcone di libici partito verso Lampedusa 36 – Un altro barcone partito ieri dalla Libia, il quarto nel giro di poche ore, è in navigazione verso Lampedusa. Sono stati gli stessi migranti, che hanno detto di essere circa 300 in gran parte somali ed eritrei, a telefonare con un satellitare ad alcuni loro familiari residenti in Italia. Un quinto barcone, partito sempre dalla Libia, sarebbe stato invece costretto a rientrare a causa di un'avaria al motore. 17:31 Gb, coalizione internazionale non armerà ribelli 35 – La coalizione internazionale non armerà i ribelli libici in lotta contro il regime di Gheddafi. A dichiararlo è stato il ministro della Difesa britannico Liam Fox, spiegando che una simile eventualità violerebbe l'embargo Onu sulle armi. 17:19 Nato, al generale Bouchard il comando Task force 34 – Il Generale di divisione dell'Aeronautica militare canadese, Charles Bouchard, è stato recentemente nominato Comandante della Task force multiforze combinata per l'operazione 'Unified Protector' dal comandante supremo alleato in Europa, ammiraglio James Stavridis. Il Generale Bouchard, è spiegato in un comunicato stampa, "avrà il comando delle forze Nato e non-Nato assegnate all'operazione Unified Protector. Le operazioni Nato in Libia sono finalizzate all'attuazione dell'embargo e della No-fly zone". 17:17 Portavoce: "Gheddafi è in costante movimento" 33 – Il portavoce del governo di Tripoli ha sostenuto che Gheddafi sta dirigendo personalmente le proprie truppe e si sposta da un punto all'altro della Libia. "Sta conducendo la battaglia. Sta guidando la nazione dappertutto nel paese", ha detto il portavoce Mussa Ibrahim. Gheddafi non è più apparso in televisione dal suo discorso di mercoledì scorso e da ancora prima non sono più stati visti i suoi figli Saif Al Islam e Khamis che invece erano soliti parlare con i media stranieri. 17:05 Si intensifica attività aeroporti sardi 32 – Diventa sempre più intensa l'attività dell'aeroporto militare di Decomomannu, a pochi chilometri da Cagliari, nell'operazione 'Odissey down'. Dopo l'arrivo degli 6i "Fighting Falcon" F-16 AM dell'aeronautoica reale olandese, e dei 4 F18 spagnoli, ieri è arrivato in Sardegna il primo jet dell'aeronautica degli Emirati Arabi Uniti, un gigantesco Antonov AN 124, che trasporta materiali avionici e personale addetto alla manutenzione. 16:58 Coalizione, incertezza su guida politica operazioni 31 – Se la disputa sulla struttura del comando militare tra Francia, Gb, Usa e Turchia, sembra in via di soluzione, resta ancora grande. Aspetto quest'ultimo che sarà affrontato nella conferenza internazionale che si terrà a Londra martedì. 16:56 Vertice Bruxelles: Nato pronta al comando 30 – La Nato è pronta a prendere il pieno comando della missione in Libia dalla prossima settimana, della no fly zone e dei raid aerei, che al momento sono coordinati dagli Stati Uniti, impazienti di cedere le redini all'Alleanza. La decisione dovrebbe arrivare questa sera a conclusione del vertice degli ambasciatori dell'Alleanza Atlantica oggi a Bruxelles. 16:47 Ribelli pronti a esportare petrolio in meno di sette giorni 29 – I campi petroliferi riconquistati nelle ultime 48 ore consentiranno ai ribelli di "produrre almeno 100mila, 130mila barili al giorno, e possiamo facilmente arrivare a un ritmo di 300mila", ha detto Ali Tarhoni, responsabile per gli affari economici dei ribelli che hanno il controllo di Ras Lanuf, Marsa el Brega e Tobruk. 16:43 In centinaia ancora imprigionate a Tripoli 28 – Ci sono ancora centinaia di persone imprigionate a Tripoli, arrestate nelle settimane scorse nelle città ribelli di Misurata, Zawiya e altre ancora: lo riferisce il corrispondente Bbc da Tripoli, citando la testimonianza di una persona rilasciata da uno dei carceri principali. 16:40 Ribelli, accordo con Qatar per esportazione petrolio 27 – I ribelli libici "hanno raggiunto un accordo" con il Qatar per l'esportazione del petrolio dell'est del Paese. Lo riferisce un esponente dei ribelli: "Il prossimo invio è previsto in meno di una settimana". 16:28 Le forze di Gheddafi attaccano Misurata 26 – Abitanti di Misurata riferiscono che le forze fedeli a Gheddafi hanno ripreso l'attacco contro la città portuale situata tra Tripoli e Sirte. Un ribelle, sempre da Misurata, ha detto che Gheddafi sta spostando tutto il suo peso su Misurata allo scopo di poter controllare l'intera parte ovest del paese dopo aver perso quella est. 16:28 Ribelli: "Pronti a esportare petrolio" 25 – I ribelli libici si dicono pronti a esportare petrolio "in meno di una settimana" e in grado di produrre "dai 100.000 ai 130.000 barili al giorno". Lo ha annunciato un portavoce, dopo la conquista oggi degli impianti e dei terminal a sud di Bengasi 15:42 Frattini: promuovere immediato cessate il fuoco 24 – Frattini: "Dobbiamo promuovere un immediato cessate il fuoco per garantire alla popolazione un futuro di libertà e di democrazia" senza Muammar Gheddafi. Per il titolare della Farnesina "le truppe italiane partecipano alla missione navale e aerea ma la nostra finalità ultima è il dopo-Gheddafi, garantire alla popolazione libica la possibilità di vivere senza la paura del regime e delle rappresaglie" 15:01 Festa ad Ajdabiya dopo ritorno forze ribelli 23 – E' festa ad Ajdabiya, la città a sud di Bengasi riconquistata ieri dalle forze antigovernative dopo giorni di battaglia con le forze di Muammar Gheddafi. In città, ha constatato il corrispondente Ansa, viene distribuito pane. Letteralmente preso d'assalto l'unico distributore di benzina aperto, dove centinaia di auto hanno creato una lunga coda. 14:52 Gates: "Crisi libica mette a rischio Egitto e Tunisia" 22 – La situazione in Libia, secondo il ministro della Difesa americano, Robert Gates, rischia di minacciare la fragile stabilità di Egitto e Tunisia. Lo ha detto oggi lo stesso Gates intervistato insieme al segretario di Stato, Hillary Clinton, nell'ambito della trasmissione domenicale della Abc 'This Week'. Gli scontri tra ribelli e forze ancora leali al colonnello Muammar Gheddafi "rischiano di mettere a rischio le rivoluzioni di Egitto e in Tunisia" ha affermato. 14:51 Gates e Clinton: "Defezioni importanti tra forze Gheddafi" 21 – Il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, e il ministro della Difesa, Robert Gates, hanno riferito oggi a tv americane di avere notizia che tra le forze pro-Gheddafi vi sono state "defezioni importanti" in Libia. Anche alcuni tra i più stretti collaboratori del colonnello libico si sarebbero allontanati da lui. 14:50 Tremonti: "Soluzione e crisi può essere solo europea" 20 – "La soluzione può essere solo Europea". A sostenerlo a 'In Mezz'orà è il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, in merito alla crisi in Libia. 14:38 Inviato dell'Ansa: "Soldati di Gheddafi sono spariti" 19 – Lungo la strada da Bengasi a Ras Lanuf non c'è "segno della presenza dei soldati di Muammar Gheddafi": lo ha constatato il corrispondente dell'ANSA che segue l'avanzata delle forze antigovernative verso Sirte. Ieri Tripoli aveva affermato di aver ritirato le proprie forze dall'area a sud di Bengasi, sede di strategici impianti energetici. 14:30 Atterrati in Sardegna aerei Emirati Arabi Uniti 18 – E' cominciato nel primo pomeriggio il rischieramento in Sardegna dei velivoli degli Emirati Arabi Uniti che parteciperanno alla coalizione che su mandato dell'Onu dovrà garantire la no fly zone sulla Libia. Alle 14.00 nell'aeroporto "Mario Mameli" di Cagliari-Elmas è atterrato un Airbus-330 con materiali e personale logistico. 13:53 Attesi a Londra martedì 35 ministri degli Esteri 17 – I ministri degli Esteri di oltre 35 paesi hanno confermato la loro partecipazione alla riunione del gruppo di contatto politico sulla Libia, in programma martedì a Londra. Lo ha annunciato il Foreign Office in un comunicato. 13:35 In mano ai ribelli anche avamposto di Ben Jawad 16 – E' ora in mano dei ribelli anche Ben Jawad, cittadina a una cinquantina di km a ovest di Ras Lanuf e punto più avanzato raggiunto dalle forze anti Gheddafi nel loro primo assalto verso Tripoli di inizio mese. Lo hanno constato giornalisti dell'agenzia Afp. 12:16 Papa: "Anche in Libia convivenza fraterna" 15 – Benedetto XVI è tornato oggi a chiedere la fine della violenza in Medio Oriente, facendo riferimento all'attentato dell'altro giorno a Gerusalemme. "Il mio pensiero - ha detto il Papa dopo l'accorato appello per la fine dell'uso delle armi in Libia - si indirizza alle Autorità ed ai cittadini del Medio Oriente, dove nei giorni scorsi si sono verificati diversi episodi di violenza, perché anche là sia privilegiata la via del dialogo e della riconciliazione nella ricerca di una convivenza giusta e fraterna". 12:13 La Russa: "E' passato tutto in mano alla Nato" 14 – "Questa mattina i capi di stato maggiore della Difesa della coalizione della Nato hanno predisposto definitivamente il piano della no-fly zone plus e tutto praticamente è passato sotto l'egida della Nato, sia l'embargo navale che è comandato da un ammiraglio italiano sia le operazioni aeree". Lo ha dichiarato il ministro della Difesa Ignazio La Russa presente questa mattina a Cesano Maderno per partecipare ad una cerimonia promossa per l'Unità d'Italia. 12:09 Papa: "Avviare dialogo, fermare le armi" 13 – Pregando per "un ritorno alla concordia in Libia e nell'intera Regione nordafricana" il Papa rivolge "un accorato appello agli organismi internazionali e a quanti hanno responsabilità politiche e militari, per l'immediato avvio di un dialogo, che sospenda l'uso delle armi". apa Ratzinger lo ha detto dopo la preghiera dell'Angelus. 11:28 Ras Lanuf in mano agli insorti 12 – Il terminal petrolifero di Ras Lanuf, nella Libia orientale, è caduto nelle mani delle forze antigovernative. Lo hanno constatato giornalisti della France Presse. 11:08 Difesa britannica smentisce stampa: "Niente armi ai ribellI" 11 – "Non stiamo armando i ribelli e non abbiamo in programma di fornire loro armi". Lo ha detto alla Bbc Liam Fox, segretario alla Difesa britannico. Secondo il sito dell'emittente britanica, Fox ha detto che la coalizione è intervenuta "per difendere i civili nella speranza che possano dormire nei loro letti la notte senza chiedersi se il regime li ammazzerà". Secondo indiscrezioni raccolte dal Washington Post, gli Usa e gli alleati stanno considerando la possibilità di fornire armi agli insorti libici per aiutarli a sconfiggere le forze del colonnello Gheddafi. 10:37 Ribelli annunciano presa del porto di al-Burayqa 10 – I ribelli che combattono contro il regime libico di Muammar Gheddafi affermano di aver preso il controllo del porto petrolifero di al-Burayqa. Lo riferisce il sito dell'insurrezione Libya al Youm. In città, si legge, l'elettricità è stata tagliata da giorni e scarseggia il cibo. 10:03 Forze anti Gheddafi in marcia verso Las Ranuf 9 – Le forze antigovernative hanno riconquistato la strategica città di Brega, nella Libia orientale, e, avanzando verso ovest, hanno già raggiunto Uqayla, l'ultima località prima del principale terminal petrolifero libico, Ras Lanuf. Lo ha riferito un corrispondente di Al Jazira. 09:57 Arrivato a Linosa barcone con 282 migranti 8 – E' giunto questa notte alle 4.40 a Linosa, la più piccola delle isole Pelagie, il barcone con 282 migranti, tra cui 12 bambini e 80 donne, partito quattro giorni fa dalla Libia. Sulla "carretta", soccorsa ieri sera da due motovedette della Guardia Costiera, viaggiava anche la donna etiope di 26 anni che ha partorito durante la traversata un bimbo chiamato Yeabsera (dono di Dio ndr). E' morto invece il bimbo di un'altra donna, incinta di tre mesi, che era sempre sul barcone. 09:56 Intercettata imbarcazione con a bordo 200 profughi 7 – Un altro barcone carico di profughi partito dalla Libia è in arrivo sulle coste italiane. L'imbarcazione è stata intercettata ad una sessantina di miglia da Lampedusa e ha il motore in avaria. A bordo ci sono circa 200 persone e verso l'imbarcazione sono già salpate da Lampedusa le motovedette della Guardia di Finanza. 09:56 A Lampedusa arrivati 1.227 profughi in 24 ore 6 – Sono 1.227 i migranti sbarcati nelle ultime 24 ore a Lampedusa. Tra questi sono compresi i 284 profughi eritrei ed etiopi, tra cui 80 donne e 12 minori, che si trovavano su un barcone proveniente dalla Libia e che sono arrivati attorno alle 4 della scorsa notte a Linosa. 09:54 Arrestata donna che ha denunciato stupro 5 – E' agli arresti, e non in ospedale, come avevano detto funzionari libici, la donna che ieri ha fatto irruzione nell'albergo che ospita i giornalisti stranieri a Tripoli e ha denunciato di essere stata sequestrata e stuprata da soldati di Muammar Gheddafi. Lo ha riferito un inviato dalla Cnn a Tripoli, Nic Robertson. Dopo aver urlato la sua denuncia ai reporter stranieri, la donna di circa 30 anni, di nome Iman al-Obeidi, era stata bloccata e portata via con la forza da funzionari della sicurezza. "E' mentalmente disturbata, l'abbiamo portata in ospedale", avevano detto ai reporter. 09:53 In porto a Taranto nave San Marco con 547 profughi 4 – Ha ormeggiato nella base navale di Mar Grande, a Taranto, la nave San Marco della Marina militare, che ha trasportato da Lampedusa 547 profughi (tutti uomini, un solo minore) destinati al centro di identificazione ed espulsione di Manduria (Taranto). Una decina i pullman messi a disposizione dalla Marina militare per condurre i profughi alla tendopoli. 09:52 Pentagono: "Gheddafi sposta cadaveri dopo attacchi" 3 – Le forze del colonnello Muammar Gheddafi spostano i corpi delle loro vittime sui siti bombardati dalla coalizione per far credere che siano civili uccisi dai raid degli alleati. Lo ha affermato il segretario alla Difesa statunitense, Robert Gates. "Abbiamo numerose rapporti secondo cui Gheddafi sposta i cadaveri della gente che ha ucciso per metterli nei siti che abbiamo attaccati", ha dichiarato Gates in un'intervista che sarà diffusa oggi dalla televisione Cbs. 09:50 Tripoli chiede stop a raid e riunione urgente dell'Onu 2 – Il regime di Muammar Gheddafi ha chiesto la fine degli attacchi aerei della coalizione internazionale e ha lanciato un nuovo appello per una riunione urgente del Consiglio di sicurezza dell'Onu. L'appello è giunto dopo gli intensi bombardamenti degli alleati lungo la strada che collega Ajbadiya, la strategica città orientale riconquistata ieri dagli insorti, e Sirte, la città natale del colonnello. Un portavoce del regime, Ibrahim, ha definito l'offensiva "sanguinaria, immorale e illegale" e ha nuovamente parlato di "numerose vittime tra i militari ma anche tra i civili". 09:50 Attacchi alleati nella notte contro forze fedeli a Gheddafi 1 – La coalizione internazionale in nottata ha attaccato le forze fedeli Muammar Gheddafi lungo la strada che collega Ajdabiya a Sirte. Lo ha reso noto un portavoce governativo a Tripoli. (27 marzo 2011)
2011-03-25 LA CRISI Libia, duello Italia e Francia scontri a Misurata e Ajdabiya Secca risposta della Farnesina dopo l'annuncio di un'iniziativa politica e diplomatica comune a guida Londra-Parigi: "Anche noi abbiamo le nostre idee". Comando unico della missione alla Nato, domenica la ratifica. I ribelli: 8mila morti. Gheddafi si dice pronto ad attuare la road map dell'Unione Africana. Il Pentagono: capacità di comando del rais molto indebolita Libia, duello Italia e Francia scontri a Misurata e Ajdabiya Nicolas Sarkozy con Silvio Berlusconi ROMA - Prosegue il duello tra Italia e Francia sul fronte della diplomazia, mentre in Libia continuano gli scontri. Dopo giorni di dure trattative, Parigi ha ceduto sul comando unico Nato della missione in Libia, che dovrebbe essere ratificato domenica sera. Silvio Berlusconi esprime soddisfazione, ma da Bruxelles Nicolas Sarkozy rilancia, annunciando "un'iniziativa politica e diplomatica" comune con David Cameron che Francia e Gran Bretagna - auspicabilmente insieme alla Germania - presenteranno al vertice dei ministri degli Esteri della coalizione in programma martedì a Londra. Notizia accolta con sorpresa da Roma, dove la Farnesina fa notare che anche "l'Italia ha le sue idee e le sue proposte per accompagnare il processo, gestito dai libici, per la nascita di una nuova Libia unita e democratica" e che "ne parleremo con i nostri partner nelle sedi opportuno, già da martedì a Londra". Sul terreno, intanto, proseguono gli scontri a Misurata e Ajdabiya: secondo i ribelli ci sono più di 8.000 morti e il segretario generale dell'Onu a sua volta ha messo in guardia sul rischio di un esodo di 250.000 profughi. Missione Nato durerà tre mesi. La Nato assumerà il comando di tutte le operazioni militari in Libia, non solo per quanto riguarda la no-fly zone, ma anche per tutte le azioni militari contro gli obiettivi di terra, necessarie per garantire il rispetto della risoluzione numero 1973 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. La missione, ha spiegato la portavoce Oana Lungescu, in linea di massima è stata pianificata per avere una durata di "tre mesi", che tuttavia potrà essere ulteriormente prolungata o, se del caso, anche abbreviata a seconda delle necessità. Il comando delle operazioni Nato in Libia sarà assunto dal generale canadese Charles Bouchard. Si combatte ad Ajdabiya e Misurata. Nel settimo giorno di raid aerei e missilistici per le forze della coalizione impegnate in Libia, caccia militari francesi e britannici hanno colpito le forze terrestri di Gheddafi nella strategica città orientale di Ajdabiya, in Cirenaica. Qui, in serata, i ribelli sono riusciti ad entrare dalla porta est della città, in mano alle forze fedeli al colonnello, riferisce Al Jazeera. La rinconquista della città da parte degli insorti segnerebbe un importante punto a loro favore e dimostrerebbe che i raid occidentali stanno di fatto aiutando sul terreno. Si combatte anche a Misurata, la terza città del paese, dove le forze del colonnello Gheddafi hanno bersagliato la città col fuoco dei tank, cercando di entrare nel centro abitato, in modo da evitare i raid della coalizione alleata. Negli scontri, ha detto una fonte medica citata dal Telegraph, sono rimaste uccise almeno 109 persone e i feriti sono oltre 1300. Nel frattempo, le autorità libiche hanno ostentato sicurezza, affermando di disporre di "grandi quantità di carburante", e smentendo le voci di un razionamento circolate a Tripoli e che hanno provocato delle lunghe code alle stazioni di rifornimento. L'Unione europea si è detta pronta ieri sera a bloccare tutti i redditi derivati dal petrolio e dal gas al regime di Muammar Gheddafi, al fine di privarlo dei mezzi finanziari per reclutare mercenari. Regime Gheddafi: sì a piano Unione africana per stop a ostilità. Si continua a combattere, ma si riscontrano segnali di dialogo da parte del regime libico di Gheddafi: il governo libico ha, infatti, detto di essere disponibile e "pronto ad attuare la tabella di marcia proposta dall'Unione africana per porre fine alle ostilità". Pentagono: ridotta capacità di comando del rais. La capacità di comando di Muammar Gheddafi in Libia "si è molto indebolita", così come la capacità di sostegno alle sue truppe sul terreno, al punto che il leader libico "sta armando" volontari: questo il resoconto al Pentagono da parte del vice ammiraglio William Gortney, che ha precisato che gli attacchi portati dalla forze della coalizione hanno "significativamente ridotto" la capacità di comando del colonnello. Gortney ha aggiunto che le forze americane sono pronte a cedere il comando alla Nato per quanto riguarda l'applicazione della no-fly-zone, ma continueranno ad avere il comando delle operazioni per quanto riguarda gli attacchi contro forze terrestri per proteggere civili fino a quando un accordo per il passaggio di consegne non sarà raggiunto. 153 sortite aeree nelle ultime 24 ore. Il bilancio delle operazioni delle ultime ore è di 16 missili tomahawk e di 153 sortite aeree. Obiettivi delle missioni sono l'artiglieria, le forze di terra e le strutture di comando e controllo. Alle operazioni hanno preso parte anche aerei del Qatar, che "hanno sorvolato il territorio della Libia nostra sorella" nell'ambito dell'operazione della coalizione multinazionale per imporre la 'no fly-zone' autorizzata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il Qatar è così diventato il primo Stato arabo a prendere concretamente parte all'intervento militare contro il regime di Gheddafi. Obama spiegherà presto obiettivi missione. Il presidente Obama, alle prese con una opinione pubblica piuttosto fredda sul coinvolgimento americano nella missione in Libia, si rivolgerà ai cittadini americani "in un futuro prossimo", per spiegare loro gli obiettivi della missione multinazionale in Libia, e le ragioni per cui ha ritenuto che fosse giusto intervenire militarmente. Obama ha contattato in tele-conferenza i leader dei due rami del Congresso e diversi altri parlamentari di primo piano per aggiornarli sugli sviluppi dell'operazione libica: sono giorni che il Congresso preme per avere chiarezza. (25 marzo 2011)
SIRIA Centinaia verso Daraa contro il regime arresti a Damasco, 20 morti a Samnin Il capoluogo della regione meridionale, in protesta da giorni, è irragiungibile dai giornalisti bloccati dall'esercito. Proteste anti-regime anche nella capitale, a Qamishli, Homs, Duma. Un morto in Giordania. Il bilancio supera le 30 vittime. Yemen: spari in aria per separare dimostranti. Usa: "Ascoltate la gente" Centinaia verso Daraa contro il regime arresti a Damasco, 20 morti a Samnin La protesta anti-regime a Damasco BEIRUT - Continuano le proteste anti-regime nel cuore della Siria. E' di almeno 30 morti il bilancio degli scontri avvenuti oggi in diverse città del Paese secondo quanto riportato dalla tv satellitare al-Arabiya. Manifestazioni contro il governo si sono registrate in più di 10 città. A Samnin si contano almeno 20 morti, a Daraa, sono morte almeno due persone, a Damasco la polizia ha arrestato una decina di manifestanti e ucciso tre persone nel sobborgo Mauadamieh, prima di isolare il quartiere. Spari al confine. Le forze di sicurezza siriane hanno ucciso 20 persone aprendo il fuoco contro manifestanti che tentavano di raggiungere Daraa, nel sud del Paese, per dar unirsi alle proteste. "Ci sono più di venti morti... Le forze di sicurezza hanno cominciato a sparare all'impazzata", ha detto un testimone alla tv al Jazeera. Le vittime erano arrivate a Samnin che si trova a una quarantina di chilometri da Daraa. Da mercoledì intorno alla città vicina alla frontiera giordana è stato creato un cordone di sicurezza dell'esercito con posti di blocco e meticolosi controlli su chiunque voglia entrare. E' stato per evitare che i manifestanti superassero i blocchi, che le forze dell'ordine hanno aperto il fuoco. L'esodo verso Daraa. Nel capoluogo della regione meridionale, teatro delle proteste dei giorni scorsi 1, si stanno dirigendo in queste ore centinaia di siriani del sud del Paese. Secondo quanto riferiscono le tv panarabe al Jazeera e al Arabiya l'obiettivo dei dimostranti è portare "sostegno alla città assediata 2" dove oggi i manifestanti hanno appiccato il fuoco alla statua dell'ex presidente Hafez al Assad. La reazione dell'esercito è dura. Questa mattina decine di persone sarebbero state infatti arrestate sia nella città di Daraa - dove in migliaia erano riuniti per partecipare ai funerali dei manifestanti uccisi negli scontri dei giorni scorsi -, sia a Damasco dove la situazione resta sempre più tesa. Testimoni oculari parlano infatti di decine di arresti anche lì e di una manifestazione contro il regime di Bashar al Assad cui hanno partecipato in più di duecento persone. Il corteo dei manifestanti che urlavano "libertà! libertà!" nei pressi del viale Mezze, nella parte orientale della città, è stato disperso da agenti siriani in tenuta anti-sommossa. Tre persone sono state uccise nel sobborgo della capitale siriana, Mauadamieh. Le riforme del presidente. Proprio ieri il presidente Assad aveva annunciato 3riforme che la Francia oggi, chiede siano attuate con un appello alle autorità della Siria, in modo "effettivo e rapido". In particolare, la revoca dello stato di emergenza in vigore dal 1963. "La Francia ha preso nota degli annunci delle riforme presentate ieri dalle autorità siriane", ha detto a Parigi il portavoce del ministero degli Esteri francese, Bernard Valero, aggiungendo: "Chiediamo l'attuazione effettiva e rapida di queste misure, inclusa la revoca dello stato di emergenza e la liberazione immediata dei prigionieri detenuti per aver partecipato alle manifestazioni".Testimoniare la situazione (VIDEO 4) resta comunque difficile perché i giornalisti siriani e stranieri che hanno tentato di entrare nella città di Daraa, sono stati respinti da posti di blocco dell'esercito siriano e di agenti di sicurezza in abiti civili che hanno sequestrato loro l'attrezzatura e gli effetti personali. "Ci dicono che non c'è niente da vedere e da fare e ci invitano a fare ritorno a Damasco", ha raccontato un reporter locale, che ha tentato di raggiungere Daraa. Lealisti in piazza. Per le strade di Damasco secondo la tv di Stato siriana, oggi hanno sfilato anche i lealisti. Migliaia di siriani sarebbero scesi in piazza a sostegno del presidente Bashar al Assad, al potere da undici anni dopo averlo ereditato dal padre Hafez, e in favore del Baath, di fatto il partito unico da quasi mezzo secolo. Il corteo lealista è partito dalla centrale Grande Moschea degli Omayyadi, ha sfilato nelle vie della città vecchia e del mercato coperto Hamidiye, mostrando poster del rais, sventolando bandiere siriane e brandendo cartelloni il logo del "partito arabo socialista Baath". "Con lo spirito, col cuore, ci sacrifichiamo per te oh Bashar", è stato lo slogan più scandito, secondo quanto mostrato dall'emittente di regime. Le proteste nelle altre città. Manifestazioni questa mattina sono scoppiate anche a Qamishli, località all'estremo nord-est della Siria, al confine con Turchia e Iraq e abitata in prevalenza da curdi, dove centinaia di residenti sarebbero scesi in strada in sostegno della "intifada" anti-regime in corso a Daraa, e la polizia avrebbe sparato pallottole reali contro i manifestanti. Lo riferiscono testimoni oculari citati da Rassd, sito di monitoraggio che trasmette anche su Twitter. Slogan per la libertà sono stati scanditi da migliaia di siriani in corteo stamani anche a Homs, città 180 chilometri a nord di Damasco e luogo di nascita della first lady Assam al Assad e città natale del premier Muhammad Naji al Utri. A mostrare le immagini è un video diffuso poco fa su Internet dal canale "ShamsNN" che trasmette su Youtube. Nel video sono ben riconoscibili alcuni edifici di una piazza centrale di Homs. "Col cuore, col sangue, ci sacrifichiamo per te oh Daraa!", gridano gli abitanti di Homs ripresi dal video, mentre un doppio cordone di polizia e agenti di sicurezza in borghese osserva il corteo a margine della strada. "Iddio, Siria, libertà e basta!", è l'altro slogan scandito dai manifestanti, che fanno così il verso allo slogan ufficiale dei lealisti (Iddio, Siria, libertà e Bashar!), in riferimento al presidente Bashar al Assad. Una manifestazione antigovernativa si è registrata questa mattina anche a Qraya, città siriana a circa 100 chilometri a sud-est di Damasco e città natale di Sultan al-Atrash, eroe nazionale e noto rivoluzionario siriano, leader druso e comandante generale della 'Grande rivoluzione siriana' (1925-1927). Sit in a Duma. Circa tremila giovani siriani si sono radunati nella piazza centrale di Duma, sobborgo a nord di Damasco, e chiedono "il rilascio dei prigionieri" e rifiutano "ogni negoziato col governo fino alla caduta del regime". Lo ha detto uno degli organizzatori del sit-in di Duma, raggiunto telefonicamente via Skype. Il giovane, che per ragioni di sicurezza ha preferito rimanere anonimo, ha affermato di esser "stato momentaneamente fermato da agenti di sicurezza in borghese" ma di esser "stato liberato dai suoi compagni" e di esser riuscito "a diffondere video trasmessi durante gli scontri di oggi" contro le forze dell'ordine. "A Duma non ce ne andremo. Per ora siamo più numerosi delle forze di sicurezza locali", ha aggiunto il ragazzo trentenne. La prima vittima delle manifestazioni in Giordania. Un morto e oltre cento feriti. Questo il bilancio degli scontri tra sostenitori e contestatori del regime giordano ad Amman. Lo hanno riferito fonti sanitarie sul posto. "La polizia in tenuta antisommossa è stata dispiegata per tentare di controllare la situazione", ha dichiarato una fonte di sicurezza. La polizia era in precedenza entrata in azione per disperdere i manifestanti di entrambe le parti, ricorrendo agli idranti. "Ci sono più di cento feriti fra i quali poliziotti", ha indicato una fonte sanitaria sul posto. Quasi duecento sostenitori del regime sono ai ferri corti da molte ore con i "giovani del 24 marzo", un gruppo che raccoglie vari orientamenti, anche islamisti. Secondo l'emittente araba al Jazeera dimostranti sarebbero stati attaccati da gruppi di 'picchiatori', inviati sul posto dal Governo. I lealisti, scesi in migliaia per le strade della capitale, hanno preso a sassate gli studenti e i membri dell'opposizione islamista accampati vicino piazza Gamal Abdel Nasser. I manifestanti chiedono riforme costituzionali e la fine della corruzione e hanno istituito un sit-in permanente. Intanto si attende per oggi la visita del segretario alla Difesa Usa, Roberts Gates. Il capo del Pentagono incontrerà re Abdallah. Washington, riferiscono alcune fonti Usa, è preoccupata dalle manifestazioni che, dal gennaio scorso scuotono il Paese. Per placare lo scontento, il re ha nominato un nuovo premier, Marouf Bakhit, che tuttavia ha subito chiuso la porta all'istituzione di una monarchia costituzionale, chiesta a gran voce dalla piazza. La condanna del Pentagono. La Casa Bianca ha "condannato oggi con forza" le violenze in Siria contro cittadini impegnati in manifestazioni pacifiche. La condanna è stata riferita dal portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, che ha invitato le autorità della Siria "ad ascoltare la loro gente". Le proteste in Yemen. L'esercito yemenita ha sparato dei colpi in aria a San'aa per tenere distanti dei sostenitori e degli oppositori del presidente Ali Abdallah Saleh, che oggi sono radunati in massa in due piazze differenti nella capitale. Non hanno raggiunto un accordo infatti il presidente e il potente generale Ali Mohsen, passato con i rivoltosi insieme a una consistente parte dell'esercito. Ad affermarlo sono fonti politiche vicine alle due parti, secondo quanto riferito dalla France Presse. "Non sono riusciti a giungere a un accordo per evitare la crisi", hanno rivelato le fonti. I due si erano incontrati giovedì sera nell'abitazione del vicepresidente Abdrabbo Mansur per intavolare una trattativa e, secondo le anticipazioni di alcuni quotidiani, avevano anche raggiunto un'intesa all'insegna dello "simul stabunt simul cadent". Entrambi, cioè, si sarebbero dimessi contemporaneamente per evitare un bagno di sangue nel Paese.
(25 marzo 2011)
Diretta Libia, ancora battaglia a Misurata Francia e Gb: "Prepariamo soluzione politica" Libia, ancora battaglia a Misurata Francia e Gb: "Prepariamo soluzione politica" Dopo la formalizzazione del passaggio del comando della missione militare contro Gheddafi nelle mani della Nato, forze francesi e britanniche hanno continuato a fare fuoco sulle truppe del colonnello. Decisiva la battaglia intorno a Misurata, la terza città del Paese. Individuato il barcone con 300 eritrei a bordo (Aggiornato alle 16:21 del 25 marzo 2011) 16:21 In Umbria potrebbero arrivare mille profughi 60 Non potrà essere superiore alle mille unità il numero dei profughi libici che potrebbero essere ospitati in Umbria, pronta a garantire già dalla prossima settimana l'accoglienza a 400 di loro, distribuendoli sul territorio regionale e non nei centri di raccolti: una formula, quella dell'accoglienza diffusa, che la presidente dell'Umbria, Catiuscia Marini, ha già illustrato al ministro Maroni e che stamani, in una riunione a Perugia, ha incassato la condivisione di Upi, Anci e Caritas regionali. 16:18 Due violente esplosioni a Ajdabiya 59 Due potenti esplosioni sono state udite poco fa nella città libica di Ajdabiya, in Cirenaica, mentre una densa colonna di fumo si leva in cielo. Lo rende noto un corrispondente dell'Afp. Non è chiaro cosa abbia causato le esplosioni. La città, dove si confrontano ribelli e forze fedeli a Gheddafi, è stata teatro, per più di una settimana, di violenti combattimenti. 16:17 Erdogan: "Comando Nato emarginerà la Francia" 58 Il trasferimento alla Nato del comando delle operazioni militari in Libia relegherà la Francia "ai margini". E' la valutazione del premier turco Recep Tayyip Erdogan. "Trovo positivo che la Francia cominci ad essere ai margini, soprattutto in Libia", ha detto Erdogan, parlando con i giornalisti. 16:08 Frattini martedì a Londra, poi incontra la Clinton 57 Le operazioni per assicurare il rispetto della no-fly zone in applicazione della risoluzione dell'ONU, l'evoluzione della crisi in Libia e la situazione in Nord Africa e Medio Oriente saranno al centro degli appuntamenti internazionali che attendono il Ministro Frattini nei prossimi giorni: la riunione del Gruppo di Contatto sulla Libia martedi' a Londra ed il successivo incontro con il Sottosegretario di Stato USA Hillary Clinton. Lo annuncia il Ministero degli Esteri precisando che se ne parlerà al consueto briefing settimanale del portavoce della Farnesina, Maurizio Massari, che si svolgera' lunedi' 28 marzo alle 12 presso la Sala Saraceno della Farnesina. 16:04 Ribelli: "A Zawiyah migliaia di persone sparite nel nulla" 56 Da quando due settimane fa hanno riconquistato as-Zawiyah, una quarantina appena di chilometri a ovest di Tripoli, le forze fedeli al regime di Muammar Gheddafi hanno sequestrato e picchiato a sangue migliaia di persone, gran parte delle quali sembrano essere sparite nel nulla: lo ha denunciato un portavoce degli insorti libici, raggiunto telefonicamente nella loro ex testa di ponte. "I battaglioni di Gheddafi hanno eretto posti di blocco a tutti gli incroci e lungo tutte le strade", ha riferito il portavoce, identificatosi soltanto come Ibrahim. 16:02 Farnesina: "Anche Italia ha sue proposte" 55 ''Anche l'Italia ha le sue idee e le sue proposte, e le farà valere nelle sedi opportune e nei prossimi appuntamenti discutendole con i nostri partner''. Lo riferiscono autorevoli fonti della Farnesina commentando l'annuncio del presidente francese Nicolas Sarkozy di un'iniziativa ''politica e diplomatica'' franco-britannica sulla crisi libica. ''Qualsiasi soluzione politica ad ogni modo - osservano le stesse fonti - dovrà necessariamente passare per il consenso dei Paesi Ue, della coalizione e dunque anche dell'Italia'' 16:00 Autorità libiche: "Abbiamo molto carburante" 54 Le autorità libiche affermano di disporre di "grandi quantità di carburante", smentendo le voci di un razionamento circolate a Tripoli e che hanno provocato delle lunghe code alle stazioni di rifornimento: lo ha reso noto l'agenzia di Stato libica, la Jana. 15:54 Zapatero: "Grazie a risoluzione Onu evitate molte vittime" 53 Grazie alla risoluzione Onu 1973 si sono "evitati, per ora" i bombardamenti delle truppe del regime di Gheddafi contro i ribelli asserragliati a Bengasi, che avrebbero potuto costare "moltissime vittime". È la posizione espressa dal premier spagnolo Jorge Luis Zapatero al termine del vertice Ue a Bruxelles, dove "c'è stato un amplissimo consenso sulla risoluzione 1973 dell'Onu che è stata considerata di portata storica", in quanto "è la prima volta che una risoluzione si assume la responsabilità di proteggere i civili". E questo approccio, secondo il premier spagnolo, ha "dato i suoi risultati". 15:47 Oim riavvia operazioni di evacuazione migranti da Bengasi 52 L'organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha riavviato le operazioni di evacuazione di migranti da Bengasi verso il confine di Sallum, in Egitto. Le operazioni erano state momentaneamente interrotte a causa dal peggioramento delle condizioni di sicurezza. Lo comunica in una nota la stessa organizzazione spiegando che, ieri, 24 marzo, ha evacuato 146 cittadini del Ciad e 4 bengalesi utilizzando dei bus che verso sera hanno raggiunto Sallum. Altri 646 ciadiani saranno trasferiti verso il confine egiziano nei prossimi due giorni, mentre migranti di altre nazionalità saranno assistiti la prossima settimana. Le operazioni di evacuazione aiuteranno i tanti migranti bloccati nell'area del porto e ospitati in una struttura di transito gestita dalla Mezzaluna Rossa libica. 15:38 Decollati da Trapani due eurofighter 51 Due Eurofighter dell'Aeronautica militare sono decollati dalla base di Trapani Birgi nell'ambito delle operazioni in Libia. 15:34 Aerei del Qatar hanno preso parte ad operazioni sorvolo 50 Gli aerei del Qatar messi a disposizione della coalizione internazionale per l'imposizione della no-fly zone hanno preso parte a operazioni di sorvolo nei cieli della Libia. Lo riporta l'agenzia ufficiale del Qatar Qna che cita un comunicato delle autorità militari del Paese. 15:31 Ajdabiya, mediazione per la resa brigate Gheddafi 49 C'è una "mediazione" in corso per la resa delle brigate di Gheddafi, ad Ajdabiya, in Libia. Lo riferisce la emittente televisiva in lingua araba Al Jazeera. 15:20 Frattini: "Nessuna cabina di regia politica" 48 "Abbiamo salutato in modo positivo la decisione di affidare il comando dell'operazione in Libia alla Nato. E' quello che volevamo fin dall'inizio e anche i paesi arabi erano della stessa opinione e anche la Turchia. E' un risultato importante". E' quanto ha affermato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, a Tunisi, in visita con il ministro degli Interni Roberto Maroni, per incontri bilaterali legati alla crisi sull'immigrazione. "Non ci sarà nessuna cabina di regia operativa - ha spiegato inoltre Frattini - ma un gruppo di contatto politico, che inizierà a lavorare martedì a Londra e a cui parteciperò anch'io". 15:19 Scambio colpi di artiglieria ad Ajdabiya 47 Ribelli libici si sono radunati in massa per sferrare un nuovo attacco su Ajdabiya e hanno scambiato colpi di artiglieria con le forze del colonnello Muammar Gheddafi che tengono la strategica città nell'est della Libia. 15:16 Al Jazeera: Secondo intelligence, Gheddafi pronto a negoziare uscita sicura 46 Un funzionario dell'intelligence statunitense ha riferito all'emittente televisiva in lingua araba Al Jazeera di una "iniziativa" di Muhammar Gheddafi: il rais sarebbe propenso ad accettare un "cessate il fuoco" in cambio di una propria "uscita sicura" dal conflitto libico. 15:00 Pentagono: 153 sortite aeree in ultime 24 ore 45 Gli Usa e i paesi alleati che pattugliano la no-fly zone sulla Libia hanno lanciato 16 missili Tomahawk ed effettuato 153 sortite aeree nelle ultime 24 ore, ha comunicato il Pentagono. Obiettivi delle missioni sono l'artiglieria, le forze di terra e le strutture di comando e controllo del leader libico Muammar Gheddafi, ha precisato il Pentagono. 14:31 Zaia: "Ci vuole una exit strategy" 44 "Ci vuole una exit-strategy: oggi anche i piu grandi strateghi ci dicono che o c'è la resa di Gheddafi o c'è un cessate il fuoco immediato con l'intervento di un mediatore importante che possa trattare". A sottolinearlo Luca Zaia, presidente del Veneto, in merito alla situazione in Libia. 14:30 Frattini: "Comando alla Nato entro lunedì" 43 "La Nato sarà operativa da domenica o lunedì". Lo ha dichiarato il ministro degli esteri Franco Frattini in una conferenza stampa a Tunisi durante la quale ha espresso soddisfazione per il passaggio della guida della missione in Libia all'Alleanza Atlantica. 14:26 Comandante canadese a Birgi: "Distrutto deposito munizioni" 42 "Stiamo facendo diverse missioni perché gli F-18 sono aerei multiruolo e consentono di fare diverse tipologie di missioni con ruoli aria-aria e aria-terra e fino adesso abbiamo condotto sia aria-aria sia aria-terra ". Lo ha detto il tenente colonnello Sylvain Menard, comandante del 476esimo gruppo volo canadese che si trova nella base di Birgi da una settimana per le operazioni militari in Libia. 14:20 Cameron: "Entro pochi giorni Nato prenderà comando operazioni" 41 Entro pochi giorni la Nato prenderà il comando di tutte le operazioni militari - no fly zone, embargo e protezione civili - legate all'applicazione della risoluzione 1973 dell'Onu. Lo ha detto il premier inglese David Cameron al termine del vertice Ue precisando che sarà quindi la 'macchina' dell'Alleanza a portare avanti i necessari attacchi. 14:11 Cnt: "Italia paese amico, rapporti importanti" 40 "L'Italia è un paese amico, ed è stato uno dei primi a sostenerci dall'inizio della rivolta anti-Gheddafi. Quando l'intera Libia sarà liberata continueremo ad avere con l'Italia rapporti molto importanti e onoreremo tutti i contratti del passato". Lo ha detto all'Ansa Abdel Hafiz Al Ghogha, portavoce del Consiglio transitorio libico, l'organo politico degli insorti. 14:08 Van Rompuy: "Ue ha dimostrato unità e determinazione" 39 L'Unione europea ha mostrato "unità e determinazione" nella crisi libica. Lo ha detto nella conferenza stamp al termine del Consiglio europeo di ieri e oggi il presidente Herman Van Rompuy, sottolineando le decisioni "concrete" prese dai 27 al riguardo. "Ulteriori sanzioni contro il regime: vogliamo bloccare il flusso dei ricavi dalle vendite di petrolio e gas. Maggiore assistenza umanitaria se necessario, perchè la situazione rimane preoccupante. E una conferma dei nostri obiettivi politici: Gheddafi deve andarsene, e ci deve essere una transizione politica guidata dai libici", ha riepilogato Van Rompuy. 13:55 Frattini: "Bene il comando alla Nato" 38 "E' quello che volevamo fin dal primo momento e per cui ci siamo battuti". E' soddisfatto il ministro degli Esteri, Franco Frattini, per il passaggio della missione militare in Libia sotto il comando Nato. 13:48 Merkel, "nostri ufficiali restano in comando Nato a Napoli" 37 Angela Merkel conferma la scelta di astensione fatta dalla Germania al momento del voto della risoluzione Onu che autorizza l'azione militare contro la Libia, ma conferma anche l'impegno nella Nato. 13:47 Cnt: "Almeno ottomila morti" 36 "Almeno 8 mila persone sono morte dall'inizio della rivolta anti Gheddafi, il 17 febbraio in tutta la Libia. Lo ha detto Abdel Hafiz Al Ghogha, portavoce del Consiglio transitorio libico, l'organo politico degli insorti. "Ma temiamo che il bilancio possa essere molto più grave, perchè non abbiamo notizie di alcune parti del paese", ha aggiunto. 13:43 Croce Rossa: a Misurata paura dei cecchini 35 Organizzazioni umanitarie sono riuscite a consegnare qualche aiuto a Misurata, nell'est della Libia, ma permane la preoccupazione per la presenza di cecchini nel centro della città. Lo ha detto alla Reuters il capo della Croce Rossa Internazionale Simon Brooks. 13:43 Francia e Gb preparano "soluzione diplomatica" 34 La Francia e la Gran Bretagna stanno preparando "una soluzione politica e diplomatica" per la Libia. Lo ha annunciato il presidente francese Nicolas Sarkozy al termine del vertice Ue. 13:39 Bersani: "La rabbia degli italiani" 33 Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, denuncia "la rabbia degli italiani" per come si sta gestendo l'emergenza immigrati a Lampedusa. "Non è possibile che un grande paese come il nostro dia delle prove di sè come quella che stiamo vedendo. Non è la prima volta che il paese viene messo davanti a un'emergenza". 13:31 Westerwelle: "Serve soluzione politica" 32 Non è possibile arrivare a una soluzione sostenibile in Libia solo con l'intervento militare, "ciò di cui abbiamo bisogno è un processo politico, che adesso deve essere preparato": lo ha detto oggi a Berlino il ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle. 13:27 Van Rompuy: "Da leader unità e determinazione" 31 I leader della Ue hanno mostrato "unità e determinazione" per contribuire all'applicazione della risoluzione 1973 dell'Onu sulla Libia. Così il presidente stabile della Ue Herman Van Rompuy al termine del vertice europeo che, dopo le divisioni della scorsa settimana sulle operazioni militari in Libia e il comando della Nato, è riuscito a mettere a punto una posizione unitaria. 13:05 Rasmussen: "In missione anche contributi altri paesi della zona" 30 La missione della Nato in Libia potrà contare anche sul contributo dei paesi della regione, con i quali il segretario della Nato Anders Fogh Rasmussen ha in corso "contatti positivi". Lo ha indicato la portavoce Oana Lungescu a Bruxelles. 12:55 Birgi, rientrano i sette Eurofighter 29 Sono appena rientrati alla base di Birgi sette Eurofighter. Circa 5 minuti fa è atterrato invece un Airbus 320 canadese usato per il rifornimento in volo di due F-18 decollati in mattinata. 12:48 Barcone, forse non è quello che si cercava 28 Potrebbe non essere quello partito dalla Libia nei giorni scorsi e di cui si erano perse le tracce il barcone intercettato oggi da una nave militare canadese, ad una trentina di miglia dalle coste libiche. Secondo quanto si è appreso, infatti, l'imbarcazione in questione sarebbe salpata stanotte da un non meglio identificato porto della Libia. Attualmente è 'monitorata' dalla nave da guerra canadese e non è chiaro dove si sta dirigendo. 12:46 Reguzzoni (Lega): "Non vogliamo clandestini" 27 "Abbiamo la cassa integrazione che aumenta e i posti di lavoro che mancano per i nostri giovani. Noi clandestini non ne vogliamo mentre per quanto riguarda i profughi che chiedono asilo politico se ne deve fare carico tutta l'Europa". Lo afferma il capogruppo della Lega Nord Marco Reguzzoni 12:02 Ministro Gb Hague: "Si va verso pieno comando della Nato" 26 Il ministro degli esteri britannico William Hague ha detto a SkyNews che si va verso un "pieno comando della Nato" dell'operazione in Libia. Hague ha detto anche che "non ci sono indicazioni confermate" che i raid della coalizione in Libia abbiano provocato vittime civili. 12:01 Individuato barcone dato per disperso 25 E' stato individuato il barcone del quale da diversi giorni era stata segnalata l'avvenuta partenza dalle coste libiche. La situazione è attualmente sotto controllo, costantemente monitorata dalla Centrale Operativa delle Capitanerie di porto. Lo riferisce la Guardia Costiera. 11:51 Ministro Fazio smentisce rischio epidemie 24 "Non c'è alcun rischio di epidemie", men che meno di tubercolosi, nei luoghi in cui si stanno raccogliendo gli immigrati in fuga dalle zone di guerra in Libia, e che si stanno accumulando in Italia: a dirlo è il ministro della Salute Ferruccio Fazio. 11:50 Nave spia tedesca giunta in porto a Cagliari 23 Una nave della Marina tedesca specializzata nella sorveglianza elettronica, la Oker (A53), appartenente alla Classe Oste tipo 423, è giunta stamani nel porto di Cagliari. Le autorità portuali hanno reso noto che l'unità navale resterà all'ormeggio sino alla prima decade di aprile per una sosta tecnico-operativa. 11:49 F-16 decollano da base aerea Trapani Birgi 22 Tre F-16 si sono appena alzati in volo dalla base di Birgi mentre due F-18 canadesi erano decollati in precedenza. Altri due F-16 sono decollati circa un'ora fa, ma si tratta in questo caso di due velivoli, colorati uno di rosso e l'altro di nero, che vengono utilizzati esclusivamente per addestramento. La colorazione dei due F-16 risale al 2009, quando fu organizzato un volo unico per due ufficiali che stavano raggiungendo il traguardo delle mille ore di volo. 11:34 Moratti: "Milano non più accogliere rifugiati" 21 'Non si può ignorare che Milano ha già la metà dei rifugiati politici dell'Italia e che non è più in grado di assorbire più immigrazione di quanto non stia già assorbendo". Lo ha sostenuto il sindaco di Milano, Letizia Moratti, interpellata sul ruolo che la città avrà nell'accoglienza di profughi dal nord Africa. "Sono molto preoccupata - ha spiegato - Ho chiesto e continuerò a chiedere al ministro Maroni che fra i criteri della ripartizione, che naturalmente è giusta per dare una risposta umanitaria, si tenga conto di quello che le Regioni e le città hanno già dato". 11:33 Insorti libici inviano rinforzi ad Ajdabiya 20 Gli insorti libici stanno mandando rinforzi nella zona di Ajdabiya, 160 km a sud di Bengasi, nell'est del paese. Lo riferisce l'inviato della Bbc Ben Brown. "Uno dei comandanti ha detto che se oggi ci fossero altri raid aerei della coalizioni, gli insorti potrebbero conquistare Ajdabiya", racconta il reporter. 11:31 Portavoce ribelli: "Oltre 8 mila morti da inizio rivolta" 19 Sono tra 8mila e 10mila le vittime in Libia dall'inizio della rivoluzione del 17 febbraio. E' il bilancio fornito dai ribelli, il cui portavoce, Mustafa Geriani, non ha eslcuso che il numero possa essere più alto. 11:30 Aerei spia britannici arrivati in base Cipro 18 Un numero imprecisato di aerei spia britannici sono stati dispiegati nella base militare della Royal Air Force (Raf) di Akrotiri, sulla costa meridionale dell'isola di Cipro. Lo rende noto il sito web del quotidiano Famagusta Gazette secondo cui la Raf ha confermato l'arrivo sull'isola di alcuni velivoli E-3D Sentry, Sentinel R1 e Nimrod R1 il cui scopo principale è quello di svolgere compiti di sorveglianza e fornire immagini ad alta definizione di quanto avviene sul terreno. 11:26 Nessuna certezza su barcone disperso con eritrei 17 "L'allarme è scattato ma non abbiamo ancora nessuna notizia certa sul barcone con 330 eritrei che sarebbe partito dalla Libia". E' quanto afferma il responsabile per la stampa delle Capitanerie di Porto il comandante Vittorio Alessandro, che si trova a Lampedusa. "Tutti i mezzi militari e civili che si trovano in mare nel Canale di Sicilia - ha aggiunto - sono comunque stati allertati affiché continuino le ricerche. Ma al momento non abbiamo alcuna segnalazione". 10:59 Portavoce Nato: "Alleanza valuta ruolo più ampio" 16 "Stiamo attivamente considerando un nostro ruolo più ampio e la decisione sarà ultimata nei prossimi giorni". Lo ha riferito il portavoce della Nato. 10:49 Per Londra ultimi sviluppi "importanti" 15 Londra ha descritto come "importanti sviluppi" la decisione della nato di assumere il comando della no fly zone in libia, e la partecipazione di dodici aerei degli emirati arabi alla coalizione militare internazionale. "La decisione della nato di assumere il comando e il controllo della no fly zone, oltre all'embargo sulle armi già in atto, è un passo avanti importante" ha commentato un portavoce del primo ministro britannico David Cameron. 10:42 Berlino critica con atteggiamento Sarkozy 14 Il ministro degli Esteri tedesco Guido Westerwelle ha criticato il presidente francese Nicolas Sarkozy per aver minacciato altri leader arabi di reazioni militari come per la Libia. "Penso sia una discussione molto pericolosa, con conseguenze difficili per la regione e il mondo arabo", ha detto Westerwelle alla radio pubblica tedesca Rdb. In precedenza, riferendosi all'intervento militare in Libia, Sarkozy aveva dichiarato che "ogni governante deve capire, e specialmente i governanti arabi, che d'ora in poi la reazione della comunità internazionale e dell'Europa sarà sempre la stessa". 10:35 Fonti Nato: "Alleanza guiderà tutte le operazioni" 13 La Nato assumerà la guida di "tutte le operazioni militari in Libia". Lo riferiscono fonti dell'Alleanza precisando che la decisione sarà finalizzata domenica. "Ciò significa - hanno precisato le fonti - che non ci sarà più la coalizione dei volenterosi e quella della Nato, ma solo una coalizione internazionale a guida Nato". 09:42 Comando Nato, Berlusconi: "Assolutamente soddisfatto" 12 "Sull'accordo per il comando Nato della missione in Libia sono assolutamente soddisfatto". Lo ha detto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. 09:33 Tornado britannici sparano su blindati ad Ajdabiya, 11 Nella notte tra ieri e oggi Tornado britannici hanno lanciato missili su blindati libici che "minacciavano" civili nella città di Ajdabiya, nell'est del Paese. "Alcuni aerei da combattimento 'Tornado', in missione di ricognizione sulla Libia, hanno partecipato la notte scorsa ad un attacco missilistico coordinato contro unità dell'esercito libico del clolonnello Gheddafi, in appoggio alla risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu" adottata il 17 marzo scorso. Lo rende noto un comunicato del ministero. 09:32 Nella notte bombe nei pressi del bunker di Gheddafi 10 Si sono registrati nella notte raid aerei della coalizione sulle città libiche di Tripoli e di Sirte. Secondo quanto riferisce l'edizione online del quotidiano arabo 'al-Quds al-Arabi', la contraerea libica è entrata in azione nella periferia della capitale e nella città di Sirte, considerata la roccaforte del colonnello Muammar Gheddafi. Nel corso dei raid è stata colpita anche la zona di Bab al-Aziziya, a Tripoli, dove si trova la caserma che funge da residenza-bunker del colonnello. In quella zona è stata udita una forte esplosione. Altre due forti esplosioni sono state avvertite sempre nella notte nel quartiere periferico di al-Tajura. 09:30 Forze francesi colpiscono base militare di Al Jufrah 9 Le bombe sganciate dai jet francesi nella notte hanno colpito una batteria dell'artiglieria di Gheddafi ad Agedabia e hanno gravemente danneggiato la base militare di Al Jufrah. Lo ha riferito il Capo di stato maggiore dell'esercito francese Edouard Guillaud. "Si tratta di una base storica dell'esercito libico", ha detto l'alto ufficiale. Guillaud non ha escluso vittime civili nei bombardamenti della coalizione, ma, ha spiegato, "apriamo il fuoco quando siamo sicuri che si tratti di truppe di Gheddafi e non di comuni cittadini". 09:29 Bombardamento di ieri a Tajura ha fatto 15 vittime 8 Sono state 15 le vittime di un bombardamento delle forze internazionali giovedì mattina mattina a Tajura, estrema periferia est di Tripoli. I cadaveri sono stati mostrati nell'obitorio dell'ospedale di Shara al Zaweya. Alcune delle vittime avevano uniformi militari. Secondo quanto riferito dalle autorità libiche all'Agi, sarebbe stata colpita una caserma adiacente ad edifici civili. Il numero dei feriti, riferiscono ancora le autorità libiche, è nell'ordine delle decine. 09:27 Per vertici militari francesi missione durerà settimane 7 La fine delle operazioni militari in Libia è "questione di settimane, si spera non di mesi". E' la previsione dei vertici militari francesi. 09:21 Emirati Arabi mettono a disposizione 12 aerei 6 Il governo degli Emirati Arabi Uniti ha messo a disposizione 12 aerei da combattimento per la missione internazionale di mantenimento della 'no-fly zone' sulla Libia. Secondo quanto ha reso noto l'agenzia di stampa emiratina 'Wam', che cita fonti del ministero degli Esteri di Abu Dhabi, saranno inviati sei caccia F16 e sei caccia Mirage. 09:20 A Lampedusa 494 migranti nelle ultime 24 ore 5 Sono 494 i migranti che hanno raggiunto nelle ultime 24 Lampedusa secondo dati aggiornati dalla Guardia costiera questa mattina. L'ultimo arrivo la scorsa notte è stato quello di 84 tunisini che erano a bordo di uno scafo in legno soccorso congiutamente da Guardia costiera e Guardia di finanza. Restano intanto senza esito le ricerche del barcone con a bordo circa 300 eritrei, da cui era giunta una richiesta di socorso con un telefono satelittare a un'immigrata residente ad Agrigento e che ha detto di aver ricevuto la chiamata col telefono satellitare dalla sorella. La barca sarebbe salpata da Tripoli, ma nonostante la massiccia presenza di unità militari di vari Paesi in quella zona per le operazioni militari in Libia, non ne è stata trovata ancora traccia. Le ricerche proseguono. 09:19 Sarkozy esclude intervento militare terrestre 4 Il presidente francese Nicolas Sarkozy ha escluso la possibilità di un intervento militare terrestre. Rispondendo ad una domanda al termine della prima giornata dei lavori del Consiglio Ue Sarkozy ha detto che un'azione militare via terra non sarà realizzata "né ora né successivamente". 09:18 Sarkozy: "Coordinamento missione rimanga politico" 3 Il coordinamento della missione militare in Libia "deve restare prevalentemente politico": lo ha detto il presidente francese Nicolas Sarkozy, parlando a Bruxelles. 09:16 Consiglio Ue enfatizza ruolo chiave Lega Araba 2 Il Consiglio europeo ha voluto "enfatizzare il ruolo chiave dei paesi arabi, ed in particolare della Lega Araba, nel supporto attivo per la messa in atto della risoluzione 1973 delle Nazioni Unite e per trovare una soluzione politica" alla crisi libica. E' scritto in un passaggio del testo conclusivo del vertice europeo. 09:11 Misurata ancora teatro di violenti combattimenti 1 Si continua as combattare a Misurata, la terza città della Libia. Le forze del colonnello Gheddafi stanno bersagliando la città col fuoco dei tanks e avanzano cercando di entrare nel centro abitato in modo da evitare i raid della coalizione alleata. Negli scontri, dice una fonte medica citata dal Telegraph, sono rimaste uccise almeno 109 persone e i feriti sono oltre 1300. (25 marzo 2011)
IL RETROSCENA Tutto il comando passa alla Nato ma la no-fly zone sarà "rafforzata" Accordo sulla missione: sì ai bombardamenti sulle milizie del raìs. Sarkozy cede agli alleati: "Ma il coordinamento deve restare prevalentemente politico" di ANDREA BONANNI Tutto il comando passa alla Nato ma la no-fly zone sarà "rafforzata" Il presidente francese Nicholas Sarkozy BRUXELLES - L'accordo è arrivato nel tardo pomeriggio, dopo una conferenza telefonica tra i ministri degli Esteri di Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Turchia. Il comando delle operazioni militari in Libia passerà integralmente alla Nato. Già entro domenica l'Alleanza erediterà dall'Africa Command americano (US Africom) la gestione della no-fly zone. Cioè della pura e semplice interdizione aerea. Poi, entro martedì, in coincidenza con la Conferenza al vertice della coalizione che si terrà a Londra, la Nato assumerà anche la direzione della no-fly zone plus, brutto termine che sta ad indicare anche le missioni di bombardamento delle milizie di Gheddafi che attaccano i civili. A questo punto tutte le attività militari saranno concentrate sotto il comando di Shape (Supreme Headquarters Allied Powers Europe), a Mons: dal pattugliamento marittimo per il controllo sull'embargo, all'interdizione aerea, alle missioni di attacco al suolo. Sul modello di quanto già avviene per l'Isaf, la missione in Afghanistan, la direzione politica sarà esercitata dal Consiglio Atlantico, allargato per l'occasione ai rappresentanti dei Paesi non Nato che fanno parte della coalizione, come per esempio Qatar ed Emirati. Alla fine sia la Francia sia la Turchia hanno ceduto alla pressione della stragrande maggioranza degli alleati, che volevano riportare la catena di comando sotto l'ombrello atlantico. I francesi potranno tuttavia salvare la faccia dicendo che sarà la conferenza di Londra tra i ministri degli Esteri della coalizione a fornire "l'ombrello politico-strategico" sotto cui agirà la Nato. La Turchia, che si era sentita offesa per non essere stata invitata da Sarkozy al vertice di Parigi (come non era stato invitato il segretario generale della Nato), può consolarsi avendo dimostrato la propria ineludibilità nella macchina dell'Alleanza Atlantica. Gli Stati Uniti, che hanno fretta di passare la mano nella gestione della crisi libica, possono dichiararsi soddisfatti. La Gran Bretagna, che con la Francia sarà quella che reggerà il peso maggiore dello sforzo militare soprattutto per le missioni di bombardamento, alla fine ha ottenuto tutto quello che voleva, come spesso succede. Anche l'Italia può dirsi soddisfatta: il passaggio dell'operazione sotto il comando Nato risponde alle nostre esigenze. E ci permetterà di partecipare all'operazione entro i limiti che il governo si è imposto. Sebbene il comando sarà unico per tutte e tre le missioni, embargo, interdizione aerea e bombardamento, ogni Paese avrà libertà di decidere a quale partecipare e a quale no semplicemente selezionando i mezzi che metterà a disposizione. La Turchia, per esempio, fornirà solo navi per il pattugliamento marittimo. L'Italia darà navi e aerei per il controllo dell'embargo e della no-fly zone. La Germania non darà nulla. Francesi, inglesi, americani e forse altri Paesi daranno anche cacciabombardieri per neutralizzare le milizie del Colonnello. La notizia dell'accordo è arrivata a rasserenare gli animi dei capi di governo riuniti a Bruxelles per il vertice Ue. I Ventisette hanno ascoltato le proposte della Merkel, che vuole ovviare alla latitanza tedesca proponendo un rafforzamento dell'embargo sul petrolio, senza troppe preoccupazioni. L'Italia ha indicato di non essere contraria "in linea di principio", precisando però di ritenere più opportuno una decisione assunta nella cornice dell'Onu. Nella notte si è riunito a New York il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il segretario generale Ban Ki Moon ha avvertito Tripoli: "Ulteriori misure che vanno al di là della risoluzione 1973" potrebbero essere adottate se la Libia non seguirà le richieste della comunità internazionale. (25 marzo 2011)
LO SCENARIO All'Onu nasce l'asse dei Bric nuovo avversario per gli Usa Brasile, Russia, India e Cina guidano la pattuglia dei non interventisti. Per la prima volta i paesi emergenti si sono dati una linea comune sulla politica estera. E fanno proseliti dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI All'Onu nasce l'asse dei Bric nuovo avversario per gli Usa Il presidente del Brasile Dilma Rousseff (a sinistra) con Barak Obama NEW YORK - Brasilia-Mosca-Delhi-Pechino: è un quadrilatero del nuovo ordine mondiale, il club della "non-interferenza", la vera novità di questa prima settimana di intervento militare in Libia. Ieri al Consiglio di sicurezza dell'Onu le loro critiche alla no-fly zone hanno lanciato un messaggio al mondo arabo: esiste un'altra sponda, rispetto all'America e ai suoi alleati europei. Considerato come il presidente dell'èra post-atlantica, dotato di una visione autenticamente globale anche per motivi biografici, Barack Obama ha già contribuito a disegnare una nuova realtà della politica internazionale. Purtroppo per lui, è una realtà che nasce senza e contro gli Stati Uniti, come un'alternativa all'"ordine dell'Occidente". Sono i Bric: le iniziali di Brasile, Russia, India, Cina. È una sigla nata da anni nel mondo dell'economia e della finanza, per designare le quattro maggiori potenze emergenti (oggi abbondantemente emerse). Per la prima volta, è sulla Libia che il club economico si è fatto alleanza diplomatica. Prefigura un'alternativa alla coalizione che faticosamente Obama ha messo insieme sotto il cappello della Nato. Ad aprile si terrà un vertice dei Bric che sarà ospitato in Cina, nella città di Sanya. Per la prima volta a quel summit i quattro grandi non-occidentali parleranno non più soltanto di commercio e finanza, energia e valute, ma anche di politica estera. È una rottura gravida di conseguenze, se i Bric decidono di usare il proprio peso economico trasformandolo anche in leva diplomatica. Tra loro siedono due potenze politico-militari "storiche" dotate del diritto di veto nel Consiglio di sicurezza Onu - Russia e Cina - ma anche due candidati a entrare come nuovi membri permanenti nel Consiglio quando passerà la riforma dell'Onu: India e Brasile. Delhi e Brasilia sono la prima e la quarta democrazia del mondo per popolazione. Hanno evidenti affinità di valori con l'Occidente, come ha sottolineato Obama nel suo viaggio appena concluso in Brasile. La neopresidente Dilma Roussef, nell'accogliere Obama ha rivendicato orgogliosamente il diritto del suo paese a entrare nel Consiglio di sicurezza con lo status di Vip e il diritto di veto, ma non ha concesso un millimetro sulla no-fly zone. Sulla Libia il club è stato compatto, senza distinguo. Tutti e quattro i nuovi big si sono astenuti sulla risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza. E appena le operazioni militari sono iniziate, è partita una bordata di critiche. "Si rischia un disastro umanitario", è l'avvertimento dei cinesi. "Sento un linguaggio da nuova crociata", ha rincarato il premier russo Vladimir Putin. Gli americani hanno tentato di minimizzare le critiche russo-cinesi. "Nulla di nuovo sotto il sole", è la prima reazione di Washington. Sulla posizione di Mosca si è fatto notare il bisticcio tra Putin e Medvedev, preludio di una campagna elettorale per la presidenza, dove Putin giocherà la carta del nazionalismo anti-occidentale mentre Medvedv incassa dagli Usa la promessa di un ingresso nel Wto. In quanto alla Cina, gli americani hanno attribuito le sue denunce a "ipersensibilità interna sull'ingerenza nel rispetto dei diritti umani". A Pechino - questa è l'analisi degli Usa - la classe dirigente vive con nervosismo l'onda delle rivoluzioni antiautoritarie nel mondo arabo, teme il contagio, perciò disapprova l'intervento Onu in favore dei popoli che si ribellano contro i propri regimi. Tuttavia il linguaggio dei cinesi - "ecco la terza guerra dell'Occidente contro il mondo islamico, e un'altra guerra per il petrolio" - ha fatto breccia anche in Turchia, un membro della Nato, il cui premier all'inizio dell'intervento militare ha usato parole molto simili ai cinesi. E poi c'è l'India, la grande democrazia visitata da Obama a novembre, quando il presidente americano appoggiò con forza la "promozione" di Delhi a membro permanente del Consiglio Onu. "Nessuno può arrogarsi il diritto di cambiare i regimi di altri paesi", ha ammonito il ministro delle Finanze e presidente della Camera di Delhi. "Va rispettata la sovranità e l'integrità territoriale della Libia", gli ha fatto eco l'ambasciatore indiano all'Onu. Il club dei Bric fa nuovi proseliti come il Sudafrica: che aveva appoggiato la no-fly zone ma ora si associa alle critiche sulla sua applicazione. La loro scommessa: nel nuovo assetto che emergerà dalle convulsioni del mondo islamico, c'è posto per un'alternativa all'abbraccio dell'Occidente. (25 marzo 2011)
IL COMMENTO La dietrologia dell'assurdo L'onorevole Cicchitto, nell'arduo tentativo di giustificare nel dibattito di ieri alla Camera le contraddizioni del governo Berlusconi sulla Libia, ha farneticato su "una linea Ezio Mauro-Sarkozy che forse ripercorre certe storie del giornalismo italiano quando nel 1914 il Popolo d'Italia era finanziato da Pippo Naldi e da ambienti finanziari francesi". Ovviamente l'idea di una linea comune Repubblica-Sarkozy è semplicemente ridicola, sia perché le posizioni sono diverse, sia soprattutto perché sono autonome e infine perché un giornale e uno Stato non sono comparabili. Vorremmo solo ricordare al capogruppo Pdl, il quale non riesce evidentemente a ragionare se non in termini di affiliazione e consorteria, che un giornale può avere una sua libera e autonoma opinione. Questa opinione nasce dall'incontro tra la sua cultura e le vicende quotidiane, valutate nell'interesse del Paese e della democrazia: in questo caso, la richiesta di democrazia e di libertà che viene dalla ribellione libica al dittatore che risponde con i massacri. Per Cicchitto meglio cercare dietrologie strampalate e assurde: salvo il riferimento al massone Pippo Naldi, che per la tessera numero 2232 della P2 è invece perfettamente naturale. (25 marzo 2011)
SIRIA Centinaia verso Daraa contro il regime arresti a Damasco, 20 morti a Samnin Il capoluogo della regione meridionale, teatro delle proteste da giorni, è irragiungibile dai giornalisti bloccati dall'esercito siriano. Proteste anti-regime anche a Qamishli, a Homs e nella capitale dove agenti in tenuta anti-sommossa hanno respinto i manifestanti. Yemen: spari in aria per separare dimostranti Centinaia verso Daraa contro il regime arresti a Damasco, 20 morti a Samnin Le proteste dei giorni scorsi a Daraa BEIRUT - Continuano le proteste anti-regime nel cuore della Siria. E' di almeno 30 morti il bilancio degli scontri avvenuti oggi in diverse città della Siria secondo quanto riportato dalla tv satellitare al-Arabiya. Manifestazioni contro il governo si sono registrate in più di 10 città del Paese, anche se violenti scontri sono avvenuti nella città di Samnin, dove si contano almeno 20 morti, a Daraa, dove sono morte almeno due persone, e a Damasco dove la polizia ha arrestato una decina di manifestanti. Spari al confine. Le forze di sicurezza siriane hanno ucciso 20 persone aprendo il fuoco contro manifestanti che tentavano di raggiungere Daraa, nel sud del Paese, per dar unirsi alle proteste. "Ci sono più di venti morti... Le forze di sicurezza hanno cominciato a sparare all'impazzata", ha detto un testimone alla tv al Jazeera. Le vittime erano arrivate a Samnin, ma da mercoledì intorno alla città vicina alla frontiera giordana è stato creato un cordone di sicurezza dell'esercito con posti di blocco e meticolosi controlli su chiunque voglia entrare. L'esodo verso Daraa. Nel capoluogo della regione meridionale, teatro delle proteste dei giorni scorsi, si stanno dirigendo in queste ore centinaia di siriani del sud del Paese. Secondo quanto riferiscono le tv panarabe al Jazeera e al Arabiya l'obiettivo dei dimostranti è portare "sostegno alla città assediata" dove oggi i manifestanti hanno appiccato il fuoco alla statua dell'ex presidente Hafez al Assad. La reazione dell'esercito è dura. Questa mattina decine di persone sarebbero state infatti arrestate sia nella città di Daraa - dove in migliaia erano riuniti per partecipare ai funerali dei manifestanti uccisi negli scontri dei giorni scorsi -, sia a Damasco dove la situazione resta molto tesa. Testimoni oculari parlano infatti di decine di arresti anche lì e di una manifestazione contro il regime di Bashar al Assad cui hanno partecipato in più di duecento persone. Il corteo dei manifestanti che urlavano "libertà! libertà!" nei pressi del viale Mezze, nella parte orientale della città, è stato disperso da agenti siriani in tenuta anti-sommossa. Le riforme del presidente. Proprio ieri il presidente Assad aveva annunciato riforme che la Francia oggi, chiede siano attuate con un appello alle autorità della Siria, in modo "effettivo e rapido". In particolare, la revoca dello stato di emergenza in vigore dal 1963. "La Francia ha preso nota degli annunci delle riforme presentate ieri dalle autorità siriane", ha detto a Parigi il portavoce del ministero degli Esteri francese, Bernard Valero, aggiungendo: "Chiediamo l'attuazione effettiva e rapida di queste misure, inclusa la revoca dello stato di emergenza e la liberazione immediata dei prigionieri detenuti per aver partecipato alle manifestazioni".Testimoniare la situazione (VIDEO) resta comunque difficile perché i giornalisti siriani e stranieri che hanno tentato di entrare nella città di Daraa, sono stati respinti da posti di blocco dell'esercito siriano e di agenti di sicurezza in abiti civili che hanno sequestrato loro l'attrezzatura e gli effetti personali. "Ci dicono che non c'è niente da vedere e da fare e ci invitano a fare ritorno a Damasco", ha raccontato un reporter locale, che ha tentato di raggiungere Daraa. Lealisti in piazza. Per le strade di Damasco secondo la tv di Stato siriana, oggi hanno sfilato anche i lealisti. Migliaia di siriani sarebbero scesi in piazza a sostegno del presidente Bashar al Assad, al potere da undici anni dopo averlo ereditato dal padre Hafez, e in favore del Baath, di fatto il partito unico da quasi mezzo secolo. Il corteo lealista è partito dalla centrale Grande Moschea degli Omayyadi, ha sfilato nelle vie della città vecchia e del mercato coperto Hamidiye, mostrando poster del rais, sventolando bandiere siriane e brandendo cartelloni il logo del "partito arabo socialista Baath". "Con lo spirito, col cuore, ci sacrifichiamo per te oh Bashar", è stato lo slogan più scandito, secondo quanto mostrato dall'emittente di regime. Le proteste nelle altre città. Manifestazioni questa mattina sono scoppiate anche a Qamishli, località all'estremo nord-est della Siria, al confine con Turchia e Iraq e abitata in prevalenza da curdi, dove centinaia di residenti sarebbero scesi in strada in sostegno della "intifada" anti-regime in corso a Daraa, e la polizia avrebbe sparato pallottole reali contro i manifestanti. Lo riferiscono testimoni oculari citati da Rassd, sito di monitoraggio che trasmette anche su Twitter. Slogan per la libertà sono stati scanditi da migliaia di siriani in corteo stamani anche a Homs, città 180 chilometri a nord di Damasco e luogo di nascita della first lady Assam al Assad e città natale del premier Muhammad Naji al Utri. A mostrare le immagini è un video diffuso poco fa su Internet dal canale "ShamsNN" che trasmette su Youtube. Nel video sono ben riconoscibili alcuni edifici di una piazza centrale di Homs. "Col cuore, col sangue, ci sacrifichiamo per te oh Daraa!", gridano gli abitanti di Homs ripresi dal video, mentre un doppio cordone di polizia e agenti di sicurezza in borghese osserva il corteo a margine della strada. "Iddio, Siria, libertà e basta!", è l'altro slogan scandito dai manifestanti, che fanno così il verso allo slogan ufficiale dei lealisti (Iddio, Siria, libertà e Bashar!), in riferimento al presidente Bashar al Assad. Una manifestazione antigovernativa si è registrata questa mattina anche a Qraya, città siriana a circa 100 chilometri a sud-est di Damasco e città natale di Sultan al-Atrash, eroe nazionale e noto rivoluzionario siriano, leader druso e comandante generale della 'Grande rivoluzione siriana' (1925-1927). Manifestazioni in Giordania. Secondo l'emittente araba al Jazeera dimostranti sarebbero stati attaccati da gruppi di 'picchiatori', inviati sul posto dal Governo. Cinquasette sono stati feriti ad Amman nel corso in un attacco sferrato dai sostenitori di re Abdallah. I lealisti, che sono scesi in migliaia per le strade della capitale, hanno preso a sassate i centinaia di studenti e membri dell'opposizione islamista accampati vicino piazza Gamal Abdel Nasser. Già ieri sera i dimostranti avevano lamentato di essere stati aggrediti da una cinquantina di supporter del governo mentre la polizia, pur avendo circondato la zona, non era intervenuta. I manifestanti chiedono riforme costituzionali e la fine della corruzione e hanno istituito un sit-in permanente. Intanto si attende per oggi la visita del segretario alla Difesa Usa, Roberts Gates. Il capo del Pentagono incontrerà re Abdallah. Al centro dei colloqui vi sarà lo scenario aperto dalle rivolte arabe e la situazione politica giordana. Washington, riferiscono alcune fonti Usa, è preoccupata dalle manifestazioni che, dal gennaio scorso scuotono il Paese. Per placare lo scontento, il re ha nominato un nuovo premier, Marouf Bakhit, che tuttavia ha subito chiuso la porta all'istituzione di una monarchia costituzionale, chiesta a gran voce dalla piazza. Le proteste in Yemen. L'esercito yemenita ha sparato dei colpi in aria a San'aa per tenere distanti dei sostenitori e degli oppositori del presidente Ali Abdallah Saleh, che oggi sono radunati in massa in due piazze differenti nella capitale. Non hanno raggiunto un accordo infatti il presidente e il potente generale Ali Mohsen, passato con i rivoltosi insieme a una consistente parte dell'esercito. Ad affermarlo sono fonti politiche vicine alle due parti, secondo quanto riferito dalla France Presse. "Non sono riusciti a giungere a un accordo per evitare la crisi", hanno rivelato le fonti. I due si erano incontrati giovedì sera nell'abitazione del vicepresidente Abdrabbo Mansur per intavolare una trattativa e, secondo le anticipazioni di alcuni quotidiani, avevano anche raggiunto un'intesa all'insegna dello "simul stabunt simul cadent". Entrambi, cioè, si sarebbero dimessi contemporaneamente per evitare un bagno di sangue nel Paese. (25 marzo 2011)
L'EMERGENZA Lampedusa: "Abbiamo fame e sete" migliaia di tunisini in rivolta Protestano gli oltre duemila nordafricani ammassati sulla banchina del porto e davanti alla collinetta vicino all'approdo. Presi d'assalto i sacchetti con i generi di conforto. La nave San Marco è ancora in rada, il prossimo viaggio sarà verso la Puglia. E cominciano le traversate anche dalla Libia: un peschereccio partito da Tripoli è stato intercettato dalla Guardia costiera. I ministri Maroni e Frattini hanno incontrato il premier tunisino. Per bloccare le partenze degli immigrati l'Italia fornirà al paese nordafricano mezzi, addestramento e una linea di credito per 150 milioni di euro di FRANCESCO VIVIANO Lampedusa: "Abbiamo fame e sete" migliaia di tunisini in rivolta LAMPEDUSA - Tunisini in rivolta a Lampedusa. Sono in migliaia e sono gli stessi che da giorni stazionano davanti alla banchina e alla collinetta vicina al porto. Assaltato il container con i sacchetti pieni di generi di conforto. I tunisini chiedono più cibo, acqua e sigarette. La nave militare San Marco, che dovrebbe trasferire 500 immigrati nei centri di accoglienza, resta ancorata. Il prossimo viaggio non dovrebbe avere più la destinazione di Mineo, bensì un'area attrezzata in Puglia. VIDEO La rabbia dei tunisini al porto FOTO La rivolta per acqua e cibo Arrivi dalla Libia. In viaggio anche una carretta del mare partita da Tripoli. Il peschereccio, in difficoltà, è stato intercettato dalla Guardia costiera. La situazione è costantemente monitorata dalla centrale operativa delle Capitanerie di porto. L'Sos era stato raccolto da un'immigrata residente ad Agrigento che aveva ricevuto la chiamata col telefono satellitare dalla sorella che è tra i passeggeri dell'imbarcazione. Il peschereccio, secondo quanto si è appreso, è salpato da Tripoli e sarebbe la prima imbarcazione carica di immigrati a partire dalla Libia dopo l'inizio del conflitto. A Lampedusa, attualmente, sono presenti 4.800 immigrati. Ma circa 800 dovranno essere trasferiti con la "San Marco" e con voli speciali. Dei tunisini, 2.500 sono alloggiati nel Cie, 220 in una struttura messa a disposizione dalla parrocchia di San Gerlando, mentre i rimanenti si dividono tra la stazione marittima del porto e le tende di fortuna sparpagliate ovunque nell'isola. Dopo un sopralluogo effettuato questa mattina, anche la base Loran, usata precedentemente dalla Nato, da oggi verrà adibita al ricovero di circa 200 immigrati. Ma la nave "San Marco" resta ancora in rada. I 500 clandestini che dovrebbe trasportare oggi potrebbero andare in un'area attrezzata della Puglia e non al Villaggio della solidarietà di Mineo (Catania), dove 498 tunisini erano già stati trasferiti ieri, tra le proteste dei sindaci. Il governatore siciliano Raffaele Lombardo è tornato a criticare la scelta di Mineo: "E' un lager". Lombardo: "Il Villaggio di Mineo è un lager" FOTO La protesta dei sindaci davanti al villaggio di Mineo Vertice in Tunisia. I ministri degli Interni e degli Esteri, Roberto Maroni e Franco Frattini, sono andati questa mattina a Tunisi per una serie di incontri istituzionali con l'obiettivo di frenare i viaggi dei tunisini verso Lampedusa. Impegni sono stati presi dalle autorità tunisine per contrastare le partenze dei migranti. Lo hanno detto Maroni e Frattini dopo i colloqui con il primo ministro Caid Essebsi e con i ministri dell'Interno e degli Esteri del paese nordafricano. L'Italia fornirà in cambio mezzi, addestramento e una linea di credito per 150 milioni di euro. "Abbiamo chiesto al governo tunisino - ha spiegato Maroni - di rafforzare i controlli marittimi: è una preoccupazione ben presente in loro, ci hanno detto che intensificheranno la vigilanza". E', ha aggiunto, "un risultato positivo e incoraggiante che, se sarà seguito da fatti concreti, potrà bloccare i flussi che in due mesi e mezzo hanno portato 15.700 tunisini a Lampedusa". Fermato uno yacht. Sono stati accompagnati in un centro di prima accoglienza, intanto, i 44 migranti intercettati ieri sera su una barca a vela da un pattugliatore della Guardia di finanza, a circa 6 miglia dalle coste siracusane. Gli extracomunitari, tra cui 11 donne, due delle quali incinte, e sette bambini, sono di nazionalità turca, siriana e irachena. L'imbarcazione, un motoveliero di circa 12 metri, è stata scortata fino al porto di Siracusa e posta sotto sequestro. Nel corso dell'operazione, coordinata dal Gruppo aeronavale della Guardia di finanza di Messina, sono stati fermati anche i presunti scafisti: sono due cittadini georgiani. Indagini sono in corso per risalire agli organizzatori del traffico di immigrati. La vita dei migranti La protesta degli abitanti L'emergenza acqua. Ieri l'amministrazione comunale ha annunciato che sull'isola l'acqua potabile non è più sufficiente. E la richiesta di una fornitura straordinaria di ventimila metri cubi, fatta già da un mese, non ha avuto ad oggi copertura economica da parte del ministero della Difesa. Tra isolani, clandestini e forze dell'ordine, sull'isola attualmente sono presenti 11 mila persone. (25 marzo 2011) EMERGENZA IMMIGRATI Mantovano, "Ci saranno 13 nuovi CIE" Nelle caserme dismesse è la soluzione Quello di Manduria (Taranto) sarà il primo Centro di Identificazione ed Espulsione, perché è quello che si trova nelle condizioni più adatte. L'annuncio del sottosegretario all'Interno, il quale ha aggiunto di sperare che i clandestini vengano restituiti alla Tunisia per ripristinare il meccanismo di controllo. Mantovano, "Ci saranno 13 nuovi CIE" Nelle caserme dismesse è la soluzione ROMA - "Sull'intero territorio nazionale sono previsti 13 nuovi Centri di identificazione ed espulsione (Cie), con caratteristiche di provvisorietà. Saranno realizzati in siti militari dismessi e messi a disposizione dal ministero della Difesa. Probabilmente, quello di Manduria (Taranto) sarà il primo, perché è quello che si trova nelle condizioni più adatte per un ripristino rapido". Lo ha annunciato stamattina a Bari il sottosegretario all'Interno, Alfredo Mantovano, parlando con i giornalisti. Solo per migranti irregolari. "I Centri di identificazione e di espulsione - ha spiegato - cioè quei centri che riguardano i migranti irregolari, sono oltre ogni limite di presenze e ne servono degli altri, che hanno le caratteristiche della provvisorietà perché ci auguriamo che i controlli riprendano dalla Tunisia. Questi centri - ha aggiunto - sono frutto in questo momento di una verifica e abbiamo chiesto la disponibilità al ministero della Difesa, il quale - ha aggiunto il sottosegretario - ci ha indicato13 luoghi, tra questi c'è anche quello collocato a cinque chilometri da Manduria". Nel minor tempo possibile. "E' un sito - ha sottolineato Mantovano - che sarà allestito in condizioni di assoluta sicurezza, con una recinzione, con un contingente di poliziotti e di carabinieri adeguato e aggiuntivo. Quindi - ha aggiunto - il territorio non sarà sguarnito nelle sue esigenze di sicurezza per questo centro. E diventerà operativo non appena saranno effettuati i sopralluoghi e i lavori necessari. Tutto questo speriamo di contenerlo nel minor tempo possibile, nel tempo che sarà impiegato per restituire i clandestini alla Tunisia e per ripristinare il meccanismo di controllo". Ma per i richiedenti asilo... "Totalmente diverso è il discorso per i richiedenti asilo, per i quali c'è quel percorso concordato con le Regioni, con i Comuni e con le Provincie che fa immaginare una ripartizione equa - ha ricordato Mantovano - in tutto il territorio nazionale. Quello dei richiedenti asilo è un discorso di prospettiva, che adesso prepara il terreno per ciò che dovesse arrivare dalla Libia, una volta che in Libia si attenuerà il conflitto e che certamente vedrà la Puglia meno gravata rispetto ad altre Regioni, perché - ha concluso l'esponente del governo - in Puglia, già da tempo esistono 3 Cara, 2 Cie e in più adesso ci sarà questa diponibilità di Manduria, che forse ospiterà qualche centinaio di clandestini". 25 marzo 2011
2011-03-22 LIBIA C'è l'accordo sulla Nato. Sangue a Misurata Ricompare il raìs: "Ridiamo dei vostri missili" Dopo giorni di silenzio Gheddafi parla ai suoi sostenitori, in piedi sulle rovine del suo palazzo, in diretta tv: "Alla fine vinceremo noi". Continuano i raid. Attacco lealista a Misurata e ad Ajdabiya, almeno 40 morti. Precipita un jet americano, nei soccorsi feriti sei civili. Obama, Cameron e Sarkozy trovano l'intesa sul comando dell'Alleanza. Strappo della Germania: ritira la Marina dalle operazioni nel Mediterraneo. Ora il dibattito in Parlamento C'è l'accordo sulla Nato. Sangue a Misurata Ricompare il raìs: "Ridiamo dei vostri missili" ROMA - Quarto giorno dell'operazione Odissey Dawn, quarto giorno di missili e bombe sulla Libia. Le incursioni della coalizione occidentale sono iniziate nelle prime ore del giorno, colpendo Tripoli, Zintan, Misurata, Sirte, Sabha e una zona a est di Bengasi, in quest'ultimo caso provocando l'arretramento delle forze lealiste. Colpita la base della marina militare di Bussetta, a dieci chilometri dalla capitale, porti e aeroporti a Sirte e Sabha, entrambe roccaforti politiche e militari del Colonnello. Sul fronte diplomatico, dopo le polemiche dei giorni scorsi, Obama, Sarkozy e Cameron hanno raggiunto un accordo sulla necessità di una guida Nato delle operazioni in Libia. E in serata Gheddafi ricompare. Dopo giorni di silenzio, il raìs si mostra in diretta tv in piedi davanti al suo bunker, di fronte alla folla dei sostenitori che lo acclamano: "Ridiamo dei vostri missili - dice - alla fine vinceremo noi". Il raìs come una fenice. In piedi, sulle rovine del suo palazzo bombardato e diroccato, con la folla dei sostenitori che lo acclama, e in diretta televisiva. Così ricompare un battagliero colonnello Gheddafi dopo giorni di silenzio in cui ci si interrogava su quale fosse stata la sua sorte. Una sortita scenografica degna del raìs, una fenice che risorge dalle ceneri e non si arrende. "Gli americani e gli europei sono i nuovi nazisti - dice - ma io sono qui, e resto qui, e alla fine saremo vittoriosi". Il campo di battaglia. Le milizie di Gheddafi hanno ripreso le attività di attacco nella città di Misurata, e il conto delle vittime di oggi è di 40 morti. Una carneficina che va avanti da giorni, per vite che valgono 350 euro l'una: secondo il racconto su Twitter di alcuni testimoni, un miliziano fedele al Colonnello catturato a Zintan avrebbe confessato che il regime avrebbe promesso 600 dinari, pari a circa 350 euro, a chiunque ritorni nella capitale con il cadavere di un insorto. Una fonte medica racconta che "gli ospedali sono pieni di feriti, in città non c'è luce, non ci sono comunicazioni da dieci giorni, non c'è acqua da più di una settimana". Secondo alcune voci non verificabili, la famiglia di Gheddafi starebbe preparando la fuga in Algeria, in vista di una caduta del regime. Il sito dell'opposizione libica al-Manara scrive che "Motasem Gheddafi, figlio del colonnello Muammar Gheddafi, è ritornato di recente in Libia dopo un viaggio in Algeria. Si ritiene che la sua visita sia stata organizzata per preparare una fuga della famiglia Gheddafi verso quel paese". Sul fronte della coalizione occidentale, un F-15 americano è precipitato sul suolo libico, a 40 km da Bengasi. L'aereo secondo le fonti ufficiali Usa che confermano la notizia, è precipitato per "cause tecniche", non perché colpito dal fuoco nemico. Un membro dell'equipaggio risulta salvo ed è già stato recuperato, l'altro è "in via di recupero". Nell'incidente sarebbero rimaste coinvolte sei persone, tutti feriti, tra cui un bambino che rischierebbe l'amputazione di un braccio. E sono già molti i casi di giornalisti e fotografi coinvolti dagli eventi. Tre giornalisti occidentali sono stati arrestati dalle forze armate libiche: si tratta di due reporter dell'agenzia France Presse e un fotografo della Getty Images, fermati il 19 marzo nella zona di Tobruk. Altri giornalisti dei media internazionali sono stati salvati dalle Sas, le forze speciali britanniche, che hanno fermato in extremis il grilletto ai piloti della Raf, pronti domenica notte a sganciare missili sul compound di Gheddafi a Tripoli. I reporter, tra cui una troupe della Cnn, inviati della Reuters e del Times, erano stati portati a verificare gli effetti di un primo bombardamento sul bunker centrato poche ore prima da un Tomahawk della Royal Navy. "Senza saperlo i giornalisti sono stati usati come scudi umani", scrive oggi l'inviata del Times Deborah Haynes. Con i giornalisti erano stati portati al 'compound' circa 300 sostenitori di Gheddafi. E sono ormai quattro giorni che non si hanno notizie della giornalista tunisina Fatma Ben Dhaou, inviata in Libia del giornale Le Quotidien. Accordo su comando Nato, la Germania si ritira. In serata, la Casa Bianca ha annunciato l'accordo tra Stati uniti, Francia e Gran Bretagna sulla necessità di un ruolo chiave per la Nato nella struttura di comando delle operazioni militari. Il presidente Usa Barack Obama ha telefonato al presidente francese Nicolas Sarkozy e al primo Ministro britannico David Cameron, con l'obiettivo di raggiungere un accordo dopo le polemiche degli scorsi giorni. Obama ha sottolineato l'importanza di un "ampio contributo internazionale tra cui quello dei paesi arabi" alle operazioni in Libia. L'obiettivo di Obama, che ha anche parlato con il premier turco Erdogan, sembra quello di mantenere sintonia con il mondo arabo: la Turchia è infatti un importante membro della Nato, ed è fra i paesi che hanno mostrato maggiore scetticismo al coinvolgimento diretto dell'alleanza nel comando delle operazioni. Obama, Cameron e Sarkozy hanno quindi "esaminato i progressi sostanziali fatti in termini di arresto dell'avanzata delle truppe di Gheddafi su Bengasi, così come dell'imposizione della 'no fly zone'", ha detto Ben Rhodes, portavoce della Casa Bianca. Che dichiara come Obama, Sarkozy e Cameron abbiano raggiunto un'intesa affinchè "la Nato giochi un ruolo chiave nella struttura di comando" nelle operazioni militari in Libia. Anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in una nota diffusa dopo l'incontro con una delegazione parlamentare americana guidata da Nancy Pelosi, ha ribadito "L'esigenza imprescindibile sostenuta dall'Italia, in piena sintonia con Stati Uniti, Regno Unito ed altri alleati, di un comando unificato". La giornata registra anche la richiesta della Cina e dell'Unione Africana di un "cessate il fuoco immediato" e, sul fronte europeo, il ritiro della Germania 1 dalle operazioni nel Mediterraneo. Lo ha reso noto il ministero della Difesa a Berlino precisando che due fregate ed altre due imbarcazioni a bordo delle quali si trovano in totale 550 unità sono state messe sotto comando tedesco. Non è stato precisato al momento se le imbarcazioni resteranno o meno nel Mediterraneo. Verranno ritirate anche le unità che prendono parte alle operazioni di sorveglianza aerea della Nato nel Mediterraneo. Domani in Parlamento. Il conflitto in Libia ed il ruolo dell'Italia saranno all'ordine del giorno domani e giovedì in Parlamento. I ministri Franco Frattini e Ignazio La Russa, e non il premier Silvio Berlusconi come chiesto dalle opposizioni, riferiranno sulla missione e chiederanno il voto di Senato e Camera. L'obiettivo di governo e Pdl è scongiurare che la Lega abbandoni l'Aula al momento del voto. Le richieste del Carroccio per digerire la missione in Libia riguardano soprattutto un impegno esplicito del governo in sede comunitaria, affinché richieda misure immediate di condivisione della gestione dei flussi migratori. E' sempre la Lega a rchiedere la tutela degli accordi energetici fatti con la Libia, per evitare, secondo il Carroccio, "che il loro mancato rispetto porti conseguenze negative sul costo dell'energia e dunque sulle famiglie e le imprese". Le opposizioni - Pd e Terzo Polo, mentre l'Idv ha una posizione filopacifista - sarebbero disposte ad un gesto di responsabilità votando a favore della missione ma pretendono "chiarezza" dopo le posizioni assunte negli ultimi giorni. E soprattutto una marcia indietro rispetto alle affermazioni di ieri del premier Silvio Berlusconi "addolorato" per Gheddafi. Secondo fonti democratiche, il Pd darebbe l'ok ad una risoluzione "asciutta" come quella votata in commissione Esteri ma non potrebbe accettare una risoluzione che accolga le tesi leghiste sui profughi. Posizione ribadita anche da Massimo D'Alema, presidente del Copasir, che intervistato da Repubblica Tv 2 ha espresso la necessità dell'intervento della coalizione occidentale: "Si tratta di un'operazione necessaria", ha detto D'Alema, "ma è stata organizzata molto male". (22 marzo 2011)
Diretta Usa, Francia e Gb d'accordo su comando Nato Gheddafi davanti al bunker: "Vinceremo" Usa, Francia e Gb d'accordo su comando Nato Gheddafi davanti al bunker: "Vinceremo" Nuovi raid sulla Libia. Contraerea a Tripoli, sangue a Misurata, assediata dalle forze del Colonnello. Il raìs ricompare e ai fedelissimi dice: "Io resto qui". Precipita jet Usa, nei soccorsi feriti sei civili. Fra Obama, Cameron e Sarkozy c'è intesa sul comando dell'Alleanza. Strappo della Germania: ritira la Marina dal Mediterraneo. In Italia dibattito e voto sulla missione giovedi e venerdi in Parlamento. Rientrato a Tripoli il rimorchiatore italiano, equipaggio contatta familiari (Aggiornato alle 23:14 del 22 marzo 2011) 23:14 Obama: "Chiarezza sul comando nei prossimi giorni" 184 – "Non ho dubbi - ha detto Barack Obama - avremo chiarezza sul futuro comando" delle operazioni in Libia "nei prossimi giorni", e la Nato ci sta lavorando in queste ore. 22:44 Gheddafi ricompare: "Vinceremo noi" 183 – "Alla fine vinceremo noi": così il colonnello Gheddafi che è ricomparso per parlare ai fedelissimi davanti al suo bunker, in diretta televisiva.. 21:20 Telefonata tra Obama e Cameron 182 – Il primo ministro britannico David Cameron e il presidente Barack Obama concordano che la Nato debba avere "un ruolo chiave nella campagna militare in Libia. Lo ha indicato Downing Street dopo una telefonata tra i due leader. 20:53 A breve liberi i tre giornalisti 181 – I tre giornalisti occidentali, due della France Presse e un fotografo della Getty Images, arrestati dalle forze armate libiche, sono a Tripoli e saranno liberati "fra un'ora o due". Lo ha detto il portavoce del regime libico Moussa Ibrahim. 20:51 Ministro Esteri: "Francia favorevole al comando Nato" 180 – La Francia è "favorevole" a un comando integrato della Nato "in sostegno alle forze della coalizione" presenti in Libia: lo ha detto il portavoce del ministero degli Esteri Bernard Valero. 20:38 La Germania si ritira dalle operazioni Nato 179 – La Germania si è ritirata dalle operazioni Nato nel Mediterraneo a seguito dell'inizio delle operazioni in Libia: a renderlo noto è stato il ministero della Difesa a Berlino precisando che due fregate ed altre due imbarcazioni a bordo delle quali si trovano in totale 550 unità sono state messe sotto comando tedesco. Non è stato precisato al momento se le imbarcazioni resteranno o meno nel Mediterraneo. Verranno ritirate anche le 60-70 unità che prendono parte alle operazioni di sorveglianza aerea della Nato nel Mediterraneo. 20:36 Rientrati i due F 16 italiani 178 – Sono rientrati nella base di Trapani Birgi i due caccia intercettori F-16 dell'Aeronautica militare che si erano levati in volo con funzioni di controllo dello spazio aereo nazionale nell'ambito delle operazioni internazionali in Libia. 20:32 Eliseo, ok con Usa su modalità comando 177 – Il presidente francese Nicolas Sarkozy e il presidente Usa, Barack Obama, nel corso di un colloquio telefonico, si sono "accordati sulle modalità di utilizzo delle strutture di comando della Nato in sostegno alla coalizione" in Libia. E' quanto si legge in una nota diffusa dall'Eliseo. 20:25 Usa, Francia e Gb d'accordo su ruolo comando a Nato 176 – Gli Stati Uniti, la Francia e la Gran Bretagna sono d'accordo perchè la Nato assuma un ruolo chiave nella struttura di comando delle operazioni militari della coalizione internazionale in Libia. Lo ha annunciato la Casa Bianca. 19:59 Serbia, oltre 40 mila appoggiano Gheddafi su Facebook 175 – In Serbia e Montenegro, dove è ancora vivo il ricordo dei bombardamenti aerei della Nato della primavera 1999, quasi 40 mila persone hanno espresso finora su Facebook il loro aperto sostegno al leader libico Muammar Gheddafi. 19:56 Usa: "Lanciati altri venti missili Tomahawk" 174 – Il Pentagono ha detto oggi che le forze della coalizione impegnate nel mantenimento della no-fly zone sulla Libia hanno lanciato 20 missili Tomahawk la notte scorsa contro le unità della difesa aerea libica. In tutto dall'inizio della operazione Odyssey Dawn sono stati lanciati 159 missili da navi e sottomarini Usa e britannici. 19:54 D'Alema: "Intervento opportuno ma male organizzato" 173 – L'intervento dell'Onu in Libia è "necessario, opportuno, forse tardivo" ma anche "molto male organizzato". Lo ha spiegato Massimo D'Alema, a Repubblica Tv. Il presidente del Copasir ha premesso che la decisione dell'Onu di intervenire è stata "giusta e inevitabile" perchè "la guerra già c'era, c'era un massacro che doveva essere fermato. Non siamo noi i portatori di guerra". 19:52 Prefetto di Roma: "Nella Capitale oltre mille possibili obiettivi del terrorismo" 172 – "Gli obiettivi sensibili a Roma sono più di mille. Per alcuni di questa è stata rafforzata la vigilanza in base all'evoluzione degli scenari internazionali". Lo ha detto il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro al termine del vertice tecnico convocato per analizzare la questione sicurezza della capitale alla luce della crisi che ha coinvolto i Paesi del Nordafrica. 19:49 Contraerea in azione a Tripoli 171 – E' ripreso il fuoco della contraerea a Tripoli, la capitale libica bombardata nei giorni scorsi dalla coalizione. 19:45 Al Jazeera: "Ucciso uno dei leader delle milizie di Gheddafi" 170 – E' stato ucciso alle porte di Tripoli Hussein al-Warfalli, capo di una delle più grandi milizie che rispondono al colonnello Muammar Gheddafi. E' quanto riferisce l'inviato di Al-Jazeera in Libia 19:43 Obama, "La Nato dovrà giocare un ruolo chiave" 169 – La Nato deve avere "Un ruolo chiave nel rafforzare una no-fly zone sopra la Libia. Lo ha detto il presidente Usa, Barack Obama, a bordo dell'Air Force One, dopo essersi consultato con Francia e Gran Bretagna". A renderlo noto, il consigliere della Casa Bianca, Ben Rhodes. 19:42 Unione Africana chiede "cessate il fuoco" immediato 168 – L'Unione Africana ha chiesto oggi un immediato cessate il fuoco sulla Libia, dove è in corso un intervento della coalizione internazionale contro le truppe di Muammar Gheddafi in accordo con quanto stabilito dalla Risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. A ribadire la posizione dell'organismo è stato il commissario Jean Ping, che oggi a Cartagine ha incontrato il presidente ad Interim della Tunisia Foued Mebazaa. 19:40 Decollati due F16 italiani da Trapani 167 – Altri due F16 italiani sono decollati pochi minuti fa dalla base militare di Trapani Birgi da cui oggi sono partiti altri quattro F16 poi rientrati. Questo tipo di velivoli viene solitamente utilizzato sia nelle intercettazioni di aerei sospetti che in azioni di combattimento aria-terra. 19:31 Caccia del Qatar in azione nel fine settimana 166 – I caccia del Qatar parteciperanno alle missioni di imposizione di no fly zone in Libia a partire dal prossimo week end. Lo ha detto l'ammiraglio Samuel Locklear, il comandante americano dell'operazione Odyssey Dawn, annunciando che presto entrerà in azione il primo, e finora unico, paese che partecipa all'operazione 19:24 Jet precipitato la scorsa notte, potrebbero esserci feriti 165 – Anche dopo le smentite riguardo a ferimento di civili in seguito al crash di un aereo Usa avvenuto la scorsa notte, potrebbero invece esserci sei persone coinvolte, in particolare un bambino che rischierebbe l'amputazione di un braccio 19:20 Napolitano: "Comando Nato è una necessità" 164 – Il Presidente Napolitano ha ribadito "l'esigenza imprescindibile sostenuta dall'Italia, in piena sintonia con Stati Uniti, Regno Unito ed altri alleati, di un comando unificato, osservando che la NATO rappresenta la soluzione di gran lunga più appropriata", come si legge in una nota del Quirinale. 19:07 Putin: "Responsabili vittime civili preghino per la loro anima" 163 – Nuova sortita polemica di Vladimir Putin sull'operazione multinazionale in Libia: a margine di una visita ufficiale in Slovenia, il primo ministro russo ha osservato che "Chi si rendesse responsabile della morte di civili nel Paese nord-africano meglio farebbe a pregare per la salvezza della propria anima". 19:03 Difesa, navi Marina in Area sud 162 – In aggiunta alle missioni sulla Libia svolte dai Tornado e dai caccia F-16 dell'Aeronautica militare in ambito coalizione, ''le unità navali della Marina militare sono in navigazione nell'area sud e cooperano altresì con gli assetti dell'Aeronautica per il controllo e la difesa dello spazio aereo nazionale''. Lo rende noto lo Stato maggiore della Difesa, facendo il punto dell'operazione 'Odyssey Dawn'. Nel Canale di Sicilia sono anche presenti la nave rifornitrice Etna ed il pattugliatore di squadra Borsini, che sta svolgendo la missione di vigilanza pesca e controllo dei flussi migratori. 18:56 Salvataggio piloti,Usa smentiscono il ferimento di civili 161 – Le forze armate statunitensi negano "al 100%" Che alcuni civili siano rimasti feriti, in Libia, durante l'operazione di salvataggio di un pilota dell'aereo precipitato la scorsa notte. Lo riferisce il quotidiano The Guardian. A quanto riferisce un reporter del giornale britannico, il capitano Richard Ulsh, portavoce dei marine statunitensi, ha dichiarato, a proposito del ferimento di sei civili: "posso negare che sia successo al 100%". 18:55 Difesa: "Oggi due missioni di Tornado e F-16" 160 – I Tornado Ecr e i caccia F-16 italiani hanno compiuto oggi due missioni sulla Libia: lo rende noto lo Stato maggiore della Difesa. 18:49 Sarkozy, visita lampo base in Corsica 159 – Visita-lampo del presidente francese, Nicolas Sarkozy, alla base aerea di Solenzara, sulla costa orientale della Corsica, utilizzata per i raid aerei di Parigi contro il regime di Muammar Ghedafi. La base, costruita per conto della Nato nel 1952, di solito è utilizzata per l'addestramento dei piloti da caccia. Accompagnato dal ministro della Difesa, Gerard Longuet, Sarkozy ha passato in rassegna i militari di stanza a Solenzara ed è stato ragguagliato sull'andamento delle operazioni sulla Libia 18:47 Riunione Nato su comando no-fly zone 158 – I 28 rappresentanti permanenti del Consiglio Atlantico sono riuniti da oltre quattro ore nel quartier generale dell'Alleanza Atlantica a Bruxelles per decidere sulla possibilità che le operazioni di 'no-fly zone' sulla Libia possano essere condotte sotto comando alleato. Lo hanno reso noto fonti della Nato. La pianificazione militare, come comunicato nel primo pomeriggio di oggi dal segretario generale Anders Fogh Rasmussen, è stata giaà completata 18:43 Aeronautica: "Anche deterrenza serve contro minacce" 157 – "Una missione di soppressione delle difese aeree nemiche può considerarsi conclusa positivamente anche quando la sola forza del deterrente, di fatto, ci permette di operare indisturbati dalle batterie missilistiche libiche". Lo ha detto il colonnello Achille Cazzaniga, capo ufficio stampa dell'Aeronautica Militare, oggi nella base militare di Trapani Birgi. 18:41 Salta incontro Frattini Pdl 156 – Non si terrà l'incontro in programma stasera alle 19 tra il ministro degli Esteri Franco Frattini e il Pdl. È quanto si apprende in ambienti del Pdl. Le stesse fonti sostengono che a parlare in Parlamento sulla Libia dovrebbe essere lo stesso Frattini. 18:29 Medvedev preoccupato per uso forza 155 – Il presidente russo Dmitri Medvedev si è detto preoccupato per l'utilizzo "senza discernimento" della forza in Libia, in occasione di un incontro con il segretario Usa alla Difesa Robert Gates. Lo ha annunciato il Cremlino 18:27 Armatore rimorchiatore italiano: "Militari trattano bene marinai" 154 – "Abbiamo molto apprezzato che i militari libici a bordo dell'Asso Ventidue abbiano trattato con riguardo il nostro equipaggio. Stanno tutti bene". Lo dice Mario Mattioli, armatore della Augusta Offshore spa, dopo una nuova comunicazione con l'equipaggio del rimorchiatore sequestrato da domenica scorsa. 18:19 Abc: "Gheddafi forse nascosto in rifugio sotterraneo" 153 – Muammar Gheddafi ''con ogni probabilita''' è nascosto ''in qualche rifugio sotterraneo intorno a Tripoli'': a sostenerlo in un'intervista all'americana Abc è l'ex ambasciatore libico alle Nazioni Unite Ibrahim Dabbashi. Un'altra fonte diplomatica libica, di cui l'Abc non riporta il nome, ha confermato all'emittente americana le voci secondo cui uno dei figli di Gheddafi, Khamis, sarebbe morto. Khamis Gheddafi, posto dal padre a capo di un'unità militare speciale, avrebbe perso la vita per le gravi ustioni riportate in seguito ad un attacco kamikaze portato da un pilota libico rivoltatosi al regime. Il pilota si sarebbe gettato contro il quartier generale della famiglia di Gheddafi. L'Abc precisa di non aver avuto modo di verificare autonomamente quanto riferito dalla fonte diplomatiche 18:12 Bbc: "Gheddafi ha riserve auree per 6 mld di dollari" 152 – Il colonnello Gheddafi dispone di riserve auree per un valore di 6 miliardi di dollari. Lo riporta la Bbc, spiegando che il 'tesoro' pone la Libia tra i 25 Paesi con le maggiori riserve auree. L'oro è custodito in Libia e potrebbe essere impiegato dal regime per finanziarsi, visto che i suoi asset sono stati congelati dalle sanzioni imposte dalla comunità internazionale. 18:10 France Presse chiede a Gheddafi liberare giornalisti 151 – L'agenzia France-Presse in una lettera ha chiesto al leader libico Muammar Gheddafi di liberare tre giornalisti - due suoi reporter e un fotografo dell'Agenzia Getty - arrestati sabato dall'esercito regolare nella regione di Tobruk, nella Libia orientale. "Ho l'onore di chiederLe di ridare loro la libertà in nome della libertà di stampa, in nome della stessa libertà di espressione e di informazione alla quale Lei fa spesso riferimento", scrive l'ad di France-Presse, Emmanuel Hoog. "La mia iniziativa riguarda anche Joe Raedle, fotografo dell'Agenzia Getty con il quale i nostri collaboratori lavoravano a stretto contatto", aggiunge Hoog. 18:08 Pilota Tornado che ha parlato con stampa è ancora a Trapani 150 – ''Al momento'' il maggiore Nicola Scolari, pilota di uno dei Tornado che aveva compiuto la prima missione in Libia e che aveva dichiarato alla stampa che aveva solo pattugliato, senza che fosse stato necessario usare i missili, ''si trova nella base militare di Trapani Birgi e sta svolgendo al sua attivita'''. Lo ha detto il colonnello Achille Cazzaniga, capo ufficio stampa dell'Aeronautica, rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano se l'ufficiale fosse stato rimandato nella sua base di Piacenza, come si era appreso ieri. 18:05 Francia potrebbe estendere operazioni oltre Bengasi 149 – La Francia potrebbe estendere le sue operazioni militari in Libia al di là dell'area di Bengasi fin da domani. Lo ha annunciato a Parigi un portavoce delle forze armate. 18:04 Da sabato alleati informati su azioni francesi 148 – Fin da sabato il comando delle forze armate francesi ha informato gli alleati di tutte le operazioni in corso nell'intervento in Libia. Lo ha detto oggi a Parigi un portavoce della Difesa francese. 17:57 Fillon: "A Bengasi sventola bandiera francese" 147 – A Bengasi ora c'è speranza, come testimoniato dalla bandiera francese che sventola nella roccaforte dei ribelli antigovernativi. Lo ha detto il primo ministro Francois Fillon, nel suo intervento al Parlamento francese. ''Ora a Bengasi c'è speranza, viene sventolata la bandiera francese, e anche la bandiera di una Libia diversa che sogna la democrazia e la modernizzazione'', ha detto Fillon. 17:51 Ferite da militari Usa sei persone villaggio vicino a Bengasi 146 – Sei persone di un villaggio vicino a Bengasi sono state ferite dai militari statunitensi, durante l'operazione di salvataggio dei due piloti dell'aereo precipitato la scorsa notte. Si tratterebbe delle prime vittime delle operazioni condotte dalle forze internazionali in Libia. Lo riferisce Lindsey Hilsum, della tv britannica Channel 4, che è andata nell'ospedale dove sono stati portati alcuni feriti. 17:44 Prima missione francese da portaerei 'Charles de Gaulle' 145 – Prima missione francese sulla Libia con il coinvolgimento della portaerei 'Charles de Gaulle': due caccia-bombardieri Rafale sono decollati oggi dall'ammiraglia della Marina Militare di Parigi, ma solo per operazioni di ricognizione. Lo ha reso noto il colonnello Thierry Burkhard, portavoce dello stato maggiore interforze, secondo cui nessuno dei due velivoli ha aperto il fuoco. La portaerei aveva lasciato domenica pomeriggio il porto di Tolone per raggiungere il teatro operativo davanti alle coste libiche 17:42 Capo Odissey Dawn: "Forza aerea Gheddafi molto indebolita" 144 – La forza area di Muammar Gheddafi è stata fortemente indebolita e non avrà un impatto negativo sulle operazioni di mantenimento della no-fly zone nel cielo della Libia. Lo ha detto l'ammiraglio americano Samuel Locklear responsabile della operazione Odissey Dawn 17:36 Farnesina: "Proposta Juppè solo una delle ipotesi di lavoro" 143 – La convocazione di una riunione dei ministri degli esteri dei Paesi coinvolti nell'intervento militare in Libia preannunciata dal capo della diplomazia francese, Alain Juppè, è per l'Italia solo ''una delle diverse ipotesi di lavoro che si stanno discutendo'', discussioni in cui sono coinvolti ''tutti i Paesi membri della coalizione''. Fonti della Farnesina precisano che ''non è detto che si concretizzi'' la proposta di Juppè per una riunione da tenersi a giorni in una capitale europea, e quindi, a maggior ragione, la creazione di una 'cabina di regia' dell'operazione in Libia a livello di ministri degli esteri. L'Italia, si ricorda, continua a ritenere come prioritaria l'assegnazione del comando delle operazioni alla Nato. 17:35 Pentagono: "Gheddafi non rispetta risoluzioni Onu" 142 – Il Pentagono ha detto oggi che il leader libico Muammar Gheddafi e le sue forze militari non stanno rispettando le risoluzioni dell'Onu. 17:31 Gates: "Comando ad alleati in pochi giorni" 141 – Gli Usa saranno in grado di passare il comande delle operazioni in Libia agli alleati in pochi giorni. Lo ha detto il segretario Usa alla Difesa Robert Gates. "Credo che un trasferimento in pochi giorni sia probabile", ha detto Gates parlando con i giornalisti durante una visita in Russia. Il segretario Usa alla Difesa non ha specificato chi potrebbe guidare le operazioni in Libia, ma ha lasciata aperta la possibilità che "apparato Nato" potrebbe entrare in scena dopo il passo indietro degli Stati Uniti. "Questa non è una missione Nato Questa è una missione in cui l'apparato Nato potrebbe essere utilizzato per il comando e il controllo", ha spiegato. 17:23 Capo Odissey Dawn: "Forze Gheddafi attaccano popolazione" 140 – Le forze leali al leader libico Muammar Gheddafi stanno continuando ad attaccare la popolazione civile, in particolare a Misurata. Lo ha detto oggi l'ammiraglio americano Samuel Locklear, capo dell'operazione 'Odissey Dawn' in Libia. 17:20 Decollati da Trapani due caccia F16 139 – Due caccia F16 sono appena decollati dallo scalo militare di Trapani Birgi. Nell'aeroporto è di stanza il 37/o stormo dell'Aeronautica militare. I velivoli F16, insieme agli Eurofighters servono a garantire la difesa degli altri caccia intercettori impiegati nella missione nell'ambito dell'operazione 'Odyssey dawn' 17:19 Juppè: "Stop a operazioni se Gheddafi accetta tregua" 138 – L'operazione militare della coalizione internazionale in Libia potrebbe interrompersi "in qualsiasi momento" se Muammar Gheddafi assecondasse le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e accettasse un cessate-il-fuoco. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri francese, Alain Juppé. 17:16 Salpa stasera per Lampedusa nave San Marco 137 – La nave anfibia della Marina militare San Marco ha ricevuto il via libera e stasera partirà dal porto di Augusta alla volta di Lampedusa, dove dovrebbe imbarcare 600-700 migranti. 17:15 Juppè: "Comitato ministri esteri per supervisionare operazione" 136 – Il ministro degli Esteri francese, Alain Juppe, ha proposto un Comitato di ministri degli Esteri della coalizione per supervisionare le operazioni in Libia 17:11 Vescovo Tripoli: "Stop a vortice violenza, Italia faccia passo indietro" 135 – ''È assolutamente necessaria una pausa di riflessione in Libia dopo tre giorni di bombardamenti. Un vortice di violenza si è impadronito dei Grandi della terra, serve una tregua che consenta di esplorare ogni possibile strada negoziale. Le bombe non risolvono i problemi. E l'Italia può ancora fare un passo indietro, un gesto di riconciliazione. È ancora in tempo''. Lo sottolinea monsignor Giovanni Martinelli, vescovo di Tripoli, manifestando ''timore e preoccupazione per il protrarsi di un intervento che non puo' essere la risposta giusta''. 17:08 Iervolino: "A Napoli nessun pericolo" 134 – 'Napoli è tranquilla e non c'è assolutamente alcun pericolo''. Così il sindaco di Napoli, Rosa Iervolino, riferendosi al conflitto in Libia e al ruolo strategico della città. Il sindaco partenopeo questa mattina ha incontrato il nuovo comandante Nato di Nisida, l'ammiraglio di squadra, Rinaldo Veri. ''È venuto a farmi visita essendosi insediato da poco - ha spiegato il primo cittadino di Napoli - naturalmente abbiamo parlato dello stato di assoluta tranquillità di Napoli e Bagnoli, ma anche del rimorchiatore napoletano sequestrato, una visita di cortesia trasformatasi in scambio di idee sulla Libia''. 17:02 Video su cellulari mostrano effetti attacco a Bengasi 133 – Carri armati delle truppe di Muammar Gheddafi alle porte di Bengasi bloccati e perquisiti dagli insorti, cadaveri di miliziani del regime uccisi dai rivoluzionari e buttati in una stanza dell'ospedale della città, i resti di tre civili in una macchina crivellata di colpi da parte delle forze governative. Sono le immagini di alcuni video ripresi con i cellulari dagli abitanti di Bengasi nelle ore immediatamente successive all'attacco di sabato mattina da parte delle forze di Gheddafi. 17:00 Francia, Juppè: Proposta istanza pilotaggio politico" 132 – La Francia ha proposto ai Paesi alleati nell'intervento contro la Libia la creazione di una "cabina di regia politica" delle operazioni militari al livello dei ministri degli esteri. A parlarne è stato il ministro degli esteri francese, Alain Juppè, preannunciando per i prossimi giorni una riunione dei ministri degli esteri dei paesi coinvolti in una capitale europea. 16:42 Testimone: "Almeno dieci morti a Zenten 131 – Almeno 10 persone sono rimaste uccise nei bombardamenti oggi a Zenten, nella Libia occidentale. Lo riferisce un residente nella città a ovest di Misurata. 16:37 Pilota Royal Air Force: "Pronte a qualsiasi esigenza" 130 – "Ci prepariamo al meglio e siamo pronti a qualsiasi esigenza". Lo ha detto un pilota della Royal Air Force (Raf) che ieri ha partecipato ad una operazione nei cieli libici per il rispetto 'No fly zonè nell'ambito dell'operazione 'Odyssey dawn'. "Ho volato più di una volta per cinque ore", ha riferito ai giornalisti nella base di Gioia del Colle, ma non ha voluto entrare nel merito della missione e se soprattutto abbia intercettato aerei libici. Il pilota ha spiegato che dalla base di Gioia del Colle è possibile raggiungere il teatro operativo al massimo in 40 minuti circa, facendo intendere che fino ad ora non sono stati trovati intoppi nel far rispettare la 'no fly zone' 16:29 Comandante inglese a Gioia del Colle: buona integrazione con Italia 129 – "La presenza di Tornado Typhoon Eurofighter ci permette di agire su una vasta scala di modalità operative". Lo ha detto il comandante del distaccamento UK nella base di Gioia del Colle, capitano Martin Sampson, incontrando nel pomeriggio i giornalisti e riferendosi alla partecipazione dei suoi piloti all'operazione 'Odissea all'Albà in Libia. "In questa base - ha aggiunto - abbiamo raggiunto un buon livello di integrazione con l'Italia". "I nostri aerei - ha spiegato - hanno la possibilità di operare in lunghe missioni, di sei-sette ore ma anche di più grazie alla possibilità di rifornimento in volo" 16:21 Canada: Nato comandi la missione 128 – Il Canada è tornato ad affermare oggi che la Nato è la istituzione che deve prendere in mano le redini delle operazioni in Libia a sostegno delle risoluzioni delle Nazioni Unite. Ma il ministro della difesa canadese Peter MacKay ha detto che non è ancora chiaro quando questo potrà avvenire. Il Canada vuole che il leader libico Muammar Gheddafi abbandoni il potere, ha aggiunto il ministro. "Senza dubbio vogliamo che Gheddafi se ne vada, che lasci il potere - ha detto MacKay - vogliamo che smetta di costituire una minaccia per il suo paese e per la popolazione civile". Il Canada sta partecipando alle operazioni in Libia con aerei che decollano dalla Sicilia 16:17 Idv: da governo no a diretta tv perché teme trasparenza 127 – In una nota, Antonio Borghesi, vice capogruppo dell'Italia dei Valori alla Camera, afferma che "nel corso della capigruppo di questa mattina abbiamo chiesto che, durante il dibattito di giovedì (alla Camera, sulla missione in Libia, ndr), fosse prevista la diretta televisiva, perché riteniamo che su una questione così importante e delicata ci debba essere la più assoluta trasparenza"."Evidentemente questa trasparenza è sgradita alla maggioranza, e non solo ad essa, visto che a sostenere la nostra proposta sono stati solo Pd e Fli" 16:13 Parigi, Fillon: non spetta a noi deporre Gheddafi 126 – Il Premier francese, Francois Fillon, ha dichiarato che "non spetta a noi (ai Paesi impegnati nell'intervento militare contro la Libia, ndr) deporre Gheddafi". In un discorso di fronte all'Assemblea nazionale, Fillon ha sottolineato che, anche se il governo francese sollecita l'allontanamento di Gheddafi dal potere, "spetta solo al popolo libico decidere del destino e del futuro dei suoi leader". L'intervento militare ha come obiettivo quello di "offrire la possibilità ai libici di avere nuove energie per definire una strategia politica e decidere del loro futuro" 16:04 Portavoce Putin: posizione russa è quella di Medvedev 125 – Il premier russo Vladimir Putin è consapevole che la posizione di Mosca sulla crisi Libica è quella espressa dal presidente Dmitri Medvedev e non la propria, che fra l'altro aveva equiparato ieri la risoluzione dell'Onu sulla no-fly zone a un appello medioevale alle Crociate. Lo ha detto oggi un suo portavoce 16:02 Casini: disposti a mozione con maggioranza, ma no sconti a Gheddafi 124 – "Siamo disponibili a concordare una mozione comune con la maggioranza, ma il premier Berlusconi deve assumersi la responsabilità di una linea chiara. Non è accettabile dire che si è dispiaciuti per la sorte di Gheddafi. Noi non proviamo alcuna preoccupazione per il dittatore, piuttosto siamo addolorati per i destini dei libici che muoiono per mano sua". Il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini, a margine di un incontro con l'arcivescovo di Tunisi, a Montecitorio, chiede al presidente del Consiglio di "tenere una linea chiara". "Questa - aggiunge - è la imprescindibile base di partenza. Poi viene la nostra disponibilità" 16:01 Consiglio insorti: sabato 120 morti a Bengasi 123 – Sono 120 i morti e 250 i feriti nell'attacco delle forze di Gheddafi sabato mattina contro Bengasi. Lo ha detto Abdel Hafiz al Ghogha, portavoce del Consiglio transitorio libico, l'organo politico della 'Rivoluzione del 17 febbraio'. Il bilancio delle vittime fornito da Ghogha riguarda civili e rivoluzionari armati. Nessun bilancio, invece, sui morti da parte delle forze governative, stimati in "decine" 16:00 Rasmussen: embargo armi sotto comando Nato 122 – Rasmussen ha confermato che la Nato ha "deciso di lanciare un'operazione per imporre l'embargo sulle armi contro la Libia". Il comando delle navi e degli aerei dell'Alleanza atlantica nel Mediterraneo centrale è affidato all'ammiraglio Stavridis 15:57 Rasmussen: piano Nato pronti per no-fly zone 121 – In una dichiarazione diffusa al termine della riunione degli ambasciatori del Consiglio Atlantico, il segretrario generale dell'Alleanza, Anders Fogh Rasmussen, afferma che "la Nato ha completato i piani per contribuire alla realizzazione della no fly zone, per portare il nostro contributo, se necessario, in una maniera chiaramente definita, all'ampio sforzo internazionale per proteggere la popolazione della Libia dalla violenza del regime di Gheddafi" 15:52 Al Jazeera: aerei coalizione attaccano velivolo libico verso Bengasi 120 – I caccia della coalizione internazionale hanno attaccato un velivolo militare libico in volo verso la roccaforte degli insorti Bengasi. Lo afferma Al Jazeera 15:49 Parigi, Fillon esclude intervento truppe di terra 119 – "E' esplicitamente escluso che si proceda a un intervento di terra". Lo ha dichiarato oggi il primo ministro francese, Francois Fillon 15:39 Inviato Onu: insorti chiedono cessate il fuoco 118 – I ribelli libici chiedono un rapido cessate il fuoco e la fine dell'assedio delle forze di Gheddafi alle città. Lo ha detto l'inviato dell'Onu che ieri a tobruk ha incontrato una rappresentanza degli oppositori del regime di Tripoli. "Hanno reiterato la loro richiesta di fine dell'assedio imposto dalle forze libiche in quelle città e di un rapido cessate il fuoco", ha detto in un comunicato Abdel Elah Al Khatib, che ieri ha parlato con i ribelli "per ascoltare il loro punto di vista sulla situazione in Libia" 15:36 Scomparsa da quattro giorni giornalista tunisina 117 – Non si hanno notizie da quattro giorni della giornalista tunisina Fatma Ben Dhaou, inviata in Libia del giornale 'Le Quotidien'. Lo hanno riferito la stessa testata giornalistica e il marito della donna, secondo cui la Ben Dhaou al momento della scomparsa stava rientrando da Bengasi a Tobruk, nell'est della Libia, insieme a Olfa Sallami, un'altra giornalista tunisina che lavora per la tv di stato. Secondo un collega della Ben Dhaou, la giornalista era nella Libia orientale da circa una settimana. Nei giorni scorsi il primo ministro tunisino, Beji Caid Essebsi, ha incaricato l'ambasciata a Tripoli di cercare con ogni mezzo di ottenere la liberazione di un altro giornalista tunisino scomparso nei giorni scorsi, Lotfi Massoudi, dell'emittente qatariota Al Jazeera 15:31 Ieri a Tobruk primo incontro tra inviato Onu e insorti 116 – L'inviato delle Nazioni Unite in Libia, Abdel Al Khatib, ha incontrato lunedì, per la prima volta, i leader dei ribelli che combattono il colonnello Muammar Gheddafi, in particolare Mustafa Abdel Jalil, ex ministro della Giustizia. L'incontro è avvenuto a Tobruk. Lo ha reso noto il servizio stampa del Palazzo di Vetro 15:25 Giornalisti nel porto militare di Tripoli: distrutti hangar e 4 mezzi 115 – I giornalisti occidentali sono stati accompagnati a visitare il porto militare di Tripoli, bombardato nella terza notte di raid aerei di Alba dell'Odissea. Cinque missili da crociera Tomahawk e una bomba sganciata da un aereo hanno distrutto un hangar con quattro mezzi di fabbricazione russa per il trasporto e il lancio di missili. Nell'hangar, devastato da un incendio domato solo al mattino, i giornalisti hanno visto un cratere con un diametro di tre metri. Il porto militare, ribattezzato "Abusita", si trova poco distante dal centro di Tripoli, ad appena un chilometro dall'ambasciata italiana, chiusa dalla settimana scorsa. Nel porto sono ormeggiate tre unità navali della Marina militare libica che non sono state colpite nei bombardamenti 15:24 Testimoni: a Yefren 9 morti in violenti scontri 114 – Almeno nove persone sono rimaste uccise nel territorio di Yefren, in Libia, municipalità a sudovest di Tripoli, durante "scontri violenti" fra i ribelli, che controllano la zona, e le forze del regime. Lo hanno riferito alcuni testimoni del luogo 15:22 Obama-Erdogan: attuazione risoluzione possibile con comando Nato 113 – Il presidente americano Barack Obama e il premier turco Tayyip Erdogan hanno concordato che i "contributi nazionali" per l'attuazione della risoluzione 1973 sulla Libia "sono resi possibili dalle capacità di controllo e dal comando unico e multinazionale della Nato". Lo ha reso noto la Casa Bianca 15:20 Colloquio Obama-Erdogan: sostegno a risoluzione Onu 112 – In un colloquio tra il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, e il primo ministro turco, Tayyip Erdogan, i due capi di Stato "hanno ribadito il loro impegno a sostenere pienamente le risoluzioni 1970 e 1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite", e hanno convenuto che questo richiede "un ampio sostegno internazionale, compreso quello dei Paesi Arabi", riferisce la Casa Bianca. Obama e Erdogan "hanno sottolineato il loro impegno condiviso all'obiettivo di contribuire a fornire al popolo libico un'opportunità per trasformare il Paese instaurando un sistema democratico che rispetti la volontà del popolo" 15:19 Spagna, Parlamento approva la missione 111 – Con 336 voti a favore, tre contrari e un astenuto, il parlamento spagnolo ha dato il via libera alla partecipazione delle forze armate nell'operazione 'Odyssey Dawn' in Libia. Nel dibattito che ha preceduto il voto il capo del governo, Josè Luis Rodriguez Zapatero, aveva difeso la necessità dell'intervento internazionale per fermare "il genocidio" del popolo libico da parte del colonnello Muammar Gheddafi. La Spagna contribuisce all'operazione con 4 caccia F-18, un aereo cisterna, una fregata, un sottomarino, un aereo per la sorveglianza marittima e un totale massimo di 500 uomini 15:13 Germania, Fischer: "Astenersi errore scandaloso" 110 – "Un errore scandaloso" che la Germania pagherà rinunciando alla possibilità di un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Così l'ex ministro degli Esteri tedesco Joshka Fischer ha commentato oggi la scelta del governo di Berlino di astenersi in sede di voto all'Onu sulla risoluzione per dare il via libera alla no-fly zone sulla Libia. "La politica tedesca si è giocata la propria credibilità all'Onu ed in Medio Oriente", scrive sulla Sueddeutsche Zeitung. La Germania, che occupa un seggio non permanente nell'esecutivo Onu, si batte da lungo tempo per accedere ad una rappresentanza permanente 15:05 Ministro algerino contro attacco 109 – il ministro degli esteri algerino, Mourad Medelci, ha lanciato un appello affinché si metta fine immediatamente agli attacchi in Libia dichiarando che i raid aerei della coalizione occidentale contro le forze fedeli a Gheddafi sono stati eccessivi 15:03 Riunione Pdl, si valuta presenza premier 108 – Riunione parlamentare del Pdl sulla crisi libica, in vista del dibattito al Senato di domani e di quello alla Camera giovedì mattina. Alle 19, presente il ministro degli Esteri Franco Frattini, si riunirà il gruppo guidato da Fabrizio Cicchitto per definire la linea anche alla luce della richiesta delle opposizioni, avanzata in conferenza dei capigruppo di Montecitorio, che sia il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, a riferire in Parlamento. 14:29 Forze navali Nato per embargo 107 – Spetterà alle forze navali degli Paesi della Nato garantire il rispetto dell'embargo sulle armi a carico della Libia 14:23 Tornado tornati alla base 106 – E' durata poco meno di tre ore la missione dei sei Tornado italiani decollati oggi, dalle undici, dalla base militare di Trapani Birgi che ospita il 37esimo stormo dell'Aeronautica militare. I primi due Tornado, quelli usati per il rifornimento in volo, sono tornati alla base poco dopo mezzogiorno 14:10 Nato, accordo per rispetto embargo armi 105 – La Nato farà rispettare l'embargo sulle armi alla Libia previsto dalla risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza dell'Onu. Un accordo in tal senso sarebbe stato raggiunto in sede di rappresentanti permanenti nel Consiglio Atlantico, riunito oggi nel quartier generale dell'Alleanza atlantica. Lo riferiscono fonti qualificate. 14:10 Trapani, decollati due F16 104 – Decollati pochi istanti fa dalla base militare di Trapani Birgi altri due F16 italiani. Non si conosce la loro destinazione. 14:07 Onu, in ballo il cessate il fuoco 103 – Il Consiglio di sicurezza dell'Onu potrebbe discutere giovedì la richiesta della Russia di un cessate il fuoco in Libia. Lo ha rivelato il ministero degli Esteri francese. "Posso supporre che Mosca sollevi la questione", ha detto il portavoce del Quai d'Orsay 14:05 Media Gb: Sas salvano giornalisti scudi umani 102 – Giornalisti dei media internazionali sono stati salvati dalle Sas in Libia, le forze speciali britanniche, che hanno fermato in extremis il grilletto ai piloti della Raf, pronti domenica notte a sganciare missili sul compound di Muammar Gheddafi a Tripoli. I reporter, tra cui una troupe della Cnn, inviati della Reuters e del Times, erano stati portati a verificare gli effetti di un primo bombardamento sul bunker centrato poche ore prima da un Tomahawk della Royal Navy. "Senza saperlo i giornalisti sono stati usati come scudi umani", scrive oggi l'inviata del Times Deborah Haynes da Tripoli. Avrebbe potuto essere una strage e un colpo di propaganda per Muammar Gheddafi: secondo il Daily Mail gli 'spotters' delle Sas hanno avvistato i civili e in extremis bloccato la missione. Se i Tornado avessero sganciato i letali Stormshadow da 1,3 tonnellate sarebbe stata una carneficina. Con i giornalisti erano stati portati al 'compound' circa 300 sostenitori di Gheddafi. "La decisione di bloccare la missione - ha confermato il portavoce delle Forze Armate britanniche, generale John Lorimer - mette in luce l'impegno della Gran Bretagna per la protezione dei civili" 14:03 Bersani: Berlusconi, indecorosa nostalgia 101 – "L'indecorosa nostalgia di Berlusconi aggiunge una nota di confusione, discredito, nella posizione del governo italiano che appare illeggibile agli occhi dell'Europa e del mondo". Pierluigi Bersani prende spunto dalle frasi di ieri del premier sul leader libico per criticare il governo per la linea scelta sulla crisi libica. "Mi auguro che la discussione parlamentare riesca a ristabilire un filo logico che si sta perdendo dentro il governo e la maggioranza che non hanno la barra della situazione e stanno dando la peggior prova", ha aggiunto il leader del Pd. Per questo c'è preoccupazione perchè viene svilito il volto dell'Italia su grandi questioni che dovrebbero vederci come intelligenti protagonisti", ha aggiunto il leader Pd 13:53 Prestigiacomo: riaprire al volo civile scalo Trapani Birgi 100 – "La chiusura al traffico civile dell'aeroporto di Trapani-Birgi è una conseguenza dell' intervento in Libia che la Sicilia non può sopportare". E' quanto sostiene il ministro per l'Ambiente Stefania Prestigiacomo. "Attorno allo scalo trapanese ruota gran parte dell'economia turistica della Sicilia occidentale" sottolinea il ministro, che sarebbe penalizzata "se all'immagine di Birgi come 'porta' per la natura del Mediterraneo si sostituisse quella di un aeroporto 'bellico', chiuso agli usi civili. La Sicilia sta già pagando un prezzo per tutta l'Europa con l'assedio di Lampedusa che mette a repentaglio la stagione turistica nelle isole Pelagie e della costa meridionale della Sicilia. Vanno evitate ripercussioni negative nell'area trapanese. Ma occorrono interventi anche per Lampedusa. In questo senso - conclude la Prestigiacomo - il Ministero dell'Ambiente sta studiando misure di sostegno all'economia locale" 13:52 Trapani, rientrati ultimi due Tornado 99 – Sono atterrati anche gli ultimi due Tornado italiani decollati questa mattina dalla base militare di Trapani Birgi. Sono così rientrati tutti i sei Tornado che si sono levati oggi in volo dall'aeroporto militare che ospita il 37° stormo dell'Aeronautica Militare. Top secret la destinazione raggiunta dai sei tornado di cui quattro Ecr e due di rifornimento 13:51 Sarkozy visita base aerea di Solenzara in Corsica 98 – Il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha visitato stamane la base aerea di Solenzara, in Corsica, da dove partono gli apparecchi impegnati nell'operazione della coalizione internazionale in Libia. Lo ha reso noto il ministero della Difesa. Accompagnato dal ministro della Difesa, Gerard Longuet, il capo dello stato ha passato in rassegna il dispositivo impegnato nelle operazioni aeree sulla Libia. Arrivato verso le 11:30, il capo dell'Eliseo ha pranzato con il personale della base. Dopo il lancio delle operazioni di guerra in Libia, in applicazione delle risoluzioni delle Nazioni unite, la base 126-Capitano Preziosi, detta di Solenzara, serve da piattaforma per gli aerei da combattimento e da trasport 13:49 Di Pietro: Berlusconi riferisca in Parlamento 97 – "Il governo Berlusconi, dopo aver fatto da lustrascarpe a Mubarak, Ben Ali e Gheddafi, adesso fa da paggetto ai partner internazionali che vanno oltre le direttive dell'Onu. Per questo motivo, noi dell'Italia dei Valori chiediamo che il governo venga in Parlamento a riferire su che cosa si sta facendo e su come dobbiamo operare all'interno delle decisioni dell'Onu, senza andare oltre i limiti del mandato. Ciò comporta soprattutto il compito di salvare vite umane e di assisterle impedendo che avvenga un massacro". Lo afferma in una nota il presidente dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro 13:47 Pd: governo in confusione, Italia irrilevante 96 – La segreteria nazionale del Pd ha espresso "forte preoccupazione per lo stato di incredibile confusione del governo italiano e della sua maggioranza nel pieno della crisi libica". Non solo, si legge in una nota diramata dopo la riunione di questa mattina, "il governo sta portando l'Italia in un'allarmante irrilevanza nelle sedi europee e internazionali con una caduta di ruolo drammatica senza precedenti". La segreteria del Pd ha ribadito la richiesta che il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, sia in Parlamento durante i dibattiti sulla missione in Libia 13:46 Gioia del Colle, decollati tre caccia britannici 95 – Tre Eurofighter britannici si sono alzati in volo poco fa dall'aeroporto militare di Gioia del Colle per partecipare ad attività militare nei cieli libici nell'ambito dell'operazione 'Odyssey Dawn'. Lo hanno confermato fonti dell'aeroporto pugliese 13:40 Tv di Stato libica, campagna contro Danimarca 94 – La televisione di Stato libica ha lanciato una campagna contro la Danimarca accusandola di aver guidato i bombardamenti di domenica scorsa contro il quartier generale di Gheddafi a Tripoli. Ne riferiscono i media danesi precisando che l'accusa sarebbe stata sollevata nel corso di una trasmissione notturna in cui, parlando in inglese, un conduttore ha anche detto che per anni la Danimarca ha guidato una "campagna contro i musulmani" attraverso le vignette offensive su Maometto. Secondo la homepage di Afrique en ligne, anche l'agenzia statale libica Jena avrebbe scritto qualcosa di analogo accusando la Danimarca di essere a capo dei bombardamenti per condurre "una crociata contro il popolo musulmano, incluso quello libico, e distruggere l'islam". In realtà, secondo l'aereonautica militare danese, gli aerei danesi F-16 che partecipano all'azione militare internazionale sulla Libia hanno compiuto finora sei raid ma non hanno partecipato ad alcun bombardamento 13:34 Londra: non escluso intervento truppe di terra 93 – Londra, per voce del ministro alle Forze Armate, Nick Harvey, equivalente di un sottosegretario, non esclude un intervento di terra delle truppe britanniche in Libia. "Non credo che in questa fase possiamo prevederlo o escluderlo del tutto", ha detto Harvey parlando con la Bbc, pur rilevando che un eventuale intervento di terra non sarebbe di "dimensioni significative". Harvey ha comunque sostenuto che la cacciata di Gheddafi non è l'obiettivo della campagna militare, sebbene questo sia "l'obiettivo politico del governo britannico" 13:32 Casini: Berlusconi spieghi in Parlamento posizione italiana 92 – Secondo Pier Ferdinando Casini, Silvio Berlusconi deve "venire in Parlamento a spiegare la posizione del paese". Il leader dell'Udc a Sky Tg 24 chiede al governo più "serietà". Con riferimento alle molte interviste rilasciate sulla missione in corso, Casini rimarca che "solo in Italia può succedere una cosa del genere", dal momento che "chi ha la responsabilità delle operazioni sta in televisione, non dietro le scrivanie. E' una cosa molto preoccupante" 13:31 Aviano, nuova missione per i caccia Usa 91 – Nuova missione oggi per gli F16 del 31/o Fighter Wing Usa di stanza ad Aviano. I caccia sono decollati di prima mattina e, dopo aver raggiunto gli obiettivi, sono rientrati alla base. Secondo quanto si è appreso, gli aerei schierati nella base Usaf di Aviano sarebbero ora un'ottantina 13:30 Parigi: coordinamento Usa funziona 90 – Il coordinamento delle forze della coalizione in Libia, attualmente gestito dagli Stati Uniti, "funziona. L'efficacia delle operazioni non è contestabile. Mi pare che fino a questo momento non ci siano stati aerei della coalizione che si sono scontrati tra loro". Lo ha detto nel corso di una conferenza stampa a Parigi il portavoce del ministero degli Esteri francese, Catherine Fages. In ogni caso, ha aggiunto, "la priorità è l'attuazione della risoluzione 1973 delle Nazioni Unite" per uno stop delle violenze in Libia. "E per il momento mi pare che su questo la missione sia efficace" 13:28 Amnesty consegna a Frattini firme contro violenze in Libia 89 – Una delegazione della sezione italiana di Amnesty International, guidata dalla presidente Christine Weise, ha incontrato questa mattina il ministro degli affari Esteri, Franco Frattini, per consegnargli le ultime 3.400 di oltre 13.000 Firme raccolte dall'associazione, nelle ultime settimane, a sostegno di un appello per porre fine alle violenze in libia. Lo comunica una nota della stessa Amnesty International 13:25 Trapani, atterrato terzo Tornado italiano 88 – E' atterrato pochi minuti fa alla base militare di Trapani Birgi il terzo dei sei tornado decollati questa mattina dall'aeroporto militare dove ha sede il 37° stormo dell'Aeronautica militare. Rimangono così altri tre tornado italiani in missione 13:22 Atterraggio d'emergenza a Cipro per tre caccia del Qatar 87 – Atterraggio d'emergenza a Cipro per tre aerei militari del Qatar, due Mirage e un C-17, diretti in Europa per partecipare all'operazione Alba dell'Odissea sulla Libia. Nicosia, che non ha aderito alla coalizione dei volenterosi, ha dapprima negato l'atterraggio, poi lo ha concesso quando è stato fatto presente che i velivoli stavano finendo il carburante. Il portavoce del governo, Stefanos Stefanou, ha spiegato che "in base alle norme internazionali l'aviazione civile ha il dovere di autorizzare l'atterraggio per il rifornimento di carburante". I tre velivoli sono atterrati all'aeroporto civile di Larnaca, da dove sono ripartiti subito dopo per una destinazione sconosciuta. Il Qatar ha messo a disposizione quattro aerei il rispetto della no-fly zone 13:21 Parigi: no polemiche, Francia non esclude ruolo Nato 86 – "Non creiamo polemiche artificiali" sul ruolo della Nato in Libia. Lo ha detto nel corso di una conferenza stampa a Parigi la portavoce del ministero degli Esteri francese, Christine Fages. La Francia, ha ribadito, non esclude "un contributo" della Nato in Libia 13:19 Esercito Usa: inchiesta su F15 precipitato, era decollato da Aviano 85 – L'African Command ha reso noto che verrà aperta un'inchiesta sulla causa dell'incidente, avvenuto intorno alle 22.30. L'aereo era decollato dalla base di Aviano, in Italia. L'equipaggio dell'F-15 Usa caduto stanotte vicino Bengasi è stato già trasportato in salvo fuori dalla Libia. A prelevare il pilota è arrivato un aereo militare statunitense, secondo quanto riferito da un ufficiale del Pentagono citato dalla Cnn. L'altro militare, che era addetto alle armi, è stato soccorso dai ribelli, che si sono presi cura di lui finché non è stato consegnate alle forze della coalizione 13:15 Giovedi alla Camera dibattito e voto su missione Libia 84 – Giovedì mattina ci sarà il dibattito in Aula alla camera sull'intervento in Libia. Lo ha deciso la Conferenza dei capigruppo. Le opposizioni hanno chiesto che sia il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, a riferire 13:14 Germania preme per embargo totale su petrolio e gas 83 – La Germania preme per un embargo totale sull'export libico di petrolio e gas. "Il sistema Gheddafi è finito e il dittatore deve andarsene", ha detto ministro degli Esteri, Guido Westerwelle, nel corso di una conferenza stampa a Berlino. "Chiediamo un embargo totale sul petrolio e il gas libici, necessario per impedire che denaro fresco arrivi al sistema Gheddafi". Il capo della diplomazia tedesca ha detto di sperare che questa misura venga varata "questa settimana" dall'Unione europea" 13:12 Fonti Nato: nessuna decisione su ruolo Alleanza 82 – Nessuna decisione sul possibile ruolo della Nato nelle operazioni militari contro il regime di Gheddafi in Libia potrà arrivare prima di alcuni giorni: è quanto riferiscono fonti dell'Alleanza atlantica, citate dalla Bbc. Secondo quanto spiegato, già oggi potrebbe arrivare invece un accordo di massima sull'eventuale rafforzamento dell'embargo sulle armi imposto a Tripoli. Una missione alla quale, eventualmente, la Nato potrebbe partecipare con alcuni assetti navali che sono già dispiegati nel Mediterraneo 13:06 Parigi: sostegno Nato solo se Usa fanno passo indietro 81 – Il ministro degli Esteri francese Alain Juppè ha affermato che la Nato sosterrebbe l'intervento militare della coalizione in Libia nel momento in cui gli Usa dovessero fare un passo indietro. Serve "una complementarità fra la Nato e l'Unione europea. Sul comando integrato della Nato, il ministro degli Esteri Alain Juppè ha già detto chiaramente che per ora il coordinamento è affidato agli Stati Uniti". Così la portavoce Christine Fages ai cronisti. Il ministro degli Esteri, inoltre, ha dichiarato che il Consiglio di sicurezza dell'Onu dovrebbe discutere la richiesta russa per un immediato cessate il fuoco 13:05 New York, ad ambasciata libica solo bandiere ribelli 80 – Due bandiere libiche tricolori rosso-verdi-nere della Libia pre-Gheddafi sono tornate a sventolare all'esterno dell'ambasciata di Tripoli a New York, mentre è scomparsa quella verde della Libia del regime. Nei giorni immediatamente successivi ai primi scontri a Bengasi, sull'edificio della 48/a strada a New York in cui ha sede l'ambasciata libica erano state esposte due bandiere: all'entrata la bandiera tricolore della Libia pre-rivoluzione, sulla sommità dell'edificio quella verde voluta in Libia dal colonnello Muammar Gheddafi. Ora quest'ultima è scomparsa 13:02 Domani dibattito al Senato domani, Pd reclama Berlusconi 79 – Il dibattito sulla Libia in Senato si terrà domani pomeriggio. Lo hanno detto il vicecapogruppo del Pd, Luigi Zanda, e il capogruppo del Pdl, Maurizio Gasparri, al termine della riunione dei capigruppo del Senato. Zanda riferisce che il governo ha dato la disponibilità per la presenza in aula del ministro Franco Frattini, ma il Pd chiede che a riferire sia direttamente il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Per questo, aggiunge Zanda, "il voto sul calendario è rimasto in sospeso, se non viene Berlusconi votiamo contro" 13:01 Londra: altri paesi arabi potrebbero appoggiare missione 78 – Altri paesi arabi potrebbero appoggiare presto l'operazione Odissey Dawn per la creazione di una no-fly zone sulla Libia: lo afferma SkyNews citando fonti del governo britannico. Finora hanno aderito alla missione Emirati Arabi Uniti e Qatar 13:00 A Milazzo rimorchiatori fuggiti da Mellitah 77 – Sono approdati oggi a mezzogiorno nel porto di Milazzo i due rimorchiatori della Capieci, una società messinese di navigazione, fuggiti dal porto libico di Mellitah dove operavano ai terminal petroliferi. Gli otto membri d'equipaggio, quattro per ogni unità, dei rimorchiatori "Capo d'Orlando" e "Megrez", sono in buona salute. Sono rientrati nel porto di Milazzo, base della società Capieci, su disposizione degli armatori 13:00 Sito ribelli: famiglia Gheddafi prepara fuga in Algeria 76 – La famiglia di Gheddafi starebbe preparando la fuga in Algeria, in vista di una caduta del regime. Secondo quanto scrive il sito dell'opposizione libica 'al-Manara', "Motasem Gheddafi, figlio del colonnello Muammar Gheddafi, è ritornato di recente in Libia dopo una viaggio in Algeria. Si ritiene che la sua visita sia stata organizzata per preparare una fuga della famiglia Gheddafi verso quel paese". Sempre lo stesso sito aggiunge che "in base ad altre notizie, che non hanno ancora trovato conferma, sembra che le autorità tunisine non abbiano concesso ad Hannibal Gheddafi, l'altro figlio del colonnello, il permesso di entrare in Tunisia con la sua famiglia nel tentativo di lasciare la Libia". Nella giornata di ieri lo stesso sito aveva annunciato la morte di un altro dei figli di Gheddafi, Khamis, il quale sarebbe stato ucciso in una sparatoria a Bab al-Aziziya, a Tripoli. La notizia non ha ancora trovato conferme ufficiali 12:55 Pelosi: Italia cruciale, sostenuta da Usa 75 – All'Italia spetta "la funzione cruciale nell'attuazione della risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla crisi libica: posizione risultata pienamente condivisa dal membro del Congresso John Mica, rappresentante della maggioranza repubblicana, e dagli altri componenti della delegazione". Lo ha sottolineato Nancy Pelosi nell'incontro avuto stamattina con il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, insieme ad una delegazione bi-partisan della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti 12:54 Striscione su Altare della Patria: "Rifugiati non sono pacchi" 74 – "I rifugiati non sono pacchi, l'accoglienza è un diritto". Questo è lo striscione esposto davanti all'Altare della Patria da un gruppo di attivisti di Action, gli stessi che questa mattina si erano incatenati davanti al Cara di Castelnuovo di Porto per "impedire il trasferimento di 55 richiedenti asilo nell'ex base nato di Mineo" 12:53 Cnn: rientrati nei ranghi piloti F15 precipitato in Libia 73 – I due piloti del Fighter F-15E americano caduto il Libia stanno bene e sono già rientrati con le truppe Usa. Lo hanno riferito alla Cnn fonti del Pentagono, precisando che il jet è caduto a causa di un problema meccanico 12:51 Napolitano: azione militare prevista in Carta Onu 72 – Il Capo dello Stato, nell'auspicare il massimo di chiarezza, coerenza ed efficacia nello sviluppo dell'azione decisa verso la Libia, ha richiamato le conclusioni del Consiglio Supremo di Difesa dello scorso 9 marzo, ricordando che l'intervento in corso, al quale l'Italia partecipa a pieno titolo, si fonda sulle prescrizioni del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite volte a garantire risposte anche militari ad ogni violazione o minaccia per la pace e la sicurezza internazionale. Lo afferma il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano in una nota diffusa dal Quirinale al termine dell'incontro con Nancy Pelosi 12:50 Avvenire: in futuro evitare abbracci con oppressori 71 – Bisognerà "evitare in futuro abbracci interessati e imbarazzanti con i leader che opprimono i propri popoli", è questa "la necessaria e coerente continuazione della scelta di intervenire per fermare Gheddafi". E' quanto scrive oggi il quotidiano dei vescovi Avvenire in un editoriale dedicato alla crisi libica. "Certo - rileva il quotidiano dei vescovi - il cambio di atteggiamento verso il rais di Tripoli è riuscito infine a essere tanto repentino quanto tardivo. Tuttavia, ha fatto onestamente i conti con la storia in marcia: una rivolta interna che ha raggiunto massa critica e convinzione nella possibilità di un successo grazie al contagio positivo delle rivolte in Tunisia e in Egitto" 12:41 Napolitano: comando Nato soluzione appropriata 70 – Il Presidente Napolitano ha ribadito "l'esigenza imprescindibile sostenuta dall'Italia, in piena sintonia con Stati Uniti, Regno Unito ed altri alleati, di un comando unificato, osservando che la Nato rappresenta la soluzione di gran lunga più appropriata". E' quanto si legge nel comunicato del Quirinale sull'incontro avuto con la delegazione parlamentare americana guidata da Nancy Pelosi 12:39 Ministro Difesa russo: fermare la violenza 69 – "La Russia invita tutte le parti coinvolte nel conflitto a fare tutto il possibile per fermare la violenza" in Libia: lo ha detto il ministro della Difesa russo, Anatoli Serdiukov al termine di colloquio con il suo omologo americano Robert Gates. Lo riferisce l'agenzia Itar-Tass 12:39 Gates a Mosca: combattimenti presto dovrebbero diminuire 68 – Parlando a Mosca, il segretario di Stato alla Difesa americano, Robert Gates, ha previsto che i combattimenti in Libia dovrebbero diminuire nei prossimi giorni. "Le operazioni militari attualmente in corso in maniera attiva in Libia saranno ridotte drasticamente fra alcuni giorni", ha detto Gates secondo quanto riporta l'agenzia russa Ria Novosti. Gates, riferisce la Reuters, ha affermato inoltre che "la coalizione eviterà in gran misura vittime civili" e che "la maggior parte degli obiettivi sono postazioni contraeree isolate rispetto ad aree popolate" 12:38 Zapatero al Parlamento spagnolo: nostro intervento legittimo 67 – E' "legittima" la partecipazione spagnola all'operazione internazionale militare in Libia. Lo ha detto il capo del governo, Josè Luis Rodriguez Zapatero, intervenuto al Congresso che voterà la sua richiesta di invio di un massimo di 500 militari, di 2 navi e di sei caccia. Secondo Zapatero, la repressione del regime del colonnello Muammar Gheddafi contro gli oppositori è un "fatto grave" e in Libia si stavano verificando "eventi drammatici che richiedevano una risposta" 12:32 Al Arabiya: caccia Usa precipitato a 40 km da Bengasi 66 – Il caccia americano F-15 Eagle precipitato in Libia questa notte si è schiantato in una zona che dista 40 chilometri dalla città orientale di Bengasi. Lo riferisce la tv satellitare Al Arabiya, secondo la quale la zona dove è caduto il velivolo era sotto il controllo dei ribelli 12:31 Farnesina conferma: rimorchiatore è a Tripoli 65 – La Farnesina conferma che al momento il rimorchiatore Asso 22 è rientrato nel porto di Tripoli e i marinai hanno potuto prendere contatti diretti con i familiari. Questi ultimi sono tenuti informati dalla Società Augusta off shore che condivide le informazioni ull'evoluzione della vicenda con il Ministero della Difesa e la Farnesina, che ha anche aperto un complementare canale di informazione con i familiari più stretti e che manterrà fino all'auspicabile conclusione della vicenda 12:29 Testimoni: a miliziani 350 euro per ogni insorto ucciso 64 – Seicento dinari per ogni insorto ucciso. E' la ricompensa che il regime di Muammar Gheddafi prometterebbe ai suoi miliziani impegnati nella riconquista delle città in mano alla resistenza. Secondo il racconto su Twitter di alcuni testimoni, un miliziano fedele al colonnello sarebbe stato catturato a Zintan, 160 km a sud-ovest di Tripoli, e avrebbe confessato che 600 dinari, pari a circa 350 euro, sarebbero stati promessi a chiunque ritorni nella capitale con il cadeve di un insorto 12:28 Tribunale internazionale: almeno 7 casi di crimini contro umanità Gheddafi 63 – Gli inquirenti del Tribunale Internazionale dell'Aia (Tpi) hanno individuato almeno sette casi di manifestanti rimati uccisi nei primi giorni della rivolta libica, che potrebbero essere ritenuti crimini contro l'umanità. Il procuratore capo Luis Moreno Ocampo ha fatto sapere che riferirà sulle indagini in corso in Libia il prossimo 4 maggio al Consiglio di sicurezza dell'Onu, prima di sottoporre il caso ai giudici della corte Le indagini sono state avviate dopo l'approvazione, il 27 febbraio scorso, di una risoluzione onu in cui è stata deferita al procuratore alla corte penale internazionale (cpi) "la situazione in libia dal 15 febbraio" 12:27 Londra: possibile comando "ibrido", modello Isaf 62 – A fronte delle difficoltà di trovare un accordo a Bruxelles sul passaggio alla Nato del comando della missione Odissey Dawn, fonti di Downing Street hanno ipotizzato con la Bbc la possibilità di una "struttura ibrida" in cui la Nato usa parte delle sue strutture di comando e controllo ma non assume la guida dell'operazione. Le fonti, secondo cui l'accordo a Bruxelles si sta dimostrando "difficile" per gli ostacoli posti in particolare dalla Turchia, hanno additato il modello dell'Afghanistan in cui il comando spetta all'Isaf e non all'Alleanza 12:24 La Russa: Italia ferma su richiesta comando Nato 61 – "Abbiamo discusso dei tempi, della nostra disponibilità ad andare in Parlamento: domani se si ritiene il giorno giusto o dopodomani se si vuole aspettare la riunione in sede Nato che potrebbe dare qualche informazione in più sulla nostra richiesta di un comando Nato su cui noi siamo molto fermi". Così ai giornalisti il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, al termine di una riunione al Senato con il ministro degli Esteri Franco Frattini, al gruppo del Pdl, sulla vicenda libica 12:18 Trapani, rientrato secondo Tornado 60 – E' atterrato alla base militare di Trapani Birgi il secondo tornado dei sei caccia decollati nella tarda mattinata di oggi dall'aeroporto militare dove ha sede il 37° stormo dell'Aeronautica militare 12:14 Raid aerei spagnoli da base Decimomannu 59 – Secondo giorno di attività per i caccia multiruolo F18 Hornet dell'Aeronautica militare spagnola che hanno compiuto nuovi raid sulla Libia nell'ambito dell'operazione "Odyssey Dawn". Due coppie di velivoli sono decollate di primo mattino, accompagnate dall'airtanker, e hanno fatto ritorno alla base aerea di Decimomannu poco prima di mezzogiorno. Anche oggi, come già era accaduto ieri, le autorità militari, in ossequio alle disposizioni ricevute dal Ministero della Difesa, non hanno dato nessuna informazione ai giornalisti che da domenica seguono le attività di volo fuori dal perimetro dell'aeroporto militare "Giovanni Farina" 12:11 Gates a Mosca incontra Medvedev 58 – Il segretario alla Difesa Usa, Robert Gates, è arrivato a Mosca dove discuterà con il presidente russo Dmitry Medvedev della situazione in Libia. Non è previsto che Gates incontri anche il primo ministro Vladimir Putin, che ieri, in aperto contrasto con Medevedev, aveva duramente criticato l'azione della coalizione internazionale in Libia, paragonandola all'invasione dell'Iraq e definendola una "crociata". Il presidente russo ha invece affermato di non considerare sbagliata la risoluzione dell'Onu che autorizza l'operazione in Libia. Gates discuterà anche dei programmi di difesa antimissile in Europa con la sua controparte, Anatoly Serdyukov 12:03 Esercito Usa: recuperato anche secondo pilota F15 57 – Fonti militari americane hanno reso noto che anche il secondo pilota del caccia precipitato in Libia è stato soccorso con successo. Secondo quanto dichiarato da Nicole Dalrymple, portavoce dell"Africa Command" americano, entrambi i piloti si sono fatti espellere dal velivolo prima dello schianto e hanno riportato ferite di poco conto 12:01 Frattini e La Russa in riunione al Senato con gruppo Pdl 56 – Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, e il ministro della difesa Ignazio La Russa sono al Senato dove stanno partecipando a una riunione al gruppo parlamentare del Pdl. Al centro dell'incontro vi sarebbe la risoluzione da portare in aula in merito alla crisi libica. Tra pochi minuti, alle 12, la conferenza dei capigruppo si riunirà proprio per fissare la discussione in aula su questo tema 11:47 Venerdi vertice Ue e Unione africana 55 – L'Unione europea parteciperà venerdi ad Addis Abeba a un vertice richesto dall'Unione africana nella speranza di trovare un approccio comune con cui mettere fine ai combattimenti in Libia. Lo ha annunciato Nick Westcott, consigliere per l'Africa del capo della diplomazia europea, Catherine Ashton. "Esistono molti punti in comune tra le nostre posizioni - afferma il diplomatico, in confernza stampa a Nairobi -. Vogliamo appoggiare quei punti per pervenire alla soluzione che speriamo tutti, perché abbiano fine gli eccidi e per un processo politico aperto che rifletta le aspirazioni legittime del popolo libico". 11:42 Rientrato a Trapani Tornado italiano 54 – E' atterrato pochi minuti fa alla base militare di Trapani Birgi uno dei 6 Tornado italiani decollati questa mattina dall'aeroporto dove ha sede il 37° stormo dell'Aeronautica militare. Il Tornado rientrato sarebbe uno dei mezzi utilizzati per il rifornimento dei Tornado Ecr 11:39 Libia, domani La Russa riferisce al Copasir 53 – Il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, nella seduta di domani alle 13.30, procederà all'audizione del ministro della Difesa, Ignazio La Russa. Nella seduta, si legge in una nota, si affronteranno le questioni legate all'intervento in Libia 11:34 Turchia, ministro Esteri: operazioni sotto Onu, non Nato 52 – Il ministro turco degli Esteri Ahmet Davutoglu ha ribadito oggi l'opposizione ad affidare alla Nato il comando dell'operazione militare internazionale sulla Libia, sottolineando che deve rimanere una iniziativa dell'Onu. "L'operazione libica deve essere portata avanti con l'ombrello dell'Onu ed è l'Onu che deve prendere le decisioni", ha affermato, ricordando che il cappello dell'Onu significa che i paesi possono decidere o meno di partecipare. La Turchia, che fa parte della Nato, si oppone all'idea dell'intervento militare e ha chiesto più volte una soluzione pacifica. "C'è una cornice legittima posta dall'Onu. Ogni operazione Onu al di fuori di questa cornice non sarebbe legittima", ha affermato il capo della diplomazia turca 11:32 Trapani, decollati altri tre Tornado 51 – Altri tre tornado sono appena decollati dalla base militare di Trapani Birgi. In precedenza ne erano partiti tre seguiti dopo qualche minuto da due F-16 11:26 Misurata, almeno 40 i morti sotto colpi artiglieria Gheddafi 50 – Sono almeno 40 le persone uccise nel cannoneggiamento da parte dei carri armati di Gheddafi sulla città ribelle libica di Misurata. Lo dice un testimone residente 11:16 Usa confermano: aereo caduto, un pilota salvato, un altro in via di recupero 49 – Fonti ufficiali dell'esercito Usa confermano la notizia di un jet Usa caduto in suolo libico. Le fonti affermano che un membro dell'equipaggio è salvo ed è già stato recuperato, l'altro è "in via di recupero". L'aereo, secondo le fonti, è precipitato per "cause tecniche", non perché colpito dal fuoco nemico 11:12 Unhcr: migliaia di sfollati si rifugiano a est 48 – I combattimenti in Libia hanno spinto migliaia di persone a fuggire dalle loro case e a rifugiarsi nell'est del paese. Lo ha detto oggi l'Alto commissariato delle Nazioni unite per i profughi (Unhcr), basandosi su testimonianze di rifugiati giunti in Egitto 11:07 Anche Brasile chiede rapido cessate il fuoco 47 – Il Brasile si rammarica per la perdita di vite umane in Libia e chiede che venga raggiunto il cessate il fuoco il più presto possibile, per poi aprire la strada a una soluzione della crisi attraverso il dialogo. Lo ha precisato il ministero degli Esteri di Brasilia in una nota, a poche ore dalla partenza del presidente Usa Barack Obama dal grande paese sudamericano. Come Cina, India, Germania e Russia, il Brasile si è astenuto nel voto sulla risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza dell'Onu 11:06 Testimone: a Misurata uccisi 4 bambini 46 – Il bombardamento d'artiglieria sulla città libica ribelle di Misurata, iniziato questa mattina, ha provocato fra l'altro la morte di quattro bambini, che viaggiavano a bordo di un'automobile. Lo dice un testimone,. "Qui la situazione è molto brutta. I carri armati hanno iniziato a cannoneggiare questa mattina", ha raccontato Mohammed al telefono da davanti all'ospedale cittadino. "Anche i cecchini prendono parte all'operazione. Un'auto di civili è stata distrutta e sono morti quattro bambini, il più grande dei quali aveva 13 anni" 11:02 Daily Telegraph: F15 americano cade in Libia, pilota salvo 45 – Un F15 americano si sarebbe schiantato al suolo in Libia a causa di una probabile avaria, il pilota è stato soccorso dai ribelli. La notizia è riportata dal sito del britannico Daily Telegraph 11:01 Trapani, decollati altri due F16 44 – Due aerei F16 sono appena decollati dallo scalo militare di Trapani-Birgi dove si trova il 37/o Stormo dell'Aeronautica militare. In precedenza avevano spiccato in volo tre Tornado. Gli F16 servono a garantire la difesa degli altri velivoli impiegati nella missione Odyssey Dawn. Non è stata resa nota la destinazione dei caccia intercettor 10:59 Avvenire: sindrome del "gendarme" in chi è contro intervento 43 – "E' un paradosso, ma chi si oppone all'intervento sotto egida Onu per proteggere i civili libici - e di conseguenza contro il regime di Gheddafi - sembra vittima dell'antica sindrome del gendarme". E' quanto si legge nell'editoriale in prima pagina su Avvenire, dedicato alla crisi libica e all'atteggiamento occidentale di fronte al cambiamento in atto. "Lo stesso intervento militare in Libia - sottolinea l'articolo pubblicato dal quotidiano della Cei - può non rispondere a una logica di puro cambio di regime a uso di qualche interesse particolare, quando si limitasse davvero a impedire il massacro di inermi cittadini, lasciando poi alle logiche interne del Paese lo sbocco finale della crisi". L'editoriale invita a guardare a quanto sta accadendo in nord Africa cercando di comprendere il mutamento in atto, senza la "logica del gendarme" che alle "incognite preferisce l'ingessatura di situazioni incancrenite, il pugno di ferro alla dinamica delle società ". E allo stesso tempo suggerisce di "evitare in futuro abbracci interessati e imbarazzanti con i leader che opprimono i propri popoli" 10:58 Londra, Parlamento approva missione 42 – Il governo britannico di David Cameron può contare sull'appoggio della quasi totalità del Parlamento nella sua missione militare per il rispetto della no-fly zone in Libia. Dopo sette ore di dibattito, la Camera dei Comuni ha infatti approvato nella tarda notte di ieri una mozione di sostegno alla missione, con 557 voti favorevoli e 13 contrari. La missione, fortemente voluta da Cameron, è appoggiata anche dall'opposizione laburista. Il suo leader Ed Miliband ha affermato che Londra non aveva altra scelta che partecipare all'azione militare a protezione dei civili libici "nell'interesse dell'umanità" 10:58 Testimoni: artiglieria di Gheddafi su Misurata 41 – Un bombardamento di artiglieria è in corso sulla città libica di Misurata, 200 km a est di Tripoli, ancora in mano agli insorti. Lo dicono dei testimoni. A sparare sono i cannoni dei carri armati delle forze fedeli a Gheddafi 10:57 Trapani, decollati tre Tornado 40 – Sono appena decollati dall'aeroporto militare di Trapani Birgi tre tornado. Nella base è di stanza il 37/o stormo dell'Aeronautica militare 10:55 Da Tribunale internazionale relazione a Onu su crimini Gheddafi 39 – Il procuratore capo del Tribunale penale internazionale, Luis Moreno Ocampo, presenterà al Consiglio di sicurezza Onu, il 4 maggio, una relazione sulle indagini aperte dal Tpi sui crimini contro l'umanità del leader libico Gheddafi. Lo riferisce il quotidiano spagnolo El Pais, citando l'agenzia Efe 10:46 La Cina chiede immediato cessate il fuoco 38 – La Cina rinnova la sua opposizione all'uso della forza, deplora la morte di civili negli attacchi aerei della coalzione occidentale e chiede l'immediato cessate il fuoco. "Lo scopo della risoluzione Onu (su cui la Cina si è astenuta in sede di Consiglio di sicurezza, ndr) è di proteggere i civili, ma le azioni militari intraprese da alcuni paesi mietono vittime", le parole del portavoce del ministro degli Esteri di Pechino 10:44 Rimorchiatore, moglie comandante: l'ho sentito, stanno bene 37 – Luigi Chiavistelli, comandante del rimorchiatore 'Asso 22', da stamattina ormeggiato nel porto di Tripoli, poco fa è riuscito a chiamare sua moglie, a Gaeta. "Mio marito mi ha riferito che tutto l'equipaggio sta bene - ha spiegato Maria Chiavistelli all'Ansa -, ha detto anche gli hanno restituito il telefono cellulare e che ora potrà chiamarci. Non sa la situazione come si evolverà ma mi ha ribadito più volte di stare tranquilla" 10:43 Bbc: Misurata ancora sotto attacco forze pro-Gheddafi 36 – Si registrano nuovi attacchi delle forze fedeli al colonnello Gheddafi nella città di Misurata. Lo riferisce una fonte medica alla Bbc, spiegando che "è il quinto giorno consecutivo di attacchi, gli ospedali sono pieni di feriti, non ci sono più posti liberi, in città non c'è luce, non ci sono comunicazioni da dieci giorni, non c'è acqua da più di una settimana". "Subiamo ancora pesanti sparatorie, la situazione è grave - ha proseguito la fonte - La comunità internazionale deve prendersi le sue responsabilità. Da ieri sono arrivati in ospedale 125 feriti, tra cui un'intera famiglia con quattro figli piccoli, colpiti in macchina mentre cercavano di fuggire. Le nostre scorte mediche si stanno esaurendo, non siamo più in grado di far fronte alla situazione" 10:35 Aeroporto Trapani anche oggi chiuso al traffico civile 35 – L'aeroporto di Trapani Birgi rimarrà chiuso anche oggi per consentire il decollo e l'atterraggio di aerei militari impegnati nelle operazioni in Libia. La chiusura e' scattata ieri alle 8.30 del mattino. Oggi 16 voli saranno dirottati su Palermo 10:27 Frattini: terrorismo, italiani stiano tranquilli 34 – "Gli italiani possono stare tranquilli" rispetto al rischio terrorismo proveniente dalla Libia. Lo ha assicurato il ministro degli Esteri Franco Frattini a Radio Anch'io, sottolineando come il Comitato antiterrorismo del ministero dell'Interno sia attivo 24 ore su 24 e abbia rafforzato "tutte le misure di prevenzione". "La nostra intelligence e le forze di polizia - ha aggiunto - fanno un lavoro starordinario di prevenzione antiterrorismo" 10:25 Casini: dalla parte delle vittime, non del "carnefice" Gheddafi 33 – "Affronteremo con senso dello Stato il dibattito parlamentare di domani, ma una cosa deve essere chiara: siamo addolorati per le migliaia di donne e di uomini assassinati da Gheddafi e dai suoi scherani, non certo per la sorte del leader libico. Tra il carnefice e le vittime non abbiamo dubbi da che parte stare". Lo dichiara il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini, confermando la posizione del partito in vista del confronto in Parlamento sulla risoluzione Onu 10:22 Frattini: prossima tappa cessate il fuoco con monitoraggio Onu 32 – In Libia la prossima tappa sarà un cessate il fuoco con il "monitoraggio dell'Onu". E' quanto ha detto oggi il ministro degli Esteri Franco Frattini a Radio Anch'io. "La prossima tappa - ha proseguito il titolare della Farnesina - dovrà essere il rispetto assoluto del cessate il fuoco". Per questo bisognerà fare appello all'Onu "come organismo incaricato di verificare sul terreno che il cessate il fuoco ci sia", ha proseguito il ministro, ricordando come il leader libico Muammar Gheddafi abbia più volte annunciato una cessazione delle ostilità che poi non c'è stata. "Appena realizzato un serio cessate il fuoco dovrà partire il dialogo politico", ha infine sottolineato Frattini, spiegando che ciò servirà ad evitare il rischio di una spartizione della Libia 10:16 Atterrato a Trapani aereo Awacs 31 – E' atterrato pochi minuti fa alla base militare di Trapani Birgi un Awacs, uno speciale aereo con un sistema elettronico basato su un radar progettato per eseguire missioni di sorveglianza aerea. Proseguono così le manovre militari all'aeroporto dove ha sede il 37° stormo dell'Aeronautica militare. A Birgi, intanto, il livello di allerta è 'Bravo 00' 10:13 Forze di Gheddafi attaccano Zintan con armi pesanti 30 – Al Jazeera riporta che forze fedeli a Gheddafi stanno attaccando la città di Zintan con armi pesanti, senza aggiungere ulteriori dettagli 10:11 Lega Araba, Moussa: sia popolo a decidere su Gheddafi 29 – "Resto dell'idea che sia giusto impedire che vengano uccisi i civili e che a decidere la permanenza al potere di Muammar Gheddafi debba essere il popolo libico e non altri". E' con queste parole che il segretario generale della Lega Araba, Amr Moussa, commenta al quotidiano arabo Al Hayat le ultime evoluzioni della crisi libica. A proposito della critica espressa nei giorni scorsi sulle modalità con le quali i paesi della coalizione conducono le operazioni militari, ha affermato: "Il nostro non è stato un passo indietro, vogliamo proteggere i civili libici e lasciare loro la libertà di scelta, ma al contempo non vogliamo che vengano attaccati. Per questo vogliamo la no-fly zone e l'applicazione delle risoluzioni dell'Onu" 10:02 Frattini: non credo equipaggio rimorchiatore ostaggio 28 – "Non credo ci sia un rischio" di una presa di ostaggi nella vicenda del rimorchiatore trattenuto in Libia. E' quanto ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini a Radio Anch'io, spiegando che altrimenti chi controlla la nave si sarebbe mosso "in altro modo, sarebbe scomparso dai radar". Il titolare della Farnesina ha assicurato che vi è un "monitoraggio molto attento" del rimorchiatore che viene "seguito con il satellite". "A bordo vi sono libici che non conosciamo" 09:57 Vescovo Tripoli: bombe non portano da nessuna parte 27 – "Un intervento sbagliato. Non si può risolvere la violenza con altra violenza. Non si capisce chi comanda e cosa vogliono fare. Dicono che bombardano la contraerea e poi tentano di colpire Gheddafi". Così monsignor Martinelli, vescovo di Tripoli, ha commentato i bombardamenti che da tre giorni stanno colpendo il territorio libico. "E' una situazione che non porterà da nessuna parte", ha aggiunto. La comunità cristina di Tripoli conta tra le sue file, molti congolesi, etiopi ed eritrei "costretti a rimanere nel paese per l'impossiblità di rientrare nei loro. Stiamo cercando di aiutare a tenere insieme la nostra comunità. Fortunatamente per i rifugiati si è aperto un varco verso la Tunisia, dove le Nazioni Unite hanno aperto uffici al confine", ha spiegato il vescovo. Della comunità italiana a Tripoli, "sono rimaste solamente due suore. La gente ha paura di uscire di casa, io rimango qui finchè rimarrà un solo cristiano" 09:49 Ha ormeggiato nel porto di Tripoli il rimorchiatore italiano 26 – L'armatore Augusta Offshore, società proprietaria del rimorchiatore Asso 22, in una nota annuncia che "questa mattina alle 8.30 ore italiane, il rimorchiatore Asso Ventidue ha ormeggiato nel porto di Tripoli. L'equipaggio è stato autorizzato dai militari libici a bordo a contattare familiari e compagnia. Confermiamo che tutti i membri dell'equipaggio stanno bene. In questi giorni l'attività di Asso Ventidue si è limitata a monitorare le coste libiche". La vicenda, conclude la nota, "non può considerarsi conclusa" 09:47 Uganda contro coalizione: no-fly zone, perché non anche in Bahrein? 25 – Il presidente ugandese Yoweri Museveni condanna i raid aerei lanciati dalla coalizione internazionale in Libia e accusa l'Occidente di usare due pesi e due misure. In un articolo pubblicato oggi dal quotidiano ugandese New Vision, Museveni sostiene che l'Occidente ha voluto imporre una no-fly zone in Libia, chiudendo invece un occhio su situazioni simili a quella libica, come in Bahrein e in altri paesi con governi filo-occidentali 09:45 Scomparso anche fotografo francese 24 – C'è un quarto repoter in Libia di cui non si hanno più notizie da domenica. Si tratta del fotografo freelance francese Stèphane Lehr, dell'agenzia Polaris Images, scomparso mentre si trovava nella Libia orientale. E' quanto ha riferito con una nota Reporter Senza Frontiere, secondo cui il fotografo si trovava a Bengasi con una troupe televisiva francese. Jean-Pierre Pappas, direttore della Polaris Images, ha riferito di non avere notizie dal suo collaboratore da due giorni. Secondo un giornalista sul posto, invece, Lehr si sarebbe diretto verso al-Ajabiya, cittadina sulla costa a sud di Bengasi 09:44 Frattini: capo resistenza libica esclude fondamentalismo 23 – "Non credo che l'opposizione libica sia dominata dall'estremismo radicale". E' quanto ha detto oggi il ministro degli Esteri Franco Frattini a Radio Anch'io, sottolineando di aver "parlato personalmente con il capo della resistenza libica", l'ex ministro Jalil. Questi gli ha spiegato che vi era stata "la percezioni di cellule radicali islamiste che volevano infiltrarsi nel loro movimento, ma le hanno individuate e allontanate" 09:41 Tre giornalisti arrestati, la testimonianza dell'autista 22 – I giornalisti dell'Afp arrestati sono il britannico Dave Clark, 38 anni e il tedesco-colombiano Roberto Schmidt, 45, con loro anche un fotografo della Getty Images, l'americano Joe Raedle, 45. Di loro non si avevano più notizie da venerdì. L'autista libico che ha dato la notizia, Mohammed Hamed, rientrato domenica a Tobruk, nella sua testimonianza ha detto di aver preso i tre giornalisti a bordo della suo auto la mattina del 19 marzo a Tobruk, di averli accompagnati lungo la strada che conduce ad Ajdabiya. Qualche decina di chilometri prima di entrare in quest'ultima, ha raccontato l'autista, hanno incrociata una colonna di mezzi militari libici, jeep e veicoli blindati trasporto truppe, hanno cercato di compiere una inversione a U ma sono stati bloccati dalle armi spianate di quattro militari e costretti a scendere. Dave Clark ha gridato ai militari "Sahafa!, sahafa!" (Stampa!, stampa!), ma i tre giornalisti - dice l'autista - sono stati costretti a inginocchiarsi sul bordo della strada con le mani dietro alla nuca. L'auto, insieme ad altri veicoli che sono passati nel frattempo lungo la strada, fra i quali un'ambulanza, sono stati dati alle fiamme dai militari, che hanno poi caricato i tre giornalisti su un mezzo militare verso una destinazione sconosciuta 09:39 Turchia: non parteciperemo a operazioni militari 21 – La Turchia ha escluso la possibilità di cooperare in qualsiasi intervento militare in Libia, ma potrebbe prendere parte a "operazioni con scopi umanitari". Lo ha detto il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, conversando con i giornalisti sull'aereo che lo ha riportato ad Ankara dopo la sua visita in Arabia Saudita. "Non vogliamo che la Libia diventi un secondo Iraq, dove sono state uccise più di un milione di persone", ha aggiunto Erdogan, precisando di aspettarsi un "chiarimento" riguardo a chi prenderà il comando delle operazioni militari 09:37 Frattini: Francia ricordi di essere membro Nato 20 – La Francia di Sarkozy non deve dimenticare che fa parte della Nato. Lo sostiene il ministro degli Esteri Franco Frattini a Radio Anch'io, lasciando intendere come sia auspicabile un ripensamento da parte di Parigi nella sua gestione di fatto unilaterale della crisi libica. "La Francia - dice il ministro - non deve tornare sui suoi passi" rispetto all'atteggiamento assunto, ma ricordarsi che "è un partner dell'Alleanza atlantica e dell'Unione europea" riconoscendo, aggiunge Frattini, che la Nato "è la struttura che ha portato la sicurezza nel mondo negli ultimi 60 anni" 09:36 Decollati due F18 canadesi da Trapani 19 – Due caccia F18 canadesi sono appena decollati dallo scalo militare di Trapani Birgi dove è di stanza il 37/mo storno dell'aeronautica militare. Proseguono così i decolli e gli atterraggi, intensificatisi ieri, che hanno visto in cielo Tornado e F16. Il livello di allerta nella base rimane "bravo 00" 09:36 Frattini: avviare subito mediazione 18 – "Bisogna avviare subito un'azione di mediazione politica per far comprendere a Gheddafi che deve lasciare" per far posto alla creazione di "una nuova Libia aperta ai principi della democrazia". Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini in diretta a Radio Anch'io 09:35 Frattini: regole d'ingaggio decise di volta in volta 17 – Le regole di ingaggio "vanno decise volta per volta". Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini in diretta con Radio Anch'io a proposito dell'eventualità che gli aerei italiani possano colpire direttamente la Libia. Ma, ha puntualizzato il ministro, perché è "importante agire con una decisione condivisa" e quindi sotto il comando della Nato 09:30 Al Jazeera: raid notturni su radar e contraerea a est Bengasi 16 – I raid aerei condotti la scorsa notte dalle forze della coalizione internazionale hanno colpito, tra l'altro, installazioni radar e due basi di difesa contraerea a est di Bengasi. Lo riferisce l'emittente satellitare Al Jazeera. Gli aerei occidentali ieri hanno colpito anche installazioni militari a Sabah, città a circa 800 km a sud di Tripoli, nota per essere una roccaforte del colonnello Muammar Gheddafi. E' la prima volta che un attacco viene condotto così a sud 09:29 Frattini: rispettare e difendere la risoluzione Onu 15 – Dobbiamo "difendere la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu, dobbiamo rispettarla scrupolosamente. Tutto quello che esce fuori dalla risoluzione non lo accetteremo" ha detto ancora il ministro degli Esteri Franco Frattini in diretta a Radio Anch'io, rispondendo alla domanda di un ascoltatore che criticava i bombardamenti su Tripoli 09:25 Frattini: consegnate a Bengasi 90 tonnellate di aiuti 14 – L'Italia "ha consegnato 90 tonnellate di aiuti umanitari a Bengasi". Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini in diretta a Radio Anch'io. "Lo abbiamo fatto solo noi italiani. Per questo motivo la nuova Libia sarà amica dell'Italia come lo è stata la vecchia" 09:24 Frattini: nella prima fase privilegiata rapidità, ora regole 13 – Frattini ha spiegato che "nella primissima fase abbiamo privilegiato la rapidità dell'azione e quindi abbiamo accettato che vi fossero tre comandi diversi". "Era indispensabile" che la missione partisse prima che fosse " troppo tardi", ha proseguito il capo della diplomazia italiana, "ma ora è tempo di tornare alle regole". Regole che, ha aggiunto "dicono coordinamento unico, condivisione delle responsabilità" 09:23 Decollati due F16 italiani dalla base di Trapani 12 – Due F16 italiani sono decollati pochi minuti fa dalla base militare di Trapani Birgi dove ha sede il 37° stormo dell'Aeronautica militare. Top secret la destinazione dei due caccia 09:22 Frattini: Londra ci sostiene, lo facciano anche gli Usa 11 – Il ministro Frattini ha ricordato che il premier britannico David Cameron "sostiene la posizione italiana" e ha auspicato che lo facciano "anche gli amici americani". Con una moltiplicazione di comandi, ha spiegato ancora Frattini, "ognuno vorrebbe riassumere il controllo delle operazioni". L'Italia "non si tira indietro, ma se sette basi dipendono dal controllo Nato non ho nulla da obiettare. Se cosi non fosse gli aerei che partiranno dalle basi italiane devono essere sotto un controllo di cui mi assumo la responsabilità" 09:21 Frattini: comando a Nato questione di serietà 10 – Il comando delle operazioni militari contro la Libia "deve passare alla Nato, è una questione di serietà, una questione altamente politica". Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini in diretta con Radio Anch'io. "Non possiamo immaginare - ha spiegato il capo della Farnesina - che ci siano comandi separati da ciascuno dei quali dipendano alcune scelte. Mi auguro che dalla riunione di oggi del Consiglio atlantico arrivi la decisione" 09:16 Diretto a Tripoli il rimorchiatore italiano 9 – Il rimorchiatore Asso 22, con a bordo 11 persone, di cui 8 italiani, sequestrato sabato scorso nel porto di Tripoli, a quanto si apprende starebbe rientrando proprio nel porto di Tripoli. L'Asso 22 si era inizialmente diretto verso un piattaforma dell'Eni poi, dopo essere stato 'intercettato' da un elicottero della coalizione internazionale nella serata di domenica, aveva invertito la rotta dirigendosi appunto verso il porto della capitale Libica. 08:54 Arrestati tre giornalisti occidentali 8 – Tre giornalisti occidentali sono stati arrestati dalle forze armate libiche. Lo ha reso noto il loro autista. Si tratta di due reporter dell'agenzia France Presse e un fotografo della Getty Images, fermati il 19 marzo nella zona di Tobruk. 08:36 La Cina: "Immediato cessate il fuoco" 7 – La cina è tornata a chiedere l'interruzione dei raid aerei alleati e ha ribadito di essere contraria "all'uso della forza" che "potrebbe fare vittime civili e scatenare una crisi umanitaria". Per questo motivo la cina chiede un "cessate il fuoco immediato". 08:34 I Verdi Ue: "Chi protesta sta con Gheddafi" 6 – Scendere in piazza contro la missione internazionale in Libia significa stare con Gheddafi. E' la posizione del leader dei Verdi al Parlamento europeo, Daniel Cohn-Bendit che in un'intervista a Repubblica spiega: "Ricordate Francia e Gran Bretagna del '36, che lasciarono sola la Rapubblica spagnola contro Franco, Hitler e Mussolini". 08:27 Ft: tensioni alla Nato con Francia e Germania 5 – Secondo il Financial Times, ieri gli ambasciatori francese e tedesco hanno abbandonato i lavori del consiglio dell'alleanza atlantica, dopo che il segretario generale Rasmussen ha criticato Parigi, per la sua contrarierà a un comando nato dell'operazione e Berlino per la sua scarsa partecipazione. 08:26 La tv libica: "Dei danesi l'attacco al bunker di Gheddafi" 4 – La tv di stato libica ha accusato la Danimarca di avere eseguito domenica l'attacco contro il compound di Bab al-Aziziya, a Tripoli, dove si trova anche la residenza del colonnello Muammar Gheddafi. L'emittente ha quindi acccusato Copenaghen di avere condotto "per diversi anni una campagna contro i musulmani", riferendosi alla questione delle vignette offensive sul profeta Maometto 07:33 Colpite basi della Marina e aeroporti 3 – Nei bombardamenti è stata colpita la base della Marina militare di Bussetta, a dieci chilometri dalla capitale. Sono stati colpiti porti e aeroporti a Sirte e Sabha, entrambe roccheforti politiche e militari di Muammar Gheddafi. A Sabha sarebbero stati bombardati un deposito militare e una colonnna militare lealista in movimento verso Zintan, 120 km a sudest di Tripoli. 07:34 Le forze del rais arretrano da Bengasi 2 – Nell'area di Bengasi, la più solida roccaforte dei ribelli, i soldati di Gheddafi si sarebbeo ritirati di circa 100 km, mentre è fallito il tentativo di riconquistare Agedabia, sotto il controllo delle milizie del rais. 07:29 Nella notte nuove incursioni 1 – Notte di bombardamenti sulla Libia. Tripoli, Zintan, Misurata, Sirte, Sabha e una zona a est di Bengasi: è su questi obiettivi che si è concentrata la terza ondata di attacchi della coalizione occidentale sulla Libia. (22 marzo 2011)
BENGASI Gli insorti tornano all'offensiva nella strada del deserto si decide il futuro L'intervento della coalizione ferma le truppe lealiste. La "Nuova Libia" è ancora in cerca di una leadership che possa colmare il vuoto di potere. Nella città ribelle regna la paura di BERNARDO VALLI Gli insorti tornano all'offensiva nella strada del deserto si decide il futuro BENGASI - Sul terreno è evidente quello che sulla lontana ribalta politica internazionale può essere fonte di dubbio o di ambiguità. Basta avanzare sulla strada che porta a Tripoli. È sufficiente un breve tratto dei 1200 chilometri che separano la capitale della Libia dal capoluogo della Cirenaica. Le truppe di Gheddafi li avevano percorsi tutti arrivando venerdì sera alle porte di Bengasi. Non dico che li avessero interamente occupati e li avessero sotto controllo. Lungo il tragitto, nel deserto, e in alcuni centri abitati, medi e piccoli, c'erano sacche di resistenza e gli insorti davano filo da torcere perfino a Misurata, che non è tanto distante da Tripoli. Lo danno ancora. Si poteva comunque sostenere che gli uomini dei raìs avessero messo le mani sul 70 per cento del territorio che conta. Venerdì sera era così. Poi la decisiva controffensiva degli insorti e il successivo intervento dei Mirage e Rafale francesi, i cui primi bersagli sono stati alcuni mezzi blindati alle porte di Bengasi, hanno ricacciato indietro i gheddafisti (d'ora in poi li chiamerò così) di 50 chilometri. Adesso sulla strada di Tripoli non se ne vedono per più di 200 chilometri, forse 250, fin quasi ad Ajdabiya, loro ultima, contrastata conquista. Si incontrano invece gli uomini armati della Libia libera. La conclusione è che l'operazione Alba dell'Odissea, il cui compito è di garantire una no-fly zone, al fine di impedire all'aviazione gheddafista di imperversare sulla popolazione, è servita e serve non tanto indirettamente d'appoggio agli insorti. I quali hanno cominciato a recuperare il terreno perduto a ovest. E la conseguenza logica. L'intervento deciso dal consiglio di sicurezza non è asettico. Non può esserlo. Per i principi che l'hanno ispirato non è neutrale. Anche se gli hanno formalmente imposto dei limiti. Limiti che alcuni membri della coalizione sono pronti tuttavia a superare, puntando apertamente sull'eliminazione del regime di Gheddafi. Gli aerei della coalizione e i missili della Us Navy riducono drasticamente la logistica dei gheddafisti. Tagliano le loro vie di rifornimento e date le enormi distanze è impossibile per loro conservare tutte le città che hanno conquistato lungo la costa. Brega, Ras Lanuf, la stessa Sirte (centro della tribù del raìs) e tante altre località rischiano quindi di cambiare padrone di nuovo. Fino a che le linee di rifornimento, in prossimità di Tripoli, non si accorceranno. Allora la tenuta dei gheddafisti sarà più efficace. E, tolta la no-fly zone, potrebbero ricominciare la riconquista e la repressione. Quanto durerà l'operazione Alba dell'Odissea? L'equivalente intervento in Serbia è durato a lungo, e il regime serbo, quello di Milosevic, è durato ancora di più. La Libia libera e il suo approssimativo esercito potrebbero non avere il tempo di riorganizzarsi sul serio, nonostante la consulenza, l'appoggio di esperti militari (si dice) inglesi, e l'arrivo di armi dall'Egitto. Alba dell'Odissea potrebbe finire prima del crollo dei ghedafisti. Se non accade qualcosa all'interno del bastione in cui è arroccato il Rais. I suoi potrebbero destituirlo o eliminarlo, visto il disperato isolamento, senza via d'uscita. A Bengasi è stata festeggiata la risoluzione dell'Onu. E l'intervento aereo è stato accolto con entusiasmo, ma l'inquietudine sussiste. Molti negozi hanno ancora le saracinesche abbassate, esclusi quelli degli alimentari. E la città non è più imbandierata come i primi giorni dell'insurrezione. La gente non si fida. Molti commercianti preferiscono essere prudenti, si adeguano alle voci che prospettano punizioni a chi osa riprendere un'attività normale, nel caso di un ritorno di Gheddafi. Il quale suscita l'angoscia di un fantasma. E' durato più di quarant'anni e non si sa come e quando sparirà. Saleh Al Gazal è un commerciante. E' un signore elegante di mezz'età, molto garbato, ma non abbastanza per non ricordarmi che sono un connazionale di Berlusconi, l'uomo del baciamano a Gheddafi. É il presidente del consiglio nazionale della città di Bengasi. Il suo ufficio, nel palazzo del tribunale, era quello di un giudice. Adesso sembra che vi abbia bivaccato una compagnia di "chabab", di giovani combattenti. Saleh Al Gazal cerca di convincere i negozianti ad aprire i battenti. Ma dice che ci vuole tempo per rassicurare la gente. Il trauma dei giorni scorsi, provocato dai gheddafisti alle porte della città ha lasciato tracce. Neppure lui crede che la guerra civile finirà con l'imposizione della no-fly zone. E non riesce ad immaginare la sorte riservata a Gheddafi. "Quando non ci saranno più gli aerei amici resteremo con i nostri cuori e con poche armi". La via Gamal Nasser è nel cuore di Bengasi. La percorro lentamente per vedere se c'è qualche negozio aperto. Tutte le saracinesche sono abbassate e non c'è una sola bandiera appesa alle finestre. Pochi pedoni. Qualche automobile. Il mio nuovo amico, un ex ufficiale di Marina, mi ricorda che proprio in via Gamal Nasser "è cominciata la rivoluzione". Un avvocato, Fathi Turbil, era stato arrestato da Abdullah Senussi, capo dei servizi segreti e cognato di Gheddafi, per la sua insistente attività di difensore delle famiglie delle vittime del massacro avvenuto nella prigione di Busalim, a Tripoli. A metà degli anni Novanta un gruppo di islamisti reduci dall'Afghanistan aveva organizzato sulle Montagne Verdi (luogo storico della lotta contro il colonialismo italiano) un gruppo di resistenza al regime dell'"infedele" Gheddafi. Tutti i congiurati erano stati arrestati e poi trucidati (in 1270) nella prigione di Busalim, come rappresaglia in seguito a una rivolta dei detenuti. L'avvocato Fathi Turbil chiedeva la restituzione dei corpi alle famiglie quando è finito a sua volta in prigione. Il 15 febbraio, in Via Gamal Nasser, quattordici suoi colleghi chiedevano la sua liberazione. La partecipazione popolare alla protesta fu sorprendente. E la polizia non esitò a sparare. Due giorni dopo, il 17 febbraio, i sopravvissuti e i familiari del massacro nella prigione di Busalim promossero un'altra protesta, e così, quel 17 febbraio, ispirata dai fatti di Tunisia e di Egitto è esplosa l'insurrezione. Le notizie provenienti da Tunisi e dal Cairo hanno fatto emergere gruppi clandestini, più latenti che operativi, e hanno attizzato la collera della gente fino allora soffocata. Una collera che ha coinvolto reparti dell'esercito e unità della polizia dalle quale sono arrivate le prime armi. Questa sommaria cronaca, di avvenimenti destinati alla storia nazionale, vuole sottolineare la spontaneità, ed anche la fragilità, della rivoluzione democratica, libica. Il suo attuale capo, più simbolico che reale, presidente del Consiglio nazionale di transizione, è un anziano giudice fino al 21 febbraio ministro di Gheddafi. Mustafa Abdel-Jallil è un personaggio schivo e rispettabile la cui base è a Beida, residenza della monarchia soppressa da Gheddafi nel 1969. Riesce difficile pensare che Mustafa Abdel-Jallil sia in grado di colmare il vuoto di leadership. Al suo fianco, nel consiglio nazionale, che funge da comitato di liberazione da governo provvisorio, alcuni membri hanno rifiutato di rendere pubblica la loro identità per paura di rappresaglia non si sa mai. Come dice Saleh Al Gazal, nel suo sgangherato ufficio di Bengasi, affacciato sul mare, dopo quarant'anni di Gheddafi ci sono "soprattutto i cuori" per combatterlo. Gli aerei della coalizione dovrebbero lasciare il tempo di creare il resto. (22 marzo 2011)
POLITICA POP Di Marco Bracconi 22 mar 2011 Armiamoci e pentiamoci Il dibattito su cosa stiamo facendo in Libia è non solo legittimo, ma addirittura opportuno. La discussione non è sempre scontro e rottura. E’ il motivo per cui viviamo in una democrazia. Ma da sempre quando si alzano in volo gli aerei militari, esiste uno stupidario militaresco quanto uno stupidario pacifista. E dopo appena tre giorni già si intravedono i segnali di un impazzimento generalizzato delle opinioni. C’è solo un modo per tenerlo a freno. Tagliare alla radice la linfa vitale di cui gli stupidari si nutrono, che è l’improvvisazione, la cialtroneria e la confusione di chi governa processi tanto delicati. Il terzetto Berlusconi-Frattini-La Russa, impegnato in acrobazie che nemmeno le Frecce tricolori, sembra non rendersene conto. Così diamo le basi ma "non spariamo", difendiamo il popolo dagli spietati Colonnelli ma intanto siamo "addolorati" per i dittatori, apriamo uno scontro con la Francia a cose fatte perché non siamo stati capaci di farlo al momento opportuno. Insomma ci armiamo e partiamo, poi però ci pentiamo, e allora ci riarmiamo ma intanto ci addoloriamo. Non c’è molto tempo. Se il terzetto di cui sopra non si decide a darci qualcosa di più chiaro su cui discutere, e magari dividerci, assisteremo in tempi rapidissimi al solito diluvio di parole più o meno in libertà. Una tempesta nel deserto, questa sì, di cui l’unico a sentire il bisogno è Bruno Vespa, senz’altro ansioso di montare in studio un gigantesco tabellone di Risko.
LA SCHEDA Libia, finanze e imprese italiane Tutti gli interessi del nostro Paese Siamo il primo esportatore verso Tripoli e ricopriamo circa il 17,5 % delle importazioni libiche, con un interscambio che nel 2010 è stato quantificato in circa 12 miliardi di euro. Intanto sono stati congelati beni appartenenti al rais o a entità libiche per circa 7 miliardi di euro Libia, finanze e imprese italiane Tutti gli interessi del nostro Paese Unicredit ha congelato le partecipazioni libiche ROMA - Non solo la finanza, con le quote libiche, e quindi i diritti di voto e i dividendi, che sono state già sterilizzate dall'Unione Europea. L'acuirsi della crisi, con l'escalation militare di queste ore, riporta in primo piano anche gli interessi delle imprese italiane in Libia. Si tratta di investimenti consistenti, grandi appalti, forniture di materie prime e maxi-commesse che rischiano di restare congelati a lungo. O anche di finire in altre mani. Con ripercussioni consistenti sui bilanci delle società e sull'economia italiana. Ecco perchè il governo italiano ritiene prioritario per il Paese partecipare a pieno titolo alla gestione del dopo-Gheddafi. Fino a poche settimane fa, sull'asse Tripoli-Roma, in entrambi i sensi di marcia, hanno viaggiato infatti denaro e opportunità di sviluppo. E i legami economici sono andati bel oltre la vicinanza geografica. Oggi, l'Italia, in attuazione della risoluzione 1973 approvata il 17 marzo dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu, ha congelato beni di Gheddafi o di entità libiche per 6-7 miliardi di euro. Dati di sistema. La Libia si colloca al quinto posto nella graduatoria dei Paesi fornitori dell'Italia, con il 4,5 per cento sul totale delle nostre importazioni, mentre il nostro Paese rappresenta il primo esportatore, che ricopre circa il 17,5 per cento delle importazioni libiche, con un interscambio complessivo stimato nel 2010 di circa 12 miliardi di euro. La Libia risulta essere il primo fornitore di greggio e il terzo fornitore di gas per l'Italia. Il nostro è il terzo Paese investitore tra quelli europei (escludendo il petrolio) e il quinto a livello mondiale. L'importanza che il mercato libico riveste per il nostro Paese è dimostrata anche dalla presenza stabile in Libia di oltre 100 imprese italiane. Eni. E' il principale operatore internazionale nell'estrazione del petrolio e del gas nel paese nordafricano. A preoccupare c'è l'impatto diretto sul fatturato del gruppo e anche il timore generale del balzo del prezzo del petrolio, in particolare per l'attività di raffinazione. Sia gli esponenti libici che i vertici dell'Eni hanno comunque ribadito per ora una reciproca "amicizia". Tripoli ha confermato tutti i contratti anche dopo l'inizio della guerra civile. Il gruppo guidato da Scaroni, per altro, paga al governo di Tripoli anche una tassa del 4% sugli utili imposta alle compagnie petrolifere. Un onere che per la società italiana, che è in Libia dai tempi di Mattei e ha una presenza assicurata fino al 2045 grazie al rinnovo delle concessioni, ammonta a 280 milioni di euro l'anno. Ora il rischio è che l'intervento militare occidentale possa provocare una ritorsione di Gheddafi contro l'azienda occidentale più esposta nel suo Paese. Unicredit. Sotto i riflettori, da mesi, c'è la partecipazione libica nella banca di Piazza Cordusio. Tra gli azionisti, infatti, ci sono la Central Bank of Libya (4,988%) e Libyan Investment Authority (2,594%). Sommando le due quote, la componente libica è di gran lunga il primo azionista, oltre il 7,5%. Quota che, come tutte le altre detenute dai libici in società europee, è al momento congelata. Finmeccanica. Lybian Investment Authority detiene anche una quota del 2,01 per cento in Finmeccanica. Grazie alla collegata Ansaldo Sts, la società guidata da Pierfrancesco Guarguaglini ha una buona presenza in Libia. Nel luglio del 2009, Finmeccanica e Libya Africa Investment Portfolio, il fondo di investimento posseduto da Lia, hanno costituito una joint venture paritetica per una cooperazione strategica nei settori dell'aerospazio, trasporti ed energia. Inoltre, Finmeccanica si è aggiudicata numerosi contratti in Libia attraverso le sue controllate, come Ansaldo Sts e Selex Sistemi Integrati. Nel campo elicotteristico, AgustaWestland ha messo in piedi un sistema industriale di manutenzione e assemblaggio tramite la Liatec. Si calcola che le commesse di Finmeccanica in Libia ammontino a circa 1 miliardo di euro nei settori dell'elicotteristica civile e ferroviario. Impregilo. Altrettanto presente in Gran Jamahiria è Impregilo. E' impegnata attraverso una società mista (Libco) partecipata dalla multinazionale italiana al 60% e al 40% da Libyan development investment. Impregilo ha in essere progetti nel settore costruzioni, come la Conference hall di Tripoli, la realizzazione di tre poli universitari e la progettazione e realizzazione di lavori infrastrutturali e di opere di urbanizzazione nelle città di Tripoli e Misurata. Si tratta di ordini che si aggirano, complessivamente, attorno al miliardo di euro. Autostrada dell'amicizia. La maxi infrastruttura chiesta dal colonnello Gheddafi come riparazione per i danni subiti nel periodo coloniale. Con i suoi 1700 km che dovrebbero attraversare la Libia da Rass Ajdir a Imsaad, ovvero dal confine con l'Egitto a quello con la Tunisia, è la più imponente e impegnativa infrastruttura stradale mai realizzata da aziende italiane, con tempi di lavoro stimati fino a vent'anni e una spesa di 3 miliardi di dollari. Nel dicembre scorso, al termine di una gara affidata a una commissione italo-libica, il raggruppamento di imprese costituito da Anas (capofila)-Progetti Europa & Global- talsocotec si è aggiudicato la gara da 125,5 milioni di euro, bandita dall'ambasciata di Tripoli in Italia, per il servizio di 'advisor' per tutto il processo che condurrà alla costruzione dell'autostrada. Oggi, anche in questo caso, è tutto fermo. Altre partecipazioni libiche. Si può ormai definire "storica" la presenza libica nella Juventus, di cui la Libyan arab foreign investment company detiene ancora una quota pari al 7,5%. Presenze minori, ma che avevano possibilità di forte crescita, risultano in Eni (meno dello 0,1%, ma con il consenso alla possibilità di salire fino al 5) e Telecom (con meno dello 0,01%). Lybian Post, con il 14,8%, è presente in Retelit, operatore di tlc specializzato nella fornitura di servizi a banda larga a enti e aziende. Altre imprese italiane. L'elenco delle imprese che fanno affari in Libia comprende anche Telecom e Alitalia, Edison e Grimaldi, Visa e Saipem. (20 marzo 2011)
2011-03-20 Diretta Gheddafi: "Sarà un inferno per voi" Fermato rimorchiatore italiano Parla il leader libico e minaccia l'Occidente: "Tutta la nostra gente è armata, vi distruggeremo. Farete la fine di Hitler e Mussolini". E ancora: "L'Italia ci ha tradito, come Francia, Gb e Usa". Dopo il vertice di Parigi, è partita l'operazione "Odyssey Dawn". Il Pentagono: "Lanciati 110 cruise" (video). Raid sulla capitale libica. Il comandante Usa Mullen: "No-fly zone imposta", ma la Lega araba è contro i raid: "Non era quello che volevamo". Coalizione di sei paesi: ci sono anche Italia, Spagna e Canada. Scudi umani nella capitale. Le forze del Colonnello attaccano Bengasi (audio), secondo fonti mediche ci sono oltre 90 morti. Lealisti entrati anche a Misurata. Condanna russa, rammarico della Cina. Il raìs chiede riunione Onu. Berlusconi: "Non rischiamo" (video). Il Senatùr: "Arriveranno milioni di clandestini". Napolitano: "Faremo quel che è necessario. Mai cedere alle paure" (Aggiornato alle 16:06 del 20 marzo 2011) 16:06 Vicario Tripoli: "Gheddafi non cede" 78 – Io spero in una resa, ma credo che Gheddafi non cederà ". Così il monsignor Giovanni Innocenzo Martinelli, Vicario Apostolico di Tripoli ha risposto interpellato telefonicamente dall'ANSA sulla crisi in Libia. 16:03 Perse le tracce di due giornalisti France Press 77 – Da venerdì si sono perse le tracce di due giornalisti della France Press. Dave Clark,38enne reporter e Roberto Schmidt, fotografo di 45 anni, sono scomparsi sabato mattina mentre lavoravano nella regione orientale di Tobruk. Con loro c'era anche un altro fotografo, Joe Raedle dell'agenzia Getty Images. 15:55 Gheddafi arma i civili 76 – Il regime libico ha iniziato la distribuzione di armi ai civili 15:48 Tre Tornado atterrano a Trapani 75 – Stanno per atterrare nell'aeroporto aeromilitare di Trapani Birgi tre tornado del sesto stormo di Ghedi, nel bresciano. Lo hanno reso noto la base del comando del 37simo stormo dell'aeronautica. 15:47 Funerali a Bengasi 74 – Sono in corso a Bengasi, in Cirenaica, i funerali delle vitime degli scontri avvenuti ieri in città con le brigate di Muammar Gheddafi. 15:37 Caccia danesi in volo verso la Libia 73 – Sei caccia f16 della flotta aeronautica danese sono decollati poco dopo le 15 di oggi dalla base militare americana di Sigonella per dirigersi verso la Libia. 15:35 Saif al Islam: "State appoggiando i terroristi" 72 – Il regime di Tripoli è rimasto "sorpreso" dai raid aerei dell'occidente, ingannato da "un grosso malinteso" sulla situazione in Libia. E' quanto ha dichiarato il figlio di Gheddafi, Saif al Islam, in un'intervista all'emittente usa Abc. Un giorno se ne pentiranno - ha detto riferendosi alle potenze occidentali - scopriranno di aver appoggiato le persone sbagliate, persone che sono nemiche degli americani, dei libici, di tutto il mondo" 15:28 Chi sono gli italiani del rimorchiatore 71 – Gli otto italiani a bordo del rimorchiatore sequestrato a Tripoli sono quattro siciliani, tre campani e un laziale. Lo ha reso noto Mario Mattioli, amministratore delegato della Augusta Offshore spa, armatrice della nave. 15:22 Seif Gheddafi: "Non attaccheremo voli civili sul Mediterraneo" 70 – Le forze di Muammar Gheddafi non attaccheranno i voli civili sul Mediterraneo. Lo ha detto Seif Al-Islam, figlio del rais, in una intervista all'Abc. 15:07 Assedio a Misurata, morti e porto bloccato 69 – Le forze di Gheddafi sono entrate nel centro cittadino a Misurata, dove ci sono stati diversi morti, dicono i testimoni. "I cecchini sono appoggiati dai quattro carri armati, che stanno pattugliando la città. Sta diventando molto difficile per la gente uscire". Testimoni affermano inoltre che "alcune imbarcazioni stanno circondando il porto impedendo agli aiuti di raggiungere la città" di Misurata. Abdelbasset, portavoce dei ribelli in città, ha detto inoltre: "Si combatte fra insorti e le forze di Gheddafi. I loro carri armati sono nel centro di Misurata. Ci sono così tanti morti che non possiamo contarli". 15:04 La Russa: "Per il rimorchiatore pronti ad intervenire" 68 – "Siamo a disposizione per un'evacuazione del personale del rimorchiatore bloccato in Libia con ogni strumento possibile", ha detto il ministro della Difesa La Russa intervenendo a "In 1/2 h" su Rai 3. 14:57 La Russa: "Nessun caveat a nostro intervento" 67 – "Abbiamo aderito alla coalizione, trasferendo sotto il comando della coalizione stessa, otto aerei, ma se fra un minuto ci chiedessero altri tipi di aerei valuteremmo. Una cosa è certa: non è intenzione dell'Italia mettere caveat al proprio intervento". Lo ha detto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, intervenendo a "in 1/2 h" di Lucia Annunziata su Rai Tre. "Vogliamo partecipare alla pari a questa operazione - ha aggiunto - finalizzata alla salvaguardia della popolazione libica" 14:51 La Russa: "Da oggi nostri aerei compiranno azioni" 66 – Gli otto aerei italiani messi a disposizione dall'Italia per le operazioni in Libia "si aggiungono agli altri assetti forniti da tutte le altre nazioni che partecipano e da oggi compiranno le loro azioni sotto un unico comando, che è a Napoli". Lo ha detto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, intervenendo a "in 1/2 h" di Lucia Annunziata su Rai Tre 14:49 Su rimorchiatore spenti strumenti localizzazione 65 – Gli uomini armati che sono saliti a Tripoli sul rimorchiatore italiano Asso 22, bloccandolo nel porto, hanno "evidentemente costretto l'equipaggio a spegnere gli strumenti di localizzazione". Lo dice all'Ansa l'ammiraglio Domenico Picone, comandante della capitaneria di porto di Napoli, che si tiene in contatto con la compagnia armatrice. Da stamane, infatti, "la nave è sparita dagli schermi". 14:48 Lega araba: Bombardamenti distolgono da vero obiettivo 64 – Il segretario generale della lega araba, Amr Moussa, ha criticato oggi i bombardamenti della coalizione internazionale in Libia, ritenendo che "essi allontanano dall'obiettivo, che è quello di imporre una no fly zone". 14:47 Vertici militari Usa: Cacciare Gheddafi non obiettivo primario 63 – L'obiettivo principale della coalizione dei volenterosi è proteggere i civili libici con la no fly zone e non necessariamente cacciare Muammar Gheddafi. Lo hanno precisato i vertici militari americani. 14:46 Russia chede di sospendere uso non selettivo della forza 62 – La Russia ha chiesto a Francia, Gran Bretagna e Usa di "sospendere l'uso non selettivo della forza" contro la Libia. In un comunicato il ministero degli Esteri di Mosca ha espresso "rammarico" per un intervento giudicato "troppo frettoloso". I media locali hanno inoltre citato "fonti" del Cremlino secondo le quali l'ambasciatore di Mosca a Tripoli è stato sollevato dall'incarico, per ragioni ancora non chiare 14:30 La Russa: "Da oggi a disposizione otto aerei" 61 – "Ieri sera intorno alle ore 23 abbiamo avuto richiesta formale di assetti da parte di altri Paesi e dalle 23:59 abbiamo dato la disponibilita' di 8 aerei: 4 caccia e 4 Tornado in grado di neutralizzare radar". Lo ha detto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, intervenendo a "in 1/2 h" di Lucia Annunziata su Rai Tre, spiegando che gli aerei italiani potranno essere impiegati dal comando della Coalizione "in ogni momento". 14:11 Testimoni: Forze Gheddafi entrano a Misurata 60 – Le forze fedeli a Gheddafi sono entrate nella città insorta di Misurata, 200 km a est di Tripoli, dove sono incorso combattimenti, e hanno bloccato il porto cittadino con le loro imbarcazioni, fermando gli approvvigionamenti: lo dicono testimoni residenti. 14:10 Frattini: "Non potevamo non intervenire" 59 – L'Italia è pienamente coinvolta con i partner della comunità internazionale nella missione in Libia e "non può essere seconda a nessuno nell'impegno per far rispettare i diritti umani". Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini intervenendo telefonicamente alla trasmissione 'Buona Domenica' su Canale 5. "Non potevamo rimanere indifferenti e non avremmo potuto non intervenire", ha aggiunto il titolare della Farnesina. 14:08 Chiuso al traffico civile aeroporto Trapani 58 – L'aeroporto di Trapani Birgi entro poche ore verrà chiuso al traffico aereo civile a causa delle operazioni dell'aeronautica militare che riguardano la Libia. I voli saranno dirottati su altri aeroporti. Lo confermano all'Ansa fonti dell'Enac. 14:07 Frattini: "Per il rimorchiatore bloccato non si esclude sequestro" 57 – "Non sappiamo quale siano le intenzioni" dei libici sul rimorchiatore italiano bloccato nel porto di Tripoli con a bordo anche connazionali ma "non possiamo escludere un sequestro". Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini intervenendo telefonicamente alla trasmissione 'Buona Domenica' su Canale 5 13:51 Innalzato livello attenzione a Fiumicino 56 – Innalzato anche all'aeroporto di Fiumicino il livello di attenzione e vigilanza, peraltro da tempo già su standard elevati, a seguito dell'inizio dei raid aerei occidentali sulla Libia. L'ulteriore stretta sui controlli e sui livelli di sicurezza è una delle misure decise dal Dipartimento di pubblica sicurezza e dalla Direzione centrale per l'Immigrazione e delle Polizie di frontiera. 13:50 Regime libico: Distribuiremo armi ad un milione di persone 55 – "Saranno distribuite nelle prossime ore armi a un milione di persone, uomini e donne, in tutta la Libia". E' quanto riferisce una fonte del regime libico citata dalla tv satellitare 'al-Arabiya'. Poco prima la tv di stato aveva invitato la popolazione a recarsi nelle sedi dei Comitati popolari dove è in corso la distribuzione delle armi. 13:48 Regime: "64 le vittime dei raid della coalizione" 54 – E' salito a 64 morti il bilancio delle vittime dei raid aerei condotti dalla coalizione internazionale a partire da ieri pomeriggio sulla Libia. Lo rende noto una fonte del regime di Tripoli alla tv satellitare 'al-Arabiya'. 13:43 La Russa: "Auspichiamo entrata in campo della Nato" 53 – Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ha detto di augurarsi "l'entrata in campo della Nato" nella questione libica. Parlando ai giornalisti ha spiegato che "il compito che l'Onu ha assegnato ai singoli Stati, alla coalizione - ad esempio alla Nato che continuo ad auspicare entri in campo - non è quello di intervenire su Gheddafi ma di proteggere i cittadini libici". 13:19 Testimoni: "Nuovi bombardamenti di Gheddafi su Misurata" 52 – Le forze di Muammar Gheddafi hanno bombardato nuovamente Misurata, città 150 chilometri a est di Tripoli ancora nelle mani dei ribelli. Al Jazeera ha riportato la testimonianza di un ribelle, Saadoun el Mesrati, secondo il quale diversi colpi d'artiglieria sono caduti in zone abitate della città. 13:16 Quattro eurofighter arrivati a base di Trapani 51 – Sono arrivati pochi istanti fa alla base dell'Aeronautica militare di Trapani Birgi quattro aerei Eurofighter provenienti dal IV stormo di Grosseto e che sono utilizzati per la difesa da eventuali attacchi. Gli Eurofighter resteranno sulle piste di Trapani Birgi, dove ha sede il 37° stormo dell'Aeronautica militare fino a quando la situazione internazionale non cambierà. 13:15 La Russa: "Sette paesi hanno aderito ufficialmente alla coalizione" 50 – Italia, Usa, Gran Bretagna, Spagna, Francia, Canada e Danimarca sono i sette Paesi che finora hanno aderito ufficialmente alla coalizione che agisce nei confronti della Libia. Lo ha annunciato il ministro della Difesa Ignazio La Russa spiegando che altri Paesi hanno annunciato la loro intenzione di aderire ma non lo hanno fatto ufficialmente. Questi Paesi sono la Norvegia, gli Emirati Arabi, il Qatar e l'Australia. 13:13 Capo di stato maggiore Usa: "Fermata avanzata Gheddafi su Bengasi" 49 – Le forze del colonnello Gheddafi non avanzano più verso Bengasi, capitale dei ribelli. Lo ha affermato il capo di stato maggiore usa ammiraglio Michael Mullen, commentando alla televisione statunitense Abc la prima fase dell'attacco contro la Libia, denominato "Odyssey Dawn", e affermando che è stato un successo anche se molto rimane da fare. 13:12 Mosca riduce personale ambasciata in Libia 48 – La Russia ha deciso di ridurre il personale della propria ambasciata in Libia. Lo ha annunciato il ministero degli Esteri di Mosca, citato dall'agenzia Itar-Tass. Nell'annunciarlo, il dicastero precisa che non vi sono vittime fra gli addetti della missione diplomatica o altri cittadini russi. 13:12 19 caccia Usa contro le forze di Gheddafi 47 – Diciannove caccia Usa sono stati impiegati stamani in operazioni sui cieli libici contro le truppe di Gheddafi e le difese aeree libiche, hanno reso noto le forze armate americane. 13:11 Bersani: "Italia deve partecipare molto per decidere poco" 46 – 'l'Italia è un "Paese che deve partecipare molto per decidere poco". Così Pier Luigi Bersani ha commentato l'appoggio dell'Italia all'operazione in Libia, intervistato a RaiNews24. Per il segretario del Pd, questo si deve alla "diplomazia berlusconiana fatta di personalismi" che ha "sbilanciato largamente la nostra politica estera". 12:45 Raid, distrutte decine di mezzi di Gheddafi 45 – Nuovi raid aerei compiuti stamani in Libia e intorno a Bengasi hanno distrutto decine di mezzi di Gheddafi: lo constatano fonti giornalistiche e degli insorti sul posto. 12:44 Pronti a partire da Sigonella sei caccia danesi 44 – Sono pronti a decollare dalla pista della base dell'Aeronautica militare di Sigonella (Catania) sei caccia danesi F16 arrivati ieri. Lo ha reso noto il tenente colonnello Rocco Massimo Zafarana, dell'ufficio pubbliche relazioni della base di Sigonella, che ha incontrato i giornalisti insime col comandante del centro addestramento equipaggi, Paolo Bruno. 12:43 Bersani: "Intervento necessario e legale" 43 – ll Pd è pronto a sostenere un ruolo attivo dell'Italia in Libia. Lo ha detto il segretario del partito Pierluigi Bersani a Rainews. Per Bersani l'intervento "è necessario e legale". "Necessario - aggiunge - per impedire un massacro dei civili e legale perché avviene in seguito alle deliberazioni dell'Onu e dell'accordo UE-Lega araba". Per il segretario del Pd l'asse fondamentale da tenere in questa fase: "è che Gheddafi ritiri le sue truppe nelle caserme, si arrivi ad una situazione di tregua e l'Unione europea si metta a disposizione per una evoluzione pacifica e democratica della situazione libica". 12:42 La Russa: "Notificata ad Onu nostra adesione a coalizione" 42 – L'Italia "ha ufficialmente notificato al segretario generale dell'Onu e alla Lega araba di aver aderito alla coalizione che intende dare seguito alla risoluzione 1973 per salvaguardare la vita dei civili in Libia". Lo ha detto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, che a Milano si è soffermato a parlare con il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, all'uscita da Palazzo Reale, dove il capo dello Stato ha visitato una mostra sui Savoia. 12:41 Testimone a Cnn: Numerosi incendi a Tripoli e Misurata 41 – Una testimone oculare che vive a Tripoli in una telefonata alla Cnn ha riferito che numerosi incendi sono in corso nella capitale libica. Un altro testimone ha riferito di una situazione analoga a Misurata. Secondo le due testimonianze, a bruciare sarebbero le postazioni antiaeree di Gheddafi. Ma a Misurata le forze pro-Gheddafi avrebbero dato alle fiamme alcuni depositi di carburante prima di allontanarsi dalla città. 12:40 Portaerei Garibaldi nel canale di Sicilia 40 – La portaerei Garibaldi naviga da stamane nelle acque del canale di Sicilia e si è unita ad altre due navi della Marina Militare italiana - il cacciatorpediniere Andrea Doria e la fregata Euro - completando così lo schieramento predisposto per la difesa del Paese. Nel canale di Sicilia operano inoltre la nave rifornitrice Etna che è al comando di un gruppo navale, lo Standing Nato maritime group e il pattugliatore Libra. La portaerei Garibaldi imbarca sei aerei Harrier a decollo verticale, elicotteri e un gruppo di marò del Reggimento San Marco 12:30 Comitato libici in Italia: "Ora Roma riconosca Bengasi" 39 – L'Italia deve riconoscere immediatamente il Consiglio Transitorio dei rivoltosi libici a Bengasi. E' l'appello di Farag Bughrara, leader del neo costituito Comitato della Comunità libica in Italia, in un'intervista all"Interprete Internazionale. "Si è atteso tanto. Troppo - ha affermato Bughrara - Dal voto del Consiglio di Sicurezza dell'Onu si sono perse tantissime ore e Gheddafi ha potuto compiere indisturbato la sua vendetta contro civili inermi". 12:18 Comandante Usa: "Nessun segnale di possibile uso armi chimiche" 38 – Il comandante americano Mike Mullen ha detto che "non vi sono indicazioni che Gheddafi si stia orientando sull'uso di armi chimiche". 12:11 Comandante Usa: "Contraerei libica resa inoffensiva" 37 – ll comandante americano Mike Mullen ha detto che la contraerea libica è stata resa inoffensiva e che non vi sono segnali aerei libici in volo e di civili feriti. 12:11 Appello del Papa: "Tutelare i civili" 36 – Appello del Papa per la Libia. Il Pontefice subito dopo l'Angelus, ha detto di provare "grande apprensione" per la situazione nel Paese, ha assicurato la sua vicinanza e la sua preghiera alla popolazione e ha rivolto un "pressante appello a quanti hanno responsabilità politiche e militari, perché abbiano a cuore, anzitutto, l'incolumità e la sicurezza dei cittadini e garantiscano l'accesso ai soccorsi umanitari". 11:55 Comandante Usa: "Imposta la no-fly zone" 35 – L'ammiraglio americano Mike Mullen, capo degli stati maggiori congiunti ha annunciato che la no fly zone è stata effettivamente imposta sui cieli libici. 11:52 Times: Bombardati aeroporto vip regime vicino Tripoli 34 – Tra gli obiettivi colpiti nei primi raid di Odyssey Dawn c'è anche un aeroporto vicino a Tripoli usato per i voli dei Vip del regime. Sarebbe stato preso di mira per impedire ai fedelissimi di Gheddafi di fuggire, scrive il Sunday Times. Colpita anche, secondo il Times, una base aerea vicino a Misurata che sarebbe diventato un centro per le forze favorevoli al colonnello. 11:49 Stampa Gb: Forze speciali inglesi a fianco dei ribelli da settimane 33 – Centinaia di soldati delle forze speciali britanniche Sas sarebbero in azione da almeno tre settimane in Libia al fianco dei gruppi ribelli, afferma oggi il quotidiano Sunday Mirror. Due unità di forze speciali soprannominate "Smash" per la loro capacità distruttiva, avrebbero dato la caccia ai sistemi di lancio di missili terra aria di Muammar Gheddafi (i Sam 5 di fabbricazione russa) in grado di colpire bersagli attraverso il Mediterraneo con una gittata di quasi 400 chilometri. Affiancate da personale sanitario, ingegneri e segnalatori, le Sas hanno creato posizioni sul terreno in modo da venire in aiuto in caso in cui jet della coalizione fossero stati abbattuti durante i raid. 11:27 Base aerea colpita da stealth Usa 32 – Un aeroporto libico è stato attaccato da aerei invisibili ai radar (stealth) statunitensi. Lo ha detto la tv americana Cbs, secondo cui tre bombardieri stealth B-2 Spirit hanno lanciato 40 bombe contro una base aerea libica. 11:14 Fonti mediche: "94 morti a Bengasi" 31 – E' di 94 morti il bilancio delle vittime dell'attacco compiuto ieri dalle brigate di Muammar Gheddafi nella città di Bengasi. Lo riferiscono fonti mediche alla tv araba 'al-Jazeera'. Intanto secondo l'emittente 'al-Arabiya', i militari fedeli a Gheddafi stanno ripiegando verso Ajdabiya, mentre secondo Mustafa Gheriani, portavoce del Consiglio nazionale dell'opposizione, "i raid aerei di ieri hanno indebolito le forze fedeli al regime che stanno lasciando la città". 11:08 Riprese incursioni francesi nei cieli libici 30 – Le incursioni aeree delle forze francesi riprendono questa mattina nei cieli libici nel quadro della coalizione internazionale. Lo rendono noto fonti militari francesi 11:04 Ribelli temono uso di armi chimiche a Bengasi 29 – I ribelli anti governativi temono l'impiego di armi chimiche da parte delle forze del colonnello Gheddafi contro la loro roccaforte di Bengasi. "E' possibile che (Gheddafi, ndr) colpisca Bengasi usando armi chimiche", ha detto al quotidiano arabo Asharq Al-Awsat un membro del Consiglio nazionale libico. L'uomo, che ha chiesto di rimanere anonimo per ragioni di sicurezza, ha sostenuto che i ribelli hanno sequestrato un deposito di armi contenente dei gas proibiti dalle convenzioni internazionali, nei pressi dell'aeroporto Benina di Bengasi. 11:04 La Russa: "Nessun aereo finora ha partecipato ad azioni" 28 – "Finora nessun aereo ha partecipato ad azioni" Lo ha assicurato il Ministro della Difesa Ignazio La Russa arrivando a Palazzo Marino dove è appena iniziato un incontro di studio su Carlo Cattaneo alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. 11:03 Alle 13 salpa da Tolone portaerei Charles de Gaulle 27 – La portaerei francese "Charles de Gaulle" con a bordo aerei Rafale e Super salpa alle 13 dal porto di Tolone per prendere parte all'intervento militare contro la Libia. Lo rendono noto fonti del ministero della difesa francese citate dal quotidiano le Figaro. La Charles de Gaulle è scortata dalle unità Dupleix e Aconit e dalla nave cisterna La Meuse. 10:59 Gheddafi: "Attacco è nuova crociata contro l'Islam" 26 – "L'attacco alla Libia è una nuova crociata contro l'Islam, ma sarete sconfitti, come già siete stati sconfitti in Iraq e in Somalia, come vi ha sconfitto Bin Laden": è quanto ha detto il colonnello Muammar Gheddafi rivolgendosi alla coalizione occidentale, in un messaggio teletrasmesso dalla Tv di Stato libica oggi. 10:54 Gheddafi: "Voi occidentali volete il nostro petrolio" 25 – "Voi (occidentali) volete il nostro petrolio, ma la nostra terra ci è stata data da Dio. Noi siamo oppressi e colui che è oppresso vincerà, mentre coloro che opprimono saranno sconfitti": lo ha detto il leader libico Muammar Gheddafi. 10:52 Gheddafi: "Pronti a guerra di lunga durata" 24 – "Siamo pronti ad una guerra di lunga durata", ha detto il colonnello. "Voi non ne avete la capacità, pensateci". 10:50 Gheddafi: "Non faremo mai passi indietro" 23 – "Non faremo passi indietro e non moriremo". E' quanto ha affermato Muammar Gheddafi nel suo messaggio. "Non lasceremo che l'occidente si appropri del petrolio libico - ha aggiunto - noi armeremo il popolo libico con tutti i tipi di armi". 10:44 Napolitano: "Mai cedere alle paure" 22 – "Sono del parere che non si debba mai cedere alle paure, immaginiamoci in questo caso": lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, al suo arrivo a Milano, rispondendo alle domande dei giornalisti che gli hanno chiesto se poteva rassicurare gli italiani in relazione alla crisi libica. "Bisogna evitare allarmismi e assolute fantasie. Fantasie che sono soltanto tese a suscitare timori immotivati", ha detto il capo dello Stato. 10:42 Gheddafi: "L'Italia ci ha tradito" 21 – "L'Italia ci ha tradito, come lo ha fatto la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti". E' quanto ha affermato Muammar Gheddafi nel suo discorso pubblico trasmesso oggi dalla tv di stato libica. "Combatteremo sulla nostra terra, palmo a palmo - ha affermato - La gente di Bengasi non permetterà che la bandiera americana, francese e britannica sventolerà sulla loro città. L'attacco subito dal nostro paese non ha giustificazioni". 10:40 Farnesina: Unità di crisi segue situazione rimorchiatore 20 – L'unità di crisi della Farnesina sta valutando la situazione in cui si trova il rimorchiatore bloccato a Tripoli con otto italiani, due indiani e un ucraino a bordo. Secondo quanto rendono noto fonti della Farnesina, il ministero è in stretto contatto con la società armatrice dell'imbarcazione e, per quanto possibile, con il personale a bordo. Prematura in questo momento, si sottolinea, qualsiasi tipo di valutazione. 10:38 Gheddafi: "Questa terra sarà un inferno per voi" 19 – "Cadrete come sono caduti Hitler e Mussolini. E' questa l'epoca dei popoli e non delle guerre organizzate. Tutti i libici si stanno armando. La terra libica diventerà un inferno e vi combatteremo se continuerete ad attaccarci", dice Gheddafi. "I magazzini di armi sono aperti per il popolo e abbiamo armato i cittadini - ha aggiunto - questa è una nuova guerra crociata ma l'Islam non perderà e loro perderanno". 10:34 Gheddafi: "Siamo più forti di voi" 18 – "Chi vi ha dato il diritto di intervenire contro di noi? Farete la fine di Hitler e Mussolini. Siamo più forti di noi. Il popolo di Bengasi interverrà quando si renderà conto che questa è una nuova guerra di crociati", dice Gheddafi. 10:34 Gheddafi: "I popoli europei sono con noi" 17 – "Perderete le vostre poltrone, perché anche i vostri popoli, anche l'Europa è con noi", dice Gheddafi. 10:32 Gheddafi: "Siete dei terroristi" 16 – "Non avete civiltà, siete dei barbari, dei terroristi. Attaccate un popolo disarmato, che non vi ha fatto nulla di male. O è una nuova crociata contro l'Islam. Ma la Libia da oggi sarà più forte. Da oggi alziamo la bandiera dei popoli che lottano per la libertà", dice il colonnello. 10:27 Gheddafi: "Non sconfiggerete il popolo libico" 15 – Discorso di Gheddafi: "Non potete sconfiggere il nostro popolo con le vostre forze armate organizzate". "Tutto il popolo libico è armato, questa terra è diventata carbone che brucerà i vostri piedi. Vi combatteremo", dice il raìs, in un discorso trasmesso dalla tv di stato. 10:19 Qatar: Sì a missione per fermare bagno di sangue 14 – Il primo ministro del Qatar, sceicco Hamad Ben Jassem Al Thani, ha giustificato oggi la partecipazione del suo paese alle operazioni militari in Libia, affermando che Doha mira "a mettere un termine al bagno di sangue" nel paese nordafricano. "Il Qatar parteciperà all'azione militare poiché è necessario per i paesi arabi prenderne parte", ha affermato lo sceicco Hamad, che è anche ministro degli Esteri. 10:12 Arrestati 4 giornalisti di Al Jazeera 13 – Il regime libico di Muammar Gheddafi ha arrestato ieri sera quattro giornalisti della tv araba 'al-Jazeera' che operano nel paese. Secondo quanto riferisce l'edizione inglese della tv qatariota, i quattro giornalisti arrestati sono il corrispondente Ahmed Vall Ould Addin, cittadino mauritano, il cameraman Kamel Atalua, cittadino britannico, l'altro cameraman Ammar al-Hamdan, cittadino norvegese, e il corrispondente Lotfi al-Messaoud, cittadino tunisino. 09:56 Cecchini pro Gheddafi sui tetti a Misurata 12 – Testimoni hanno riferito che cecchini pro Gheddafi sono piazzati sui tetti in centro a Misurata, la città in mano alle forze ribelli che i lealisti hanno circondato. 09:55 Bombardamenti sospesi su Tripoli e Bengasi 11 – I bombardamenti compiuti nella notte dalla coalizione internazionale contro gli obiettivi militari del colonnello Gheddafi sono stati sospesi, questa mattina, a Tripoli e Bengasi, roccaforte dei ribelli nell'est della Libia. I residenti, che ieri erano fuggiti dalla città a causa dell'attacco delle forze fedeli a Gheddafi, stanno lentamente ritornando a casa. 09:45 Della Augusta offshore il rimorchiatore bloccato 10 – Il rimorchiatore d'altura bloccato nel porto di Tripoli è della società Augusta Offshore spa di Napoli. E' stato fermato ieri alle 17 ore italiana, mentre stava sbarcando a Tripoli dei lavoratori libici. Alcuni uomini armati, tra cui uno che si sarebbe qualificato come il comandante del porto, hanno fermato l'equipaggio, impedendo al rimorchiatore di ripartire. Gli italiani e gli altri si troverebbero tuttora a bordo. 09:43 Unione africana: "Stop a ostilità" 9 – Il comitato dell'unione africana sulla libia ha chiesto oggi "la fine immediata di tutte le ostilità" in questo paese, in cui la coalizione internazionale ha iniziato i bombardamenti aerei contro il regime. Alla fine di una riunione di quattro ore, i membri del comitato, composto da capi di stato africani, hanno pubblicato un comunicato con il quale chiedono anche "la cooperazione delle autorità libiche interessate per facilitare l'assistenza umanitaria alla popolazione che ha bisogno". 09:35 Bombardamenti contro il regime, almeno 48 morti 8 – Almeno 48 persone sono morte e circa 150 sono rimaste ferite nei bombardamenti occidentali contro il regime di Gheddafi, iniziati ieri nell'ambito dell'operazione 'Odissea all'alba: è quanto ha riferito una fonte ufficiale libica. "Quarantotto persone sono morte, 26 di queste a Tripoli", ha confermato la fonte, precisando che si tratta soltanto di un bilancio provvisorio. 09:34 Bagnasco: "Speriamo si svolga rapidamente" 7 – "Speriamo che si svolga tutto rapidamente, in modo giusto ed equo, col rispetto e la salvezza di tanta povera gente che in questo momento è sotto gravi difficoltà e sventure. Preghiamo per la salvezza del popolo libico": lo ha detto l'arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco stamani in visita pastorale alla Chiesa di Nostra Signora del Rimedio in piazza Alimonda a Genova commentando l'inizio dei bombardamenti sulla Libia. 09:25 Equipaggio rimorchiatore italiano trattenuto a Tripoli 6 – L'equipaggio di un rimorchiatore d'altura italiano è stato trattenuto nel porto di Tripoli da uomini armati: lo apprende l'ANSA da fonti qualificate, secondo le quali le persone a bordo sono otto italiani, due indiani e un ucraino 09:03 Il generale Clark: "Tutto lecito per difendere i civili" 5 – "La risoluzione dell'Onu è nettissima riguardo all'obiettivo finale: sbarazzare la Libia del dittatore Muhammar Gheddafi. Per questo il Consiglio di sicurezza ha autorizzato il ricorso a ogni mezzo, salvo l'occupazione militare del Paese. In breve tutto è lecito, o quasi". Lo dice a Repubblica il generale Wesley Clark, ex comandante supremo delle forze Nato durante la guerra del Kosovo. 08:10 Berlusconi: "Non rischiamo". Ma Bossi lo attacca 4 – Berlusconi: "Non ha i mezzi per colpirci". La Russa: "I nostri aerei pronti in 15 minuti". Il premier: "Non credo servirà". Napolitano: "L'Italia farà quel che è necessario". Bossi scatenato: "In Cdm c'era un accordo diverso, ora arriveranno milioni di immigrati" 08:09 Gheddafi: "Colpiremo in tutto il Mediterraneo" 3 – Messaggio audio del raìs: "Colpiremo i civili in tutto il Mediterraneo" e fa sapere che la Libia non fermerà più il flusso dei migranti. Scudi umani per proteggere il leader libico e nuovo attacco a Bengasi. 08:08 Bombardamenti e 110 missili su Tripoli 2 – Bombardamenti francesi e inglesi su Tripoli e contraerea in azione. Gli Usa: lanciati 110 missili. Colpiti numerosi carriarmati. Condanna di Mosca e rammarico cinese. 08:07 Al via "Odissey Down" 1 – Dopo il vertice con Ue e Paesi arabi, al via l'operazione "Odissey Dawn". Il Pentagono: "Lanciati 110 cruise". Coalizione di sei paesi: Francia, Usa, Gb, Italia, Spagna e Canada. (20 marzo 2011)
ODISSEY DAWN Francia, Gb, Usa: blitz contro Gheddafi Tripoli in fiamme. L'Italia nella coalizione Ieri pomeriggio, la decisione nel vertice di Parigi. Poi partono i cacciabombardieri francesi che attaccano i tank libici a Bengasi. Quindi i missili Usa e il raid franco-britannico notturno sulla capitale. Gheddafi minaccia rappresaglie contro i civili in tutto il Mediterraneo. La Russa "I nostri aerei pronti". Berlusconi: "Credo che non serviranno". Molto critico Bossi Francia, Gb, Usa: blitz contro Gheddafi Tripoli in fiamme. L'Italia nella coalizione Un missile "Arleigh-Burke" in partenza dal caacciatorpediniere americano "Barry" ROMA - Adesso è guerra nel Mediterraneo. Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Italia, Canada e Spagna hanno scatenato l'offensiva contro Muammar Gheddafi e il suo regime. L'hanno chiamata "Odissey Dawn" ("Alba di Odissea"). Nel pomeriggio, si sono mossi per primi i ricognitori e i caccia di Sarkozy. Poi, le navi e i sommergibili americani hanno scatenato una pioggia di oltre un centinaio di missili "Tomawhak" su obiettivi strategici (installazioni militari, caserme, depositi d'armi e di carburante, strutture di comunicazione). Più tardi, nella notte, altri raid francesi e poi anche inglesi. Tripoli è in fiamme e la contraerei libica spara (un po' alla cieca) nel cielo della capitale contro i Mirage francesi e i Tornado britannici praticamente irraggiungibili. Dalle postazioni libiche si alzano anche grida di "Allah è grande". La Libia, adesso, si lamenta: il comunicato del governo parla di "azione dei crociati" che "ha colpito strutture civili e ospedali e ha causato almeno 48 vittime tra cui donne, vecchi e bambini e 150 feriti". Gheddafi, invece, interviene con un messaggio radio piuttosto violento: ''Il Mediterraneo è diventato un campo di battaglia - ha detto ieri in tarda serata -. Attaccheremo obiettivi civili e militari''. Dietro a queste parole c'è la minaccia che fa più paura: quella del terrorismo. Perché, se ha probabilmente ragione, Silvio Berlusconi quando sentenzia: "Non ha i mezzi per colpirci", è chiaro Advertisement che l'opzione terroristica (anche se non facile da organizzare su due piedi dal Colonnello e dai suoi uomini), resta decisamente più praticabile per quel che resta del regime libico che il 21 dicembre 1988 organizzò l'attentato contro il volo Pan Am 103 caduto a Lockerbie causando 288 vittime.. Regime che, nel frattempo non aveva fermato l'azione bellica contro i "ribelli" asseragliati a Bengasi. Gli uomini che hanno tentato di ribaltare il regime, hanno accolto con gioia rumorosa le immagini degli aerei francesi sul loro cielo e dei missili che lasciavano il cacciatorpediniere "Barry" per abbattersi sul loro territorio. La decisione di scatenare l'attacco era stata presa dopo il vertice di Parigi tra Onu, Stati Uniti, Ue e Paesi arabi. A partire dalla risoluzione 1973 dell'Onu per la creazione di una "no-fly zone" sulla Libia e per far cessare la violenza contro la popolazione civile. Russia e Cina non erano d'accordo, ma si sono limitate a esprimere il loro "rammarico". La Germania ha preferito restarne fuori. L'Italia è dentro. Metterà a disposizione le sue sette basi (in quella di Decimomannu, vicino a Cagliari sono già arrivati gli aerei spagnoli pronti all'attacco). Il ministro della Difesa, La Russa, fa sapere che i nostri aerei da combattimento sono pronti a partire dalla base di Trapani Birgi in un quarto d'ora. Berlusconi frena fiducioso: "Penso che non serviranno". Ma Bossi si lamenta perché gli accordi nel governo erano diversi. La Lega avrebbe preferito restarne fuori come i tedeschi e adesso paventa l'arrivo di "un milione di profughi". Il raid vero e proprio è partito alle 17,45 con quattro cacciabombardieri francesi che hanno attaccato nella zona di Bengasi distruggendo alcuni carriarmati che si prepravano ad attaccare i ribelli. Poi, le prime bombe su Tripoli. Nella notte la seconda ondata con alcuni aerei che hanno puntato la residenza di Gheddafi. Ma il "rais" potrebbe essere nascosto altrove. Ieri sera, i libici hanno potuto solo sentire la sua voce: minacce e toni furibondi. E in molti parlano di scudi umani attorno al rais. A Tobruk, città dell'estremo ovest in mano agli insorti, era esplosa la gioia. Ieri mattina, il rais aveva fatto sferrare un durissimo attacco contro Bengasi con razzi e artiglieria, nel tentativo di conquistare la roccaforte dei ribelli prima dell'intervento occidentale. Dopo i bombardieri francesi, sulla Libia sono stati sparati missili Tomahawk americani e britannici, almeno 110 secondo il Pentagono, lanciati da navi e sommergibili contro batterie contraeree e depositi di carburante. In nottata Londra ha comunicato di avere anche effettuato raid aerei.ù Secondo la tv di stato, gli attacchi hanno provocato la morte di almeno 48 persone e il ferimento di altre 150 e colpito obiettivi civili in diverse zone del Paese nonchè un ospedale in un sobborgo della capitale. Odissey Dawn è la più grande operazione militare internazionale contro un paese arabo dall'invasione dell'Iraq nel 2003. L'Italia sta fornendo un importante supporto logistico attraverso la messa a disposizione della coalizione di sette basi militari, mentre i caccia mobilitati per l'intervento militare in Libia si sono concentrati nella base di Trapani Birgi. (20 marzo 2011)
IL REPORTAGE La festa nella città dei ribelli Ma i raid non cancellano la paura Gli insorti si preparano a combattere a terra. Bandiere della "Nuova Libia" e segni di vittoria salutano l'arrivo della missione militare internazionale. Sulle piazze si spara in aria come per festeggiare una vittoria di BERNARDO VALLI La festa nella città dei ribelli Ma i raid non cancellano la paura TOBRUK - Dicono gli shabab, i giovani combattenti, spesso imberbi, che da ieri sera la democrazia arriva dal cielo. Scende sulla Libia portata da "Rafale" e "Mirage", i quali volano non sempre visibili tra le nubi mediterranee, sparando per ora missili nei dintorni di Bengasi, minacciata dalle forze del male. Un primo messaggio dall'alto è arrivato poco prima del tramonto: un proiettile francese ha centrato un automezzo di Gheddafi che insidiava il capoluogo della Cirenaica. Il missile è stata una spada biblica del nostro millennio. Non solo gli shabab, ma tutti, a terra, insorti e testimoni, contano su quell'azione aerea appoggiata da occidentali e da arabi, per stanare infine il raìs, rinchiuso nel bunker di Tripoli. Nell'86, quando gli shabab non erano ancora nati, gli americani tentarono invano di seppellirlo per sempre sotto le rovine provocate dai jet decollati dalle portaerei della VI flotta. Gheddafi riemerse, ringagliardito da quella punizione inflittagli dalla superpotenza. Penso proprio che in quell'occasione si convinse di essere risorto. La sua invulnerabilità viene adesso messa di nuovo alla prova. Gli europei, francesi in testa, ritentano l'operazione, con la benedizione dell'Onu, e con gli americani di retroguardia, riluttanti a impegnarsi direttamente, in prima fila. Dopo il disastro iracheno e con su le spalle il pesante fardello afgano, Barack Obama ci va cauto. Lui non è Bush junior. Non promuoverà un altro conflitto in terra. Non vuole correre questo rischio che potrebbe Advertisement rivelarsi implicito, anche se per ora scartato. Questa volta il ruolo principale tocca agli europei: in particolare al francese Sarkozy e all'inglese Cameron. La spedizione ha innegabili credenziali nobili, e dovrebbe restare soltanto aerea. Interviene nel corso di una guerra civile, capitolo della "primavera araba" cominciata a Tunisi e al Cairo, che vede a confronto il regime dispotico di Tripoli e gli insorti, avidi di libertà elementari, con Bengasi come roccaforte. Qui si vivono con trepidazione queste ore. La Libia liberata si sentiva abbandonata ed ecco che i paladini della democrazia, occidentali e arabi, volano nel cielo libico in suo soccorso. Sulle piazze gli shabab sparano per aria, con kalashnikov e mitragliatrici come fanno gli arabi quando vogliono festeggiare una vittoria, esprimere approvazione, o semplicemente per celebrare un matrimonio. Anche qui, dove scrivo, arrivano il crepitii dei kalashnikov e delle mitragliatrici antiaeree. I ragazzi, trasformati più in miliziani che in soldati, scaricano così il loro entusiasmo, hanno l'impressione, sparando contro il cielo vuoto, di partecipare alla battaglia. Ma al tempo stesso si esercitano, perché la guerra è tutt'altro che finita. Nonostante l'entusiasmo, si pensa che la no- fly zone, decretata dall'Onu e approvata dalla Lega araba, dagli stessi "fratelli" musulmani di Gheddafi, non fermerà la repressione. Non ridurrà al silenzio il raìs. È formidabile ma non sarà sufficiente, dicono i capi dell'insurrezione. Quando era annunciata, e si credeva fosse ormai in atto, la radio della Libia libera ha dato la falsa notizia all'una della notte di venerdì, le truppe di Gheddafi hanno sferrato un'offensiva in prossimità della periferia ovest di Bengasi. Se ne sono infischiati degli aerei francesi che si diceva fossero già in volo. Ero nella mia stanza, all'hotel Alnoran, a Bengasi, dove arrivavano i rumori attutiti di lontane esplosioni, quando un responsabile della sicurezza della città, visibilmente eccitato, ha bussato alla mia porta e mi ha suggerito di andarmene al più presto. "Lei non ha il visto del governo di Tripoli, è un clandestino, può avere dei guai seri se arrivano quelli di Gheddafi". Non mi ha convinto, non ho pensato che il pericolo fosse tanto imminente. Era ben chiaro: l'eccitazione del responsabile della sicurezza era esagerata, ma dalla finestra ho visto le colonne di automobili che si dirigevano verso l'uscita orientale della città. La gente fuggiva convinta di avere alle spalle le truppe del raìs. La scena era caotica. Clacson dispiegati. Vetture che si urtavano. Intere famiglie accatastate in automezzi di tutti i tipi, con i tetti carichi di bagagli. E gli shabab che cercavano di disciplinare il traffico. Distribuivano persino acqua, biscotti e tavolette di cioccolata. Sono stato trascinato dall'esodo, che si è diluito nel deserto, sul quale si era posata una nebbia tanto fitta e gelida da impedire il proseguimento del viaggio. La popolazione in fuga, ormai lontana dalla città, si è dispersa nelle fattorie accoglienti, dove i contadini distribuivano coperte e bevande calde. Vasti accampamenti si sono formati nel cuore della notte, fino all'alba, in pieno deserto. Questa breve, occasionale esperienza mi ha dimostrato quanto sia profonda la paura che gli uomini di Gheddafi incutono a larga parte della popolazione. L'offensiva alla periferia di Bengasi si è poi rivelata modesta. Come accade spesso, la propaganda delle due parti l'aveva ingigantita. Al punto da far credere che la metropoli di Bengasi, con più di 800.000 persone, stesse per essere accerchiata. Ma in questa situazione nevrotica la forza delle truppe di Tripoli si moltiplica, e il terrore dei "mercenari neri" assoldati da Gheddafi diventa un'arma terribilmente efficace. Questo sta a dimostrare che malgrado gli interventi aerei, e sia pure nell'impossibilità di usare l'aviazione e le piccole unità blindate, il raìs potrebbe essere in grado di proseguire la sua azione. Adottando beninteso un'altra tattica. Le sue truppe sono più organizzate e meglio armate di quelle formate dagli shabab. Nella notte tra venerdì e sabato, attraversando il deserto, in direzione di Tobruk, mi sono imbattuto in decine di miliziani anti-Gheddafi. Erano ragazzi educati e male armati. Pochi kalashnikov e molti bastoni. E una disciplina approssimativa, quindi un'inevitabile vulnerabilità. Gli shabab hanno bisogno di armi. Quelle fornite dal vicino Egitto non sembrano sufficienti. L'aviazione autorizzata dall'Onu segna una svolta nella guerra civile. Ma potrebbe non bastare e spingere a un impegno più esteso. A terra? Questo non è ancora nei piani. L'intervento aereo, pur nei limiti stabiliti, è una grande prova di solidarietà: l'Europa, anche se non compatta, per una volta si è mossa e nella giusta direzione. Ma dicono gli shabab, che sparano con entusiasmo per aria, dovrebbe essere soltanto un primo passo. (20 marzo 2011)
SCHEDA Le forze in campo MENTRE il regime libico annuncia il cessate il fuoco e la comunità internazionale accoglie la notizia con scetticismo, continuano sul terreno le preparazioni per possibili azioni armate contro i lealisti di Muammar Gheddafi. In prima linea Gran Bretagna e Francia, i due paesi che più hanno spinto per la risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza che istituisce la no-fly zone e autorizza a colpire obiettivi a terra. Ma ci saranno anche altri paesi, verosimilmente anche l'Italia con i suoi cacciabombardieri. Le forze in campo saranno pressoché solo aeree, e la bilancia pende molto a favore della coalizione anti-Gheddafi. L'aviazione libica è in cattivo stato da quando sono cessati nel 1989 gli aiuti militari sovietici, e benché disponga di mezzi sufficienti per attaccare con relativa impunità le milizie ribelli, non può tenere testa a quello che schiera la Nato. Ecco quali sono le forze che potrebbero prendere parte alle operazioni sui cieli della libia. Francia Il paese più attivo nel lavoro diplomatico che ha portato alla risoluzione di giovedì è anche uno dei due, oltre agli Usa, che con la Libia si è già scontrato militarmente, nel conflitto in Chad durante gli anni Ottanta. Per pattugliare i cieli e colpire obiettivi a terra l'Armée de l'air potrebbe utilizzare i celebri e collaudati Mirage e il suo nuovo gioiello, il Rafale. La versione Mirage 2000, che sarebbe impiegata sia come pattugliatore sia come bombardiere, è tra l'altro proprio quella che il fabbricante Dassault avrebbe voluto vendere a Gheddafi prima che scoppiasse la crisi. Sarebbe il battesimo del fuoco invece per il modernissimo Rafale, in servizio da pochi anni e mai esportato, che potrebbe anche operare dalla portaerei nucleare De Gaulle, attualmente in rada a Tolone ma che potrebbe raggiungere le coste libiche in pochi giorni. Le basi da cui potrebbe partire l'attacco francese sono Solenzara in Corsica e Istres sulla costa mediterranea. In entrambi casi sarebbero necessari rifornimenti in volo, per i quali la Francia dispone di aerocisterne Boeing Kc-135. Gran Bretagna I britannici dovrebbero invece rischierarsi a sud, probabilmente in Italia o nella base di Akrotiri a Cipro, per essere a portata della Libia. Anche in questo caso sarebbero impiegati un aereo dalla lunga storia, il bombardiere Tornado veterano dell'Iraq e della ex Jugoslavia, e uno nuovo, il caccia europeo multiruolo Typhoon, al quale sarebbe affidato il controllo dei cieli. Insieme alle aerocisterne, potrebbero essere schierati già nel fine settimana in Italia, forse insieme ai vetusti ma ancora efficaci quadrimotori da ricognizione e guerra elettronica Nimrod. Da mettere in conto anche due fregate portaelicotteri, Cumberland e Westminster, al largo della Libia. Usa Attualmente gli Usa hanno nel Mediterraneo la portaerei nucleare Enterprise e numerose altre navi d'appoggio. Gli F-18 a bordo della portaerei sono in grado sia di far rispettare la no-fly zone che di attaccare ogni tipo di obiettivo a terra. Da aggiungere centinaia di aerei in Europa, schierati tra Aviano in Italia e basi in Germania e Gran Bretagna: ci sono cacciabombardieri F-15, F-16 e aerei anticarro A-10. Italia "L'italia ha una forte capacità di neutralizzare i radar di ipotetici avversari", ha detto oggi il ministro della Difesa, Ignazio La Russa. E proprio questa potrebbe essere la capacità che l'Aeronautica potrebbe impiegare nelle fasi iniziali delle operazioni. A essere chiamati in causa sarebbero i Tornado della versione speciale Ecr, una quindicina di aerei di base a San Damiano vicino a Piacenza, equipaggiati con missili americani Agm-88 harm che si dirigono verso le emissioni radar per distruggere i sistemi di guida senza i quali i missili antiaerei sono ciechi. Un tipo di operazioni difficili e specializzate che i Tornado italiani hanno già svolto nel 1999 durante la campagna Nato contro la Serbia. Per il bombardamento potrebbero essere impiegati anche gli Av-8 Harrier della Marina, basati a Taranto ma impiegabili sulla portaerei Garibaldi. E da Grosseto e Gioia del Colle potrebbero volare i caccia Typhoon, gli aerei più moderni dell'Aeronautica militare, mai impiegati in combattimento. Danimarca e Norvegia Gli F-16 dei due paesi scandinavi partecipano da tempo alle operazioni Nato in Afghanistan, soprattutto con compiti di attacco al suolo. Il ministro della Difesa danese ha detto che quattro F-16 più due di riserva sono pronti a rischierarsi a sud. La Norvegia ha indicato una disponibilità simile. Altri paesi La Lega araba è a favore della no-fly zone, ma finora nessun paese membro ha offerto aerei. Se si dovesse arrivare a quel punto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi dispongono dei più moderni cacciabombardieri americani ed europei (F-15 sauditi e F-16 degli Emirati). Immediatamente confinante l'Egitto, che dispone di F-16 e Mirage 2000, ma finora ha indicato solo la disponibilità a fornire armi leggere ai ribelli. Libia Il regime di Gheddafi fa paura più per i missili antiaerei di cui dispone - una trentina di batterie secondo le valutazioni dell'intelligence Usa - che per gli aerei, quasi tutti vecchi Mig sovietici in cattive condizioni. Le informazioni sono incerte, ma probabilmente restano utilizzabili alcune decine di Mig-23, macchine degli anni Settanta che il colonnello ha impiegato contro i ribelli insieme ai pari età Su-22. I mig-21, addirittura degli anni Sessanta, sarebbero ridotti a poche unità. (18 marzo 2011)
LE OPERAZIONI "Sarà una guerra lampo prima che il raìs incendi i pozzi" I piani della coalizione: pioggia di fuoco giorno e notte. Nel mirino radar, cisterne e contraerea. Non ingaggerà in campo aperto: troppa la sproporzione delle forze Gheddafi non controlla né cielo né mare. I suoi Mig accecati dalla guerra elettronica di CARLO BONINI "Sarà una guerra lampo prima che il raìs incendi i pozzi" ROMA - Giorni. Pochi giorni. Non mesi. Tantomeno settimane. Le ragioni, l'agenda e i delicati equilibri che tengono insieme le cancellerie di Parigi e Londra, la Casa Bianca e la Lega Araba, definiscono i "battle plans" degli stati maggiori alleati. Promettono - lo ha sottolineato ieri Barack Obama, lo annuncia questo incipit di guerra con gli attacchi al suolo francesi su bersagli in movimento e con i 110 missili da crociera americani e inglesi rovesciati in meno di un'ora sui quadranti di Tripoli e Misurata - un conflitto rapido. Con fuoco dal mare e dall'aria su obiettivi militari libici indicati come "circoscritti": installazioni radar, centri di controllo e comando, fortificazioni e rifugi sotterranei, caserme, difese costiere, unità meccanizzate e corazzate, batterie di lancio della difesa aerea e missilistica, depositi di carburante, basi aeree. Una violenta spallata pianificata, di qui ai prossimi giorni, da una routine di fuoco in diverse e ripetute ondate. Di giorno e di notte. Cui saranno chiamati a partecipare i caccia dell'intera coalizione. Che accechi il sistema di difesa libico e ne pieghi la resistenza. Che risparmi alle opinioni pubbliche occidentali e arabe lo spettacolo di un nuovo cruento pantano nel deserto utile solo a rafforzare Muhammar Gheddafi. Evocativa persino nel nome scelto dai comandi americani (il generale Carter Ham del comando Africa-Mediterraneo e l'ammiraglio Sam Lockler della quinta flotta): una "Odissea all'Alba" che scommette su una reazione emotiva nei bunker di Tripoli, nei quadri ufficiali dell'esercito e dell'aviazione libici, in grado di squagliare rapidamente quel che resta della esile catena di comando politico-militare che ancora si stringe intorno al Colonnello. Il "tempo" - come sostengono in queste ore qualificate fonti militari italiane e americane - diventa dunque la chiave di uno scenario bellico dalle forze convenzionali impari. In cui i numeri, per altro incerti, raccontano di un esercito della Jamahiriya male in arnese. Di una potenza regionale da 93mila uomini in armi tra truppe regolari e miliziani. Un tempo formidabile, ma oggi consumata da vent'anni di un embargo che, tra la metà degli anni Ottanta e i primi anni 2000, ne ha invecchiato gli arsenali, per lo più di fabbricazione sovietica, e ridotto le capacità operative. Buona con i suoi 600 vecchi carri T-62 e T-72 e i suoi blindati per annichilire una rivolta di popolo o una minaccia regionale. Non per sottrarsi, in assenza di un ombrello difensivo aereo adeguato, a una pioggia di missili da crociera esplosi dal mare da incrociatori e sottomarini o al "tiro al piccione" nel deserto da parte di caccia di ultima generazione francesi, inglesi, americani. Come del resto le prime ore di guerra hanno già dimostrato. Quel che resta dell'aviazione del Colonnello e del suo sistema missilistico di difesa terra-aria "Sam" non ha infatti alcuna possibilità non solo di oltrepassare il raggio di azione del proprio spazio aereo, ma neppure di reggere alla potenza elettronica, prima ancora che di fuoco, con cui la Nato e persino singoli paesi come Francia, Inghilterra, Stati Uniti sono in grado di accecare i cockpit dei piloti libici, di rendere il loro volo un'avventura "a vista". Anche il Colonnello sa che i suoi 70 Mig e 80 Sukhoi sono solo dei pezzi di ferro parcheggiati a bordo di una pista se nessuno è in grado di proteggerne la rotta. Che la "lezione" della guerra in Kosovo continua a essere valida. Allora, Milosevic ordinò d'imperio che si alzassero i Mig serbi per dirigersi sull'Adriatico, solo per constatare la rapidità con cui vennero polverizzati poco dopo il decollo. "Gheddafi non è uno sciocco e non getterà i suoi aerei nelle nostre fauci. Se dovesse resistere al primo urto, non sacrificherà in una notte le sue batterie di lancio. Eviterà, per non perderla in pochi secondi, di impegnare tutta la sua difesa contraerea. Per non parlare della sua marina, una cenerentola che, in questo momento, non è in grado di contendere il mare alla flotta alleata che ha di fronte", conviene una fonte militare italiana. Non è un caso che, ieri, l'aviazione francese non abbia incontrato alcuna resistenza aerea. E non è un caso che nei war games, le simulazioni con cui in questi ultimi giorni gli stati maggiori alleati hanno già combattuto decine di volte una guerra appena cominciata, il Rais venga accreditato di mosse più ferocemente creative. Gli scudi umani, nell'oscena tradizione dell'Iraq di Saddam e come già denuncia da Londra il "Democratic Libya Information Bureau", voce dell'opposizione libica in esilio, che parla di "detenuti e bambini a protezione di obiettivi militari". O, ancora, la presa di ostaggi di chi, occidentale con in tasca il passaporto di un Paese della coalizione dei volenterosi, sia ancora su suolo libico. Peggio, l'incendio dei pozzi petroliferi di Ras Lanuf, Marsa el Brega, Tobruk. Questa sì, mossa in grado di scatenare un'apocalisse ambientale nel Mediterraneo, di complicare i piani alleati e di trasformare l'Odissea all'alba in un Inferno. (20 marzo 2011)
CRISI LIBICA Da Parigi via libera all'attacco Sarkozy: "Gheddafi non ci ha ascoltati" Con il summit è cominciato di fatto l'intervento militare in Libia. L'inquilino dell'Eliseo: "Il Colonnello è ancora in tempo per evitare il peggio, se rispetterà la risoluzione dell'Onu". I caccia francesi sono già su Bengasi e impediscono i raid degli aerei del raìs Da Parigi via libera all'attacco Sarkozy: "Gheddafi non ci ha ascoltati" Nicolas Sarkozy e HIllary Clinton all'ingresso al vertice di Parigi PARIGI - L'intervento militare in Libia di fatto è già iniziato. In una breve conferenza stampa al termine del vertice convocato a Parigi, il presidente Nicolas Sarkozy ha detto che i caccia francesi sono già sul Paese e stanno impedendo gli attacchi aerei di Gheddafi contro Bengasi. L'aviazione, ha aggiunto, è pronta a colpire i carri armati del raìs che assediano la città. Il Colonnello è "ancora in tempo di evitare il peggio - ha aggiunto Sarkozy - se rispetterà senza ritardo e senza riserve la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu 1". La Francia, ha concluso l'inquilino dell'Eliseo, "ha deciso di assumere il proprio ruolo di fronte alla storia". Quanto all'Italia, "per ora metterà a disposizione solo delle basi - ha spiegato Silvio Berlusconi al termine dell'incontro - ma noi siamo disponibili a fornire mezzi 2 ove richiesto". Nessun timore dai missili di Tripoli: "La loro gittata è tale - ha aggiunto il presidente del Consiglio - da non poter raggiungere il nostro territorio". VIDEO L'annuncio di Sarkozy 3 Al vertice "per il sostegno al popolo libico" Advertisement hanno partecipato - oltre alla Francia - Gran Bretagna, Usa, Germania, Italia, Canada, Spagna, Norvegia, Qatar, Giordania, Emirati Arabi, Portogallo, Polonia, Marocco, Olanda, Belgio, Danimarca e Grecia. Presente il segretario generale dell'Onu Ban Ki-Moon e, per l'Unione europe, l'Alto rappresentante Catherine Ashton e il presidente del Consiglio Herman Van Rompuy. Non ha partecipato alcun rappresentante dell'Unione africana: come hanno precisato fonti dell'Eliseo, è in corso in Mauritania una riunione dell'organizzazione che sta elaborando la strategia diplomatica da utilizzare nella crisi libica. "Siamo pronti con ogni mezzo a fare rispettare la decisione del Consiglio di sicurezza dell'Onu - ha detto Sarkozy - abbiamo dovuto prendere una grave decisione, ma la nostra determinazione è totale. La porta della diplomazia verrà riaperta quando si fermerà l'aggressione contro il popolo libico. Per evitare il peggio, Gheddafi rispetti senza indugi e senza riserve la risoluzione delle Nazioni Unite". E ancora: "Oggi interverremo con i nostri partner per proteggere la popolazione civile contro la follia omicida di un regime che uccide la propria gente. Interverremo - ha concluso Sarkozy - per permettere ai libici di scegliere il proprio destino. Non devono essere privati dai loro diritti dalla violenza e dal terrore". "Non possiamo più assistere ai massacri in Libia restando con le braccia conserte", ha detto al termine del vertice il presidente della Ue, Herman Van Rompuy. Gli ha fatto eco Cameron: Gheddafi ha rotto il cessate il fuoco e questo rende urgente l'adozione di misure che evitino che il numero delle vittime tra la popolazione civile possa crescere, ha detto il premier britannico. "E' giunto dunque il momento di agire, in maniera urgente - ha concluso per mettere in atto le decisioni delle Nazioni Unite. Non possiamo più permettere il massacro dei civili".
La riunione è stata preceduta da un pre-vertice tra il padrone di casa Sarkozy, il premier britannico David Cameron e il segretario di Stato americano, Hillary Clinton. All'immediata vigilia del summit, Gheddafi aveva rivolto un messaggio alle potenze che hanno sostenuto la risoluzione del Palazzo di Vetro. "Rimpiangerete ogni ingerenza" ha scritto nelle lettere inviate a Francia e Gran Bretagna, due delle quattro missive che ha inviato ai grandi della Terra - le altre due a Obama e a Ban-ki-Moon - con un sorprendente gesto diplomatico in extremis. (19 marzo 2011)
IL COMMENTO Rombano i motori dell'armata dell'Occidente di EUGENIO SCALFARI A PARIGI il vertice internazionale dei Paesi interventisti ha deciso l'attacco militare immediato avvertendo Gheddafi che lo stop ai raid è subordinato alla sua resa. Gli aerei delle potenze che agiscono sulla base della risoluzione dell'Onu sono arrivati nelle basi italiane. L'operazione militare è cominciata, ma il dibattito politico in Europa è apertissimo. Aiutare gli insorti, impedire che le milizie del raìs libico occupino Bengasi e Tobruk, soccorrere i profughi e arginare l'ondata dei migranti, sono obiettivi condivisi da tutti. Resta invece una differenza di opinioni molto profonda sui limiti tattici dell'intervento e sulla strategia politica nei confronti di Gheddafi. Bisogna impacchettarlo consegnandolo alla Corte di giustizia internazionale e processarlo per i crimini commessi contro il suo popolo? Oppure munirlo d'un salvacondotto ed esiliarlo? Oppure ancora lasciargli una parvenza di potere in una sorta di libertà vigilata disarmata e commissariata? Infine: bisogna mantenere l'unità della Libia o prendere atto che quell'unità è un'invenzione perché Tripolitania e Cirenaica sono realtà diverse dal punto di vista storico, tribale, religioso e la loro fittizia unità è stata imposta dal colonialismo italiano prima e dalla dittatura di Gheddafi poi? Questo dibattito divide trasversalmente l'opinione pubblica europea ed anche i governi dell'Unione. Soprattutto divide Parigi da Berlino, Sarkozy da Angela Merkel. Bombardare o negoziare, questo è il tema. In Italia Advertisement divide anche la destra; Berlusconi, dopo il lungo fidanzamento con il raìs libico, è entrato a far parte degli interventisti; Bossi si è allineato con la Merkel. Ma la divisione attraversa anche l'opinione pubblica al di là degli schieramenti politici. Un fenomeno analogo si verificò trent'anni fa, quando l'Urss cominciò a dare palesi segnali di implosione. Regnava al Cremlino Breznev ma crescevano le tensioni all'interno del partito e del regime tra chi voleva perpetuare all'infinito la dittatura post-staliniana e chi voleva invece aprire la strada ad un "comunismo dal volto umano". L'opinione pubblica e le cancellerie occidentali si divisero tra i favorevoli all'innovazione e chi vedeva in Breznev una garanzia di stabilità europea e mondiale. Si sa come finì: Breznev, stroncato dalla malattia, aprì la strada ad Andropov, seguito da Cernenko, poi venne Gorbaciov, la "perestrojka", Eltsin e infine Putin. Storie molto diverse e non paragonabili con quella libica ma è interessante ricordare come reagì allora l'Occidente e come reagisce oggi sul caso Gheddafi. Le analogie sono forti. Alla base, come sempre avviene in politica, ci sono i diversi interessi che ispirano l'azione dei governi e orientano la pubblica opinione. * * * Poche settimane fa, dopo la caduta di Mubarak, del dittatore tunisino Ali e delle insorgenze nello Yemen e negli Emirati, anche i giovani di Tripoli e soprattutto di Bengasi si ribellarono mettendo a mal partito la dittatura di Gheddafi che durava da oltre quarant'anni. L'Occidente non ebbe esitazioni: il caso libico appariva come un altro tassello della rivoluzione nord-africana; al Qaeda era scavalcata da un movimento che vedeva insieme uomini e donne, motivato da uno slogan formidabile: "pane e libertà", al tempo stesso sociale e ideale. Sembrò e in gran parte rimane una svolta storica, un'innovazione profonda che scavalcava il terrorismo di Bin Laden, il fondamentalismo coranico e talebano, aprendo un capitolo inedito nella convivenza delle civiltà. Questa fu la prima e unanime reazione dell'opinione pubblica ed anche delle cancellerie occidentali ma si pose subito il problema della gestione politica della fase successiva all'abbattimento delle dittature. In Egitto l'esercito è sempre stato il perno dello Stato e non poteva che esser l'esercito a gestire la transizione. La storia della Turchia ne forniva l'esempio. In Tunisia mancava la "risorsa" dell'esercito e infatti la transizione si presenta ancora fragile e agitata. La Libia è un caso a sé, assai diverso dagli altri. Il paese è geograficamente immenso, demograficamente assai poco popolato, non arriva a cinque milioni di abitanti. Ricco di petrolio solo parzialmente sfruttato. Da quasi mezzo secolo guidato da Gheddafi con mano di ferro, accortamente populista, spregiudicato, corrotto, avventuroso oltre ogni limite. L'esercito non è che una milizia ben pagata e ammaestrata, con reparti speciali mercenari, una sorta di "legione straniera" assai contundente e feroce. Convincerli alla resa è molto difficile. Alle brutte i mercenari si squaglieranno, la milizia tribale si difenderà fino alla fine. Dopo l'inizio dell'operazione militare resta dunque la domanda: bombardare fino a che punto? Negoziare fino a che punto? * * * Si possono, anzi si debbono bombardare gli aeroporti, abbattere i caccia se si alzeranno o distruggerli a terra, smantellare gli impianti di comunicazione, colpire le truppe se non si ritireranno nelle caserme. Più in là non si può andare. Quanto alla negoziazione si può forse rilasciare un salvacondotto al raìs e ai suoi familiari. Se non ci sta, bisogna abbatterlo, ogni altra soluzione è impensabile, sarebbe fonte di trappole continue e di incontrollabili avventure. A questa strategia vengono opposte due obiezioni. La prima sostiene che il mandato dell'Onu non può violare la sovranità di uno Stato che tra l'altro non ha invaso nessun altro paese. Saddam Hussein aveva invaso il Kuwait però si ritirò subito dopo l'ingiunzione internazionale ma l'armata di Bush in nome dell'Onu lo inseguì fino a Baghdad, lo processò e lo giustiziò. L'Onu di tanto in tanto assume le sembianze di uno Stato mondiale di fronte al quale le sovranità nazionali debbono cedere il passo. È avvenuto di rado ma alcune volte le sue risoluzioni hanno avuto questa valenza. In quante occasioni avremmo voluto l'esistenza di uno Stato mondiale nell'era della globalizzazione? La seconda obiezione è: che cosa avverrà dopo? Una Libia senza un capo, senza una classe dirigente, sarà ancora governabile? Si dividerà in due, in tre, in cinque pezzi? Diventerà preda dei signori della guerra? E il suo petrolio? Le sue città? Le sue aziende? Gli investimenti esteri? I pessimisti temono che la Libia senza Gheddafi sarà un'altra Somalia, nido di briganti e di pirati. È un destino che le ex colonie italiane facciano tutte questa fine? * * * Questa obiezione è più pertinente della prima. Non considera però che anche in Tripolitania e in Cirenaica esiste un ceto evoluto, esiste una rete di aziende produttive, un artigianato folto, una gioventù che aspira a cimentarsi con l'amministrazione e con la politica e una religione che fa da cemento sociale. Bisogna accompagnare questa fase di rinnovamento, aiutarli a costruire uno Stato, un'amministrazione, una rete di commerci e di produzione. La Turchia può aiutare, l'Egitto può aiutare. L'Europa deve aiutare e l'Italia che ha responsabilità notevoli a causa di un antico e di un recentissimo passato con parecchi peccati da scontare. Romano Prodi in una recente intervista ha tracciato una lucida visione del "che fare" nell'Africa mediterranea e in Libia in particolare. Parlava con la duplice esperienza di ex presidente del Consiglio e di ex presidente dell'Unione europea. Proponeva tra le altre cose trattati di associazione dei Paesi africani mediterranei all'Unione europea. Non ingresso nell'Unione per il quale non esistono le condizioni, ma associazione, amicizia istituzionalizzata a vari livelli secondo le condizioni politiche, sociali ed economiche di quei Paesi. Queste proposte andrebbero riprese e messe con i piedi per terra. Il Mediterraneo è stato per millenni il centro del mondo atlantico. In tutte le sue sponde è un mare europeo e ancora di più lo è oggi con l'immigrazione che in questo Ventunesimo secolo cambierà la fisionomia etnica del continente. Flussi di persone e di famiglie, flussi di capitale e di investimenti, flussi culturali e religiosi, conquista di diritti, osservanza di doveri poiché ogni dovere suscita un diritto e ogni diritto comporta un dovere. L'Italia ha una missione da adempiere e una grande occasione da cogliere. Noi ci auguriamo che ne sia all'altezza. Le esortazioni di Giorgio Napolitano ci siano, anche in questo, di insegnamento e di stimolo. In questi mesi la figura del nostro Presidente ha acquistato uno spessore etico e politico che ne fa il punto di riferimento di tutto il Paese. Questa unanimità non è posticcia né retorica, esprime un sentimento e un bisogno. Ci rafforza come nazione. Rafforza i nostri legami europei. Suscita all'estero rispetto e ascolto. Non eravamo più abituati a questa considerazione, avevamo scambiato (alcuni avevano scambiato) la politica delle pacche sulle spalle per considerazione internazionale. Ora non è più così. Abbiamo una guida ed una rappresentanza migliore. Possiamo di nuovo considerare la nostra presenza mediterranea come un punto di forza non solo per noi e per i nostri legittimi interessi nazionali, ma per l'Europa e per l'Occidente. (20 marzo 2011)
SCHEDA La risoluzione Onu sulla Libia La risoluzione Onu sulla Libia Il momento del voto all'Onu NEW YORK - No fly zone; protezione dei civili, da subito, a Bengasi; divieto di voli commerciali da e per la Libia; rafforzamento dell'embargo sulle armi, ma escludendo esplicitamente una "forza occupante" in Libia: sono questi gli elementi chiave della risoluzione approvata dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Il testo chiede un immediato "cessate il fuoco e la fine completa delle ostilità". Questa frase è stata inserita su richiesta della Russia, che voleva l'approvazione di un testo diverso da quello messo a punto, nella versione finale, dalla delegazione francese. NO FLY ZONE - La risoluzione vieta "tutti i voli nello spazio aereo (...) con l'obiettivo di proteggere i civili". Il divieto non si applica "ai voli il cui unico obiettivo è umanitario". Gli Stati, che "potranno agire a livello nazionale o tramite organizzazioni regionali", vengono autorizzati a mettere in atto la no fly zone. Le operazioni dei jet militari andranno intraprese "dopo aver notificato al segretario generale (dell'Onu) e al segretario generale della Lega Araba". PROTEZIONE DEI CIVILI, MA NO A 'FORZA OCCUPANTE' - Il testo autorizza l'uso di "tutte le misure necessarie" per "proteggere i civili e le aree civili popolate sotto minaccia di attacco in Libia, compresa Bengasi", citata esplicitamente per permettere un intervento prima dell'arrivo delle forze di Muammar Gheddafi. Il Palazzo di Vetro dovrà essere "informato immediatamente delle misure intraprese dagli Stati" a questo scopo. In questo passaggio, rispetto alla prima versione, è stato aggiunto un inciso importante che "esclude una forza occupante" nel Paese africano. RAFFORZAMENTO EMBARGO E SANZIONI - La risoluzione impone misure ancora più dure per fermare le armi che arrivano ai soldati di Gheddafi e "al personale mercenario armato", autorizzando ispezioni in "porti e aeroporti, in alto mare, su navi e aerei". Riguardo le sanzioni contro il regime, la bozza aggiunge nuovi nomi rispetto a quelli contenuti nella risoluzione 1970, approvata qualche giorno fa. In particolare, vengono inseriti l'ambasciatore della Libia in Ciad e il governatore di Ghat (nella Libia del Sud), perché "coinvolti nel reclutamento dei mercenari" da altri Paesi dell'Africa. BANCHE BLOCCATE E STOP AI VOLI COMMERCIALI - Vengono bloccate una serie di entità finanziare libiche quali la Central Bank of Libya, la Libyan Investment Authority, la Libyan Foreign Bank, oltre che la Libyan National Oil Company. Tutti i voli di tipo commerciale da e per la Libia vengono vietati, esattamente come quelli militari, per fermare l'afflusso di denaro nelle casse del regime o l'arrivo di nuovi mercenari. (18 marzo 2011)
LA PAROLA Di Carlo Galli Guerra (dall'antico germanico werra). Combattimento militare fra collettività politiche. La guerra è una modalità d'espressione e di manifestazione della politica, in quanto lotta per il potere, per la supremazia, per vantaggi economici. Nel corso della storia innumerevoli sono le cause, le giustificazioni, l'intensità, le modalità di conduzione della guerra, le immagini del nemico. Dopo l'età delle guerre giuste medievali - che fanno della guerra la riparazione di un torto - e dopo le guerre civili di religione della prima età moderna, che hanno mostrato l'insostenibilità del tradizionale legame fra guerra e sacro, la piena modernità tende a mettere la guerra sotto il controllo della politica, e a farne un diritto di sovranità; è quindi legittima solo la guerra fra Stati, che si affrontano con eserciti regolari. Nel XX secolo l'ideologizzazione della politica, lo spostamento della guerra anche all'interno (le rivoluzioni, le guerre civili), l'aumento smisurato del potenziale distruttivo delle armi, il coinvolgimento dei civili e dell'intera società nella guerra totale, danno nuovo vigore alle critiche che hanno accompagnato la guerra (da Erasmo a Kant) e spingono gli Stati (anche l'Italia repubblicana) ad abbandonare la guerra come diritto sovrano, e come mezzo normale di risoluzione delle controversie internazionali, per promuovere istituzioni internazionali (la prima è l'Onu) che, in caso di aggressione di uno Stato a un altro, o anche ai propri cittadini, regolino l'uso della forza secondo il diritto internazionale. In questa logica la guerra è un'operazione di polizia, che pone rimedio a un grave crimine. Al di là del dato formale e normativo la guerra continua tuttavia a esistere, soprattutto come guerriglia, terrorismo e controterrorismo, cioè in forme asimmetriche, in cui gli Stati non fronteggiano le forze armate di altri Stati, ma combattenti irregolari difficilmente distinguibili dai civili. (19 marzo 2011)
MOVIMENTI Di Carmine Saviano 19 mar 2011 Libia, la rabbia dei berluscones Una questione di coerenza. Centinaia di commenti. Su Forzasilvio.it e su Spazio Azzurro, i due forum ufficiali dove gli elettori del Pdl dicono la loro sulle mosse del governo e di Silvio Berlusconi. Un coro, quasi unanime, per criticare la posizione del governo sull’intervento in Libia. In gioco, per i berluscones, l’immagine stessa del partito e della compagine governativa. "No all’intervento in Libia. Non per vigliaccheria, ma per la coerenza". Ovvero: amici fino a ieri, e oggi? Spazio Azzurro e ForzaSilvio. I commenti arrivano senza sosta. La bacheca di Spazio Azzurro, pubblica, è stata chiusa. Si riapre lunedì mattina. Ma su Forzasilvio.it il dibattito continua. Con argomentazioni che tirano in ballo politica, economia, strategia militare. Il tono è colloquiale, amichevole. I contenuti, no. Sotto accusa il ministro Frattini, reo di non avere compreso il "prendere tempo" del premier. "Caro Presidente sulla Libia stiamo facendo un errore colossale. Non mi sono piaciute le prese di posizione di Frattini. Mentre Lei aveva preso tempo in modo diplomatico sapendo che con Gheddafi sarebbe stato diverso da Tunisi e dal Cairo". Corto circuito. E c’è anche chi fa ipotesi sulle cause del comportamento del titolare della Farnesina. "Le anticipazioni di Frattini hanno obbligato a inseguire una traccia che andava discussa nel Pdl prima. Un ministro degli Esteri non fa errori di questo tipo a meno che trovando Lei impegnato in vicende private, abbia voluto forzare la mano". Poi le minacce di abbandono: "Sono molto critico e spero di rimanere ancora nel Pdl". Per alcuni il corto circuito è innescato da mesi di ostentata amicizia tra Berlusconi e il Raìs: "Dove andrà a finire la nostra credibilità internazionale, se dopo aver sottoscritto trattati di amicizia e patti economici con la Libia, adesso andiamo ad intrometterci in quelle che non potrebbero essere altro che lotte tribali per la conquista del potere?". In Parlamento. Alcuni chiedono al presidente del Consiglio di non partecipare alle operazioni. Di seguire la Germania sulla strada dell’astensione. "Silvio non farti coinvolgere dai guerrafondai. La faccenda è molto losca e tu meglio di tutti noi sai cosa si nasconde sotto". Poi la richiesta di una discussione in Parlamento: "Signor Presidente attenzione alla Libia. Condivida le responsabilità con le camere non prenda decisioni prima di avere ascoltato il parere di chi rappresenta il popolo". E non mancano le preoccupazioni per i costi della missione: "l’appoggio all’Onu ci costerà una valanga di soldi, di mezzi e speriamo non di vite umane. Perché dobbiamo pagare noi che non siamo membri permanenti?". Scritto sabato, 19 marzo 2011 alle 18:07
IL NON SENSO della VITA Di Piergiordio Odifreddi 19 mar 2011 Voltafaccia all’italiana E’ significativo e appropriato che, nel momento delle celebrazioni dell’Unità d’Italia, gli italiani, o almeno i rappresentanti istituzionali da loro liberamente eletti, soffino sulle candeline della torta confermando una delle nostre doti più caratteristiche: la capacità di fare i peggiori voltafaccia a cuor sereno, adducendo le motivazioni più false. Il più vergognoso di questi voltafaccia è forse quello nei confronti di Gheddafi e della Libia. Un anno fa abbiamo dovuto assistere all’accoglienza da terzo mondo riservata al colonnello, col quale Berlusconi aveva addirittura firmato un trattato d’amicizia fra i popoli libico e italico. Durante lo scoppio della crisi, silenzio. E ora siamo pronti non solo ad assistere silenti all’invasione del paese, ma a parteciparvi attivamente, fornendo basi e truppe. Forse che Gheddafi è diverso oggi, da com’era un anno fa? Ovviamente no. Il voltafaccia ha motivazioni molto terra terra, benchè il ministro della Difesa abbia coraggiosamente assicurato che nelle operazioni i nostri non metteranno piede sull’ex paese amico. Queste motivazioni sono che gli Stati Uniti e la Francia hanno deciso di intervenire, e c’è il rischio che ci sostituiscano nello sfruttamento commerciale del paese. Naturalmente, le motivazioni di Obama e Sarkozy non sono molto più elevate. In fondo, presiedono entrambi paesi che sono ancora letteralmente coloniali: nel senso di possedere letterali colonie, che vanno da Puerto Rico alla Nuova Caledonia. E si tratta di paesi che hanno sempre avuto interessi in generale nel Nord Africa, e in particolare in Libia: ad esempio, il primo intervento armato che gli Stati Uniti effettuarono al di fuori del continente americano fu appunto un bombardamento su Tripoli, nel … 1804! Ma restiamo ai nostri voltafaccia. Un altro è seguìto agli incidenti nucleari causati dal terremoto del Giappone. Mentre tutto il mondo faceva un esame di coscienza e meditava sull’energia atomica, il governo italiano continuava a dichiarare imperterrito che avrebbe mantenuto in vita il programma di costruzione delle centrali nucleari. Salvo accorgersi che la cosa poteva danneggiarlo dal punto di vista elettorale, come si è lasciata scappare "fuori onda" l’ineffabile ministro per l’Ambiente. E allora, marcia indietro, senza nessun problema. Naturalmente, non possiamo dimenticare che è proprio grazie a questa nostra dote naturale che siamo risultati i veri vincitori della Seconda Guerra Mondiale. Gli unici, cioè, che sono sempre stati dalla parte dei vincitori, per tutto il conflitto: prima con l’asse, e poi con gli alleati. All’epoca si diceva che eravamo il doppio di quanti sembravamo, cioè 90 milioni: 45 milioni di fascisti prima della guerra, e 45 milioni di antifascisti dopo. D’altronde, a proposito di fascisti, cos’altro era il Concordato del 1929, se non un altro storico voltafaccia? Personale, dell’ateo Mussolini. E nazionale, dell’Italia risorgimentale che aveva sconfitto lo Stato Pontificio ed era sorta sulle sue ceneri. Per 68 anni, dal 1861 al 1929, appunto, quell’Italia era rimasta laica e libera, e da un giorno all’altro si era ritrovata clericale e coatta. Eppure, nelle celebrazioni di questi giorni quell’Italia è assente. Perchè dovunque, in prima fila tra le autorità alle cerimonie, si vedono vescovi e cardinali. Quando non avviene il contrario, e ad essere in prima fila sono invece le autorità alle celebrazioni religiose. Addirittura, il 17 marzo, alla solenne messa celebrata dal Segretario di Stato e conclusa con il canto del Te Deum: che i preti, naturalmente, hanno ragione a cantare, per ringraziare Dio di aver reso così malleabili e generosi i governanti italiani. Naturalmente, tra i cantanti del coro ce n’erano molti che stavano facendo anch’essi il loro bel voltafaccia. A partire dal presidente della Repubblica, (ex) comunista e ateo come il miglior Togliatti: responsabile, quest’ultimo, dello storico voltafaccia alla Costituente che causò il recepimento del Concordato clerico-fascista nell’articolo 7 della Costituzione laico-repubblicana. Noi italiani siamo fatti così. E questo ci infonde speranza, perchè presto o tardi faremo un nuovo voltafaccia, e gireremo le spalle anche a Berlusconi. Non si troverà più uno che ammetterà che l’aveva votato, così come una volta non si trovava uno che ammettesse di aver votato la Democrazia Cristiana, che pure era il partito di maggioranza relativa. A festeggiare l’Italia dei voltafaccia, io aspetterò quel momento, anche se sarà ormai troppo tardi per gioire. Scritto sabato, 19 marzo 2011 alle 18:50
Lampedusa, altri tre sbarchi nella notte Napolitano alle Regioni: "Serve accoglienza" Solo ieri erano arrivati in 500 e nella struttura che ospita gli stranieri ci sono gravi problemi igienico-sanitari. Appello del capo dello Stato per risolvere l'emergenza immigrazione. E intanto gli sbarchi non si fermano.Per far fronte all'emergenza di Lampedusa arriverà la nave San Marco della Marina Militare Lampedusa, altri tre sbarchi nella notte Napolitano alle Regioni: "Serve accoglienza" "Solidarietà sul piano d'accoglienza". Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, lancia un appello a tutte le regioni d'Italia per far fronte all'emergenza immigrazione. Una nota del Quirinale informa che "il capo dello Stato, informato dal sindaco di Lampedusa, ha espresso vicinanza alla popolazione dell'isola per le difficoltà che sta affrontando e per l'impegno con cui contribuisce a superarle". E intanto, l'emergenza sbarchi prosegue. Nel pomeriggio, il pattugliatore Borsini della Marina militare ha soccorso una sessantina di migranti che si trovavano a bordo di un barcone in difficoltà, a 37 miglia a sud-est di Lampedusa. Un'altra imbarcazione in difficoltà con una quindicina di immigrati è stata invece soccorsa da un peschereccio di Mazara del Vallo, a una cinquantina di miglia dalla costa. Gli immigrati sono stati salvati dopo aver lanciato l'allarme perché il barcone su cui stavano navigando verso l'Italia aveva cominciato ad imbarcare acqua. La scorsa notte sull'isola sono approdati in 378. Nel primo natante, approdato a cala Creta, c'erano 116 persone; in un altro arrivato a Capo Grecale, 118, e nel terzo entrato in porto altre 144 persone. Ieri, erano arrivati 500 migranti e nel centro di accoglienza, ormai invivibile, ci sono ormai 3 mila persone: così, iniziano ad esserci gravi problemi igienico-sanitari. I lampedusani, dopo la manifestazione di ieri, hanno annunciato nuove iniziative di protesta. "Siamo e ci sentiamo fortemente italiani - dice il sindaco De Rubeis - amiamo la bandiera e per noi il presidente Napolitano rappresenta più che un padre affettuoso e protettivo". Il primo cittadino di Lampedusa lancia un appello: "Invito tutti gli esponenti politici nazionali, regionali e persino quelli dell'isola a evitare strumentalizzazioni politiche in questo momento di grande difficoltà e sono convinto che le parole di un uomo super partes come il presidente Napolitano possano essere di aiuto anche in questa direzione". Per far fronte all'emergenza di Lampedusa, il governo ha intanto deciso di schierare la nave San Marco della Marina militare: sarà impiegata per accogliere a bordo almeno un migliaio di immigrati ospitati a Lampedusa. L'unità navale è attualmente ormeggiata nel porto di Augusta. E' stato il prefetto di Palermo, Giuseppe Caruso, commissario straordinario per l'emergenza immigrati, a richiedere l'invio di una nave militare che verrebbe utilizzata fino quando non sarà attrezzata la tendopoli annunciata nei giorni scorsi. (19 marzo 2011)
IL VOTO Egitto, verso la vittoria dei sì al referendum Approvati gli emendamenti alla Costituzione Il fronte dei favorevoli avrebbe raggiunto un risultato tra il 75 e il 90 % dei consensi. L'affluenza alle urne ha superato l'80 %. A favore i Fratelli Musulmani e il partito dell'ex rais, contrari i giovani della rivoluzione, i copti e i candidati alla presidenza Mohamend El Baradei e Amr Mussa, attuale segretario generale della Lega araba Egitto, verso la vittoria dei sì al referendum Approvati gli emendamenti alla Costituzione IL CAIRO - Il sì agli emendamenti costituzionali ha vinto nel referendum che si è svolto ieri in Egitto. Lo riferisce l'agenzia Mena indicando che in quattro regioni il sì ha ottenuto fra il 75% e il 90% dei consensi. Secondo i primi dati l'affluenza alle urne ha superato l'80%. Secondo i dati diffusi dall'agenzia Mena, nella regione del Fayum il sì ha ottenuto il 90% dei voti, nel sud Sinai il 75,7%, nelle due regioni del delta di Qalyubiya e di Kafr el Sheikh l'80% e l'87,9% rispettivamente. Mancano ancora i dati definitivi della regione di Qena nell'alto Egitto e di Luxor perchè siano diffusi i risultati definitivi. Il referendum sulle modifiche alla Costituzione è stato il primo voto del dopo Mubarak. A sostegno del sì si sono schierati i Fratelli Musulmani e il partito dell'ex rais, il partito democratico nazionale. Per il no i giovani della rivoluzione e i partiti che li sostengono e i copti, oltre ai più gettonati candidati alla presidenza Mohamed El Baradei, oggetto ieri di un'aggressione al seggio, e Amr Mussa, attuale segretario generale della Lega araba. Ai 45 milioni di aventi diritto è stato chiesto di scegliere se approvare o meno il pacchetto di riforme costituzionali proposto da un Comitato di saggi insediato dal Consiglio militare supremo. La vittoria del sì consentirebbe l'organizzazione di elezioni parlamentari e presidenziali entro la fine dell'anno, mentre il no costringerebbe la giunta militare a prolungare la scadenza dei sei mesi prevista a settembre, per il passaggio del potere nei mani di un governo civile. La riforma prevede la limitazione del numero di mandati presidenziali, l'allentamento delle restrizioni per candidarsi, il rafforzamento del controllo della magistratura sulle elezioni e l'abolizione del potere presidenziale di ordinare processi militari contro i civili. Non sono mancate da più parti le voci che contestano questo voto e che hanno chiesto di votare no. In prima fila ci sono Mohammed El-Baradei, premio Nobel ed ex Segretario generale dell'Aiea, e Amr Moussa, l'attuale segretario generale della Lega Araba, che chiedevano a gran voce che venisse scritta una nuova Costituzione prima di andare al voto. In questo modo si sarebbe dato tempo ai nuovi partiti politici di prepararsi per le prossime elezioni parlamentari, perchè "organizzarle quest'anno" avrebbe favorito i due più grandi e meglio organizzati partiti della scena politica egiziana: il partito dell'ex rais, Il partito nazionale democratico (Ndp) e i Fratelli musulmani. Molte altre voci della società civile egiziana hanno usato i social network e le pagine dei giornali per chiedere una riforma completa della Costituzione, che metta al riparo il Paese dall'instaurarsi di una nuova dittatura. (20 marzo 2011) 2011-03-19 CRISI LIBICA Da Parigi via libera all'attacco Sarkozy: "Gheddafi non ci ha ascoltati" Con il summit è cominciato di fatto l'intervento militare in Libia. L'inquilino dell'Eliseo: "Il Colonnello è ancora in tempo per evitare il peggio, se rispetterà la risoluzione dell'Onu". I caccia francesi sono già su Bengasi e impediscono i raid degli aerei del raìs Da Parigi via libera all'attacco Sarkozy: "Gheddafi non ci ha ascoltati" Nicolas Sarkozy e HIllary Clinton all'ingresso al vertice di Parigi PARIGI - L'intervento militare in Libia di fatto è già iniziato. In una breve conferenza stampa al termine del vertice convocato a Parigi, il presidente Nicolas Sarkozy ha detto che i caccia francesi sono già sul Paese e stanno impedendo gli attacchi aerei di Gheddafi contro Bengasi. L'aviazione, ha aggiunto, è pronta a colpire i carri armati del raìs che assediano la città. Il Colonnello è "ancora in tempo di evitare il peggio - ha aggiunto Sarkozy - se rispetterà senza ritardo e senza riserve la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu 1". La Francia, ha concluso l'inquilino dell'Eliseo, "ha deciso di assumere il proprio ruolo di fronte alla storia". Quanto all'Italia, "per ora metterà a disposizione solo delle basi - ha spiegato Silvio Berlusconi al termine dell'incontro - ma noi siamo disponibili a fornire mezzi 2 ove richiesto". Nessun timore dai missili di Tripoli: "La loro gittata è tale - ha aggiunto il presidente del Consiglio - da non poter raggiungere il nostro territorio". VIDEO L'annuncio di Sarkozy 3 Al vertice "per il sostegno al popolo libico" hanno partecipato - oltre alla Francia - Gran Bretagna, Usa, Germania, Italia, Canada, Spagna, Norvegia, Qatar, Giordania, Emirati Arabi, Portogallo, Polonia, Marocco, Olanda, Belgio, Danimarca e Grecia. Presente il segretario generale dell'Onu Ban Ki-Moon e, per l'Unione europe, l'Alto rappresentante Catherine Ashton e il presidente del Consiglio Herman Van Rompuy. Non ha partecipato alcun rappresentante dell'Unione africana: come hanno precisato fonti dell'Eliseo, è in corso in Mauritania una riunione dell'organizzazione che sta elaborando la strategia diplomatica da utilizzare nella crisi libica. "Siamo pronti con ogni mezzo a fare rispettare la decisione del Consiglio di sicurezza dell'Onu - ha detto Sarkozy - abbiamo dovuto prendere una grave decisione, ma la nostra determinazione è totale. La porta della diplomazia verrà riaperta quando si fermerà l'aggressione contro il popolo libico. Per evitare il peggio, Gheddafi rispetti senza indugi e senza riserve la risoluzione delle Nazioni Unite". E ancora: "Oggi interverremo con i nostri partner per proteggere la popolazione civile contro la follia omicida di un regime che uccide la propria gente. Interverremo - ha concluso Sarkozy - per permettere ai libici di scegliere il proprio destino. Non devono essere privati dai loro diritti dalla violenza e dal terrore". "Non possiamo più assistere ai massacri in Libia restando con le braccia conserte", ha detto al termine del vertice il presidente della Ue, Herman Van Rompuy. Gli ha fatto eco Cameron: Gheddafi ha rotto il cessate il fuoco e questo rende urgente l'adozione di misure che evitino che il numero delle vittime tra la popolazione civile possa crescere, ha detto il premier britannico. "E' giunto dunque il momento di agire, in maniera urgente - ha concluso per mettere in atto le decisioni delle Nazioni Unite. Non possiamo più permettere il massacro dei civili".
La riunione è stata preceduta da un pre-vertice tra il padrone di casa Sarkozy, il premier britannico David Cameron e il segretario di Stato americano, Hillary Clinton. All'immediata vigilia del summit, Gheddafi aveva rivolto un messaggio alle potenze che hanno sostenuto la risoluzione del Palazzo di Vetro. "Rimpiangerete ogni ingerenza" ha scritto nelle lettere inviate a Francia e Gran Bretagna, due delle quattro missive che ha inviato ai grandi della Terra - le altre due a Obama e a Ban-ki-Moon - con un sorprendente gesto diplomatico in extremis. (19 marzo 2011)
Diretta Raid aerei e missili sulla Libia Gheddafi minaccia l'Occidente Dopo il vertice con Ue e Paesi arabi, al via l'operazione "Odissey Dawn". Il Pentagono: "Lanciati 110 cruise". Coalizione di sei paesi: Francia, Usa, Gb, Italia, Spagna e Canada. Bombardamenti francesi e inglesi su Tripoli e contraerea in azione. Condanna di Mosca e rammarico cinese. Messaggio audio del raìs: "Colpiremo i civili in tutto il Mediterraneo" e fa sapere che la Libia non fermerà più il flusso dei migranti. Berlusconi: "Non ha i mezzi per colpirci". Scudi umani per proteggere il leader libico e nuovo attacco a Bengasi. La Russa: "I nostri aerei pronti in 15 minuti". Il premier: "Non credo servirà". Napolitano: "L'Italia farà quel che è necessario". Bossi scatenato: "In Cdm c'era un accordo diverso, ora arriveranno milioni di immigrati" Fotoracconto Il primo giorno di guerra La diretta 18 marzo Scheda Le forze in campo Mappa La no fly zone Diretta tv Al Jazeera (Aggiornato alle 04:28 del 20 marzo 2011) 04:28 Anche la Cina si rammarica per i bombardamenti 223 – Dopo la Russia, stamane anche la Cina ha espresso il suo ''rammarico'' per gli attacchi della coalizione internazionale contro le truppe del Colonnelo Muammar Gheddafi. Pechino, insieme a Mosca, entrambi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con diritto di veto si erano astenute al momento dell'approvazione della risoluzione 1973 che ha dato base legale all'intervento in Libia. 03:48 Tv libica: "Crociati all'attacco" 222 – La tv di Stato libica conferma l'attacco "dei crociati" e parla di 48 vittime civili ("tra cui donne, anziani e bambini"). 02:41 Colpite diverse zone di Tripoli 221 – La tv di Stato libica ha reso noto che nell'attacco aereo nelle prime ore del mattino a Tripoli sono state colpite diverse aree della capitale 02:08 Anche aerei inglesi in azione 220 – Anche aerei inglesi (dopo quelli francesi e i missili Usa) hanno iniziato a bombardare obiettivi strategici in Libia. Si tratta di cacciabombardieri Tornado. - ''Posso ora confermare che anche la Raf (Royal air force) ha lanciato missili Stormshadow da alcuni Tornado GR4'', ha affermato un portavoce delle forze armate britanniche, il generale John Lorimer. 02:06 Aerei contro la caserma di Gheddafi 219 – Un aereo ha sorvolato la zona di Tripoli dove si trova la residenza-caserma di Muammar Gheddafi, a Bab al Azizia nel sud della città. Lo ha riferito un inviato dell'Afp che si trova in un hotel ad un chilometro dalla residenza del colonnello e che ha inoltre udito numerose esplosioni. La televisione di Stato libica ha parlato di 48 morti e 150 feriti negli attacchi 01:46 Al Jazeera: "Gheddafi attacca Bengasi" 218 – Le forze di Gheddafi hanno bombardato di nuovo Bengasi, secondo quanto riportato da Al Jazeera. Citando fonti anonime, il canale satellitare ha parlato di fuoco da carriarmati e lancio di razzi. 01:40 Unione Africana: "Cessate le ostilità" 217 – Il Comitato dell'Unione Africana riunito a Nouakhott in Mauritania, ha lanciato un appello alla "cessazione immediata di tutte le ostilità". 01:36 Bombardamenti su Tripoli 216 – Bombardamenti sono in corso su Tripoli. Secondo il governo libico, finora, le vittime dei raid aerei dell'operazione condotta da Francia, Usa, Gb, Italia, Spagna e Canada sono 48 01:31 Contraerea in azione a Tripoli 215 – La contraerea libica ha aperto il fuoco contro il cielo di Tripoli. Lo dicono testimoni sentiti dalla Reuters. 00:55 Caccia spagnoli pronti nella base sarda di Decimomannu 214 – Gia' da domani si potrebbero alzare in volo dalla base sarda Deicimomannu (25 chilometri da Cagliari) gli aerei messi a disposizione dalla Spagna per le operazioni militari contro la Libia: si tratta di quattro caccia F-18 e un aereo da rifornimento (Boeing 707). Le forze messe a disposizione da Madrid comprendono quattro F18, un aereo da rifornimento e uno per la ricognizione marittima, oltre ad una fregata e ad un sottomarino. I quattro caccia e il Boeing 707 hanno lasciato oggi la base di Torrejon, alle porte di Madrid, e sono giunti alla base Decimomannu, ha reso noto il ministero spagnolo della Difesa. 00:35 Tv di stato: "Non fermeremo più immigrati" 213 – Muammar Gheddafi inizia a dare seguito alle minacce contro l'Ue. Fonti della sicurezza annunciano che Tripoli non aiuterà più i Ventisette a fermare il flusso di immigrati illegali che dalle coste libiche si imbarcano alla volta dell'Europa, Italia in primis. Lo riferisce la tv di Stato. 00:19 Tripoli: "Risoluzione Onu non più valida" 212 – Il governo libico considera nulla la risoluzione 1973 dell'Onu dopo gli attacchi sferrati dalla coalizione occidentale. Lo afferma in un comunicato il ministero degli Esteri libico. La risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite prevede una no-fly zone rafforzata contro le truppe di Gheddafi e l'immediato cessate il fuoco per proteggere la popolazione civile 00:02 La Libia chiede una riunione urgente del Consiglio di sicurezza Onu 211 – La Libia ha richiesto una riunione d'urgenza del Consiglio di sicurezza dell'Onu dopo i raid occidentali sul suo territorio. Lo ha comunicato il ministro degli Esteri di Tripoli 23:35 Gli Usa: "Gravemente danneggiato il sistema di difesa libico" 210 – Il Consiglio per la Sicurezza Nazionale statunitense ritiene che il sistema di difesa aerea libico sia stato "duramente danneggiato e reso inoperativo". "Al momento è troppo presto per prevedere come (Muammar Gheddafi) e le sue truppe di terra potranno rispondere ai bombardamenti di oggi", ha riferito una fonte del Csn. Oltre 110 missili da crociera Tomahawk hanno colpito 20 diversi obiettivi in Libia. Il Pentagono ha chiarito che questa prima fase di bombardamenti serve a rendere inoffensive le difese libiche. 23:21 La tv di stato libica mostra le immagini dell'Iraq 209 – La tv di stato libica ha mandato in onda per tutto il giorno immagini dell'invasione in Iraq del 2003. Lo dice la Bbc sul suo sito 23:13 Arrestati quattro giornalisti stranieri di Al Jazeera 208 – Quattro giornalisti stranieri dell'emittente Al Jazeera sono stati arrestati nell'ovest della Libia. Lo riferisce il canale tv sul suo sito. I quattro inviati sono un britannico, un tunisino, un mauritano e un norvegese. 23:09 Gheddafi parla in audio alla tv 207 – Le parole di Gheddafi sono state trasmesse solo in audio dalla tv di Stato libica. Il volto del Colonnello non è stato mostrato. La sua voce era accompagnata da alcune foto. Il rais non si mostra da 48 ore 23:03 Testimoni all'Ansa: "Colpito ospedale in sobborgo di Tripoli" 206 – Testimoni sul posto hanno detto all'agenzia Ansa che "è certo che un ospedale è stato colpito nei pressi di Tajoura", sobborgo a poca distanza da Tripoli. Secondo i testimoni alcuni giornalisti stranieri ospitati in un albergo del centro avrebbero parlato di esplosioni senza precisare esattamente il luogo né l'intensità. 22:37 Gheddafi minaccia: "Mediterraneo campo di battaglia, colpiremo obiettivi militari e civili" 205 – "Il Mediterraneo e il Nordafrica sono un campo di battaglia, colpiremo obiettivi militari e civili". Lo ha detto il colonnello Muammar Gheddafi. Gheddafi ha parlato di un "attacco crociato" e ha chiesto ad africani, arabi, sudamericani e asiatici di unirsi ai libici contro il nemico. "I magazzini di armi saranno aperti al popolo per difendersi", ha aggiunto. 22:34 La Francia smentisce: "Nessun nostro aereo abbattuto" 204 – Lo stato maggiore dell'esercito francese ha smentito che un suo caccia sia stato abbattuto nel corso delle operazioni sulla Libia, come riferito dalla tv di stato di Tripoli 22:21 Al Jazeera: "Colpita base aerea presso Tripoli" 203 – Secondo la tv Al Jazeera, i raid della coalizione avrebbero colpito anche la base aerea di Mitiga, subito fuori Tripoli. Si tratta di una base usata anche per voli civili di jet privati 22:20 Colpite basi aeree a Misurata 202 – Alcuni residenti della città di Misurata hanno riferito che i raid della coalizione avrebbero colpito basi aeree delle forze fedeli al raìs 22:16 Gheddafi parlerà in tv 201 – La tv di stato libica ha annunciato che Muammar Gheddafi parlerà fra poco alla nazione a proposito della "crociata nemica" contro il paese 22:08 "Bombardata Sirte, città natale di Gheddafi" 200 – Media ufficiali libici hanno detto che è stata bombardata Sirte, città natale di Gheddafi. 21:51 Tv libica: l'aereo francese abbattuto vicino Tripoli 199 – Secondo la tv di stato libica, il caccia francese sarebbe stato abbattuto nel distretto di Njela, a Tripoli. 21:50 Pentagono: Colpiti 20 obiettivi strategici 198 – I missili britannici e americani hanno colpito oltre 20 obbiettivi strategici libici, in larga parte a ovest del Paese. Si tratta di sistemi di difesa aerea e altri snodi di comunicazione strategica, tutti situati sulla costa. Lo ha detto l'ammiraglio William Gortney, incontrando la stampa al Pentagono. 21:49 La Tv libica: Abbattuto aereo francese 197 – Un aereo da caccia francese sarebbe stato abbattutto in Libia. Lo dice la tv di stato libica. 21:45 Pentagono: Dopo il lancio di missili, il comando ritornerà alla coalizione 196 – In questo momento il comando dei raid missilistici è affidato al generale americano Carter Ham, che guida Usafricom. Poi il comando delle operazioni passerà alla coalizione degli alleati. Lo ha detto l'ammiraglio William Gortney, incontrando la stampa al Pentagono. 21:42 Bossi: "Il maggior coraggio è a volte la cautela" 195 – Bossi: 'Il mondo e' pieno di famosi democratici, che sono abilissimi a fare i loro interessi, mentre noi siamo abilissimi a prenderla in quel posto: il maggior coraggio a volte è la cautela". 21:40 la tv libica: "Colpito l'ospedale di Tripoli" 194 – Tra gli obiettivi colpiti questa sera a Tripoli ci sarebbe anche l'ospedale Bir Usta Milad di Tripoli. Lo sostiene il portavoce delle forze armate libiche, citato dalla tv di stato 21:35 Missili, è la prima fase di una serie di operazioni 193 – Il lancio di missili Tomhawak è la prima fase di un'azione composta da più operazioni concatenate, ha spiegato il Pentagono 21:34 Niente aerei italiani in azione 192 – Al momento non sono in volo aerei italiani in relazione alle operazioni militari sulla Libia. Lo hanno detto all'ANSA fonti della Difesa. 21:32 Le forze di Gheddafi verso il centro di Bengasi 191 – Gli insorti annunciano: Forze di Gheddafi si dirigono verso il centro di Bengasi 21:31 Nessun aereo Usa sulla Libia 190 – Il Pentagono: "Nessun aereo Usa in volo sulla Libia". 21:29 Pentagono: "Garantiremo la sicurezza delle azioni militari" 189 – L'attacco con i missili servirà a garantire la sicurezza delle azioni militari aeree sulla Libia, spiega il Pentagono 21:28 Obama: nessun dispiegamento di truppe terrestri 188 – Il presidente Usa ha ribadito che non vi sarà alcun dispiegamento delle forze terrestri sul territorio libico, insistendo sul fatto che l'intervento militare non è una soluzione alla quale gli Stati Uniti miravano: "l'uso della forza non è la nostra prima scelta, e non è una scelta che faccio alla leggera: ma non possiamo stare a guardare quando un tiranno dice al suo popolo che non vi sarà alcuna pietà". 21:26 Missili anche dai sottomarini britannici 187 – Anche sottomarini britannici lanciano missili Tomahawak 21:25 Lanciati 110 missili Tomahawak 186 – Gli Usa hanno lanciato sulla Libia 110 missili Tomahawak. I missili sono partiti da navi e sottomarini americani e da sommergibili britannici 21:19 Al Arabiya: Aerei italiani nei raid. Ma la Difesa non conferma 185 – L'emittente 'al-Arabiya' ha riferito che aerei italiani hanno avviato una "missione di sorveglianza" sulla Libia, dopo l'inizio delle operazioni di ricognizione dei caccia francesi che ha portato al primo raid sul paese nordafricano. L'emittente ha citato il suo corrispondente in Libia, senza fornire ulteriori dettagli a riguardo. Fonti della Difesa, interpellate dall'ADNKRONOS, al momento non confermano però quanto riferito dall'emittente precisando che non risultano decolli di velivoli italiani. 21:16 Il presidente Usa: Gheddafi ha continuato ad attaccare 184 – Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha detto che l'attacco contro la Libia è stato deciso perchè il colonnello Muammar Gheddafi non ha rispettato gli impegni legati al cessate il fuoco e ha continuato ad attaccare. 21:15 Obama: Azione limitata 183 – Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha autorizzato il coinvolgimento limitato delle forze armate Usa e ha confermato che l'operazione è in corso. 21:11 Il presidente Usa: Autorizzata azione militare 182 – Obama: "Ho autorizzato un'azione militare americana contro il regime di Gheddafi" 21:09 Usa dirigono operazione "Odissea all'Alba" 181 – L'attuale coordinamento delle operazioni militari denominate "Odyssey Dawn" (Odissea all'Alba) della coalizione occidentale in Libia è affidata al comando statunitense in Africa. 21:08 Bossi: ci porteranno via il petrolio e il gas 180 – Bossi critico: "Non possiamo essere prudenti come la Germania? "Si, si. So quel che dice Berlusconi ma io penso che ci porteranno via il petrolio e il gas e con i bombardamenti che stanno facendo verranno qua milioni di immigrati, scappano tutti e vengono qua". 21:07 L'esercito libico: Bombardati depositi di carburante a Misurata 179 – 21:06 "Bambini e oppositori usati come scudi umani" 178 – Bambini e oppositori finiti in carcere usati come scudi umani a Tripoli: lo denuncia il Democratic Libya Information Bureau, basato a Londra, sulla base di informazioni raccolte nella capitale libica. 21:04 Pentagono conferma l'attacco con missili 177 – Le forze statunitensi hanno colpito delle batterie antiaeree libiche con dei missili da crociera "Tomahawk", per facilitare la creazione di una zona di interdizione al volo prevista dalla risoluzione 1973 del consiglio di sicurezza dell'Onu: lo hanno annunciato fonti del Pentagono. 21:03 Usa, colpiremo le difese aeree libiche 176 – La coalizione è pronta a colpire le difese aeree libiche, in particolare quelle intorno a Tripoli e Misurata. Lo ha detto un funzionario Usa. 21:02 Bossi: i bombardamenti porteranno milioni di emigrati in Italia 175 – Bossi contro il governo: Bombardare la Libia porterà soltanto a milioni di emigrati in Italia 21:00 Colpite a Misurata le brigate di Gheddafi 174 – Bombardata a Misurata la base militare delle brigate di Gheddafi. Lo affermano gli insorti 20:58 Bossi: qualche ministro parla a vanvera 173 – "Il consiglio dei ministri aveva rallentato l'appoggio con una posizione più cauta di non partecipazione diretta, ma poi c'è qualche ministro che crede di essere più del premier e parla a vanvera". E' quanto sostiene il leader della Lega Nord, Umberto Bossi 20:57 E' in corso l'operazione "Odissea all'Alba" 172 – E' in corso l'operazione "Odissea all'alba" per distruggere la contraerea libica. Lo annuncia il Pentagono, precisando che oltre agli Usa sono coinvolti Gb, Francia, Italia e Canada. Le operazioni americane sono guidate dal generale Carter Ham, e hanno l'obiettivo di consentire le operazione decise dall'Onu. 20:54 Colpito un battaglione fedele a Gheddafi 171 – Secondo alcune testimonianze le esplosioni dei missili cruise avrebbero avuto come bersaglio anche un battaglione dell'esercito di Gheddafi a una ventina di chilometri dalla capitale libica. 20:52 I missili Cruise contro batterie antiaeree di Tripoli 170 – Unità della marina americana dispiegate nel Mediterraneo hanno iniziato a lanciare missili cruise contro obiettivi in Libia. Lo rendono noto fonti del Pentagono citate da CNN, precisando che l'obiettivo di questi primi attacchi sono batteria della contraerea schierate nei dintorni di Tripoli. 20:51 La tv libica: "Vittime civili nei bombardamenti" 169 – "Colpiti civili da raid aerei" afferma la tv libica di stato, fedele al regime di Gheddafi 20:50 Tv libica: "Colpiscono obiettivi civili" 168 – La tv di stato libica: "Caccia stranieri bombardano obiettivi civili" 20:48 Anche gli inglesi all'attacco 167 – Velivoli inglesi in azione sulla Libia 20:44 Cruise Usa contro obiettivi libici 166 – Missili Cruise sono stati lanciati contro obiettivi libici da navi della marina militare americani 20:43 Partono i missili americani 165 – Cominciato l'attacco dei missili Cruise americani 20:42 Raid francesi anche nella notte 164 – Le operazioni dell'aeronautica militare francese contro il regime libico di Muammar Gheddafi dovrebbero proseguire durante la notte. Lo dice una fonte del ministero della Difesa di Parigi. 20:41 Forti esplosioni a est di Tripoli 163 – Delle forti esplosioni sono state Avvertire ad est di Tripoli: lo hanno reso noto testimonianze locali, 20:39 Caccia francesi su Misurata 162 – I caccia francesi stanno sorvolando in questi minuti il cielo di Misurata, in Tripolitania. Lo annunciano i siti dell'opposizione libica, secondo i quali il bilancio delle vittime degli scontri avvenuti oggi tra i ribelli e le brigate di Muammar Gheddafi in città è di 44 feriti. 20:38 Juppé: "Vogliamo aiutare il popolo libico a liberarsi di Gheddafi" 161 – L'obiettivo dell'intervento internazionale in Libia è aiutare "il popolo libico a liberarsi" dal regime di Muhammar Gheddafi, anche se ciò non è previso in modo esplicito dalla risoluzione 1973 del consiglio di sicurezza. Lo ha detto il ministro degli Esteri francese Alain Juppè intervenendo alla tv pubblica France 2. 20:37 Decimomannu aperta ai velivoli della coalizione 160 – La base aerea di Decimomannu, a circa 25 km da Cagliari, è stata aperta intorno alle 19.30 ai velivoli della forza internazionale impegnata nella missione in Libia. Il primo ad atterrare è stato un tanker spagnolo, aereo per i rifornimenti, al quale seguirà un velivolo canadese dello stesso tipo. In serata sono attesi almeno altri quattro F18 spagnoli. Decimomannu è una delle sette basi messe a disposizione dal ministero della Difesa per la missione. 20:35 la Russa: "I nostri aerei operativi in 15 minuti" 159 – La Russa: "I nostri aerei pronti in 15 minuti. E ci sono anche quelli imbarcati sulla Garibaldi" 20:33 Quattro bombardamenti francesi sulla Libia 158 – I caccia francesi hanno bombardato quattro volte il territorio della Libia, distruggendo numerosi blindati del regime di Muhammar Gheddafi. Lo dice il ministero della Difesa di Parigi. 20:17 Juppé: Le azioni militari continueranno nei prossimi giorni 157 – Le azioni militari contro obiettivi libici continueranno anche nei prossimi giorni, finchè Gheddafi non si atterrà a quanto prevede la risoluzione dell'Onu. E' quanto ha detto il ministro degli esteri francese, Alain Juppe. 20:16 Il Consiglio nazionale libico: Gheddafi ha le ore contate 156 – 'Il colonnello Muammar Gheddafi sta vivendo le sue ultime ore". E' quanto ha affermato Fatha al-Bahja, portavoce del Consiglio nazionale dell'opposizione libica, nel corso di un collegamento telefonico con la tv araba 'al-Jazeera'. "Con l'intervento militare internazionale potremo dimostrare di essere in grado di sconfiggere le brigate di Gheddafi - ha aggiunto - vedrete presto come i mercenari ed i criminali al soldo di Gheddafi si arrenderanno. Ora possiamo eliminare le forze del regime". 20:15 La Russa: i libici non possono colpire l'Italia 155 – Il ministro La Russa: "Le informazioni che noi abbiamo ci dicono che non c'è alcun segnale di una attività ritorsiva contro l'Italia. Comunque le nostre informazioni ci dicono che i missili in dotazione all'esercito libico hanno una gittata di 300 chilometri e quindi non arrivano neanche a Lampedusa" 20:13 La Russa: "Nostri aerei e navi pronte a muoversi" 154 – Per fronteggiare la crisi libica "noi abbiamo già messo a disposizione le basi e, se necessario, sono disponibili gli aerei", in particolare "quattro Tornado con capacità di distruggere radar e postazioni missilistiche" e "sei caccia intercettori, che sono pronti ad alzarsi in volo in 15 minuti". il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ha aggiunto che "c'e anche la nostra portaerei con a bordo otto aerei". 20:11 Libia, pronti tre sottomarini Usa 153 – Tre sottomarini americani pronti ad intervenire. Da questi mezzi potrebbero partire i missili Cruise per colpire le basi militari libiche 19:25 Manifestanti pro-Gheddafi fanno scudo umano intorno agli aeroporti libici 152 – Una manifestazione in favore del colonnello Muammar Gheddafi è stata organizzata questa sera dal regime libico anche presso lo scalo aeroportuale di Gadames. Lo ha annunciato la tv di stato libica, che sottlinea come "alla manifestazione prendono parte giovani e bambini". Oltra a Gadames, il regime ha organizzato analoghe manifestazioni negli aeroporti di Tripoli, Sirte e Sebah per evitare raid aerei. In questi scali, infatti, si trovano alcuni caccia dell'esercito libico. 19:24 La Russia "deplora" l'intervento militare in Libia 151 – La Russia ha deplorato l'intervento militare in Libia, dove apparecchi francesi hanno iniziato le operazioni preliminari per l'applicazione della risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza: lo ha reso noto il ministero degli esteri russo. 19:23 Croce Rossa: "Sia garantita la cura dei feriti" 150 – La Croce Rossa internazionale ha lanciato un appello a tutte le parti in causa in Libia perchè sia garantito l'accesso di medici e ambulanze ai feriti. 19:22 La Tv libica: "Sarà un nuovo Iraq e una nuova Somalia per i francesi" 149 – "Vivremo un nuovo Iraq e una nuova Somalia. Non è la prima guerra che la Libia affronta e dobbiamo ringraziare la Francia che ci ha fatto capire chi siamo", ha dichiarato il conduttore della tv di Tripoli, commentando i raid compiuti oggi dai caccia francesi sul territorio libico. "Per quanto riguarda il nostro leader Muammar Gheddafi - ha concluso - lui è la guida e come ha vinto negli anni Ottanta li manderà al diavolo anche oggi i nostri nemici. Alle tribù di Bengasi chiediamo di ritornare all'unità e ad andare avanti insieme". 19:20 Venezuela: "Irresponsabile l'attacco della coalizione" 148 – Il presidente venezuelano Hugo Chavez ha definito l'attacco della coalizione al regime di Gheddafi "irresponsabile". "Si vogliono impadronire del petrolio", ha detto. 19:13 Israele non parteciperà agli attacchi 147 – Israele sostiene la risoluzione dell'Onu invocata per giustificare gli attacchi di queste ore sulla Libia, ma non intende parteciparvi in alcun modo. Lo ha affermato il ministro della Difesa, Ehud Barak, 19:12 Ban Ki Moon: "Preoccupante la risposta libica" 146 – La risposta della Libia alla risoluzione delle Nazioni Unite è "preoccupante". Lo ha detto il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-Moon. E' difficile credere ai leader di Tripoli quando dicono di aver cessato il fuoco. Non c'è fiducia nel loro modo di agire e tutto questo è preoccupante. Ban Ki-Moon ha riferito di una telefonata avuta la notte scorsa con il primo ministro libico: "Mi ha detto che il governo di Tripoli si stava attenendo scrupolosamente alla risoluzione dell'Onu e che ci sarebbe stato un immediato cessate il fuoco. Invece, nel corso della notte hanno attaccato Bengasi e tutto questo è molto preoccupante e quello che dicono va verificato". 19:10 Misurata sotto il fuoco dell'artiglieria libica 145 – La città di Misurata, a est di Tripoli, è sotto il fuoco di artiglieria delle forze pro-Gheddafi. Lo ha riferito alla Cnn un testimone sul posto. 19:09 La tv libica: Crociata di Sarkozy 144 – La tv di stato libica: "Siamo vittime di una crociata dell'ebreo-sionista Sarkozy" 19:02 Radio Padania: "No all'intervento militare in Libia" 143 – "Continueremo a dire no all'intervento militare in Libia come Lega nelle istituzioni e anche nelle piazze". Così il direttore di Radio Padania, il leghista Matteo Salvini, ai microfoni di Radio 24. 18:56 Manifestazioni pro-Gheddafi vicino ad aeroporti militari libici 142 – Un centinaio di persone sta manifestando in questi minuti a favore del colonnello Muammar Gheddafi presso l'aeroporto El-Ghordabia di Sirte. Lo ha riferito la tv di stato, che sta trasmettendo le immagini della manifestazione. Si vedono i dimostranti inneggiare al colonnello e mostrare le sue foto.Poco prima sempre la tv libica aveva riferito che era in corso una manifestazione analoga anche nei pressi dell'aeroporto militare di Sebah, nel centro della Libia, alla quale partecipano numerose donne e bambini. In entrambi gli scali sono presenti i caccia militari libici e sono quindi considerati obiettivi sensibili per eventuali raid aerei. 18:46 "Distrutti alcuni carri armati e veicoli blindati libici" 141 – L'aviazione francese ha distrutto in Libia "alcuni carri armati e veicoli blindati". Lo ha annunciato un funzionario del ministero della Difesa a Parigi. 18:44 Stato maggiore francese: "possibili attacchi a blindati libici" 140 – Il portavoce dello Stato maggiore francese, colonnello Thierry Burckhard, ha precisato che tra gli aerei impegnati nell'operazione ci sono otto Rafale, due Mirage 2000-D, due Mirage 2000-5, aerei cisterna e due Awacs. Se si renderà necessario, ha proseguito l'ufficiale, alcuni caccia potranno attaccare obiettivi militari libici, ad esempio dei carri armati, "che mettono in pericolo le popolazioni civili". 18:42 Al Jazeera: "nel raid distrutti quattro carri armati di Gheddafi" 139 – Sono stati distrutti quattro carri armati appartenenti alle truppe del colonnello Muammar Gheddafi nel corso del raid degli aerei francesi in Libia. Lo ha riferito l'emittente 'al-Jazeera', citando una propria fonte in Libia, secondo cui il raid è avvenuto a sud-ovest di Bengasi. 18:33 Due fregate francesi davanti alla Libia 138 – Due fregate di difesa aerea francesi sono attualmente al largo della Libia: la fregata Jean Bart e la Forbin. 18:28 Il veicolo distrutto sarebbe un carro armato 137 – Il primo obiettivo distrutto dal fuoco degli aerei francesi, alle 17:45 di oggi in Libia, è "un veicolo militare" delle forze armate libiche. Il portavoce dello stato maggiore francese, colonnello Thierry Burckhard, ha precisato che l'obiettivo è stato "neutralizzato", senza specificare di che mezzo si tratti. Secondo la Cnn, sarebbe un carro armato. 18:25 Raid concentrati intorno a Bengasi, dice Parigi 136 – I raid aerei francesi contro la Libia sono iniziati alle 17.45 di oggi e sono concentrati su una zona compresa entro un raggio di 100-150 chilometri da Bengasi. Lo ha reso noto il ministero della Difesa francese, precisando che gli aerei francesi che prendono parte al raid sono una ventina 18:23 Parigi: "Primo obiettivo distrutto" 135 – "Il primo obiettivo è stato distrutto". Così il portavoce del ministero della Difesa francese, Laurent Teisseire, ha annunciato che un veicolo militare di terra libico è stato raggiunto e neutralizzato da una bomba lanciata da un caccia francese. Alle 17:45 ora italiana sono iniziate le operazioni militari aeree del gruppo dei volenterosi contro le forze libiche leali a Muammar Gheddafi, in una zona di 100-150 chilometri intorno a Bengasi, bastione dei rivoltosi nell'est del Paese. 18:22 Napolitano: "La pace si serve andando incontro alle popolazioni perseguitate" 134 – "Oggi servire la pace significa anche trovare il modo di andare incontro alle popolazioni perseguitate". Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ricevendo il premio "Artigiano della Pace" al Sermig di Torino. Non ha citato la Libia ma, ha detto, "sappiamo di cosa parlo". 18:20 Al Arabiya: Raid francesi da trenta minuti: 133 – Secondo Al Arabiya, i raid francesi contro obiettivi militari libici proseguono da lameno trenta minuti 18:19 Fox: "Attacco missilistico Usa" 132 – Secondo l'emittente Fox, sta per essere lanciato un attacco missilistico americano 18:18 Napolitano: "Per la Libia è un impegno duro, ma per libertà e diritti" 131 – 18:14 Berlusconi: "Esilio di Gheddafi? Prima pensiamo alla gente" 130 – Nella riunione di Parigi "non si è arrivati a parlare" di un esilio di Gheddafi, perché è stata messa in primo piano la questione della "salvaguardia delle popolazioni civili". Lo ha detto il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi 18:11 Fregata britannica parte da Cagliari 129 – Ha lasciato nel primo pomeriggio il porto di Cagliari la fregata britannica Hms Cumberland (F85), che era arrivata ieri dopo essere stata dirottata sullo scalo mentre stava tornando in patria dopo aver partecipato a una missione in Mar Arabico e Golfo Persico e aver preso parte all'evacuazione dalla Libia dei connazionali. 18:09 Azioni dei caccia in un'area di 150 Km intorno Bengasi 128 – L'operazione dei velivoli francesi che hanno distrutto "un obiettivo a terra" (sembra un veicolo militare di Gheddafi) si concentra, ha spiegato un portavoce del ministero, in un'area di 150 chilometri intorno a Bengasi. 18:08 Caccia canadesi a Trapani 127 – A Trapani sono arrivati anche cinque caccia canadesi. Si sono uniti ai caccia bombardieri Tornado, intercettori F-16 e Eurofighter, aerei specializzati nella guerra elettronica, dell'Aeronautica militare italiana. 18:05 Festa in piazza a Tobruk dopo primo attacco francese 126 – E' esplosa la festa in piazza Tahrir a Tobruk non appena dal maxi schermo che trasmette 24 ore al giorno al Jazira è giunta notizia del primo attacco dell'aviazione francese. 18:04 Iniziati i raid aerei francesi 125 – Alle 17:45 ora italiana sono iniziati i raid aerei contro le forze leali al leader libico Muammar Gheddafi. Aerei francesi hanno aperto il fuoco su un veicolo. Lo ha riferito il ministero della Difesa di Parigi. 18:01 Obama: azione militare deve durare pochi giorni 124 – Il coinvolgimento americano in un'azione militare in Libia dovrà essere limitato e quindi escludere l'impiegno di truppe di terra e definito nel tempo, e quindi durare giorni, non settimane. A sottolinearlo è stato il presidente americano Barack Obama, stando a quanto rivela un funzionario della Casa Bianca citato dal New York Times. 17:59 Clinton: Fermare l'avanzata su Bengasi 123 – Hillary Clinton: "Fermare l'avanzata militare di Muammar Gheddafi verso Bengasi". E' La parola d'ordine della coalizione, ribadita da Hillary Clinton 17:57 Batterie antiaeree pronte 122 – Batterie antiaeree "Spada" dislocate nel sud dell'Italia 17:54 Primo attacco da parte francese 121 – Primo attacco a terra di un velivolo francese contro un mezzo militare libico 17:53 Salpa la portaerei francese 120 – La portaerei francese Charles De Gaulle partirà domani mattina da Toulon per il mar della Libia 17:51 Venti gli aerei francesi impegnati sulla Libia 119 – Sono oltre venti i velivoli militari francesi che in queste ore stanno sorvolando la Libia. Lo si apprende da una fonte militare di Parigi 17:50 Unione Africana domani a Tripoli 118 – Una delegazione dell'Unione Africana sarà domani a Tripoli. L'annuncio dopo una riunione ufficiale in Mauritania 17:33 Schifani: "Doveroso l'impegno dell'Italia" 117 – Secondo quanto si apprende da fonti vicine alla presidenza di Palazzo Madama, il presidente del Senato, Renato Schifani, esprime pieno apprezzamento per le decisioni assunte nel vertice di Parigi di oggi. Secondo Schifani "il nostro Paese ha assunto doverosamente pieno e responsabile impegno di partecipazione a tutela della difesa e libertà del popolo libico. L'Italia non si è mai sottratta alle proprie responsabilità tutte le volte in cui si è dovuto intervenire, nelle forme opportune a tutela delle libertà nel mondo". 17:32 Berlusconi: "Cauti come Bossi? No, le basi sono indispensabili" 116 – "La posizione della Lega è una posizione che risiede nella prudenza anche personale dell'onorevole Bossi che ieri ha auspicato che posizioni come quelle della Germania potessero essere seguite anche da parte nostra, tuttavia questo non è possibile visto che le basi di cui noi disponiamo sono determinanti". Così Silvio Berlusconi, nel corso di una conferenza stampa a Parigi, ha risposto a proposito delle cautele del Carroccio. E ha ricordato che l'Italia è "il Paese geograficamente più prossimo alla Libia". 17:31 I mezzi dalla Spagna 115 – La Spagna parteciperà all'operazione in Libia con sei aerei, di cui 4 F-18, una fregata ed un sottomarino. Ad annunciarlo a Parigi è stato il premier spagnolo Josè Luis Rodrìguez Zapatero, che nella capitale francese ha preso parte al vertice straordinario sulla Libia convocato da Nicolas Sarkozy. La Spagna metterà a disposizione "i mezzi necessari per raggiungere gli obiettivi concordati: istituire una zona di esclusione aerea e l'embargo sulle armi al regime di Muhammar Gheddafi". 17:25 Obama: "La coalizione è pronta a intervenire" 114 – La coalizione internazionale che si è formata per attuare le misure dell'Onu contro Gheddafi è "pronta ad agire" in Libia: lo ha detto Barack Obama, nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta a Brasilia, dove il presidente degli Stati Uniti sta compiendo una visita ufficiale. 17:25 Obama: "A Parigi consenso forte" 113 – "A Parigi s'è registrato un consenso ampio e forte. E' emerso con chiarezza che il popolo libico deve essere protetto". Lo ha detto Barack Obama dal Brasile, dove si trova in visita ufficiale. 17:24 Francia, impiegati cinque aerei 112 – Per il momento l'intervento in Libia vede impegnati cinque aerei francesi: 2 Rafales, 2 Mirages e un Awacs. Lo rendono noto fonti militari. 16:43 Berlusconi: spero che Gheddafi ci ripensi 111 – Il premier: Spero ci sia ripensamento da parte del regime libico 16:29 Tornado britannici a Cipro 110 – Undici Tornado della Frecce rosse della forza aerea britannica sono atterrati nella base militare a Cipro. Gli aerei sono partiti dalla base del Lincolnshire e sono arrivati in quella di Akrotiri. 16:28 Qatar partecipa all'azione militare 109 – Il Qatar ha confermato oggi al vertice di Parigi sulla Libia la partecipazione militare all'intervento. 16:23 Berlusconi: Le armi libiche non possono raggiungere l'Italia 108 – Berlusconi: i missili libici non possono raggiungere l'Italia. Per ora abbiamo fornito le nostre basi militari alla coalizione, vedremo in seguito se partecipare ai raid 16:22 Napolitano informato da Berlusconi. "Compiaciuto per l'intesa raggiunta" 107 – Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è stato informato telefonicamente dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi, dell'andamento e dell'esito della riunione di Parigi. Il Capo dello Stato si è compiaciuto dell'importante intesa raggiunta, per il contributo dato e per l'impegno assunto dall'Italia. 16:21 Nave italiana a protezione di missili dalla Libia 106 – Il cacciatorpediniere della Marina militare Andrea Doria è attualmente schierato nel Canale di Sicilia con compiti, soprattutto, di difesa aerea: sia delle altre unità impegnate nel dispositivo navale messo in campo per la crisi in Libia, sia dello stesso territorio italiano. 16:17 Obama: "Non ho ancora autorizzato alcun dispiegamento militare Usa" 105 – Il Presidente americano, Barack Obama, ha assicurato ai leader del Congresso di entrambi gli schieramenti, ricevuti ieri nella 'situation room' della Casa Bianca, che non vi è in programma il coinvolgimento, in un primo momento, di aerei americani nell'intervento contro la Libia. Fonti militari americane interpellate dal Washington Post non escludono tuttavia l'impiego di caccia e bombardieri americani in fasi successive dell'intervento. In questa fase, ha spiegato ieri Obama ai suoi intelocutori, secondo quanto hanno reso noto fonti dello staff del senatore Richard Luggar, "non autorizzo il dispiegamento di nessun soldato o aereo da combattimento". 16:16 Parigi: "I militari libici devono rientrare nelle caserme" 104 – Il leader libico Muammar Gheddafi "e tutti coloro che sono ai suoi ordini devono immediatamente porre fine agli atti di violenza contro i civili, ritirarsi da tutte le aeree in cui sono entrati con la forza, rientrare nelle loro caserme, e consentire un pieno accesso umanitario": è quanto si legge nella dichiarazione finale del vertice di Parigi. 16:03 Usa, aerei militari usati nelle fasi successive 103 – "Aerei militari americani saranno impiegati nelle fasi successive" 15:57 Sarkozy: i nostri caccia pronti a colpire i blindati di Gheddafi 102 – "Già da adesso le nostre forze aeree si opporranno ad ogni aggressione contro il popolo di Bengasi. Abbiamo già impedito attacchi aerei sulla città. Altri aerei sono pronti a intervenire contro i blindati che aggrediscono civili disarmati", ha aggiunto Sarkozy al termine del vertice internazionale straordinario sulla Libia a Parigi. 15:55 "Aerei francesi fermano attacchi di Gheddafi" 101 – Sarkozy: Gli aerei francesi stanno impedendo gli attacchi delle truppe di Gheddafi contro Bengasi 15:54 Aerei da guerra italiani pronti a Trapani 100 – Caccia bombardieri Tornado, intercettori F-16 e Eurofighter, aerei specializzati nella guerra elettronica. L'Aeronautica militare italiana si mobilita in vista delle possibili operazioni sulla Libia. A Trapani sono già arrivati i Tornado Ecr del 50* stormo di Piacenza specializzati nella guerra elettronica e i Tornado Eds cacciabombadieri del 6* stormo di Ghedi, più gli Eurofighetr del 4* stormo di Grosseto. Sono presenti inoltre i velivoli da ricognizione Awacs e numerosi Tanker, i velivoli per il rifornimento in volo. 15:53 Sarkozy: "Gheddafi accolga subito la risoluzione dell'Onu" 99 – Sarkozy: Gheddafi ha pochissimo tempo per accogliere la risoluzione dell'Onu 15:52 Via libera all'attacco 98 – Dal vertice di Parigi via libera all'attacco militare 15:50 Sarkozy a Gheddafi: Stop immediato alle violenze 97 – Sarkozy a Gheddafi: Cessare immediatamente il fuoco e gli attacchi alla popolazione inerme 15:49 Comando Usa a Napoli per no fly zone 96 – Gli Usa dirigeranno da Napoli le azioni per la "no fly zone" 15:48 Merkel: non parteciperanno militari tedeschi 95 – Merkel: i militari tedeschi non parteciperanno alle azioni contro Gheddafi, anche se la Germania è d'accordo sulla risoluzione dell'Onu 15:47 Belgio: attacco imminente 94 – Premier belga: Attacco nelle prossime ore 15:46 Sarkozy: Iniziative anche militari per risoluzione dell'Onu 93 – Sarkozy: Deciso di mettere in atto tutte le iniziative, anche militari, per far rispettare la risoluzione dell'Onu 15:45 Arabi ed europei per la "no fly zone" 92 – La NO fly zone sarà fatta da aerei dei paesi europei e arabi 15:44 "Dal summit di Parigi via libera all'attacco" 91 – Al Jazeera: Da summit Parigi via libera ad attacco militare 15:38 Washington Post: Le navi Usa pronte a bombardare 90 – Navi Usa nel Mediterraneo pronte a bombardare la contraerea libica 15:37 Bengasi, i lealisti libici sparano con armi pesanti sui quartieri 89 – Le forze armate leali al colonnello libico Muammar Gheddafi hanno sparato oggi con armi pesanti contro alcuni quartieri di Bengasi, bastione dei ribelli nell'est della Libia. Lo affermano alcuni testimoni all'agenzia Afp. Le milizie pro Gheddafi, dicono le fonti, "sparano con armi pesanti su dei quartieri residenziali. Hanno l'ordine di sparare indistintamente, c'è un massacro in atto". Secondo un testimone, "solo i carri degli insorti sono presenti nel centro di Bengasi, ma le milizie (di Gheddafi) sono visibili in molte aree della città". 15:36 Caccia francesi: nessuna resistenza dalle truppe di Gheddafi 88 – I caccia francesi Rafale sono decollati dalla loro base di Saint-Dizier, nella Francia orientale. Dopo diverse ore di sorvolo del territorio libico non hanno incontrato alcuna resistenza, ha riferito la fonte militare di Parigi. 15:34 Vertice concluso, parlerà solo Sarkozy 87 – Si attende il discorso del presidente francese Nicolas Sarkozy che pone fine ufficialmente al summit. 15:32 Militari libici attaccano Zenten, a 145 km da Tripoli 86 – Le truppe governative libiche continuano la loro avanzata verso Zenten, 145 chilometri a sudest di Tripoli, e hanno attaccato alcune posizioni ribelli a sud della città: lo hanno reso noto testimonianze locali. 15:28 Tornado italiani a Trapani 85 – Sono stati rischierati a Trapani i caccia Tornado dell'Aeronautica militare che potrebbero essere impiegati sulla Libia: si tratta - secondo quanto appreso dall'ANSA - dei Tornado ECR di Piacenza, specializzati nella distruzione delle difese missilistiche e radar, e dei Tornado IDS di Ghedi (Brescia), con capacità di attacco. Insieme ai Tornado, sono stati schierati nella stessa base anche i caccia Eurofighter di stanza a Grosseto. 15:27 Berlusconi lascia l'Eliseo 84 – Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha lasciato l'Eliseo al termine del vertice sulla Libia. 15:23 Aerei francesi, ricognizioni per tutto il pomeriggio 83 – Queste missioni "di ricognizione" dovrebbero durare l'intero pomeriggio. E al momento, dopo ore di volo sulla Libia, gli aerei francesi non hanno incontrato alcuna difficoltà. 15:20 Ambasciatori Nato riuniti dopo la conclusione del vertice di Parigi 82 – 28 ambasciatori della Nato si riuniranno nuovamente oggi pomeriggio a Bruxelles dopo la conclusione del vertice di Parigi, dal quale sono attese decisioni su un intervento militare della cosiddetta coalizione dei volenterosi tra Usa, paesi europei ed arabi. Lo riferiscono fonti dell'Alleanza. 15:19 Il capo della Conferenza Islamica: Sì alla risoluzione 1973 81 – Il capo dell'Organizzazione della conferenza islamica (Oci), il turco Ekmeleddin Ihsanoglu, ha accolto con favore oggi la risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza dell'Onu, che autorizza l'uso della forza per imporre un cessate il fuoco immediato in Libia. Aprendo a Gedda, in Arabia Saudita, una conferenza ministeriale dell'Oci sulla Libia, Ihsanoglu si è felicitato delle misure prese dall'Onu, "pratiche per mettere fine al massacro del popolo libico". L'Oci conta 57 rappresentanti di oltre un miliardo di musulmani. Aveva chiesto l'8 marzo la creazione di una zona di esclusione aerea sulla Libia. 15:15 I caccia francesi pronti all'attacco se c'è il via libera 80 – Secondo la stessa fonte i Rafale sono al momento impegnati in una missione di ricognizione "sull'intero territorio libico". Il tipo di missione non è vincolante. I Rafale, della Dassault, sono caccia bombardieri armati di ultima generazione, cui basta il via libera del comando per passare all'azione e iniziare i bombardamenti. 15:13 Caccia francesi in "volo di ricognizione" 79 – "Voli di ricognizione": i caccia francesi su Bengasi sarebbero numerosi e starebbero facendo ricognizione aerea prima di un eventuale attacco 15:12 Ex ministro dell'Interno libico: Sono con i rivoltosi 78 – L'ex ministro dell'Interno libico, Abdul Fattah Younis, ha smentito la notizia, diffusa dalla tv di stato, secondo cui sarebbe quindi stato reintegrato nel governo di Tripoli."Nego il mio reintegro nel governo", ha affermato Younis in un'intervista all'emittente 'al-Jazeera'. "Sono ancora a Bengasi con i rivoltosi", ha aggiunto. 15:11 I ribelli: nostri caccia bombardano le truppe di Gheddafi 77 – La radio dell'opposizione libica 'Voce libera della Libia', che trasmette dalla città di al-Baida, ha riferito un messaggio del Consiglio nazionale transitorio di Bengasi, secondo cui alcuni caccia in mano ai ribelli starebbero bombardando le truppe del colonnello Muammar Gheddafi. Lo ha riferito il sito web dell'emittente 'Bbc', senza aggiungere ulteriori dettagli a riguardo. 15:08 Jet francesi, confermano fonti militari 76 – Fonti militari confermano: caccia francesi Dassault Rafale sulla Libia 15:06 Aerei da guerra francesi su Bengasi 75 – Aerei da guerra francesi sarebbero già sopra la Libia, in particolare sui cieli di Bengasi per ostacolare i movimenti delle truppe del Colonnello Muammar Gheddafi. Lo riferisce la tv francese Bfm. 15:05 Velivoli francesi sopra Bengasi 74 – Jet francesi sopra Bengasi, secondo la Tv araba 15:02 Caccia danesi a Sigonella 73 – Sei F-16 danesi arrivati a Sigonella 14:51 Fini: "Bene e tardivo intervento comunità internazionale" 72 – Sulla Libia "la comunità internazionale ha fatto benissimo a intervenire, forse tardivamente". 14:42 Misurata, respinto attacco forze Gheddafi: 27 morti 71 – Gli insorti libici hanno annunciato di aver respinto ieri un'offensiva delle forze governative a Misurata, città controllata dall'opposizione a circa 200 chilometri da Tripoli, con un bilancio di 27 morti tra le fila dei ribelli. Le forze del regime di Gheddafi sono penetrate nel centro città prima di essere respinti dagli insorti, ha riferito una fonte locale. "Ventisette combattenti sono morti. Abbiamo distrutto 14 veicoli blindati, tra cui alcuni carri armati", ha detto. 14:33 Fonte diplomatica: "Tre i piani di intervento Nato" 70 – "Le riunioni dei responsabili militari e degli ambasciatori dei 28 alleati sulla pianificazione delle operazioni continuano oggi e proseguiranno anche domani", ha riferito una fonte diplomatica. La Nato, ha spiegato la fonte, ha catalogato tutte le condizioni del suo impegno in tre missioni possibili: portare assistenza a un'operazione a carattere umanitario, fare rispettare l'embargo sulle armi o il divieto di sorvolo aereo. "Il ruolo e il luogo che potrà avere la nato restano in sospeso", ha commentato la fonte. 14:33 Fini: "Italia deve fare la sua parte" 69 – Per il presidente della Camera, Gianfranco Fini, in Libia "è doveroso che l'Italia faccia la propria parte perché chi cerca la libertà possa ottenerla". Lo afferma intervenendo a Tolmezzo (Udine) nel corso di un incontro pubblico dedicato ai 150 anni dell'Unità d'Italia. "Quello che accade nel Mediterraneo - spiega Fini - è la riprova di come non ci possa essere una dittatura per quanto feroce, tale da impedire ai popoli di chiedere e ottenere la propria dignità ". "Per questo - conclude - è doveroso per la comunità internazionale essere dalla parte di quel popolo ed è doveroso che l'Italia debba fare la propria parte perchè chi cerca la libertà possa ottenerla". 14:26 Al Arabiya: Turchia pronta a partecipare attacchi 68 – La Turchia ha dichiarato la sua disponibilità a partecipare ai raid contro le truppe di Muammar Gheddafi a patto che la Libia non si trasformi in un nuovo Iraq. Lo riferisce la rete Al Arabiya. 14:20 Al Arabiya, nuovi raid aerei su Bengasi 67 – Nuovi raid dell'aviazione di Tripoli sui quartieri sudoccidentali di Bengasi, la roccaforte dei ribelli della Libia orientale teatro di violenti scontri con le truppe fedeli al colonnello Muammar Gheddafi. Lo riferisce l'emittente Al Arabiya. 14:16 Insorti: "Abbiamo respinto forze Gheddafi da Bengasi" 66 – "Noi rivoluzionari abbiamo preso il controllo di quattro carri armati all'interno di Bengasi. Le forze degli insorti hanno respinto quelle di Gheddafi fuori da Bengasi e stanno rastrellando la periferia occidentale alla ricerca dei soldati di Gheddafi", ha detto il portavoce, l'avv. Nasr al-Kaliki. Subito dopo molte persone sono scese in piazza per festeggiare, sparando in aria e gridando di gioia. "Siamo i vincitori, siamo i vincitori", hanno scandito. La tv Al Jazeera ha mostrato un carro armato che viaggiava lungo una strada con un manipolo di ribelli, seduti sulla torretta, che sventolano una bandiera monarchica, il vessillo degli insorti. 14:07 Iniziato il vertice di Parigi 65 – E' iniziato il vertice di Parigi per decidere i ruoli e le modalità dell'intervento armato in Libia dopo l'approvazione della risoluzione dell'Onu. La riunione è stata preceduta da un pre-vertice tra il padrone di casa, il presidente francese, Nicolas Sarkozy, il premier britannico David Cameron e il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton. Secondo quanto riportano fonti del vertice i raid aerei contro le forze di Muammar Gheddafi potrebbero iniziare subito dopo il vertice. Al vertice di Parigi "per il sostegno al popolo libico" sono presenti Francia, Gran Bretagna, Usa, Germania, Italia, Canada, Spagna, Norvegia, Qatar, Giordania, Emirati Arabi, Portogallo, Polonia, Marocco, Olanda, Belgio, Danimarca e Grecia. Present eil segretario generale dell'Onu Ban Ki-Moon e pr l'Ue l'Alto rappresentante Catherine Ashton e il presidente del Consiglio Herman Van Rompuy. Non partecipa invece nessun rappresentante dell'Unione africana. 13:48 Fonte: "L'attacco comincerà tra le 15 e le 16" 64 – L'intervento armato del gruppo dei volenterosi, secondo la fonte che sta seguendo il vertice di Parigi, comincerà tra le 15 e le 16. A bombardare per primi saranno Gran Bretagna, Francia, Norvegia e Canada e in seconda battuta Usa e Paesi arabi. L'azione militare potrebbe cominciare con un bombardamento di missili Cruise per neutralizzare le difese aeree libiche, bombardamenti ravvicinati delle piste di decollo. Ci sarebbero circa 15 obiettivi già individuati tra aerei ed elicotteri, centri di comando, installazioni radar e batterie di difesa anti aerea. La forza aerea di Gheddafi conta su circa 400 velivoli, in prevalenza Mig di fabbricazione russa, ma solo 20 o 30 sono considerati operativi. 13:37 Al Jazeera, 26 morti e oltre 40 feriti a Bengasi 63 – Secondo Al Jazeera all'ospedale Jala ci sarebbero 26 morti e oltre 40 feriti negli scontri di oggi a Bengasi. Non sono stati dati altri dettagli. Le truppe del colonnello impiegano artiglieria pesante, carri armati e lanciamissili. 13:33 Fonte: "Attacchi a Gheddafi dopo summit Parigi" 62 – Gli attacchi alle forze di Gheddafi potrebbero cominciare appena finito il summit di Parigi. Lo ha riferito una fonte che segue i lavori all'Eliseo, precisando che alla prima ondata di attacchi parteciperebbero Canada, Francia e Gran Bretagna, poi si unirebbero anche gli Usa e in seguito alcuni Paesi arabi. 13:24 Unione africana non va al vertice di Parigi 61 – Fonti dell'Eliseo hanno confermato che "nessun rappresentante" dell'Unione Africana (UA) è atteso al vertice di Parigi. L'UA, hanno precisato le fonti, si riunisce oggi a Noukachott, capitale della Mauritania, per affrontare gli aspetti diplomatici della crisi libica. A Parigi ci si concentrerà soprattutto sugli "aspetti militari", hanno sottolineato ancora le fonti dell'Eliseo, precisando che questa decisione è stata presa di "comune accordo" con l'Unione Africana. 13:21 La Russa: "Rischio esodo biblico, pretendiamo aiuti da Ue" 60 – "Sull'ondata migratoria bisogna continuare a stare attenti, come ho trovato giusto che ci fosse un'unica sensibilità a livello europeo e internazionale, che è stata chiamata la coalizione dei volenterosi e cioé quella che si sta muovendo per salvaguardare le popolazioni libiche, così la stessa comunità internazionale non può lasciare solo all'Italia il peso di governare e contrastare il flusso migratorio che potrebbe essere biblico". E' quanto ha affermato il ministro della Difesa Ignazio La Russa, parlando a margine di un convegno a Milano, in merito al flusso migratorio dalla Libia verso il nostro Paese. 13:20 Tripoli, assolti obblighi previsti da risoluzione Onu 59 – Tripoli ha assolto a tutti gli obblighi previsti dalla risoluzione 1973 del consiglio di sicurezza dell'Onu, che autorizza l'uso della forza contro il regime di Muammar Gheddafi in caso di mancato cessate il fuoco in Libia. 13:19 Berlusconi arrivato all'Eliseo 58 – Il premier Silvio Berluconi è giunto all'Eliseo dove è stato accolto da Nicolas Sarkozy e dove fra breve prenderà il via il vertice "per il sostegno al popolo libico". 13:18 Presidente Noc: compagnia petrolifera onorerà contratti 57 – La compagnia nazionale del petrolio Libica (Noc) ha indicato oggi che onorerà tutti i contratti e gli impegni con le compagnie straniere nel paese invitando tutte le società a rimandare le loro squadre in libia. Il presidente della Noc, Ghanem, ha anche aggiunto che la produzione del petrolio è ormai crollata a 400mila barili al giorno, livello più basso dall'inizio delle proteste e della guerra civile un mese fa. 13:16 Vertice Parigi: Francia e Gb favorevoli a intervento subito 56 – Francia e Gran Bretagna sono orientati verso bombardamenti mirati da iniziare nel più breve tempo possibile, entro qualche ora come affermano diplomatici francesi. La Nato sarebbe invece piu propensa a un'attuazione dellla no-fly zone. Oltre a Francia, Gran Bretagna e Usa, riuniti nel pre-vertice, partecipano alla riunione l'Italia, il Canada con il premier Stephen Harper, la cancelliera tedesca Angela Merkel, il premier belga Yves Leterme, il premier spagnolo, Jose Luis Zapatero, il premier danese Lars Lokke Rasmussen il premier greco Yorgos Papandreu, il premier olandese Mark Rutte e polacco Donald Tusk. Per l'Ue sono presenti l'Alto rappresentante per la politica estera Catherine Ashton, e il presidente del Consiglio Herman Van Rompuy. Per la Lega araba c'è Amr Moussa, per l'Onu Ban Ki-Moon. 13:14 La Russa: "Raid oggi? Aspettiamo Parigi" 55 – Il ministro della Difesa Ignazio La Russa non ha voluto anticipare se già oggi avverranno i primi raid aerei sulla Libia, dal momento che la decisione cruciale potrebbe essere presa dai governi della coalizione riuniti proprio in giornata a Parigi. "Ancora non c'è nulla di deciso - ha aggiunto il ministro, a margine di un convegno a Milano - visto che oggi c'è a Parigi una riunione cui partecipa anche il presidente Berlusconi che sarà un passo importante nella formazione di una valutazione complessiva". 13:12 Incontro Letta-D'Alema a Palazzo Chigi 54 – Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega per i servizi segreti, Gianni Letta, secondo quanto apprende l'Agi, ha incontrato questa mattina a Palazzo Chigi il presidente del Copasir Massimo D'Alema. Ieri D'Alema ha chiesto la protezione della Nato contro possibili azioni ritorsive sull'Italia. Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha immediatamente condiviso le parole di D'Alema. 13:08 Tripoli chiede a Onu invio osservatori per cessate fuoco 53 – Il regime del colonnello Gheddafi ha chiesto al segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon di inviare osservatori per verificare il rispetto del cessate in fuoco in Libia. Lo ha riferito una fonte del governo libico. La richiesta di Tripoli arriva poco prima dell'avvio del summit di Parigi sulla Libia cui parteciperanno i paesi arabi, africani e gli occidentali per definire le modalità di intervento militare contro il regime in virtù della risoluzione delle Nazioni Unite, la 1973, votata giovedì. 13:04 Caccia abbattuto era dei ribelli. La conferma ufficiale 52 – Il jet abbattuto a Bengasi era dei ribelli e a colpirlo sono state le forze di Muammar Gheddafi. Lo ha ammesso un portavoce degli insorti contattato telefonicamente dal Cairo. Il velivolo, un Mig-23 pilotato probabilmente da un militare passato con i ribelli, è stato colpito mentre sorvolava la roccaforte della rivolta. Il pilota è riuscito a paracadutarsi prima dello schianto. 12:52 Scudi umani a Tripoli 51 – L'agenzia ufficiale libica Jana riferisce che folle di cittadini libici si stanno radunando sugli obiettivi militari che la Francia ha minacciato di attaccare. 12:45 Berlusconi atterrato a Parigi 50 – Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è atterrato a Parigi. Il premier è atteso al palazzo dell'Eliseo dove alle 13,30 prenderà il via il vertice sulla crisi libica. 12:42 Napolitano: "L'Italia farà quel che è necessario" 49 – Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano conferma la posizione della comunità Internazionale e dell'Italia: "Faremo tutto ciò che è necessario" per affrontare la crisi libica, ha detto al termine della visita ai cantieri dello stabilimento Pirelli di settimo torinese. "Io vedo che qui si lavora per la pace", ha premesso il presidente. "Poi altrove facciamo la nostra parte, come membro attivo della comunità internazionale", ha aggiunto Napolitano sottolineando che sulla questione libica sono "interessati tutti i Paesi che sono nel G8, che sono nell'organizzazione delle nazioni unite ad affermare dei principi e a esigere il rispetto di valori fondamentali, come sono i diritti umani, le aspirazioni di libertà e di giustizia sociale oggi in modo particolare nel mondo arabo". Il presidente ha poi concluso: "Faremo quello che è necessario anche noi". 12:40 Sequestrata petroliera libica diretta in Grecia 48 – Pirati avrebbero sequestrato nel Mediterraneo una petroliera battente bandiera della Libia, diretta verso un terminal petrolifero in Grecia. La nave, che trasporta 23.880 tonnellate di greggio e ha a bordo 22 persone, in maggioranza asiatici, sarebbe stata condotta nel porto di Tobruk, è proprio questo a far pensare che possa essere stata sequestrata dai ribelli libici per il loro finanziamento. A riferirlo è la Drm (Dual Risk Management), società bresciana specializzata nell'analisi del rischio. Il sequestro sarebbe avvenuto nelle acque tra Libia ed Egitto. 12:38 In arrivo nuovi aerei Usa alla base di Aviano 47 – "La situazione è nota, così come le decisioni assunte dal Governo. Posso solo aggiungere che già nelle prossime ore sono previsti arrivi di aerei americani alla base Usa di Aviano, a disposizione per un eventuale utilizzo operativo sul campo": lo ha affermato, il prefetto di Pordenone, Pierfrancesco Galante. "Quanto all'arrivo anche di nuovo personale militare - ha aggiunto - non ho novità". 12:35 Due vittime dei cecchini di Gheddafi a Misurata 46 – Cecchini delle forze di Gheddafi hanno aperto il fuoco nella città di Misurata uccidendo almeno due persone, dicono testimoni locali. "Ci sono tiratori scelti sui tetti delle case che sparano alla gente. Sparano a chiunque vedano", dice un residente al telefono. La città di Misurata, un centinaio di chilometri a est di Tripoli, in mano ai ribelli e off limits per i giornalisti, nelle ultime ore è bombardata dalle forze di Gheddafi, dicono testimoni, secondo i quali è stato anche tagliato l'approvvigionamento di acqua. 12:33 Ribelli smentiscono tv: "Ex ministro Interno è con noi" 45 – L'ex ministro dell'Interno, Abdel Fattah Yunis, non ha abbandonato i rivoltosi per unirsi alle forze del leader libico Gheddafi. Lo ha dichiarato il presidente del consiglio nazionale di transizione di Bengasi, l'ex ministro della giustizia Mustafa Abdel Jalil, citato da Al Jazeera, smentendo quanto annunciato dalla televisione di Stato libica. 12:30 Al Jazeera, truppe Gheddafi respinte da Bengasi 44 – Secondo la televisione Al Jazeera i ribelli sarebbero stati in grado di mantenere il controllo di Bengasi, roccaforte della rivolta. Le truppe fedeli al regime starebbero lasciando la città. Lo hanno riferito fonti dei rivoltosi interpellate dall'emittente araba ma la notizia non è stata ancora confermata. 12:27 La Russa: "Basi? L'Italia non è un' affittacamere" 43 – Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, nel confermare che la partecipazione italiana al possibile intervento militare in Libia, non si limiterà alla messa a disposizione delle basi, ma vedrà il Paese in prima linea nella "coalizione dei volonterosi", ha utilizzato una espressione colorita, sottolineando che il governo di Roma non si limiterà a fare "l'affittacamere". "Proprio perché siamo vicini alla Libia - ha detto La Russa - il nostro ruolo non può essere quello degli affittacamere: il nostro ruolo deve essere propositivo, moderato ma determinante". 12:20 Reintegrato ministro dell'Interno Abdel Fatah Yunis 42 – Il regime di Muammar Gheddafi ha annunciato che il ministro dell'Interno libico, Abdel Fatah Yunis, che a inizio marzo era passato con i ribelli, è rientrato nei ranghi e ha ripreso il suo incarico. Lo ha riferito la tv di stato di Tripoli. Younis si era unito agli insorti subito dopo l'inizio della rivolta e ricopriva l'incarico di presidente del comitato militare all'interno del Consiglio nazionale transitorio che ha sede a Bengasi. 11:57 The Guardian, caccia abbattuto era dei ribelli 41 – L'aereo abbattuto oggi a Bengasi, probabilmente un Mig-23, potrebbe essere stato dei ribelli libici. "Alcuni insorti dicono che era un loro aereo - afferma il corrispondente del quotidiano britannico The Guardian - potrebbe essere anche che il loro unico aereo sia stato abbattuto dalle forze di Gheddafi". nella dichiarazione rilasciata all'agenzia ufficiale Jana il regima accusava i ribelli di usare "un elicottero e un aereo da combattimento per bombardare le forze armate libiche, in flagrante violazione della no-fly zone imposta dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite". 11:53 Campo della croce rossa bombardato a Bengasi 40 – L'emittente araba Al Jazeera ha riferito di un bombardamento sul campo della croce rossa presente nel centro di Bengasi. 11:46 Incontro Clinton, Cameron e Sarkozy indetto per 11,30 39 – Il segretario di Stato Usa Hillary Clinton, il primo ministro inglese David Cameron e il presidente francese Nicolas Sarkozy si incontreranno alle 12,30 a Parigi, un'ora prima dell'inizio del vertice internazionale sulla Libia indetto tra Ue, Unione africana, Lega araba e Stati Uniti. La chiusura del vertice è prevista per le 15,30. Dopo quell'ora, secondo quanto riferito ieri dall'ambasciatore francese all'Onu, Gerard Araud, potrebbe scattare l'intervento militare contro Gheddafi. 11:23 Gheddafi a Ban Ki Moon: 38 – "La Libia non è vostra. Non avete diritto di intervenire nei nostri affari interni. Non è il vostro Paese è il nostro Paese. Non potrete mai sparare una singola pallottola contro il nostro popolo...", ha detto il portavoce del governo Ibrahim Moussa, citando le parole del colonello dirette al segretario generale dell'Onu, durante la conferenza stampa trasmessa da Al Jazeera. 11:13 Bombardamenti anche a Zintan 37 – La città libica di Zintan, nell'ovest del Paese, è bersaglio di bombardamenti da parte delle forze fedeli a Gheddafi: lo dice la tv Al Arabiya, citando fonti del Consiglio nazionale transitorio (Cnt), il governo provvisorio degli insorti. Almeno cinque esplosioni - non è chiaro se colpi di cannone, di mortaio o razzi - sono avvenute alla periferia della città. Secondo il portavoce cinque bombe sono cadute nei quartieri periferici della città. Zintan e Arrujban, un'altra città a sud della capitale, erano state colpite anche ieri dalle truppe del leader libico. 11:09 Bombardamenti anche a Zenten 36 – La città libica di Zenten, nell'ovest del Paese, è bersaglio di bombardamenti da parte delle forze fedeli a Gheddafi: lo dice la tv Al Arabiya, citando fonti del Consiglio nazionale transitorio (Cnt), il governo provvisorio degli insorti. Almeno cinque esplosioni - non è chiaro se colpi di cannone, di mortaio o razzi - sono avvenute alla periferia della città. 11:00 Conferenza stampa governo: "Inacettabile risoluzione Onu" 35 – Gheddafi: "Il popolo libico è pronto a morire per me. Il popolo libico sta con noi nel combattere le bande armate", ha detto il Colonello affidando le sue lettere al portavoce governativo che alla tv di Stato ha ribadito la posizione ufficiale dello Stato libico. "Non accetteremo mai nessun intevento da parte della Comunità internazionale. Che non ha alcun diritto a intervenire. Noi siamo in guerra con Al Qaeda, non siamo contro il nostro popolo. Venite pure e accertatevi della realtà", ha continuato a leggere il portavoce. Le lettere di Gheddafi erano indirizzate soprattutto al premier britannico Cameron e al presidente francese Sarkozy: "Rimpiangerete ogni Ingerenza in Libia". Ma per il presidente Usa, Gheddafi ha avuto parole conciliatorie: "Barack Obama è un amico. Deve capire che il popolo è con me. Nonostante la sua posizione, lo stimo e gli voglio bene". 10:57 Laeder ribelli: "Cittadini e famiglie stanno fuggendo" 34 – "Per 160 chilometri sulla strada a est che porta fuori dalla città ci sono macchine con famiglie terrorizzate dentro", ha detto il leader del Consiglio nazionale dell'opposizione, Mustafa Abdel Jalil, aggiungendo che gli ospedali della città sono pieni di vittime. Jalil ha quindi sottolineato la disparità di forze dei rivoltosi rispetto alle forze libiche: "Noi abbiamo solo armi leggere, Gheddafi sembra avere armi nuove e potenti". 10:44 Lombardo, timori per nuovo attacco contro Lampedusa 33 – "Un timore che ha qualche fondamento", quello che si paventa in queste ore circa la possibilità che l'isola di Lampedusa sia obiettivo degli attacchi della Libia, come avvenne nel 1986. Lo ha espresso il presidente della Regione siciliana Raffaele Lombardo. "Non c'è da stare tranquilli. Vivo questo episodio - ha aggiunto - con la preoccupazione dei cittadini siciliani". 10:41 Viceministro esteri: "Forze aeree libiche sono ferme" 32 – "Il cessate il fuoco è in vigore". Ha ribadito il viceministro degli Esteri Kaaim, nell'intervista radiofonica Bbc 4."Le forze aeree libiche sono ferme perché rispettiamo la risoluzione 1973 dell'Onu e il cessate il fuoco è reale", ha aggiunto, rispondendo a una domanda sull'aereo militare abbattuto a Bengasi. 10:40 Tripoli: intervento straniero causerà reazione regionale 31 – Un intervento straniero in Libia Potrebbe indurre i Paesi vicini a sostenere le forze di Gheddafi. Lo ha affermato oggi il viceministro degli Esteri libico, Khaled Kaaim, in un'intervista alla radio Bbc 4. "Se ci sarà un attacco o un intervento straniero, non saranno soltanto i libici a battersi, ma vedrete algerini, tunisini, egiziani, tutti si uniranno ai combattimenti in territorio libico", ha detto Kaaim. 10:38 Leader ribelli: "Il cessate il fuoco è una bugia" 30 – Il cessate il fuoco è una bugia di Muammar Gheddafi, da ieri si combatte in tutto il Paese", ha aggiunto Mustafa Abdel Jalil. "In queste ore si combatte a Bengasi e tutta la città subisce i bombardamenti delle truppe di Gheddafi - ha affermato -. Ci sono migliaia di persone che fuggono dalla città verso la parte orientale del Paese. Da quando hanno proclamato il cessate il fuoco - ha aggiunto - hanno attaccato Misurata e Zintan in Tripolitania e Bengasi in Cirenaica". 10:32 Leader ribelli: "Comunità internazionale intervenga ora" 29 – "Lancio un appello alla comunità internazionale affinché intervenga in difesa dei civili di Bengasi". E' quanto ha affermato il leader del Consiglio nazionale dell'opposizione, Mustafa Abdel Jalil, tramite la tv araba Al Jazeera. "Quella che stiamo vivendo a Bengasi è una tragedia - afferma - ci sono anziani e bambini che vengono usati come scudi umani dalle truppe di Gheddafi. Certamente - ha aggiunto - ci vorrà tempo per prendere tutta Bengasi, tuttavia, in queste ore i civili sono vittime dei loro attacchi. Chiediamo alla comunità internazionale di intervenire per cacciare le truppe del regime dalle nostre città". 10:20 Amr Mussa: "L'obiettivo ora è il cessate il fuoco" 28 – "L'obiettivo principale in questo momento è di arrivare a un cessate il fuoco nel più breve tempo possibile per essere sicuri che non ci sia nessuna azione contro il popolo libico". Lo ha detto il segretario generale della Lega araba Amr Mussa, al seggio per votare al referendum costituzionale, prima di partire per Parigi, dove oggi si tiene il vertice sulla Libia. 10:13 Otto morti nei bombardamenti 27 – E' di almeno otto morti il bilancio dei bombardamenti delle forze di Muammar Gheddafi su Bengasi. Lo riferisce Al Jazeera. Un testimone ha riferito all'emittente che le vittime si trovavano nel quartiere di Dinar e sono probabilmente guerriglieri ribelli. Le forze di Gheddafi stanno impiegando carri armati, artiglieria pesante e lanciamissili e il numero di feriti sarebbe altissimo. 10:09 Berlusconi verso Parigi per partecipare al vertice 26 – Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha appena lasciato Palazzo Grazioli per recarsi a Parigi, dove prenderà parte al vertice internazionale sulla Libia. 10:05 Truppe Gheddafi bombardano zona est, vittime 25 – Le brigate fedeli a Muammar Gheddafi stanno bombardando in questi minuti anche i quartieri della zona orientale di Bengasi. Lo rifriscono testimoni alla tv araba Al Jazeera. Secondo queste fonti ci sarebbero anche diversi morti e feriti tra i ribelli in città. 09:56 Governo: "Nostro 'cessate il fuoco' è reale e credibile" 24 – "Il 'cessate il fuoco' è reale, credibile e solido". E' quanto ha affermato il ministro degli Esteri libico, Moussa Koussa, in un'intervista alla radio dell'emittente Bbc. "Siamo disposti ad accogliere gli osservatori appena possibile", ha aggiunto, riferendosi alla possibilità che la comunità internazionale invii i suoi osservatori per verificare sul terreno l'effettiva interruzione delle operazioni militari contro gli insorti da parte delle truppe del colonnello Muammar Gheddafi. Kaaim ha detto che il colonnelo Muammar Gheddafi "non ha potere esecutivo dal 1977. Che sia il dialogo nazionale a decidere. Gheddafi stesso lo ha detto: ho un ruolo simbolico in questo Paese". 09:50 Carri armati di Gheddafi entrati a Bengasi 23 – Un giornalista della Bbc presente a Bengasi ha riferito di aver visto in città carri armati del leader libico Gheddafi. 09:46 Esplosione vicino sede dei ribelli nel centro 22 – Un'esplosione ha scosso il quartier generale dei rivoltosi nel centro di Bengasi. 09:35 Fonte governo francese: "Agire rapidamente" 21 – La comunità internazionale deve agire rapidamente sulla situazione in Libia. Lo ha detto alla Reuters una fonte del governo francese. "Tutto è pronto, ma la decisione ora è politica. E' chiaro che dobbiamo muoverci rapidamente", ha detto la fonte. Alle 13,30 a Parigi è in programma un summit sulla Libia tra Ue, Unione africana, Lega araba e Stati Uniti. Il vertice si chiuderà alle 15,30. A quel punto, secondo quanto detto ieri alla Bbc dall'ambasciatore francese all'Onu Gerard Araud, potrebbe scattare l'intervento militare contro le forze di Gheddafi. 09:24 Ribelli si concentrano vicino tribunale 20 – Le forze dei ribelli si stanno concentrando nella zona orientale della città, dove si trova il tribunale. I lealisti attaccano con colpi di mortaio tutti i palazzi dove si sono rifugiati i rivoltosi. 09:14 L'esercito attacca Bengasi dalla costa e da sud 19 – Al Jazeera riferisce che l'esercito di Gheddafi attacca Bengasi dalla costa e da sud. La tv panaraba ha anche mostrato le immagini dell'aereo delle forze governative abbattuto nel cielo della città. L'aeroplano, probabilmente un Mig-23, prende fuoco in volo e precipita a terra, provocando una nuvola di fumo. Si vede chiaramente anche il pilota che si lancia all'esterno prima dell'impatto, a poche decine di metri da terra. 09:08 Governo: "Al Qaeda ha attaccato unità forze armate" 18 – "Le bande di Al Qaeda hanno attaccato le unità delle forze armate libiche ferme a ovest di Bengasi", si legge in una dichiarazione riportata dall'agenzia ufficiale Jana. La dichiarazione accusa i ribelli di usare "un elicottero e un aereo da combattimento per bombardare le forze armate libiche, in flagrante violazione della 'no fly zone' imposta dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite". 09:07 Migliaia gli abitanti di Bengasi in fuga 17 – Sono diverse migliaia gli abitanti di Bengasi che fuggono dai quartieri occidentali della città, occupati questa mattina dalle brigate fedeli a Muammar Gheddafi. Secondo la tv araba Al Jazeera, i civili di quei quartieri stanno scappando verso la parte orientale di Bengasi ancora in mano ai ribelli. 09:05 Governo: "Forze armate rispondono per autodifesa" 16 – Il governo libico ha detto che le sue forze armate sono sotto attacco a ovest di Bengasi e hanno risposto per autodifesa. Lo riferisce Al Jazeera. 08:55 Bbc conferma: forze Gheddafi nella periferia della città 15 – Anche la Bbc riferisce di notizie secondo le quali le forze di Gheddafi stanno avanzando nella periferia della città. L'inviato della tv britannica a Bengasi riferisce di aver sentito spari provenienti anche dal mare. 08:53 Forze di Gheddafi verso il centro di Bengasi 14 – Le forze fedeli a Muammar Gheddafi stanno avanzando in questi minuti dai quartieri occidentali verso il centro di Bengasi. Lo rivelano forze dei ribelli libici alla tv araba Al Jazeera. 08:51 Joulwan: "'No fly zone' forse non basterà" 13 – Non è detto che la 'no fly zone' funzioni e sarebbe il caso che i Paesi discutessero subito che cosa fare se il massacro dei civili non cesserà. Ne è convinto il generale George Alfred Joulwan, capo del Saceur, il supremo comando Nato, durante la guerra in Bosnia. 08:51 Governo: "Nessun bombardamento contro la città" 12 – Il portavoce del governo libico ha detto che non c'è "alcun attacco" contro Bengasi. 08:49 Regime denuncia: attaccati dai ribelli a ovest Bengasi 11 – Il regime libico denuncia di essere stato attaccato dai rivoltosi a ovest di Bengasi, roccaforte dei rivoltosi nella zona orientale del Paese, scossa oggi da intensi bombardamenti. Già la scorsa notte, il viceministro degli esteri libico, Khaled Kaaim, aveva accusato i rivoltosi di aver violato il cessate il fuoco, attaccando le forze fedeli al regime nella regione di Al Magrun, a circa 80 chilometri a sud di Bengasi. 08:46 Grecia, Papandreu a premier libico: "Cessate le violenze" 10 – Il premier greco Giorgio Papandreu ha telefonato al suo omologo libico Mahmudi Al Baghdadi, invitandolo a un'immediata attuazione della Risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza. Nel colloquio di ieri sera, Papandreu, che oggi partecipa a Parigi al vertice sulla Libia, ha detto ad Al Baghdadi, secondo quanto riferisce l'agenzia Ana, che è necessario porre fine a qualsiasi azione militare per rendere possibile una soluzione non violenta della crisi. Sulla questione libica il premier greco ha avuto un colloquio telefonico anche con il suo collega turco Recep Tayyip Erdogan. 08:41 Intensi bombardamenti al centro della città 9 – Il centro di Bengasi è bersaglio di un intenso bombardamento di artiglieria, dice l'emittente Al Jazeera, che cita un suo inviato. Granate d'artiglieria, dice l'emittente, sono esplosi anche nella centrale Gamal Abdel Nasser Street. 08:35 Continua la battaglia, due mercenari uccisi dai ribeli 8 – Testimoni hanno riferito di una jeep che sarebbe riuscita e entrare nei quartieri ovest di Bengasi con a bordo due mercenari di Gheddafi che hanno lanciato granate prima di essere uccisi dai ribelli. Dai documenti è risultato che i due, in abiti vivili, erano nigeriani. 08:20 Colonna di fumo nero nel punto dello schianto 7 – L'aereo, che era passato su Bengasi diverse volte, è stato visto sorvolare un'ultima volta con il reattore destro in fiamme e poi schiantarsi al suolo in una palla di fuoco. Una colonna di fumo nero si alza dal punto dello schianto. Non è ancora chiaro come l'aereo sia stato abbattuto o se lo schianto a terra abbia provocato vittime. 08:14 Aereo colpito e abbattuto dai ribelli 6 – Un aereo è stato colpito e abbattuto su Bengasi dai ribelli: lo afferma l'inviato di Al Jazeera International Tony Birtley, in collegamento in diretta dalla città in mano ai ribelli, dove si sta combattendo alla periferia occidentale. 08:09 Continuano i bombardamenti nella zona sud-ovest 5 – I bombardamenti sono ancora in corso nella zona sud-ovest di Bengasi. Lo riferiscono giornalisti della France presse. Quattro esplosioni a distanza ravvicinata sono state udite nel centro della città. 07:54 Al Jazeera: le forze di Gheddafi nei sobborghi di Bengasi 4 – Le forze di Gheddafi sono entrate alla periferia ovest di Bengasi, dove si sta combattento intensamente, secondo quanto afferma l'emittente Al Jazeera, citando il suo inviato. 07:35 I ribelli: le forze di Gheddafi a 20 km da Bengasi 3 – I ribelli di Bengasi si stanno ritirando verso la città sotto l'incalzare delle forze fedeli a Gheddafi che, affermano gli insorti, sono ora a soli 20 chilometri di distanza e potrebbero arrivare in città entro una-due ore. "Ieri erano a 60 chilometri, oggi sono a soli 20 e potrebbero arrivare qui in poco tempo, anche in mezz'ora fino a 90 minuti", dice Khaled, un insorto posto a difesa di Bengasi alla periferia ovest 06:42 Bombardamenti aerei a sud-ovest di Bengasi 2 – Anche giornalisti della France Presse hanno riferito di bombardamenti aerei sulla zona a sud-ovest di Bengasi. Due colonne di fumo si sono levate dall'area colpita 06:08 Esplosioni e un caccia su Bengasi 1 – L'agenzia Reuters ha riferito di forti esplosioni e di almeno un caccia in volo su Bengasi. I ribelli stanno rispondendo al fuoco. "Le esplosioni sono cominciate verso le 2 di notte. Le forze di Gheddafi avanzano, abbiamo sentito che sono a una ventina di chilometri da Bengasi. E' fuoco di terra. Abbiamo visto un aereo", ha raccontato un testimone. Un altro, componente di una pattuglia di controllo, ha detto di aver ricevuto informazioni secondo cui i lealisti stanno arrivando via mare. Ma la notizia non ha finora trovato conferma (19 marzo 2011)
SCHEDA Le forze in campo MENTRE il regime libico annuncia il cessate il fuoco e la comunità internazionale accoglie la notizia con scetticismo, continuano sul terreno le preparazioni per possibili azioni armate contro i lealisti di Muammar Gheddafi. In prima linea Gran Bretagna e Francia, i due paesi che più hanno spinto per la risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza che istituisce la no-fly zone e autorizza a colpire obiettivi a terra. Ma ci saranno anche altri paesi, verosimilmente anche l'Italia con i suoi cacciabombardieri. Le forze in campo saranno pressoché solo aeree, e la bilancia pende molto a favore della coalizione anti-Gheddafi. L'aviazione libica è in cattivo stato da quando sono cessati nel 1989 gli aiuti militari sovietici, e benché disponga di mezzi sufficienti per attaccare con relativa impunità le milizie ribelli, non può tenere testa a quello che schiera la Nato. Ecco quali sono le forze che potrebbero prendere parte alle operazioni sui cieli della libia. Francia Il paese più attivo nel lavoro diplomatico che ha portato alla risoluzione di giovedì è anche uno dei due, oltre agli Usa, che con la Libia si è già scontrato militarmente, nel conflitto in Chad durante gli anni Ottanta. Per pattugliare i cieli e colpire obiettivi a terra l'Armée de l'air potrebbe utilizzare i celebri e collaudati Mirage e il suo nuovo gioiello, il Rafale. La versione Mirage 2000, che sarebbe impiegata sia come pattugliatore sia come bombardiere, è tra l'altro proprio quella che il fabbricante Dassault avrebbe voluto vendere a Gheddafi prima che scoppiasse la crisi. Sarebbe il battesimo del fuoco invece per il modernissimo Rafale, in servizio da pochi anni e mai esportato, che potrebbe anche operare dalla portaerei nucleare De Gaulle, attualmente in rada a Tolone ma che potrebbe raggiungere le coste libiche in pochi giorni. Le basi da cui potrebbe partire l'attacco francese sono Solenzara in Corsica e Istres sulla costa mediterranea. In entrambi casi sarebbero necessari rifornimenti in volo, per i quali la Francia dispone di aerocisterne Boeing Kc-135. Gran Bretagna I britannici dovrebbero invece rischierarsi a sud, probabilmente in Italia o nella base di Akrotiri a Cipro, per essere a portata della Libia. Anche in questo caso sarebbero impiegati un aereo dalla lunga storia, il bombardiere Tornado veterano dell'Iraq e della ex Jugoslavia, e uno nuovo, il caccia europeo multiruolo Typhoon, al quale sarebbe affidato il controllo dei cieli. Insieme alle aerocisterne, potrebbero essere schierati già nel fine settimana in Italia, forse insieme ai vetusti ma ancora efficaci quadrimotori da ricognizione e guerra elettronica Nimrod. Da mettere in conto anche due fregate portaelicotteri, Cumberland e Westminster, al largo della Libia. Usa Attualmente gli Usa hanno nel Mediterraneo la portaerei nucleare Enterprise e numerose altre navi d'appoggio. Gli F-18 a bordo della portaerei sono in grado sia di far rispettare la no-fly zone che di attaccare ogni tipo di obiettivo a terra. Da aggiungere centinaia di aerei in Europa, schierati tra Aviano in Italia e basi in Germania e Gran Bretagna: ci sono cacciabombardieri F-15, F-16 e aerei anticarro A-10. Italia "L'italia ha una forte capacità di neutralizzare i radar di ipotetici avversari", ha detto oggi il ministro della Difesa, Ignazio La Russa. E proprio questa potrebbe essere la capacità che l'Aeronautica potrebbe impiegare nelle fasi iniziali delle operazioni. A essere chiamati in causa sarebbero i Tornado della versione speciale Ecr, una quindicina di aerei di base a San Damiano vicino a Piacenza, equipaggiati con missili americani Agm-88 harm che si dirigono verso le emissioni radar per distruggere i sistemi di guida senza i quali i missili antiaerei sono ciechi. Un tipo di operazioni difficili e specializzate che i Tornado italiani hanno già svolto nel 1999 durante la campagna Nato contro la Serbia. Per il bombardamento potrebbero essere impiegati anche gli Av-8 Harrier della Marina, basati a Taranto ma impiegabili sulla portaerei Garibaldi. E da Grosseto e Gioia del Colle potrebbero volare i caccia Typhoon, gli aerei più moderni dell'Aeronautica militare, mai impiegati in combattimento. Danimarca e Norvegia Gli F-16 dei due paesi scandinavi partecipano da tempo alle operazioni Nato in Afghanistan, soprattutto con compiti di attacco al suolo. Il ministro della Difesa danese ha detto che quattro F-16 più due di riserva sono pronti a rischierarsi a sud. La Norvegia ha indicato una disponibilità simile. Altri paesi La Lega araba è a favore della no-fly zone, ma finora nessun paese membro ha offerto aerei. Se si dovesse arrivare a quel punto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi dispongono dei più moderni cacciabombardieri americani ed europei (F-15 sauditi e F-16 degli Emirati). Immediatamente confinante l'Egitto, che dispone di F-16 e Mirage 2000, ma finora ha indicato solo la disponibilità a fornire armi leggere ai ribelli. Libia Il regime di Gheddafi fa paura più per i missili antiaerei di cui dispone - una trentina di batterie secondo le valutazioni dell'intelligence Usa - che per gli aerei, quasi tutti vecchi Mig sovietici in cattive condizioni. Le informazioni sono incerte, ma probabilmente restano utilizzabili alcune decine di Mig-23, macchine degli anni Settanta che il colonnello ha impiegato contro i ribelli insieme ai pari età Su-22. I mig-21, addirittura degli anni Sessanta, sarebbero ridotti a poche unità. (18 marzo 2011)
CRISI LIBICA Frattini: "Daremo le basi, possibili nostri raid" Parlamento, ok all'impegno. Lega assente Via libera dalle commissioni di Senato e Camera. Carroccio, Idv e Reponsabili non partecipano al voto. Il titolare della Farnesina davanti alle commissioni Esteri e Difesa: "Assoluta lealtà alla prospettiva atlantica e Ue". Chiusa l'ambasciata a Tripoli. Pd: "Pronti a sostenere ruolo attivo del nostro Paese" Frattini: "Daremo le basi, possibili nostri raid" Parlamento, ok all'impegno. Lega assente Franco Frattini e Ignazio La Russa ROMA - L'utilizzo di aerei italiani sarebbe "possibile" nel caso di una violazione della No fly zone da parte della Libia. Il ministro degli Esteri Franco Frattini spiega così il coinvolgimento del nostro Paese nelle acrisi libica, aggiungendo che possibili obiettivi potrebbero essere "postazioni radar o siti della contraerea" libici. Per il ministro "senza l'Italia non si sarebbe potuto compiere l'intervento, fondamentale per la salvaguardia di vite innocenti, perchè le basi militari italiane sarannno la chiave per realizzarlo". Frattini difende la scelta di puntare sull'ombrello della copertura della Nato: "Si tratta della migliore garanzia contro un'eventuale rappresaglia di Tripoli" spiega il ministro. Che davanti all'ipotesi di un attacco della coalizione internazionale contro la Libia "già questa notte", si mostra cauto: "Non lo sappiamo, a questo punto dipende dalle decisioni strategico-militari: la risoluzione dell'Onu è pienamente in vigore". Lega assente. Ok bipartisan dalle commissioni Difesa ed Esteri al Senato e della Camera per la risoluzione che dà mandato al governo ad agire in base alla risoluzione dell'Onu sulla Libia 1. Il primo via libera dal Parlamento arriva con l'assenza dei senatori della Lega, che ha espresso diversi dubbi, e dell'Idv. A Montecitorio il copione si ripete (il Carroccio è assente e l'Idv si astiene), con l'aggiunta dei cosidetti "Responsabili". "Problema logistico - sottolinea il capogruppo Sardelli - molti dei nostri parlamentari sono fuori sede e quindi oggi non erano a Roma". Nell'opposizione, però il dubbio di una '''diserzione rimane...". Anche in considerazione dello stallo del rimpasto di governo che dovrebbe vedere l'ingresso di alcuni fuoriusciti da Fli e Idv nell'esecutivo. L'Italia "parteciperà attivamente" all'attuazione della risoluzione delle Nazioni Unite e autorizza "l'uso delle sue basi e non solo", dice Frattini, riferendo insieme al ministro della Difesa La Russa, dopo il Consiglio dei ministri straordinario dedicato alla crisi libica, che ha dato l'ok a sostenere le azioni che verranno decise dalla comunità internazionale, nonostante i dubbi fatti trapelare dal Carroccio. Da Bruxelles la Nato rende noto che prosegue, e anzi ha subito un'accelerazione, la pianificazione militare di un eventuale intervento. Chiusa l'ambasciata a Tripoli. "Condividiamo pienamente la risoluzione Onu", spiega Frattini, annunciando la prima conseguenza concreta di tale adesione: la chiusura dell'ambasciata italiana a Tripoli, il cui personale è già in volo per fare rientro in patria. "E' una misura coerente con la condivisione e con l'attuazione italiana di questa risoluzione - continua il titolare della Farnesina - e abbiamo chiesto alla Turchia, che ha accettato, di curare i nostri interessi in Libia". Roma continua ad avere rapporti con il Consiglio nazionale transitorio di Bengasi, città dove resta aperto il consolato italiano. La partecipazione "attiva" alla risoluzione dell'Onu, ha poi detto Frattini, ha anche l'obiettivo di "marcare l'assoluta lealtà dell'Italia alla prospettiva atlantica e dell'Unione Europea". Da Roma, intanto, arriveranno aiuti umanitari per la Libia a Bengasi via mare: è partita una seconda nave, che dovrebbe giungere nel Paese nelle prossime ore, probabilmente già domani mattina. Escluso intervento via terra. L'Italia è quindi pronta a qualunque intervento che non comporti la presenza di militari italiani sul suolo libico, dunque è disponibile anche a missioni aeree per far rispettare la 'no-fly zone'. Una linea condivisa anche dalle opposizioni in Parlamento, mentre è contrario il Prc-Rifondazione della sinistra e anche la Cgil, che non vuole l'uso di "strumenti di guerra". Perplessità sono state espresse anche dal Carroccio: "La Lega nord si sente vicina alla posizione della Germania (che si è astenuta all'Onu sulla 'no-fly zone', ndr)", ha detto Bossi, secondo quanto si è appreso. E i senatori leghisti hanno disertato il voto del Senato, insieme all'Italia dei Valori. "Cessate il fuoco non reggerà". La situazione potrebbe evolvere molto velocemente: "Il cessate il fuoco non reggerà", dice Frattini: "In Libia ci saranno degli attacchi". Ma l'attuazione di una no-fly zone non può restare estranea alla Nato, "perché tre o quattro paesi non possono da soli esercitare un controllo capillare della zona", spiega il ministro della Difesa Ignazio La Russa, aggiungendo che il governo chiederà alle Camere l'autorizzazione ad aderire alla coalizione dei volenterosi, per la Libia, che dovrebbe unire Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e alcuni paesi arabi, e potrebbe attivarsi, secondo La Russa, concretamente in tempi ridotti. Dall'Italia è stata offerta la disponibilità di sette basi militari, "senza nessun limite restrittivo all'intervento, quando si ritenesse necessario per far rispettare la risoluzione Onu" e garantire la tutela dei cittadini. Si tratta di Amendola, Gioia del Colle, Sigonella, Aviano, Trapani, Decimomannu e Pantelleria: alcune, dice ancora La Russa, sono già state chieste da inglesi e americani. "Abbiamo forte capacità di neutralizzare radar di ipotetici avversari, e su questo potrebbe esserci una nostra iniziativa: possiamo intervenire in ogni modo", aggiunge La Russa. Ma ogni decisione verrà presa in accordo con il Quirinale e "il Parlamento sarà costantemente informato ai fini delle decisioni che intenderà adottare", assicura Silvio Berlusconi. Pd: Pronti a sostenere ruolo attivo del nostro Paese. Dal Pd arriva la disponibilità a valutare le iniziative al vaglio: "Nei limiti della risoluzione dell'Onu siamo pronti a sostenere il ruolo attivo dell'Italia", ha detto Pierluigi Bersani. "Il governo - spiega il segretario del Pd - conosce la nostra disponibilità, noi chiediamo soltanto che in queste ore non ci siano dichiarazioni estemporanee e contraddittorie. Bisogna parlare con gli altri Paesi disponibili e con la Nato. Nessuno faccia lo stratega, questa è una cosa seria". Massimo D'Alema sottolinea la necessità di agire entro lo scudo dell'Alleanza atlantica: "Siamo a rischio ritorsioni, precisa, e "dobbiamo chiedere che si attivi un dispositivo di protezione della Nato, una rete di sicurezza indispensabile". Punto sul quale anche il ministro Frattini si dice d'accordo. (18 marzo 2011)
LA PROTESTA È sempre alta tensione nello Yemen 72 morti ieri a Sana'a, spari ad Aden Gli scontri ieri nella capitale nel corso di una manifestazione di protesta contro il presidente yemenita Ali Abdallah Saleh. Che ha proclamato lo stato di emergenza. La polizia spara sui manifestanti nella città nel sud del paese È sempre alta tensione nello Yemen 72 morti ieri a Sana'a, spari ad Aden SANA'A - È sempre alta tensione nello Yemen. Gli scontri di ieri 1 nella capitale Sana'a hanno provocato almeno 72 vittime e oltre 400 feriti, come riferisce all'Ansa Foad Aodi, presidente della Comunità araba in Italia (Comai), oggi la polizia ha sparato sui manifestanti ad Aden, nel sud del paese. Un primo bilancio parla di 4 feriti, secondo quanto riferiscono alcuni testimoni. La polizia e l'esercito avrebbero aperto il fuoco sui manifestanti che difendevano una barricata nel quartiere di Moalla, ad Aden. Secondo i testimoni, un manifestante è stato colpito da una pallottola, gli altri tre da granate lacrimogene. Le forze dell'ordine non sono riuscite a smantellare le barricate, che resistono ad Aden da due settimane. Sempre oggi si registra una nuova imponente manifestazione dell'opposizione. Decine di migliaia di persone sono scese in piazza anche oggi in piazza del Cambiamento, a Sana'a, per chiedere le dimissioni del presidente yemenita, Ali Abdullah Saleh. Lo ha riferito l'agenzia d'informazione 'Dpa'. La manifestazione si tiene all'indomani degli scontri nella capitale Sana'a nel corso di una manifestazione di protesta contro il presidente yemenita Ali Abdallah Saleh. La gravità del bilancio delle vittime ha spinto il governo di Saleh - al potere da 32 anni - a proclamare lo stato di emergenza. Secondo le prime testimonianze a sparare sulla folla sarebbe stato un gruppo di sostenitori del governo appostati sui tetti delle abitazioni che si affacciano su piazza dell'univesrità, dove si svolgeva la manifestazione; la polizia da parte sua avrebbe usato i gas lacrimogeni e - secondo alcune fonti - sarebbe anche ricorsa alle armi da fuoco. A Sanaa è "emergenza sanitaria", dichiara Aodi, che è anche presidente dell'Associazione medici stranieri in Italia (Amsi), "gli ospedali non bastano ad accogliere i feriti" che "sono stati portati anche nelle moschee" perché "non c'è più posto neppure nelle tende". "I medici che sono in contatto con noi dallo Yemen ci stanno chiedendo aiuto", riferisce Aodi, che reclama anche "un intervento della comunità internazionale" perché "non accada ciò che sta accadendo in Libia". In Yemen, conclude, "c'è il rischio concreto di una guerra civile". (19 marzo 2011)
LA SITUAZIONE Yemen tensione altissima nella capitale La testimonianza dei cooperanti di Intersos "Siamo molto preoccupati, per le migliaia di persone rimaste a presidiare piazza Ad'dari, e che continueranno a dormire accampate". Il rischio è che si arrivi a una vera e propria guerra civile, a meno di 20 anni da quella scoppiata nel 1994. Lo scenario peggiore è l'esplosione di un conflitto aperto tra forze governative e movimento separatista al sud di PAOLA AMICUCCI Yemen tensione altissima nella capitale La testimonianza dei cooperanti di Intersos SANA'A - "Dopo la strage di ieri 1, qui a Sana'a siamo come sospesi aspettando che il Governo spieghi cosa significa il nuovo stato d'emergenza". Sono le parole di Alessandro Guarino, capomissione della ong INTERSOS 2 dalla capitale dello Yemen. Le cifre del massacro di ieri, venerdì, a Piazza dell'Università parlano di oltre 50 morti e centinaia di feriti, tra i dimostranti che da un mese contestano il presidente Saleh. "Le forze di sicurezza yemenite e gruppi filogovernativi hanno aperto il fuoco sui manifestanti a piazza Ad'dari, dov'è la nuova Università divenuta il simbolo delle proteste per la popolazione di Sana'a, spiega al telefono Guarino, "e che già aveva fatto registrare numerosi morti. Ora la tensione è enorme, ieri siamo rimasti in casa e stiamo bene, così come tutto il nostro staff locale, ma le nostre attività si decidono giorno per giorno, non sappiamo mai se possiamo raggiungere il quartiere periferico di Safia, dove abbiamo da poco aperto un centro di accoglienza per rifugiati dal Corno d'Africa, soprattutto somali". Barricate e blocchi stralali. I 5 cooperanti italiani di INTERSOS sono riuniti nell'ufficio di Sana'a, dove si tengono in contatto con l'ufficio di Aden, che ha visto riaccendersi gli scontri. "Sappiamo che almeno 4 persone sono rimaste ferite nelle strade di Moalla ad Aden, uno dei quartieri dove nelle ultime settimane si sono costruiti blocchi stradali e barricate per impedire il passaggio delle forze di sicurezza, l'attacco di stamattina rimette in moto le proteste in città, che sembrava nei giorni scorsi avvolta nella calma". Sono ore di confusione in tutto lo Yemen. Dopo l'annuncio di un mese di stato di emergenza si attende che il Parlamento chiarisca se entrerà in vigore un coprifuoco e l'imposizione alla popolazione civile di circolare senza armi. Il presidio di piazza "Ad'dari. "Siamo molto preoccupati, migliaia di persone sono rimaste a presidiare piazza Ad'dari, e continueranno a dormire accampate come questa notte", commenta l'operatore umanitario di INTERSOS. Il rischio, richiamato da più parti, è che si arrivi a una vera e propria guerra civile, a meno di 20 anni da quella scoppiata nel 1994. Lo scenario peggiore è l'esplosione di un conflitto aperto tra forze governative e movimento separatista al sud, con il coinvolgimento però anche delle forze di opposizione e degli studenti e che questo, possa provocare la fuga di tantissime persone dalle città più insicure per trovare rifugio nelle aree rurali. L'enorme diffusione di armi nel paese rende lo scenario ancora più preoccupante. Piano di Contingenza. La preoccupazione maggiore di INTERSOS e delle agenzie delle Nazioni unite è di rispondere prontamente nel caso che la situazione degenerasse. "Siamo impegnati con un piano di contingenza per poter, da un lato continuare a dare sostegno, anche in condizioni di sicurezza deteriorate, alle persone di cui ci occupiamo normalmente, nel caso di INTERSOS alla popolazione rifugiata prevalentemente somala ed etiope, ad Aden, Kharaz e Sana'a, e dall'altro a esser pronti ad affrontare l'emergenza umanitaria che si potrebbe scatenare e che interesserebbe tutti, Yemeniti e non'. L'ong italiana, che in Yemen si occupa prevalentemente di assistenza psicosociale ai rifugiati e richiedenti asilo più vulnerabili, e in particolare su donne e bambini vittime di violenza, denuncia anche il rischio per il potenziale incremento di tali violenze, come conseguenza del conflitto armato. Il paese arabo più povero. Lo Yemen versa da decenni in un condizioni difficilissime: il 43% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e con un tasso di disoccupazione elevatissimo. È alfabetizzato soltanto il 50,2 % della popolazione e appena il 30% delle donne. La mortalità infantile è del 70 per mille. La speranza di vita è di 59 anni per gli uomini e di 63 anni per le donne. Oggi già si trova ad accogliere circa 200.000 rifugiati prevalentemente somali, un numero sempre crescente di migranti "economici" provenienti dall'Etiopia, circa 30.000 nel 2010, e gli effetti del conflitto tra Governo e tribù al nord (Al Houti) che dal 2009 ha provocato lo sfollamento di oltre 300.000 yemeniti da Sada'a che ancora oggi faticano a rientrare nel loro luogo di origine a causa della situazione ancora insicura. 'Si rischia nei prossimi giorni ancora un'escalation delle violenze e delle già forti tensioni esistenti, e le prospettive non sono positive anche per la riduzione delle riserve sia di petrolio che di acquà conclude Guarino da Sana'a. (19 marzo 2011)
MY TUBE Di Enrico Franceschini 18 mar 2011 Cameron-Sarkozy, meglio di Obama? Per una volta, sembra che sia l’Europa a guidare la diplomazia internazionale in una drammatica sfida che riguarda tutti. O meglio una parte dell’Europa: Gran Bretagna e Francia (o Francia e Gran Bretagna). David Cameron e Nicolas Sarkozy hanno premuto fin dall’inizio della crisi libica per istituire una no fly zone e se necessario usare la forza a sostegno delle forze ribelli che combattono, con inferiorità di mezzi, per abbattere il regime del colonnello. Una scelta in teoria condivisa da tutti, perfino dalla Lega Araba, a parole, ma che tardava a causa principalmente dell’incertezza americana. Incertezza comprensibile, se pensiamo all’ondata di anti-americanismo suscitata dalla guerra in Iraq: è rischioso – ha pensato la Casa Bianca – attaccare un altro paese arabo, sia perchè non è detto che il conflitto si risolva rapidamente e gli Usa sono già impegnati su altri due fronti (Iraq appunto e Afghanistan), sia per gli effetti che ciò potrebbe avere sui sentimenti dell’intera regione verso Washington. Ma come nota il Financial Times c’era anche un altro rischio: un deja vu della prima guerra del Golfo, quando l’America liberò il Kuwait invaso da Saddam Hussein, entrò in Iraq, illuse kurdi e sciti che fosse possibile ribellarsi al dittatore e poi Bush senior ordinò di ritirare le truppe, e Saddam fece a pezzetti i ribelli. Certo, la "primavera araba" odierna è un puzzle, se l’America interviene in Libia a sostegno dei ribelli – ad esempio – perchè dovrebbe abbandonare il Bahrain alla repressione dell’emiro? (risposta: per non irritare il suo alleato più importante nella regione, l’Arabia Saudita, che sta aiutando l’emiro a distruggere i ribelli) L’opinione dominante, tuttavia, è che in Libia bisognava intervenire, e se l’intervento è stato approvato dall’Onu il merito principale è di Londra e Parigi (o Parigi e Londra, d’accordo). Il Times elogia Cameron in prima pagina, ricordando che per tutta la crisi il premier britannico non ha parlato al telefono direttamente con Obama. L’immagine del quale potrebbe uscire indebolita a livello internazionale dal corso che hanno preso gli eventi, lasciando all’aviazione franco-britannica il ruolo principale di liberatori, seppure affiancati dagli Usa e da altri. Può darsi che sia tutto un gioco delle parti, per non fare apparire l’America nel solito ruolo di "poliziotto del mondo" che non piace a tanti. Di sicuro, è uno scenario nuovo. Il tempo dirà con quali conseguenze, per la Libia, per l’Europa, per la leadership di Obama. Scritto venerdì, 18 marzo 2011 alle 13:20 nella categoria 1. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. Puoi lasciare un commento, o fare un trackback dal tuo sito.
Politica Pop Di Marco Bracconi 18 mar 2011 Cameron-Sarkozy, meglio di Obama? Per una volta, sembra che sia l’Europa a guidare la diplomazia internazionale in una drammatica sfida che riguarda tutti. O meglio una parte dell’Europa: Gran Bretagna e Francia (o Francia e Gran Bretagna). David Cameron e Nicolas Sarkozy hanno premuto fin dall’inizio della crisi libica per istituire una no fly zone e se necessario usare la forza a sostegno delle forze ribelli che combattono, con inferiorità di mezzi, per abbattere il regime del colonnello. Una scelta in teoria condivisa da tutti, perfino dalla Lega Araba, a parole, ma che tardava a causa principalmente dell’incertezza americana. Incertezza comprensibile, se pensiamo all’ondata di anti-americanismo suscitata dalla guerra in Iraq: è rischioso – ha pensato la Casa Bianca – attaccare un altro paese arabo, sia perchè non è detto che il conflitto si risolva rapidamente e gli Usa sono già impegnati su altri due fronti (Iraq appunto e Afghanistan), sia per gli effetti che ciò potrebbe avere sui sentimenti dell’intera regione verso Washington. Ma come nota il Financial Times c’era anche un altro rischio: un deja vu della prima guerra del Golfo, quando l’America liberò il Kuwait invaso da Saddam Hussein, entrò in Iraq, illuse kurdi e sciti che fosse possibile ribellarsi al dittatore e poi Bush senior ordinò di ritirare le truppe, e Saddam fece a pezzetti i ribelli. Certo, la "primavera araba" odierna è un puzzle, se l’America interviene in Libia a sostegno dei ribelli – ad esempio – perchè dovrebbe abbandonare il Bahrain alla repressione dell’emiro? (risposta: per non irritare il suo alleato più importante nella regione, l’Arabia Saudita, che sta aiutando l’emiro a distruggere i ribelli) L’opinione dominante, tuttavia, è che in Libia bisognava intervenire, e se l’intervento è stato approvato dall’Onu il merito principale è di Londra e Parigi (o Parigi e Londra, d’accordo). Il Times elogia Cameron in prima pagina, ricordando che per tutta la crisi il premier britannico non ha parlato al telefono direttamente con Obama. L’immagine del quale potrebbe uscire indebolita a livello internazionale dal corso che hanno preso gli eventi, lasciando all’aviazione franco-britannica il ruolo principale di liberatori, seppure affiancati dagli Usa e da altri. Può darsi che sia tutto un gioco delle parti, per non fare apparire l’America nel solito ruolo di "poliziotto del mondo" che non piace a tanti. Di sicuro, è uno scenario nuovo. Il tempo dirà con quali conseguenze, per la Libia, per l’Europa, per la leadership di Obama. Scritto venerdì, 18 marzo 2011 alle 13:20 nella categoria 1. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. Puoi lasciare un commento, o fare un trackback dal tuo sito.
LA PROTESTA È sempre alta tensione nello Yemen 52 morti ieri a Sana'a, spari ad Aden Gli scontri ieri nella capitale nel corso di una manifestazione di protesta contro il presidente yemenita Ali Abdallah Saleh. Che ha proclamato lo stato di emergenza. La polizia spara sui manifestanti nella città nel sud del paese È sempre alta tensione nello Yemen 52 morti ieri a Sana'a, spari ad Aden SANA'A - È sempre alta tensione nello Yemen. Dopo gli scontri di ieri 1 nella capitale Sana'a, che hanno provocato almeno 52 vittime e 127 feriti , oggi la polizia ha sparato sui manifestanti ad Aden, nel sud del paese. Un primo bilancio parla di 4 feriti, secondo quanto riferiscono alcuni testimoni. La polizia e l'esercito avrebbero aperto il fuoco sui manifestanti che difendevano una barricata nel quartiere di Moalla, ad Aden. Secondo i testimoni, un manifestante è stato colpito da una pallottola, gli altri tre da granate lacrimogene. Le forze dell'ordine non sono riuscite a smantellare le barricate, che resistono ad Aden da due settimane. Sempre oggi si registra una nuova imponente manifestazione dell'opposizione. Decine di migliaia di persone sono scese in piazza anche oggi in piazza del Cambiamento, a Sana'a, per chiedere le dimissioni del presidente yemenita, Ali Abdullah Saleh. Lo ha riferito l'agenzia d'informazione 'Dpa'. La manifestazione si tiene all'indomani degli scontri nella capitale Sana'a nel corso di una manifestazione di protesta contro il presidente yemenita Ali Abdallah Saleh. La gravità del bilancio delle vittime ha spinto il governo di Saleh - al potere da 32 anni - a proclamare lo stato di emergenza. Secondo le prime testimonianze a sparare sulla folla sarebbe stato un gruppo di sostenitori del governo appostati sui tetti delle abitazioni che si affacciano su piazza dell'univesrità, dove si svolgeva la manifestazione; la polizia da parte sua avrebbe usato i gas lacrimogeni e - secondo alcune fonti - sarebbe anche ricorsa alle armi da fuoco. (19 marzo 2011)
LIBIA L'assedio del Colonnello gela la festa di Bengasi Tra gli shabab che inneggiano all'"ombrello dell'Onu". Ma dopo i festeggiamenti è tornata l'angoscia: le truppe di Gheddafi a un passo dalla città degli insorti. La loro avanzata ha provocato una nuova fuga di BERNARDO VALLI L'assedio del Colonnello gela la festa di Bengasi Preghiera del venerdì a Bengasi BENGASI - La notizia ha investito la città a tarda sera, ventiquattro ore dopo la dichiarazione dell'Onu sulla no-fly zone e dopo una giornata di euforia. I difensori della città avevano sparato per ore sul lungomare, sotto le finestre dell'hotel Almoran, raffiche interminabili alle quali rispondevano altre raffiche, sempre di Kalashnikov. Ed era uno spreco di munizioni che durava da ventiquattr'ore. Da quando, nella tarda sera di giovedì, il Consiglio di sicurezza aveva fatto il suo annuncio. Qui, a Bengasi, e anche a Tobruk, in tutta la Cirenaica liberata dalla dittatura di Gheddafi l'annuncio era stato accolto come una vittoria. Una vittoria autentica perché l'Onu, si pensava, aveva riconosciuto i diritti della Libia in rivolta e condannato senza appello la Libia del raìs. Al raìs in quelle ore veniva dedicato sempre sul lungomare di Bengasi un numero di sberleffi, di insulti, non inferiore a quello dei proiettili sparati per aria. Sono sceso in strada per chiedere a un ragazzo in tuta mimetica perché continuava a sventagliare raffiche di mitra contro il cielo, proprio sotto la mia finestra. Mi ha detto che festeggiava "l'ombrello". Sì, ha detto proprio così: per lui infatti la no-fly zone è un ombrello che i paesi amici hanno aperto su Bengasi per impedire a Gheddafi di bombardarla con i suoi aerei. L'avvenimento andava festeggiato. Appena fatto buio alle raffiche di mitra si sono aggiunti i fuochi d'artificio. Poi la notizia, lanciata da Al Jazeera, che annunciava un'avanzata a raffica delle truppe di Gheddafi. Erano a cinquanta chilometri dalla periferia. Colonne di macchine si sono avviate verso il Sud per sfuggire ai mercenari. La spiegazione dello shabab, del ragazzo combattente, era ingenua, semplice e tuttavia esatta. Lui e i tanti altri giovani che sparavano per aria si sentivano abbandonati dal resto del mondo. I mercenari di Gheddafi avanzavano, occupavano una dopo l'altra le città allineate sulla riva del Mediterraneo, cancellavano le conquiste dell'insurrezione, e i potenti della terra che l'avevano incoraggiata se ne stavano con le mani in mano. Tante parole e niente fatti. Bengasi era sul punto di precipitare di nuovo nel silenzio dei quarant'anni di dittatura. Ed ecco infine la decisione dell'Onu. Il mondo si era ricordato di loro, e adesso i shabab esprimevano la gioia sprecando le munizioni che dovevano servire a difendere la città. Celebravano "l'ombrello" che li proteggeva dagli aerei contro i quali non potevano nulla, ma inneggiavano anche allo schiaffo inflitto dal mondo a Gheddafi. Uno schiaffo mortale. Il crepitio ininterrotto dei Kalashnikov teneva sveglia la città assonnata per i festeggiamenti della notte. La gente era appena uscita dalle moschee, dove dopo le preghiere i mullah avevano recitato versetti appropriati del Corano per condannare il raìs di Tripoli, umiliato dall'Onu. Davanti al tribunale, affacciato sul Mediterraneo, in un quartiere che per le sue case stile "littorio" dell'epoca coloniale italiana ricorda la nostra città di Latina (in un'edizione sbrecciata), c'era una folla eccitata che sventolava le bandiere della nuova Libia, anche se si trattava di bandiere dell'epoca di re Idriss. Nell'edificio del tribunale era installato il Consiglio nazionale, il comitato di liberazione che funziona da governo. Sulla facciata era appesa, grande come un lenzuolo, una bandiera francese, la sola bandiera occidentale, in omaggio alla Francia di Sarkozy, che per prima ha ricevuto a Parigi i rappresentanti dell'insurrezione, ai quali ha promesso un riconoscimento in dovuta regola. E che poi, con la Gran Bretagna di Cameron, e con l'appoggio decisivo anche se più defilato degli Stati Uniti, ha spinto il Consiglio di sicurezza ad approvare la risoluzione che il shabab con il Kalashnikov sotto la mia finestra chiama "l'ombrello". La Francia ha promesso anche un intervento aereo nel caso Gheddafi continuasse a minacciare la popolazione civile. Gli apparecchi, mi ha detto Ali, l'ex ufficiale di Marina che mi fa da guida, sono già pronti sulle piste di volo italiane, appena al di là del Mediterraneo. Così mi mette, in quanto italiano, tra gli amici della nuova Libia. Sono ore che a Bengasi è facile ricevere riconoscimenti più o meno meritati. Poi la doccia fredda, terribile, la notizia che le truppe di Gheddafi avanzavano rapidamente nonostante l'Onu e la minaccia d'incursione degli aerei angloamericani. Dietro l'aria di festa che regnava in Cirenaica montava l'inquietudine per i gheddafisti a cinquanta chilometri. Era stata evitata la disfatta che sembrava imminente negli ultimi giorni, quando i soldati di Tripoli avanzavano incontrando scarsa resistenza, e adesso la minaccia riemergeva. L'esercito ribelle che non ha mai dato l'impressione di essere un vero esercito, veniva nuovamente sorpreso. A volte era persino introvabile. Era uno spettacolo un po' patetico. Tanto entusiasmo e così poca organizzazione. Tanta ingenuità animata da un'autentica voglia di liberarsi da una dittatura grottesca. Più sinistra che ridicola per chi la subiva. Ed era inutile chiedere agli insorti un programma, un progetto per una Libia democratica. Non si esce in un mese con delle idee chiare dopo quarant'anni di Gheddafi al potere. Questo autentico, ingenuo entusiasmo, accompagnato in queste ore da una gentilezza che sembra spensierata, è il segno di un'impressionante fragilità. Negli ultimi giorni, con l'avvicinarsi delle truppe di Gheddafi, le decine di migliaia di bandiere, dissepolte o cucite in gran fretta che sventolavano sui tetti e pendevano dai balconi, erano sparite. La gente era demoralizzata. O prudente. Tra Tobruk e Bengasi, il tragitto che ho percorso in sei ore, seguendo spesso il tracciato della vecchia "Balbia" (strada voluta dal governatore coloniale Italo Balbo) le bandiere erano ricomparse. E Bengasi si era di nuovo imbandierata. La Libia liberata non si sentiva più sola, aveva ripreso coraggio. Anche se nessuno credeva nelle promesse di cessate il fuoco del regime di Tripoli, "bugiardo" era l'insulto più frequente indirizzato a Gheddafi. Nessuno pensa che fosse attendibile la sua promessa di adeguarsi alla risoluzione dell'Onu. Egli avrebbe tentato il tutto per sfuggire alle limitazioni impostegli dalla società internazionale. E infatti ieri le sue truppe hanno compiuto un balzo in avanti sulla strada della costa mediterranea, avvicinandosi a Bengasi dalla quale si troverebbe a poco più di cinquanta chilometri. E hanno bombardato Misurata, che si diceva fosse sotto il controllo delle truppe leali al raìs. Ci sarebbero stati venticinque morti, in gran parte civili. Sono notizie incontrollabili, ma è evidente che la risoluzione del Consiglio di sicurezza, e l'impegno anglofrancese di promuovere incursioni mirate nel caso Gheddafi non cessasse di colpire la popolazione, hanno ringagliardito i nidi di resistenza. Insomma sono in pochi a credere che il potere del raìs di Tripoli sia agonizzante. La riconquista della Cirenaica perduta è stata fermata o frenata. Ma il suo bastione tripolino potrebbe resistere a lungo ed egli tenta in queste ore, in barba all'Onu, di entrare a Bengasi. (19 marzo 2011)
IL COMMENTO La pistola dell'Occidente di GUIDO RAMPOLDI La guerra che sembra cominciare non è lontana come l'Iraq né remota come l'Afghanistan. La Libia appartiene alla nostra geografia - è a un tiro di Scud da Lampedusa - e alle pagine della nostra storia (non le migliori: laggiù la nostra aviazione inventò il bombardamento di popolazioni civili, 1911). E' perfino un pezzo non irrilevante della nostra economia. E tutto questo rende ancora più surreale la casualità con la quale all'improvviso urgenze morali, calcoli altrui, evanescenze nostre e pochezze europee, ci catapultano in un conflitto. Un conflitto non solo assai rischioso, per noi più che per altri, ma soprattutto al momento estraneo a ogni razionalità strategica. A quanto pare bombarderanno, bombarderemo, senza avere un disegno chiaro, una nitida prospettiva di quel che sarà e di quel che vogliamo che sia. Forse è tardi per riuscire a inventare quella "soluzione politica", peraltro invocata dalla risoluzione Onu, che potrebbe scongiurare l'irreparabile. Ma non tentare sarebbe criminale. Avendo poggiato una pistola sul tavolo, adesso l'Occidente ha la forza per fare quel che avrebbe dovuto fare molto prima, appoggiare con determinazione il cessate-il-fuoco e il negoziato tra regime e insorti. È il modo più efficace per fermare l'offensiva di Gheddafi, e se qualcuno la giudicasse una soluzione compromissoria, troppo accomodante verso il dittatore, consideri che a proporla è anche il Crisis Group, un pensatoio internazionale che fu battistrada dell'interventismo liberale nell'ex Jugoslavia: tutt'altro che pacifisti. Secondo il Crisis Group, distruggere l'aviazione libica non cambierebbe sostanzialmente i rapporti di forza tra le truppe di Gheddafi, ben addestrate e ben armate, e la baraonda degli insorti. Stando ad altri osservatori, è perlomeno dubbio che azioni militari più incisive possano dischiudere l'alba di una vittoriosa guerra di liberazione. E anche in quel caso, un lungo conflitto interno di fatto consegnerebbe la Libia libertaria al primato delle armi e delle milizie. Milizie tribali, islamiche, panarabe, patriottiche, di ventura: in ogni caso formazioni guerriere che tendono ad affezionarsi al comando e coltivano un'idea molto sbrigativa dello stato di diritto. Il loro mettere radici in Libia non sarebbe un buon auspicio per il futuro del Paese. Potrebbe risultare devastante per la regione e fatale all'unità territoriale della Libia. Se la "no fly-zone" non è decisiva, come tutti grossomodo convengono, perché in queste settimane non siamo riusciti a produrre altro che una soluzione che non risolve? Innanzitutto perché la Libia oggi dà la misura del pressappochismo delle classi dirigenti europee. Governi e informazione hanno capito poco di quel che stava accadendo. Hanno scambiato il totalitarismo libico per il dispotismo egiziano e si sono illusi che Gheddafi avrebbe fatto la fine di Mubarak. Ma il personale "rivoluzionario" di uno Stato totalitario non è riciclabile e in genere paga con la vita lo sfasciarsi del regime. Tanto più se, come in Libia, ha commesso per quarant'anni ogni sorta di violenza e di arbitrio. In altre parole la fine del regime libico somiglierebbe più alla fine del fascismo che al crollo dei socialismi reali europei o dei dispotismi arabi. Per questo la gente di Gheddafi combatterà fino all'ultimo uomo, almeno fin quando non ricevesse garanzie. Farà quadrato intorno alla "Revoluzione" e al suo Capo, Gheddafi, non per convinzione o per devozione, ma perché altrimenti finirebbe al muro. Avendo deciso che Gheddafi aveva le ore contate, gli europei hanno ritenuto opportuno far dimenticare le compromissioni del passato scaricando il libico alla velocità con cui non avevano scaricato Ben Ali e Mubarak. Fino a ieri soci e amici del dittatore, d'un tratto gli intimavano di togliersi dai piedi. Per la stampa era un buffone ridicolo. Il Pazzo di Tripoli. Un rottame. Uno sconfitto. Due settimane più tardi dobbiamo constatare che il pazzo non è tanto pazzo, se è riuscito a metterci nei guai rimontando una situazione militare che pareva disperata. Tuttavia Gheddafi è solo. Se fosse il paranoico che ci raccontiamo, la sua solitudine lo lascerebbe indifferente. Ma all'opposto, l'uomo è assai pragmatico. Nel 2006 il feroce realismo che lo guida gli suggerì di pagare tutti i prezzi che l'Occidente chiedeva, anche i più umilianti, pur di non essere più un pariah della comunità internazionale. Lo stesso realismo con cui allora chiuse nell'armadio l'arsenale ideologico della "rivoluzione libica", oggi potrebbe consigliargli di accettare un compromesso sul futuro della Libia. E a questo probabilmente lavorano quei Paesi che intravedono nella pochezza politica dell'Europa occidentale l'occasione di entrare nella regione (o di tornarvi, nel caso della Turchia). Quanto al futuro di Gheddafi, sei anni fa, quando lo intervistai, mi sembrò arcistufo del suo ruolo di Ultimo Condottiero rivoluzionario. Aveva trescato con ogni movimento armato, nel tentativo di inventarsi come il nuovo Nasser arabo, il Bolivar africano, il faro della lotta al colonialismo, all'imperialismo, eccetera eccetera. Gli era andata sempre male. In queste settimane ha rischiato di essere spodestato dall'unica rivoluzione ancora possibile, quella contro i dittatori come lui. Per quanto il suo cinismo sia sconfinato, dubito che arda dalla voglia di emulare in Cirenaica il maresciallo Graziani, sterminatore fascistissimo. Se gli si offrisse una sorta di esilio interno, però ben mascherato, e corredato di garanzie per se e per i suoi figli, forse potrebbe accettare. In ogni caso non è uno sciocco e non scapperà all'estero, dove la sua condizione diventerebbe precaria. Dunque il negoziato va tentato. Ed è ipocrita che gli occidentali lo pensino ma non lo dicano, prigionieri come sono di una moralità a buon mercato che prescrive di non parlare con Gheddafi perché ha sparato sul Popolo. Questa è non soltanto una tesi puerile (se decidessimo che non si parla con chi "ha sparato sul Popolo" dovremmo chiudere un bel po' di ambasciate, a cominciare da Teheran, Pechino e Ryad), ma anche un'ostentazione di rigore etico troppo facile per essere autentico. Mimare intransigenza morale è da sempre il modo più efficace per dissimulare il proprio opportunismo. In politica estera ogni etica che non sia fasulla non può sottrarsi al metodo che la filosofia chiama consequenzialismo: a decidere la moralità delle nostre scelte non è soltanto la loro adesione a un principio astratto, ma soprattutto i risultati che quelle scelte concretamente producono. In altre parole non si fa peccato a sparare sui caccia di Gheddafi, se questo davvero ferma le sue truppe. Ma se bombardare significa continuare a illudere gli insorti nella vittoria militare e a incitarli a non trattare, magari unicamente perché in Europa qualche Napoleone da strapazzo deve gonfiar le penne e qualche sodalizio petrolifero vuole affacciarsi sui pozzi di Bengasi, allora quello non sarebbe soltanto un errore, sarebbe un crimine. E stavolta non ci sarebbe perdonato. Basta seguire la tv al Jazeera per constatare i mutevoli umori delle opinioni pubbliche arabe. Prima irate per l'inazione degli amici europei di Gheddafi, ora guardano con circospezione, se non con sospetto, all'attivismo di Francia e Gran Bretagna sulla stessa sponda del Mediterraneo che le vide protagoniste dell'ultima avventura coloniale, lo sfortunato tentativo di riprendersi il canale di Suez (1956). E' vero, non c'è pace senza giustizia, come ci ricordano i radicali. Ma è vero anche che talvolta i tempi della pace e i tempi della giustizia non coincidono. Colui che accolse come eroi gli assassini dell'Achillle Lauro, solo per citare una delle tante colpe di Gheddafi, merita mille volte di finire davanti alla Corte penale internazionale. Ma ora è più urgente salvare la Libia dal baratro in cui il regime la sta precipitando. E comunque la verità forse è ancora troppo ingombrante perché riesca ad entrare in un'aula di giustizia. Tra i giornalisti britannici che seguirono il processo per la strage di Lockerbie, non pochi si convinsero che il condannato, una spia libica, fosse innocente. E che la verità andasse cercata in una terribile sequenza temporale: quattro mesi prima che una bomba facesse esplodere un aereo della Pan American nei cieli scozzesi, nel Golfo Persico una nave da guerra americana aveva abbattuto un aereo di linea della Iran Air, forse impegnato in attività di spionaggio elettronico (ma di questo non avevano colpa i passeggeri). Se si fosse accertata una responsabilità iraniana, Londra e Washington non avrebbero potuto esimersi dal considerare l'attentato un atto di guerra, con tutto ciò che ne conseguiva. Le altre ipotesi (i siriani, la provocazione di uno spionaggio alleato) non erano meno impegnative. Se invece il colpevole fosse stato il Pazzo di Tripoli, la faccenda si poteva ancora maneggiare. E questo, non solo gli affari petroliferi, spiegherebbe perché in seguito le autorità britanniche abbiano rimpatriato il condannato libico con il pretesto di inesistenti ragioni di salute. Detto altrimenti: la storia è più complicata delle nostre categorie morali (e attribuire a Gheddafi tutto ciò che preferiamo credere - deliri, stragi che forse non ha commesso, vaniloqui da Macbeth del deserto ormai assediato e vinto - a quanto pare non aiuta a togliercelo di torno). (19 marzo 2011)
2011-03-18 Diretta Dopo il sì dell'Onu Parigi vuole attaccare La Libia proclama il "cessate il fuoco" Dopo il sì dell'Onu Parigi vuole attaccare La Libia proclama il "cessate il fuoco" Il Consiglio di sicurezza ha approvato la risoluzione che prevede il divieto di sorvolo e "tutte le misure necessarie per proteggere i civili": nessun voto contrario, cinque astenuti. La Francia preme per un attacco immediato. La città dei ribelli festeggia la decisione delle Nazioni Unite. Udite esplosioni, in azione la contraerea. Le forze di Gheddafi stavano avanzando e il colonnello aveva annunciato: "Nessuna pietà", minacciando anche ritorsioni nel Mediterraneo. Poi il suo vice, il ministero degli Esteri, ha annunciato la tregua. "La Libia fa parte dell'Onu - spiega - e ne deve rispettare le risoluzioni". Il figlio del rais: "Non abbiamo paura". Consiglio dei ministri straordinario con Berlusconi. Frattini: "Chiudiamo ambasciata a Tripoli" (Aggiornato alle 16:07 del 18 marzo 2011) 16:07 Parigi, verice domani alle 13 a Eliseo 127 – Il vertice di Unione Europea, Unione Africana e Lega Araba sulla Libia indetto a Parigi dal presidente francese Nicolas Sarkozy si aprirà domani alle 13 all'Eliseo. È quanto si legge in un comunicato diffuso a Parigi dalla presidenza francese. Secondo il programma, Sarkozy accoglierà dalle 13 alle 13:30 nel palazzo presidenziale. Alle 13:30 comincerà un pranzo di lavoro seguito da una riunione di lavoro. Il vertice si chiuderà intorno alle 15:30, con una dichiarazione alla stampa del presidente Sarkozy. 16:06 La Russa: "Sette basi aeree disponibili" 126 – Sono sette le basi aeree che l'Italia può mettere a disposizione in relazione alla situazione in Libia. Lo ha detto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, in Parlamento. Le basi sono Amendola, Gioia del Colle, Sigonella, Aviano, Trapani, Decimomannu e Pantelleria. 16:05 Merkel: "Astensione non vuol dire neutralità" 125 – "L'astensione non va confusa con la neutralità": lo ha detto la cancelliera tedesca, Angela Merkel, riferendosi alla decisione della Germania di astenersi sul voto all'Onu sulla Libia. Berlino, ha confermato la Merkel, appoggia sanzioni più rigide contro il regime di Gheddafi. 16:04 La Russa: "Aderiremo a coalizione" 124 – Il governo chiederà "l'autorizzazione" al Parlamento di "aderire alla coalizione di volenterosi" cui spetterà far rispettare la risuluzione Onu sulla Libia. Lo ha detto il ministro della Difesa Ignazio La Russa sottolineando che l'Italia interverrà con gli altri paesi disponibili e con le organizzazioni internazionali, "offrendo le basi, ma senza nessun limite restrittivo all'intervento, quando si ritenesse necessario per far rispettare la risoluzione Onu" e garantire la tutela dei cittadini 16:03 Hillary Clinton: "Gheddafi deve spostare truppe" 123 – Gli Stati Uniti e gli alleati della comunità internazionale "vogliono vedere che Gheddafi sposti fisicamente le sue truppe dalle zone orientali della Libia": lo ha detto il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton. 16:01 La Russa: "Abbiamo capacità bloccare radar aggressori" 122 – Secondo il ministro degli Esteri, Ignazio La Russa, "l'Italia ha una forte capacità di neutralizzare i radar di ipotetici avversari. Possiamo intervenire in ogni modo con la sola tassativa esclusione di interventi via terra". Lo ha detto La Russa che ha comunque chiarito che per il mantenimento della no-fly zone "serve l'intervento della Nato, perché l'attuazione di questa zona comporta un dispiegamento di mezzi oneroso e impegnativo da tutti i punti di vista". Quindi, ha concluso, "tre o quattro Paesi non possono farcela da soli a controllare capillarmente la zona". 16:00 Hillary Clinton: "Dubbi Usa su cessate il fuoco" 121 – Gli Stati Uniti hanno ''molti dubbi'' sul fatto che in Libia sia in atto un cessate il fuoco da parte delle autorita' libiche. Lo ha detto il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton. 15:58 La Russa: "Serve Nato per no-fly zone" 120 – L'attuazione di una 'no fly zone' "comporta un dispiegamento di mezzi oneroso e impegnativo da tutti i punti di vista e quindi non può restare estranea la Nato, perché tre o quattro paesi non possono da soli esercitare un controllo capillare della zona", ha detto il ministro ella Difesa, Ignazio La Russa 15:57 La Russa: "Possibili raid Italia" 119 – 15:54 Risoluzione Onu fa scattare di livello embargo 118 – Il ministro della Difesa Ignazio La Russa, ha chiarito in audizione al Senato che la nuova risoluzione dell'Onu sulla Libia "fa scattare di livello l'embargo, consentendo un upgrade del blocco navale, che fino ad oggi poteva soltanto esercitare una moral suasion, ma non usare la forza. La nuova risoluzione - ha detto - consente questo salto di livello e autorizza le navi a far rispettare l'embargo, non solo ad accertarne violazioni". 15:53 La Russa: "Seconda nave italiana con aiuti umanitari" 117 – L'Italia sta inviando una seconda nave con aiuti umanitari a Bengasi che arriverà in Cirenaica tra qualche ora, probabilmente domani mattina. Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini in audizione presso le commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato. 15:50 La Russa: "Si a nostre basi, ma per scopi umanitari" 116 – "Abbiamo ricevuto numerosissime richieste prima della Risoluzione Onu, per l'utilizzo delle nostri basi. Abbiamo sempre detto sì, ma abbiamo sempre condizionato l'utilizzo a finalità umanitarie". Lo ha detto il ministro della Difesa Ignazio La Russa, nel corso di un'audizione davanti alle Commissioni riunite Esteri e Difesa di Senato e Camera, in merito agli ultimi sviluppi della crisi in Libia. 15:48 Frattini: "Risoluzione esclude azioni militari terrestri" 115 – La risoluzione numero 1973 delle Nazioni Unite ''esclude esplicitamente azioni militari terrestri''. Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini nelle comunicazioni del governo nelle commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato a proposito della crisi libica. Il titolare della diplomazia ha illustrato i punti della risoluzione, compresa la no fly zone, e ha spiegato che con il documento viene meno la minaccia di Gheddafi di poter vendere prodotti petroliferi ad altri Paesi, come la Cina o il Brasile. 15:45 La Russa: "Decollato aereo con personale ambasciata" 114 – "L'aereo con il nostro personale dell'ambasciata e alcuni giornalisti che si trovavano in territorio libico è decollato seppure con forte ritardo". Lo dice il ministro della Difesa Ignazio La Russa alle commissioni riunite esteri e difesa di Camera e Senato. 15:43 Frattini: "Lealtà Italia verso Nato e Ue" 113 – La partecipazione ''attiva'' dell'Italia alla risoluzione dell'Onu, ha poi detto Frattini, ha anche l'obiettivo di ''marcare l'assoluta lealtà dell'Italia alla prospettiva atlantica e dell'Unione Europea'' 15:40 Frattini: "Chiudiamo ambasciata a Tripoli" 112 – "La prima conseguenza per l'Italia della Risoluzione Onu sulla Libia è la chiusura dell'Ambasciata italiana a Tripoli. Abbiamo chiesto alla Turchia, che ha accettato, di curare gli interessi dell'Italia in territorio libico". Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini, nel corso di un'audizione davanti alle Commissioni riunite Esteri e Difesa di Senato e Camera in merito alla crisi in Libia. 15:31 Domani Berlusconi a Parigi per vertice 111 – Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sarà domani a Parigi per partecipare al vertice sulla Libia. Lo si apprende da fonti governative 15:21 Zapatero: "Comunità internazionale non si farà ingannare dal regime libico" 110 – ''La comunità internazionale non si farà ingannare dal regime libico'' e ''verificherà la sua stretta applicazione della risoluzione'' adottata ieri dal consiglio di sicurezza, ha detto oggi il premier spagnolo José Luis Zapatero, dopo un colloquio a Madrid con il segretario generale Onu, Ban Ki-moon. Zapatero ha annunciato anche che domani parteciperà al vertice sulla Libia convocato dal presidente francese, Nicolas Sarkozy. 15:10 Ashton respinge le critiche: "Ue ha agito rapidamente" 109 – L'alto rappresentante della politica estera della Ue Catherine Ashton respinge le critiche che l'hanno ancora una volta presa di mira per la gestione delle crisi nei paesi del Maghreb e in Libia. ''L'Unione europea ha lavorato duramente e ha risposto in modo rapido'', ha detto la Ashton. In particolare per la Libia, ''i nostri sforzi si sono concentrati nel rafforzare le sanzioni economiche e nel sostenere dal punto di vista umanitario la popolazione libica''. 15:08 Ue studia dettagli cessate i fuoco 108 – La Ue sta esaminando i dettagli dell'annuncio del 'cessate il fuoco' annunciato dal regime libico. Lo ha detto la 'ministra' degli esteri Ue Catherine Ashton. Si tratta di capirne il ''significato''. 15:07 Cdm: "Da Italia basi, mezzi e uomini" 107 – L'Italia potrebbe mettere a disposizione della coalizione internazionale non solo le basi militari, ma anche mezzi e uomini. A quanto si apprende, è questa l'indicazione emersa dalla riunione del Consiglio dei ministri straordinario a Palazzo Chigi. 15:04 Ancora combattimenti a Ajdabiya 106 – Si combatte ancora nei pressi di d'Ajdabiya, città chiave sulla strada di Bengasi ancora parzialmente controllata dai ribelli. Diverse esplosioni sono state unite provenire dalla zona di Zuwaytinah, piccolo porto petrolifero a 30 km dalla città. Le truppe di Gheddafi al momento controllano tutti le principali strade di accesso e uscita dalla città: quella verso Brega, quella lungo la costa che va a bengasi, qeulla nel deserto che raggiunge Tobruk. Il cessate il fuoco, annunciato dal ministro degli Esteri libico, non sembra ancora stato trasmesso alle forze sul campo. 15:02 Testimone a Cnn: "Misurata in fiamme" 105 – La Cnn ha diffuso una disperata testimonianza di un residente di Misurata, secondo il quale la città è in fiamme in seguito ad un bombardamento delle forze di Gheddafi. ''In Libia non c'é alcun cessate il fuoco, ci stanno bombardando in questo preciso momento, la città è in fiamme'' ha detto l'uomo, chiedendo ''disperatamente'' aiuto 15:00 Usaf Aviano: "Pronti a eventuali interventi" 104 – Il 31/o Fighter Wing di Aviano (Pordenone) ''è in costante stato di prontezza atto a garantire piena competenza e immediato supporto agli ordini che dovessero pervenire''. A riferirlo è una nota ufficiale diffusa dal Comando Usaf di Aviano sulle ipotesi di un imminente coinvolgimento dei caccia di stanza in Friuli nelle operazioni di controllo dello spazio aereo libico, in applicazione della risoluzione Onu. 'Non possiamo discutere di future attività operative o di addestramento - affermano dal Comando Usaf - né facciamo speculazioni sul ricevimento di ordini a condurre operazioni; continuano nella nostra missione principale che è l'addestramento e la preparazione in modo da rispondere ad un compito, qualora venga assegnato''. 14:58 Egitto sospende voli per la Libia 103 – Conformemente a quanto deciso dalla risoluzione Onu 1973 l'Egitto ha sospeso tutti i voli verso la Libia. Lo ha dichiarto il responsabile dell'aviazione civile egiziana Sameh al-Hifni. 14:57 Ban Ki Moon: "Risoluzione storica" 102 – Il segretario dell'Onu Ban Ki-Moon ha definito questo pomeriggio di portata "storica" la risoluzione sulla Libia adottata ieri dal Consiglio di Sicurezza, perché sancisce il principio della protezione internazionale della popolazione civile. In una conferenza stampa congiunta con il premier spagnolo Josè Luis Zapatero, Ban Ki-Moon ha detto che "tutti gli stati membri dell'Onu" devono contribuire alla sua applicazione e che "le autorità libiche devono cessare immediatamente ogni ostilità contro la popolazione civile" 14:54 Insorti: "Cessate il fuoco è bluff" 101 – Il comandante degli insorti libici, Khalifa Heftir, ha dichiarato che il cessate-il-fuoco annunciato poco fa dal ministro degli esteri di Gheddafi ''non è importante'' per l'opposizione, definendolo un ''bluff''. 14:53 Bossi: "Lega condivide posizione Germania" 100 – Umberto Bossi schiera il Carroccio al fianco delle perplessità tedesche sulla risoluzione Onu rispetto alla Libia. "La Lega Nord si sente vicina alla posizione della Germania, per quanto riguarda il problema della Libia". Lo ha detto il leader della Lega e ministro delle riforme, Umberto Bossi. 14:50 Concluso Cdm straordinario 99 – Si è concluso il Consiglio dei ministri straordinario, convocato sulla situazione in Libia. 14:48 Scontri a Misurata, 25 morti 98 – È di 25 morti il bilancio delle vittime degli scontri avvenuti oggi nella città libica di Misurata tra le brigate fedeli a Muammar Gheddafi e i ribelli. Lo riferiscono fonti mediche alla tv satellitare 'al-Arabiya'. Intanto sia la tv emiratina che la concorrente 'al-Jazeera' confermano che gli attacchi delle truppe di Gheddafi sulla citta' della Tripolitania proseguono nonostante il cessate il fuoco annunciato dal governo. 14:47 Amnesty International: "Proteggere i civili" 97 – Amnesty International ha sollecitato tutte le parti coinvolte a fare della protezione dei civili in Libia la loro massima priorità. "Mentre apprezziamo la forte enfasi sulla protezione dei civili in Libia contenuta nella Risoluzione 1973, chiediamo a tutte le parti coinvolte nel conflitto, compresa ogni forza esterna che agisca sotto l'autorità del Consiglio di sicurezza, di porre la protezione dei civili al di sopra di ogni altra considerazionè", ha dichiarato Claudio Cordone di Amnesty International. 14:46 Nato accelera pianificazione militare 96 – La Nato ha deciso di accelerare la pianificazione militare in vista di una possibile partecipazione all'intervento internazionale in Libia, partecipazione non ancora decisa: lo hanno reso noto fonti dell'Alleanza 14:44 Ban Ki Monn domani a Parigi 95 – Il segretario generale Onu parteciperà domani al vertice Unione Europea, Unione Africana e Lega Araba sulla Libia indetto a Parigi dal presidente francese Nicolas Sarkozy: lo ha annunciato a Madrid lo stesso Ban Ki Monn. In precedenza aveva avuto un colloquio con il premier spagnolo José Luis Zapatero. 14:41 Rasmussen: "Risoluzione segnale forte a regime" 94 – La risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ''manda una forte e chiaro messaggio al regime di Gheddafi da parte di tutta la comunità internazionale: ferma immediatamente la tua brutale e sistematica violenza contro il popolo di Libia''. Lo ha dichiarato il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, dopo la riunione di oggi del Consiglio Atlantico durante il quale è stato deciso di accelerare al massimo la pianificazione delle azioni. 14:34 Wall Street apre in rialzo 93 – Avvio di seduta in netto rialzo a Wall Street, che sembra aver ricevuto una spinta rialzista dopo che la Libia ha annunciato un cessate il fuoco, nell'incombere di un intervento militare dopo che l'Onu ha autorizzato la creazione di una no fly zone. Alle prime battute il Dow Jones guadagna 138,42 punti, più 1,18 per cento, il Nasdaq avanza di 27,23 punti, più 1,03 per cento, lo Standard & Poor's 500 guadagna 9,39 punti, più 0,74 per cento. Permane una tensione di fondo però sull'emergenza radiazioni che permane alla centrale nucleare giapponese di Fukushima. 14:26 Nato, pronti ad azioni approprate risoluzione Onu 92 – ''La Nato sta completando la propria pianificazione per essere pronta a prendere misure appropriate a sostegno della risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite''. Lo ha detto il segretario generale dell'Alleanza atlantica, Anders Fogh Rasmussen, al termine del Consiglio nordatlantico convocato questa mattina per esaminare la risoluzione approvata ieri notte al Palazzo di Vetro. 14:25 Cameron: "Gheddafi giudicato dai fatti" 91 – Muammar Gheddafi sarà giudicato dai fatti non dalle parole: lo ha detto il premier britannico David Cameron alla Bbc dopo l'annuncio da parte della Libia di un cessate il fuoco. 14:21 Quattro giornalisti New York Times arrestati saranno liberati 90 – Erano stati catturati dalle forze fedeli a Muammar Gheddafi i quattro giornalisti del quotidiano 'The New York Times' dispersi da martedì scorso in Libia: lo ha annunciato un portavoce della stessa direzione del giornale americano, Robert Christie, secondo cui i quattro saranno tuttavia rilasciati oggi stesso. Si tratta di Anthony Shadid, due volte vincitore del premio 'Pulitzer', e di Stephen Farrell, sequestrato dai Talebani in Afghanistan nel 2009, come pure dei fotografi Tyler Hicks e Lynsey Addario. I reporter erano spariti nel nulla nei pressi di Agedabia, dove erano in corso combattimenti tra ribelli e governativi. 14:12 Al via il Cdm straordinario 89 – Ha preso il via a Palazzo Chigi alle 14.15 il Consiglio dei Ministri straordinario, convocato per discutere gli sviluppi della situazione in Libia. 14:11 Informativa urgente di Frattini e La Russa alle commissioni parlamentari 88 – Si stanno riunendo in questi minuti a Palazzo Madama le Commissioni Esteri e Difesa di Senato e Camera, "per una informativa urgente dei Ministri degli Affari Esteri e della Difesa in merito agli ultimi sviluppi della crisi libica alla luce della risoluzione approvata ieri dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite", si legge in una nota di Montecitorio. 14:05 Francia cauta sul cessate il fuoco libico 87 – La Francia rimane "cauta" dopo l'annuncio del cessate il fuoco in Libia. "La minaccia sul terreno non è cambiata", hanno affermato le autorità di Parigi. 14:01 Moussa Kussa: "Condividiamo la risoluzione Onu" 86 – Parlando in conferenza stampa, Moussa Koussa ha detto che la Libia condivide l'articolo della risoluzione 1973 "reativo alla protezione dei civili e alla unità territoriale della Libia".Perciò - ha aggiunto - basandoci su questo articolo, apriamo tutti i canali di dialogo con chiunque sia interessato all'unità territoriale della Libia". 13:59 Comitato nazionale per la sicurezza convocato da Maroni 85 – Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha convocato per il pomeriggio al Viminale il Comitato Nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica. La decisione del ministro, secondo quanto si apprende, fa seguito alla riunione del Comitato Permanente dei Ministri sulla crisi libica che si è tenuta questa mattina a palazzo Chigi. 13:58 Cala il prezzo del petrolio 84 – L'annuncio del "cessate il fuoco" libico fa arretrare il prezzo del petrolio di 3 dollari a barile 13:54 "La Libia fa parte dell'Onu e deve rispettare le risoluzioni", spiega il ministro degli Esteri 83 – "La Libia - ha affermato il ministro Mussa Kussa in una conferenza stampa - ha deciso l'immediato cessate il fuoco e ha fermato le operazioni militari". Il ministro ha motivato tale decisione con il fatto che il paese è membro delle Nazioni unite e in quanto tale "è obbligato ad accettare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza". 13:52 "Proteggeremo gli stranieri" dice la Libia 82 – Tripoli promette di proteggere gli stranieri e i loro beni 13:49 "Politico": "La risoluzione Onu vittoria di Hillary Clinton" 81 – La risoluzione Onu 1973 che autorizza a imporre una no fly zone sulla Libia è una vittoria diplomatica del segretario di Stato americano, Hillary Clinton. E' quanto scrive oggi il quotidiano online Politico 13:49 Libia sospende operazioni militari 80 – Le forze libiche fedeli a Muammar Gheddafi hanno sospeso tutte le operazioni militari per garantire la protezione dei civili, in linea con la risoluzione Onu che ha imposto la No Fly Zone. L'"immediato cessate il fuoco" è stato annunciato dal ministro degli Esteri libico, Mousa Koussa, conversando con i giornalisti a Tripoli. 13:45 Conferma dal ministro degli Esteri libico 79 – ll ministro degli Esteri libico ha detto oggi che la Libia ha deciso un cessate il fuoco immediato per proteggere i civili in linea con la risoluzione dell'Onu sulla no fly zone. 13:44 La Libia ha deciso il cessate il fuoco 78 – Da Tripoli la conferma del "cessate il fuoco immediato" 13:43 Tripoli: cessate il fuoco immediato 77 – Appello da Tripoli per il cessate il fuoco immediato 13:38 Tripoli sospende offensiva a Bengasi 76 – Tripoli sospende offensiva a Bengasi per rispetto a Onu 13:37 Ban Ki-Moon domani a Parigi 75 – Anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, parteciperà alla riunione di domani a Parigi tra rappresentanti dell'Unione Europea, della Lega Araba e dell'Unione Africana sull'intervento militare in Libia per imporre la No fly zone appena autorizzata dal Consiglio di Sicurezza. 13:31 Merkel: "Risoluzione Onu non ponderata al 100 %" 74 – Per il cancelliere Angela Merkel la risoluzione Onu che ha dato il via libera alla No fly zone e a eventuali raid aerei "non è stata ponderata al 100%" 13:29 Ambasciata italiana a Tripoli evacuata 73 – "Tutto il personale dell'ambasciata e del consolato italiano è partito": lo comunica all'agenzia vaticana Fides mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, in Libia. 13:14 Amr Moussa domani a vertice con Sarkozy 72 – Il segretario generale della Lega araba, Amr Moussa, parteciperà domani al vertice convocato dal presidente francese, Nicolas Sarkozy, a Parigi sulla crisi libica. Lo riferisce lo stesso organismo panarabo 13:12 Spagna, a disposizione Nato mezzi navali e aerei 71 – La Spagna metterà a disposizione della Nato le basi aeree di Rota, vicino a Cadice, e di Moron, accanto a Siviglia, come pure mezzi navali e aerei, per una possibile operazione internazionale in Libia, ha indicato oggi la ministra della difesa, Carme Chacon. In un discorso pronunciato, in presenza di re Juan Carlos di Borbone, in occasione del centenario dell'Aeronautica militare spagnola, riferisce Efe, Chacon ha precisato che una partecipazione spagnola dovra' essere autorizzata dal parlamento di Madrid. ''La nostra responsabilita' e' di stare accanto al popolo libico'' ha affermato. 13:10 Governo belga conferma: "Pronti a intervenire" 70 – Il governo belga ha confermato di essere pronto a partecipare a un'intervento militare in Libia secondo le condizioni fissate dall'Onu. Lo ha detto il ministro per gli affari europei, Olivier Chastel, al termine di una riunione dell'esecutivo. Il Belgio mettera' a disposizione sei caccia F-16 e una fregata. 13:08 Sarkozy parla con Cameron, Van Rompuy ed emiro Qatar 69 – Il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha avuto oggi dei colloqui con il premier britannico, David Cameron, con l'emiro del Qatar, Hamad Bin Khalifa al Thani, e con il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, per fare il punto della situazione in Libia. 12:56 Lega Araba: "Risoluzione Onu non apre strada a invasione" 68 – Il segretario della Lega araba Amr Moussa ha sottolineato che la risoluzione Onu 1973 che autorizza l'imposizione di una no-fly zone sulla Libia non apre la strada ad alcuna invasione della Lbia. Moussa ha aggiunto che la partecipazione dei vari stati arabi sarà discussa a livello bilaterale con la Lega araba. Moussa ha anche precisato che la risoluzione è finalizzata esclusivamente "alla protezione della popolazione civile". 12:54 Svezia valuterà richieste Nato 67 – La Svezia sostiene la risoluzione delle Nazioni unite e studierà un'eventuale richiesta della Nato per un contributo militare in Libia per l'imposizione della no fly zone: lo ha dichiarato oggi il ministro svedese degli Affari esteri, Carl Bildt. "La Svezia prende indipendentemente le sue decisioni sull'impegno delle sue forze militari. Se li sollecitano, prenderemo posizione. Ma la Nato deve prendere la sua decisione e stabilire il suo contributo militare. Vedremo allora se avranno bisogno di sollecitare altri" paesi, ha commentato il ministro. 12:50 Consiglio ministri straordinario alle 13:30 66 – Il Consiglio dei ministri stato convocato in seduta straordinaria alle 13:30 di oggi. All'ordine del giorno gli ultimi sviluppi della situazione in Libia. È quanto si apprende in ambienti di governo 12:43 Cameron rassicura: "No truppe di terra" 65 – Il popolo britannico può essere rassicurato che nell'azione contro la Libia non saranno usate truppe di terra: ''È uno dei limiti all'uso della forza che fissa la risoluzione 1973. Il pubblico può essere rassicurato'', ha detto Cameron alla Camera dei Comuni. ''Ogni decisione di mettere a rischio la vita dei nostri militari deve essere presa solo quando e' assolutamente necessario'', ha detto Cameron: ''Ma io credo che non possiamo restare a guardare un dittatore che uccide indiscriminatamente il suo popolo. Farlo avrebbe mandato un segnale agghiacciante ad altri dittatori'' 12:34 Cameron: "Gb invia Tornado ed Eurofighter" 64 – Le forze armate britanniche parteciperanno alla missione militare per l'imposizione della no fly zone sulla Libia con l'invio di aerei tornado ed eurofighter, che raggiungeranno "nelle prossime ore le basi del loro dispiegamento": è quanto ha annunciato il primo ministro di Londra, David Cameron, in Parlamento. 12:33 Cpi: "Attacchi contro civili saranno crimini di guerra" 63 – Eventuali attacchi contro i civili a Bengasi da parte delle truppe del regime di Gheddafi saranno considerati crimini di guerra. Lo ha detto il procuratore della Corte penale internazionale (Cpi) Luis Moreno-Ocampo. 12:32 Cameron domani a vertice Parigi 62 – Il premier britannico David Cameron parteciperà domani al vertice di Parigi sulla Libia: lo ha confermato lo stesso Cameron alla Camera dei Comuni. 12:27 Napolitano: "Prossime ore decisioni difficili" 61 – ''Nelle prossime ore dovremo prendere decisioni difficili, impegnative, rispetto a ciò che sta accadendo in Libia'', ha detto il presidente della Repubblica Napolitano. 12:26 Cameron: "Regno Unito farà la sua parte" 60 – Il Regno Unito "farà la sua parte" nell'azione contro la Libia. Lo ha detto il premier, David Cameron, in Parlamento. La risoluzione del Consiglio di Sicurezza "è chiarissima nel suo primo paragrafo che Gheddafi deve accettare il cessate- il-fuoco. Se non lo farà ci saranno conseguenze", ha detto Cameron. Il premier britannico ha detto che la Camera dei Comuni dibatterà la prossima settimana l'azione contro la Libia 12:24 Ribelli respingono truppe Gheddafi a Nalut 59 – I ribelli che controllano la città libica di Nalut, in Tripolitania, sono riusciti a respingere l'attacco condotto questa mattina dalle brigate fedeli a Muammar Gheddafi, entrate nella periferia della città. Lo riferiscono fonti dei ribelli alla tv satellitare 'al-Arabiya'. Secondo quanto scrivono gli stessi ribelli sul loro portale su 'Facebook', nei combattimenti di oggi a Nalut sono stati uccisi 3 soldati di Gheddafi e altri 20 sono stati catturati. 12:23 Eurocontrol blocca voli civili da e verso Libia 58 – L'agenzia Europea per il controllo del traffico aereo (eurocontrol) ha annunciato stamattina di aver bloccato i voli civili verso la Libia. L'agenzia ha aggiunto che Tripoli, da parte sua, ha negato di aver chiuso il proprio spazio aereo. 12:20 Cameron: "Già in corso preparativi per aerei" 57 – I preparativi per il dislocamento di aerei militari britannici sulla Libia sono già in corso, ha comunicato il primo ministro, David Cameron, alla Camera dei Comuni. Cameron ha detto che la Raf mobiliterà caccia Tornado e Typhoon nell'operazione internazionale autorizzata dalla risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il primo ministro ha detto che gli aerei si muoveranno nelle basi aeree da cui potranno far scattare l'azione militare contro la Libia nelle prossime ore. 12:19 Tripoli smentisce chiusura spazio aereo 56 – Tripoli ha smentito di aver chiuso lo spazio aereo libico dopo la decisione di un intervento militare da parte dell'Onu. Tuttavia i governi europei hanno deciso di impedire voli civili sul Paese. 12:19 Al via vertice Palazzo Chigi 55 – Con l'arrivo del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è iniziato a Palazzo Chigi il vertice intergovernativo sulla crisi libica. Nel corso della riunione dovrebbe essere preso in esame il contributo italiano all'attuazione della No-Fly Zone. Presenti i ministri degli Esteri Franco Frattini, della Difesa Ignazio La Russa, dell'Economia Giulio Tremonti, dello Sviluppo economico Paolo Romani, della Giustizia Angelino Alfano, delle Infrastrutture Altero Matteoli. Alla riunione prendono parte anche i sottosegretari alla presidenza del consiglio, Gianni Letta e Paolo Bonaiuti. 12:18 Gheddafi: "Attaccateci e sarà l'inferno" 54 – Il leader libico Muammar Gheddafi ha promesso "l'inferno" a coloro che proveranno ad attaccare la Libia. Lo ha riferito la tv locale, a poche ore dall'approvazione della risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza dell'Onu che autorizza l'uso della forza contro il regime di Tripoli. "Se il mondo è impazzito, diventeremo matti anche noi. Risponderemo. Trasformeremo la loro vita in un inferno", ha dichiarato Gheddafi in un'intervista concessa alla tv portoghese Rtp qualche ora prima che il Consiglio di Sicurezza dell'Onu approvasse la risoluzione che autorizza l'uso della forza in Libia. "Cos'è questo razzismo, questo odio? Cos'è questa pazzia?" si è chiesto il Colonnello 12:16 Napolitano: "Massimo consenso su decisioni" 53 – "Se pensiamo a quello che è stato il Risorgimento come movimento liberale e liberatore, non possiamo restare indifferenti alla sistematica repressione di fondamentali libertà in qualsiasi paese, non possiamo lasciare che vengano distrutte e calpestate le speranze che si sono accese di risorgimento anche nel mondo arabo, cosa decisiva per il futuro del mondo. Mi auguro che le decisioni da prendere siano circondate dal massimo consenso". ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, intervenendo alla manifestazione per il 150/mo dell'Unità d'Italia al Teatro Regio di Torino. 12:13 Napolitano: "Non idifferenti a diritti calpestati" 52 – "Non possiamo restare insensibili" ai richiami di libertà e diritti che provengono dal Mondo arabo, "non possiamo lasciare che vengano calpestate le speranze" del popolo libico. Ci attendono "decisioni difficili". Lo ha detto il presidente Napolitano parlando della situazione in Libia 12:08 Ue indurirà sanzioni contro società petrolifera libica 51 – LUnione europea si appresta ad indurire ulteriormente le sanzioni contro il regime libico e lunedì varerà misure restrittive anche contro la Noc, la società petrolifera libica. Lo riferiscono fonti diplomatiche a Bruxelles. La decisione sarà assunta nell'ambito del Consiglio degli esteri dell'Ue, che lunedì si riunirà a Bruxelles. 12:02 Wsj: "Egitto fornisce armi a ribelli. Usa informati" 50 – L'Egitto sta armando i ribelli libici che combattono Gheddafi, fornendo loro soprattutto armi leggere e munizioni, e gli Stati Uniti ne sono informati: è quanto scrive oggi il Wall Street Journal, che cita fonti ufficiali degli insorti e statunitensi. Secondo il quotidiano, si tratta del primo caso conosciuto di appoggio pratico alla Rivoluzione del 17 febbraio da parte di un governo esterno. Le consegne di armi e munizioni ai ribelli attraverso la frontiera libico-egiziana, dicono le fonti citate dal sito del Wsj, sono cominciate ''alcuni giorni fa'', quando le forze fedeli al Colonnello hanno iniziato a riconquistare territorio verso la Cirenaica, e proseguono tuttora. Da parte egiziana, dice il Journal, non c'e' nessuna conferma. Negli Usa, invece, ''non c'è alcuna dichiarazione politica o riconoscimento formale di quanto sta accadendo'', semplicemente ''è qualcosa di cui siamo a conoscenza'', dice una fonte americana. 11:59 Gb, Parlamento si prepara a votare mozione lunedì 49 – Il Parlamento britannico si prepara a votare una mozione sulla Libia lunedì prossimo. Lo hanno indicato fonti del governo alla Bbc. Oggi il primo ministro David Cameron ha convocato una riunione di emergenza del suo cabinet e si appresta a fare una comunicazione alla Camera dei Comuni. 11:58 Mantica: "No Fly Zone rafforzata" 48 – Per impedire una strage di civili a Bengasi la comunità internazionale sta preparando una "No Fly Zone rafforzata": questo in sostanza - ha spiegato il sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica - il senso dell'espressione "tutte le misure necessarie" contenuta nella risoluzione Onu sulla No Fly Zone in Libia approvata ieri con largo consenso e solo cinque astensioni dal Consiglio di sicurezza. 11:56 Zapatero annulla viaggio e vede Ban Ki-Moon 47 – Dopo l'adozione della risoluzione Onu sulla Libia, il premier socialista spagnolo José Luis Zapatero ha annullato un viaggio che aveva in programma questo pomeriggio in Castiglia e vedrà a Madrid il segretario generale Onu Ban Ki-Moon, hanno indicato fonti della Moncloa, la presidenza del governo. ''Il presidente del governo ha annullato la sua visita ufficiale a Leon a causa della evoluzione del conflitto in Libia'' hanno detto le fonti. Il premier vedrà il segretario Onu all'inizio del pomeriggio. 11:49 Polizia Cipro su tracce familiari Gheddafi 46 – La polizia di Cipro ha confermato di aver ricevuto un' ''allerta globale'' diffusa dall'Interpol nei confronti del leader libico Gheddafi e di altre 15 persone tra suoi familiari e membri del suo entourage. Lo riferisce stamani il quotidiano Famagusta Gazette secondo cui l'avviso dell'Interpol è teso a bloccare i movimenti e i conti bancari del colonnello e delle persone a lui vicine sulla base di quanto di recente deciso dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Michael Katsounotos, portavoce della polizia di Cipro, ha affermato che anche qui le forze dell'ordine stanno investigando per accertare l'eventuale transito sull'isola di familiari di Gheddafi o responsabili del suo regime in fuga oppure tracce di trasferimenti bancari dei loro conti verso altri paesi. 11:27 Allertate basi aeronautica 45 – Al momento, viene precisato, "lo scenario prevede solo un supporto logistico", ma agli stati maggiori sanno bene che la situazione potrebbe mutare già nelle prossime ore. E mentre alla Difesa si susseguono le riunioni in vista degli esiti del vertice convocato a Palazzo Chigi, l'Aeronautica militare ha allertato tutte le proprie strutture in previsione di un possibile impiego di carattere operativo sia dei velivoli che degli elicotteri.Gli F16 del 37° stormo di Trapani, ma anche gli Eurofighter di base a Gioia del Colle e i cacciabombardieri Amx di Amendola, in Puglia, i Tornado, riferiscono all'ADNKRONOS fonti militari, potrebbero essere chiamati a svolgere un ruolo attivo alla luce della Risoluzione approvata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che comprende tutte le misure necessarie a proteggere i civili. Il passato coloniale italiano in Libia potrebbe alla fine far propendere per un ruolo di supporto logistico, ma non sono comunque escluse possibili missioni operative per assicurare il rispetto della 'No Fly Zone' ed impedire il decollo dei caccia del colonnello Gheddafi. Altre basi che potrebbero essere chiamate in causa, Sigonella in Sicilia e Decimomannu in Sardegna. Quest'ultima si presterebbe ottimamente come sito di rischieramento e stazionamento per gli aerei inviati in missione. "Tutti gli scenari sono presi in considerazione", rilevano le stesse fonti, compresi quelli che prevedono il possibile utilizzo di elicotteri Hh3-F con funzioni 'Sar' (Search and Rescue) e anche 'combat-Sar', per l'eventuale soccorso e recupero di piloti in 'zona ostile'. 11:23 Grecia pronta a fare la sua parte 44 – La Grecia si è detta oggi pronta a "contribuire, in collaborazione con i partner e i nostri alleati, a far rispettare la legalità internazionale", alla luce della risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu che autorizza una no-fly zone in Libia. Al termine di una riunione fra i ministri degli esteri Dimitri Droutsas e della difesa Evangelos Venizelos un comunicato sottolinea che la risoluzione 1973 "è un chiaro avvertimento" a Tripoli : "deve esserci un immediato cessate-il-fuoco. Debbono cessare immediatamente gli attacchi contro i civili". 11:16 Violenti scontri a Zenten e Nalut 43 – Violenti scontri a fuoco sono in corso tra i ribelli libici e le truppe fedeli a Muammar Gheddafi nelle due località di Zenten e Nalut, nell'ovest della Libia: lo hanno riferito alcuni testimoni. 10:53 Misurata, almeno 4 morti in bombardamenti 42 – Quattro persone sono rimaste uccise e 70 ferite oggi nei bombardamenti contro la città di Misurata da parte delle forze pro Gheddafi. Lo riferiscono fonti ospedaliere, secondo quanto riportato dal canale televisivo Al Arabiya. La città di Misurata, 200 km ad est di Tripoli, è ancora in mano agli insorti. 10:47 Canada invierà sei caccia 41 – l Canada parteciperà a un eventuale intervento militare in Libia con l'invio di sei caccia CF-18 che corrispondono agli F18 americani. Lo riferiscono oggi i media canadesi. "Il governo canadese ha preso la decisione di inviare sei aerei di caccia Cf-18 al fine di unirsi agli americani, ai britannici, ai francesi e agli altri paesi che vogliono partecipare all'imposizione di una no fly zone sulla Libia", è scritto sul sito internet del primo canale televisivo canadese. Secondo il Globe e il Mail, tra i 120 e i 200 soldati saranno inviati con gli aerei. Una fonte vicino al governo canadese ha confermato all'agenzia France Presse che il premier Stephen Harper dovrà prendere una decisione sulla questione in tempi brevi. 10:41 Insorti: "Preso miliziano Gheddafi, uccisi sei uomini" 40 – Un miliziano pro-Gheddafi, a capo di un commando, è stato ferito in uno scontro a fuoco e catturato dalle forze ribelli della Cireanica, nella Libia orientale. Lo riferiscono fonti degli insorti, senza precisare dove sia avvenuta la sparatoria. L'uomo - aggiungono le fonti - aveva con sé una mappa dei siti strategici della 'rivoluzione' e i suoi uomini sono rimasti uccisi. Il miliziano si trova ora in ospedale in una località imprecisata. 10:39 Ministri e parlamentari francesi convocati per le 16 39 – I ministri del governo francese e alcuni responsabili parlamentari sono stati convocati per le 16 a Matignon - sede del governo - per consultazioni sulla situazione in Libia. 10:34 Insorti: "A Misurata governativi useranno scudi umani" 38 – Una fonte degli insorti ha dettoche blindati delle forze di Gheddafi stanno bombardando Misurata da oltre tre ore e che i 'lealisti' vogliono usare civili come scudi umani contro possibili attacchi aerei delle forze internazionali. ''Blindati e truppe circondano Misurata e stanno cercando di avanzare verso il centro della citta''', ha detto al telefono Sadun, un addetto stampa del 'Comitato della rivoluzione dei 17 febbraio', secondo quanto riferisce al Jazeera nella sua edizine online. Secondo la fonte, i bombardamenti durano da almeno tre ore e il numero delle vittime sta aumentando. All'attacco partecipano 25 tank, ha stimato. 10:33 Bersani: "Alla buon'ora risoluzione Onu" 37 – "Alla buon'ora: la Comunità internazionale ha detto una cosa chiara, cioè che a una persona che riteniamo criminale e che vogliamo mandare al Tribunale dell'Aja non possiamo permettere di bombardare Bengasi": lo ha detto il segretario del, Pd Pier Luigi Bersani, entrando al Teatro Regio di Torino, dove è in programma la cerimonia per i 150 anni dell'unità d'Italia con il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. "Ci sono gli strumenti - ha aggiunto Bersani - per applicare la risoluzione dell'Onu. Io mi auguro che Gheddafi, alla luce anche di questa posizione più ferma e più netta della Comunità internazionale, blocchi l'operazione. Altrimenti - ha concluso - bisognerà impedire che Gheddafi bombardi la sua gente a Bengasi" 10:31 Fuori questione partecipazione russa 36 – Il capo di stato maggiore delle forze Armate russe Nikolai Makarov esclude la possibilità di un intervento russo nelle operazioni militari contro la Libia, sancite stanotte da una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu. "È fuori questione" ha detto Makarov a Interfax. 10:26 Frattini e La Russa a Commissioni Esteri 35 – I ministri degli Esteri Franco Frattini e della Difesa Ignazio La Russa saranno ascoltati alle 14 dalle commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato a Palazzo Madama. Lo si apprende da fonti parlamentari. Al centro della riunione la crisi libica dopo la decisione dell'Onu. 10:16 Bocchino (Fli): "A disposizione basi, ma anche aerei" 34 – ''L'Italia dovrebbe dire all'Onu 'Noi siamo pronti'. Non dovrebbe mettere a disposizione le basi, ma anche gli aerei. Sarebbe un errore se l'Italia avesse un atteggiamento ipocrita o pavido'': così Italo Bocchino (FLI), ospite stamattina a Omnibus su LA7. ''Noi siamo i dirimpettai e il primo partner economico della Libia: non ho capito perché debbano intervenire Francia e Inghilterra e diventare poi loro il primo partner''. 10:13 Inviato Onu a Cairo incontrerà insorti a frontiera 33 – L'inviato dell'Onu per la Libia, Abdel Ilah El Khatib, è arrivato questa mattina al Cairo nell'ambito di una missione in Egitto e in Tunisia durante la quale esaminerà gli sviluppi della situazione in Libia. Lo riferiscono fonti dell'aeroporto del Cairo. In giornata El Khatib si recherà a Sallum, sulla frontiera con la Libia per incontrare esponenti della resistenza libica. Domenica è previsto l'arrivo al Cairo del segretario generale dell'Onu Ban Ki Moon. 10:12 India: "Nessuna interferenza internazionale su affari Tripoli" 32 – L'India ritiene che non debba esserci alcuna interferenza sugli affari interni libici della Libia. "Il desiderio umano per la libertà e il diritto dei cittadini di decidere il proprio futuro è universale, ma queste sono decisioni che i paesi e i loro cittadini devono prendere da soli senza interferenza esterna o coercizione", ha detto il primo ministro Manmohan Singh, secondo quanto si legge su al Jazeera. Nuova Delhi si è astenuta ieri durante il voto del Consiglio di sicurezza dell'Onu che ha approvato la risoluzione 1973 sulla no fly zone in Libia. 10:11 Turchia chiede 'cessate il fuoco'. No a intervento militare 31 – La Turchia chiede un immediato cessate il fuoco in Libia e si oppone a un intervento militare internazionale. Lo ha detto l'ufficio del primo ministro in un comunicato insistendo per una soluzione pacifica al conflitto. 10:02 Alle 12 vertice ministri a Palazzo Chigi 30 – È previsto a mezzogiorno, a Palazzo Chigi, un vertice tra i vari ministri, i capi dei servizi di sicurezza e il vertice militare della Difesa sulla situazione dopo l'approvazione della risoluzione dell'Onu sulla Libia. Lo si è appreso da fonti governative. Nel corso della riunione dovrebbe in particolare essere preso in esame il contributo italiano all'attuazione della 'no-fly zone' 09:49 Gb, Cameron convoca riunione urgente del governo 29 – Il primo ministro britannico David Cameron ha convocato per oggi alle 10 una riunione d'urgenza del suo governo sulla Libia, prima di fare una dichiarazione in Parlamento: lo ha annunciato un portavoce di Downing Street. Il primo ministro di Londra dovrebbe precisare le condizioni della partecipazione britannica alle operazioni per l'imposizione della no fly zone sulla Libia. La risoluzione approvata dall'Onu autorizza a prendere "tutte le misure necessarie" per proteggere i civili ed imporre una tregua all'esercito libico. 09:46 Libia ha chiuso spazio aereo 28 – La Libia ha chiuso il suo spazio aereo, a seguito della decisione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sull'imposizione di una no-fly zone. Lo ha riferito Eurocontrol, che ha detto di aver ricevuto la notizia dalle autorità maltesi, alle quali sarebbe stato notificato da Tripoli il divieto di ingresso nello spazio aereo di qualsiasi velivolo ''fino a ogni altra ulteriore notifica''. 09:44 Figlio di Gheddafi: "Forze 'anti-terrorismo entreranno a Bengasi" 27 – Il figlio del leader libico Muammar Gheddafi, Seif al Islam, ha detto che forze ''anti-terrorismo'' saranno mandate a Bengasi per disarmare gli insorti. Lo riferisce la televisione satellitare al Jazeera 09:38 Forze Gheddafi tentano di entrare a Misurata 26 – Dopo i bombardamenti degli ultimi giorni, le forze di Gheddafi ora stanno cercando di forzare la mano a Misurata. Un corrispondente di Al jazeera riferisce che i carriarmati e le truppe di terra del regime stanno effettuando una sortita e provano a entrare nel centro della citta. Le ultime tre ore hanno visto i carriarmati libici bersagliare la città e il numero delle vittima starebbe crescente. i carriarmati impegnati nell'operazione sono almeno 25. Secondo al Jazeera, Gheddafi vorrebbe entrare in città per poi poter servirsi dei civili come scudo umano contro possibili raid aerei stranieri. 09:32 Pechino: "Serie riserve su parte risoluzione" 25 – Pechino nutre ''serie riserve'' nei confronti di una parte della risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con cui nella notte è stata autorizzata la no-fly zone sulla Libia. A spiegarlo, dopo la scelta di astenersi in sede di voto a New York fatta dalla Cina, è stato oggi il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Jiang Yu. ''Ci opponiamo all'uso della forza nelle relazioni internazionali ed abbiamo alcune serie riserve per quanto riguarda parte della risoluzione'', ha spiegato. ''L'attuale crisi in Libia dovrebbe essere risolta attraverso il dialogo ed altri mezzi pacifici''. 09:31 Giornalista New York Times arrestata sarà liberata domani 24 – Uno dei quattro giornalisti del New York Times considerati scomparsi in Libia, una donna, è stata arrestata e sarà liberata. Lo ha detto uno dei figli del colonnello, Said al islam,. "Sono entrati illegalmente nel paese e quando l'esercito ha liberato la città di Adjabiya dai terroristi... Sono stati trovati. I militari l'hanno arrestata si sono resi conti che era americana e non europea. Sarà liberata domani". Saif al islam non ha precisato l'identità della giornalista, ma dovrebbe trattarsi della fotografa Lynsey Addario, una dei quattro reporter del New York Times scomparsi ad Ajdabiya. 09:29 Qatar parteciperà a no-fly zone 23 – Il Qatar ha annunciato che parteciperà alla no fly zone sulla Libia. È il primo paese arabo a dichiarare la sua partecipazione dopo l'approvazione ieri da parte del Consiglio di sicurezza dell'Onu di una risoluzione sulla Libai e l'ok della Lega Araba 09:22 Consiglio Atlantico Nato convocato per le 10:30 22 – Il Consiglio Atlantico della Nato è stato convocato stamattina per esaminare la risoluzione dell'Onu sull'imposizione di una no fly zone in Libia approvata ieri sera dal Consiglio di Sicurezza a New York. La riunione, a livello di rappresentanti permanenti, comincerà alle 10:30 nel quartier generale di Bruxelles. 09:15 Polonia: sì appoggio logistico, no ruolo militare 21 – La Polonia offrirà appoggio logistico, ma esclude un attivo ruolo militare per far rispettare la no-fly zone sulla Libia. Lo ha detto il ministro della difesa, Bongdan Klich. 09:13 Belgio pronto a intervenire 20 – Il Belgio è pronto a partecipare ad una operazione militare internazionale contro il regime di Gheddafi in base a quanto previsto dalla risoluzione approvata questa notte dal Consiglio di sicurezza dell'Onu.Questa l'indicazione univoca che viene dai media locali in attesa che questa mattina si riunisca il Comitato ministeriale ristretto e nel pomeriggio si svolga un dibattito su questo tema alla Camera. Il governo avrebbe comunque già verificato di poter contare su una larga maggioranza favorevole all'intervento che dovrebbe avvenire nel quadro Nato mettendo a disposizione unità navali ed F16. 09:11 Danimarca verso il sì Parlamento invio F16 19 – La Danimarca chiederà "il più rapidamente possibile" oggi l'appoggio della commissione parlamentare affari esteri per l'invio di un contributo ad un eventuale intervento militare internazionale in Libia, inclusi aerei da combattimento F16. Lo ha annunciato il ministro degli esteri Lene Espersen. 09:05 Parigi, governo: "Obbiettivo no occupazione della Libia, ma caduta Gheddafi" 18 – L'intervento militare che si concretizzerà ''nelle prossime ore'' e che vedrà la Francia in prima fila, ''non è un'occupazione del territorio libico'', ma ''un dispositivo per proteggere il popolo libico e consentirgli di andare fino in fondo al suo anelito di libertà e quindi alla caduta del regime di Gheddafi'': lo ha detto ai microfoni della radio RTL Francois Baroin, portavoce del governo di Parigi. Dopo aver confermato l'intervento militare nelle prossime ore e con la partecipazione delle forze armate della Francia, Baroin ha aggiunto che ''i francesi, che erano all'avanguardia in questa richiesta, saranno naturalmente coerenti con l'intervento militare, quindi parteciperanno''. 08:59 Saadi Gheddafi: "No attacchi a Bengasi, ma disarmo insorti" 17 – Le truppe pro Gheddafi cambieranno la loro tattica, accerchieranno Bengasi e da domani o da dopodomani aiuteranno la gente a lasciare la città. Lo ha detto Saadi Gheddafi, uno dei figli del leader libico, secondo quanto riportato dalla Cnn sul suo sito. Saadi ha anche dichiarato che non ci saranno più attacchi su larga scala contro Bengasi. Invece, saranno inviate polizia e unità anti terrorismo per disarmare gli insorti. 08:31 Bombardata Misurata 16 – Le forze di Gheddafi bombardano la città ribelle di Misurata 08:19 La Norvegia parteciperà alle azioni contro Gheddafi 15 – Il governo norvegese ha annunciato che parteciperà alle azioni militari contro il regime di Gheddafi 08:16 Le riserve della Cina sulla risoluzione 14 – La cina ha espresso oggi "serie riserve" sulla risoluzione votata dal consiglio di sicurezza dell'Onu che autorizza l'uso della forza contro il regime di Muammar Gheddafi 08:08 Il figlio di Gheddafi: "Non abbiamo paura" 13 – La Libia non ha paura. Lo ha detto Seif al-Islam, figlio del leader libico Muammar Gheddafi a proposito della risoluzione sulla no fly zone approvata ieri dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu 07:56 La Francia: "attacchi in tempi rapidi" 12 – Il governo francese ha annunciato ufficialmente che parteciperà alle operazioni militari in Libia ed ha aggiunto che "gli attacchi contro le truppe di Gheddafi avverranno in tempi rapidi" 02:44 Obama sente Sarkozy e Cameron 11 – Barack Obama ha telefonato al presidente francese Nicolas Sarkozy - il più strenuo difensore della necessità di un intervento militare contro il regime di Gheddafi - e al premier britannico David Cameron. La Casa Bianca fa sapere che i tre leader hanno concordato sulla necessità che la Libia rispetti immediatamente tutti i termini della risoluzione, a partire dalla fine alle violenze contro la popolazione civile 01:30 Canada invierà aerei 10 – Il Canada, uno dei 28 Paesi della Nato, ha annunciato che invierà sei aerei da guerra nel Mediterraneo per partecipare all'imposizione della no-fly zone imposta dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu 01:15 I dubbi di Berlino 9 – Il ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, ritiene che la risoluzione approvata dal Consiglio di Sicurezza Onu - con l'astensione della Germania - ponga considerevoli rischi. Insieme a Berlino si sono astenuti Russia, Cina, India e Brasile. Westerwelle ha escluso che le forze armate tedesche parteciperanno in qualsiasi forma all'applicazione delle misure approvate al Palazzo di Vetro 01:09 Vice ministro libico: "Speriamo che l'Italia si tenga fuori" 8 – Il vice ministro degli Esteri libico Khaled Kaaim sulla disponibilità del governo di Roma a consentire l'utilizzo delle basi sul territorio italiano: "Siamo certi che l'Italia ha a cuore l'integrità della Libia e la salvaguardia della popolazione. Speriamo che non consenta l'utilizzo delle sue basi e si tenga fuori da questa iniziativa decisa dall'Onu" 00:53 Il governo pronto al cessate il fuoco 7 – Il vice ministro degli Esteri libico Khaled Kaaim ha detto in una conferenza stampa a Tripoli che il suo governo è pronto a osservare un cessate il fuoco ma a patto che la sua attuazione venga concordata. Quindi ha espresso apprezzamento per "il fatto che la risoluzione dell'Onu esclude la fornitura di armi ai ribelli" e contiene un riconoscimento della necessità di "preservare l'integrità territoriale della Libia" 00:41 Al vertice si è unito anche Napolitano 6 – Il presidente della Repubblica si è unito al vertice tra Berlusconi, La Russa e Letta ed è stato informato sugli ultimi sviluppi della crisi libica 00:38 La Russa: "Riunione informale" 5 – La Russa: "Abbiamo svolto una riunione informale in cui abbiamo discusso delle conseguenze di questa risoluzione". Di più il ministro non ha voluto aggiungere 00:37 Gheddafi non attaccherebbe più Bengasi 4 – Gheddafi avrebbe deciso di cambiare tattica e di non attaccare più con l'esercito Bengasi. E' quanto riferisce il corrispondente della Cnn a Tripoli, dopo un colloquio telefonico con uno dei figli di Gheddafi, Saif al-Islam 00:27 Tripoli: "Risoluzione minaccia l'unità del Paese" 3 – La risoluzione votata questa sera dall'Onu "minaccia l'unità del Paese". Il vice-ministro degli esteri Khaled Kaaim ha detto all'agenzia Afp che la risoluzione costituisce "un invito ai libici ad uccidersi tra di loro". 00:20 Ambasciatore italiano: "Nato esamina risoluzione" 2 – "La risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu andrà esaminata attentamente". Lo ha detto il colonnello Massimo Panizzi, portavoce della delegazione militare italiana presso la Nato, intervistato da Sky Tg24. "La Nato agirà su un mandato chiarissimo e con il supporto regionale. Ora la Nato esaminerà se ci sono i presupposti per agire" ha aggiunto Panizzi 00:19 Vertice Berlusconi-La Russa-Letta 1 – Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è riunito con il ministro della Difesa Ignazio La Russa e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta per discutere sulla situazione in Libia alla luce della risoluzione Onu sulla 'No fly zone'. Al'incontro partecipano alcuni alti gradi delle forze armate (18 marzo 2011)
* Sei in: * Repubblica / * Esteri / * Tobruk, tra i ribelli allo stremo che … * + * - * Stampa * Condividi * OKNOtizie * Google Buzz LIBIA Tobruk, tra i ribelli allo stremo che aspettano l'aiuto occidentale E dopo il voto del Palazzo di Vetro esplode la festa degli insorti. La linea del fronte è indefinibile: ci sono voci su località prese e perdute, ma mancano conferme. L'offensiva delle truppe lealiste ha lasciato il segno di BERNARDO VALLI Tobruk, tra i ribelli allo stremo che aspettano l'aiuto occidentale TOBRUK - Mentre l'offensiva di Gheddafi si intensifica a Bengasi, e in tutta la Cirenaica, sfido chiunque a trovare la linea del fronte, sulla quale gli insorti resistono all'avanzata delle milizie di Tripoli. È zigzagante, nevrotica, maledettamente mobile, non riesci a disegnarla. È una partita di scacchi nel deserto, con le città come pedine. Città che gli uni affermano di avere catturato, e che gli altri sostengono di avere liberato e di poterle difendere. È un'altalena di bugie. Ed è spesso un improbo esercizio inseguire la verità. La guerra psicologica, alimentata dalla propaganda delle due parti, mette a dura prova i nervi della popolazione. Oltre ai morti nei cimiteri e ai feriti negli ospedali, ci sono i fantasmi moltiplicati dalle false notizie. Mentre arrivavo a Tobruk, voci insistenti davano per certa la presenza di mercenari con le bandiere verdi di Gheddafi alla periferia. Ed era un falso. Percorro centinaia di chilometri nel vuoto, tra il grigio della sabbia e l'azzurro del mare primaverile, con l'ansia, diciamo pure il timore, di imbattermi nei soldati di Tripoli che, mi dicono, scorrazzano su camion bianchi "made in Japan". Per loro io sono un fuorilegge, essendo senza un visto rilasciato da Tripoli. Spero invece di incontrare i ribelli. Con loro sono inevitabilmente amico. Ma adesso cominciano ad esprimere un malcelato rancore. Sei un occidentale, hai fatto tante promesse, cosa aspetti a darci una mano? La cornice lunare suscita languore e sbalzi di adrenalina. Sulla strada da Sollum, ultima località egiziana, e Tobruk, prima grande città libica, a un posto di blocco c'è un ragazzo con un bastone pittato di bianco che neanche mi guarda; e poi, un centinaio di chilometri più in là, a un altro posto di blocco, un giovanotto insonnolito si appoggia sul Kalashnikov come se fosse un bastone. Ancora più in là, sulla strada per Bengasi, la metropoli della Cirenaica liberata e posta in gioco decisiva, lungo centinaio di chilometri è lo stesso vuoto. Mi chiedo dove sia l'esercito degli insorti. Siamo nascosti, giurano gli uomini con la coccarda della bandiera della rivoluzione, che è poi quella dei re Senussi deposti più di quarant'anni fa da Gheddafi. Bisogna pur tentare un bilancio. Misurata? La davo già in mano al raìs di Tripoli, e invece la sorte di quell'importante porto della Tripolitania sarebbe ancora incerta, poiché lo stesso regime del raìs annuncia nella mattina che è in corso un'operazione per controllarla. Gli insorti affermano di avere ucciso ottanta soldati di Gheddafi e di avere abbattuto due aerei. Eppure Misurata è a portata di mano. Tripoli stenta dunque a domarla. L'inaspettato recupero di Gheddafi non è poi tanto trionfale. Il raìs, pur ringagliardito, arranca. Lo stesso vale per la più lontana Ajdabiya, città chiave della Cirenaica, perché è uno snodo di strade che portano a Kufra, a Tobruk, a Sirte, ma soprattutto a Bengasi. Caduta Ajdabiya, si affermava ieri, Bengasi non ha scampo. Dopo i bombardamenti di martedì e di mercoledì Ajdabiya sembrava perduta per gli insorti, sopraffatti da qualche carro armato e dalle incursioni aeree. La notizia, confermata, smentita e di nuovo confermata, ma rimasta nel dubbio secondo gli insorti, convinti di avere ancora qualche nido di resistenza, ha provocato un piccolo esodo da Bengasi, in particolare il ripiegamento su Tobruk (a sei ore di automobile) di molti giornalisti stranieri. I quali si sono lasciati alle spalle una città tranquilla, ma con sempre meno bandiere della rivolta e la gente inquieta anche se composta. Le ultime notizie dicono che le truppe leali al raìs sono a settanta chilometri dalla periferia. Pacato, in apparenza sicuro di sé, il generale Abdel Fatah Yunis, comandante militare degli insorti a Bengasi, sostiene che nonostante la vicinanza dei nemici a Ovest, e il lancio di missili a parecchi chilometri dall'abitato (e pare in prossimità dell'aeroporto), la città non si sente minacciata e comunque resisterà. Nello stesso tempo, Tripoli proclamava che entro 48 ore l'intero Paese sarebbe rientrato nell'ordine. Di ore, mentre scrivo, ne dovrebbero mancare ormai poche. Ma qui a Tobruk non c'è nulla di nuovo. E lo stesso vale per Bengasi, anche se le truppe leali al raìs si avvicinano da Ovest e si preparano a un attacco. È un fatto, Gheddafi guadagna terreno. Per questo gli insorti a Tobruk e Bangasi hanno festeggiato a lungo il voto del Consiglio di Sicurezza che ha autorizzato la no-fly zone, destinata a impedire le incursioni aeree, insieme ad altre misure per "proteggere i civili". Per loro è un bel sollievo, e potrebbe essere la premessa di altri aiuti, ancora più concreti. Un intervento più diretto (a terra?), fermerebbe la riconquista del raìs. I "giovani" (shabab) stentano a cavarsela da soli. Si difendono ma non riescono a promuovere offensive in grado di riprendere il terreno perduto. Frenano l'avanzata del nemico, è vero; danno l'impressione di essere più organizzati, di non agire più come bande improvvisate; riescono ad allungare i tempi. Non di più. L'occupazione di Ras Lanuf, il 10 marzo, da parte delle truppe di Tripoli, ha segnato una svolta. Gli insorti ritenevano Ras Lanuf, località nel deserto che circonda il Golfo della Sirte, una loro base inespugnabile, capace di stabilizzare la linea del fronte. Invece quel bastione è caduto in poche ore, aprendo una breccia incolmabile. Quella sconfitta ha inferto un severo colpo al morale dei combattenti, la cui forza era dovuta più all'entusiasmo che alla capacità militare. L'insurrezione, generosa e confusa, si sta dissolvendo? Rischia di lasciare nelle città e nel deserto soltanto macchie di sangue? È difficile, dopo tante promesse e incoraggiamenti occidentali e arabi, dopo aver sentenziato dalle nostre capitali l'inevitabile, imminente crollo del raìs, non provare adesso una certa vergogna. L'inerzia di chi potrebbe tendere la mano assomiglia alla viltà. Gli sguardi sempre più carichi di rancore che raccogli tra gli insorti lasciano un segno. Forse non è troppo tardi. La partita non è del tutto conclusa. Bengasi e Tobruk, e larga parte della Cirenaica, tradizionalmente insubordinata allo strapotere del raìs, non sono ancora state sottomesse. Sulla piazza di Tobruk, battezzata Tahrir (Liberazione), come quella del Cairo, si è radunata una piccola folla. Al muro incollato a una moschea semivuota, sono appese le fotografie delle vittime antiche e recenti della "dittatura verde" di Gheddafi. La gente le guarda in un silenzio che cerco di rompere ponendo domande provocatorie. Chiedo dove sia l'esercito che dovrebbe difendere la città. Non ne vedo traccia. Non ho incontrato un solo uomo armato in tutta Tobruk. Mi risponde un signore attempato, un ingegnere dell'industria petrolifera, che in città occupa più di seimila persone. Mi invita, asciutto, a non preoccuparmi. Tobruk come Bengasi sarà difesa casa per casa. Mi sembra un atto di fede e non insisto. Gli sguardi freddi dei presenti lo impediscono. Quello delle tribù è un capitolo importante. In quarant'anni Gheddafi ha ridotto a un deserto il paesaggio politico libico. Né ha creato le più elementari strutture che reggono uno Stato. È sopravvissuto soltanto il tessuto sociale e tribale. Il raìs è stato capace di controllare, col bastone e la carota, con la repressione e il denaro del petrolio, il mosaico delle tribù. Il 17 febbraio quel mosaico è saltato. Il sostegno a Gheddafi viene soprattutto dai Warfalla, installati a 180 chilometri a Sud Ovest di Tripoli, i quali formano una tribù potente, con numerose comunità, tra le più scolarizzate e influenti, nella capitale. Il raìs dispone inoltre della propria tribù, con Sirte come centro, a 500 chilometri dalla capitale. Tra i Warfalla e i Kadhafa esiste un antico "legame di sangue" ed anche una comune avversità nei confronti delle altre numerose tribù che si chiamano Awaker a Bengasi, Elgobai a Tobruk e così via. È un labirinto nel quale lo straniero si smarrisce, ma è anche un labirinto in cui si possono decifrare forse tanti aspetti della guerra civile in corso. (18 marzo 2011)
LIBIA L'Onu: sì alla no fly zone in Libia Esplosioni a Bengasi. Gheddafi minaccia Al Palazzo di Vetro 10 sì, nessun contrario, 5 astenuti per la risoluzione che prevede il blocco spazio aereo e "misure per proteggere civili". La Francia chiede azioni immediate. Inizio di battaglia nella città degli insorti che festeggia la decisione del Palazzo di Vetro L'Onu: sì alla no fly zone in Libia Esplosioni a Bengasi. Gheddafi minaccia Soldati dell'esercito di Tripoli TRIPOLI - L'Onu ha approvato l'intervento in Libia per difendere i civili. Si istituisce quindi la "no fly zone" - il blocco dello spazio aereo - e tutte le misure necessarie a difendere i civili. Lo ha fatto con 10 voti favorevoli, nessun contrario e 5 astenuti tra cui Russia e Cina. Una decisione che ha scatenato il tripudio tra la folla a Bengasi, la città ancora sotto il controllo dei ribelli che Gheddafi ha ripetutamente minacciato nelle scorse ore, promettendo di prenderla nella notte e di non riservarle alcuna pietà. E proprio da Bengasi, a tarda sera, si racconta di esplosioni che a seguito delle quali è entrata in azione anche la contraerea. Le forze fedeli a Gheddafi puntano a Misurata. E' il giorno della "battaglia decisiva" per riprendersi la terza città del paese , come annunciato ieri da Gheddafi, e sottrarla ai ribelli. Anzi, la tv di Stato ha annunciato che in realtà sarebbe già tornata nelle mani dell'esercito ma gli insorti smentiscono. Prosegue anche la marcia verso Bengasi: l'esercito sarebbe a 160 chilometri dalla città, e intanto l'aeroporto di Benina è stato oggetto di alcuni aerei, anche se gli insorti annunciano di aver abbattuto due velivoli mitari. Gheddafi annuncia alla radio: "Stanotte attacco finale". DOSSIER 1 - TWITTER 2- MAPPA 3 Onu, nuova bozza di risoluzione. La nuova risoluzione approvata dal Consiglio di sicurezza dell'Onu prevede "tutte le misure necessarie" per proteggere i civili in Libia, tranne l'occupazione. Ora potrebbe essere effettuato un intervento militare a cui parteciperebbero "Francia, Gran Bretagna, forse gli Usa e uno o più Stati arabi". E' questa la richiesta francese, ma smentita da fonti Nato: "Non è pensabile un intervento della Nato senza una riunione del Consiglio atlantico" che dovrebbe tenersi domani alla luce della risoluzione Onu, hanno detto fonti dell'Alleanza all'agenzia Agi a Bruxelles. La condizione, come più volte ribadito anche dal segretario generale Rasmussen, è che la risoluzione Onu dia espressamente mandato alla Nato di intervenire e che, inoltre, vi sia il supporto dei Paesi limitrofi. L'amministrazione Obama auspica che il Consiglio di sicurezza autorizzi un'ampia gamma di interventi militari contro le forze del colonnello, sostenendo che la sola no fly zone sarebbe "insufficiente". Ma la Germania insiste nel proporre - come ha ribadito il ministro degli Esteri, Guido Westerwelle - un ulteriore inasprimento delle sanzioni, per prevenire l'arrivo di tutti i mezzi finanziari al regime, ribadendo la propria opposizione a un intervento militare. Intanto la Lega Araba ha confermato che Paesi arabi - probabilmente Emirati arabi e Qatar - parteciperanno militarmente per imporre una no fly zone sulla Libia, se questa verrà approvata dal Consiglio di Sicurezza. L'Egitto: "Noi non ci saremo". Russia, Italia, Cina frenano. "Quale saranno i meccanismi di controllo di tal decisione, chi la metterà in pratica e in quali forme? tutto ciò non è stato chiarito", ha chiesto il portavoce del ministero degli Esteri russo, Alexandre Lukachevitch, a poche ore dal voto sulla bozza di risoluzione. Sia la Russia che la Cina - entrambi membri permanenti del consiglio e quindi con diritto di veto - si sono mostrate fino ad ora opposte o scettiche riguardo a un eventuale ricorso alla forza. Sulla stessa linea, l'Italia che con Frattini - oggi a Sarajevo - ribadisce la necessità di un cessate il fuoco immediato come precondizione a ogni intervento. Minacce di ritorsione. Un'eventuale decisione di intervento militare da parte della comunità internazionale incontrerebbe naturalmente la reazione del regime di Gheddafi. L'ha esplicitato il ministro della Difesa di Tripoli, minacciando di colpire obiettivi civili e militari aerei e navali nel Mediterraneo in caso di azione armata contro la LIbia. "Ogni operazione militare contro la Libia esporrà un rischio tutto il traffico aereo e marittimo del Mediterraneo", ha affermato il ministero delle Difesa. "Qualsiasi obiettivo civile e militare sarà colpito", ha aggiunto il ministero. Attacco finale a Bengasi. Muhammar Gheddafi ha parlato alla radio, rivolgendosi alla popolazione di Bengasi e avvertendo che l'attacco finale contro la roccaforte ribelle "avverrà questa notte". "Stiamo venendo a prendervi, non ci sarà pietà". Il rais ha anche imposto al suo esercito di "non sparare su chiunque abbandoni le armi stasera". L'attacco è proseguito per tutta la giornata. "Le forze di Gheddafi bombardano Bengasi ma non riescono ad avanzare verso il centro della città via terra": lo ha riferito Ibrahim Al Agha, membro del Consiglio dei rivoltosi. "Li stiamo aspettando e non molliamo - aggiunge - stiamo cercando con tutti i mezzi a nostra disposizioni di impedire il sorvolo basso dei bombardieri". Al Agha invitato a diffidare dei proclami della propaganda del regime: "Non vi meravigliate di sentire fra poco che le truppe del Colonnello hanno occupato Parigi e Londra, questi sono professionisti della menzogna". Secondo fonti concordanti, due aerei sarebbero stati abbattuti dagli insorti nel tentativo di respingere l'offensiva delle forze governative nei pressi di Bengasi. "Qui la situazione è calma, l'esercito ha tentato di effettuare un raid sulla città ma la difesa antiaerea ha respinto l'offensiva e ha fatto cadere due velivoli", ha detto all'agenzia di stampa France Press un portavoce degli insorti. La circostanza sarebbe confermata anche da un portavoce militare del Consiglio nazionale di transizione. l raìs vuole Misurata. Già ieri la città è stata teatro di scontri violenti tra forze governative e insorti. Fonti mediche hanno riferito all'emittente Al Jazeera che il bilancio è di un centinaio di morti; ottanta sarebbero miliziani pro-Gheddafi. Il colonnello ieri si era detto convinto che la città sarebbe tornata oggi sotto il controllo dell'esercito. Annunciando che la battaglia sarebbe andata avanti oggi: "Prendete le armi e partecipate - ha detto, rivolgendosi ai giovani della città - perché Misurata non può essere lasciata in mano a un manipolo di folli". Secondo la televisione di Stato libica, le forze fedeli al raìs avrebbero già riconquistato Misurata. E sarebbero adesso impegnate a "sterilizzarla, ripulendola dalle bande terroristiche". Ma alcuni residenti smentiscono. Combattimenti ad Ajdabiya, decine di vittime. Da ore i quartieri residenziali di Ajdabiyah, a circa 150 chilometri da Bengasi, sono sottoposti a pesanti e continui bombardamenti aerei da parte delle truppe fedeli a Gheddafi. Ed è di almeno trenta morti, tra cui donne e bambini, il bilancio degli scontri delle scorse ore tra esercito e insorti. La città, l'ultima prima di Bengasi, è accerchiata dalla forze di Tripoli che avrebbero già ripreso il controllo del porto di Zuetina, località poco più a nord. (17 marzo 2011)
YEMEN La polizia spara sulla folla Trenta morti e 100 feriti a Sana'a Centinaia di migliaia di manifestanti in piazza nella capitale per chiedere la caduta del presidente Ali Abdallah Saleh. Migliaia di lealisti scendono per le strade, fortissima tensione e scontri. Proclamato stato d'emergenza La polizia spara sulla folla Trenta morti e 100 feriti a Sana'a Proteste anti governative a Sana'a in Yemen SANA'A - La polizia yemenita ha sparato sulla folla che manifestava nella centralissima Piazza del cambiamento, nella capitale Sana'a, provocando almeno 30 morti e un centinaio di feriti: lo ha riferito fonti mediche. Il presidente Saleh ha proclamato lo stato d'emergenza. Centinaia di migliaia di manifestanti anti-governativi sono scesi nuovamente in piazza oggi, nel centro della capitale yemenita, per chiedere la caduta del regime del presidente Ali Abdallah Saleh, al potere da 32 anni, mentre migliaia di lealisti hanno annunciato un analogo corteo. La manifestazione degli anti-regime è stata indetta sotto il nome di "Venerdì dell'avvertimento", mentre i lealisti hanno risposto convocando una contro-manifestazione detta del "Venerdì della Concordia". Il corrispondente da Sana'a della tv panaraba Al Arabiya aveva annunciato che erano previste oggi nuove violenze tra i due schieramenti, all'indomani del ferimento di almeno venti persone nella capitale e nel sud dello Yemen. Da domenica scorsa, circa 300 tra manifestanti e agenti di polizia sono rimasti feriti durante le proteste. Rimane alta la tensione anche in Bahrein e Arabia Saudita, dove la popolazione ha indetto sempre per oggi, al termine della preghiera del venerdì, nuove manifestazioni di protesta contro i rispettivi governi. In Bahrein, in particolare, i manifestanti hanno invitato la popolazione a scendere in strada oggi per chiedere la deposizione della dinastia Al Khalifa, minoranza sunniti che domina un Paese a maggioranza sciita da circa due secoli. E' dalla metà di febbraio che migliaia di manifestanti anti-governo protestano in strada chiedendo la fine del regime dispotico. Le proteste sono state represse duramente, con un bilancio delle vittime che parla di oltre 12 morti e mille feriti. Oggi i manifestanti faranno sentire la loro voce anche contro l'invasione saudita del Paese e la partecipazione di Riad nella brutale repressione delle proteste pacifiche. In Arabia Saudita, invece, i rappresentanti dell'opposizione hanno indetto una 'marcia di un milione di persone' sfidando il bando sulle proteste di piazza. Anche ieri oltre quattromila manifestanti di Qatif, nell'est del Paese, hanno chiesto al governo riforme e il rilascio dei prigionieri politici. Oggi, invece, chiederanno al proprio esecutivo di ritarare le truppe dal Bahrein. (18 marzo 2011)
IL REPORTAGE Il Brasile del miracolo ora è la locomotiva dell'economia mondiale Obama, per la prima volta a Rio, visiterà una favelas. Simbolo di povertà e adesso anche della riscossa di un Paese che attira ogni anno investimenti esteri per 45 miliardi di dollari ma è un esempio di socialdemocrazia dal nostro inviato FEDERICO RAMPINI Il Brasile del miracolo ora è la locomotiva dell'economia mondiale RIO DE JANEIRO - Cosa sono gli Stati Uniti? "È quel posto dove c'è solo l'inverno?" azzarda Joao Paolo, 6 anni. Chi è Obama? "Obama è un Lula", risponde decisa Agatha Vitoria, 5 anni. Qui i maschietti da grandi vogliono tutti diventare Ronaldinho e Kakà, la sorpresa sono le bambine: interrogate sul mestiere molte s'immaginano un futuro di "empresarias", imprenditrici. Non è un'idea scontata, nel posto in cui si trovano. Sono in una classe di prima elementare al "Solar Meninos de Luz", la Casa dei Figli della Luce. Un'istituzione incuneata in mezzo a due famigerate favelas di Rio, formicai di casupole abbarbicati a una collina, baraccopoli che hanno divorato la vegetazione tropicale per stipare 15.000 abitanti nell'abusivismo, per decenni senza acqua corrente e senza luce, incollati come crostacei a una parete ripida che potrebbe franare con un nubifragio tropicale. Solo in Brasile è possibile che un luogo così squallido sorga al confine esatto tra le due spiagge più chic e famose di tutto l'emisfero Sud: Copacabana e Ipanema. E in omaggio alla fantasia carioca che sfida la sventura, queste due favelas storiche nel cuore di Rio hanno nomi di uccelli: Pavaozinho (piccolo pavone) e Cantagallo. Sono il simbolo antico di una nazione crudele, che per secoli ha visto convivere a pochi metri di distanza il lusso sfacciato degli straricchi e la miseria abietta del sottosviluppo. Ma oggi diventano il simbolo di qualcosa di nuovo: uno sviluppo che per la prima volta aggredisce davvero la povertà, attenua le diseguaglianze. È la ragione per cui Barack Obama, che domani inaugura a Brasilia la sua prima visita da presidente nel Sudamerica, domenica verrà anche a Rio e ha chiesto di visitare una favela. Senza frastuono polemico, senza gli ideologismi cubani o venezuelani, il Brasile di questi anni è diventato un modello socialdemocratico che può insegnare qualcosa agli Stati Uniti. "Solar Meninos de Luz" non nasce dalla testa di un presidente, è un piccolo miracolo della società civile. Dietro c'è un benefattore celebre, lo scrittore Paulo Coelho nato qui a Rio, ma ci sono anche miriadi di cittadini anonimi che contribuiscono regolarmente con piccole donazioni. Il centro ha un'impronta religiosa che può far storcere il naso ai laici (è ispirato alla dottrina spiritista del francese Allan Kardec, pedagogo che credeva nella reincarnazione), ma non stupisce nessuno in Brasile, dove la Chiesa cattolica convive con il Candomblé animista africano, e tutt'e due subiscono la poderosa penetrazione degli evangelici. "Quel che conta qui è il risultato - mi dice la mia guida, la volontaria Alessandra Maltarollo - e cioè che questi bambini non vedono più né droga né pugnali da combattimento. Li accompagniamo dall'asilo-nido al liceo e fino all'università". Il miracolo della "Casa dei Figli della luce" è lo spettacolo che vedo al mattino lungo le serpentine che si arrampicano sulla collina ripida: ai lati dei vicoli c'è ancora un popolo di giovanotti sfaccendati, seduti dietro bancarelle, ma in mezzo sfilano cortei gioiosi di scolaresche in divisa bianca e verde, pulitissimi, ordinati, diretti verso le aule. Hanno una biblioteca con 20.000 testi, un teatro da 400 posti, palestre dove li vedo allenarsi alla capoeira (un'arte marziale brasiliana), ambulatori e mense, perfino insegnanti specializzati nell'assistenza ai bambini con handicap gravi. I corsi d'inglese e d'informatica cominciano dalla classe di prima elementare che ho interrogato sull'arrivo di Obama. Ma la trasformazione della favela è il frutto di un'azione combinata: oltre ai volontari che lavorano dal basso c'è stato un intervento dall'alto. In senso letterale: è dall'alto che sono piombati su questa e altre favelas di Rio elicotteri dell'esercito, squadre paramilitari, corpi speciali da combattimento. Una vera operazione di guerra, pianificata a tavolino come uno degli ultimi atti del presidente Lula da Silva, d'accordo con il governatore dello Stato e il sindaco. "Il 95% della popolazione di qui non l'ha subìta come un'invasione ma come una liberazione", mi dice il 65enne Sallyr Lerner che per una vita è stato "il dentista delle favelas". Lo Stato ha preso per la prima volta nella storia il controllo di questo territorio, mafiosi e narcotrafficanti sono fuggiti. E quell'invasione spettacolare non è rimasta un exploit una tantum. I netturbini che spazzano i vicoli sono un segnale che lo Stato è ancora qui. Come l'auto della Unità di Polizia Pacificatrice che presidia l'ingresso della favela: una presenza impensabile ancora un anno fa, quando le forze dell'ordine non osavano avvicinarsi. "Una di queste favelas - mi racconta la fotografa Ana Rodrigues - la chiamavamo Striscia di Gaza. Lì gli spacciatori vendevano droga sulle bancarelle all'aperto, con i kalashnikov a tracolla. I bambini mi prendevano per mano e a pagamento mi guidavano a fotografare le pozze di sangue caldo delle ultime vittime di regolamenti di conti". Le favelas continuano a crescere in altezza, a furia di "puxadinhos", spintarelle delle case che si accavallano le une sopra le altre. Ma l'alveare caotico di Cantagallo è ormai tutto di mattoni anziché di legno: modesto segno di un benessere primordiale che avanza. Dietro la metamorfosi delle favelas c'è un fenomeno molto più ampio. Il tasso di disoccupazione brasiliano è sceso al 6,1%: il minimo di tutti i tempi, più basso che negli Stati Uniti e nell'Unione europea. Una parte di questo progresso è semplicemente l'effetto del boom di tutti i Paesi emergenti. Come dice José Carlos Martins, direttore esecutivo di Vale che è il secondo colosso minerario mondiale: "Noi ci svegliamo ogni mattino e preghiamo che la Cina stia bene". Soya, zucchero, caffè, legname, rame, ferro, oro: tutto ciò di cui la natura ha generosamente provvisto il Brasile, va a ruba nelle nazioni asiatiche che sono le locomotive della crescita. Questo Paese che fu tristemente celebre per le sue bancarotte, che tra il 1940 e il 1995 dovette cambiare otto volte il nome della sua moneta in seguito all'iperinflazione, oggi si è trasformato nel quarto maggiore creditore degli Stati Uniti. Gli investimenti esteri affluiscono al ritmo di 45 miliardi di dollari all'anno: solo la Cina ne attira di più. Il Brasile ha dato la lettera iniziale al nuovo acronimo dei Bric, con Russia India e Cina fa parte del club delle "altre" potenze, quelle che accelerano mentre l'Occidente declina. A Rio e San Paolo si respira la stessa fiducia nel futuro che ricordo a Mumbai e Shanghai. Ma tra i Bric è il Brasile quello che può vantare la struttura più equilibrata delle esportazioni. A differenza di Cina e India, il Brasile è un "granaio" del mondo, ha un'agricoltura moderna in grado di competere con quella degli Stati Uniti, e produce molto più di quanto consuma. A differenza della Russia o di altri Paesi emergenti, non vive solo di materie prime. Esporta auto, telefonini, elettrodomestici, navi e locomotrici. Il suo gioiello industriale è Embraer, terzo gruppo aeronautico mondiale dietro Boeing ed Airbus. Poi c'è la caratteristica più importante che rende il Brasile unico tra i Bric: la quarta democrazia mondiale è riuscita a usare il boom per ridurre le diseguaglianze, anziché allargarle com'è accaduto in Cina. "Siamo un'eccezione - aggiunge l'economista Ernani Teixeira della Brazilian Development Bank - anche rispetto alla tendenza delle liberaldemocrazie più mature". Negli Stati Uniti e in gran parte dell'Europa, le disparità di redditi e patrimoni si sono accentuate. "La nostra fortuna - ironizza l'economista Fabio Gambegia della Bndes - forse è legata a uno scherzo della storia. La nuova Costituzione del Brasile democratico fu approvata un anno e mezzo prima che cadesse il Muro di Berlino, a un'epoca in cui ancora c'era fiducia nel ruolo dello Stato". Il primo ad applicarla realmente è stato Lula. La sua politica sociale, che oggi prosegue con la presidente Dilma Roussef (ex capogabinetto di Lula, un passato nella lotta armata, il carcere e la tortura sotto la dittatura militare), ha "incorporato" per la prima volta nell'economia masse di poveri. Il salario minimo garantito, che si applica a 25 milioni di lavoratori, gode di una doppia indicizzazione: sul tasso d'inflazione e sull'aumento annuo del Pil. Una manna dal cielo in un periodo di forte crescita come gli ultimi otto anni. Oggi il salario minimo vale più di 300 dollari, un livello molto più alto che negli altri Paesi sudamericani. "Questo è il modo migliore per ridurre le diseguaglianze: arricchire i poveri, anziché impoverire i ricchi", osserva Gambegia. Non si può dire altrettanto di Hugo Chavez né del socialismo cubano. Il Brasile si è conquistato un'ammirazione mondiale grazie all'invenzione della Bolsa Familia, un sussidio diretto alle madri che viene pagato solo se i figli vanno regolarmente a scuola. Funziona, è il migliore antidoto mai inventato contro il lavoro minorile. Naturalmente questa non è Scandinavia, resta una terra con tanti poveri, corruzione, ingiustizie: ma è uno dai pochi Paesi al mondo dove l'indice Gini della distanza tra i ricchi e i poveri diminuisce regolarmente da otto anni. Ora il miracolo "di sinistra" brasiliano deve affrontare sfide importanti, figlie del suo successo. Ha una moneta fortissima, che trasforma Rio e San Paolo nelle città più care del mondo, e non aiuta l'export industriale. La sopravvalutazione rischia di accentuarsi nei prossimi anni per la scoperta di immensi giacimenti petroliferi offshore, a 200 km dalla baia di Rio, che faranno del Brasile la quarta o quinta potenza energetica mondiale. Si capisce l'interesse di Obama per questo partner-rivale, la cui forza comincia a fare ombra al grande vicino settentrionale. E' Obama che ha chiesto espressamente di includere nella sua visita a Rio una favela, la Città di Dio. "Oggi può esplorarla tranquillamente - mi dice Ana Rodrigues - un anno fa quelli là avrebbero sparato anche al presidente degli Stati Uniti". (18 marzo 2011)
2011-03-17 LIBIA Gheddafi, battaglia per Misurata Raid su Bengasi, gli insorti: "Non molliamo" Il colonnello annuncia: oggi la battaglia decisiva per riconquistare la città. Secondo la tv di Stato, sarebbe già stata ripresa. Bombardamenti aerei sull'aeroporto di Benina (Bengasi). Gli insorti: "Abbattuti due velivoli dell'esercito". Onu, nuova bozza di risoluzione: se approvata, possibile intervento militare Gheddafi, battaglia per Misurata Raid su Bengasi, gli insorti: "Non molliamo" Soldati dell'esercito di Tripoli TRIPOLI - Le forze fedeli a Gheddafi puntano a Misurata. E' il giorno della "battaglia decisiva" per riprendersi la città, come annunciato ieri da Gheddafi, e sottrarla ai ribelli. Anzi, la tv di Stato, nel nome della propaganda filogovernativa, ha annunciato che in realtà sarebbe già tornata nelle mani dell'esercito ma gli insorti smentiscono. Prosegue anche la marcia verso Bengasi: l'esercito sarebbe a 160 chilometri dalla città, e intanto l'aeroporto di Benina è stato oggetto di alcuni raid aerei, anche se gli insorti annunciano di aver abbattuto due velivoli mitari. Nuova bozza di risoluzione al Consiglio di sicurezza dell'Onu: se approvata, sarebbe possibile nelle prossime ore un intervento militare nel Paese. Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, afferma che "prima l'Onu arriverà a un accordo e meglio sarà", e ribadisce che "la Nato è pronta ad agire per proteggere la popolazione civile". Nel pomeriggio l'esercito libico annuncia un cessate il fuoco da domenica, "per dare ai terroristi la possibilità di deporre le armi e approfittare di un'amnistia". DOSSIER 1 - TWITTER 2- MAPPA 3 Onu, nuova bozza di risoluzione. Una nuova bozza di risoluzione chiede al Consiglio di sicurezza dell'Onu di approvare "tutte le misure necessarie" per proteggere i civili in Libia, tranne l'occupazione. Fonti diplomatiche francesi riferiscono che la nuova risoluzione dovrebbe essere votata questa sera alle 22 ora italiana. Se approvata, entro "diverse ore" potrebbe essere effettuato un intervento militare a cui parteciperebbero "Francia, Gran Bretagna, forse gli Usa e uno o più Stati arabi". Gerard Araud, ambasciatore francese alle Nazioni Unite, annuncia che Parigi ha preso la guida delle trattative - il ministro degli Esteri Alain Juppè sta arrivando negli Usa per partecipare ai negoziati. "Il testo che appoggiamo può ancora essere modificato - ha detto Araud - ma prevede una serie di misure che possono andare oltre la no fly zone". L'amministrazione Obama auspica che il Consiglio di sicurezza autorizzi un'ampia gamma di interventi militari contro le forze del colonnello, sostenendo che la sola no fly zone sarebbe "insufficiente". Il raìs vuole Misurata. Già ieri la città è stata teatro di scontri violenti tra forze governative e insorti. Fonti mediche hanno riferito all'emittente Al Jazeera che il bilancio è di un centinaio di morti; ottanta sarebbero miliziani pro-Gheddafi. Il colonnello ieri si era detto convinto che la città sarebbe tornata oggi sotto il controllo dell'esercito. Annunciando che la battaglia sarebbe andata avanti oggi: "Prendete le armi e partecipate - ha detto, rivolgendosi ai giovani della città - perché Misurata non può essere lasciata in mano a un manipolo di folli". Secondo la televisione di Stato libica, le forze fedeli al raìs avrebbero già riconquistato Misurata. E sarebbero adesso impegnate a "sterilizzarla, ripulendola dalle bande terroristiche". Ma alcuni residenti smentiscono. Bengasi bombardata, "ma noi resistiamo" . "Le forze di Gheddafi bombardano Bengasi ma non riescono ad avanzare verso il centro della città via terra": lo ha riferito Ibrahim Al Agha, membro del Consiglio dei rivoltosi. "Li stiamo aspettando e non molliamo - aggiunge - stiamo cercando con tutti i mezzi a nostra disposizioni di impedire il sorvolo basso dei bombardieri". Al Agha invitato a diffidare dei proclami della propaganda del regime: "Non vi meravigliate di sentire fra poco che le truppe del Colonnello hanno occupato Parigi e Londra, questi sono professionisti della menzogna". Secondo fonti concordanti, due aerei sarebbero stati abbattuti dagli insorti nel tentativo di respingere l'offensiva delle forze governative nei pressi di Bengasi. "Qui la situazione è calma, l'esercito ha tentato di effettuare un raid sulla città ma la difesa antiaerea ha respinto l'offensiva e ha fatto cadere due velivoli", ha detto all'agenzia di stampa France Press un portavoce degli insorti. La circostanza sarebbe confermata anche da un portavoce militare del Consiglio nazionale di transizione. Combattimenti ad Ajdabiya, decine di vittime. Da ore i quartieri residenziali di Ajdabiyah, a circa 150 chilometri da Bengasi, sono sottoposti a pesanti e continui bombardamenti aerei da parte delle truppe fedeli a Gheddafi. Ed è di almeno trenta morti, tra cui donne e bambini, il bilancio degli scontri delle scorse ore tra esercito e insorti. La città, l'ultima prima di Bengasi, è accerchiata dalla forze di Tripoli che avrebbero già ripreso il controllo del porto di Zuetina, località poco più a nord. (17 marzo 2011)
2011-03-15 Tragedia in mare, 40 annegati Ma le traversate non si fermano Un gruppo di nordafricani ha raccontato di avere visto una barca capovolgersi in mare aperto. La maggior parte delle persone a bordo sono morte. Ma gli sbarchi proseguono di FRANCESCO VIVIANO Tragedia in mare, 40 annegati Ma le traversate non si fermano Un gruppo di migranti arrivati in nottata LAMPEDUSA - Il tempo tiene e gli attraversamenti del Canale di Sicilia si moltiplicano. Dopo mezzanotte la guardia di finanza, operando con quattro unità navali e un elicottero in volo notturno, ha compiuto sette interventi in mare soccorrendo in totale 595 migranti diretti a Lampedusa. Fra gli extracomunitari sei donne e sette minorenni. Le testimonianze: "Sono morti, sono morti" Sempre in nottata il pattugliatore della marina militare Spica è intervenuto per soccorrere gli immigrati che si trovavano su un barcone in difficoltà, 20 miglia a sud di Lampedusa. L'unità della marina ha preso a bordo le 129 persone che si trovavano sull'imbarcazione. Una piccola barca con 80 migranti a bordo è approdata nelle prime ore del mattino all'isola dei Conigli di Lampedusa. Tra loro anche due bambini. Sul posto sono intervenuti i carabinieri e la croce rossa. L'isola dei Conigli è uno dei luoghi più suggestivi di Lampedusa ed è area protetta. Da ieri mattina sono ventidue i barconi approdati a Lampedusa, per un totale di oltre 1.6OO persone. Nel centro di accoglienza gli ospiti sono oltre 2.500 e la struttura è al collasso. Non tutti coloro che hanno intrapreso la traversata del Canale di Sicilia però ce l'hanno fatta. Ieri sera alcuni nordafricani appena giunti sull'isola hanno raccontato di avere visto una barca capovolgersi e quaranta persone annegare. "Sono morti, sono morti. Sono affondati davanti ai nostri occhi, inghiottiti dal mare agitato. Erano in 45, erano partiti insieme a noi la notte scorsa. Per un po' abbiamo viaggiato quasi fianco a fianco, la nostra barca era più grande ed eravamo quasi cento. Poi, improvvisamente, quella si è capovolta. È stato un attimo, un'immagine che resterà per sempre nei nostri occhi. Sono finiti in mare, sono morti...", questo il loro racconto. "Molti non sapevano nuotare - ha aggiunto uno dei testimoni - e sono scomparsi quasi subito dalla nostra vista inghiottiti dalle onde. Quei pochi che ci riuscivano si sono avvicinati al nostro barcone. Stavano per affondare anche loro, poi, grazie a Dio, siamo riusciti a prenderli lanciando loro una cima. Li abbiamo tirati su a bordo e adesso sono qui con noi. Guarda, sono quelli la, quelli tutti bagnati. Tremano per il freddo. Gli altri sono tutti annegati, molti erano nostri amici e adesso non ci sono più...". Ieri a Lampedusa hanno fatto un sopralluogo Marine Le Pen, leader dell'estrema destra francese, e l'europarlamentare leghista Mario Borghezio. "Invece di accoglierli a Lampedusa, l'Italia dovrebbe inviare le navi con acqua e alimenti e assistere i migranti in mare, evitando che sbarchino nell'isola", questa la proposta lanciata dalla Le Pen. FOTO L'isola tra sbarchi e proteste - VIDEO Striscioni contro "madame Le Pen" Contro la visita della dirigente politica francese e di Borghezio a Lampedusa è stata organizzata una protesta con slogan e striscioni: "Siamo lontani dal modo di vedere le cose di Borghezio e Le Pen". E' quanto si leggeva in un volantino in cui i giovani di Lampedusa hanno spiegato le ragioni della manifestazione. (15 marzo 2011)
LIBIA I ribelli all'Occidente: "Eliminate Gheddafi" Le forze del rais alle porte di Ajadabiya Il Consiglio nazionale di transizione chiede aiuti concreti alla comunità internazionale. Clinton: sostegno politico ed economico, ma non militare. G8, nessun accordo sull'eventuale intervento. Le truppe del colonnello avanzano verso Bengasi I ribelli all'Occidente: "Eliminate Gheddafi" Le forze del rais alle porte di Ajadabiya Addestramento in una base dei ribelli a Bengasi ROMA - Mentre i capi della rivolta libica chiedono alle potenze occidentali di eliminare fisicamente Muammar Gheddafi, le forze fedeli al colonnello avanzano verso Bengasi e preparano l'assalto finale ad Ajdabiya, ultima roccaforte dei ribelli prima della città simbolo della lotta contro il regime. E la diplomazia internazionale stenta a trovare un'intesa sulla gestione della crisi e in particolare sull'istituzione di una no fly zone: i ministri degli Esteri del G8 riuniti da ieri sera a Parigi non hanno raggiunto nessun accordo. In questo quadro il segretario di Stato Usa Hillary Clinton garantisce agli insorti appoggio politico ed economico ma esclude aiuti militari. Mustafa Gheriani, portavoce del Consiglio nazionale di transizione a Bengasi, citato dal Guardian, ha detto che la richiesta di eliminare il rais è stata avanzata da una delegazione del Cnt a Parigi e presentata al presidente francese Nicolas Sarkozy e alla Clinton. "Abbiamo detto agli occidentali che vogliano una no-fly zone, raid aerei tattici contro i carri armati e i missili utilizzati contro di noi e un raid aereo contro il bunker di Ghedddafi". Quando gli è stato chiesto se il Cnt intendesse dire che voleva l'assassinio di Gheddafi, Gheriani ha risposto: "Perché no? Se muore nessuno verserà una lacrima". Le potenze occidentali, riunite a Parigi, continuano a esaminare l'ipotesi di una no-fly zone per impedire i raid dell'aviazione militare del colonnello, ma il tempo sembra giocare a sfavore dei ribelli che negli ultimi giorni hanno dovuto cedere una dopo l'altra le città occupate dall'inizio della rivolta. La linea del fronte è sempre più spostata a est e ormai le forze governative sono a sei chilometri da Ajadabiya. I primi raid aerei dei Sukhoï 24 dell'aviazione libica hanno iniziato a bersagliare la circonvallazione della città. Nell'ovest i ribelli controllano ancora Misurata, di fatto circondata dall'esercito, mentre le forze del rais hanno ripreso Zuara, a 120 chilometri a ovest di Tripoli. Sul fronte diplomatico, il ministro degli Esteri francese Alain Juppè, presidente di turno del G8, ha ammesso di non aver "convinto" i partner sull'opportunità di un intervento militare. Parigi e Londra hanno spinto sulla loro iniziativa per bloccare l'offensiva del regime di Tripoli contro l'opposizione. "Gheddafi - ha ammesso Juppè - sta ottenendo successi" dal punto di vista militare. Senza pronunciarsi sulla sorte di Bengasi, il ministro ha ammesso che la comunità internazionale non potrà impedire al colonnello di riconquistarla: "Oggi, non abbiamo i mezzi militari, poiché la comunità internazionale non ha deciso di dotarsene". Come annunciato dal titolare della Farnesina Franco Frattini, i ministri del G8 sono d'accordo per una rapida ripresa delle discussioni in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite per giungere a una risoluzione che faccia pressioni sul leader libico affinché cessi le violenze. A questa prospettiva dovrebbero, secondo il G8, essere associati Lega araba e Unione africana. (15 marzo 2011)
GOLFO Bahrein, arrivano i militari sauditi L'opposizione: "Atto di guerra" L'intervento deciso dal Consiglio di cooperazione del Golfo su richiesta del regno per supportare la repressione delle manifestazioni di piazza. Anche gli Emirati inviano truppe. Dopo i violenti scontri, gli oppositori sciiti tornano in piazza a Manama Bahrein, arrivano i militari sauditi L'opposizione: "Atto di guerra" MANAMA - Sono oltre mille i soldati sauditi arrivati nel Bahrein per contribuire all'ordine pubblico dopo le proteste della maggioranza sciita contro la dinastia sunnita dei Khalifa, da oltre due secoli al potere. L'intervento, che fa fa parte di un'operazione decisa dal Consiglio di Cooperazione del Golfo per il ripristino della sicurezza nel regno-arcipelago, è stato definito un "atto di guerra" dall'opposizione sciita. Dopo i violenti scontri che domenica a Manama hanno provocato 200 feriti, i manifestanti dell'opposizione si sono radunati davanti all'imponente complesso del Financial Harbour, nel distretto finanziario, considerato il simbolo della corruzione del Paese. Negozi e uffici sono stati costretti alla chiusura mentre le vie che conducono al distretto sono state bloccate dalla folla. Poco più in là, altri manifestanti proseguivano il sit-in permanente che da un mese anima Piazza delle Perle, epicentro della protesta. E dopo l'Arabia Saudita, anche gli Emirati Arabi Uniti hanno iniziato a inviare truppe in Bahrein, per contribuire a "mantenere l'ordine e la stabilità" nella zona. Dagli Usa, l'amministrazione Obama ha invitato il Consiglio di cooperazione del Golfo a "rispettare i manifestanti in Bahrein". A confermare la presenza di truppe straniere in Bahrein è stato un ufficiale saudita, secondo cui i soldati di Riad sono arrivati domenica. Il governo di Manama, tuttavia, non ha ancora confermato la notizia. Intanto, è insorta l'opposizione Advertisement sciita la quale ha avvertito che qualunque presenza militare straniera verrà ritenuta "un'occupazione". "Consideriamo l'arrivo di soldati o di veicoli militari nel territorio nazionale una palese occupazione del regno del Bahrein e una cospirazione contro il popolo inerme", ha dichiarato l'opposizione in un comunicato. Con l'esacerbarsi delle proteste negli ultimi giorni, era stato il governo di Manama a chiedere il sostegno degli alleati sunniti del Golfo, primo fra tutti il re saudita Abdullah. Una richiesta subito accolta dal Consiglio di Cooperazione del Golfo (Gcc), organismo composto da Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait, Qatar e Oman, oltre che dal Bahrein. Il quotidiano Gulf News, molto vicino all'esecutivo di Manama, ha riferito che le truppe messe a disposizione dal Gcc avranno l'obiettivo di contribuire al ripristino della sicurezza nel Paese ma anche quello di proteggere le infrastrutture strategiche. Tra queste, le centrali petrolifere ed elettriche ma anche i centri finanziari e bancari, considerato che il Bahrein è una delle principale piazze commerciali del Golfo. (14 marzo 2011)
2011-03-14 GOLFO Bahrein, arrivano i militari sauditi L'opposizione: "Atto di guerra" L'intervento deciso dal Consiglio di cooperazione del Golfo su richiesta del regno per supportare la repressione delle manifestazioni di piazza. Dopo i violenti scontri, gli oppositori sciiti tornano in piazza a Manama Bahrein, arrivano i militari sauditi L'opposizione: "Atto di guerra" MANAMA - Sono oltre mille i soldati sauditi arrivati nel Bahrein per contribuire all'ordine pubblico dopo le proteste della maggioranza sciita contro la dinastia sunnita dei Khalifa, da oltre due secoli al potere. L'intervento, che fa fa parte di un'operazione decisa dal Consiglio di Cooperazione del Golfo per il ripristino della sicurezza nel regno-arcipelago, è stato definito un "atto di guerra" dall'opposizione sciita. Dopo i violenti scontri che domenica a Manama hanno provocato 200 feriti, i manifestanti dell'opposizione si sono radunati davanti all'imponente complesso del Financial Harbour, nel distretto finanziario, considerato il simbolo della corruzione del Paese. Negozi e uffici sono stati costretti alla chiusura mentre le vie che conducono al distretto sono state bloccate dalla folla. Poco più in là, altri manifestanti proseguivano il sit-in permanente che da un mese anima Piazza delle Perle, epicentro della protesta. A confermare la presenza di truppe straniere in Bahrein è stato un ufficiale saudita, secondo cui i soldati di Riad sono arrivati domenica. Il governo di Manama, tuttavia, non ha ancora confermato la notizia. Intanto, è insorta l'opposizione sciita la quale ha avvertito che qualunque presenza militare straniera verrà ritenuta "un'occupazione". "Consideriamo l'arrivo di soldati o di veicoli militari nel territorio nazionale una palese occupazione del regno del Bahrein e una cospirazione contro il popolo inerme", ha dichiarato l'opposizione in un comunicato. Con l'esacerbarsi delle proteste negli ultimi giorni, era stato il governo di Manama a chiedere il sostegno degli alleati sunniti del Golfo, primo fra tutti il re saudita Abdullah. Una richiesta subito accolta dal Consiglio di Cooperazione del Golfo (Gcc), organismo composto da Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait, Qatar e Oman, oltre che dal Bahrein. Il quotidiano Gulf News, molto vicino all'esecutivo di Manama, ha riferito che le truppe messe a disposizione dal Gcc avranno l'obiettivo di contribuire al ripristino della sicurezza nel Paese ma anche quello di proteggere le infrastrutture strategiche. Tra queste, le centrali petrolifere ed elettriche ma anche i centri finanziari e bancari, considerato che il Bahrein è una delle principale piazze commerciali del Golfo. (14 marzo 2011)
LIBIA Si combatte per Brega e Ajdabiyah E la Russia mette al bando Gheddafi Bombardamenti in corso sulla città avamposto dell'est da cui i lealisti sperano di lanciare l'offensiva su Bengasi. Il capo degli insorti: "La difenderemo fino alla fine". Oggi a Parigi riunione dei ministri degli Esteri del G8. Medvedev: "Il leader libico e la sua famiglia non potranno entrare nel Paese né compiere operazioni finanziarie" Si combatte per Brega e Ajdabiyah E la Russia mette al bando Gheddafi A Bengasi, in fila per il gas ROMA - Le forze fedeli al regime di Gheddafi avanzano sempre di più verso Bengasi, sede del consiglio nazionale degli insorti. Dopo una giornata di combattimenti, ieri la linea del fronte si è spostata ancora di più verso est e le cittadine controllate dagli insorti cadono via via nelle mani dell'esercito. Forti bombardamenti sono in corso ad Ajdabiyah, punto strategico sulla costa a est di Bengasi da cui l'esercito spera di poter accerchiare la roccaforte dei ribelli. Per poter raggiungere Ajdabiyah sulla via del deserto, però, le forze di Gheddafi devono prima assicurarsi il controllo completo del porto di Brega. Ieri i ribelli hanno ripiegato a est portando con sé le batterie antiaeree, ma poi i combattimenti sono ripresi. Il comandante militare dei ribelli, il generale Abdel Fattah Yunis ha ribadito l'intenzione di combattere per difendere Ajabidiya fino alla fine. Proprio perché così strategica, sulla presa di Brega si è scatenata una guerra di propaganda. Secondo Hadi Shalluf, esponente dell'opposizione e leader del Partito per la giustizia e la democrazia, le forze libiche di opposizione continuerebbero a controllare la città portuale. "L'informazione esatta che ci arriva oggi - dice Shalluf in un'intervista a Voice of America - è che i rivoltosi hanno ripreso Brega e hanno catturato una settantina di soldati delle truppe di Gheddafi". Ieri, però, la tv libica aveva mostrato le immagini dei ribelli in fuga dalla città e annunciato la sua liberazione dalle "bande armate". "Sì, c'è stata una ritirata - ha ammesso Shalluf - ma poi gli insorti sono tornati e hanno vinto la battaglia, catturando 71 persone". Ma la propaganda del regime è al lavoro. La tv di stato libica ha mostrato le immagini di Brega riconquistata dalle brigate fedeli al colonnello, e intervistato alcune persone nella città portuale della Cirenaica. La tv ha anche mostrato la distribuzione del sussidio di 290 euro a famiglia concessa da Gheddafi alle famiglie di Bani Jawad, nei dintorni di Ras Lanuf, e di Brega. Ma se il terreno sta per ora favorendo il colonnello, il suo isolamento internazionale è pressoché completo. Oggi anche la Russia lo mette al bando. Il presidente Dmitri Medvedev ha annunciato che il leader libico e la sua famiglia non potranno entrare nel Paese, e che sarà bandita la possibilità di condurre operazioni finanziarie libiche in territorio russo. E alla Libia sarà dedicata in larga parte la riunione dei ministri degli Esteri del G8, oggi e domani a Parigi. La Francia intende premere affinché sia varata al più presto una no-fly zone sul Paese a fonte del rapido avanzare delle truppe del raìs. Alla riunione è prevista anche la partecipazione del segretario di Stato americahno, Hillary Clinton. La Francia per ora è l'unico Paese occidentale ad aver apertamente riconosciuto come organo legittimo il Consiglio di transizione dei ribelli. Una delegazione del Consiglio è stata anche ricevuta dal presidente Nicolas Sarkozy. Sabato la Lega araba ha chiesto ufficialmente al Consiglio di sicurezza dell'Onu di imporre una no-fly zone per fermare le azioni militari contro il popolo libico, pur ribadendo la propria contrarietà a qualsiasi intervento militare. Con l'eccezione della Cina, saranno presenti a Parigi tutti i ministri degli Esteri dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'Onu, cioè coloro che possono effettivamente decidere se varare il divieto di sorvolo: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Russia. Ci sarà anche l'Italia, che si dice pronta a seguire ogni decisione europea purché condivisa. Presenti anche Germania - cruciale per ogni decisione a livello Ue - Canada e Giappone. (14 marzo 2011)
AFGHANISTAN Strage tra le reclute Bomba fa 37 vittime KABUL - Almeno 37 persone sono rimaste uccise e altre 42 ferite in un attacco suicida contro un centro di reclutamento dell'esercito afgano nella città di Kunduz, in Afghanistan. Lo riferisce all'afp Mehboubullah Sayedi, portavoce del governatore distrettuale. "Le prime informazioni che abbiamo ricevuto indicano la morte di 33 persone e il ferimento di altre 42", ha spiegato il funzionario. (14 marzo 2011)
2011-03-13 Diretta Diecimila morti solo a Miyagi Superati i limiti di radioattività Diecimila morti solo a Miyagi Superati i limiti di radioattività Si aggrava drammaticamente il bilancio delle vittime del terremoto e dello tsunami. E cresce il rischio di un'esplosione nel reattore di Fukushima 3. Il premier nipponico Naoto Kan ha chiesto al numero uno di Toshiba, il costruttore della centrale atomica Fukushima n.1, di prendere "azioni risolute" per evitare possibili fusioni nel sito. Mancano acqua, cibo e carburante. Un'altra notte al freddo per i sopravvissuti (Aggiornato alle 17:18 del 13 marzo 2011) 17:18 Impianto di raffreddamento bloccato nella centrale di Tokai 69 – L'impianto di raffreddamento della centrale nucleare di Tokai, nella prefettura di Ibaraki (a 120 chilometri da Tokyo), si è bloccato. Lo riferisce il comando dei vigili del fuoco, citati dall'agenzia Kyodo. L'impianto è lo stesso dove il 30 settembre 1999 si verificò il precedente incidente nucleare più grave con la morte di 3 dipendenti. La centrale è degli anni '70, contemporanea a quello di Fukusima Daichi ed e' dello stesso tipo ad acqua bollente (Bwr). 17:06 Anche due esperti in centrali nucleari in arrivo dagli Usa 68 – Dagli Stati Uniti sono partiti per prestare assistenza in Giappone anche due esperti in centrali nucleari mandati dalla U.S. Nuclear Regulatory Commission. Si tratta di tecnici che conoscono nel dettaglio il funzionamento del tipo di reattori a rischio di fusione in queste ore nelle centrali in Giappone. 16:53 Agenzia meteo giapponese: "Probabili altre forti scosse" 67 – La Japan Metereological Agency ritiene 'probabile', in base a dati storici, un nuovo sisma di magnitudo 7 nella regione situata tra Sendai e Tokyo, con inizio geografico a circa 100 km a nord di Tokyo. La probabilità, inoltre, arriva al 70% nei prossimi 3 giorni e a circa il 50% in quelli successivi. Sulla base delle statistiche, il rettangolo geografico teorico nel quale la Jma localizza come probabile un sisma di magnitudo 7 è in larghissima parte oceanico e include solo marginalmente Tokyo. 16:33 Rischio ipotermia anziani 66 – Patrick Fuller, del Comitato Internazionale della Croce Rossa, ha detto alla Bbc che "c'è un vero pericolo", soprattutto tra i vecchi, di casi di ipotermia. "Sono stati travolti dallo tsunami, sono stati nell'acqua. Qui fa molto freddo di notte. Siamo molto preoccupati. Speriamo che la situazione si stabilizzi nei prossimi giorni, se torna l'energia elettrica e i rifornimenti di generi alimentari. ma la gente qui è in stato di profondo shock" 16:24 Giappone, i mercati riaprono lunedì, la Banca centrale è operativa 65 – La Borsa giapponese riprenderà a funzionare regolarmente da domani. Lo dichiara il governo nipponico. Shozaburo Jimi, ministro delle Finanze, ha dichiarato in una nota che le autorità sorveglieranno sui listini per evitare speculazioni sulla scia del terremoto. Il Tokyo stock exchange e la borsa di Okinawa saranno operativi nei soliti orari, mentre la banca del Giappone ha dichiarato che i suoi sistemi di controllo e gestione funzionano regolarmente 16:08 Ritrovato uomo di 60 anni sul tetto della sua casa, trascinata via per 15 km 64 – Risucchiato in mare dallo tsunami che ha travolto la sua casa, un uomo di 60 anni che si era arrampicato sul tetto della sua abitazione è stato salvato oggi dai soccorritori che lo hanno trovato a 15 chilometri di distanza dal punto in cui sorgeva la sua abitazione, nella prefettura di Fukushima, aggrappato a ciò che restava della sua casa. L'uomo - Hiromitsu Shinakawa - ha spiegato ai militari di essersi salvato arrampicandosi sul tetto e di essere sopravvissuto tutto questo tempo grazie alle condizioni climatiche clementi e al mare relativamente calmo. "Ma mia moglie - ha raccontato è stata travolta dallo tsunami" 15:58 Nuova scossa di 6 gradi Richter 63 – Una scossa sismica di assestamento di magnitudo 6,0 gradi della scala Richter ha colpito oggi la costa nordorientale del Giappone. 15:56 Si teme la pioggia radioattiva per domani 62 – Dopo gli incidenti nella centrale di Fukushima, in Giappone si teme che il materiale radioattivo, ora spinto verso Est sul Pacifico, possa ricadere a terra con la pioggia, attesa per domani sera. E' quanto sta ripetendo in queste ore la tv giapponese. 15:55 Onagawa: rischio di accumulo di idrogeno 61 – Segnali di malfunzionamento al reattore della centrale di Onagawa erano iniziati in mattinata "con una controllata fuoriuscita di vapore" ha spiegato l'Aiea. Le autorità hanno inizialmente agito aumentando la pressione del sistema, poi cercando di raffreddare l'impianto e immettendo acqua marina nell'unità. Le autorità giapponesi hanno informato anche l'Aiea che "un accumulo di idrogeno è possibile". 15:23 Assicurazioni: il costo dei danni fino a 35 miliardi di dollari 60 – Il terremoto in Giappone potrebbe costare fino a 35 miliardi di dollari alle assicurazioni. La stima è stata pubblicata da Air Worldwide, specialista delle valutazioni dei rischi.La società statunitense valuta i danni provocati alle proprietà private coperte dalle assicurazioni tra i 14,5 e i 34,6 miliardi di dollari. La stima non prende in considerazione i danni provocati dallo tsunami. 15:18 Sono 700 mila i giapponesi evacuati dalle loro abitazioni 59 – Sono 700 mila i giapponesi che hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni nelle zone colpite dal sisma e dallo tsunami. 15:15 Onagawa: radiazioni superiori ai livelli autorizzati nell'area vicino alla centrale 58 – Secondo le autorità giapponesi, riferisce l'Aiea, i tre reattori del sito nucleare di Onagawa "sono sotto controllo" e "l'allerta è stato dichiarato per il fatto che i livelli della radioattività registrati sono superiori ai livelli autorizzati nell'area vicino alla centrale". "Le autorità giapponesi stanno tentando di stabilire l'origine delle radiazioni". 15:14 L'isola di Honshu spostata di 2,4 metri 57 – Il potente sisma che ha colpito il Giappone venerdì ha causato uno spostamento di 2,4 metri di Honshu, la principale isola dell'arcipelago giapponese. A spiegarlo alla Cnn è stato Kenneth Hudnut, geofisico della U.S. Geological Survey (USGS). 15:05 Gran Bretagna studiano crisi nucleare in Giappone 56 – Le autorità britanniche responsabili per il settore nucleare stanno studiando da vicino la crisi in Giappone ''per imparare la lezione'' nelle centrali britanniche. Lo ha detto alla Bbc il ministro dell'energia del regno Unito Chris Huhne. La Gran Bretagna ha 19 reattori nucleari in nove siti. 15:03 Bank of Japan sosterrà i mercati 55 – La Bank of Japan (BoJ) darà il suo sostegno nella difficile prova della riapertura dei mercati, dopo il devastante sisma. Lo afferma il governatore, Masaaki Shirakawa, aggiungendo che "la liquidità sarà assicurata". 15:00 Stato di emergenza centrale di Onagawa 54 – Lo stato di emergenza è stato dichiarato anche in un'altra centrale giapponese, quella di Onagawa, dopo che sono stati registrati livelli di radiazioni eccessivi. Lo ha riferito l'Aiea informata dalle autorità giapponesi che stanno indagando sulle cause dello squilibrio.Secondo le autorità comunque i tre reattori della centrale ''sono sotto controllo''. 14:23 Fumo anche in altra centrale nucleare di Miyagi 53 – L'uscita di fumo è stata anche segnalata da un'altra centrale nucleare della prefettura di Miyagi. Lo riferisce la tv pubblica, la Nhk 14:22 Arrivata missione soccorso Usa 52 – La missione di soccorso americana della U.S. Agency for International Development è arrivata oggi nel Giappone settentrionale, da dove partirà l'attività di supporto per le aree colpite da sisma e tsunami nel nord-est. 14:20 Rischio elevato si replichi sisma magnitudo 7 51 – L'agenzia meteorologica giapponese ha avvertito oggi che esiste un rischio elevato, circa il 70% nei prossimi tre giorni, che si produca una replica di magnitudo 7 o superiore del sisma. 14:18 Governo chiede 30 mile case provvisorie 50 – Il ministero dei Trasporti e Infrastrutture nipponico ha chiesto la fornitura di 30.000 abitazioni provvisorie per le aree terremotate, una quantità paragonabile a quella utilizzata dopo il sisma di Kobe del 1995. Lo riferisce il quotidiano Asahi, secondo cui il governo si è rivolto all'Associazione nazionale per l'architettura prefabbricata, che riunisce i principali costruttori edili specializzati, richiedendo espressamente uno sforzo eccezionale per ottenere la consegna entro un periodo massimo di due mesi. L'assemblaggio delle abitazioni provvisorie in questione richiede circa due settimane. Dalla prefettura di Fukushima, tra le aree più colpite dalle devastazioni di scosse e tsunami, è già partita una richiesta per la fornitura di 1.560 case prefabbricate, scrive il quotidiano, da dividere tra le citta' di Soma (1.000 unità), Shinchi (440) e Iwaki (120) 14:17 Acqua di mare per raffreddare anche terzo reattore 49 – Si utilizzerà acqua di mare per il raffreddamento di un terzo reattore di Fukushima 1. Lo ha riferito la Jiji press citando la Tepco 14:13 Yukio Edano: "Nessuna fusione a Fukushima" 48 – Non vi è stata alcuna fusione nella centrale nucleare di Fukushima 1. A dichiararlo è stato il portavoce del governo, Yukio Edano, facendo marcia indietro rispetto a quanto da lui stesso già dichiarato: Edano aveva infatti detto precedentemente che non si poteva scartare che si fosse avviato un processo di fusione. 14:07 Tecnici tedeschi evacuati da centrale Fukushima 47 – Alcuni tecnici tedeschi della società francese Areva che si trovavano alla centrale nucleare di Fukushima durante il violento terremoto dello scorso venerdì, sono stati immediatamente evacuati al momento del sisma e non hanno riportato ferite. Lo rende noto oggi la stessa società francese. 13:29 Giappone accetta aiuto della Russia 46 – l Giappone ha accettato l'offerta russa d'inviare un team per aiutare nei soccorsi nelle aree nordorientali. L'ha riferito la portavoce del ministero delle Situazioni d'emergenza russo Irina Andrianova, secondo quanto riporta l'agenzia di stampa Interfax. "Un Ilyushin Il-76 del ministero, in partenza, porterà 50 uomini dei centri speciali di soccorso e il necessario equipaggiamento in Giappone", ha spiegato la portavoce ai giornalisti. Tra Mosca e Tokyo sono volate le scintille nei mesi scorsi a causa dell'annosa disputa sulla sovranità delle Isole Curili. 13:09 Energia razionata fino a fine aprile 45 – Da domani alla fine di aprile l'energia sarà razionata con black-out programmati in vaste zone del Giappone, compresa la capitale Tokyo. La società elettrica giapponese Tokyo Electric Power Co. (Tepco) ha precisato che il razionamento riguarderà l'area che comprende, oltre alla capitale, le prefetture di Chiba, Gunma, Ibaraki, Kanagawa, Tochigi, Saitama, Yamanashi e Shizuoka. "Da domani le imprese e gli altri soggetti riprenderanno l'attività economica...e c'è una grossa possibilità che alcune aree servite dalla Tepco si trovino in una situazione nella quale ci sarà una forte scarsità di forniture", ha dichiarato il ministro dell' industria Barni Kaieda. 13:07 Premier giapponese: "Situazione Fukushima ancora grave" 44 – La situazione nell'impianto di Fukushima 1 (la centrale di Fukushima Daiichi) èancora grave. Ad affermarlo è stato oggi il premier giapponese Naoto Kan. 12:59 Kan: "Più di 12 mila interventi salvataggio" 43 – Sono stati 12mila i salvataggi effettuati finora nelle zone colpite dal devastante terremoto/tsunami di due giorni fa. L'ha detto il primo ministro del Giappone Naoto Kan in una conferenza stampa trasmessa dalla televisione pubblica Nhk. Kan ha inoltre rigraziato di cuore la cittadinanza per "la freddezza in queste circostanze molto difficili". 12:56 Ambasciata filippina invia personale per soccorsi a connazionali 42 – Personale dell'ambasciata filippina si sta dirigendo verso la regione nord-est del Giappone per verificare le condizioni dei loro connazionali e di assisterli. ''Abbiamo inviato una squadra per aiutare i nostri cittadini e verificare se ci siano vittime tra i nostri connazionali'', ha sottolineato Manuel Lopez, ambasciatore filippino in Giappone. 12:50 Squadre soccorso Gb atterrate a Misawa 41 – Militari delle forze armate britanniche sono atterrati nella base aerea americana di Misawa nel nord del Giappone. Lo riporta SkyNews. I soldati britannici assisteranno il Giappone nelle operazioni di soccorso. 12:42 Ambasciata francese invita cittadini a lasciare Tokyo 40 – L'ambasciata di Francia a Tokyo invita i propri cittadini a lasciare Tokyo e la sua regione, per i rischi collegati al terremoto, incluso ''il rischio di contaminazione''. 12:36 Vulcano in eruzione sull'isola giapponese di Kyushu 39 – Vulcano in eruzione sull'isola giapponese di Kyushu. Gas e ceneri stanno fuoriuscendo dal cratere dello Shinmoedake, alto 1.420 metri. Il vulcano si era svegliato a gennaio per la prima volta dopo 52 anni. Le autorità hanno ristretto l'accesso alla montagna, che appartiene alla catena kirishima, composta da una ventina di vulcani. 12:28 Valvola guasta a reattore Fukushima, situazione potrebbe peggiorare 38 – La crisi nel reattore 3 della centrale di Fukushima Daichi potrebbe peggiorare. Lo ha detto il portavoce del governo giapponese, Yukio Edano. Sono in corso tentativi per abbassare il livello della pressione, e c'è un guasto a una valvola. Si è cominciato a iniettare acqua di mare, è plausibile che il livello stia salendo, ma l'indicatore è guasto e dunque non è possibile verificarlo. Il rischio di un'esplosione è stato confermato. 12:24 Kan: "Non sarà un'altra Cernobyl" 37 – Il premier giapponese Naoto Kan ha affermato oggi che ''non ci sara' un'altra Cernobyl'', in riferimento ai timori su un'emergenza nucleare come conseguenza dei danni causati dal terremoto. 12:23 Russia invia cisterna con gas liquido 36 – Una nave cisterna russa con 19.500 metri cubi di gas liquido è salpata dall'isola russa del Pacifico Sakhalin per il Giappone. Lo riferisce l'agenzia russa Interfax. "Il Giappone ha già chiesto un aiuto nella distribuzione dell'energia ", ha spiegato il vice primo ministro russo Igor Sechin. Una seconda consegna di 100.000 metri cubi, è prevista per lunedi. La Russia ha inviato circa 200 soccorritori, tra loro anche medici e psicologi, oltre al corpo della Protezione Civile. 12:21 Roma Capitale lancia raccolta fondi 35 – Roma Capitale lancia la campagna 'Coraggio Giappone!', un programma di raccolta di fondi per le popolazioni colpite dal terremoto che partirà domani. Lo rende noto il Comune con una nota. "I finanziamenti raccolti verranno destinati all'acquisto in loco di acqua, generi alimentari e medicinali per sostenere lo sforzo delle autorità giapponesi e delle organizzazioni internazionali impegnate nell'assistenza alle centinaia di migliaia di persone evacuate e ospitate in strutture di emergenza - si legge nel comunicato - Il numero di conto corrente a cui poter inviare i contributi verrà reso noto domani". 12:19 Premier Giappone: "Ci saranno black-out programmati" 34 – Naoto Kan ha annunciato che saranno effettuati black-out programmati alla compagnia elettrica Tokyo Denryoku (Toden) e a quella del Tohoku per razionare energia. 12:13 Rappoto aveva previsto sisma entro 30 anni 33 – Il quotidiano Daily Yomuri cita oggi un rapporto secondo il quale il terremoto era stato previsto. Gli esperti del Centro per la promozione della ricerca sui terremoti avevano affermato nel documento, diffuso in gennaio, che un terremoto sul fondale marino, come quello che ha provocato lo tsunami di venerdì, avrebbe potuto verificarsi entro 30 anni, con una probabilità del 99% al largo della prefettura di Miyagi, del 90% al largo di quella di Ibaraki e tra l' 80 e il 90% in quella di Ibaraki, tutte sulla costa orientale. Una bassa probabilità, solo del 7%, era attribuita alla prefettura di Fukushima, quella dove si trovano i reattori nucleari danneggiati, e quasi nulla quella meridionale di Sanriku 12:12 Attese nuove scosse e allarme tsunami 32 – Il Giappone deve attendersi nei prossimi giorni forti scosse di assestamento e nuove allerte tsunami, secondo l' Agenzia meteorologica giapponese. Il portavoce Takashi Yokota ha affermato che sono possibili scosse fino al grado 7 della scala Richter e che sono possibili nuovi tsunami. 12:09 Papa prega per popolazione giapponese 31 – Benedetto XVI, subito dopo l'Angelus, ha espresso oggi "forte impressione" per le notizie e le immagini sul "tragico terremoto" e il conseguente tsunami in Giappone. Ha anche pregato per le vittime e per i loro familiari, incoraggiando i soccorritori e rinnovando la sua "spirituale vicinanza" alla popolazioni del Paese "che con dignità e coraggio stanno facendo fronte alle conseguenze di tali calamità" 12:02 Naoto Kan: "Situazione Fukushima è grave" 30 – La situazione nella centrale nucleare di Fukushima resta grave. Lo ha detto il premier giapponese, Naoto Kan. 11:56 Premier giapponese: "Momento più difficile dal Dopoguerra" 29 – ''È il momento più difficile dalla fine della Seconda guerra mondiale: chiedo a tutti la massima unità''. È l'appello lanciato dal premier giapponese Naoto Kan, parlando alla Nazione. Il premier ha ricordato che dopo la guerra, i giapponesi hanno costruito una società ricca e pacifica. "Unendo le forze, aiutandosi a partire da parenti e amici, superiamo la crisi, ricostruiamo il Giappone. È questa la preghiera che faccio a tutti" 11:47 Legambiente: "A Fukushima terzo incidente più grave della storia" 28 – ''Quello di Fukushima è stato il terzo incidente più grave avvenuto in una centrale atomica nella storia. E non è finita. La situazione continua ad essere grave e l'allarme non accenna a scendere per i rischi di nuove esplosioni negli altri reattori e perche' ancora non si è in grado di capire se nel nocciolo dei due reattori più colpiti si sia avviata la pericolosissima fase di fusione''. È quanto si legge in una nota di Legambiente. 11:46 Banca centrale giapponese garantisce 550 mln di euro a istituti locali 27 – La Banca centrale giapponese (BoJ) ha garantito da sabato una somma complessiva di 55 miliardi di yen (quasi 500 milioni di euro) a 13 istituti finanziari nelle aree colpite dal sisma, in modo da aiutare le banche a sostenere la richiesta di contante da parte della popolazione. La Banca Centrale ha inoltre fatto sapere che tutte le sue filiali saranno regolarmente operative domani. "La Banca del Giappone - ha spiegato l'istituto centrale in una nota - continuerà a fare il massimo per assicurare la stabilità del mercato finanziario e l'erogazione regolare dei fondi, mediante una serie di misure tra cui la fornitura di liquidità". 11:22 Presidente filippino preoccupato per minaccia radiazioni 26 – Il presidente filippino Benigno Aquino III ha invitato il governo e le istituzioni alla massima attenzione per gli sviluppi in Giappone, dopo la minaccia di radiazioni che potrebbe venire dal danneggiamento dei reattori nucleari nelle zone terremotate. Il presidente ha chiesto al Consigliere della Sicurezza Nazionale Cesar Garcia, e al Nuclear Research Institute e il Philippine Atmospheric Geofisica e Astronomical Services Administration (Pagasa) di seguire da vicino e aggiornare regolarmente sugli sviluppi in Giappone.Le Filippine, infatti, sarebbero a rischio di essere colpite dalle radiazioni nucleari, data la vicinanza del paese a Fukushima in Giappone. 11:17 Ambasciata italiana in Giappone: "Contattato 24 connazionali su 30" 25 – L'ambasciata italiana in Giappone è ormai riuscita a mettersi in contatto con 24 connazionali sui 30 residenti nelle prefetture colpite dal sisma di venerdì. Lo riferiscono fonti diplomatiche a Tokyo, precisando che "per quanto riguarda i non residenti, è stato stabilito un contatto con 11 di essi sui 12" di cui l'ambasciata ha avuto segnalazione. Confermata anche la notizia che "tutti e cinque gli italiani residenti nella prefettura di Fukushima (quella delle centrali nucleari a rischio) sono stati contattati e sono in buone condizioni di salute". 11:16 Danni a barre combustibile reattore 24 – Le barre di combustibile al reattore n.3 di Fukushima hanno subito danni. I tentativi di evitarlo, ha riferito il ministro dell'Economia e dell'Industria nipponico, ''non hanno avuto effetti''. 10:55 Vicedirettore Centro allerta: "Allarme tempestivo, ma tsunami più veloce" 23 – L'allarme è stato tempestivo ma ''purtroppo è servito a poco viste le dimensioni della catastrofe''. Lo dice in un'intervista al 'Messaggero Stewart Weinstein, vicedirettore del Centro di allerta del Pacifico. ''Quattro minuti per la lettura del fenomeno sismico - spiega - nove per il lancio dell'appello alle regioni interessate dallo tsunami. Abbiamo potuto contare su un sistema molto sofisticato di rilevamento come è quello giapponese e poi sull'esperienza internazionale che è maturata nel corso degli anni dopo la tragedia indonesiana''. Secondo Stewart, ''nessuno avrebbe potuto prevedere l'intensità del terremoto né la potenza dello tsunami che stava per verificarsi''. 10:54 Ente turismo mette in guardia su scosse assestamento 22 – L'ente del turismo cinese (Nta) invita i turisti alla prudenza prima di mettersi in viaggio per il Giappone e ha avvertito coloro che stanno trascorrendo le vacenze nel Paese del Sol Levante a fare attenzione alle scosse di assestamento. La Nta ha suggerito ai turisti di evitare di visitare Fukushima e Sendai, dove i danni del terremoto sono più gravi. Tutti i 4.683 turisti cinesi attualmente in Giappone sono al sicuro e stanno bene. 10:50 Ambasciatore italiano: "Rintracciato quinto italiano in zona centrali" 21 – Oggi l'ambasciata italiana è riuscita a mettersi in contatto anche con l'ultimo dei cinque italiani presenti nella zona delle centrali danneggiate e di cui non si avevano notizie. A spiegarlo è stato l'ambasciatore Vincenzo Petrone 10:35 Rimossa allerta tsunami 20 – L'Agenzia meteorologica giapponese ha appena rimosso anche l'allerta tsunami. A due giorni, dal terremoto di magnitudo 9, le acque del Pacifico lungo la costa nordorientale del Giappone non fanno più paura. L'allerta equivale a onde non superiori al mezzo metro di altezza 10:24 Yukio Edano: "Rischio esplosione per altro reattore Fukushima 1" 19 – C'è rischio che anche nell'edificio che ospita il reattore numero 3 della centrale nucleare Fukushima-1 si produca un'esplosione simile a quella che ha interessato ieri il reattore numero 1. L'ha affermato oggi il portavoce del governo giapponese Yukio Edano in un briefing d'aggiornamento sull'andamento dei soccorsi per le popolazioni del nordest del paese. "Non si può escludere che un'esplosione possa prodursi nel reattore 3 a causa d'un possibile accumulo d'idrogeno", ha spiegato Edano. In caso d'esplosione, secondo il portavoce, "non ci saranno problemi per il reattoe in sé" e "la situazione non avrà conseguenze per la popolazione". 10:23 'Naviga' su tetto di casa per due giorni, salvo 18 – Ha del miracoloso il salvataggio di un 60enne giapponese, di nome Hiromitsu Shinkawa, che è stato recuperato oggi al largo di Fukushima mentre da due giorni, quando il nordest del Giappone è stato colpito da un devastante terremoto/tsunami, "navigava" sul tetto della sua casa. La storia è raccontata oggi dalla Asahi Television. Secondo quanto ha riferito il ministero della difesa, stamani alle 11.10 Locali (3.10 Del mattino in italia) la nave delle forze di autodifesa marine "choukai" ha avvistato un uomo aggrappato al tetto di una casa a circa 15 km dalla costa. L'uomo è stato recuperato e trasportato in un elicottero in un ospedale della prefettura di fukushima. Shinkawa, residente nella città di minami-soma, era perfettamente cosciente e ha raccontato di essere salito sul tetto quando è arrivato lo tsunami, ma la casa è stata trascinata via dalla violenza delle acque. A quel punto ha perso la moglie, che è dispersa. 10:20 Zubin Mehta dedica 'Tosca' a popolo giapponese 17 – Dal Kanagawa Kemnin Hall di Yokohama, Zubin Mehta ha dedicato la sua 'Tosca' al popolo giapponese. Poche parole commosse, prima del concerto - in corso in queste ore - per manifestare la solidarietà dell'Orchestra e del Coro del Maggio Musicale Fiorentino che, nonostante il disastro naturale che si è abbattuto sul Giappone, sta proseguendo il suo tour nipponico nell'ambito delle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia. Domani la 'carovana' del Maggio Musicale si esibirà a Tokyo al Bunka Kaikan, con 'La Forza del destino'. 10:16 Governo teme grande black out per domani 16 – Il governo giapponese teme che domani l'afflusso di energia elettrica a Tokyo e nel Tohoku possa essere insufficiente. L'ha comunicato oggi il ministro dell'economia giapponese e dell'industria Banri Kaieda. "Si prevede a Tokyo e nel Tohoku una grande carenza di energia", ha detto Kaieda, secondo quanto riporta il sito internet del quotidiano Asahi Shinbun. Dopo il fine settimana, per domani è prevista la ripresa delle attività produttive. Il ministro ha dato indicazioni per gestire la situazione. 10:09 Fini: "Su nucleare non si decida su onda emozione" 15 – "Il mio auspicio è che non si decida solo sull'onda dell'emozione". Lo ha detto il presidente della Camera Gianfranco Fini, ospite de "L'Intervista" di Maria Latella, su Sky Tg24, parlando delle possibili conseguenze "emotive" del sisma in Giappone nei confronti del piano per il ritorno dell'energia nucleare in Italia. 10:07 Farnesina: "Mancano all'appello ancora 10 italiani" 14 – Tra ieri ed oggi sono stati contatti altri 7 italiani dei quali si erano perse le tracce, portando a 10 il numero dei connazionali residenti in Giappone che mancano all'appello. Sono stati rintracciati e stanno bene - si è appreso inoltre alla Farnesina - i cinque italiani che si trovano nella prefettura di Fukushima dove ci sono gli impianti nucleari a rischio di esplosione. I dieci ancora da rintracciare sono residenti in Giappone - nelle prefetture di Iwate e Miyagi (Nord-est) - regolarmente iscritti all'anagrafe dei connazionali all'estero, l'Aire. 10:06 Sony dona 30 mila radio e 2,6 milioni di euro 13 – Il colosso giapponese dell' elettronica Sony ha annunciato l'intenzione di fornire gratuitamente 30.000 radio alle popolazioni nelle aree colpite da sisma e tsunami, che si concentrano nel nord-est del Paese, dove le comunicazioni sono fuori uso in vaste aree. Secondo quanto riferisce il quotidiano Asahi nella sua edizione online, la multinazionale di Tokyo ha deciso di fare anche una donazione in denaro a supporto dei terremotati, del valore complessivo di 300 milioni di yen, pari a circa 2,6 milioni di euro. 09:38 Governo: "Impatto su economia sarà considerevole" 12 – L'impatto del sisma sull'economia giapponese sarà "considerevole". Lo ha detto il portavoce del governo Yukio Edano. 09:35 Governo: "Rischio fusione in due reattori" 11 – Il governo giapponese ha messo in guardia dai rischi di processo di fusione nei reattori 1 e 3 della centrale Fukushima 1 09:30 Premier Naoto Kan ordina raddoppio soldati per soccorsi 10 – Il primo ministro giapponese Naoto Kan ha ordinato il raddoppio del numero di militari delle Forze d'autodifesa, le forze armate nipponiche, impegnati nelle operazioni di soccorso nel nordest del paese. Lo afferma la televisione pubblica nipponica Nhk. Il numero di militari, quindi, dovrebbe passare a 100mila. Già due giorni fa Kan aveva dato ordine di dislocare nelle operazioni di soccorso 50mila uomini. Il bilancio del terremoto sta assumendo contorni sempre più catastrofiche: al momento sono accertati un migliaio di morti, ma si prevede per la sola prefettura di Miyagi - la più colpita dallo tsunami, qualcosa come 10mila morti. 09:26 Aiea: "Un morto e 11 feriti in incidenti a centrale Fukushima" 9 – Un tecnico è morto e altri undici persone sono rimaste ferite negli incidenti di ieri nelle due centrali nucleari di Fukushima. È il bilancio diffuso dall'Aiea, l'agenzia internazionale per il nucleare dell'Onu, che ha citato informazioni fornite dalle autorità nipponiche. In particolare, nell'impianto atomico Fukushima 2 un incidente a una gru ha causato la morte di un tecnico, lasciando ferite altre quattro persone. Nel sito gemello Fukushima 1, alle prese con gravi problemi di raffreddamento, l'esplosione di ieri pomeriggio ha invece causato il ferimento di sette tecnici. Secondo l'Aiea, inoltre, le autorità giapponesi hanno ordinato l'evacuazione di 140.000 residenti nell'area della centrale: di questi 30.000 abitavano nel raggio di 10 chilometri dal sito, e 110.000 nel raggio di 20 chilometri 09:24 Portaerei americana Ronald Reagan arrivata in Giappone 8 – La portaerei americana Ronald Reagan è arrivata al largo delle acque nordorientali del Giappone, quale ultimo esempio di aiuti internazionali, con oltre 70 Paesi e organizzazioni straniere che hanno promesso iniziative di supporto per l'emergenza causata dal sisma di venerdì. Stamattina sono atterrate all'aeroporto di Narita squadre di soccorso con unità cinofile provenienti da Germania e Svizzera, insieme a un team di soccorso ungherese. Anche i cinesi sono attesi in giornata, per la prima missione del genere dislocata sul suolo giapponese: secondo l'agenzia Nuova Cina, il team di Pechino è composto da 15 membri, tra cui 7 persone specializzate nella ricerca di superstiti e un medico. Dagli Usa, invece, è attesa nelle prossime ore una missione di soccorso di 150 persone, appartenente alla U.S. Agency for International Development. 09:24 Rivista a 9 la magnitudo del sisma 7 – La magnitudo del terremoto che ha colpito il Giappone è stata rivista a 9 contro la precedente stima di 8.8 (era di 8,9 secondo l'Usgs). Lo ha reso noto oggi l'Agenzia meteorologica giapponese (Jma), aggiungendo che si tratta di un sisma tra i più potenti mai registrati. 09:22 Contattati 18 italiani su 29 6 – Sale a 18, su un totale di 29, il numero complessivo degli italiani residenti nelle prefetture più colpite venerdì da sisma e tsunami, contattati dall'ambasciata d'Italia a Tokyo, mentre sono 8 su 11 i connazionali non residenti la cui presenza è stata segnalata nell'area con cui è stato aperto un canale di comunicazione. Tra gli ulteriori sviluppi maturati nel corso della notte, inoltre, c'è anche la conferma che i 5 connazionali residenti nella prefettura di Fukushima sono stati contattati e sono in buone condizioni di salute. 09:20 Allerta per catena messaggi falsi su Internet 5 – Nel Giappone devastato dal sisma sale l'allerta anche per le catene di messaggi Internet falsi su situazioni di emergenza, spesso senza alcun fondamento, che stanno circolando senza controllo su telefonini e caselle email, moltiplicati a dismisura dalle tecnologie di comunicazione in tempo reale. In particolare, ieri si è diffuso in poco tempo un insistente 'rumor' che metteva in guardia dalla possibilità di piogge tossiche, causate dall'incendio avvenuto in una grande raffineria a Chiba, periferia est di Tokyo, in seguito al sisma. Il gestore dell'impianto, Cosmo Oil, dal suo sito web ha smentito la veridicità delle informazioni riportate nel messaggio, sostenendo che le possibilità di conseguenze nocive sulle persone sono "estremamente basse". 09:13 Sendai: mancano cibo, acqua e carburante 4 – Mancano cibo, acqua e carburante a Sendai, il capoluogo della prefettura più duramente colpita dallo tsunami nel nord-est del Giappone. Lo ha constatato l'inviata a Sendai della Bbc, che ne dà notizia nel suo sito internet. Lunghe code di persone si sono formate davanti ai pochi negozi aperti e file ancora più lunghe di veicoli bloccano le strade che portano alle stazioni di rifornimento di carburante. Migliaia di sfollati hanno trascorso un'altra notte al freddo, in rifugi di fortuna, sulla costa nord-orientale, sempre secondo la Bbc. Gli aiuti stanno arrivando solo ora in molte zone. 09:11 Fukushima 1, superato limite legale di radioattività 3 – Il limite legale di radioattività è stato superato nel sito della centrale nucleare di Fukushima 1, sulla costa nord-est del Giappone, dove ieri si è verificata un'esplosione. Lo ha reso noto la Tepco (Tokyo Electric Power Company), l'operatore della centrale nucleare, citata dall'agenzia Kyodo. L'operatore Tepco ha aggiunto che non c'è una immediata minaccia per la salute umana. Precedentemente la Tepco ha detto di aver cominciato a rilasciare vapore dal reattore nucleare per far abbassare la pressione. 09:10 Allarme tsunami declassato ad allerta 2 – L'Agenzia meteorologica giapponese (Jma) ha declassato l'allarme tsunami su tutte le coste dell' arcipelago, che adesso sono soggette ad 'allerta' per onde non superiori al mezzo metro di altezza. 09:09 Oltre 10.000 morti a Miyagi 1 – Oltre 10.000 persone potrebbero essere state uccise dal terremoto e dallo tsunami nella sola prefettura di Miyagi, la più vicina all'epicentro del sisma, ha annunciato oggi il capo della polizia locale, citato dalla tv pubblica Nhk. Secondo Naoto Takeuchi "non c'è alcun dubbio" che il numero dei morti supererà i 10.000. Ieri Nhk aveva riferito che 10.000 dei 17.000 abitanti della città portuale di Minamisanriku erano dati per dispersi nella prefettura di Miyagi. (13 marzo 2011)
L'ANALISI La terribile stagione dei grandi rischi di EUGENIO SCALFARI Il gigantesco cataclisma giapponese ci ricorda che siamo entrati da oltre vent'anni nell'epoca dei Grandi Rischi. Di ogni genere: climatici e geologici innanzitutto, l'epoca dello scioglimento dei ghiacciai, delle grandiose eruzioni vulcaniche, dei terremoti di altissima magnitudine e dei maremoti, delle onde anomale, degli "tsunami". Lo scontro tra le piattaforme continentali e le rovine che ne derivano, le vittime, centinaia di migliaia di senzatetto. Sembra che le forze profonde della terra si siano tutte insieme risvegliate e stiano mandando all'aria equilibri raggiunti da secoli e da millenni mettendo in pericolo la sopravvivenza di molte specie vegetali e animali. Sembra che gli dèi si siano ritirati al di là delle atmosfere che circondano il pianeta, in lontane galassie oltre lo spazio e oltre il tempo. La nostra specie soffre di solitudine in un mondo sempre più affollato. Non è un paradosso: più il mondo delle nostre città è affollato e più siamo e ci sentiamo soli, anonimi, impauriti, litigiosi. Senza speranze nel futuro, senza memoria del passato, schiacciati su un presente sempre più precario. Quest'epoca che vede oscillare tutte le realtà ha messo anche in moto energie positive: un'inventiva ed una creatività eccezionali, un accrescimento di ricchezza che non ha eguali, un desiderio di libertà e di diritti che la tutelino. La rivoluzione africana emersa d'improvviso due mesi fa ha coinvolto un territorio che va dalla sponda atlantica fino all'oceano Indiano. Gli autori sono giovani, uomini e donne. Vogliono pane e libertà ma non sono plebi ignoranti, i loro punti di raccolta e di comunicazione sono i siti "web", gli strumenti di lotta sono le tecnologie più moderne e più diffuse. L'ondata sollevata da queste energie positive la chiamiamo "tsunami" perché la sua forza sociale e politica ha un'intensità analoga al fenomeno geologico che sconvolge gli oceani. Pane e libertà è un'onda che travolge tirannie corrotte, tradizioni mummificate, reclama eguaglianza insieme alla libertà, esonda verso i territori di antica ricchezza. La globalizzazione e la tecnologia hanno inserito nel sociale la legge fisica dei vasi comunicanti. L'immigrazione dalle terre povere alle terre ricche è lo "tsunami" sociale. Pensare di bloccarlo è pura illusione; bisogna governarlo commisurandolo al possibile, diluendolo nel tempo ma intanto preparandosi all'inevitabile. Nelle terre dei cataclismi ci si attrezza (o si dovrebbe) a costruire case ferrovie grattacieli antisismici; nel sociale ci si attrezza (o si dovrebbe) coltivando la politica dell'accoglienza, una diversa divisione del lavoro, una diversa concezione della cittadinanza. Chi crede che erigendo dighe di cartone cementate dall'intransigenza possa arginare quella marea, la renderà invece ancor più distruttiva. Grandi rischi geologici e sociali ma anche economici. Sarà un caso ma induce a riflettere: una delle più grandi crisi che ha sconvolto l'economia mondiale partendo dai mutui immobiliari americani e propagandosi con incredibile velocità su tutto il pianeta, coincide con i grandi terremoti, con la crisi climatica, con le rivoluzioni africane. Gli effetti di queste ultime hanno scatenato il prezzo del petrolio, così come il sisma giapponese sta mettendo a rischio le centrali nucleari di quel paese nonostante la modernità tecnologica che avrebbe dovuto proteggerle da ogni incidente. Le Borse di tutto il mondo sono in sofferenza ancora maggiore dopo questi eventi. Ecco perché occorre esser consapevoli, occorre predisporsi, bisogna selezionare gli obiettivi e la scala delle priorità. Una nuova scala di priorità, in mancanza della quale non saremo gli attori ma gli agiti di quest'epoca mobilissima, le vittime inermi e passive di eventi che ci sovrastano. * * * Per restare nel tema dei Grandi Rischi, sia pure a dimensione domestica, non si può non segnalare la riforma costituzionale della giustizia, approvata dall'ultimo Consiglio dei ministri e di imminente presentazione al Parlamento. Grande Rischio e spiegherò perché. La riforma non riguarda i processi del presidente del Consiglio. Quindi possiamo discuterne "come se Berlusconi non esistesse". Non per questo i rischi sono minori, poiché la riforma non si limita a modificare l'ordinamento giudiziario ma stravolge l'ordinamento costituzionale. I cardini della legge Alfano sono i seguenti: - L'articolo 104 della Costituzione, nella versione attuale, stabilisce che "la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere". La legge di riforma abolisce questa disposizione con la conseguenza che i poteri costituzionali vengono ridotti dai tre attuali a due soltanto, il legislativo e l'esecutivo. - L'articolo 104 bis contenuto nella legge di riforma divide in due il Consiglio superiore della magistratura, uno per i magistrati giudicanti, l'altro per i pubblici ministeri. I membri "togati" dei due Csm, attualmente pari a due terzi dei componenti, sono ridotti alla metà e i membri eletti dal Parlamento costituiscono l'altra metà. I togati sono sorteggiati e non più eletti. (Mi domando perché non siano sorteggiati anche i membri parlamentari. Se si vuole assicurare parità occorrerebbe applicare lo stesso metodo del sondaggio anche agli eletti dal Parlamento). - Il Presidente della Repubblica resta alla guida di entrambi i Csm; i vicepresidenti sono eletti tra i membri di provenienza parlamentare. La conseguenza è che i membri laici dei due Csm sono la metà più uno. (Mi domando perché questi due collegi continuino a chiamarsi Consiglio superiore della magistratura, visto che in entrambi i magistrati saranno in minoranza). - L'articolo 105 bis istituisce una Corte di disciplina togliendo questa mansione all'attuale Csm. Questa Corte è anch'essa composta per metà dai togati e per metà dagli eletti dal Parlamento. Il vicepresidente della Corte è eletto tra i membri del Parlamento. Quindi anche nella Corte di disciplina la maggioranza è fatta di parlamentari. I membri parlamentari d'altra parte sono eletti dal Parlamento a maggioranza semplice, quindi non c'è tra loro nessun rappresentante dell'opposizione. - Articolo 109: "Il giudice e il pubblico ministero dispongono della polizia giudiziaria secondo le modalità stabilite dalla legge (ordinaria)". - Articolo 111: "Le sentenze di proscioglimento in primo grado sono appellabili soltanto nei casi previsti dalla legge (ordinaria)". - Articolo 112: "L'ufficio del Pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale secondo i criteri stabiliti dalla legge (ordinaria)". - Articolo 113 bis: "I magistrati sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione di diritti al pari degli altri dipendenti dello Stato". Questa legge di riforma costituzionale che affida a successive leggi ordinarie punti importantissimi che cambiano alla radice l'ordinamento giudiziario evadono in questo modo alla procedura prevista per le modifiche costituzionali. Si tratta di una furbizia che rimette alla maggioranza semplice questioni che dovrebbero essere viceversa affidate anch'esse alle maggioranze qualificate e al referendum confermativo. Ma qui non si tratta soltanto dell'ordinamento giudiziario. Le modifiche riguardano l'assetto intero della nostra Costituzione, i principi che la ispirano configurati nella prima parte della Carta, l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, l'equilibrio tra poteri indipendenti e lo Stato di diritto. Viene abolito uno dei poteri fondamentali, viene cancellata la dipendenza della polizia giudiziaria dalla magistratura, viene abolita l'obbligatorietà dell'azione penale, presupposto fondamentale dell'indipendenza della magistratura. Vengono infine aboliti i poteri di autogoverno del Csm, trasformato in un organo la cui maggioranza è determinata dalla maggioranza parlamentare. Il tutto in presenza di una legge elettorale in base alla quale la maggioranza relativa emersa dalle elezioni ottiene il 55 per cento dei seggi. Il complesso di queste norme trasforma la democrazia parlamentare in una democrazia (si fa per dire) dominata dal potere esecutivo, cioè nella dittatura della maggioranza. Alexis de Tocqueville così spesso citato da Berlusconi afferma che la dittatura della maggioranza è quanto di peggio possa accadere in un paese democratico. Non esistono dunque le basi per discutere anche perché il Pdl e la Lega hanno già preannunciato che ascolteranno le opposizioni ma non accetteranno che i cardini di questa riforma siano modificati. Non resta che votare contro e andare al referendum. Si vedrà allora se le opposizioni saranno unite o separate. Prima sarà, meglio sarà. Dico anch'io: se non ora, quando? Post scriptum. Grandi Rischi era anche il titolo della trasmissione Annozero condotta giovedì scorso da Michele Santoro. L'ospite d'onore era il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti; gli interlocutori Fausto Bertinotti, Ferruccio De Bortoli ed io. Il dibattito ha avuto il pregio di svolgersi senza le urla rissose che troppo spesso trasformano gli appuntamenti televisivi in arene di scomposte corride. Gli interlocutori hanno potuto argomentare le proprie posizioni e il confronto è avvenuto civilmente, non senza qualche asprezza che è servita a sottolineare le diversità dei pensieri, delle diagnosi e delle terapie proposte. La posizione del ministro - come da tempo sappiamo - è allineata con l'obiettivo delle istituzioni europee che raccomandano ed anzi impongono rigore nei bilanci, diminuzione del deficit e riduzione del debito pubblico. Quelle stesse istituzioni però raccomandano anche di abbinare il rigore con la crescita, ma da questo orecchio il nostro ministro dell'Economia è piuttosto sordo. Si limita a proporre riforme senza spese. Gli interlocutori hanno constatato che, nonostante il gran parlare che se ne fa, l'economia italiana continua a registrare da molti anni un encefalogramma piatto per quanto riguarda la crescita economica. Per di più siamo da poco entrati in una fase di accentuata inflazione-recessione: l'inflazione è ridiventata un pericolo attuale e rappresenta una vera e propria imposta regressiva che colpisce i redditi fissi e i ceti più deboli poiché erode il potere d'acquisto dei consumatori e scoraggia gli investimenti. Per scongiurare l'inflazione la Banca centrale europea ha preannunciato per il prossimo aprile un aumento del tasso d'interesse che avrà ripercussioni sui tassi di tutto il sistema bancario europeo. Avremo dunque una nefasta combinazione tra inflazione e recessione, quanto di peggio possa accadere in un sistema economico già gravemente debilitato. Personalmente credo che per abbinare il rigore con la crescita non vi sia altro modo che procurarsi nuove risorse chiamando a contribuire le fasce più opulente dei contribuenti e tassando le rendite finanziarie. Se ne ricaverebbero risorse sufficienti a rilanciare sia i consumi sia gli investimenti. Nel corso del dibattito Tremonti non ha avuto il tempo (o la voglia?) di rispondere a questa proposta. Sarei lieto che lo facesse. (13 marzo 2011)
IL REPORTAGE Tra i fantasmi di Sendai il paese mangiato dall'onda Nell'epicentro dello tsunamo si scava alla ricerca dei corpi. "Non torneremo presto ad essere quelli che siamo stati negli ultimi 40 anni". La baia di Matsushima è irriconoscibile: l'epicentro dello tsunami adesso è deserto, silenzioso e avvolto dal fumo dal nostro inviato GIAMPAOLO VISETTI Tra i fantasmi di Sendai il paese mangiato dall'onda SENDAI - Ora l'oceano è tornato al suo posto. Ma dopo che ieri si è spostato sulla terra, i sopravvissuti al miyagi oki, la grande scossa che ogni 40 anni spazza la prefettura, non riconoscono più la baia di Matsushima. Sulla spiaggia di Natori, il villaggio marinaro a valle di Sendai, i 273 corpi rigurgitati dalla sabbia durante la ritirata del mostro sono stati portati via alle prime luci dell'alba. Restano le impronte delle salme, impresse nel fango, come stampi di un gioco di bambini. L'epicentro dello tsunami adesso è deserto, silenzioso e immobile, avvolto dal fumo di decine di barche alla deriva che ancora bruciano in mezzo al mare, simili a torce in un rito delle anime. Ma è tutto il Nordest del Giappone, trenta ore dopo il terremoto più violento del secolo, ad apparire alla gente come una terra nuova e sconosciuta. Centinaia di chilometri di costa, tra Tokyo e Kesennuma, hanno cambiato profilo. La spiaggia di Sendai, capoluogo della prefettura di Miyagi, era larga poco più di duecento metri. Si estende oggi all'interno per quasi tre chilometri, come un deserto nero ingombro di dune che sputano edifici, piloni e carcasse. I tetti rossi e verdi di poche case rimaste in piedi affiorano dalla melma che in pochi minuti ha cancellato i sogni e le opere di generazioni. Pochi uomini, gli spettri di Sendai, si muovono nel vuoto, incapaci di orientarsi nel luogo dove sono nati e cresciuti. Cercano la loro abitazione, i figli, paesi che da qualche parte dovrebbero incontrare, ma non riescono a capire dove si trovino, né se stiano calpestando il terreno su cui si sono quotidianamente mossi prima che la grande onda lo risciacquasse come un abito finito, da buttare via. I villaggi affacciati fino a venerdì sulla baia, Natori, Tagajo, Shiogama e Ishinomaki, sono scomparsi. Ne mancano anche altri, più a sud, come Rikuzentakata, inghiottito dalla schiuma assieme a quattrocento abitanti. I tre principali porti pescherecci, Kesennuma, Ishinohaki e Shiogama, sono chiusi e azzerati. I bilanci ufficiali non ne parlano, ma gli abitanti della costa giapponese adesso sanno che la somma di vittime e dispersi si rivelerà alla fine assai più alta di quanto ci si spinga ad azzardare. Dello jishin, il grande terremoto, rimane una distesa perfettamente livellata e compressa, da cui svettano boschi radi di pini. Hanno resistito i più giovani, i più sottili ed è l'unico volume verticale lungo trecento chilometri di litorale. Sono la firma del tuono. Le fronde sono circoscritte alle cime. E' il livello fino a cui si è protesa la prima onda dello tsunami che ha unito il mare al cielo, alle 15.14 di venerdì, ventotto minuti dopo la scossa devastante al largo del Pacifico. Un militare sudcoreano misura 14 metri di altezza. Un fronte duro come il cemento e rapido come un treno, che spiega perché l'isola di Honshu non sarà più come prima. La terra trema ancora, sembra anzi non restare mai totalmente immobile. Centoquaranta scosse in meno di un giorno, tra cui sedici oltre 6 gradi della scala Richter, non hanno convinto gli abitanti di Sendai ad abbandonare la loro città. La prima missione è stata di rendere invisibili i loro morti, per custodirne l'onore che suggerisce di nascondere anche il dolore, secondo l'uso dei samurai. Oltre quattrocento cadaveri sono stati recuperati e ricomposti, vestiti e truccati in un'aula dell'università, nella parte alta della città, prima che le squadre dei volontari si concedessero un istante di riposo, o un boccone di squalo. Ottantatrè defunti erano operai in un cantiere navale di Natori. Venerdì, preoccupati per i danni del terremoto delle 14.46, sono rimasti in fabbrica per mettere in sicurezza gli scafi. Non hanno creduto che l'onda potesse correre tanto sul mare. Sono spariti nei gorghi, per essere poi scagliati sulla loro spiaggia, un chilometro e mezzo più a nord. Una decina facevano invece i pescatori e sono corsi incontro all'acqua per sottrarle gli strumenti della loro vita, come in mezzo alla normalità di una tempesta. Gli altri, morti e dispersi, sono stati trascinati sulla riva dalle case e dagli orti della periferia est di Sendai, dove scorre il fiume Hirose-Gawa: quasi sei chilometri infilati nel fango che rientrava nell'Oceano, placato come un rio amazzonico. Ora la risacca ha concluso la sua pulizia e la contea di Miyagi, la più sconvolta della nazione, si presenta come una sconfinata discarica. Nessuno è in grado di dire dov'era che cosa, prima di ieri. Aerei rovesciati, carcasse di automobili, piloni della luce, binari attorcigliati, alberi, interi tratti di asfalto, brandelli di edifici, vagoni di treno e barche si fondono in un inestricabile monumento funebre all'impotente modernità del Giappone. Manca l'elettricità, dai rubinetti non esce acqua, linee ferroviarie e strade non possono essere percorse a nord di Fukushima, interrotte le comunicazioni telefoniche. Colonne di persone, a piedi o in bicicletta, con un elmetto in testa e una coperta azzurra sulle spalle, sfilano senza una parola lungo il perimetro della distesa di fango. Sono oltre 70 mila e vorrebbero tornare a casa, cercare persone che non trovano e nessuno sa dire cosa realmente sia accaduto. Testimoniano solo la propria storia e ripetono che "stavolta non c'era nulla da fare", come un consolatorio inno alla fatalità. "Abitavamo a quattro chilometri dalla costa - dice Aoki Sekimura, ottico di Sendai - protetti da un bosco e dalle risaie. Ci siamo sempre lamentati di non riuscire a vedere il mare. Dopo la scossa siamo usciti di casa e al posto del giardino c'era il Pacifico". Ad ogni sussulto risuona un boato lontano e la gente rimane ore seduta a guardare ciò che resta di quella che nella nazione era nota come "la città degli alberi". A migliaia hanno vegliato la notte fredda sulle alture, su qualche tetto, contando migliaia di edifici spariti. L'attrazione per l'orrore è dovuta alla sua anomalia. Il fango che ancora si ritira, come la melma immobile, non sono gonfi di cose distrutte. Galleggiano edifici interi, autobus intatti, un capannone perfettamente conservato, un chiosco per il pesce che sembrerebbe poter aprire. L'urto del mare non li ha disintegrati, ma strappati dal terreno, sollevati e trascinati via, come un bottino di guerra. I sopravvissuti di Sendai dicono che per il terremoto erano pronti, ma contro lo tsunami no, e che la terra non può opporsi all'acqua. "Nemmeno se circondassimo il Paese con una muraglia in cemento alta venti metri - dice Nahoko Amaki, gloria locale del sumo - ci potremmo salvare dall'oceano. Per questo ora dovremo ridisegnare la nostra patria: nessuno deve vivere e lavorare oltre i dieci chilometri dal mare". Nahoko ha salvato 23 bambini nella scuola elementare di Ishinomaki. Non volevano interrompere la festa di compleanno di un compagno: pochi minuti prima che il fango seppellisse l'istituto, Nahoko ha creduto che l'impossibile sarebbe stato possibile e li ha guidati con la forza nel parco di Nishi-Koen, sotto il vulcano di Funagata. Qui c'erano due popolari "onsen". Le sorgenti di acqua bollente si sono misteriosamente chiuse e altre fonti calde sono apparse più a valle, in una roccia che s'è spaccata. Nessuno si lamenta, nessuno piange o invoca l'ingiustizia del destino, ma è chiaro che la popolazione si sente in trappola. "Viviamo aggrappati ai vulcani - dice un'anziana di nome Eiko - e sospesi sull'oceano, nell'epicentro sismico del pianeta. Siamo stati decimati dalla bomba atomica. Eppure costruiamo sui crateri e sulla costa e abbiamo 55 centrali nucleari sull'incrocio di quattro placche tettoniche. E' chiaro che il Giappone deve ripensare se stesso, se vuole avere un futuro". Migliaia di persone trascorrono la seconda notte dopo la loro apocalisse nel luogo dove essa si è consumata. L'aeroporto Sendai Kuko, a Natori, ha una qualità: nulla può più crollare, il mare se ne è andato assieme al fiume e i primi soccorritori distribuiscono polpette di alghe e bottiglie d'acqua. Poche ore fa le immagini di questo luogo, con l'acqua che invadeva il primo piano, gli aerei lanciati come birilli sulla pista, la monorotaia rovesciata e l'asfalto che si dimenava come un serpente mutilato, hanno fatto il giro del mondo. Già nessuno più ci bada, lo scalo ha l'aspetto di un set abbandonato e gli sfollati si riuniscono nella sala partenze attorno ad una radio a batterie. Ascoltano in silenzio le notizie sulla fuga radioattiva dalla centrale di Fukushima, novanta chilometri più a sud e lo spettro di un altro male, ancora più spietato e incontrastabile, vola sui sopravvissuti che cercano invano una coperta. Terremoto, tsunami e "bomba" atomica. E' difficile resistere e chi è vivo lotta contro lo sconforto di assistere alla patria che affonda tra la forza della natura e la debolezza del proprio modello di sviluppo. "Pochi chilometri più verso terra - dice Takumi Morimoto - e Tokyo sarebbe stata inghiottita. Non torneremo presto ad essere quelli che siamo stati negli ultimi quarant'anni". I giapponesi, nel Nordest dell'Honshu, non corrono più e colpisce l'immobilità con cui, per la prima volta, attendono si svegliarsi dall'inferno. In alcuni resiste l'orgoglio di esserci ancora, di aver sconfitto la terra che li voleva inghiottire: ma vorrebbero svegliarsi adesso, in una casa, in famiglia, come prima di venerdì. In Giappone non si chiede aiuto. I morti e le lacrime non vengono scambiati per un'esibizione. Però, sotto le stelle, qui ora resta solo questo e i fantasmi di Sendai sperano di non essere subito dimenticati. (13 marzo 2011)
Terremoti, guasti, errori umani impossibile la sicurezza Da Cernobyl a oggi, la tecnologia migliora ma i rischi restano. Potenzialmente, ogni incidente nucleare è un disastro mondiale, che mette a repentaglio qualsiasi essere vivente di MAURIZO RICCI Terremoti, guasti, errori umani impossibile la sicurezza ROMA - Quanto sono sicuri gli impianti nucleari? Alla domanda si può rispondere in due modi: con una analisi tecnica o con un semplice test psicologico. Prendiamo il test. Vi dicono che una raffineria è esplosa a 40 chilometri da casa. Estendete un addolorato pensiero alle decine di vittime della palla di fuoco e tornate ad occuparvi dei vostri affari. Vi dicono, invece, che è esplosa una centrale nucleare dall'altra parte del mondo, in Giappone. Vi affrettate a chiudere le finestre e tagliate latte e verdura dalla spesa. Ci sono 400 centrali nucleari nel mondo e il numero di incidenti riportati è basso. Ma, per quanto improbabile, il rischio, come si è visto in Giappone, c'è. E, se l'improbabile incidente si verifica, le conseguenze sono enormi: potenzialmente, ogni incidente nucleare è un disastro mondiale, che mette a repentaglio qualsiasi essere vivente e i cui effetti si protraggono - come a Cernobyl - per decenni. Più un reattore è nuovo e moderno, più è sicuro, assicurano i tecnici. In realtà, i progressi sul campo della sicurezza riguardano soprattutto l'introduzione di un interruttore automatico, che interrompe la fissione, quando si creano situazioni di pericolo. Neanche questo, peraltro, è acquisito: i lavori di costruzione delle centrali di Olkiluoto e Flamanville (dove funzioneranno reattori identici a quelli previsti per l'Italia) sono stati bloccati dalle autorità di vigilanza, proprio per dubbi sull'efficienza del software che costituisce l'interruttore. In ogni caso, il problema giapponese, a Fukushima, non riguarda il reattore e il suo spegnimento. Non conta che si tratti di reattori ad acqua leggera, anziché pressurizzata (come quelli che importeremo dalla Francia) né che il reattore giapponese sia vecchio di 40 anni. Il reattore si è disciplinatamente fermato. Il problema è che, poi, però, bisogna subito raffreddarlo. Il dramma giapponese è qui. E' un problema di tubi, pompe, rubinetti. Vecchie tecnologie con una forte componente umana. Nell'incidente di Fukushima, c'è un inquietante concatenarsi di casualità, banali e niente affatto remote. Il terremoto ha interrotto l'elettricità, bisogna pompare acqua per raffreddare le barre. Ma il motore diesel della pompa di emergenza si inceppa. Nel frattempo, le barre di uranio continuano a riscaldarsi, avvicinandosi pericolosamente al livello di oltre 500 gradi, quando rischiano di cominciare a fondersi e colare verso il basso. E la temperatura fa esplodere (probabilmente) uno dei tubi che portano l'acqua, facendo crollare il tetto dell'edificio. Che cosa è esploso, esattamente? "Se esplode il contenitore del reattore - spiega Paddy Regan, un fisico nucleare inglese - è fondamentalmente quello che è accaduto a Cernobyl e il rilascio di radioattività è enorme". Se invece il danno è limitato alla struttura esterna, "finché il contenitore interno d'acciaio rimane intatto - dice Robin Grimes, professore all'Imperial College di Londra - il grosso delle radiazioni verrà contenuto". Ma c'è una terza, angosciante, possibilità, finora mai avvenuta: che il terremoto o l'esplosione abbiano danneggiato il pavimento del contenitore del reattore e che il combustibile fuso si propaghi nel terreno, dove diventerebbe impossibile contenerlo e recuperarlo. Più che Cernobyl, dunque, Fukushima ricorderebbe Three Mile Island (zero vittime). Ma l'incidente mette in luce quanto eventi esterni e incontrollabili possano risultare determinanti. In una visita alla centrale di Olkiluoto, in Finlandia, il direttore dei lavori, Martin Landtman, disse che il reattore sarà protetto da un doppio guscio di cemento (contro attacchi aerei tipo 11 settembre) e da una vasca d'acciaio per evitare che, in caso di fusione, il combustibile finisca nel terreno. "Naturalmente - aggiunse - ci prepariamo agli eventi che possiamo prevedere". Ma la natura offre spesso eventi imprevedibili. La vecchia centrale di Trino Vercellese, ad esempio, è sulla riva del Po, sette metri sopra il livello normale dell'acqua. Non c'è mai stata nel Po, una piena superiore a sette metri. Se, però, ce ne fosse una di otto metri, l'acqua potrebbe penetrare nella centrale e portare via con sé le scorie radioattive. L'altro esempio è offerto da Fukushima. Tutte le centrali vengono costruite per resistere ad un certo livello di scossa sismica. Fukushima è stata pensata per resistere a scosse di 6 gradi della scala Richter. Venerdì, ha subìto scosse mille volte più forti. Se le strutture principali hanno retto, significa che i criteri di costruzione possono consentire di superare eventi esterni, anche superiori al prevedibile. Ma non conseguenze. Se tutto va bene, c'è pur sempre da rassegnarsi, come gli abitanti di Fukushima, ad una dieta di iodio. (13 marzo 2011)
LIBIA Gheddafi avanza, ribelli in fuga "Abbiamo ripulito Brega" Bombardamenti delle truppe regolari sul porto petrolifero roccaforte degli insorti. Bengasi isolata: saltate le linee dei telefoni cellulari. Ma molti soldati defezionano in solidarietà con la popolazione Gheddafi avanza, ribelli in fuga "Abbiamo ripulito Brega" TRIPOLI - I guerriglieri dell'opposizione perdono terreno nella guerra civile in corso in Cirenaica contro le forze regolari e i miliziani al soldo di Gheddafi. Decine di ribelli stanno battendo in ritirata dopo nuovi violenti bombardamenti del regime alle porte di Brega, importante porto petrolifero nella Libia orientale, circa 250 chilometri a ovest di Bengasi. La tv di Stato ha annunciato che "Brega è stata ripulita" dalle forze ribelli. Anche testimoni sul luogo hanno riferito che gli insorti si sono ritirati oggi dalla città petrolifera nella Libia orientale, in seguito a pesanti bombardamenti da parte delle forze fedeli al colonnello. Nel frattempo, gli uomini di Gheddafi hanno preso il controllo del villaggio di al Bisher, fra Uqaylah (più a ovest) e Brega. Gli insorti che erano appostati all'ingresso di Brega sono partiti in un convoglio di veicoli diretti ad Ajdabiya, 80 chilometri più a est sulla costa in direzione di Bengasi, dove da oggi non funzionano più i telefoni cellulari. Ieri il braccio armato del movimento 17 febbraio aveva già abbandonato Uqaylah, ormai nelle mani di Gheddafi, alla volta di Brega. Le forze dei rivoltosi hanno annunciato oggi che mantengono il controllo sulla città di Misurata malgrado i tentativi delle forze governative di riconquistarla. Lo riferisce Al Arabiya. Stando all'emittente a 15 chilometri circa da Misurata è scoppiato uno scontro a fuoco durante il quale una parte dei soldati si è rifiutata di sparare contro i civili. Una trentina almeno di militari sarebbero passati con gli insorti. Intanto, la televisione di Stato libica ha affermato oggi che i porti petroliferi nel Paese sono "sicuri" e stanno riprendendo le attività dopo la fine degli "atti di sabotaggio". Ha quindi invitato le compagnie petrolifere a tornare a caricare il greggio e i lavoratori degli impianti a tornare al lavoro. (13 marzo 2011)
* Sei in: * Repubblica / * Esteri / * Ras Lanuf e Brega riprese dal … * + * - * Stampa * Condividi * OKNOtizie * Google Buzz CRISI IN LIBIA Ras Lanuf e Brega riprese dal raìs Lega araba chiede all'Onu no-fly zone Le forze leali a Gheddafi avanzano verso est riguadagnando posizioni. Scontri anche a Misurata, si punta a Bengasi, centro nevralgico dei ribelli. Cameraman Al Jazeera ucciso in imboscata. I ministri arabi riuniti al Cairo d'accordo sulla zona di interdizione al volo, cautela da Usa e Bruxelles. Berlusconi: "Baciamano al colonnello? Sono un guascone" Ras Lanuf e Brega riprese dal raìs Lega araba chiede all'Onu no-fly zone La tendopoli Onu di Ras Jadir, in Tunisia, dove sono accampati 15mila profughi scappati dalla Libia ROMA - Non cessano le violenze in Libia: le truppe leali a Muammar Gheddafi riguadagnano posizioni, muovendo verso est. Intensi combattimenti si sono avuti oggi sul fronte orientale della guerra civile fra i ribelli e le milizie del raìs che hanno riconquistato, secondo Al Jazeera e altri media, il centro petrolifero di Ras Lanuf e Brega, puntando ora verso Bengasi, centro nevralgico della rivolta. Sotto attacco anche Misurata, ultima città controllata dai ribelli nell'ovest del Paese. Sul piano diplomatico, la Lega araba si dice favorevole all'istituzione di una no-fly zone, chiedendo all'Onu di intervenire per proteggere i civili. Cautela dagli Usa: il ministro della Difesa Robert Gates la definisce un'ipotesi non "necessariamente saggia". Le forze pro-Gheddafi riguadagnano posizioni verso est. Ras Lanuf è tornata nelle mani delle milizie del colonnello e Brega, teatro di durissimi combattimenti fino a una settimana fa, sarebbe stata riconquistata dai militari pro-regime nella mattinata di oggi, quando i rivoltosi sono stati costretti alla ritirata da intensi bombardamenti e fuoco d'artiglieria, riferiscono media locali. Le forze governative fedeli a Gheddafi hanno sferrato un duro attacco anche contro Misurata, circa 200 km a est di Tripoli, cercando di riconquistare l'ultimo bastione rimasto agli insorti nella parte occidentale della Libia. Lo hanno riferito alla Reuters fonti dei ribelli e residenti. "Stanno cercando di entrare a Misurata, sono a 10 km di distanza. Non abbiamo altra scelta che combattere", ha detto uno degli insorti, mentre gli abitanti confermavono che è in corso un attacco alla città. Da quando la situazione sul fronte orientale si é capovolta e le forze governative avanzano, costringendo i ribelli a indietreggiare, Bengasi vive appesa a un filo. Gli abitanti hanno paura di un possibile contrattacco di Gheddafi, che sembra sempre piú probabile, e che potrebbe arrivare a sorpresa da terra, dal mare e dal cielo, così com'é successo a Ras Lanuf. La città pensa anche a tutti i suoi giovani che sono andati al fronte a lottare, più del 50 per cento secondo calcoli approssimativi delle autorità rivoluzionarie che chiedono agli uomini di non abbandonare la città, lasciandola esposta e vulnerabile ad un eventuale attacco dei nemici. Cameraman di Al Jazeera ucciso in imboscata. La tensione rimane alta: il network Al Jazeera ha comunicato che uno dei suoi cameraman, Ali Hassan al-Jaber, è rimasto ucciso nella zona di Hawari, vicino a Bengasi, vittima di un'imboscata. GUARDA LA MAPPA 1 LE FOTO 2 Ministri arabi favorevoli a zona interdizione di volo. Sul fronte diplomatico oggi i ministri della Lega araba si sono riuniti al Cairo per discutere della crisi libica. La Lega è favorevole a una 'no-fly zone' in Libia e ad aprire negoziati con il Consiglio nazionale transitorio che raggruppa l'opposizione al regime di Muammar Gheddafi, che oggi ha istituito una rappresentanza in Italia, chiedendo alla Farnesina di essere riconosciuto. I ministri arabi degli Esteri, ha riferito una fonte, "si sono messi d'accordo per invitare il Consiglio di Sicurezza (dell'Onu) ad assumersi le sue responsabilità e a imporre una 'no-fly zone' per proteggere il popolo libico" ha affermato uno dei diplomatici. La decisione di chiedere la creazione di una zona di interdizione al volo - presentata ufficialmente in serata all'Onu - è stata accettata da tutti, ad eccezione dei rappresentanti di Algeria e Siria. Nel chiedere a Palazzo di Vetro l'imposizione della 'no fly zone' la Lega ha anche sottolineato la necessità che le Nazioni Unite creino contestualmente "zone di sicurezza nelle aree bombardate dall'aviazione libica". Cautela da comunità internazionale. La questione continua a dividere e oggi, dal capo del Pentagono è arrivata una frenata: "Il problema non è quello di sapere se noi o i nostri alleati siamo in grado di farlo. Perché noi lo siamo" ha dichiarato il ministro della Difesa Robert Gates a un gruppo di giornalisti, a bordo di un aereo ripartito dal Bahrein, dove era stato in visita. "Il problema è quello di capire se sia saggio farlo; la discussione è in corso a livello politico". Prudenza anche da Bruxelles: fonti Ue e Nato ricordano come il sostegno delle organizzazioni regionali sia solo una delle condizioni indicate in questi giorni come necessarie per portare avanti il progetto no-fly zone. Le stesse Nazioni Unite fanno sapere che la richiesta rappresenta un passo rilevante, ma "nessun passo formale è stato fatto per muoversi in questa direzione". L'Alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza Catherine Ashton, si ricorda a Bruxelles, sarà domani al Cairo dove vedrà, tra gli altri, il segretario generale della Lega, Amr Mussa. Donne in corteo a Bengasi: L'Onu ci aiuti. La gente, però, chiede aiuto alla comunità internazionale: a Bengasi diverse migliaia di donne libiche sono sfilate oggi in corteo chiedendo l'imposizione di un divieto di sorvolo sul loro Paese per impedire all'aviazione del regime di bombardare gli insorti e persino i civili. "No-fly zone! No-fly zone!", invocavano in coro le dimostranti, sventolando il vecchio tricolore nazionale e facendo con le mani il segno della vittoria mentre sfilavano sul lungomare della città, roccaforte dell'insurrezione contro il regime del colonnello. Nella marcia erano rappresentate tutte le età e le fasce sociali: anziane, ragazze, madri con le loro bambine al fianco camminavano insieme a studentesse, operaie, insegnanti, la maggior parte con il capo coperto dal velo islamico, molte con la bandiera della Libia disegnata sulle guance o avvolta in testa come una bandana. "Vogliamo la 'no-fly zone' perché stiamo morendo", hanno gridato. "Ci serve l'aiuto dell'Onu". Berlusconi: "Il baciamano a Gheddafi? Sono un guascone". Così Silvio Berlusconi in un'intervista a Gente spiega il gesto che ha scatenato forti polemiche e ironia anche sulla stampa internazionale. GUARDA IL VIDEO 3 "Ho un forte carattere guascone, che qualche volta mi porta in modo spontaneo a comportamenti non strettamente conformi alla forma", dice nell'intervista il presidente del Consiglio, aggiungendo: "Non nego di essere stato amico del popolo libico e lo sono ancora. La violenza va sempre condannata, ancor più se nei confronti del proprio popolo". Per quanto riguarda la situazione della Libia, "non ci resta che guardare gli sviluppi futuri, sperando - ha detto Berlusconi - che i Paesi del mediterraneo non cadano nella mani dell'estremismo islamico, ma che siano capaci di impiantare le fondamenta solide di regimi pienamente democratici". (12 marzo 2011)
L'APPELLO UNHCR, la Costa d'Avorio dimenticata E' crisi umanitaria: oltre 500 mila profughi Gli eventi in Nord Africa mettono in secondo piano la tragedia che si sta vivendo nella parte occidentale del continente, dove la gente paga con il sangue la lotta forsennata tra il presidente uscente, Gbagbo, che non vuole andarsene e il suo sfidante, Ouattara, che - almeno sulla carta - ha vinto le elezioni di CARLO CIAVONI UNHCR, la Costa d'Avorio dimenticata E' crisi umanitaria: oltre 500 mila profughi ABIDJAN - Lo sguardo preoccupato di tutto il mondo è concentrato da settimane sugli eventi in Nord Africa. Questo purtroppo sta facendo passare quasi inosservata la tragedia che si sta vivendo nella parte più occidentale del continente, in Costa d'Avorio, dove ancora una volta la popolazione sta pagando con il sangue la lotta forsennata per il potere di due uomini politici, il presidente uscente, Laurent Gbagbo, che non se ne vuole andare, nonostante il suo sfidante, Alassane Dramane Ouattara, abbia vinto - almeno sulla carta - le ultime elezioni. All'UNHCR 1(l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) non resta dunque che contare i 370mila sfollati, ad Abidjan e nell'ovest del paese, oltre che i 76.956 rifugiati già in Liberia. In tutto, oltre 500mila persone costrette a scappare dal loro paese, per sfuggire alle violenze scatenate dalle due fazioni. Scarse risposte all'appello. Lo scorso 14 gennaio, l'Agenzia dell'Onu ha lanciato alla comunità internazionale un appello per 46 milioni di dollari necessari a far fronte al flusso di rifugiati in Liberia. Finora di milioni ne sono arrivati solo 5. Altri 13 milioni sono stati promessi dai donatori, ma al momento solo promessi. La situazione sta però inducendo l'UNHCR a lanciare un nuovo appello per la prossima settimana, nella speranza che stavolta la risposta dei governi e dei donatori internazionali sia più generosa. La capitale sempre meno sicura. Continuano intanto a deteriorarsi le condizioni di sicurezza ad Abidjan. Di 30 feriti e 3 morti è il bilancio degli scontri del 6 marzo nel distretto di Abobo e del giorno successivo nel distretto di Cocody. Posti di blocco presidiati da uomini armati continuano a rendere pericolosi gli spostamenti intorno alla principale città del paese, un danno per tutta la popolazione. Dove possibile, l'UNHCR continua a prestare assistenza, spesso attraverso le Ong locali. Intorno alla città sono stati individuati finora 20 luoghi dove si sono concentrati ingenti quantità di sfollati. In alcune di queste località, il numero e le necessità della popolazione sono ancora in corso di accertamento, ma è certo che c'è urgente necessità di cibo e farmaci. La violenza dilaga in tutto il Paese. Divampata nelle regioni occidentali e sembra estendersi anche a quelle centrali e sud-orientali. Si hanno testimonianze, tra la gente in fuga, di tentativi di impedire questi spostamenti e di abusi fisici, stupri. Come ha raccontato agli operatori UNHCR una ragazza di 21 anni, riuscita a fuggire in Liberia con suo figlio di due anni, dopo essere stata picchiata dai ribelli per aver resistito a un tentativo di stupro. E sono sempre di più i rifugiati arrivati in Liberia che riferiscono di essere stati coinvolti in scontri a fuoco durante la fuga. Alcuni di loro sono stati costretti a trovare riparo e a trascorre la notte nella boscaglia. Con questi nuovi flussi l'UNHCR aggiorna i piani per le sue operazioni in Liberia e adegua il budget per prepararsi ad assistere fino a 150mila rifugiati. Le cause all'origine deIla crisi. ll presidente uscente Laurent Gbagbo il 7 marzo scorso, ha emanato un decreto per la nazionalizzazione dell'intera filiera del cacao (di cui la Costa d'Avorio è il primo produttore mondiale). La decisione nel tentativo di rispondere a quella che Gbagbo definisce "l'asfissia finanziaria", imposta dal suo rivale insediatosi al governo del Paese. Manovre, queste di Ouattara, con le quali il nuovo presidente, sostenuto da gran parte della comunità internazionale, tenta di costringere Gbagbo a lasciare il potere. Finora - appoggiato dall'Onu, l'Unione Africana, l'Unione Europea e gli Stati Uniti - Ouattara è riuscito a mettere in difficoltà Gbagbo imponendo, fino al prossimo 15 marzo, il divieto di esportare caffè e cacao, da cui lo Stato ivoriano ricava gran parte delle entrate in valute estere. La reazione delle cooperative del cacao. Il divieto è stato complessivamente rispettato dagli esportatori, la maggior parte dei quali sono società multinazionali (Cargill, Cemoi, Saco). Ma ha provocato reazioni molto energiche soprattutto da parte delle cooperative di produzione del cacao, che vantano una produzione annuale di circa 1,3 milioni di tonnellate. Per arginare gli effetti politici ed economici di questo divieto, l'amministrazione Gbagbo ha deciso di conferire allo Stato l'esclusiva sulle operazioni di acquisto - presso i circa 700 mila produttori agricoli, la maggior parte dei quali nel sud del paese - e di esportazione del cacao e del caffè, sequestrando anche gli stock (tra 250 e 500 mila tonnellate) bloccati nei porti di Abidjan e San Pedro. Le banche chiudono gli sportelli. Alcune banche hanno chiuso i loro sportelli "per motivi di sicurezza", operazione condivisa da molti altri istituti finanziari. Il risultato è che l'intero sistema finanziario ivoriano, risulta sempre più isolato dal contesto internazionale, rendendo ancor più difficile la vita di molte famiglie. Si tratta di cittadini che, tra l'altro, non riescono più a ricevere aiuti dall'estero tramite il servizio di money transfer. (11 marzo 2011)
2011-03-12 Diretta "Ras Lanuf ripresa da forze Gheddafi" Lega Araba chiede a Onu no-fly zone "Ras Lanuf ripresa da forze Gheddafi" Lega Araba chiede a Onu no-fly zone Soldati dell'esercito libico di fronte al palazzo del governatore di Zawiyah Le truppe leali al colonnello continuano l'attacco verso est nelle zone controllate dai ribelli, scontri anche a Misurata e si teme lo scontro finale a Bengasi. Oggi vertice dei ministri degli Esteri arabi al Cairo, il leader della Lega araba Mussa si dice favorevole all'ipotesi di controllo degli spazi aerei per fermare i bombardamenti. In serata dovrebbe arrivare la richiesta ufficiale al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Istituita in Italia rappresentanza Consiglio nazionale transitorio di Bengasi. Intervista di Berlusconi a Gente: "Baciamano a Gheddafi? Sono un guascone" (Aggiornato alle 18:26 del 12 marzo 2011) 18:26 Donne in corteo a Bengasi chiedono no-fly zone 30 – Diverse migliaia di donne libiche sono sfilate oggi in corteo a Bengasi, chiedendo l'imposizione di un divieto di sorvolo sul loro Paese per impedire all'aviazione del regime di bombardare gli insorti e persino i civili. "No-fly zone! No-fly zone!", invocavano in coro le dimostranti, sventolando il vecchio tricolore nazionale e facendo con le mani il segno della vittoria mentre sfilavano sul lungomare della città, roccaforte dell'insurrezione contro il regime di Muammar Gheddafi. Nella marcia erano rappresentate tutte le età e le fasce sociali: anziane, ragazze, madri con le loro bambine al fianco camminavano insieme a studentesse, operaie, insegnanti, la maggior parte con il capo coperto dal velo islamico, molte con la bandiera della Libia disegnata sulle guance o avvolta in testa a mò di bandana. "Vogliamo la 'no-fly zone' perchè stiamo morendo", gridavano. "Ci serve l'aiuto dell'Onu" 18:10 Farnesina: "Cnt è interlocutore politico" 29 – Il Consiglio nazionale transitorio di Bengasi (Cnt) è "un interlocutore politico" come ha stabilito il Consiglio europeo. E' quanto commentano fonti della Farnesina in merito alla notizia dell'istituzione, a partire da oggi, di una rappresentanza del Cnt in Italia 17:50 Rappresentanza Cnt in Italia: "Farnesina ci riconosca" 28 – "Il ministero degli Esteri italiano riconosca" l'ufficio della rappresentanza del Consiglio nazionale transitorio di Bengasi (Cnt) istituito da oggi in Italia. E' la richiesta avanzata da uno dei membri della rappresentanza Hishan Eldeghili. "Il nostro dovere - ha detto Eldeghili - è dare informazione, spiegando agli italiani che quanto sostiene Gheddafi è falso". 17:45 Istituita in Italia rappresentanza Cnt di Bengasi 27 – La comunità libica italiana ha istituito, a partire da oggi, una rappresentanza del Consiglio nazionale transitorio di Bengasi (Cnt) in Italia. Lo hanno annunciato tre membri del futuro ufficio in una conferenza di presentazione tenutasi a piazza del Popolo a margine della manifestazione Costituzione Day. 17:20 Inviato Ansa: "Ras Lanuf in mano a forze Gheddafi" 26 – Ras Lanuf, il centro petrolifero a ovest di Bengasi, è completamente nella mani delle forze pro-Gheddafi. Lo ha constatato l'Ansa sul posto. 16:41 Anche tv di stato conferma: Lega chiede all'Onu no-fly zone 25 – La notizia della richiesta della Lega Araba all'Onu di imporre una zona di esclusione aerea sulla Libia è stata ufficializzata ora anche dalla tv di stato egiziana. I ministri arabi - ha detto una fonte della Lega - hanno concordato l'istituzione della zona di esclusione aerea ad eccezione dell'Algeria e della Siria. La tv ha anche confermato la volontà dei paesi arabi di stabilire canali di comunicazione con il Consiglio Nazionale di Transizione "per aiutare il popolo libico". 16:30 Lega araba avrà contatti con Cnl 24 – Il Consiglio ministeriale della Lega araba ha affermato di voler aprire "canali di contatto con il Consiglio Nazionale Libico per aiutare il popolo libico". Lo ha detto all'Ansa una fonte diplomatica araba. 16:20 Al Jazeera: Ras Lanuf e Brega in mano a forze Gheddafi 23 – Ras Lanuf sarebbe di nuovo nelle mani delle forze leali a Gheddafi. A darne notizia sono Sky News e Al Jazeera, che citano fonti dell'opposizione. Secondo la tv araba, anche l'altro centro petrolifero di Brega, teatro di durissimi combattimenti fino a una settimana fa, sarebbe stato riconquistato dai militari pro-regime nella mattinata di oggi, quando i rivoltosi sono stati costretti alla ritirata da intensi bombardamenti e fuoco d'artiglieria. 16:15 Lega araba chiede a Onu imposizione di no-fly zone 22 – I ministri degli esteri della Lega Araba hanno chiesto al Consiglio di Sicurezza dell'Onu di assumersi le proprie responsabilità per imporre una zona di esclusione aerea sulla Libia. Lo ha detto all'Ansa una fonte diplomatica araba. 16:12 Al Jazeera: Truppe rais a 5 km da Misurata, insorti si preparano 21 – Secondo fonti citate da Al Jazeera le truppe fedeli al colonnello Gheddafi sono ormai a 10, 5 chilometri dal centro abitato di Misurata. Molte persone stanno lasciando le loro case, tutti i negozi sono chiusi e gli insorti stanno prendendo posizione nella periferia della città per tentare un'ultima difesa. 15:46 Navi da Turchia ed Emirati per Bengasi 20 – Turchia ed Emirati hanno lanciato una missione umanitaria congiunta per aiutare le vittime della rivolta libica. Due imbarcazioni cariche di aiuti salperanno dal porto turco di Mersin alla volta di Bengasi dove dovrebbero approdare lunedì, fa sapere l'agenzia semi-ufficiale Anatolia. Le navi trasportano 32 tonnellate di medicine e materiale sanitario, 338 tonnellati di cibo, oltre che tonnellate di acqua. Nel team ci sono anche degli operatori della Croce Rossa. 15:35 Unione africana si prepara a mediazione 19 – Anche l'Unione Africana ha deciso di passare all'azione per cercare di risolvere la gravissima situazione in Libia, e ha perciò nominato una commissione di mediazione ad hoc che, sul modello di quella già impiegata per la Costa d'Avorio, sarà composta da cinque capi di Stato: Jacob Zuma del Sudafrica, Mohammed Ould Abdel Aziz della Mauritania, Yoweri Museveni dell'Uganda, Denis Sassou-Nguesso della Repubblica del Congo e Amadou Toumani Tourè del Mali. A essi si unirà anche il segretario generale dell'organizzazione, il diplomatico gabonese Jean Ping, capo della Commissione esecutiva dell'Ua. 15:35 Berlusconi: "Paesi mediterraneo non cadano in mano a estremisti islamici" 18 – "La violenza va sempre condannata, ancor più se nei confronti del proprio popolo. Non ci resta che guardare gli sviluppi futuri, sperando che i Paesi del Mediterraneo non cadano nella mani dell'estremismo islamico, ma che siano capaci di impiantare le fondamenta solide di regimi pienamente democratici". Lo dice il premier Silvio Berlusconi, parlando della crisi libica in un'intervista a Gente. 15:30 Berlusconi: "Baciamano a Gheddafi? Ho carattere guascone" 17 – "Ho un forte carattere guascone, che qualche volta mi porta in modo spontaneo a comportamenti non strettamente conformi alla forma". Così Silvio Berlusconi, in un'intervista esclusiva a Gente in edicola lunedì 14, spiega quel baciamano a Gheddafi tanto contestato dall'opposizione in Italia. "Non nego - prosegue il presidente del Consiglio - di essere stato amico del popolo libico e - precisa - lo sono ancora". 15:27 Berlusconi: "Accoglienza in Dna italiani ma l'Ue intervenga" 16 – "Essere italiani significa avere nel Dna anche la cultura dell'accoglienza", lo ricorda Silvio Berlusconi nell'intervista a 'Gente' nel corso della quale parla anche dell'emergenza immigrazione come conseguenza della crisi libica. "L'Italia - prosegue - non vuole scaricare il problema sugli Stati amici. Seguiamo con estrema attenzione l'evolversi di questa emergenza per la quale auspichiamo un'assunzione di responsabilità concreta da parte dell'Unione Europea". 15:15 Delegato Siria contrario a no-fly zone 15 – Il delegato siriano si è opposto alla possibilità di imporre una zona di esclusione aerea sulla Libia, durante la riunione straordinaria della Lega Araba in corso oggi al Cairo. 15:12 Yemen contrario a no-fly zone 14 – La delegazione yemenita che partecipa oggi alla riunione della Lega Araba convocata al Cairo sulla crisi libica si è detta contraria all'idea di imporre una 'no fly zone' sulla Libia. Lo ha rivelato l'inviato della tv araba 'al-Jazeera'. 15:07 Gates (Usa) boccia la no-fly zone 13 – Il ministro della Difesa Usa, Robert Gates, è il più strenuo oppositore dell'adozione di una 'no-fly zone' sulla Libia. Per il capo del Pentagono è qualcosa che gli Usa e i loro alleati possono fare se vogliono ma non è certo che si tratti di una mossa "saggia". 14:41 Ashton: "Per Ue i ribelli di Bengasi non sono l'unico interlocutore" 12 – Pur considerando come "interlocutore" il Comitato nazionale di transizione di Bengasi, l'Unione Europea è pronta a parlare con altre forze sul terreno libico per contribuire ad una soluzione della crisi. Lo ha detto il capo della diplomazia europea, Catherine Ashton, concludendo oggi a Budapest il consiglio informale dei 27 ministri degli Esteri europei. 14:24 Oman: "Stati arabi intervengano" 11 – Gli Stati arabi devono intervenire in Libia attraverso la Lega Araba e in linea con il diritto internazionale perchè la crisi libica rappresenta una minaccia alla stabilità di tutti gli Stati arabi. Lo ha detto il ministro degli esteri dell'Oman. "Ciò che è necessario è un intervento arabo, utilizzando meccanismi della Lega Araba e allo stesso tempo ai sensi del diritto internazionali", ha detto il ministro Youssef bin Alawi bin Abdullah, nel suo discorso di apertura della riunione della Lega Araba al Cairo. 14:08 Forze Gheddafi attaccano Misurata 10 – Le forze di Gheddafi continuano la controffensiva. Dopo aver continuato a martellare tutta la giornata Ras Lanuf con raid aerei, sono passati ad attaccare anche la città di Misurata controllata dai ribelli 14:04 Controffensiva oltre Ras Lanuf 9 – L'esercito libico ha costretto gli insorti ad abbandonare la periferia di Ras Lanuf, spingendo la linea del fronte tra Uqaylah e la città petrolifera, a 40 km di distanza. Lo riferisce un leader degli insorti. "Siamo fuori da Ras Lanuf, ci hanno bombardato", ha detto il colonnello insorto Bashir Abudl Qadr. "Siamo tornati indietro di 20 chilometri la scorsa notte perchè eravamo preoccupati che la raffineria esplodesse". Secondo gli insorti, infatti, l'esercito ha bombardato anche depositi di petrolio anche se le forze pro Gheddafi negano. Due attacchi aerei e l'esplosione di tre bombe si sono verificate la scorsa notte vicino ad un checkpoint nei pressi della città di Uqaylah. Il colonnello degli insorti ha riferito che, stando a quanto riferito dagli ingegneria, la raffineria di Ras Lanuf esploderà nei prossimi cinque giorni dovuto ai danni subiti durante la riconquista della città. 14:01 Ashton: "Valutare efficacia sanzioni prima di altre azioni" 8 – L'Unione europea valuti l'efficacia delle sanzioni contro il regime del leader libico Gheddafi prima di nuovi provvedimenti. Lo ha sottolineato il capo della diplomazia europea, Catherine Ashton, concludendo oggi a Godollo, città ungherese nei pressi di Budapest, il consiglio informale dei 27 ministri degli Esteri europei. "Abbiamo già emesso alcune sanzioni - ha aggiunto Ashton -, non solo sulle persone ma anche sugli enti ed è importante continuare a valutare la loro efficacia. Così, ancora una volta, sto cercando di verificare tutte le opzioni per essere sicuri che stiamo pensando a tutte le possibilità". 13:59 Al via vertice Lega araba 7 – La riunione dei ministro degli Esteri arabi è cominciata al Cairo 12:51 Maroni: "Molto preoccupati" 6 – "La situazione è ancora assolutamente instabile e noi siamo molto preoccupati". Lo ha detto il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, interpellato sulla situazione in Libia a margine dell'inaugurazione di una sede della Lega Nord. Maroni ha commentato come "una cosa positiva che il Consiglio europeo di ieri abbia dato incarico ai ministri dell'Interno di riunirsi per formulare rapidamente una proposta, come avevo già auspicato un mese fa", per far fronte alla crisi nel Nord Africa. 12:35 Frattini: "Coinvolgere ribelli per cessate il fuoco" 5 – Per la risoluzione delle crisi libica "si fa strada la necessità di un'azione politica che la Lega Araba potrebbe intraprendere nel suo documento di oggi". Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini, a Budapest a margine della riunione informale con i 27 ministri degli Esteri dell'Ue. Il responsabile della Farnesina ha parlato di un "coinvolgimento del Consiglio nazionale istituito dai ribelli a Bengasi per arrivare ad un cessate il fuoco". 12:33 Vertice della Lega araba al Cairo 4 – I ministri degli Esteri arabi si riuniranno oggi al Cairo per discutere della questione no-fly zone. Finora la Lega araba aveva fatto sapere della sua disponibilità a mettere in atto una no-fly zone, pur sottolineando la propria ferma opposizione a qualsiasi intervento militare in Libia. Dalla riunione della Lega araba sono stati esclusi i delegati di Gheddafi. 12:33 Amre Mussa (Lega Araba): si a no-fly zone 3 – Il segretario generale della Lega Araba Amr Mussa sostiene l'ipotesi di una no-fly zone sulla Libia per evitare che i militari di Muammar Gheddafi continuino i bombardamenti contro gli isorti. "Non so come, nè chi sarà a imporre questa misura, vedremo. Auspico che anche la Lega Araba possa svolgere un ruolo" ha detto in un'intervista al quotidiano tedesco Der Spiegel. "Mi riferisco ad un intervento umanitario - ha spiegato - con una zona di esclusione aerea, si può sostenere il popolo libico nella sua lotta per la libertà e contro un regime sempre più sprezzante". 12:31 Bbc: "Ribelli verso la resa" 2 – L'inviato della Bbc, Jon Leyne, sostiene che gli uomini di Gheddafi starebbero prevalendo nella dura battaglia costringendo i combattenti pro-democrazia alla resa. Ovviamente se il colonnello riuscisse a rientrare in possesso della città sarebbe un risultato fondamentale, ai danni dell'opposizione che controlla gran parte della Cirenaica. All'inizio della settimana, i regolari e i miliziani africani assoldati dal rais avevano riconquistato anche Zawiyah, 48 chilometri a ovest di Tripoli. Alcuni testimoni, via twitter, riferiscono oggi di nuovi bombardamenti a Uqaylah e, ancora più ad est, vicino a Brega. 12:30 Combattimenti a Ras Lanuf 1 – Non si fermano le violenze sul fronte orientale della guerra civile libica: intensi combattimenti sono in corso fra i guerriglieri dell'opposizione e le forze fedeli a Gheddafi a Ras Lanuf. La Bbc riferisce di bombardamenti da parte dell'aviazione del colonnello su una raffineria e un checkpoint dei rivoltosi vicino al centro petrolifero, l'avamposto della resistenza 350 chilometri a ovest di Bengasi. (12 marzo 2011)
L'ANALISI Sulla rivolta libica il rischio di una pietra tombale TRIPOLI - Senza un aiuto dall'esterno che ormai non arriverà più, in pochi giorni i ribelli libici saranno ridotti al silenzio. E se davvero questa previsione si avvererà, sarà per una combinazione di fattori che dovrebbe umiliare l'Europa e gli Stati Uniti per il loro comportamento incosciente: in mille modi hanno incoraggiato i ribelli contro il regime del colonnello Gheddafi senza pensare che, al momento opportuno, non sarebbero riusciti a muovere un passo per aiutarli nell'unico modo che sarebbe stato utile per loro: una limitata ma immediata azione militare. Certo, se questa previsione si avvererà per davvero sarà innanzitutto per l'efficacia della macchina da "guerra totale" di Gheddafi. "Totale" nel senso che affianca la capacità militare a quella della polizia segreta, dello spionaggio e della repressione interna. Ieri il centro di Zawiya, la città-martire della Tripolitania, era il simbolo di questo metodo integrato. La città appariva come un campo di battaglia devastato da una furia senza pari. Il minareto della moschea tagliato a metà da una cannonata, palazzi sventrati, le strade divelte dal fuoco dei tank e ostruite da decine di auto accartocciate. I ribelli sono stati tutti uccisi o catturati dalla polizia segreta; le loro famiglie minacciate e avvertite una per una. Per Zawiya, troppo vicina a Tripoli, non c'era nessuna probabilità di sopravvivenza, ma lo stesso sembra essere per tutte le altri città della Libia. Potrebbe essere così perfino per Bengasi. Oggi, sabato, il governo libico porterà in "gita" i giornalisti embedded a Ras Lanuf appena riconquistata: l'esercito di Gheddafi, appoggiato dall'aviazione, sta allungando la sua presa verso Est. Dopo Ras Lanuf nella notte sono arrivate le prima telefonate che anticipano un attacco ad Adjdabja. Quando cadrà anche questo centro Bengasi sarà completamente isolata ad Ovest. I ribelli sono costretti a combattere da soli, contro l'aeronautica, i cannoni, i carri armati di Gheddafi. L'aiuto, le incitazioni alla rivolta contro il colonnello arrivate in questi giorni dagli Stati Uniti, il disconoscerlo come interlocutore da parte della Ue potrebbero essere solo un boomerang per dei ribelli che potrebbero non aver calcolato fino in fondo la forza del regime e la riluttanza dell'Europa a qualsiasi coinvolgimento militare. James Clapper, il capo dell'intelligence americana, lo ha detto pubblicamente con quella "criminale" ingenuità tutta americana che non avrà altro effetto che rafforzare il colonnello che gli Usa stessi vorrebbero abbattere: "Alla lunga è probabile che Gheddafi prevarrà". Gheddafi in queste ore fronteggia un presidente americano che continua a dire "tutte le opzioni sono sul tavolo" ma non ha deciso ancora quale scegliere. Una Unione Europea che ha ripetuto ieri "Gheddafi non è un interlocutore", ma lui presto sceglierà altri interlocutori. E infine una Lega araba che oggi prevedibilmente al Cairo non produrrà nessuna reazione degna di nota. Nel frattempo il colonnello oltre alle operazioni militari ha rafforzato il controllo politico sulle città che già domina, Tripoli fra tutte. Venerdì nella capitale praticamente nessuno ha avuto il coraggio di scendere in piazza dopo le preghiere. Il quartiere di Tajura è stato riempito di lacrimogeni prima ancora che i fedeli-dissidenti soltanto entrassero nelle moschee. Notte dopo notte, il regime continua a far sparire un giovane da ogni famiglia potenzialmente dissidente, per rafforzare il terrore e avere nelle mani nuovi ostaggi che terrorizzano il resto del gruppo. Ancora: le tre reti televisive libiche oltre a dare le repliche dei discorsi del leader e di Saif, hanno inziato a fare una propaganda martellante, terrorizzante, mostrando le torture e le violenze di cui anche i ribelli si sono resi colpevoli nei primi giorni. Sei soldati libici vengono ripresi seduti su un divano, interrogati fra mille urla: pochi minuti più tardi i loro corpi giacciono in terra, le mani legate dietro la schiena, le gole sgozzate orribilmente. Un altro video da brividi, riproposto ossessivamente al popolo di Libia, è quello dei ribelli che a Bengasi danzano ed esultano su un carro armato bruciato. Tra le mani, uno di loro esibisce i brandelli del corpo di un soldato, e più tardi qualcosa che viene presentato come il cuore bruciato del soldato. Un ribelle prova anche a calpestarlo con lo stivale. Vere o false che siano, queste immagini rafforzano il senso di terrore nei tripolini, un sdntimento di paura nei confronti della rivolta. Queste immagini di orrori causti dai ribelli rafforzano la legittimità di un regime violento e brutale, ma che da tanti libici continua ad essere considerato "il nostro regime", guidato dall'unico capo capace di tenere unita la Libia. A 3 settimane dall'inizio della rivolta di Libia, la storia sembra del tutto diversa da quella di Egitto e Tunisia: Gheddafi potrebbe rimanere in circolazione ancora per molto tempo, e presto una pietra tombale potrebbe soffocare in quasi tutta la Libia il movimento dei ribelli. Con Stati Uniti ed Europa che da lontano a chiedere una sola cosa al colonnello: "Dimettiti". Lui non lo farà. (12 marzo 2011)
L'APPELLO UNHCR, la Costa d'Avorio dimenticata E' crisi umanitaria: oltre 500 mila profughi Gli eventi in Nord Africa mettono in secondo piano la tragedia che si sta vivendo nella parte occidentale del continente, dove la gente paga con il sangue la lotta forsennata tra il presidente uscente, Gbagbo, che non vuole andarsene e il suo sfidante, Ouattara, che - almeno sulla carta - ha vinto le elezioni di CARLO CIAVONI UNHCR, la Costa d'Avorio dimenticata E' crisi umanitaria: oltre 500 mila profughi ABIDJAN - Lo sguardo preoccupato di tutto il mondo è concentrato da settimane sugli eventi in Nord Africa. Questo purtroppo sta facendo passare quasi inosservata la tragedia che si sta vivendo nella parte più occidentale del continente, in Costa d'Avorio, dove ancora una volta la popolazione sta pagando con il sangue la lotta forsennata per il potere di due uomini politici, il presidente uscente, Laurent Gbagbo, che non se ne vuole andare, nonostante il suo sfidante, Alassane Dramane Ouattara, abbia vinto - almeno sulla carta - le ultime elezioni. All'UNHCR 1(l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) non resta dunque che contare i 370mila sfollati, ad Abidjan e nell'ovest del paese, oltre che i 76.956 rifugiati già in Liberia. In tutto, oltre 500mila persone costrette a scappare dal loro paese, per sfuggire alle violenze scatenate dalle due fazioni. Scarse risposte all'appello. Lo scorso 14 gennaio, l'Agenzia dell'Onu ha lanciato alla comunità internazionale un appello per 46 milioni di dollari necessari a far fronte al flusso di rifugiati in Liberia. Finora di milioni ne sono arrivati solo 5. Altri 13 milioni sono stati promessi dai donatori, ma al momento solo promessi. La situazione sta però inducendo l'UNHCR a lanciare un nuovo appello per la prossima settimana, nella speranza che stavolta la risposta dei governi e dei donatori internazionali sia più generosa. La capitale sempre meno sicura. Continuano intanto a deteriorarsi le condizioni di sicurezza ad Abidjan. Di 30 feriti e 3 morti è il bilancio degli scontri del 6 marzo nel distretto di Abobo e del giorno successivo nel distretto di Cocody. Posti di blocco presidiati da uomini armati continuano a rendere pericolosi gli spostamenti intorno alla principale città del paese, un danno per tutta la popolazione. Dove possibile, l'UNHCR continua a prestare assistenza, spesso attraverso le Ong locali. Intorno alla città sono stati individuati finora 20 luoghi dove si sono concentrati ingenti quantità di sfollati. In alcune di queste località, il numero e le necessità della popolazione sono ancora in corso di accertamento, ma è certo che c'è urgente necessità di cibo e farmaci. La violenza dilaga in tutto il Paese. Divampata nelle regioni occidentali e sembra estendersi anche a quelle centrali e sud-orientali. Si hanno testimonianze, tra la gente in fuga, di tentativi di impedire questi spostamenti e di abusi fisici, stupri. Come ha raccontato agli operatori UNHCR una ragazza di 21 anni, riuscita a fuggire in Liberia con suo figlio di due anni, dopo essere stata picchiata dai ribelli per aver resistito a un tentativo di stupro. E sono sempre di più i rifugiati arrivati in Liberia che riferiscono di essere stati coinvolti in scontri a fuoco durante la fuga. Alcuni di loro sono stati costretti a trovare riparo e a trascorre la notte nella boscaglia. Con questi nuovi flussi l'UNHCR aggiorna i piani per le sue operazioni in Liberia e adegua il budget per prepararsi ad assistere fino a 150mila rifugiati. Le cause all'origine deIla crisi. ll presidente uscente Laurent Gbagbo il 7 marzo scorso, ha emanato un decreto per la nazionalizzazione dell'intera filiera del cacao (di cui la Costa d'Avorio è il primo produttore mondiale). La decisione nel tentativo di rispondere a quella che Gbagbo definisce "l'asfissia finanziaria", imposta dal suo rivale insediatosi al governo del Paese. Manovre, queste di Ouattara, con le quali il nuovo presidente, sostenuto da gran parte della comunità internazionale, tenta di costringere Gbagbo a lasciare il potere. Finora - appoggiato dall'Onu, l'Unione Africana, l'Unione Europea e gli Stati Uniti - Ouattara è riuscito a mettere in difficoltà Gbagbo imponendo, fino al prossimo 15 marzo, il divieto di esportare caffè e cacao, da cui lo Stato ivoriano ricava gran parte delle entrate in valute estere. La reazione delle cooperative del cacao. Il divieto è stato complessivamente rispettato dagli esportatori, la maggior parte dei quali sono società multinazionali (Cargill, Cemoi, Saco). Ma ha provocato reazioni molto energiche soprattutto da parte delle cooperative di produzione del cacao, che vantano una produzione annuale di circa 1,3 milioni di tonnellate. Per arginare gli effetti politici ed economici di questo divieto, l'amministrazione Gbagbo ha deciso di conferire allo Stato l'esclusiva sulle operazioni di acquisto - presso i circa 700 mila produttori agricoli, la maggior parte dei quali nel sud del paese - e di esportazione del cacao e del caffè, sequestrando anche gli stock (tra 250 e 500 mila tonnellate) bloccati nei porti di Abidjan e San Pedro. Le banche chiudono gli sportelli. Alcune banche hanno chiuso i loro sportelli "per motivi di sicurezza", operazione condivisa da molti altri istituti finanziari. Il risultato è che l'intero sistema finanziario ivoriano, risulta sempre più isolato dal contesto internazionale, rendendo ancor più difficile la vita di molte famiglie. Si tratta di cittadini che, tra l'altro, non riescono più a ricevere aiuti dall'estero tramite il servizio di money transfer. (11 marzo 2011)
2011-03-10 Diretta Sarkozy proporrà bombardamenti aerei mirati La Francia riconosce il Consiglio dei ribelli Parigi accelera: dopo aver legittimato come rappresentante del popolo libico il consiglio nazionale di Bengasi emerge, il presidente Sarkozy spinge con i partner Ue per raid "mirati". Frattini: "L'Italia non parteciperà". Mosca: stop a tutti i contratti con Tripoli. Il Consiglio europeo ha adottato in modo formale l'estensione delle sanzioni congelando anche gli asset delle società legate al regime libico. Continuano gli scontri sul terreno: secondo testimoni, Zawiya sarebbe stata riconquistata dalle forze fedeli a Gheddafi. Almeno quattro morti a Ras Lanuf. L'allarme della Croce rossa: è guerra civile, preoccupati per il numero di vittime e feriti. Arrestati due giornalisti del Guardian e dell'Estado che risultavano scomparsi.
(Aggiornato alle 17:37 del 10 marzo 2011) 17:37 Usa, stop a relazioni con ambasciata libica 1 64 Gli Usa hanno sospeso le relazioni con l'ambasciata libica, attualmente pro-Gheddafi, a Washington. Lo scrive la Bloomberg 17:31 Clinton incontrerà opposizione libica 2 63 Il segretario di stato Usa Hillary Clinton incontrerà l'opposizione libica durante il suo viaggio in Egitto e Tunisia la settimana prossima. Lo ha annunciato lo stesso capo della diplomazia statunitense precisando che Washington "sta cercando di incontrare l'opposizione libica all'interno o all'esterno della Libia" 17:26 Nato: azioni militari solo con risoluzione Onu 3 62 Rasmussen: "Qualsiasi azione di tipo militare della Nato, necessiterà di "un chiaro mandato del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite". Rasmussen ha specificato che tale nuovo mandato servirebbe anche per un "monitoraggio rinforzato dell'embargo sulle armi" imposto alla Libia dalla risoluzione 1970 17:25 Ondata di arresti a Zawiya 4 61 Le forze fedeli a Gheddaf hanno arrestato molti abitanti di Zawiya sospettati di aver partecipato alla rivolta. Lo ha detto un abitante all'agenzia France Presse 17:15 Nato aumenterà presenza marittima nel Mediterraneo 5 60 La Nato aumenterà "gli asset marittimi" nel Mediterraneo. Lo ha annunciato il segretario della Nato Anders Fogh Rasmussen. Lo scopo è quello di dare assistenza a operazioni umanitarie e "monitorare l'embargo disposto dalla risoluzione 1970" 16:53 Ondata di arresti a Zawiya 6 59 Le forze fedeli al colonnello Gheddafi hanno ripreso oggi il controllo di Zawiya e in città si sta registrando una vera e propria "ondata di arresti". Un residente parlando al telefono con l'Afp ha detto che "è in atto una campagna di arresti dei ribelli. Le forze filo-Hheddafi hanno preso d'assolato edifici e abitazioni portando via diverse persone". Zawiya era sino ad oggi il bastione degli insorti più vicino alla capitale. Dopo duri combattimenti - un bilancio delle vittime non è noto - la città è stata ripresa oggi dalle forze fedeli al governo. 16:48 Ripartito dal Cairo emissario Gheddafi 7 58 L'emissario del colonnello Gheddafi, generale Abdel Rahman Ben Ali El Said Al Sawi, è ripartito oggi pomeriggio dal Cairo. Lo riferiscono fonti aeroportuali. L'esponente libico, a quanto si apprende, aveva con sè un messaggio per il consiglio supremo delle forze armate, anche se non ci sono conferme di un suo incontro con esponenti dei vertici militari egiziani. 16:41 Clinton incontrerà esponenti opposizione libica 8 57 Il segretario di stato Hillary Clinton ha detto che intende incontrare esponenti della opposizione libica sia negli Stati Uniti che nel suo viaggio in Medio Oriente della prossima settimana. 16:25 Fonti ospedaliere: Quattro morti, 35 feriti a Ras Lanuf 9 56 E' di almeno quattro morti e 35 feriti il bilancio del bombardamento di Ras Lanuf, nella Libia orientale. Lo riferiscono fonti ospedaliere. 16:22 Presto libero reporter dell'Estado arrestato 10 55 Sarà liberato presto Andrei Netto, inviato in Libia del quotidiano brasiliano 'Estado de Sao Paulo'. A renderlo noto è lo stesso giornale, sul suo sito internet. 16:21 Frattini: "Improbabile reazione militare di Gheddafi contro Europa" 11 54 Il ministro degli Esteri Franco Frattini ritiene improbabile una reazione militare di Gheddafi contro l'Europa magari con armi di distruzione di massa ma, ha assicurato, l'Ue avrebbe comunque delle contromisure già pronte. Parlando con i cronisti a Bruxelles al termine della riunione straordinaria dei capi delle diplomazie dei 27 sulla Libia, il titolare della Farnesina ha osservato: "Non credo ci possano essere azioni (del regime di Gheddafi, ndr) dirette contro l'Europa. L'Ue comunque sarebbe pronta di fronte ad una eventualità del genere: le contromisure esistono", ha assicurato, riferendo che di questo si parla "nelle sedi militari competenti". 16:19 Onu condanna violenze contro giornalisti 12 53 L'Alto Commissario ONU per i Diritti Umani, Navi Pillay, condanna le violenze perpetrate nei confronti dei giornalisti da parte delle forze di sicurezza libiche. Viene così condannata la detenzione e la presunta tortura di un gruppo di giornalisti internazionali che avevano cercato di divulgare informazioni sulla situazione nella città occidentale libica di Zawiya, si legge in un comunicato. 16:18 Frattini: "Consiglio insorti nulla a che fare con Al Qaeda" 13 52 Il Consiglio nazionale di transizione libico ha "poco a che fare con Al Qaeda e con l'emirato islamico". Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini, a conclusione del Consiglio informale Ue cercando di rassicurare dopo le preoccupazioni emerse nei giorni immediatamente successivi alla rivolta in Cirenaica. "Siamo stati rassicurati - ha detto Frattini - conosciamo le persone che fanno parte del Consiglio, come il suo presidente, l'ex ministro della Giustizia Abdel Jalil, che poco o niente hanno a che fare con Al Qaeda e l'emirato islamico". 16:03 Nyt: "Gheddafi ha nascosto tesoretto" 14 51 Gheddafi ha un tesoretto cash di decine di miliardi di dollari Usa, dinari libici e altre valute nascosto nella Banca centrale e in altri istituti di credito a Tripoli. Lo scrive oggi il New York Times, citando fonti di intelligence Usa e straniere, secondo cui grazie a questa disponilità il Colonello è in grado di continuare a pagare tranquillamente le sue truppe così come i mercenari africani e i supporter politici. 16:02 Frattini: "Disponibili ad accompagnare missione Ue a Bengasi" 15 50 L'Italia, che a Bengasi e in Cirenaica ha contatti "migliori degli altri", è disponibile a "sostenere ed accompagnare una missione dell'Ue a Bengasi" per valutare la situazione sul terreno. Lo ha riferito il ministro degli Esteri Franco Frattini a Bruxelles al termine della riunione straordinaria dei capi delle diplomazie dei 27 sulla Libia. 15:34 Reporter senza frontiere: Giornalisti scomparsi arrestati 16 49 Due reporter sono stati arrestati nell'ovest della Libia dalle milizie fedeli a Muammar Gheddafi. Lo riferisce Reporter senza frontiere. Il quotidiano britannico 'The Guardian' aveva, in precedenza, dato notizia della scomparsa di Ghait Abdul-Ahad, che a Zawiya seguiva gli scontri fra i rivoltosi e le forze fedeli al Colonnello. L'altro cronista è Andrei Netto, del quotidiano brasiliano Estado. Il Guardian aveva immediatamente chiesto alle autorità libiche a Tripoli e a Londra aiuto nelle ricerche del corrispondente, per appurare se Abdul-Ahad fosse sotto la custodia delle forze governative. Attento a raccontare la quotidianità delle persone che vivono in Paesi scossi da profondi conflitti, Abdul-Ahad ha ricevuto diversi premi internazionali, come il 'Foreign Repoter of the Year' assegnato dalla British Press Awards, il Martha Gellhorn e il James Cameron award. 15:23 Frattini: "Italia non parteciperà a bombardamenti mirati" 17 48 L'Italia non parteciperà ai bombardamenti mirati sulla Libia, che, secondo fonti vicine all'Eliseo, saranno proposti domani dal presidente francese, Nicolas Sarkozy, nel corso del Consiglio europeo straordinario. A precisare la posizione di Roma è stato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, a conclusione del Consiglio informale dell'Ue che si è tenuto a Bruxelles. "L'Italia vuole una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu" e quindi non un attacco diretto alle forze libiche bensì un controllo delle forze aeree di Gheddafi. 15:22 Frattini: "Reazione positiva Ue su missione navale" 18 47 I Paesi dell'Ue hanno avuto "una reazione positiva" all'idea lanciata dall'Italia di una missione navale Nato-Ue vicino alle acque territoriali libiche per rafforzare l'embargo delle armi verso il regime di Gheddafi. Lo ha riferito il ministro degli Esteri Franco Frattini al termine della riunione straordinaria dei capi delle diplomazie dei 27 oggi a Bruxelles. 15:07 Frattini: "Italia riaprirà consolato a Bengasi" 19 46 L'Italia riaprirà il suo consolato a Bengasi chiuso in seguito agli incidenti del 2006. Lo ha annunciato il ministro degli Esteri Franco Frattini a Bruxelles dopo il vertice straordinario dei ministri degli Esteri dei 27. 14:52 Al via sorveglianza Nato cieli libici 24 ore su 24 20 45 Al via la sorveglianza 24 ore su 24 dei cieli libici da parte della Nato che, da questa mattina all'alba, pattuglia con almeno tre Boeing E-3 Sentry lo spazio aereo sopra il Paese maghrebino. Il primo velivolo rimarrà sopra il Mediterraneo per 8 ore, prima di essere sostituito da un altro aereo. 14:52 Van Rompuy: "Regime Gheddafi lasci il potere" 21 44 "L'attuale leadership libica deve lasciare il potere senza ritardi": lo afferma il presidente della Ue, Herman Van Rompuy, in un messaggio inviato ai leader europei che si riuniranno domani a Bruxelles per fare il punto sulla crisi in Libia. 14:46 Aereo con emissario regime Gheddafi atterrato a Parigi 22 43 Un aereo con a bordo un rappresentante del regime libico è atterrato oggi a Parigi, alla vigilia della maratona diplomatica a Bruxelles, durante la quale l'unione europea e la Nato si riuniranno per affrontare lo stato di crisi in libia. Lo riferiscono fonti diplomatiche, senza però precisare l'identità del passeggero. Tuttavia, un portavoce nato ha fatto sapere che "nessun incontro" tra emissari del colonnello Gheddafi e il segretario generale dell'alleanza Anders Fogh Rasmussen è "all'ordine del giorno". 14:40 Sarkozy proporrà ai partner Ue "bombardamenti aerei mirati" 23 42 Il presidente francese Nicolas Sarkozy intende proporre ai partner dell'Unione europea "bombardamenti aerei mirati" in Libia. E' quanto riferiscono fonti vicine al dossier, spiegando che il capo dell'Eliseo vuole anche criptare i sistemi di trasmissione del comando del colonnello Gheddafi. 14:33 Berlusconi: "Riconoscimento insorti da Parigi posizione singolo Paese" 24 41 La posizione della Francia per il riconoscimento degli insorti libici "è la posizione di un singolo Paese", ha affermato il presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi. "E' meglio sentire la posizione di tutti i Paesi - prosegue Berlusconi - domani si riunirà il Consiglio Europeo e l'Italia si schiererà con la Ue e con la Nato". 14:20 Nato pronta a intervenire a tre condizioni 25 40 La Nato è pronta a sostenere una operazione umanitaria in Libia "ma anche per altre opzioni", a patto che siano rispettate tre condizioni, secondo quanto indicato dal segretario generale Anders Fogh Rasmussen in apertura della ministeriale difesa nella sede dell'Alleanza Atlantica a Bruxelles. I tre "principi" che devono guidare l'azione della Nato sono: "Che sia dimostrata la necessità di intervento", che ci sia "un chiaro mandato legale" e "un fermo supporto regionale". 14:08 Attacco a Ras Lanuf, nessun ferito 26 39 L'attacco aereo delle forze di Muammar Gheddafi di stamani al check point dei ribelli a est di Ras Lanuf non ha provocato vittime né feriti, ma solo danni materiali. Lo hanno riferito gli stessi guerriglieri sul posto 13:44 Parlamento europeo: "Ue aiuti Italia e altri Paesi su immigrazione" 27 38 La Ue deve aiutare l'Italia e gli altri paesi di confine che possono trovarsi ad affrontare un'ondata migratoria dal Nordafrica. Lo vuole il Parlamento europeo che ha inserito nel testo della risoluzione sulla Libia approvata oggi dalla sessione plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo - con un emendamento presentato dai deputati italiani e maltesi - la richiesta di applicare il principio di solidarietà (previsto dal Trattato di Lisbona) e quindi la condivisione della responsabilità nel controllo delle frontiere, nella gestione dei possibili flussi migratori in provenienza dal Nordafrica. 13:36 Foreign Office: "Cnt è valido interlocutore" 28 37 I membri del Consiglio Nazionale Libico sono ''validi interlocutori'', ha detto il Foreign Office dopo che la Francia ha riconosciuto il Cnt come legittimo rappresentante del popolo libico. ''Il Regno Unito riconosce stati, non governi. Il Cnt è un valido interlocutore con cui vogliamo lavorare'', ha detto un portavoce del Foreign Office ribadendo la posizione britannica che ''Gheddafi se ne deve andare ora''. 13:31 Rapper 50 Cent dona a Unicef incassi concerto per Gheddafi 29 36 Il rapper 50 Cent si è unito agli artisti 'pentiti' del sito web 'Gaddafi Performance Regret Club' donando all'Unicef fondi incassati per aver cantato davanti al rais libico Muammar Gheddafi. ''Alla luce degli eventi in Libia 50 Cent ha scelto l'Unicef come veicolo per aiutare donne e bambini messi in pericolo da questa crisi'', ha detto un portavoce del musicista il cui vero nome è Curtis Jackson. Il rapper, che non ha menzionato l'entità della somma ricevuta per un concerto privato durante il Festival del cinema di Venezia del 2005, si è così unito a un folto gruppo di star 'pentite' per aver cantato per il leader libico: tra queste Beyonce, Nelly Furtado, Mariah Carey e Usher 13:30 Banca centrale libica rimette in circolazione banconote ritirate 30 35 La Banca centrale libica ha diramato un ordine agli istituti di credito del paese, chiedendo di rimettere in circolazione le vecchie banconote. Lo scrive il sito del Financial Times, che cita fonti della sede di Bengasi della Banca centrale e spiega che si tratta del primo segnale di una penuria di liquidità nel paese. Secondo la fonte, dinari di quarta e quinta emissione, ritirati lo scorso marzo, saranno considerati nuovamente validi. 13:27 Bombardata la città di Brega 31 34 Le forze aeree governative hanno bombardato la città di Brega, nella Libia orientale. Lo riferiscono testimoni alla Bbc, spiegando che il raid ''non ha preso di mira l'area residenziale, ma una zona in cui si trova un checkpoint gestito da un gruppo di ribelli''. ''I raid aerei sono il nostro più grande problema - ha aggiunto la fonte -. Non possiamo proprio farvi fronte, non possiamo controllarli. Abbiamo bisogno di una no-fly zone in modo da poter resistere e muoverci verso Tripoli''. 13:25 Aereo libico atterrato a Parigi 32 33 Un aereo governativo libico è atterrato a Parigi mercoledì notte. Lo ha riferito una fonte ufficiale dietro garanzia di anonimato spiegando che il velivolo era un Falcon 900. 13:19 Portavoce Ashton: "Non spetta a noi riconoscere Cnt" 33 32 L'Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza dell'Ue, Catherine Ashton, è pronta a parlare con tutti, ma non spetta al servizio esterno dell'Ue ''riconoscere qualcuno come Stato o come governo, questo spetta ai capi di Stato e di governo''. Lo ha precisato il portavoce Michael Mann rispondendo alla domanda di un giornalista in relazione al riconoscimento da parte di Parigi del Consiglio nazionale libico come unico rappresentante legittimo.Il portavoce ha ricordato che Ashton, ieri a Strasburgo, ha incontrato due rappresentanti dell'opposizione e che stata informata dei colloqui degli emissari di Gheddafi con ilministro degli esteri portoghese, cosi' come con rappresentanti del ministero greco. ''Tutte le informazioni - ha ribadito - fanno parte dei nostri sforzi per capire cosa succede in Libia''. 13:10 Guardian: "Due giornalisti mancano all'appello" 34 31 Due giornalisti mancano all'appello in Libia e ''sforzi urgenti' sono in corso per ritrovarli. Lo riporta il Guardian. Uno dei reporter è Ghaith Abdul-Ahad del Guardian, un cittadino iracheno che da domenica non dà più notizie. Il giornalista si trovava nella Libia occidentale da circa due settimane. Con lui viaggiava Andrei Netto, del quotidiano brasiliano Estado, e anche lui manca all'appello. 13:07 Agenzia Jana: "Grave segreto farà cadere Sarkozy" 35 30 La rivelazione di un ''grave segreto'' farà cadere il presidente francese Nicolas Sarkozy, afferma oggi l'agenzia ufficiale libica Jana da Tripoli. Secondo l'agenzia, citata da Afp, ''un grave segreto portera' alla caduta di Sarkozy'', un segreto ''in linea con il finanziamento della sua campagna elettorale''. 13:05 Strasburgo: "Ue riconosca Consiglio nazionale della transizione libico" 36 29 Il Parlamento europeo ha approvato a larghissima maggioranza (584 sì, 18 no, 18 astenuti) una risoluzione che chiede ai governi Ue di riconoscere il Consiglio nazionale della transizione libico come l'autorità che rappresenta ufficialmente l'opposizione libica. Il testo invita inoltre l'Unione europea a prepararsi alla possibile istituzione di una 'no-fly zone' per impedire a Gheddafi di colpire la popolazione e aiutare il rimpatrio di chi fugge dalla violenza. 12:57 Presidenza ungherese: "Ue di fatto ha già riconosciuto opposizione" 37 28 Dopo gli incontri avvenuti ieri a Strasbrugo tra i rappresentanti dell'opposizione al regime di Gheddafi al Parlamento Europeo e con l'Alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza comune, i 27 hanno "di fatto" già riconosciuto il Consiglio di transizione libico. Lo ha affermato il ministro degli esteri ungherese Janosz Martonyi al suo arrivo a Bruxelles al Consiglio affari esteri straordinario. 12:56 Ospedale di Ras Lanuf evacuato dopo bombardamento 38 27 Un ospedale è stato evacuato dopo un bombardamento a Ras Lanuf, città nell'est della Libia in mano ai ribelli che viene bombardata da giorni dalle forze fedeli a Gheddafi. 12:50 Lisbona: "Regime di Gheddafi è finito" 39 26 Agli occhi della comunità internazionale il regime di Muammar Gheddafi "è finito" e non ha più alcuna legittimità: è il messaggio che il ministro degli Esteri portoghese, Luis Amado, ha trasmesso all'inviato del leader libico giunto in visita ieri a Lisbona. Il capo della diplomazia portoghese - a Bruxelles per il vertice dei Ministri degli Esteri dell'Ue - ha reso noto di aver trasmesso un messaggio di identico tenore a un rappresentante dell'opposizione: "Spero che lo spirito di questo messaggio avrà un effetto su Tripoli", ha concluso Amado. 12:34 Nuove sanzioni Ue in vigore da domani 40 25 Entreranno in vigore domani le nuove sanzioni Ue per il congelamento degli asset del fondo sovrano libico Lia e di altre quattro ''entita''' finanziarie controllate dal regime di Gheddafi. La procedura di consultazione con le autorità dei 27 - a quanto si è appreso - si è conclusa questa mattina senza sorprese e l'applicazione del provvedimento scattera' con la sua pubblicazione sul prossimo numero, quello di venerdì, della 'Gazzetta Ufficiale' dell'Unione 12:30 Berlusconi: "Italia si schiiererrà con Ue e Nato" 41 24 La posizione della Francia per il riconoscimento degli insorti libici ''è la posizione di un singolo Paese''. Lo afferma il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. ''È meglio sentire la posizione di tutti i Paesi - prosegue Berlusconi - domani si riunirà il Consiglio Europeo e l'Italia si schiererà con la Ue e con la Nato'' 12:29 Studentesse pro-Gheddafi davanti a Rixos 42 23 Una cinquantina di studentesse della scuola Sna Mohdly hanno inscenato stamani una dimostrazione in sostegno del leader libico Muammar Gheddafi, di fronte all'hotel Rixos, a Tripoli, dove sono ospitati la gran parte dei giornalisti stranieri accreditati nel Paese. Le studentesse hanno intonato slogan in favore del leader e contro le emittenti arabe Al Arabiya e Al Jazeera, colpevoli a loro dire di fornire false informazioni sulla reale situazione nel Paese. 12:25 Capo opposizione: "Comunità internazionale intervenga" 43 22 Il presidente del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), Mustafa Abdel Jalil, ha lanciato un appello alla comunità internazionale affinché intervenga in Libia per salvare il paese dagli attacchi del colonnello Gheddafi. Intervistato dal quotidiano tedesco Die Welt, il leader dell'opposizione si è detto convinto che il dittatore ''annientera''' la Libia senza un intervento esterno. ''Per lui - ha commentato riferendosi a Gheddafi - è lo stesso se la ha commentato riferendosi a Gheddafi - è lo stesso se la gente muore''. L'ex ministro della Giustizia ha inoltre ribadito la necessità di creare una no-fly zone sulla Libia in modo da impedire i bombardamenti sulla popolazione. 12:20 Inviato di Gheddafi ad Atene: "Idee per uscire dalla crisi" 44 21 Un inviato del leader libico Muammar Gheddafi ha informato oggi il governo greco sulle idee libiche per ''uscire dalla crisi''. Lo hanno indicato fonti diplomatiche sottolineando che le opinioni di Tripoli saranno sottoposte ai vertici europei. L'inviato, il viceministro agli esteri Mohammed Taher Siala ha avuto un colloquio stamane, su richiesta di Tripoli, con il suo omologo Dimitris Dollis. 12:11 Su tv stato libica presunta telefonata Usa-comandante ribelli 45 20 La tv di stato libica ha trasmesso un servizio audio che conterrebbe una telefonata tra l'ambasciatore Usa a Tripoli, Gene A. Cretz, e il comandante delle forze ribelli, Omar Hariri, definito dall'emittente un "lacchè". Se si trattasse di una registrazione autentica, proverebbe che Muammar Gheddafi sta intercettando i telefoni dei rivoltosi. Nell'audio l'ambasciatore, che si serve di un traduttore, chiede a Hariri come può mettersi in contatto con lui in modo sicuro e si informa sui collegamenti stabiliti dai rivoltosi con altre città e sulle forze che essi sono in grado di controllare. 11:49 Ashton: "Dialogare con chiunque per terminare violenze" 46 19 "Continueremo a dialogare con chiunque per avere il maggior numero di informazioni possibile su ciò che accade in Libia e trovare la via più efficace per porre fine alle violenze": lo ha detto l'Alto rappresentante per la politica estera della Ue, Cathrine Ashton, al suo arrivo al vertice dei ministri degli esteri della Ue a Bruxelles. 11:38 Colpi d'artiglieria nel centro di Ras Lanuf 47 18 Due colpi d'artiglieria hanno colpito il centro di Ras Lanuf a circa 500 metri dall'ospedale. Ambulanze hanno raggiunto la scena delle esplosioni. 11:37 Germania scettica su no-fly zone 48 17 Il ministro degli esteri tedesco, Guido Westerwelle, si è detto "scettico" sull'ipotesi di una 'no fly zone' sulla Libia. "Il rischio - ha affermato al suo arrivo al vertice straordinario dei ministri degli esteri della Ue a Bruxelles - è quello di ottenere l'opposto di ciò che vogliamo per la Libia, vale a dire libertà e pace". Per questo - ha proseguito, "servono decisioni prudenti e sagge". Westrerwelle ha quindi aggiunto: "Una cosa è chiara per il governo della Germania: non vogliamo essere risucchiati in una guerra in Nord Africa". 11:29 Croce rossa: "Libia precipitata in guerra civile" 49 16 Con l'aumento del numero di feriti giunti negli ospedali dell'est del Paese, la Libia è "scivolata nella guerra civile". Lo ha detto il presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa Jakob Kellenberger, chiedendo alle autorità libiche di garantire alle organizzazioni umanitarie l'accesso nella zona occidentale del Paese, inclusa la capitale Tripoli. 11:25 Inviato Zapatero ha incontrato rappresentanti del Consiglio 50 15 Un emissario del premier spagnolo, Josè Louis Zapatero, ha incontrato sabato scorso a Bengasi i rappresentanti del Consiglio dei rivoltosi e il loro capo, Mustafa Abdel Jalil. Lo rivela oggi El Pais, citando fonti governative. Al suo ritorno, Pablo Yuste, direttore generale dell'Agenzia spagnola per la Cooperazione allo Sviluppo, ha riferito a Madrid le richieste dei ribelli, prima fra tutte il riconoscimento del Consiglio come legittimo governo della Libia. Un passo che, secondo fonti diplomatiche, la Spagna prenderebbe solo di concerto con gli altri 27 membri dell'Ue. 11:09 Mosca contro l'ipotesi di intervento 51 14 Il ministro degli esteri russo Serghiei Lavrov ha ribadito oggi che è inaccettabile ogni intervento di forza in Libia e in altri Paesi africani. Lo riferisce l'agenzia Interfax 11:06 Parigi riconosce il consiglio dei ribelli come legittimo rappresentante popolo libico 52 13 La Francia riconosce "come rappresentante legittimo del popolo libico il Consiglio nazionale provvisorio". Lo ha detto uno dei due emissari di Bengasi al termine dell'incontro avuto oggi all'Eliseo con il presidente francese Nicolas Sarkozy. Sulla base di tale riconoscimento - hanno annunciato - "noi apriremo una ambasciata in Francia e Parigi ne aprirà una a Bengasi in via transitoria, in vista di un trasferimento della sede a Tripoli". 10:45 Germania blocca i conti 53 12 Il ministro dell'Economia tedesco, Rainer Bruederle, ha deciso di bloccare i conti della Banca centrale libica e dei fondi del governo di Gheddafi in Germania. La misura riguarda 14 banche, ma anche la Bundesbank. La misura sarebbe stata decisa per conformarsi alle sanzioni decise dalla comunità internazionale contro la Libia, ma anche per prevenire eventuali prelievi di denaro dai conti posseduti in Germania da istituti libici 10:44 "Riconquistata Zawiya" 54 11 La città di Zawiya, una cinquantina di chilometri a ovest di Tripoli, è stata riconquistata dalle milizie fedeli a Muammar Gheddafi. Lo hanno riferito testimoni 10:44 La Russa: "Condivideremo scelte Nato" 55 10 "L'Italia condividerà le scelte della Nato sulla Libia. La nostra posizione non sarà nè quella di aizzare nè quella di frenare". Lo afferma il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, che ha lasciato il Consiglio dei Ministri per recarsi a Bruxelles dove ci sarà la riunione dei ministri della Difesa della Nato. Questa mattina si è tenuto un vertice di Governo a Palazzo Chigi proprio sul Nordafrica 10:26 Nuovi raid a Ras Lanuf 56 9 Le forze governative stanno bombardando dal mare e dal cielo la zona petrolifera ad est di Ras Lanuf in mano agli insorti. Lo riferisce l'inviata dell'ANSA al check-point di Ras Lanuf, nella Libia orientale. 10:20 Incontro in Grecia 57 8 L'inviato del leader libico colonnello Gheddafi è giunto ad Atene. Il viceministro agli esteri Mohammed Taher Siala si è incontrato stamane con il suo omologo greco Dimitris Dollis. Il colloquio, chiesto da Tripoli è ancora in corso. 09:38 Gb: situazione militare in fase di stallo 58 7 La situazione militare in libia ha raggiunto una posizione di stallo: lo ha dichiarato il ministro della Difesa britannico, Liam Fox, intervistato dalla Bbc. Secondo Fox "il regime sta trincerandosi attorno a Tripoli, ed è in grado di proteggere le zone sotto il suo controllo e gli impianti petroliferi. Ma non sembra avere il potenziale militare per sconfiggere i ribelli, e viceversa". 09:37 I ribelli: sì a no-fly-zone, no a soldati sul nostro territorio 59 6 Sì alla "no-fly zone" o a una misura simile, no a soldati stranieri in libia: è quanto ha chiesto il presidente del Consiglio nazionale dei ribelli libici costituitosi a Bengasi, l'ex ministro di giustizia Mustafa Abdel Jalil, in un'intervista al quotidiano tedesco Die Welt. 08:58 Tv libica mostra truppe lealiste a Zawiya 60 5 La tv di Stato libica ha mostrato le immagini di truppe governative che stazionano nella città di Zawiya, 50 chilometri ad ovest di Tripoli, riconquistata ieri dall'esercito di Gheddafi dopo duri scontri con gli insorti 08:55 "I migranti nei Paesi Ue" 61 4 L'Italia proporrà domani al Consiglio Europeo straordinario che i clandestini, provenienti dal Nordafrica, possano essere accolti almeno dai Paesi Ue del Mediterraneo. Oltre all'Italia, potrebbero essere Grecia, Malta, Francia e Spagna. L'emergenza non riguarderebbe invece la Turchia che non fa parte dell'Unione. Lo si apprende da un ministro, impegnato questa mattina in una riunione di Governo a Palazzo Chigi sulla Libia, presieduta dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta 08:29 Emissario del Raìs incontrerà viceministro esteri greco 62 3 Un rappresentante del leader libico Muammar Gheddaf, Mohamed Tahir Siala, incontrerà oggi ad Atene il vice ministro degli Esteri greco Dimitris Dollis. Lo ha reso noto oggi il governo di Atene, precisando che l'incontro avviene d'accordo con la responsabile della politica estera europea, Catherine Ashton, che ha discusso della situazione in Libia con il capo della diplomazia greca, Dimitris Droutsas 08:07 Medvedev firma il decreto 63 2 L'agenzia Itar-Tass informa che il premier russo ha firmato un decreto che prevede misure per rendere efficace la risoluzione 1970 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu del 26 febbraio 2011" e imponendo molte restrizioni sulla Libia. La Russia prevede di perdere almeno 4 miliardi di dollari dalla mancata di vendita di armamenti alla Libia, ha annunciato in questi giorni la Rosoboronexport, la holding statale che si occupa dell'export di armi. 07:59 Da Mosca stop totale a vendita armi 64 1 La Russia proibirà completamente la vendita di armi alla Libia, sospendendo tutti i contratti in vigore con Tripoli. Lo annuncia il Cremlino. (10 marzo 2011)
CONTI PUBBLICI Moody's taglia il rating della Spagna Borse giù, lo spread fa un balzo La decisione dell'agenzia parte dai dubbi sui costi della eventuale ristrutturazione del sistema bancario. Sui mercati tornano le preoccupazioni sul debito dei paesi periferici, tutte le piazze in perdita. Volano i differenziali dei titoli di stato con il Bund tedesco Moody's taglia il rating della Spagna Borse giù, lo spread fa un balzo Elena Salgado, ministro spagnolo delle Finanze MADRID - Moody's taglia il rating sul debito sovrano della Spagna, portandolo da AA1 a AA2 con outolook negativo. La decisione manda in perdita tutte le Borse europee e fa scattare in alto lo spread fra il bund tedesco e i titoli pubblici dei paesi periferici dell'area euro, Italia inclusa. Il declassamento spagnolo, subito contestato dal governo Zapatero, è dovuto a tre ragioni: le preoccupazioni sui costi eccessivi della eventuale ristrutturazione del sistema bancario; la capacità del governo centrale di raggiungere obiettivi di finanza pubblica "sostenibili e strutturali", visti "i limiti del controllo" sui governi regionali"; la "crescita moderata" nel medio e lungo periodo dell'economia iberica. La decisione di Moody's ha riportato sui mercati i timori legati alla sostenibilità del debito dei paesi periferici (anche l'Italia dopo Grecia, Portogallo e Spagna) e spinto le Borse europee (Milano inclusa) in terreno negativo. Debole anche l'euro che è tornato a sfiorare quota 1,38 dollari al mercato dei cambi. L'effetto più evidente, però, la decisione di Moody's l'ha avuto sui titoli di stato, premiando il bund tedesco e facendo scattare al rialzo lo spread e il premio di rendimento dei Paesi 'periferici' e il rischio-default misurato dai credit-default swap (Cds). Il bund decennale, comprato come titolo difensivo di fronte alle incertezze, cede quattro centesimi al 3,25%. I rendimenti del decennale spagnolo sono poco mossi al 5,5% ma il premio rispetto al bund sale a 226 centesimi, segnando il rialzo più forte dallo scorso 31 gennaio. In tensione anche il debito greco: il rendimento sulla scadenza a due anni segna un balzo di 38 centesimi, il premio di rendimento decennale sul bund tedesco segna 954 punti, non lontano dal record segnato a gennaio. Lo 'spread' viaggia invece a 421 per il Portogallo, a 627 per l'Irlanda, a 224 per la Spagna e, a distanza, a 171 per l'Italia. I mercati, intanto, scommettono sempre più sul default della Grecia: i contratti 'cds' viaggiano a 1.040, un record storico. I credit-default swap sulla Spagna sono ai massimi del mese e guadagnano otto punti a 258, quelli sul Portogallo sono in rialzo di 8,5 punti a 505,5. (10 marzo 2011)
2011-03-06 Diretta Libia, il regime annuncia: "E' tregua" Ma i ribelli continuano ad avanzare Libia, il regime annuncia: "E' tregua" Ma i ribelli continuano ad avanzare Muammar Gheddafi Dopo la durissima battaglia a Zawiya che ha fatto decine di morti, il governo dichiara la riconquista di tre città. Gli insorti smentiscono: "È solo propaganda" e dicono di aver abbattuto due caccia. A Ras Lanouf proseguono gli scontri (Aggiornato alle 16:24 del 06 marzo 2011) 16:24 Misurata, i ribelli respingono attacco a Misurata 58 – Le milizie ribelli libiche hanno respinto un attacco alla città di Misurata delle forze fedeli a Gheddafi che sarebbero così state costrette a ritirarsi. 16:05 Colpi di artiglieria pesante nei pressi di Ben Jawad 57 – Alcuni colpi di artiglieria pesante sono risuonati in prossimità della strada che conduce a Ben Jawad. Dei veicoli con a bordo dei ribelli lasciavano la località in tutta fretta. 15:57 Opposizione conferma arresto diplomatico e militari gb 56 – Un diplomatico e del personale militare britannico sono stati arrestati al loro arrivo in una zona della libia controllata dai ribelli e sono attualmente "al sicuro": lo ha dichiarato un portavoce dell'opposizione libica confermando la notizia del loro arresto anticipata dal Sunday Times. 15:23 Usa: "Pronti ad attingere alle riserve di petrolio" 55 – L'amministrazione Obama è pronta ad attingere alle sue riserve strategiche di petrolio pur di aiutare a far calare il prezzo del greggio, in fortissimo rialzo in seguito alla crisi libica. Lo ha annunciato il capo dello staff della Casa Bianca, Bill Daley, in un'intervista a Meeet the Press, sulla Nbc. 15:22 Juppè: "No all'intervento militare" 54 – Un intervento militare in Libia avrebbe degli "effetti negativi": è quanto ha dichiarato dal cairo, dove è in visita, il ministro degli esteri francese, Alain Juppé. 15:02 Zawiya, ribelli resistono in città 53 – I ribelli libici sono riusciti a riconquistare la piazza al-Shuhada e il centro della città di Zawiya. Secondo quanto riferisce il giornalista libico Ali al-Mazdawi, in collegamento telefonico con al-Jazeera, i carri armati delle brigate fedeli a Muammar Gheddafi si sono ritirati dal centro e si sono posizionati nella periferia della citta' 14:43 Ue invia missione per valutare necessità umanitarie 52 – L'Unione Europea ha inviato una missione diplomatica a Tripoli per valutare sul posto le necessità umanitarie: lo ha annunciato il responsabile della politica estera dell'Ue, Catherine Ashton. La missione - guidata dall'italiano Agostino Miozzo - ha come obiettivo la raccolta di "informazioni dirette" e "valutare gli sforzi umanitari e di sgombero sul terreno per fare un bilancio di ciò che potrebbe essere necessario in termini di sostegno supplementare", si legge in un comunicato. Secondo fonti diplomatiche europee la missione - partita da Roma a bordo di un aereo messo a disposizione dal governo italiano - ha il compito di raccogliere informazioni e non di negoziare con il regime di Muammar Gheddafi. 14:40 Gb, tre voli per rimpatrio 500 bengalesi 51 – l governo britannico metterà a disposizione tre voli charter per rimpatriare 500 cittadini del Bangladesh in fuga dalla Libia dopo lo scoppio della rivolta e che hanno superato il confine con la Tunisia. Gli aeroplani partiranno oggi dallo scalo tunisino di Djerba alla volta di Dacca, capitale del Bangladesh. La decisione, si legge in un comunicato rilasciato dal ministero per lo Sviluppo Internazionale britannico, è stata presa in seguito a una visita del campo profughi tunisino del ministro Andrew Mitchell. Coperte e tende sono state inoltre fornite per assistere fino a 7500 persone 14:33 Cronista francese ferito sta bene, jma sotto shock 50 – Si chiama Jean Marie Lomar e lavora per France 24, il giornalista rimasto ferito oggi nell'attacco sferrato a Ben Jawad, 100 chilometri a est di Sirte, dalle forze fedeli a Muammar Gheddafi contro gli insorti. Il giornalista è stato colpito ad una gamba ed è ricoverato, insieme agli altri feriti nella stessa battaglia, nell'ospedale di Ajdabiya che si trova a 100 chilometri di distanza da Ras Lanuf. Il giornalista è sotto shock, ma non è in pericolo di vita. 14:31 Belgio mette a disposizione velivolo per ponte aereo 49 – Il Belgio ha messo a disposizione un velivolo militare per il ponte aereo destinato a facilitare l'evacuazione dei profughi dalla Libia. L'aereo, un airbus A 330, partito oggi dalla base di Melsbroek, sarà in grado da lunedì di compiere viaggi, con 250 persone a bordo ogni volta, da Djerba, nel sud della Tunisia, alla volta del Cairo e di altre destinazioni africane come il Mali e il Ciad. Il Belgio ha reso noto anche di aver stanziato un milione di euro da mettere a disposizione della Croce rossa internazionale per gli aiuti umanitari nella regione. 14:30 Ben Jawad, governativi usano scudi umani 48 – Nella battaglia in corso a Ben Jawad i governativi stanno facendo uso di scudi umani contro i ribelli per avanzare nella città. Lo ha raccontato un testimone, Mohamed 20 anni, di Darma. Il giovane ha detto che i governativi prendono anche donne e bambini come scudi umani. 14:22 Ribelli: "Forze speciali britanniche catturate stanno bene" 47 – Le forze speciali britanniche catturate dai ribelli libici ''stanno bene'', si trovano ''in mani sicure'' e la situazione verra' ''presto risolta''. Lo ha detto alla Reuters una fonte del movimento di rivolta libico di Bengasi. ''Le truppe ribelli - ha confermato la fonte - hanno davvero preso in ostaggio membri delle forze speciali britanniche. Non potevano stabilire con certezza se erano forze amiche o nemiche. Per la nostra stessa sicurezza li stiamo tenendo prigionieri ma riteniamo che questa situazione verra' presto risolta. Stanno bene e sono in mani sicure. Non sappiamo perché il governo britannico non si è messo in contatto prima con noi e perché non ha spiegato il motivo della loro missione''. 14:17 Gb: "No-fly zone ancora in fase di valutazione" 46 – L'ipotesi di creare una zona di interdizione al volo sulla Libia è ancora in fase di valutazione: lo ha affermato il ministro degli esteri britannico William Hague, intervistato dalla Bbc. "Sottolineo che si tratta di una pianificazione di emergenza: ogni applicazione di una no-fly zone dovrebbe naturalmente avere un forte sostegno internazionale ed una base legale, in modo da essere pronti se il regime colpisse ancora più duramente il suo stesso popolo utilizzando la forza aerea contro i civili su larga scala", ha concluso Hague. 13:57 Amnesty: "I morti non si contano più" 45 – ''La situazione è grave e talmente degenerata che non si riescono a contare quante salme arrivano negli obitori, perché le famiglie le seppelliscono in fretta e furia. Gheddafi ha paragonato la situazione a quella della Cina, alla crisi di Tienanmen, mi rifaccio a lui nel dire che si sono superate diverse Tienanmen per numero di feriti e morti in queste settimane in Libia''. Lo afferma il portavoce di Amnesty International Italia Riccardo Noury. 13:45 Misurata, almeno tre morti. Decine i feriti 44 – Quattro carri armati delle truppe governative libiche sarebbero entrati nella città di Misurata, aprendo il fuoco indiscriminatamente contro la popolazione e prendendo di mira anche un'ambulanza: è quanto riporta il sito della Bbc citando testimonianze locali, econdo le quali il bilancio delle vittime sarebbe di almeno tre morti e decine di feriti. I carri armati delle truppe governative stanno bombardando la sede della radio, e risuona anche il fuoco di armi automatiche: "Gli abitanti della città non sono armati, se la comunità internazionale non interviene rapidamente sarà un massacro", ha raccontato un residente raggiunto telefonicamente dall'agence France presse. 13:41 Fini: "Rischio regimi islamisti, ma politica italiana altrove" 43 – Mentre nel Mediterraneo "c'è un sommovimento culturale e sociale, un fenomeno di una portata forse maggiore di quello che è stato il 1989 per l'Est europeo, la politica italiana è altrove e il dibattito non riguarda le possibili conseguenze per il nostro Paese". Lo ha detto il presidente della Camera Gianfranco Fini nel suo intervento al cinema Adriano per la prima assemblea dei circoli di Fli. Il leader futurista ha messo in guardia dal rischio che "si insedino regimi islamistici. Non è solo un problema di congelamento dei beni libici, anche se sappiamo che per qualcuno 'pecunia non olet'". 13:37 Boniver stasera in Tunisia, inviato speciale emergenze 42 – Su incarico del ministro degli esteri Franco frattini, e mentre continua l'attività di rimpatrio dei fuoriusciti dalla Libia coordinata dalla cooperazione della Farnesina in raccordo con le altre istituzioni italiane, l'inviato speciale del ministro degli Affari estreri per le emergenze umaniterie, Margherita Boniver, si recherà questa sera a Tunisi dove avrà una serie di incontri con le autorità tunisine e con i rappresentanti delle organizzazioni internazionali: è quanto si legge in una nota della Farnesina. 13:35 Ex ministro della Giustizia: "Gheddafi capace di genocidio prima di morire" 41 – Muammar Gheddafi sarebbe capace di ''commettere un genocidio'' prima di morire. Lo ha detto l'ex ministro della giustizia Mustafa Abdeljalil, capo del Consiglio nazionale istituito dai rivoltosi a Bengasi. In una intervista al quotidiano algerino ''Echuruk'', Abdeljalil ha ricordato che il colonnello dispone di una forza di 5mila mercenari provenienti da diversi paesi africani, uomi che ''continueranno ad arrivare in Libia per aiutare il regime''. 13:12 Infermiera ucraina in Tv: "Gheddafi sta bene" 40 – Muammar Gheddafi è in buone condizioni di salute ed è un ''grande psicologo''. Lo ha detto una delle infermiere del leader libico in un'intervista a una tv locale ucraina. La donna, filmata in segreto mentre parlava col giornalista, è stata identificata solo con il nome di Oksana. L'infermiera ha lasciato la Libia a febbraio mentre le forze leali a Gheddafi stavano cercando di soffocare la rivolta. 13:10 Al Jazeera: "Sono due i caccia abbattuti" 39 – Sarebbero due i caccia abbattuti daI ribelli libici nella zona di Ras Lanuf e Bin jawad. Lo ha annunciato l'inviato della tv araba 'al-Jazeera', secondo il quale i rivoltosi sono riusciti a catturare due piloti dei velivoli abbattuti che sono entrambi cittadini siriani. Farebbero parte di una brigata di miliziani siriani che Muammar Gheddafi ha creato anni fa per difendere il suo regime. Anche secondo la tv concorrente 'al-Arabiya' le città libiche di Ras Lanuf, Brega, Tobruk, Ajdabiyah e al-Baydha sono ancora in mano agli insorti. 12:52 Parigi sostiene Consiglio nazionale dell'opposizione 38 – La Francia ''accoglie con favore'' la creazione del Consiglio nazionale dell'opposizione libica, organo di governo degli insorti, e ''sostiene i principi su cui si fonda e gli obiettivi che si e' prefisso''. Lo ha annunciato il portavoce del ministro degli esteri Bernard Valero. In una nota Parigi saluta ''l'impegno per l'unità che ha portato alla costituzione del Consiglio e incoraggia i responsabili e i movimenti che lo compongono a proseguire nella loro azione con questo spirito'' 12:46 Scontri a Ben Jawad, almeno due molti e 30 feriti 37 – È di almeno due morti e una trentina di feriti il bilancio delle vittime dei combattimenti nella località libica di Ben Jawad, un centinaio di chilometri ad est di Sirte 12:45 Governo libico abolisce tasse dopo 'vittoria' su ribelli 36 – Il governo libico ha disposto l'abolizione delle tariffe d'importazione sui beni di consumo e il taglio delle tasse su consumi e produzione. Lo riferisce la tv di stato. Tale decisione, continua la tv, è stata presa ''in occasione delle grandi vittorie libiche sulle bande di terroristi'' riferendosi agli scontri fra le forze leali al colonnello Muammar Gheddafi e gli insorti contro il regime. 12:44 Farnesina: "Partito da Djerba C130 con 60 egiziani" 35 – È decollato questa mattina dall'aeroporto di Djerba in Tunisia un altro volo C130 che porterà 60 cittadini egiziani a Il Cairo. Lo rende noto la Farnesina sottolineando che prosegue l'azione coordinata dal Ministero degli Esteri per facilitare il rientro nei loro Paesi dei profughi al confine tunisino libico. 12:28 Attacco all'ingresso di Misurata 34 – I residenti di Misurata fanno sapere che le forze del regime stanno attaccando con carri armati ed artiglieria all'ingresso della città 12:20 Farnesina: prosegue rientro profughi 33 – Prosegue l'azione coordinata dal Ministero degli Esteri per facilitare il rientro nei loro Paesi dei profughi al confine tunisino libico. E' infatti decollato questa mattina dall'aeroporto di Djerba in Tunisia un altro volo C130 che porterà 60 cittadini egiziani a Il Cairo. E' quanto si legge in una nota della Farnesina. 12:20 Ribelli: manteniamo impegni su petrolio 32 – Il Consiglio dei ribelli ha comunicato che garantirà il rispetto di tutti i contratti con compagnie petrolifere internazionali 12:18 Governo abolisce dazi e riduce tasse beni di consumo 31 – Il regime libico ha annunciato, tramite la tv di stato di Tripoli, l'abbassamento di alcune tasse e l'abolizione dei dazi doganali sui beni di prima necessità. Con un messaggio apparso sugli schermi dell'emittente di regime, si annuncia che "in occasione delle vittorie ottenute dal popolo libico contro le bande terroriste, il Comitato popolare generale ha deciso di abbassare i dazi doganali sui beni di prima necessità fino allo zero percento e del 5% su tutti gli altri beni. Ha inoltre deciso di cancellare la tassa sui prodotti al consumo". 12:16 Il Consiglio dei ribelli: abbiamo cibo per 3-4 mesi 30 – L'organismo degli insorti fa sapere che la situazione dei rifornimenti è "ottima" 12:09 La preghiera del Papa 29 – Alla Libia, "dove i recenti scontri hanno provocato numerosi morti e una crescente crisi umanitaria" il Papa rivolge un "accorato pensiero". E "a tutte le vittime e a coloro che si trovano in situazioni angosciose", dice Benedetto XVI, "assicuro la mia preghiera e la mia vicinanza, mentre invoco assistenza e soccorso per le persone colpite". Lo ha detto dopo la preghiera dell'Angelus. 12:02 Ferito reporter francese 28 – Un repoter francese è stato ferito durante i combattimenti tra i ribelli libici e le forze governative nei pressi di Ras Lanouf. Lo riporta un testimone sottolineando che le forze leali a Gheddafi hanno pagato i residenti dei villaggi per potersi nascondere nelle loro case e colpire le forze dei rivoltosi. 11:58 Almeno due morti a Ben Jawad 27 – Due persone sono rimaste uccise e una trentina ferite nei combattimenti a Ben Jawad 11:56 Veltroni: "Ora in piazza" 26 – Walter Veltroni in un post sul suo profilo Facebook invita a scendere in piazza a sostegno del popolo libico. "Cedere all'egoismo e lasciare soli coloro che si battono, forse in modo confuso e contraddittorio, per la libertà non è da noi. Perchè i partiti democratici , i sindacati, le associazioni di massa non promuovono una grande manifestazione e una campagna di solidarietà? Il destino di quella parte del mondo dipenderà anche dal grado di vicinanza che sapremo garantire a chi si batte contro le dittature. Se non ora quando?" 11:42 Un morto e otto feriti in scontri a Misurata 25 – È di un morto e otto feriti il primo bilancio degli scontri iniziati questa mattina nella periferia della città libica di Misurata. Secondo quanto riferiscono fonti dei ribelli, contatti dalla tv satellitare 'al-Arabiya', i rivoltosi sarebbero riusciti a respingere le brigate Hamza che si starebbero ritirando dall'entrata occidentale della città, mentre si combatte ancora nella zona meridionale di Misurata. Nel corso di un collegamento telefonico con un testimone locale era possibile udire chiaramente i colpi di mitra sparati in città. 11:40 Ribelli: "Controlliamo ancora Zawiya" 24 – I rivoltosi libici hanno comunicato che controllano ancora il centro di Zawiya, la città a ovest di Tripoli che sabato ha subito un violento attacco dei tank delle forze governative. Secondo quanto comunicato dai rivoluzionari, l'attacco è stato respinto. 11:30 Ribelli si ritirano da Ben Jawad 23 – Le milizie ribelli libiche si sarebbero ritirate da Ben Jawad, teatro di violenti scontri nel quali sono rimaste ferite almeno 15 persone. 11:24 Tank di Gheddafi sparano a Misurata 22 – Le forze fedeli al leader libico Mummar Gheddafi hanno avviato un'offensiva sulla città di Misurata, controllata dai ribelli, dove è in corso un bombardamento di artiglieria pesante: lo hanno reso noto testimonianze locali. 11:02 Insorti: "Abbiamo abbattuto elicottero" 21 – I ribelli libici hanno annunciato di aver abbattuto un elicottero durante i combattimenti che li oppongono alle forze di Gheddafi a Ras Lanuf nell'est del Paese. 11:00 Esplosioni e cannonate a Ras Lanuf 20 – Infuria ormai la battaglia a Ras Lanuf, la città petrolifera bombardata dalle forze aeree di Muammar Gheddafi. È stata udita una fortissima esplosione, seguita dai colpi dei cannoni della contraerea dei rivoltosi. In precedenza erano stati bombardati un posto di blocco dei ribelli e un accampamento installato in una caserma dell'esercito assaltata. 10:59 Gheddafi: "Congelamento beni è atto di pirateria contro Libia" 19 – "Questo congelamento dei beni è un atto di pirateria imposto in gran parte sul denaro del popolo libico". Così ha detto Muammar Gheddafi sfidando chiunque a dimostrare che "un solo dinaro sia mio. Volevano rubare i soldi dello stato libico ed hanno mentito" 10:55 Brigate Gheddafi attaccano Misurata 18 – Le brigate libiche Hamza, fedeli al colonnello Muammar Gheddafi, si sono mosse dall'aeroporto di Misurata e hanno iniziato ad attaccare la città. Secondo quanto ha riferito un testimone, contattato telefonicamente dalla tv satellitare 'al-Arabiya', le forze di Gheddafi stanno avanzando dall'entrata occidentale della città, quella che porta verso Tripoli, usando i carri armati. Sui cieli di Misurata si vedono anche degli elicotteri militari che non hanno ancora aperto il fuoco. Si registrano violenti scontri in città e gli abitanti chiedono alla comunità internazionale di intervenire per salvare la popolazione locale. 10:53 Brigate pro Gheddafi bombardano Zawiya 17 – Le brigate fedeli a Muammar Gheddafi hanno ripreso questa mattina i bombardamenti contro gli edifici del centro di Zawiya. Lo riferisce la tv satellitare 'al-Arabiya' secondo la quale i carri armati starebbero attaccando gli edifici che si trovano intorno alla piazza al-Shuhada dove sono asserragliati i ribelli. 10:45 Ministero della Difesa britannico conferma presenza diplomatici 16 – Il ministero della Difesa britannico ha confermato oggi la presenza di un piccolo gruppo di diplomatici a Bengasi aggiungendo che è in contatto con loro. 10:40 Al Jazeera: "Ribelli a 50 chilometri da Sirte" 15 – I ribelli libici che da oriente avanzano verso la parte occidentale della Libia si troverebbero a 50 chilometri di distanza dalla città di Sirte. È quanto ha annunciato l'inviato a Bengasi della tv araba 'al-Jazeera', secondo il quale i caccia libici questa mattina hanno eseguito una serie di raid fuori Ras Lanuf contro gli insorti che stanno marciando verso la città considerata come la roccaforte di Muammar Gheddafi. 10:33 Ministero della Difesa britannico non commenta cattura squadra forze speciali 14 – Il ministero della Difesa britannico si è rifiutato di rilasciare commenti sulla notizia secondo la quale i ribelli libici avrebbero catturato nell'Est del Paese una squadra delle forze speciali inglesi, dopo che una missione diplomatica segreta per prendere contatto con l'opposizione era fallita. Lo stesso ministero ha poi detto che la Gran Bretagna non ha in programma di usare forze militari inglesi in Libia. 10:10 Tre evacuati bengalesi annegano in acque greche 13 – Almeno tre persone evacuate dalla Libia verso la Grecia sono annegate stamane nelle acque di Creta dopo essere saltate in mare dalla nave che li aveva condotti in porto. Secondo i media, la Ionian King, che aveva a bordo soprattutto cittadini del Bangladesh, è arrivata a Souda Bay con 1.200 rimpatriati. Una cinquantina di essi, forse per evitare l'identificazione si sono gettati in mare quando già in porto. Tre sono morti e 17 mancano all'appello 10:02 Si combatte a Ben Jawad, almeno 14 feriti 12 – Almeno quattordici persone, fra le quali un giornalista francese, sono rimaste ferite negli scontri in corso fra in ribelli libici e le forze governative a Ben Jawad, un centinaio di chilometri ad est di Sirte: lo hanno reso noto fonti ospedaliere locali. 10:01 Spari nel centro di Tripoli 11 – Un nutrito fuoco di armi automatiche è risuonato questa mattina nel centro di Tripoli, non lontano dalla piazza verde: secondo le autorità libiche, si tratta di una manifestazione di gioia per la notizia della riconquista di alcune città nell'Est del Paese da parte delle forze fedeli al leader libico Gheddafi. 09:54 Ribelli arrestano militari forze speciali gb 10 – Un'unità delle forze speciali britanniche di scorta a un diplomatico è stata arrestata dalle forze ribelli libiche nell'Est del Paese: è quanto riporta il settimanale britannico The Sunday Times, secondo il quale gli otto militari e il funzionario sarebbero trattenuti a Bengasi. Il Foreign office non ha né confermato né smentito la notizia; secondo il settimanale la presenza della scorta ha preoccupato le autorità ribelli, che temono che il leader libico Muammar Gheddafi possa utilizzare ogni prova di ingerenza occidentale per rafforzare il sostegno al proprio regime". 09:33 Gheddafi: "Migliaia di persone invaderanno l'Europa" 9 – "Migliaia di persone invaderanno l'Europa dalla Libia, senza nessuno che le fermi", ha detto il leader libico Gheddafi in una intervista al settimanale francese Le Journal de Dimanche. 09:30 Insorti smentiscono che Misurata sia stata ripresa da forze pro Gheddafi 8 – I residenti della città libica di Misurata, 200 chilometri a est di Tripoli, hanno smentito le notizie di fonte governativa negando che sia stata riconquistata dalle forze pro Gheddafi. ''La città è sotto il pieno controllo dei rivoluzionari - hanno detto alcuni abitanti al telefono con la Reuters - Lo è da circa due settimane. Ora c'è calma e non ci sono combattimenti''. La stessa fonte ha detto tuttavia di aver sentito ''spari questa mattina presso l'aeroporto... Le brigate (di Gheddafi) sono là, ma sono circondate dai ribelli e hanno sparato a caso per terrorizzare le persone''. 09:23 Gheddafi: "Combattiamo terrorismo, nessuno ci aiuta" 7 – Il leader libico Muammar Gheddafi, nell'intervista al settimanale francese Le Journal de dimanche, ha anche detto di essere impegnato in una guerra contro il terrorismo e ha espresso sorpresa per l'assenza di sostegno dall'estero. "Sono sorpreso che nessuno comprenda che questa è una lotta contro il terrorismo - ha detto Gheddafi -. I nostri servizi di sicurezza cooperano. Vi abbiamo aiutato molto in questi anni. Così perché quando noi siamo in guerra con il terrorismo qui in Libia, nessuno ci aiuta in cambio?". 09:21 Gheddafi propone Commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite in Libia 6 – Una Commissione di inchiesta delle Nazioni Unite o dell'Unione Africana per valutare sul posto la situazione in Libia: la proposta arriva dal leader libico Muammar Gheddafi, intervistato dal settimanale francese Le Journal du Dimanche. "Permetteremmo a tale commissione di muoversi nel Paese, senza alcun ostacolo", ha aggiunto Gheddafi, che si è detto favorevole all'ipotesi di una guida o di una coordinazione francese dell'organismo internazionale. 09:14 Insorti: "Anche Tobruk in mano nostra. Quella della tv è solo propaganda" 5 – Gli insorti in Libia hanno smentito che la città di Tobruk sia stata riconquistata dalle forze governative del colonnello Muammar Gheddafi. La notizia della ripresa di Tobruk, come di Ras Lanuf, era stata data dalla tv di stato libica questa mattina. "È solo propaganda" ha detto uno di loro. 09:13 Raid aereo su Ras Lanuf 4 – Un aereo da combattimento delle forze armate libiche ha compiuto un raid presso un posto di blocco degli insorti nella città petrolifera strategica di Ras Lanuf, causando crateri nella sabbia e una colonna di fumo. Lo riferiscono testimoni oculari secondo i quali sono stati lanciati due missili, ma non vi sono state vittime né danni. 09:09 Giornalisti France Presse smentiscono tv libica: "Ras Lanuf in mano a ribelli" 3 – La città libica di Ras Lanouf è ancora in mano ai ribelli, contrariamente a quello affermato dalla tv di stato libica. Lo hanno reso noto gli insorti e lo hanno constatato giornalisti della France Presse sul posto. 09:07 Tv libica: "Tolte a ribelli Tobruk, Misurata e Ras Lanuf" 2 – Secondo la televisione di Stato libica, le forze fedeli al leader libico Muammar Gheddafi avrebbero ripreso il controllo di tre città nell'Est del Paese e le truppe governative starebbero dirigendosi verso Bengasi, roccaforte dei ribelli. La tv di Stato libica ha citato fonti militari. Secondo l'emittente - che ha trasmesso le immagini di manifestazioni di gioia nella piazza verde di Tripoli - le truppe governative avrebbero ripreso il controllo di Tobruk, Misurata e Ras Lanuf. 09:06 Voci di accordo tra tribù per stop ostilità 1 – Secondo voci non confermate raccolte a Tripoli, si sarebbe raggiunto nella notte un accordo tra le tribù libiche per la cessazione delle ostilità. Le stesse fonti sostengono che gli spari sentiti stamani in città sono per festeggiare. Si dice che l'annuncio sarà dato da Gheddafi in persona nelle prossime ore. (06 marzo 2011)
L REPORTAGE Quegli spari di "festa" a Tripoli Così Gheddafi tenta di sviare la rivolta I caroselli di auto e le manifestazioni di giubilo, ufficialmente legati all'annuncio della tregua e della caduta di tre città avamposto dei ribelli, in realtà nascondono una manovra propagandistica del regime per finire sui media arabi e disinformare le aree del Paese in mano agli insorti. Tra le ipotesi, anche una reale sparatoria nel compound del rais dal nostro inviato VINCENZO NIGRO Quegli spari di "festa" a Tripoli Così Gheddafi tenta di sviare la rivolta TRIPOLI - Un incredibile carosello di tifosi filo-Gheddafi è stato inscenato dalle 7 di questa mattina a Tripoli, sulla Piazza Verde e davanti ai due alberghi in cui sono alloggiati i giornalisti internazionali, il Rixos e il Corinthia. Slogan, bandiere, clackson e soprattutto spari in aria di kalashnikov e contraerea per festeggiare la "tregua" che sarebbe stata raggiunta fra le tribù e la "riconquista" di molte città, secondo quanto sostiene la televisione libica. Ma da ciascuna delle città date per riprese dal regime (Tobruk, Ras Lanus, Bengasi) in questi minuti stanno arrivano le smentite dei ribelli: le città liberate sono ancora in mano alla rivolta. Gli unici dubbi sono ancora su Zawiya, il centro che sorge 45 chilometri ad Ovest di Tripoli, sulla strada verso la Tunisia. Assediata da una decina di giorni, di fatto è circondata e conquistata, anche se un gruppo di ribelli potrebbe essere asserragliato dentro e attorno a una moschea del centro. Ma torniamo a Tripoli: da ore una folla di sostenitori del regime, su auto private e autobus messi a disposizione del governo, sta impazzando per le strade della città. La messinscena è spiegabile in vari modi. Primo: in questo modo le false informazioni sulla riconquista delle città dell'Est rimbalzano sulle tv internazionali, creano panico e disorientamento tra i ribelli, e rientrano poi in Libia attraverso gli stessi canali satellitari. Il regime comunque dimostra al suo popolo e al mondo di essere ancora in grado di controllare non solo la sicurezza, ma anche la mobilitazione interna a Tripoli. Secondo: un'ipotesi nulla affatto da scartare è che le prime violentissime sparatorie della notte siano state un vero e proprio scontro armato all'interno di uno dei compound in cui sono rinchiusi i militari fedeli a Gheddafi e quelli che difendono altri pezzi del regime. Secondo fonti internazionali e secondo alcuni cittadini libici, è assolutamente possibile che il regime, dopo ore di sparatorie violentissime, abbia mobilitato il carosello di stamane per coprire il caos di stanotte. "Sono assolutamente capaci di farlo, lo fanno di continuo, ancora in queste ore danno ordine agli spazzini di cancellare le scritte anti-Gheddafi sui muri, ordinano alla gente di manifestare in strada per far vedere che il regime ha ancora supporto". Di sicuro, assieme alla guerra di informazione e disinformazione, Gheddafi continua a manovrare pezzi della macchina militare contro i ribelli e contro le città che gli si sono rivoltate contro. Nelle prossime ore ci si attende una valutazione sul destino di Zawiya, città-simbolo della rivolta in Tripolitania. (06 marzo 2011)
2011-03-03 LIBIA Nuovo bombardamento su terminal a Brega Gheddafi indagato per crimini contro umanità Lo riferiscono testimoni nella città in cui ieri gli insorti hanno respinto un attacco aereo e di terra delle truppe fedeli al raìs. Esplosione vicina agli impianti petroliferi. Il Tribunale penale internazionale apre un'inchiesta per le violenze nel Paese, nel mirino i vertici del regime. Operativo blocco Ue dei beni per i 6 componenti della famiglia del leader libico Nuovo bombardamento su terminal a Brega Gheddafi indagato per crimini contro umanità Raffineria a Brega TRIPOLI - Nuovo bombardamento sul centro di Brega, la città libica orientale dove ieri gli insorti hanno respinto un attacco aereo e di terra delle truppe fedeli di Gheddafi. "Ho sentito un aereo, poi l'esplosione ed ho visto un cratere", ha detto un testimone, Mohammed Shibli da Brega, precisando che la bomba è caduta vicino all'università di ingegneria che si trova a circa due chilometri dal terminal petrolifero per l'export. "C'è stato un attacco aereo circa un'ora e mezzo fa L'ho visto con i miei occhi", ha detto da parte sua Awadh Mohammed, un volontario che sta con i ribelli. Mentre continuano gli scontri nel Paese, si stringe la morsa contro il raìs: è operativo il blocco dei beni della famiglia Gheddafi deciso dalla Ue insieme all'embargo delle armi e il Tribunale penale internazionale ha aperto un'inchiesta per crimini di guerra in cui risulta indagato il leader libico, insieme ai vertici del regime. Intanto, le tre navi da guerra americane transitate per il Canale di Suez sono ormai a 50 miglia dalle coste libiche. Raid aereo anche su Ajdabiya. Continua, quindi, la strategia della minaccia di Gheddafi, mentre i ribelli si stanno dirigendo in massa verso la città nell'est del paese, per rafforzare le loro posizioni in previsione di una nuova controffensiva delle truppe del colonnello. Nella parte orientale del paese, ormai controllata dai ribelli, il leader libico ha intanto inviato truppe e aerei caccia. Nuovi raid aerei si sono avuti questa mattina anche sulla città di Ajdabiya, in Cirenaica, che ieri insieme a Brega è riuscita a resistere agli attacchi condotti dalle brigate fedeli al leader libico. Ong denuncia: 25mila mercenari pagati con le rendite petrolifere. Dalla lega libica per i diritti umani arriva la denuncia che i mercenari che combattono per il colonnello contro la rivolta popolare in Libia sono circa 25mila e vengono pagati tra i 300 e i 2mila dollari con gli introiti della rendita petrolifera. Non tutti sono stati ancora dispiegati, dice il portavoce della ong Ali Zeidan. A guidarli sono due generali del Ciad che rispondono agli ordini dell'ambasciatore del Ciad in Libia, Daussa Deby, fratello del presidente del Ciad Idriss Deby, ha detto ancora Zeidan, secondo cui ci sono almeno 3.000 mercenari sono a Tripoli e altri 3.000 intorno alla capitale. Molti vengono dal Ciad, ma anche da Niger, Mali, Zimbabwe o Liberia, ha precisato il portavoce. Tre soldati olandesi in mano a milizie filo Gheddafi. Tre soldati olandesi sono stati catturati da milizie fedeli al raìs nel corso di un'operazione di soccorso umanitario nel nord della Libia, riferisce il ministero della Difesa olandese. La notizia è stata confermata anche dalla marina olandese, che fa sapere che sono in corso negoziati per il loro rilascio. Secondo il quotidiano olandese De telegraaf i soldati erano sbarcati da un elicottero su cui si trovavano anche due civili, atterrato nella sirte per organizzare lo sgombero di sfollati. I civili, scrive il giornale, sono stati poi consegnati all'ambasciata olandese a Tripoli. Navi Usa a 50 miglia dalla costa. Le navi americane da guerra che ieri hanno attraversato il Canale di Suez alla volta del Mediterraneo sono ormai a 50 miglia dalle coste libiche. Si tratta della Uss Kearsarge, che trasporta elicotteri, della Uss Ponce con a bordo munizioni e mezzi da sbarco e della nave da trasporto Andrid che ha a bordo mezzi blindati. Ue, operativo il blocco dei beni. Dall'Europa intanto arrivano misure concrete contro il regime: da oggi è operativo il blocco dei beni dei sei principali componenti della famiglia Gheddafi e di 20 stretti collaboratori del regime libico. Il regolamento Ue che dispone il congelamento di tutti i fondi e le risorse economiche di queste 26 persone è stato pubblicato oggi sulla Gazzetta Ufficiale dell'Ue ed è entrato immediatamente in vigore. Riguarda tutti i beni "appartenenti, posseduti, detenuti o controllati" dalle persone indicate negli elenchi e dispone anche l'embargo totale sulla vendita di armi e il divieto di fornire attrezzature utilizzabili per la repressione interna come veicoli dotati di cannoni ad acqua, giubbotti antiproiettile, visori notturni, coltelli con lama superiore ai 10 centimetri e filo spinato tagliente. Tpi: Gheddafi indagato per crimini contro umanità. Sul piano diplomatico, l'Alto rappresentante Ue per la politica estera e la sicurezza, Catherine Ashton, ha convocato una riunione straordinaria informale dei ministri degli esteri dei 27 per il 10 marzo a Bruxelles. Si muove anche il Tribunale penale internazionale, che ha aperto un'inchiesta sui "crimini contro l'umanità compiuti in Libia dal 15 febbraio scorso", nella quale è indagato Gheddafi, insieme ai vertici del regime libico: lo ha annunciato a l'Aja il procuratore generale della corte, Luis Moreno Ocampo. Nato: pronti ad ogni eventualità. Il raìs ha promesso ieri che ci saranno migliaia di morti nel caso di un intervento militare degli occidentali in Libia. Per ora la Nato non prevede un intervento militare in Libia, ma si prepara ad ogni eventualità, ha detto oggi il segretario generale dell'alleanza, Anders Fogh Rasmussen. Secondo Al Jazeera, Gheddafi sarebbe favorevole al piano di pace proposto da Hugo Chavez. Nel corso di un colloquio telefonico di ieri tra i due leader, il presidente venezuelano ha proposto di creare una missione internazionale formata da paesi amici per mediare tra i dirigenti libici e i ribelli. Già lunedì il capo di stato venezuelano aveva lanciato l'idea di creare una missione internazionale di pace formata da molti paesi amici, che può esercitare un ruolo di mediazione tra il colonnello libico e gli insorti, condannando ogni intervento militare, che, secondo lui, sarebbe "una catastrofe". (03 marzo 2011)
2011-03-02 LIBIA Gheddafi sfida l'Occidente controffensiva contro i ribelli In un discorso fiume il leader libico si rivolge a una platea di sostenitori in occasione del 34esimo anniversario dell'istituzione della Jamahiria. E minaccia "milioni di morti" in caso di intervento militare internazionale. Attacca anche l'Italia: "Costretti in ginocchio, dovrà pagare". Bombardamenti a Brega, battaglia nell'est. Continua l'emergenza profughi alle frontiere Gheddafi sfida l'Occidente controffensiva contro i ribelli Muammar Gheddafi TRIPOLI - "Il potere è nelle mani del popolo, sfido chiunque a dimostrare il contrario". Muammar Gheddafi riappare in pubblico, circondato dai suoi sostenitori, e torna a far sentire la sua voce in occasione del 34esimo anniversario della Jamahiria, "l'instaurazione dell'autorità del popolo". Immagini trasmesse dalla tv di Stato libica, rilanciate dai network internazionali, mostrano il raìs che si rivolge a una platea che lo osanna, intonando canti in suo favore e applaudendo. E lancia la sua sfida alla Nato, all'Europa e agli Stati Uniti minacciando "milioni di morti" in caso di intervento militare. "Vogliono rioccuparci per prenderci il nostro petrolio ma noi - ha detto - lotteremo fino all'ultimo uomo e all'ultima donna". Parole pronunciate mentre le forze a lui fedeli lanciano la controffensiva militare nell'est bombardando Brega. E gli Usa fanno sapere - per bocca del ministro della Difesa Robert Gates - che la creazione di una 'no-fly zone' richiederebbe un attacco contro la Libia. Il discorso di Gheddafi: "Al Qaeda dietro i disordini". Rivolgendosi alla comunità internazionale, Gheddafi alterna frasi ad effetto, retorica e minacce, rivendicando prima di tutto la specificità del sistema politico libico: "Non siamo un regime presidenziale, il nostro sistema è diverso, tutto il potere è nelle mani dei comitati popolari" dice. "Il popolo è la guida del Paese" aggiunge, sfidando la comunità internazionale che gli chiede di dimettersi: "Dal 1977 non ho più poteri, né di tipo politico né di tipo amministrativo". Non ha alcun ruolo da cui dimettersi, quindi. Il colonnello attacca ancora una volta anche l'Italia: "Li abbiamo costretti ad inchinarsi, a scusarsi per il regime coloniale, ci pentiamo del rapporto che abbiamo avuto con loro, l'Italia dovrà pagare". A Berlusconi che dice che non controlla la Libia risponde: "La famiglia Gheddafi è la Libia". Nel suo discorso fiume - il terzo dall'inizio della rivolta - accusa l'estero di fomentare la rivolta: "Tutto quello che sta accadendo è solo un insulto alla nostra storia", dice attribuendo la responsabilità dei disordini che stanno spaccando il Paese alla rete del terrore di Bin Laden: "Ci sono i militanti di Al Qaeda e alcuni libici reduci dall'Afghanistan dietro la rivolta di questi giorni", denuncia il raìs. Che non risparmia, ancora una volta, la stampa estera, colpevole di aver "montato il caso di una sola e piccola manifestazione nella città di Bengasi". In caso di un intervento della Nato o degli Stati Uniti nel Paese, minaccia poi, ci saranno "milioni di morti". Gheddafi lancia infine un avvertimento alle compagnie petrolifere: la produzione di petrolio in Libia è scesa ai livelli "più bassi", a causa della partenza dei dipendenti delle società straniere dopo l'inizio della rivolta: "Siamo pronti a sostituire le compagnie occidentali con imprese dalla Cina e India", dice. Controffensiva dei fedeli al regime, battaglia a Brega. Sul campo, le forze armate libiche rimaste fedeli al regime hanno lanciato una controffensiva dopo che nei giorni scorsi gli insorti si erano spinti fino alle porte di Tripoli. Nella città di Brega, a circa 200 chilometri a est di Bengasi, quartier generale dei ribelli, l'esercito regolare ha occupato con mezzi pesanti un quartiere residenziale e si sono scatenati pesanti scontri per il controllo del porto. Nel pomeriggio c'è stato un nuovo attacco aereo contro la città e gli oppositori. Nello stesso tempo l'aviazione avrebbe condotto raid nella regione di Ajdabiya, controllata dagli insorti, a quanto pare per distruggere un deposito di munizioni finito nelle mani dei rivoltosi nei giorni scorsi. Il controllo di Brega e Ajdabiya è strategico per permettere agli insorti di lanciare un'offensiva contro la capitale nella speranza di riuscire a deporre il colonnello. Ieri le forze fedeli al regime erano riuscite a riprendere il controllo della regione immediatamente a sud di Tripoli arrivando nei pressi della città di Zenten, a 145 chilometri dalla capitale. Nella stessa Tripoli intanto appare predominare la calma mentre l'aeroporto si è trasformato in una sorta di campo profughi con migliaia di persone che attendono di poter partire. Emergenza profughi alle frontiere. Gli immigrati in fuga si stanno ammassando al valico di frontiera con la Tunisia, Ras Jedir, "al ritmo di 10.000 al giorno". E' quanto afferma il colonnello Moez Dachraui, responsabile delle operazioni di accoglienza in Tunisia, e si teme "una catastrofe umanitaria". Dall'Italia, fa sapere il ministro degli Esteri Franco Frattini, verrà allestito in tempi molto rapidi un campo di assistenza in territorio tunisino, al confine con la Libia, per dare "assistenza, cibo e cure mediche" alle decine di migliaia di profughi. Le navi sono pronte a partire, ha detto il ministro, "e questo avverrà entro 24-48 ore". Barroso: "Gheddafi vada via". Informato della tragedia di chi cerca con ogni mezzo di lasciare la Libia, il Papa ha espresso tutta la sua preoccupazione, mentre la comunità internazionale continua a chiedere che il raìs si faccia da parte. "Se ne vada e liberi il suo popolo", dice José Manuel Barroso, presidente della Commissione Europea. Il governo di Madrid annuncia che congelerà i beni di Gheddafi in Spagna, mentre il procuratore della Corte penale internazionale, Luis Moreno-Ocampo, apre un'inchiesta formale sui crimini commessi in Libia dal 15 febbraio scorso. E la Lega libica per i diritti umani, una ong con sede a Ginevra, sostiene che dall'inizio degli scontri sono state uccise 6.000 persone. Stampa Usa: Insorti a favore di intervento militare in Libia. A chiedere aiuto all'estero sarebbero gli stessi insorti, invocando un intervento militare internazionale in Libia. Lo riporta il Washington Post - ma la notizia è riferita anche da altri quotidiani Usa - citando un portavoce di un comitato di forze anti-Gheddafi formatosi a Bengasi, che si identifica con il suo nome di battaglia, Saadoun. "Vogliamo attacchi militari mirati contro le milizie di Gheddafi per fare in modo che tutto ciò finisca subito", ha dichiarato il portavoce al quotidiano americano, rifiutando di identificarsi con il suo vero nome per ragioni di sicurezza. Navi Usa in Mediterraneo. Intanto, tre navi da guerra statunitensi dirette verso la Libia sono entrate nel Mediterraneo dopo aver attraversato il canale di Suez. Si tratta della Uss Kearsarge, che trasporta elicotteri, della Uss Ponce con a bordo munizioni e mezzi da sbarco e dell'unità da trasporto Andrid che ha a bordo blindati. Appello Unicef: servono fondi per donne e bambini. Fra le vittime di una situazione sempre più critica nel Paese africano ormai in preda al caos sono in primo piano donne e bambini. L'Unicef ha lanciato un appello di raccolta fondi per 5,2 milioni di euro per rispondere alle loro necessità immediate, "colpiti dalle violenze in Libia e per far fronte all'incombente minaccia di una crisi umanitaria su più vasta scala". L'appello, spiega l'agenzia Onu in una nota, servirà per aiutare nelle prossime 8 settimane 190.000 bambini e donne colpiti dalla crisi libica (60.000 in Tunisia, 30.000 in Egitto e 100.000 in Libia). Due squadre di tecnici Uniced sono state inviate in Egitto e Tunisia: saranno impegnate a intervenire nei settori acqua, sanità e igiene; protezione dei bambini; salute e nutrizione. E sono in corso trattative per preparare una presenza operativa in Libia. (02 marzo 2011)
2011-01-03 LIBIA Allarme profughi alla frontiera con la Tunisia "Missione italiana per assistere 10 mila persone" L'appello dell'Unhcr: ogni giorno 15mila persone lasciano il Paese. La comunità internazionale si prepara ad agire. La Nato valuta l'invio di una forza aerea nel Paese, in discussione una no-fly zone. Mosca: Gheddafi leader politicamente morto, se ne vada. L'opposizione denuncia: nella notte almeno tre morti a Misurata. Vertice straordinario Ue 11 marzo. La Russa: "Per embargo serviranno navi italiane" Allarme profughi alla frontiera con la Tunisia "Missione italiana per assistere 10 mila persone" Muammar Gheddafi ROMA - E' allarme per la drammatica situazione dei profughi che stanno cercando di lasciare la Libia, dilaniata dai combattimenti e dagli scontri fra le forze fedeli a Muammar Gheddafi e i rivoltosi. La "crisi dentro la crisi", come l'ha definita la portavoce per l'Italia dell'Unhcr, Laura Boldrini, rischia di precipitare nelle prossime ore e sta tenendo in ansia la comunità internazionale. "La crisi in nord Africa - ha detto oggi Boldrini durante un'audizione al Senato - preoccupa tutti, noi dell'Unhcr in particolare: ci sono 140mila persone uscite dalla Libia verso l'Egitto e la Tunisia, in maggior parte cittadini di quei paesi ma anche libici e di altre nazionalità". Una situazione estremamente difficile: "Abbiamo mandato un Boeing 747 con aiuti di prima necessità per 10mila, abbiamo fatto arrivare 2mila tende, il ponte aereo va avanti e altri tre aerei partiranno nelle prossime ore. La solidarietà della popolazione locale è grande, vanno alla frontiera portando viveri e coperte, ma non possiamo lasciare loro la gestione dell'emergenza. Serve uno sforzo internazionale", dice Boldrini. In Italia, però, denuncia la rappresentante dell'agenzia delle Nazioni Unite, l'attenzione è tutta focalizzata su eventuali, catastrofici scenari nazionali. Se è giusto essere preparati, avverte, è altrettanto giusto non creare allarmi. "Perché se poi l'emergenza dovesse presentarsi davvero, queste persone potrebbero essere percepite dall'opinione pubblica come altro, come invasori, e in quel caso sarebbe poi difficile gestire l'accoglienza", conclude Boldrini. Missione umanitaria italiana. Per far fronte all'emergenza, l'Italia realizzerà una missione umanitaria in territorio tunisino, al confine con la Libia. Secondo fonti che erano presenti al vertice governativo svoltosi a palazzo Chigi, si calcola che l'operazione possa dare assistenza a 10 mila profughi. Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha successivamente precisato che "partirà subito, entro 48 ore". Parlando a Ballarò, il titolare del Viminale ha confermato che si tratta di una missione "di emergenza, di carattere umanitario, che dà sollievo e tiene in territorio tunisino, d'intesa con le autorità tunisine, i profughi". "Spero che poi segua l'intervento di altri Paesi europei", ha aggiunto specificando che domani mattina ci sarà "una riunione tecnica" per mettere a punto l'intervento di assistenza umanitaria e sanitaria, per fare in territorio tunisino "un campo profughi". Unhcr: situazione vicina al punto di crisi. L'Alto commissariato Onu per i rifugiati stima che ogni giorno siano in 15mila a passare il confine con la Tunisia, una marea umana. E oggi l'inviato dell'Ansa alla frontiera riferiva di almeno 40mila persone in attesa di espatriare. "Il nostro staff al confine tra Libia e Tunisia ci ha avvertito che la situazione sta raggiungendo il punto di crisi", ha affermato la portavoce dell'Unhcr, Melissa Fleming, la quale ha reso noto che ieri 14mila persone hanno valicato la frontiera, il numero più alto raggiunto in un solo giorno. Tre morti a Misurata. In Libia non cessano le violenze: nella notte, a Misurata, terza città della Libia, almeno tre persone sono state uccise da uomini fedeli a Muammar Gheddafi. Un portavoce dei "Giovani della rivoluzione del 17 febbraio" ha riferito che le forze del Colonnello hanno aperto il fuoco su un veicolo di civili, uccidendo due persone e ferendone una terza. Poi hanno sparato contro alcune abitazioni facendo un'altra vittima. La Russa: per embargo servono navi italiane. Intanto Europa e l'Onu si muovono sulla crisi libica e il ministro La Russa avverte che per far rispettare l'embargo deciso contro Tripoli potrebbe essere necessario l'utilizzo di navi anche italiane. "Per adesso sostanzialmente è un ordine ma non vi è alcuna struttura preposta a farlo rispettare coattivamente", ha detto il ministro della Difesa. "Se questo dovesse avvenire - ha proseguito - è chiaro che il braccio del Mediterraneo tra noi e la Libia diventa il punto principale e per farlo rispettare occorrono minimo 16 unità navali del tipo della San Giorgio". La Sicilia e Malta, continua La Russa, diventano il punto di riferimento, ma in quel caso occorrerebbe un supporto multinazionale e non potranno essere impegate solo navi italiane. "Attualmente vi sono già alcune navi di altre nazioni. Credo che se ci fosse la volontà di far rispettare coattivamente l'embargo bisognerebbe che le navi, coordinate da un'unica struttura, fossero da 16 a 20". Riunione di governo a Palazzo Chigi. Questa sera è in programma una riunione di governo a Palazzo Chigi per analizzare gli sviluppi della crisi libica. Il premier Silvio Berlusconi ha convocato fra gli altri i ministri Sacconi, Romani, Maroni, Frattini, La Russa, Alfano e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. In discussione una no-fly zone. Stando a quanto scrive oggi il Times, la Nato starebbe mettendo a punto i piani per inviare una forza aerea in Libia e armare i ribelli. Ieri, il premier britannico ha fatto sapere di aver ordinato al capo di stato maggiore di "lavorare insieme ai nostri alleati su una no-fly zone militare", mentre gli Stati Uniti hanno annunciato un riposizionamento delle sue forze aeree e navali e l'invio nel mediterraneo di circa 2mila marine. Tuttavia, ieri il segretario di Stato americano Hillary Clinton ha dichiarato che non è prevista alcuna azione militare in Libia che coinvolga delle unità navali statunitensi. Vertice straordinario Ue l'11 marzo. Della crisi si parlerà ad un vertice straordinario europeo a Bruxelles fissato, con ogni probabilità per l'11 marzo, in concomitanza con quello dei Paesi membri dell'Eurozona già ufficialmente convocato. Intanto, in Francia il premier François Fillon ha confermato che sono allo studio tutte le opzioni, compresa quella di interdire le operazioni di volo sul territorio libico, che richiederebbe il coinvolgimento della Nato dopo l'approvazione del consiglio di Sicurezza dell'Onu. L'Italia si è dichiarata favorevole a una no-fly zone. Tuttavia, il capo della diplomazia canadese Lawrence Canon ha fatto sapere che "non sembra esserci consenso" tra gli alleati occidentali sull'imposizione di una zona di interdizione di volo in Libia. Resistenze in ambito Onu e Nato potrebbero indurre Washington e Londra a fare affidamento su una "coalizione di volenterosi" per lanciare un intervento umanitario, scrive oggi il Guardian. Una fonte diplomatica dell'Onu ha indicato come probabili in settimana nuovi incontri del consiglio di Sicurezza e ha sottolineato come la pressione si rafforzerà sulle Nazioni Unite in caso di un'escalation di violenze in Libia: "Non abbiamo ancora raggiunto il culmine per il coinvolgimento del Consiglio", ha detto al Guardian. Usa: possibile esilio per Gheddafi. Quanto al futuro di Gheddafi, la Casa Bianca, ieri, ha chiarito di non escludere l'ipotesi esilio. "E' sicuramente una possibilità" ha detto il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, ripetendo che "Gheddafi deve farsi da parte". Il leader libico continua intanto a sfidare l'Occidente: "Tutto il popolo mi ama. Sarebbe disposto a morire per proteggermi" ha detto il Colonnello parlando a Tripoli a un piccolo gruppo di giornalisti. Gheddafi ha aggiunto di "sentirsi tradito" da quelle nazioni occidentali con cui aveva costruito "un solido rapporto negli ultimi anni", accusandole di voler "colonizzare la Libia". Ma anche da Mosca arrivano oggi parole dure: Gheddafi è un leader "politicamente morto" e "non ha più posto nel mondo civilizzato", ha dichiarato una fonte del Cremlino secondo quanto riferisce l'agenzia Interfax. Egitto: Referendum su Costituzione il 19 marzo. Il referendum popolare sulle riforme costituzionali si terrà il 19 marzo. L'hanno annunciato fonti del governo egiziano. (01 marzo 2011)
Razzi contro gli insorti al checkpoint così il regime attacca la città del petrolio Raid a Brega, per la prima volta il Colonnello invia gli aerei da guerra. L'esplosione davanti agli occhi dei giornalisti. I ribelli: "Sono stati piloti mercenari". Qui ci sono i pozzi della Sirt Company. Piattaforme in mano all'opposizione dal nostro inviato PIETRO DEL RE Razzi contro gli insorti al checkpoint così il regime attacca la città del petrolio Una strada deserta a Nalut AJDABYA - Prima il clangore metallico di una batteria contraerea, che in pochi istanti scarica decine di colpi verso il cielo di Ponente. Poi, in lontananza, un tonfo più sordo, e dopo qualche minuto un altro scoppio attutito, con un aereo da combattimento che scompare tra le nuvole, immediatamente inseguito da una seconda raffica della contraerea, violentissima, assordante. Da terra si levano due pennacchi di fumo grigio, subito sfilacciati dal vento. Accade alle 16.45 al checkpoint che precede l'ingresso della cittadina di Ajdabya, 170 chilometri a sud-ovest di Bengasi. E' il primo bombardamento dell'aviazione di Muhammar Gheddafi contro le forze degli insorti che dieci giorni fa hanno liberato la Cirenaica dal suo feroce regime. E' la prima offensiva del Colonnello contro il popolo della Libia orientale, che domenica 20 febbraio s'è scrollato di dosso con una rivolta inaspettata e travolgente un'oppressione durata 42 anni. Qual è l'obiettivo dei raid? Gli uomini che presiedono il checkpoint ci dicono che tre quarti d'ora prima i caccia hanno già sganciato due razzi verso un deposito di munizioni, che loro avevano però già svuotato. Assistiamo per caso a quest'aggressione aerea di ritorno da Brega, misera appendice di grossi terminali petroliferi. Ci troviamo con l'inviato del Fatto, Stefano Citati, e con quello del Sole24Ore, Roberto Bongiorni: siamo gli unici giornalisti presenti, dunque gli unici che possono raccontarla. Pochi chilometri prima di arrivare al checkpoint veniamo a sapere del primo raid. Decidiamo dunque, una volta arrivati, di scendere dall'auto per informarci. Troviamo una ventina di soldati - se così si può chiamare un'adunata di autisti di camion, maestri elementari, pastori, fornai e studenti universitari con indosso una divisa militare - affaccendati attorno a tre mitragliatrici della contraerea montate su altrettanti pickup. Alcuni sembrano discutere sul da farsi, altri, nel frattempo, riempiono i caricatori con grossi proiettili che estraggono da casse di legno verde scuro. Quello che urla di più è un gigante dalla carnagione scurissima. Suda copiosamente, ed è l'unico che ha le sembianze di un capo. Improvvisamente, salta al volante di un pickup con sorprendente agilità, mette in moto e sgommando come in un rally cambia la posizione del veicolo, allontanandolo dagli altri due. Ha visto tutto. I due aerei. I razzi, le loro traiettorie. Sbracciandosi li indica agli altri, i quali cominciano a sparare all'impazzata. Perché questo attacco? E che cosa spera di riconquistare, Gheddafi, dopo aver perduto in pochi giorni l'intera Cirenaica e altre ampie regioni del Paese? E' vero, il Colonnello, ci hanno spiegato i leader della rivolta di Bengasi, ancora disporrebbe di diverse decine di aerei da combattimento, ma non avrebbe più piloti disposti a bombardare i loro fratelli libici. L'attacco di ieri sembra smentire questo credo, sempre che a guidare gli aerei non fossero piuttosto piloti mercenari, africani, o di magari europei. Una risposta sul perché degli attacchi aerei di ieri ce la fornisce Idris El Sharif, professore di Economia alla Garyounis University di Bengasi. Dice El Sharif: "Dopo Ajdabya, e giù fino a Brega e Ras Lanus, ci sono diversi terminali della Sirt Oil Company, dove arriva gas e petrolio, dove questo è raffinato, e da dove riparte verso l'Europa. Queste piattaforme sono tutte in mano agli insorti, ma sono ancora circondate da sacche di miliziani pro-Gheddafi. Se la rivolta riesce a fare piazza pulita di questi miliziani, per la Cirenaica significa rendersi finalmente autonoma da Tripoli e poter aspettare una fine fisiologica del Colonnello. Perciò in quella regione ancora si combatte, e Gheddafi non esita a far bombardare con gli aerei perfino i paesini più sperduti". Dicevamo di Brega: consiste in una ventina di case basse lungo una strada nel deserto, dritta come una fucilata. Impossibile spingersi oltre, in direzione di Sirte, roccaforte del Colonnello, a 500 chilometri da Bengasi. Non vi si azzardano neanche gli stessi insorti, se non in gruppo e armati fino ai denti. Due giorni fa, ci hanno provato tre fotoreporter free-lance, i quali sono stati derubati, denudati e ferocemente picchiati. Eccoli i terminali petroliferi. Li intravedi attraverso una tripla recinzione di filo spinato, con le sue eleganti villette per le maestranze specializzate, e i candidi serbatoi ricolmi di greggio. Fino a pochi giorni fa, all'ingresso di ogni compound campeggiava un grosso manifesto del dittatore di Tripoli, del quale oggi è rimasto un pezzo del fez o il pugno chiuso oratoriamente proteso verso l'alto. Qui c'è l'ultimo checkpoint degli insorti. Quando arriviamo, questi stanno festeggiando con scariche di mitraglia la liberazione di un paio di ragazzi dalle grinfie dei pretoriani del Colonnello. Poche ore fa, ci dicono, da Tobruz sono arrivati 85 militari. Prima di attraversare il checkpoint, hanno lasciato i loro kalashnikov e indossato abiti civili, diventando così disertori dell'esercito regolare. Chiediamo a uno degli insorti, Tofik Aimangosh, se li hanno costretti loro o se i militari le armi le hanno consegnate spontaneamente. "No, ce le hanno date loro, perché adesso se sei armato significa che vuoi ancora combattere, altrimenti hai una possibilità che ti lascino in pace", spiega Tofik. Già, anche questo rientra nella disfatta di un Paese. (01 marzo 2011)
"Mai sparato sulla mia gente" ma poi il raìs bombarda Pallottole sui manifestanti vicino a Tripoli. "Molti morti". I ribelli nella città assediata: "Aiutateci, siamo senza armi contro i militari" dal nostro inviato VINCENZO NIGRO "Mai sparato sulla mia gente" ma poi il raìs bombarda Manifestanti in piazza a Tripoli TRIPOLI - Gheddafi combatte, con i kalashnikov, i cannoni e i giornalisti. E ormai anche Saif, il suo figlio diplomatico e pacifista, ieri è saltato in piedi su un Toyota, il mitra in mano a incitare i suoi uomini alla lotta. Ce l'avevano detto al mattino: "A Tripoli Gheddafi non cederà mai, e da Tripoli potranno schiodarlo solo le grandi potenze internazionali, non questi ribelli che neppure sono ribelli". Al tavolo della prima colazione all'Hotel Rixos un'amica della famiglia era venuta a capire che aria tira tra i giornalisti italiani, ma poi ci aveva spiegato invece cosa c'è nella testa del Colonnello. Pochi tavoli più in là era seduta anche Christiane Amanpour, l'ultima risorsa dei dittatori prima della fuga: la giornalista americana lo intervisterà nel pomeriggio: "Alcuni paesi europei mi hanno tradito. Io non lascerò mai il paese, combatterò", dice il colonnello per poi insistere: "Con l'America avevamo un patto per fermare i terroristi di Al Qaeda: ora mi hanno tradito, sono rimasto solo contro il terrorismo". Barack Obama? "È una brava persona, ma gli sono state date informazioni sbagliate, gli hanno fatto dire cose scritte da altri". Armi chimiche? "Abbiamo delle armi talmente pericolose che non le useremmo mai contro il nostro popolo, e tra l'altro non sono stato io a dare ordine di sparare sulla gente, abbiamo colpito depositi di armi". Il Colonnello si è fatto raggiungere di pomeriggio dai giornalisti in un ristorante della città. Era vestito col solito "burnus" marrone e il cappello tradizionale libico: "Vedete, per le strade di Tripoli non ho visto manifestazioni contro di me. Tutto il mio popolo mi ama!". Il leader ricambia l'affetto per la sua gente, ama talmente tanto il suo popolo che ieri sera verso le 6 ha mandato i suoi soldati a provare a bombardare il centro di Zawiya, a 45 chilometri da Tripoli. La controffensiva che Gheddafi preparava da giorni. Al telefono chiama uno dei ragazzi che avevamo intervistato domenica in quella cittadina: "Hanno provato ad attaccarci, per ora ce l'abbiamo fatta a respingerli, abbiamo ucciso tre dei loro: ma ci riproveranno, abbiamo bisogno di aiuto, qui siamo senza armi contro un gruppo di banditi". Gheddafi è talmente bugiardo che ieri ha fatto sparare di nuovo su una folla disarmata scesa in strada: la protesta è esplosa ancora una volta a Tajura, quella che per Tripoli sta diventando come la casbah di Algeri. Solo che allora gli oppressori erano stranieri. Non possiamo confermare le dimensioni dell'attacco: secondo il giornale Quryna che prima della rivolta era del figlio di Gheddafi e adesso si stampa a Bengasi, in piazza ci sarebbero state centinaia di persone, i morti sarebbero molti, e sarebbero stati trascinati via assieme ai feriti e addirittura assieme ad alcuni testimoni. "Il corteo è stato fermato quando è arrivato all'altezza di Souk al Juma", il "mercato del venerdì". I falangisti di Gheddafi erano in borghese, hanno iniziato a sparare e poi sono arrivate molte camionette delle milizie armate a ripulire la scena del delitto. In città la mattinata era stata apparentemente meno tesa del solito, negozi aperti per qualche ora, la gente in fila alle banche per ritirare i 500 dinari di obolo che il regime ha offerto cash ai suoi cittadini. Continuano le file alle panetterie, il segno che ormai la farina è stata razionata e i panettieri lavorano a rilento. Il governo ha mandato centinaia di sms per promettere i 500 dinari a famiglia, e molti di quelli rimasti senza stipendio sono corsi in banca, lunghe file ordinate che abbiamo visto in molti quartieri. Secondo una cittadina sentita dall'Ansa "il cibo inizia a scarseggiare e si va in banca a fare la fila per questi soldi. Oltre a questo, cercano di comprare i disgraziati con denaro cash, se accettano, gli consegnano le armi e quelli entrano a far parte dei miliziani di Gheddafi". Nel caos delle voci di Tripoli, filtrate e mai confermate, ieri era arrivata la notizia secondo cui il Colonnello avrebbe ordinato al nuovo capo dei servizi segreti esterni, Bouzaid Dordah, di avviare una trattativa con i ribelli della regione orientale del paese. Ma da Bengasi i ribelli ripetono che non si fidano più del Colonnello, e poi il lui continua a far dire di voler trattare ma poi parte all'attacco. Sempre Qurina scrive che al posto del capo della polizia segreta interna, Abdallah Al Senussi, il colonnello avrebbe ha nominato una delle sue guardie del corpo, Mansur Al Qahsi. Ormai il quadro è abbastanza chiaro: Gheddafi è il "sindaco" impazzito di una Tripoli ostaggio del suo terrore. I ribelli non hanno bisogno di "entrare" in città perché i potenziali rivoltosi sono gli stessi cittadini di Tripoli. Ma la capitale è presidiata giorno e notte dalle truppe e da quella parte della popolazione rimasta fedele al regime. Come da un cavallo di Troia, se avranno forza, coraggio e aiuti, i ribelli al momento giusto usciranno dalle loro case per battersi in strada. E sarà guerra civile. "Gheddafi lo sconfiggeranno solo le pressioni internazionali", diceva al mattino la sua sostenitrice. Il vescovo cattolico di Tripoli Giovanni Martinelli nel pomeriggio conferma: "Gheddafi combatterà, è un beduino, un guerriero". Il vescovo è nato in Libia, ha studiato in Italia e ci è ritornato da 40 anni: conosce bene l'uomo, parla l'arabo e ama i libici. "Tutti dicono che Gheddafi è finito. Io non lo so se è finito... Tripoli sta con lui e resterà con lui. Tripoli non sarà facile da conquistare. Sarà lunga...". (01 marzo 2011)
Congelati 30 miliardi di dollari è caccia al tesoro del raìs Dopo le misure internazionali, acceletaro lo screening dei beni. Oggi il Comitato per la sicurezza finanziaria fisserà i criteri per attuare le sanzioni di CARLO BONINI Congelati 30 miliardi di dollari è caccia al tesoro del raìs Muammar Gheddafi QUASI fosse un esorcismo, ancora quarantotto ore fa, Seif Al-Islam, figlio e portavoce di Muhammar Gheddafi, liquidava lo spettro del congelamento dei beni del clan su scala planetaria con un'iperbole degna del padre. "Ci viene da ridere quando si dice che abbiamo denaro in Europa e Svizzera. Ma, andiamo! È una frottola. Lo sanno tutti che siamo una famiglia molto modesta". In realtà, da ridere c'è molto poco. E non solo per la dimensione della posta in gioco - un tesoro estero stimato in 120 miliardi di dollari, tra depositi bancari e partecipazioni azionarie - ma per l'accelerazione che ora, dopo le decisioni delle Nazioni Unite e della Ue, assume la caccia agli asset libici. Accade infatti che il Tesoro statunitense annunci "il congelamento", da ieri, di "30 miliardi di dollari in depositi e titoli in qualche modo riconducibili alle disponibilità estere del regime" ("La più importante immobilizzazione di beni mai prevista da programmi di sanzioni", l'ha definita David Cohen, sottosegretario con delega al terrorismo e intelligence finanziaria). Ma accade anche che persino il governo dell'"amico Berlusconi", ora, mostri la faccia da lupo e dopo aver ignorato le iniziative unilaterali con cui Inghilterra e Svizzera avevano bloccato, la scorsa settimana, depositi e beni immobili del raìs, convochi per oggi il "Comitato per la sicurezza finanziaria" (organismo intergovernativo presieduto da Vittorio Grilli e figlio del post 11 settembre 2001, quando si trattò di censire e congelare beni in qualche modo riconducibili a uomini di Al Qaeda). In questa sede, forze di polizia, intelligence e Banca d'Italia, avvieranno lo screening dei beni del Colonnello e del suo clan all'interno dei nostri confini e, soprattutto, fisseranno dei criteri in grado di distinguere, nell'applicazione delle sanzioni, tra "patrimonio personale" del raìs e "patrimonio dello Stato libico". Un passaggio cruciale (non solo in Italia) e - stigmatizzano fonti qualificate della nostra intelligence - "tutt'altro che agevole". La confusione tra gli asset del raìs, quelli del suo clan (almeno due dozzine di uomini e donne, tra figli, nipoti, uomini dei Servizi, consiglieri personali) e la Libyan Investment Autorithy (LIA), il fondo sovrano con cui Tripoli ha in questi anni investito in Europa, Asia, Sud-est asiatico, Stati Uniti, Russia, è stata infatti la chiave per dissimulare l'effettivo grado di coinvolgimento patrimoniale del Colonnello. E la prova si è avuta nel 2008 in Svizzera. Quell'anno - secondo i dati della Swiss National Bank, la banca centrale svizzera - i depositi bancari formalmente intestati a cittadini e fondi libici ammontavano a 5,7 miliardi di franchi svizzeri (4,4 miliardi di euro). Ebbene, a partire dal luglio 2008, dopo l'arresto a Ginevra di Hannibal, uno dei figli del Colonnello, quei depositi sono scesi a poco più di 630 milioni di franchi (470 milioni di euro), consegnando l'evidenza del pieno controllo di Gheddafi sulle rimesse estere della Jamahiriya. Non è un caso, dunque, che in Olanda la caccia al tesoro sia partita in queste ore dalle disponibilità liquide e immobiliari della compagnia petrolifera libica Tamoil. E che, in Francia come in Italia, in attesa di conoscere quanto comunicheranno i singoli istituti di credito (a cominciare da Unicredit) sulla consistenza delle giacenze liquide del Colonnello, il punto di attacco sia proprio quello delle partecipazioni azionarie "in chiaro" del fondo sovrano Libyan Investment Autorithy. Dalle banche, all'editoria, all'immobiliare (vedi tabella). E' un fatto che, in questi ultimi giorni, la "modesta famiglia di Tripoli" ha provato a far girare il suo denaro sia per dissimularne la proprietà (a Londra sono stati intercettati e bloccati 4,8 miliardi di sterline appoggiati su un fondo privato di investimento), sia per convogliarlo verso angoli di mondo dalla risibile trasparenza finanziaria. Come Dubai e gli Emirati Arabi. Le antiche e capienti cassaforti del Colonnello. (01 marzo 2011)
2011-02-28 RIVOLTA IN LIBIA Gheddafi, gli Usa ipotizzano l'esilio Dall'Europa via libera alle sanzioni Clinton: "È tempo che il Colonnello se ne vada, non ha più potere". Il Raìs: "Mi sento tradito dall'Occidente". Nominato negoziatore per trattare con i ribelli, mentre gli aerei fedeli al regime bombardano depositi di munizioni vicino a Bengasi e preparano un nuovo attacco a Zawia. I rivoltosi si riuniscono per marciare sulla capitale. Gheddafi, gli Usa ipotizzano l'esilio Dall'Europa via libera alle sanzioni TRIPOLI - Mentre a Ginevra i ministri degli esteri Onu e l'Unione europea si sono riuniti per varare le sanzioni contro Gheddafi, i rivoltosi libici hanno iniziato a muoversi verso la zona occidentale del paese per unirsi alle forze di opposizione presenti nei pressi di Tripoli e lanciare l'assalto alla capitale. Allo stesso tempo le forze armate fedeli al regime hanno lanciato in serata un tentativo di attacco a Zawia, la cittadina a 45 chilometri da Tripoli che ieri era stata visitata da un gruppo di giornalisti internazionali. Il centro della città è in mano a un paio di migliaia di insorti che si sono barricati bloccando le strade e schierando sei carri armati e alcune autoblindo sottratte all'esercito e guidate da soldati passati dalla parte della ribellione. Uno degi giovani intervistati ieri da Repubblica a Zawia aveva raccontato di tre soldati libici morti e aveva anticipato gli eventi di oggi: "Temiamo che vogliano riprovarci, sappiamo che hanno avuto ordine di fare nuovi attacchi". Nuove offensive delle forze fedeli al regime sarebbero avvenute anche a Misurata provocando la morte, secondo testimoni citati dall'agenzia France Press, di almeno due persone. Consiglieri militari in Cirenaica. Secondo Debka, un sito vicino ai servizi segreti israeliani, consiglieri militari Usa e europei sarebbero già in Cirenaica per aiutare i ribelli. Il raìs, intanto, ha incaricato, secondo Al Jazeera, l'ex capo dell'intelligence libica all'estero, Bouzid Durda, di negoziare con i capi della rivolta. Stando a quanto ha dichiarato in un'intervista a un gruppo di giornalisti anglossassoni, il colonnello sarebbe però certo di essere ancora saldamente in sella. "Tutto il popolo mi ama, sarebbe disposto a morire per proteggermi: a Tripoli non ho visto manifestazioni di protesta", ha spiegato. Gheddafi ha comunque sostenuto di aver dato ordine di non sparare sui dimostranti e che in nessun caso userebbe armi chimiche per porre fine alla rivolta. Il colonnello ha quindi lamentato di essere stato tradito dai paesi occidentali e di non avere nessuna intenzione di andare in esilio: "Chi lascerebbe il proprio paese?", si è chiesto. Gheddafi ha infine invitato l'Onu a organizare una missione in Libia per verificare come stanno davvero le cose. Unione europea vara sanzioni. L'Unione europea ha adottato nel primo pomeriggio un embargo sulle armi dirette alla Libia, oltre al congelamento dei beni e il blocco dei visti contro il leader libico Muammar Gheddafi e altri 25 funzionari del suo entourage. Bruxelles sta inoltre pensando all'ipotesi di convocare un vertice straordinario "nel fine settimana" con i capi di Stato e di governo dei ventisette sulla crisi libica, dopo una richiesta in tal senso del presidente francese Nicolas Sarkozy. L'iniziativa avrebbe ottenuto l'appoggio dell'Italia e della Spagna, ma per il momento non è stata presa alcuna decisione formale (nel merito l'ultima parola spetta al presidente dell'Ue, Herman Van Rompuy). La responsabile della diplomazia europea, Catherine Ashton, avrebbe già dato il proprio via libera. Clinton: "È tempo che Gheddafi se ne vada". Gheddafi sta usando "mercenari e teppisti" contro i civili. A ribadirlo è stata Hillary Clinton, al consiglio dei diritti umani dell'Onu in corso a Ginevra. Il segretario di Stato americano ha poi aggiunto: "per la gente in Libia è ormai chiaro: è tempo che Gheddafi vada via. Ora. Senza ulteriori violenze". Clinton ha poi chiesto che siano preparate "delle misure supplementari" per mettere fine alle violenze in Libia, senza che alcuna opzione "sia esclusa dal tavolo". Per la Casa Bianca, infatti, una possibile soluzione è l'esilio di Gheddafi. Un'altra, l'istituzione della no-fly zone. La Casa Bianca ha fatto sapere inoltre che gli Stati Uniti sono in contatto con alcuni gruppi di ribelli in Libia, ma la stessa Clinton, promettendo l'intervento di squadre umanitarie per alleviare la difficile situazione dei profughi al confine con la Tunisia, ha escluso che le navi da guerra americane prontamente spedite al largo delle coste libiche possano essere chiamate a intervenire militarmente. Il portavoce della Casa Bianca Jay Carney ha comunque precisato che è "prematura" la possibilità del riconoscimento di un qualche gruppo di oppositori da parte di Washington. Sempre da Washington si è appreso inoltre del blocco di beni riconducibili al dittatore libico per un valore di circa 30 miliardi di dollari. Tpi apre inchiesta su eventuali crimini contro umanità. Dall'Aia, intanto, il procuratore della Corte penale internazionale, Luis Moreno-Ocampo, ha annunciato l'apertura di un esame preliminare sulle violenze in Libia, che potrebbe condurre a un'eventuale inchiesta su Muammar Gheddafi per crimini contro l'umanità. L'ufficio del procuratore esamina al momento le accuse di attacchi su larga scala condotti contro la popolazione civile. Ribelli uniscono le forze per attacco finale. In Libia, stando a quanto riferisce il nuovo governo ad interim di Bengasi, i rivoltosi starebbero iniziando ad unire le loro forze per puntare verso Tripoli. Il principale ostacolo per la marcia sulla Capitale appare Sirte, città natale del leader libico, controllata dai miliziani fedeli al regime che hanno creato posti di blocco all'ingresso del centro abitato. "È diventata una roccaforte per Gheddafi più della capitale", ha spiegato un membro dell'opposizione di Bengasi. "I rivoltosi libici - ha dichiarato inoltre Hafiz Ghoga, portavoce del Consiglio nazionale libico presentato ieri a Bengasi - non vogliono alcun intervento straniero". Ma istruttori militari americani ed europei sarebbero già in azione. Secondo il sito Debka, ritenuto vicino ai servizi segreti israeliani, centinaia di consiglieri militari statunitensi, britannici e francesi sarebbero già in Cirenaica per collaborare con gli insorti contro il regime di Gheddafi. Bombardati depositi di munizioni vicino a Bendasi. Oggi l'aeronautica militare libica fedele a Gheddafi avrebbe colpito dei depositi di munizioni nell'est del paese, controllato dalle forze ribelli. La zona bombardata è a 154 chilometri a ovest di Bengasi e 16 chilometri dalla costa meditarranea. Arabia Saudita garantirà stabilità mercati petrolio. L'Arabia Saudita si è impegnata a garantire la stabilità del mercato petrolifero, in vista della persistente crisi politica in Libia. In un comunicato, l'esecutivo - riunitosi perr la prima volta sotto la presidenza del re Abdallah, tornato in paese la settimana scorsa dopo una lunga convalescenza - ha riaffermato la politica di Riyadh di "assicurare la stabilità del mercato petrolifero e di mantenere le forniture". E' di notizia di questa sera, comunque, stando a quanto assicurano gli oppositori del regime, che le esportazioni di greggio libico verso l'Occidente sarebbero riprese. (28 febbraio 2011)
AFGHANISTAN Blindato su ordigno improvvisato morto militare italiano, quattro feriti L'incidente durante un pattugliamento nei pressi di Shindand, nell'ovest del Paese. I cinque coinvolti sono tutti del reggimento alpini Blindato su ordigno improvvisato morto militare italiano, quattro feriti Il ministro La Russa saluta i militari della brigata Folgore in procinto di partire per l'Afghanistan KABUL - Un militare italiano è morto e altri quattro sono rimasti feriti nell'ovest dell'Afghanistan per l'esplosione di un ordigno improvvisato che ha colpito un veicolo blindato Lince nei pressi di Shindand. I militari a bordo, tutti alpini, stavano effettuando un pattugliamento nella zona al momento dell'incidente. L'esplosione è avvenuta alle 12.45 ora locale, esattamente a 25 chilometri a nord di Shindand - informa una nota dello Stato maggiore della Difesa - e ha coinvolto un veicolo blindato Lince della Task Force Center, del quinto reggimento alpini. La pattuglia rientrava da un'operazione di assistenza medica alla popolazione locale. L'utilizzo di ordigni improvvisati - Ied - nonostante gli importanti progressi svolti dalla missione Isaf per contrastarne la minaccia, rappresenta una delle modalità di azione tra quelle utilizzate dagli insorti e, nel 30 per cento dei casi, colpisce vittime civili. Le forze di sicurezza Isaf svolgono una continua attività per prevenire questo genere di minaccia al fine di migliorare le condizioni di sicurezza e garantire uno sviluppo sociale ed economico della regione. (28 febbraio 2011)
Diretta Consiglio transizione: "No a interventi stranieri" Rivoltosi pronti a unirsi per assalto a Tripoli Consiglio transizione: "No a interventi stranieri" Rivoltosi pronti a unirsi per assalto a Tripoli La Ue ha approvato oggi le sanzioni contro Gheddafi. Hafiz Ghoga, portavoce del Consiglio nazionale libico presentato ieri a Bengasi, ha dichiarato che il nuovo consiglio non ha contattato alcun governo straniero e non vuole che intervengano. Gli oppositori del regime sono pronti a far ripartire le spedizioni di petrolio dell'azienda libica Arabian Gulf Oil. A Misurata le forze ribelli abbattono elicottero militare. E intanto uniscono le forze per marciare sulla capitale (Aggiornato alle 14:15 del 28 febbraio 2011) 14:15 Ue addotta sanzioni contro Gheddafi 53 – L'Unione Europea ha adottato un embargo sulle armi dirette alla Libia, oltre al congelamento dei beni e il blocco dei visti contro il leader libico Muammar Gheddafi e 25 funzionari del suo entourage. Lo hanno riferito fonti diplomatiche europee, citate dall'agenzia France Presse. 13:51 Algeria: "Non abbiamo inviato mercenari in Libia" 52 – L'Algeria non ha "esportato" mercenari in Libia per rinforzare i ranghi delle forze al servizio del colonnello Muammar Gheddafi. Lo ha assicurato Abd-al-Qadir Hadjar, delegato algerino presso la Lega Araba, in un incontro dell'organismo con sede al Cairo. Hadjar, come riferisce la Bbc, ha voluto in questo modo smentire le accuse rivolte nei giorni scorsi ad Algeri, come a molti altri paesi africani. 13:43 Debka: "Centinaia di consiglieri militari già in Libia" 51 – Secondo il sito Debka, vicino ai servizi segreti israeliani, centinaia di consiglieri militari statunitensi, britannici e francesi sarebbero già in Cirenaica per collaborare con gli insorti contro il regime di Gheddafi. Si tratterebbe del primo intervento militare diretto di Usa e dei paesi europei nella regione dall'inizio delle sommosse avviate dalla rivoluzione dei gelsomini in Tunisia a inizio gennaio. 13:41 La Russa: "Italia non è il Bengodi di tutti i disperati" 50 – Appello del ministro della Difesa Ignazio La Russa "alla magistratura e alle opposizioni contro cui abbiamo lottato tante volte" sul tema dell'immigrazione dal Nord Africa. Il ministro lo ha lanciato durante il confronto tra governo e imprese all'Unione commercianti di Milano, per spiegare che "pur con la massima solidarietà e accoglienza l'Italia non può essere il Bengodi di tutti i disperati". 13:41 Germania: "Congelare per due mesi pagamenti a Tripoli" 49 – Congelare per 60 giorni tutti i pagamenti verso la Libia: è la proposta avanzata dalla Germania al Consiglio dei Diritti Umani dell'Onu, dove la diplomazia internazionale si sta interrogando su come fermare le violenze in Libia. Il ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, ha spiegato che la misura priverebbe il regime di Tripoli degli strumenti per "opprimere il suo popolo". 13:35 Salpata la Mimbelli verso Catania, 298 a bordo, 4 italiani 48 – E' da poco salpato dal porto di Al Byraukah, nel golfo della Sirte, il cacciatorpediniere della Marina militare Mimbelli: a bordo 298 persone, in gran parte lavoratori stranieri di una società italiana, tra cui anche 4 italiani del gruppo che era rimasto bloccato senza viveri ad Amal. La nave della Marina dovrebbe giungere domani a Catania. 13:32 Nunzio apostolico: "Qualche governo si interessi degli eritrei" 47 – Appello di Monsignor Tommaso Caputo, nunzio apostolico in Libia, affinché "qualche governo" accolga come rifugiati alle "migliaia di eritrei" che, a Tripoli, versano in "gravissima situazione" perché "risultano i più abbandonati" 13:23 Possibili decisioni sulle sanzioni al Consiglio dei ministri sull'energia 46 – La discussione sulle sanzioni europee contro la Libia si sposta oggi al consiglio dei 27 ministri sull'energia. Lo ha confermato la portavoce dell'alto rappresentante per la politica estera Ue. "Posso dire che oggi l'Ue recepirà la risoluzione dell'Onu di sabato - ha detto - che potrà essere accompagnata da ulteriori misure ome il blocco dei beni di Gheddafi e da quello dei viaggi". 13:19 Unicef: "Proteggere i bambini ad ogni costo" 45 – In un appello, l'Unicef "Esorta tutte le persone coinvolte a proteggere i bambini a qualsiasi costo". Così l'agenzia delle nazioni unite per l'infanzia esprime la propria preoccupazione "per le notizie che riferiscono di bambini e adolescenti rimasti uccisi o feriti nell'escalation di violenze". "Nessun bambino - ha detto da Bruxelles Anthony Lake, direttore generale dell'Unicef - dovrebbe essere esposto a forme di pericolo di alcun tipo, in quanto ciò potrebbe avere un effetto di lunga durata sulla loro sopravvivenza o benessere psicologico". 13:17 Corte Penale Internazionale, "Avvio indagini su crimini contro l'umanità" 44 – Il procuratore della Corte penale internazionale, Luis Moreno-Ocampo, ha annunciato l'avvio di un'indagine preliminare su possibili crimini contro l'umanità, commessi dalle autorità libiche nel corso degli scontri tra dimostranti e truppe di Gheddafi 13:01 Ue stabilisce contatti con insorti anti-Gheddafi 43 – L'Unione Europea sta lavorando per "Stabilire dei contatti" con il 'consiglio nazionale' messo in piedi dagli insorti anti-Gheddafi a bengasi per dare un volto alla transizione in Libia. Lo ha riferito a Bruxelles una portavoce del capo della diplomazia Ue Catherine Ashton 12:59 Ue oggi adotta sanzioni Onu e ne valuta altre 42 – Il Consiglio dei ministri Ue adotterà oggi la decisione con la quale l'Unione implementerà le sanzioni contro la Libia decise dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Lo ha annunciato un portavoce della Commissione europea aggiungendo che si sta ancora valutando se integrare le sanzioni Onu con altre misure restrittive in materia di equipaggiamenti paramilitari, congelamento beni e diniego di visti per alcuni esponenti del regime libico. 12:48 Unicef: "Proteggere bambini a ogni costo" 41 – L'Unicef è "profondamente preoccupata per le notizie che riferiscono di bambini e adolescenti rimasti uccisi o feriti nell'escalation di violenze che sta interessando un certo numero di paesi del Medio Oriente e del Nord Africa", in particolare la Libia. L'Unicef è quindi "pronta a fornire assistenza in caso di necessità, ed esorta tutte le persone coinvolte a proteggere i bambini a qualsiasi costo". 12:47 Egitto: giovani chiedono a militari risposte in 48 ore 40 – La "Coalizione dei giovani della rivoluzione del 25 gennaio", che ieri sera ha avuto un incontro con il Consiglio Supremo delle Forze Armate, organo di gestione dell'Egitto dalla rimozione di Hosni Mubarak, ha chiesto allo stesso Consiglio di rispondere entro 48 ore a tre richieste urgenti: lo scioglimento del governo presieduto dal generale Ahmed Shafiq (primo ministro nominato da Mubarak) con la nomina di un governo di tecnocrati, la liberazione di tutti i detenuti politici arrestati prima e dopo il 25 gennaio, il rinvio a giudizio di tutti i responsabili dell'uccisione dei 'martiri' della rivolta, e di chi ha dato quegli ordini, con capi di imputazione precisi e dettagliati. Lo affermano gli stessi giovani, in un comunicato diffuso stamane. 12:29 Truppe fedeli Gheddafi sequestrano cadetti 39 – Le truppe fedeli a Muammar Gheddafi presenti nella città di Misurata hanno circondato la sede dell'accademia dell'esercito ed hanno sequestrato gli allievi presenti all'interno. Dalle notizie che giungono da Misurata sembra che si combatta ancora in città anche se i ribelli mantengono il controllo del centro cittadino e dell'aeroporto. 12:26 Merkel chiede ritiro immediato di Gheddafi 38 – La cancelliera tedesca Angela Merkel ha chiesto oggi il ritiro immediato del dittatore libico Muammar Gheddafi e si è detta "soddisfatta" della risoluzione con le sanzioni contro la Libia approvata dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu. La risoluzione unanime dal Consiglio di Sicurezza, ha detto il portavoce del governo, Steffen Seibert, dimostra a Gheddafi "e ad altri despoti" che gravi violazioni dei diritti umani non rimangono impunite. 12:23 Zaia: "Gestire profughi in caserme dismesse" 37 – Sull'eventuale ospitalità di profughi in Veneto, Zaia ha detto di ''non essere ancora in grado di dare risposte. Spetta decidere alle Prefetture se abbiamo posti. Ma nei censimenti si dà priorità alle caserme dismesse fruibili, e il Veneto non ne ha, forse anche grazie all'efficienza perche' quando avevamo caserme ismesse i Comuni le hanno valorizzate. Nella mia provincia, Treviso, in una ex caserma è stata fatta un'universita'''. 12:19 Procuratore Corte penale internazionale apre inchiesta preliminare 36 – Il procuratore della Corte penale internazionale (Cpi) ha annunciato l'apertura di un esame preliminare sulle violenze in Libia, primo passo verso una eventuale inchiesta formale per crimini contro l'umanità. 12:15 Governo filippino inizia rimpatrio in massa di concittadini 35 – Il governo filippino ha iniziato oggi l'evacuazione massiccia di migliaia dei suoi concittadini dalla Libia, tramite alcuni camion organizzati dall'ambasciata di Manila a Tripoli. Lo ha detto all'agenzia Afp un portavoce, precisando che già 550 persone sono partite ieri sera dalla capitale libica. Una nave greca ingaggiata dalle Filippine dovrebbe arrivare domani a Bengasi per trasportare fino a Malta gli evacuati. Stando al portavoce di Manila, ci sono in Libia 25.000 filippini, di cui 1.877 hanno già lasciato il paese, ma con l'aiuto dei loro datori di lavoro, non tramite il governo. 12:06 Egitto, divieto di espatrio e fondi congelati per Mubarak e la sua famiglia 34 – Il procuratore generale egiziano ha emesso un divieto di espatrio e un ordine di congelamento dei fondi nei confronti dell'ex presidente Hosni Mubarak e della sua famiglia. Lo riferiscono fonti giudiziarie. 11:59 Bulgaria, proseguono rimpatri dalla Libia 33 – Un aereo governativo bulgaro è arrivato stamane a Tripoli per procedere all'evacuazione di altri cittadini bulgari dalla Libia. È il terzo volo organizzato dalle autorità di Sofia. La portavoce del ministero degli esteri, Vessela Cerneva, si è appellata a tutti i bulgari che si trovano ancora in Libia ad ''approfittare di ogni occasione possibile per lasciare il Paese''. Il ritorno a Sofia dell'aereo è atteso nel pomeriggio. Non si sa per ora il numero esatto delle persone a bordo che verranno evacuate. Finora circa 170 sono stati rimpatriati negli ultimi giorni con diversi mezzi. Secondo stime del ministero degli esteri, in Libia lavorano circa 1.500 bulgari, prevalentemente ingegneri e personale medico. 11:58 Tripoli, agli arresti centinaia di cadetti ribelli 32 – Centinaia di cadetti che si erano rifiutati di unirsi alle forze pro-regime sono agli arresti nell'Accademia militare di Tripoli. Lo ha reso noto la televisione panaraba Al Arabiya, citando fonti locali. 11:41 Oms Europa pronta ad aiutare Italia 31 – L'Oms Europa ha dato all'Italia la piena disponibilità a offrire il suo supporto in caso di necessità, in relazione all'evoluzione della crisi nel Mediterraneo. Lo affermato il direttore regionale per l'Europa dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), Zsuzsanna Jakab, che ieri ha incontrato il ministro della Salute, Ferruccio Fazio. 11:39 Onu, appello Pillay: "Mondo appoggi riforme" 30 – È cominciato con un appello alla comunità internazionale la riunione del Consiglio dei Diritti Umani dell'Onu, a Ginevra. L'Alto Commissario Onu, Navi Pillay, ha chiesto alla comunità internazionale di appoggiare le riforme in Medio Oriente e di vigilare sulla Libia per evitare violente rappresaglie. "La comunità internazionale deve assumersi la grande responsabilità di estendere il proprio appoggio nelle parole e nei fatti per assistere queste indispensabili riforme. Deve farlo con prontezza e fermezza", ha detto la Pillay. 11:26 Saif Gheddafi appare in video, armato, mentre arringa la folla 29 – Saif Gheddafi ha moltiplicato negli ultimi giorni le sue dichiarazioni alla stampa internazionale per sostenere che in Libia la situazione è sotto controllo e che il paese è "vittima della cattiva informazione", perchè c'è un "grande, grande divario tra realtà e servizi degli organi di informazione". Oggi, la televisione araba al Jazeera lo mostra invece in un video "comparso in rete nelle ultime ore", in cui il secondogenito di Muammar Gheddafi, armato, arringa la folla, incitandola alla battaglia. 11:25 Austria, divieto d'ingresso per famiglia Gheddafi 28 – Divieto di ingresso alla famiglia Gheddafi in Austria: lo ha annunciato il ministro degli interni austriaco, Maria Fekter, dopo che da giorni circolavano voci secondo cui la moglie Safiya e la figlia Aisha sarebbero riparate a Vienna. Il bando austriaco è una conseguenza delle sanzioni imposte dalle Nazioni Unite contro la Libia. Nessun membro della famiglia Gheddafi sarà autorizzato a entrare o soggiornare in Austria, ha detto la Fekter smentendo anche che qualcuno della famiglia si trovi nel Paese. 11:23 Fazio: "Con Oms pronti ad aiutare popolazioni africane" 27 – Aumentare la sorveglianza epidemiologica dei migranti in Italia e rafforzare l'assistenza sanitaria nei Paesi coinvolti dalla crisi: sono queste le iniziative concordate dal ministro della Salute, Ferruccio Fazio, e dal direttore regionale per l'Europa dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), Zsuzsanna Jakab, che si sono incontrati ieri a Copenaghen. "Siamo pronti a garantire la salute e portare aiuto alle popolazioni africane", dichiara oggi il ministro in una nota. 11:17 Misurata, reparto di cadetti si ribella a superiori 26 – Un reparto di cadetti dell'accademia militare di Misurata, a est di Tripoli, si sarebbe ribellato agli ordini dei superiori fedeli al leader libico Muammar Gheddafi e sarebbe ora in corso una battaglia all'interno della caserma che ospita la "Scuola di guerra", nel centro cittadino. Lo riferisce la tv panaraba al Arabiya, citando testimoni oculari. 11:10 Stefania Craxi: "Destino di Gheddafi sarà drammatico" 25 – "Gheddafi appare isolato, anche i doganieri piu' fedeli hanno abbandonato il rais di Tripoli, sembra rinchiuso in un bunker con pochi lealisti che ancora sparano sulla folla. Credo che il suo destino sara' comunque drammatico, la sua scelta è stata inaccettabile dalla comunità internazionale e da noi italiani. Tutto si sta consumando nello spazio di poche ore", ha detto il sottosegretario agli Esteri, Stefania Craxi (Pdl), intervistata da Maurizio Belpietro su Canale 5. 11:01 Misurata, elicottero militare abbattuto da ribelli 24 – Un elicottero militare è stato abbattuto dalle forze ribelli nei pressi di Misurata, 200 chilometri a est di Tripoli: l'equipaggio è stato catturato. Nella zona sono ripresi i combattimenti tra i ribelli e le forze fedeli a Muammar Gheddafi. Lo riferiscono testimoni. 10:56 Zaia: "Profughi prima al Sud, poi al Nord" 23 – I profughi dalla Liba che potrebbero sbarcare sulle coste italiane dovranno essere accolti prima al Sud poi al Nord: é l'opinione del governatore del Veneto Luca Zaia, secondo "logistica e logica". 10:50 Al Arabia: "Elicotteri bombardano radio Misurata" 22 – Elicotteri hanno bombardato oggi la stazione radio di Misurata, a est di Tripoli, che si trova in un luogo scarsamente abitato da civili. Lo riferisce Al Arabiya. 10:48 Frattini a Ginevra per proporre missione di monitoraggio in Libia 21 – Il ministro degli Esteri Franco Frattini è oggi a Ginevra per partecipare alla sessione ministeriale del Consiglio dei diritti umani dell'Onu, dove proporrà, tra l'altro, l'invio di una missione di monitoraggio in Libia. 10:44 Ong: "Migliaia di migranti africani uccisi perché scambiati per mercenari" 20 – Le organizzazioni per i diritti umani lanciano l'allarme sulle sorte di migliaia di africani sub-sahariani presenti in Libia, presi di mira dai rivoltosi perché sospettati di essere i mercenari fedeli al leader libico Muammar Gheddafi. Secondo il racconto di alcuni testimoni, raccolto da Al Jazeera, decine di lavoratori africani potrebbero essere stati uccisi, mentre in centinaia si nascondono per non cadere vittime della caccia "ai mercenari neri africani". 10:42 Europa, Borse ancora deboli su scia crisi Libia 19 – Segno meno sui maggiori listini in Europa ancora frenati dalle incertezze geopolitiche sulle sponde del Mediterraneo in attesa per domani dell'approvazione delle sanzioni contro la Libia. 10:41 Moussa: "Catturati terroristi anche di Al Qaeda 18 – "Abbiamo catturato centinaia di terroristi islamici, anche legati ad Al Qaeda. Li stiamo interrogando e, se sarà possibile, ve li faremo incontrare in carcere", ha detto Ibrahim Moussa, portavoce del governo, ai giornalisti stranieri a Tripoli. 10:38 Nazioni Unite temono ripresa delle violenze 17 – Le Nazioni Unite hanno lanciato un appello a rimanere "vigili" sulla crisi in Libia, temendo una ripresa delle violenze. L'alto commissario onu per i diritti umani, Navi Pillay, ha affermato inoltre che la comunità internazionale "ha la grande responsabilità" di dare il suo sostegno al processo di riforme in Medio Oriente. 10:37 Algeria, un giovane si uccide dandosi fuoco 16 – Un giovane algerino è morto dopo essersi dato fuoco davanti alla prefettura di Bordj Bou Arredidj, a 235 km a est di Algeri, lo dice oggi il quotidiano El Watan. Si tratta del quinto algerino che si uccide dandosi fuoco dalla metà di gennaio a oggi. 10:30 Moussa: "Se gli imperialisti occidentali ci attaccano, ci saranno migliaia di morti" 15 – "Se gli imperialisti occidentali ci attaccano, ci saranno migliaia di morti", ha detto Ibrahim Moussa, portavoce del governo. "L'Occidente vuole il nostro petrolio, al Qaida vuole invece una base sul Mediterraneo per minacciare l'Europa", ha aggiunto 10:20 Moussa: "Tutti i libici sotto unica bandiera" 14 – ''Tutti i libici devono stare sotto un'unica bandiera, non importa quale'', ha detto oggi Ibrahim Moussa, portavoce del governo libico in una conferenza con la stampa estera in un albergo di Tripoli. 10:19 Portavoce: "Governo controlla tre regioni su quattro" 13 – Il governo libico ha il controllo su tre delle quattro regioni del Paese, solo ad est la situazione è sotto il controllo dell'opposizione. Lo ha detto oggi Ibrahim Moussa, portavoce del governo di Tripoli per la stampa estera. Moussa ha precisato che ci sono ''alcune sacche'' di resistenza in città della Tripolitania come Al Zawiya e Misurata. 09:54 Emirati applicano sanzioni Onu 12 – Gli Emirati Arabi Uniti (Eau) applicheranno sanzioni contro la Libia congelando tutti i beni riconducibili al leader Muammar Gheddafi, come votato dal Consiglio di sicurezza dell'Onu. Lo ha confermato il governatore della banca centrale degli Eau, Sultan Nasser Al Suwaidi citato dal quotidiano Gulf News. "Le banche effettueranno il congelamento dei beni su ufficiale comunicazioni da parte del ministero degli Affari esteri,'' ha dichiarato Al Suwaidi che ha inoltre smentito voci di immissioni di capitali egiziani e tunisini nelle banche emiratine. Il traffico bancario, ha puntualizzato il governatore, riguarda le remissioni dei lavoratori nordafricani verso i loro paesi. 09:51 Francia: "No-fly zone implica coinvolgimento Nato" 11 – Proibire il sorvolo del territorio libico per impedire il massacro di civili da parte del colonnello Gheddafi implica una ''riflessione'' e un ''coinvolgimento della Nato''. Così, il primo ministro francese Francois Fillon, ha detto ai microfoni di Rtl, precisando che occorre studiare ''tutte le soluzioni'' per indurre Muammar Gheddafi a lasciare il paese. Intanto non è stata ancora presa alcuna decisione sulla possibilità di imporre una no-fly zone sulla Libia. 09:44 Rivoltosi controllano secondo aeroporto militare del Paese 10 – Stando a quanto riferisce l'emittente araba Al Jazeera, i rivoltosi che si oppongono al regime di Gheddafi hanno preso il controllo del secondo aeroporto militare del Paese, lo scalo di Al Banin non lontano da Bengasi. Secondo testimoni, i militari che controllano la base aerea avrebbero sposto la causa dei rivoltosi. 09:43 Colosso petrolifero pubblico cinese sospende produzione in Libia 9 – Il colosso petrolifero pubblico cinese Cnpc ha annunciato di aver sospeso la sua produzione in Libia e aver sgomberato tutti i suoi dipendenti 09:32 Rientrata a Kiev 'portavoce' infermiera di Gheddafi 8 – La "procace" infermiera ucraina sempre al fianco del leader libico Muammar Gheddafi, Galina Kolotnitska, è rientrata ieri a Kiev su un aereo che trasportava altri 122 ucraini e 68 cittadini stranieri in fuga dalle violenze in corso in Libia. Lo riferisce la tv araba Al Jazeera. 09:28 Quasi 30mila cinesi evacuati dalla Libia 7 – Sono quasi 30mila i cittadini cinesi evacuati dalla Libia, 2.500 dei quali hanno già raggiunto la Cina. A darne notizia è stato oggi il ministero degli Esteri di Pechino, precisando che altri 23mila in totale sono stati trasferiti temporaneamente a Creta, Malta e Djerba. Circa 33mila cittadini cinesi, in maggioranza operai che lavorano nel settore delle ferrovie, dell'edilizia e dell'industria petrolifera si trovavano in Libia quando sono iniziate le proteste. 09:19 Rivoltosi pronti a unire le forze per assalto a Tripoli 6 – I rivoltosi libici stanno iniziando a muoversi verso la zona occidentale del Paese per unirsi alle forze di opposizione presenti nei pressi di Tripoli e lanciare l'assalto alla capitale. Stando a quanto riferisce il nuovo governo ad interim di Bengasi, i rivoltosi sono soprattutto giovani ed ex militari, dotati di armi pesanti, portate via dalle basi militari e dai commissariati di polizia situate nei pressi della città di Ras Lusafa. Abbiamo molte armi e loro sono fortemente motivati", ha detto al Guardian Ramadan Faitoura, uno dei membri del nuovo governo ad interim. Il principale ostacolo per la marcia su Tripoli appare Sirte, città natale del leader libico Muammar Gheddafi, controllata dai miliziani fedeli al regime che hanno creato posti di blocco all'ingresso del centro abitato. "È diventata una roccaforte per Gheddafi più della capitale - ha detto un membro dell'opposizione di Bengasi - Sirte potrebbe diventare la chiave del successo di tutta l'operazione. Se cade, niente potrà fermare la marcia su Tripoli". 09:18 Aiuti umanitari: dalla Francia due aerei verso Bengasi 5 – Il premier francese Francois Fillon ha annunciato che due aerei con aiuti umanitari partiranno in giornata per Bengasi 09:17 Il Canada congela beni di Gheddafi 4 – Il primo ministro canadese Stephen Harper ha annunciato ieri il congelamento dei beni di Muammar Gheddafi e della sua famiglia e l'ha invitato a "porre fine al bagno di sangue" in Libia e a rassegnare le dimissioni. Harper ha confermato che il canada applicherà le sanzioni adottate sabato dal Consiglio di sicurezza contro il regime libico nella sua risoluzione 1970 e che andrà anche oltre queste misure. 09:15 A Ginevra incontro tra misistri esteri su crisi libica 3 – I rappresentanti della diplomazia internazionale discuteranno oggi a Ginevra la crisi in atto in Libia, in occasione della sessione annuale del Consiglio dei diritti dell'uomo dell'Onu. Saranno presenti, tra gli altri, il segretario di stato Usa, Hillary Clinton, il capo della diplomazia europea Catherine Ashton, il ministro degli esteri italiano Franco Frattini e il suo omologo russo Sergei Lavrov. A Ginevra sarà presente anche il nuovo capo della diplomazia iraniana, Ali Akbar Salehi. 09:13 Oppositori pronti a far ripartire export petrolio 2 – Gli oppositori del regime libico sono pronti a far ripartire le spedizioni di petrolio dell'azienda libica Arabian Gulf oil, situata nell'est del paese. Stando a quanto precisato al Wall Street Journal da un dirigente dell'azienda, Hassan Bulifa, una petroliera con 700.000 barili di greggio dovrebbe aver lasciato la scorsa notte il porto di Tobruk, nel nord-est della Libia, diretta in Cina. Si tratta della prima nave a partire dal paese carica di petrolio dal 19 febbraio scorso. Il comitato amministrativo della società ha assunto il controllo delle operazioni aziendali dopo le dimissioni del suo presidente, Abdulwanis Saad, fedele al leader libico Muammar Gheddafi. 09:11 Consiglio di transizione: "No a interventi stranieri" 1 – I rivoltosi libici non vogliono alcun Intervento straniero. Lo ha dichiarato Hafiz Ghoga, portavoce del Consiglio nazionale libico presentato ieri a Bengasi, citato oggi dalla tv araba Al Jazeera. Il nuovo Consiglio, che mira "a dare un volto alla rivoluzione", non ha contattato alcun governo straniero e non vuole che intervengano, ha detto il portavoce, dopo l'offerta di aiuto arrivata dagli Stati Uniti. Ieri, il segretario di stato hillary clinton ha dichiarato che gli stati uniti sono pronti a fornire "qualsiasi forma di aiuto" agli oppositori al regime del colonnello muammar gheddafi. (28 febbraio 2011)
LIBIA Con gli insorti della Cirenaica "Abbatteremo il mostro" Da Bengasi in marcia sulla capitale. "Ora facciamo nascere il Paese del futuro". Fra i manifestanti punti di vista diversi su un possibile intervento dell'Occidente. Esecutivo provvisorio, rappresentate tutte le città "liberate" dal nostro inviato PIETRO DEL RE Con gli insorti della Cirenaica "Abbatteremo il mostro" Bengasi, un dimostrante sventola la ex bandiera reale AJDABYA - Con un sorriso luminoso e lo sguardo onesto, la faccia da eroe ce l'ha. Da qualche giorno, Rafaa Saad, 28 anni, ha anche le cicatrici del paladino della rivoluzione. Lunedì scorso, col calcio del fucile un miliziano del colonnello Gheddafi gli ha spaccato uno zigomo, adesso ricucito e incerottato, mentre sulle sue mani ancora rosseggia una decina di stigmate insanguinate, che s'è procurato nel tentativo di difendersi dalle coltellate della soldataglia. "Sono stato fortunato - dice - Adesso sono pronto a morire per la libertà della Libia". Nell'allegra e sconclusionata anarchia dei giorni della liberazione, in Cirenaica ognuno si è proclamato leader della rivolta. Ieri, però, gli insorti di Bengasi hanno finalmente partorito il "Consiglio nazionale", destinato a governare le aree della Libia orientale e a dare un volto al Paese nel periodo di transizione. Il Consiglio non ha ancora un suo presidente e i suoi membri, eletti in queste ore, saranno esponenti di tutte le città liberate. Il portavoce, Hafiz Ghoga, ha spiegato che la sede è Bengasi, e che qui nasce la Libia del futuro, perché Tripoli non è stata ancora liberata. Quando chiediamo a Rafaa come giudica il neonato organismo, lui scrolla le spalle. Poi aggiunge: "Sono contento, ma il lavoro cominciato il 17 febbraio non è ancora stato ultimato. Perciò sto raggiungendo i miei fratelli che già combattono intorno a Sirte. Adesso la nostra priorità è abbattere il Mostro". E' lunga la strada verso Sirte, attorno alla quale, secondo quanto ci hanno riferito a Bengasi, da giorni si ammassano truppe di giovani ribelli pronti a sferrare l'offensiva contro la città natale e roccaforte del Colonnello. Per via delle ferite alle dita, Rafaa ha lasciato la guida della sua Toyota al giovane cugino, che non stacca il piede dall'acceleratore neanche quando attraversiamo un ajaj, una tempesta di sabbia, erroneamente convinto su quell'auto siano tutti pronti ad immolarsi per la causa libica. "Quando, lunedì scorso, ci siamo avvicinati a un cecchino che sparava sui civili, vicino all'aeroporto di Librag, lui è salito in macchina e ci è venuto addosso", racconta Rafaa. "Ci ha investiti, prima di uccidere i miei due amici con un proiettile in fronte. Quando m'ha colpito con il calcio del suo kalashnikov, sono svenuto. Mi sono ripreso dentro l'aeroporto, con le mani legate da un laccio di ferro", aggiunge, toccandosi le profonde striature rosse che gli segnano i polsi. Riprende il giovane ribelle: "Mi hanno fatto sedere accanto a una ventina di ostaggi. Ogni quarto d'ora, un miliziano ne faceva alzare uno in piedi e gli sparava alla testa. Quando sono ri-svenuto, devono avermi creduto morto, perché avevo tutto il viso insanguinato. Mi sono risvegliato addosso a due cadaveri". Rafaa racconta questi terribili e cruentissimi episodi con la serenità di chi li ha già psicologicamente digeriti, come se fossero accaduti anni fa, mentre tutto ciò risale alla settimana scorsa. "La mia fortuna e quella dei pochi ostaggi sopravvissuti è stato l'arrivo di un centinaio di insorti, che ha circondato l'aeroporto cominciando a sparare all'impazzata. C'è stata una sanguinosa battaglia, durante la quale sono morte una settantina di persone. Alla fine, il comandante dei miliziani s'è arreso". Rafaa è stato dimesso dopo due giorni di ospedale, anche per lasciare un letto libero a chi è stato ferito più gravemente di lui. Ieri mattina, con lo zigomo ricucito, le ferite alle mani non ancora rimarginate e l'arcata sopracciliare incrostata di sangue, s'è nuovamente presentato a uno dei capi della rivolta, il quale l'ha spedito verso Sirte. Ad Ajdabya ci fermiamo, perché s'è fatto buio. Anche qui, sia pure meno che a Bengasi, nei giorni scorsi s'è combattuto con accanimento. Andiamo all'ospedale, per contare i feriti e farci raccontare le loro storie, che ricalcano le stesse gesta di coraggio compiute da altre migliaia di persone in questa parte di Libia. Il chirurgo Mohammed Giuma ci invita a cena, nella sala mensa del nosocomio. Dice di non aver mai dovuto tanto operare quanto nei giorni scorsi, ma che il lavoro non gli è mai pesato. "Tutto è accaduto così in fretta", racconta. "Dieci giorni fa, nessuno di noi poteva neanche immaginare che sarebbe andata come è andata, che saremmo riusciti a liberarci del Colonnello così in fretta". Gli chiediamo di tradurre ciò che trasmette Al Jazeera: "Dice che il nuovo Consiglio nazionale libico che s'è appena formato a Bengasi è una sorta di primo governo della Libia libera. Il Consiglio respinge qualsiasi offerta di dialogo da parte del regime di Gheddafi e intende governare le regioni liberate dal regime di Tripoli. La tv dice anche che gli oppositori al regime del Colonnello sono contrari a qualsiasi intervento straniero nel Paese e affermano di non avere contatti con governi di altri nazioni. Quanto a me, invece, credo proprio che gli americani e gli europei dovrebbero darci una mano a spazzar via il Colonnello e i suoi fedelissimi da Tripoli e da Sirte". Rafaa mangia in silenzio. Sul dorso della mano destra s'è appena fatto tatuare la bandiera della Libia libera. Gli chiediamo che cosa farà domani. "Sono pronto a morire", risponde, baciando la bandiera del suo Paese. (28 febbraio 2011)
Catania, arrivati dalla Libia 121 italiani "Per noi è un miracolo essere tornati" La nave San Giorgio ha fatto il suo ingresso in porto questa mattina. A bordo anche cittadini inglesi, francesi e indiani
Catania, arrivati dalla Libia 121 italiani "Per noi è un miracolo essere tornati" I cittadini arrivati dalla Libia a Catania E' arrivata questa mattina al porto di Catania la nave San Giorgio della Marina militare con a bordo 258 persone, tra cui 121 italiani, che hanno lasciato la Libia. "Essere riusciti a tornare in Italia per noi è un miracolo, non vedevamo l'ora di rientrare perché lì cominciava ad essere triste". A parlare è Francesco Baldassarre, 34 anni, sbarcato dalla nave San Giorgio insieme con il padre Gino, di 54 anni. Entrambi di Brindisi, sono dipendenti della Tecnomontaggi e sono rientrati in Italia su disposizione della loro azienda. FOTO Abbracci, sorrisi e lacrime all'arrivo a Catania "Entrare sulla nave - ha aggiunto Francesco Baldassarre - è stato un po' problematico. Ci fermavano ai posti di blocco, erano armati, comunque ci hanno scortati e sentivamo dire che a 15 chilometri da noi stavano bombardando l'aeroporto di Misurata". Hanno raccontato che la situazione nel campo dove erano ospitati "era abbastanza tranquilla". Padre e figlio hanno detto di essere rimasti fermi da martedì scorso. "Ci hanno trattati bene - ha detto il padre Guido - i libici ci hanno trattati bene". Con gli italiani hanno viaggiato cittadini inglesi, francesi, belgi, olandesi, austriaci, turchi, albanesi, macedoni, portoghesi, slovacchi, ucraini, croati, romeni, indiani, messicani, thailandesi, filippini, marocchini, tunisini, algerini, della Tanziania, delle isole Mauritius e anche un libico che ha preferito lasciato il suo paese. Il ritorno in Italia "procede molto bene, abbiamo con successo rimpatriato la maggior parte degli italiani, ne rimangono poche decine che sono segnalati e che rimpatrieremo nelle prossime ore". Lo ha detto il portavoce della Farnesina, Maurizio Massari, in un'intervista a Rai News. (27 febbraio 2011)
IL CASO Lascia n.1 esteri francese: rapporti con Ben Ali E a Tunisi cambia il primo ministro La Alliot-Marie: "Non ho messo alcun illecito, ma la pressione è troppo forte". Sarkozy annuncia un rimpasto. E a Tunisi si dimette il premier Gannouchi, sostituito dopo poche ore da Beji Caid Sebsi Lascia n.1 esteri francese: rapporti con Ben Ali E a Tunisi cambia il primo ministro Michele Aliot-Marie PARIGI - Il ministro degli Esteri francese, Michele Alliot-Marie ha dato le dimissioni. Il gesto era atteso, a seguito dello scandalo suscitato dai suoi rapporti con l'entourage del deposto presidente tunisino Ben Ali. 'Nonostante non creda di aver commesso alcun illecito, ho deciso di dimettermi - ha scritto Alliot-Marie in una lettera a Sarkozy. Da alcune settimane sono stata bersaglio di attacchi politici e dei media, usati per creare sospetto, bugie e generalizzazioni", ha scritto. "Nelle ultime due settimane, è stata la mia vita privata che è stata molestata da certi media e non posso accettare che alcune persone usino questo complotto per provare a far credere alla gente che la politica internazionale francese sia stata indebolita", ha aggiunto. La Alliot-Marie era finita sotto accusa per aver offerto al regime di Ben Ali cooperazione di polizia durante gli scontri, al ritorno da una vacanza proprio in Tunisia. Ma ha anche accettato passaggi aerei gratuiti da uomini vicini al dittatore. In serata, Sarkozy ha annunciato un rimpasto di governo. Al posto della Alliot-Marie andrà Alain Juppé, fino a oggi ministro della Difesa, Sarà sostituito dal capogruppo dei senatori dell'Ump, Gerard Longuet. Confermata anche la sostituzione del ministro dell'Interno, Brice Hortefeux, con Claude Gueant, fino ad oggi segretario generale dell'Eliseo. Hortefeux diventa invece consigliere politico di Sarkozy, in vista delle elezioni presidenziali del 2012. A Tunisi la situazione politica resta rovente. Lascia anche il primo ministro Gannouchi. "Non scappo dalle mie responsabilità ma voglio aprire la strada al nuovo premier. Non sono pronto a prendere decisioni che finirebbero per causare vittime. Mi dimetto per servire la Tunisia, la rivoluzione e il futuro della Tunisia". Poche ore dopo l'annuncio del presidente tunisino ad interim: nuovo primo ministro è stato nominato Beji Caid Sebsi. Nella capitale continuano gli scontri, gli atti di sciacallaggio e le proteste. (27 febbraio 2011)
2011-02-26 Diretta Calma tesa in città dopo la battaglia di Tripoli Berlusconi: "Gheddafi non ha più il controllo" Calma tesa in città dopo la battaglia di Tripoli Berlusconi: "Gheddafi non ha più il controllo" Imbarco connazionali a bordo della nave San Giorgio della Marina Militare, nella rada del porto di Misurata, in Libia Negato il permesso all'attarreggio per il C130 dell'Aeronautica italiana. Qualche sparo nella notte ma le strade della capitale libica dopo la festività islamica del venerdì e gli scontri con i manifestanti, oggi sono semideserte e silenziose. Le autorità libiche hanno deciso di trasferire i giornalisti stranieri, tra cui gli inviati italiani, alla periferia sud della città. L'ordine esecutivo per le sanzioni firmato dal presidente Obama è in vigore immediatamente, blocca i beni del Colonello e dei suoi familiari. Ban Ki-moon: "Perdere tempo significa perdere vite". Proseguono i rimpatri degli occidentali. OItre 50mila in Tunisia. La Russa: "Sospeso di fatto il trattato Italia-Libia" Nigro, diario dalla capitale - Diretta tv - Twitter - Mappa - Video - Scheda (Aggiornato alle 15:15 del 26 febbraio 2011) 15:15 Dalla Turchia accuse all'Occidente: "No a sanzioni" 65 – La Turchia condanna la repressione del regime libico nei confronti dei manifestanti, accusa la comunità internazionale, con particolare riguardo per i paesi occidentali, per aver concentrato l'attenzione sui problemi legati al procacciamento delle risorse energetiche piuttosto che sul dramma umanitario e dice no alle sanzioni dell'Onu. Il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, in un discorso televisivo, si è appellato alla "comunità internazionale" perché si occupi della Libia "non preoccupandosi del petrolio" ma "con coscienza", guardando "ai valori umani e di giustizia". 15:01 Negata autorizzazione atterraggio a C-130 italiano 64 – Sta rientrando in Italia il C-130 dell'Aeronautica militare italiana decollato questa mattina dall'aeroporto di Pisa e diretto nel sud della Libia per recuperare un gruppo di italiani rimasto isolato. L'aereo, secondo quanto si apprende, non ha avuto dalle autorità libiche l'autorizzazione all'atterraggio. 14:57 Turchia contro sanzioni: "Occidente pensa solo al petrolio" 63 – Il premier turco, Recep Tayyip Erdogan boccia la proposta di sanzioni contro la Libia, perché si tratta di misure per le quali soffrirebbe solo il popolo innocente e ha accusato le potenze occidentali di "ragionare" solo in termini di barili di petrolio. "Voi (potenze occidentali) non potente rendere il mondo un posto più sicuro ricorrendo sempre alle sanzioni in ogni caso", ha detto Erdogan in un discorso televisivo a Istanbul. Il premier si è quindi rivolto ai Paesi che nel pomeriggio (le 17 ora italiana) decideranno al Consiglio di Sicurezza Onu l'adozione di sanzioni: "Chiediamo alla comunità internazionale di non occuparsi della Libia preoccupandosi solo del petrolio ma anche (agendo) con coscienza, giustizia e (rispettando) valori umani universali. Basta fare calcoli sulla Libia e lavorate per trovare un rimedio che ponga fine alla sofferenza del popolo libico". 14:56 Schifani: "Solidarietà del Senato a popolo libico" 62 – "Voglio manifestare piena solidarietà, con la condivisione dell'Aula, nei confronti della battaglia del popolo libico, oggetto di un'operazione di grande sterminio". Lo ha detto il presidente del Senato, Renato Schifani, nel corso della seduta d'Aula per l'approvazione del decreto Milleproroghe. "La democrazia, la libertà dei cittadini - ha affermato Schifani - sono un bene prezioso e inviolabile; non potranno mai essere impedite con le azioni violente e cruente a cui assistiamo, e rispetto alle quali credo che la Comunità internazionale reagirà a breve. Spero che la Ue e la Comunità internazionale potranno dare risposte per evitare che questo sterminio possa continuare. la democrazia è sacra. Siamo chiamati ad invocarla per i nostri amici libici", ha concluso il presidente del Senato. 14:44 Evacuati quasi tutti i croati. Ne restano 26 a Cufra 61 – Una nave militare italiana salpata ieri da Bengasi con a bordo anche una trentina di croati dipendenti di società di Zagabria che operano in Libia è arrivata a Malta. Lo ha confermato il ministro degli Esteri croato Gordan Jandrokovic. "In giornata dovrebbero essere evacuati anche i croati rimasti bloccati in alcune località interne della Libia", ha annunciato il ministro spiegando che un aereo della Trade Air ha raggiunto Zilla dove ha imbarcato alcuni dipendenti dell'azienda Geofizika. L'aereo sarebbe poi volato verso Tripli per prendere un altro gruppo di croati, in totale 90 persone che entro stasera dovrebbero ritornare in patria. In Libia prima dell'inizio della rivolta c'erano circa 500 croati. Rimangono da evacuare altri 26 che si trovano a Cufra. 14:42 Casini: "Gheddafi sia giudicato da tribunale internazionale" 60 – "Gheddafi merita di essere giudicato da un tribunale penale internazionale". Lo ha detto il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini, oggi impegnato in un tour nel ragusano. 14:41 Caruso: "Ci stiamo attrezzando per possibili sbarchi" 59 – "Dipende da quanti saranno noi ci stiamo attrezzando per quello che è possibile umanamente fare. Lunedì ci sarà un incontro presso la Prefettura di Catania presieduto dal ministro dell'Interno a cui parteciperò io, il governatore Lombardo, il presidente della Provincia di Catania e i 15 sindaci del caletino". Lo ha detto il prefetto di Palermo, Giuseppe Caruso, commissario straordinario per l'emergenza immigrazione, commentando l'ipotesi di una nuova ondata di clandestini provenienti dalla Libia. 14:37 Ashton: "Gheddafi va rispedito nel nulla" 58 – "Il regime di Gheddafi è stato sdoganato quando, tra le altre cose, ha smesso di cercare di dotarsi di armi di distruzione di massa. Ora il suo scandaloso comportamento negli ultimi giorni richiede che lo rispediamo nel nulla". Lo afferma Catherine Ashton in un articolo da lei scritto e pubblicato oggi nella sezione 'opinioni' dell'International Herald Tribune, l'edizione internazionale del New York Times, nel quale sostiene che l'azione dell'Europa nei confronti del Nordafrica "sarà a lungo raggio". 14:29 Foreign Office, tratti in salvo circa 600 britannici 57 – Il Foreign Office ha annunciato oggi che il governo britannico ha aiutato a far uscire dalla Libia circa 600 connazionali. Non è chiara invece la sorte dei dipendenti britannici di società petrolifere bloccati nei campi nel deserto. Secondo la Bbc a stamattina resterebbero in Libia altri 500 britannici. Un aereo noleggiato dal governo Britannico è decollato questa mattina dall'aeroporto di Londra-Gatwick diretto a Tripoli. Le autorità di Londra hanno esortato i loro concittadini a raggiungere l'aeroporto il prima possibile, lasciando intendere che potrebbe trattarsi dell'ultimo volo noleggiato pacificamente per riportarli a casa. 14:26 Seif al-Islam: "Notizie su morti solo una barzelletta" 56 – Una "grande barzelletta": così Seif al-Islam ha bollato le notizie riguardanti le migliaia di morti e feriti in Libia e l'uso di mercenari da parte del regime. "Presto scoprirete che ciò che avete sentito sulla Libia è soltanto una barzelletta. Una grande barzelletta - ha detto il figlio di Gheddafi durante una conferenza stampa all'hotel Rixos al Nasr a Tripoli -. Qui ridiamo di queste notizie che parlano e di centinaia o migliaia di vittime, di bombardamenti a Tripoli, Bengasi, Zawiya o in qualunque altro posto, e di mercenari". Poi Seif è tornato a puntare il dito contro l'organizzazione di Osama bin Laden: "Al Qaeda ieri ha diffuso una dichiarazione di sostegno ai rivoltosi in Libia, definendoli 'parte della nostra guerra globale'. Andate su internet, cercate e troverete la dichiarazione" ha esortato il figlio di Gheddafi. 14:11 La Russa: "Trattato inoperante, perché manca controparte" 55 – "Non capisco come le mie parole possano essere state travisate. Ho detto che il trattato è di fatto inoperante in questi giorni perchè non c'è la controparte in grado di rispettarlo. Quindi di fatto è sospeso", ha chiarito a Sky Tg24 il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, a proposito del Trattato tra Italia e Libia. "E' chiaro - ha aggiunto - che in questo momento il trattato non c'è nella sua operatività". "Il trattato - ha detto ancora La Russa - non si fa con i governi o le persone, ma con gli Stati. Noi speriamo che un domani ci sia uno stato libico in grado di rispettarlo". 13:58 Lascia il Paese anche l'infermiera personale di Gheddafi 54 – Anche Galyna Kolotnytska, l'affascinante infermiera ucraina che si prende cura di Muammar Gheddafi, starebbe per abbandonare il Colonnello. La figlia della donna, Tatyana, ha riferito di aver ricevuto ieri una telefonata della madre la quale le ha assicurato che presto tornerà a casa. A riferirlo è il quotidiano Segodnya, secondo quanto riportato dall'agenzia Ria Novosti. 13:52 Bersani: "La Ue abbia voce univoca sulla Libia" 53 – Nei confronti delle vicende del Nordafrica, in particolare della Libia, "l'Unione Europea deve avere una voce univoca. L'Europa deve dire che sta col cambiamento e mettere a disposizione risorse politiche, diplomatiche, economiche, per accompagnare verso maggiori diritti queste popolazioni". Così il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, concludendo il Festival Manifutura a Bologna. 13:40 Prodi: "Non utilizzare tema profughi per fini interni" 52 – Occorre prepararsi al problema dei profughi, invece che utilizzarlo per fini interni. E' questa l'opinione di Romano Prodi sull'eventualità dell'arrivo in Italia di un'ondata di rifugiati dalla Libia. "Noi dobbiamo prepararci, non angosciarci", ha detto al Manifutura Festival di Bologna. "Mi è dispiaciuto - ha aggiunto l'ex premier - sentire in questi giorni usare questo come una specie di grande allarme che in qualche modo aiuta per la politica interna". E' necessario invece, ha sottolineato Prodi, "prepararsi se ci sarà il problema, preparare tutto perchè il problema non avvenga e lavorare con un senso di solidarietà generale". 13:33 Cameron a Berlusconi, Merkel e Erdogan: "Adottare sanzioni" 51 – Adottare subito dure sanzioni all'Onu contro Tripoli. Questo quanto il premier britannico David Cameron ha concordato al telefono con i suoi omologhi, Silvio Berlusconi, il cancelliere tedesco Angela Merkel e il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan. E' quanto riferisce il portavoce di Downing Street. Oggi alle 17 ora italiana è prevista una riunione del Consiglio di Sicurezza Onu in cui dovrebbe essere adottata una risoluzione con misure per congelare i conti di Muammar Gheddafi e del suo entourage oltre a limitare la loro possibilità di ottenere visti, ed un embargo per la vendita di armi alla Libia. 13:23 Moglie e figlia di Gheddafi partite per Vienna 50 – La moglie di Gheddafi Ayesh e la figlia Aisha hanno lasciato la Libia e si sono riparate a Vienna. Lo riferisce Al Arabiya citando resoconti non confermati. 13:21 La Russa: italiani evacuati atterreranno oggi 49 – Sul recupero degli italiani evacuati dal sud della Libia il ministro della Difesa Ignazio La Russa conta di effettuare un altro tentativo oggi. "Ieri non è stato possibile possibile avere l'autorizzazione all'atterraggio", ha spiegato La Russa alla caserma lastrucci, dove il ministro si trovava per il saluto alla brigata Folgore in partenza per l'Afghanistan. 13:19 Libia, base aerea militare di Tobruk passa ai rivoltosi 48 – Gli ufficiali della base aerea militare libica Gamal Abdel Nasser, che si trova 16 chilometri a sud di Tobruk, nel nord-est del paese, sono passati dalla parte dei rivoltosi. Lo ha annunciato un ufficiale della base militare intervistato dalla tv satellitare 'al-Arabiya'. La base aerea ospita 60 caccia Mirage F1 dell'aviazione libica. Prima del 1970 era nota come base 'El-Adem' dell'aeronautica militare libica. 13:04 Germania e Gb, da Onu servono sanzioni severe 47 – L'onu deve adottare "il più Rapidamente possibile" sanzioni "severe" contro il regime di gheddafi. E' quanto si legge in una nota congiunta del cancelliere tedesco angela merkel e del premier britannico david cameron, diffusa dopo un colloquio telefonico tra i due. Per Merkel e Cameron il consiglio di sicurezza dell'Onu "deve adottare il più rapidamente possibile delle severe sanzioni" contro il regime di Tripoli per la sanguinosa repressione attuata nei confronti dei manifestanti. Il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si riunirà oggi alle 16 per tentare di trovare un accorto sul testo della risoluzione. 13:03 La Russa: "Se Europa deciderà sanzioni, Italia aderirà" 46 – "Non è un'opzione che riguarda l'Italia, per l'intervento umanitario semmai appartiene alle organizzazioni internazionali". Lo ha detto, riferendosi alla crisi libica, il ministro della Difesa Ignazio La Russa. "Ieri parlando con il ministro inglese Fox -ha spiegato La Russa- mi diceva che potremmo proporre un incontro a Napoli dei paesi della Nato. La cosa che mi interessa più di tutto è garantire le condizioni. Se l'Europa di cui facciamo parte deciderà per le sanzioni, naturalmente l'Italia aderirà", ha concluso La Russa. 12:59 Oltre 1600 feriti a Bengasi 45 – Mentre a Tripoli si vive in una calma tanto apparente quanto precaria, a Bengasi sono 1.200 i feriti ricoverati nel principale ospedale, Al Jala, mentre altri 460 in altre strutture. E' quanto riporta la rete al Arabiya secondo la quale Muammar Gheddafi avrebbe tentato di assicurarsi la fedeltà di due importanti tribù libiche, gli Azawiya e Zantan, a suon di miliardi di dollari. 12:56 In partenza da Brindisi lunedì volo umanitario per Djerba 44 – Lunedi 28 partirà dalla Base di pronto intervento umanitario (UNHRD) di Brindisi un volo organizzato per conto del programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (WFP) con generi alimentari destinati alla popolazione che dalla Libia si sta spostando verso la Tunisia. Il volo, operato da un MD11,dovrebbe partire intorno alle ore 16 alla volta di Djerba, in Tunisia. 12:41 Trattato di amicizia con l'Italia firmato il 30 agosto 2008 43 – Il trattato di Amicizia e Cooperazione fu firmato a Bengasi il 30 agosto 2008 tra il leader libico Muammar Gheddafi e il premier Silvio Berlusconi. L'accordo, che come ha annunciato il ministro della Difesa Ignazio La Russa è di fatto sospeso, ha rappresentato il definitivo accoglimento da parte italiana delle rivendicazioni libiche sui risarcimenti del colonialismo. Il testo è suddiviso in tre parti, oltre al preambolo, per un totale di 23 articoli: principi generali (art.1-7); chiusura del capitolo del passato e dei contenziosi (8-13); nuovo partenariato bilaterale (14-23). In particolare il Terzo Polo, alla luce delle stragi di civili in atto, ha contestato l'applicabilità dell'articolo 4 relativo alla "non ingerenza negli affari interni". 12:16 La Russa: "Sospeso di fatto il trattato Italia-Libia" 42 – "Di fatto il trattato tra Italia e Libia non c'è già più, è inoperante, è già sospeso". Lo ha detto il ministro della Difesa Ignazio La Russa in visita ai soldati della Folgore a Livorno, in partenza per l' Afghanistan. "Per esempio - ha aggiunto La Russa - gli uomini della guardia di finanza, che erano sulle motovedette, per controllare quello che facevano i libici, ora sono nella nostra ambasciata". Ma, ha continuato il ministro, "non si può immaginare che con una sorta di egoismo dell'Europa del nord, l'Europa del sud, in questo caso l'Italia, venga lasciata sola nell'affrontare questa questione", ha detto La Russa, a proposito del coinvolgimento dell'Unione Europea nella gestione del flusso di immigrati provenienti dalla Libia."L'Europa può sanzionare e condannare ma poi si deve anche fare carico dell'emergenza", ha concluso La Russa. 12:05 Berlusconi: "Sembra che Gheddafi non controlli più situazione" 41 – Un massacro. Una situazione insostenibile. Che riguarda anche l'Italia. "Se tutti siamo d'accordo possiamo mettere fine la bagno di sangue e sostenere il popolo libico. L'Europa e l'Italia non possono rimanere spettatori. Quello che sta succedendo in Libia è gravissimo. Dobbiamo intervenire. Gheddafi sta perdendo colpi, sembra non abbia più il controllo della situazione. Ma noi dobbiamo agire con responsabilità, perché da quei Paesi dipendono anche la nostra sicurezza, la nostra riserva energetica", ha detto il presidente del Consiglio intervenendo al 46esimo congresso dei Repubblicani. "Però dobbiamo preoccuparci", ha proseguito il premier, "al di là delle desolanti polemiche politiche e che dividono la politica. Nessuno sa cosa accadrà alla Libia, o all'Egitto, a alla Tunisia dopo le rivolte. Ma noi dovremmo fare i conti con una crisi umanitaria incredibile. Con sbarchi numerosi. Questo è un momento di emergenza". "Sono desolanti le polemiche provinciali delle opposizioni in Italia sulla Libia e i piccoli tentativi di attaccare il governo su politiche che sono state sempre fatte da molto decenni", ha aggiunto Berlusconi. 12:04 Libia, oltre 50mila persone si sono rifugiate in Tunisia 40 – Sono 50mila le persone che dall'inizio della rivolta in Libia hanno attraversato il confine con la Tunisia per trovare rifugio. Secondo la tv satellitare 'al-Arabiya', i libici sono poche centinaia, mentre in gran parte si tratta di tunisini che hanno preferito rientrare in patria attraversando via terra il confine. Molti sono anche egiziani, circa 6.500, che si sono accampati lungo il confine in territorio tunisino. 11:55 Draghi: da rincari petrolio rischio per crescita 39 – La comunità internazionale è preoccupata per l'impatto della crisi libica. Lo ricorda anche il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi al congresso Aiaf, Forex-Assiom che chiude i battenti domani a Verona. "Nella nostra economia un aumento del 20% del prezzo del petrolio determina, ceteris paribus, una minor crescita del prodotto di mezzo punto percentuale nell'arco di tre anni". Draghi ha messo in evidenza come "le drammatiche vicende" in Libia e nell'Africa settentrionale, "a cui stiamo assistendo possano indebolire gli investimenti nell'industria petrolifera dell'area, far rincarare l'energia, con ripercussioni sulla crescita mondiale". 11:52 Defeziona l'ambasciatore libico in Iran 38 – Come hanno fatto altri diplomatici nei giorni scorsi, anche l'ambasciatore libico in Iran ha fatto defezione, chiedendo oggi che Muhammar Gheddafi lasci il potere. "Se Gheddafi lascerà il potere, darà un segno di coraggio", ha detto il diplomatico, Saad Mojbar Mostafa, in un comunicato citato dall'agenzia iraniana Isna, aggiungendo che "il popolo libico è in grado di assumere la responsabilità di guidare il Paese". 11:43 Libia, oltre duemila cinesi arrivati a Malta 37 – La "Roma", una nave della compagnia Grimaldi è giunta oggi a La Valletta a Malta con a bordo circa duemila cinesi sgomberati da Bengasi. Sul traghetto viaggiavano, dice un comunicato del governo di pechini, 2.216 Cinesi, 13 maltes, 20 croati, 4 vietnamiti e 2 italiani". Altre tre navi organizzate da pechino hanno già portato circa 7mila cinesi dalla Libia verso Creta. In Libia circa 33mila cittadini cinesi sono impiegati in diversi settori, dalle ferrovie, al petrolio, alle telecomunicazioni. 11:41 Ex ministro interni libico: "Esercito si unisca alla rivolta" 36 – "Tutto l'esercito libico deve unirsi alla rivolta, non c'è nulla da aspettare" ha affermato l'ex ministro dell'Interno libico, Abdel Fattah Yunis, in un'intervista concessa alla tv 'al-Arabiya' da Bengasi, dove si trova dopo aver annunciato di essere passato dalla parte dei manifestanti. 11:30 Italiani senza viveri, aereo o nave per rimpatriarli 35 – E' decollato poco fa da Pisa un C-130 dell'Aeronautica militare diretto in Libia, forza ad Amal, la località dove sono rimasti bloccati alcuni lavoratori italiani che sono ormai senza viveri e sarebbero stati anche derubati. Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, facendo riferimento a questo gruppo di "circa 25 connazionali" ha ieri spiegato come siano andati a vuoto i due tentativi di riportarli a casa in aereo e che si sarebbe provato oggi via mare. 11:26 Libia, nuovi scontri a fuoco all'aeroporto di Misurata 34 – Nuovi scontri a fuoco si sono registrati nella notte nei dintorni dell'aeroporto di Misurata, caduto nei giorni scorsi nelle mani dei rivoltosi libici. Secondo quanto riferisce un testimone alla tv satellitare 'al-Arabiya', le milizie fedeli a Muammar Gheddafi hanno tentato più volte di riconquistare l'aeroporto, ma sono stati sempre respinti dai ribelli. Nei combattimenti di questa notte si contano diversi feriti. 11:14 Miozzo (unità di crisi Ue): esodo sotto controllo 33 – "Il numero dei profughi è sotto controllo, non c'è un esodo massiccio e lavoriamo per prevenirlo. Attualmente comunque tutti gli analisti considerano improbabile un grande flusso verso l'Italia: se accadesse il peggio, l'ondata sarebbe prima verso la Tunisia o l'Egitto". E' quanto afferma Agostino Miozzo, a capo dell'unità di crisi dell'Ue, in un'intervista alla Stampa. 11:09 Algeria, tensioni fra manifestanti pro e contro Bouteflika 32 – Tensioni fra manifestanti anti e pro Bouteflika sulla Piazza dei Martiri ad Algeri. Una cinquantina di giovani sostenitori del capo dello Stato hanno lanciato pietre contro gli oppositori, che sono alcune decine. I manifestanti pro Bouteflika sventolano foto del presidente e intonano cori in favore dello Stato. La polizia tenta di tenere divise le due parti. In piazza per il terzo sabato consecutivo anche il presidente della Lega algerina dei diritti umani, Ali Yahia Abdenour, 92 anni, e membri del partito di opposizione Rcd. 11:04 Rampl (Unicredit), ancora nessun contatto con Bengdara 31 – "Ancora niente, nessuna notizia, non siamo riusciti a contattarlo", così Dieter Rampl, presidente del gruppo Unicredit, sulla sorte del vicepresidente libico Farhat Bengdara. I libici hanno in Unicredit complessivamente il 7,5% del capitale, 4,9% in capo alla banca centrale e 2,6% in capo al fondo sovrano. 10:57 Yemen, i più importanti capi tribù si uniscono alle proteste 30 – I capi delle più importanti tribù yemenite, fra cui gli Hashed e i Baqil, hanno annunciato oggi che si sono uniti alle proteste contro il presidente Ali Abdallah Saleh, nel corso di un megaraduno a nord di Sanaa. Lo hanno riferito fonti tribali secondo le quali i capi delle due più potenti tribù del Paese, dove la struttura clanica è fondamentale, gli Hashed e i Baqil, si sono dissociati dal presidente, al potere da 32 anni. Gli Hashed sono considerati la più potente tribù yemenita. E' formata da nove clan, fra cui quello dei Sanhan, alla quale appartiene il capo dello stato. 10:52 Erede al trono libico, Senussi: "Fine di Gheddafi vicina" 29 – Il principe Mohammed Senussi, erede al trono in Libia, ha dichiarato al giornale arabo 'al-Sharq al-Awsat': "La situazione in Libia ora è drammatica". Secondo fonti libiche con cui il principe è in contatto, "sarebbero duemila i morti e diverse centinaia i feriti". Senussi è convinto che "la fine di Gheddafi sia ormai vicina, perché ha perso il controllo delle città orientali del paese e ora lui e i suoi familiari sono chiusi nella caserma di Bab al-Azizia". 10:49 Daily Mail, Sas in azione per salvataggi nel deserto 28 – Secondo il britannico Daily Mail le operazioni delle forze speciali nel deserto libico per salvare i britannici bloccati nei campi di petrolio sono cominciate. Il via alle azioni, confermato al quotidiano da una fonte al ministero della Difesa, sarebbe arrivato dopo che ieri il premier David Cameron ha avvertito i suoi connazionali che dovevano lasciare la Libia. Il timore del Foreign Office è che i dipendenti del petrolio possano diventare ostaggio delle forze fedeli a Muammar Gheddafi. 30 uomini dei Royal Marines e otto membri degli Special Boat Squadrons sono sbarcati giovedì dalla nave da guerra Cumberland a Bengasi. Forze speciali britanniche sarebbero anche all'ambasciata di Tripoli e nel deserto. 10:48 Camusso: "Pagheremo effetti politica estera sbagliata" 27 – Per prima cosa fermare il massacro, poi pensare alle conseguenze che saranno pesanti anche per l'Italia: Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, oggi a Mestre, commenta le drammatiche notizie in arrivo dalla Libia. "Siamo preoccupati per il fatto che la comunità internazionale, l'Europa, il nostro governo non abbiano preso con la necessaria decisione e forza una posizione precisa - ha osservato -. Questo è il primo problema: fermare le armi e il massacro. Poi ci sarà da discutere davvero perché pagheremo gli effetti di una politica estera ed economica che ha scelto la strada delle alleanze con i dittatori e non quella delle relazioni internazionali". 10:40 Proseguono i rimpatri degli occidentali dalla Libia 26 – A Malta è attraccata una fregata britannica proveniente dal porto di Bengasi con a bordo 207 persone. Oltre 35 ore di viaggio per le pessime condizioni meteorologiche. La Royal Navy ha detto che la Hms Cumberland ha portato in salvo in gran maggioranza dei cittadini britannici ma anche cittadini di oltre venti paesi. La Hms York, è stata inviata in Libia da Gibilterra per proseguire con i rimpatri. Ieri sera un traghetto organizzato dagli Stati Uniti con a bordo circa 300 passeggeri era arrivato a la Valletta. Nel frattempo due elicotteri Chinook della Raf sono arrivati a Malta assieme a un Hercules C-130. Forze speciali e agenti dell'MI6 starebbero negoziando con le tribù armate della Libia orientale l'accesso a piste di atterraggio nei territori da loro controllati. L'opzione preferita sarebbe tuttavia di radunare le persone bloccate in punti di raccolta e trasportarle in convogli di terra a Bengasi. 10:39 Algeria, ferito deputato opposizione Rcd 25 – Un deputato del partito di opposizione algerino 'Raggruppamento per la cultura e la democrazia' è stato ferito durante tafferugli scoppiato durante una manifestazione di protesta in Piazza dei Martiri, ad Algeri. Il deputato, Mohammed Khendek, è stato evacuato dalla protezione civile. 10:38 Bahrein: leader radicale sciita torna da esilio 24 – Un leader radicale dell'opposizione sciita del Bahrein, Hassan Mushaima, tornerà in patria oggi dopo che le autorità libanesi gli hanno restituito il passaporto, secondo quanto ha riferito un suo amico. Mushaima era stato condannato nel suo Paese ma graziato lunedì scorso dalle autorità di Manama. Due giorni fa era stato fermato all'aeroporto di Beirut subito dopo esser giunto con un volo di linea da Londra, dove risiedeva in esilio. 10:37 Al Jazeera: mercenari serbi tra piloti dei bombardamenti 23 – Secondo il sito web di Al Jazeera tra i piloti che hanno bombardato i manifestanti a Tripoli e Bengasi ci sarebbero anche dei mercenari serbi. La notizia è stata riferita da due piloti libici che, invece, per non essere costretti a sparare sui connazionali si sono rifugiati a Malta. 10:35 Guardian: contatti in corso Gb con esponenti regime 22 – Le autorità britanniche stanno contattando in modo diretto figure di spicco del regime libico, per persuaderle ad abbandonare Gheddafi ed evitare un processo per crimini contro l'umanità con il Colonnello. Lo ha appreso il Guardian. Con l'esercito britannico in allerta per rimpatriare 150 connazionali nel deserto libico, sono state prese misure di contingenza per chiudere l'ambasciata britannica a Tripoli. La sede diplomatica non sarà comunque chiusa questo fine settimana. 10:31 Sanzioni Onu, per 23 dignitari divieti viaggi e beni congelati 21 – Sono 23 i dirigenti libici a cui sono destinate le sanzioni Onu previste in una bozza che il Consiglio di Sicurezza voterà nelle prossime ore. Oltre all'embargo sulle armi, il documento prevede un bando sui viaggi all'estero e un congelamento degli asset del leader Muammar Gheddafi e dei suoi otto figli, Khamis, Hannibal, Muhammad, Saifulislam, Saif al- Arab, Mutassim, Saadi e Aisha. 10:21 150 dipendenti Bonatti ancora alla frontiera Libia-Tunisia 20 – Sono ancora bloccati alla frontiera tra Libia e Tunisia i 150 dipendenti, 10 italiani e gli altri di varie nazionalità, della Bonatti spa che da ieri mattina aspettano di poter passare il confine per raggiungere, con pullman tunisini noleggiati dall'azienda bresciana, l'aeroporto di Dijerba dove li attende un volo charter. Le autorità di confine libiche hanno negato il passaggio della frontiera perché sui passaporti manca il visto di uscita. 10:19 Cacciatorpediniere 'Mimbelli' a Bengasi per recupero italiani 19 – Il cacciatorpediniere 'Mimbelli' della Marina militare incrocia in queste ore al largo di Bengasi. L'unità della Marina dovrebbe completare le operazioni di evacuazione degli italiani bloccati in Libia. L'obiettivo è recuperare circa 25 connazionali che ancora non sono riusciti a lasciare il Paese nordafricano. 10:17 Times: Gheddafi ha 3 mld di sterline nascosti a Londra 18 – Il leader libico Muammar Gheddafi sarebbe riuscito a nascondere la scorsa settimana 3 miliardi di sterline presso un fondo di investimenti privati a Mayfair in uno sforzo in extremis di difendere gli assett di famiglia. Lo scrive il Times. I depositi a Mayfair confermano che Gheddafi starebbe segretamente occultando la sua fortuna, mentre le Nazioni Unite e la Ue si preparano a mettere i suoi beni sotto sequestro. 10:15 Algeria: oggi marcia di protesta dopo revoca stato emergenza 17 – Centinaia di agenti in tenuta anti-sommossa presidiano piazza dei Martiri, uno dei quartieri più popolari di Algeri dove è prevista la prima manifestazione dell'opposizione dopo la revoca dello stato d'emergenza. Gli agenti bloccano l'accesso alla piazza e almeno una trentina di blindati della polizia circondano il quartiere. Il collettivo per la democrazia ed il cambiamento è deciso a manifestare anche oggi per il terzo sabato consecutivo. La marcia, ancora una volta vietata dalle autorità, dovrebbe partire da piazza dei Martiri ai piedi della casbah e a pochi passi da Bab El Oued, fulcro delle proteste che all'inizio di gennaio hanno fatto 5 morti e 800 feriti. Giovedì è stato revocato ufficialmente lo stato d'emergenza che era in vigore in Algeria da 19 anni. 10:02 Al Jazeera, almeno sette morti ieri a Tripoli 16 – Testimoni hanno riferito ad Al Jazeera che almeno sette persone hanno perso la vita ieri a Tripoli quando le forze di sicurezza hanno sparato sui dimostranti. Lo scrive l'emittente araba sul suo sito internet. Un testimone, identificato come Reda, ha detto per telefono alla Cnn - che ne riferisce nel suo sito - che uomini armati e in borghese hanno ucciso ieri i suoi due fratelli durante manifestazioni anti-governative. "Anche due miei vicini sono stati uccisi e i loro corpi prelevati dalla strada e portati via", ha aggiunto la fonte, secondo cui persone ferite sono state rapite dagli ospedali e "portate via, nessuna sa dove". 10:00 Bersani: "Strumentali le preoccupazioni governo su esodo" 15 – Le preoccupazioni di questi giorni su un possibile esodo dalla Libia verso l'Italia sono strumentali. Ad affermarlo è il segretario del Pd Pierluigi Bersani, intervistato da La Stampa. "Può esserci - ha spiegato - un problema di immigrazione e certo dobbiamo chiedere una solidarietà europea, ma attenzione: in questi giorni abbiamo fatto risuonare le nostre preoccupazioni sull'esodo o sulla riscossa islamica, ma sono suonate quasi strumentali". 09:41 Coldiretti: crisi nord Africa costa un miliardo a tavola 14 – Vale quasi un miliardo l'effetto sulle tavole della crisi nei Paesi dell'Africa settentrionale. Lo afferma Coldiretti nel sottolineare che è di 500 milioni di euro il valore dei prodotti alimentari importati nel 2010 dall'area nordafricana in Italia. A sua volta l'Italia ha esportato in quei paesi soprattutto conserve di pomodoro, frutta, biscotti, cioccolato e anche cereali per un valore di 350 milioni di euro. La bilancia commerciale nell'agroalimentare dell'Italia con i Paesi dell'Africa settentrionale è comunque in rosso - afferma Coldiretti - per la presenza di un intenso flusso di importazioni che è stimato pari a 500 milioni di euro nel 2010. 09:22 Yemen, quattro morti ad Aden 13 – Quattro persone sono state uccise e altre quaranta ferite dai colpi sparati dalla polizia in occasione della dispersione delle manifestazioni di ieri pomeriggio e di questa notte ad Aden, grande città del sud dello Yemen. Lo hanno annunciato fonti mediche. Le vittime sono state colpite nel quartiere di Maalla. Sale così a sedici il numero di morti ad Aden dall'inizio della contestazione il 27 gennaio contro il regime del presidente Ali Abdallah Saleh, al potere da 32 anni. Altre due persone sono state uccise a San'aa e una terza a Taez. 09:21 Manifestanti cercano di coordinarsi con Bengasi 12 – Secondo quanto riefrisce il giornalista residente nella capitale libica, Muahhadm al-Hayazi, alla tv araba Al-Jazeera, un gruppo di attivisti e intellettuali che hanno preso parte alle proteste di ieri sta creando un coordinamento dei gruppi di opposizione in città per cercare di operare in stretto contatto con i gruppi di insorti che controllano Bengasi e la Cirenaica, in modo da portare avanti un tipo di lotta organizzata contro il regime di Muammar Gheddafi. 09:14 Bahrein, dimessi 4 ministri dopo manifestazioni 11 – "Quattro ministri si sono dimessi in Bahrein, a seguito delle manifestazioni come segnale di dialogo del governo nei confronti dei dimostranti che negli ultimi giorni hanno protestato nel Paese", ha spiegato il presidente della Comunità araba in Italia (Co-mai), Foad Aodi. 09:11 Hillary Clinton attesa lunedì a Ginevra 10 – Lunedì 28 il segretario di Stato americano Hillary Clinton sarà a Ginevra per una riunione del Consiglio diritti umani dell'Onu durante la quale la Libia verrà sospesa dall'organ
09:11 Hillary Clinton attesa lunedì a Ginevra 10 – Lunedì 28 il segretario di Stato americano Hillary Clinton sarà a Ginevra per una riunione del Consiglio diritti umani dell'Onu durante la quale la Libia verrà sospesa dall'organismo. 09:07 Evacuati tutti i cittadini americani 9 – Il via libera alle sanzioni da parte degli Usa è arrivato dopo che tutti i cittadini americani hanno lasciato la Libia, compreso il personale dell'ambasciata, che ha sospeso le sue operazioni. L'evacuazione degli ultimi statunitensi si è conclusa nella serata di ieri con la partenza di un traghetto diretto a Malta e di un aereo per Istanbul. 08:58 Al via evacuazione di 18mila indiani residenti in Libia 8 – Inizia oggi l'operazione di evacuazione di 18 mila indiani residenti in Libia. Due aerei speciali della compagnia di bandiera Air India sono stati autorizzati ad atterrare all'aeroporto di Tripoli, secondo quanto riportano i media indiani. Per i prossimi dieci giorni effettueranno voli quotidiani diretti a New Delhi e Mumbai. Nel frattempo, un traghetto, in grado di trasportare 1.200 persone, raggiungerà domani il porto di Bengasi per rimpatriare i connazionali in fuga dai sanguinosi disordini scoppiati nel paese arabo. Il governo di New Delhi ha anche inviato due navi militari della Marina indiana da 1000 posti ciascuna. In un comunicato diffuso ieri, il ministero degli Esteri ha precisato che l'evacuazione è gratuita e ha messo in guardia da "elementi senza scrupoli che chiedono denaro o commissioni per facilitare la partenza dei connazionali". 08:57 Il governo del Gambia chiede dimissioni Gheddafi 7 – Il governo del Gambia ha chiesto a Gheddafi di dare le dimissioni per evitare il bagno di sangue nel proprio Paese. "Condanniamo - ha detto il portavoce del governo gambiano, Njogu Bah - le violenze senza precedenti che Gheddafi e i suoi uomini stanno infliggendo al popolo libico". Il governo poi ha voluto mettere in guardia i mercenari gambiani che si sono messi a fianco di Gheddafi: "Non si aspettino sostegno da noi. Gli africani neri devono guardarsi del mettersi a fianco del leader libico che ha comparato i neri a dei barbari. Questo è un insulto inaccettabile". 08:46 Onu, consiglio sicurezza vota sanzioni alle 17 6 – Il Consiglio di sicurezza dell'Onu si riunirà oggi alle 17 ora italiana a Palazzo di Vetro per votare l'imposizione di sanzioni alla Libia. Il pacchetto, intorno a cui c'è l'accordo, prevede embargo sulle armi, congelamento dei beni, limite ai viaggi dei dignitari e un riferimento a eventuali crimini contro l'umanità. Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, è stato determinato: "perdere altro tempo significa perdere più vite", ha detto parlando davanti al Consiglio. Lunedì Ban incontrerà il presidente americano Barack Obama. 08:44 Usa congela beni Gheddafi 5 – L'ordine esecutivo firmato da Barack Obama è in vigore immediatamente e consiste essenzialmente nel blocco dei beni di Gheddafi e di almeno quattro suoi familiari: Ayesha, generale dell'esercito nato nel 1976 o 1977; Khamis, nato nel 1980; Mutassim, consigliere per la sicurezza nazionale nato intorno al 1975 e Saif Al-Islam, nato il 5 giugno del 1972. In una dichiarazione diffusa dal suo portavoce, Obama scrive che "il governo di Gheddafi ha violato le norme internazionali, la decenza comune e deve essere considerato responsabile. Per tali ragioni queste sanzioni colpiscono il governo Gheddafi, mentre proteggono gli asset che appartengono al popolo libico". Obama ha infine inviato una lettera di spiegazioni ai presidente del Senato e della Camera dei Rappresentanti. 08:43 Gheddafi controlla solo Bab el Zizia 4 – "Gheddafi controlla solo Bab el Zizia, che è il quartiere della propria roccaforte, dove il leader libico è asserragliato. Nei pressi del quartiere in queste ore si sente ancora qualche sparo", ha detto il presidente della Comunità araba in Italia (Co-mai), Foad Aodi. 08:42 Il figlio di Gheddafi offre negoziato ai ribelli 3 – Il figlio del leader libico Muammar Gheddafi, Seif al Islam, ha offerto negoziati ai ribelli che si oppongono al regime del padre, ma il suo linguaggio, nell'intervista all'inviato di Repubblica, non è apparso conciliante. "Abbiamo a che fare con dei terroristi - ha detto nella tarda serata di ieri - l'esercito ha deciso di non attaccarli e di dar loro l'opportunità di negoziare. Speriamo di poterlo fare in modo pacifico e lo faremo a partire da domani". 08:40 Delegazione libica sostituisce la bandiera 2 – "La Delegazione libica ha sostituito la bandiera libica con quella antecedente al regime di Gheddafi presso la sede della Lega araba in Egitto". Lo ha riferito il presidente della Comunità araba in Italia (Co-mai), Foad Aodi, che da Roma è in contatto con alcuni testimoni in Libia e in Egitto. 08:39 Dopo gli scontri ancora calma nella capitale 1 – La situazione a Tripoli appare relativamente calma questa mattina dopo i violenti scontri di ieri e la manifestazione sostegno di Gheddafi. Nella notte si sono uditi sporadici colpi di armi da fuoco. Le strade della capitale libica dopo la festività islamica del venerdì sono semideserte. Le utorità libiche hanno intanto deciso di trasferire i giornalisti stranieri, tra cui gli inviati italiani, dall'hotel Corinthia al Rixos, alla periferia sud della capitale. (26 febbraio 2011)
IL COMMENTO Mediterraneo in armi di VITTORIO ZUCCONI Il nostro piccolo mare che non vuole morire torna a risucchiare un mondo che sempre vorrebbe ignorarlo e sempre è costretto a guardarlo. Nella Casa Bianca che tentava di volgersi verso il Pacifico e l'Asia, nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu, nelle cancellerie delle potenze europee di prima grandezza, governanti, diplomatici e generali devono ruotare di nuovo il mappamondo e puntare il dito su quella che sembra una pozzanghera e ridiventa un calderone che ribolle di ipotesi di interventi militari diretti o indiretti. Oltre le cronache, le immagini raccapriccianti, le ipotesi, le domande che oggi si impongono sono: intervenire o no? Fare un'altra guerra, magari "umanitaria" o no? Morire per Tripoli? Il mattatoio del "saggio" e "amico" Gheddafi che sta uccidendo una nazione per salvare se stesso è una guerra civile, per ora, ma le guerre civili in questo bacino di storia violenta hanno la brutta abitudine di trascinare con loro chi sembra estraneo, ma ha una mano, magari nascosta, nell'ingranaggio. Anche nella Jugoslavia disintegrata, che sul Mediterraneo orientale si stendeva, era una macelleria etnica interna: eppure l'America lontanissima, poi la Nato e l'Europa, ne furono risucchiati, generando quella dottrina dell'"intervento umanitario" che da allora significa nulla e dunque tutto. Navi da guerra, battendo per ora bandiere appunto umanitarie, stanno facendo rotta verso le coste che furono regno fenicio, poi Mare Nostrum, poi Impero Ottomano, poi "Costa dei Barbari", poi Tripolitania, oggi Libia. Si parla seriamente di no fly zone, di controllo armato dello spazio aereo libico, per impedire i mitragliamenti e i bombardamenti degli insorti, ma il blocco con la forza dei cieli di una nazione è un atto di guerra, che la si chiami umanitaria o no. Si scuote dunque dal torpore mediterraneo anche quella Sesta Flotta americana che ormai aveva spostato le proprie navi verso l'Asia, dopo la fine della Guerra Fredda. Dal 2009, quando il tender per sottomarini nucleari "Emory Land" lasciò l'isola ormai denuclearizzata della Maddalena, la Sesta Flotta, che dal comando di Gaeta era arrivata a controllare sottomarini nucleari, portaerei, 40 unità di superficie, 200 aerei, oggi conta soltanto una nave di comando e controllo, veterana di 41 anni di servizio, la "Whitney", varata nel 1969. Ci sono troppi interessi, troppa umanità diversa, troppo sangue caldo, troppa storia compressi in troppo poco spazio, mezzo miliardo di individui affacciati su appena 2 milioni e mezzo di chilometri quadrati di mare dal Bosforo a Gibilterra contro i 180 milioni di kmq del Pacifico, i 106 dell'Atlantico, perché periodicamente l'acqua del "mare amaro", come lo definì lo storico inglese Simon Ball, non torni al punto di ebollizione. Le ragioni possono essere apparentemente le più varie, dal duello di potenze emergenti a Roma e Cartagine agli incubi inflazionati di "sultanati" ed "emirati" che inghiottano l'intera sponda africana del nord da Israele all'Atlantico, ma la causa profonda è sempre la stessa. L'instabilità di quel mare interno che non divide, ma collega nella sua piccolezza due continenti, risucchia nel proprio gorgo anche il resto del mondo che cerca di guardare da un'altra parte. Il portavoce della Casa Bianca, Carney, spiega che il presidente Obama "non esclude niente", formula che si ferma appena un passo prima dell'espressione "ogni mezzo necessario" che arriverà, se il massacro tripolino ordinato da un Gheddafi che non può a questo punto fuggire senza essere inseguito - come Milosevic - dai tribunali internazionali, non si fermasse. Si attende il Consiglio di Sicurezza, non perché sia in grado di lanciare alcuna iniziativa concreta: solo ieri la Commissione per i Diritti umani ha finalmente deciso di escludere la Libia dalla Commissione per i Diritti Umani. Ma perché la Washington di Obama non è quella di Bush: nessun marine o jet americano si muoverebbe senza il viatico di una risoluzione e autorizzazione dell'Onu. Il Mare Nostrum ridiventato "Mare Calidum" caldissimo si vendica sempre di chi credette di poterlo abbandonare e tradire con oceani più grandi e ricchi, come se i viaggi di Colombo o la parziale vittoria di Lepanto avessero segnato per esso "la fine della storia". Invece fu proprio nelle stesse acque dove ora potrebbero lanciarsi migliaia o centinaia di migliaia di disperati nelle rotte contrarie a quelle delle unità militari inviate per fermare - senza osare dirlo - anche loro, che i neonati Stati Uniti dispiegarono per la prima volta nel 1801 la propria forza navale fuori dalle acque del Nuovo Mondo. Guidarono la spedizione a Tripoli contro i pirati "Barbari", in realtà "Berberi", controllati dai sultanati del Marocco e della Tripolitania. Neppure lo scontro fra l'Est e l'Ovest, dopo la fine della guerra aperta fra l'Asse e gli Alleati, raffreddò le acque bollenti del Mediterraneo, tra l'Algeria ribelle, i bombardamenti anglo-francesi sull'Egitto di Nasser mentre l'esercito israeliano avanzava nel Sinai, i pattugliamenti reciproci fra sottomarini nucleari russi e americani. Ora è bastato che si riaprisse il transito a Suez perché si ripresentassero immediatamente anche gli iraniani, con due navi da guerra, per esserci anche loro e mostrare la bandiera degli ayatollah in quel mare attratti dall'odio per i "Sionisti" israeliani. Ci possono essere periodi di lunga bonaccia, in queste acque che appaiono mitissime quando sono in buona e sanno diventare improvvisamente tremende se l'alta pressione esercitata da una potenza dominante, come fu l'America dopo Roma, Bisanzio, Spagna, Francia, Impero Turco, Gran Bretagna, tutte sicure di possederle per sempre, si allenta. E' storia vecchia, ed è storia di oggi. Questa pozzanghera di umanità ha già saputo cambiare il mondo, senza aspettare il ricatto del petrolio o gli spettri della violenza. A volte, è bastato soltanto un libro. (26 febbraio 2011)
LA RIVOLTA Fuoco su Tripoli nella giornata dell'odio Gheddafi: "Il popolo libico mi ama" Il Colonello appare alla folla scesa nella piazza Verde per sostenerlo. Il secondogenito: esercito fermato per trattare coi ribelli, domani l'accordo. Ma in strada si continua a sparare. Per la Rete, Cnn e Al Jazeera ci sono decine di morti. La tv di Stato nega. Gli ambasciatori libici nei più importanti Paesi europei, tra cui l'Italia, si sono schierati con i ribelli. Gli Usa: "Ricorreremo alla forza" Fuoco su Tripoli nella giornata dell'odio Gheddafi: "Il popolo libico mi ama" L'intervento di Gheddafi trasmesso da Al Jazeera ROMA - Era il giorno della rabbia e dell'odio contro Muammar Gheddafi. Proclamato dalla Rete, portato avanti nelle città in rivolta. E mentre Tripoli è in battaglia, gli Stati Uniti hanno dichiarato di non escludere alcuna ipotesi, incluso il ricorso alla forza, per porre fine alle violenze in Libia. Ma il Colonello riesce ancora a contare sull'appoggio di una parte del suo popolo. Più di cinquemila persone sono scese nella Piazza Verde per urlare slogan in suo favore. E Gheddafi è apparso nel tardo pomeriggio per incitare la folla: "Il popolo mi ama. Preparatevi a difendere la Libia", ha detto alla piazza. "Sono in mezzo a voi, chi non mi vuole non merita di vivere", ha urlato. Gheddafi rappresenta il caos, lo governa come riesce, urla, esaspera la violenza e la confusione. "Apriremo tutti i depositi d'armi per armare la gente", ha gridato, cercando di portare quel che resta dei suoi sostenitori a difendere il petrolio, la sua speranza, vera arma che resta nelle mani del Paese. "Proteggete la Libia e i suoi giacimenti di petrolio", ha detto, ripetendo quello che aveva già dichiarato durante la sua prima apparizione pubblica: "Guarda Europa, guarda America, questo è il popolo libico, questo è il frutto della rivoluzione. La rivoluzione ha risuscitato Omar El Mukhtar, combatteremo per la terra di Libia". L'illusione di una città senza pace è uscita nelle sue parole di commiato: "Eccomi qui, sono tra voi, ballate e siate felici". E la folla, con donne e bambini e bandiere verdi della Jamayiria, ha risposto: "Solo Dio, Muammar e Libia!". 1In serata serata è apparso, in televisione, Seif al islam, il secondogenito di Gheddafi. Ha annunciato che all'esercito è stato ordinato di fermarsi per poter avviare negoziati con i "ribelli", aggiungendo di sperare in un accordo pacifico per "domani".
VIDEO 2 Ma Tripoli va a fuoco. Sul lungomare della capitale, a poche centinaia di metri di distanza dalla piazza Verde, sono stati piazzati posti di blocco presidiati da polizia, esercito e miliziani armati con la fascia verde al braccio. "La strada è piena di militari e di agenti di polizia armati di kalashnikov, e tutti gli incroci sono presidiati", ha detto ad Al Jazeera un testimone. "Chiedono agli autisti di aprire i portabagagli, e mostrare cosa trasportano all'interno dei veicoli - ha spiegato -. E' molto, molto difficile muoversi". Si spara tra le strade della città fondata dai fenici, ci sono morti e feriti nelle piazze. Le forze di Muammar Gheddafi continuano a colpire senza prendere la mira. Secondo l'emittente araba le brigate della sicurezza sparano sui civili e sono decine i morti e i feriti, sparsi in diverse zone della città. Il Colonello controlla ormai soltanto la residenza-caserma di Bab Al-Azizia, nonostante continuino a girare voci sulla sua morte, smentite regolarmente dalle sue sporadiche apparizioni pubbliche. La Rete e le forze mediatiche terrestri si contengono la propria parte di verità. "Oggi la Libia sarà finalmente libera", grida il messaggio che 'ShababLibya', il movimento giovanile libico tra i protagonisti della rivolta, ha pubblicato suTwitter. La tv di Stato nega. E' una battaglia di media, e guardare il caos da fuori è mettere insieme pezzi 3 di un puzzle contorto. L'aeroporto di Maatiqa, utilizzato per i voli militari e alcuni collegamenti interni, è presidiato da militari e poliziotti, i manifestanti non sono ancora riusciti a prenderlo. Uno degli inviati della Cnn in Libia ha reso noto citando testimoni oculari che è in corso una battaglia "sanguinosa" nel mercato del venerdì a Tripoli. "Si spara a casaccio", ha riferito con un messaggio via Twitter, precisando che secondo fonti mediche i morti tra i manifestanti nei diversi scontri in Libia sarebbero 17. Anche il conteggio delle vittime non ha riscontri certi. Mentre la tv di Stato nega ci siano stati morti oggi, da Twitter e Facebook arrivano conteggi allarmanti. "Fonti mediche di Tripoli - si leggeva oggi su un messaggio apparso sulle televisioni - negano in modo netto quanto sostengono alcune tv satellitari arabe ostili al popolo libico, che parlano della morte di tre persone a Tripoli". Il cerchio intorno alla capitale si sta stringendo nel tentativo di soffocarla. Le milizie anti-governative hanno conquistato la città costiera Misurata, a meno di 200 chilomentri da Tripoli, dopo aver respinto una violentissima controffensiva. Testimoni hanno riferito anche della presa di Brega, un importante porto industriale del Mediterraneo nel Golfo della Sirte. Yefren, Zenten e Jadu, area roccaforte della minoranza etnica berbera, sono cadute nelle mani degli insorti. In una girandola di incontri ai quattro lati del globo, la diplomazia internazionale sta cercando le misure per fermare la brutale repressione lanciando un'operazione umanitaria. Lo scopo è portare via dalla Libia i cinque-sei mila europei ancora presenti. Il Consiglio di sicurezza dell'Onu vuole cercare di bloccare la fornitura di armi, cerca di spaventare il regime promettendo il congelamento dei beni e il ricorso alla corte penale internazionale per chi si sarà macchiato di crimini di guerra. L'Unione Europa è pronta a imporre una zona di esclusione aerea in modo da impedire ulteriori bombardamenti sui manifestanti. Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha detto che l'Alleanza è pronta a coordinare una missione per il recupero degli stranieri e per consegnare aiuti umanitari; e ha convocato per il pomeriggio una riunione urgente del Consiglio Atlantico, a Bruxelles. La città è al collasso. Il Pam (Programma alimentare dell'Onu) teme che si interrompa la catena di distribuzione degli alimenti. Mentre Saif al Islam, il secondogenito di Muammar Gheddafi, ha detto che "il piano A è di vivere e morire in Libia, il piano B è di vivere e morire in Libia, il piano C è di vivere e morire in Libia", chi può invece cerca di scappare e il regime perde pezzi. Uno dei figli di Gheddafi sarebbe da due giorni in Venezuela, il procuratore generale e uno dei più stretti collaboratori del colonnello, Ahmed Kadhaf Al Dam si sono dimessi, così come dopo un assalto alla missione diplomatica libica in Francia, ha fatto anche l'ambasciatore a Parigi. L'ambasciatore al Consiglio per i diritti umani dell'Onu Ibrahim A.E. Aldredi, ha deciso di non essere più leale a Gheddafi. Aldredi ha parlato nella riunione speciale del Consiglio per annunciare che "da oggi il sottoscritto e tutta la missione libica a Ginevra rappresentiamo il popolo libico". Inoltre, si è dimesso il rappresentante libico presso l'Organizzazione delle nazioni Unite per l'alimentazione (Fao). Perfino il pilota personale del Colonnello Gheddafi, il norvegese Aud Berger, è fuggito con la sua famiglia diretto verso l'Austria. Gli ambasciatori libici nei più importanti Paesi europei, tra cui l'Italia, e alle Nazioni Unite hanno preso le distanze da Gheddafi e si sono schierati con i ribelli. Mentre gli Stati Uniti hanno sospeso l'attività dell'ambasciata in Libia e l'Onu ha dichiarato che le violenze in corso sono un crimine contro l'umanità, in un documento congiunto, Hafed Gaddur (ambasciatore in Italia), Abdurrahman Shalgam (all'Onu), Omar Jelban (in Gran Bretagna), Salah Zarem (in Francia), Al-Egieli Al Breni (in Spagna), Gamal Barq (in Germania) e i loro colleghi in Grecia e a Malta si sono appellati al popolo libico "in lotta": "Popolo nostro - si legge nel documento - in questi momenti noi siamo con te, noi non ti abbandoneremo e ci impegneremo al massimo per servirti" come "soldati leali al servizio dell'unità nazionale, della libertà e della sicurezza" della Libia. "Noi rimarremo al nostro posto per servire il nostro popolo nei Paesi in cui siamo, nei quali rappresentiamo il popolo libico. Dio abbia misericordia dei martiri del popolo libico", hanno concluso gli ambasciatori. Nella bozza emessa dall'Onu il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon è stato determinato: "Perdere tempo significa perdere più vite", ha detto al Consiglio, riunito per considerare possibili sanzioni contro il regime libico. Ban Ki-Moon ha riferito di rapporti secondo i quali forze governative sono entrate negli ospedali per uccidere oppositori feriti, e hanno anche ucciso soldati che si rifiutavano di sparare sui civili. Il segretario dell'Onu lunedì incontrerà il presidente degli Usa Barack Obama per parlare delle misure destinate a far cessare le violenze. E le sanzioni delle Nazioni unite - fanno sapere fonti dell'Onu - potrebbero essere approvate già domani. Conterrebbero l'embargo sulle armi, il blocco dei beni, limiti ai viaggi per i dignitari del dignitari oltre ad un riferimento a eventuali crimini contro l'umanità. "Tenete i confini aperti", chiede il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, ai Paesi vicini alla Libia, anche quelli europei, nel timore di una ondata di profughi. Ban ha sottolineato che ci sono "serie indicazioni di una crisi sempre più grandi per rifugiati e profughi" che stanno scappando dal Paese per evitare di essere uccisi. "Secondo le nostre stime, in circa 22mila hanno lasciato la Libia entrando in Tunisia, mentre in 15mila sono scappati in Egitto", ha detto Ban. Il segretario generale ha sottolineato che i profughi, in realtà, sono potenzialmente molti di più: "Un numero ben maggiore di residenti e lavoratori immigrati sono di fatto intrappolati". Al Palazzo di Vetro si teme che "la situazione peggiorerà, e per questo i responsabili del Programma alimentare mondiale (Pam) sono preoccupati per le scorte di cibo in Libia". I funzionari dell'Alto Commissariato dell'Onu per i rifugiati hanno parlato di viaggi "terrificanti" per arrivare ai confini tunisino o egiziano", durante i quali i profughi "vengono minacciati con pistole e coltelli". (25 febbraio 2011)
L'INTERVISTA Il figlio Seif: "Sono terroristi ma ancora possiamo trattare" Dalle tv arabe solo bugie, il mondo venga a vedere" dal nostro inviato VINCENZO NIGRO Il figlio Seif: "Sono terroristi ma ancora possiamo trattare" Seif Al-Islam Gheddafi TRIPOLI - Forse è troppo tardi, forse servirà solo a prolungare l'agonia di un regime in disfacimento. Ma ieri notte, nel salone delle conferenze del Rixos, il figlio del capo ha dimostrato che la Libia ha un'alternativa. Che un altro leader forse sarebbe stato possibile. Saif Gheddafi ha governato per un'ora e mezza una conferenza stampa disperata di fronte alla stampa di mezzo mondo mentre il suo Paese e la dinastia creata da suo padre danzano sull'orlo dell'abisso. Signor Gheddafi, lei sa che Stati Uniti, l'Europa, anche Cina e Russia si preparano a varare sanzioni contro il governo libico, contro suo padre, contro di voi? "Noi abbiamo trattato per anni con le grandi potenze, sappiamo bene come lavorare col Consiglio di sicurezza, con America e Francia. Anche questi Paesi sono sotto influenza di questa grande campagna mediatica costruita contro la Libia. Io dicono solo una cosa: dovranno verificare cosa è successo per davvero in Libia, dovranno mandare una missione che elenchi i fatti, ristabilisca la verità, che racconti per davvero cosa è successo in questi giorni. Gli americani hanno grandi mezzi di intelligence, hanno i satelliti che possono raccontare cosa è successo per davvero in Libia. Venite, scoprirete la verità, perché vogliamo far sapere tutto". E qual è la verità, lei contesta che siano avvenuti degli attacchi contro il popolo libico che si ribellava al governo? "Noi libici conosciamo i fatti, ma il mondo ha visto quello che è accaduto in Libia solo attraverso una piccola finestra, quella di media arabi che hanno risposto a una "black agenda", che hanno offerto al mondo solo falsità. E devo dirvi una cosa: noi assistiamo Mai ucciso civili I nostri aerei hanno colpito solo depositi di munizioni. Nessuno ha ucciso o bombardato donne, bambini, civili addolorati a funzionari, ambasciatori che hanno annunciato le loro dimissioni, che si sono allontanati dal governo libico". Saif Gheddafi si riferisce ai pezzi da novanta della diplomazia libica, compresi Abderrahman Shalgam, ambasciatore all'Onu e poi Hafed Gaddur, l'ambasciatore in Italia. "Non c'erano giornalisti in Libia, adesso ci siete voi", dice rivolgendosi a decine di inviati francesi, inglesi americani a cui ha aperto le porte: "Da domani girate ovunque, andate a vedere se è vero che i quartieri di Tripoli che dicono siano stati bombardati dalla nostra aviazione sono ancora in piedi o no. I nostri aerei hanno colpito depositi di munizioni e installazioni nel deserto. Nessuno ha mai ucciso o bombardato donne, bambini, civili". Ma perché i media arabi, e prima di tutti due emittenti televisive molto popolari come Al Jazeera e Al Arabiya, avrebbero dovuto attaccarvi? "Sono strumento di una grande cospirazione di Paesi arabi contro di noi, vi dirò presto chi. Non hanno capito che stanno favorendo la creazione di un Afghanistan in riva al Mediterraneo". Ma lei non può negare che il Paese sia nel caos. "È vero, c'è confusione nel Paese. Innanzitutto a Bengasi, poi nella zona di Misurata e Zawaya. Ma abbiamo di fronte terroristi, gruppi organizzati che a Bengasi hanno preso in ostaggio una città di un milione e mezzo di persone mentre loro saranno 10.000 o poco più. Ora stiamo cercando di trovare un accordo con questi terroristi. L'esercito ha deciso di non attaccarli per dare loro una chance per negoziare. Auspichiamo che si possa farlo pacificamente domani (oggi per chi legge ndr.)". Lei ha minacciato di combattere fino all'ultimo uomo, una promessa di distruzione. "Qui non possiamo non dirci le cose in faccia: il progetto di questa gente è la distruzione della Libia. Il popolo libico è unito con il suo leader. Questi terroristi non parlano di riforme, non parlano di costituzione, di politica. Si sono impossessati delle armi, hanno massacrato poliziotti. Hanno già creato un emirato islamico, frantumeranno la Libia. Domani vi daremo un video: vedrete i capi della rivolta di Bengasi che solo tre settimane fa parlavano con mio padre Muhammar Gheddafi, discutevano di politica e sapevano che presto sarebbero iniziate le riforme politiche". Signor Gheddafi, questa è la partita finale per suo padre, per la famiglia Gheddafi? "Questa non è la partita di una famiglia, qui stiamo parlando dell'unità di una nazione oppure della sua distruzione". (26 febbraio 2011)
LA RIVOLTA Fuoco su Tripoli nella giornata dell'odio Gheddafi: "Il popolo libico mi ama" Il Colonello appare alla folla scesa nella piazza Verde per sostenerlo. Il secondogenito: esercito fermato per trattare coi ribelli, domani l'accordo. Ma in strada si continua a sparare. Per la Rete, Cnn e Al Jazeera ci sono decine di morti. La tv di Stato nega. Gli ambasciatori libici nei più importanti Paesi europei, tra cui l'Italia, si sono schierati con i ribelli. Gli Usa: "Ricorreremo alla forza" Fuoco su Tripoli nella giornata dell'odio Gheddafi: "Il popolo libico mi ama" L'intervento di Gheddafi trasmesso da Al Jazeera ROMA - Era il giorno della rabbia e dell'odio contro Muammar Gheddafi. Proclamato dalla Rete, portato avanti nelle città in rivolta. E mentre Tripoli è in battaglia, gli Stati Uniti hanno dichiarato di non escludere alcuna ipotesi, incluso il ricorso alla forza, per porre fine alle violenze in Libia. Ma il Colonello riesce ancora a contare sull'appoggio di una parte del suo popolo. Più di cinquemila persone sono scese nella Piazza Verde per urlare slogan in suo favore. E Gheddafi è apparso nel tardo pomeriggio per incitare la folla: "Il popolo mi ama. Preparatevi a difendere la Libia", ha detto alla piazza. "Sono in mezzo a voi, chi non mi vuole non merita di vivere", ha urlato. Gheddafi rappresenta il caos, lo governa come riesce, urla, esaspera la violenza e la confusione. "Apriremo tutti i depositi d'armi per armare la gente", ha gridato, cercando di portare quel che resta dei suoi sostenitori a difendere il petrolio, la sua speranza, vera arma che resta nelle mani del Paese. "Proteggete la Libia e i suoi giacimenti di petrolio", ha detto, ripetendo quello che aveva già dichiarato durante la sua prima apparizione pubblica: "Guarda Europa, guarda America, questo è il popolo libico, questo è il frutto della rivoluzione. La rivoluzione ha risuscitato Omar El Mukhtar, combatteremo per la terra di Libia". L'illusione di una città senza pace è uscita nelle sue parole di commiato: "Eccomi qui, sono tra voi, ballate e siate felici". E la folla, con donne e bambini e bandiere verdi della Jamayiria, ha risposto: "Solo Dio, Muammar e Libia!". 1In serata serata è apparso, in televisione, Seif al islam, il secondogenito di Gheddafi. Ha annunciato che all'esercito è stato ordinato di fermarsi per poter avviare negoziati con i "ribelli", aggiungendo di sperare in un accordo pacifico per "domani".
VIDEO 2 Ma Tripoli va a fuoco. Sul lungomare della capitale, a poche centinaia di metri di distanza dalla piazza Verde, sono stati piazzati posti di blocco presidiati da polizia, esercito e miliziani armati con la fascia verde al braccio. "La strada è piena di militari e di agenti di polizia armati di kalashnikov, e tutti gli incroci sono presidiati", ha detto ad Al Jazeera un testimone. "Chiedono agli autisti di aprire i portabagagli, e mostrare cosa trasportano all'interno dei veicoli - ha spiegato -. E' molto, molto difficile muoversi". Si spara tra le strade della città fondata dai fenici, ci sono morti e feriti nelle piazze. Le forze di Muammar Gheddafi continuano a colpire senza prendere la mira. Secondo l'emittente araba le brigate della sicurezza sparano sui civili e sono decine i morti e i feriti, sparsi in diverse zone della città. Il Colonello controlla ormai soltanto la residenza-caserma di Bab Al-Azizia, nonostante continuino a girare voci sulla sua morte, smentite regolarmente dalle sue sporadiche apparizioni pubbliche. La Rete e le forze mediatiche terrestri si contengono la propria parte di verità. "Oggi la Libia sarà finalmente libera", grida il messaggio che 'ShababLibya', il movimento giovanile libico tra i protagonisti della rivolta, ha pubblicato suTwitter. La tv di Stato nega. E' una battaglia di media, e guardare il caos da fuori è mettere insieme pezzi 3 di un puzzle contorto. L'aeroporto di Maatiqa, utilizzato per i voli militari e alcuni collegamenti interni, è presidiato da militari e poliziotti, i manifestanti non sono ancora riusciti a prenderlo. Uno degli inviati della Cnn in Libia ha reso noto citando testimoni oculari che è in corso una battaglia "sanguinosa" nel mercato del venerdì a Tripoli. "Si spara a casaccio", ha riferito con un messaggio via Twitter, precisando che secondo fonti mediche i morti tra i manifestanti nei diversi scontri in Libia sarebbero 17. Anche il conteggio delle vittime non ha riscontri certi. Mentre la tv di Stato nega ci siano stati morti oggi, da Twitter e Facebook arrivano conteggi allarmanti. "Fonti mediche di Tripoli - si leggeva oggi su un messaggio apparso sulle televisioni - negano in modo netto quanto sostengono alcune tv satellitari arabe ostili al popolo libico, che parlano della morte di tre persone a Tripoli". Il cerchio intorno alla capitale si sta stringendo nel tentativo di soffocarla. Le milizie anti-governative hanno conquistato la città costiera Misurata, a meno di 200 chilomentri da Tripoli, dopo aver respinto una violentissima controffensiva. Testimoni hanno riferito anche della presa di Brega, un importante porto industriale del Mediterraneo nel Golfo della Sirte. Yefren, Zenten e Jadu, area roccaforte della minoranza etnica berbera, sono cadute nelle mani degli insorti. In una girandola di incontri ai quattro lati del globo, la diplomazia internazionale sta cercando le misure per fermare la brutale repressione lanciando un'operazione umanitaria. Lo scopo è portare via dalla Libia i cinque-sei mila europei ancora presenti. Il Consiglio di sicurezza dell'Onu vuole cercare di bloccare la fornitura di armi, cerca di spaventare il regime promettendo il congelamento dei beni e il ricorso alla corte penale internazionale per chi si sarà macchiato di crimini di guerra. L'Unione Europa è pronta a imporre una zona di esclusione aerea in modo da impedire ulteriori bombardamenti sui manifestanti. Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha detto che l'Alleanza è pronta a coordinare una missione per il recupero degli stranieri e per consegnare aiuti umanitari; e ha convocato per il pomeriggio una riunione urgente del Consiglio Atlantico, a Bruxelles. La città è al collasso. Il Pam (Programma alimentare dell'Onu) teme che si interrompa la catena di distribuzione degli alimenti. Mentre Saif al Islam, il secondogenito di Muammar Gheddafi, ha detto che "il piano A è di vivere e morire in Libia, il piano B è di vivere e morire in Libia, il piano C è di vivere e morire in Libia", chi può invece cerca di scappare e il regime perde pezzi. Uno dei figli di Gheddafi sarebbe da due giorni in Venezuela, il procuratore generale e uno dei più stretti collaboratori del colonnello, Ahmed Kadhaf Al Dam si sono dimessi, così come dopo un assalto alla missione diplomatica libica in Francia, ha fatto anche l'ambasciatore a Parigi. L'ambasciatore al Consiglio per i diritti umani dell'Onu Ibrahim A.E. Aldredi, ha deciso di non essere più leale a Gheddafi. Aldredi ha parlato nella riunione speciale del Consiglio per annunciare che "da oggi il sottoscritto e tutta la missione libica a Ginevra rappresentiamo il popolo libico". Inoltre, si è dimesso il rappresentante libico presso l'Organizzazione delle nazioni Unite per l'alimentazione (Fao). Perfino il pilota personale del Colonnello Gheddafi, il norvegese Aud Berger, è fuggito con la sua famiglia diretto verso l'Austria. Gli ambasciatori libici nei più importanti Paesi europei, tra cui l'Italia, e alle Nazioni Unite hanno preso le distanze da Gheddafi e si sono schierati con i ribelli. Mentre gli Stati Uniti hanno sospeso l'attività dell'ambasciata in Libia e l'Onu ha dichiarato che le violenze in corso sono un crimine contro l'umanità, in un documento congiunto, Hafed Gaddur (ambasciatore in Italia), Abdurrahman Shalgam (all'Onu), Omar Jelban (in Gran Bretagna), Salah Zarem (in Francia), Al-Egieli Al Breni (in Spagna), Gamal Barq (in Germania) e i loro colleghi in Grecia e a Malta si sono appellati al popolo libico "in lotta": "Popolo nostro - si legge nel documento - in questi momenti noi siamo con te, noi non ti abbandoneremo e ci impegneremo al massimo per servirti" come "soldati leali al servizio dell'unità nazionale, della libertà e della sicurezza" della Libia. "Noi rimarremo al nostro posto per servire il nostro popolo nei Paesi in cui siamo, nei quali rappresentiamo il popolo libico. Dio abbia misericordia dei martiri del popolo libico", hanno concluso gli ambasciatori. Nella bozza emessa dall'Onu il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon è stato determinato: "Perdere tempo significa perdere più vite", ha detto al Consiglio, riunito per considerare possibili sanzioni contro il regime libico. Ban Ki-Moon ha riferito di rapporti secondo i quali forze governative sono entrate negli ospedali per uccidere oppositori feriti, e hanno anche ucciso soldati che si rifiutavano di sparare sui civili. Il segretario dell'Onu lunedì incontrerà il presidente degli Usa Barack Obama per parlare delle misure destinate a far cessare le violenze. E le sanzioni delle Nazioni unite - fanno sapere fonti dell'Onu - potrebbero essere approvate già domani. Conterrebbero l'embargo sulle armi, il blocco dei beni, limiti ai viaggi per i dignitari del dignitari oltre ad un riferimento a eventuali crimini contro l'umanità. "Tenete i confini aperti", chiede il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, ai Paesi vicini alla Libia, anche quelli europei, nel timore di una ondata di profughi. Ban ha sottolineato che ci sono "serie indicazioni di una crisi sempre più grandi per rifugiati e profughi" che stanno scappando dal Paese per evitare di essere uccisi. "Secondo le nostre stime, in circa 22mila hanno lasciato la Libia entrando in Tunisia, mentre in 15mila sono scappati in Egitto", ha detto Ban. Il segretario generale ha sottolineato che i profughi, in realtà, sono potenzialmente molti di più: "Un numero ben maggiore di residenti e lavoratori immigrati sono di fatto intrappolati". Al Palazzo di Vetro si teme che "la situazione peggiorerà, e per questo i responsabili del Programma alimentare mondiale (Pam) sono preoccupati per le scorte di cibo in Libia". I funzionari dell'Alto Commissariato dell'Onu per i rifugiati hanno parlato di viaggi "terrificanti" per arrivare ai confini tunisino o egiziano", durante i quali i profughi "vengono minacciati con pistole e coltelli". (25 febbraio 2011)
IL CASO Napolitano: "Non cedere a vittimismi" Maroni cerca 50 posti per i profughi Il Presidente: "L'emergenza libica è di tutta l'Unione europea". Frattini a un giornalista del Financial Times: "L'italia punta ancora su Gheddafi". Ma poi smentisce. Il ministro dell'Interno: "Nessun vittimismo ma sono preoccupato" Napolitano: "Non cedere a vittimismi" Maroni cerca 50 posti per i profughi BERLINO - In questi momenti di forte apprensione per i problemi che la rottura traumatica degli equilibri in Libia potranno determinare, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in visita di Stato in Germania, ha invitato tutti a stemperare i toni: "Non cedere a vittimismi e allarmismi" ha detto il Capo dello Stato prima di concludere la sua visita. Nella capitale tedesca, Napolitano ha fatto il punto sulla situazione in Maghreb con il suo omologo Christian Wulff e il cancelliere Angela Merkel. Poi ha ribadito "l'esigenza di una forte solidarietà per far fronte a questa emergenza; un'esigenza che non è solo dell'Italia o della Germania, paesi a cui non si chiede un particolare ruolo, ma di tutti". Perché, ha aggiunto, "il problema non è solo dell'Italia, ma di tutta l'Unione europea". "L'UE intervenga meglio". Napolitano ha poi replicato ad alcuni commenti apparsi sulla stampa: "Sui giornali - ha detto il Capo dello Stato - ho letto che il mio appello alla Germania sarebbe caduto nel vuoto o avrebbe trovato le porte chiuse. Non capisco da cosa ciò si desuma". Riferendosi poi alle stime sull'affluenza degli immigrati, ha aggiunto: "Non siamo in grado di fare previsioni, le stime sono premature. Ma è importante un intervento più consistente dell'agenzia Frontex dell'Ue. Ieri - ha detto ancora Napolitano - non ho parlato dell'accoglienza dei profughi e della loro distribuzione sul territorio di altri paesi. Ho messo, invece, l'accento sulla necessità di linee comuni dell'UE sulle politiche di immigrazione e d'asilo, come chiesto dal documento diramato due giorni fa alla fine della missione a Roma dei ministri degli Interni degli Stati membri dell'UE che si affacciano sul Mediterraneo". "Ci vuole un forte messaggio politico". Insomma, Napolitano ribadisce la necessità di una reazione corale dell'Ue nel suo complesso all'emergenza. "La volontà di portare avanti una politica euromediterranea anche in tema di immigrazione ed asilo ha scarseggiato. Quanto sta accadendo - ragiona il presidente della Repubblica - rappresenta una scossa talmente forte e brusca da permettere di superare esitazioni, attendismi, elusività ed ambiguità del passato. L'importante - puntualizza - è che dall'UE arrivi un forte messaggio politico di disponibilità e di impegno a cooperare per lo sviluppo dell'area del Mediterraneo, ed anche un forte rinnovato impegno per una politica comune in tema di immigrazione ed asilo". "Mai posto veti alla Libia". L'Italia, ha sottolineato il Capo dello Stato, "non ha mai posto veti o rifiuti a sanzioni" nei confronti della Libia". Poi ha aggiunto: "il luogo in cui discutere di sanzioni, affinché abbiano un'adeguata base giuridica ed efficacia, è l'Onu. Poi ognuno ha le sue posizioni. Noi adesso - ha detto ancora il presidente - abbiamo la grossa questione di garantire la sicurezza degli italiani e degli stranieri in Libia, delle misure da attivare per evacuarli in caso di necessità, misure che mi pare siano già scattate: abbiamo il problema di arrestare una violenza repressiva inaccettabile e di favorire la transizione ordinata verso un regime che riconosca libertà e diritti e collabori con la Ue". La replica di Maroni. "Nessuno fa allarmismi - ha replicato a distanza il ministro dell'Interno Roberto Maroni - ma, quando Frontex, l'Agenzia europea, dice che in Libia c'è il rischio che vadano via un milione e mezzo di persone, io sono preoccupato. Non faccio allarmi, non faccio allarmismi", ha insistito, ma, se mi consente - ha proseguito - sono preoccupato. Se qualcuno mi mette nero su bianco che dalla Libia non fuggirà nessuno, poi però deve rispondere di questo. Io non sono affatto convinto", ha proseguito il ministro. "Non abbiamo gli strumenti per essere sicuri di ciò". Il ministro: "Cerco 50 mila posti". Con i Centri di accoglienza pieni ed il "rischio" di un esodo dalla Libia in rivolta, il Viminale - secondo quanto si apprende - punta a cercare strutture in tutta Italia per ospitare fino a 50mila migranti, che potrebbero sbarcare nel giro di un mese. E' lo scenario peggiore ipotizzato dagli esperti del ministero. "Non possiamo farci trovare impreparati in caso di emergenza", aveva detto ieri a Bruxelles il ministro Roberto Maroni. Alla ricerca delle strutture per ospitare eventuali flussi eccezionali di stranieri si stanno dedicando i prefetti, con un "censimento" delle disponibilità, provincia per provincia, (edifici pubblici, ex caserme, ecc.) e il commissario straordinario per l'emergenza immigrazione, il prefetto di Palermo Giuseppe Caruso, che punta invece ad individuare aree dove installare eventualmente dei campi attrezzati con acqua, luce e gas. Il "Tutto esaurito". Le strutture del Viminale (Centri di accoglienza, Centri per richiedenti asilo, Centri di identificazione ed espulsione), che hanno una capienza complessiva di circa 8 mila posti, sono ormai al "tutto esaurito", dopo i circa 6.300 migranti (6.200 tunisini) arrivati in questo inizio d'anno. Si stringono dunque i tempi per trovare altre soluzioni di ospitalità da approntare in poche settimane. Intanto Frattini litiga con un giornalista. Una questione spinosa, questa dei rapporti attuali tra Gheddafi e il nostro Paese, alla luce di quanto sta succedendo e rispetto al futuro che si prospetta per la Libia. Nella sede dell'ambasciata italiana a Berlino c'è stata dell'agitazione per un'intervista tra il ministro Franco Frattini, che ha accompagnato Napolitano in questi due giorni, ed un giornalista dell'edizione tedesca dell'autorevole "Financial Times". Ne è nato un vero e proprio scontro, quando il giornale ha riferito che il ministro si sarebbe detto disponibile ad un "nuovo governo guidato da Gheddafi o da uno dei suoi figli". Il ministro precisa. "Sono stupefatto", ha detto Frattini incontrando i giornalisti ancor prima dello stesso Presidente della Repubblica: "Quello che è stato scritto non corrisponde a quello che penso e quello che ho detto". Secondo il Financial Times, invece, "l'Italia continua a puntare sul clan dei Gheddafi", e "ha messo in guardia gli europei dal promuovere attivamente la caduta" del dittatore libico. Di più: un virgolettato riferito dal giornale e attribuito al ministro degli Esteri, questa caduta "paradossalmente potrebbe finire per rafforzare il regime. Potrebbero dire: 'Guardate, l'Europa colonialista vorrebbe dettarci quello che dobbiamo fare". Inoltre, sempre secondo un virgolettato attribuito al ministro, "non possiamo stabilire a Bruxelles, a Roma o a Berlino cosa è bene per la Libia". "Non diciamo no alle sanzioni". Parole pesanti, che Frattini afferma di non aver detto. La Farnesina dirama una nota di smentita. Il ministro sussurra ai suoi collaboratori: "Lui - alludendo al giornalista tedesco - ha voluto parlare in italiano". Come dire: non ha capito nulla. Napolitano, prima di vedersi a sua volta con gli inviati per una dichiarazione non prevista dal programma, si mette in un angolo a parlare fitto con il ministro. E alla fine assicura: non diciamo no alle sanzioni, siamo per una transizione il più possibile ordinata, abbiamo i nostri concittadini da tutelare. E, intanto, non faciamoci prendere dagli allarmismi. Alemanno: "Che restino al Sud". Intanto, il sindaco di Roma, Gianni Alemanno ha risposto a chi gli chiedeva cosa sarebbe accaduto se la gestione del flusso di immigrati dovesse prevedere anche una quota destinata a Roma. "Il ministro degli interni - ha risposto il sindaco della capitale - mi ha detto che non c'è intenzione di portare i rifugiati libici a Roma, ma di tenerli solo nel Meridione. Se cambierà qualcosa vedremo di cosa si tratta". (25 febbraio 2011)
2011-02-22 Diretta Gheddafi: "Resto fino alla morte" Libia, nuovi raid aerei su Tripoli Da ieri sera stop a flusso gas Gheddafi: "Resto fino alla morte" Libia, nuovi raid aerei su Tripoli Da ieri sera stop a flusso gas Bossoli dei colpi sparati a Tripoli mostrati da Al Jazeera Il colonnello parla alla nazione dalla capitale libica: "Sono leader rivoluzionario, resterò a capo della rivoluzione fino alla morte". E ancora: "I manifestanti sono ratti mandati dai servizi segreti". Appello ai suoi sostenitori: "Uscite e andate a sterminarli". Accuse a Usa e Italia: "Da loro razzi per i dimostranti di Bengasi". La situazione è sempre più drammatica: secondo Al Jazeera sono ripresi i bombardamenti sui manifestanti che chiedono la fine del regime. Centinaia di morti nella sola Tripoli. Oggi ne discute il Consiglio di sicurezza dell'Onu. Eni: sospesa fornitura di gas attraverso Greenstream (Aggiornato alle 18:37 del 22 febbraio 2011) 18:37 La Russa: "Individuate tre aree per chi arriva dal Maghreb" 139 – La Difesa ha "già individuato tre aree militari dismesse con terreni e fabbricati" per contenere il flusso di immigrati che dovessero sbarcare nei prossimi giorni sulle coste italiane in fuga dalla Libia e dal Maghreb. Lo ha riferito il ministro della Difesa Ignazio La Russa appena rientrato a Roma da Abu Dhabi e che tra poco parteciperà a un vertice interministeriale con il ministro degli Esteri Franco Frattini 18:28 Algeria, governo approva revoca di stato d'emergenza 138 – Il governo algerino ha approvato la revoca dello stato d'emergenza dopo 19 anni. Lo hanno riferito i media ufficiali. La revoca diventerà effettiva dopo la pubblicazione del decreto sulla gazzetta ufficiale che, secondo l'agenzia di Stato Aps, è "imminente". 18:26 Frattini riferisce domani alla Camera 137 – Il ministro degli Esteri Frattini riferirà in aula sulla situazione in Libia domani alle 10.30. A stabilirlo è stata la conferenza dei capigruppo di Montecitorio. 18:25 Al Jazeera: aerei da guerra bombardano Tripoli, molti morti 136 – Aerei da guerra dell'esercito libico stanno bombardando una dopo l'altra diverse zone di Tripoli. Lo ha riferito Al Jazeera, citando una testimonianza secondo la quale i bombardamenti stanno causando "molti morti". Nel quartiere di Tayura, nella parte est della capitale, ci sono cadaveri per le strade. La tv panaraba ha aggiunto che in altre zone della città si sono visti elicotteri scaricare mercennari. 18:20 Di Pietro: "Berlusconi deplorevole, ha umiliato l'Italia" 135 – "Per quanto riguarda i rapporti con la Libia, fino ad oggi il comportamento del governo Berlusconi è stato deplorevole. Il presidente del Consiglio ha umiliato il nostro Paese, ha fatto il baciamano a Gheddafi, ha portato avanti accordi economici poco chiari, dando così credibilità ad un dittatore che oggi è alla fine del suo impero": lo ha affermato in una nota il leader dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro. 18:15 La Russa: "Per rimpatri difesa pronta con aerei e navi" 134 – Per il rimpatrio o l'eventuale evacuazione degli italiani dalla Libia la Difesa è pronta a mettere in campo quattro o cinque aerei C-130, alcune navi e, se necessario, qualche centinaio di militari". Lo ha detto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, sottolineando che di tutto ciò si parlerà nella riunione ministeriale in programma questa sera. 18:13 Gheddafi:"Avanzata divina contro chi minaccia unità Paese" 133 – "Se l'unità della nazione sarà messa in discussione o se appariranno forze antidemocratiche, in quel momento comincerà un'avanzata divina", ha detto Gheddafi, denunciando un ruolo di al-Qaeda nelle rivolte di questi giorni. 18:04 Gheddafi: "Sì a riforme ma Tianamen per chi protesta" 132 – Gheddafi ha minacciato di sedare le proteste dei "ribelli" con una risposta "simile a Tiananmen" e di "bonificare la Libia casa per casa". Nel discorso trasmesso in diretta dalla televisione libica, il colonnello ha aggiunto che non ha "nulla in contrario" al fatto che "il popolo faccia" una nuova Costituzione e nuove leggi e ha affermato che domani, se così si desidera, può nascere una "nuova Giamahiria" (repubblica) nel Paese. "I libici sono liberi perché il potere è in mano al popolo", ha sottolineato. 17:58 Berlusconi aggiorna Napolitano su profughi e rimpatri 131 – "Il Presidente del Consiglio ha aggiornato il Presidente della Repubblica sui preoccupanti sviluppi della situazione in Libia e sulle iniziative che il governo intende adottare per l'accoglienza dei profughi e per il rimpatrio dei cittadini italiani". E' quanto si legge nella nota diffusa dal Quirinale al termine del colloquio di oggi tra Napolitano e Berlusconi. 17:51 Gheddafi: "Disponibile a nuova costituzione" 130 – Il colonnello Gheddafi si è rivolto ai giovani promettendo da domani una nuova Jamahirya (stato delle masse), con libera stampa, diritti dei blogger, una nuova costituzione e un nuovo sistema giuridico. 17:50 Appello ambasciatori libici: basta terrore 129 – Gli ambasciatori della Libia in Francia e presso l'Unesco hanno lanciato oggi da Parigi un appello perchè venga "messo fine al terrore" in Libia. I due diplomatici, che nel primo pomeriggio erano stati dati per dimissionari da alcuni organi della stampa francese, hanno inoltre fatto sapere che alla fine resteranno al loro posto per "servire il popolo libero della Libia". 17:49 Un migliaio contro Gheddafi a Downing Street 128 – Un migliaio di manifestanti si sono radunati oggi a Downing Street per chiedere la fine del regime di Muammar Gheddafi in Libia. "No a Gheddafi", gridano i manifestanti, molti dei quali partiti stamattina da Manchester, dove c'è una vasta comunità di espatriati libici. "Vogliamo solo che se ne vada", ha detto uno di loro a SkyNews. 17:48 Ue sospende accordo quadro con la Libia 127 – L'Unione europea ha deciso di sospendere l'accordo quadro che sta negoziando con la Libia. Lo ha detto oggi al Cairo l'Alto rappresentante della politica estera della Ue, Catherine Ashton. 17:45 Roma, manifestazione giovani Pdl contro i massacri in Libia 126 – Oggi pomeriggio alle ore 18, davanti all’Ambasciata libica in via Nomentana 365, a Roma, si terrà la manifestazione dell’associazione dei giovani del Pdl "Officina Futura", insieme al vicepresidente del Parlamento europeo, Roberta Angelilli, per chiedere lo "stop immediato ai massacri contro i civili inermi". 17:44 Gheddafi annuncia comitati per la difesa della rivoluzione 125 – Nel suo discorso alla nazione, il leader libico Muammar Gheddafi ha annunciato la nascita di "comitati per la difesa della rivoluzione", che avranno il compito di difendere aeroporti, porti, impianti petroliferi e altre infrastrutture dai manifestanti anti-governativi. Nasceranno inoltre "comitati per la difesa dei valori sociali, composti da un milione di giovani che hanno memorizzato il Corano e che non avranno l'ordine di uccidere". 17:43 Rimpasto governo in Egitto, confermati i vertici chiave 124 – Rimarranno invariati i vertici dei ministeri chiave di Difesa, Interno ed Esteri in Egitto nell'imminente rimpasto di governo, riferiscono fonti militari. 17:40 Casa Bianca condanna "spaventosa violenza" 123 – La Casa Bianca ha condannato quella che ha definito "la spaventosa violenza" contro i manifestanti anti-governativi in Libia; e ha assicurato che sta lavorando con la comunità internazionale per parlare con una sola voce sulla situazione libica. Il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, a bordo dell'Air Force One insieme al presidente Barack Obama diretto a un evento imprenditoriale in Ohio, ha invitato la Libia a rispettare i diritti del suo popolo. 17:38 Gheddafi chiede ai suoi di scendere in piazza domani 122 – Gheddafi chiede ai suoi di scendere in piazza domani. "Chiunque ami Muammar Gheddafi, esca di casa e vada nelle strade. Non useremo violenza". "Uscire dalle vostre case e ad attaccare (gli oppositori) nei loro covi", perchè "sono solo delle bande". "E l'esercito - prosegue il colonnello - assicurerà l'ordine". 17:36 "Mille vittime a Tripoli" 121 – Sarebbero circa un migliaio i dimostranti uccisi a Tripoli, in Libia, durante le manifestazioni anti-regime. A dichiararlo è il presidente della comunità del mondo arabo in Italia (Comai), Foad Aodi. 17:34 Gheddafi: "Vogliono fare della Libia emirato islamico" 120 – I dimostranti vogliono fare della Libia un emirato islamico guidato da Osama Bin Laden e dare così "un pretesto agli Usa per intervenire", ha detto il colonnello. 17:33 Gheddafi: "Pena di morte per chi apre le porte al nemico" 119 – "La pena di morte è prevista per chiunque facilita l'ingresso del nemico in Libia", ha detto Gheddafi. "Quel che sta avvenendo rischia di portare alla guerra civile", ha aggiunto Gheddafi mentre leggeva il testo della costituzione libica. 17:32 Testimoni: bombe sui manifestanti durante il discorso 118 – Testimoni oculari hanno riferito al sito arabo Almanara di "bombardamenti casuali contro i manifestanti a Tripoli" mentre è in corso il discorso alla nazione del Colonnello Muammar Gheddafi. 17:31 Gheddafi: "Non ci arrenderemo, abbiamo sfidato l'America" 117 – La Libia ha sfidato l'America e tutte le grandi nazioni, ora non deve arrendersi: lo ha gridato Gheddafi durante il suo discorso alla televisione libica, in cui ha cercato di calmare la rivolta. "Le tribù libiche sono tribù orgogliose, abbiamo sfidato l'America e tutte le grandi nazioni, non possiamo abbassare la testa", ha detto il rais. 17:30 Gheddafi legge dal libro verde 116 – Il leder libico ha letto alcuni brani del libro verde. Ha interrotto il suo discorso a braccio, ha cambiato gli occhiali indossandone un paio da vista ed ha letto alcuni passi dal libro. 17:29 Gheddafi: "Concederò autonomie regionali" 115 – Gheddafi ha detto di accettare "la proposta di concedere autonomie regionali". Parlando alla nazione ha affermato che la soluzione alla crisi in atto nel paese nordafricano è la formazione di comuni e amministrazioni autonomi. "Vi invito a farlo, come ha proposto Seifulislam Gheddafi", ha detto Il leader libico, ribadendo che combatterà "i nemici fino alla fine". 17:27 Gheddafi: "Da Usa e Italia razzi ai manifestanti" 114 – Gheddafi ha accusato, nel suo intervento televisivo, Usa e Italia di avere "distribuito ai ragazzi a Bengasi" razzi rpg. 17:25 Gheddafi invita i suoi sostenitori ad attaccare manifestanti 113 – "Uscite dalle vostre case e attaccate i manifestanti": così il leader libico ha esortato il popolo a difendersi dalle proteste. "Le famiglie dovrebbero iniziare a raccogliere i loro figli. A uscire dalle loro case se amano Gheddafi". "Andate a sterminare quei ratti", ha aggiunto. 17:24 Gheddafi parla dalla sua casa bombardata a Tripoli 112 – Il leader libico parla dalla propria abitazione nel centro di Tripoli che fu bombardata da aerei Usa nel 1986 e poi trasformata in un una sorta di monumento nazionale. Una sua figlia adottiva morì nel bombardamento. 17:22 Eni: sospesa fornitura gas attraverso Greenstream 111 – La fornitura di gas attraverso il gasdotto Greenstream è sospesa. Lo comunica l'Eni, precisando di essere in grado di far fronte alla domanda di gas dei propri clienti. 17:20 Gheddafi: "Finora non abbiamo usato la forza, ma se costretti lo faremo" 110 – "Fino ad ora non abbiamo usato la forza", ha detto il leader libico. "Se saremo costretti - ha però aggiunto - lo faremo". 17:19 Gheddafi: "Violenze causate da giovani drogati manovrati dall'estero" 109 – "I gruppi di giovani, drogati, attaccano le caserme e le nostre famiglie - ha detto - noi vogliamo la pace in Libia, hanno approfittato di pace e benessere per attaccare i centri: hanno bruciato i fascicoli dei loro crimini nei commissariati di polizia". "Non hanno colpa", ha insistito, "sono giovanissimi che vogliono imitare quelli di Tunisia ed Egitto, sono malati, infiltrati nelle città e pagati. I caduti sono tra questi giovani e tra i poliziotti. Ma chi organizza tutto ciò vive tranquillo all'estero". 17:16 Gheddafi: "Ho sempre lasciato il potere al popolo" 108 – "Il potere è sempre stato nelle vostre mani. Il popolo è responsabile delle decisioni: voi avete deciso che il petrolio sia gestito dallo stato, lo hanno deciso i comitati popolari", dice Gheddafi alla tv libica. . 17:14 Gheddafi: "In epoca coloniale, respinta avanzata dell'Italia" 107 – "In epoca coloniale, la Libia respinse l'avanzata dell'Italia, grande impero". 17:13 Gheddafi: "C'è calma e sicurezza nel Paese" 106 – 'Ora c'è una relativa calma e sicurezza nel Paese. E vogliamo usare questa calma per riportare l'ordine". 17:09 Gheddafi: "Anche l'Italia ci guarda con rispetto" 105 – "Tutto il mondo ci guarda con rispetto e con timore grazie a me, compresa l'Italia", dice Gheddafi. "Ci siamo fatti rispettare da tutti, quando sono andato in Italia hanno salutato con rispetto il figlio di Omar Mukhtar". 17:08 Gheddafi: "Manifestanti ratti pagati dai servizi stranieri" 104 – I manifestanti sono "ratti pagati dai servizi segreti stranieri", dice Gheddafi, aggiungendo che gli insorti sono "una vergogna per le loro famiglie e le loro tribù". 17:06 Gheddafi: "Mostrate il vero volto della nazione" 103 – "Voi state mostrando la vera faccia del nostro paese", dice il leader libico nel suo messaggio alla nazione. "Vi saluto o coraggiosi, vi saluto popolo della vittoria e delle sfide - ha affermato - siete la generazione del domani e delle sfide, date al mondo la vera immagine del popolo libico. Voi presentate al mondo la verità contro la viltà e il tradimento. Fate vedere la vostra immagine al mondo, in modo che tutti, libici compresi, vedano che la Libia non vuole la provocazione e la divisione. La Libia vuole essere protagonista nel mondo, tutti i continenti devono guardare alla Libia e al suo onore, ora quando si dice Libia nel mondo tutti sanno che la parola corrisponde a Gheddafi e alla rivoluzione. Tutti i capi di stato africani e del mondo guardano con rispetto al nostro paese, a Tripoli e a Bengasi". 17:04 Gheddafi: "Giovani innocenti pagati per combattere contro di noi" 102 – "Giovani innocenti sono stati pagati per combattere contro di noi", dice Gheddafi 17:03 Gheddafi: "Morirò come un martire" 101 – "Io morirò come un martire, come mio nonno", dice il leader libico. "Gheddafi resisterà: libertà, vittoria, rivoluzione!" 17:00 Gheddafi: "Vogliono rovinare la vostra immagine nel mondo" 100 – "Vogliono rovinare la vostra immagine nel mondo. La vostra immagine è distorta nei mass media arabi per umiliarvi", dice Gheddafi. 16:56 Gheddafi: "Questo è il mio Paese, non voglio farmi da parte" 99 – "Questo è il mio Paese, non voglio farmi da parte", dice il colonnello. "Sono un lottatore, non posso lasciare la terra sacra dei miei nonni", aggiunge 16:53 Gheddafi: "Il mondo considera la Libia una guida" 98 – Il mondo considera la Libia una guida, ha detto Gheddafi parlando alla nazione. 16:48 Gheddafi in televisione parla alla nazione 97 – Gheddafi sta parlando alla televisione alla nazione 16:45 John Kerry: "Petrolieri cessino attività in Libia" 96 – Le società petrolifere americane e internazionali dovrebbero cessare immediatamente le loro attività in Libia "fino a che la violenza nei confronti dei civili non si fermi". Lo afferma John Kerry, presidente della commissione delle relazioni estere del Senato americano. "L'amministrazione Obama dovrebbe inoltre riconsiderare l'imposizione di sanzioni". 16:39 Bonelli (Verdi): "Sospendere trattato con la Libia" 95 – "Chiediamo al governo italiano di sospendere immediatamente il trattato con la Libia fino a quando non verranno cessati i bombardamenti sui manifestanti", dichiara il presidente nazionale dei Verdi Angelo Bonelli. 16:37 Nave Mimbelli inizia attività addestrativa 94 – Ha mollato gli ormeggi dalla base navale di Taranto intorno alle 14.45 il cacciatorpediniere Francesco Mimbelli, che sarà impegnato in una attività addestrativa nello Jonio e successivamente si dirigerà in acque internazionali di fronte alle coste libiche, così come annunciato dal Ministro della Difesa Ignazio La Russa. Non si conosce ancora l'itinerario esatto della nave, di stanza a Taranto, che potrebbe subire variazioni anche a seconda dell'evolversi della crisi libica. 16:34 Ambasciatore libico a Onu resta fedele a regime 93 – Contrariamente al suo vice Ibrahim Dabbashi che parla di "genocidio", il rappresentante permanente della Libia all'Onu, Mohamed Shalgham, rimane fedele al leader Muammar Gheddafi. Scambiando qualche battuta con i giornalisti del Palazzo di Vetro, Shalgham ha detto: "Sono con Gheddafi, è mio amico", mentre a suo avviso in Libia "non ci sono violenze". 16:33 Nave militare libica al largo di Malta 92 – Una nave da guerra libica, con 200 marinai a bordo, incrocia al largo della Valletta, sotto la sorveglianza di unità militari maltesi. Lo rendono noto fonti militari locali. I libici hanno comunicato via radio di aver ammainato la bandiera libica, ma non hanno chiesto asilo politico, secondo le fonti. Il governo maltese sta tenendo una riunione d'emergenza. 16:27 Presidio davanti ambasciata libica a Roma 91 – Alcune decine di dimostranti, in gran parte libici e maghrebini, sono tornati oggi di fronte all'ambasciata della Libia a Roma per protestare contro il "genocidio" ordinato da Muammar Gheddafi a Tripoli e a Bengasi. "Gheddafi come Hitler", hanno più volte gridato in coro i dimostranti che hanno partecipato al presidio, organizzato da Sinistra Ecologia e Libertà. 16:26 Frattini: "In Egitto primo passo irreversibile" 90 – "Sono convinto che quello che è successo in Egitto è un primo passo irreversibile, cioè rispetto al quale non si torna indietro". Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri Franco Frattini ai giornalisti prima di ripartire dal Cairo. "Si può andare avanti - ha proseguito Frattini - quello che occorre vedere è come si andrà avanti, se cioè verranno rispettate, come io mi auguro, le varie tappe delle riforme istituzionali e costituzionali, e quando ci saranno le elezioni". 16:25 Aggiornata alle 21 riunione Consiglio sicurezza Onu 89 – Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu si riunirà in sessione formale alle 15.00 ora di New York (le 21.00 in Italia), per ascoltare un rapporto di uno dei responsabili del Palazzo di Vetro sulla situazione in Libia. Lo si apprende da fonti Onu, dopo che le prime consultazioni odierne a porte chiuse, durate meno di un'ora, si sono concluse. 16:21 Fonti militari: "Est Libia fuori controllo di Gheddafi" 88 – La regione orientale della Libia non è più sotto il controllo del regime di Muammar Gheddafi: lo hanno riferito da Tobruk alla Reuters alcuni militari passati dalla parte dei manifestanti. "Ora tutte le regioni orientali sono fuori del controllo di Gheddafi, la popolazione e l'esercito sono mano nella mano", ha assicurato un ormai ex maggiore dell'esercito, Hany Saad Marjaa. Alcuni residenti hanno confermato che Tobruk è ormai da sabato sotto il controllo dei manifestanti. Il fumo che sovrasta la città proverrebbe da un deposito di munizioni bombardato da truppe fedeli a uno dei figli di Gheddafi. 16:20 Si dimette ambasciatore libico a Parigi 87 – L'ambasciatore libico presso la Francia e il rappresentante libico presso l'Unesco si sono dimessi dalle loro funzioni: è quanto riferiscono alcune fonti citate dal sito internet del settimanale L'Express. 16:16 Lavoratori bosniaci aggrediti da rapinatori a Bengasi 86 – Un'ottantina di lavoratori bosniaci sono stati aggrediti ieri a Bengasi da rapinatori e 10 sono rimasti leggermente feriti nel tentativo di difendere il proprio campo. Lo ha riferito l'ambasciatore bosniaco a Tripoli Ferhat Seta, citato dalla televisione di Sarajevo. 16:14 Gheddafi parlerà in tv da casa di Tripoli 85 – Il leader libico Muammar Gheddafi, parlerà alla nazione dalla sua casa di Bab al-Azizia, a Tripoli. Secondo quanto sostiene la tv di stato libica, il colonnello leggerà a breve il suo messaggio alla nazione davanti alla casa che è stata bombardata nel 1986 in un raid aereo americano. 16:06 Iniziata all'Onu riunione Consiglio di Sicurezza su Libia 84 – Il Consiglio di Sicurezza Onu si è riunito a porte chiuse per discutere della situazione in Libia. La riunione è stata richiesta dalla missione permanente della Libia presso l'Onu e la Germania, uno dei membri non permanenti del Consiglio, ha portato avanti la richiesta di un incontro formale. Il numero due della missione libica, Ibrahim Dabbashi, si è distanziato ieri dal regime di Tripoli, accusandolo di "genocidio" e chiedendo l'apertura di una inchiesta internazionale. Non è chiaro dove si trovi il numero uno dell'ambasciata libica presso l'Onu. 16:04 Ong svela costruzione obitorio per 450 cadaveri 83 – Nei pressi del principale ospedale di Tripoli è stato allestito un obitorio in grado di ospitare 450 cadaveri. E' quanto ha riferito all'agenzia France Presse, Suhayr Belhassen, la presidente della Federazione internazionale delle leghe dei diritti umani (Fidh). "Un obitorio è stato allestito in una scuola che si trova accanto all'ospedale principale Sebiaa. Ha una capacità di 450 cadaveri", ha detto la Belhassen, citando fonti della lega libica dei diritti umani. 15:55 Arrestato a Tunisi ex ministro Commercio di Ben Ali 82 – L'ex ministro del Commercio Slimene Ourak, in carica nell'era Ben Ali, è stato arrestato e si trova recluso nella caserma dell' esercito a El Aouina, di Tunisi. Le accuse riguardano principalmente il periodo in cui Ourak ricopriva l'incarico di direttore generale delle Dogane, quando avrebbe favorito operazioni di contrabbando in grande stile compiute da membri della famiglia di Ben Ali. 15:54 Al Arabiya: "Gheddafi annuncerà in tv autonomia province" 81 – Il leader libico Muammar Gheddafi annuncerà il decentramento amministrativo e l'autonomia delle province del paese, promettendo un bilancio finanziario autonomo per ogni provincia. E' questa una delle anticipazioni della tv satellitare Al Arabiya sul discorso che Gheddafi terrà a breve. 15:52 Tv di Stato egiziana: "Mubarak in Arabia per cure" 80 – L'ex presidente egiziano Hosni Mubarak è giunto nella città saudita di Tabuk per ricevere cure mediche. Lo afferma la televisione satellitare americana che trasmette in lingua araba Al Horra. 15:32 Stop ad attività in porti mercantili della Libia 79 – Sono state sospese le attività nei principali porti mercantili libici a causa delle violenze nel Paese. Lo riferiscono fonti di società marittime che operano nel Paese, precisando che si tratta in particolare dei porti di Tripoli, Bengasi e Misurata. 15:26 Al Arabiya: "Gheddafi in tv annuncerà riforme" 78 – Il leader libico, Muammar Gheddafi, annuncerà l'avvio di importanti riforme per il paese nel corso del messaggio che rivolgerà alla nazione e che sarà trasmesso tra poco dalla tv di stato libica. Lo riferiscono fonti governative libiche, citate dalla tv satellitare 'al-Arabiya'. 15:25 Agenzia Jana: "A Tripoli aerei in orario" 77 – L'aeroporto internazionale di Tripoli funziona regolarmente. Lo riferisce l'agenzia libica Jana. "I voli in partenza per o provenienti dall'estero sono in orario", ha dichiarato il capo della sicurezza dello scalo, Mohamed Abdel-Saeed rispondendo "alle false e maligne voci diffuse da alcuni media" secondo le quali "lo spazio aereo libico è chiuso al traffico civile". 15:17 Frattini: "Forniture petrolio in calo, ma nessun problema" 76 – "Effettivamente abbiamo avuto notizie di riduzioni dell'erogazione del petrolio dalla Libia, ma la situazione non dovrebbe darci preoccupazioni perché abbiamo altre fonti di approvvigionamento". Lo ha detto il ministro degli esteri Franco Frattini, prima di imbarcarsi per l'Italia al termine della sua visita al Cairo, rispondendo alle domande dei giornalisti. 15:14 Bersani: "Italia mai così debole in ultimi 50 anni" 75 – "Il presidente Napolitano ha detto parole chiare, quelle che doveva dire il governo italiano nella prima ora. E' un dato di fatto innegabile che questo passaggio drammatico sorprende l'Italia in un periodo di massima debolezza da 50 anni a questa parte per colpa di una politica del ghe pensi mi che ha portato in politica estera a relazioni personali che ci hanno ridotto alla subordinazione". Così il segretario Pd Pier Luigi Bersani attacca il governo sulla Libia. 15:13 Al Jazeera mostra presunti mercenari fermati 74 – I passaporti di oltre un centinaio di "mercenari" provenienti da Niger, Sudan, Ciad ed Etiopia e che avrebbero sparato sui dimostranti libici anti-Gheddafi, sono stati mostrati oggi dalla tv panaraba Al Jazeera. L'emittente, che ha trasmesso le immagini in esclusiva, ha mostrato una decina dei presunti mercenari provenienti dai quattro paesi africani, mentre un non meglio identificato "funzionario libico", in abiti civili ma il cui volto non è stato ripreso dalla telecamera di Al Jazeera, ha affermato che "oltre cento mercenari sono stati fermati armati nel sud della Libia" e che questi hanno confessato di "aver ricevuto ordini di uccidere i civili". 15:12 Frattini riferisce domani al Senato su crisi libica 73 – Domani alle 16 il ministro degli Esteri Franco Frattini riferirà nell'Aula del Senato sulla crisi in Libia. Lo ha stabilito la conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama. 15:04 Tv Libia annuncia nuovo discorso di Gheddafi 72 – Il leader libico Muammar Gheddafi terrà a breve un discorso televisivo. Lo riferisce la tv di Stato libica. 15:03 Bossi: "Immigrati da Libia li mandiamo in Germania" 71 – Una nuova ondata di immigrati potrebbe riversarsi in Italia in conseguenza della crisi del Maghreb e, in particolare, della Libia? "Intanto non sono arrivati e speriamo che non arrivino. Se arrivano li mandiamo in Francia e Germania...". Lo dice il leader della Lega, Umberto Bossi, conversando con i cronisti a Montecitorio. E verso Tripoli, che posizione dovrebbe tenere il governo? "Aspettiamo ordini dall'Europa", ribatte. 15:00 Iea: "Con crisi Libia possibile bis crack 2008" 70 – Se il prezzo del petrolio si mantenesse per tutto il 2011 agli attuali livelli, cioè sopra i 100 dollari al barile, "si creerebbe lo stesso tipo di crisi del 2008", quando il greggio sfiorò i 150 dollari al barile. Lo ha affermato il direttore esecutivo dell'Agenzia internazionale per l'energia, Nobuo Tanaka, che a Ryad partecipa a un incontro tra paesi produttori e consumatori di petrolio, preoccupati per la crisi libica. Secondo il capo economista della Iea, Fatih Birol, inoltre, il prezzo del petrolio sta entrando "in una zona pericolosa" che minaccia la crescita economica globale. "I prezzi alti - ha spiegato Birol all'agenzia Bloomberg - non sono una buona notizia per nessuno. Potremmo vedere quotazioni ancora maggiori se le turbolenze in regioni chiave come il Medio Oriente e il Nordafrica dovessero continuare". 14:51 Comunità araba in Italia: "A Tripoli oltre mille vittime" 69 – Sono oltre mille i morti a Tripoli durante i bombardamenti sulla folla di manifestanti scesi in piazza per protestare contro il regime di Muammar Gheddafi. A riferirlo è il presidente della Comunità del Mondo Arabo in Italia (Comai) Foad Aodi, che è in costante contatto, da Roma, con alcuni testimoni in Libia. "Manca l'energia elettrica e i medicinali negli ospedali", ha riferito ancora Aodi, che ha rivolto un appello al governo italiano affinché si mobiliti "per un aiuto economico e con l'invio di medicinali in Libia. Il governo non rimanga in coma, sordo e cieco, alla rivoluzione che è in atto in queste ore". 14:49 Si dimette manager compagnia aerea libica 68 – Il manager della compagnia aerea di bandiera libica Afriqiyah ha rassegnato le dimissioni. Lo ha comunicato via Twitter, riferisce la Bbc online: "Non permetterò ai piloti di trasportare mercenari nel paese", si legge nel messaggio. 14:48 Ue: "Reagiremo con ogni mezzo contro violenza" 67 – La reazione dell'esercito contro i cittadini libici è "brutale e sproporzionata", e l'Ue reagirà "con tutti i mezzi a sua disposizione". Lo ha affermato la portavoce dell'Alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza comune Catherine Ashton l'indomani della riunione dei ministri degli esteri dei 27 in cui l'Ue ha formalmente condannato quanto sta avvenendo in Libia, ma senza decidere per l'imposizione di sanzioni contro il paese. 14:47 Repsol sospende estrazione petrolio libico 66 – Il gruppo petrolifero spagnolo Repsol ha sospeso la produzione di petrolio in Libia. "Secondo gli ultimi dati disponibili (2009), la compagnia stava producendo 34.777 barili al giorno dai giacimenti libici, che rappresentano il 3,8% della nostra produzione totale", ha dichiarato il portavoce di Repsol. In corso il rimpatrio di tutti i dipendenti, circa 200 persone. 14:43 Amnesty a Berlusconi: "Sospendere accordo con Libia" 65 – Il governo italiano sospenda l'accordo sottoscritto con la Libia nel 2008 in tema di immigrazione. Lo chiede, in una lettera inviata al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e ai ministri Franco Frattini e Roberto Maroni, il segretario generale di Amnesty International a seguito del conflitto in corso in Libia e delle violazioni dei diritti umani che stanno avvenendo. L'organizzazione chiede quindi che siano sospese le operazioni congiunte con la polizia libica sul controllo dei flussi migratori. 14:40 Appello Unhcr: "Fuggitivi non vanno respinti" 64 – L'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) ha lanciato un appello all'Europa e ai paesi del nord Africa vicini alla Libia a non respingere le persone in fuga dagli scontri. L'Italia è tra i paesi "che potrebbero ricevere un maggior flusso di persone in fuga dalla Libia", sia cittadini libici che rifugiati da altri paesi, ha detto Melissa Fleming, portavoce dell'Alto Commissario per i rifugiati. 14:39 Eni si prepara a chiudere gasdotto Greenstream 63 – Il gasdotto greenstream, che porta il Gas dalla Libia all'Italia, verrà progressivamente svuotato per metterlo in sicurezza. Lo riferisce Quotidiano Energia. A quanto risulta "l'Eni ha preso questa decisione (comunicata già ieri ai clienti) perché la gestione della conduttura risulta sempre più problematica a seguito dei disordini verificatisi nel paese nordafricano. E, allo stesso tempo, il blocco non compromette al momento la sicurezza energetica dell'Italia, visto che siamo ormai verso la fine della stagione invernale e il livello degli stoccaggi è rassicurante (alla data di ieri la giacenza ammontava a 3,8 miliardi mc)". 14:31 Manifestazioni di piazza nel Bahrein 62 – Una manifestazione di massa si è svolta a Manama per chiedere la caduta del governo del Bahrein, governato da una dinastia sunnita. Lo hanno riferito i giornalisti sul posto. La folla - stimata in decine di migliaia di persone - si è posizionata su un ampio viale che collega il luogo di partenza del corteo a piazza Della Perla, "epicentro" della contestazione distante di circa tre chilometri. 14:28 Completamente fermo flusso gas su Greenstream 61 – Il gasdotto che collega la Libia con l'Italia è "completamente fermo da ieri sera". Lo confermano all'Asca fonti industriali dopo che in mattinata è circolata la notizia di un rallentamento del flusso di metano dalla Libia al terminale di Gela del Greenstream. Gli ultimi dati ufficiali di Snam Rete Gas, aggiornati però solo all'altro ieri, mostravano ancora un flusso regolare con oltre 25 milioni di metri cubi in entrata dalla Libia. 14:04 Blogger su Twitter smentiscono bombardamenti Tripoli 60 – E' giallo sui bombardamenti dell'aviazione libica su Tripoli, di cui hanno dato notizia testimoni citati da Al Jazeera e altri media. Nelle ultime ore, da più fonti si è negato che ci siano effettivamente stati i raid aerei contro i manifestanti. Alcuni blogger su Twitter sostengono che le voci siano state fatte circolare dallo stesso regime di Muammar Gheddafi per mandare un segnale alle altre città in rivolta. Ali Tweel, che scrive dal centro della capitale libica, ha sostenuto lunedì intorno alle 20, di non aver né sentito né visto bombardamenti: "Ci sono scontri, miliziani e uomini armati che scorrazzano sulle auto, ma non si sono visti i jet". E anche stamane ha confermato la sua posizione, nonostante altre notizie di raid aerei. Anche Flyingbirdies intorno a mezzogiorno ha scritto: "Abbiamo smentito qualsiasi bombardamento ieri e lo confermo per il secondo giorno. Ma c'erano elicotteri, mercenari armati, colpi d'arma da fuoco per spaventare chiunque uscisse all'aperto". 14:02 Esiliati libici a Malta bruciano bandiera italiana 59 – Circa 100 cittadini libici rifugiati a Malta hanno bruciato una bandiera italiana durante una manifestazione di protesta contro Muammar Gheddafi davanti all'ambasciata libica a La Valletta. I manifestanti, davanti alla polizia che circondava l'edificio, hanno gridato slogan contro l'Italia, accusata per gli stretti legami con il dittatore di Tripoli. 13:59 D'Alema contro i giornali: "Basta scaricabarile" 58 – "Con la Libia ci sono connessioni economiche, è socia, è dentro il controllo delle principali aziende italiane: lo dico perché alcuni giornali si sbizzarriscono nel parlare delle complicità". Lo ha detto il presidente del Copasir, Massimo D'Alema in riferimento alle accuse rivoltegli da alcuni giornali in relazione ai rapporti con il leader libico Gheddafi. "Alcuni di noi, facendo politica - ha detto - hanno avuto rapporti con quei regimi, se i giornalisti vogliono approfondire questi rapporti possono rivolgersi alle loro proprietà, c'è molto materiale, molto più che nella politica". "Non scherziamo - ha concluso - è uno stupido gioco di scarica barile; il pese è coinvolto e dobbiamo vedere come affrontare questa situazione". 13:57 Si dimette ambasciatore libico negli Usa 57 – L'ambasciatore libico negli Usa, Ali Aujali, si è dimesso dal suo incarico in segno di protesta nei confronti della repressione dei manifestanti pro-democrazia in Libia. "Mi dimetto dal servire l'attuale regime dittatoriale, ma non mi dimetterò mai dal servire il nostro popolo finché la sua voce non raggiungerà il mondo intero, finché i suoi obiettivi non saranno raggiunti", ha affermato Aujali in un'intervista all'emittente 'Abc'. 13:53 Napolitano: "Stop a repressione" 56 – Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sta seguendo con attenzione le drammatiche notizie provenienti dalla Libia che riferiscono di un già pesante bilancio di vittime fra la popolazione civile. Il Capo dello Stato sottolinea come alle legittime richieste di riforme e di maggiore democrazia che giungono dalla popolazione libica vada data una risposta nel quadro di un dialogo fra le differenti componenti della società civile libica e le autorità del paese che miri a garantire il diritto di libera espressione della volontà popolare. Viceversa la cieca repressione che colpisce in modo indiscriminato la popolazione non fa che allontanare il paese da quel cammino di pace e prosperità necessario ad assicurare il benessere del popolo libico. Il presidente Napolitano auspica pertanto l'immediata cessazione delle violenze e invoca una rinnovata determinazione negli sforzi volti a restituire al popolo libico la speranza in un futuro migliore. 13:48 Ex diplomatico libico: "Gheddafi barricato a Tripoli" 55 – Il leader Gheddafi si sarebbe barricato all'interno di una base a Tripoli. È quanto sostiene l'ex diplomatico Abdulmoneim al-Honi, rappresentante della Libia alla Lega Araba, che ha rassegnato le dimissioni per protesta contro la brutale repressione delle folle che manifestavano. ''Si trova attualmente a Bab al-Azizia, che occupa un'area di sei chilometri quadrati. Oltre questa base, ci sono solo due caserme in mano a Gheddafi ed al suoi sostenitori. Una di queste e' quella di Al-Saadi, ad est di Sirte. Il resto del paese è controllato dai giovani''. 13:45 Gb, cancellati voli da Heathrow per Tripoli 54 – Le linee aeree britanniche British Airways e Bmi hanno cancellato oggi i voli da Heathrow per Tripoli. Le due compagnie hanno di solito un volo di ritorno a Londra lo stesso giorno, il che significa che oggi da Tripoli non si riparte per la capitale britannica. British Airways ha consigliato i suoi clienti a cambiare lista di prenotazione o studiare un itinerario con un'altra aerolinea 13:43 Si dimette ambasciatore libico in Usa 53 – L'ambasciatore libico negli Stati Uniti Ali Aujali ha detto in un'intervista alla Abc di aver dato le dimissioni e che Gheddafi ''se ne dovrebbe andare via''. L'ambasciatore ha aggiunto di non voler servire ''un regime dittatoriale''. 13:40 Suore italiane a Bengasi: "Stiamo bene" 52 – "Noi stiamo bene, continuiamo la nostra opera sebbene la situazione in città non sia chiara né è chiaro se ci sia chi controlli realmente la città. Polizia ed esercito sono scomparsi, ognuno pensa alla propria sicurezza facendo da guardia ad abitazioni, negozi, quartieri". quanto dichiara suor Elisabetta, missionaria delle Suore di Carità dell'Immacolata Concezione, all'agenzia Misna. 13:32 Voci di una telefonata di Berlusconi a Gheddafi 51 – Dopo le pressioni e le critiche di molti alleati europei per la sua passività sulla rivolta libica, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi si prepara oggi a telefonare al leader libico Muhammar Gheddafi. Berlusconi proverà a chiedere al colonnello di cessare al più presto le violenze contro il suo popolo e di avviare un dialogo politico con chi è sceso in piazza in questi giorni contro il regime. Secondo fonti diplomatiche il colonnello ha già fatto sapere al governo italiano "di essere pronto a resistere e combattere contro questa insurrezione": la reazione iniziale del premier di sabato scorso ("non lo chiamo per non disturbarlo") era stata interpretata unanimemente in europa come un tentativo italiano di coprire l'azione repressiva libica, mentre secondo fonti di Palazzo Chigi si trattava di una reazione istintiva nel momento in cui Berlusconi non aveva ancora compreso la gravità della rivolta libica. 13:29 Al via evacuazione cittadini russi 50 – Tripoli ha autorizzato l'atterraggio degli aerei russi che rimpatrieranno i cittadini residenti in Libia. Lo ha annunciato una telefonata dell'ambasciatore russo a Tripoli, Vladimir Chamov, mentre era in corso a Mosca una riunione alla protezione civile. Secondo precedenti informazioni diffuse dal ministero per le emergenze, sono 563 i russi che ancora si trovano in Libia, 204 dei quali dipendenti delle Ferrovie russe, impegnate nel progetto per l'alta velocita' da Bengasie Sirte. 13:24 Federmeccanica: "Con Libia e Tunisia 3% export a rischio" 49 – Le esportazioni delle imprese metalmeccaniche italiane in Libia, Egitto e Tunisia, valgono circa 3,8 miliardi l'anno, pari a circa il 3% delle esportazioni complessive di questo settore. Lo ha detto il vicepresidente della Federmeccanica Luciano Miotto presentando l'indagine congiunturale sul comparto. ''Il 3% del nostro business è a rischio'' ha detto. Nella sola Libia le imprese metalmeccaniche esportano per circa 1 miliardo di euro (lo 0,7% delle esportazioni) mentre in Egitto il settore esporta merci per 1,7 miliardi l'anno. In Tunisia le imprese metalmeccaniche esportano per 1,1 miliardi. Nel complesso dei paesi del nord-Africa, spiega Federmeccanica, le esportazioni metalmeccaniche italiane valgono cinque miliardi di euro. 13:19 Alitaliai: "Rincaro su petrolio per ora gestibile" 48 – La crisi della Libia e il rincaro del petrolio potranno alla lunga avere un impatto sui conti Alitalia ma, per ora, non compromettono il raggiungimento dei target (pareggio operativo a fine anno). Lo ha spiegato l'amministratore delegato della compagnia, Rocco Sabelli. 13:17 A Perugia manifestazione contro Gheddafi 47 – Manifestazione della comunità libica, oggi, nel centro di Perugia. Diversi giovani hanno esposto cartelli con scritte in italiano e in arabo, ma anche fotografie. Hanno poi scandito slogan contro Gheddafi, definito "terrorista e criminale". 13:14 Frattini domanani riferisce alle Camere 46 – Domani alle 16 il ministro degli esteri, Franco Frattini, riferirà nell'aula del enato sugli sviluppi della situazione in Libia. Lo riferisce il presidente dei senatori dell'Idv, Felice Belisario, al termine della conferenza dei capigruppo.Il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri, aggiunge che il ministro Frattini nella mattinata di domani riferirà alla Camera. 13:13 Testimone: "Uccisi 26 civili" 45 – Un abitante della città costiera libica di Al Bayda ha raccontato oggi in lacrime di come le forze di sicurezza hanno ucciso 26 civili la notte scorsa con raid aerei e usando mezzi corrazzati. Marai Al Mahry, che ha perso il fratello Ahmed nei bombardamenti, ha detto che la situazione attuale ''e' peggio di quanto si possa immaginare. Ci bombardano con gli aerei, ci stanno uccidendo con i carri armati''. 13:04 Profughi: "Ci uccidono a colpi di macete" 44 – "Ci stanno uccidendo con coltelli e macete". È questo il messaggio di sos arrivato al cellulare di don Mosie Zerai, presidente dell'Agenzia Habeshia per la Cooperazione allo Sviluppo e lanciato da alcuni profughi che si trovano in Libia. "Profughi Eritrei, Etiopi, Somali chiedono aiuto, ricevo sms dove descrivono la tragedia - spiega il sacerdote -. Vanno nelle case dove vivono gruppi di africani scambiati per mercenari del regime. Decine di questi ragazzi sono quelli che sono stati respinti dall'Italia. Altri stanno morendo nelle carceri libiche come Mishratah, sotto bombardamenti, chiedono aiuto! L'Europa e l'Italia potrebbe offrigli spazi nel suo piano di evacuazione che è già in atto. Chiediamo che venga valutata - è l'appello di don Zerai - la possibilità di salvare la vita di queste persone, anche dando un rifugio provvisorio nell'Ambasciata Italiana". 12:57 Palazzo Chigi smentisce aiuto a repressione in Libia 43 – Sono "totalmente false, provocatorie e prive di fondamento le voci riguardo presunti aiuti italiani militari o sotto qualsiasi altra forma nelle azioni contro i manifestanti e a danno dei civili". E' quanto riferiscono fonti di Palazzo Chigi. 12:56 Frattini: "Non ci risultano sospensioni forniture gas" 42 – "Allo stato non ci risultano sospensioni di forniture di gas".Lo ha affermato il ministro degli esteri Franco Frattini rispondendo alle domande dei giornalisti al Cairo. 12:55 Bruxelles: "Meno gas, ma nessun problema per l'Italia" 41 – Non ci sono problemi di forniture di gas per l'Italia, anche se è stata registrata la diminuzione dei livelli di forniture di gas dalla Libia. Lo ha detto una portavoce della Commissione Ue, riferendo che Bruxelles è in stretto contatto con l'Italia. 12:54 Al Arabiya: Libia ha chiuso terminali petroliferi 40 – E' stato interrotto oggi il funzionamento dei terminali petroliferi libici sul Mediterraneo in seguito ai disordini in corso nel Paese nordafricano. Lo riferisce la tv panaraba al Arabiya con una scritta in sovrimpressione. 12:53 Appello Frattini a opposizione 39 – Se la crisi libica avesse impatti molto negativi sui flussi migratori, sulle imprese italiane e sui flussi energetici, l'appello all'unità nazionale avanzato da Pierferdinando Casini, "almeno su questo tema e in questo momento, avrebbe un significato particolarmente positivo". Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini conversando con i giornalisti al Cairo, auspicando che "la parte responsabile dell'opposizione possa in questo momento condividere quest'appello". 12:44 Palazzo Chigi: "Italia vicina a popolo libico" 38 – L'Italia è vicina al popolo libico che sta attraversando un momento tragico della sua storia. E' quanto riferiscono fonti di Palazzo Chigi 12:33 Da Parigi tre aerei in Libia per rimpatrio cittadini francesi 37 – La Francia ha deciso l'invio di tre aerei a Tripoli per rimpatriare i cittadini francesi residenti in Libia: è quanto ha annunciato il ministero degli Esteri di Parigi. 12:31 Fratelli Musulmani: "Regime ha perso la ragione" 36 – "Il regime di Muammar Gheddafi ha ormai perso la ragione". E' quanto ha affermato il dirigente dei Fratelli Musulmani libici, al-Amin Belhajj, in un messaggio audio diffuso sui siti dell'opposizione libica. "Invito tutti a usare la testa - ha detto - perché non ha senso inviare i cani armati del regime contro una folla di persone che a Bengasi ha promosso la prima manifestazione solo per chiedere la scarcerazione di un attivista dei diritti umani. E' insensato provocare stragi come quella del carcere di Abu Salim o minacciare la guerra civile e uccidere gli innocenti come avvenuto in questi giorni". 12:18 Resta cauta posizione Turchia su Gheddafi 35 – Dopo molte polemiche e critiche per una linea giudicata da molti troppo cauta, il premier turco Recep Tayyip Erdogan è intervenuto sulla situazione politica in Libia. E ha definito "un errore" ignorare le richieste di democrazia che arrivano dal popolo, evitando però di rivolgersi direttamente al leader libico Gheddafi come fatto invece con il presidente egiziano Hosni Mubarak. 12:16 Bengasi governata da comitati civici 34 – "La popolazione a Bengasi si sta organizzando in comitati civici per ripristinare l'ordine nella città, dove non c'è più presenza dello stato: non ci sono soldati, né poliziotti e tantomeno figure pubbliche". Lo ha riferito il corrispondente della Bbc da Bengasi, citando come testimone sul posto il dottor Ahmad Bin Tahir. "L'esercito controlla ancora la periferia della città e l'aeroporto. Le comunicazioni sono difficili e tutte le chiamate internazionali sono state disabilitate", ha aggiunto la fonte. 12:12 Frattini: "Temo guerra civile e immigrazione epocale" 33 – "Siamo molto preoccupati per il rischio di una guerra civile e per i rischi di un'immigrazione verso l'Unione Europea di dimensioni epocali". Lo ha detto il ministro degli esteri Franco Frattini durante una conferenza stampa al Cairo seguita all'incontro con il segretario generale della Lega Araba Amr Mussa. 11:57 Alle 13 da Fiumicino primo volo speciale Alitalia 32 – E' previsto intorno alle 13 dallo scalo 'Leonardo Da Vinci' di Fiumicino la partenza di un primo volo speciale di Alitalia, concordato con la Farnesina, che si affiancherà ai voli di linea previsti per il rientro dei connazionali dalla Libia. A quanto si è appreso Alitalia, oltre ai due collegamenti giornalieri (uno già partito per Tripoli questa mattina alle 8.15), ha messo a disposizione un volo speciale operato con un Boeing 777 capace di 280 posti, per consentire in tempi quando più rapidi il rientro dei connazionali. 11:51 L'Avvenire: "Se Gheddafi vince sarà ancora partner?" 31 – Il leader libico può vincere in queste ore la battaglia per il potere solo al prezzo "di stragi orrende", in questo caso l'Europa e l'Italia potranno davvero trattarlo ancora come interlocutore? E' questa la domanda retorica che si pone oggi il quotidiano dei vescovi Avvenire in un editoriale dedicato alla crisi libica. 11:42 Sit in a consolato libico Milano: "Vogliamo disturbarlo" 30 – Circa 50 cittadini libici si sono radunati sotto il consolato libico in Via Baracchini a Milano, per protestare contro il massacro di civili che sta avvenendo in queste ore nello stato nordafricano. "Noi invece vogliamo disturbarlo", è uno degli striscioni affissi al lato dell'ingresso del consolato riferito alle dichiarazioni del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che ha detto nei giorni scorsi, di non voler disturbare Gheddafi. 11:40 Il Guardian: "A Tripoli e Bengasi regna calma irreale" 29 – E' una calma irreale, "allarmante" secondo il corrispondente del 'Guardian', quella che si registra in queste ore a Tripoli e a Bengasi, ieri teatro di una repressione violenta dei manifestanti da parte del regime di Gheddafi. "Non si sente un rumore", scrive il quotidiano britannico, mentre il centro della capitale risulta completamente bloccato dal regime in vista dell'arrivo di giornalisti stranieri. L'obiettivo del colonnello sembra quello di voler mostrare ai media internazionali che le notizie di "massacro" e "genocidio" diffuse negli scorsi giorni sono in realtà sono menzogne. Intanto a Zintan, città a sud-ovest di Tripoli, resta alta l'emergenza di attrezzature mediche per assistere i feriti. 11:39 Libano nega atterraggio a jet in arrivo dalla Libia 28 – L'Autorità per l'aviazione libanese avrebbe respinto la richiesta di un jet privato libico, con dieci passeggeri a bordo, di atterraggio all'aeroporto internazionale Rafiq Hariri di Beirut. Lo riferisce l'agenzia di stampa 'Dpa', citando funzionari dello scalo della capitale libanese. Secondo la ricostruzione, il jet in questione sarebbe dovuto partire dall'aeroporto di Tripoli prima della mezzanotte. Il Libano avrebbe negato il via libera all'atterraggio sul suo territorio in risposta alla scelta della Libia di ignorare la richiesta di Beirut di identificazione delle persone a bordo del velivolo. 11:32 Rallenta flusso gas da condotta libica Greenstream 27 – I flussi di gas importato dalla Libia in Italia traverso il gasdotto Greenstream avrebbero subito un rallenatamento a partire da ieri sera e la situazione "è in peggioramento", riferisce 'Staffetta quotidiana' citando fonti vicine al dossier. Nei giorni scorsi di crescenti disordini in Libia i flussi sul Greenstream si erano mantenuti regolari e su livelli elevati, intorno ai 25 milioni di mc/giorno. Il rallentamento di ieri sera potrebbe mostrarsi nei dati di Snam sulla giornata di ieri ancora in attesa di pubblicazione e probabilmente ancor più su quelli di oggi, che saranno pubblicati domani. 11:17 Export di armi russe rischia danni per 10 miliardi 26 – La Russia rischia di perdere sino a 10 miliardi di dollari di contratti per forniture militari a causa dell'instabilità verificatasi nelle ultime settimane in Medio Oriente, dalla Tunisia all'Egitto, dal Barheim alla Libia. Lo riferisce l'agenzia Interfax citando una fonte legata al settore dell'export di armi. "Solo con la Libia si è discussa la possibilità di firmare un pacchetto di contratti per la vendita di armi per un valore di oltre due miliardi di dollari", ha spiegato la fonte. 11:12 Prezzo petrolio Opec sopra 100 dollari, record dal 2008 25 – Il prezzo del petrolio del paniere Opec (12 qualità di greggio proveniente dai paesi del cartello) ha infranto la soglia dei 100 dollari al barile, a 100,59 dollari, per la prima volta da settembre 2008, spinto dalla crisi libica. 11:10 La Russa annuncia partenza cacciatorpediniere 24 – Sarà il cacciatorpediniere lanciamissili 'Francesco Mimbelli' a salpare dall'Italia per fare "da piattaforma per il controllo aereo nel sud del Mediterraneo". Lo ha riferito il ministro della Difesa Ignazio La Russa da Abu Dhabi, sottolineando che a partire non sarà dunque la nave Elettra come in precedenza riferito. "Per motivi di logistica e tecnici", ha spiegato il ministro a margine della sua visita ufficiale negli Emirati Arabi, "non sarà più l'Elettra ma la Mimbelli a posizionarsi nel sud del Mediterraneo. Il progetto rimane uguale ma non aggiungo altro perché in questo momento credo sia opportuno mantenere un pò di riservatezza. La Mimbelli è una unità multi-ruolo con un equipaggio di circa 400 persone". 11:07 Allarme Unhcr: "In Libia è caccia allo straniero" 23 – In Libia è scattata la caccia allo straniero africano. L'Alto Commissario per i rifugiati dell'Onu (Unhcr) esprime preoccupazione per gli sviluppi in Libia e in particolare per la sorte delle migliaia di richiedenti asilo e rifugiati africani. "Somali, eritrei, etiopici - dice Laura Boldrini, portavoce dell'Unhcr - sono la crisi nella crisi in Libia e rischiano di diventare il capro espiatorio della vicenda". "Abbiamo raccolto racconti drammatici di irruzioni da parte delle milizie libiche nelle case di eritrei e somali accusati di essere mercenari - dice Boldrini - che al momento si sono salvati scappando". 10:59 Per C-130 italiano impossibile atterrare a Bengasi 22 – Non atterrerà a Bengasi, dove l'aeroporto è stato bombardato, l'aereo C130 dell'Aeronautica Militare che partirà oggi per rimpatriare i primi 100 italiani residenti nella città di Bengasi. Lo ha riferito il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, da Abu Dhabi, dove è in visita ufficiale. "Il C-130 non potrà atterrare a Bengasi", ha riferito il ministro, "ma in un altro scalo che per motivi di riservatezza non dico quale sia. L'operazione comunque non viene meno: cambiano soltanto orari, tempi e luoghi". 10:57 Dieci città in mano agli insorti 21 – Secondo l'International federation for human rights (Ifhr), una ong con sede a Parigi, sono circa una decina le città in mano agli insorti. Oltre a Bengasi, dice Ifhr, i ribelli hanno preso il controllo di Sirte e Torbruk oltre che di Misrata, Khoms, Tarhounah, Zenten, Al Zawiya e Zouara. 10:54 Patto Italia-Libia, Idv a Casini: "Anche noi votammo no" 20 – "L'Italia dei valori ha bocciato sonoramente in parlamento lo scellerato patto tra Berlusconi e Gheddafi contenuto nel trattato d'amicizia tra la Libia e l'Italia. Appare piuttosto singolare che Casini menta davanti a milioni di italiani affermando il falso, ossia che l'Udc sia stata l'unica forza a condannare questo accordo". Lo sottolinea il portavoce dell'Italia dei valori, Leoluca Orlando, che aggiunge: "Siamo certi che Casini vorrà correggere le affermazioni di ieri". 10:53 Schifani: "Fermo no a reazione violenta contro piazza" 19 – "Un fermo no a questo tipo di reazione così violenta nei confronti delle manifestazioni di piazza penso che lo dobbiamo manifestare. E' inimmaginabile in paesi europei che gente che scende in piazza a protestare possa essere massacrata, così com'è inimmaginabile che i governi europei possano sedare nel sangue le proteste della piazza". E' quanto afferma il presidente del Senato, Renato Schifani. 10:51 Commissario Onu chiede inchiesta su violenze 18 – L'Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Navi Pillay ha chiesto oggi una "inchiesta internazionale indipendente" sulle violenze in Libia ed ha chiesto lo stop immediato delle gravi violazioni dei diritti dell'uomo compiuti dalle autorità libiche". 10:24 Sottosegretario Saglia smentisce stop a forniture gas 17 – Le forniture di gas dalla Libia "non sono interrotte, ma la situazione è molto complicata di fronte ad una guerra civile di proporzioni imprevedibile". Lo ha sottolineato il sottosegretario allo Sviluppo economico con delega all'energia, Stefano Saglia, aggiungendo che, pur rassicurando sul fatto che non ci dovrebbero essere problemi per l'approvvigionamento, "l'attenzione resta alta". Il ministero ha per questo già allertato il Comitato di sicurezza sulle forniture di gas ed è eventualmente pronto ad utilizzare gli stoccaggi "ordinari e di sicurezza". 10:15 Bocchino: "Premier chiami Gheddafi per farlo smettere" 16 – Fli torna a chiedere a Berlusconi di riferire in Parlamento sulla crisi in Libia perchè, spiega Italio Bocchino, "Berlusconi ha fatto l'accordo a modo suo, trasformandolo in fiction. Paghiamo le maggiori conseguenza anche sul piano della credibilità internazionale, tant'è vero che siamo stati gli ultimi a condannare le violenze". Dunque "Berlusconi dovrebbe venire in Parlamento per spiegare qual è la situazione con Gheddafi e poi chiamarlo, senza paura di disturbarlo, e dirgli di smetterla". 10:09 Opposizione libica minaccia di tagliare gas a Italia 15 – In un messaggio postato su Facebook dal sito di opposizione libica "17 febbraio" gli abitanti della regione occidentale della Libia, dalla città di Nalut fino a Gherban, hanno minacciato di tagliare le forniture di gas all'Italia e all'Ue. "Dopo il silenzio che avete osservato sui massacro perpetrato da Gheddafi, abbiamo deciso di tagliare il gas libico che parte dal campo d Al Wafa e che passa per la nostra regione verso l'Italia e il nord dell'Europa attraverso il Mediterraneo", si legge nel messaggio. 10:07 Distrutta pista aeroporto Bengasi 14 – La pista dell'aeroporto di Bengasi è stata distrutta e gli aerei non possono atterrare. Lo ha detto il ministro degli esteri egiziano, citato dalla tv araba Al Jazeera. 10:05 Frattini al Cairo per inconto con ministro Difesa egiziano 13 – Il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini è giunto alla sede del ministero della Difesa egiziano per un colloquio con il Capo del Consiglio supremo delle Forze armate e ministro della Difesa egiziano, maresciallo Mohammed Hussein Tantawi. L'incontro è in corso. 09:47 Cardinale Bagnasco: "Popoli prima o poi reagiscono" 12 – Le popolazioni "prima o dopo reagiscono" a una visione dell'uomo "che è contro i suoi diritti fondamentali, contro la sua dignità". Lo ha detto il presidente della Cei cardinale Angelo Bagnasco oggi a Genova. 09:31 Anp contro Hamas, la rivolta libica divide i palestinesi 11 – La rivolta in corso in Libia "è una questione interna" di quel paese, in cui i palestinesi non devono intervenire: lo ha affermato il presidente dell'Anp Abu Mazen (Mahmud Abbas) in un messaggio diretto ai palestinesi che risiedono in Libia. Al tempo stesso, aggiunge radio Gerusalemme, l'Anp ha augurato al popolo libico "un futuro di sicurezza, stabilità e pace". Da parte sua Hamas ha emesso un comunicato di condanna per la violenta repressione della rivolta in Libia da parte delle forze armate di quel paese. 09:23 Da inizio rivolta 519 vittime secondo Ong Icawc 10 – L'International coalition against war criminals, una rete di organizzazioni non governative formatasi nel 2009 per monitorare il conflitto israelo-palestinese, riferisce che dall'inizio delle proteste, una settimana fa, ci sono stati 519 morti, 3980 feriti e 1500 dispersi. 09:20 Al Jazeera riferisce di nuovi raid aerei su Tripoli 9 – Secondo l'emittente araba Al Jazeera l'aviazione libica sta effettuando nuovi raid su alcune zone della capitale Tripoli. Testimoni parlando di aerei e elicotteri in azione e di "mercenari" che sparano sui civili in città. A confermare il ricorso all'aviazione contro i civili è lo stesso ambasciatore libico in india ali Al Essawi, che ieri si è dimesso. L'ambasciatore ha chiesto all'Onu di chiudere lo spazio aereo libico "per proteggere la popolazione" e ha aggiunto di poter confermare la presenza di mercenari nel paese. 09:13 La Cina si augura stabilità 8 – La Cina ha espresso oggi la propria "preoccupazione" per gli avvenimenti in corso in Libia e ha chiesto alle autorità libiche di indagare sugli attacchi che avrebbero subito aziende e cittadini cinesi. Parlando in una conferenza stampa a Pechino, il portavoce governativo Ma Zhaoxu ha aggiunto che la Cina "si augura" che la Libia riesca "a tornare alla stabilità sociale e alla normalità". La Cina è uno dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell' Onu, che oggi si riunirà per discutere della crisi. 08:47 Egitto, più controlli alla frontiera 7 – Le autorità egiziane rafforzeranno il controllo della frontiera con la Libia con guardie di frontiera ed apriranno il passaggio di Salloum per consentire l'ingresso in Egitto di persone malate e ferite 08:16 Tv ufficiale smentisce massacri 6 – La tv ufficiale smentisce le notizie di "massacri", bollandole come "menzogne" 07:23 C 130 pronto a rimpatrio 100 italiani 5 – Un aereo C130 dell'Aeronautica Militare "è pronto a partire dall'Italia per rimpatriare un centinaio di connazionali che si trovano a Bengasi". Lo ha detto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, parlando con i giornalisti ad Abu Dhabi, dove si trova in visita ufficiale 07:21 Usa: "Fermare inaccettabile bagno di sangue" 4 – Il segretario di Stato Usa Hillary Clinton: "Il mondo osservata allarmato la situazione in Libia e gli Usa si associano alla comunità internazionale per condannare con fermezza la violenza. Il governo libico ha la responsabilità di rispettare il diritto universale del popolo.Bisogna fermare questo bagno di sangue inaccettabile". 07:18 Oggi riunione del Consiglio di sicurezza Onu 3 – Il Consiglio di sicurezza dell'Onu si riunirà oggi alle 15 ora italiana per discutere della crisi in Libia. Lo ha annunciato il segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, precisando di aver parlato con Gheddafi per 40 minuti: "L'ho invitato a rispettare pienamente i diritti dell'uomo, la libertà di assemblea e di parola. Gli ho chiesto di porre fine alla violenza contro i dimostranti e gli ho ribadito con fermezza l'importanza del rispetto dei diritti umani" 07:17 Appello di alcuni ufficiali a unirsi al popolo 2 – Alcuni ufficiali libici hanno emesso un comunicato in cui invitano i soldati "ad unirsi al popolo" per aiutare a deporre Gheddafi, secondo Al Jazira. Gli ufficiali hanno invitato l'esercito a marciare sulla capitale Tripoli. 06:15 Altri due piloti disertano 1 – Dopo i due colonnelli che hanno disertato atterrando con i loro Mirage a Malta per non sparare sulla folla come gli era stato ordinato, altri due piloti hanno fatto lo stesso e secondo Al Jazeera si sono rifugiati in una base aerea vicina a Bengasi, una zona 'controllata' dall'opposizione (22 febbraio 2011)
2011-02-21 LIBIA Tripoli in fiamme, centinaia di morti Ue contro il raìs, l'esercito con la piazza I manifestanti bombardati dall'aviazione. Centinaia di vittime. Incendiato il Parlamento, mercenari sparano dalle macchine. L'Europa condanna le violenze. Piloti di caccia libici chiedono asilo a Malta: "Ci siamo rifiutati di bombardare". L'Eni evacua il personale non operativo. Giallo sulle sorti di Gheddafi. "E' in Venezuela", ma Caracas smentisce Tripoli in fiamme, centinaia di morti Ue contro il raìs, l'esercito con la piazza TRIPOLI - Ormai a Tripoli è guerra civile. La protesta contro il regime ha raggiunto il suo culmine, migliaia di persone sono scese in piazza. L'aviazione ha bombardato i manifestanti, ci sarebbero circa 250 morti. I ribelli hanno dato alle fiamme il Palazzo del Popolo, uno dei principali edifici governativi. Caduta Bengasi, Sirte e altre città sono in rivolta, il bilancio ufficioso parla di quasi trecento morti. Alcune unità dell'esercito si schierano con la protesta. E' giallo sulla sorte di Gheddafi: alcune voci lo davano in Venezuela, ma Caracas prima, e poi il ministero degli Esteri di Tripoli smentiscono. Intanto si dimette il ministro della Giustizia in polemica con l'uso eccessivo della forza. La condanna dell'Onu e dell'Europa. La giornata. Secondo alcuni residenti a Tripoli, nella capitale libica è in corso "un massacro". Le aree più colpite sono i quartieri di Tajura e Fashlum, dove i mercenari di Gheddafi avrebbero aperto indiscriminatamente il fuoco sui dimostranti, uccidendo anche molte donne. Durante la giornata, i manifestanti hanno incendiato Il palazzo del popolo, uno dei principali edifici del governo, nel centro della capitale. Secondo quanto riferito da testimoni oculari alla tv Al Jazeera, a Tripoli alcuni unità di soldati si sono unite ai manifestanti anti-Gheddafi. Diverse compagnie petrolifere hanno iniziato l'evacuazione del personale. In mattinata, si sono verificati dei saccheggi presso sedi istituzionali e banche di Tripoli, e sempre secondo Al Jazeera, i responsabili sarebbero agenti della polizia e della sicurezza libica. Voci di golpe militare contro Gheddafi. Ci sarebbero forti dissidi nei vertici dell'esercito libico, al punto che sarebbe imminente un golpe militare contro Muammar Gheddafi guidato dal Capo di Stato Maggiore aggiunto, El Mahdi El Arabi. L'informazione arriva da Al Jazeera attraverso una fonte politica libica, che ha parlato sotto la copertura dell'anonimato dalla Gran Bretagna. Ministri in fuga. Con l'arrivo della rivolta a Tripoli, si moltiplicano le defezioni nelle alte sfere del regime. Il ministro della Giustizia libico, Mustafa Mohamed Abud Al Jeleil, si è dimesso "per l'eccessivo uso della violenza contro i manifestanti" anti-governativi. Gheddafi ha anche perso cinque pezzi nella diplomazia, dove si sono dimessi gli ambasciatori in Cina, in Gran Bretagna, in Indonesia e in India, oltre al rappresentante presso la Lega araba. Gheddafi forse ancora in Libia. Le voci secondo cui Muammar Gheddafi avrebbe lasciato la Libia e si sarebbe rifugiato in Venezuela sono state smentite dall'opposizione che sostiene che il colonnello è ancora in Libia. Lo dimostrerebbe un video su YouTube, che riprenderebbe la fuga di Gheddafi con i suoi fedelissimi nella città desertica di Sebha, centro meridionale della Libia. Nel video, messo in rete il 20 febbraio, si vede quello che sembra un corteo presidenziale con oltre 75 fuoristrada, blindati, due pullman e due auto della polizia sfrecciare ad altissima velocità. Lega Araba: "Fermate la violenza". Il segretario generale della Lega Araba, Amr Moussa, ha espresso "Profonda preoccupazione per la repressione delle proteste in Libia". In una nota, Moussa chiede di "porre fine a ogni forma di violenza". "Le richieste di tutte le popolazioni arabe in cerca di riforme, sviluppo e cambiamento sono legittime - si legge nel comunicato - e sono condivise dal mondo arabo, soprattutto in questo momento cruciale della storia araba". Sulla crisi libica, la Lega Araba ha convocato una riunione straordinaria per domani al Cairo. Secondo quanto riferisce la tv araba Al Jazeera, la riunione è stata convocata in seguito alla richiesta dell'emiro del Qatar, Hamad bin Khalifa Al Thani, che ha chiamato il segretario Amr Moussa per avanzare una richiesta formale in questo senso. Tarhouna e Gialo in mano ai ribelli. Oltre a Bengasi e Beida sarebbero caduta nelle mani dei ribelli almeno altre due città: Tarhouna e Gialo. Per quanto riguarda la prima, situata in Tripolitania, l'informazione arriva dall'attivista Khaled al Tarhouni, che dichiara anche che le forze dell'ordine si sarebbero unite ai ribelli in numerose città. Gialo è situata in pieno deserto libico circa 400 chilometri a sud della costa della Cirenaica. Secondo un testimone, il controllo della città sarebbe completamente nelle mani della popolazione e non ci sono forze di sicurezza nè polizia. Siamo alla mercè della folla: alcune aziende sono state incendiate. Non abbiamo cibo da due giorni, l'acqua è quasi finita e il combustibile anche". Farnesina: "In arrivo voli speciali per i rimpatri". Nella mattinata di domani partirà per Tripoli un primo volo speciale, concordato con la Farnesina, che si affiancherà ai voli di linea previsti per il rientro dei connazionali. Lo comunica il ministero degli Esteri, che conferma la prossima attivazione un piano di rimpatri degli italiani in Tripolitania, in coordinamento con l'Alitalia, per consentire in tempi quando più rapidi il rientro dei connazionali. La prospettiva è completare con la massima rapidità consentita il rientro dei connazionali che intendono lasciare il Paese. Dissidente: "Gheddafi pronto a inviare clandestini in Italia". Le milizie libiche starebbero rastrellando gli immigrati clandestini che si nascondono a Tripoli, per spedirli in Italia a bordo di imbarcazioni già pronte sulle spiagge presso la capitale. Lo dichiara un dissidente libico che vive a Parigi, citando "fonti sicure" in Libia. Gheddafi, afferma il dissidente, intenderebbe con ciò mettere in atto la minaccia di cessare la cooperazione con l'Europa in materia di immigrazione clandestina, se gli europei non smetteranno di prendere le parti dei rivoltosi. (21 febbraio 2011)
LE PROTESTE IN LIBIA Berlusconi, "Violenze inaccettabili" E Frattini firma il documento europeo La LIbria sull'orlo della guerra civile, lunga discussione a Bruxelles perché il titolare della Farnesima ha insistito nel sostenere la necessità del rispetto della sovranità dei popoli. Polemiche per il mancato intervento dell'Italia, poi in serata una nota di Palazzo Chigi: "Allarmati per l'aggravarsi degli scontri" Berlusconi, "Violenze inaccettabili" E Frattini firma il documento europeo Franco Frattini, ministro degli Esteri ROMA - La violenza sui civili è "inaccettabile". Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi "segue con estrema attenzione e preoccupazione l'evolversi della situazione in Libia e si tiene in stretto contatto con tutti i principali partner nazionali e internazionali per fronteggiare qualsiasi emergenza". Questo il contenuto di una nota diffusa in serata da Palazzo Chigi, nella quale il presidente del Consiglio si dice "allarmato per l'aggravarsi degli scontri e per l'uso inaccettabile della violenza sulla popolazione civile". L'Unione Europea e la Comunità internazionale, si legge ancora, "dovranno compiere ogni sforzo per impedire che la crisi libica degeneri in una guerra civile dalle conseguenze difficilmente prevedibili, e favorire invece una soluzione pacifica che tuteli la sicurezza dei cittadini così come l'integrità e stabilità del Paese e dell'intera regione". Il messaggio di Silvio Berlusconi giunge al termine di una giornata che ha visto a Tripoli il culmine della protesta di piazza contro il regime di Gheddafi e, a Bruxelles, una lunga discussione fra i capi delle diplomazie europee al termine della quale è stato approvato un documento di condanna della repressione con una richiesta di stop immediato all'uso della forza. La situazione in Libia è "molto grave, sull'orlo di una guerra civile", ha detto Frattini al termine del vertice dei 27, e Tripoli deve ascoltare "la richiesta forte dell'Europa" a fermare le violenze sui civili, a cui l'Italia si associa "senza se e senza ma". Così il ministro degli Esteri ha spiegato la posizione "non isolata" dell'Italia. Il documento europeo è infatti uscito da una "mediazione non facile" tra chi voleva una presa di posizione "molto dura", come Germania e Gran Bretagna e chi, come Italia e Malta, ha insistito perché fosse chiaro che da parte dell'Ue non c'è alcuna interferenza né volontà di imporre un proprio modello di democrazia. Frattini ha sottolineato la necessità che in Libia parta "un processo pacifico di riconciliazione nazionale che porti a una Costituzione", così come ventilato dal figlio di Gheddafi, Said al Islam. Un processo che l'Ue deve sì "sostenere", ma in cui "non deve interferire" perché, ha spiegato il titolare della Farnesina, non sarebbe "rispettoso della sovranità e dell'indipendenza dei popoli". Per questo, mentre si inseguono voci incerte sulla fuga di Gheddafi dalla Libia, Frattini ha avvertito: "Non siamo noi a dire chi deve restare chi se ne deve andare". A preoccupare il governo italiano - che con la Libia ha firmato nel 2008 un Trattato di amicizia che prevede, tra l'altro, la collaborazione nel contrasto all'immigrazione clandestina - è soprattutto che dalle coste libiche possa arrivare "un flusso epocale di immigrati". "Chi ha parlato di centinaia di migliaia non ha esagerato. E l'Italia non può immaginare di essere lasciata sola", ha detto Frattini ricordando gli arrivi eccezionali dalla Tunisia per cui l'Ue ha deciso di lanciare la missione Frontex. Dall'Italia, a sorpresa, si è mosso il presidente della Camera Gianfranco Fini che in una lettera al presidente del Congresso generale del popolo, Muhammad Abu-al-Kasim, ha auspicato la fine immediata delle violenze, mentre la Fondazione Farefuturo aveva scritto chiaramente che "preoccupa l'atteggiamento del governo italiano sull'intera vicenda". "Forse vale la pena - si legge su ffwebmagazine 1- tornare un momento su questi 'amici' del premier, che uno dopo l'altro si trovano di frequente al centro dell'attenzione internazionale, non certo per questioni edificanti". Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, aveva osservato che "il governo Berlusconi tace perché si è compromesso in un modo incredibile stracciando anche la nostra dignità", accuse che si intrecciano con quelle dell'Italia dei valori che, attraverso il senatore Stefano Pedica, chiede al Pd di "fare mea culpa" per aver a suo tempo votato sì al Trattato italo-libico, e con il portavoce Leoluca Orlando che accusa Frattini di "complicità con chi ha le mani sporche di sangue". In serata manifestazione dei Radicali davanti a Montecitorio per chiedere le dimissioni di FRattini e la revisione del Trattato di amicizia, attraverso il quale, secondo Marco Pannella, "Massimo D'Alema e Silvio Berlusconi hanno dato sostegno internazionale a Gheddafi, un dittatore assassino del suo popolo". (21 febbraio 2011)
F1 Bahrein, non si corre Cancellato il Gran premio La prima prova del Mondiale 2011 è stata annullata. La stagione del 'circus' doveva cominciare il 13 marzo. La decisione è stata presa dagli organizzatori e comunicata a Ecclestone. Non si sa ancora se la corsa sarà recuperata. Via in Australia il 27 marzo Bahrein, non si corre Cancellato il Gran premio * Barcellona, vola Massa * Bahrein, Ecclestone non molla LONDRA - Il Gran Premio del Bahrein, primo appuntamento della stagione della Formula Uno, non si correrà. La decisione è stata presa dagli stessi organizzatori arabi in seguito alle manifestazioni in corso in questi giorni nel paese. La gara era in programma domenica 13 marzo: il Mondiale 2011 prenderà quindi il via il 27 marzo con il Gran Premio d'Australia. L'annuncio è arrivato nel primo pomeriggio quando il principe Salman bin Hamad Al Khalifa, che detiene i diritti commerciali della corsa, ha informato Bernie Ecclestone, patron del circus della Formula Uno: "Riteniamo che sia importante per il Paese concentrarsi sugli immediati problemi di interesse nazionale", ha spiegato il principe. Non è ancora chiaro se la corsa verrà recuperata nel corso della stagione. "E' molto triste che il Bahrein sia stato costretto a cancellare la gara - ha dichiarato Ecclestone -. Auguriamo ogni bene a quella nazione e speriamo che sappiano guarire in fretta dai suoi attuali problemi. L'ospitalità e il calore della gente del Bahrein è proverbiale e chiunque vi sia stato lo può confermare. Speriamo di tornare al più presto in Bahrein". Anche Massa ha commentato l'annullamento della gara: "Credo che sia stata presa la decisione giusta perchè lì la situazione è molto seria - ha detto il pilota brasiliano della Ferrari - . Se c'è un pur minimo rischio è meglio non andare ma la cosa più importante è che la situazione torni ad essere calma in Bahrein, com'è sempre stata, e che tutti trovino la necessaria tranquillità. Mi dispiace non poter iniziare lì la stagione perché mi sono sempre trovato benissimo in quel Paese: speriamo di poterci tornare al più presto". La Fia, la federazione internazionale dell'automobile responsabile del calendario internazionale, sostiene la decisione di "rinviare" il Gp del Bahrain. Con questo verbo, utilizzato sul proprio sito ufficiale, la Fia fa quindi indirettamente riferimento alla possibilità di recuperare la gara del Bahrein. Prima dell'annullamento della corsa erano stati cancellati anche i test in calendario dal 3 al 6 marzo: si svolgeranno sul circuito di Montmelò, a Barcellona, ma dall'8 all'11. In questo caso erano stati i team a prendere la decisione, segno evidente dei timori all'interno delle scuderie. (21 febbraio 2011)
AFGHANISTAN Attentato nel nord del Paese almeno 31 morti a Kunduz Il kamikaze ha attivato la carica davanti all'ingresso dell'anagrafe del distretto, dove erano in fila molte persone, fra cui donne e bambini. Circa cento i feriti. L'attacco è stato rivendicato dai talebani afghani Attentato nel nord del Paese almeno 31 morti a Kunduz KABUL - Sanguinoso attacco suicida oggi nel distretto di Imam Sahib (provincia settentrionale afgana di Kunduz). Il governatore del distretto, Muhammad Ayub Haqyarm, ha reso noto che ''i cadaveri finora recuperati sono 31 e i feriti invece 100, alcuni in gravi condizioni di vita''. Il kamikaze ha attivato la carica esplosiva davanti all'ingresso dell'anagrafe del distretto, dove erano in fila molte persone, fra le quali donne e bambini. ''Io stesso - ha spiegato Haqyarm - ho contato i 31 corpi. La situazione è ancora totalmente di emergenza, e penso che il bilancio finale sarà ancora più pesante''. L'attentato è stato rivendicato dai talebani afghani. In un comunicato pubblicato nella loro pagina Internet, gli insorti hanno indicato che "un mujaheddin solitario, Muhammad Dawood, si è infiltrato nell'edificio dell'amministrazione distrettuale e si è fatto esplodere fra quanti erano in fila per arruolarsi come membri della milizia filogovernativa". "Secondo resoconti provenienti dalla zona - si dice infine - tutte le vittime erano elementi che volevano diventare membri a tutti gli effetti dei fantocci della milizia". Il distretto di Imam Sahib è la terra natale di Gulbuddin Hekmatyar, capo di Hezb-e-Islami, uno dei tre movimenti armati che si oppongono al governo di Hamid Karzai e alle forze militari straniere che lo sostengono. Hekmatyar gode di grande popolarità nella zona e anche l'attuale capo del distretto, Ayub Haqyar, era membro di Hezb-e-Islami. Attacco aereo Nato, uccisi sei civili. In un attacco aereo della Nato che aveva come obiettivo un gruppo di insorti, sono rimasti uccisi per errore sei componenti di una famiglia afgana. "Un missile di un aereo Nato per errore ha colpito un'abitazione, uccidendo una coppia e i loro quattro figli", ha riferito Ahmad Zia Abdulzai, portavoce del governatore della provincia. "Nell'attacco - ha aggiunto - sono rimasti uccisi anche tre combattenti talebani". Il raid aereo ha avuto luogo domenica sera nel distretto di Khogyani, nella provoncia orientale di Nangarhar. Militare Isaf ucciso da un'esplosione. Un soldato della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf, sotto comando Nato) è morto oggi nell'Afghanistan meridionale. Lo ha reso noto la stessa Isaf a Kabul. In un comunicato si precisa solo che il decesso è avvenuto per lo scoppio di un ordigno rudimentale (ied) collocato dagli insorti. I militari stranieri morti in Afghanistan sono 57 dall'inizio dell'anno e 25 dall'1 febbraio 2011. (21 febbraio 2011)
2011-02-20 LIBIA "Razzi sulla folla, almeno 285 morti" Bengasi, militari si uniscono alla rivolta Repressione nel sangue. L'Unione Europea a Gheddafi: "Fermare le violenze". Ma Tripoli minaccia Bruxelles: stop a cooperazione sui clandestini se continuate a incoraggiare i manifestanti. Prime crepe nel regime: il rappresentante libico alla Lega Araba aderisce alla rivoluzione "Razzi sulla folla, almeno 285 morti" Bengasi, militari si uniscono alla rivolta Manifestanti a Bengasi TRIPOLI - Gravissimo il bilancio delle violenze in Libia: se Human Rights Watch, l'organizzazione per la difesa dei diritti umani basata a New York, alza a 104 il numero di morti registrati a Bengasi in quattro giorni di scontri fra manifestanti anti-regime e forze di sicurezza, le cifre riferite da fonti giornalistiche sono ancora più allarmanti. Il sito del quotidiano britannico Independent segnala la circolazione di "altre informazioni", secondo cui ci sono "200 morti e più di mille feriti". E fonti mediche dell'ospedale di al-Jala di Bengasi hanno riferito che i morti sono 285 e oltre 700 i feriti. Lo ha detto il medico Nabil al-Saaiti, che, in un collegamento telefonico con l'emittente qatariota, spiegando che "ieri agenti della sicurezza di origine africana reclutati dal regime hanno aperto il fuoco contro i manifestanti e il numero dei morti è tale che non riusciamo a metterli tutti nella camera mortuaria dell'ospedale per identificarli". A Bengasi ci sarebbero state 50 vittime nel solo pomeriggio di oggi. E violenze continuano a registrarsi in altri paesi arabi: Marocco, Yemen, Bahrein e Iran. Una unità dell'esercito appoggia la rivolta. Verso sera, alcune truppe si sono schierate al fianco dei manifestanti. Sarebbero membri di un'unità dell'esercito libico, che hanno detto ai manifestanti di essere passati dalla parte dei rivoltosi, affermando che la città è stata "liberata" dalle forze filogovernative. Si tratterebbe delle prime crepe nei ranghi delle forze armate libiche: i comandanti hanno esortato l'opposizione a "liberare" Bengasi dalle forze pro-Gheddafi. Lo riferiscono fonti mediche, secondo cui alcuni soldati sono stati ricoverati per le ferite riportate negli scontri con la guardia personale di Gheddafi: "Ci hanno detto che hanno sopraffatto i pretoriani di Gheddafi, e si sono uniti alla rivolta", ha riferito l'avvocato Al-Mana. Razzi sui manifestanti, appello degli ospedali. Sempre secondo Al Jazeera, l'esercito oggi ha sparato razzi Rpg sui manifestanti a Bengasi. Attraverso il sito Lybia Al Youm, gli ospedali hanno lanciato un appello perché dicono di non essere più in grado di gestire i feriti che stanno affluendo. Occorrono medici, sangue, attrezzature e se possibile, l'allestimento di ospedali da campo. Dimissioni del rappresentante libico presso la lega araba. Abdel Moneim Al-Honi, rappresentante permanente della Libia presso la Lega Araba, ha annunciato ad alcuni giornalisti che si dimetterà per "unirsi alla rivoluzione" e protestare contro "la repressione e la violenza contro i manifestanti" nel suo paese. Il figlio di Gheddafi parlerà in televisione. La televisione ha annunciato che Seif al-Islam, secondogenito di Muammar Gheddafi, pronuncerà un discorso questa sera. Seif al-Islam è accreditato come incarnazione dell'ala "riformista" del regime, che ha aperto la strada alla normalizzazione dei rapporti fra Tripoli e l'Occidente. Dall'inizio della crisi libica il leader del Paese, Muammar Gheddafi, non ha fatto alcuna dichiarazione. Ue: "Fermare le violenze subito". L'Unione europea chiede alle autorità libiche di fermare "subito" le violenze contro i manifestanti. Lo ha detto l'alto rappresentante della politica estera della Ue Catherine Ashton, al suo arrivo al Consiglio degli Esteri. Ashton si dice "davvero molto preoccupata riguardo a quanto sta succedendo in Libia", prima dell'inizio della cena con i 27 ministri degli Esteri, che affronterà proprio la situazione in Libia e negli altri paesi interessati dalle rivolte popolari. Preoccupazione è stata espressa anche dall'amministrazione degli Stati Uniti: "Non c'è spazio per la violenza contro i manifestanti politici", ha dichiarato l'ambasciatrice americana all'Onu, Susan Rice. Tripoli minaccia l'Ue: "Stop collaborazione sull'immigrazione". Dure parole dal governo libico verso l'Unione Europea, colpevole secondo Tripoli di sostenere le rivolte: "Se continuate a incitare i manifestanti alle proteste nel nostro Paese, interromperemo la nostra cooperazione sul fronte immigrazione". Lo ha riferito l'ambasciatore di Ungheria, presidente di turno dell'Unione, convocato oggi dalle autorità libiche. A proposito di un possibile allarme immigrazione, Catherine Ashton ha dichiarato: "Abbiamo sentito delle minacce, ma alla fine dei conti la Ue fa ciò che è giusto", ribadendo che il Consiglio sarà "molto, molto chiaro sulla sua volontà che si ponga fine alla violenza", e che "E' molto importante che le voci della popolazione siano ascoltate, ed è quello che chiederemo". Contestazione senza precedenti. Il regime di Gheddafi è in preda ad una contestazione senza precedenti contro un potere che dura da più di 40 anni e sta cercando di resistere alle proteste libertarie scoppiate sull'onda delle rivolte in Tunisia ed Egitto. Il leader libico ha reagito con la forza alle manifestazioni di protesta degli ultimi giorni, schierando la polizia in forze. Centinaia di tunisini che lavorano in Libia hanno lasciato il paese attraverso la frontiera di Ras-Jdir, per rifugiarsi nel loro territorio d'origine e fuggire da quella che descrivono come "una vera carneficina". Lo ha dichiarato Housine Betaieb, responsabile sindacale presente sul posto, aggiungendo: "E' gente che lavora in Libia e che fugge prima che le succeda qualcosa". Estremisti prendono in ostaggio civili e poliziotti. Un gruppo di "estremisti islamici" ha preso oggi in ostaggio poliziotti e civili nell'est della Libia, ha reso noto un alto esponente libico. Il sequestro ha avuto luogo ad Al Baida. "Un gruppo di estremisti islamici, che si fa chiamare 'emirato islamico di Barka', tiene in ostaggio dei membri del servizio di sicurezza e alcuni cittadini", ha detto il responsabile libico, chiedendo di non essere identificato. Il sequestro, secondo quanto si è appreso, è avvenuto "durante gli scontri degli ultimi giorni", ha aggiunto la fonte di Tripoli, sottolineando che il gruppo "chiede la revoca dello stato d'assedio imposto dalle forze dell'ordine per evitare che gli ostaggi siano uccisi". La Farnesina: "Non partite per la Libia". Il ministero degli Esteri "sconsiglia tassativamente qualsiasi viaggio non essenziale" in Libia. Nell'aggiornamento odierno del sito Viaggiare Sicuri 1, facente capo alla Farnesina, si ricorda che "manifestazioni di piazza stanno avendo luogo in questi giorni in varie città del Paese" e in particolare si sottolinea la "gravità della situazione" in Cirenaica nelle città di Bengasi, Ajdabya, Al Marj, Al Beida, Derna e Tobruk. La Farnesina consiglia anche di "evitare viaggi" in Bahrein sempre se non strettamente necessari. La Farnesina comunica di "stare seguendo con la massima attenzione, attraverso l'ambasciata d'Italia a Tripoli, l'evoluzione della situazione in Libia con l'obiettivo di garantire al meglio la sicurezza dei connazionali residenti o temporaneamente presenti nel Paese nordafricano. Gli italiani in Libia che, in queste ore si sono messi in contatto con l'ambasciata stanno ricevendo informazioni e indicazioni di cautela, che vengono trasmessi dall'Ambasciata anche attraverso Sms e messaggi di posta elettronica". L'Unità di Crisi della Farnesina rimane a disposizione per raccogliere eventuali segnalazioni di criticità. (20 febbraio 2011)
2011-02-19 LA RIVOLTA Libia, 84 morti negli scontri Berlusconi: "Preoccupato per tutta l'area" Il nuovo dato fornito dall'organizzazione umanitaria Human Rights Watch. Nella notte bloccato il traffico internet in tutto il paese. Tensione in Algeria, migliaia in piazza e la polizia carica i manifestanti: in coma un deputato. Il re del Bahrein chiede di avviare il dialogo con l'opposizione, i blindati lasciano piazza delle Perle a Manama. Obama: "Basta violenze". Un morto in Yemen. Libia, 84 morti negli scontri Berlusconi: "Preoccupato per tutta l'area" Immagini degli incidenti in LIbia da Sky Tg24 TRIPOLI - Sarebbero almeno 84 le vittime degli scontri tra forze dell'ordine e manifestanti che da tre giorni infiammano la Libia. A fornire la cifra è l'organizzazione umanitaria Human Rights Watch citando testimonianze di fonti mediche e di residenti. Ieri sera Amnesty international aveva parlato invece di 46 morti. "Le autorità libiche devono porre fine immediatamente agli attacchi contro i manifestanti pacifici e proteggerli da gruppi antigovernativi", si legge in un comunicato dell'organizzazione umanitaria che ha sede a New York. Bilancio drammatico anche quello riferito dall'emittente al Jazeera, secondo cui le forze della sicurezza libica hanno ucciso almeno 70 manifestanti a Bengasi, seconda città del paese. "L'ho visto con i miei occhi: almeno 70 cadaveri in ospedale", ha raccontato un medico, Wuwufaq al-Zuwail, aggiungendo che le forze della sicurezza hanno impedito alle ambulanze di recarsi nei luoghi delle proteste. La tv satellitare ha raccontato anche di proteste in aumento contro il colonnello Muammar Gheddafi. Spiegando che il governo di Tripoli ha bloccato il segnale di al Jazeera nel paese, l'emittente riferisce inoltre che, secondo testimonianze, è stato oscurato anche il sito web. In questo caso non si tratta però di un provvedimento mirato. L'accesso a Internet, secondo quanto affermato da Arbor Networks, una società specializzata nella sorveglianza del traffico web basata negli Stati Uniti, la rete telematica è stata infatti bloccato completamente in Libia nel corso della notte. La Libia ha "bruscamente interrotto" l'accesso a internet alle 02.15 locali (le 1.15 in Italia), ha precisato la società, aggiungendo che le connessioni internet erano già molto disturbate ieri. "Berlusconi: Preoccupato, ma non ho sentito Gheddafi". Dopo le richieste da parte dell'opposizione di una presa di posizione da parte del governo italiano in seguito alle violenze in Libia, Silvio Berlusconi si dice preoccupato per ciò che sta accandendo nell'intera area. Non ho sentito Gheddafi, aggiunge: "La situazione è in evoluzione e quindi non mi permetto di disturbare nessuno". Il silenzio delle autorità italiane su quanto sta avvenendo in Libia è "terribile e assordante", ha denunciato Walter Veltroni. "In pochi giorni ci sono stati quasi cento morti e non c'è stata ancora alcuna reazione ufficiale. Il grande sommovimento che, in nome del pane e della libertà, sta scuotendo l'Africa mediterranea è una cosa che riguarda direttamente l'Italia", afferma l'esponente del Pd. "E' necessaria una posizione ferma del nostro paese. Ogni ulteriore attesa sarebbe gravissima". Anche l'Udc condanna la mancata presa di posizione delle autorità italiane: "Chiediamo che il governo riferisca in Parlamento al più presto su quanto sta avvenendo e che le Camere esprimano una condanna netta e ferma per atti di violenza perpetrati nei confronti di spontanee manifestazioni di protesta popolare contro un regime tirannico", dice il leader Pierferdinando Casini, mentre Angelo Bonelli, dei Verdi, chiede al governo di non trasformarsi in una "stampella del regime dittatoriale libico". Il governo italiano "deve immediatamente togliere il suo sostegno al colonnello Gheddafi ed al suo regime. Il nostro governo non può continuare a sostenere ad un dittatore che governa violando sistematicamente i diritti umani e negando la democrazia al suo popolo", conclude. Benedetto Della Vedova (Fli), chiede al governo di non tollerare oltre la repressione in Libia e di intervenire "nei confronti di Gheddafi che sta facendo sparare sui manifestanti". Il premier "deve ora dire con chiarezza se l'Italia e il suo governo sta con chi spara o con chi riceve i colpi, con chi manifesta per la liberta e la democrazia o con chi reprime le manifestazione", aggiunge. Scontri ad Algeri, deputato in coma. Non è solo la Libia a preoccupare: la situazione è tesa anche in Algeria, dove centinaia di manifestanti sono scesi in piazza ad Algeri, sfidando il divieto delle autorità. Nella piazza del 1 maggio, luogo di ritrovo del corteo dell'opposizione, le forze di sicurezza impediscono di sostare e secondo testimonianze dal luogo, la polizia carica i manifestanti. Un deputato algerino del partito di opposizione Raggruppamento per la cultura e la democrazia (RCD), Tahar Besbes, è in coma dopo essere stato colpito da un pugno da un agente durante la manifestazione di Algeri. Qualsiasi passante che si ferma viene picchiato dalla polizia, riferisce il quotidiano algerino indipendente al-Watan. "Il dispositivo di sicurezza - si legge sul sito - è presente in modo massiccio, molto più numeroso della settimana scorsa, ed ha di fatto chiuso quasi ermeticamente la piazza". Il corteo convocato dal Coordinamento nazionale per il cambiamento e la democrazia (Cncd) segue di una settimana un'altra manifestazione dell'opposizione algerina, repressa dalla polizia con cariche ed arresti. Bahrein, sciopero generale da domenica. La tensione torna a salire anche in Bahrein. I blindati hanno lasciato piazza delle Perle, a Manama, teatro nei giorni scorsi di una violenta repressione da parte della polizia contro i manifestanti sciiti, ma una decina di manifestanti sono tornati sul luogo, subito dopo lo sgombero. Immediata la reazione della polizia, che ha usato i gas lacrimogeni per disperdere l'assembramento. Una settantina di persone sono state portate in ospedale, ferite per i lacrimogeni o colpite da proiettili di gomma. L'esercito era sceso nelle strade della capitale giovedì, poche ore dopo lo sgombero di un improvvisato accampamento dei manifestanti nella piazza. Stamane, il re del Bahrein, Hamad bin Isa al-Khalifa, ha incaricato il principe ereditario di avviare un dialogo nazionale con "tutte le parti" per risolvere la crisi innescata dalle proteste di piazza. L'opposizione ha respinto l'offerta chiedendo che prima il governo si dimetta e i militari si ritirino dalle strade. L'unione generale dei sindacati ha convocato uno sciopero generale illimitato a partire da domani per chiedere la libertà di manifestare in maniera pacifica, senza l'intervento delle forze dell'ordine. Obama chiama il re: "Condanniamo le violenze". Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha personalmente telefonato al re del Bahrein, Hamad Bin Isa Al-Khalifa, condannando "l'uso della violenza contro i pacifici manifestanti" in Bahrein, Libia e nello Yemen, che offre un'importante cooperazione nella lotta antiterrorismo all'America. "Come alleato di lunga data del Bahrein - riferisce una nota della Casa Bianca - gli Usa ritengono che la stabilità del paese dipenda dal rispetto dei diritti universali e da riforme che rispondano alle aspirazioni di tutti i cittadini". Il Bahrein, infatti, ospita la quinta flotta Usa. Yemen, un morto. Nello Yemen, scontri violenti hanno contrapposto manifestanti e sostenitori del regime intorno all'università di San'a: uno studente è stato ucciso a colpi di arma da fuoco e altri cinque sono rimasti feriti. Si tratta del primo morto nella capitale dall'inizio della contestazione contro il presidente Ali Abdallah Saleh, al potere da 32 anni. (19 febbraio 2011)
LA RIVOLTA Libia, sale il bilancio degli scontri le vittime sarebbero almeno 84 Il nuovo dato fornito dall'organizzazione umanitaria Human Rights Watch. Nella notte bloccato il traffico internet in tutto il paese Libia, sale il bilancio degli scontri le vittime sarebbero almeno 84 Immagini degli incidenti in LIbia da Sky Tg24 TRIPOLI - Sarebbero almeno 84 le vittime degli scontri tra forze dell'ordine e manifestanti che da tre giorni infiammano la Libia. A fornire la cifra è l'organizzazione umanitaria Human Rights Watch citando testimonianze di fonti mediche e di residenti. Ieri sera Amnesty international aveva parlato invece di 46 morti. "Le autorità libiche devono porre fine immediatamente agli attacchi contro i manifestanti pacifici e proteggerli da gruppi antigovernativi", si legge in un comunicato dell'organizzazione umanitaria che ha sede a New York. Bilancio drammatico anche quello riferito dall'emittente al Jazeera, secondo cui le forze della sicurezza libica hanno ucciso almeno 70 manifestanti a Bengasi, seconda città del paese. "L'ho visto con i miei occhi: almeno 70 cadaveri in ospedale", ha raccontato un medico, Wuwufaq al-Zuwail, aggiungendo che le forze della sicurezza hanno impedito alle ambulanze di recarsi nei luoghi delle proteste. La tv satellitare ha raccontato anche di proteste in aumento contro il colonnello Muammar Gheddafi. Spiegando che il governo di Tripoli ha bloccato il segnale di al Jazeera nel paese, l'emittente riferisce inoltre che, secondo testimonianze, è stato oscurato anche il sito web. In questo caso non si tratta però di un provvedimento mirato. L'accesso a Internet, secondo quanto affermato da Arbor Networks, una società specializzata nella sorveglianza del traffico web basata negli Stati Uniti, la rete telematica è stata infatti bloccato completamente in Libia nel corso della notte. La Libia ha "bruscamente interrotto" l'accesso a internet alle 02.15 locali (le 1.15 in Italia), ha precisato la società, aggiungendo che le connessioni internet erano già molto disturbate ieri. (19 febbraio 2011)
LA RIVOLTA Libia, decine di vittime tra i manifestanti Obama: "Gli Usa condannano la violenza" L'opposizione: "Beida è caduta nelle nostre mani". Occupato l'aeroporto a Bengasi dove, dopo una notte di scontri, i soldati presidiano la città. Ancora scontri in Yemen e Bahrein, a rischio il Gran Premio. Martedì Frattini al Cairo Libia, decine di vittime tra i manifestanti Obama: "Gli Usa condannano la violenza" TRIPOLI - Non si fermano le manifestazioni di protesta in vari Paesi del Nordafrica e del Medio Oriente. Ancora scontri nella notte in Libia, dove negli ultimi giorni sarebbero state uccise decine di persone. L'opposizione parla di 50 vittime tra i manifestanti, cifre sostanzialmente confermate da Amnesty International, che riferisce di 46 morti in tre giorni. Secondo due diverse organizzazioni dell'opposizione in esilio, manifestanti anti-governativi, con l'appoggio di alcuni poliziotti che hanno deciso di disertare, sarebbero riusciti a sopraffare le forze di sicurezza libiche e ad assumere il controllo di Beida, in Cirenaica, terza città del Paese. In Bahrein l'esercito ha aperto il fuoco su una folla di dimostranti vicino alla Piazza della Perla a Manama. E in Egitto centinaia di migliaia di persone sono tornate in piazza per la "Marcia della vittoria". Obama: "Usa condannano la repressione". Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, ha espresso parole di condanna nei confronti delle repressioni violente contro le manifestazioni anti-governative in Medio oriente e Nordafrica. "Sono profondamente preoccupato dalle notizie delle violenze in Bahrein, Libia e Yemen", ha scritto Obama in un comunicato. "Gli Stati Uniti condannano l'uso della violenza da parte dei governi nei confronti dei pacifici manifestanti di questi paesi". Libia, "Beida è nelle mani del popolo". Sarebbe sotto il controllo del popolo la città di Beida, ha dichiarato Giumma el-Omami del gruppo 'Libyan Human Rights Solidarity'. "La città è fuori dal controllo del regime di Muammar Gheddafi", conferma Fathi al-Farwali del Comitato Libico per la Verità e la Giustizia. I due oppositori hanno precisato di essere venuti a conoscenza della situazione attraverso i propri contatti telefonici sul posto. Le loro affermazioni non hanno peraltro trovato finora riscontri da parte di fonti indipendenti. Beida è stata la città che ha pagato il più altro tributo nella repressione delle proteste. A intervenire è stato un battaglione delle forze speciali appartenente al figlio del colonnello Gheddafi, Hamis. Secondo fonti della dissidenza, il corpo militare era giunto in città da alcuni giorni e comprendeva "mercenari africani". La brutalità e le modalità adoperate dal battaglione avrebbero scioccato le regolari forze di sicurezza presenti sul posto, che si sarebbero schierate con i manifestanti, ingaggiando uno scontro e spingendo le forze di Hamis fuori città, fino alla vicina Shabhat. Beida, impiccati tre poliziotti. Tre poliziotti sono stati impiccati durante le proteste anti-Gheddafi a Beida. Lo ha riferito l'edizione online del quotidiano Oea, vicino a Seif al-Islam, uno dei figli del colonnello. Secondo quanto riferisce il sito informativo 'Libya al-Youm', i tre sarebbero uomini provenienti da paesi dell'Africa sub-sahariana che secondo i manifestanti vengono usati dalle autorità come 'mercenari' per reprimere le proteste. Cresce il bilancio delle vittime. Sarebbero una cinquantina, secondo fonti dell'opposizione, le persone uccise durante la 'Giornata della collera', che ieri ha portato per le strade migliaia di manifestanti contro il regime di Muammar Gheddafi in almeno otto città libiche, secondo l'agenzia Misna. La situazione oggi resta tesa, con i comitati rivoluzionari, pilastro del potere, che hanno minacciato l'opposizione di rispondere in maniera "violenta e fulminante". Una fonte medica locale ha riferito del decesso di sette persone negli scontri fra forze dell'ordine e manifestanti, oggi a Bengasi. Un numero simile a quello riportato dai siti dell'opposizione e dalla tv satellitare araba al Jazira, che hanno parlato di almeno sei uccisioni avvenute oggi nel capoluogo della Cirenaica. La fonte medica ha preferito restare anonima ma poco dopo il giornale Qurina, vicino al figlio del leader libico Muammar Gheddafi, Seif Al Islam, ha confermato lo stesso bilancio citando una "fonte della sicurezza" definita "responsabile". Amnesty International sostiene che negli ultimi tre giorni almeno 46 persone sono sono state uccise dalle forze di sicurezza libiche nel corso delle manifestazioni anti-regime. Tripoli, oscurati Facebook e Twitter. Le autorità libiche hanno oscurato i social network Facebook e Twitter per tutti gli utenti di internet a Tripoli. Lo riferisce la tv Al-Jazira. Le reti sociali sono in questo momento tra le poche fonti di informazione su quanto sta accadendo nel paese. Bengasi, diecimila in strada contro il governo. Ieri, secondo il resoconto della Misna, circa 10.000 persone si sono radunate per chiedere un cambiamento al potere nella piazza del tribunale del nord, ribattezzata dagli abitanti di Bengasi "piazza Tahrir". I dimostranti dicono di voler rimanere in piazza per la preghiera del venerdì, invitando il resto della popolazione ad andare in piazza, invece che nelle moschee. I manifestanti anti-Gheddafi hanno dato alle fiamme i locali della sede dell'emittente radio, e rivolto un appello al mondo intero a pregare oggi in memoria delle vittime della rivolta. Occupato l'aeroporto. I siti web dell'opposizione libica riferiscono che gruppi di manifestanti hanno occupato l'aeroporto di Bengasi. Dietro l'occupazione dello scalo ci sarebbe la volontà di impedire l'arrivo di aerei con rinforzi di uomini e mezzi per l'esercito libico, che in queste ore reprime le manifestazioni in corso contro il regime in città. In merito, la Francia ha annunciato oggi la sospensione della fornitura di materiale di sicurezza a Tripoli, contestando "l'uso eccessivo della forza" per reprimere le manifestazioni di protesta. Bahrein, militari fanno fuoco sulla folla. L'esercito del Bahrein ha aperto il fuoco su una folla di dimostranti vicino alla Piazza della Perla a Manama. Lo ha riferito un ex parlamentare sciita. Alcune persone sono state ferite. Oggi migliaia di persone hanno partecipato ai funerali di due persone rimaste uccise ieri nell'assalto 1 lanciato dalle forze di sicurezza contro i manifestanti accampati in piazza della Perla, nel centro di Manama. L'incursione ha provocato 200 feriti secondo le autorità. La processione ha seguito i due feretri, avvolti nella bandiera nazionale, diretti a Sitra, un villaggio sciita, ripetendo slogan patriottici: "Né sciiti, né sunniti. Unità nazionale" o "Sunniti e sciiti sono fratelli". Secondo quanto riferito da testimoni, alcuni ripetevano anche "Il popolo vuole la caduta del regime". Dopo l'eplosione delle manifestazioni, secondo il New York Times, che cita una compagnia per l'analisi del traffico web, il governo ha imposto severe limitazioni nell'accesso al web. Secondo i dati raccolti dalla Arbor Networks, il traffico internet in Bahrein mostra una flessione tra il 10 e il 20%, imputabile per gli esperti dell'azienda Usa, al blocco di diversi siti, tra i quali ci sarebbe anche YouTube. Piccolo arcipelago del Golfo, il Bahrein è governato da una dinastia sunnita, sebbene la maggioranza della popolazione sia sciita.
Egitto, in piazza manifestazioni per vittoria e pro Mubarak. Affollata da migliaia di persone piazza Tahrir, al Cairo, come nei giorni delle proteste contro il presidente Mubarak. Oggi è stato il giorno della festa, con la piazza attraversata dalla "Marcia della vittoria", a una settimana dalla caduta del regime egiziano. Una piazza in preghiera, animata dal sermone dell'Imam Yousef al Qaradawi, che ha salutato la rivolta di piazza affermando che è la prova che "ciò che è illegittimo non può mai battere la verità". "Mi congratulo con la gioventù: sapeva che alla fine la rivoluzione avrebbe vinto" ha detto l'imam. "Ma la rivoluzione finirà solo quando avremo un nuovo Egitto" ha avvertito, chiedendo ai leader arabi di ascoltare il proprio popolo, perché "il mondo arabo è cambiato". Al-Arabiya riporta che all'imam era vietato da 30 anni di recitare il sermone del venerdì in Egitto. L'ultimo fu nel 1981, dopo l'assassinio dell'allora presidente Anwar Sadat. Intanto, lo stato maggiore delle forze armate egiziane, che ha assunto la guida del Paese, ha aperto una pagina sul social network Facebook per avvicinarsi maggiormente ai giovani. Ma quella la vittoria non è stata l'unica manifestazione.Almeno 10 mila persone si sono radunate in una grande piazza del quartiere Mohandessin per rendere onore e omaggio all'ex presidente Hosni Mubarak. Un'altra piazza, un altro clima. Le centinaia di bandiere egiziane si mescolano alle foto dell'ex rais sorridente o in divisa militare giovanissimo a fianco al suo predecessore Anwar Sadat. I nostalgici del rais, chiamati a raccolta da un giovane blogger, hanno voluto ricordare la figura di quello che considerano un padre. I manifestanti hanno rivisitato uno slogan scandito milioni di volte a piazza Tahrir secondo il quale "il popolo egiziano vuole fare cadere Mubarak". Oggi i manifestanti pro Mubarak hanno scandito lo slogan "il popolo egiziano vuole onorare Mubarak". Frattini martedì 22 al Cairo. Il ministro degli esteri Franco Frattini andrà in Egitto martedì prossimo, 22 febbraio, per una serie di incontri "con esponenti governativi". L'agenda è ancora in fase di definizione. Frattini sarà uno dei primi ministri degli Esteri a visitare il paese arabo dopo le dimissioni del rais Mubarak, lo scorso 11 febbraio. Giordania, otto feriti in manifestazioni pro-riforme. Almeno dieci persone sono rimaste ferite nelle proteste antigovernative in corso ad Amman, la capitale della Giordania. Lo riferisce l'agenzia di stampa 'Dpa'. Durante la manifestazione, sostenitori del governo si sono scagliati, bastoni in pugno, contro centinaia di dimostranti che chiedono riforme politiche per il regno hascemita. Yemen, si aggrava il bilancio delle vittime. Si è aggravato il bilancio degli scontri di ieri tra forze di sicurezza e dimostranti anti-governativi ad Aden, nello Yemen meridionale. Secondo fonti ospedaliere, il numero dei morti accertati è salito infatti a tre, mentre i feriti sono 19, due dei quali versano in gravi condizioni. Ieri, nel quartiere di al-Mansoura della città portuale, la polizia aveva aperto il fuoco su un gruppo di manifestanti che reclamava la cacciata del presidente Ali Abdullah Saleh, al potere da 32 anni. Tunisia, amnistia generale. Il governo tunisino ha adottato oggi l'amnistia generale per i prigionieri politici ed ha annunciato un decreto legge a riguardo per i prossimi giorni. Lo ha riferito il portavoce del governo Taieb Baccouch a conclusione del consiglio dei ministri oggi. (18 febbraio 2011)
2011-02-17 LA RIVOLTA Bahrein, cinque morti negli scontri Twitter: "Manifestanti giustiziati" La polizia irrompe in piazza delle Perle a Manama dove a centinaia protestano contro il regime. Moltissimi i feriti, malmenato giornalista della rete americana Abc, drammatica testimonianza via Twitter del New York Times. Tensione a Tripoli per la protesta organizzata dall'opposizione, vittime anche a Al Beida, terza città del Paese africano Bahrein, cinque morti negli scontri Twitter: "Manifestanti giustiziati" Scontri a piazza Pearl a Manama MANAMA - Sale il bilancio dei morti dopo gli scontri della notte a Manama, capitale del Bahrein e la violenza non sembra cessare. Sono cinque le vittime delle violenze esplose la scorsa notte a piazza delle Perle a Manama secondo quanto riporta Al Jazeera. E le testimonianze che arrivano via twitter dall'inviato americano del New York Times, Nicholas Kristof, sono drammatiche: manifestanti ammanettati e giustiziati, soccorsi ai feriti impediti, autisti di ambulanze minacciati, giornalisti bloccati. L'esercito annuncia che verranno adottate "tutte le misure rigorose e i deterrenti necessari" per "garantire la sicurezza dei cittadini e degli abitanti", come pure "la stabilità e l'ordine pubblico". Blitz della polizia a piazza delle Perle. La polizia, intervenuta all'alba, ha smontato le tende dei manifestanti in piazza, ancora ricoperta del fumo dei lacrimogeni lanciati nella notte. Detonazioni e sirene di ambulanze si sono sentite a centinaia di metri dal luogo degli scontri, così come il ronzio dei motori di alcuni elicotteri militari. All'ospedale Salmaniya, principale nosocomio di Manama, continuano ad arrivare centinaia di feriti bisognosi di assistenza. Deputato opposizione denuncia: "60 persone sparite". Oltre alle vittime ed ai feriti, un deputato dell'opposizione ha sottolineato la scomparsa di circa 60 persone dopo il blitz con cui la notte scorsa le forze di sicurezza hanno annientato la tendopoli nel centro di Manama. La sparizione di così tanti dimostranti è stata denunciata da Ibrahim Mattar, deputato del principale cartello delle forze di opposizione sciite, il 'Wefaq'. "Sono in prigione?", si è chiesto polemicamente. "O sono riusciti a scappare, e adesso si nascondono in casa? Non lo sappiamo", ha sottolineato, annunciando che i rappresentanti del suo partito lasceranno in blocco il Parlamento, nel quale finora occupavano diciassette seggi su un totale di quaranta. Giornalista Abc picchiato. Blindati sono stati dispiegati nei pressi della piazza: le forze armate hanno avvertito di evitare le strade centrali di Manama, mentre la televisione americana Abc fa sapere che un suo giornalista è stato picchiato mentre era al lavoro, malmenato durante una violenta carica della polizia in piazza. Miguel Marquez era in collegamento telefonico con la redazione quando si è sentito gridare: "No, no,no, Sono giornalista...Vado, Vado, mi picchiano". Il collegamento è stato interrotto bruscamente e poi Marquez ha spiegato che si è visto sottrarre la cinepresa ed è stato picchiato da un gruppo di balordi nella piazza che ospitava le manifestazioni antiregime di questa notte. GUARDA LE FOTO 1 Kristof (Nyt) via twitter: "Manifestanti giustiziati". Durissime le testimonianze che arrivano via twitter. L'inviato del New York Times Kristof, nei suoi post dal Bahrein racconta di una situazione che sta degenerando rapidamente: diversi manifestanti malmenati dalle forze dell'ordine, colpiti alla testa, alcuni giustiziati sul posto, secondo il racconto di giornalisti locali. Un'infermiera ha riferito di aver visto un prigioniero ammanettato, picchiato dalle forze dell'ordine e poi ucciso con un colpo di pistola. Un autista di ambulanza, scrive sempre Kristof, intervistato da lui ha detto di essere stato minacciato con una pistola puntata alla testa: se avesse soccorso i feriti, sarebbe stato ucciso. Il governo del Bahrein ha vietato alle ambulanze di uscire dagli ospedali. Oltre seicento feriti sono arrivati negli ospedali, colpiti soprattutto alla testa. I giornalisti stranieri vengono bloccati in aeroporto, per evitare che possano assistere a quello che sta succedendo nel paese, riferisce Kristof. Esercito: "Evitare il centro di Manama". In un comunicato del ministero dell'interno, il generale Tarek Al Hassan ha affermato che "le forze di sicurezza hanno evacuato piazza delle Perle dopo avere esaurito tutte le possibilità di dialogo" con i manifestanti. "Alcuni hanno lasciato il posto di loro spontanea volontà, altri si sono rifiutati di sottoporsi alla legge ed è stato necessario un intervento per disperderli", ha aggiunto l'alto ufficiale. Un portavoce del ministero è apparso oggi alla televisione nazionale per annunciare che le forze di sicurezza hanno ordinato alla popolazione di evitare le zone centrali della capitale, Manama, teatro da tre giorni di manifestazioni di protesta della maggioranza sciita contro il regime monarchico assolutistico, e la concentrazione del potere nelle mani dell'elite sunnita, cui fa capo la stessa Famiglia Reale. Ue condanna le violenze contro i manifestanti. L'unione europea condanna la violenza della polizia del Bahrein contro i manifestanti antigovernativi e invita le autorità locali a rispettare il diritto dei cittadini di protestare pacificamente: lo riferisce la delegazione del capo della diplomazia europea, Catherine Ashton. Libia, giornata della collera. Situazione calda anche in Libia, dove due notti fa a Bengasi sono rimaste ferite decine di persone e altre due, secondo notizie non confermate, sarebbero morte in scontri con la polizia e sostenitori di Muammar Gheddafi. Per oggi nel Paese è attesa una 'giornata della collera', convocata via internet dell'opposizione libica. Intanto, il bilancio degli scontri nella città di Al Beida, nell'est del Paese, tra dimostranti antigovernativi e forze dell'ordine è di almeno 9 morti. A far fuoco sulla folla, ad Al Beida, sarebbero stati gli elicotteri delle forze di sicurezza. Alcuni siti dell'opposizione parlano anche di 13 morti, ma finora le autorità ne hanno confermati solo due. Dopo queste violenze, Gheddafi ha silurato il responsabile della sicurezza nella provincia di Al Jabar All Akhdar, colonnello Hassan Kardhaoui. Nelle città libiche scendono in piazza anche i sostenitori del Colonnello, con il pericolo di sanguinosi scontri. La tv libica ha trasmesso solo immagini di manifestazioni di sostegno a Gheddafi in varie città e la stampa ha ignorato completamente gli scontri di mercoledì a Bengasi. (17 febbraio 2011)
2011-02-13 EGITTO L'esercito scioglie il Parlamento e congela la Costituzione Il potere sarà gestito dai militari per i prossimi sei mesi. La nuova Costituzione verrà sottoposta a referendum popolare. Il capo della polizia militare chiede di smontare le tende delle circa duemila persone che sono ancora accampate nel centro del Cairo. Rubati reperti archeologici, tra cui la statua di Tutankhamon L'esercito scioglie il Parlamento e congela la Costituzione IL CAIRO - I militari egiziani hanno deciso lo scioglimento del Parlamento e hanno sospeso la Costituzione. Il Consiglio supremo delle Forze armate gestirà il paese per i prossimi sei mesi o fino allo svolgimento delle elezioni legislative e presidenziali. Lo afferma il comunicato numero 5 diffuso questa mattina dal quale si afferma anche che la Costituzionale è stata congelata. Lo stesso Consiglio ha annunciato in un comunicato trasmesso dalla tv di Stato di aver formato una Commissione per emendare la Costituzione. Il testo della nuova Costituzione che sarà varato dalla commissione verrà sottoposto a referendum popolare. I militari egiziani hanno inoltre sottolineato che continueranno nell'esercizio del potere ricevuto dal dimissionario presidente Hosni Mubarak fino alle elezioni. Nessuna indicazione, invece, sull'abolizione della controversa legge dello stato di emergenza in vigore da quasi 30 anni. Una abolizione che era tra le principali richieste dei manifestanti in piazza che hanno insistito anche per la rimessa in libertà dei prigionieri politici. Con una "dichiarazione costituzionale" in nove punti, e non più con un comunicato numerato, come quelli dei giorni precedenti, il Consiglio Supremo delle Forze Armate egiziano ha dato la notizia tramite la tv di stato. Ecco il testo della dichiarazione, che è stata letta da un'annunciatrice della tv e non dal portavoce militare che ha letto i comunicati precedenti: "Il Consiglio Supremo delle Forze Armate ha deciso di: 1) Sospendere la Costituzione; 2) Gestire provvisoriamente il Paese per 6 mesi o fino alla fine delle elezioni legislative e presidenziali; 3) Il presidente del Consiglio Supremo (maresciallo Hussein Tantawi, ndr) assumerà la rappresentanza del paese all'interno e all'estero; 4) Sciogliere l'Assemblea del Popolo ed il Consiglio Consultivo; 5) Il Consiglio Supremo ha l'autorità di pubblicare leggi per decreto; 6) Formare una commissione per le modifiche di alcuni articoli della Costituzione e per fissare le regole del referendum che dovrà approvarle; 7) Il primo ministro Ahmed Shafiq assume la direzione del Consiglio dei Ministri fino alla formazione di un nuovo gabinetto; 8) Garantire lo svolgimento di elezioni legislative e presidenziali 9) L'Egitto si impegna a mettere in applicazione i Trattati e gli accordi regionali e internazionali". Intanto, Il premier egiziano, Ahmed Shafiq, ha assicurato che la situazione economica in Egitto "è stabile". E ha aggiunto: "La nostra situazione economica interna è solida e coesa. Abbiamo abbastanza riserve e la situazione è confortante, molto confortante". Tuttavia, se l'instabilità dovesse continuare "potrebbero sopravvenire alcuni ostacoli ed esserci rinvii". Il premier ha anche confermato che Mubarak si trova a Sharm el Sheikh, nella sua residenza sul Mar Rosso. Il primo ministro ha dichiarato che saranno i militari a stabilire il ruolo di Omar Suleiman, il capo dei servizi segreti nominato vicepresidente da Hosni Mubarak prima di dimettersi da Capo dello Stato. Nella mattinata, il capo della polizia militare egiziana ha detto ai manifestanti di smontare le tende che da oltre quindici giorni sono diventate uno dei simboli delle proteste in piazza Tahrir. "Non vogliamo nessun sit in nella piazza oggi", ha detto Mohamed Ibrahim Moustafa Ali, parlando con manifestanti e giornalisti mentre i soldati rimuovevano le tende dalla piazza epicentro delle manifestazioni di questi giorni. Le azioni del Consiglio supremo delle forze armate dovrebbero soddisfare le richieste della piazza. Lo ha affermato Ayman Nour, fondatore del partito d'opposizione egiziana el-Ghad, dopo che la leadership militare aveva annunciato che scioglierà il Parlamento e modificherà la Costituzione. "E' la vittoria della rivoluzione", ha commentato Nour. Si riunisce il governo. Sul fronte politico l'attuale governo egiziano terrà oggi la sua prima riunione dalle dimissioni di Mubarak. Secondo l'agenzia di stampa Mena la decisione è stata presa dopo il comunicato del consiglio supremo delle forze armante che ha annunciato che il governo, nominato da mubarak alcuni giorni prima delle sue dimissioni, restava in carica per assumere la gestione degli affari correnti "fino alla formazione di un nuovo esecutivo" Il consiglio dei ministri discuterà delle misure per garantire i prodotti alimentari di base ai cittadini, la sicurezza e la stabilità", precisa Mena. L'esercito egiziano, incaricato di guidare il paese dalle dimissioni di mubarak, ha promesso una "transizione pacifica" verso "un potere civile eletto" e ha assicurato che l'egitto rispetterà i trattati "regionali e internazionali" che ha firmato.
Reperti trafugati. Otto preziosi reperti archeologici, tra cui una statua del re Tutankhamon, sono stati trafugati dal Museo egizio. Lo ha reso noto il ministro delle antichità, Zahi Hawas. Tra gli oggetti scomparsi, una statua in legno dorato del re Tuntankhamon, che viene trasportato da una divinità, e parti di un'altra statua, anch'essa in legno dorato, che raffigura il giovane re della XVIII dinastia, mentre pesca con l'arpione su una barca di papiro. Ignoti saccheggiatori avevano fatto irruzione nel museo del Cairo, prospiciente piazza Tahrir, il 28 gennaio, in una delle giornate più violente della protesta contro il regime di Hosni Mubarak (13 febbraio 2011)
2011-02-12 IL REPORTAGE Egitto, rivoluzione web la folla festeggia il trionfo Mubarak abbandona la capitale per Sharm el Sheikh. L'uomo d'affari Sawiris farà da mediatore tra militari e opposizione di BERNARDO VALLI Egitto, rivoluzione web la folla festeggia il trionfo IL CAIRO - Bisogna darle un nome, e non la si può chiamare che la "rivoluzione del web", perché è stata la generazione dei blog, di Facebook, di Twitter, ad accendere la scintilla della protesta e quindi a scalzare il raìs, al potere da trent'anni in una terra con un antico culto dei potenti. Pochi minuti dopo le sei del pomeriggio, quando era già buio sulle due sponde del Nilo, e il Cairo era sommerso da una folla mai vista nei diciotto giorni di rivolta, l'ex tenente generale Omar Suleiman, da poco nominato vice presidente, è comparso sui televisori e in due frasi ha annunciato che Hosni Mubarak aveva infine rassegnato le dimissioni. Nel frattempo si era sparsa la notizia che il raìs se ne era già andato dal Cairo, con la famiglia, per raggiungere la residenza estiva di Sharm el Sheikh, sul Mar Rosso egiziano. Quale sarà il suo immediato destino resta incerto. La Germania potrebbe essere la prossima meta. Là è da tempo in cura per i suoi vari malanni. Suleiman, l'uomo dei servizi segreti, campione dello spionaggio, delle trame e delle repressioni, ha dichiarato, con un'espressione trasudante collera, la resa del suo capo. La faccia scavata, slavata, e gli occhi socchiusi, dicevano più delle parole. Del resto le parole annuncianti la disfatta del regime, Suleiman non le ha rivolte ma le ha gettate in faccia ai milioni di egiziani impegnati notte e giorno, da tre settimane, a gridare sulle piazze, con tenacia e semplicità, la voglia di democrazia, e l'"hogra", la vergogna per dover vivere senza tante libertà elementari. Alla piazza che l'ha umiliato, Suleiman non è riuscito a dedicare più di due frasi. Eppure l'annuncio era storico. Pagando con trecento morti la loro sfida, senza sparare un colpo di fucile, senza violenza, i ragazzi del web hanno trascinato con sé un paese di ottanta, cento milioni di abitanti. Hanno costretto l'esercito prima a rispettarli e poi a seguirli, e hanno sconfitto, con la semplicità e la chiarezza della loro protesta, il potere occulto incarnato da Suleiman. Soprattutto hanno cacciato il raìs detestato e corrotto, che con la sua famiglia ha accumulato un patrimonio di sessanta miliardi di dollari, un sesto del reddito nazionale, in una società dove quattro famiglie su dieci vivono sotto il livello di sussistenza. In questo raro momento, le verità non hanno veli, sono crudeli, e la generosità, dovuta ai vinti, è maledettamente avara. Dopo la piccola Tunisia, il grande Egitto è un esempio, una tentazione per tutto il mondo arabo, dove si è aperta una grande breccia per la democrazia. Spetta all'esercito, che assume il potere, tenerla aperta. Non è chiaro se l'impopolare Omar Suleiman occuperà come vice presidente, formalmente e in via provvisoria, la carica di Mubarak. Non è comunque lui che favorirà l'avvento della nuova libertà sulle sponde del Nilo. Chi comanda da ieri in Egitto, ufficialmente e di fatto, è l'Alto Consiglio delle forze armate. Un organismo che si riunisce di rado, in caso di guerra, e che funzionerà come una giunta militare. Un uomo d'affari rispettato, Naguib Sawiris, farà da mediatore tra i militari e i movimenti d'opposizione, che non hanno ancora un capo, né un organismo che li rappresenti nel loro insieme. In sostanza è avvenuto un colpo di Stato. Un putsch liberatorio. L'esercito controlla, gestisce la "rivoluzione del web", che non ha promosso, anzi l'ha colto di sorpresa, come il resto del regime. La folla riconoscente abbraccia adesso i soldati, sommerge carri armati e autoblindo con un entusiasmo senza riserve. Si vedrà poi se i generali dell'Alto Consiglio delle forze armate manterranno le promesse ed esaudiranno le aspirazioni della gente di piazza Tahrir. Se riusciranno a disegnare una democrazia accettabile o slitteranno in un nuovo autoritarismo. Alla testa dell'Alto consiglio delle Forze armate c'è il feldmaresciallo Mohamed Tantawi, fino a ieri ministro della difesa e ufficiale distintosi nella quarta guerra contro Israele, quella del Kippur, nel 1973. Tantawi appare adesso come il personaggio più autorevole. Egli non è considerato un uomo incline alle riforme democratiche, ma si dice abbia avuto un ruolo determinante nelle ultime ore, dopo la caotica giornata di giovedì, quando Hosni Mubarak pronunciò alla televisione il discorso con il quale chiarì con arroganza di non avere alcuna intenzione di dimettersi. E dette l'impressione di avere alle sue spalle l'esercito. In realtà le forze armate erano divise. La Guardia repubblicana, o presidenziale, forte di undicimila uomini, restava fedele alla sua missione. E uguale attaccamento al raìs aveva l'aviazione, nella quale Mubarak ha vissuto tutta la carriera militare. Non a caso nei primi giorni della protesta aerei militari hanno sorvolato a bassa quota le manifestazioni, a scopo intimidatorio, ma in verità con scarso risultato. L'esercito, con più di trecentomila uomini, in larga parte provenienti dalle classi popolari, era il più sensibile ai richiami dell'opposizione arroccata in piazza Tahrir. Ma è tra gli ufficiali che sono affiorate le divisioni. Spesso generazionali. I capitani, i maggiori, i colonnelli erano colpiti e frustrati dalle rivelazioni sulla corruzione nel regime, e in particolare nel Partito Nazional Democratico, di fatto il partito unico, diretto dal figlio di Mubarak. L'enorme patrimonio della famiglia presidenziale, in larga parte piazzato all'estero, non aumentava certo il prestigio del raìs presso i militari. Compresi alcuni generali a contatto con gli ufficiali subalterni, e non viziati dalle cariche nell'industria di Stato elargite dal presidente ai soldati fedeli alla sua persona e al suo clan. Inoltre l'esercito aveva escluso, fin dall'inizio della sollevazione popolare, di partecipare a un'eventuale repressione. I soldati non avrebbero tirato sulla folla. I figli di operai non avrebbero sparato sugli operai; e così i figli dei contadini sui contadini; ma neanche gli ufficiali avrebbero ordinato di sparare sugli avvocati, sui medici, sugli ingegneri, sui giudici unitisi alla protesta. E si sapeva che gli americani, fornitori di dollari e di armi, avevano minacciato di sospendere gli aiuti nel caso ciò dovesse accadere. I generali dell'Alto Consiglio erano a loro volta divisi sulla sorte da riservare al presidente. Alcuni ritenevano di non dover ferire la casta militare obbligando alle dimissioni il raìs, comandante supremo delle forze armate. Ma più la protesta cresceva, e si moltiplicavano gli scioperi nel paese, e si infittivano le notizie sulla corruzione, più cresceva il numero dei generali decisi a cacciare Mubarak. Le divisioni, gli scontri tra i pro e i contro le dimissioni del raìs si sono protratti fino a ieri mattina. La sostanza del secondo comunicato emesso dall'Alto Consiglio era ancora favorevole a Mubarak. Pur approvando il parziale passaggio dei poteri a Omar Suleiman, i generali precisavano comunque che la supervisione del potere spettava al Consiglio. Era un primo decisivo passo. Il feldmaresciallo Tantawi, pur non essendo un fervente democratico, anzi pur non nascondendo le idee conservatrici, avrebbe fatto pendere la bilancia in favore di un'estromissione definitiva del raìs. La corruzione della famiglia presidenziale era insopportabile; e la grande manifestazione che si stava estendendo a tutta la capitale, da Heliopolis, dove si trova il palazzo presidenziale, all'edificio della televisione, sulla riva del Nilo, rivelava l'impossibilità di mantenere Mubarak al suo posto. Le telefonate sempre più insistenti, in favore di una transizione rapida, del collega americano, il segretario alla difesa Gates, hanno contribuito a convincere Tantawi. E cosi l'ormai ex raìs è stato costretto a rimangiarsi il discorso della sera prima, è stato costretto a fare le valige e a partire per Sharm el Sheikh. Omar Suleiman ha annunciato le dimissioni del suo capo a denti stretti, regalando all'Egitto momenti di orgoglio e felicità. (12 febbraio 2011)
LA PROTESTA Algeri, la protesta in piazza si chiede "democrazia e libertà" Nonostante il divieto della polizia, i manifestanti stanno confluendo in piazza Primo maggio. La città presidiata dalle forze dell'ordine. Primi arresti Algeri, la protesta in piazza si chiede "democrazia e libertà" ALGERI - Sale la tensione nella capitale algerina. La polizia stamattina ha compiuto fermi nel centro di Algeri dove, nonostante il divieto delle autorità, si sono riuniti i manifestanti. E ci sono stati anche degli scontri quando un corteo di circa duemila persone è riuscito a sfondare un cordone formato da agenti di polizia in tenuta anti-sommossa. Le forze dell'ordine erano state dispiegati nelle strade della capitale già molto prima della manifestazione dell'opposizione di oggi nella capitale. Al-Arabiya ha ricordato che giovedì scorso il quotidiano locale 'Echorouk' aveva parlato di 25 mila uomini delle forze dell'ordine impiegati. La protesta di oggi è stata definita come la "giornata della svolta". Sindacati, partiti d'opposizione e associazioni, hanno lanciato un appello a manifestare per reclamare "democrazia e libertà" ma anche "un cambiamento del regime". Due leader dell'opposizione algerina sono scesi in piazza Primo Maggio ad Algeri unendosi ai manifestanti, circondati dalle forze di sicurezza, presenti in modo massiccio. Si tratta di Ali Yahia Abdenour, ottantenne presidente della Lega algerina per i diritti umani, e di Said Sadi, leader del Raggruppamento per la cultura e la democrazia (Rcd). (12 febbraio 2011)
2011-02-11 MY TYBE DI ENRICO FRANCESCHINI 11 feb 2011 Adesso a chi tocca? Dopo Tunisia ed Egitto, adesso a chi tocca? Quale sarà o magari quali saranno i prossimi paesi arabi travolti dal 1989 del Medio Oriente, dalla Google revolution, dalla primavera del Cairo? L’Economist oggi in edicola prova a prevederlo con un "indice del tiro della scarpa", così chiamato prendendo lo spunto dalle scarpe che tanti egiziani agitavano in segno di rivolta in queste incredibili giornate di protesta di piazza (per tirarle a Mubarak). Mettendo insieme vari elementi, il settimanale britannico ha creato una cartina della vulnerabilità a una rivoluzione democratica. I fattori usati per l’indice sono la giovinezza della popolazione, il numero di anni da cui il dittatore o rais locale è al potere, il livello di corruzione, la mancanza di democrazia, il reddito medio pro capite, la censura e altri ancora. Ecco la classifica, con la percentuale di possibilità di rivolta per ciascun paese: Yemen 83%, Libia 65, Siria 64, Oman 59, Arabia Saudita 57, Algeria 50, Giordania 45, Marocco 42, Bahrain 38, Libano 36, Emirati Arabi Uniti 24, Qatar 21. L’ultimo faraone se n’è andato, è crollato un muro, centinaia di milioni di arabi hanno l’occasione di democrazia, progresso e modernizzazione che aspettavano da secoli. Guardando le scene in tivù dal Cairo, in queste ore, è impossibile non sentire un brivido di commozione, di gioia, di speranza.
Diretta Mubarak si è dimesso Pieno potere a forze armate Mubarak si è dimesso Pieno potere a forze armate Un boato ha accolto l'annuncio delle dimissioni di Hosni Mubarak. Dopo 18 giorni di proteste, in piazza Tahrir centinaia di migliaia di persone hanno dato sfogo alla loro gioia: "Il regime è caduto". Il vicepresidente Suleiman ha annunciato la costituzione di un comitato di militari che gestirà il Paese. Il Consiglio supremo di Difesa ha diffuso un comunicato: "Siamo consapevoli della pericolosità della situazione. Stiamo studiando misure". Obama: "E' l'inizio della transizione, non la fine. Aiuteremo in ogni modo". Washington chiede il rispetto degli accordi con Israele (Aggiornato alle 22:00 del 11 febbraio 2011) 22:00 Usa: rispettare gli accordi con Israele 104 – La Casa Bianca ha rivolto un appello alle nuove autorità egiziane a onorare gli accordi di pace con Israele 21:12 Obama: "Pronti ad aiutare in ogni modo" 103 – Gli Stati Uniti continueranno ad essere "un forte alleato" dell'Egitto: lo ha detto il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. "Gli Stati Uniti sono pronti ad aiutare l'Egitto in ogni modo" 21:09 Obama: "Il popolo ha parlato, la democrazia vincerà" 102 – Il presidente degli Stati Uniti: "Il popolo ha parlato, la democrazia vincerà. Le forze armate egiziane devono garantire una transizione democratica credibile. Questo è l'inizio della transizione, non la fine" 21:08 Moussa si dimette dalla Lega araba 101 – Amr Moussa si è dimesso con due mesi di anticipo sulla scadenza naturale del mandato da segretario generale della Lega Araba. Lo riferisce la rete al Arabiya. Moussa è uno dei possibili candidati alla successione di Hosni Mubarak alla guida dell'Egitto. 20:11 Vaticano: "Momento storico" 100 – "E' un momento storico per il popolo egiziano, speriamo e preghiamo che tutto questo porti frutti per il Paese". E' questo il primo commento che il nunzio apostolico al Cairo, mons. Michael Fitzgerald, ha rilasciato alla Radio vaticana 19:45 Sarkozy: "Ora libere elezioni" 99 – Il presidente francese sprona le "autorità" militari egiziane a compiere i passi necessari "per elezioni libere e trasparenti, che portino alla creazione di istituzioni democratiche" 19:44 Frattini: "Sviluppo importante per la democrazia" 98 – Frattini: "Uno sviluppo importante per il popolo egiziano e le sue legittime aspirazioni democratiche. Auspico che attraverso il dialogo costruttivo tra le istituzioni e la società civile, la transizione continui in maniera pacifica, ordinata, per un nuovo assetto democratico e nel rispetto degli impegni internazionali dell'Egitto il cui ruolo per la stabilità regionale l'Italia considera cruciale" 19:43 Militari: "Non siamo sostituti delle aspirazioni popolari" 97 – Il Consiglio Supremo della Difesa non è "un sostituto alle aspirazioni legittime avanzate dal popolo. Siamo consapevoli della situazione in Egitto e agiremo per venire incontro alle richieste del popolo", ha aggiunto il portavoce leggendo il comunicato in tv 19:39 Esercito: apprezzamento per Mubarak 96 – Il Consiglio supremo della Difesa ha espresso "apprezzamento" a Hosni Mubarak per il "ruolo svolto in pace e in guerra" 19:39 Esercito: "Studiamo misure, situazione pericolosa" 95 – Nel comunicato del Consiglio supremo della Difesa si afferma che i militari sono "consapevoli" della "pericolosità della situazione". "Studiamo misure da attuare" per venire incontro alle aspettative del popolo, si afferma fra l'altro nel comunicato 18:56 El Baradei: "La vita ricomincia" 94 – Il premio Nobel per la pace El Baradei: "Per noi la vita ricomincia". "Ora non bisogna avere fretta. Non so dire cosa succederà nelle prossime ore, ma non bisogna correre - ha detto in una telefonata alla CNN - Mi auguro che il Consiglio Supremo delle forze armate condivida in tempi rapidi il potere in termini democratici. Il popolo egiziano ha parlato chiaro. Quello che serve adesso è un governo di unità nazionale". L'ex capo dell'Aiea ha detto di essere contrario ad un processo a Mubarak ma ha aggiunto che i suoi beni "dovrebbero essere sequestrati e restituiti al popolo egiziano" 18:52 Il ministro della Difesa saluta la folla 93 – Il ministro della Difesa Mohamed Hussein Tantawi, capo del Consiglio supremo militare che ha ora il potere in Egitto, di fronte al palazzo presidenziale del Cairo sta salutando la folla festante, dopo le dimissioni di Mubarak 18:38 I Fratelli musulmani ringraziano l'esercito 92 – Anche i Fratelli musulmani, il gruppo islamico che rappresenta la formazione più organizzata dell'opposizione, ha "reso onore all'esercito egiziano" che guiderà il Paese fino alle elezioni. La Fratellanza, formalmente fuori legge dal 1954, ha "ringraziato l'esercito per aver mantenuto le sue promesse" 18:28 Ban Ki-moon: "Transizione sia pacifica" 91 – Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, auspica che in Egitto possa avere luogo una transizione "pacifica e ordinata". Lo ha detto al Palazzo di Vetro il portavoce Martin Nersirky. "Il popolo egiziano è frustrato e ha chiesto riforme coraggiose. La transizione, ora, deve essere pacifica e ordinata" 18:26 Biden: "Cambiamento irreversibile" 90 – Il vicepresidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha detto che quanto sta avvenendo in Egitto rappresenta "un irreversibile cambiamento verso la democrazia". "A poche generazioni capita di cogliere l'opportunità che il popolo egiziano sta cogliendo. Per l'Egitto è un giorno storico" ha detto Biden parlando in Kentucky. 18:26 Berna congela i beni di Mubarak 89 – Come è già avvenuto con l'ex presidente tunisino Zine al Abidine Ben Ali la Svizzera ha annunciato il congelamento di ogni eventuale conto o bene di Mubarak nella confederazione elvetica. Lo ha reso noto un portavoce del ministero degli Esteri di Berna 18:15 Hamas festeggia "l'inizio della vittoria" 88 – Hamas ha festeggiato stasera le dimissioni di Mubarak definendole "l'inizio della vittoria della rivoluzione". Nel contempo le strade della Striscia di Gaza, controllate dal movimento integralista palestinese, sono piene di gente esultante 18:12 Merkel: "Cambiamento storico" 87 – Il cancelliere tedesco ha definito "un cambiamento storico" le dimissioni di Mubarak 18:07 Israele spera che non ci siano effetti negativi sulla pace 86 – La speranza di Israele è che le dimissioni del presidente egiziano Hosni Mubarak non abbiano ripercussioni negative sulla pace fra i due Paesi. Lo ha detto una fonte governativa israeliana, citata dal quotidiano Maariv 18:03 Iran: grande vittoria degli egiziani 85 – Il governo iraniano ritiene che gli egiziani abbiano ottenuto "una grande vittoria" 18:00 Esplosioni di gioia in tutto il Paese 84 – In tutto l'Egitto la gente si sta riversando nelle strade per festeggiare le dimissioni di Mubarak. Il Cairo, Alessandria e altre città sono stata invase da suoni di clacson e bandiere. Le persone scese in piazza si congratulano le une con le altre e urlano slogan come: "Lui è fuori noi siamo dentro!" e "Il popolo ha abbattuto il regime" 17:49 Moussa: "Ora Egitto nelle mani degli egiziani" 83 – Il segretario generale della Lega Araba, Amr Moussa, si è detto ''ottimista'' per il futuro dell'Egitto. Raggiunto telefonicamente dalla CNN, Moussa ha detto che ''ora il futuro dell'Egitto è nelle mani del popolo egiziano''. Moussa ha anche invitato ''alla pazienza'. ''Ora il potere è nelle mani del vice presidente, Omar Suleiman, ma nelle prossime ore dovrebbe passare al Consiglio Supremo delle forze armate. Bisogna essere pazienti nelle prossime ore. Dovremo vedere quale posizione il Consiglio prenderà. Ma sono ottimista. Il futuro dell'Egitto ora è nelle mani degli egiziani, delle donne, uomini, giovani e vecchi che manifestano al Cairo e nel Paese''. 17:48 al Arabiya: "Saranno sciolti governo e parlamento" 82 – La televisione al Arabiya ha detto anticipando il contenuto di un comunicato del Consiglio superiore delle forze armate che saranno sciolti il governo e il parlamento. 17:45 Twitter: "Khaled Said sei nostro eroe" 81 – "Khaled Said, tu sei il nostro eroe, tu sei tutti i giovani d'Egitto!'', si legge si uno dei messaggi postati su Twitter dai molti egiziamni che stanno commentando in tempo reale le dimissioni di Hosni Mubarak.Khaled Said è il giovane egiziano che è stato pestato a morte dalla polizia fuori da un Internet cafè lo scorso anno. Molti ritengono che questo episodio abbia innescato il movimento di protesta, senza dubbio Khaled ne è uno dei simboli 17:42 El Baradei: "Non mi candiderò a presidenziali" 80 – El Baradei: "Non mi candiderò a presidenziali" 17:41 Esplode la gioaia a Gaza 79 – La popolazione di Gaza è scesa in strada per festeggiare le dimissioni di Hosni Mubarak. 17:34 Al-Arabya: "Militari scioglieranno Parlamento" 78 – Dopo le dimissioni di Mubarak fonti militari citate da Al Arabiya fanno sapere che a breve ci sarà un comunicato del Consiglio Supremo di Difesa, guidato dal ministro della Difesa, il maresciallo Mohammed Tantawi in cui sarà annunciato lo scioglimento due rami del Parlamento, le dimissioni del governo del premier Ahmed Shafiq e l'incarico al presidente della Corte Costituzionale di guidare il paese insieme ai militari. 17:33 Ashton: "È stata ascoltata la voce del popolo egiziano" 77 – Il capo della diplomazia europea, Catherine Ashton, ha accolto con soddisfazioni le dimissioni del presidente egiziano, Hosni Mubarak. Ashton ha detto che Mubarak "ha dato ascolto alla voce del popolo egiziano" e ha aperto la via delle "riforme più rapide e più profonde". 17:31 Esplosione di gioaia a Tunisi 76 – Esplosioni di gioia e concerti di clacson hanno accolto a Tunisi la notizia delle dimissioni del presidente egiziano Hosni Mubarak 17:28 El Baradei: "Il più bel giorno della mia vita, il Paese è libero" 75 – ''E' il più bel giorno della mia vita, il paese è libero!''. È il breve messaggio pubblicato su Twitter dal Premio Nobel Mohammed ElBaradei, leader dell'opposizione egiziana 17:27 Usa, Obama segue in diretta. A breve intervento 74 – Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, segue in diretta l'evolversi degli eventi al Cairo. Lo ha reso noto la Casa Bianca, precisando che a breve Obama rilascerà una dichiarazione. 17:19 L'annuncio di Suleiman 73 – "Cittadini, in nome di Dio misericordioso, nella difficile situazione che l'Egitto sta attraversando, il presidente Hosni Mubarak ha deciso di dimettersi dal suo mandato e ha incaricato le forze armate di gestire gli affari del paese. Che Dio ci aiuti" 17:18 Wall Street gira in positivo dopo dimissioni Mubarak 72 – Wall Street gira in positivo con l'uscita del presidente egiziano Hosni Mubarak. Il Dow Jones sale dello 0,21% a 12.254,76 punti, il Nasdaq avanza dello 0,25% a 2.797,29 punti mentre lo S&P 500 segna un progresso dello 0,31% a 1.325,68 punti. 17:13 Tv: "Solo la storia potrà giudicare raìs" 71 – ''Solo la storia potrà giudicare il nostro presidente Mohammad Hosni Mubarak'', cosi' la tv di Stato egiziana ha commentato poco fa la notizia delle dimissioni del rais egiziano. 17:11 Il grido dei manifestanti: "Abbiamo battuto il regime" 70 – Cenatinaia di migliaia di persone festeggiano a piazza Tahrir, l'annuncio delle dimissioni di Hosni Mubarak. Dalla piazza si leva il coro ''il popolo ha abbattuto il regime!'' 17:09 Dimissioni Mubarak, boato della piazza 69 – La piazza Tahir ha accolto con un immenso boato l'annuncio di pochi minuti fa del vice presidente Omar Suleiman delle dimissioni da presidente egiziano Hosni Mubarak. 17:01 Mubarak si è dimesso, pieno potere a esercito 68 – Mubarak si è dimesso, pieno potere a esercito. Il vicepresidente egiziano Omar Suleiman ha annunciato in televisione che il presidente ha rinunciato al suo mandato presidenziale e ha incaricato le forze armate di gestire gli affari dello stato 16:49 Il segretario generale del Pnd, Hossam Badrawi, si è dimesso 67 – Il segretario generale del Pnd (Partito nazionale democratico, al potere), Hossam Badrawi, si è dimesso. Lo hanno detto fonti del Pnd alla tv privata al Hayat. Badrawi era stato nominato solo pochi giorni fa. 16:40 Capo di stato maggiore dell'esercito nel palazzo della televisione di Stato 66 – Il capo di stato maggiore dell'esercito, il generale Sami Anan, è stato visto entrare da circa mezz'ora nel palazzo della televisione di Stato. Ai manifestanti avrebbe detto: "Dirò qualcosa che vi plachera'". Lo riferiscono siti internet egiziani e testimoni oculari. 16:40 Vicino a dimissioni segretario generale del Pnd 65 – Il segretario generale del Pnd (Partito nazionale democratico) al potere sta per dimettersi. Lo riferiscono fonti vicine al partito. 16:33 Usa: "Mubarak a Sharm, primo passo positivo" 64 – Il trasferimento di Hosni Mubarak a Sharm el-Sheikh è "un primo passo positivo". È il commento di una fonte ufficiale americana dietro garanzia di anonimato 16:31 El- Arish, scontri tra polizia e manifestanti 63 – È caos nella città egiziana di el-Arish, nel Sinai, dove alcuni testimoni riferiscono di scontri a fuoco tra manifestanti anti-Mubarak e polizia. Si conterebbero diversi feriti. L'agenzia Xinhua aggiunge che i manifestanti hanno anche dato alle fiamme una stazione di polizia e almeno due veicoli degli agenti, che hanno risposto con i lacrimogeni. 16:25 Sito governativo: "Per Mubarak possibile espatrio all'estero" 62 – Per un sito governativo è possibile l'espatrio all'estero per Mubarak 16:24 Al-Arabya: "Il comunicato annuncerà passaggio di potere a esercito" 61 – ''Il comunicato della presidenza egiziana che la tv di stato trasmetterà a breve annuncerà il passaggio di poteri dal presidente Hosni Mubarak ai vertici dell'esercito''. È quanto ha annunciato una fonte militare alla tv 'al-Arabiya'. ''Il comunicato - ha detto la fonte - annuncerà l'inizio di una fase di transizione politica''. 16:20 Scontri con la polizia a Rafah, un morto 60 – Un manifestante è morto e venti sono rimasti feriti in uno scontro a fuoco con la polizia durante l'assalto ad una stazione di polizia a Rafah. Lo riferiscono fonti locali, indicando che il bilancio delle vittime potrebbe aggravarsi. 16:11 Al Jazeera: "In migliaia attaccano sede polizia nord del Sinai" 59 – La televisione araba al Jazeera riferisce, citando fonti di polizia, che almeno un migliaio di persone hanno attaccato una caserma della polizia nel nord del Sinai, in localita' el Arish. L'informazione passa in sovraimpressione sullo schermo che manda in onda immagini dei manifestanti al Cairo e ad Alessandria d'Egitto. Secondo l'emittente, vi sono stati scambi di colpi d'arma da fuoco tra poliziotti e manifestanti che, apparentemente, intendevano liberare alcuni detenuti. Vi sarebbero diversi feriti, alcuni veicoli sarebbero stati incendiati. 16:07 Tre elicotteri atterrano nell'area intorno al palazzo presidenziale 58 – Tre elicotteri sono stati visti toccare terra nell'area intorno al palazzo presidenziale del Cairo. È quanto riferisce la tv araba 'al-Jazeera'. Il palazzo Qasr al-Uruba si trova nella zona orientale della capitale e da questa mattina è circondato da migliaia di manifestanti. 15:55 Domani manifestazione di solidarietà a Parigi 57 – Giornata di solidarietà e d'indignazione per l'Egitto, domani a Parigi, sul Parvis des droits de l'homme, di fronte alla Torre Eiffel. L'evento, organizzato dalla sezione francese dell'ong Amnesty International, si terrà in contemporanea ad altre 30 città e 12 Paesi, spiega un comunicato. ''Questa giornata mondiale - ha detto Genevieve Garrigos, presidente di Amnesty international France - è organizzata per testimoniare la nostra solidarietà al popolo egiziano e a coloro che nella regione difendono i diritti umani. Come loro noi chiediamo che le autorita' mettano fine alla repressione e intraprendano riforme serie in materia di diritti umani''. 15:53 Assedio ai palazzi del potere 56 – La folla ha circondato sia il palazzo della radiotelevisione pubblica sia edifici ministeriali pubblici, gridando alle dimissioni di Mubarak 15:50 Elicotteri su palazzo presidenziale 55 – In vista del comunicato tv, elicotteri militari stanno convergendo verso il palazzo della presidenza al Cairo 15:39 "Presto nuovo comunicato presidenza" 54 – La televisione di stato egiziana riferisce che presto sarà diffuso un "importante" comunicato della presidenza. 14:53 Pnd conferma: "Mubarak è a Sharm-el-Sheikh" 53 – Anche il partito di Mubarak, il Pnd, ha confermato che il presidente egiziano è a Sharm-el-Sheikh. 14:51 Ben Eliezer: "Mubarak cerca via d'uscita onorevole" 52 – Hosni Mubarak starebbe cercando "una via d'uscita onorevole": lo ha affermato il deputato israeliano Binyamin Ben Eliezer, considerato il dirigente dello Stato ebraico più vicino al rais. "Sa di essere arrivato al capolinea", ha dichiarato Ben Eliezer spiegando di aver avuto un colloquio telefonico con Mubarak poco prima del discorso televisivo nel quale il rais ha rifiutato ieri sera di dimettersi. 14:45 Mubarak potrebbe andare ad Abu Dhabi 51 – Mubarak potrebbe andare ad Abu Dhabi, secondo il sito Localnews degli Emirati Arabi Uniti, che cita fonti che hanno chiesto l'anonimato. La presenza del presidente egiziano si spiegherebbe, secondo il sito, con le manovre marine congiunte (tra Egitto ed EAU) iniziate martedì. 14:43 Fratelli Musulmani: "Prosegua la mobilitazione" 50 – I Fratelli Musulmani hanno lanciato un appello ai connazionali affinché continuino a mobilitarsi e a scendere nelle strade per costringere a lasciare il potere il presidente Hosni Mubarak, il cui discorso di ieri sera in diretta televisiva è stato liquidato come un mero trucco dalla maggiore forza di opposizione in Egitto. 14:35 Consiglio supremo delle forze armate egiziane emetterà terzo comunicato 49 – Il Consiglio supremo delle forze armate egiziane emetterà un terzo comunicato nel corso della giornata di oggi. Lo afferma l'emittente araba al Jazeera. Nel precedente comunicato, reso pubblico questa mattina - il comunicato numero uno risale a ieri sera - l'esercito si è fatto garante delle promesse fatte alla vigilia dal presidente egiziano Hosni Mubarak. 14:34 Il Governo: "Mubarak ha lasciato Il Cairo 48 – Il presidente Hosni Mubarak ha lasciato il Cairo insieme alla famiglia: lo hanno reso noto fonti vicine al governo egiziano. Le fonti non hanno specificato la destinazione del rais, ma secondo alcune reti satellitari arabe Mubarak sarebbe arrivato a Sharm-el-Sheikh. 13:58 Ridda di voci su "fuga di Mubarak" 47 – Continuano a rincorrersi voci e smentite sulla partenza del presidente Hosni Mubarak dal Cairo. Secondo la Bbc in arabo, il rais avrebbe lasciato il paese alle 13 ora locale (le 12 in Italia). Poco prima anche al-Arabiya riferiva di "voci" su una fuga all'estero di Mubarak e dalla sua famiglia dall'aeroporto militare al-Madha della capitale. Ma poco dopo la tv ha corretto il tiro, parlando di una partenza dal Cairo, non dal paese. Altre tv, come l'israeliana Channel10, lo danno in viaggio verso Sharm el-Sheikh. Sulla vicenda non c'è per ora alcuna conferma o smentita ufficiale. 13:54 Mubarak denunciato al tribunale dell'Aja 46 – Un gruppo di cittadini egiziani ha presentato oggi una denuncia contro Honsi Mubarak al Tribunale penale internazionale dell'Aja. Il gruppo di egiziani, che non intende rivelare la propria identità per motivi di sicurezza, ha anche chiesto al tribunale delle Nazioni Unite di avviare un'inchiesta per crimini contro l'umanità e repressione violenta della rivolta popolare in Egitto nei confronti di altri membri del governo egiziano, tra i quali il vice presidente Omar Suleiman e l'ex ministro dell'Interno Habib al Adli. 13:47 "Molto presto" un nuovo comunicato dei militari 45 – Il generale a riposo e analista militare Talaat Musallam ha anticipato per "molto presto" un nuovo comunicato dei vertici delle forze armate egiziane che, ha precisato, "andrà incontro alle richieste del popolo". 13:42 Ghonim: "Siamo tutti pronti a morire" 44 – "Basta con lo studiare la situazione perchè è ormai fuori del nostro controllo. Nessuno è in grado di chiedere ai manifestanti di tornare a casa. Siamo tutti pronti a morire". Lo ha quasi gridato ai microfoni della tv satellitare Al Arabiya, Wael Ghonim, dirigente di Google per il Medio Oriente e uno dei simboli della protesta popolare in corso in Egitto 13:32 El Baradei: "L'esercito venga dalla nostra parte" 43 – "Continuiamo a sperare che l'esercito venga dalla nostra parte". Lo ha scritto su Twitter il premio Nobel Mohammed El Baradei, leader dell'opposizione egiziana. "Tutta la nazione è per strada - ha scritto ancora - Per il regime il solo modo per venirne fuori è dimettersi. Il potere del popolo non può essere schiacciato, avremo la meglio". 13:31 Bloccata la strada per l'aeroporto 42 – I manifestanti hanno bloccato anche la strada che dal Cairo porta all'aeroporto 13:27 I manifestanti assediano il palazzo della Tv di Stato 41 – Finite le preghiere del venerdì al Cairo come in vari altri centri del paese si stanno tenendo dure manifestazioni contro il presidente mubarak. Al Cairo, l'esercito sta bloccando le strade che portano al palazzo presidenziale e presidia l'edificio della tv di stato, di fatto assediato assediato da ore dai manifestanti. 13:22 Al Arabiya corregge: "Mubarak ha lasciato il Cairo" 40 – Secondo l'emittente, Mubarak non avrebbe lasciato l'Egitto, come precedentemente detto, ma solo Il Cairo per una destinazione sconosciuta. 13:07 Al Arabiya: "Mubarak ha lasciato l'Egitto" 39 – Hosni Mubarak ha lasciato l'Egitto per una destinazione sconosciuta. Lo riferisce Al Arabiya. Non ci sono conferme ufficiali al momento. 13:01 Merkel: "Offerta di Mubarak non è sufficiente" 38 – La fine dello stato d'emergenza annunciato oggi dai militari egiziani è uno sviluppo molto positivo, ma l'offerta presentata ieri da Honsi Mubarak ''non è sufficiente''. È questo il commento di Angela Merkel agli ultimi eventi in Egitto, secondo quanto spiegato dal portavoce del governo tedesco. 13:01 Manifestanti circondano sede televisione di Stato 37 – Migliaia di manifestanti hanno circondato la sede della televisione di Stato sul lungo Nilo al centro del Cairo. La sede della televisione è stata teatro di violenti scontri nella prima giornata di protesta il 25 gennaio 12:58 Fratelli Musulmani:"Situazione gestita da Usa e Israele" 36 – ''Il comunicato dell'esercito conferma che la situazione è gestita da Stati Uniti e Israele''. Lo ha detto all'ANSA un ex deputato della confraternita dei Fratelli Musulmani, Mohamed Ashmad, intervistato in piazza TYahrir, circondato da persone che continuano a scandire slogan antiregime.''Noi speriamo che l'esercito sia vicino al popolo - ha proseguito Ashmad - ma ora e' diviso: i soldati nelle strade sono con il popolo, ma i leader nei palazzi sono con il regime, e questo è molto pericoloso. Ogni debolezza dell'esercito favorisce Stati Uniti ed Israele''. 12:50 Suleiman ordinato al primo ministro Ahmed Shafiq di nominare vice premier 35 – Il vicepresidente egiziano Omar Suleiman ha ordinato al primo ministro Ahmed Shafiq di nominare un altro vice premier, da scegliersi tra i membri di un consiglio di saggi con il quale le autorità del Cairo si sono consultate negli ultimi giorni per cercare una soluzione alla gravissima crisi politica. Lo ha riferito l'agenzia di stampa ufficiale 'Mena', secondo cui il nuovo vice primo ministro avrà la responsabilità di mantenere il ''dialogo nazionale'' con le forze di opposizione e le principali figure indipendenti. In pratica si tratterà di rilevare lo stesso Suleiman, a cui Hosni Mubarak ha ceduto parte dei propri poteri e che per primo aveva aperto i contatti con le forze esterne all'apparato, concludendo tale fase domenica scorsa. 12:31 Berlino: "Delusione per mancate dimissioni Mubarak" 34 – Il capo della diplomazia tedesca, Guido Westerwelle, reagisce con delusione alle mancate dimissioni di Hosni Mubarak. ''I funzionari egiziani devono prendere atto di una volontà del paese ad avviare una transizione democratica senza il presidente Mubarak'', ha dichiarato Westerwelle, il quale si dice ''preoccupato'' dopo il discorso del rais alla nazione, trasmesso in diretta ieri sera dalla televisione di stato. 12:29 Manifestanti invitano popolazione a partecipazione di massa 33 – Nel 18mo giorno consecutivo di proteste in Egitto per ottenere le dimissioni del capo di stato, i manifestanti hanno invitato la popolazione a scendere in piazza in massa e in tutti gli angoli del Paese. 12:19 Dimostranti prendono controllo palazzi del governo 32 – I dimostranti hanno preso il controllo di alcuni edifici governativi a Suez, 130 chilometri a est del Cairo. Lo riferiscono testimoni citati dalla tv Al Arabiya. Non è stato precisato di quali edifici i manifestanti avrebbero preso il controllo. 12:16 A migliaia verso palazzo del presidente 31 – Stanno affluendo a migliaia i manifestanti al palazzo presidenziale di Heliopolis, in Egitto. Lo riferiscono fonti sul posto, secondo le quali i manifestanti sono gi circa 8 mila. In mattinata si erano diffuse voci, riportate dalla televisione satellitare al Arabiya, secondo cui Mubarak sarebbe a Sharm El Sheikh da stamattina. 12:14 Tre militari si uniscono a manifestanti 30 – Tre ufficiali dell'esercito egiziano hanno deposto le armi e lasciato le loro uniformi, unendosi ai manifestanti e chiedendo l'immediato rovesciamento del governo presieduto da Mubarak. Lo riferiscono alcuni testimoni presenti sul posto. 12:13 Manifestanti furiosi dopo annuncio esercito 29 – I manifestanti egiziani hanno reagito con rabbia al comunicato diffuso dall'esercito, nel quale il Consiglio Supremo di Difesa si porta garante delle promesse di Hosni Mubarak e sostiene le riforme annunciate dal presidente egiziano. 12:11 Frattini: "Speriamo in transizione rapida e ordinata" 28 – "Il futuro dell' Egitto lo decideranno gli egiziani. A noi preme che la transizione sia rapida e ordinata e che non ci sia il caos". Lo ha detto a Trieste il ministro degli Esteri, Franco Frattini. Il ministro, che da domenica sera sarà in Giordania e in Siria, ha spiegato che "seguirà in modo ravvicinato" l'evoluzione. "Sono in contatto con il vicepresidente Suleiman e con il capo della lega araba; mi sono consultato con la signora Clinton negli ultimi due giorni. Credo che il problema egiziano siano rispondere a delle esigenze che sono legittime del popolo ma bisogna evitare di cadere nelle trappola dell' islamismo radicale". Al riguardo il ministro Frattini ha citato l'Iran. "Avete visto l'enfasi data da Teheran - ha detto Frattini ai cronisti - di una dominanza islamista sull'Egitto. Questo conferma le nostre preoccupazioni". 12:00 Senato riceve da Mubarak richiesta modifica Costituzione 27 – Il consiglio consultivo, equivalente del Senato, ha ricevuto la richiesta del presidente egiziano Hosni Mubarak di emendare alcuni articoli della Costituzione. Ne dà notizia l'agenzia Mena. 11:48 Ghonim: "Comunicato esercito passo positivo" 26 – Il comunicato n.2 delle Forze Armate diffuso stamane "è un passo positivo sulla buona strada". Lo ha detto ai microfoni dell tv satellitare Al Arabiya Wael Ghonim, manager di Google per il Medio Oriente, rimesso tre giorni fa in libertà dopo una detenzione di 12 giorni e considerato uno dei simboli della rivolta di piazza Tahrir. 11:34 Telefonata Gheddafi-Mubarak 25 – Il presidente libico, Muammar Gheddafi, ha chiamato ieri notte il presidente egiziano, Hosni Mubarak, per discutere dell'evolversi della situazione in Egitto dopo il discorso del rais. 11:25 Comunicato esercito contemporaneo a preghiera 24 – Il comunicato n.2 delle Forze Armate egiziane è stato diffuso dalla tv mentre cominciava la preghiera nelle moschee ed anche in piazza Tahrir. 11:14 Mohamed ElBaradei: "L'Egitto è come il Titanic" 23 – L'Egitto è "come il Titanic" e "i topi stanno abbandonando la nave che affonda". Ad affermarlo è uno dei leader dell'opposizione laica, Mohamed ElBaradei. "Credo che all'interno del regime regni il caos totale", ha sottolineato l'ex capo dell'Aiea in un'intervista al quotidiano austriaco Die Presse. 11:07 Esercito: "Si torni alla vita normale" 22 – L'Esercito egiziano fa appello perchè "si torni a una vita normale": così il comunicato n.2 del consiglio supremo delle Forze armate. Invitiamo "le persone nobili che hanno condannato la corruzione e chiedono le riforme", "a tornare a una vita normale", recita il comunicato. 11:00 Esercito: "Revocato stato di emergenza" 21 – "Lo stato di emergenza sarà revocato e si terranno elezioni libere e indipendenti": lo ha annunciato il Consiglio supremo delle forze armate egiziane nel suo "comunicato numero due". 10:37 Esercito "saremo garanti" 20 – Il Consiglio supremo delle Forze Armate egiziane garantirà "il pacifico passaggio dei poteri" ed "elezioni libere" nel Paese. Lo sottolinea il comunicato n.2 dei militari dopo una riunione del Consiglio. 10:04 Attesa per il messaggio dell'esercito 19 – Piazza Tharir è ancora brulicante di manifestanti. Nella grande piazza è atteso un importante messaggio dell'esercito, arbitro sempre più enigmatico e elusivo di questa fase politica. 09:55 Scontri a Rafah 18 – Scontri si sono registrati nella notte tra agenti delle forze di sicurezza egiziane e uomini armati a Rafah, al confine tra l'Egitto e la Striscia di Gaza. Lo riferisce l'agenzia di stampa 'Dpa', che cita alcuni testimoni. 09:53 Manifestanti bloccano la sede della tv di Stato 17 – Secondo l'emittente 'al-Jazeera', dalla scorsa notte i manifestanti impediscono anche ai giornalisti che si trovano all'interno della sede della tv di Stato egiziana di lasciare l'edificio. 09:28 Ministro Finanze: "Il golpe un incubo" 16 – Un eventuale colpo di stato militare in Egitto, come fa temere la "seduta permanente" in cui è stato convocato oggi al Cairo il Consiglio Supremo delle Forze Armate, sarebbe un disastro "per tutti", un "incubo" per "i giovani" e per "l'economia" del Paese nord-africano: lo ha dichiarato il ministro delle Finanze egiziano, Samir Radwan 09:16 Ahmadinejad: "Verso Mo senza Israele e Usa" 15 – "Le potenze arroganti sono alla fine del loro cammino" e "con l'aiuto di Dio, si va verso un Medio Oriente senza il regime sionista (Israele, ndr) e senza gli Usa". Lo ha detto oggi il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad in merito alle rivolte in Egitto e altri Paesi arabi. 09:07 15 ufficiali aderiscono alla protesta 14 – Un ufficiale dell'esercito egiziano che si è unito alla protesta dei dimostranti anti-governativi ha riferito che altri 15 ufficiali hanno aderito al movimento anti-Mubarak. 09:05 Manifestanti sotto il palazzo presidenziale 13 – Circa un migliaio di manifestanti, secondo la televisione di Stato, e tremila secondo Al Jazira, si sono recati al palazzo presidenziale a Heliopolis in nottata, dopo il discorso di Hosni Mubarak. L'esercito ha circondato il palazzo con filo spinato, per tenere a distanza i manifestanti ma non è intervenuto, tentando di convincerli di ritornare a piazza Tahrir anche mettendo a disposizione dei pulmini. 08:55 Consiglio supremo forze armate in "seduta permanente" 12 – Non si è ancora chiusa la riunione del Consiglio Supremo delle Forze Armate egiziane, indetta in mattinata dal ministro della Difesa e vice premier, maresciallo Mohammed Hussein Tantawi: lo hanno riferito fonti militari riservate, secondo cui i generali membri del Consiglio stesso sono "in seduta permanente". Le fonti hanno confermato inoltre l'imminente diffusione di un non meglio specificato "importante comunicato". Sarebbe il secondo in meno di 24 ore, dopo il 'comunicato numero uno' diramato ieri dai vertici delle stesse Forze Armate, nel quale si affermava che "a sostegno delle legittime richieste del popolo" sarebbero stati "adottati provvedimenti per proteggere la Nazione". Si era anche pensato a un colpo di stato in arrivo, ipotesi poi dissoltasi quando il presidente HJosni Mubarak era apparso in televisione per annunciare che, contrariamente alle previsioni, non si sarebbe dimesso e si sarebbe invece limitato a trasmettere i propri poteri al neo-vice, generale Omar Suleiman, già capo dei servizi segreti. La piazza ha reagito con rabbia alla mossa del Rais, chiedendo all'Esercito di intervenire e convocando per oggi le proteste più massicce dall'inizio della crisi, il 25 gennaio scorso. 08:29 In settemila davanti al palazzo presidenziale 11 – Circa settemila manifestanti sono arrivati questa mattina davanti al palazzo presidenziale, noto come Qasr al-Uruba, del Cairo, per manifestare e chiedere le dimissioni del presidente Hosni Mubarak. Si tratta, secondo la tv araba 'al-Jazeera', di manifestanti che si sono staccati dal sit-in di piazza Tahrir. Altre diecimila persone, invece, assediano da ieri sera la sede della tv di Stato del Cairo. 07:59 Mancate dimissioni fanno rialzare i prezzi del greggio in Asia 10 – Le mancate dimissioni di Mubarak in Egitto, che hanno accresciuto la rabbia dei manifestanti, hanno spinto decisamente al rialzo i prezzi del greggio sui mercati asiatici. Il Wti consegna marzo è così salito di 83 cents a 87,56 dollari a barile e il brent del mare del nord, stessa scadenza, ha valicato quota 101, portandosi in progresso di 69 cents a 101,56 dollari. 07:57 Usa, Gates chiama il ministro della difesa egiziano 9 – Il segretario alla Difesa americano, Robert Gates, ha avuto una conversazione telefonica con il pari grado egiziano, maresciallo Mohammed Hussein Tantawi, che l'amministrazione Usa considera in prospettiva una figura-chiave per un futuro governo che succeda a quello dell'attuale presidente, Hosni Mubarak. Lo ha reso noto il portavoce del Pentagono, Geoff Morrell, precisando che si è trattato della "quinta telefonata" tra Gates e Tantawi "dall'inizio dell'attuale situazione in Egitto". Il portavoce ha concluso affermando di "non avere altri dettagli da fornire". Nel Paese nord-africano, dopo il rifiuto di Mubarak di dimettersi e la semplice trasmissione dei poteri presidenziali al vice Omar Suleiman, la piazza appare sempre più furibonda, e gli stessi vertici delle Forze Armate si preparano, secondo l'emittente televisiva 'al-Arabiya', a diramare "a breve" un "importante comunicato". 07:57 Al arabiya: a breve "importante" comunicato dell'esercito 8 – I vertici delle Forze Armate egiziane si apprestano "a breve termine" a diramare un "importante comunicato": lo ha anticipato 'al-Arabiya', emittente televisiva pan-araba con sede a Dubai. La televisione satellitare non ha fornito alcun dettaglio su quanto potranno annunciare i militari del Cairo, dopo che il presidente Hosni Mubarak non si è voluto dimettere ma, al contrario, si è limitato a cedere i poteri al proprio vice, Omar Suleiman, già capo dei servizi segreti. 07:08 L'Onu: spetta al popolo decidere del proprio futuro 7 – Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha rinnovato l'appello per una "transizione trasparente, ordinata e pacifica" in Egitto, in grado di "soddisfare le legittime aspirazioni del popolo", e ha sottolineato come spetti quest'ultimo "decidere il proprio futuro". Questa le reazione dopo l'atteso discorso del presidente egiziano Hosni Mubarak, dal quale si attendevano immediate dimissioni e che si è invece limitato a cedere i suoi poteri al vice, Omar Suleiman. In un comunicato Ban precisa che la "transizione" deve comprendere "elezioni libere, regolari e credibili", il "pieno rispetto dei diritti umani" nonchè un "dialogo autentico e omnicomprensivo, aperto a tutte le parti in causa". L'Onu, conclude Ban nella nota, oltre a "seguire scrupolosamente lo sviluppo degli eventi" nel Paese nord-africano, è "pronta a offrire assistenza" per agevolare il cambiamento. 07:08 Obama: non risponderte al popolo con repressione o brutalità 6 – "E’ imperativo che il governo non risponda alle aspirazioni del suo popolo con la repressione o la brutalità": in questo passaggio si coglie il timore di Washington per quello che potrebbe accadere fin dalle prossime ore. "In queste ore difficili – conclude Obama – io so che il popolo egiziano terrà duro, e loro devono sapere che l’America sarà la loro amica". 07:07 Obama: Mubarak non ha risolto nulla 5 – Sul discorso di Mubarak di ieri sera il giudizio è chiaro: non ha risolto nulla, dunque "il governo egiziano deve agire rapidamente per spiegare che cosa è cambiato, per esporre senza ambiguità i prossimi passaggi verso la democrazia". 07:06 Obama: abolire leggi di emergenza, dialogo con opposizioni 4 – Tra i gesti che Obama considera essenziali e urgenti, elenca questi: abolire le leggi d’emergenza (quelle che consentono gli arresti degli oppositori, la censura, ecc.), l’avvio di un dialogo con tutte le opposizioni, il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini, la riforma della Costituzione e un calendario preciso per elezioni libere. 07:05 Obaba: il governo egiziano parli chiaro 3 – Dopo la brutta sorpresa delle non-dimissioni di Mubarak, Obama si è chiuso per tutta la sera a consulto con i suoi esperti della sicurezza. Al termine ne è uscita una risposta dura: un comunicato del presidente degli Stati Uniti dove traspare tutta la sua delusione e un indurimento della posizione verso il dittatore. "Al popolo egiziano – esordisce Obama – è stato detto che c’è un passaggio di autorità, ma non è ancora chiaro che questa transizione sia immediata, significativa o sufficiente. Troppi egiziani dubitano che il governo faccia sul serio per quanto riguarda la transizione alla democrazia. Tocca al governo parlare chiaramente al popolo egiziano e al mondo: deve presentare un percorso credibile, concreto e senza ambiguità che porti a una democrazia autentica. Finora non ha colto questa opportunità". 07:03 El Baradei all'esercito: salvate il paese 2 – L'ex direttore dell'Aiea Mohammed El Baradei ha ammonito ieri sera su Twitter che l'Egitto sta per "esplodere" ed ha chiesto alle forze armate di "salvare il paese". In un messaggio messo online attraverso il sito di microblogging poco dopo il discorso in cui il presidente Hosni Mubarak ha annunciato che non intende dimettersi pur promettendo di cedere alcuni poteri al suo vice Omar Suleiman, El Baradei ha sollecitato la mobilitazione dell'esercito. 07:00 A Rafah attacco contro caserma delle forze di sicurezza 1 – Una caserma delle forze di sicurezza egiziane è stata attaccata in nottata da uomini armati nella cittadina di Rafah, al confine con la Striscia di Gaza. Lo riferisce la BBC online citando testimoni oculari. Non si hanno notizie di vittime. L'attacco sarebbe opera di elementi di locali tribù beduine, secondo quanto afferma la BBC. (11 febbraio 2011)
2011-02-10 LA RIVOLTA Egitto, Mubarak verso le dimissioni Esercito: "Proteggiamo la nazione" Il presidente potrebbe lasciare nelle prossime ore. Il segretario generale del partito egiziano di governo NDP, Hossan Badrawi, "spera" che trasferisca il potere al vicepresidente Omar Suleiman. Il Consiglio superiore delle forze armate egiziane è riunito per "esaminare la situazione" Egitto, Mubarak verso le dimissioni Esercito: "Proteggiamo la nazione" IL CAIRO - Il presidente egiziano Hosni Mubarak potrebbe dimettersi nelle prossime ore. Lo dice il primo ministro egiziano Shafiq in un'intervista alla Bbc. Contemporaneamente il segretario generale del partito egiziano di governo NDP, Hossan Badrawi, "spera" che Mubarak trasferisca il potere al vicepresidente Omar Suleiman. Addirittura secondo l'emittente tv al Jazira Mubarak avrebbe lasciato il Paese per una destinazione imprecisata. Un'accelerazione che sembra confermata dalle parole di un alto ufficiale dell'esercito egiziano che ha annunciato con il megafono alla piazza Tharir "buone notizie per stasera" e che le richieste dei manifestanti saranno soddisfatte. Non a caso il Consiglio superiore delle forze armate egiziane è riunito per "esaminare la situazione" (Mubarak era assente) e le forze armate egiziane hanno annunciato in un comunicato di aver "avviato le misure necessarie per proteggere la nazione e sostenere le legittime richieste del popolo". Ad avvalorare l'ipotesi di un passo indietro di Mubarak è anche Al Hurra, la tv americana in lingua araba secondo cui il Rais sarebbe pronto a cedere tutti i suoi poteri a un comitato militare. (10 febbraio 2011)
EGITTO Tre morti negli scontri nel sud Al Qaeda: "Fate la guerra santa" Violenze tra manifestanti e polizia. Il vice presidente egiziano Omar Suleiman: "Evasi militanti della rete di Bin Laden". L'allarme mentre su un forum jihadista è apparso un comunicato che invita l'opposizione alla lotta per la fondazione di uno "stato islamico" Tre morti negli scontri nel sud Al Qaeda: "Fate la guerra santa" Il vice presidente egiziano Omar Suleiman IL CAIRO - Il vicepresidente egiziano Omar Suleiman ha lanciato l'allarme: tra i detenuti evasi nelle scorse settimane durante la protesta antigovernativa, ci sono alcuni militanti islamici legati a Al Qaeda. Una notizia che coincide con la comparsa su un forum jihadista di un comunicato con cui Al Qaeda in Iraq invita i manifestanti al "jihad contro il tiranno egiziano e i suoi padroni di Washington e Tel Aviv", per la fondazione in Egitto di uno "stato islamico". Tutto questo mentre migliaia di persone continuano a presidiare piazza Tahrir, cuore della rivolta contro il regime di Hosni Mubarak. Il comunicato del gruppo terrorista, uscito su un forum jihadista e individuato dal centro Usa di monitoraggio dei siti di Al Qaeda, è datato 8 febbraio e avverte i manifestanti che "il mercato del jihad" in Egitto è aperto, così come "le porte del martirio". Nel messaggio si invitano gli egiziani a dare il via a una guerra santa, puntando alla creazione di uno stato islamico. Si tratta della prima presa di posizione di Al Qaeda sulle proteste egiziane, il gruppo invita a evitare le laicità e la democrazia "ignoranti e fuorvianti" e il "marcio nazionalismo pagano". Gli autori del messaggio chiedono quindi di iniziare un "jihad" a beneficio degli egiziani, dei palestinesi e di "tutti i musulmani che conoscono l'oppressione del tiranno d'Egitto e dei suoi padroni di Washington e Tel Aviv". Suleiman ha detto che tra gli evasi ci sono "membri di organizzazioni jihadiste" che non hanno "rinunciato alla propria ideologia e non hanno deciso di rinunciare alle violenze". L'evasione di queste persone "rappresenta una grave minaccia - ha aggiunto secondo quanto riferito dall'agenzia ufficiale Mena - dobbiamo fare di tutto per riportarli in galera". I servizi segreti egiziani, che erano guidati proprio da Suleiman fino alla sua nomina alla vicepresidenza a gennaio, avevano sempre dedicato molti sforzi alla richiesta di estradizione in Egitto di militanti all'estero "legati a leadership straniere, in particolare Al Qaeda". Nei giorni scorsi era poi trapelato che tra gli evasi nelle rivolte in carcere ci sono anche circa venti membri di una cellula locale di Hezbollah, già fuggiti in Libano o a Gaza. Intanto a favore del presidente Mubarak si sono mossi Israele, Arabia Saudita, Giordania ed Emirati Arabi chiedendo ripetutamente agli Stati Uniti di non abbandonarlo al suo destino perché un taglio netto delle relazioni con il capo dello Stato egiziano e un sostegno aperto ai movimenti di opposizione potrebbe ulteriormente destabilizzare tutta la regione mediorientale. Un diplomatico locale, riferisce il New York Times, ha confermato di avere passato 12 ore al telefono, a questo scopo, con funzionari americani. Ma la piazza non smobilita (FOTO 1). Da due giorni in una città in un'oasi del su dell'Egitto - second quanto riportano testimoni oculari alla France Presse, manifestanti e polizia si affrontano in violenti scontri. Il bilancio sarebbe già di 3 morti e centinaia di feriti. Le aperture del regime sono ancora insufficienti per molti 2. E migliaia di manifestanti anti-Mubarak hanno trascorso la notte accampati nella "tendopoli" che ha occupato tutti i prati e le aiuole della gigantesca piazza Tahrir al Cairo e attorno ai carri armati dell'esercito. Dopo le grandi manifestazioni di ieri 3, che si sono estese in diverse città, stamani, nel sedicesimo giorno della "Rivoluzione sul Nilo", piazza Tahrir è tranquilla. "Non siate stanchi, non siate stanchi. La libertà non è stata ancora liberata", scandiva un manifestante con l'altoparlante mentre la popolazione di oppositori "accampati" si svegliava. Come le notti precedenti, diversi dimostranti hanno scelto di dormire intorno o addirittura sui cingoli dei tank, nel timore che l'esercito cerchi di sgomberare la piazza con la forza. "L'esercito vuole spingerci più al centro della piazza (Tahrir). Vuole che ce ne andiamo. E' per questo che noi dormiamo qui. Noi amiamo i soldati e ci fidiamo di loro, ma non ci fidiamo affatto di coloro che li comandano", dice Essam, avvocato 35enne, che ha trascorso la notte accanto a un carro armato. "Non vogliamo né uno stato militare né uno stato religioso. Ciò che vogliamo è uno stato basato su istituzioni ed elezioni - spiega - Non ci possono essere negoziati fintanto che Mubarak resterà al suo posto". (09 febbraio 2011)
IL REPORTAGE Haiti, le fatiche della ricostruzione E la gente si sente esclusa dal progetto La corruzione, le montagne di rifiuti che nessun progetto delle Ong presenti, prevede di raccogliere. E poi le colline di bottiglie di plastica, il colera, un milione di persone nelle tendopoli, molte delle quali aspirano ad una casa che non hanno mai avuto. I progetti concreti di Terre des Hommes di CARLO CIAVONI PORT AU PRINCE - La prima grande difficoltà appena si torna da Haiti non è tanto quella di mettere ordine alle cose da raccontare, quanto il fatto di affrontare la cosiddetta "maledizione del cronista", quella sensazione cioè che si prova quando si avverte il bisogno di provare a dare profondità storica a ciò che si vede, cercando legami con un passato, come in questo caso coloniale e dittatoriale, ma di fronte al quale gli haitiani hanno saputo dare un'orgogliosa risposta, liberandosi - primi fra tutti i popoli d'origine africana - ben 200 anni fa. Dare un senso alle cose. La "scena fredda" del post terremoto 1 nella capitale mette subito alla prova, nel momento in cui si tenta, banalmente, di individuare le vere ragioni e dare così un senso alla corruzione, che scorre in tutti i livelli della pubblica amministrazione, alle montagne di rifiuti, che nessuno raccoglie, ma soprattutto che nessun progetto delle circa 12 mila Ong presenti, prevede di raccogliere. Di dare un senso poi alle inverosimili colline di bottiglie di plastica, alle quali viene dato fuoco, col risultato di liberare diossina allo stato puro; un senso al colera 2che - dicono - essere al momento sotto controllo, ma destinato a riaffacciarsi con la stagione delle piogge "in programma" ad aprile. Ma dare un senso anche alle tendopoli, ancora dissemininate lungo le strade e le piazze dei sette municipi della capitale, dove vivono ancora un milione di persone, che però pare non siano tutte ex terremotate, ma gente che la casa non l'ha mai avuta e che è corsa in direzione di Porto au Prince dopo il terremoto, nella speranza di rientrare fra gli aventi diritto. Il "formicolìo" delle Ong. Haiti e il suo sisma, dunque, consegneranno alla storia, oltre che i 220 mila morti e le macerie ancora lì, come monumenti alla memoria, anche il più fantastico e chiassoso show della solidarietà mai organizzato prima. Protagoniste, le tante organizzazioni umanitarie, tra Ong, associazioni di volontari, agenzie delle Nazioni Unite, molte delle quali visibilmente incuranti del rischio di cronicizzare l'assistenza, che "formicolano" operose tra calcinacci e baraccopoli, scuole e ospedali in costruzione, in mezzo ai malati di colera o fra i bambini abbandonati, che si cerca disperatamente di sottrarre alle grinfie dell'"anonima-pedofili". Nelle stanze dove si decide. Così, mentre nelle stanze dove si decide la ricostruzione del Paese, a capotavola siedono sempre le stesse persone, quasi mai i rappresentanti di pubbliche autorità haitiane, il coordinamento complessivo tra le molte presenze sul campo non si è mostrato certo il punto di forza dell'intera operazione. Tuttavia c'è chi si distingue (e non sono pochi) nell'impiegare bene ed efficacemente le risorse raccolte per ricostruire e realizzare quello che aveva promesso. I progetti di Terre des Hommes. Luca Guerneri è il capo missione di Terre des Hommes 3 (TDH) che, grazie alle donazioni degli italiani, ha portato soccorso a circa 250 mila persone. Le organizzazioni di AGIRE 4 - il consorzio di Ong, di cui TDH fa parte - hanno utilizzato donazioni per 14,7 milioni di euro, distribuendo acqua e cibo, nelle ore immediatamente successive al terremoto, e poi allestendo rifugi temporanei per oltre 5.000 persone e 41 campi di accoglienza con latrine e punti acqua. Il progetto a Warf Jeremie. E' uno dei municipi della capitale nel quale TDH, in tre mesi, ha costruito una clinica, immediatamente adattata per l'accoglienza e l'idratazione delle persone colpite dal colera, non appena i casi in città cominciarono a moltiplicarsi. Oggi, la situazione sembra sotto controllo, sebbene l'epidemia è ancora ben lontana dall'essere debellata. Durante una riunione nella sede comunale di Cité Soleil, tra i municipi più poveri e violenti della capitale, il rappresentante di TDH spiega al giovane sindaco, Wilson Louis - che entrerà a far parte nella squadra di governo se Michel Martelly il candidato-cantante alla presidenza vincerò le elezioni - il nuovo progetto per il quale l'Ong ha ottenuto un finanziamento dall'Unione Europea. Il progetto di Cité Soleil. Qui si sta facendo la formazione di infermieri, ma soprattutto stanno arrivando 56 blocchi di latrine "comunitarie", perché nonostante il colera sia la preoccupazione di tutti, in questo municipio c'è mezzo milione di persone che espletai i bisogni corporali nei sacchetti di plastica. "Tra l'altro, si tratta di rendere di nuovo praticabili i canali di deflusso dell'acqua lungo un tratto di strada - dice Guerneri - che prevede soprattutto la raccolta dell'immondizia accumulata e che, nella prossima stagione delle piogge (aprile-maggio) impedirebbe il deflusso dell'acqua con il conseguente allagamento delle strade e dei vicini accampamenti di tende e di una nuova ondata epidemica del colera". "Purtroppo - confessa Guerneri - dobbiamo fare i conti con alcuni standard lavorativi che altre Ong hanno tollerato, ma che però rallentano i tempi di realizzazion e di conseguenza aumentano i costi." Il progetto a Croix de Bouquet. La raccomandazione al sindaco, dunque, è quella di scegliere mano d'opera efficiente e di rispettare gli orari di lavoro stabiliti. "Perché altrimenti - dice Guerneri di TDH - se falliamo l'obiettivo, sarà difficile ottenere nuovi finanziamenti per altri interventi". Discorsi del genere, il responsabile di TDH si trova costretto a farle un po' in tutti i cantieri già in piedi, a Croix de Bouquet, dove sta sorgendo una scuola con 14 aule, o a Première e Troisième Belle Fontane, due villaggi in zone impervie e difficilissime da raggiungere dove Terre Des Hommes ha progetti di prevenzione del colera. Haiti eslusa dalle decisioni. Ad Haiti, dunque, oggi occorre fare i conti anche con la rassegnazione di un popolo ancora stordito dalla tragedia che l'ha colpito, un colpo che s'è aggiunto ad un passato di povertà cronica e soprusi di regimi sanguinari. Ma la verità è un'altra. Quella che sembra rassegnazione, in realtà è un'altra cosa: è la sensazione che tutto lo sforzo leale di molte organizzazioni come TDH nella ricostruzione, conviva con la certezza degli haitiani di essere stati estromessi, ancora una volta, dalle decisioni importanti che riguardano i9l loro futuro. Lo sfogo dell'imprenditore. Lo conferma Mick Des Hommes, piccolo imprenditore edile e proprietario con sua moglie Ester di una scuola privata (ad Haiti solo il 20% sono pubbliche) che si sfoga: "Gli haitiani si sentono spettatori di questo processo di rinascita. Non siamo stati coinvolti nelle scelte. Il terremoto è stata una calamita che ha attirato tante persone per bene da tutto il mondo, ma purtroppo anche tanti faccendieri e approfittatori, più o meno camuffati da salvatori. Terre des Hommes - aggiunge - ci sta ricostruendo la scuola distrutta, qui a Croix de Bouquet, con un rapporto chiaro, trasparente e ben coordinato. Ma non mi risulta stia accadendo la stessa cosa in altri punti della città. Ci sono molti avvoltoi in giro, che si azzuffano attorno al tanto denaro piovuto dal cielo, finito per ora nelle tasche dei soliti". (09 febbraio 2011)
2011-02-06 Diretta Accordo tra Suleiman e opposizione Entro marzo un comitato per le riforme Accordo tra Suleiman e opposizione Entro marzo un comitato per le riforme Il vice-presidente Omar Suleiman La riunione tra il vice di Mubarak e i capi dei partiti di opposizione si è conclusa con la sottoscrizione di un documento che prevede l'applicazione delle promesse fatte dal capo di Stato nel suo ultimo video messaggio. E' prevista la fine dello stato d'emergenza e il perseguimento dei responsabili delle violenze dei giorni scorsi. Entro marzo sarà costituito un comitato per le riforme costituzionali. Nella sede del Consiglio dei ministri al Cairo c'erano due dirigenti dei Fratelli musulmani, Katatni e Mursi, il leader del partito liberale Wafd, Said al Badaw, quello del partito di sinistra Tagammu, Rifat Said, e il capo del Partito nazionale democratico al governo, Badrawi. Presenti rappresentanti democratici, intellettuali, politici indipendenti e il magnate Sawiris. I manifestanti sono stati chiamati a raccolta per la tredicesima giornata. Nella capitale egiziana segnali di un ritorno alla normalità FOTORACCONTO - DIRETTA VIDEO DALLA PIAZZA (Aggiornato alle 13:45 del 06 febbraio 2011) 13:45 Cairo, fugge a Gaza il leader di Hamas 33 – Ayman Noofal, comandante militare di Hamas, è riuscito a fuggire da una prigione egiziana durante la rivolta anti Mubarak ed è riparato a Gaza, dove ha ricevuto un'accoglienza da eroe. Noofal, ritenuto tra i responsabili del sequestro del soldato israelinao Shalit, è al centro delle trattative con Israele per un eventuale scambio di prigionieri. 13:43 '6 aprile': "Fermi su richiesta dimissioni Mubarak" 32 – Per "il momento restiamo fermi sulle nostre posizioni e non cessiamo la protesta senza le dimissioni del presidente Hosni Mubarak". E' con queste parole che il coordinatore del movimento giovanile di opposizione '6 aprile', Ahmed Maher, ha commentato alla tv araba Al Jazeera i risultati ottenuti nella riunione di oggi tra il vice presidente Omar Suleiman e le opposizioni. 13:42 Intesa anche su fine restrizioni di web e media 31 – Il vicepresidente egiziano Omar Suleiman e i rappresentanti delle opposizioni hanno raggiunto una intesa per porre fine delle restrizioni al web, ai media e più in generale alle comunicazioni imposte nelle ultime settimane nel Paese. Lo riferisce Al Arabiya. 13:40 Una commissione studierà la fattibilità delle riforme 30 – Tra le promesse fatte da Mubarak nel suo discorso del primo febbraio anche: l'organizzazione di elezioni presidenziali da tenere entro breve tempo dopo la scadenza del mandato dell'attuale presidente, previsto per settembre. La mancata ricandidatura di Mubarak alle prossime elezioni, la riforma degli articoli 76 e 77 della Costituzione, una riforma delle legge elettorale, il rinvio a giudizio di tutti i politici e funzionari accusati di corruzione e considerati responsabili degli episodi di violenza dei giorni scorsi in Egitto. Una commissione, composta anche da giudici, studierà la fattibilità delle riforme costituzionali. Il governo si è impegnato ad aprire un ufficio che riceverà i ricorsi di tutti i detenuti politici. Una commissione, di cui faranno parte anche i gruppi di opposizione, dovrà controllare l'esecuzione di queste riforme. L'accordo è stato sottoscritto da tutti i partecipanti, compresi i Fratelli Musulmani. 13:31 Suleiman incontra 6 rappresentanti dei manifestanti 29 – Il vice presidente egiziano, Omar Suleiman, ha incontrato 6 rappresentanti dei manifestanti ancora impegnati nella protesta di piazza Tahrir, al Cairo. Lo ha annunciato la tv di Stato del Cairo che ha mostrato anche le immagini di questo incontro. L'incontro è avvenuto subito dopo la riunione per il dialogo avvenuta oggi tra Suleiman ed i capi dei partiti di opposizione. 13:25 Madrid: anticipare elezioni presidenziali a giugno 28 – Le autorità egiziane dovrebbero anticipare le elezioni presidenziali, previste a settembre, al mese di giugno. Lo ha affermato il ministro degli esteri spagnolo, Trinidad Jimenez. L'egitto "potrebbe trovare una soluzione che risponda alle aspirazioni legittime dei cittadini, anticipando al mese di giugno le elezioni previste per settembre", ha dichiarato Jimenez al quotidiano spagnolo "El Mundo" sottolineando che "l'Egitto è un Paese più complesso, più grande, dove è più difficile raggiungere un accordo rispetto alla Tunisia". 12:59 Accordo tra Suleiman e opposizioni sulle riforme 27 – Il vice presidente egiziano, Omar Suleiman, ha raggiunto un accordo di massima con i rappresentanti dei partiti di opposizione per proseguire il dialogo e dare il via alle riforme. Secondo quanto ha annunciato la tv di stato del Cairo, si è conclusa la riunione tra il vice di Hosni Mubarak e i capi dei partiti di opposizione con la sottoscrizione di un documento che prevede l'applicazione delle promesse fatte dal capo di stato nel suo ultimo video messaggio. In particolare è prevista la fine dello stato d'emergenza, in vigore dal 1981, e il perseguimento dei responsabili degli incidenti e delle violenze dei giorni scorsi. Entro marzo sarà costituito un Comitato per le riforme costituzionali in egitto. Nella sede del Consiglio dei ministri al Cairo hanno preso parte due dirigenti dei Fratelli musulmani, Saad Katatni e Mohamed Mursi, il leader del partito liberale Wafd, Said al Badaw, quello del partito di sinistra Tagammu, Rifat Said, e il nuovo capo del Partito nazionale democratico al governo, Hosam Badrawi. Presenti anche rappresentanti dei gruppi democratici che hanno lanciato le proteste contro il governo, più alcuni intellettuali, imprenditori e politici indipendenti che fanno parte di un comitato di saggi. Tra questi ultimi, anche il magnate di Orascom, Naguib Sawiris. 12:58 Hamas nega coinvolgimento in esplosione gasdotto 26 – Hamas è del tutto estraneo all'esplosione che ieri ha severamente danneggiato una stazione del gasdotto egiziano ad El Arish, nel Sinai settentrionale, a breve distanza dalla Striscia di Gaza. Lo ha affermato a Gaza Hassan abu Hashish, il capo dell'Ufficio stampa della Striscia. Da parte sua un dirigente politico di Hamas, Sallah el-Bardawil, ha smentito categoricamente informazioni apparse ieri sulla stampa egiziana, e in particolare sul quotidiano Al Akhbar, secondo cui Hamas (la cui ideologia è riconducibile a quella dei Fratelli musulmani) sarebbe implicato nei disordini divampati in Egitto. 12:51 Barak: "Rivolta in Egitto non è pericolo per Israele" 25 – La rivolta anti-Mubarak in corso in Egitto non costituisce un pericolo immediato per Israele. E' questa la dichiarazione, in toni per la prima volta coincilianti nei confronti dell'opposizione egiziana, del ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, che ha anche avuto parole di apprezzamento per il ruolo stabilizzante assunto dal governo egiziano. Barak ha sottolineato come Egitto "rimanga un importante vicino" e quanto sia "tenuta in alta considerazione la pace che abbiamo", con un riferimento all'accordo di pace firmato da Egitto e Israele nel 1979, sempre citato nelle precedenti dichiarazioni come una possibile 'vittima collaterale' della rivolta in corso al Cairo. 12:50 Tv di Stato trasmette immagini vertice 24 – La tv di Stato egiziana ha mandato in onda le prime immagini della riunione in corso al Cairo tra il vice presidente Omar Suleiman e i rappresentanti dei partiti di opposizione. L'ex capo dei servizi segreti è seduto al centro della sala, sotto una grande foto del presidente Hosni Mubarak. Sulla sua destra invece c'è il magnate delle telecomunicazioni, Naguib Sawiris, e i rappresentanti del partito 'al-Wafd'. 12:27 Un milione in piazza per la giornata dei martiri 23 – Sono un milione i manifestanti che si sono radunati questa mattina in piazza Tahrir al Cairo. Lo ha annunciato poco fa la tv araba Al Jazeera. Secondo l'emittente sarebbe stato raggiunto il numero di manifestanti prefisso dagli organizzatori della protesta per quella che è stata battezzata 'la domenica dei martiri'. I manifestanti hanno preannunciato altre iniziative analoghe nel corso della prossima settimana, per ottenere le dimissioni del presidente Hosni Mubarak. 12:26 All'incontro con Suleiman anche magnate Sawiris 22 – Anche il magnate egiziano delle telecomunicazion, Naguib Sawiris, partecipa alla riunione in corso al Cairo tra il vice presidente, Omar Suleiman e i rappresentanti delle opposizioni. Lo ha reso noto la tv satellitare 'al-Arabiya'. Sawiris fa infatti parte del cosiddetto 'Comitato dei saggi' composto da 10 alte personalità del mondo civile egiziano che stanno conducendo una mediazione tra il regime e i manifestanti di piazza Tahrir, al Cairo. Alla riunione di oggi sono presenti anche i rappresentanti dell'ex direttore dell'Aiea, Mohammed ElBaradei, e dei Fratelli Musulmani. Suleiman è stato delegato dal presidente, Hosni Mubarak, di avviare il dialogo con le opposizioni. 12:24 Al vertice anche liberali, Tagammu e politici indipendenti 21 – Ai colloqui, secondo quanto riferisce l'agenzia Mena, partecipano rappresentanti dei Fratelli musulmani, del partito liberale al-Wafd, del partito di sinistra Tagammu e membri del comitato nominato dai gruppi democratici che hanno lanciato le proteste contro il governo, più alcuni imprenditori e politici indipendenti. 12:16 Frattini: "Bene coinvolgere Fratelli musulmani" 20 – Per Frattini in Egitto "parlerei di un rischio serio dell'islamismo radicale, non del terrorismo", ma "c'è una fazione islamista radicale, quella dei Fratelli musulmani, che oggi partecipa al dialogo con il vicepresidente Suleiman.Meglio coinvolgerla che lasciarla fomentare il malcontento della piazza". 12:14 Frattini: "Transizione rapida ma con Mubarak" 19 – In Egitto "prima serve la riforma elettorale, poi una nuova costituzione, poi andare alle urne" a settembre. Così "la transizione sarebbe rapida ma non sarebbe il caos", come invece accadrebbe se il presidente Hosni Mubarak andasse "via domani", come qualcuno auspica. Lo ha detto il ministro degli Esteri, Franco Frattini, a l'Intervista di Maria Latella a Skytg24. "La cosa più importante - ha poi sottolineato il titolare della Farnesina - è che il vice presidente Soleiman intende proporre un referendum popolare che darebbe per la prima volta al popolo egiziano la possibilità di confermare o meno la nuova Costituzione". 12:05 Papa: "Chiedo a Dio che trovi pace e bene comune" 18 – Appello del Papa per l'Egitto, dopo l'Angelus: "In questi giorni seguo con attenzione la delicata situazione della cara Nazione egiziana. Chiedo a Dio che quella Terra, benedetta dalla presenza della Santa Famiglia, ritrovi la tranquillità e la pacifica convivenza, nell'impegno condiviso per il bene comune". E' la prima volta che il Pontefice parla dell'Egitto da quando sono scoppiate le proteste. L'appello del Papa ha un particolare significato anche alla luce del fatto che le relazioni diplomatiche tra Egitto e Santa Sede hanno recentemente vissuto una fase di raffreddamento, quando il governo di Mubarak ha deciso di richiamare in patria l'ambasciatore egiziano presso la Santa Sede. 12:03 Lunghe file davanti banche nel primo giorno di apertura 17 – Ci sono lunghe file davanti alle banche in diverse città egiziane nel primo giorno di riapertura dall'inizio della crisi. Secondo quanto riferisce la tv di stato egiziana, le code più lunghe si registrano davanti agli istituti di credito del Cairo. Dal 25 gennaio a oggi le banche infatti sono rimaste chiuse, per evitare le rapine delle bande armate che giravano per le città. Oggi la Banca Centrale egiziana ha deciso di riaprire per permettere il pagamento degli stipendi e delle pensioni. 11:57 Clinton: "Bene dialogo con Fratelli musulmani" 16 – Il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, sostiene il dialogo del governo egiziano con i Fratelli musulmani, la principale forza di opposizione in Egitto. "Abbiamo appreso oggi - ha detto la Clinton alla radio americana Npr - che i fratelli musulmani hanno deciso di partecipare, cosa che sottintende che sono quantomeno coinvolti nel dialogo che abbiamo auspicato". 11:46 Iniziata riunione tra Suleiman e le opposizioni 15 – E' iniziata la prima riunione per il dialogo di riconciliazione nazionale tra il vice presidente egiziano Omar Suleiman e i rappresentanti delle opposizioni. Lo ha annunciato la tv satellitare 'al-Arabiya'. Alla riunione di oggi partecipano oltre ai rappresentanti dei partiti storici dell'opposizione, come 'al-Wafd' e i comunisti di 'Tagammu', anche i Fratelli Musulmani nonostante non siano stati mai riconosciuti dalle autorità del Cairo. Prima di partecipare all'incontro, gli islamici hanno fatto sapere che avrebbero subito posto le loro condizioni per rimanere alla riunione e per proseguire nel dialogo. Tra le condizioni poste ci sono le dimissioni del presidente Hosni Mubarak e la partecipazione dei rappresentanti di piazza Tahrir. 11:45 Copti in preghiera: "Mubarak vattene" 14 – Un gruppo di copti ha tenuto una preghiera in piazza Tahrir per dimostrare che la protesta anti-Mubarak "è di tutti e non solo dei Fratelli musulmani". Finora i cristiani si erano tenuti alla larga dalla rivolta, con il papa Shenuda III che ha invitato piuttosto i fedeli a recarsi nelle chiese a pregare. Ancora venerdì sera Shenuda aveva invitato i manifestanti a "tenere conto delle concessioni fatte da Mubarak". Ma già da sabato in piazza Tahrir erano apparsi cartelli come "Troppi cristiani sono morti nell'era Mubarak, vattene ora!". In Egitto i cristiani sono otto milioni, pari al 10% della popolazione. 11:20 Ban Ki-moon: "Egitto e Tunisia siano esempio per altri regimi" 13 – L'esplosione delle contestazioni in Egitto e Tunisia deve servire di "lezione" per i regimi autoritari di altri Paesi. Lo ha detto stamani il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon. "I dirigenti dovrebbero sempre preoccuparsi dei bisogni della gente e se i diritti umani non sono correttamente rispettati", ha detto il segretario delle Nazioni Unite a margine della conferenza sulla sicurezza in corso a Monaco. "Prima che questo genere di aspirazioni e desideri si trasformino in manifestazioni di massa, credo che i dirigenti dovrebbero prestarci maggiore attenzione", ha aggiunto. 11:13 Erdogan: "Transizione nel più breve tempo possibile" 12 – Il premier turco Tayyip Erdogan ha fatto appello per una "transizione democratica" in Egitto "nel più breve tempo possibile". Lo scrive Al Jazeera. "Una transizione democratica dovrebbe essere garantita nel più breve tempo possibile. Se ciò sarà realizzato credo che la gente accetterà questo risultato", ha detto Erdogan secondo l'emittente araba. Oggi il premier turco ha in agenda una visita a Damasco. 10:56 Clinton: "Suleiman guidi un'ordinata transizione" 11 – Il vice presidente Omar Suleiman deve guidare "un'ordinata transizione" in Egitto. E' quanto ha detto durante i lavori della conferenza per la Sicurezza a Monaco il segretario di Stato Hillary Clinton, secondo quanto riporta oggi il Financial Times, sottolineando il desiderio di Washington di vedere il processo di transizione verso la democrazia avanzare "nel modo più ordinato e veloce possibile". La Clinton ha detto che questa transizione politica dovrebbe essere gestita da Suleiman, e non dal presidente Honsi Mubarak, suggerendo l'idea che il vice presidente sia effettivamente ora alla guida del paese. 10:55 Esercito rafforza presenza piazza Tahrir 10 – L'esercito ha rafforzato la sua presenza questa mattina a piazza Tahrir, mentre la vita sembra riprendere lentamente la sua normalità al cairo dove numerosi negozi, strade e ponti hanno riaperto, al 13mo giorno della protesta. I soldati controllano il ponte del 6 ottobre, vicino alla piazza Tahrir, utilizzato il 2 febbraio scorso dai sostenitori del presidente Mubarak per attaccare i dimostranti antigovernativi. Le violenze hanno provocato almeno 11 morti stando a un ultimo bilancio ufficiale. 10:44 Deputati Cdu e liberali: "La Germania accolga Mubarak" 9 – Deputati della Cdu e liberali hanno proposto che la Germania si offra di accogliere Hosni Mubarak come contributo alla soluzione della crisi in Egitto. "Non si tratta di concedergli asilo politico", ha precisato la portavoce per la sicurezza dell'Fdp, Elke Hoff, in un appello lanciato al Bild Am Sonntag a cui si è unito Andreas Schokenhoff, il vicecapogruppo della Cdu, il partito del cancelliere Angela Merkel. Quest'ultimo ha suggerito di motivare il viaggio con "un check-up sanitario" alla clinica universitaria di Heidelberg, dove il presidente egiziano è già stato ricoverato per tre settimane l'anno scorso. "Abbiamo bisogno di una transizione pacifica in Egitto", ha spiegato, "se la Germania può fornire un apporto costruttivo in un quadro internazionale, dobbiamo accogliere Mubarak". 10:16 Migliaia in piazza Tahrir per giornata dedicata ai 'martiri' 8 – Migliaia di persone si stanno dirigendo verso la piazza Tahrir nel centro del Cairo. Oggi la giornata di protesta è intitolata "ai martiri", dovrebbero partecipare oltre un milione di persone. Sono attesi anche numerosi cristiani che pregheranno per i defunti assieme ai musulmani. L'esercito ha stabilito numerosi posti di blocco intorno al centro e allo stesso tempo sta cercando di confinare i manifestanti già arrivati e quelli che sono rimasti per tutta la notte scorsa in un settore della piazza che lasci libero il passaggio del traffico, che oggi cerca di tornare a una parvenza di normalità. Dopo una settimana di chiusura, le banche hanno riaperto i battenti, e subito agli sportelli si sono formate lunghe file, mentre numerosi impiegati statali sono tornati al lavoro. 10:11 Il vicepresidente Usa chiama Suleiman: "Trattate" 7 – Il vicepresidente Usa, Joe Biden, ha telefonato al vicepresidente egiziano Omar Suleiman per ribadire la necessità che attraverso trattative con tutti i partiti politici siano avviati "passi immediati" per stilare "un'agenda di riforme concrete". La Casa Bianca ha fatto sapere che il vice di Barack Obama ha sottolineato l'urgenza di questi passi "per dimostrare all'opinione pubblica e all'opposizione che il governo egiziano è impegnato sulla via delle riforme". 10:00 Berlusconi: "Evitare rischio integralismo in Medio Oriente" 6 – "La frustrazione, la disillusione, il risentimento che nasce dalla povertà e dalla mancanza di regole democratiche, potrebbe incanalare le proteste che si sono manifestate in Tunisia e in Egitto verso le posizioni dell'integralismo islamico e del rigetto dei valori dell'Occidente". Lo dice il premier Silvio Berlusconi in un messaggio ai Promotori della Libertà. "Per questo - continua - anche noi abbiamo grandi responsabilità: dovremo impegnarci per estendere i benefici del progresso economico a tutti i Paesi del mondo; dovremo assecondare e sostenere una ordinata evoluzione democratica anche in quei Paesi che riescono faticosamente ad uscire da dei regimi e non possono contare su consolidate tradizioni liberali". 09:55 Fretelli Musulmani: "giovani siano rappresentati" 5 – Secondo il responsabile del partito, Essam Al Aryane la partecipazione dei Fratelli musulmani all'incontro serve a "proteggere la rivoluzione". La "confraternita", ha detto ancora il suo esponente, parteciperà al dialogo solo "se i giovani che hanno lanciato il movimento di protesta vi saranno rappresentati". In un comunicato, i Fratelli musulmani avevano annunciato la decisione di "intavolare un dialogo" con i responsabili al potere "per sapere fino a che punto sono pronti ad accogliere le richieste del popolo". L'incontro di stamattina è indetto alla sede del Consiglio dei ministri. 09:49 Copti in piazza Tahrir. Città tranquilla 4 – Copti in preghiera in piazza Tahrir al Cairo nell'intento di "dimostrare" al governo che le proteste di questi giorni non sono portate avanti "solo dai Fratelli musulmani". I fedeli pregheranno nella piazza nel corso della mattinata. Nel resto della capitale egiziana secondo quanto riferiscono i corrispondenti dell'emittente araba e della Cnn sul campo, "ci sono segnali di un lento ritorno alla normalità", con il traffico che scorre lentamente sulle strade. Stamani è prevista anche la riapertura delle banche. 09:37 Dick Cheney: "Mubarak è una brava persona" 3 – L'ex vicepresidente americano Dick Cheney ha definito una "brava persona" e stretto amico degli Stati Uniti il presidente Hosni Mubarak ma ha affermato che sarà il popolo egiziano a stabilire quale sarà il suo futuro di leader. "E' stato una brava persona, è stato un buon amico e alleato degli Stati Uniti e questo dobbiamo ricordarlo", ha detto l'ex vice dell'allora presidente George Bush. "Alla fine", ha detto però Cheney a un dibattito sulla figura del defunto presidente americano Ronald Reagan, "ciò che succederà sarà deciso dal popolo egiziano". Cheney, critico Barack Obama, non si è pronunciato su come l'attuale presidente sta affrontando la crisi egiziana ma ha sottolineato l'importanza di un approccio diplomatico riservato in quanto "è molto difficile per alcuni leader stranieri agire su consiglio Usa". 09:35 Fratelli Musulmani: "Proviamo buona fede autorità" 2 – Il portavoce ha aggiunto che i temi affrontati saranno le dimissioni del presidente Hosni Mubarak, l'elezione di un nuovo presidente e di un nuovo parlamento, il diritto alla protesta nei luoghi pubblici e garanzie per l'incolumità degli aderenti al movimento. "Abbiamo deciso di accettare questo dialogo per mettere alla prova la buona fede delle autorità di fronte alle richieste della popolazione e la loro disponibilità ad accoglierle", ha detto il portavoce. Ieri i Fratelli musulmani avevano fatto sapere di essere pronti a discutere con le autorità a determinate condizioni. La Tv di stato intanto ha confermato che Suleiman ieri ha già incontrato alcuni esponenti dell'opposizione. 09:35 L'opposizione incontra vice-presidente Suleiman 1 – I Fratelli Musulmani, il più importante gruppo di opposizione in Egitto, hanno annunciato all'agenzia Reuters che in mattinata avranno un incontro con il vice-presidente Omar Suleiman nella sede del governo. La confraternita si riserva il diritto di abbandonare il tavolo in qualsiasi momento. (06 febbraio 2011)
EGITTO IN FIAMME Manifestanti ancora in piazza al Cairo Usa premono per cambiamento Dodicesima giornata di proteste, centinaia passano la notte a piazza Tahrir senza disordini. Rivoluzione al vertice del Partito nazionale democratico, lascia anche il figlio del raìs, Gamal. Gli Usa: "Passo positivo". Sabotato gasdotto nel Sinai, chiesa in fiamme. Clinton: "E' la tempesta perfetta, riforme urgenti". Inviato Obama: "Mubarak resti per pilotare transizione", ma la Casa Bianca prende le distanze: "Parla a titolo personale" Manifestanti ancora in piazza al Cairo Usa premono per cambiamento IL CAIRO - "Mubarak deve rimanere al potere per pilotare il cambiamento verso la democrazia": la posizione espressa dall'inviato speciale degli Stati Uniti per l'Egitto, Frank Wisner, nell'ambito della conferenza sulla sicurezza di Monaco, sembra una correzione di rotta dopo che Washington ha chiesto più volte nei giorni scorsi una transizione rapida e ordinata e urgenti riforme. Poco dopo la Casa Bianca prende le distanze: Wisner ha parlato a titolo personale, fa sapere. E' stata una giornata caotica sul versante diplomatico, con notizie di dimissioni di Hosni Mubarak dalla presidenza del suo partito prima date e poi negate, e con altre poi smentite circa possibili attentati nei confronti del vicepresidente, Omar Suleiman, oltre alle esternazioni dell'inviato di Obama sconfessate poi da Washington. Intanto, i vertici del Partito nazionale democratico di Mubarak hanno rassegnato le dimissioni, incluso il segretario generale, Safwat el-Sherif, fedelissimo del presidente, e il figlio del raìs Gamal: un'uscita di scena, quest'ultima, giudicata positivamente dall'amministrazione americana. Nuovo segretario generale è il professor Hossam Badrawi, medico, già membro del direttivo del Pnd, ma vicino all'ala più liberale del movimento. La rivoluzione nel partito di governo arriva mentre piazza Tahrir, al Cairo, nel dodicesimo giorno di agitazione, è di nuovo colma di manifestanti che rifiutano di lasciare il luogo simbolo delle loro proteste. La situazione appare tranquilla. Manifestazioni si sono avute, oltre che nella capitale, anche in altre città, a partire da Alessandria. Rimane però alto il livello di allarme nel Paese: un attentato ha colpito il gasdotto che attraversa la parte settentrionale del Sinai egiziano portando gas in Israele, mentre il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, descrive la situazione come una "tempesta perfetta". IL FOTORACCONTO 1 - IL VIDEO 2 Salta il direttivo del partito al potere. Dimissioni di massa per i vertici del partito del presidente Mubarak. In un primo momento era stato riferito che lo stesso presidente aveva lasciato la guida del Pnd, notizia in seguito smentita. Il nuovo segretario generale Hossan Badrawi diventa anche presidente del comitato politico, al posto di Gamal Mubarak, figlio del raìs, che lascia il suo incarico. Badrawi sostituisce Safwat el Sherif, attualmente anche presidente del consiglio consultivo - la Shura, equivalente al Senato - fedelissimo del raìs e proveniente dai servizi di sicurezza. Secondo il dipartimento di Stato americano, sono partiti i primi colloqui fra governo e opposizione. Le dimissioni di Gamal Mubarak sono viste dagli Stati Uniti come "un passo positivo verso il cambiamento politico che sarà necessario", commenta un funzionario dell'amministrazione Obama, augurandosi che a questo passo ne seguano altri. Dodicesimo giorno di protesta, il ministro si scusa per i maltrattamenti. Centinaia di dimostranti hanno trascorso la notte ancora una volta accampati a piazza Tahrir: ci sono stati isolati colpi d'arma da fuoco e scontri, ma la notte è trascorsa tranquilla. L'esercito ha presidiato gli accessi al luogo simbolo della rivolta e nella zona circostante sono stati allestiti check-point ogni 200 metri, mentre nuove manifestazioni sono state indette per domani. Intanto, il ministro delle Finanze Samir Radwan si è scusato per i "maltrattamenti" subiti dai giornalisti e dai manifestanti da parte delle forze di sicurezza. "Voglio presentare le mie scuse a tutti i giornalisti, a tutti gli stranieri e a tutti gli egiziani che sono stati vittime di maltrattamenti", ha detto Radwan in un'intervista alla Cnn. Giornalisti ancora nel mirino. I servizi di sicurezza egiziani hanno arrestato il direttore dell'ufficio di Al Jazeera al Cairo, Abdel Fattah Fayed, e il giornalista Ahmad Youssef, ha annunciato l'emittente araba. I due sono stati liberati diverse ore dopo, come anche gli attivisti di Human Rights Watch e di Amnesty International fermati ieri. Sabotaggio al gasdotto. L'attenzione questa mattina è stata calamitata dall'esplosione presso un gasdotto egiziano nel Sinai settentrionale, vicino alla cittadina di el-Arash, e che trasporta gas dall'Egitto a Israele e alla Giordania. E' stato subito definito un attacco da parte di "terroristi". Si tratta di "stranieri", secondo fonti locali, che hanno "sabotato" il troncone che trasporta il gas verso Amman. Non risultano vittime e l'erogazione di gas è stata immediatamente sospesa, ma dovrebbe riprendere la prossima settimana. La televisione egiziana ha ricordato che nei giorni scorsi gruppi di estremisti islamici avevano avevano lanciato un appello a "sfruttare" i disordini nel Paese. Chiesa in fiamme nel Sinai. Una chiesa è stata data alle fiamme nella città di Rafah, nella penisola del Sinai, in Egitto, nei pressi del confine con la Striscia di Gaza. Testimoni hanno riferito di aver udito un'esplosione prima di vedere l'edificio in fiamme. E uno ha raccontato di aver visto uomini armati in motocicletta nei pressi della chiesa, in un'area tuttora scenario delle proteste contro il regime di Mubarak. Clinton: "Tempesta perfetta, servono riforme urgenti". Di Egitto si è parlato inevitabilmente alla conferenza internazionale sulla sicurezza in corso oggi a Monaco di Baviera dove si è sollevato un coro che invita alla transizione rapida necessaria per la stabilità. L'inviato speciale di Obama si è detto convinto dell'opportunità che Mubarak resti per pilotare la transizione verso la democrazia, ma le sue dichiarazioni sono state rettificate in seguito dalla Casa Bianca, che le ha definite opinioni personali, "di sua esclusiva responsabilità" e non espressione della politica ufficiale dell'amministrazione Obama. Per Hillary Clinton quello che avviene in queste ore nella regione, dall'Egitto allo Yemen, "è la tempesta perfetta quella che spazza in queste settimane tutto il Medio Oriente e i leader regionali devono mettere in atto rapidamente riforme democratiche se non vogliono rischiare maggiore instabilità". "Questo è ciò che ha spinto i manifestanti per le strade di Tunisi, del Cairo e delle città di tutta la regione. Lo status quo semplicemente non è più sostenibile", ha detto ancora il capo della diplomazia Usa, chiedendo "urgenti riforme". Quartetto: Far ripartire negoziati per la pace in Medio Oriente. Anche alla luce degli eventi "molto drammatici" in Egitto, il processo di pace in Medio Oriente "deve essere rinvigorito", ha detto oggi l'alto rappresentante della politica estera della Ue, Catherine Ashton, al termine di una riunione del Quartetto dei mediatori per il Medio Oriente tenutasi oggi a margine della conferenza internazionale sulla sicurezza. E' "imperativo" fare di tutto per la ripresa dei negoziati israelo-palestinesi, è l'appello lanciato dal Quartetto. "Più si aspetta, più aumentano le probabilità di avere un Egitto non gradito", ha aggiunto il premier britannico David Cameron, invocando una transizione rapida, necessaria per la stabilità. (05 febbraio 2011)
EGITTO Al confino a Sharm o in Germania il dilemma sul destino di Mubarak Suleiman tratta con l'opposizione, la piazza non cede: "Via subito. Come nella Parigi prima dell'89, monarchia e rivoluzione convivono ancora. È scomparso da giorni Wael Ghonim, l'attivista Internet che dette il via alla protesta di BERNARDO VALLI Al confino a Sharm o in Germania il dilemma sul destino di Mubarak Hosni Mubarak IL CAIRO - La protesta popolare stenta a diventare una rivoluzione. Ma il governo, con alle spalle l'esercito, stenta a sua volta a insabbiarla. Fatica a ridurla a una addomesticata riforma del regime. Dodici giorni dopo la manifestazione del 25 gennaio è evidente che l'Egitto non sarà più come prima, è tuttavia presto per tentare un ritratto dell'Egitto di domani. Poiché ho usato, per la prima volta nelle cronache egiziane, la parola rivoluzione, viene spontaneo azzardare un paragone con la prima Parigi rivoluzionaria, in cui la monarchia e la rivoluzione convivevano ancora, e il re e la moglie Maria Antonietta non sapevano che avrebbero perduto le loro teste. Nel Cairo 2011 non ci sono né boia né mannaie, e quindi non sono in gioco le vite del raìs e dei congiunti, ma il futuro è altrettanto oscuro. Imprevedibile. Dimostra quanto sia incerta, e per molti aspetti opaca, la situazione il fatto che, da un lato, l'opposizione popolare prepara un progetto di Costituzione democratica; mentre, dall'altro, i militari, depositari del potere reale, cercano soluzioni nel quadro della Costituzione rifiutata, destinata all'archiviazione. Capita persino che si richiamino al Parlamento, anch'esso considerato illegale, superato, dall'opposizione popolare. Al momento prevale una convivenza che lascia tutto irrisolto. La piazza Tahrir, concreto simbolo della rivolta, occupata da migliaia di irriducibili, offre un'immagine rivelatrice. I militari la circondano, assicurano che non cercheranno di evacuarla con la forza, ma al tempo stesso la controllano, e riducono i movimenti a un solo passaggio (di entrata e di uscita), al quale si accede mostrando i documenti. Il punto di scontro resta comunque la posizione di Hosni Mubarak. Su di lui si concentrano tutte le ambiguità. Si era diffusa la notizia che il raìs avesse dato le dimissioni dalla presidenza del suo partito, come ha fatto il figlio Gamal. L'abbandono del partito era apparso un primo passo verso rinunce più decisive, benché il fatto non fosse stato giudicato significativo dall'opposizione. In realtà, il raìs ha poi smentito la notizia, vale a dire di essersi privato di uno dei suoi più vistosi strumenti di potere di un tempo, ampiamente denunciato come un centro d'affari e malaffari dal movimento popolare. Il vice presidente della Repubblica, Omar Suleiman, e gli alti gradi dell'esercito si stanno dando da fare per trovare una soluzione che spogli Mubarak di tutte le prerogative presidenziali pur lasciandogli la carica. Ma Mubarak resiste. Non vuole diventare un raìs fantoccio. Per chiarire che lui resta al suo posto, ieri ha convocato i ministri del Petrolio e delle Finanze per discutere la grave situazione del Paese, in seguito alla perdita di più di tre miliardi di dollari in una sola settimana di crisi. E ha ripetuto che lui vorrebbe ritirarsi a vita privata ma teme che la sua assenza provochi un grave vuoto politico. Quindi il caos. Non era certo un uomo rassegnato. L'uomo è tenace. È un personaggio grigio ma non manca di coraggio. Si ricordano i numerosi attentati che ha subito. In particolare quello di Addis Abeba, quando aggredito all'arrivo da gente armata, sulla strada che lo portava in città, fece fare dietrofront all'autista, raggiunse l'aereo dal quale era appena sbarcato, e ritornò al Cairo. Era un pilota eccellente. Adesso è un vecchio generale che non si arrende. Suleiman e i generali, in particolare il feld maresciallo Mohamed Tantawi, il ministro della Difesa, e Ahmed Shafiq, generale a riposo e primo ministro, avrebbero immaginato vie d'uscita non troppo sgradite, non troppo penose per Mubarak. Una era balneare. Il raìs si sarebbe potuto ritirare nella residenza estiva di Sharm el Sheikh, sul Mar Rosso. La sua lontananza dalla capitale avrebbe forse placato piazza Tahrir. Poteva apparire come una tappa prima dell'abbandono definitivo di settembre. Un secondo scenario era di natura sanitaria. Il rais poteva recarsi in Germania per uno dei periodici check-up a cui si sottopone per tenere sotto controllo i suoi malanni. Ma sarebbero stati scoperti impedimenti costituzionali. Sloggiarlo dal palazzo presidenziale non sarebbe possibile, perché la Costituzione prevede che eventuali riforme devono essere attuate dal capo dello Stato. Inoltre, sempre secondo la Costituzione, che l'opposizione popolare ha già archiviato, ma dalla quale i generali non si discostano troppo, nel rispetto al regime che hanno incarnato per decenni, nel caso di un impedimento del presidente, o di dimissioni, spetta al presidente del Senato sostituirlo. E non al vice presidente. Anche se nell'81, quando Sadat fu ucciso, a prendere il suo posto fu il vice presidente. Che era appunto lui, Hosni Mubarak. Queste sottigliezze procedurali contrastano con la situazione. È sempre più chiaro che, con l'approvazione di Washington, il potere reale è affidato al vice presidente, Omar Suleiman, affiancato da Tantawi, il ministro della Difesa e Shafiq, il primo ministro. È a questo triumvirato che spetta il compito di avviare il dialogo con l'opposizione, e di studiare le riforme. Oltre a Washington, anche l'Europa ha dato il suo appoggio a Suleiman, invitandolo a una transizione non troppo lenta, ma lasciandogli tuttavia più tempo di quello che Washington sembrava concedere. La stessa Washington è adesso più di manica larga. Ha meno fretta nel veder partire Hosni Mubarak. Purché ben inteso se ne vada. Meglio se prima di settembre. L'intenzione è evidente: lasciare un discreto spazio di manovra ai responsabili dell'esercito, dal quale dipendono gli equilibri mediorientali. Suleiman è da tempo un interlocutore privilegiato sia degli americani sia degli israeliani. È affidabile per entrambi. Quel che gli americani, e in sottordine gli europei, gli impongono è di evitare l'uso della forza, di rispettare gli oppositori e di concertare con loro le indispensabili riforme. Vale a dire la svolta democratica. I tempi concessi a Hosni Mubarak appaiono meno stretti. Ed è anche accettato il principio che la sua partenza avvenga, come esigono i generali egiziani, salvando le forme. L'opposizione continua, però, ad esigere l'immediata partenza del rais. Non si accontenta delle dimissioni da capo del partito. E ritiene che la definitiva uscita di scena di Mubarak sia la prova indispensabile che i militari devono dare per dimostrare la loro buona fede. Essa è inoltre necessaria per assecondare le richieste di piazza Tahrir e del milione, forse più, di manifestanti che in tutte le città del Paese hanno scandito "via Mubarak". E che adesso aspettano, pronti a riempire di nuovo le piazze se non ottengono soddisfazione. Finora senza un leader, l'opposizione ha adesso gruppi di intellettuali in grado di interpretare la volontà del movimento popolare. Esponenti della società civile, tra i quali Nabil Fahmi, ex ambasciatore negli Stati Uniti, e Ahmed Zewail, premio Nobel per la Chimica, si sono riuniti nell'ufficio di Amr Moussa, ex ministro degli Esteri e attuale capo della Lega Araba. Amr Moussa è già apparso in piazza Tahrir, dove non ha nascosto l'intenzione di partecipare alla futura, libera gara presidenziale. Moussa è un personaggio molto popolare. Assai più di El Baradei, il premio Nobel per la pace, il quale non perde tuttavia tempo, poiché nella sua abitazione si riuniscono uomini di legge impegnati a redigere un progetto di Costituzione democratica. Quali siano in questo momento i rappresentanti dell'opposizione che trattano, come sembra, con i generali, il cronista lo ignora. Egli è invece al corrente della angosciosa preoccupazione per la scomparsa da giorni di Wael Ghonim, uno degli attivisti di Internet che per primo dette il via al movimento di protesta. Wael Ghonim sarebbe stato interpellato dai servizi segreti, dei quali Omar Suleiman era fino a pochi giorni or sono, e da anni, il responsabile. (06 febbraio 2011)
2011-02-05 Diretta Manifestanti di nuovo in piazza Mubarak convoca nuovo governo Manifestanti di nuovo in piazza Mubarak convoca nuovo governo Per tutta la notte i dimostranti hanno sfidato il coprifuoco a piazza Tahrir. Il direttore dell'ufficio di al Jazeera al Cairo e uno dei suoi giornalisti sono stati arrestati:"La polizia ha sparato in aria nella piazza della capitale". Clinton: "In corso tempesta perfetta nell'area, urgono riforme". Oggi manifestazioni anti Mubarak anche a Roma e Milano (Aggiornato alle 16:21 del 05 febbraio 2011) 16:21 Badrawi nuovo segretario partito di governo 60 – Hossam Badrawi è il nuovo segretario generale del partito di governo in Egitto. Sostituisce Sawfat El-Sherif, fedelissimo di Mubarak. Lo riferisce la tv di Stato. Badrawi rimpiazza all'interno del partito Gamal Mubarak, figlio del presidente. 16:12 Quartetto Medio-Oriente: Crisi Egitto impone ripresa negoziati di pace 59 – I "drammatici sviluppi" in Egitto e in altre aree della regione rendono "imperativa" la ripresa dei negoziati di pace in Medio Oriente: lo si legge nella bozza di documento del Quartetto (Onu, Usa, Ue e Russia). 16:07 Comandante esercito a piazza Tahrir: "Sgomberate, salvate ciò che rimane dell'Egitto" 58 – Un comandante dell'esercito egiziano si è rivolto oggi alla folla in piazza Tahrir nel tentativo di persuaderla a interrompere la protesta che ha messo in stallo la vita economica dell'Egitto. "Avete il diritto di esprimervi ma per favore salvate ciò che rimane dell'Egitto", ha detto Hassan al-Roweny dal podio. La folla ha risposto gridando che Mubarak si deve dimettere. Roweny se n'è andato, rifiutandosi di parlare in mezzo a tali urla. 16:06 Esportazioni calate del 6 per cento 57 – Le proteste colpiscono le esportazioni egiziane, diminuite del 6% a gennaio. Lo ha riferito il ministro del Commercio Samiha Fawzi, cha ha attribuito il calo al coprifuoco in vigore dall'ultima settimana che ha inciso sul trasporto delle merci. 16:00 Russia richiama 28mila turisti in Egitto in patria 56 – L'agenzia federale russa per il turismo ha chiesto ai 28mila turisti in vacanza in Egitto di fare rientro in patria, a causa dei rischi per la sicurezza legati alla rivolta popolare contro il governo del presidente Mubarak. 15:44 Esplosione in una chiesa a Rafah 55 – Un'esplosione ha investito una chiesa a Rafah, vicino al confine egiziano con la striscia di Gaza. Lo hanno riferito testimoni. Non sono chiare nè la causa nè l'entità dell'esplosione. Testimoni hanno detto di avere visti uomini armati attorno alla chiesa Mari Gerges, che era vuota, ma non è chiaro se siano coinvolti. 15:33 Ex ministro Finanze Boutros-Ghali lascia incarico a Fmi 54 – L'ex ministro delle Finanze egiziano Youssef Boutros-Ghali, che ha lasciato il governo in seguito al rimpasto effettuato dal presidente Hosni Mubarak per far fronte alle forti proteste, ha lasciato anche l'incarico di presidente dell'advisory board del Fondo Monetario Internazionale. La guida del dicastero delle Finanze in Egitto è stata assunta da Samir Radwan. 15:31 Al Jazeera: Domani nuova manifestazione di massa anti Mubarak 53 – Domani è stata convocata in Egitto una terza manifestazione di massa contro il governo del presidente Hosni Mubaraki, battezzata "la domenica dei martiri": è quanto riposta la rete satellitare araba Al Jazeera. 15:29 Domani copti celebreranno messa in piazza Tahrir 52 – I cristiani copti egiziani, che aderiscono alla protesta contro il presidente Hosni Mubarak, celebreranno domali la messa in piazza Tahrir, al Cairo. Secondo quanto riferisce la tv araba Al Jazeera, come i musulmani hanno svolto la preghiera del venerdì islamico ieri in piazza, per non abbandonare il presidio anti-governativo, così domani i copti che partecipano alla mobilitazione celebreranno la messa all'aperto. In questo modo i manifestanti vogliono testimoniare come la rivolta anti-Mubarak conti tra le sua fila sia musulmani e che cristiani egiziani. 15:22 Sicurezza egiziana smentisce fallito attentato a Suleiman 51 – La sicurezza egiziana ha smentito le notizie sul fallito attentato contro il vice presidente egiziano Omar Suleiman. Secondo quanto ha rivelato l'americana Foxnews, nei giorni scorsi sarebbe stato sventato un tentativo di assassinare Suleiman, ma nell'attacco sarebbero morte due guardie del corpo del vice presidente. Una fonte dell'amministrazione Obama ha confermato che l'attentato è avvenuto subito dopo la nomina di Suleiman a vice presidente, il 29 gennaio scorso. 14:42 Domani riaprono le banche 50 – Le banche riapriranno domani in Egitto dopo una chiusura di una settimana per le proteste di piazza. Rimarr invece chiusa la borsa e un annuncio di una sua possibile riapertura verrà fatto nelle prossime 48 ore. La Banca centrale d'Egitto ha stabilito un tetto per i prelievi, pari a 50 mila lire egiziane equivalenti 10 mila dollari al giorno. 14:16 Casini: "Europa debole, non ha potere su Mubarak" 49 – ''Mubarak ha ormai esaurito la spinta propulsiva e la sua presenza costituisce un tappo allo sviluppo, ma l'Ue non ha forza sufficiente per imporgli una scelta, a differenza degli Stati Uniti''. Il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini si è soffermato sulla crisi in Egitto nel suo intervento al seminario dei giovani Ppe a San Leucio (Caserta). ''Mubarak è stato in parte una garanzia per l'Occidente, è stato un bastione contro l'islamismo ed ha fatto cose positive.Ma dopo 35 anni c'è una sfida al cambiamento e nella vita, quando si passa la misura non si è più credibili - ha aggiunto Casini - e la spinta propulsiva si esaurisce''. 14:03 Germania continuerà addestramento militari egiziani 48 – L'esercito tedesco continuerà l'addestramento di soldati egiziani nell'ambito di un programma specifico di training di soldati stranieri. Lo ha detto il portavoce del ministero della Difesa tedesco, dopo che un giornale tedesco ha riportato che vi sono 11 militari egiziani che partecipano ad un addestramento in Germania insieme a militari di altri 62 apesi. Ieri la Germania aveva annunciato il congelamento delle sue esportazioni militari in Egitto, pari a vendite da 10-14 milioni di euro all'anno. 13:38 Missionario: "Clima gioioso, fermati provocatori" 47 – "La situazione è migliorata molto". Lo afferma a 'Fides', agenzia stampa della congregazione vaticana per l'evangelizzazione dei popoli (Propaganda fide), padre Luciano Verdoscia, missionario comboniano che opera da anni al Cairo. "Ieri l'esercito ha fatto dei passi significativi, bloccando la strada d'accesso ai provocatori di piazza Tahrir. I manifestanti hanno organizzato un servizio d'ordine molto efficiente a partire da una strada parallela più piccola. Da lì si aveva accesso alla piazza". 13:36 Moussa: "Accolto da manifestanti come un amico" 46 – "I manifestanti ieri in piazza Tahrir al Cairo mi hanno accolto come un amico''. È quanto ha affermato il segretario generale della Lega Araba, Amr Moussa, intervistato dal giornale arabo 'al-Shartq al-Awsat'.''Io sono in contatto con loro e cerco di ascoltarli - ha aggiunto - con l'obiettivo di fare l'interesse del Paese''. 13:34 Los Angeles Times: "Aumentano casi di persone scomparse" 45 – Sono almeno 500 le persone arrestate finora in Egitto, ma aumentano i casi di persone scomparse. A denunciarlo è il Los Angeles Times, che ha raccolto la testimonianza di un uomo in lacrime, arrivato a piazza Tahrir per avere notizie del figlio sedicenne scomparso da giorni, e quella di una donna, ugualmente disperata per la sorte del figlio quattordicenne, di cui non ha più notizie dal primo giorno delle proteste. 13:31 Francia soddisfatta per liberazione giornalisti 44 – Il ministro degli esteri francese Michèle Alliot-Marie si è rallegrato della liberazione di alcuni giornalisti francesi e di un ricercatore. Si tratta di due giornalisti di un'agenzia di stampa che lavorava con l'emittente Canal plus e di un ricercatore francese di Amnesty international. I tre sono stati rimessi in libertà assieme a un altro esponente di Amnesty e al ricercatore di Human rights watch Daniel Williams. 12:59 Borsa chiusa fino a lunedì 43 – La borsa del Cairo, la cui apertura era prevista per domani, resterà chiusa anche domani e lunedì. La decisione è stata presa dopo un summit tra il presidente Mubarak riunirsi e i ministri economici con il presidente della banca d'Egitto. 12:44 Padre Lombardi: "Manifestanti chiedono libertà e dignità" 42 – "Naturalmente le difficoltà economiche, la condizione di povertà che prova grandi strati delle popolazioni, acuita dalla crisi economica globale, ha avuto un peso molto grande nell'origine delle proteste; ma come hanno osservato i vescovi dell'Africa del nord, si deve anche riconoscere un'attesa di maggiore 'libertà e dignità' che riguarda 'in particolare le generazioni più giovani della regione, che si traduce nella volontà che tutti siano riconosciuti come cittadini, e cittadini responsabili'": lo afferma il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, nell'editoriale settimanale su 'Radio vaticana' 12:39 Ban Ki Moon: "Rivolte mondo arabo causate da assenza di democrazia" 41 – Le rivolte nel mondo arabo sono state provocate dalla ''povertà e dalla insicurezza'' delle condizioni di vita, ma anche dalla ''corruzione'' e da una ''mancanza di democrazia''. È quanto ha detto il segretario di generale, Ban Ki Moon, nell'intervento di apertura di oggi della Conferenza per la Sicurezza i Monaco, esortando le potenze mondiali a migliorare la propria ''diplomazia preventiva'' piuttosto che aspettare di reagire alle crisi. 12:36 Anche a Milano manifestazione anti Mubarak 40 – Si terrà alle ore 17 a Piazzale Loreto a Milano una manifestazione a sostegno della popolazione egiziana su iniziativa del 'Comitato Hurria - Libertà per l'Egitto', sorto nei giorni scorsi nel capoluogo lombardo e che comprende numerose associazioni di immigrati, laiche e islamiche presenti in città. 12:34 Inviato portale web trentino racconta aggressioni 39 – "Mi hanno preso a calci e rotto un pezzo della videocamera": è quanto un giovane inviato in Egitto dal portale web trentino Unimondo, Andrea Bernardi, 25 anni, ha riferito mercoledì via e-mail al direttore del portale, Fabio Pipinato. A riportarlo oggi è il quotidiano locale 'Trentino' 12:29 Sawiris: "Serve governo di unità nazionale" 38 – Le proteste di piazza hanno spinto imprenditori, intellettuali e giuristi egiziani a elaborare una loro proposta per risolvere la crisi politica del Paese. Stando a quanto precisato al Financial Times da Naguib Sawiris, l'uomo più ricco d'Egitto, Presidente esecutivo di Orascom e Wind Telecom, e in Italia di Wind Telecomunicazioni, la proposta prevede di affidare maggiori poteri al vicepresidente Omar Suleiman, di sciogliere il parlamento e di dare vita a un nuovo governo di unità nazionale, formato da esponenti dell'opposizione e tecnici. 12:27 Clinton: "Voci su attentato a Suleiman evidenziano rischi" 37 – Le notizie sui tentativi di omicidio contro il vicepresidente egiziano Omar Suleiman mettono "in forte rilievo le sfide che stiamo affrontando mentre navighiamo attraverso questo periodo" di transizione: lo ha detto il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, ma una fonte della sicurezza egiziana ha smentito le voci sui due tentativi di assassinio del vicepresidente egiziano. 12:22 Movimento di piazza Tahrir forma gruppo politico comune 36 – I manifestanti di piazza Tahrir hanno unito le loro forze dando vita a un nuovo gruppo politico deputato ad esprimere la posizione collettiva del movimento. Del gruppo fanno parte l'Associazione per il Cambiamento Nazionale di El Baradei, esponenti del partito di sinistra Tagammu, il leader dei Fratelli Musulmani Mohamed Beltagy e il leader del partito liberale Ghad Ayman Nour. Il nuovo gruppo continua a chiedere le dimissioni di Mubarak e il riconoscimento del diritto a tenere dimostrazioni pacifiche. 12:21 Migliaia di manifestanti in piazza Tahrir, situazione tranquilla 35 – Al dodicesimo giorno della rivolta contro il regime di Mubarak, decine di migliaia di manifestanti sono anche oggi in piazza Tahrir, al Cairo. La situazione appare tranquilla. L'esercito presidia gli accessi al luogo simbolo della rivolta e nella zona circostante ci sono check point ogni 200 metri. 12:15 Clinton: "Status quo insostenibile" 34 – ''Lo status quo è semplicemente insostenibile'': lo ha detto il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, riferendosi alla situazione in Egitto 12:11 Gasdotto, sospesa per una settima na erogazione gas in Giordania 33 – L'erogazione del gas proveniente dall'Egitto è stata interrotta in Giordania in seguito all'esplosione che ha interessato il gasdotto egiziano. La sospensione è prevista per una settimana. Una fonte interna al settore energetico ha riferito alla Reuters che la Giordania ha inoltre temporaneamente e a titolo precauzionale chiuso alcune sue centrali dopo la sospensione dell'erogazione del gas egiziano che genera l'80 per cento del fabbisogno di energia elettrica nel Paese. 12:04 Esplosione gasdotto, Netanyahu: "Israele sa fare fronte a situazione" 32 – Israele è in grado di far fronte alla situazione creatasi con l'esplosione nel gasdotto egiziano ad el-Arish, nel Sinai settentrionale. Lo ha affermato il primo ministro Benyamin Netanyahu, al termine di una mattinata di serrate consultazioni con il ministro dell'energia Uzi Landau e con responsabili alla sicurezza 11:50 Alle 15 manifestazione a Roma anti Mubarak 31 – Si terrà alle ore 15 a Piazza della Repubblica a Roma una manifestazione a sostegno della popolazione egiziana su iniziativa del gruppo dei Giovani Musulmani d'Italia. Lo riferiscono fonti del movimento, spiegando che anche domani si prevedono dimostrazioni. 11:27 Clinton: "In M.O. tempesta perfetta. Attenzione a rischio regime autoritario" 30 – Il Medio Oriente sta attraversando una "tempesta perfetta" e i leader della regione devono rapidamnente avviare vere riforme democratiche altrimenti il rischio è di instabilità ancora maggiore. I processi di transizione verso la democrazia, come quello in corso in Egitto, comportano anche ''rischi'': la transizione può essere ''caotica'', può ''provocare instabilità di breve periodo'' e può anche riportare il Paese in un ''altro regime autoritario'': Lo ha detto il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, durante il suo intervento alla 47/ma conferenza internazionale sulla sicurezza, in corso a Monaco di Baviera. 11:25 Cameron: "In Egitto serve transizione rapida" 29 – "In Egitto serve una transizione rapida per arrivare a una situazione di stabilità il più presto possibile: più si aspetta, più aumentano i rischi". Lo ha detto il premier britannico David Cameron durante il suo intervento alla conferenza internazionale sulla sicurezza, in corso a Monaco di Baviera. 11:17 New York Times: "Mubarak potrebbe andare in Germania" 28 – Secondo il New York Times, il presidente Hosni Mubarak potrebbe volare in Germania per una visita medica, come ha già fatto altre volte, per poi però rimanerci. Sarebbe questo il piano del neo vice-presidente Omar Suleiman, l'uomo sul quale Washington punta per stabilizzare e riformare il Paese nordafricano. Mubarak si sottoporrebbe a un consueto check up medico e si fermerebbe più a lungo del solito in Germania. Un'altra soluzione è che il longevo presidente si ritiri nella sua residenza estiva a Sharm el Sheikh, secondo il quotidiano americano, che cita fonti anonime del governo Usa. L'obiettivo è chiaro: Mubarak deve lasciare al più presto il palazzo presidenziale, ma non il suo incarico per ora. 11:10 Merkel: "Voto precoce in Egitto non è soluzione migliore" 27 – Andare ad elezioni rapidamente, in Egitto, all'inizio del processo di riforma democratica, non è probabilmente la soluzione migliore. Lo ha detto il cancelliere tedesco, Angela Merkel. ''Votare subito, all'inizio del processo di democratizzazione, è probabilmente l'approccio sbagliato'', ha osservato dinanzi ai rappresentanti di 70 Paesi, riuniti a Monaco di Baviera, per la Conferenza Internazionale sulla Sicurezza. 11:09 Previste due manifestazioni ad Alessandria 26 – Oggi ad Alessandria di Egitto dovrebbe tenersi due manifestazioni, una verso mezzogiorno l'altra a metà pomeriggio. Anche ad Alessandria, come al Cairo, i manifestanti si sono impegnati a proseguire le agitazioni sino a quando il presidente Mubarak non rassegnerà le dimissioni. 11:04 El Baradei pronto a trattare con esercito su transizione 25 – Il leader dell'opposizione e Premio Nobel per la Pace Mohamed El Baradei è pronto a trattare con lo Stato maggiore dell'esercito egiziano per favorire "una transizione senza spargimento di sangue". "Vorrei discutere con i capi dell'esercito - ha detto in un'intervista allo Spiegel - preferibilmente in tempi rapidi per valutare come arrivare a una transizione senza spargimento di sangue". El Baradei ha quindi rinnovato il suo appello al Presidente egiziano Hosni Mubarak perché lasci la guida del Paese: "Ci sarà senza dubbio un paese arabo pronto ad accoglierlo. Ho sentito parlare del Bahrein". 11:01 Obama insoddisfatto lavoro intelligence 24 – Il Presidente americano Barack Obama non è soddisfatto del lavoro svolto dall'intelligence americana nel prevedere e analizzare le proteste in corso nel Medio Oriente. Lo riferiscono diversi funzionari Usa al New York Times, precisando che il presidente non ha comunque preso provvedimenti contro la comunità dei servizi segreti, che ha un budget di oltre 80 miliardi di dollari l'anno. 10:51 Mubarak convoca prima riunione nuovo Governo 23 – Il presidente egiziano Hosni Mubarak ha convocato per oggi la prima riunione del nuovo governo. Mubarak ha convocato il premier Ahmad Chafic, il governatore della banca centrale e i ministro del Petrolio, della Solidarietà sociale, delle finanze e del commercio, come ha riferito l'agenzia Mena. Nessuna indicazione è stata data sui contenuti dell'incontro. 10:50 Onu: "Volontà del popolo deve essere rispettata" 22 – Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha detto che ''la volontà del popolo deve essere rispettata'': un appello fatto dinanzi ai 350 partecipanti alla 47esima Conferenza sulla Sicurezza a Monaco di Baviera, chiaramente rivolto alle proteste del mondo arabo 10:46 Merkel: "Cambiamento in Egitto deve essere pacifico e ordinato" 21 – Il cancelliere tedesco, Angela Merkel, ha detto il cambiamento politico in Egitto deve essere pacifico e ordinato. ''Ci sarà un cambiamento in Egitto...ma un cambiamento che deve essere pacifico e ordinato'', ha detto a Monaco di Baviera. 10:34 È dell'ambasciata Usa pulmino che tavolse manifestanti 20 – Appartiene all'ambasciata america al Cairo il pulmino bianco che ha travolto decine di manifestanti il 28 gennaio scorso, come mostra un video pubblicato su Youtube. È quanto ammettono i diplomatici americani precisando però che il veicolo, come un'altra ventina in dotazione all'ambasciata, è stato rubati durante la rivolta. 10:26 Esplosione gasdotto, Netanyahu segue sviluppi 19 – Il premier Benyamin Netanyahu segue da vicino gli sviluppi legati alla esplosione nel gasdotto egiziano ad el-Arish (Sinai settentrionale), ed è impegnato in consultazioni. Secondo la radio di stato, nel timore di attentati Israele ha già rafforzato nei giorni scorsi le misure di sicurezza nelle sue infrastrutture strategiche, sia nel proprio territorio sia in mare. 10:24 Ammonta a circa 70 miliardi di dollari patrimonio famiglia Mubarak 18 – Il patrimonio della famiglia Mubarak ammonta a circa 70 miliardi di dollari (oltre 50 miliardi di euro): esperti del Medio Oriente, citati dall'Abc, riferiscono di ricchezze depositate in banche svizzere e britanniche e di proprietà immobiliari a Londra, Parigi, Madrid, Dubai, New York, Washington Los Angeles e sul Mar Rosso. Si tratta di un patrimonio accumulato soprattutto attraverso i contratti militari siglati durante gli anni in cui Mubarak era un ufficiale dell'esercito; una volta arrivato alla presidenza, nel 1981, diversificò i suoi investimenti. Secondo gli esperti, la moglie, Suzanne, e i due figli si sono arricchiti anche stringendo accordi di partnership con investitori e aziende straniere, quando il capo dello Stato era ancora nelle file dell'esercito. 10:18 Domate le fiamme del gasdotto 17 – ''Sono state domate le fiamme del gasdotto di El Arish e non si registrano vittime per l'esplosione''. È quanto ha reso noto una fonte del governatorato del Sinai egiziano, citata dalla tv satellitare 'al-Arabiya'. 10:13 Merkel: "Occidente si schieri con i dimostranti" 16 – Il mondo occidentale deve appoggiare i dimostranti in Egitto in nome delle libertà universali che tutti i paesi sono tenuti a rispettare. Lo ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel, durante il suo intervento alla conferenza internazionale sulla sicurezza, in corso a Monaco di Baviera. ''Chi saremmo se non ci schierassimo con queste persone, che stanno dicendo apertamente ciò che li angoscia?'', si è chiesta la Merkel. 09:56 Mubarak potrebbe rifuggiarsi in Montenegro 15 – Una volta lasciato l'Egitto Mubarak potrebbe rifugiarsi in Montenegro. È questa l'ipotesi del quotidiano di Podgorica, Dan, alla luce degli stretti interessi economici che legano la famiglia e i fedelissimi del rais alla piccola Repubblica adriatica. Il figlio di Mubarak, Jamal "lo scorso anno ha siglato un contratto con il governo montenegrino per realizzare un esclusivo complesso turistico vicino Tivat" osserva il giornale. Un progetto in cui il miliardario egiziano, Nagib Saviris, proprietario della società di telecomunicazione Orascom, "ha annunciato che investirà 1,1 miliardi di euro" scrive Dan. 09:54 Esplosione gasdotto, nessuna ripercussione immediata in Israele 14 – In Israele non si prevedono ripercussioni immediate in seguito alla esplosione verificatasi nel gasdotto della compagnia egiziana Emg di el-Arish, nel Sinai settentrionale. 09:45 Sventato attentato a Suleiman 13 – Un tentativo di assassinare il vice presidente egiziano Omar Suleiman sarebbe stato sventato nei giorni scorsi. È quanto rivela oggi l'americana Foxnews, citando fonti che precisano che nell'attacco sarebbero rimaste uccise due guardie del corpo dell'ex capo dell'intelligence egiziana. Una fonte dell'amministrazione Obama ha confermato, si legge sul sito dell'emittente americana, che l'attentato è avvenuto subito dopo la nomina di Suleiman a vice presidente, il 29 gennaio scorso. E si sarebbe trattato di un attacco al corteo delle sue auto. 09:29 Esplosione gasdotto, presa di mira parte giordana 12 – L'attacco al gasdotto egiziano è stato opera di ''elementi stranieri'' che hanno preso di mira il tratto della struttura che trasporta gas verso la Giordania, ha detto alla Reuters un responsabile locale della sicurezza. Dal canto suo, anche la Radio israeliana ha confermato che l'esplosione non ha interessato la partedella struttura diretta in Israele e che l'interruzione del flusso è stata una decisione presa a titolo precauzionale 09:19 Mubarak incontra ministri economici 11 – Il presidente egiziano Hosni Mubarak incontra i ministri economici del nuovo governo. Lo riferisce l'agenzia Mena 09:18 Esplosione gasdotto: "Atto di sabotaggio" 10 – L'esplosione al gasdotto fra Egitto e Israele nella cittadina di El Arish è un atto di sabotaggio. Lo hanno detto fonti del governatorato del nord Sinai, spiegando che l'esplosione di questa mattina non ha provocato né vittime né feriti perché l'installazione è distante dal centro abitato. Le fonti hanno spiegato anche che l'incendio che è scoppiato dopo l'esplosione è stato domato. 09:16 Manifestanti bloccano carri armati a piazza Tahrir 9 – Decine di dimostranti hanno cercato di impedire ai carri armati dell'esercito di lasciare piazza Tahrir, nel centro del Cairo, per timore di altre violenze dopo Gli scontri di mercoledì e giovedì con i sostenitori di Mubarak 09:15 Francia blocca vendita di armi a Egitto 8 – Il governo francese afferma di aver sospeso le autorizzazioni di esportazioni di materiale bellico verso l'Egitto: la decisione, secondo quanto riferito dal gabinetto del primo ministro Francois Fillon al sito on line di Le Monde, è diventata operativa il 27 gennaio scorso. Forse dettata dalle polemiche sulla fornitura di bombe lacrimogene francesi alla Tunisia, la sospensione riguarda anche tutto il materiale necessario al mantenimento dell'ordine pubblico e gli esplosivi. 09:14 Sospeso flusso di gas da Egitto a Israele 7 – L'Egitto ha sospeso il flusso di gas verso Israele, in seguito all'esplosione nel gasdotto che collega i due paesi a El Arish nel Sinai. Lo riferisce la televisione di stato egiziana. 09:12 Rilasciati attivisti di Amnesty e Human rights watch 6 – Due attivisti di Amnesty international, il ricercatore di Human rights watch, Daniel William e due giornalisti stranieri sono stati rilasciati ieri dalle autorità egiziane. Lo riferisce oggi Human rights watch (Hrw) in un comunicato, in cui sollecita l'immediato rilascio dei colleghi egiziani ancora in stato di arresto. 09:11 El Baradei: "Pronto a presidenza se lo vuole la gente" 5 – Il leader dell'opposizione egiziana Mohamed El Baradei si è detto pronto a correre per la presidenza del paese a condizione che "lo voglia la gente". Tuttavia, in un'intervista alla tv araba al Jazeera, elbaradei ha preisato che "la mia priorità" in questo momento "è la transizione verso un regime democratico". 09:07 Ministro Finanze egiziano chiede scusa a giornalisti 4 – Il neo ministro egiziano della Finanze Samir Radwan in una intervista alla CNN ha presentato le sue scuse per i tutti i casi di "maltrattamenti" ai giornalisti e ai manifestanti da parte delle forze dell'ordine egiziane. "Voglio presentare le mie scuse a tutti i giornalisti, tutti gli stranieri e tutti gli egiziani che sono stati vittime di maltrattamenti", ha detto Radwan, nominato ministro lunedì scorso, 31 gennaio. 09:07 Esplosione in un gasdotto nel Sinai 3 – Attacco contro un gasdotto che rifornisce Israele nel nord del Sinai, al confine tra Egitto e lo stato ebraico. Lo riferiscono un responsabile e l'emittente araba al Jaazera. 09:06 Arrestato il direttore dell'ufficio di al Jazeera 2 – Il direttore dell'ufficio di al Jazeera al Cairo e uno dei suoi giornalisti sono stati arrestati, il giorno dopo un saccheggio che ha colpito la sede: lo riferisce l'emittente satellitare del Qatar. Le autorità egiziane hanno già vietato dal 30 gennaio all'emittente araba di coprire le rivolte contro il presidente hosni mubarak e di lavorare in egitto. Al jazeera ha da sempre relazioni tese con il governo egiziano. 09:03 Dodicesimo giorno di proteste 1 – La 'rivoluzione' egiziana entra nel suo 12mo giorno, mentre per tutta la notte ed oggi all'alba i dimostranti hanno sfidato ancora il coprifuoco a piazza Tahrir, diventata l'epicentro della rivolta al Cairo, e ad Alessandria. Le proteste nel corso della notte sono state in generale pacifiche, ma al Jazeera ha riportato questa mattina all'alba la polizia ha sparato in aria nella piazza della capitale. Il coprifuoco era stato accorciato di tre ore, diventato dalle 7 di sera alle 6 del mattino. (05 febbraio 2011)
2011-02-04 Diretta E' il "venerdì della partenza" Gli islamisti: "Non ci candideremo" E' il "venerdì della partenza" Gli islamisti: "Non ci candideremo" Ancora un giorno di proteste e incertezza in Egitto. Scade oggi l'ultimatum delle opposizioni al rais perché abbandoni il potere. La giornata, scandita dalla preghiera, è stata ribattezzata da El Baradei il "venerdì della partenza". Ma il presidente, intervistato dalla Abc, dichiara di non poter abbandonare il potere, altrimenti i Fratelli musulmani prevarranno. L'organizzazione islamista nega ogni intenzione di presentarsi alle presidenziali. Consiglio europeo straordinario dei capi di Stato e di governo a Bruxelles. Arrestati e rilasciati due inviati italiani (Aggiornato alle 14:26 del 04 febbraio 2011) 14:26 Pillay: "Liberare subito i giornalisti" 54 – L'alto commissario dell'Onu per i diritti umani Navy Pillay ha chiesto oggi alle autorità egiziane la liberazione "immediata e senza condizioni" di tutti i giornalisti e difensori dei diritti umani arrestati per aver esercitato la propria professione. L'alto commissario ha denunciato le violenze, gli atti intimidatori e le misure di detenzione contro "dozzine" di giornalisti, in un "tentativo manifesto di soffocare le notizie su quanto sa accadendo in Egitto". Internet e gli altri mezzi di comunicazione "devono restare aperti" 14:24 El Baradei: "Mubarak cerca di prolungare regime tossico" 53 – Mubarak sta solo cercando di prolungare la vita del suo regime tossico. Così Mohamed El Baradei parla ai microfoni di 'Newshour', programma della Bbc. Il leader dell'opposizione egiziana risponde al discorso pronunciato ieri da Mubarak, nel quale il presidente avvertiva: "Se mi dimettessi ora potrebbe scatenarsi il caos". "E' solo il racconto di un dittatore. Deve comunque andarsene tra sei mesi e dovremo comunque passare per lo stesso processo, una transizione di potere" ha dichiarato El Baradei. "Se oggi potrebbe scatenarsi il caos, perché non dovrebbe esserci tra 6 mesi, quando la legge lo costringerà a lasciare?" 14:22 Libano, slitta fatwa in difesa dei cristiani 52 – La Fatwa che equipara gli attacchi contro i cristiani agli attacchi ai musulmani e ai loro luoghi di culto "è pronta" e la sua emanazione "è stata rimandata a causa del cambiamento della situazione politica in Libano e dei rivolgimenti in Egitto" ma "non è in discussione". E' quanto ha assicurato Mohammad Sammak, cosegretario generale del Comitato nazionale di dialogo islamo-cristiano del Libano, consigliere politico del Gran Mufti del Libano e tra gli estensori della Fatwa. A margine di una conferenza stampa presso la Comunità di Sant'Egidio, Sammak ha spiegato che hanno collaborato alla stesura della Fatwa "l'Egitto, l'Arabia Saudita, la Giordania, la Palestina e la Siria" mentre il provvedimento ha valore per tutto il mondo musulmano 14:17 Pillay: "Accertare se violenze sono state pianificate" 51 – E' necessario avviare indagini per capire se le violenze di mercoledì in piazza Tahrir, al Cairo, "sono state pianificate" e chi siano gli eventuali responsabili. Lo chiede ancora l'alto commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay. La Pillay ha sottolineato che in questa fase urgono indagini "trasparenti e imparziali" sui violenti scontri tra manifestanti dell'opposizione e sostenitori del presidente egiziano, Hosni Mubarak, registrati al Cairo nei giorni scorsi. "Il primo ministro egiziano, Ahmed Shafiq, si è scusato per le violenze di mercoledì", ha affermato l'alto commissario. "Accolgo con favore questo pubblico riconoscimento, unico nella storia recente dell'Egitto, che le autorità hanno fallito nel loro compito di proteggere la popolazione", ha aggiunto la Pillay, auspicando che "l'Egitto inizi le riforme necessarie per promuovere i diritti umani e la democrazia" 14:15 Sostenitori Mubarak si radunano nei pressi di piazza Tahrir 50 – Manifestanti pro-Mubarak si stanno radunando nei pressi di piazza Tahrir, dove sono concentrati i dimostranti che chiedono la fine del regime. Lo afferma Al Jazeera 14:13 Hacker attaccano sito che aggira censura egiziana 49 – Un sito con sede in Marocco che ha offerto agli egiziani un programma in grado di scavalcare la censura su internet è stato attaccato stanotte e reso inaccessibile da hacker sconosciuti. Lo ha indicato il responsabile Francesco Landogna all'agenzia Afp, precisando che "alle 4 del mattino qualcuno è entrato nel sito e lo ha reso non operativo ". Il sito Wall5 aveva proposto in questi giorni agli internauti egiziani una applicazione in grado di scavalcare lo stop della censura messo in piedi dalle autorità 14:04 Pillay: "Cambiamento in corso, come in Tunisia" 48 – Il cambiamento è in "corso in Egitto, come è avvenuto in Tunisia, ma le violenze e gli spargimenti di sangue devono finire". Lo ritiene l'alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Navi Pillay, che invita le autorità del paese ad ascoltare la voce del popolo. "I governi devono ascoltare la loro popolazione e mettere in pratica i loro obblighi in materia di diritti umani", ha spiegato Pillay durante una conferenza stampa, "i regimi che privano la loro popolazione dei diritti fondamentali e si basano su un apparato di sicurezza spietato per imporre la loro volontà, sono condannati a cadere sul lungo termine" 13:47 Due milioni al Cairo, uno ad Alexandria 47 – Secondo valutazioni di fonti giornalistiche vi sarebbero in piazza Tahrir al Cairo due milioni di persone che chiedono che Mubarak lasci, mentre ad Alessandria sarebbero un milione. 13:44 Marocco, piratato sito che permetteva di aggirare censura 46 – Un sito magrebino in Marocco, che offriva agli internauti egiziani un programma che permette di aggirare la censura sulla rete, è stato vittima di un attacco informatico "sofisticato" che l'ha reso inaccessibile. Lo ha indicato il suo responsabile alla France Presse. 13:42 Media ribattezzano ricolta: è 'rivoluzione del loto' 45 – Dopo la "rivoluzione dei gelsomini" in Tunisia, anche gli egiziani traggono ispirazione da un fiore per ribattezzare la rivolta contro Hosni Mubarak. "Sotto il segno del Loto": è questo il titolo scelto dal quotidiano egiziano Ahram, uno dei più letti del Paese, per celebrare le proteste iniziate il 25 gennaio. Un omaggio alla purezza della rivoluzione del Cairo, di cui il fiore di loto è simbolo per eccellenza, specie nelle tradizioni orientali. 13:38 Preso di nuovo d'assalto l'ufficio di Al Jazeera 44 – L'ufficio di Al Jazeera al Cairo è stato nuovamente preso d'assalto da uomini sconosciuti, che hanno devastato la sede. Lo riferisce la stessa emittente araba, finita nel mirino per la sua copertura delle dimostrazioni anti-governative in Egitto. 13:32 Si dimette portavoce ufficiale di Al-Azhar 43 – Mohamed Refaa El-Tahtawy, il portavoce ufficiale di Al-Azhar, ha annunciato le sue dimissioni dalla massima istituzione religiosa musulmana in Egitto. El-Tahtawy si è quindi recato nella centrale piazza Tahrir per unirsi ai manifestanti che chiedono le dimissioni del presidente Hosni Mubarak, da 30 anni al potere. 13:26 Amr Moussa guida mediazione tra manifestanti e governo 42 – Il segretario generale della Lega Araba, Amr Moussa, è alla guida di una delegazione di alte personalità egiziane che cerca di mediare tra manifestanti e governo. Lo riferisce la tv satellitare 'al-Arabiya'. 13:22 Maroni: "Rivolte nel Maghreb fanno salire rischio terrorismo in Italia e in Europa" 41 – Le rivolte nel Maghreb fanno salire il rischio del terrorismo in Italia e in Europa, con la possibilità che uomini di al Qaida si infiltrino tra i flussi di clandestini: la vigilanza è quindi "altissima". Lo ha detto il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, a Cracovia in Polonia per una riunione con i ministri del G6. La minaccia, ha riferito, "è determinata dalla possibilità che riprendano flussi di clandestini tra i quali potrebbero esserci infiltrati di al Qaida nel Maghreb. Questa associazione terroristica - ha aggiunto - sta pensando infatti di sfruttare l'instabilità nell'Area per avere un peso maggiore negli assetti politici, nonchè infiltrare propri membri nelle comunità di connazionali presenti nei paesi europei". La vigilanza dunque, ha concluso, "è altissima" 13:03 Onu chiede ad autorità indagini trasparenti e imparziali su violenze 40 – L'alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Navi Pillay, ha esortato le autorità egiziane a condurre indagini "trasparenti e imparziali" sulle recenti violenze nel Paese. 12:59 Amr Moussa in piazza Tahrir 39 – Il segretario generale della Lega Araba, Amr Moussa, si è recato a piazza Tahrir. Lo ha annunciato la tv araba 'al-Jazeera', secondo la quale durante la protesta i manifestanti hanno anche fermato un ufficiale della polizia, accusato di essere un provocatore, e mostrando il tesserino che lo identifica come membro delle forze dell'ordine. 12:39 Farnesina: "Transizione sia rapida e pacifica" 38 – In Egitto è necessaria ''una transizione pacifica e il più rapida possibile per venire incontro alla richieste democratiche delle societa' civile e delle forza dell'opposizione''. È questa la posizione della Farnesina che, sulla situazione egiziana, torna a ribadire la forte condanna ad ogni tipo di violenza. ''Guardiamo al processo - ha sottolineato il portavoce della Farnesina Maurizio Massari - non alle personalità, nel pieno rispetto della ownership egiziana''. 12:24 Manifestazione pro Mubarak a Giza 37 – Oltre 3.000 persone stanno partecipando a una manifestazione in sostegno del presidente Hosni Mubarak a Giza, terza città dell'Egitto. Lo riferisce Al Jazira. 12:19 Adiconsum: "Subito fondo per risarcimento turisti" 36 – Subito un Fondo paritetico per il pronto risarcimento in caso di mancate tutele dei viaggiatori. Lo ritiene opportuno l'Adiconsum che, in merito all'emergenza Egitto, è pronta, con le sue sedi territoriali, ad assistere i consumatori. Adiconsum e le altre associazioni di consumatori hanno concordato insieme ad Astoi (Associazione Tour operator) e Assotravel (Associazione Agenzie di viaggio), la linea di condotta da adottarsi in caso di "sconsiglio" a viaggiare emesso dalla Farnesina. 12:16 Buzek: "Stabilità meno importante della democrazia" 35 – La stabilità è meno importante della democrazia. È il senso del discorso fatto dal presidente del Parlamento europeo, Jerzy Buzek, ai 27 leader europei in apertura di Consiglio a Bruxelles. La ''lezione imparata con la Tunisia'' puo' essere ''applicata all'Egitto e all'intera'' area, ha aggiunto Buzek che ha affermato un principio di base: ''La stabilità conta, ma un vicinato stabile eè meno importante che avere un vicinato stabilmente democratico''. 12:04 Cristiani copti temono presa di potere gruppi islamici 34 – I cristiani copti hanno protestato contro il presidente Hosni Mubarak diverse settimane prima che esplodesse la protesta al Cairo, ma oggi temono che le loro condizioni di vita possano peggiorare senza Mubarak alla guida dell'Egitto. Da Alessandria, molti copti confessano di ritrovarsi a pregare perché il governo di Mubarak duri il più possibile, temendo una possibile presa di potere da parte dei Fratelli musulmani e di altri gruppi islamici. 12:01 Liberato inviato de Le Soir 33 – Serge Dumont, l'inviato speciale al Cairo di 'Le Soir', il principale quotidiano francofono belga, è stato liberato ieri a tarda sera. Era stata 'preso in consegna' mercoledì scorso - come racconta oggi lo stesso Dumont sulle colonne del suo giornale - da due militari in borghese mentre assisteva a una manifestazione pro-Mubarak. 12:00 Alexandria: musulmani in preghiera, cristiani li proteggono 32 – Decine di migliaia di persone si sono radunate nel centro di Alessandria per protestare contro il governo. Durante la preghiera, riferisce Al Jazira, i cristiani hanno creato una catena umana per proteggere i musulmani da eventuali provocazioni. 11:53 Ue: "Stop a violenze, transizione sia rapida" 31 – Un forte appello a evitare nuove violenze e a dare inizio ad ''una transizione rapida e ordinata'' in Egitto è lanciato dai leader della Ue, nella bozza di conclusioni del vertice. I leader, che seguono con preoccupazione la situazione, dichiarano ''inaccettabile'' ogni repressione della libertà di stampa, incluse le aggressioni e le intimidazioni ai giornalisti''. L'invito rivolto dai leader della Ue all'alto rappresentante della politica estera europea, Catherine Ashton è quello di sviluppare un pacchetto di misure di sostegno della Ue al processo di transizione e trasformazione dell'Egitto, con particolare riferimento al rafforzamento delle istituzioni democratiche, alla promozione di governance economica e giustizia sociale e l'assistenza alla preparazione e allo svolgimento di libere e giuste elezioni. 11:51 Al -Jazeera: "Un milione in piazza Tahrir" 30 – Sono già un milione i manifestanti riuniti in piazza Tahrir per chiedere le dimissioni del presidente egiziano Hosni Mubarak. Lo ha annunciato la tv araba 'al-Jazeera'. I manifestanti ascoltano il sermone di un imam, rispettando quindi in piazza i riti del venerdì islamico. 11:48 Militari egiziani mettono al sicuro 18 giornalisti 29 – I militari egiziani hanno ''messo al sicuro'' 18 giornalisti ''catturati da malviventi'' e li hanno portati in un luogo ''sicuro''. Lo ha annunciato oggi la tv di Stato egiziana, scrive Cnn online. Nel comunicato non è stato chiarito a quali testate appartengano e di quale nazionalità siano i 18 reporter citati. Diverse testate, dalla Bbc ad Al Arabiya, come anche Washington Post e la stessa Cnn, hanno denunciato aggressioni e fermi. 11:39 Piazza Tahrir: migliaia in preghiera, poi :"Via Mubarak" 28 – Centinaia di migliaia di persone hanno partecipato alla preghiera in piazza Tahrir, al Cairo, al termine della quale sono ripresi gli slogan contro il governo: "Mubarak via, Mubarak via", grida l'imponente folla. Nel sermone è stato sottolineato che "la protesta dei giovani è diventata nazionale e cristiani e musulmani hanno manifestato insieme". 11:20 Fratelli musulmani pronti a dialogo dopo dimissioni Mubarak 27 – La guida dei Fratelli Musulmani, Mohamed Badie, ha dichiarato oggi all'emittente panaraba al Jazeera di essere pronto al dialogo con il vice presidente Omar Suleiman, ma solo dopo le dimissioni del presidente Hosni Mubarak. 11:19 Rilasciati quattro giornalisti francesi 26 – Quattro giornalisti francesi - tre membri di una troupe della tv Tf1 e un cronista del quotidiano Le Figaro -, arrestati ieri al Cairo, sono stati rilasciati questa mattina. Lo rendono noto gli stessi due media francesi. Già ieri sera erano stati rilasciati tre giornalisti della tv all news France 24, che erano stati arrestati mentre giravano un reportage non lontano da Alessandria. 11:17 Arrestati e rilasciati due inviati Manifesto e Panorama 25 – Due giornalisti italiani, Michele Giorgio del Manifesto e Giovanni Porzio di Panorama, sono stati arrestati in Egitto e rilasciati dopo essere stati interrogati. Lo ha riferito lo stesso Michele Giorgio. "Ci hanno fermato dei civili, molto giovani, che brandivano bastoni e coltelli", ha raccontato Michele Giorgio al telefono. "Poi ci hanno preso i passaporti, e lì abbiamo cominciato a temere, e ci hanno trasportato su un furgone fino a un comando locale dell'esercito". Dopo essere stati spostati da un locale all'altro ed essere stati interrogati, i giornalisti sono stati rilasciati. 11:08 Esercito occupa hotel Intercontinental Semiramis 24 – ''L'esercito ha occupato l'hotel Intercontinental Semiramis. Viene proibito ad ogni ospite dell'albergo di uscire, di affiacciarsi alle finestre o ai balconi''. Lo ha raccontato l'inviato del Sole 24 Ore in Egitto, Alberto Negri, in diretta con Radio24. ''Stanno arrestando tutti i giornalisti e i cittadini stranieri - ha aggiunto - hanno arrestato Giovanni Porzio di Panorama e Michele Giorgio del Manifesto. Praticamente non ci si può avvicinare a piazza Tarhir''. 11:06 Manifestanti saccheggiano villaggi SOS Alexandria e il Cairo 23 – I Villaggi SOS di Alessandria e Il Cairo sono stati invasi da gruppi di manifestanti nel tentativo di saccheggio. Amr Aboelazayem, direttore di SOS Villaggi dei Bambini in Egitto, ha riferito che tutti i bambini e gli operatori sono rimasti illesi. Invece, il durettore del Villaggio SOS di Alessandria è rimasto ferito e ora si trova in ospedale. SOS Villaggi dei Bambini accoglie più di 300 bambini e ragazzi all'interno dei tre Villaggi SOS egiziani, rispettivamente ad Alessandria, Il Cairo e Tanta. 11:03 Iran, Ali Khamenei: "Abbattere traditore Mubarak" 22 – La Guida suprema iraniana, ayatollah Ali Khamenei, ha incitato oggi il popolo egiziano a continuare nella sollevazione per abbattere il presidente Hosni Mubarak, affermando che egli ha ''tradito il suo popolo'', è un ''nemico dei Palestinesi'' e ''il più grande protettore del regime sionista'', cioé di Israele. 11:01 Berlusconi: "Speriamo in transizione senza rotture" 21 – "Mi auguro che si possa avere continuità di governo" nella transizione, "Mubarak ha già annunciato che né lui né i suoi figli si presenteranno alle elezioni". Lo ha detto il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, rispondendo ai cronisti che chiedevano se il presidente Mubarak dovesse lasciare. "Confido e credo - ha continuato il premier italiano - che tutti gli occidentali pensino la stessa cosa che ci possa essere in Egitto una transizione ad un sistema più democratico senza rotture con un presidente come Mubarak che da tutto l'occidente, Stati Uniti in testa, è stato sempre considerato l'uomo più saggio ed un punto di riferimento preciso per tutto il Medio oriente". 10:58 Razzo anticarro contro sede della Sicurezza dello stato a El Arish 20 – Un razzo anticarro del tipo rpg è stato sparato contro la sede della Sicurezza dello stato nella città di El Arish, nel Sinai, non lontano dalla frontiera con la Strsicia di Gaza. Lo dicono testimoni e fonti della sicurezza. 10:54 Berlusconi: Mubarak uomo saggio 19 – "Mi auguro che possa esserci una continuità di governo nella transizione e auspico che avvenga una transizione democratica senza rotture con il presidente Mubarak, che tutto l'Occidente, Usa in testa, considerano un uomo saggio". E' quanto ha dichiarato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi al suo arrivo al vertice Ue a Bruxelles, dove si affronterà anche la situazione in Egitto. 10:48 Iran cavalca la protesta 18 – La guida suprema iraniana ha definito la rivolta in corso in Egitto come una "movimento di liberazione islamico" 10:45 Berlusconi: transizione senza rottura 17 – Il premier italiano da Bruxelles commenta così la cirsi egiziana: "Spero in una transizione senza rottura con Mubarak" 10:35 Fratelli musulmani, blitz e arresti 16 – Irruzione dell'esercito nella sede del sito internet dei Fratelli Musulmani, primo partito di opposizione egiziano. Arrestati alcuni militanti 10:27 Iran: "Gli Usa saranno sconfitti" 15 – "La più importante motivazione" della sollevazione popolare in Egitto E in altri Paesi arabi è eliminare "la dipendenza dagli Stati Uniti". Lo ha detto oggi la Guida suprema iraniana, ayatollah Ali Khamenei, aggiungendo che se questo movimento sarà capace di continuare nel suo percorso, "per gli Americani sarà una sconfitta irreparabile". 10:16 Cameron: "Serve transizione trasparente" 14 – "Quello che chiediamo all'Egitto è garantire una transizione trasparente e credibile": lo ha detto il premier britannico, David Cameron 10:14 Merkel: "Garantire manifestazioni pacifiche" 13 – L'egitto garantisca manifestazioni "libere e pacifiche": lo ha chiesto la "cancelliera" tedesca Angela Merkel 10:09 Mosca: "Inaccettabile repressione giornalisti" 12 – Mosca ha definito "inaccettabile" la repressione dei giornalisti che coprono la crisi in Egitto, tra cui una troupe tv russa. 10:05 Ministro della Difesa in piazza 11 – Il ministro egiziano della difesa, Mohamed hussein tantawi, si è recato questa mattina a piazza Tahrir, epicentro delle contestazioni contro il regime e il presidente Hosni Mubarak 09:52 Manifestazioni anche a Alessandria, Luxor e Assiut 10 – Manifestazioni contro il presidente egiziano Hosni Mubarak sono in programma non solo al Cairo, ma anche nelle città di Alessandria, Luxor e Assiut. 09:48 Appello Ue per dialogo e transizione 9 – I leader europei, che oggi discuteranno degli ultimi sviluppi in Cairo, lanceranno un appello alle autorità egiziane perchè si proceda sulla strada del "dialogo nazionale", verso "la transizione". "Ieri sera ho parlato con il vice presidente Omar Suleiman", ha detto la Ashton al suo arrivo al consiglio Ue. "Sembra che ci sia un movimento verso un dialogo nazionale. Questo movimento deve continuare per procedere verso la transizione". OS 04-FEB-11 09:49 NNNN 09:41 Esercito in piazza 8 – Unità dell'esercito si sono posizionate intorno a piazza Tahrir, al Cairo, per evitare nuovi incidenti tra i contestatori del presidente Hosni Mubarak e i suoi sostenitori. 09:28 Khamenei: "Proteste riflesso della nostra rivoluzione" 7 – Le proteste in diversi Paesi arabi, in particolare in Egitto, sono "un riflesso" della rivoluzione islamica del 1979 in Iran. Lo ha detto oggi la Guida suprema iraniana, ayatollah Ali Khamenei, parlando alla preghiera del venerdì a Teheran. 09:19 Piazza Tahair si riempie 6 – Sta cominciando a riempirsi di manifestanti piazza Tahrir, nel centro del Cairo, dove oggi l'opposizione, per il venerdì di preghiera, spera di radunare una grande mobilitazione battezzata "giorno della partenza".L'atmosfera sembra per ora relativamente calma. 08:39 Protesta nel "venerdì della partenza" 5 – Più di un milione di egiziani scenderanno in piazza in quello che è stato definito da Mohamed El Baradei il "venerdì della partenza". Il leader della protesta paficica in Egitto aveva chiesto le dimissioni del presidente Hosni Mubarak entro la giornata di oggi. Dopo le preghiere del venerdì comincerà la grande marcia "per un Egitto senza regime". Il premier Ahmed Shafiq, citato dall'agenzia Mena, ha chiesto al ministro dell'Interno, di on ostacolare con la violenza la protesta pacifica. In un colloquio telefonico con il suo omologo americano Mike Mullen, il capo di Stato maggiora dell'esercito egiziano, generale Sami Enan, ha assicurato che l'esercito non sparerà sui manifestanti. 08:39 Nyt: Usa discutono dimissioni Mubarak 4 – L'amministrazione Obama sta discutendo con alcuni funzionari egiziani alcune proposte per le dimissioni immediate di Hosni Mubarak. Lo ha rivelato il New York Times, spiegando che al presidente egiziano subentrerebbe il suo vice Omar Suleiman, nominato durante la massiccia protesta che sta scuotendo il Paese. Il vicepresidente guiderebbe, con il sostegno dei militari, un governo di transisione. Suleiman, con il sostegno del capo delle forze armate, il generale Sami Enan e quello del ministro della Difesa Mohamed Tantawi, inizierebbe immediatamente un processo di riforme cotituzionali. Il governo di transizione dovrà avere il beneplacito della potente organizzazione del Fratelli Musulmani. Alti funzionari americani hanno detto che una serie di opzioni è in fase di discussione con i funzionari egiziani per convincere Mubarak a dimettersi subito. 08:38 Mubarak: "Il Paese piomberebbe nel caos" 3 – "Voglio lasciare, ma il Paese piomberebbe nel caos se mi dimettessi ora". Così Hosni Mubarak in una intervista all'Abc, in cui il presidente egiziano ha anche smentito di aver manovrato i suoi sostenitori contro i manifestanti anti-governativi. "Sono stufo di fare il presidente e vorrei abbandonare il mio incarico, ma non posso... Ho paura che il Paese finirebbe nel caos", ha detto il rais. "L'ho detto anche al presidente Obama: non conosci la cultura egiziana e non sai che cosa succederebbe se lasciassi ora", ha aggiunto. "Non voglio vedere egiziani che combattono contro altri egiziani", ha detto a proposito dei violentissimi scontri di mercoledì nel centro del Cairo tra manifestanti e suoi sostenitori, per i quali, ha affermato, "il governo non ha alcuna responsabilità". 08:37 Fratelli musulmani: non correremo per presidenza 2 – I Fratelli musulmani non hanno intenzione di correre per la presidenza egiziana. Lo ha annunciato, in una intervista ad Al Jazeera, un leader del principale gruppo d'opposizione messo al bando dal governo, Mohammed al-Beltagi. Il leader ha rivelato inoltre che rappresentanti del governo attuale hanno invitato il gruppo a colloqui sulle riforme politiche, promettendo che sarà riconosciuto come partito. "Siamo pronti a negoziare dopo la fine del regime di Mubarak. Abbiamo detto chiaramente che non ambiamo ambizioni di correre per la presidenza o per spazi in una coalizione di governo", ha detto al-Beltagi. 08:36 Consiglio europeo straordinario 1 – Si tiene oggi a Bruxelles un Consiglio europeo straordinario dei capi di Stato e di governo con un'agenda che continua a mutare con il passare delle ore. Inizialmente concepito per discutere solo della politica energetica dell'Ue, negli ultimi giorni, la priorità più urgente è diventata quella di discutere e prendere una posizione 'aggiornata' sulla 'rivoluzione democratica', accesa con la scintilla tunisina e ora in corso in Egitto. (04 febbraio 2011)
2011-02-03 diretta Cairo, cecchini sparano sulla folla Caccia ai giornalisti stranieri Cairo, cecchini sparano sulla folla Caccia ai giornalisti stranieri Dopo le violenze di ieri, i fedelissimi del presidente sparano nella notte tra la folla che continua a presidiare piazza Tahrir, luogo simbolo della rivolta. Almeno tredici i morti negli scontri notturni. Anche oggi il bilancio si aggrava: per Al Jazeera due persone sono state uccise, molti i feriti. E uno straniero sarebbe stato picchiato a morte a piazza Tahrir. Stamane i carri armati dell'esercito tentavano di tenere separate le due fazioni. Diverse le aggressioni ai giornalisti stranieri, nel mirino dei fedelissimi del presidente. Arrestati delegati di Human Rights Watch e di Amnesty. Il vicepresidente Suleiman cerca un'intesa per la transizione, puntando a un rederendum popolare su un pacchetto di riforme. No anche dai Fratelli musulmani. Il raìs non sembra intenzionato a lasciare immediatamente il potere, malgrado le pressioni internazionali. Suleiman offre all'opposizione elezioni ad agosto e dice che la richiesta di dimissioni di Mubarak è un incitamento al caos. Obama: "Preghiamo che sorga un giorno migliore in Egitto". La Ue valuta sospensione degli aiuti economici. (Aggiornato alle 18:25 del 03 febbraio 2011) 18:25 Suleiman: "Richiesta dimissioni di Mubarak è incitazione al caos" 102 – Omar Suleiman ha respinto la richiesta di dimissioni di Hosni Mubarak. Le esortazioni dei manifestanti all'uscita di scena del rais, ha detto il vicepresidente egiziano in un'intervista televisiva, sono una "incitazione al caos" 18:21 Suleiman: "Non mi candiderò, basta influenze straniere" 101 – Il vicepresidente egiziano, Omar Suleiman, ha annunciato che non intende candidarsi alle prossime elezioni presidenziali. In una lunga intervista alla tv di Stato l'ex capo dei servizi segreti ha anche denunciato "interferenze straniere nei nostri affari", un evento, ha chiarito, "inaccettabile e che non sarà consentito". Il riferimento è alle pressioni degli Stati Uniti e di altri Paesi occidentali a favore di una "transizione immediata" in Egitto. 18:19 Suleiman: "Turisti in fuga, danni pesanti per l'economia" 100 – "Un milione di turisti stranieri che si trovavano nel paese ha lasciato l'Egitto negli ultimi nove giorni". E' quanto ha affermato il vice presidente Omar Suleiman in un 'intervista alla tv di stato. Questa crisi ha prodotto danni incalcolabili al settore del turismo - ha aggiunto - e in generale ha avuto contraccolpi pesanti in tutti i settori dell'economia. Più andrà avanti e maggiori saranno i danni per il paese". I danni calcolati dal vice presidente egiziano solo al settore del turismo "sono quantificabili in un miliardo di dollari". 18:14 Suleiman: "Richiesta deposizione Mubarak estranea al popolo egiziano" 99 – La richiesta di deporre il presidente egiziano Mohammad Hosni Mubarak è una richiesta estranea al popolo egiziano. Lo ha detto il vice presidente Omar Suleiman in un'intervista alla tv di Stato egiziana. 18:07 Suleiman: "Caos è complotto di paesi stranieri e fratelli musulmani" 98 – I disordini egiziani sono frutto di un "complotto" ordito da "Paesi stranieri, dai fratelli musulmani e da alcuni partiti": lo ha affermato oggi il vice presidente egiziano, Omar Suleiman, in un'intervista alla tv di Stato egiziana. 18:04 Suleiman: "Infiltrati a piazza Tahrir" 97 – Tra i manifestanti pacifici di piazza Tahrir ci sono stati infiltrati: lo ha affermato oggi il vice presidente egiziano Omar Suleiman in un'intervista televisiva rilasciata alla tv di Stato. 18:03 Suleiman: "Elezioni probabilmente ad agosto" 96 – 'Le elezioni presidenziali si terranno prima di settembre, possibilmente ad agosto. Lo ha detto il vice presidente egiziano, Omar Suleiman, in una intervista alla tv egiziana. 18:02 Bbc denuncia su twitter sequestro equipaggiamento 95 – "La sicurezza egiziana ha sequestrato l'equipaggiamento della Bbc all'Hilton del Cairo nel tentativo di impedirci di trasmettere". Lo ha denunciato la stessa emittente britannica su Twitter. 18:02 Suleiman invita fratelli musulmani al dialogo 94 – Il vicepresidente egiziano, Omar Suleiman, rivolgendosi al paese in tv, ha invitato espressamente i Fratelli Musulmani al dialogo con il governo. 17:34 Due giornaliste del Washington Post arrestate 93 – Due giornaliste del Washington Post sono nel gruppo dei giornalisti stranieri, in tutto una ventina, arrestati dal ministro degli Interni egiziano. Lo ha dichiarato il capo redattore degli Esteri del quotidano americano, Douglas Jehl, spiegando che diversi testimoni hanno visto il capo dell'ufficio del Cairo, Leila Fadel, e la fotografa Linda Davidson tra i giornalisti fermati. "A quanto sappiamo stanno bene ma sono in stato di fermo ed abbiamo rivolto immediatamente una protesta alle autorità del Cairo e a Washington", ha detto, a quanto si legge sul sito. 17:23 Onu, decine di funzionari hanno lasciato l'Egitto 92 – Decine di funzionari delle Nazioni Unite hanno lasciato l'Egitto perchè la situazione nel Paese sta diventando sempre più instabile. Lo ha detto all'Ansa Farhan Haq, portavoce del Palazzo di Vetro. "Dall'Egitto è partito un primo aereo diretto a Cipro, con circa 150 persone a bordo", ha spiegato Haq. "In tutto - ha aggiunto - saranno circa 400 a lasciare il Paese, e questo numero comprende i funzionari e le loro famiglie". 17:21 Cnn denuncia aggressione dei suoi giornalisti da parte di manifestanti pro-Mubarak 91 – L'emittente americana Cnn ha reso noto che alcuni suoi giornalisti in servizio al Cairo sono stati attaccati da manifestanti pro-Mubarak, e sono state sequestrate e distrutte le registrazioni e i filmati che avevano appena girato per le strade della capitale egiziana. L'inviato della Cnn Anderson Cooper, che ieri era stato malmenato dai manifestanti, ha riferito che oggi la situazione al Cairo "è molto più pericolosa per i giornalisti". 17:19 Telefonata Medvedev-Mubarak 90 – Il presidente russo Dmitry Medvedev ha parlato al telefono con il presidente egiziano Mubarak auspicando che il paese possa trovare una soluzione pacifica. Lo rende noto il Cremlino. 17:09 Italiani sequestrati al checkpoint, poi rilasciati 89 – Sequestrati a un checkpoint, poi rilasciati solo grazie all'insistenza dei diplomatici australiani che erano con loro. E' l'esperienza vissuta da Stefano Lazzaro, un padovano che si trova al Cairo, e dalla compagna Francesca. "Eravamo in tre su un taxi, ci hanno fermati e sequestrati. Siamo stati portati in caserma, ci hanno tolto tutto. Lì con noi c'erano anche dei diplomatici australiani; quando i militari hanno deciso di rilasciarli, loro li hanno convinti a lasciar andare anche noi" ha raccontato Lazzaro, al telefono con Tmnews. 16:59 Arrestato delegato di Human Rights Watch 88 – Un delegato di Human Rights Watch, insieme ad altri operatori dei diritti umani tra cui il dipendente di Amnesty International, è stato prelevato dal centro Hisham Mubarak Law al Cairo dalla polizia militare. Il gruppo è stato portato in una località sconosciuta. Lo rende noto Amnesty sul suo sito internet. 16:57 Due giornalisti turchi aggrediti 87 – Un giornalista turco è stato picchiato e un altro è stato molestato, questa mattina al Cairo, durante le manifestazioni in corso vicino piazza Tahrir: lo ha riferito l'agenzia Anatolia. 16:57 Fmi condanna le violenze in Egitto 86 – Il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) condanna le violenze in corso in Egitto e segue l'evolversi della situazione. Lo ha detto Caroline Atkinson, direttore delle pubbliche relazioni del Fondo osservando che "l'andamento economico del paese dipenderà dagli sviluppi della situazione politica". 16:56 Al Jazeera: "Cecchini sui tetti sparano sulla folla" 85 – La tv Al Jazeera ha riferito che "cecchini" appostati su tetti sparano sulla folla a piazza Tahrir al Cairo. 16:54 Ministero Esteri: 13 i morti negli scontri di ieri notte 84 – Il ministero degli esteri egiziano, citato dall'emittente Al Jazeera in inglese, afferma che sono almeno 13 le persone morte e circa 1.200 quelle rimaste ferite negli scontri della notte. 16:53 Ue non esclude sospensione aiuti a Egitto, se necessario 83 – L'Unione europea non esclude la possibilità di ricorrere alla sospensione degli aiuti bilaterali con l'Egitto, se fosse necessario, per costringere le autorità egiziane ad avviare "immediatamente" quella transizione politica che si ritiene necessaria per rispondere alle legittime aspirazioni del popolo egiziano. Lo rilevano a Bruxelles diverse fonti europee, riferendo che nel periodo tra il 2011 e il 2013, la Ue prevede un aiuto bilaterale all'Egitto pari a 449 milioni di euro. 16:50 Fermati giornalisti polacchi 82 – Due équipe giornalistiche polacche sono state fermate oggi nel centro del Cairo, secondo quanto riferisce l'agenzia Pap precisando che una delle due è di nuovo libera mentre sull'altra non ci sono informazioni al momento. 16:43 Al Jazeera: Camionetta polizia investe manifestanti 81 – La tv araba Al Jazeera ha mostrato le immagini di una camionetta della polizia egiziana che ha investito diversi manifestanti nel centro del Cairo. I manifestanti stavano che protestando contro il governo del presidente Hosni Mubarak. Dalle immagini trasmesse dall'emittente del Qatar si vede il veicolo che irrompe sui manifestanti da una via laterale di piazza Tahrir. 16:42 Al Jazeera: "Due morti, feriti a piazza Tahrir" 80 – E' di due morti e un ferito il bilancio di una sparatoria avvenuta poco fa in piazza Tahrir, al Cairo. Lo riferisce la tv araba Al Jazeera, secondo la quale sarebbero esplosi alcuni colpi d'arma da fuoco contro i manifestanti dell'opposizione. 16:36 Fnsi: "Giornalisti ormai asserragliati negli alberghi" 79 – "Sono allarmanti le notizie che dal Cairo arrivano sulla situazione dei giornalisti e delle troupe impegnati a dar conto della rivolta egiziana. I nostri colleghi italiani fanno sapere di essere ormai asserragliati in albergo, impossibilitati persino ad affacciarsi ai balconi, mentre gruppi di teppisti hanno già devastato gli uffici di emittenti arabe che hanno sede vicino a loro". Lo afferma in una nota la Fnsi. 16:33 Fonti mediche: "Ucciso uno straniero al Cairo" 78 – Fonti mediche hanno riferito che al Cairo è rimasto ucciso uno straniero 16:22 Merkel: "Attacchi a manifestanti devono finire subito" 77 – La cancelliere tedesca Angela Merkel ha detto che gli attacchi contro i manifestanti al Cairo "devono finire subito": in una conferenza stampa a Madrid con il premier spagnolo Josè Luis Zapatero, la cancelliera ha aggiunto che "il presidente e il governo dell'Egitto hanno la responsabilità di garantire il diritto di protesta pacifica e la libertà di informazione'. 16:20 Giornalisti nel mirino, alcuni feriti 76 – Due giornalisti greci, un inviato del principale quotidiano Kathimerini e un fotografo dello stesso giornale, sono rimasti feriti durante gli scontri di ieri al Cairo, ma nessuno dei due corre pericolo di vita. Lo riferiscono i media mentre altri due corrispondenti di Al Jazeera sono stati aggrediti da un gruppo di facinorosi al caos delle manifestazioni, in base a quanto riferisce la stessa tv qatariota. Oggi i media riferiscono di due giornalisti del New York Times finiti in manette anche se il governo ha detto che i due "sono stati messi in custodia cautelare". 16:13 Amnesty: "Arrestato al Cairo nostro dipendente" 75 – La polizia egiziana ha arrestato un dipendente francese di Amnesty International al Cairo. Lo ha annunciato l'organizzazione internazionale con sede a Londra. 16:12 Sostenitori Mubarak a caccia di giornalisti stranieri 74 – Sostenitori di Mubarak hanno preso d'assalto alcuni hotel del Cairo alla caccia di giornalisti stranieri. Lo dice la tv Al Arabiya. 16:10 Aperto fuoco contro manifestanti, feriti 73 – E' stato aperto il fuoco poco fa contro i manifestanti che si trovano in piazza Tahrir. Secondo quanto riferisce la tv araba A Jazeera, ci sarebbero diversi feriti. Al momento non è chiaro se abbiano sparato i militari o i sostenitori del presidente Hosni Mubarak. 15:57 Soros: "Obama segua i suoi valori per aiutare rivoluzione" 72 – "Le rivoluzioni solitamente iniziano con l'entusiasmo e finiscono con le lacrime. In Medio Oriente le lacrime potranno essere evitate se il presidente Obama rimarrà fermo nel difendere i valori in base al quale è stato eletto". Così, in un articolo sul Washington Post, George Soros esorta gli Stati Uniti ad insistere nel chiedere che "i governanti corrotti e repressivi che non sono più tollerati dal proprio popolo si dimettano e lascino che nuovi leader vengano eletti in elezioni libere e corrette", con un chiaro riferimento quindi ad Hosni Mubarak. 15:56 Casi di avvelenamento alimentare a piazza Tahrir 71 – Casi di avvelenamento da cibo tra i manifestanti che si trovano in piazza Tahrir sono stati segnalati nelle ultime ore dalla tv di stato. Il notiziario della televisione ha dato notizie di 18 casi di avvelenamento alimentare, probabilmente in seguito a acqua o alimenti inquinati o avariati. Indagini sono state disposte per chiarire le cause dell'episodio. 15:55 Ban Ki Moon: "Transizione immediata e stop a violenze contro giornalisti" 70 – Ban Ki-moon ha chiesto che "la transizione (in Egitto) deve cominciare subito" e ha fatto appello alla moderazione a tutte le parti. Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban si è detto "preoccupato per l'aumento della violenza. Ho chiesto a tutte le parti di impegnarsi senza esitazione in un processo per l'ordinata e pacifica transizione in Egitto", sottolineando che "gli attacchi violenti contro manifestanti pacifici sono completamente inaccettabili". Ban ha anche difeso la la libertà di espressione sia per sia i manifestanti sia per i giornalisti. 15:42 Bloccate persone con cibi e bevande verso piazza Tahrir 69 – Soldati e agenti della sicurezza in abiti civili hanno bloccato oggi persone che si dirigevano verso piazza Tahrir, nel centro del Cairo, con cibi e bevande per i manifestanti. Lo ha riferito all'Ansa una testimone oculare, Shahira Mehrez, dottoressa ed ex docente presso l'Università di Ain Shams, fermata mentre raggiungeva con un piccolo pacco contenente panini e acqua minerale alcuni suoi congiunti che manifestano in piazza Tahrir. 15:42 Premier: "Nè Mubarak nè il figlio si presenteranno alle prossime elezioni" 68 – Il vicepresidente egiziano, Omar Soleiman, ha annunciato alla tv pubblica che nè il presidente, Honsi Mubarak, nè suo figlio Gamal si presenteranno alle prossime elezioni presidenziali. 15:33 Farnesina: "Garantire sicurezza giornalisti" 67 – "Sin dai primi momenti della crisi in Egitto, la Farnesina, su istruzioni del Ministro Frattini, sottolinea, anche in relazione all' appello dell' Usigrai, che attraverso l' Unità di Crisi, il Servizio Stampa, e la rete diplomatico-consolare nel Paese, vengono mantenuti costanti contatti con tutti i rappresentanti degli organi di informazione presenti in Egitto, con particolare riguardo all' evolversi delle condizioni di sicurezza". E' quanto si legge in una nota del ministero degli Esteri. "Prioritaria attenzione ai giornalisti italiani è stata riservata anche da parte del funzionario dell'Unità di Crisi inviato sul posto - prosegue la nota -. In tale contesto, viene continuativamente svolta un'azione di sensibilizzazione presso le Autorità egiziane, a tutti i livelli sia a Roma che al Cairo, affinchè venga presa ogni misura necessaria a garantire adeguatamente la sicurezza dei giornalisti, che debbono poter esercitare il loro diritto di cronaca in una cornice che assicuri efficacemente tanto la loro incolumità quanto la loro assoluta libertà". 15:23 Procura blocca uscita dal Paese e fondi degli ex ministri 66 – Il procuratore generale egiziano ha emesso un decreto bloccando l'uscita dal Paese e i fondi di tre ex ministri, fra i quali quello dell'interno, Habib El Adly, e del segretario generale del Pnd, il partito di Mubarak, Ahmad El Ezz. 15:14 Appello Usigrai a Frattini: "Garantire sicurezza giornalisti" 65 – Appello dell'Usigrai al ministro degli Esteri, Franco Frattini, per la sicurezza dei dipendenti Rai impegnati in Egitto. In una nota il segretario del sindacato dei giornalisti della tv pubblica, Carlo Verna, parla di "uffici delle tv devastati, attrezzature sequestrate a colleghi della Rai anche dalla stessa security degli alberghi, nostri giornalisti e tecnici insieme ad altri sotto assedio". 15:11 Obama: "Prego per giorni migliori per l'Egitto" 64 – Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha detto oggi di pregare "per giorni migliori" per l'Egitto. "Siamo anche preoccupati per la violenza che vediamo in Medio Oriente - ha aggiunto -. Preghiamo che la violenza in Egitto abbia fine e i diritti e le aspirazioni del popolo egiziano possano essere realizzati. E che un giorno migliore sorga sull'Egitto e sul mondo intero". 14:49 Premier: "Mubarak uscirà di scena in modo degno" 63 – "Il presidente egiziano, Hosni Mubarak, uscirà di scena ma lo farà in modo degno". E' quanto ha affermato il premier egiziano, Ahmed Shafiq, nel corso della conferenza stampa al Cairo, trasmessa dalla tv di stato. "C'è chi vuole seguire per forza l'esempio della Tunisia - ha affermato - ma non bisogna fare necessariamente allo stesso modo". 14:48 Vodafone: "Obbligati a mandare sms a sostegno di Mubarak" 62 – Il governo egiziano ha obbligato Vodafone ed altri operatori di telefonia mobile ad inviare ai propri abbonati sms di sostegno al presidente Hosni Mubarak o per chiamare a raccolta, come è successo il 2 febbraio, i suoi sostenitori. E' quanto denuncia la società telefonica definendo "inaccettabile" quanto fatto dall'esecutivo di Ahmed Shafiq che "grazie ai poteri emergenziali previsti dalla Telecom Act può costringere Mobinil, Etisalat e Vodafone ad inviare messaggi agli egiziani. E lo hanno fatto dall'inizio delle proteste bypassando le stesse società di telecomunicazione". 14:34 Premier: "Violenze di ieri non si ripeteranno, chiedo scusa" 61 – "Prometto che le violenze avvenute ieri in piazza Tahrir al Cairo non si ripeteranno". E' quanto ha affermato il premier egiziano Ahmed Shafiq, nel corso della conferenza stampa tenuta oggi nella capitale egiziana, e trasmessa dalla tv di Stato. "Chiedo scusa per le violenze di ieri - ha aggiunto - indagheremo e puniremo i responsabili delle aggressioni e vedremo se si tratta di attacchi preordinati o no". 14:16 Usa: "Campagna concertata contro giornalisti stranieri" 60 – Il Dipartimento di Stato americano ha espresso oggi la sua "condanna" per quella che ritiene essere in Egitto una "campagna concertata per intimidire i giornalisti" stranieri. 14:05 Premier pronto ad andare a piazza Tahrir 59 – Il primo ministro egiziano, Ahmed Shafiq, si è detto pronto ad andare in piazza Tahrir, teatro delle contestazioni al regime, per discutere con i manifestanti. Lo ha detto lo stesso premier in dichiarazioni citate dall'agenzia di stampa Mena. Shafiq ha detto alla stampa locale e araba "di aver parlato per telefono la notte scorsa con un certo numero di giovani dimostranti di piazza Tahrir e si è detto pronto ad andare sul posto per parlare con loro", scrive la Mena. 13:59 Sacro convento Assisi: "Preoccupati, cessi la violenza" 58 – "In merito ai tragici eventi che si stanno verificando in Egitto in questi giorni il Sacro Convento di Assisi e tutta la comunità francescana conventuale è preoccupata e auspica che cessi la violenza, che venga rispettata la volontà della popolazione egiziana e che le richieste di libertà e democrazia siano accolte pacificamente senza spargimento di sangue - dichiara il Custode del Sacro Convento di Assisi, padre Giuseppe Piemontese. 13:58 Primo ministro egiziano pronto a discutere con i manifestanti 57 – ll primo ministro egiziano, Ahmed Shafiq, si dice pronto a discutere con i manifestanti. Lo riferisce la tv. 13:43 Intensa sparatoria intorno a piazza Tahrir 56 – Alcuni spari sono stati uditi nei pressi di piazza Tahrir, al Cairo. Lo riferiscono alcuni giornalisti dell'Afp sul posto. Al Arabiya parla di colpi d'artiglieria pesante 13:42 Shafiq: "Canale di Suez funziona regolarmente" 55 – Il canale di Suez sta operando normalmente: lo ha assicurato il premier egiziano, Ahmed Shafiq, al decimo giorno di proteste in Egitto contro il regime. Dal canale di Suez passa l'8% del petrolio mondiale 13:36 Ayman Nour: "Nessun negoziato se c'è Mubarak" 54 – Anche l'ex candidato presidenziale Ayman Nour, leader del partito liberaldemocratico El Ghad e altra figura storica dell'opposizione egiziana, respinge l'offerta di colloqui con il vice presidente Omar Suleiman fino a quando rimarrà in carica il presidente Hosni Mubarak. "L'unica soluzione è che Mubarak lasci il potere"- ha dichiarato Nour all'agenzia stampa tedesca Dpa -non prenderò parte a questi colloqui". La stessa posizione è stata espressa dal premio Nobel Mohammed el Baradei e dai Fratelli Musulmani. Arrestato nel 2005 dopo essersi candidato alla presidenza, Nour è rimasto in carcere quattro anni. "Chiedo al mondo razionale di interferire per proteggere i dimostranti, e ciò vuol dire le Nazioni Unite" 13:34 Vescovi Maghreb: "Egitto, rivendicazione di libertà e dignità" 53 – La Conferenza dei vescovi della regione del nord Africa (Cerna, comprendente le chiese di Tunisia, Marocco, Libia e Algeria), che si è riunita ad Algeri dal 29 gennaio al 2 febbraio, riconosce "negli avvenimenti che stanno rivoltando l'Egitto e la Tunisia, una rivendicazione di libertà e dignità, in particolare da parte delle giovani generazioni della nostra regione, che si traduce nella volontà di riconoscere tutti come cittadini, e cittadini responsabili". E' quanto si legge in un comunicato finale della riunione firmato da mons. Vincent Landel, arcivescovo di Rabat e presidente del Cerna. Si tratta del primo pronunciamento ufficiale della Chiesa cattolica su quanto sta avvenendo in questi nei Paesi arabi. Era presente alla riunione anche un rappresentante del nunzio apostolico ad Algeri, don Piotr Tarnawki. Alla riunione ha poi preso parte anche monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo, "il più vicino rappresentante europeo al Maghreb" 13:31 Portavoce governo nega coinvolgimento negli scontri 52 – Il portavoce del governo egiziano, Magdy Rady, ha negato che "il governo abbia organizzato" le dimostrazioni dei sostenitori del presidente Mubarak degenerate in sanguinosi scontri che vanno avanti da ieri. "L'accusa è pura fiction, e mette a rischio la nostra capacità di riportare la calma" 13:21 Sostenitori Mubarak tentato assalto a sede Al Arabiya 51 – Una folla di persone ha circondato il palazzo che ospita la redazione del Cairo della tv satellitare Al Arabiya minacciando di prenderla d'assalto. Secondo quanto riferisce la stessa emittente araba, è stato chiesto l'intervento dell'esercito per proteggere i suoi giornalisti e gli altri operatori dell'informazione presenti nel palazzo, che si trova a pochi passi da piazza Tahrir. Si ritiene che la folla sia composta da sostenutori del presidente Mubarak 13:16 Premier giapponese ringrazia Berlusconi per aiuti rimpatrio 50 – Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha ricevuto oggi la telefonata del primo ministro del giappone, Naoto Kan, che lo ha ringraziato per l'assistenza che l'Italia sta assicurando al rimpatrio dei cittadini giapponesi 13:09 Akamai certifica black out internet 49 – Dalle 11.30 di giovedì 27 gennaio (ora italiana) fino all'alba di ieri: è un vero e proprio blackout di internet quello monitorato sulla rete di Akamai in Egitto. La società americana, che gestisce una rete globale per la distribuzione di contenuti digitali e applicazioni online con oltre 83 mila server su cui passa circa il 20% del traffico globale online, lo ha registrato attraverso la sua rete di server relativi alle connessioni internet nel Paese nordafricano 13:00 Stretta sui giornalisti in piazza Tahrir 48 – Un giornalista, il suo cameraman e il tecnico del suono della televisione pubblica polacca Tvp sono stati arrestati dalla polizia oggi al Cairo. Lo ha annunciato un responsabile del network, Piotr Krysiak. In precedenza, altri due cameraman di Tvp erano stati presi dalla folla e arrestati dai poliziotti vicino a piazza Tahrir, prima di essere rilasciati. Un cameraman della tv olandese NOS, Eric Feyte, è stato arrestato al Cairo mentre seguiva gli scontri in Piazza Tahrir. E' quanto scrivono alcuni blogger e utenti di Twitter. Sempre sui blog e sui social network, reporter e attivisti al Cairo scrivono che nelle ultime ore c'è stata una stretta sui giornalisti stranieri, alcuni parlano di una vera e propria 'caccia allo straniero'. Testimoni raccontano di almeno cinque giornalisti picchiati da uomini in borghese. La loro attrezzatura e il materiale girato sarebbe stato distrutto o sequestrato. Un inviato del New York Times, Nicholas Kristof, ha inoltre riferito di aver subito un tentativo di aggressione dopo aver intervistato con una videocamera alcuni manifestanti filogovernativi L'agenzia turca Anadolu scrive che manifestanti pro-Mubarak hanno aggredito e picchiato il giornalista turco della tv TRT Metin Turan, gli hanno rubato la videocamera, il denaro che aveva in tasca e il cellulare. Il reporter è riuscito a darsi alal fuga e si è infine rifugiato nell'ambasciata del suo paese. Un altro giornalista turco, il fotoreporter Isa Simsek, del quotidiano Zaman, è stato aggredito, ma è riuscito a mettersi in salvo. 12:58 Manifestazioni in corso a Suez e Mansura 47 – Manifestazioni di protesta contro il governo egiziano sono in corso a Suez, 130 chilometri a est del Cairo, e Mansura, 120 km a nordest della capitale. Lo riferisce Al Jazeera 12:52 Amnesty: "Scontri orchestrati dalle autorità, esercito guarda" 46 – All'indomani degli scontri provocati Al Cairo e in altre città del paese da gruppi organizzati di sostenitori filogovernativi, Amnesty International ha chiesto alle autorità egiziane di "proteggere il diritto di manifestazione pacifica". Una missione di ricerca dell'organizzazione, presente in questi giorni in Egitto, ha riferito che "la violenza è apparsa orchestrata dalle autorità, nel tentativo di sopprimere le proteste pacifiche in favore di riforme politiche". "L'esercito sembra stia venendo meno al suo impegno a proteggere i manifestanti pacifici - ha dichiarato Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International -. Il fatto che si consenta alle violenze di proseguire in presenza dei soldati, fa venire il dubbio che questi abbiano ricevuto ordini di non interferire" 12:47 Sono 22 i membri di Hezbollah evasi 45 – Sono 22 gli esponenti di una cellula Hezbollah evasi domenica scorsa, assieme a militanti palestinesi di Hamas, membri egiziani dei fratelli musulmani e migliaia di altri condannati, per un'evasione di massa nel corso di manifestazioni anti-governative. Lo riferiscono fonti della sicurezza. I membri di Hezbollah sono evasi dal carcere di Wadi Natroun, a nord del Cairo, abbandonato dai secondini. Un tribunale del Cairo ha condannato in aprile 26 persone per preparazione di attacchi sul canale di Suez e nella penisola del Sinai. Quattro sono stati processati in contumacia 12:46 Ban Ki-Moon: "Crisi può ripercuotersi su processo pace" 44 – La crisi in Egitto rischia di avere ripercussioni negative sul processo di pace in Medio Oriente. Lo ha detto alla Bbc il segretario generale dell'Onu Ban Ki-Moon, che dopodomani parteciperà a una riunione del Quartetto per il Medio Oriente a Monaco di Baviera. Ban ha detto anche che tutti i partiti politici in Egitto dovrebbero "sedersi insieme" per decidere il loro futuro e che l'Onu è disposto ad aiutarli 12:44 Rientrato emissario di Obama 43 – L'emissario personale del presidente Barack Obama, Frank G. Wisner, ha lasciato ieri sera il Cairo dopo soli due incontri, con il presidente Hosni Mubarak e il suo vice, Omar Suleiman. Lo riferisce il New York Times. "Pensiamo di aver fatto quello che potevamo", hanno reso noto funzionari Usa: "Hanno avuto dei colloqui e pensiamo siano arrivati dove potevano arrivare". Ieri la pressione americana sul Cairo si è fatta sentire direttamente: il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, ha chiamato il vicepresidente Suleiman, confermandogli che, secondo gli Usa, "la transizione deve iniziare subito". Il ministro della Difesa, Robert Gates, ha telefonato al suo omologo egiziano, così come il capo degli Stati maggiori americani, ammiraglio Mike Mullen 12:39 Sceicco di Al-Azhar propone università sede del dialogo 42 – "Venite tutti all'università di al-Azhar, che è la casa degli egiziani, potrete dialogare qui da noi ed evitare altre divisioni". E' l'invito dello sceicco di al-Azhar, Ahmed al-Tayeb, lanciato attraverso la tv di Stato. "Invito i manifestanti in piazza Tahrir a ritornare a casa dalle loro famiglie - ha affermato - venite da noi e avvieremo un dialogo tra governo e opposizione per ritrovare l'unità". La massima autorità religiosa islamica sunnita ha inoltre ricordato che "in un suo detto, il Profeta disse che se due musulmani combattono tra loro, sia l'assassino che la vittima vanno all'inferno" 12:34 Le banche riaprono lunedi, Borsa con orario ridotto 41 – Il premier Shafiq annuncia che lunedi 6 febbraio in Egitto riapriranno le banche. Riaprirà anche la Borsa egiziana, anche se, come anticipa il suo presidente, le ore di contrattazione saranno ridotte a tre rispetto alle consuete quattro. La Borsa è rimasta chiusa dal 27 gennaio a causa dell'esplodere della protesta popolare anti-Mubarak. Annunciate anche misure speciali a protezione del mercato, inclusi margini alle contrattazioni e limitazioni ai movimenti azionistici 12:33 Al Jazeera: 7 le persone uccise nella notte 40 – Sono sette le persone rimaste uccise dai colpi di arma da fuoco esplosi nella notte contro i manifestanti che da 10 giorni chiedono le dimissioni del presidente Mubarak da piazza Tahrir, al Cairo. Lo hanno riferito fonti ospedaliere citate dalla televisione araba Al Jazeera 12:15 Carri armati allontanano i lealisti di Mubarak 39 – Secondo testimoni citati dalla Reuters, al Cairo i carri armati dell'esercito hanno allontanato i sostenitori del presidente Mubarak dai dimostranti anti-governativi. Al Jazeera riferisce invece di una nuova sassaiola nei pressi di piazza Tahrir tra le due fazioni, separate da un cordone di militari che hanno creato uno spazio-cuscinetto di circa 80 metri. L'unico accesso e via di uscita per i manifestanti anti-governativi è a nord della piazza 12:05 Francia: non è prevista l'evacuazione dei connazionali 38 – La Francia non prevede "alcuna evacuazione" per la comunità francese residente in Egitto. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri, Michèle Alliot-Marie, chiedendo alle autorità di assicurare la protezione dei manifestanti e dei giornalisti 11:58 Iran, ayatollah Shirazi: "Rivolta contro dittatura filo-israeliana" 37 – La rivolta in corso in Egitto è un "valoroso" atto di giustizia e libertà destinato a mettere fine a "un'epoca nera di dittatura". Lo ha detto l'ayatollah iraniano Nasser Makarem Shirazi. "La valorosa rivolta del popolo egiziano contro una dittatura dipendente dall'Occidente e che sta dalla parte di Israele è indice del genio sociale, politico e religioso del popolo egiziano", ha detto Shirazi, citato dalla tv di stato Irib. Secondo il religioso, la gente che manifesta al Cairo chiede "giustizia, libertà, lo sradicamento della povertà e la fine dell'interferenza dei paesi stranieri nel determinare il destino dei musulmani" 11:49 Al Arabiya: "Delegati premier in piazza Tahrir per il dialogo" 36 – Secondo Al Arabiya, una delegazione di emissari del premier egiziano Ahmed Shafiq si recherà in piazza Tahrir nelle prossime ore per chiedere ai leader della rivolta di aderire al dialogo avviato dal vice presidente Omar Suleiman. Offerta già respinta dai vertici dei Fratelli Musulmani e da Mohammed El Baradei, che pongono come condizione l'uscita di scena di Mubarak. Il partito al-Wafd, che ieri si era detto disponibile al confronto, si dovrebbe riunire oggi per decidere quale posizione assumere 11:46 Manifestante scrive a Netanyahu: "Non siamo contro Israele" 35 – Un egiziano che partecipa alle manifestazioni di piazza contro il regime del presidente Mubarak si è rivolto al premier israeliano Benyamin Netanyahu, che ha un profilo su Facebook, per chiedergli di non sostenere più il presidente egiziano. Secondo il quotidiano Maariv, nel suo messaggio Mohammed Shauki Salman scrive: "Signor primo ministro, queste manifestazioni non sono contro Israele, noi onoriamo i nostri accordi. Le manifestazioni d'ira in Egitto sono contro il dittatore. Cessi di appoggiare Mubarak, sostenga invece il nostro sforzo di scegliere un nuovo regime che realizzi le nostre aspirazioni". "Noi crediamo nella pacifica coesistenza - prosegue - e abbiamo bisogno di un nuovo regime non per fare la guerra a Israele. Noi siamo contro i Fratelli Musulmani e contro un regime di tipo iraniano. La società egiziana è moderata. Non sventoli il diavolo iraniano contro la nostra rivolta che gioverà all'intera umanità" 11:30 No al dialogo dalla Coalizione nazionale per il cambiamento 34 – Un portavoce ha comunicato ufficialmente il no della Coalizione nazionale per il cambiamento, che raggruppa diverse forze d'opposizione tra cui i Fratelli musulmani, a negoziare con il governo prima che il presidente Mubarak se ne sia andato. "La nostra decisione è chiara. Dopo saremo pronti a trattare con Suleiman" dichiara all'Afp il portavoce Mohammed Aboul Ghar 11:25 Aise a Copasir: rafforzata vigilanza su interessi italiani 33 – E' stata rafforzata la vigilanza sui molteplici interessi italiani in Egitto e negli altri Paesi del Nordafrica e del Medio Oriente in rivolta. Aumentata anche la presenza dell'intelligence. E' quanto ha riferito, secondo quanto si apprende, il direttore dell'Aise, generale Adriano Santini al Copasir, in un'audizione di circa due ore. Il capo del servizio segreto esterno ha fatto il punto sulla situazione calda che interessa molti Paesi con i quali l'Italia ha consolidati rapporti, l'Egitto in testa, ma anche Tunisia, Algeria, Siria, Libano. Nazioni in cui tante aziende italiane hanno investito e che ora sono in fibrillazione 11:24 Fratelli Musulmani: "Rigettiamo ogni risultato dialogo" 32 – Mohammed al-Beltagi, membro dei Fratelli musulmani, ha fatto sapere che la sua organizzazione "rigetta qualunque risultato emerga dall'incontro" tra il governo egiziano e altre forze d'opposizione che sarebbero disponibili al dialogo, i liberali e il partito nazionalista Wadf 11:20 El Baradei: "No a dialogo finché c'è Mubarak" 31 – El Baradei spiega così il "no" al dialogo con il governo. "Per noi qualsiasi negoziato presuppone le dimissioni di Mubarak e anche il ripristino della sicurezza a piazza Tahrir" 11:14 Evaso da carcere egiziano terrorista di Hezbollah 30 – Un membro di Hezbollah in carcere in Egitto con l'accusa di pianificare azioni terroristiche è evaso, secondo quanto riferiscono fonti della sicurezza. Sami Chehab, condannato lo scorso aprile a 15 anni di prigione, è riuscito a fuggire domenica. Il leader libanese di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, aveva in precedenza identificato Chehab come membro di una cellula impegnata in un traffico di armi verso la striscia di Gaza attraverso l'Egitto 11:12 Sostenitori Mubarak violano zona cuscinetto 29 – Secondo un giornalista della France Presse presente sul posto, i sostenitori del presidente egiziano Hosni Mubarak hanno superato il cordone di sicurezza creato dall'esercito in piazza Tahrir, al Cairo, per tenerli a distanza dai manifestanti che da 10 giorni chiedono le dimissioni del capo dello Stato. Nella piazza ci sono stati scontri isolati e sono state lanciate pietre tra i due gruppi. I militari sono riusciti a evitare il contatto diretto, ma in una zona laterale della piazza i sostenitori di Mubarak hanno lanciato alcune molotov 11:08 No al dialogo da El Baradei e Fratelli Musulmani 28 – Mohamed El Baradei e i Fratelli musulmani respingono l'offerta di incontro proposta oggi dal premier Ahmed Shafiq e dal vicepresidente Omar Suleiman: "Prima deve andarsene Hosni Mubarak". Avrebbero invece accettato l'offerta i liberali, il partito nazionalista Wadf. Secondo altre fonti, ai colloqui parteciperebbero anche dei rappresentanti dei dimostranti di piazza Tahrir 10:49 Frattini: "Aprile, a Napoli vertice Mediterraneo" 27 – Napoli ospiterà ad aprile una riunione di ministri degli Esteri di Paesi del Mediterraneo: lo ha annunciato alla Camera il ministro degli Esteri, Franco Frattini, che è tornato a constatare il "fallimento" dell'Unione per il Mediterraneo, "un'iniziativa europea che avrebbe potuto essere utile in questo momento" per la crisi egiziana e che "non è stata in grado di dare alcun tipo di risultato concreto". Per questo il titolare della Farnesina ha rilanciato il ruolo dell'Italia, che ha assunto la presidenza di esercizio del Forum "5+5" di cui fanno parte dieci Paesi delle due sponde del Mediterraneo (Italia, Francia, Malta, Portogallo, Spagna, Algeria, Libia, Marocco, Mauritania e Tunisia). "Convocheremo una riunione dei ministri degli Esteri a Napoli ad aprile, un formato 5+5 che sarà esteso al Foro per il Mediterraneo a cui partecipa anche l'Egitto", ha annunciato Frattini nel corso dell'informativa alla Camera. Del Foro per il Mediterraneo fanno parte 11 Paesi delle due sponde del Mare Nostrum, tra cui, appunto, Egitto e Turchia 10:48 Suez, annunciata nuova manifestazione 26 – Alcuni gruppi di opposizione egiziani hanno annunciato per le 12 ora locale, le 11 in Italia, l'inizio di una nuova manifestazione a Suez contro il presidente Hosni Mubarak. Lo riferisce la tv satellitare Al Arabiya 10:39 Ue, Ashton: "Punire i responsabili delle violenze" 25 – catherine Ashton, responsabile della diplomazia Ue, chiede alle autorità egiziane di "giudicare i responsabili delle violenze avvenute al Cairo tra sostenitori di Mubarak e dimostranti anti-governativi". La Ashton rinnova l'invito a un immediato inizio della transizione democratica nel paese. "Il governo egiziano - afferma il capo della diplomazia Ue - è responsabile del benessere e della sicurezza del suo popolo. I responsabili delle azioni che hanno causato morti e feriti devono renderne conto ed essere processati". La signora Ashton, in particolare, denuncia "gruppi armati" che hanno "violentemente attaccato" pacifici dimostranti 10:35 Leader Ue: "Subito processo di transizione" 24 – In Egitto il "processo di transizione deve cominciare da subito". E' quanto si legge in una dichiarazione congiunta firmata dal presidente francese Sarkozy, dalla cancelliera tedesca Merkel, dal premier inglese Cameron, dal primo ministro spagnolo Zapatero e dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. "Assistiamo con estrema preoccupazione al deterioramento della situazione in Egitto - si legge nella nota congiunta -. Il popolo egiziano deve poter esercitare il proprio diritto a manifestare pacificamente, e beneficiare della protezione delle forze di sicurezza. Le aggressioni contro i giornalisti sono inaccettabili. Condanniamo tutti coloro che usano o incoraggiano la violenza, la quale non potrà che aggravare la crisi politica che attraversa l'Egitto. Solo una transizione rapida e ordinata verso un Governo che goda di ampio sostegno consentirà di superare le grandi sfide che l'Egitto si trova ad affrontare. Il processo di transizione deve cominciare adesso". 10:30 Premier Chafic: "Inchiesta su violenze in piazza Tharir" 23 – Il premier Ahmad Shafiq annuncia alla televisione pubblica che le violenze tra sostenitori di Mubarak e dimostranti anti-governativi in piazza Tahrir al Cairo, costate la vita a cinque persone, saranno oggetto di un'inchiesta. "Si è trattato di un errore fatale - ha dichiarato il primo ministro egiziano -. Quando le indagini riveleranno chi è dietro questo crimine e come è stato possibile che sia accaduto prometto che i responsabili saranno puniti per quanto hanno fatto". Shafiq ha concluso affermando che "non ci sono scuse che permettano di giustificare simili attacchi a pacifici manifestanti. Di questo chiedo scusa" 10:25 Premier Chafic: "Incontro con forze d'opposizione" 22 – La televisione di Stato cita anche il prmimo ministro Ahmad Shafiq. "Ci riuniremo oggi con i rappresentanti dei partiti d'opposizione e delle forze nazionali per trovare una via d'uscita alla siatuazione attuale" 10:13 Sondaggio: israeliani temono caduta di Mubarak 21 – La grande maggioranza degli israeliani pensa che la caduta del regime del presidente Hosni Mubarak in Egitto avrà effetti negativi sul loro paese, secondo un sondaggio pubblicato oggi dal quotidiano Yedioth Aharonoth di Tel Aviv. Rispondendo alla domanda sulle possibili ripercussioni su Israele nel caso di caduta di Mubarak, il 65% ha detto che saranno negative, l' 11% positive, il 9% nessun effetto. Circa il regime che emergerà in Egitto, il 59% pensa che sarà a carattere islamico, il 21% che sarà laico e democratico. Il sondaggio è stato condotto su un campione di 500 persone, rappresentativo della popolazione adulta israeliana. Margine di errore del 4,5% 10:11 Esercito crea zona cuscinetto per separare fazioni 20 – L'esercito egiziano sta organizzando una zona cuscinetto per evitare che tornino a contatto i sostenitori di Mubarak e i dimostranti anti-governativi. I fedelissimi del presidente si sono ripresentati questa mattina in piazza Tahrir armati di bastoni e coltelli. Secondo Al Arabiya e Al Jazeera, proseguono nei dintorni della piazza sporadici scontri, con l'esercito che ha ridispiegato i carri armati nel tentativo di creare un'argine tra le due fazioni 10:01 Tv di Stato: Suleiman avvia dialogo con opposizione 19 – Il vice presidente egiziano, Omar Suleiman, ha avviato un dialogo con alcune forze politiche e partiti di opposizione. Lo ha annunciato poco fa la tv di Stato egiziana, senza precisare chi stia incontrando Suleiman. Secondo la tv, il tema del vertice sono le riforme costituzionali. Nella giornata di ieri alcuni partiti storici dell'opposizione, come al-Wafd e i nasseriani, si erano detti disponibili a dialogare con Suleiman mentre i Fratelli Musulmani hanno respinto qualsiasi possibilità di dialogo 09:56 Frattini: "Assicurare il diritto a protesta pacifica" 18 – L'Egitto deve assicurare al popolo il "diritto di protestare pacificamente". Lo ha affermato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, nel corso dell'informativa alla Camera. "Ho manifestato (al vicepresidente egiziano, Omar Suleiman) la calorosa vicinanza italiana al popolo egiziano che sta chiedendo diritti e libertà e che attraversa un momento di difficoltà". Frattini ha assicurato la "piena disponsiblità dell'Italia a incoraggiare una transizione libera e pacifica, facilitando riforme costituzionali che potranno soddisfare le aspirazioni legittime popolo egiziano" 09:52 Frattini: "Patto europeo per sicurezza sud Mediterraneo" 17 – "Serve un patto europeo per la sponda sud del Mediterraneo che sostenga i diritti, la democratizzazione e la sicurezza, perché non possiamo permetterci il rischio che" il bacino del Mediterraneo "diventi transito di flussi di disperati". E' la proposta lanciata dal ministro degli Esteri Franco Frattini, che ha riferito, in aula alla Camera, sugli sviluppi della situazione in Egitto 09:49 Frattini: "Road map, Mubarak cerca accordo con opposizione" 16 – La road map prevede la "ricerca di un accordo politico con tutti i partiti per assicurare le riforme necessarie" per il Paese. Il ministro ha spiegato che il "principio che deve ispirare transizione deve essere dialogo con le opposizioni per riportare al più presto la calma e porre fine alle proteste e alle violenze che ieri hanno provocato molti feriti". Il governo egiziano "vuole perseguire un accordo con quei partiti che oggi non sono legittimati ad avere accesso in Parlamento e intende adottare in questa road map modifiche costituzionali e legislative che assicurino ampia rappresentazione politica" 09:47 Frattini: "Da Mubarak road map per la transizione" 15 – Nel corso dell'informativa in Aula alla Camera, il titolare della Farnesina ha annunciato il progetto del governo egiziano di avviare una "road map diretta a garantire una transizione pacifica del Paese verso un nuovo assetto della Costituzione". Obiettivo del presidente Hosni Mubarak è "evitare un vuoto di potere, scongiurare il rischio di un caos incontrollato o, peggio, una situazione prodromica a una vera e propria guerra civile" 09:45 Frattini: "Governo vuole referendum popolare su riforme" 14 – Il popolo egiziano "sarà chiamato a votare per un pacchetto di riforme che conterrà modifiche alla Costituzione e costituirà la base per le prossime elezioni". Lo ha annunciato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, che ieri ha avuto un colloquio con il vicepresidente egiziano, Omar Suleiman, in cui l'ex capo dei servizi segreti ha manifestato l'intenzione di indire un "referendum popolare" sulle "riforme costituzionali e del sistema elettorale" 09:43 Sostenitori di Mubarak armati verso piazza Tahrir 13 – Al Arabiya riferisce di sostenitori del presidente egiziano Mubarak, armati di "bastoni e coltelli", che si stanno dirigendo verso piazza Tahrir. Poco prima il canale aveva dato la notizia di alcuni autobus carichi di dimostranti arrivati nella capitale egiziana 09:43 El Baradei: "Contattato da leader della comunità internazionale" 12 – Il premio Nobel per la pace conferma di essere stato contattato negli ultimi giorni dal governo britannico e da altri leader della comunità internazionale. "Il messaggio che ho riferito loro è stato semplice: prima Mubarak lascia, meglio è per tutti e più velocemente si potrà ripristinare la normalità e la stabilità in Egitto e costituire una pietra angolare della democrazia in Medioriente" 09:41 El Baradei: "Venerdi in piazza nonostante violenze" 11 – Nonostante il bagno di sangue di mercoledi, El Baradei ribadisce l'appello ai propri sostenitori a scendere di nuovo in piazza domani. "Credo che venerdi sarà un gran giorno da questo punto di vista. Ma anche se questo non dovesse accadere, se i manifestanti saranno repressi e picchiati, non c'è alcuna possibilità di tornare indietro. Questa è una nuova era, basta guardare i manifestanti negli occhi. Gli egiziani hanno più fiducia, hanno assaporato la libertà e non vogliono tornare indietro" 09:40 El Baradei: "Dopo scontri negoziato impossibile" 10 – Commentando per il Guardian le violenze esplose in piazza Tahrir, El Baradei ha sottolineato come "questi atti criminali" abbiano reso impossibile qualsiasi ipotesi di aprire un negoziato con il governo. "Le violenze di ieri sono l'ennesima prova che il regime ha perso il senso comune. Non abbiamo alcuna intenzione di avviare un dialogo con questo regime finché il principale responsabile di tutto ciò, Mubarak, non lascerà il paese. Deve andarsene" 09:38 El Baradei: "Mubarak lasci prima che paese crolli" 9 – "Mubarak ha ricevuto un voto di sfiducia da tutto il popolo egiziano - ha proseguito l'ex direttore dell'Aiea al Guardian - spero che abbia l'intelligenza di capire che per lui è meglio lasciare ora prima che il paese crolli, economicamente e socialmente" 09:32 Al Baradei: "Il mondo smetta di sostenere Mubarak" 8 – La comunità internazionale deve ritirare al più presto il proprio sostegno al presidente egiziano, Hosni Mubarak, e a "un regime che uccide la sua gente". E' quanto ha dichiarato il leader dell'opposizione egiziana, Mohammed ElBaradei, in un'intervista rilasciata al Guardian, all'indomani degli scontri al Cairo tra manifestanti filogovernativi e dell'opposizione 09:31 Frattini alla Camera: "Rischio guerra civile" 7 – "L'Italia condanna ogni forma di violenza, intimidazione nei confronti dei giornalisti di tutti i Paesi" oltre agli "episodi volti a indicare la presenza di infiltrati" pronti a provocazioni "per incitare" alla violenza creando situazioni che possono essere "prodromiche di una guerra civile". Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini, riferendo in aula alla Camera 09:29 Calma ad Alessandria, corteo annullato 6 – Ad Alessandria l'atmosfera è tranquilla alla vigilia della grande manifestazione contro il governo prevista per domani, mentre un altro corteo indetto per oggi è stato cancellato. Lo riferisce un corrispondente Cnn sul posto. Al Jazeera aveva annunciato l'intenzione dei manifestanti di scendere di nuovo in piazza oggi, dopo la preghiera di mezzogiorno, contro il governo. Le immagini mostrate da Cnn mostrano strade libere e traffico regolare 09:27 La Francia ai connazionali: "Rientrate" 5 – Il portavoce del governo francese Francois Baroin ha invitato oggi tutti i francesi che non abbiano "motivi urgenti o impegni pressanti" a lasciare l'Egitto "prima possibile". "Siamo scioccati, le immagini di ieri sono drammatiche", afferma Baroin a proposito degli scontri di ieri tra sostenitori e oppositori del presidente Hosni Mubarak evocando "fermenti di guerra civile che si stanno delineando" 08:22 Fonti mediche: dieci i morti 4 – Fonti mediche hanno riferito all'Ansa che il bilancio degli scontri tra dimostranti antigovernativi e pro-Mubarak, proseguiti per tutta la notte, è di dieci morti 08:03 Governo: cinque i morti negli scontri 3 – Cinque morti e 836 feriti, 86 dei quali ancora in ospedale. Il bilancio delle vittime degli scontri è stato fornito dal ministro della Sanità Ahmed Samih Farid 07:25 L'esercito arresta diverse persone 2 – L'esercito egiziano ha effettuato vari arresti dopo gli omicidi della notte. Non è chiaro a quale schieramento appartengano gli arrestati. La misura sarebbe stata eseguita "per evitare" ulteriori scontri. Migliaia di manifestanti anti-Mubarak hanno passato la notte in piazza Tahrir. Alle 5.30 (le 4.30 in Italia) si è tenuta la prima preghiera islamica della giornata. L'esercito presidia in forze la piazza 07:20 Almeno tre morti nella notte 1 – Almeno tre persone che manifestavano contro il regime di Mubarak sono stati uccisi questa notte quando sostenitori del presidente hanno aperto il fuoco in piazza Tahrir. Lo riferisce un medico. Secondo altre fonti i morti sono quattro. Più di dieci i feriti (03 febbraio 2011)
2011-02-02 LA PROTESTA Cairo nel caos, tre morti e 1500 feriti La Clinton: "Transizione inizi ora" Drammatici scontri nella capitale dopo che sostenitori di Mubarak hanno tentato di irrompere a piazza Tahrir, cariche contro i manifestanti pacifici. Anche i giornalisti coinvolti negli scontri. L'esercito chiede alla gente di tornare a casa, ma l'opposizione annuncia: "Continueremo l'intifada". Cresce il pressing della diplomazia internazionale Cairo nel caos, tre morti e 1500 feriti La Clinton: "Transizione inizi ora" Scontri fra i sostenitori di Mubarak e gli oppositori del presidente IL CAIRO - Il clima festoso che ha accompagnato ieri le manifestazioni di piazza contro Mubarak 1 è ormai solo un ricordo. E' esplosa la violenza oggi a piazza Tahrir, luogo simbolo delle proteste che chiedono al presidente di lasciare il potere. Scontri tra opposte fazioni sul lato nord della piazza, dove 500 sostenitori del raìs hanno tentato di fare irruzione, si sono trasformati in tragedia con morti e feriti. Il bilancio fornito dal ministero della Sanità è di tre vittime, e i medici parlano di oltre 1500 feriti. Nella capitale regna il caos: uomini a cavallo e su cammelli sono entrati nella piazza caricando i manifestanti e anche il museo egizio è andato a fuoco. Mohamed El Baradei, portavoce dell'opposizione, ha invocato l'intervento dell'esercito "per proteggere le vite egiziane", accusando il governo "criminale" di fomentare le violenze. Diversi giornalisti sono rimasti coinvolti negli scontri e sono stati aggrediti. Manifestazioni pro-Mubarak si sono svolte anche a Ismailia e a Suez. Aumentano intanto gli appelli della diplomazia internazionale e salgono i toni. Mentre il vicepresidente Suleiman parlava di un diaologo da aprire "solo dopo la fine delle manifestazioni", la Casa Bianca era perentoria: "Ogni violenza istigata dal governo deve cessare immediatamente". E Hillary Clinton cojn una telefonata allo stesso Suleiman chiariva che "la transizione deve iniziare subito". L'Unione europea torna a chiedere una transizione ordinata che inizi subito e l'Italia esprime grande preoccupazione per le notizie delle ultime ore. LE FOTO Le cariche con cavalli e cammelli 2 - I VIDEO 3 Battaglia al Cairo. La situazione è precipitata rapidamente nella capitale, dove i manifestanti si sono rifiutati di lasciare la piazza, ignorando gli appelli dell'esercito che chiedeva di fare ritorno alla vita normale, assicurando che le loro richieste erano state ascoltate. "Continueremo l'Intifada popolare fino alla partenza di Mubarak", ha risposto il neoeletto segretario del Comitato politico dell'opposizione unita, Abu Al Izz Al Hariri. Vogliamo, ha aggiunto, "un dialogo vero". La polizia non ha caricato i dimostranti, ma ha lanciato lacrimogeni, sparato in aria e usato idranti per disperderli. L'opposizione ha denunciato che alcuni agenti in borghese si sarebbero infiltrati tra la folla per fomentare le violenze. Alcuni hanno riferito che l'esercito ha sparato in aria alcuni colpi, notizia smentita poi dalla tv di Stato, ma la situazione è piuttosto confusa: il graphic novelist Magdi el Shafee da piazza Tahrir ha riferito che agenti della sicurezza nazionale hanno indossato le divise dell'esercito per poi attaccare con molotov i manifestanti anti Mubarak, dando l'impressione che l'esercito si fosse schierato contro la folla. LA CRONACA DELLA GIORNATA 4 El Baradei: "Dal governo tattica del terrore". "Spero che Mubarak se ne vada prima di venerdì" ha detto Mohamed El Baradei, in riferimento alla ennesima giornata di protesta che le forze ostili al regime hanno già chiamato il "venerdì della partenza", proprio alludendo all'uscita di scena del raìs dopo un trentennio al potere. Parlando alla Bbc ha usato parole molto dure contro il governo: l'ex direttore generale dell'Agenzia Internazionale delle Nazioni Unite per l'Energia Atomica ha accusato le autorità di servirsi di una vera e propria "tattica del terrore". E ha definito gli scontri "un atto criminale compiuto da un regime criminale". Confusione sul bilancio delle vittime. Secondo Al Arabiya, fonti sanitarie hanno contato 500 feriti a piazza Tahrir, ma mancano cifre precise. Al Jazeera ha parlato di morti. In serata il governo ha fornito i suoi numeri: tre morti e oltre 400 feriti. Alle ambulanze è stato impedito l'accesso alla piazza, mentre i manifestanti pro Mubarak continuavano a premere per entrare nella piazza principale della capitale, il cui accesso è stato bloccato da carri armati. Uno dei dottori operativi in un presidio medico allestito sul posto parla di oltre 1.500 persone rimaste. Giornalisti nel mirino. Diverse troupe straniere sono rimaste coinvolte negli scontri e hanno comunicato, via twitter, di essere state caricate. Secondo la reporter della Cnn Anna Stewart l'anchor americano "Anderson Cooper e la sua troupe sono stati attaccati dai manifestanti al Cairo". Anche una troupe della Cbs è stata attaccata, mentre un giornalista belga, corrispondente di Le Soir, è stato fermato dalla polizia. Due giornalisti del quotidiano svedese Aftonbladet sono stati aggrediti dalla folla in un quartiere del Cairo, per poi essere arrestati e rilasciati poco dopo, riferisce Al Arabyia. Museo egizio in fiamme. La violenza non risparmia neppure i luoghi artistici. Decine di molotov sono state lanciate contro la facciata sinistra del museo egizio che si trova proprio in Piazza Tahrir, ha riferito l'inviato di Al Jazeera. Fiamme si sono sviluppate nel giardino del museo e non è chiaro se abbiano raggiunto anche le sale che custodiscono i reperti. Più volte nei giorni scorsi si sono moltiplicati gli appelli per proteggere il patrimonio artistico egiziano, anche da parte dell'Unesco. Parlamento sospende attività. Le violenze di oggi hanno annullato il lento ritorno alla normalità che sembrava profilarsi con l'annuncio della riduzione di tre ore del coprifuoco e con la ripresa del funzionamento di Internet al Cairo e ad Alessandria, almeno parziale. In mattinata l'attività del Parlamento è stata sospesa in attesa che i tribunali si pronuncino sui ricorsi sui risultati delle elezioni di novembre e dicembre, ha annunciato la tv di Stato egiziana. Un provvedimento di questo tipo era stato già preannunciato ieri nel discorso del presidente Hosni Mubarak 5, per rispondere alle richieste dei partiti di opposizione che non hanno rappresentanti in Parlamento. Clinton: "Transizione inizi ora". Gli Stati Uniti hanno scaricato definitivamente Mubarak. Lo ha chiarito Hillary Clinton al vicepresidente egiziano Omar Suleiman cui ha ribadito quanto dichiarato oggi dalla Casa Bianca: la transizione in Egitto deve iniziare immediatamente. Nel corso di una telefonata il segretario di Stato ha anche chiesto all'ex capo dei servizi segreti che i responsabili delle violenze rispondano delle loro azioni. Da Ue aumentano pressioni su Mubarak. L'Unione europea aumenta le pressioni su Mubarak, chiedendogli di fare "qualcosa, il più presto possibile", per dimostrare che le legittime aspirazioni dei cittadini egiziani che manifestano pacificamente vengono ascoltate. "E' fuori questione che dobbiamo vedere un movimento e che il processo di trasformazione e di transizione impongono un senso di urgenza", ha detto il capo della diplomazia della Ue Catherine Ashton. "Ci appelliamo al presidente Hosni Mubarak perché faccia qualcosa il più presto possibile affinché il popolo possa vedere che sta avendo risposte". (02 febbraio 2011)
Diretta Egitto, l'esercito ai manifestanti: "Tornate a casa" Sospeso il Parlamento, scontri in piazza Egitto, l'esercito ai manifestanti: "Tornate a casa" Sospeso il Parlamento, scontri in piazza Nono giorno di manifestazioni al Cairo e nelle principali città del Paese, mentre i militari chiedono alla gente di riprendere la vita normale, assicurando che il messaggio di chi protesta è stato udito. Ma l'opposizione annuncia: "Continueremo l'intifada fino alla partenza di Mubarak". Scontri fra i manifestanti ed i sostenitori del presidente, una decina di feriti. L'accesso alla rete è stato ripristinato, il coprifuoco ridotto di due ore. Secondo la tv di stato, l'attività parlamentare è stata fermata in attesa che i tribunali si pronuncino sui ricorsi sui risultati delle elezioni legislative di novembre contestate dall'opposizione. Europa e Usa: "Transizione cominci subito". (Aggiornato alle 14:20 del 02 febbraio 2011) 14:20 Ashton a Mubarak: "Fare qualcosa il più presto possibile" 24 – L'autorappresentante della Ue Catherine Ashton ha sollecitato il presidente egiziano Hosni Mubarak a "fare qualcosa il più presto possibile" per rispondere all'urgenza imposta dalla transizione. 14:15 Sostenitori di Mubarak caricano i manifestanti 23 – Sostenitori di Mubarak a cavallo e i sella a cammelli hanno caricato i manifestanti che chiedono le dimissioni del presidente per le strade del Cairo. In seguito sono stati disarcionati e circondati dalla folla, hanno riferito testimoni. 14:06 El Baradei: "Molto preoccupato per gli scontri al Cairo" 22 – Mohamed El Baradei, il premio Nobel per la pace intorno a cui si è stretta l'opposizione in Egitto, si dice molto preoccupato per gli scontri in corso al Cairo. In un'intervista alla Bbc El Baradei ribadisce che Mubarak deve lasciare il potere e accusa il governo di utilizzare la "tattica della paura". 13:47 Ue pronta a rafforzare assistenza per transizione di potere 21 – Il giorno dopo l'annuncio di Mubarak sulla sua intenzione di rimanere al potere fino alle prossime elezioni presidenziali di settembre, la commissione europea si è detta pronta, oggi, "a rafforzare la sua assistenza" all'Egitto per aiutare questo paese ad effettuare una pacifica transizione politica. "Chiediamo urgentemente l'attuazione di Riforme necessarie, tra l'organizzazione al più presto di elezioni libere ed eque", ha affermato la commissione senza pronunciarsi sull'eventuale data del voto. "La Commissione europea ha seguito gli eventi recenti in Egitto da molto vicino e nella sua riunione odierna ha confermato il suo impegno a sostenere le aspirazioni legittime della popolazione egiziana", è stato precisato in un comunicato. 13:40 Numerosi feriti negli scontri 20 – Almeno una decina di persone sono rimaste ferite in piazza Tahrir negli sporadici scontri verificatisi tra manifestanti pro e contro Mubarak. I soldati si limitavano a osservare dai carri armati schierati tutto intorno alla spianata che ospita il Museo Egizio. 13:40 Agenti in borghese infiltrati 19 – Secondo quanto denunciato da attivisti delle forze di opposizione, agenti di polizia in borghese si sarebbero infiltrati tra la folla assiepata in piazza Tahir, nel cuore del Cairo. 13:13 Scontri tra manifestanti pro e contro Mubarak 18 – Sta salendo la tensione in piazza Tahrir, al Cairo, da quando un gruppo di manifestanti pro-Mubarak è entrato nel grande spiazzo, sul lato del museo egizio. Si sono verificati piccoli tafferugli tra manifestanti delle opposte fazioni. Un manifestante anti-Mubarak ha detto: "sono solo duemila". 13:05 Europa al fianco degli Usa: "Transizione cominci subito" 17 – L'Europa è al fianco dell'amministrazione Obama nel chiedere che il presidente egiziano, Hosni Mubarak, avvii subito il processo di transizione democratica nel Paese, senza aspettare le elezioni di settembre. "Anche il presidente Mubarak ha riconosciuto che lo status quo non è sostenibile e che serve un cambiamento", ha osservato il presidente americano, "per l'Egitto si è aperto un capitolo nuovo" e il Rais deve prenderne atto garantendo "subito" una transizione ordinata e pacifica. Alla richiesta di Obama si sono associati Francia, Gran Bretagna e Germania: il processo politico di transizione in Egitto deve cominciare "ora". 12:52 Petrolio, prezzo Opec sale a 96,36 dollari 16 – Continua la corsa al rialzo del prezzo del petrolio: le quotazioni dei paesi Opec hanno toccato alla chiusura di ieri i 96,39 dollari al barile con un rialzo di 0,86 dollari rispetto al giorno precedente. All'origine dei rialzi, il persistere della tensione politica in Egitto con i timori per una eventuale chiusura del Canale di Suez. 12:44 Portavoce Cameron: "Cambiamento in Egitto inizi ora" 15 – "Il cambiamento in Egitto deve partire ora", dice il portavoce del primo ministro britannico David Cameron 12:43 La piazza non accoglie l'invito dell'esercito a tornare a casa 14 – La piazza non sta accogliendo l'invito dell'esercito di ritornare a casa a riprendere la vita di tutti i giorni. Migliaia di manifestanti sono nella grande piazza Tahrir, al centro del Cairo, ed è continuo il flusso di persone che arrivano per unirsi al quinto giorno di 'occupazione' della piazza. I manifestanti organizzano cortei improvvisati intorno alla rotonda centrale, preparano megastriscioni da appendere nel pomeriggio con pittura e pennelli. Molti si passano i giornali dell'opposizione con le fotografie della grande manifestazione di ieri. 12:34 "Tre euro per manifestare a favore di Mubarak" 13 – Al Cairo circolano cartelli che invitano gli egiziani a manifestare in sostegno del presidente Mubarak per 25 ghinee, circa 3,5 euro. E' la controffensiva dei lealisti in risposta alle proteste che da oltre una settimana invadono piazza Tahrir, l'intero centro della capitale e molte altre città dell'Egitto. Lo ha raccontato stamattina a Ecoradio l'inviata di 'Terra', Annalena Di Giovanni, dopo avere trascorso la notte assieme ai manifestanti del Cairo. 12:26 Presidente Yemen rinuncia a proroga ma l'opposizione conferma le proteste 12 – Dopo le proteste di piazza che da metà gennaio ne chiedono le dimissioni, il presidente dello Yemen Saleh ha annunciato "il congelamento degli emendamenti costituzionali" con cui puntava a restare presidente a vita. L'opposizione, assente in aula, ha fatto sapere attraverso il partito Islah che le manifestazioni convocate per domani si terranno ugualmente. "Valutiamo positivamente l'iniziativa di Saleh e attendiamo i prossimi passi concreti", ha commentato Mohammed al-Sadi, numero due del partito islamista Islah, "ma le proteste vanno avanti e saranno ordinate e pacifiche". 12:24 Da Parlamento Iran sostegno alla "rivoluzione sacra" 11 – Sostegno pieno alla "sacra rivoluzione egiziana" è stato espresso dal Parlamento iraniano, che ha accusato il presidente Hosni Mubarak di "servire gli interessi di coloro che hanno usurpato i diritti dei Musulmani", cioè Israele. Lo riferisce oggi la televisione iraniana in inglese PressTv. "Oggi la sollevazione dei Musulmani egiziani ha fatto di questo Paese il centro degli sviluppi in Medio Oriente e coloro che vogliono la libertà, in particolare i popoli islamici, attendono i risultati di questa sacra rivoluzione", si legge in un documento firmato da 214 deputati iraniani su un totale di 290. 12:20 Opposizione chiede nuove manifestazioni 10 – La coalizione dell'opposizione chiede nuove manifestazioni di protesta e afferma che negozierà con il vice-presidente Suleiman solo se Mubarak accetterà di lasciare il Paese. "Chiediamo alla gente di continuare le proteste a Tahrir Square e chiediamo a tutti di partecipare al "venerdì della partenza". 12:04 Ynet: "Arrestati quattro giornalisti israeliani" 9 – Quattro giornalisti israeliani sono stati arrestati al Cairo, dove erano giunti per seguire gli svuiluppi della rivolta popolare. Lo riferisce il sito online Ynet secondo cui il ministero israeliano degli esteri sta operando per ottenere la loro liberazione. Tre di loro fanno parte di una troupe della televisione commerciale israeliana Canale 2 mentre il quarto rappresenta un mezzo di comunicazione arabo in Israele. I quattro sarebbero sospettati di aver ignorato il coprifuoco e anche di essere entrati in Egitto con visti turistici malgrado il loro obiettivo fosse già in partenza lo svolgimento di una missione giornalistica. 11:54 Opposizione resta in piazza, "continueremo l'intifada" 8 – "Continueremo l'Intifada popolare fino alla partenza di Mubarak". Lo ha detto il neoeletto segretario del 'comitato politico dell'opposizione unità, Abu Al Izz Al Hariri. Vogliamo, ha aggiunto, "un dialogo vero". 11:54 Nato preoccupata per situazione ma no a ruolo attivo 7 – La Nato segue "con preoccupazione e molto da vicino" gli sviluppi in Egitto, ma non ha "nessun piano di interferire con la situazione" egiziana. E' quanto dichiarato a diversi media dal segretario generale dell'Alleanza, Anders Fogh Rasmussen. "Ovviamente, siamo molto preoccupati dalla situazione in Egitto, ma non vediamo nessuno ruolo attivo della Nato", ha detto Rasmussen. 11:41 Al Jazeera denuncia oscuramenti in paesi arabi 6 – Nuovi problemi di trasmissione per Al Jazeera che ha denunciato l'oscuramento del suo segnale in molte zone del Medio Oriente durante la copertura delle manifestazioni in Egitto. "I nostri segnali sulla piattaforma satellitare 'NileSat' sono stati tagliati e le frequenze sulle piattaforme 'ArabSat' e 'HotBird' sono state interrotte in continuazione nel mondo arabo", si legge in un comunicato dell'emittente televisiva pan-araba con sede nel Qatar, che da giorni segue in diretta 24 ore su 24 le proteste contro Hosni Mubarak. "Il segnale di trasmissione in tutta la regione araba sta facendo fronte a interferenze di dimensioni mai sperimentate in precedenza", ha lamentato Al Jazeera. 11:39 Presidente Parlamento: "Riforme in meno di due mesi" 5 – Il presidente dell'Assemblea del popolo egiziano, Ahmed Fathi Sorour ha annunciato che le riforme costituzionali possono essere fatte in meno di due mesi. Lo ha detto lo stesso Sorour intervenendo alla televisione di stato. 11:35 Tv stato: Attività parlamento sospesa in attesa di esito ricorsi 4 – L'attività del Parlamento è stata sospesa in attesa che i tribunali si pronuncino sui ricorsi sull'esito delle elezioni legislative di novembre contestate dall'opposizione. Lo ha detto la televisione di stato. 11:31 Ridotto il coprifuoco 3 – Le autorità egiziane hanno ridotto le ore di coprifuoco decretate nei giorni scorsi al Cairo, ad Alessandria e a Suez. Secondo quanto riferisce la tv di stato egiziana, a partire da oggi il coprifuoco entrerà in vigore alle 17 orario locale, le 16 in Italia, per terminare alle 7 di domani mattina, le 6 nel nostro paese. 11:30 Internet riprende a funzionare 2 – Internet ha ripreso, parzialmente, a funzionare al Cairo dopo un'interruzione di almeno 5 giorni dovuta alle vaste proteste di piazza contro il presidente Hosni Mubarak. 11:30 Esercito a manifestanti: "Tornate a casa" 1 – Le Forze Armate egiziane, che finora si sono erette a 'garanti' delle manifestazioni di protesta, hanno sollecitato la popolazione a tornare alla "vita di tutti i giorni", giacchè ormai il messaggio che i manifestanti intendevano inviare alle autorità è stato recepito, le loro richieste sono state udite, ed è dunque ormai venuto il momento per il Paese di recuperare la normalità. "Tornate a casa", ha esortato un portavoce militare intervenuto in diretta sulla televisione di Stato, "Le Forze Armate si appellano a voi. Voi avete iniziato con lo scendere nelle strade per esprimere le vostre richieste e voi siete coloro che hanno la possibilità di ripristinare la vita normale. E' possibile tornare a viverla", ha proseguito il portavoce, leggendo un comunicato. (02 febbraio 2011)
2011-02-01 Diretta Egitto: "Due milioni in piazza" El Baradei: "Mubarak lasci Paese entro venerdì" Egitto: "Due milioni in piazza" El Baradei: "Mubarak lasci Paese entro venerdì" L'esercito ha definito "legittime" le richieste dei manifestanti e ha promesso che non userà la violenza per reprimere le manifestazioni. Nel frattempo continua l'esodo dei cittadini stranieri dall'Egitto. E l'Iran cavalca la protesta: Medio Oriente islamico contro Israele. Le opposizioni: governo illegittimo, si vada alle elezioni. Piazza Tahrir di nuovo piena di manifestanti. Aung San Suu Kyi: "Siamo con voi". (Aggiornato alle 16:31 del 01 febbraio 2011) 16:31 Manifestanti annunciano per domani marcia su palazzo presidenziale 69 – Secondo quanto riferiscono fonti dell'opposizione egiziana alla tv araba Al Jazeera, se entro oggi non arriveranno le dimissioni di Mubarak, i manifestanti potrebbero spostare la protesta da piazza Tahrir fin sotto Qasr al-Qubba, dove si trova il palazzo presidenziale. 16:30 Fratelli musulmani: "Non vogliamo emirato islamico" 68 – I Fratelli musulmani egiziani assicurano che non intendono fondare un "emirato islamico" nell'Egitto post Mubarak. Lo ha detto il portavoce del movimento islamico, Essam Eryan, in un'intervista. 16:18 Da Gran Bretagna charter in Egitto per rimpatriare connazionali 67 – La Gran Bretagna si prepara a inviare dei charter in Egitto per rimpatriare i cittadini britannici che desiderano lasciare il Paese. 16:17 Costa Crociere annulla scali in Egitto e Tunisia 66 – Le navi della Costa Crociere non faranno più scalo in Egitto e Tunisia. Lo ha deciso la compagnia, che conferma il regolare svolgimento delle sue crociere modificandone però gli itinerari per assicurare ai suoi passeggeri la massima sicurezza. 16:04 Ambasciatore Usa telefona a El Baradei: "Non interferiremo" 65 – L'ambasciatore Usa in Egitto, Margaret Scoey, ha parlato al telefono con Mohamed El Baradei, premio Nobel per la Pace e portavoce delle opposizioni in Egitto. La diplomatica statunitense, che sta contattando i vari leader dell'opposizione egiziana, ha assicurato all'ex capo dell'Aiea che Washington vuole una transizione politica ma non cercherà di indirizzare il futuro politico dell'Egitto. 15:55 Calcio, annullata amichevole Usa-Egitto del 9 febbraio 64 – La crisi egiziana ha spinto la Federcalcio statunitense ad annullare l'amichevole con i Faraoni, inizialmente in programma il 9 febbraio al Cairo. 15:53 Siria, su Facebook appello a manifestare contro tirannia 63 – Un appello a manifestare venerdì prossimo dopo la preghiera settimanale islamica contro "la monocrazia, la corruzione e la tirannia" in Siria è stato diramato negli ultimi giorni su Facebook, mentre in Egitto da oltre una settimana manifestazioni di massa senza precedenti chiedono la cacciata del presidente Hosni Mubarak. Un gruppo su Facebook, che stamani aveva riunito poì di 7.800 membri, ha rivolto l'appello a manifestare con lo slogan "La rivoluzione siriana 2011". Il sito invita i giovani siriani a scendere in piazza venerdì dopo la preghiera nella "prima giornata della collera del popolo siriano e delle ribellione civile in tutte le città siriane". 15:35 Bbc: Vertici militari favorevoli ad abbandono Mubarak 62 – La maggior parte dei vertici militari egiziani ritiene che il presidente Hosni Mubarak debba abbandonare il potere: è quanto riporta il sito della Bbc, citando l'ex generale e analista politico Mohammed Kadry Said, secondo il quale il paese è a un "punto di svolta". 15:33 Londra: "In Egitto serve governo ampio e rappresentativo" 61 – In Egitto serve un "governo ad ampio raggio, rappresentativo": ne è convinto il governo britannico, che definisce invece 'deludente' il rimpasto attuato dal presidente Hosni Mubarak. La crisi in Egitto è stata discussa dal governo a Londra ed è stata affrontata anche dal Consiglio di Sicurezza Nazionale in presenza del premier David Cameron. 15:25 Farnesina: Ancora caos in aeroporto Cairo, tranquillo il Mar Rosso 60 – La situazione "presso lo scalo del Cairo continua ad essere molto complicata", mentre sul Mar Rosso, sulla base di contatti con la rete consolare, "la situazione è nel complesso tranquilla". Lo ha affermato il capo dell'Unità di Crisi del ministero degli Esteri, Fabrizio Romano, in un incontro con i giornalisti. Attraverso i voli organizzati su richiesta della Farnesina presso l'aeroporto della capitale, hanno fatto rientro in Italia finora "alcune centinaia" di connazionali, ha precisato Romano. 15:21 Fratelli musulmani: "Non ci hanno invitato a vertice opposizione" 59 – "Noi dei Fratelli Musulmani non siamo stati invitati alla riunione che hanno tenuto oggi le formazioni politiche di opposizione al Cairo". Lo ha denunciato Mahmoud Ezzat, dirigente del gruppo islamico, nel corso di un collegamento telefonico con la tv araba Al-Jazeera. "Non sappiamo per quale motivo non siamo stati invitati - ha affermato - forse a causa delle difficoltà nelle comunicazioni. Quel che è certo è che siamo stati avvertiti solo dopo della riunione". 15:15 Giordania, re Abdallah licenzia governo e nomina nuovo premier 58 – Dopo giorni di proteste anti-governo, il re Abdallah di Giordania ha accettato le dimissioni del primo ministro Samir Rifai e ha chiesto all'ex premier, l'ex generale Marouf Bakhit, di formare un nuovo governo. Il governo di Rifai era stato formato nei mesi scorsi dopo le elezioni parlamentari di novembre. Dopo le rivolte in Tunisia e in Egitto, anche la Giordania, un altro alleato chiave degli Stati Uniti e dell'Occidente nello scacchiere mediorientale, era finito sotto pressione per le proteste portate avanti da una vasta coalizione di partiti islamici, gruppi d'opposizione laici e gruppi di generali a riposo che ha chiesto radicali riforme politiche ed economiche. 14:54 Usa: "Personale non essenziale lasci ambasciata" 57 – Gli Stati Uniti hanno ordinato la partenza del personale non essenziale dalla loro ambasciata al Cairo, mentre centinaia di migliaia di egiziani rivendicano in piazza la partenza del presidente Hosni Mubarak. 14:51 Al Jazeera: esercito protegge palazzo presidenziale 56 – Secondo l'emittente araba Al Jazeera l'esercito sta proteggendo con barriere di filo spinato e cavalli di frisia il palazzo presidenziale. Lungo il possibile percorso della manifestazione, intanto, sono già stati dislocati i carriarmati e le camionette dell'esercito. Ma a parte piazza Tahrir, il resto della città sembra fermo. Le strade sono deserte, i negozi chiusi, nell'aria c'è un grande e insolito silenzio. 14:46 Missionario: "Dimostranti verso palazzo presidenziale" 55 – "Piazza Tahrir è piena. La folla si accalca e si respira una certa tensione": è la testimonianza, raccolta dall'Agenzia Fides, di un missionario al Cairo, dove oggi il movimento di opposizione ha indetto una nuova grande manifestazione per chiedere le dimissioni del Presidente Mubarak. "Da quello che sono riuscito a capire l'intenzione dei dimostranti è di dirigersi dalla piazza al palazzo presidenziale", afferma il missionario, che ha chiesto l'anonimato per motivi di sicurezza. 14:31 Farnesina: "Emergenza tutt'altro che finita" 54 – "L'emergenza in egitto è tutt'altro che terminata": è quanto ha detto oggi il capo dell'unità di crisi della Farnesina, Fabrizio Romano, spiegando che "al momento non è prudente recarsi nel Paese". 14:30 Francia: "Non deve scorrere più sangue" 53 – La Francia ha sollecitato le autorità egiziane a porre fine al "bagno di sangue" in atto, che "deve terminare" in quanto "di morti e di feriti ce ne sono già stati fin troppi": così si è espresso in conferenza stampa Bernard Valero, portavoce del ministero degli Esteri francese, secondo il quale "il sangue deve smettere di scorrere" nel Paese nord-africano. 14:27 Erdogan rimanda viaggio in Egitto 52 – Il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan ha deciso di posporre la prevista visita ufficiale che avrebbe dovuto compiere in Egitto la prossima settimana, fra l'8 e il 9 febbraio: lo ha annunciato lo stesso premier di Ankara, citato dall'agenzia di stampa 'Anadolou'. Erdogan, che poco prima aveva esortato il presidente egiziano Hosni Mubarak a "prestare ascolto alle richieste del suo popolo", ha precisato comunque che il viaggio non deve intendersi annullato, bensì semplicemente rinviato a quando la situazione nel Paese nord-africano sarà ritornata normale. 14:25 Si svuota aeroporto Cairo, decine di voli in partenza 51 – L'aeroporto del Cairo, preso d'assalto nei giorni scorsi da stranieri che volevano lasciare il Paese, si sta svuotando. Lo riferiscono fonti aeroportuali spiegando che nella giornata di oggi partiranno 85 voli di varie compagnie aeree e 38 dell'Egyptair che sospenderà le proprie attività a partire dalle 17:00 di oggi fino alle 10:00 di domani mattina. 14:17 Suu Kyi agli egiziani: "Siamo con voi" 50 – Aung San Suu Kyi, leader storica dell'opposizione non violenta nel Myanmar, ha manifestato piena solidarietà al popolo egiziano in rivolta contro il regime: "Siamo tutti con voi", ha assicurato ai manifestanti la vincitrice del premio Nobel per la Pace 1995, intervenuta in un filo diretto con gli ascoltatori sulla radio del network pubblico britannico 'Bbc'. Quando un cittadino egiziano ha chiamato dal Cairo per chiederle un consiglio su come comportarsi "in una fase di transizione così spaventosa", la sua risposta è stata: "Bisogna rimanere lucidi ma coraggiosi, non perdere mai la speranza e andare sempre avanti. "Voglio che sappiate", ha ribadito, "che siamo tutti con voi, tutti coloro i quali nel mondo vogliono la libertà, e che in un modo o nell'altro si sentono legati agli altri popoli che a loro volta si battono per la libertà". 13:48 Due milioni in piazza al Cairo 49 – In tutto il centro del Cairo, piazza Tahrir compresa, i manifestanti anti Mubarak per le strade sono due milioni. Lo riferiscono fonti locali. 13:37 Summit opposizioni: il Parlamento venga sciolto 48 – Le opposizioni in Egitto sono concordi nel ritenere che il presidente Hosni Mubarak abbia perso legittimità e chiedono di sciogliere il Parlamento e andare a nuove elezioni. L'appello, riferiscono i media arabi, è arrivato al termine di una riunione fra le maggiori forze politiche dell'opposizione, a cui hanno partecipato, oltre ai Fratelli Musulmani, rappresentanti di AlWafd (liberaldemocratici), di AlNasri (nazionalisti), del Movimento Nazionale per il Cambiamento e di alTajamud (che raccoglie varie forze democratiche e di sinistra). 13:36 Fratelli Musulmani: no al dialogo con Suleiman 47 – Il movimento dei Fratelli Musulmani ha annunciato oggi che rifiuta ogni tipo di dialogo non solo con il presidente Mubarak, ma anche con il suo vicepresidente, il generale Omar Suleiman, e con il governo formatosi ieri. Lo riferisce la tv panaraba Al Jazira citando un comunicato del movimento islamico egiziano. 13:31 In Azerbaigian tentativo di abbattere statua Mubarak 46 – L'opposizione in Azerbaigian vuole abbattere un monumento dedicato al presidente egiziano Hosni Mubarak a Baku, ma la polizia ha circondato la statua per impedire che a qualcuno venga in mente di farlo veramente. Lo rende noto l'Interfax. 13:28 Oltre un milione in piazza 45 – Sono arrivati a più di un milione i dimostranti raccolti in piazza Tahrir. Tutti gli spiazzi della piazza che fino ad un'ora fa erano ancora vuoti sono ormai occupati dall'assembramento e la valutazione diffusa al Cairo è che i manifestanti abbiano superato il milione. 13:13 Tv Iran ritrasmette Khomeini: "Egiziani sollevatevi" 44 – Nel giorno in cui cominciano a Teheran le celebrazioni per il 32/o anniversario della rivoluzione iraniana, la televisione di Stato ha ritrasmesso oggi a più riprese le parole del fondatore della Repubblica islamica, l'ayatollah Ruhollah Khomeini, che invitava il popolo egiziano a sollevarsi contro i suoi governanti, definendoli "rifiuti" degli Stati Uniti. "Il popolo egiziano deve sollevarsi e gettare fuori dalla regione i rifiuti dell'arroganza globale", affermava Khomeini, intendendo riferirsi con quest'ultima definizione in particolare agli Usa. 12:59 Amr Moussa: "Indietro non si può tornare" 43 – "Ormai siamo a un punto tale che non si può più tornare indietro".È quanto ha affermato il segretario generale della Lega Araba, Amr Moussa, in un'intervista alla tv satellitare 'al-Arabiya'. "Non si può tornare a prima del 25 gennaio - ha affermato - è importante avviare un dialogo nazionale di tutte le forze politiche e tutti devono però fermarsi e mettere davanti a ogni cosa l'interesse nazionale". 12:57 Manifestanti verso palazzo presidenziale 42 – "Da quello che sono riuscito a capire l'intenzione dei dimostranti è di dirigersi dalla piazza al palazzo presidenziale". È quanto ha spiegato all'agenzia vaticana Fides un missionario dal Cairo. 12:56 Manifestazioni anti-Mubarak in tutto il Paese 41 – Migliaia di persone sono in strada a Alessandra, Ismailia, Suez e nel Sinai. Lo riferiscono fonti locali. A migliaia, dai 30 ai 50 mila, dicono i testimoni, anche nelle città dell'alto Egitto. 12:48 Manifestanti pro-Mubarak davanti a ministero Esteri al Cairo 40 – Migliaia di manifestanti pro Mubarak si stanno radunando sul Lungonilo davanti al ministero degli Esteri. Scandiscono slogan a sostegno del rais come "Mubarak l'uomo della pace e della guerra" e "Mubarak ti amiamo". Un manifestante spiega che quello che vogliono i sostenitori di Mubarak è che il presidente rimanga fino alle elezioni presidenziali previste alla fine di quest'anno per fare in modo che il paese non cada nel caos. 12:39 Unesco: "Proteggiamo i tesori dell'Egitto" 39 – Proteggiamo i tesori dell'Egitto: è l'appello lanciato oggi a Parigi dall'Unesco, mentre continua la protesta popolare contro il regime del presidente Hosni Mubarak. "Il patrimonio culturale egiziano, monumenti o oggetti, fa parte del patrimonio dell'umanità, che ci è stato trasmesso attraverso gli anni", scrive in un comunicato la direttrice dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, con sede a Parigi, Irina Bokova, ricordando che "i 120.000 pezzi del Museo egiziano del Cairo sono inestimabili". 12:34 Ambasciatore italiano: "Partito un altro aereo con italiani" 38 – Dopo il C130 dell'aeronautica militare atterrato in Italia con 60 connazionali a bordo provenienti dall'Egitto, c'è ''un secondo volo'' che ''dovrebbe essere attualmente già partito con un altro'' gruppo di italiani. A dichiararlo a SkyTg24 l'ambasciatore italiano al Cairo, Claudio Pacifico. ''Non si tratta stavolta di un C130 ma di un aereo Wide-body. Andremo ad Alessandria e poi al Cairo'' per far ritorno in Italia, ha spiegato. ''Per adesso continuano a partire molte donne e bambini e coloro che pi di altri manifestano il desiderio'' di lasciare il Paese dove stanno continuando le manifestazioni anti-governative, ha precisato. 12:33 L'ultimatum di El Baradei: "Mubarak vada via entro venerdì" 37 – El Baradei lancia l'ultimatum al presidente Mubarak: "Lasci il Paese entro venerdì per evitare un bagno di sangue", e lo faccia "entro venerdì, giorno battezzato come quello della 'partenza'". 12:28 Opposizioni: "Dialogo solo dopo partenza Mubarak" 36 – Il leader dell'opposizione egiziana Mohamed El Baradei e il presidente del Fronte democratico per il cambiamento e suo braccio destro, Osama ben Ghazli Harb, hanno detto oggi che le opposizioni respingono qualsiasi dialogo prima che se ne vada il presidente Mubarak. 12:25 Organizzatori: "Più di un milione di persone in piazza Tahrir" 35 – A piazza Tahrir i dimostranti sono arrivati a più di un milione: lo ha dichiarato uno degli organizzatori a un giornalista di al-Jazira in arabo. Secondo altre stime i manifestanti sarebbero alcune centinaia di migliaia 12:15 New Yorker: "Suleiman uomo della Cia per le rendition" 34 – Il nuovo vicepresidente egiziano Omar Suleiman sarebbe stato "l'uomo della Cia" in Egitto almeno per quanto riguarda il programma di 'rendition', la cattura e gli interrogatori-tortura di sospetti terroristi condotti nell'ambito della cosiddetta "guerra al terrorismo" voluta dal presidente Bush. Lo scrive sul settimanale New Yorker Jane Meyer, autrice di "The Dark Side". 11:55 Opposizione chiede Governo di unità nazionale 33 – I partiti di opposizione egiziana hanno chiesto la formazione di un governo di salvezza nazionale. Secondo quanto ha reso noto il portavoce del partito al-Wafd, Moataz Salah Eddin, alla tv araba 'al-Jazeera', si è conclusa poco fa una riunione dei principali movimenti di opposizione egiziani, tra i quali i Fratelli Musulmani e l'associazione per il Cambiamento di Mohammed el-Baradei. ''Abbiamo formato un'alleanza di forze dell'opposizione per ribadire che il destino di Hosni Mubarak e' nelle mani del popolo e che è necessario formare un nuovo governo di salvezza nazionale che sia in grado di riformare la costituzione e andare al voto''. Secondo l'opposizione ''è ormai venuta meno la legittimità del presidente Mubarak''. 11:43 Standard and Poor's taglia il rating da BB+ a BB 32 – Standard and Poor's ha ridotto da BB+ a BB il rating del debito in valuta estera a lungo termine dell'Egitto. L'agenzia ha anche collocato la classificazione sotto osservazione con implicazioni negative. 11:37 Farnesina: "Volo da Alexandria con 200 italiani" 31 – "Un nuovo volo per riportare i connazionali in Italia dall' Egitto è stato organizzato oggi dall'Unità di Crisi della Farnesina da Alessandria. Lo rendono noto fonti della Farnesina sottolineando che a bordo dell'aeromobile - atteso nel pomeriggio a Roma - sono stati imbarcati 200 italiani" 11:30 Pillay (Onu): "Forse 300 morti e 3000 feriti" 30 – Sono forse 300 le persone morte nelle proteste in Egitto, ha affermato oggi a Ginevra l'Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Navi Pillay, citando notizie "non confermate". I feriti potrebbero essere oltre tremila, centinaia gli arrestati. ''Le vittime continuano a salire su base quotidiana, con notizie non confermate che indicano fino a 300 persone uccise finora, oltre 3mila ferite e centinaia arrestate", ha affermato Pillay in una dichiarazione estremamente severa sulla situazione in Egitto e nei confronti delle autorità. ''Con un milione di persone attese oggi nelle strade, esorto l'esercito e la polizia ad agire con la massima attenzione e moderazione'', ha aggiunto. Pillay ha esortato le autorità ad ascoltare le domande degli egiziani in favore di riforme fondamentali per accrescere la democrazia ed i diritti umani nel Paese nordafricano. 11:28 Elicottero lancia volantini su manifestanti: "Esercito con voi" 29 – Un elicottero dell'esercito egiziano ha lanciato dei volantini ai manifestanti radunati in piazza Tahrir al Cairo. Secondo quanto riferisce la tv satellitare 'al-Arabiya', il volantino invita i manifestanti alla calma e al mantenimento dell'ordine, garantendo che ''l'esercito resta dalla parte del popolo''. Intanto il sito internet dei Fratelli Musulmani rivela che molti manifestanti stanno ancora affluendo verso piazza Tahrir a piedi, avendo l'esercito impedito la circolazione dei veicoli nel centro della capitale egiziana. 11:26 Premier Turco: "Mubarak dovrebbe ascoltare il popolo" 28 – Il premier turco, Tayyp Erdogan, ha detto oggi che il presidente egiziano Hosni Mubarak ''dovrebbe ascoltare le domande'' che provengono dal popolo. 11:15 Livni: "Iran potrebbe approfittare per aumentare la sua influenza" 27 – L'Iran potrebbe sfruttare l'instabilità dell'Egitto per cercare di aumentare la sua influenza nella regione. E' questo il timore espresso da Tzipi Livni, leader del Kadima, principale partito di opposizione israeliano, durante il suo incontro oggi a Gerusalemme con il cancelliere tedesco Angela Merkel. 11:03 Esercito blocca accessi al Cairo 26 – L'esercito egiziano ha chiuso questa mattina gli accessi al Cairo e in altre città dove i manifestanti stanno affluendo per la "marcia del milione", organizzata dal movimento di contestazione che reclama le dimissioni del presidente Hosni Mubarak. Le immagini in diretta dal Cairo dei network televisivi hanno mostrato decina di migliaia di persone già radunate a Tahrir Square, da dove partirà il corteo verso il palazzo presidenziale. L'autostrada che collega Alessandria alla capitale è bloccata, hanno constatato giornalisti delle agenzie internazionali, a un chilometro da quest'ultima da uno sbarramento dell'esercito. Un lungo serpentone di camion merci e di automobili aspetta lungo la strada di poter passare, mentre i soldati impediscono il passaggio dei veicoli in direzione della capitale. 11:00 Moschea piazza Tahrir trasformata in ospedale 25 – Una moschea che si trova in piazza Tahrir, al Cairo, è stata trasformata in un ospedale di fortuna. Secondo quanto riferisce un medico egiziano del Cairo alla tv 'al-Arabiya', si teme che ci possano essere molti feriti nel caso in cui dovessero verificarsi scontri tra manifestanti ed esercito. Gli organizzatori della manifestazione di oggi hanno deciso di prendere questa iniziativa vista l'impossibilita' di portare i feriti in ospedale. 10:56 Teheran Times: "Arrivati alti ufficiali forze armate americane e israeliane" 24 – Alti ufficiali delle forze armate americane e israeliane sarebbero arrivati al Cairo per cercare di aiutare il presidente Hosni Mubarak a rimanere al potere e tra gli scenari allo studio vi sarebbe un ''colpo di Stato''. Lo scrive oggi il quotidiano iraniano Teheran Times affermando di essere venuto a conoscenza di questi fatti da ''una fonte anonima''. ''Due alti ufficiali israeliani e tre americani sono arrivati al Cairo'', aggiunge il giornale iraniano, affermando che il ''consiglio militare'' è comandato da ''un generale chiamato Sisson''. ''È improbabile che il governo di Mubarak sopravviva alle proteste'', aggiunge il Teheran Times, osservando che ora ''si tratta di vedere se gli Usa si affiancheranno ai gruppi dell'opposizione o cercheranno di assumere il controllo nel Paese''. 10:52 ElBaradei: "Se Mubarak vuole salvare la pelle, meglio che lasci" 23 – Se Hosni Mubarak ''vuole salvare la pelle, è meglio che lasci subito'': a suggerirlo al presidente egiziano, con il tono di un avvertimento, è Mohamed ElBaradei, l'ex diplomatico dell'Aiea e premio Nobel per la Pace, incaricato dalle opposizioni in Egitto di negoziare con il regime del rais. In un'intervista al quotidiano britannico The Independent, ELBaradei è tornato ad attaccare pesantemente il presidente egiziano, affermando che ''la gente per strada non dice che Mubarak dovrebbe andare via. Dicono che dovrebbe essere messo sotto processo''. Ecco perche', ha proseguito, se il rais ''vuole salvarsi la pelle, è meglio che lasci'' 10:50 Magistrati in piazza per un nuovo Egitto 22 – "Anche noi magistrati oggi siamo in piazza per chiedere un nuovo Egitto e reclamare uguali diritti per cristiani e musulmani". È la testimonianza Hosam Mikawi, presidente del Tribunale del Cairo Sud. 10:39 Fmi pronto ad aiutare Egitto per ricostruire economia 21 – Il Fondo monetario internazionale è pronto ad aiutare l'Egitto a ricostruire la propria economia. Lo ha detto il direttore generale dell'istituto Dominique Strauss-Kahn, mentre nel Paese dei faraoni sono in corso manifestazioni di protesta contro il governo del presidente Hosni Mubarak. "L'Fmi è pronto a fare la sua parte per elaborare una politica economica da realizzare" in Egitto, ha dichiarato Strauss-Kahn. 10:21 Al-Jazeera: "Mezzo milione a Piazza Tahrir" 20 – Sono già mezzo milione i manifestanti giunti finora in piazza Tahrir al Cairo per protestare contro il regime. Lo riferisce la tv araba 'al-Jazeera'. 10:05 Iran: "Rivolta aiuterà a creare un medio oriente islamico" 19 – La rivolta in Egitto aiuterà a creare "un Medio Oriente islamico". Lo ha indicato il ministro degli Esteri iraniano Ali Akbar Salehi, citato dalla televisione di Stato, che ha denunciato le ingerenze americane nel movimento popolare "alla ricerca di libertà". 10:02 Ambasciatore italiano: "Sconsiglio tassativamente viaggi" 18 – ''Sconsiglio tassativamente agli italiani di recarsi in Egitto''. È quanto sottolinea, dai microfoni di Radio Anch'io, l'Ambasciatore italiano in Egitto, Claudio Pacifico. ''C'è obbligo di saggezza'' perché anche nelle zone che in questo momento appaiono più tranquille, grazie all'intervento dell'esercito, ''la situazione potrebbe cambiare'' nel giro di poche ore. 09:56 Omar Sharif: "Tragedia se Egitto cadesse in mani islamiche" 17 – "Sono dalla parte del mio popolo e dei giovani che non hanno futuro. Sarebbe tremendo se il Paese dovesse cadere in mani islamiche, finirebbe la pace con Israele e finirebbero gli aiuti americani". Così l'attore egiziano Omar Sharif, intervenendo in collegamento telefonico dal Cairo durante la puntata di "Radio Anch'io" in onda oggi su Radio1 Rai. 09:53 Atteso oggi il rientro di Zewail, il più accreditato per presidenza 16 – È atteso oggi il rientro al Cairo, alle 15, di Ahmed Zewail, uno dei candidati più forti alla presidenza nel dopo Mubarak. Ahmed H. Zewail, 54 anni, è tra le principali personalità che potrebbero guidare l'Egitto del dopo-Mubarak, così come Mohamed El Baradei o Amr Moussa tra gli altri. 09:50 Rientrati in Italia 78 dipendenti della ditta Danieli 15 – Settantotto dipendenti della Danieli di Buttrio (Udine), impegnati nei cantieri di Suez e Ain Soukna, in Egitto, sono arrivati questa mattina all'aeroporto di Ronchi dei Legionari (Gorizia) per fare rientro nelle rispettive abitazioni. Di questi, 70 sono italiani, altri otto di altre nazionalità. Il volo è stato organizzato dalla multinazionale friulana dell'acciaio che ha deciso di richiamare tutti i dipendenti. In queste ore - hanno detto a Buttrio - l'azienda sta organizzando il rientro dall'Egitto di altri 400 dipendenti. Si tratta in maggioranza di lavoratori tailandesi, spagnoli, messicani, marocchini e serbi. 09:47 Atterrato in Italia dal Cairo aereo con 60 italiani 14 – È riuscito a tornare in Italia con un C-130 dell'Aeronautica militare un gruppo di 60 italiani che si trovava al Cairo 09:46 Chiusa autostrada Suez-Cairo per isolare manifestanti 13 – Le autorità egiziane hanno chiuso l'autostrada che collega la città di Suez con il Cairo. Secondo la tv satellitare 'al-Arabiya', questo provvedimento è stato assunto per impedire ai maniefestanti delle altre regioni dell'Egitto di raggiungere il Cairo. Per lo stesso motivo sono fermi i treni in tutto il paese ed è chiusa la metropolitana della capitale. 09:28 A Ismailiya si prepara contro manifestazione pro-Mubarak 12 – I militanti e i dirigenti del Partito nazionale democratico, al governo in Egitto, di Ismailiya stanno preparando una contro-manifestazione in città in favore del presidente Hosni Mubarak. Secondo quanto riferisce l'inviato della tv satellitare 'al-Arabiya', nella notte alcuni di questi militanti avrebbero attaccato la tendopoli creata dai militanti delle opposizioni nel centro della città egiziana in attesa della grande manifestazione contro il regime indetta nei principali centri del paese. 09:25 Israele rafforza sicurezza al confine 11 – Israele ha rafforzato la sicurezza al confine con l'Egitto nel timore di infiltrazioni terroristiche a causa dei disordini e si prepara alla possibilità di una massiccia ondata di profughi beduini in arrivo dal Sinai. Secondo il quotidiano Haaretz online, unità dell'esercito ed agenti della polizia israeliana sono stati dispiegati lungo la frontiera egiziana per evitare che terroristi possano approfittare delle proteste per oltrepassare il confine e attaccare Israele. Intanto il paese prevede l'arrivo di numerosi richiedenti asilo. ''Se i beduini dovessero riuscire a sfuggire ai controlli dell'esericito egiziano verrebbero in Israele'' ha rilevato Shmuel Rifman, capo del consiglio regionale di Ramat Hanegev, 09:13 Cinquanta Ong chiedono dimissioni di Mubarak 10 – Nell'ottavo giorno di rivolta, costata la vita ad almeno 125 persone, cinquanta organizzazioni non governative egiziane hanno chiesto le dimissioni del presidente Hosni Mubarak per evitare altri ''spargimenti di sangue''. 09:10 Frattini: "Da Italia pieno sostegno a documento Ue" 9 – L'italia appoggia pienamente le conclusioni del consiglio esteri dell'Ue sull'Egitto, e in particolare il punto in cui si invitano le autorità al dialogo con l'opposizione. Lo ha detto, in un incontro con i cronisti ieri sera a Bruxelles, il ministro degli esteri Franco Frattini, ricordando che "l'Italia, come anche gli altri europei e gli Usa, ha intrattenuto da tempo relazioni con i gruppi dell'opposizione in egitto, ma è evidente che le dinamiche di questa rivolta, così rapide, nessuno le aveva previste". 08:52 Verso un nuovo stop dei servizi di telefonia mobile 8 – L'Egitto prevede di sospendere per la seconda volta i servizi di telefonia mobile del paese in vista della protesta di oggi, a cui dovrebbero partecipare "milioni di persone", hanno annunciato ieri i manifestanti. Lo riferiscono i media ufficiali. Come già accaduto con Internet, il governo tagliando le comunicazioni spera di isolare i dimostranti in modo da contenere la rivolta. Il blackout imposto dal Cairo su Internet in concomitanza con la rivolta popolare ha zittito l'88 per cento dei siti Web. Già venerdì le autorità avevano chiesto agli operatori nazionali di sospendere i servizi durante le manifestazioni per chiedere le dimissioni del presidente Hosni Mubarak. 08:26 Iran: Medio Oriente islamico contro Israele 7 – Il rovesciamento dei regimi attualmente al potere in diversi Paesi arabi, tra cui l'Egitto, porterebbe a un miglioramento dei loro rapporti con l'Iran e alla creazione di "un Medio Oriente islamico e potente capace di opporsi a Israele". Lo ha detto oggi il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Ramin Mehman-Parast. Teheran ha rotto le relazioni diplomatiche con Il Cairo oltre 30 anni fa, dopo la rivoluzione islamica iraniana, per protesta contro i trattati di pace di Camp David firmati dal presidente egiziano Anwar Sadat con Israele. Ieri il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha detto di temere che in Egitto possa emergere un regime islamico radicale come in Iran. 08:13 Teheran: appoggiamo le proteste contro Mubarak 6 – L'Iran sostiene il movimento d'opposizione egiziano che contesta la leadership politica del presidente Hosni Mubarak. E' quanto ha sottolineato il ministro degli Esteri di Teheran, Ali Akbar Salehi, citato dall'agenzia d'informazione 'Isna'. "Le proteste e i movimenti popolari nei paesi del Nord Africa, tra cui l'Egitto, dimostrano che è necessario riorganizzare la regione eliminando le leggi dittatoriali", ha affermato Salehi. "I casi di Egitto e Tunisia provano che è finita l'era del controllo della regione da parte delle potenze arroganti (l'Occidente, ndr) e che la gente sta provando a decidere da sola il proprio destino". 08:02 Il governo blocca i treni per limitare l'afflusso nella capitale 5 – l governo di Mubarak ha bloccato i collegamenti ferroviari, nel tentativo del governo di limitare l'afflusso di manifestanti al Cairo. Impossibile anche utilizzare internet in tutto il Paese: l'ultimo fornitore d'accesso ancora in funzione, il gruppo Noor, è stato bloccato ieri. 08:01 Il palazzo presidenziale è la meta finale del corteo 4 – Numerosi dimostranti anti-governativi si stanno radunando in piazza Tahrir al Cairo, nel giorno della "marcia di un milione" annunciata ieri. Lo riferiscono i media arabi. Obiettivo dei manifestanti il palazzo presidenziale, meta finale del corteo. In piazza Tahrir si nota ancora la presenza dei mezzi militari pesanti, che osservano il lento afflusso di persone, che già si contano a migliaia. 08:00 Già 5000 persone in piazza al Cairo 3 – Sono già più di 5.000 i manifestanti presenti fin dalle prime ore del mattino nel centro del Cairo per la marcia contro il regime di Hosni Mubarak convocata dalle opposizioni. "Un milione in marcia" era stata la parola d'ordine lanciata ieri dal Movimento 6 aprile, assieme all'annuncio dell'inizio di uno sciopero generale che sta paralizzando il Paese. Un'altra marcia è stata convocata ad Alessandria. 07:58 Oggi la "marcia del milione" 2 – L'Egitto si prepara oggi allo sciopero generale e alla "marcia del milione". L'obiettivo dichiarato è quello di far scendere in strada un milione di persone al Cairo, ad Alessandria e nella altre città egiziane, per esigere la fine del regime di Mubarak. Ieri l'esercito in un comunicato ha definito "legittime" le richieste dei manifestanti e ha promesso che non userà la violenza per reprimere le manifestazioni. Il vicepresidente omar suleiman ha detto di aver ricevuto dal presidente l'incarico di avviare un dialogo immediato con l'opposizione "in merito a tutte le questioni legate alle riforme costituzionali e legislative". 07:56 Google, ideato sistema per bypassare i blocchi al web 1 – Google ha annunciato sul suo blog ufficiale di aver messo a punto insieme al social network di micro blogging Twitter un sistema studiato appositamente per chi si trova in Egitto e che consente di inviare tweets bypassando internet, che nel Paese è interrotto da quando sono scoppiate le proteste contro il presidente Hosni Mubarak una settimana fa. Sono stati messi a disposizione tre numeri telefonici internazionali - uno dei quali è italiano, di Roma - e lasciare un messaggio vocale, usando la parola chiave 'egypt', che sarà poi trasformato in un tweet. Il sistema, spiegano sul blog Ujjwal Singh, co-fondatore di SayNow - società recentemente acquisita da Google - e AbdelKarim Mardini, product manager per il Medio Oriente e Nordafrica, è già funzionante. La gente può ascoltare i messaggi usando gli stessi numeri telefonici o visitando l'indirizzo twitter.com/speak2tweet. "Noi speriamo - scrivono Singh e Mardini - di poter in questo modo aiutare il popolo dell'Egitto a restare connesso in questo momento difficile. I nostri pensieri sono con tutti coloro che sono là". I tre numeri sono: +16504194196, +97316199855 e il numero romano +390662207294. Chiamando questa ultima utenza, si sente un messaggio registrato in lingua araba che dà le istruzioni per ascoltare o lasciare un messaggio. (01 febbraio 2011)
2011-01-30 Diretta El Baradei: "Non si torna indietro" Migliaia di manifestanti in piazza Tahrir El Baradei: "Non si torna indietro" Migliaia di manifestanti in piazza Tahrir Sale di ora in ora il bilancio degli scontri che durano ormai da 5 giorni: si parla di 102 vittime anche se secondo Al Jazeera sono almeno 150 i morti. Corpi ammassati all'esterno di un carcere a est del Cairo. La gente sfida il coprifuoco in tutto il paese. Smentita la fuga della famiglia di Mubarak. La tv di Stato mostra il presidente al Cairo, in visita al quartier generale dell'esercito. Ieri Mubarak ha nominato un vice, Omar Suleiman, già a capo dei servizi segreti. Alla guida del governo Ahmed Shafik, ministro dell'aeronautica civile. Le decisioni del raìs non hanno soddisfatto le folle e nemmeno gli oppositori politici. Che scelgono El Baradei per trattare con il regime una transizione democratica. Piazza Tharir, al Cairo, torna a riempirsi di dimostranti. In un appello congiunto, Nicolas Sarkozy, Angela Merkel e David Cameron hanno invitato Mubarak a evitare "ad ogni costo l'uso della violenza contro civili disarmati" e ai manifestanti affinché "esercitino pacificamente i loro diritti" (Aggiornato alle 20:16 del 30 gennaio 2011) 20:16 Da domani coprifuoco prolungato 77 – Da domani il coprifuoco in Egitto sarà prolungato dalle 15 locali alle 8 di mattina. Lo ha reso noto la tv di Stato. La misura già in vigore dalle 16 alle 7 di mattina, finora non è stata rispettata dai manifestanti che chiedono le dimissioni del presidente Honsi Mubarak. In migliaia stanno dimostrando al Cairo nella centrale piazza Tahir con il leader dell'opposizione Mohammed ElBaradei, e altri stanno marciando per le strade di Alessandria, la seconda città del Paese. 18:33 Presidente Parlamento: "Rivedremo risultati legislative" 76 – "Rivedremo i risultati delle elezioni legislative egiziane, tenendo conto dei ricorsi presentati": lo ha affermato il presidente dell'Assemblea del popolo (Parlamento), secondo quanto riferisce Al Arabiya. 18:11 Migliaia di dimostranti ad Alessandria 75 – Sono ancora migliaia i dimostranti nelle strade di Alessandria. Lo riferisce un corrispondente della Cnn via Twitter, secondo il quale "sono stati sparati colpi di avvertimento" con mitragliatrici pesanti nel tentativo di disperdere la folla. 18:10 Domani polizia tornerà per le strade 74 – La polizia egiziana tornerà di nuovo nelle strade domani, schierata a fianco dell'esercito. Lo hanno reso noto fonti della sicurezza, precisando però che i poliziotti non saranno dispiegati nella grande piazza Tahrir. 18:08 El Baradei: "Il cambiamento arriverà nei prossimi giorni" 73 – "Vi siete riappropriati dei vostri diritti e quello a cui avete dato inizio non puo' tornare indietro", ha detto l'uomo che è riuscito a coalizzare, dietro di sè, l'opposizione egiziana, rivolto ai manifestanti che lanciavano grida di giubilo e inneggiavano all'allontamento di Hosni Mubarak. "Avete una sola domanda: la fine del regime e l'inizio di una nuova era, di un nuovo Egitto". "Io mi inchino in segno di rispetto al popolo egiziano. E vi chiedo pazienza: il cambiamento arriverà a breve nei prossimi giorni". 17:59 El Baradei ai manifestanti: "Non si torna indietro" 72 – "Quel che abbiamo cominciato non può tornare indietro": con queste parole, Mohamed El Baradei, ha arringato la folla a piazza Tahrir, epicentro delle proteste di migliaia di manifestanti che chiedono la fine del regime di Mubarak. 17:49 Ministro ordina alla polizia di tornare in strada 71 – Il ministero dell'Interno del Cairo ha ordinato ai poliziotti di ritornare a presidiare le strade di tutte le città del paese a partire da domani. Secondo quanto riferisce la tv Al Jazeera, la polizia potra dispiegarsi in tutto il territorio nazionale ad eccezione di piazza Tahrir, al Cairo, dove si temono scontri con i manifestanti. 17:37 Assalto alle biglietterie dell'aeroporto del Cairo 70 – Orde di turisti, uomini d'affari e anche cittadini egiziani hanno preso d'assalto l'aeroporto del Cairo, nel tentativo di lasciare l'Egitto il prima possibile. La ressa comincia già all'esterno dello scalo internazionale con un caotico imbottigliamento di auto. Entrare all'interno della hall è quasi impossibile: famiglie accampate, carrelli a terra, bambini in lacrime, genitori angosciati, poliziotti sopraffatti. 17:33 Slogan contro Mubarak all'arrivo di El Baradei 69 – "Vogliamo far cadere questo presidente": queste è lo slogan che ritmicamente scandiscono le migliaia di persone presenti nella piazza Tahrir (Liberazione) mentre è arrivato e sta parlando Mohammed el Baradei. 17:30 El Baradei: "Sto cercando contatto con l'esercito" 68 – "Sto cercando di mettermi in contatto con l'Esercito, perché sono stato incaricato dalle forze di opposizione di formare un governo di salvezza nazionale": così Mohammed El Baradei al suo arrivo in piazza Tahrir al Cairo. Lo riferisce la tv Al Arabya. 17:25 El Baradei arrivato in piazza Tahrir per comizio 67 – Il leader dell'opposizione egiziana, Mohammed El Baraderi è arrivato da pochi minuti a piazza Tahrir dove è in corso una manifestazione contro il presidente Hosni Mubarak. Lo riferisce la tv satellitare 'al-Arabiya'. L'ex direttore dell'Aiea dovrebbe tenere un discorso ai manifestanti. 17:09 Opposizione nomina comitato per trattare con esercito 66 – I Fratelli Musulmani e la formazione di Mohammed El Baradei, Associazione Nazionale per il cambiamento, hanno costituito un comitato per trattare con le forze armate la fine del regime di Hosni Mubarak. Lo ha dichiarato Saad Katatni, dirigente dei Fratelli Musulmani secondo cui "il comitato potrebbe già domani incontrarsi con i responsabili dell'esercito per mettere a punto un possibile cambio di regime in Egitto". L'ipotesi avanzata dall'opposizione è quella di creare un governo transitorio dopo la deposizione di Mubarak e tenere quindi elezioni anticipate. 16:54 Ambasciatore italiano: "Ordine pubblico fuori controllo" 65 – "La situazione è molto delicata, non solo al Cairo, ma in tutto il paese. E' collassato ogni servizio di sicurezza". Lo ha detto a Sky Tg24 l'ambasciatore italiano in Egitto, Claudio Pacifico, spiegando, che ormai non più solo i palazzi ufficiali e istituzionali ma tutti sono esposti a bande criminali, che, con le armi sottratte alla polizia, stanno saccheggiando e terrorizzando l'intero paese. "Si stanno formando - ha spiegato - gruppi di autodifesa. Noi stessi stiamo cercando di difendere l'ambasciata con i carabinieri e con addetti locali trasformati in guardiani". Quanto agli italiani che si trovano nel paese, ha assicurato l'ambasciatore, "stiamo cercando con tutte le nostre strutture di garantire che escano indenni da questa brutta avventura". 16:50 El Baradei in piazza Tahrir per tenere un comizio 64 – Il leader dell'opposizione egiziana, Mohammed El Baradei, si sta recando in piazza Tahrir, al Cairo, per tenere un comizio ai manifestanti. Lo riefrisce la tv satellitare Al Arabiya. 16:37 Farnesina: "Assistenza continua a italiani in Egitto" 63 – La Farnesina sta prestando ininterrottamente la sua assistenza con tutti i mezzi possibili ai connazionali in Egitto attraverso l'unità di crisi e l'ambasciata al Cairo ed ha apprestato un punto di contatto per gli italiani all'aeroporto internazionale del Cairo. Lo ha reso noto oggi lo stesso ministero degli Esteri in un aggiornamento sulle attività relative ai connazionali presenti in Egitto, in un contesto di "diffusi disordini e saccheggi". 16:28 El Baradei: "Io disponibile a presidenza ponte" 62 – Mohammed El Baradei, 68 anni, l'ex direttore generale della Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (Aiea), premio Nobel per la Pace nel 2005, è "disponibile" ad assumere la presidenza dell'Egitto "per un periodo di transizione che faccia da 'ponte' verso la democrazia": lo ha detto lo stesso El Baradei in un'intervista rilasciata alla Cnn. 16:26 Carri armati verso piazza Tahrir secondo Al Arabiya 61 – Sedici carri armati dell'esercito si stanno muovendo verso piazza Tahrir, dove da oltre un'ora si sono radunate migliaia di persone. Lo riferisce la rete satellitare Al Arabiya e lo confermano testimoni oculari. 15:46 Caccia militari sorvolano piazza Tahrir 60 – Diversi aerei militari hanno sorvolato a bassissima quota la piazza Tahrir, dove sono riunite decine di migliaia di persone nel senso giorno consecutivo di proteste contro il regime del presidente Hosni Mubarak. Lo hanno riferito diversi media internazionali. Secondo la tv satellitare Al Jazeera alcuni testimoni avrebbero visto le insegne dello stemma presidenziale egiziano sugli aerei. 15:44 D'Alema: "Italia non ha voce internazionale" 59 – "La condizione dell'Italia è allarmante In un momento in cui il Mediterraneo è così scosso. E' un danno enorme per il Paese questo governo che non ha alcuna voce internazionale": lo dice l'ex ministro degli esteri, Massimo D'Alema, ospite a 'In mezz'orà. 15:25 Vip egiziani scappano in aereo 58 – Esponenti di spicco del mondo degli affari e della burocrazia egiziana hanno lasciato il paese a bordo di 19 aerei privati decollati nelle ultime ore dall'aeroporto del Cairo, rende noto l'emittente televisiva al Arabiya.
15:10 El Baradei: "Mubarak lasci oggi il paese" 57 – Hosni Mubarak "lasci oggi il Paese" per "salvare la Nazione". Così Mohamed El Baradei in una intervista alla Cnn. "Questo è un Paese che sta cadendo a pezzi. L'Egitto sta entrando in un periodo di transizione", ha detto il premio Nobel per la Pace ribadendo che è necessario un governo di unità nazionale per arrivare a elezioni "libere e trasparenti" 15:00 Clinton: "Non se Mubarak nel nuovo futuro degli egiziani" 56 – In una intervista tv, il segretario di Stato Hillary Clinton dichiara di non sapere se il presidente egiziano Mubarak manterrà il potere, ma afferma che "gli Usa vogliono che il popolo egiziano possa avere la possibilità di tracciare il proprio futuro". Per la Clinton "Hosni Mubarak non ha fatto abbastanza, il processo è appena iniziato" ed è necessaria una "ordinata transizione" per evitare il rischio di un "vuoto di potere". Hillary aggiunge di aspettarsi "le elezioni come uno dei risultati di quanto sta accadendo" in Egitto. Il segretario di Stato conclude dicendo che gli Usa non vorrebbero vedere altro cambiamento se non "quello che conduce alla democrazia" e che l'amministrazione Obama non sta considerando la sospensione degli aiuti all'Egitto 14:55 Libia, ponte aereo per evacuazione 55 – La Libia ha predisposto un ponte aereo per il rimpatrio dei connazionali in Egitto. "Quattro aerei sono già partiti" ha indicato una fonte aeroportuale a Tripoli. Ogni anno sono centinaia di migliaia i libici si recano in Egitto, per turismo o cure mediche 14:49 Il Cairo, caccia militari in volo sulla città 54 – Testimoni riferiscono del volo di due caccia sulla capitale. Due elicotteri dell'esercito sorvolano piazza Tahrir, dove di minuto in minuto aumenta il numero dei dimostranti contro Mubarak, mentre dalle strade circostanti arrivano altri mezzi blindati militari. Si rafforza così il dispositivo di sicurezza attorno all'epicentro della protesta, a poco più di un'ora dall'inizio del coprifuoco 14:48 Catturati oltre 3mila detenuti evasi 53 – Le autorità del Cairo hanno reso noto che sono stati catturati 3.113 detenuti che negli ultimi giorni erano fuggiti da varie carceri in tutto il Paese. La televisione di Stato egiziana ha anche mostrato le immagini di decine di prigionieri: sedevano sul pavimento, molti con le mani legate dietro la schiera. Il cronista ha spiegato che l'esercito ha arrestato i fuggitivi in diverse parti del Paese e l'emittente ha trasmesso immagini di un vero e proprio arsenale confiscato: fucili, kalashnikov, bombe molotov, munizioni e coltelli che "sarebbero stati usati per terrorizzare la popolazione" 14:46 Appello del ministro della Difesa: "Rispettate il coprifuoco" 52 – Dalla televisione pubblica il ministro della Difesa Mohammed Tantawi ha lanciato un appello alla popolazione perché rispetti il coprifuoco, che inizierà alle 16 ora egiziana, le 15 in italia. Tantawi è stato scortato alla sede della tv pubblica da militari con caschi rossi su dei suv blindati 14:42 Usa riducono personale in ambasciata 51 – Il Dipartimento di Stato Usa ha deciso di evacuare dall'Egitto il personale diplomatico non essenziale e i familiari. Inoltre il Dipartimento di Stato ha ammonito i cittadini americani a non recarsi in Egitto "a causa dei problemi politici e sociali in corso" 14:37 Anche i Fratelli musulmani scelgono El Baradei "mediatore" 50 – Dopo le altre forze d'opposizione, anche i Fratelli musulmani hanno indicato in El Baradei il loro "incaricato" per negoziare la transizione con il regime di Mubarak. Lo ha dichiarato Essam al Eryan, portavoce del movimento islamico, principale forza d'opposizione bandito in Egitto 14:28 Al Jazeera: 150mila nelle strade del Cairo, alle 16 coprifuoco 49 – Sarebbero 150 mila i manifestanti nel centro del Cairo. Lo riferiscono fonti della tv araba Al Jazeera. La protesta si concentra in piazza Tahrir e davanti alla sede della tv di Stato, dove in questi minuti i manifestanti hanno svolto la preghiera del pomeriggio insieme, guidati da un imam di al-Azhar. Nello stesso tempo gli osservatori locali rilevano che la presenza dei militari nel centro della capitale egiziana è superiore rispetto alla giornata di ieri. La manifestazione per chiedere le dimissioni del presidente Hosni Mubarak sembra proseguire nonostante si avvicini l'inizio del coprifuoco che è alle 16 orario locale, le 15 in Italia 14:24 Teologi e Imam di Al Azhar con i manifestanti 48 – Anche gli imam e i teologi dell'università islamica di al-Azhar si sono uniti ai manifestanti. Decine di religiosi con indosso la divisa dell'ente islamico egiziano sono tra le migliaia di persone che protestano in piazza Tahrir, al Cairo. Con loro anche i giudici del tribunale locale, avvocati giornalisti e rappresentanti delle diverse fasce sociali del paese 14:18 Veltroni con premi Nobel per El Baradei e dimostranti 47 – Su iniziativa del World Summit of Nobel Peace Laureates e del suo co-chair Walter Veltroni, i premi Nobel per la Pace stanno firmando in queste ore un appello indirizzato al governo egiziano, che verrà trasmesso anche ai capi di Stato e di governo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il documento, che tra i primi a firmatari vede il leader di Solidarnosc ed ex Presidente della Polonia Lech Walesa, Mairead Corrigan Maguire, Jody Williams e Betty Williams, chiede alle istituzioni egiziane che "venga salvaguardata la libertà e l'incolumità" dei manifestanti che in queste ore sono scesi nuovamente nelle piazze delle maggiori città egiziane e del leader dell'opposizione e Premio Nobel per la Pace Mohamed El Baradei, fermato e poi rilasciato durante le manifestazioni di qualche giorno fa 14:14 Suleiman incontra ministro Difesa per piano sicurezza 46 – Il vice presidente egiziano, Omar Suleiman, sta incontrando in questi minuti il ministro della Difesa, Hussein Tantawi, e i vertici delle forze armate per stabilire un nuovo piano per la sicurezza. Lo riferisce la tv di Stato egiziana. La stessa emittente ricorda che Tantawi ha passato in rassegna "i militari che si trovano nel centro del Cairo e di fronte la sede dell'emittente statale" 14:03 Redattori quotidiano 'Al Ahram': "Via Mubarak" 45 – Un gruppo di redattori del quotidiano filogovernativo Al Ahram si è ribellato alla linea del giornale e ha chiesto l'uscita di scena di Mubarak. Lo ha detto alla tv Al Jazeera uno dei redattori, Karim Yahya, spiegando che alcune decine di giornalisti del più antico quotidiano del mondo arabo hanno firmato un documento per chiedere "le dimissioni di Mubarak e la formazione di un governo di salvezza nazionale". In questo modo i giornalisti sperano di "salvare il quotidiano e la sua sede dalla rabbia dei manifestanti contro il governo e le sue istituzioni" 13:56 Il Cairo, 16 carri armati verso piazza Tahrir 44 – Un convoglio composto da 16 carri armati dell'esercito egiziano si sta dirigendo in questi minuti verso piazza Tahrir al Cairo. Lo riferisce la tv Al Arabiya 13:51 Il Cairo, trovati 14 cadaveri in una moschea 43 – Quattordici cadaveri sono stati trovati in una moschea nei pressi di una prigione al Cairo, dopo una rivolta nell'istituto di pena. Lo ha constatato un reporter dell'agenzia Afp. Secondo Al Arabiya potrebbe trattarsi di detenuti uccisi dopo un tentativo di evasione, da ricollegare al ritrovamento di stamane: decine di cadaveri nelle strade adiacenti al carcere di Abu Zabul, nella periferia orientale del Cairo 13:45 Folla in piazza Tahrir, ma soldati inaspriscono controlli 42 – Secondo Al Arabiya, il numero dei manifestanti in piazza Tahrir al Cairo è salito a 10mila. Ma vi sono segnali inquietanti di un inasprimento della sorveglianza dell'esercito. Secondo quanto riportano corrispondenze dei quotidiani El Pais e Guardian, i soldati stanno procedendo a blocchi con carri armati, ammassano sacchi di terra, fissano barriere di acciaio e hanno addirittura alzato muri di cemento in alcune strade. A nessuno è consentito l'accesso a piazza Tahrir senza che prima sia stato perquisito. El Pais: i soldati in alcuni posti di blocco stanno preparando le baionette 13:39 Appello alla calma della Conferenza Islamica 41 – Da Gedda, in Arabia Saudita, l'Organizzazione della Conferenza Islamica lancia all'Egitto un appello alla calma perché "siamno risparmiate vite umane e anche i beni, pubblici e privati". Il segretario generale dell'Oci, Ekmeleddin Ihsanoglu, afferma nel comunicato che "per il suo passato, la sua storia e i suoi valori, l'Egitto ha la piena capacità di superare pacificamente l'attuale crisi e di continuare a esercitare il ruolo che gli spetta sulla scena araba e internazionale" 13:27 I Fratelli musulmani non riconoscono le nomine di Mubarak 40 – Con un comunicato, i Fratelli musulmani, movimento islamico illegale in Egitto e maggiore forza d'opposizione del paese, non riconoscono le nuove nomine del presidente Mubarak, tra cui quella di un nuovo premier, Ahmed Shafik, ex alto ufficiale dell'aviazione e ministro dell'aviazione civile, e un suo vice, Omar Suleiman, già a capo dei servizi segreti. In un comunicato, definiscono il nuovo esecutivo nominato dal presidente "un tentativo di aggirare le rivendicazioni popolari e minare la rivoluzione" 13:24 Iran, Mussavi: protesta egiziana si ispira a noi 39 – Mir Hossein Mussavi, leader delle proteste del 2009 in Iran contro la rielezione alla presidenza di Mahmud Ahmadinejad, afferma che le manifestazioni di piazza in Egitto si sono ispirate proprio alle vicende del cosiddetto 'movimento verde' iraniano di due anni fa. "Il punto di partenza di quanto vediamo oggi nelle strade di Tunisi, Sanaa, Cairo, Alessandria e Suez - scrive Mussavi in un comunicato pubblicato dal suo sito, Kaleme - può indubbiamente essere trovato nei giorni di giugno del 2009, quando milioni di persone scesero nelle strade di Teheran al grido di 'Dov'è il mio voto?' e chiesero pacificamente di riottenere i loro diritti negati". "Noi lodiamo - aggiunge Mussavi - i coraggiosi popoli che resistono in Egitto, Tunisia, Giordania e Yemen e preghiamo Dio perché essi possano essere vittoriosi nella lotta per i loro diritti" 13:10 Al Jazeera: i morti sono 150 38 – Secondo l'emittente satellitare del Qatar, le vittime degli scontri di piazza in corso da mertedi in Egitto sono almeno 150. Il bilancio ufficiale provvisorio delle vittime è di 102 morti (33 nella sola giornata di ieri) e centinaia di feriti 13:06 A migliaia verso piazza Tahrir 37 – Sono migliaia i manifestanti che si stanno dirigendo verso il centro del Cairo per rinnovare la protesta contro il regime del presidente Hosni Mubarak. L'esercito è dispiegato nelle strade del centro e al momento non è intervenuto 12:53 Ex ministro dell'Interno sfugge alla rabbia degli oppositori 36 – L'ex ministro dell'Interno del governo dimissionato da Hosni Mubarak, Habib al-Adli, sarebbe stato messo in salvo dall'esercito questa mattina per sfuggire dalla rabbia dei manifestanti. Secondo Al Jazeera, gruppi di oppositori avrebbero circondato i suoi uffici nella sede del ministero dell'Interno costringendolo a mettersi in salvo. Per permettere la sua evacuazione i militari avrebbero aperto il fuoco 12:49 Cairo, chiuso tribunale e giudici in piazza 35 – Sospesa questa mattina l'attività del tribunale del Cairo "in attesa che ritorni la calma nel paese". Lo riferiscono fonti giudiziarie alla tv araba Al Jazeera. Secondo l'emittente del Qatar in questi minuti i giudici della capitale egiziana stanno manifestando con le opposizioni in piazza Tahrir per chiedere le dimissioni del presidente Hosni Mubarak 12:46 Voli anche per Emirati Arabi, Libano, Giordania, Qatar e Kuwait 34 – Dopo Usa, Turchia e Arabia Saudita, hanno preannunciato l'organizzazione di voli per consentire ai propri connazionali di lasciare l'Egitto anche Emirati Arabi Uniti, Libano, Giordania, Qatar e Kuwait 12:29 Mubarak al Cairo, vertice con i militari 33 – Il mistero su dove si trovi Mubarak sarebbe finito. L'agenzia di stampa ufficiale egiziana riferisce che il presidente si è recato in visita al quartier generale dell'esercito, incaricato della sicurezza al Cairo, e ha incontrato i vertici militari. La tv di Stato ha mostrato immagini del leader assieme al suo nuovo vice, Omar Suleiman, al ministro della Difesa, Hussein Tantawi, e al capo di stato maggiore, Sami Annan, rientrato ieri dagli Usa. Si tratta della prima uscita in pubblico di Mubarak dall'inizio delle proteste di piazza nel paese. Sempre oggi Mubarak ha nominato un nuovo governatore per la regione del nord del Sinai durante un vertice con gli ufficiali 12:27 Al Jazeera: "Disponibili altri segnali satellitari" 32 – La tv satellitare del Qatar Al Jazeera fa sapere che le autorità egiziane hanno interrotto le sue trasmissioni chiudendo il satellite Nilesat, ma altri segnali dell'emittente sono disponibili 12:24 Opposizione delega a El Baradei per trattare transizione 31 – Alcuni gruppi di opposizione egiziana hanno delegato Mohammed El Baradei per trattare con il presidente Mubarak un governo di transizione democratica. Lo riferisce la tv satellitare Al Arabiya. Tra le forze firmatarie del documento che delega l'ex capo dell'Aiea e premio Nobel per la Pace a mediare col regime, oltre all'associazione per il Cambiamento dello stesso El Baradei, c'è anche il movimento giovanile '6 aprile' 12:23 Iran, foto di Mubarak bruciata a Teheran 30 – Una fotografia del presidente egiziano Hosni Mubarak è stata data alle fiamme e cartelli con la scritta "Musulmani unitevi" sono stati innalzati durante una manifestazione di studenti fondamentalisti iraniani svoltasi ieri sera davanti alla sezione d'interessi dell'Egitto a Teheran 12:21 Voci a Sharm: "Mubarak è qui" 29 – L'arrivo dell'esercito a Sharm El Sheikh è un segnale, ma nella località del Mar Rosso sono insistenti le voci secondo cui il presidente Mubarak sarebbe lì, trincerato nella sua villa. Dall'inizio della rivolta egiziana, il 25 gennaio, il rais è stato visto una sola volta in tv, nella notte del 28, quando si è rivolto alla nazione. Notizie secondo cui la moglie del rais Suzanne e i figli Gamal e Alaa sono partiti per la Gran Bretagna sono state smentite ieri dalla televisione di Stato. La villa di Mubarak a Sharm quando il rais è presente è solitamente molto presidiata e in modo molto visibile. In questi giorni invece si vedono poche forze di sicurezza 12:10 Cadaveri all'esterno del carcere di Abu Zabul 28 – E' il carcere di Abu Zabul, a Est del Cairo, l'istituto penale al cui esterno sono stati ammassati decine di corpi di detenuti. Lo riferiscono fonti della sicurezza egiziana citate da Al Jazeera 11:54 Cina, bloccata ricerca parola "Egitto" su microblog 27 – La Cina ha bloccato oggi le ricerche che contengono la parola "Egitto" su microblog cinesi simili alla piattaforma Twitter, che è inaccessibile. Le ricerche di "Egitto" sui microblog dei siti più popolari come Sina.com e Sohu.com danno oggi come risultato un messaggio secondo il quale "non è stato possibile" trovare le informazioni richieste. In Cina ci sono oltre 450 milioni di utenti di Internet e i siti di comunicazione sociale come, oltre a Twitter, Facebook, Youtube e Flickr, sono bloccati dalla censura 11:52 L'esercito anche a Sharm El Sheikh 26 – L'esercito egiziano è stato dislocato questa mattina anche nelle strade della località turistica di Sharm el Sheikh, per prevenire manifestazioni e proteste. Anche perché il presidente Hosny Mubarak sta dividendo il suo tempo, anche in questi giorni di crisi, fra il Cairo e la sua residenza di Sharm El Sheikh 11:47 Evasi 34 membri dei Fratelli musulmani 25 – Tra i tanti detenuti evasi nel caos egiziano, anche un gruppo di 34 militanti dei Fratelli Musulmani, formazione politica fuori legge nel paese, fuggito da un carcere alla periferia del Cairo. Lo riferisce Al Jazeera. Tra loro, anche 7 membri della direzione del gruppo islamico fermati pochi giorni prima della rivolta, oltre al capo dei Fratelli Musulmani di Giza e di Sharm el-Sheikh. La notizia è stata confermata da uno degli evasi, Muhammad Marsi, che alla tv qatariota ha affermato: "Non siamo degli evasi perché eravamo stati arrestati ingiustamente dall'ex ministro dell'Interno. Siamo stati liberati dalla gente della zona che ha aperto le celle del carcere" 11:45 Italiani bloccati a Sharm: "Fermi aerei Egypt Air" 24 – Gruppi di turisti italiani stanno tentando di lasciare Sharm El Sheikh ma hanno difficoltà a partire. Lo riferiscono all'Ansa testimoni all'aeroporto della città sul mar Rosso. Gli aerei della Egypt Air sono bloccati a causa della mancanza di connessioni al Cairo con voli internazionali 11:42 Arabia Saudita invia otto aerei per i connazionali 23 – La tv satellitare Al Arabiya riferisce che le autorità di Riad hanno inviato otto aerei verso l'Egitto per favorire la partenza dei connazionali 11:40 Decine di cadaveri presso una prigione del Cairo 22 – Secondo fonti della sicurezza, decine di corpi giacciono sulla carreggiata nei pressi di un istituto carcerario della zona est della capitale. Durante la notte, il carcere era stato teatro di una rivolta violentissima, con l'esplosione di molti colpi di arma da fuoco durante l'evasione dei detenuti 11:37 Borsa egiziana chiusa, anche lunedi 21 – La Borsa egiziana è rimasta chiusa e così sarà anche domani, lunedi, su ordine delle Autorità di vigilanza, dopo il crollo seguito ai tumulti. Giovedi scorso, al momento della sospensione delle contrattazioni, l'indice principale aveva perso l'11% 11:31 Gaza, chiuso valico di Rafah 20 – Il valico di Rafah tra Gaza e l'Egitto, abbandonato ieri dalle guardie di confine egiziane, è stato chiuso. Lo ha riferito Razi Hamad, responsabile di Hamas per il valico. A spingere le guardie a lasciare il loro posto, le notizie provenienti dal Cairo in rivolta. Hamas ha provveduto a rafforzare la sicurezza alla frontiera 11:17 Al Jazeera: "Chiusi per far tacere il popolo egiziano" 19 – La decisione delle autorità egiziane di vietare alla rete satellitare araba Al Jazeera di seguire le manifestazioni in corso nel paese "cerca di censurare e far tacere il popolo egiziano". E' la denuncia espressa in un comunicato diffuso dalla direzione dell'emittente 11:15 La gente inizia a riempire piazza Tahrir 18 – E' iniziata da pochi minuti la manifestazione di protesta a piazza Tahrir, nel centro del Cairo, per chiedere le dimissioni del presidente egiziano, Hosni Mubarak. Secondo quanto riferisce l'inviato della tv satellitare Al Arabiya, al momento ci sono solo alcune centinaia di persone, ma nelle prossime ore è previsto l'arrivo di altri manifestanti e la protesta porebbe montare col passare del tempo, come è avvenuto ieri 11:08 Roma, protesta anti-Mubarak davanti all'ambasciata 17 – Decine di persone, soprattutto donne, si sono radunate davanti all'ambasciata egiziana a Roma per protestare contro il presidente Mubarak. Tra gli slogan un "né Mubarak né Suleiman", allusione al responsabile dei servizi segreti nominato ieri vicepremier. I manifestanti non hanno chiesto di essere ricevuti dall'ambasciatore e hanno reso noto che la comunità egiziana a Roma, che conta almeno 8mila persone, organizzerà nuove proteste nei prossimi giorni. Rafforzata la sicurezza davanti alla sede diplomatica 10:55 Assaltato museo nel Sinai 16 – Nella località Al Qantara, 5 km a est di Suez, un numero imprecisato di saccheggiatori ha preso d'assalto il museo archeologico locale, il maggiore di tutto la penisola del Sinai. Il museo contiene circa 3mila reperti, in parte trafugati e in parte danneggiati. La polizia è assente dalla città 10:53 Saccheggi e razzie, 450 arresti nella notte 15 – Sono 450 le persone arrestate nella notte dall'esercito egiziano in diverse aree del paese, colte a compiere furti e razzie. La tv di Stato ha mostrato alcuni fermati, in particolare nella periferia del Cairo e di Suez, accusati di aver violato il coprifuoco e rubato auto e beni dalle case private. In molti sono stati trovati in possesso di coltelli e spade usati per rapinare i passanti e compiere assalti nelle case 10:44 Esercito e blindati a difesa del ministero dell'Interno 14 – L'esercito egiziano presidia il ministero dell'Interno, ripetutamente assaltato ieri dai manifestanti e oggi completamente deserto dopo l'evacuazione di dirigenti e personale. Due camion e un carro armato stazionano all'esterno dell'edificio, nella zona centrale del Cairo 10:43 Turchia manda aerei per evacuare connazionali 13 – Secondo l'agenzia Anadolu, che cita funzionari dell'ambasciata al Cairo, la Turchia sta inviando due aerei di linea in Egitto per favorire la partenza dei connazionali dal paese 10:31 Ambasciata Usa: "Americani, lasciate l'Egitto" 12 – La rappresentanza diplomatica degli Stati Uniti invita i cittadini americani in Egitto a lasciare il paese "il più presto possibile". Lo riferisce il canale tv Al Arabiya. L'ambasciata riferisce che il Dipartimento di Stato è pronto a organizzare il volo per quanti decidano di lasciare l'Egitto a partire da lunedi 10:23 Chiusura Al Jazeera decisa dal ministero dell'Informazione 11 – Il ministro dell'Informazione, riferisce l'agenzia Mena, "ha sospeso le attività di Al Jazeera, annullato le licenze e revocato gli accrediti per l'intero staff" del canale televisivo che sia in Tunisia sia in Egitto ha fornito un'intera copertura delle rivolte. La decisione è stata adottata dal ministro dell'Informazione uscente, Anas El Fekk 10:09 Onu, nuovo appello di Ban Ki-Moon 10 – Da Addis Abeba, in Etiopia, il segretario generale delle Nazioni Unite ha rivolto un nuovo appello all'Egitto per la non violenza e il rispetto dei diritti umani 10:03 Al Jazeera, le autorità di chiudono l'ufficio del Cairo 9 – "Le autorità egiziane hanno deciso la chiusura dell'ufficio di Al Jazira al Cairo e ritirano gli accrediti ai suoi corrispondenti": lo ha annunciato la stessa tv satellitare in una scritta in sovrimpressione. 10:02 L'esercito sigilla piazza Tahrir 8 – L'esercito egiziano ha sigillato l'accesso a piazza Tahrir, dove da giorni si assembrano migliaia di persone per chiedere la caduta del regime del presidente Hosni Mubarak. Carri armati delle forze armate sono stati schierati in modo massiccio in ogni via o viale che conduce alla piazza, mentre nelle altre strade principali del centro cittadino, sin dalle prime ore dell'alba la polizia militare ha eretto posti di blocco, dove ispeziona le auto in circolazione. Il coprifuoco imposto venerdì ieri non è stato revocato e con molta probabilità sarà confermato anche per oggi, dalle 16 alle 8 di domani mattina. 10:01 Netanyahu: difendere i rapporti di pace 7 – "Il nostro obiettivo è di garantire che i rapporti di pace con l'Egitto, che durano da oltre decenni, continuino ad esistere. Seguiamo la situazione con la massima attenzione". Lo ha detto il premier israeliano Benyamin Netanyahu nell'apertura della seduta del consiglio dei ministri. 09:29 I disordini in Egitto affondano le Borse del Golfo 6 – I disordini e le violenze in Egitto hanno fatto precipitare le borse dei paesi del Golfo. La borsa saudita ha chiuso ieri con una perdita del 6,43%, mentre nel secondo mercato della regione, il Kuwait, il ribasso è stato del 2,14%. La borsa del Qatar ha aperto oggi con un -5%, mentre peggio ha fatto Dubai, dove l'indice dfm ha perso il 6,27%; infine, la borsa di Abu Dhabi ha fatto segnare -3,74% nei primi scambi. 09:16 Frattini: no a violenze, evitare altre vittime civili 5 – "La priorità è fermare le violenze ed evitare ulteriori vittime civili. Bisogna fermare anche le azioni che producono danni materiali, in particolare quelle dirette contro i beni culturali del paese che sono patrimonio culturale di tutta la società egiziana e dell'umanità". E' questo l'invito alla moderazione che il ministro degli Esteri, Franco Frattini, rivolge a tutte le parti in Egitto. "Il mio appello - aggiunge il ministro - va al presidente Mubarak e alle istituzioni egiziane affinchè si evitino violenze contro civili disarmati ed ai manifestanti affinchè dimostrino pacificamente". 09:15 I servizi: tra i detenuti in fuga anche estremisti islamici 4 – Ci sono anche molti estremisti islamici in carcere da diversi anni fra le migliaia detenuti evasi a Wadi Natrun, circa 100 chilometri a nord del Cairo. Lo ha riferito una fonte dei servizi di sicurezza. L'evasione di massa, viene aggiunto, è avvenuta durante la notte dopo una rivolta durante la quale i detenuti - fra cui anche criminali comuni - si sono impossessati di armi delle guardie carcerarie. Il numero degli integralisti islamici evasi viene definito "grande". 09:14 Migliaia di detenuti evadono a nord del Cairo 3 – Migliaia di detenuti sono evasi da un carcere in rivolta a nord del Cairo. Lo si è appreso da fonti della sicurezza. Il carcere da cui è avvenuta l'evasione di massa è quello di Wadi Natrun, ha precisato la fonte dei servizi di sicurezza nel sesto giorno della rivolta contro il regime del presidente Hosni Mubarak. Già ieri, fra l'altro, un numero imprecisato di detenuti era evaso del carcere di Khalifa, nei pressi della cittadella del Cairo. Inoltre era stato segnalato che otto detenuti sono rimasti uccisi, e 123 feriti, in scontri con la polizia durante un fallito tentativo di evasione dal carcere di Abu Zaabal, a nordest della capitale. 09:14 Il Cairo, risveglio sotto gli elicotteri 2 – Dopo un'altra notte di coprifuoco, la situazione al Cairo si presenta tranquilla ma sempre presidiata dall'esercito anche dal cielo. Da circa un'ora elicotteri volano bassi sulla capitale egiziana con una frequenza superiore a quella notata negli ultimi giorni. La tv mostra componenti di bande di saccheggiatori arrestati, sottolineando visivamente che la polizia à in azione. 09:13 Fonti sicurezza: 102 morti dall'inizio delle manifestazioni 1 – Almeno 102 persone sono rimaste uccise in Egitto nei cinque giorni di manifestazioni di protesta contro il regime del presidente Hosni Mubarak. Lo hanno reso noto in nottata fonti mediche e dei servizi di sicurezza. Nella giornata di sabato, secondo le stesse fonti, le vittime sono state 33. (30 gennaio 2011)
IL SIMBOLO Mummie a fuoco nel museo violato "Non toccate la nostra storia" Catena umana per difenderlo. Carri armati alle Piramidi dal nostro inviato FABIO SCUTO Mummie a fuoco nel museo violato "Non toccate la nostra storia" IL CAIRO - C'è un soldato per ogni statua nel giardino dalle alte inferriate che delimita il palazzetto rosso a due piani che ospita il museo egizio, la memoria di questo Paese, che stavano distruggendo. I carri armati che presidiano la grande piazza Tahrir, luogo simbolo di questa rivolta, sono anche davanti al museo e sulla corniche, il Lungonilo. E i mezzi blindati presidiano anche le piramidi di Giza, vietate ai turisti. Rottami ancora fumanti di camionette della polizia rendono difficile il passaggio sul grande ponte dei Leoni, che collega il centro della città all'isola di Zamalek. L'eco degli spari rimbalza nelle strade un momento piene un momento deserte, mentre l'odore acre degli incendi avvolge tutto. "Non ce ne andiamo! Non ce ne andiamo!", urla la gente per la strada sfogando la rabbia contro il presidente Mubarak. In questa rabbia c'è chi ha cercato di farsi strada tentando di mettere le mani sul 120mila reperti archeologici custoditi nel Museo. Una quarantina di persone sono state arrestate ieri dai militari egiziani dopo che erano state colte in flagrante mentre compivano atti di vandalismo spaccando vetrine nel tentativo di trafugare reperti archeologici dal museo. Due mummie sono state distrutte e all'appello mancherà certamente qualcosa, ma nessuno nel caos che regna al Cairo è adesso in grado di poter fare un inventario dei furti e dei danni. "Non siamo come a Bagdad!", urlava un ragazzo a piazza Tahrir, spronando la gente a opporsi ai saccheggiatori che avevano scavalcato le inferriate del museo e stavano per entrare a trafugare gli antichi tesori dei faraoni. Nel 2003, dopo l'invasione americana dell'Iraq, i ladri portarono via migliaia di reperti dal museo nazionale di Baghdad e solo una parte in seguito venne recuperata. Esercito e manifestanti hanno cercato di proteggere dai furti il patrimonio del museo, già minacciato dal fuoco appiccato dai manifestanti nella sede del partito di governo nell'edificio vicino. Poco dopo vandali e ladri sono entrati nel terreno che circonda il museo, scavalcando i cancelli o arrampicandosi sugli alberi e saltando dentro la recinzione. In un primo tempo sono stati gli stessi cittadini a cercare di evitare i furti formando una catena umana davanti all'entrata principale, poi sono arrivati quattro blindati che si sono messi a guardia della struttura, mentre altri soldati sono entrati dentro per proteggere mummie, statue, gioielli reali e tutti gli altri manufatti del tempo dei faraoni, inclusa la maschera d'oro di Tutankhamon. Tesori e vestigia che non hanno prezzo. Eppure sono state vandalizzate, distrutte teche e statue, spaccate vetrine e arredi, in una furia cieca e rabbiosa. E' stato il regista egiziano Khaled Youssef ad avvertire i militari che dovevano correre a proteggere il palazzetto minacciato dalle fiamme e dai saccheggiatori. "Sono stato io a chiamare i soldati nel momento in cui ho visto il palazzo dietro che è la sede del partito di Mubarak avvolto dalle fiamme", spiegava ieri, "non potevamo lasciare che la Storia finisse in cenere o trafugata da qualche banda di saccheggiatori". Il Museo ospita la più completa collezione di reperti archeologici dell'antico Egitto del mondo. Gli oggetti in mostra sono 136 mila ma molte altre centinaia di migliaia sono conservate nei magazzini. Il museo è un'emanazione del servizio egiziano delle antichità costituito allora dal governo nel 1835 nel tentativo di fermare l'esportazione selvaggia di reperti e manufatti. Nel 1900 il Museo venne spostato da Giza per essere trasferito in questo edificio di stile neoclassico, appositamente costruito in piazza Tahrir. I pezzi di maggior pregio vengono dalla collezione dei reperti trovati nella tomba di Tutankhamon, rinvenuta intatta nella Valle dei Re, dall'archeologo inglese Howard Carter nel 1923. L'arrivo dei blindati e dei reparti dell'esercito non è stato proprio rapidissimo, sono stati i manifestanti che visto quel che stava per accadere, si sono schierati a centinaia - formando una catena umana - a protezione del Museo. "Sono qui e ci resto, dobbiamo proteggere il nostro tesoro nazionale", spiega uno scarmigliato ingegnere di 40 anni che si chiama Farid. Ahmed Ibrahim, uno studente universitario che gli sta a fianco urla per superare il caos nella strada: "Ci sono cinquemila anni della nostra storia lì dentro e non possiamo perderla per un branco di banditi". Sono stati Farid, Ahmed, e centinaia di altri a fare muro prendendo calci, spintoni, mazzate da chi con ogni mezzo voleva scavalcare l'inferriata e fare razzia. Finalmente a metà mattinata sono arrivati i blindati da una strada laterale e si sono schierati a protezione del complesso, mentre dai camion scendevano in gran fretta due compagnie di militari che sono entrati anche all'interno delle sale dove hanno in flagrante una quarantina di persone che stava frugando nelle vetrine dei gioielli antichi, degli oggetti di lavoro, qualcuno è stato preso addirittura mentre cercava di portarsi via il sarcofago di una mummia. Alla fine i saccheggiatori sono stati arrestati e allineati nel parco, prima di essere portati via sui camion dell'esercito. "Ladri! Ladri!", urlava la folla che si accalcava al di là del cancello mentre l'ultimo dei catturati veniva messo a sedere con gli altri dopo aver ricevuto un paio di colpi col calcio del fucile. (30 gennaio 2011)
LO SCENARIO L'ultima mossa del Raìs in bilico Il capo dei servizi segreti scelto come vice Suleiman ora è candidato alla successione. Abile negoziatore, potrebbe dare continuità alle relazioni con Stati Uniti e Israele. Ma la sua nomina potrebbe non bastare a placare l'ira dei manifestanti di BERNARDO VALLI L'ultima mossa del Raìs in bilico Il capo dei servizi segreti scelto come vice Hosni Mubarak non aveva mai voluto tra i piedi un vice presidente. L'infastidiva l'idea che potesse apparire come il successore. Il suo posto, dopo il ritiro o la morte, lo riservava a Gamal, il figlio di 47 anni. Non escludeva del resto di poter iniziare lui stesso, in settembre, un sesto mandato, che, salute permettendo, l'avrebbe portato a trentasei anni di potere e a ottantotto anni di età, Ieri ha dovuto cedere: è stato costretto ad affidare al tenente generale Omar Suleiman la carica di vice presidente che conservava gelosamente vacante. È difficile non interpretare questa nomina come un passo di Hosni Mubarak verso la porta di uscita. Ma i tempi non appaiono ancora definiti. A fissarli sarà la rivolta popolare. La designazione di Suleiman non conclude la crisi, ne segna una svolta. Certo adesso il raìs vacilla sul serio. È come se gli avessero messo accanto il sostituto. I militari gli hanno di fatto imposto di rinunciare al figlio come successore o all'idea di riproporsi lui stesso per altri sei anni; e di accettare infine un vicepresidente che pur non avendo diritti costituzionali alla successione (e anche se nessuno lo dichiara ufficialmente) risulta di fatto colui che prenderà il suo posto, se la rivolta popolare lo consentirà. Mubarak diventò presidente quando Anwar Sadat, del quale era il vice, fu assassinato, nell'81. Omar Suleiman era da un pezzo l'uomo forte del regime, dopo il presidente. A fargli ombra era da qualche stagione il figlio, Gamal Mubarak, che gli aveva tolto appunto il prestigio di probabile, se non designato, successore. Benché fosse il responsabile dell'intelligence egiziana dal '93 (e nei due anni precedenti lo era stato dei servizi di sicurezza militari), Suleiman fu conosciuto come tale soltanto nel 2000, e fu un avvenimento singolare perché prima d'allora l'identità del capo dei Mukhabarates-A'amat (i servizi segreti) era nota soltanto ai più alti esponenti del governo. L'eccezione riservata a Suleiman era dovuta alla fiducia che Mubarak, uomo profondamente diffidente, aveva in lui, e anche all'impressione che i compiti affidatigli andassero ben al di là di quelli di responsabile dell'intelligence. Mubarak si è via via liberato di tutti i possibili concorrenti. Bastava che un generale, un feldmaresciallo, diventasse troppo popolare e subito veniva in qualche modo emarginato o addirittura discreditato. Il caso del maresciallo Mohamed Abdel-Halim Abu-Ghazala, ministro della Difesa con ambizioni presidenziali, fu tipico. Mubarak gli stroncò la carriera, lo mise fuori gioco coinvolgendolo in uno scandalo. Altri fecero lo stessa fine perché troppo carismatici. La fedeltà assoluta al raìs ha sempre messo Omar Suleiman al di sopra di ogni sospetto. Rispettato dagli americani, che lo considerano da un pezzo un interlocutore di primo piano, e non soltanto perché eminenza grigia di Mubarak, in particolare apprezzato e sostenuto dalla Cia, e collega rispettato dal Mossad israeliano, il nuovo vicepresidente ha tutte le carte in regola per garantite la continuità dei rapporti con i paesi alleati o vicini. Ma sembra incarnare - forse troppo - la continuità per rassicurare gli egiziani in rivolta che vogliono un cambio di regime. Può un campione dell'intelligence, (considerato nelle capitali che contano "uno dei capi dello spionaggio più abili e potenti del mondo") essere un buon raìs? Omars Suleiman ha 74 anni ed è nato nel Sud dell'Egitto, a Qina, che ha lasciato per entrare nell'accademia militare del Cairo, e poi per seguire corsi di addestramento a Mosca (come è accaduto a Hosni Mubarak in quanto pilota), quando l'Egitto di Nasser era alleato dell'Unione Sovietica. Si è laureato in scienze politiche; ed è quando è entrato nei servizi segreti che è cominciato il suo lungo rapporto con gli Stati Uniti. La sua notorietà è diventata internazionale come negoziatore tra i gruppi palestinesi in lotta tra di loro a Gaza; e come mediatore, in varie occasioni, tra palestinesi e israeliani per concordare tregue o annodare negoziati. Da qui una profonda conoscenza degli uni e degli altri. Basta il suo sommario stato di servizio per capire le ragioni della nomina improvvisa di Omar Suleiman a vicepresidente nel pieno della crisi. Come accade dal 1952, quando il generale Mohammed Naguib mandò in esilio re Faruk e un anno dopo diventò il primo presidente della Repubblica, i militari decidono la successione e affidano la massima carica a un ufficiale: dopo Naghib, Nasser, Sadat e Mubarak. Questa volta l'operazione si annuncia incerta, ricca di incognite e di colpi di scena, perché influenzata da quel che accade sulle piazze egiziane dove regna la diffidenza verso tutte le decisioni del potere, e soffia forte l'entusiasmo sollevato dagli straordinari successi ottenuti in pochi giorni di rivolta, contro un regime ritenuto inviolabile. Al contrario di altri eserciti arabi (ad esempio l'algerino) quello egiziano non ha alcun diritto di tutela sul presidente della Repubblica, il quale è il comandante supremo. È lui che nomina i generali e che, una volta andati in pensione, li designa come governatori delle varie province o direttori di aziende o enti di Stato. L'esercito influenza direttamente la vita interna attraverso i vasti settori dell'economia che controlla, dalle industrie degli armamenti a quelle agro-alimentari. Senza contare gli alberghi, i cementifici, l'edilizia e il petrolio. Inoltre, poiché in Egitto è in vigore dal 1981 lo stato d'emergenza contro il terrorismo, i militari esercitano un potere giudiziario attraverso i tribunali militari. Benché dalla guerra del '73, l'ultima contro Israele, non siano più impegnate in operazioni ai confini, le forze armate (468 mila uomini), in particolare gli ufficiali, usufruiscono di molti privilegi: abitazioni migliori, centri commerciali a parte, club sportivi. E la carriera consente avanzamenti sociali anche a giovani usciti da classi svantaggiate. I soldati che fraternizzano per le strade con i manifestanti, lasciando persino che scrivano sui mezzi blindati slogan contro Mubarak, sono ansiosi di distinguersi dai poliziotti, e soprattutto dai reparti al servizio del Ministero degli Interni, e destinati alla repressione. L'esercito cerca di imporre l'ordine senza usare le armi contro manifestanti impegnati nella difesa di idee popolari. Se le usasse perderebbe la sua dignità e anche l'affezione della gente aggiudicatagli dalla tradizione. Un vicepresidente come Omar Suleiman, vecchia volpe dello spionaggio, ma anche conoscitore della sua gente, psicologo accorto, commetterà difficilmente un errore del genere. Pare lui abbia la sensibilità di cui manca ormai Mubarak. Gli avvenimenti potrebbero tuttavia spingere la situazione a un punto in cui la vera natura del regime finirebbe col prevalere. Dal 1978, da quando ha fatto la pace con Israele, l'aiuto militare americani all'Egitto ha raggiunto la rilevante somma di 35 miliardi di dollari. Quasi un miliardo e mezzo all'anno. Soltanto gli eserciti israeliano, pakistano, e afgano ricevono più sovvenzioni. Ma Washington ha fatto chiaramente intendere che gli aiuti difficilmente potrebbero continuare se l'esercito che contribuisce ad armare sparasse sulla folla. Bush jr faceva le crociate democratiche a suon di bombe. Obama, per fortuna, tiene alla coscienza. Dunque, per smorzare una rivolta popolare provocata dalla collera, è intervenuto l'establishment militare, inevitabile nei casi di estrema urgenza nazionale. E l'establishment militare, dopo probabile consulto con gli americani, è ricorso al suo grande esperto di intelligence, a un grande capo dello spionaggio, a Omar Suleiman, affinché compia il miracolo: vuoti le piazze, col minimo spargimento di sangue, e salvi quindi la coscienza degli alleati occidentali dell'Egitto. E con essa, con la coscienza degli alleati, salvi anche il regime, causa di tutti i malanni, ma anche punto di equilibrio di una situazione mediorientale tormentata, e in apparenza irrimediabile. (30 gennaio 2011)
2011-01-29 EGITTO Il Cairo, 50mila in piazza: "Mubarak via" finora oltre 100 morti, è sfida al coprifuoco Il governo si è dimesso, il capo dei servizi segreti nominato vicepresidente. La famiglia del leader sarebbe fuggita a Londra. Carri armati circondano piazza Tahir. El Baradei: "Torno in strada per il cambiamento". Appello Ue: "Cessi la violenza" Il Cairo, 50mila in piazza: "Mubarak via" finora oltre 100 morti, è sfida al coprifuoco IL CAIRO - L'Egitto è in fiamme. A decine di migliaia in piazza chiedono che il presidente Mubarak lasci, assalti ai ministeri rintuzzati a colpi di arma da fuoco dalla polizia. La gente sfida il coprifuoco: a migliaia restano per strada. La televisione satellitare Al Jazeera ha mostrato immagini di carri armati in movimento letteralmente sommersi da manifestanti con bandiere e cartelli. Manifestazioni non solo nella capitale, ma anche in altre città. E un bilancio di almeno 100 morti dall'inizio della rivolta. I cambiamenti politici si susseguono a velocità vertiginosa: dopo discorso alla nazione pronunciato ieri 1 dal presidente, il governo del premier Ahmed Nazif si è dimesso. Nel pomeriggio il generale Omar Soleiman, capo dei servizi segreti, è stato nominato vicepresidente al termine di una riunione convocata da Mubarak per fronteggiare la crisi. L'incarico di formare un nuovo esecutivo è stato affidato al ministro dell'aviazione civile, Ahmed Shafik. Nel frattempo, Ahmad Ezz, uno degli uomini d'affari più in vista del paese e segretario aggiunto del partito di Mubarak, il Pnd, si è dimesso e stando ad indiscrezioni starebbe pensando di fuggire all'estero. Già a Londra sarebbero inoltre, stando sempre ad Al Jazeera, i due figli e la moglie di Mubarak. La notizia è stata però smentita dalla tv di Stato. Tutte mosse che gli Stati Uniti, sino ad oggi alleato fondamentale dell'Egitto, bocciano però come un'inutile melina. Le autorità egiziane, sostiene con un messaggio su Twitter il portavoce del Dipartimento di Stato americano, P. J. Crowley, "non possono semplicemente mescolare le carte e rimanere fermi". "E' ora che Mubarak - aggiunge Crowley - dopo aver parlato di riforme, faccia seguire fatti concreti alle sue parole". Un concetto già espresso in modo esplicito ieri dal presidente Barack Obama. La giornata. Alle 16 ora locale (le 15 in Italia) è scattato il nuovo coprifuoco ma in piazza Tahir, al Cairo, sono ancora decine di migliaia i manifestanti che inveiscono slogan contro Mubarak. La piazza, epicentro delle manifestazioni di protesta di ieri 2, è circondata dai blindati dell'esercito egiziano. Al Jazeera riferisce di un nuovo assalto della folla al ministero dell'Interno, con la polizia che ha aperto il fuoco. Nello scontro sarebbero rimaste uccise tre persone. La tv satellitare riporta anche di scontri a fuoco nei pressi della zecca della Banca centrale d'Egitto e di una folla di dimostranti in marcia verso la sede della televisione pubblica. L'atmosfera resta molto tesa e i manifestanti sembrano intenzionati a ignorare il coprifuoco, nonostante gli appelli dell'esercito. Attraverso la tv di Stato, i vertici militari hanno chiesto alla popolazione di evitare gli assembramenti e di rispettare il coprifuoco. Rientrato dagli Usa il capo di stato maggiore egiziano, Sami Anan, ieri alla guida di una delegazione militare a colloquio con il Pentagono. Al Jazeera riferisce che l'esercito considera pericolosissimo l'attuale "vuoto di sicurezza": le forze armate assicurano il loro impegno a non fare uso della violenza contro i cittadini, ma di avere ricevuto "l'ordine di usare la mano pesante con chi viola il coprifuoco". Il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini ha assicurato comunque che "non ci sono assolutamente timori per gli italiani" presenti al momento in Egitto. Allo stesso modo la Farnesina precisa che non risultano italiani coinvolti negli incidenti, invitando però chi non avesse urgenza a rinviare eventuali viaggi in Egitto. Alitalia ha tra l'altro comunicato di aver modificato gli orari di una serie di voli per Il Cairo. L'elenco dettagliato è disponibile sul sito della compagnia aerea 3. Nel corso della mattinata, mentre le autorità estendevano dalle 4 del pomeriggio di oggi fino alle 8 di domani mattina ora locale il coprifuoco nelle città del Cairo, Alessandria e Suez, la folla in piazza Tahir è cresciuta di numero fino a raggiungere almeno le 50mila persone. La polizia ha sparato ed esploso gas lacrimogeni per allontanare un migliaio di persone all'assalto del ministero dell'interno e, successivamente, ha sparato in aria per disperdere un gruppo di manifestanti che tentava di entrare nel Parlamento, secondo quanto riferiscono fonti dei servizi di sicurezza egiziani. Il capo delle antichità egiziane, Zahi Hawass, ha raccontato alla tv di Stato di un tentativo di saccheggio respinto al Museo Egizio. Negli incidenti sarebbero però andate distrutte due mummie di faraoni. Poi la polizia è praticamente scomparsa dalle strade del centro, lasciando ai blindati dell'esercito il presidio delle sedi istituzionali. Scontri ad Alessandria, Ismailia, Suez. Nel pomeriggio era prevista una nuova manifestazione ad Alessandria d'Egitto, ma i manifestanti sono scesi in strada sin dal mattino e testimoni parlano di scontri e polizia che spara. A Ismailia, città sul canale di Suez, migliaia di lavoratori portuali si sono confrontati con agenti che volevano impedire loro di raggiungere il luogo di lavoro. Gli agenti hanno risposto con lacrimogeni e proiettili di gomma. Cortei in corso anche a Suez. Incertezza sul bilancio delle vittime. Il ministero della Sanità egiziano parla di 38 morti nelle violenze di ieri, il "Venerdi della collera" inscenato dall'opposizione in tutto l'Egitto: 12 al Cairo, uno a Giza, tre a Porto Said, 8 ad Alessandria, 12 a Suez e due a Mansura. Dati che stridono con le cifre diffuse da altre fonti. Secondo i testimoni sul luogo, 30 corpi, tra cui quelli di due bambini, sono stati portati all'ospedale Damardash. Il corrispondente di Al Jazeera da Alessandria sostiene di aver visto in obitorio i cadaveri di 23 persone. E a Suez la protesta è costata almeno altre 11 vite. Per Al Jazeera, il bilancio provvisorio dei disordini scoppiati in tutto l'Egitto da martedì scorso è di oltre 100 morti. Infiltrati islamici dalla Striscia di Gaza. A Rafah, alla frontiera con la striscia di Gaza, i dimostranti hanno attaccato la sede della prefettura, secondo testimoni sarebbero stati uccisi tre agenti di polizia. Nella zona circolano inoltre voci riguardanti palestinesi di Gaza che attraversano il valico di Rafah ed entrano in Egitto approfittando dell'assenza dei controlli di polizia. Secondo l'inviato di Al Jazeera, vi sarebbero anche decine di miliziani islamici che, approfittando del caos, si stanno infiltrando in Egitto. Carceri nel caos. Durante la notte si sarebbe verificata anche l'evasione di centinaia di detenuti comuni dalle celle di sicurezza di alcuni commissariati del Cairo. Secondo l'inviato di Al Jazeera, per alcune ore c'è stato un vuoto nella gestione della sicurezza, in particolare quando la responsabilità è passata dalla polizia all'esercito. L'evasione avrebbe avuto luogo in quell'intervallo. El Baradei: "Gli Usa scelgano con chi stare". Mentre i Fratelli musulmani con un comunicato lanciano un appello per un "pacifico passaggio dei poteri", torna a farsi sentire Mohammed El Baradei, ieri trattenuto per ore agli arresti domiciliari. "Mubarak deve andarsene - ha dichiarato l'ex direttore dell'Aiea, Nobel per la Pace e leader delll'opposizione in un'intervista a France 24 - Il presidente non ha compreso il messaggio del popolo egiziano e il suo discorso è stato del tutto deludente. Le proteste continueranno con intensità ancora maggiore finché il regime non cadrà. Mubarak anunnci le dimissioni, avvii la transizione verso democrazia, sciolga il Parlamento e indica elezioni democratiche". El Baradei ha esortato gli Usa a schierarsi: "Devono scegliere tra il popolo egiziano e il regime". Mubarak a Re Abdallah: "Situazione stabile". A Mubarak giunge invece la solidarietà di re Abdallah, che riferisce di un suo colloquio telefonico con il presidente egiziano. Al sovrano saudita, Mubarak avrebbe detto che in Egitto "la situazione è stabile. Il mondo non ha visto altro che le azioni di alcuni gruppi che non vogliono stabilità e sicurezza per gli egiziani". Lega Araba: "Politica egiziana cambi". Il segretario della Lega Araba, l'egiziano Amr Moussa, ha detto oggi che "la politica in Egitto va cambiata. Bisogna prendere in considerazione la rabbia del popolo egiziano'". Anche l'Unione africana, per voce del presidente della sua commissione, Jean Ping, in conferenza stampa ad Addis Abeba, si dice "preoccupata" per le violente manifestazioni di protesta e per la situazione politica in Egitto. Iran: "Egitto, onda islamica di giustizia". Dall'Iran, attraverso un portavoce, il ministero degli Esteri Ramin Mehman-Parast dichiara che le proteste in Egitto sono in linea con "un'ondata islamica" che vuole "la giustizia". "La Repubblica islamica dell'Iran - ha aggiunto il portavoce del ministro di Teheran - si aspetta che le autorità egiziane ascoltino la voce della nazionale musulmana dell'Egitto, vengano incontro alle sue giuste richieste ed evitino il ricorso alla violenza contro questa ondata islamica che si muove con il movimento del popolo". Ue: "Cessino le violenze". Il presidente dell'Unione Europea, Herman Van Rompuy, ha lanciato un appello perché cessino le violenze in Egitto, siano rilasciate tutte le persone arrestate per ragioni politiche, inclusi i politici, sia fissato un processo di riforme. ''Il rispetto per i diritti fondamentali dell'uomo - dice Van Rompuy -, come la libertà di espressione, il diritto di comunicare, il diritto di riunirsi in assemblee libere come pure l'inclusione sociale sono elementi costitutivi della democrazia che la gente egiziana, in particolare i giovani, stanno cercando di ottenere''. (29 gennaio 2011)
EGITTO Il Cairo ancora in piazza: "Mubarak vattene" Il governo rassegna le dimissioni Migliaia di dimostranti tornano a urlare slogan contro il presidente. Carri armati circondano piazza Tahir. Nuovi scontri ad Alessandria e Ismailia. Fonti ospedaliere: ieri nella capitale 30 morti, di cui due bambini. Al Jazeera: 23 vittime ad Alessandria. El Baradei: "Torno in strada per il cambiamento" Il Cairo ancora in piazza: "Mubarak vattene" Il governo rassegna le dimissioni IL CAIRO - Prima conseguenza del discorso alla nazione pronunciato ieri dal presidente Hosni Mubarak, il governo del premier Ahmed Nazif ha rassegnato le dimissioni. Un portavoce di gabinetto fa sapere che presto il presidente annuncerà il nome del nuovo primo ministro. Intanto Al Cairo i carri armati dell'esercito egiziano circondano piazza Tahir, epicentro delle manifestazioni di protesta di ieri nella capitale, dove dalle prime ore di questa mattina i dimostranti sono tornati a radunarsi per urlare slogan contro Mubarak. L'atmosfera è tesa, ma molte persone posano per le fotografie vicino ai carri armati e stringono la mano ai militari. Attraverso la tv di Stato, i militari hanno lanciato un appello alla popolazione, chiedendo di evitare gli assembramenti e di rispettare il coprifuoco notturno. Rientrato dagli Usa il capo di stato maggiore egiziano, Sami Anan, ieri alla guida di una delegazione militare a colloquio con il Pentagono. Nelle prime ore del giorno, poco distante dalla piazza, dove hanno sede diversi edifici governativi, la polizia ha esploso gas lacrimogeni per allontanare la folla dal ministero dell'interno e, successivamente, ha sparato in aria per disperdere un gruppo di manifestanti che tentava di entrare nel Parlamento, secondo quanto riferiscono fonti dei servizi di sicurezza egiziani. Poi la polizia è praticamente scomparsa dalle strade del centro, lasciando ai blindati dell'esercito il presidio delle sedi istituzionali oltre che del Museo egizio e dei compound fortificati delle ambasciate americana e britannica. Un vasto incendio sta interessando il tribunale di al-Jala, al Cairo, dove in passato sono stati processati anche molti militanti del movimento giovanile '6 aprile', in prima fila nella protesta contro Mubarak. Nel pomeriggio era prevista una nuova manifestazione ad Alessandria d'Egitto, ma i manifestanti sono già nelle strade della città e testimoni parlano di scontri con la polizia, come pure a Ismailia, città sul canale di Suez, dove migliaia di lavoratori portuali si sono confrontati con agenti che volevano impedire loro di raggiungere il luogo di lavoro. Gli agenti hanno risposto con lacrimogeni e proiettili di gomma. Cortei in corso anche a Suez. Torna a farsi sentire Mohammed El Baradei, ieri trattenuto per ore agli arresti domiciliari. "Mubarak deve andarsene - ha dichiarato l'ex direttore dell'Aiea, Nobel per la Pace e leader delll'opposizione in un'intervista a France 24 -. Il presidente non ha compreso il messaggio del popolo egiziano e il suo discorso è stato del tutto deludente. Le proteste continueranno con intensità ancora maggiore finché il regime non cadrà. Oggi sarò in strada assieme ai miei colleghi per contribuire al cambiamento. Quando un regime si comporta con tale bassezza e usa gli idranti su uno che ha vinto il Nobel per la Pace, vuol dire che è l'inizio della fine e che è ora che se ne vada". Dall'Iran, attraverso un portavoce, il ministero degli Esteri Ramin Mehman-Parast dichiara che le proteste in Egitto sono in linea con "un'ondata islamica" che vuole "la giustizia". "La Repubblica islamica dell'Iran - ha aggiunto il portavoce del ministro di Teheran - si aspetta che le autorità egiziane ascoltino la voce della nazionale musulmana dell'Egitto, vengano incontro alle sue giuste richieste ed evitino il ricorso alla violenza contro questa ondata islamica che si muove con il movimento del popolo". Giunge invece dall'Arabia Saudita la solidarietà a Mubarak di re Abdallah. Fonti ufficiali parlano di 35 morti dall'inizio della protesta in Egitto, tra cui 10 agenti di polizia. Dato che stride con le cifre che altre testimonianze diffondono sulle vittime dei soli scontri di ieri, il "Venerdi della collera". Fonti del Cairo riferiscono di 30 corpi, tra cui quelli di due bambini, portati all'ospedale Damardash in seguito ai disordini di ieri. Il corrispondente di Al Jazeera da Alessandria sostiene di aver visto in obitorio i cadaveri di 23 persone. E a Suez la protesta è costata almeno altre 11 vite. Il coprifuoco proclamato ieri da Mubarak di fronte al montare irrefrenabile della protesta in tutto il paese è scaduto alle 8, le 6 del mattino ora italiana. Durante la notte nella capitale si sono uditi sporadici colpi d'arma da fuoco, ci sarebbero stati anche lanci di lacrimogeni. Ma vi sono anche voci di saccheggi nella notte in centri commerciali di diversi quartieri della capitale, dopo quello avvenuto ieri sera alla sede principale del Partito nazionale democratico. Al Jazeera mostra immagini di uomini, donne, ragazzini, uscire da un grande magazzino portando con sè suppellettili e oggetti vari. Approfittando del caos, durante la notte si sarebbe verificata anche l'evasione di centinaia di detenuti comuni dalle celle di sicurezza di alcuni commissariati del Cairo. Secondo l'inviato di Al Jazeera, per alcune ore c'è stato un vuoto nella gestione della sicurezza, in particolare quando la responsabilità è passata dalla polizia all'esercito. L'evasione avrebbe avuto luogo in quell'intervallo. La tv araba ha mostrato anche nuove immagini di ieri sera dal Cairo, prima del discorso di Mubarak alla Nazione: si vede la gente in strada che fraternizza con i soldati e sale sui veicoli corazzati dell'esercito. Intanto, fonti giornalistiche sul posto constatano che in Egitto i servizi di telefonia mobile, bloccati ieri dalle autorità insieme a internet, hanno ripreso parzialmente a funzionare in mattinata. (29 gennaio 2011)
EGITTO Wikileaks: "Rivolta pianificata con gli Usa" e spunta il "manuale della protesta" Dai dispacci svelati dal sito americano emerge un documento che rivelerebbe un ruolo degli Stati Uniti dietro le proteste anti Mubarak, per arrivare alla deposizione del presidente e un cambio di regime entro il 2011. E ai giornali arriva un vademecum del rivoluzionario, con indicazioni su come muoversi in piazza. E con un consiglio: portare una rosa, per mostrare intenzioni pacifiche Wikileaks: "Rivolta pianificata con gli Usa" e spunta il "manuale della protesta" ROMA - Un documento diplomatico segreto pubblicato da Wikileaks rivela che gli Stati Uniti, pur appoggiando in Egitto il governo di Mubarak, da almeno tre anni sostengono segretamente alcuni dei dissidenti che sarebbero dietro la rivolta di piazza di questi giorni, come parte di un piano per favorire un "cambio di regime" in senso democratico al Cairo, nel 2011. Dal 2008, gli Usa lavorerebbero quindi in segreto alla deposizione del presidente egiziano. Gli Usa dietro la rivolta. Il documento proviene dall'ambasciata Usa al Cairo e risale al 30 dicembre 2008, ed è stato ripreso dal quotidiano inglese The Telegraph. In esso l'ambasciatrice, Margaret Scobey, dice che un "giovane dissidente" egiziano del movimento "6 aprile", il cui nome viene omesso, è stato aiutato dalla stessa ambasciata a partecipare a un incontro di dissidenti a Washington, il summit della "Alliance of Youth Movements". L'incontro, promosso dal Dipartimento di Stato, è avvenuto alla presenza di esperti e funzionari del governo americano. Al suo ritorno al Cairo - scrive il Telegraph - il dissidente egiziano ha rivelato ai diplomatici Usa che era stata formata un'alleanza fra gruppi di opposizione, con un piano per rovesciare nel 2011 il governo del presidente Mubarak. L'obiettivo del piano è installare un governo democratico in Egitto, prima delle elezioni presidenziali previste per il settembre di quest'anno. Il dispaccio svelato da Wikileaks dice che "diverse forze di opposizione" egiziane avevano raggiunto un accordo per "appoggiare un piano non scritto per una transizione verso una democrazia parlamentare, con meno poteri al presidente (della Repubblica), e più al primo ministro e al parlamento. Il tutto da portare a compimento prima delle elezioni presidenziali in programma nel 2011". Il documento rivela anche che il piano è "così delicato da non poter essere messo per iscritto" e che l'identità del dissidente va tenuta nascosta per evitare rappresaglie al suo rientro in Egitto. L'ambasciatrice Scobey, infine, si chiede se il piano, che definisce "non realistico", possa funzionare. Il manuale della rivolta. Uno scudo e uno spray di vernice come equipaggiamento, e una rosa per dimostrare le proprie intenzioni pacifiche. E poi, obbiettivi molto chiari: "Prendere il controllo di significativi edifici governativi. Convincere elementi della polizia e dell'esercito a stare dalla parte del popolo. Proteggere i nostri fratelli e le nostre sorelle nella fase della rivoluzione". Il manuale della rivoluzione in Egitto non prevede armi, ma determinazione e accortezza e "intelligenza". Un vero e proprio vademecum della rivolta, fatto arrivare da blogger egiziani nelle redazioni del Guardian e di Atlantic: un manuale dettagliato di come comportarsi durante la protesta e quali fini perseguire. Non si indica come effettuare un colpo di Stato, ma come agire strategicamente secondo i dettami della "disobbedienza civile" per ottenere "la caduta di Hosni Mubarak e dei suoi ministri" e la formazione di "un nuovo governo non militare che abbia a cuore gli interessi degli egiziani". Il piano d'azione della protesta, corredato da disegni esplicativi, prevede "il raduno di amici e vicini in strade lontane dal punto in cui sono concentrate le forze di sicurezza, e l'incoraggiamento ai passanti affinchè si uniscano al corteo (usando slogan positivi)". La divisa del rivoluzionario è così composta: giubbotto e cappuccio, vernice spray "da spruzzare sui poliziotti, se ci attaccano", scarpe con cui muoversi velocemente, scudo (che nel disegno assomiglia al coperchio di una pentola da cucina), occhiali protettivi, fazzoletto per proteggersi dai gas lacrimogeni. E poi, una rosa per mostrare le proprie "pacifiche" intenzioni. Il manuale indica, poi, come confrontarsi nel corpo a corpo con i poliziotti e con i blindati. (29 gennaio 2011)
LO SCENARIO La rivolta che cambia la storia araba di GUIDO RAMPOLDI RIVOLUZIONE, transizione, colpo di Stato? Qualunque sarà l'esito del caos che ieri sera dilagava nelle strade del Cairo, questo d'un tratto è chiaro: l'Egitto non sarà mai più lo stesso. Poiché dall'Ottocento l'Egitto è il laboratorio della storia araba, è la storia araba che sta vivendo un passaggio decisivo, sotto lo sguardo angosciato di un Occidente drammaticamente incapace di influenzare la direzione degli eventi. In una minuscola frazione di tempo, quattro giorni, la sollevazione egiziana ha consegnato alle pattumiere quei progetti di "monarchia repubblicana" per la quale i despoti dell'area contavano di consegnare il trono ad un figlio, ad un fratello. Quella soluzione pareva un destino: oggi non è neppure una possibilità. Ma allora, cosa? Ieri il futuro pareva avvolto nel fumo sprigionato dal rogo in cui bruciava il palazzo del partito-Stato, il Npd. Mubarak è ancora our son of b.., il nostro figlio di.., come avrebbe detto un tempo il presidente degli Stati Uniti. Ma lo è sempre meno. Ieri la Clinton gli ha intimato di frenare la polizia e di avviare "immediatamente" la transizione alla democrazia. Washington chiede riforme, a cominciare, questo sembra implicito, dall'abrogazione di quella Legge d'Emergenza che da trent'anni fonda lo stato di polizia mubarakiano. Può Mubarak governare senza i servizi di sicurezza, il loro armamentario, la loro discrezionalità brutale? Forse soltanto ad una condizione, se riuscisse a patteggiare un accordo con l'opposizione. Ma quest'ultima è debole, così come l'ha resa una repressione sistematica. Dunque chi è in grado di garantire per le piazze egiziane? Probabilmente neppure i quindici vecchioni che sono al vertice dei Fratelli musulmani: da tempo faticano a insegnare la virtù della pazienza perfino ai quadri giovani dell'organizzazione. Se però nelle prossime ore Mubarak riuscisse a sopire la sommossa, potrebbe poi avviare la transizione. E questa è la speranza occidentale, neppure tanto segreta. In passato il regime mai ha mostrato smagliature quando si trattava di spegnere sommosse. E Mubarak confida di superare anche questa prova, come ha confermato ieri notte, quando ha promesso dagli schermi della tv che sostituirà ministri e presterà ascolto alle proteste, ma combatterà il caos, i propagatori del caos, come nemici della patria. Però la sollevazione dura ormai da quattro giorni, e ieri, per la prima volta, quadri della polizia hanno cominciato a dialogare con i dimostranti. Probabilmente questi segnali per lui allarmanti ieri sera hanno convinto Mubarak a mandare in strada l'Esercito, con il compito di 'aiutarè la polizia. E' una mossa azzardata. Dimostra debolezza. Conferma che i reparti anti-sommossa non sono più in grado di mantenere il controllo delle strade. E soprattutto, attribuisce alle Forze armate un ruolo che potrebbe suscitare nei generali ambizioni formidabili. In Tunisia l'Esercito dapprima ha rifiutato di difendere Ben Ali, poi ha attaccato la sua polizia. Ma Ben Ali era un ex poliziotto. Mubarak proviene dallo stato maggiore, che in teoria gli è solidale. Quanto solidale, però, lo diranno le prossime ore. Il regime può solo sperare che alla prova dei fatti i soldati non si tirino indietro, e gli ufficiali non decidano per una neutralità che sarebbe fatale a Mubarak. La piazza è ancor meno decifrabile del potere in uniforme. Ieri, un venerdì, giorno di preghiera, parte della folla scandiva il solito grido islamico, Allah'u Akhbar, Allah è grande. Ma lo slogan della rivolta, quello che riempiva le strade, è un altro: 'Illegittimo! '. Mubarak è un presidente illegittimo (perché la sua elezione fu una frode). La Legge d'Emergenza è illegittima. E questa invocazione dello stato di diritto contro lo stato di polizia non ha una caratterizzazione islamica, né contiene alcuna opposizione di principio ai sistemi occidentali. Dunque? Se non dovremmo scordare quanto fu stolto l'entusiamo con il quale, fuggito lo Shah, tante Vispe Terese europee salutarono in Khomeini il liberatore degli iraniani, neppure possiamo continuare a leggere quanto avviene nelle società arabe con le categorie cui è affezionato il giornalismo italiano, per il quale tutto grossomodo si riduce alla dimensione religiosa. Per esempio, capiremmo di più gli egiziani se cominciassimo a pensare che la loro fede musulmana è secondaria rispetto alle loro convinzioni politiche, così come le ha formate la storia. Come ci ricorda Reset, l'Egitto aveva un parlamento quattro anni prima che l'avesse l'Italia. Nel bene e nel male, non v'è ideologia araba che non debba molto al pensiero politico egiziano degli ultimi due secoli. E questa intensa produzione di idee tuttora si riflette in una varietà di posizioni. Ci sono i nasseriani eretici e i nasseriani ortodossi, i comunisti, i laburisti di derivazione sindacale, il laburismo musulmano, i liberali... e ci sono certamente gli islamisti, ma anche quelli divisi in fazioni, e certo molto più complicati di come li immaginiamo. E' la stessa posizione geografica dell'Italia che ci chiede uno sforzo di intelligenza, e strumenti di interpretazione più raffinati. Ci piaccia o no, non siamo più nella retrovia della storia, lì dove eravamo finiti alla fine della Guerra fredda, e definitivamente dopo la stabilizzazione dei Balcani. D'un tratto rappresentiamo di nuovo l'avamposto dell'Europa, centro di un ribollente Mediterraneo, dirimpettai di Paesi arabi sconvolti da cambiamenti radicali, affacciati su un Medio Oriente in cui la pace potrebbe tornare pericolosamente in bilico e risucchiare in una mischia generalizzata tanto Israele quanto la regione del petrolio. Ve n'è abbastanza perché la politica italiana esca dai suoi balbettii e magari il ministro degli Esteri - invece di occuparsi di un appartamento a Montecarlo - provi a imitare il Quirinale, che anche in queste circostanze si è dimostrato in grado di produrre idee. (29 gennaio 2011)
ALBANIA Tirana, in piazza nel ricordo delle vittime L'opposizione vince la sua battaglia In migliaia al corteo pacifico per deporre fiori e candele nel luogo dove una settimana fa sono stati uccisi tre partecipanti alla protesta anti Berisha. Il palazzo del primo ministro difeso da poliziotti e Guardia repubblicana. In corso un'indagine per stabilire la responsabilità degli spari dal nostro inviato DANIELE MASTROGIACOMO Tirana, in piazza nel ricordo delle vittime L'opposizione vince la sua battaglia I manifestanti portano in corteo le foto delle vittime degli scontri TIRANA - L'opposizione socialista vince la sua battaglia in Albania e domina la scena politica trascinando in piazza 100 mila persone con una manifestazione pacifica, compatta e silenziosa. Anche i timori della vigilia che spingevano la polizia a evocare l'incubo di nuovi incidenti sono stati smentiti. Per un paio d'ore la parte del paese che da un anno e mezzo contesta la politica sociale ed economica del premier Sali Berisha, alla guida di una colazione di centrodestra, si è stretta attorno ad una ventina di parenti delle tre vittime, uccise dai soldati della Guardia repubblicana venerdì 20 gennaio durante i violenti scontri 1 tra i manifestanti e le forze dell'ordine. GUARDA La cronaca della manifestazione 2 Avvolti da un silenzio carico di tensione, ma soprattutto di dolore, una folla di uomini e donne, di vecchi e di bambini, si è radunata davanti alla sede del Partito socialista. Sono stati distribuiti fiori e candele, assieme a nastrini listati a lutto che la gente si è stretta sul braccio. Avvolto dalle note del Lago dei Cigni di Tchaikovsky e del Requiem di Mozart il corteo si è mosso nel massimo silenzio. Non c'erano stendardi, bandiere, striscioni e cartelli. Solo le foto delle tre vittime - tre uomini - incorniciate e portate a braccio da due ragazze e un ragazzo. Dietro, formando un lungo serpentone che si è snodato per il centro della città, seguivano i parlamentari dell'opposizione, artisti, attori, registi, intellettuali, militanti socialisti, semplici cittadini. Per ossequiare le tre vittime si è fermata l'intera Tirana. I negozi hanno chiuso i battenti, il traffico è scomparso; la gente rimasta a casa per timore di nuovi scontri, ha osservato emozionata dalle finestre. Nonostante un fastidioso piovisco e un freddo pungente, gli albanesi non hanno voluto rinunciare a quello che consideravano comunque, al di là delle posizioni politiche, una loro giornata: una grande prova di forza che riflettesse su una crisi provocata da una paralisi politica da diciotto mesi senza sbocchi. Edi Rama, leader del partito socialista e sindaco di Tirana, ha preso parte al corteo nel momento più delicato: il passaggio a pochi metri dal palazzo del primo ministro, difeso da duemila poliziotti in tenuta antisommossa, una cinquantina di soldati della Guardia repubblicana, un doppio rotolo di filo spinato e cecchini piazzati nei palazzi vicini. La folla ha sostato a lungo davanti al punto dove sono stati uccisi i tre uomini, sommersi da fiori e candele. Tre gigantografie montate su dei pannelli chiudevano il percorso del corteo e lo obbligavano a piegare lungo l'itinerario prestabilito. Sali Berisha ha scelto il silenzio. Ha osservato la manifestazione trasmessa in diretta tv dallo studio posto al secondo piano del palazzo che veniva sfiorato dalla massa di manifestanti. Non ci sono state grida, reazioni di rabbia, gesti istintivi che avrebbero potruto provocare la reazione della polizia e dell'esercito. L'opposizione ha dimostrato una maturità politica forse nel suo momento più difficile. Ha mantenuto l'appuntamento, nonostante gli appelli della comunità internazionale a revocarlo, e si è proposta come nuova guida del paese. Avvolta dalla musica struggente che scandiva la commemorazione funebre, la gente ha baciato, toccato, salutato le foto delle vittime e si è sciolta in un grande abbraccio virtuale. Ma è solo una delle tante tappe di una battaglia che proseguirà nei prossimi giorni. Ci sono tre morti che chiedono giustizia. C'è un'indagine in corso per stabilire le responsabilità degli spari, ci sono sei mandati di cattura nei confronti del vertice della Guardia repubblicana ancora da eseguire. Ci sono un milione di disoccupati e vaste sacche di povertà che premono su un governo votato dalla maggioranza ma ormai sostenuto solo dalla minoranza degli albanesi. (28 gennaio 2011)
2011-01-28 EGITTO Coprifuoco ed esercito in strada Scontri al Cairo e in altre città, 4 morti Le piazze sfidano la repressione. Caos nella capitale e negli altri centri principali del Paese. Attesa per un discorso del presidente Mubarak. Fermato il leader d'opposizione El Baradei, notizie discordanti sulla sua sorte. La polizia si ritira, arrivano i militari. Il fiamme la sede del partito di Mubarak Coprifuoco ed esercito in strada Scontri al Cairo e in altre città, 4 morti IL CAIRO - Di fronte all'impossibilità per la polizia di sedare la protesta popolare in tutto il paese, il presidente egiziano Hosni Mubarak invia i blindati dell'esercito. Ordine confermato dalla tv di Stato, che annuncia il coprifuoco al Cairo, Alessandria e Suez fino alle 8 di domani. In Egitto le piazze sfidano la repressione ed è caos nella capitale e nelle altre principali città del Paese. I militari accorrono in supporto della polizia che non ce la fa più a contenere la sommossa. Blindati dell'esercito si schierano anche intorno alla sede della tv di stato, nel centro del Cairo. Mubarak dovrebbe parlare alla nazione. Intanto poliziotti in tenuta antisommossa irrompono nella sede dell'emittente Al Jazeera, al Cairo, chiedendo di "togliere" le telecamere nell'edificio. Monito dagli Stati Uniti: "Evitare la violenza, rispettare i diritti umani, mantenere aperti i canali di comunicazione". Dopo l'inizio del coprifuoco al Cairo risuonano ancora gli spari, in fiamme la sede del partito di Mubarak. "Fermato El Baradei". Notizie contrastanti sulla sorte del leader d'opposizione, Mohammed El Baradei. Secondo alcuni testimoni, si troverebbe alla testa di una marcia pacifica nelle strade del Cairo. In mattinata si era diffusa la notizia che fosse stato "trattenuto" dalla polizia per evitargli di partecipare alle manifestazioni dell'annunciato "venerdì della collera" proclamato dagli oppositori del regime di Mubarak. Secondo altre fonti, infine, si troverebbe agli arresti domiciliari. Gli scontri e le vittime. Quattro, finora, le vittime: due nella capitale - dove ci sono anche numerosi feriti e sono state arrestate circa 400 persone - una a Suez, un'altra ad Alessandria. El Baradei, rientrato ieri sera 1 da Vienna, dopo aver concluso il suo mandato di direttore dell'Aiea, l'Agenzia internazionale per l'energia atomica, in mattinata ha preso parte alla preghiera del venerdì in una moschea nel quartiere di Giza. Subito dopo, la folla ha iniziato a inveire contro Mubarak, innescando l'intervento repressivo delle forze speciali con idranti, lacrimogeni e proiettili di gomma. I manifestanti hanno reagito scagliando sassi contro gli agenti e tempestando di pugni i manifesti con la foto del presidente. A quel punto la polizia avrebbe impedito a El Baradei di mettersi alla testa delle manifestazioni. Oltre all'ex direttore dell'Aiea, bloccato anche Osama al-Ghazali, presidente del Fronte democratico. Arrestati giornalisti. Quattro reporter francesi sono stati arrestati. Si tratta di un giornalista di Le Figaro e un collega del Journal du Dimanche, un reporter dell'agenzia fotografica Sipa e un freelance che collabora con il magazine Paris Match. Sarebbero almeno dieci i giornalisti arrestati mentre seguivano le proteste. La polizia avrebbe anche aggredito numerosi reporter, tra cui quelli della Bbc, di al-Jazeera, al-Arabiya e di altri media locali e internazionali. Impressionante la testimonianza di Assad Sawey, reporter della Bbc, andato in onda con una benda sulla testa e la camicia sporca di sangue. "Stanno prendendo di mira i giornalisti - denuncia - hanno preso la mia telecamera e dopo avermi fermato hanno cominciato a colpirmi con spranghe di ferro, come quelle usate qui per macellare gli animali, e hanno usato manganelli elettrici per darmi la scossa". Sawey conferma che diversi giornalisti stranieri sono stati fermati, "caricati su alcuni furgoni e portati non si sa dove". Il "venerdì della collera". Così l'opposizione ha battezzato le manifestazioni di oggi. Durante l'edizione del telegiornale, un corrispondente dell'emittente di Stato ha sottolineato che "la manifestazione non è guidata da alcun esponente politico e animata in maggioranza da giovani fra i diciotto e i trent'anni". La protesta abbraccia tutto Il Cairo. Un consigliere di Mubarak, Mustafa Fekhi, ex capo della Commissione esteri dell'assemblea del popolo, chiede l'intervento del presidente in persona perché "le forze di sicurezza da sole non possono gestire la situazione". E' Al Jazeera a dare notizia di almeno un morto e diversi feriti in piazza Thair, con la polizia impegnata a fermare un altro corteo in marcia sulla via che conduce alla sede della presidenza del Consiglio e a quella del Parlamento. Fonti della sicurezza parlano di un secondo morto negli scontri in piazza Abdel Moneim Riad, nel centro del Cairo. Dietro la prima linea delle forze dell'ordine, due file di giovanissimi in abiti civili con manganelli, pronti a intervenire contro i dimostranti insieme alla polizia. Stesse scene davanti alla moschea-università di Al Azhar, il maggior centro teologico sunnita della capitale, dove si sono raccolte altre migliaia di manifestanti. Secondo testimoni oculari, la forze dell'ordine sparano proiettili di gomma contro la folla, che ha risposto con una sassaiola inneggiando slogan contro Mubarak e suo figlio Gamal. Per la prima volta si registra una manifestazione anti governativa ma pacifica anche a Nasr City, sempre nei dintorni del Cairo. Scontri anche a Suez, già teatro di violenze nei giorni scorsi. Dopo la preghiera del venerdi, i fedeli si sono radunati nella piazza principale. Testimoni riferiscono di alcune persone che trasportano il corpo di un manifestante ucciso dalla polizia. Poi le forze dell'ordine si sono ritirate, lasciando il centro della città nelle mani dei manifestanti. Ad Alessandria la polizia si sarebbe ritirata dopo scontri con la popolazione davanti alla moschea El Kaid Ibrahim. In fiamme il governatorato. Secondo l'emittente al Arabiya, alcuni poliziotti si sono rifiutati di usare i lacrimogeni e, liberatisi di giubbotti antiproiettile, caschi e manganelli, si sono uniti alla folla. L'inviata di Al Jazeera afferma di aver visto la folla trasportare un corpo insanguinato. Cortei anche nel centro delle città di Mansoura e Sharqiya, nella regione del delta del Nilo. A fuoco le sedi del partito di Mubarak a Ismailia e Porto Said. Ban Ki-Moon: "Rispettare la libertà di espressione". Parlando da Davos, in Svizzera, dove si trova per il World Economic Forum, il segretario generale delle Nazione Unite Ban Ki-Moon avverte: "In Egitto la libertà di espressione deve essere totalmente rispettata". Ma oggi è difficile anche comunicare. Al Cairo le connessioni internet sono bloccate, e sarebbero saltate anche le comunicazioni fra telefoni cellulari. Il servizio sms era già inutilizzabile da alcune ore. L'operatore di telefonia mobile britannico Vodafone fa sapere di aver sospeso la copertura su richiesta del governo egiziano. Bloccati web e mobile. Una mossa, l'oscuramento dei collegamenti web e mobile, che persino gli Stati Uniti, finora particolarmente morbidi con Mubarak, condannano con un gesto fortemente simbolico: il dipartimento di Stato americano ha diffuso la condanna con un messaggio su Twitter: "Siamo preoccupati per il fatto che le comunicazioni, compreso Internet, i social media e perfino questo messaggio tweet, sono bloccati in Egitto", si legge nel messaggio firmato dal portavoce del dipartimento P.J. Crowley. Ong: "Dalla polizia violenza inaccettabile". Secondo la ong americana Human Rights Watch, la polizia egiziana utilizza la forza in modo "totalmente inaccettabile e sproporzionato" per colpire i manifestanti. I morti negli scontri, da martedì, sarebbero almeno nove, sempre stando ai dati in possesso dell'organizzazionel, che teme anche "possibili maltrattamenti" per i circa 800 arrestati. (28 gennaio 2011)
L'ANALISI Egitto, le paure della diplomazia "Se salta Mubarak cade il Nord Africa" di VINCENZO NIGRO Egitto, le paure della diplomazia "Se salta Mubarak cade il Nord Africa" Hosni Mubarak con Barack Obama "Se cade Mubarak cade il Nord Africa". E' questo lo spirito catastrofico ma probabilmente realistico con cui i tradizionali sostenitori del governo egiziano (a partire da Stati Uniti, Italia, Francia e Germania) guardano a questo venerdì di preghiere e proteste al Cairo e in tutto l'Egitto. Il sistema di polizia egiziano non è come quello tunisino, non dipende da una limitata cricca familiare stretta intorno agli affari della famiglia di Ben Alì. E soprattutto, allertati dai segnali arrivati da Tunisia e Algeria, i generali del Cairo sono pronti alla battaglia di questo venerdì 28 gennaio. Al momento sono stati bloccati Internet e i social network attraverso i quali i manifestanti si coordinano nelle proteste. Ma tagliare i telefoni, le comunicazioni, non riuscirà a modificare le condizioni di protesta politica e popolare che hanno portato anche l'Egitto a protestare contro il suo governo. L'unica possibilità per un'evoluzione non catastrofica della situazione in Egitto è che, assieme ad esercito, polizia e servizi segreti, il regime Mubarak mobiliti rapidamente un'azione politica, un'iniziativa che governi il cambiamento. In Algeria ci sono voci di un rapido cambio di ministri all'interno del governo. Ma per l'Egitto non basterà un rimpasto, soprattutto se le manifestazioni di oggi rafforzeranno un'ondata di protesta che grazie alla rabbia accumulata è in grado di durare per giorni e giorni. Se salta Mubarak è il caos: 80 milioni di egiziani fuori controllo al confine di Israele e al confine marittimo dell'Europa sono una seria incognita. Forse il regime non salterà. Ma se Mubarak dura, se la repressione continuerà immutabile, anche il caos continuerà. L'unica speranza è che i segnali di un vero cambiamento arrivino presto, siano rapidi, concreti e che riescano a convincere il popolo egiziano. (28 gennaio 2011
INCHIESTA Social web e rivolte popolari tecnologia abbatte censura In principio fu la Cina. Ma soprattutto in questi giorni, nelle rivolte del Nordafrica, diventa decisiva la presenza dei social network. E infatti i regimi cercano di cancellarli. Ma, come è successo in Tunisia, la Rete è più forte di tutti di TIZIANO TONIUTTI Social web e rivolte popolari tecnologia abbatte censura ROMA - Viste una accanto all'altra, le mappe mondiali che illustrano la libertà di stampa e la censura sul web corrispondono quasi perfettamente. Le zone in cui internet subisce controlli governativi e blocco di siti sono quelle in cui diffusione di notizie trova più resistenze, quando non veri e propri muri. Eppure, nonostante le resistenze dei governi, nelle rivolte popolari che incendiano il Nordafrica negli ultimi giorni, i social network come Facebook e Twitter hanno svolto un ruolo prioritario nella comunicazione. Non a caso la Siria, dove non è ancora successo nulla, ha scelto di chiuderli. INTERATTIVO: LA MAPPA DELLA CENSURA 1 La Rete che amplifica. Fino a pochi anni fa, le reazioni dei cittadini ai comportamenti di un governo erano poco più che rumori di fondo, facilmente sopprimibili. Con il web sociale, il rumore di fondo di ognuno è un flusso di notizie che ne alimenta uno di informazione. Che può ingrossarsi, ed è il caso delle rivolte degli ultimi giorni, fino ad assumere un'importanza e un'autorevolezza riservata finora ai media "tradizionali". Quando questo succede, radio e tv difficilmente possono ignorare le cronache dal mondo, soprattutto quando i documenti audiovisivi non hanno bisogno di commenti. Certo, incappare in un "falso" realizzato per propaganda non è impossibile. Ma sulla cronaca in tempo reale è un'eventualità remota. I cittadini "vivono" la Rete come e più di una piazza elettronica. Alla luce delle ultime rivolte nordafricane, internet è un luogo sociale riconosciuto, quasi fisico. Le informazioni immesse dal basso, in diretta, sul web hanno oggi un'importanza assoluta. E nel caso di scenari sociali instabili, rivolte e scontri, documentano una visione della realtà in un modo in cui nessun media ha finora potuto fare. Un modo che può far preoccupare molto chi ha bisogno di controllare l'informazione. Cronache dal web. Il media si fa sociale, ogni individuo è un'emittente di informazioni, che e nell'epoca della Rete si diffondono in tempo reale. Era il 20 giugno 2009, e si chiamava Neda Soltani la ragazza uccisa da un miliziano durante le manifestazioni a Teheran, in una strada che adesso molti chiamano 'Neda Street'. Secondo la testimonianza di un amico, Neda aveva accompagnato il papà a vedere la folla in rivolta. Non partecipava alla protesta e non era armata, eppure un proiettile l'ha uccisa. I suoi ultimi istanti di vita, e quelli poco precedenti, sono documentati nei video che i manifestanti caricavano su Youtube in diretta dalla manifestazione. E che hanno raccontato al mondo su cosa avveniva in quelle strade, prima dei telegiornali. In questi giorni, il web ha portato all'attenzione del mondo un ragazzo che durante le proteste in Egitto, ferma un blindato 2 dotato di idrante parandosi davanti al mezzo, come nell'89 un altro ragazzo fermò un carrarmato a piazza Tien An Men a Pechino. In quell'occasione, fu una foto ad immortalare un momento che è rimasto impresso come fotogramma sui giornali e poi nella Storia. Stavolta, c'è un video in cui il blindato cammina, il ragazzo è davanti, il blindato spara il suo getto d'acqua e poi si ferma. Tutto questo affidato a internet, nelle sue mille forme e veicoli. Tunisi, Egitto, Algeria. E poi Libano, Iran, Cuba, Russia. La censura sul web non spaventa i blogger, non impedisce ai gruppi di organizzarsi su Facebook, non ferma i micro-reporter dal pubblicare notizie di pochissime battute su Twitter. Attività che rimbalzano in pochi istanti nel mondo e che danno fuoco alle polveri della cyber-guerriglia. Tra siti oscurati e community irraggiungibili, arrivano i blog a fornire cronache al minuto di avvenimenti che altrimenti rimarrebbero sconosciuti. E dai blog al grande aggregatore di Google il passo è istantaneo, così che filtrare i racconti delle rivolte popolari diventa difficile. La censura riesce spesso a bloccare i canali più visibili ma ha difficoltà ad individuare i piccoli ruscelli di notizie, che però, questo è il fenomeno straordinario, riescono ad ingrossarsi fino a diventare fonti di notizie, ampiamente documentate. Che senza il web sociale, il mondo non avrebbe mai visto. E non solo: la rivoluzione digitale non è solo nelle piazze. E' soprattutto prima, nell'organizzazione. Dal flash mob alla protesta organizzata. Rivoluzioni digitali. Tutti gli aspetti divulgativi delle ultime rivolte nordafricane hanno trovato su internet la loro base, dall'organizzazione dei gruppi alla logistica, fino ai diversivi per ingannare le milizie, che pure navigano in Rete. E dopo i piani, sul web sono apparsi prima che altrove cronache, video e foto degli eventi, in una lotta di mosse veloci tra i "cittadini giornalisti" e gli addetti alla censura. Un inseguimento fatto di siti che appaiono e scompaiono, connessioni che vanno a singhiozzo, rimandi verso nodi esteri della Rete per arrivare dove le autorità non vogliono. Si parla perciò di "rivolta digitale", dove il controllo di internet si sovrappone in tutto e per tutto a quello della piazza. Solo che a parità di mezzi tecnologici, il conflitto online è quasi ad armi pari. E quindi le informazioni trovano comunque un modo di uscire dai confini digitali. E prima dei moti di piazza e della guerriglia urbana, è sul web che nascono gruppi, forum, "hashtags", definizioni brevi che indicano argomenti caldi. E dalla Rete, i movimenti si trasferiscono in strada. E' la faccia violenta di quella che potrebbe essere un'idea di democrazia digitale, quella in cui la rappresentanza politica è del cittadino stesso. Ma che ora mostra solo la sua faccia più rabbiosa. Il politologo: "fattori base, demografia e connettività". Le migliaia di manifestanti nelle strade del Cairo hanno raccolto l'appello di gruppi militanti pro-democrazia molto attivi sulla rete. Spiega il politologo Hisham Kassem: "La situazione attuale è il risultato di due fattori, la demografia e la connettività". Nonostante i dati sulla disoccupazione, stimata tra l'11 e il 17%, secondo numeri non ufficiali del Global Policy Network, e malgrado il 40% della popolazione viva nell'estrema povertà, l'egitto ha iniziato la sua rivoluzione tecnologica: a fine 2010, circa 23 milioni di persone avevano un accesso a internet, regolare o saltuario. Un quarto della popolazione, cifra in rialzo del 45% in un anno. Numeri molto importanti anche nella diffusione dei cellulari, che fanno di buona parte della popolazione egiziana dei potenziali reporter. Rabab al-mahdi, professore di scienze politiche all'università americana del Cairo, spiega così il fenomeno: "Quello che è successo in Tunisia ha spinto in strada la popolazione civile egiziana, e non militanti politici agguerriti. I manifestanti si sentono più forti di fronte alla polizia, esultano attraverso i social network". Che ora, non a caso, sono stati chiusi.
Ognuno è un social network. Il controllo delle notizie è complicato per chi prova a contrastare le ribellioni digitali. Perché non di soli Facebook e Twitter è fatto il web sociale. Quando si parla di internet "2.0" si indica proprio la Rete delle persone, sociale per definizione. E' la regola per cui ogni sito diventa un veicolo di informazioni, e dentro a un sito, ogni scampolo di informazione diventa condivisibile verso centinaia di altri ricettori e aggregatori. Di più: ogni testimone che durante una protesta di piazza raggiunge uno spazio libero del web e divulga informazione, diventa esso stesso un nodo sociale. La persona fisica coincide con quella digitale, che è molto più difficile da controllare perché esiste in una molteplicità di universi virtuali contemporanei. Se arginare stampa e tv è un processo ormai acquisito per i regimi, controllare internet non è così scontato, a meno di non filtrare la Rete all'origine come accade in Cina con la Grande Muraglia Digitale. Da qui è chiaro come il controllo del web sia un concetto politico incompatibile con la democrazia, vera o presunta. I regimi hanno dei codici vigenti che consentono alle autorità di bloccare il web, in democrazia questo non può succedere. O per lo meno non dovrebbe. (27 gennaio 2011)
2011-01-25 MOSCA Attentato all'aeroporto Domodedovo Il terrorista kamikaze era un uomo Smentiti i primi sospetti che parlavano di una donna colpevole dell'attacco suicida. Gli inquirenti sono certi della matrice caucasica dell'attacco in cui sono morte 35 persone, tra cui otto stranieri, e 168 sono rimaste ferite. Il presidente Medvedev: "Violate le norme di sicurezza, i responsabili dello scalo ne risponderanno" Attentato all'aeroporto Domodedovo Il terrorista kamikaze era un uomo La messa nella cappella all'aeroporto Domodedovo (foto Ap) MOSCA - Era un uomo il kamikaze che ieri si è fatto saltare in aria all'aeroporto Domodedovo 1 di Mosca, in cui ieri 35 persone hanno perso la vita e 168, tra le quali un italiano, sono rimaste ferite. Ne sono ormai convinti gli inquirenti russi, un portavoce ha detto alla Itar Tass che "il terrorista aveva tra 30 e 40 anni, era di corporatura robusta e aveva un aspetto europeo". Il sito internet russo Life News, giudicato attendibile ha pubblicato la foto, che presenta come un'esclusiva, della testa del presunto kamikaze, l'unica parte del suo corpo che sarebbe rimasta intatta. Lo stesso sito mostra anche un filmato con la ricostruzione dell'esplosione. La bomba, ha spiegato una fonte investigativa all'agenzia Interfax, era legata al corpo dell'uomo, che sarebbe stato solo. "I resti di un solo uomo, che presumibilmente ha commesso l'attentato terroristico, sono stati trovati sulla scena" ha detto la fonte. "La natura delle ferite subite al terrorista mostrano che l'ordigno esplosivo era legato al suo corpo" ha aggiunto. La notizia contraddice quanto sospettato inizialmente. La stampa russa aveva infatti parlato di una donna kamikaze, ricordando l'attacco alla metropolitana nel marzo 2 dell'anno scorso, e tornando sulle 'vedove nere' del Nord Caucaso, donne che hanno perso i mariti, uccisi in azione, e che per vendicarne la morte si sono messe volontariamente a disposizione della guerriglia separatista islamica come aspiranti kamikaze. Secondo una fonte della polizia citata dall'agenzia Ria-Novosti, la donna kamikaze era accompagnata da un complice, forse un 'combattente' di origine araba. Entrambi poi morti nell'esplosione. Secondo alcune informazioni i due attentatori erano stati condotti in aeroporto da un terzo complice che poi ha aspettato in un'auto parcheggiata davanti allo scalo. Ora la notizia è stata smentita. VIDEO Il momento dell'esplosione 3 - Il giorno dopo 4 La stessa tesi era supportata dal Kommersant. Secondo il quotidiano russo l'attentatrice avrebbe fatto parte di un commando arrivato dal Caucaso settentrionale. Con ogni probabilità dalla Cecenia. Gli inquirenti non hanno dubbi infatti sulla matrice caucasica dell'azione terroristica: "Le modalità sono quelle tradizionali dei terroristi provenienti dal Caucaso del Nord", ossia da repubbliche ribelli musulmane come Cecenia, Daghestan e Inguscezia, ha detto il funzionario che ha chiesto di rimanere anonimo. Per ora però non c'è stata alcuna rivendicazione e il sito Kavkazcentr, tradizionalmente portavoce delle posizioni dei ribelli islamici caucasici, stamattina riportava solo la cronaca dei fatti di ieri a Domodedovo, ironizzando sulla presunta "pista seguita da giorni dalle forze di sicurezza russe", che sarebbero state sulle tracce, invano, di tre sospetti. Il Kommersant sosteneva anche che i servizi segreti russi erano stati avvisati del pericolo di un attacco dinamitardo su più vasta scala dopo la completa distruzione di un piccolo edificio situato all'interno di un circolo sportivo e saltato in aria la sera del 31 dicembre scorso. La deflagrazione, stando alle anonime fonti del giornale, sarebbe stata provocata da un'altra donna caucasica che avrebbe innescato accidentalmente la carica che portava con sé per via della sua inesperienza. "I capi guerriglieri avevano inviato donne a compiere un attentato la notte dell'ultimo dell'anno, ma una di loro fece detonare prematuramente il suo esplosivo", è la ricostruzione. D'altra parte, la kamikaze del 31 dicembre sarebbe stata a sua volta in compagnia di una complice, riuscita a fuggire: si tratterebbe della moglie di un estremista che sta scontando una pena detentiva per il reato di partecipazione a banda armata. Proprio lei sarebbe stata catturata più tardi a Volgograd, nella Russia meridionale, dove si era rifugiata. Le autorità di Mosca nel frattempo si sarebbero messe a caccia di ulteriori tre ceceni, sospettati di preparare un nuovo attacco suicida: il terzetto avrebbe accompagnato a Domomedovo la kamikaze che ieri si è fatta esplodere. Una volta compiuta la missione, i tre si sarebbero dileguati senza lasciare traccia. Il dolore del Papa. In un telegramma al presidente russo Dmitrij Medvedev, inviato a suo nome dal segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, Benedetto XVI fa giungere a Mosca "profondo dolore e ferma riprovazione per il grave atto di violenza". Il Pontefice aggiunge "sentimenti di vicinanza spirituale e vive condoglianze ai familiari delle vittime" e prega per i feriti, ai quali rivolge un "particolare pensiero". Infine si "unisce al dolore" di tutta la Federazione russa. I controlli all'aeroporto. Il presidente russo Dmitri Medvedev, che dopo l'attacco ha annunciato controlli più rigidi e promesso che i colpevoli "saranno catturati e liquidati" ("Il terrorismo resta la principale minaccia per la sicurezza del nostro Stato", ha detto Medvedev dopo aver osservato un minuto di silenzio per le vittime dell'attentato con il volto visibilmente commosso), ha chiamato in causa la direzione dell'aeroporto Domodedovo: "Quello che è successo dimostra chiaramente che c'è stata una violazione delle norme di sicurezza, o non sarebbe potuta passare una simile quantità di esplosivo. I responsabili, coloro che prendono decisioni e la direzione dell'aeroporto, dovranno rispondere di tutto questo. E' un atto di terrorismo. E' una tragedia". Ma la portavoce dello scalo, Yelena Galanova, nega ogni responsabilità: "Noi pensiamo che non dovremmo essere chiamati a rispondere per l'esplosione, perché tutte le misure di sicurezza per l'aviazione sono state prese dai nostri servizi", ha detto la funzionaria dell'hub moscovita. La condanna di Teheran. "L'Iran condanna l'attentato terroristico e presenta le sue condoglianze alle famiglie delle vittime, alla nazione e al governo russi", ha detto il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, citato oggi dalla televisione in inglese PressTv. Putin: "I colpevoli saranno puniti". Il primo ministro russo Vladimir Putin ha assicurato oggi che i responsabili dell'attentato suicida all'aeroporto di Mosca-Domodedovo saranno puniti e ha promesso risarcimenti ai familiari delle vittime e ai feriti. "Non ho alcun dubbio sul fatto che questo crimine sarà delucidato e che la punizione è inevitabile", ha dichiarato Putin durante una riunione del governo. Il premier ha invitato i ministri a osservare un minuto di silenzio in memoria delle vittime dell'attacco, che ha definito "un crimine crudele e insensato". Putin ha poi annunciato un decreto per risarcire con tre milioni di rubli (circa 75mila euro) i familiari delle vittime e con cifre inferiori i feriti. In precedenza Putin si era recato al centro di chirurgia Vishnevski per incontrare persone ferite nell'attentato. Nelle stesse ore il presidente Dmitri Medvedev visitava i feriti ricoverati nel principale pronto soccorso della capitale, il Sklifasovski. Il capo del Cremlino indossava un camice bianco, mentre Putin lo portava sulle spalle. Misure di sicurezza. Tutti i mezzi di trasporto federali e tutti i maggiori centri di traffico della Russia sono stati posti in regime di emergenza fino a lunedì prossimo. L'irrigidimento delle misure di sicurezza nella capitale russa è evidente. A cominciare dalla metropolitana, dove sono stati intensificati i controlli, in particolare sulle persone apparentemente originarie del Caucaso. "Nel 2010 il numero degli attentati è aumentato", ha osservato il presidente russo. "Per l'Fsb, così come per gli altri apparati di sicurezza dello Stato, questo è il monito più allarmante". Medvedev si è quindi impegnato a inasprire ulteriormente le misure preventive allo studio per i Giochi Olimpici Invernali che si terranno nel 2014 a Sochi, sul Mar Nero. "Qui incombono alcuni importanti eventi", ha ricordato, "per i quali non si stanno preparando solo i partecipanti ma anche criminali, banditi e marmaglia terroristica". Il bilancio delle vittime. Alle 7.30 locali (le 5.30 italiane) era stata stabilita l'identità di 25 delle 35 persone uccise nell'attacco. Tra loro otto stranieri: due britannici, un tedesco, un bulgaro residente in Austria, un tagiko, un kirghiso, un uzbeko, una cittadina ucraina. Quest'ultima si chiamava Anna Mashutina, 29 anni, ed era una scrittrice molto nota nel mondo dello spettacolo, specie in Europa orientale e nei Paesi dell'ex Urss, come sceneggiatrice cinematografica e autrice di testi teatrali. Negli ospedali moscoviti, ha aggiunto, restano ancora ricoverati 84 feriti. "Oltre 30 persone - ha spiegato Leonid Pechatnikov, Capo del dipartimento sanità della capitale russa - hanno subito operazioni chirurgiche nei nostri ospedali la scorsa notte e nessuno di loro è morto". Secondo il ministero della Sanità e dello sviluppo sociale, sono 110 le persone ferite e ricoverate in ospedale. Di loro, 43 sarebbero in gravi condizioni. Ma il bilancio delle vittime dell'attentato non dovrebbe aggravarsi. L'unico italiano coinvolto, Rosario Romano, 61 anni, dipendente di una casa farmaceutica britannica, è stato ferito non gravemente e si sta sottoponendo ad alcuni controlli. (25 gennaio 2011)
MOSCA Attentato all'aeroporto Domodedovo La kamikaze sarebbe una donna Gli inquirenti sono certi della matrice caucasica dell'attacco in cui sono morte 35 persone e 168 sono rimaste ferite. La stampa torna a parlare delle 'vedove nere'. Il presidente Mdvedev: "Violate le norme di sicurezza, i responsabili dello scalo ne risponderanno" Attentato all'aeroporto Domodedovo La kamikaze sarebbe una donna La messa nella cappella all'aeroporto Domodedovo (foto Ap) MOSCA - Come nell'attacco alla metropolitana a marzo 1 dell'anno scorso, sarebbe stata una donna a commettere l'attentato suicida all'aeroporto Domodedovo 2 di Mosca, in cui ieri 35 persone hanno perso la vita e 168, tra le quali un italiano, sono rimaste ferite. La stampa russa torna a parlare delle 'vedove nere' del Nord Caucaso, donne che hanno perso i rispettivi mariti, rimasti uccisi in azione, e che per vendicarne la morte si sono messe volontariamente a disposizione della guerriglia separatista islamica come aspiranti kamikaze. Secondo una fonte della polizia citata dall'agenzia Ria-Novosti, la donna era probabilmente accompagnata da un complice, forse da un 'combattente' di origine araba. Entrambi sarebbero morti con l'esplosione. Ma la notizia non è ancora stata confermata ufficialmente. "L'esplosione è avvenuta quando la presunta kamikaze, con a fianco un uomo, ha aperto una borsa. L'uomo è stato decapitato dall'esplosione - ha precisato la fonte all'agenzia Ria-Novosti -. Non è da escludere che i terroristi intendessero lasciare la borsa con l'ordigno nella sala degli arrivi dello scalo e che l'esplosione sia avvenuta accidentalmente oppure che l'ordigno sia stato azionato con un telecomando a distanza". Secondo alcune informazioni i due attentatori sono stati condotti in aeroporto da un terzo complice che poi ha aspettato in un'auto parcheggiata davanti allo scalo. VIDEO Subito dopo l'esplosione 3 Per il il quotidiano Kommersant l'attentatrice avrebbe fatto parte di un commando arrivato dal Caucaso settentrionale. Con ogni probabilità dalla Cecenia. Gli inquirenti non hanno dubbi infatti sulla matrice caucasica dell'azione terroristica: "Le modalità sono quelle tradizionali dei terroristi provenienti dal Caucaso del Nord", ossia da repubbliche ribelli musulmane come Cecenia, Daghestan e Inguscezia, ha detto il funzionario che ha chiesto di rimanere anonimo. Per ora però non c'è stata alcuna rivendicazione e il sito Kavkazcentr, tradizionalmente portavoce delle posizioni dei ribelli islamici caucasici, stamattina riportava solo la cronaca dei fatti di ieri a Domodedovo, ironizzando sulla presunta "pista seguita da giorni dalle forze di sicurezza russe", che sarebbero state sulle tracce, invano, di tre sospetti. Il Kommersant sostiene anche che i servizi segreti russi sarebbero stati messi sull'avviso sul pericolo di un attacco dinamitardo su più vasta scala dopo la completa distruzione di un piccolo edificio situato all'interno di un circolo sportivo e saltato in aria la sera del 31 dicembre scorso. La deflagrazione, stando alle anonime fonti del giornale, sarebbe stata provocata da un'altra donna caucasica che avrebbe innescato accidentalmente la carica che portava con sè per via della sua inesperienza. "I capi guerriglieri avevano inviato donne a compiere un attentato la notte dell'ultimo dell'anno, ma una di loro fece detonare prematuramente il suo esplosivo", è la ricostruzione. D'altra parte, la kamikaze del 31 dicembre sarebbe stata a sua volta in compagnia di una complice, riuscita a fuggire: si tratterebbe della moglie di un estremista che sta scontando una pena detentiva per il reato di partecipazione a banda armata. Proprio lei sarebbe stata catturata più tardi a Volgograd, nella Russia meridionale, dove si era rifugiata. Le autorità di Mosca nel frattempo si sarebbero messe in caccia di ulteriori tre ceceni, sospettati di preparare un nuovo attacco suicida: il terzetto avrebbe accompagnato a Domomedovo la kamikaze che ieri si è fatta esplodere. Una volta compiuta la missione, i tre si sarebbero dileguati senza lasciare traccia. Il dolore del Papa. In un telegramma al presidente russo Dmitrij Medvedev, inviato a suo nome dal segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, Benedetto XVI fa giungere a Mosca: "Profondo dolore e ferma riprovazione per il grave atto di violenza" ieri, nell'attentato all'aeroporto. Il Pontefice aggiunge "sentimenti di vicinanza spirituale e vive condoglianze ai familiari delle vittime" e prega per i feriti, ai quali rivolge un "particolare pensiero". Infine si "unisce al dolore" di tutta la Federazione russa. I controlli all'aeroporto. Il presidente russo Dmitri Medvedev, che dopo l'attacco ha annunciato controlli più rigidi e promesso che i colpevoli "saranno catturati e liquidati" ("Il terrorismo resta la principale minaccia per la sicurezza del nostro Stato", ha detto Medvedev dopo aver osservato un minuto di silenzio per le vittime dell'attentato con il volto visibilmente commosso), ha chiamato in causa la direzione dell'aeroporto Domodedovo: "Quello che è successo dimostra chiaramente che c'è stata una violazione delle norme di sicurezza, o non sarebbe potuta passare una simile quantità di esplosivo. I responsabili, coloro che prendono decisioni e la direzione dell'aeroporto, dovranno rispondere di tutto questo. E' un atto di terrorismo. E' una tragedia". Ma la portavoce dello Scalo Yelena Galanova, nega ogni responsabilità: "Noi pensiamo che non dovremmo essere chiamati a rispondere per l'esplosione, perché tutte le misure di sicurezza per l'aviazione sono state prese dai nostri servizi", ha detto la funzionaria dell'hub moscovita. La condanna dell'Iran. L'Iran ha condannato l'attentato e ha inviato le sue condoglianze alla Russia. "L'Iran condanna l'attentato terroristico e presenta le sue condoglianze alle famiglie delle vittime, alla nazione e al governo russi", ha detto il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, citato oggi dalla televisione in inglese PressTv. Misure di sicurezza. Tutti i mezzi di trasporto federali e tutti i maggiori centri di traffico della Russia sono stati posti in regime di emergenza fino a lunedì prossimo. Secondo alcune fonti, per l'attentato sono stati utilizzati dai cinque ai sette chili di tnt. L'irrigidimento delle misure di sicurezza nella capitale russa è evidente. A cominciare dalla metropolitana, dove sono stati intensificati i controlli, in particolare sulle persone apparentemente originarie del Caucaso. Il conto delle vittime. Alle 7,30 locali (5,30 Italiane) era stata stabilita l'identità di 25 delle 35 persone uccise dall'attacco. Otto gli stranieri rimasti uccisi. Si tratta di due britannici, un tedesco, un bulgaro residente in Austria, un tagiko, un kirghiso e un uzbeko, più una cittadina ucraina. Quest'ultima si chiamava Anna Mashutina, 29 anni, ed era una scrittrice molto nota nel mondo dello spettacolo, specie in Europa orientale e nei Paesi dell'ex Urss, come sceneggiatrice cinematografica e autrice di testi teatrali. Negli ospedali moscoviti, ha aggiunto, restano ancora ricoverati 84 feriti. "Oltre 30 persone - ha spiegato Leonid Pechatnikov, Capo del dipartimento sanità della capitale russa - hanno subito operazioni chirurgiche nei nostri ospedali la scorsa notte e nessuno di loro è morto". Secondo il ministero della sanità e dello sviluppo sociale, sono 110 le persone ferite e ricoverate in ospedale. Di loro, 43 sarebbero in gravi condizioni. Ma il bilancio delle vittime dell'attentato non dovrebbe aumentare. L'unico italiano coinvolto, Rosario Romano, 61 anni, dipendente di una casa farmaceutica britannica, è stato ferito non gravemente e si sta sottoponendo ad alcuni controlli. (25 gennaio 2011)
2011-01-24 IL CASO Albania, appello di Rama all'Italia "Condanni la violenza di Stato" Il leader dell'opposizione socialista: "Non tollerate realtà inaccettabili per il mondo democratico: che la gente muoia perché protesta o che l'opposizione venga definita bastarda dal governo". Dopo i violenti scontri in piazza dei giorni scorsi, questa settimana indette due nuove manifestazioni a Tirana. Berisha: "Gli agenti della Guardia Repubblicana non saranno arrestati" Albania, appello di Rama all'Italia "Condanni la violenza di Stato" Edi Rama, leader dell'opposizione socialista in Albania TIRANA - Si rivolge direttamente all'Italia e all'Europa il leader dell'opposizione socialista albanese Edi Rama, perché non tollerino violenze e situazioni inaccettabili, dopo le minacce del premier Berisha 1. "L'Italia e l'Ue non devono accettare in Albania una realtà inaccettabile per il mondo democratico e condannare la violenza di Stato che uccide gente innocente": è questo il suo appello, lanciato questa mattina, conversando con i giornalisti italiani. "L'Europa - aggiunge Rama - non può accettare che in Albania possano accadere cose che non accetterebbe mai nei suoi Paesi, in base a principi e valori non negoziabili: che la gente muoia perché protesta o che l'opposizione venga definita 'bastarda' dal governo". Intanto, il premier albanese ribadisce la protezione del governo nei confronti dei vertici della Guardia Repubblicana sotto accusa per l'uccisione di tre manifestanti negli scontri di piazza del 21 gennaio: "I mandati di arresto" ordinati dalla procura di Tirana, ha detto Berisha, "non possono essere assolutamente eseguiti, in base al codice di procedura penale". Continua a salire nel Paese la tensione esplosa venerdì scorso quando l'opposizione ha portato in piazza a Tirana decine di migliaia di persone per chiedere le dimissioni del primo ministro Sali Berisha ed elezioni politiche anticipate. Negli scontri degli ultimi giorni hanno perso la vita tre civili 2e una cinquantina di persone sono rimaste ferite. C'è un'atmosfera di attesa nella capitale albanese che questa settimana ospiterà due manifestazioni: sabato prossimo (e non mercoledì, come annunciato in precedenza) sfilerà il corteo "contro ogni violenza" invocato dal contestato premier di centrodestra. Venerdì 26, invece, è il turno dei sostenitori del leader dell'opposizione socialista e sindaco di Tirana, Edi Rama, che ha chiamato i suoi a manifestare "per rendere omaggio alle vittime. Per condannnare la violenza e il crimine che ha strappato la vita a tre uomini innocenti". Sembra avvicinarsi rapidamente la resa dei conti di un braccio di ferro politico che si protrae dalle elezioni del giugno 2009, contestate dal partito socialista che non ha mai riconosciuto la vittoria della coalizione di centrodestra guidata da Berisha, accusandola di brogli. Anche la posta in gioco si è alzata: da venerdì scorso agli argomenti più 'classici' della contesa - le accuse al governo di corruzione e brogli e la richiesta dell'opposizione di urgenti elezioni anticipate- si è aggiunto quello della responsabilità della tragedia delle vittime civili. La polizia, con il beneplacito del governo, ha sparato sulla folla inerme, sostiene Rama. Opposta la spiegazione di Berisha, secondo cui le forze dell'ordine "hanno fatto solo il loro dovere" e non hanno nulla a che fare con le vittime. Venerdì ci sarà una nuova manifestazione dei socialisti: "Se Edi Rama deciderà di attaccare la sede del Governo io sarò qui, ma non lascerò prendere il mio ufficio con la forza", dichiara Berisha. (24 gennaio 2011)
IL CASO Al Jazeera svela la sua WikiLeaks "Dai palestinesi concessioni enormi" Il sito dell'emittente pubblica in collaborazione con il Guardian i "Palestinian Papers", 1.600 file segreti sul processo di pace con Israele: "Nel 2008, l'Anp era pronta a cedere tutti gli insediamenti di Gerusalemme est tranne uno" Al Jazeera svela la sua WikiLeaks "Dai palestinesi concessioni enormi" Una veduta di Gerusalemme LONDRA - L'Autorità nazionale palestinese ha offerto segretamente a Israele "enormi concessioni" su Gerusalemme nel 2008 e nel 2009, che lo Stato ebraico ha poi rifiutato. Lo scrive Al Jazeera pubblicando alcuni dei 1.600 file segreti chiamati "Palestinian Papers" che la tv sostiene di avere ottenuto e che pubblica con il britannico Guardian. In un incontro trilaterale del 15 giugno 2008, scrive Al Jazeera, l'ex premier dell'Anp Ahmed Qurei propose - alla presenza di Condoleezza Rice, l'allora segretario di Stato Usa, e Tzipi Livni, ministro degli Esteri israeliano dell'epoca - l'annessione da parte di Israele di "tutti gli insediamenti in Gerusalemme tranne Jabal Abu Ghneim (Har Homa)". L'emittente panaraba sottolinea come fosse la prima volta nella storia che l'Anp arrivava a tanto. Il negoziatore palestinese Saeb Erekat, prosegue Al Jazeera, presente all'incontro, elencava gli insediamenti che sarebbero stati concessi, con una popolazione di 120.000 israeliani. L'Anp era pronta a concedere "French Hill, Ramat Alon, Ramat Shlomo, Gilo, Talpiot, e il quartiere ebraico nella Gerusalemme Vecchia". Secondo Al Jazeera, Erekat "non menzionò il destino di altri principali insediamenti a Gerusalemme Est, ma il "linguaggio di Qurei indicava che sarebbero rimasti parte di Israele". Sempre secondo Al Jazira, ulteriori incontri del 2008 e 2009 mostrano che "l'Anp ha fatto concessioni senza chiedere nulla in cambio": in un documento del gennaio 2010 Erekat ha detto al consigliere di Barack Obama, David Hale: "Abbiamo dato la più grande Yerushalaim nella storia degli ebrei, il ritorno simbolico dei rifugiati, uno stato demilitarizzato... che altro possiamo fare?". (23 gennaio 2011)
2011-01-23 L'INTERVISTA "Prima ci hanno rubato il voto ora sparano sulla folla inerme" La rabbia di Edi Rama, sindaco di Tirana e leader dell'opposizione socialista. "Il premier ci accusa di aver tentato un golpe, mentre chiediamo solo giustizia" dal nostro inviato DANIELE MASTROGIACOMO "Prima ci hanno rubato il voto ora sparano sulla folla inerme" Il sindaco di Tirana e leader socialista Edi Rama * ''Prima ci hanno rubato il voto, ora sparano sulla folla'' video La videointervista TIRANA - "Hanno rubato le elezioni, ci hanno rubato l'Albania". Edi Rama, sindaco di Tirana e leader dell'opposizione socialista albanese, è scuro in volto, ha gli occhi ancora lucidi per quello che ha visto venerdì sera, davanti alla sede del governo, tra i suoi sostenitori. "Guardi questo video", dice. "È stato girato da un giornalista serio e coraggioso. Si vede chiaramente chi spara e contro chi". Le immagini del video 1 scorrono implacabili. Si vede la folla dei manifestanti che lancia pietre contro il palazzo del primo ministro. Poi, da finestra posta al piano terra si nota un soldato che imbraccia un'arma e spara. Un cecchino. Un uomo cade a terra. I colpi continuano e crolla un secondo manifestante, un terzo, poi un quarto. Tutti in punti diversi e distanti tra loro. Un vero tiro al bersaglio. "Il mondo", dice Rama, "deve vedere di cosa è capace questo regime. Eravamo scesi in piazza in modo pacifico, per chiedere democrazia, trasparenza e legalità. Ci hanno accolto con i fucili. Hanno sparato su gente inerme. Non accade in nessun paese europeo. Solo in Albania, un paese che la comunità internazionale porta come esempio di sviluppo e democrazia. Ma è falso: ecco il vero volto del regime. Un volto di assassini". Il premier Berisha vi accusa di aver tentato un golpe. Cosa è accaduto venerdì pomeriggio? "Non abbiamo tentato nessun golpe. Abbiamo solo chiesto una commissione d'inchiesta sulle passate elezioni, piene di frodi". È stata negata? "Non ci è stata concessa alcuna forma di indagine. Vogliamo evitare che le prossime elezioni, quelle di giugno, siano viziate dagli stessi brogli". E il governo? "Ha parlato di provocazioni, di iniziative illegittime. Ha perso tempo, ha sperato che la gente dimenticasse". Ma la gente non ha dimenticato. "La gente si è resa conto che il suo voto non aveva alcun valore. E che in questo paese si è instaurato un potere corrotto". Poi è arrivato il video che inchioda l'ex vicepremier e ministro dell'Economia Meta. "È una testimonianza illuminante. La prova visiva e vocale di quanto stiamo denunciando da 16 mesi. Mostra l'allora ministro dell'Economia, chiuso nel suo ufficio, mentre chiede una tangente di 700 mila euro per favorire una società in un appalto pubblico. La gente si è indignata". Per questo è scesa in piazza? "La miccia è stata la reazione del governo. Ha negato ciò che si vedeva e si sentiva. Ha parlato di montatura, di provocazione. Ha accusato la sinistra, i soliti comunisti che tramano nell'ombra, ha parlato di mafia, di attacchi della criminalità". Perché le violenze, gli spari, i morti? "Lo chiediamo anche noi. Ovunque in Europa si manifesta. A Londra, Roma, Atene. La polizia spesso interviene e in modo anche duro. Ma in uno stato di diritto ci sono delle regole di convivenza, ci sono dei chiari limiti. Da noi, in Albania, si spara per uccidere". Per quei morti è stato chiesto l'arresto di alcuni ufficiali della guardia repubblicana. "Finora c'è solo un'accusa di omicidio. Non mi pare che siano stati arrestati i responsabili. Per 50 anni abbiamo vissuto sotto il peggiore dei regimi comunisti di tutta l'Europa dell'Est. Ci siamo formati in segreto, nascosti, in esilio, sui libri che il mondo libero ci trasmetteva. Abbiamo sognato e lottato per una società diversa. Invece ci troviamo governati da un regime fondato sulla corruzione. E che spara sulla folla inerme". Cosa accadrà adesso? "Ci sono le famiglie di tre morti che chiedono giustizia, c'è un quarto ferito che lotta per sopravvivere. C'è un governo che con la forza, l'arroganza, sta espropriando tutte le conquiste di venti anni. E c'è un popolo disperato che chiede libertà e democrazia. L'Europa e il mondo non possono restare a guardare. Devono aiutarci a ritrovare l'unico dialogo possibile: quello politico". (23 gennaio 2011)
2011-01-22 ALBANIA Guerriglia a Tirana: tre morti Assedio al palazzo del governo Opposizione in piazza contro il governo di centrodestra, travolto dallo scandalo corruzione. Lacrimogeni e idranti contro la folla. Medico in tv: vittime per colpi d'arma da fuoco. Edi Rama, sindaco della capitale e leader socialista, condanna le violenze: "Non vogliamo il potere senza elezioni" Guerriglia a Tirana: tre morti Assedio al palazzo del governo TIRANA - Giornata di guerriglia urbana a Tirana con manifestanti all'assalto del palazzo del governo e agenti che caricano con idranti e lacrimogeni. Secondo diversi testimoni, negli scontri si sono uditi spari e fonti ospedaliere affermano che tre civili sono stati uccisi. Almeno 20 manifestanti e 17 poliziotti sono rimasti feriti. La situazione sul viale principale di Tirana, dove hanno sede i palazzi del potere albanse, oggi teatro delle violenze, è tornata alla calma dopo diverse ore. La polizia ha preso il controllo della piazza di fronte al palazzo di governo e i dimostranti si sono allontanati. La giornata di sangue è cominciata con la manifestazione indetta dall'opposizione socialista per chiedere le dimissioni del governo di centrodestra guidato dal premier Sali Berisha e nuove elezioni. Per tutto il pomeriggio si sono succeduti scontri durissimi. I media albanesi hanno riferito di spari non solo da parte degli agenti, ma anche dei manifestanti, oltre al lancio di sassi, gas lacrimogeni e getti d'acqua, auto incendiate, blindati nelle strade, cariche. Il capo di Stato albanese Bamir Topi in serata ha rivolto un appello alla calma. "Tutte le forze politiche devono tranquillizzare i manifestanti e garantire il ripristino dell'ordine pubblico dando sostegno alle forze di polizia", ha detto Topi, esortando i partiti politici "ad avviare il dialogo e ad assumersi le responsabilità per la stabilità del paese". Dopo ore di silenzio, è tornato a farsi sentire anche il leader dell'opposizione socialista Edi Rama, che ha accusato il governo di aver attuato "provocazioni nei confronti della pacifica protesta dei cittadini". Rama ha insistito perché Berisha avvii "una soluzione politica della situazione". Per tutta risposta, un esponente del Partito democratico del premier, Mesile Doda, ha definito la rivolta di oggi a Tirana un tentativo di golpe e ha puntato il dito contro Rama. Il momento di massima tensione si è avuto quando la folla ha superato il cordone delle forze dell'ordine attorno al palazzo del governo, ha oltrepassato la cancellata e si è riversata nel giardino della residenza istituzionale, dando fuoco a diversi alberi, mentre la polizia si è asserragliata nell'edificio a difesa di Berisha e del suo esecutivo. La polizia ha utilizzato i gas lacrimogeni e gli idranti per bloccare l'avanzata dei dimostranti. Il leader socialista Rama, tra l'altro sindaco della capitale, che aveva espresso il suo "rifiuto di ogni atto di violenza, il nostro obiettivo non è di prendere il potere con la forza e senza elezioni", è stato ripreso dalle televisioni mentre osservava immobile la guerriglia. La presenza di armi tra i militanti dell'opposizione lascerebbe credere che ci si fosse preparati allo scontro con le forze dell'ordine. L'obiettivo dichiarato del Partito socialista era premere per le dimissioni del governo di Berisha e nuove elezioni dopo lo scandalo della corruzione che ha travolto il vicepremier Ilir Meta, dimessosi la settimana scorsa. Il grande accusatore di Meta è il suo predecessore nel dicastero, Dritan Prifti, tra l'altro ex membro dello stesso partito, il Movimento socialista per l'integrazione, che ha dato ai democratici di Berisha i voti per mantenere la maggioranza in Parlamento. Lo scandalo è scoppiato con la trasmissione, martedì, di un video risalente al marzo scorso in cui Meta e Prifti discutevano di gare d'appalto, persone da sistemare e concessioni. Un video che forse è stato tagliato e montato ad arte, che secondo Meta è un "parto del crimine organizzato" e trucco ricattorio. Il caso ha acuito la tensione che già dominava il quadro politico albanese. Il Partito socialista di Rama non ha mai accettato la vittoria di Berisha alle legislative di giugno 2009 e da allora ha di fatto boicottato i lavori parlamentari. I toni della crisi si sono inaspriti dopo le ultime vicende, fino alla manifestazione di oggi. Dall'ambasciata Usa a Tirana è arrivato l'appello a mantenere la calma. "Negli ultimi giorni - si legge in una nota della rappresentanza diplomatica americana - la retorica e il linguaggio di alcuni dirigenti politici hanno assunto dei toni che suggeriscono il sostegno ad atti dannosi di disordine e a comportamenti inadeguati. Questo linguaggio è inaccettabile". Un appello alla "calma, moderazione, a risolvere in parlamento in tutte le questioni ancora sul tavolo" viene anche dal ministero degli Esteri italiano, attraverso il portavoce della Farnesina Maurizio Massari. Alla fine del 2010 l'Unione Europea, che ha respinto la domanda di ammissione albanese, ha chiesto al "Paese delle Aquile" di far propria un'agenda di 12 punti: al primo posto, la lotta alla corruzione e un'inchiesta sulle accuse che hanno travolto l'ex vicepremier Meta. (21 gennaio 2011)
2011-01-19 TUNISIA Aperta inchiesta sui beni di Ben Alì 2000 in piazza contro il nuovo governo I magistrati tunisini indagano sulla provenienza del patrimonio dell'ex presidente. La Svizzera ha congelato i conti correnti aperti dalla famiglia presidenziale. Già in crisi lì'esecutivo di unità nazionale: proteste interne e di piazza per la partecipazione dell'ex partito di maggioranza, l'Rcd. L'Onu: "Oltre 100 le vittime delle violenze nel Paese" Aperta inchiesta sui beni di Ben Alì 2000 in piazza contro il nuovo governo TUNISI - "Acquisizione illegale di beni" e "investimenti finanziari illeciti all'estero". Queste le accuse ipotizzate nell'inchiesta aperta dalla magistratura tunisina nei confronti dell'ex presidente Zine el Abidine Ben Ali e della sua famiglia. Lo riferisce l'agenzia Tap. Intanto la Svizzera ha congelato i conti correnti aperti presso banche elvetiche dal presidente tunisino deposto, oltre che dal presidente della Costa d'Avorio uscente, Laurent Ggagbo. Il provvedimento elvetico, varato dal Consiglio federale e annunciato in una conferenza stampa da Micheline Calmy-Rey, si estende anche a tutti i 'colonnelli' dei due leader. Continuano intanto gli scontri di piazza: le vittime delle violenze in Tunisia sono più di 100, denuncia Navi Pillay, Alto Commissario Onu per i Diritti Umani da Ginevra. Anche oggi i manifestanti sono tornati a protestare per le strade della capitale (sono scese in piazza almeno 2000 persone) mentre nuove difficoltà nella composizioni del governo transitorio di unità nazionale hanno costretto il premier Mohammed Gannouchi a rinviare di 24 ore la prima riunione dell'esecutivo, prevista per oggi. Ieri, cinque esponenti dell'opposizione (4 espressione del sindacato Ugtt e uno del partito Fdlt) si erano ritirati dall'esecutivo e a nulla sono valse le dimissioni di Gannouchi e del presidente Foued Mebazaa dal partito Rcd dell'ex presidente Zine el Abidine Ben Ali. L'opposizione ha denunciato che i ministri chiave, Difesa, Interno, Esteri e Finanza - tra gli altri - sono rimasti al loro posto malgrado siano espressione dell'Rcd. Le persone scese in piazza reclamano proprio le dimissioni del nuovo governo transitorio e la messa al bando dell'Rcd. Anche in provincia si sono peraltro rinnovati cortei e proteste, che hanno coinvolto nel complesso diverse migliaia di persone. "Ben Ali se ne è andato in Arabia Saudita", gridano i contestatori nella capitale, seguiti passo passo da un folto nugolo di agenti delle forze speciali di polizia in assetto anti-sommossa. "Ora ci deve andare anche il governo!". E poi: "Vogliamo un nuovo Parlamento, una nuova Costituzione, una nuova Repubblica! Il popolo insorga contro gli scherani di Ben Ali!". Tra i dimostranti molti brandiscono cartelli e striscioni con sopra scritto "Abbasso l'Rcd!". Frattini: "Nessun pericolo per gli italiani. "Settecento italiani, che ne hanno fatto richiesta, sono tornati in Patria'': lo ha confermato il ministro degli Esteri Franco Frattini nel corso di un'audizione presso le Commissioni riunite Affari esteri di Camera e Senato sui recenti sviluppi della situazione in Tunisia. Il titolare della Farnesina ha precisato inoltre che ''molti turisti sono voluti rimanere'' nei luoghi di vacanza. Frattini ha sottolineato che ''non vi sono pericoli di alcun genere'' e sono esclusi, soprattutto, pericoli ''collegabili alla nazionalità degli italiani''. Il ministro ha ricordato che l'Italia si ''è preoccupata del gruppo di persone che lavoravano'' per il Circo Bellucci e che questo gruppo di persone è stato protetto dall'esercito. Proprio oggi le persone che lavoravano per il circo hanno raggiunto il porto di Sfax dove ad attenderle vi era una nave della Tirrenia pronta per il loro rimpatrio. (19 gennaio 2011)
2011-01-18 TUNISIA Governo Ghannouchi, si ritirano cinque ministri Ancora scontri: "Abbattiamo la dittatura" Il nuovo esecutivo presta giuramento ma paga la presenza nel governo di esponenti del partito dell'ex presidente Ben Ali. L'Ugtt, il principale sindacato, non riconosce il nuovo esecutivo. Manifestazioni in tutto il paese. A Tunisi la polizia disperde un corteo guidato un esponente del movimento islamista Ennahdha Governo Ghannouchi, si ritirano cinque ministri Ancora scontri: "Abbattiamo la dittatura" A Tunisi vengono rimossi i ritratti di Ben Ali TUNISI - Il nuovo governo di transizione in Tunisia, incaricato di portare il paese alle urne entro 60 giorni dopo la deposizione del presidente Ben Ali, ha prestato giuramento. Ma all'appello mancano cinque nuovi ministri: oltre ai tre provenienti dall'Ugtt, il maggiore sindacato, che non riconosce il nuovo esecutivo del premier Mohammed Ghannouchi, si sono ritirati dalla carica anche Mustapha ben Jaafar, leader del partito dell'Unione della libertà e del lavoro, e l'ex sindacalista Taieb Baccouch, indicato come titolare del dicastero dell'istruzione, si è dimesso dal governo di transizione tunisino, portando a cinque il numero di ministri che hanno lasciato. Il nuovo governo, dunque, perde i pezzi ancor prima di cominciare il suo lavoro di transizione verso le nuove elezioni, pagando la scelta di compromesso tra vecchio e nuovo rappresentato dalla presenza nell'esecutivo di alcuni ministri del Rcd, il partito dell'ex presidente Ben Ali. Contro questa scelta, difesa pubblicamente da Ghannouchi, la gente torna in strada a Tunisi e nelle altre città del paese. E in segno di protesta, il maggior sindacato della Tunisia, l'Ugtt, ritira dal nuovo governo i tre membri provenienti dai suoi ranghi. Si tratta di Houssine Dimassi, ministro della Formazione e dell'Impiego, Abdeljlil Bédoui, ministro presso il primo ministro, Anouar Ben Gueddour, segretario di Stato presso il ministero dei Trasporti. Intanto, premono per un ritorno sulla scena politica i leader del movimento islamico Ennahdha e del Cpr, partito della sinistra laica, entrambi illegali sotto il regime di Ben Ali. Ghannouchi: "Ministri dalle mani pulite". Il premier Mohammed Ghannouchi replica alle critiche sulla permanenza nel nuovo governo 1 di esponenti del regime del deposto presidente Zine El Abidine Ben Ali affermando che i ministri confermati hanno "sempre agito per preservare l'interesse nazionale" e "hanno le mani pulite". E parlando alla radio francese Europe 1, annuncia che "tutti coloro" che hanno avuto un ruolo nella repressione della protesta popolare "ne risponderanno davanti alla giustizia". Dalla lista dei ministri restano esclusi i partiti dichiarati illegali sotto il passato regime. Ci sono invece rappresentanti della società civile e tre leader dei partiti di opposizione, due dei quali senza rappresentanza parlamentare. Cerca di calmare il clima il ministro degli Esteri Kamel Morjane. "Il popolo ha detto la sua e ha vinto - dichiara il ministro . L'unica ambizione del governo di transizione è di preparare elezioni libere e riforme". Per Morjane, lo scopo del governo di transizione è "chiaro", il suo mandato è regolato dalla legge e condiviso dai partiti. La protesta torna nelle strade. Ma all'opinione pubblica non basta. Il centro di Tunisi stamani si è ancora una volta gremito di centinaia di persone intenzionate a manifestare contro la presenza nel governo ad interim di esponenti del partito dell'ex presidente Ben Ali. La gente ha innalzato cartelli e filoni di pane e ha marciato in Avenue Bourghiba, che in breve è tornata a essere ancora una volta teatro di scontri, come nei giorni scorsi. La polizia è intervenuta e ha disperso la folla con il lancio di lacrimogeni. La protesta ha interessato altre città tunisine. Particolarmente difficile la situazione a Sfax, la capitale economica del paese, dove sono scesi in strada almeno in 5mila e si segnalano scontri tra forze speciali e dimostranti nei pressi dell'aeroporto, con spari di avvertimento e uso di gas lacrimogeni. Alcuni giorni fa a Sfax era stata data alle fiamme la sede del Rcd. In migliaia nelle strade anche a Sidi Bouzid, da dove era partita la rivolta popolare che venerdì scorso ha portato alla fuga all'estero dell'ex capo di stato. Cortei si registrano a Regueb e Kasserine. Leader di Ennahdha alla testa del corteo. Guidava il corteo disperso stamattina a Tunisi un esponente di spicco del movimento islamista Ennahdha, messo al bando dal vecchio regime e che oggi chiede di essere legalizzato per trasformarsi in una forza politica, come dichiara alla France Presse uno dei suoi leader, Ali Laraidh: "Se la democrazia sarà instaurata saremo parte come gli altri, eserciteremo i nostri diritti e doveri". Mentre andava in scena la manifestazione, Ennahdha annunciava il boicottaggio delle prossime elezioni presidenziali, assieme all'intenzione di partecipare alle legislative. "Il nuovo governo non rappresenta il popolo e deve cadere", minaccia Sadok Chourou, 63enne ex leader di Ennahdha, scarcerato lo scorso ottobre dopo 20 anni. Lunedì il capo storico del movimento Rached Ghannouchi, in esilio a Londra dal 1989, aveva annunciato il suo ritorno in patria. Ma il premier Mohammed Ghannouchi (nessuna parentela tra i due) a Europe 1 dice chiaramente che il leader islamico non potrà rientrare senza l'approvazione di un'amnistia. Marzouki torna a Tunisi. Chi invece è già rientrato in Tunisia è Moncef Marzouki, leader del Cpr, partito della sinistra laica illegale sotto il regime di Ben Ali, da anni in esilio in Francia, che ieri aveva parlato di "farsa". Marzouki aveva già annunciato la sua candidatura alle presidenziali, ma sollevando dubbi sulla regolarità delle prossime elezioni. Se "verrà abolita la legge elettorale in vigore attualmente, che è stato concepita dalla dittatura, sotto quale costituzione andremo al voto?" aveva affermato il leader del Cpr, sottolineando il paradosso tunisino: "E' stato cacciato il dittatore, ma la dittatura resta là. La dittatura non è solo Ben Ali, la dittatura è il sistema. E il sistema si basa sul suo partito, l'Rdc". Egitto, due uomini in fiamme: uno muore. Intanto, l'esempio tunisino continua a generare proseliti in tutto il Nordafrica. Al Cairo si sono verificati altri due roghi umani: un uomo si è dato fuoco davanti alla sede del governo egiziano e attualmente è ricoverato, mentre un giovane di 25 anni è morto compiendo lo stesso gesto sul tetto della sua casa ad Alessandria d'Egitto. La famiglia del ragazzo fa sapere che era molto depresso perché disoccupato. Ieri lo stesso gesto 2 era stato compiuto nei pressi della sede del Parlamento egiziano. A dicembre, fu proprio il rogo volontario di un laureato tunisino ad accendere la rivolta popolare. Per Mohammed El Baradei, ex direttore generale dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) ed esponente dell'opposizione egiziana, è "inevitabile" un cambiamento di regime anche in Egitto dopo la sollevazione popolare tunisina. Parlando all'agenzia austriaca Apa, El Baradei sottolinea la situazione della generazione sotto i trent'anni, il 60% della popolazione egiziana, "senza speranza, senza futuro, ma neanche senza nulla da perdere". E lancia un appello al boicottaggio delle prossime elezioni presidenziali, fissate per settembre, oltre a una raccolta delle firme per una petizione nella quale chiede una maggiore democratizzazione del paese. L'ex direttore generale dell'Aiea si dice disposto, tuttavia, a candidarsi alle presidenziali a condizione che "le elezioni siano libere e giuste". Yemen, polizia spara a manifestazione pro-Tunisia. La polizia yemenita ha sparato colpi in aria per tentare di disperdere centinaia di persone che manifestavano a favore della Tunisia all'universita' di Sana'a. ''Rivoluzione, rivoluzione, tutti contro il leader della paura'', hanno gridato gli studenti: ''rovesciare il leader corrotto è un dovere''. Gli agenti in tenuta antisommossa non sono riusciti a fermare la protesta ma solo a contenerla all'interno del campus universitario, sparando colpi e arrestando alcuni studenti che stavano cercando di scendere in strada. Gli arrestati sarebbero stati rilasciati poco dopo. Francia: "Non potevamo immaginare". In Francia, particolarmente sensibile ai destini della sua ex colonia, risuona invece il mea culpa del ministro degli Esteri Michelle Alliot-Marie, dopo le tante polemiche sul "silenzio" di Parigi nelle settimane di rivolta e repressione nelle strade della Tunisia. "La Francia - ha detto il ministro stamattina davanti ai deputati - non ha capito quello che stava per succedere. Siamo onesti, tutti noi, uomini politici, diplomatici, ricercatori, giornalisti, siamo stati sorpresi dalla rivoluzione del gelsomino". Nessuno, ha ribadito, si era reso conto "dell'accelerazione degli eventi". (18 gennaio 2011)
2011-01-17 TUNISIA Caccia ai familiari di Ben Ali assaltato il palazzo presidenziale Responsabili degli attacchi, secondo l'esercito, sarebbero poliziotti e responsabili della guardia personale dell'ex presidente deposto: molti di loro sono stati arrestati. Colpiti a morte dalle forze di sicurezza dei cecchini. Arrestato ex ministro dell'Interno, ora il governo di unità nazionale
Caccia ai familiari di Ben Ali assaltato il palazzo presidenziale L'esercito presidia le strade di Tunisi TUNISI - Ancora caos e violenza nella capitale tunisina. in attesa del nuovo governo di unità nazionale. Prima gli spari di alcuni cecchini nel centro della città, poi neutralizzati dall'intervento delle forze dell'ordine che hanno utilizzato anche carri armati e mezzi blindati nei viali del centro . Poi l'assalto di reparti dell'esercito al palazzo presidenziale a Sidi Abu Said nei sobborghi altolocati della città. Un attacco che ha come obiettivo alcuni elementi della guardia presidenziale di Ben Ali, asserragliati nell'edificio. Il fratello del deposto presidente, Kaies Ben Ali, è stato arrestato in assieme a 4 poliziotti che, cercando di coprire la sua fuga, hanno aperto il fuoco uccidendo quattro persone e ferendone altre 11. Al Jazira ha annunciato l'arresto dell'ex ministro dell'Interno Rafik Hadi Kacem, preso a Béja, sua città natale, rimosso dal suo incarico nei giorni scorsi, prima che il presidente scappasse. E' questione di ore l'annuncio del nuovo governo di solidarietà nazionale, dove troverebbero posto esponenti dell'opposizione, ma anche del vecchio establishment. A Tunisi e nella periferia gli abitanti cercano di organizzarsi in comitati di difesa: molti gruppi di saccheggiatori e vandali sono stati chiarimenti identificati come composti da partigiani di Ben Ali o da poliziotti legati all'ex regime. Il principale sindacato del paese, l'Ugtt, ha lanciato un appello dalla televisione nazionale per la formazione di comitati di sicurezza di quartiere affinché la gente possa difendersi da sola in caso di attacchi. Ma la quarta vittima delle ultime ore è Imed Trabelsi, nipote della moglie dell'ex presidente tunisino, Ben Ali, morto dopo un'aggressione a Tunisi, probabilmente all'arma bianca. L'uomo è deceduto nell'ospedale militare di Tunisi, dove era stato trasportato. Imed, nipote di Leyla Ben Ali, e il resto del clan Trabelsi, sono considerati dai tunisini il simbolo della corruzione e della ricchezze depredate nel Paese. Intanto le forze di sicurezza sono riuscite a stanare ed uccidere dei cecchini che sparavano nel centro della capitale nella zona vicino alla banca centrale. E' morto, ma d'infarto, anche il consigliere e portavoce del presidente tunisino deposto Zin el-Abidin Ben Ali, Abdelaziz Bin Dhiya. Secondo quanto riferisce la radio tunisina 'Kalima', uno dei più fidati consiglieri dell'ex capo di stato, rimosso dallo stesso Ben Ali dal suo incarico giovedì scorso nell'estremo tentativo di fermare la rivolta popolare, è morto venerdì pomeriggio. Il suo cuore si è fermato dopo aver appreso dalla tv della fuga di Ben Ali dalla Tunisia. L'esercito tunisino ha arrestato finora circa tremila poliziotti tunisini considerati fedeli al deposto presidente, Zin el-Abidin Ben Ali. Secondo quanto riferisce la tv araba al Jazeera, tra questi è stato fermato un gruppo di 50 agenti della guardia personale di Ben Ali che tentava di fuggire a bordo di alcuni bus verso la Libia (che sarebbero, sempre secondo la polizia, tra i responsabili dei saccheggi ai danni di negozi e delle abitazioni civili in Tunisia). E' ancora bloccato a Sfax un circo pugliese 1 che da ieri chiede di poter rientrare. Una ottantina di artisti, con donne e bambini, temono per la loro incolumità. La Farnesina rassicura. Anche il governatore Vendola lancia un appello. (16 gennaio 2011)
2011-01-16 TUNISIA I poteri al leader del Parlamento Intesa per governo di unità, poi elezioni Nuovo incarico per la formazione del governo a Gannouchi, che chiede all'opposizione di partecipare. Il Paese magrebino ha riaperto tutti gli aeroporti e lo spazio aereo, chiusi ieri pomeriggio dopo la fuga di Ben Ali. Prigione in fiamme a Monastir: decine di morti. Rivolte in diverse carceri del Paese. Appello al ministro Frattini di un circo italiano: "Fateci rientrare" I poteri al leader del Parlamento Intesa per governo di unità, poi elezioni Una postazione dell'esercito a Tunisi BEIRUT - Il presidente del Parlamento tunisino Fouad el-Mabzaa ha assunto temporaneamente i poteri presidenziali in Tunisia. Lo ha annunciato il presidente del consiglio costituzionale tunisino affermando che essendo la carica di presidente della repubblica vacante definitivamente si applica l'articolo 57 della Costituzione. Nuove elezioni presidenziali in Tunisia si "dovranno tenere entro i prossimi 60 giorni", e non nel 2014, come previsto in precedenza. Prima di fuggire anche l'ex leader tunisino aveva promesso nuove elezioni nel giro di sei mesi, ma solo per il rinnovo del Parlamento. Ora si andrà rapidamente anche ad un nuovo governo di unità nazionale. Si dichiara disponibile a farne parte anche Rached Ghannouchi, il leader del Partito islamico-moderato Ennahda, fuorilegge in Tunisia, che ha annunciato di essere a ritornare. Ieri la carica di presidente ad interim era stata affidata al primo ministro Mohammed Ghannouchi, con la motivazione che esisteva una "temporanea impossibilità" del presidente a svolgere il proprio mandato. Oggi il presidente del consiglio costituzionale ha definito invece vacante la carica di presidente della Repubblica. Ma intanto in tutto il Paese stanno scoppiando violente rivolte nelle carceri. Sono circa mille i detenuti del carcere tunisino di Kasserine evasi oggi. Il direttore del centro di detenzione ha aperto le porte delle celle, consentendo ai detenuti di fuggire, in seguito a una violenta rivolta carceraria che non sarebbe stato in grado di fronteggiare. Rivolte simili, sfociate in incendi che hanno causato decine di vittime, si sono verificate questa mattina anche nelle carceri di Monastir, Biserta e Mahdia. A Monastir ci sono state decine di morti per via di un incendio scoppiato nell'edificio carcerario. Governo di unità nazionale. "Tutti i tunisini senza eccezioni" saranno associati al processo politico, ha detto il nuovo presidente ad interim in un breve discorso dopo aver prestato giuramento. E il suo primo atto è stato sciogliere il governo e incaricare il primo ministro Mohammed Ghannouchi di formarne uno nuovo. Il leader del Partito democratico progressista (Pdp) all'opposizione in Tunisia, Mohammed Nejib Chebbi, ha detto che Ghannouchi gli ha offerto di entrare nel governo di unità nazionale. "In seguito - ha spiegato - si dovranno tenere elezioni libere sotto controllo indipendente e internazionale". Lo stesso Chebbi ha annunciato che una "commissione politica", appena costituita, indagherà sulle "malefatte e sul furto di beni pubblici" commessi dall'entourage dell'ex presidente tunisino Zine El Abidine Ben Ali. Gheddafi rammaricato per Ben Alì. Il leader libico ha espresso il proprio rammarico per la destituzione del presidente tunisino e ha proposto al paese confinante l'adozione del suo modello di "democrazia diretta" in un discorso "rivolto al popolo tunisino". Il colonnello ha aggiunto che continua a considerare Ben Ali "il legittimo presidente" della Tunisia, malgrado il Consiglio costituzionale di Tunisi abbia designato come successore ' ad interim', il presidente del parlamento, Fuad Mebazaa. Riaperto lo spazio aereo, l'aeroporto cambia nome. Il nuovo aeroporto di Enfidha (sulla costa centrale della Tunisia) ha cambiato nome: non più 'Aeroporto Ben Ali' bensì 'Aeroporto di Enfidha'. Lo ha comunicato la società turca Tav, che gestisce il lo scalo. Intanto il paese magrebino ha riaperto tutti gli aeroporti e lo spazio aereo, chiusi dai militari venerdì pomeriggio dopo la fuga all'estero 1 del presidente Zine Al Abidin Ben Ali. Alitalia domani opererà due voli da Roma Fiumicino verso Tunisi alle ore 8.00 e alle ore 12.00 e due voli da Tunisi verso Roma Fiumicino alle ore 10.20 e alle ore 14.20. Lo rende noto la compagnia aerea aggiungendo che i collegamenti saranno effettuati con aeromobili Airbus A321 da 200 posti, aerei più capienti di quelli normalmente utilizzati su questa rotta al fine di agevolare il maggior numero di passeggeri che volessero rientrare in Italia. A tutti i passeggeri che non hanno potuto viaggiare ieri o oggi Alitalia garantisce il rimborso totale del biglietto, in caso di rinuncia, o la possibilità di cambiare la prenotazione o l'itinerario entro il 31 gennaio. Maroni: "Sull'aereo a Cagliari nessuno della famiglia presidenziale". Sul jet proveniente da Tunisi 2 e atterrato nella notte all'aeroporto di Cagliari Elmas, che ha alimentato sospetti sulla presenza a bordo del presidente Zine El Abidine Ben Ali, "non c'era il presidente e nessuno della sua famiglia", ha chiarito il ministro dell'Interno, Roberto Maroni. "Sull'aereo su cui ieri si è fatto un po' di romanzo e che è atterrato a Cagliari - ha spiegato Maroni a margine di un incontro a Varese - ovviamente avevamo preso subito in carico la situazione con la polizia e l'aereo è poi partito per la Tunisia: c'erano membri di equipaggio, non c'era il presidente e nessuno della famiglia del presidente a bordo". Prigione in fiamme a Monastir. Una prigione è in fiamme nella città di Monastir, decine di persone sono rimaste uccise e detenuti sono fuggiti. Lo riferiscono alla Reuters testimoni sul posto. Sono almeno 42 i morti accertati, più 15 ustionati, tra i detenuti dell'istituto di Mahdia, nel nord-est. Molti reclusi ne hanno approfittato per tentare la fuga ma alcuni sono rimasti uccisi tra le fiamme. I più sono stati abbattuti dai colpi di arma da fuoco sparati dalle guardie per fermarli. "Tutti gli altri", stando a diversi testimoni oculari, "sarebbero riusciti a fuggire". Arrestato un genero di Ben Ali. Un genero del deposto presidente Ben Ali, Selim Shaybub, è stato arrestato oggi in circostanze ancora da definire. Lo riferisce il corrispondente da Tunisi della tv panaraba al Jazeera, secondo cui Shaybub sarebbe ora detenuto in una caserma dell'esercito situata a 4 km dalla città di Ben Gardan, a sudest di Tunisi. Ieri era stata data notizia, poi smentita, dell'arresto di un altro genero dell'ex presidente, Shaker Materi. Asilo a Ben Ali, purché non faccia politica. Le autorità saudite hanno concesso asilo politico a Ben Ali, a patto che non faccia politica nel territorio saudita. Secondo quanto riferiscono fonti giornalistiche locali citate dalla tv 'al-Arabiya', Ben Ali rimarrà con la moglie a Gedda, ma non potrà svolgere attività politica. Al leader tunisino è stato vietato qualsiasi discorso pubblico. Inoltre, non potrà diramare dichiarazioni ufficiali e non potrà tenere contatti con la Tunisia. Appello di un circo italiano. Più di cento persone del Circo Italiano Bellucci che da tre mesi sta effettuando una tournèe in Tunisia sono bloccati al centro di scontri a Sfax località a 300 km da Tunisi e chiedono aiuto all'Italia per essere rimpatriati. A quanto si legge in un comunicato stampa del Circo, diffuso via mail, artisti, operai, donne e bambini oltre a una cinquantina di animali da qualche giorno sono al centro di scontri nella più totale abbandono della polizia. Da due giorni c'è il coprifuco e l'intera compagnia è chiusa all'interno delle carovane abitazioni mentre all'esterno davanti al circo si lanciano lacrimogeni, bombe, si incendiano macchine si malmenano persone. I fratelli Emidio ed Attilio Bellucci, impauriti per l'incolumità di tutta la compagnia e per quanto sta accadendo in Tunisia, si appellano al ministro degli Esteri Franco Frattini per chiedere l'immediato rimpatrio in Italia. (15 gennaio 2011)
2011-01-15 TUNISIA Giallo su Ben Ali: "E' a Cagliari" Poi la soluzione: è in Arabia Saudita Nuove manifestazioni e scontri. Il potere affidato a un direttorio di sei persone. L'ex presidente lascia il Paese. Un Falcon proveniente da Tunisi atterra in Sardegna. Parigi nega l'accoglienza e l'aereo resta a Elmas. Una persona a bordo, ma il capitano impedisce alla polizia italiana di verificarne l'identità.Alla fine, la Farnesina smentisce: non si tratta di Ben Ali. E le autorità saudite annunciano: è arrivato a Gedda Giallo su Ben Ali: "E' a Cagliari" Poi la soluzione: è in Arabia Saudita Il Falcon fermo a Cagliari Elmas TUNISI - Caos in Tunisia, e una serata di dubbi sulla sorte dell'ormai ex presidente Ben Ali. Al potere dal 1987, ha lasciato il Paese dopo l'ennesima giornata di scontri e manifestazioni contro il carovita, che vanno avanti da settimane e hanno provocato la morte di decine di persone. Per alcune ore il viaggio del raìs ha assunto i contorni del giallo. Dopo che un Falcon proveniente da Tunisi ha fatto uno scalo tecnico all'aeroporto di Cagliari Elmas, e ne è seguito un lungo tira e molla con la polizia italiana, alla quale il capitano non consentiva di salire a bordo per verificare l'identità di un misterioso passeggero. Poi, la notizia dall'Arabia Saudita: il volo con a bordo Ben Ali è arrivato a Gedda. IL VIDEO 1 - LE FOTO 2 - AUDIO CAPRILE DA TUNISI 3 Intanto, mentre in Tunisia il primo ministro Mohammed Ghannouchi assume la presidenza ad interim, con il potere affidato a un direttorio composto da sei persone, il presidente americano Barack Obama condanna le violenze, plaude "alla dignità e al coraggio del popolo tunisino" e chiede "con urgenza a tutte le parti di mantenere la calma ed evitare la violenza, e al governo tunisino di rispettare i diritti umani, di indire elezioni libere e corrette in un prossimo futuro, che riflettano la vera volontà e le aspirazioni del popolo tunisino". Il giallo Ben Ali. Dopo voci discordanti, che lo volevano già a Parigi o in volo verso Malta, arriva la notizia che l'ormai ex presidente sarebbe a Cagliari. Intorno alle 22 un Falcon di una compagnia privata, proveniente da Tunisi, chiede l'autorizzazione per uno scalo tecnico per rifornirsi di carburante. Il piano di volo era per Parigi. Mentre l'aereo si sta rifornendo, le autorità aeroportuali francesi danno l'ok con riserva, chiedendo che venga comunicata l'identità dei passeggeri. Poi, il no da Parigi, che nega l'accoglienza a Ben Ali. Il Falcon rimane all'aeroporto di Elmas. A bordo il pilota e tre passeggeri. Due dei passeggeri scendono a terra e dicono alla Polaria che il terzo non sarebbe Ben Ali. Ma il comandante non autorizza i funzionari di polizia a salire a bordo per verificare di chi si tratti. Dopo un lungo tira e molla, finalmente le forze dell'ordine riescono a salire a bordo del Falcon. E la Farnesina smentisce: l'uomo a bordo non è Ben Ali. Allo stesso tempo, le autorità saudite annunciano che un aereo con a bordo l'ex presidente tunisino è atterrato a Gedda, una della principali città dell'Arabia Saudita. Mentre il Falcon riparte da Cagliari per fare ritorno in Tunisia. La resa del raìs. Ben Ali ha quindi fatto un passo indietro dopo 23 anni al potere 4. La notizia della partenza del capo dello Stato è arrivata al termine di una giornata convulsa durante la quale è stato decretato lo stato d'emergenza, che prevede il divieto di assembramenti di più di tre persone in tutto il Paese. E' stato inoltre ampliato il coprifuoco già in vigore: d'ora in poi scatterà dalle 17, non più dalle 20, e si concluderà alle 7 del mattino. Le forze di sicurezza sono state autorizzate ad aprire il fuoco contro chiunque non obbedisca agli ordini. L'esercito ha circondato l'aeroporto e lo spazio aereo è stato chiuso. Nonostate questi sviluppi nel corso della serata, quindi in pieno coprifuoco, nel centro di Tunisi sono stati uditi colpi d'arma da fuoco. Ghannouchi assume l'interim. Il primo ministro, in un messaggio televisivo, si è impegnato "a rispettare la Costituzione e a portare avanti le riforme politiche, economiche e sociali annunciate attraverso consultazioni con tutte le parti politiche inclusi i partiti politici e la società civile". Ha quindi lanciato un appello all'unità nazionale e ha precisato che rimarrà presidente fino alle elezioni legislative anticipate, che dovrebbero tenersi entro sei mesi. Un'altra giornata di scontri. La giornata nella capitale è iniziata con una grande manifestazione durante la quale almeno centomila persone hanno chiesto le dimissioni di Ben Ali. Una protesta pacifica fino a quando, davanti al ministero dell'Interno, non è arrivato un furgone che trasportava il corpo di un 24enne ucciso ieri. La polizia, ferma fino a quel momento, ha lanciato lacrimogeni per disperdere i dimostranti e si sono uditi colpi d'arma da fuoco. Un fotografo straniero è stato ferito alla testa. Un gruppo di manifestanti ha tentato l'assalto alla sede della Banca centrale, mentre la maggioranza si è allontanata rapidamente. Incendi a Le Kram, alla periferia nord di Tunisi, e a Radès, il più importante porto commerciale del Paese nella periferia sud della capitale. Cortei in altre città. A Sidi Bouzid in 1.500 hanno sfilato al grido di "fuori Ben Ali" e a Regueb 700 persone hanno scandito slogan contro il al capo dello Stato. Altri cortei a Kairouan e Gafsa. Tensione a La Marsa, sobborgo residenziale di Tunisi, dove circa 200 giovani hanno tentato di assaltare una stazione di polizia. La protesta non si placa. Non sono quindi bastate le promesse fatte ieri da Ben Ali a placare la protesta. Né è bastata l'entrata in vigore delle riduzioni dei prezzi dei generi di prima necessità - zucchero, latte, pane, paste, concentrati di pomodoro, bombole del Gpl. L'impatto di tali riduzioni è stimato in 109 milioni di dinari (circa 56,3 milioni di euro), dei quali 35 (18 milioni di euro) per il solo pane. Le vittime della rivolta. La partenza di Ben Ali è il culmine di una sommossa che secondo le Ong ha fatto 66 morti tra i manifestanti. E alla quale Al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi) ha espresso il proprio sostegno con un video di 13 minuti che esortava i tunisini a cacciare il presidente. A innescare le proteste a metà dicembre era stato il suicidio di un ambulante laureato a Sidi Bou Sid: si era dato fuoco dopo che la polizia aveva sequestrato le merci che cercava di vendere senza autorizzazione. (14 gennaio 2011)
IL PROTAGONISTA Da idolo del ceto medio a tiranno così Ben Ali ha costruito un incubo Ma per gli occidentali era un alleato laico nel mondo musulmano. Lui e la famiglia della seconda moglie Leila controllavano i media e tutte le attività economiche del paese di BERNARDO VALLI Da idolo del ceto medio a tiranno così Ben Ali ha costruito un incubo Il presidente della Tunisia, Zine El-Abidine Ben Ali ZINE EL ABIDINE BEN ALI aveva appena cominciato il suo quinto mandato presidenziale. A 74 anni era stato rieletto trionfalmente nell'ottobre 2009 e nessuno dubitava, fino a qualche settimana fa, che nel 2014 si sarebbe riproposto come capo dello Stato, poiché era convinto di essere insostituibile. per quasi un quarto di secolo i fatti gli avevano dato ragione. Poi, improvvisa, è esplosa la rivolta popolare. La pacifica, mite Tunisia, terra di turismo e con una lunga tradizione commerciale, non presidiata dai militari come la vicina Algeria, né grintosa come il Marocco, si è stufata di quel presidente autoritario e affarista. E l'ha cacciato a furor di popolo. Può darsi che i successori, racimolati di gran fretta dall'esercito per evitare un pericoloso vuoto di potere, siano in realtà dei pretoriani, pronti a difendere nei limiti del possibile gli interessi dell'esule. Ma resta il fatto che il Maghreb ha perduto un dittatore e che gli occidentali (Stati Uniti, Francia, Italia) hanno un alleato "laico" in meno nel mondo musulmano. La notizia della precipitosa fuga di Ben Ali da Tunisi non è stata certo accolta con indifferenza nei palazzi presidenziali del Maghreb. È arrivata come un annuncio di possibili future sventure. E a Washington, a Parigi, a Roma, nonostante le caute dichiarazioni o i silenzi imbarazzati, si sta in queste ore rimpiangendo un alleato che non brillava per il suo fervore democratico, ma che era considerato un nemico sicuro dell'integralismo islamico. Quindi un amico. La gioia dei tunisini è altrove fonte di preoccupazione. Per noi, al di là del Mediterraneo si è manifestata in queste ore una volontà popolare che, nell'impossibilità di praticare la democrazia, ha condotto a una liberazione, Può darsi che i successori racimolati in gran fretta siano solo dei suoi pretoriani sia pure ancora da identificare. Quando ventitre anni fa, il 7 novembre 1987, prese il potere "senza violenza ed effusione di sangue", Ben Ali fu salutato con simpatia persino dagli islamisti, che pur lo conoscevano come un poliziotto esperto nella repressione. Era allora primo ministro e ministro degli Interni, dopo essere stato capo della polizia ma anche diplomatico. Tra l'altro ambasciatore in Polonia. Nato in una famiglia modesta, della città costiera di Hammam Sousse, aveva salito tutti i gradini della gerarchia militare, frequentando anche accademie militari in Francia e negli Stati Uniti. Parlava un pessimo francese con un accento arabo-americano. Habib Bourguiba, il padre della patria, era ormai afflitto da una progressiva senilità e Ben Ali, ritenendosi il suo delfino, lo relegò in una residenza sorvegliata, senza troppi complimenti. Si parlò di un "colpo di Stato medico". Il nuovo presidente fu salutato come un salvatore della patria che versava in pessime condizioni economiche e che si diceva fosse insidiata da un partito integralista islamico (Ennahdha) impegnato in innumerevoli e imprecisati complotti. Lui, Ben Ali, rilanciò l'economia gettando le basi di un liberismo nuovo per il paese e schiacciò il partito integralista. Ebbe anche impennate democratiche, poiché abolì il principio della "presidenza a vita" del tempo di Bourghiba e limitò a tre il numero dei mandati, che poi aumentarono via via che prendeva gusto ad esercitare il potere. Promosse persino una politica sociale detta di solidarietà, istituendo fondi speciali destinati ai più poveri, o alla creazione di un sistema di sicurezza sociale. Sull'esempio del predecessore, che aveva fatto della donna tunisina una delle più libere del mondo arabo, si dedicò per un certo periodo anche all'emancipazione femminile. Mentre diventava l'idolo delle classi medie, favorite dal rapido sviluppo economico (la crescita è stata per anni superiore al 5 per cento); Ben Ali sviluppava al tempo stesso, e con identico zelo, la sua inclinazione alla repressione poliziesca. Non soltanto nei confronti degli islamisti, ma anche di qualsiasi oppositore, subito definito di sinistra. Cosi ha creato un'atmosfera da incubo. Le intercettazioni telefoniche estese a tutte le classi sociali rendevano le conversazioni enigmatiche, fitte di sottintesi. Negli anni Novanta le prigioni tunisine si sono riempite di persone che avevano osato criticare il regime. I giornalisti e i sindacalisti erano le vittime preferite. Grazie a uomini di fiducia, spesso parenti di Leila, la seconda moglie, il presidente si è impadronito dei principali mezzi di comunicazione: quotidiani, radio, televisione. Mentre la famiglia Trabelsi, quella della moglie, e i clan alleati, allungavano le mani su tutte le altre attività economiche del paese: le banche, le compagnie aree, le rappresentanze di automobili di lusso, spesso tedesche, le compagnie di navigazione, i cellulari e tutti gli strumenti elettronici. Senza contare le residenze più pregiate, sulla costa, verso Gabez o verso Biserta. Uno dei pilastri del regime era Abdelwahab Abdallah, capo di un organismo incaricato di controllare i massmedia, nazionali e internazionali. Compito di Abdallah era di far apparire Ben Ali come uno scudo contro l'islamismo radicale. A questo fine venivano inventate crisi più o meno gravi, presentate come minacce alla laicità. Lo slogan, che non lasciava indifferenti le cancellerie occidentali, era: "Gli estremisti amici di Bin Laden vogliono il potere". E gli alleati occidentali abboccavano all'amo, al punto da trascurare il carattere sempre più poliziesco del regime, e l'abbandono progressivo di quella politica sociale che Ben Ali aveva abbozzato all'inizio del suo lungo potere. Che importava se le galere erano piene, dal momento che chi le riempiva era un fiero avversario dell'estremismo islamico? Nel 2007 l'economia tunisina era classificata la migliore dell'Africa, e al tempo stesso i difensori dei diritti umani giudicavano il regime tunisino uno dei più liberticidi. La crisi ha attenuato i vantaggi economici, mettendo ancor più in risalto la repressione. E la Tunisia è esplosa. (15 gennaio 2011) 14 gennaio 2011 LA RIVOLTA DEL PANE Il presidente Ben Ali lascia la Tunisia Stato d'emergenza in tutto il Paese Il presidente tunisino Zin el-Abidin Ben Ali ha lasciato il Paese. Lo ha annunciato la tv di Stato. Il presidente del Parlamento tunisino, Fouad el-Mabzaa, ha assunto temporaneamente la guida del Paese per traghettare la Tunisia verso le elezioni anticipate. Secondo l'emittente Al-Jazeera sarebbero stati arrestati alcuni familiari della moglie del presidente in fuga. La notizia è arrivata alla fine di una giornata carica di tensione. Il presidente tunisino aveva dichiarato lo stato di emergenza e avvisato che avrebbe aperto il fuoco contro i manifestanti, nel tentativo sempre più affannoso di sedare le rivolte. La televisione di Stato aveva annunciato che Ben Ali aveva sciolto il governo e indetto nuove elezioni entro sei mesi. Ben Ali ieri aveva annunciato che avrebbe lasciato la presidenza alla fine del 2014, dopo 23 anni di potere, allo scadere del suo quinto mandato. Le autorità avevano imposto un coprifuoco dalle 17 alle 7 del mattino, mentre i mezzi dell'esercito circondavano l'aeroporto internazionale della capitale. Air France ha annunciato di aver temporaneamente sospeso tutti i voli per Tunisi. Intanto fonti mediche e testimoni mettono assieme il bilancio degli scontri avvenuti la notte scorsa nella capitale e nella cittadina di Ras Jebel, nel nordest: 12 morti, dieci dei quali nella sola Tunisi. Circa 8000 persone si sono riunite stamani fuori dalla sede del ministero dell'Interno, gridando: "Ben Ali, vattene", "Ben Ali, assassino". La folla, composta soprattutto da giovani, ha scagliato sassi contro la polizia che ha risposto con lacrimogeni. Le proteste sono proseguite oggi anche a Sidi Bouzid, la città al centro del paese dove è nato il movimento di rivolta. Diversi paesi, tra cui Gran Bretagna e Usa, hanno sconsigliato ai propri cittadini di recarsi in Tunisia, minacciando così il turismo, la prima risorsa del Paese. 2011-01-13 BRASILE Si aggrava il bilancio delle inondazioni primi aiuti federali e polemiche politiche Almeno 335 i morti nello stato di Rio de Janeiro, altri 13 in quello di San Paolo. Le piogge continuano incessanti. Stanziati 500 milioni di dollari. Accuse alle autorità: l'area, a rischio idrogeologico, mai messa in sicurezza RIO DE JANEIRO - Almeno 335 persone hanno perso la vita per le inondazioni e le frane che stanno mettendo in ginocchio la regione Serrana, nello stato brasiliano di Rio de Janeiro. E la situazione meteo non fa prevedere un miglioramento nel breve periodo. Secondo gli esperti, nelle ultime ore sono cadute nella zona l'84% delle precipitazioni previste per l'intero mese di gennaio. La località più colpita dalle inondazioni è Nova Friburgo, 140 chilometri a nord di Rio, dove le vittime finora accertate sono 155. Altre 146 persone sono morte a Teresopolis, a un centinaio di chilometri dalla capitale dello Stato, e 34 a Petropolis. Inoltre 13 persone hanno perso la vita, sempre a causa delle forti piogge, nello Stato di San Paolo. VIDEO Le immagini dall'elicottero 1 Tra le vittime c'è la nota stilista brasiliana Daniela Conolly, deceduta insieme a sei membri della sua famiglia, tra i quali il padre, la madre e il figlio di due anni. La Conolly e i familiari erano in una villa affittata per il compleanno del padre nella località di Itaipava, a un centinaio di chilometri da Rio de Janeiro. La villa è di Pedro Gouveia, fratello del presidente della Confindustria di Rio (Firjan), Eduardo, e si trova davanti a un villaggio turistico chiamato 'Tambo de los Incas', spazzato via dal fango e dalla pioggia, ma che al momento dello smottamento era disabitato. "In alcuni punti sembra uno scenario di guerra - commenta il ministro brasiliano per l'Integrazione, Fernando Bezerra, dopo aver sorvolato alcune delle aree inondate - Quello che abbiamo visto è un panorama desolante, provocato dalla violenza dell'acqua e dalle frane delle colline, che hanno fatto morti e danni gravi alle strade, le abitazioni e le infrastrutture della zona". "Delle aree che abbiamo sorvolato intorno ai municipi di Petropolis, Teresopolis e Nova Friburgo, riteniamo che la situazione peggiore sia quella di quest'ultimo centro", ha precisato Bezerra, rilevando inoltre che "molte zone rurali di Friburgo sono rimaste isolate". Il presidente Dilma Rousseff dovrebbe visitare oggi le zone colpite, mentre il governo federale ha stanziato i primi fondi, pari a 500 milioni di dollari, destinati alla ricostruzione e alla Protezione civile: secondo il ministro dell'Ambiente dello stato di Rio, Carlos Minc, il numero elevato delle vittime è dovuto alla combinazione di una catastrofe naturale con l'incapacità dimostrata da diversi prefetti. Le polemiche hanno investito anche il governo federale, che da anni avrebbe promesso ma mai sbloccato fondi per la sistemazione e la messa in sicurezza della zona - meta preferita di villeggiatura estiva per gli abitanti di Rio - considerata a rischio idrogeologico. Per quel che riguarda gli sfollati, almeno 1.900 persone sono state costrette ad abbandonare le loro abitazioni a Nova Friburgo e sono al momento ospitate nello stadio situato nel centro della città. Le autorità non escludono che il numero dei morti possa aumentare a causa delle numerose frane. Se quella in corso viene considerata la più grave catastrofe naturale ad avere mai colpito la regione, non si tratta tuttavia di un evento inusuale, specie in questa stagione: nel 2010 i morti provocati dalle inondazioni in tutto il Paese sono stati 473, e nel gennaio scorso le piogge torrenziali avevano causato 52 vittime ad Angra e Ilha grande, due località turistiche nei pressi di Rio. (13 gennaio 2011)
AMBIENTE 2010, il più caldo in 150 anni dalla Nasa allarme per il clima Registrato il nuovo record per la temperatura terrestre, che ormai si innalza di un quinto di grado ogni decennio. Gli scienziati: "Se non si riduce l'anidride carbonica il pianeta si surriscalderà ancora" di LUIGI BIGNAMI 2010, il più caldo in 150 anni dalla Nasa allarme per il clima Nuovo record per la temperatura terrestre. Il 2010 ha superato il 2005 e il 1998 considerati (a secondo del tipo di misure eseguite) come gli anni più caldi dal 1880 ad oggi. Il dato è stato rilasciato dal Giss (Goddard Institute for Space Studies) della Nasa. La differenza rispetto al 2005 è di soli 0.01 gradi centigradi, ma nonostante ciò la Nasa è riuscita a determinare che l'anno appena trascorso è stato il più caldo dei precedenti. Dopo il 2005 e il 1998 seguono a ruota il 2002, il 2003, il 2006 e il 2007. Stando ai dati in possesso della Nasa si può affermare che la temperatura del 2010 è risultata di 0,74°C superiore alla media ottenuta tra il 1951 e il 1980. Facendo analisi a più lungo periodo, secondo gli scienziati ora la temperatura si sta innalzando ad una velocità di circa un quinto di grado centigrado ogni 10 anni. "Se le condizioni attuali continueranno a rimanere tali, ossia se non si diminuirà l'immissione di anidride carbonica nell'atmosfera, il 2010 conserverà per ben poco tempo il record acquisito", ha detto James Hansen del Giss. Il risultato prodotto dall'Istituto americano è quanto ottenuto dalla raccolta di dati di oltre 1.000 stazioni meteorologiche sparse per il mondo, di dati raccolti dai satelliti meteorologici, da osservazioni marine e da stazioni scientifiche poste in Antartide. Secondo i ricercatori della Nasa la situazione emersa deve far particolarmente riflettere in quanto il 2010 è stato interessato, almeno per la seconda parte dell'anno, dalla Nina un fenomeno climatico che raffredda la superficie di una grande parte dell'Oceano Pacifico, che poi si riflette su tutto il pianeta. "Se si epurano i dati della Nina e del Nino che l'ha preceduta si scopre che l'ultima decade si è riscaldata ad una velocità sicuramente superiore rispetto alle due decadi precedenti", ha spiegato Hansen. Il ricercatore sottolinea come i due inverni particolarmente freddi che hanno interessato il nord del pianeta non devono quindi, lasciarci ingannare: l'aumento della temperatura terrestre prosegue senza sosta e il freddo è proprio una conseguenza di ciò. Al Polo Nord infatti, dove le temperature crescono più velocemente che in ogni altra parte del pianeta, si sono create delle situazioni meteorologiche anomale create dalla diminuzione dei ghiacci, le quali spingono verso sud venti freddi. Ma nulla più. Sul resto del pianeta le temperature non hanno mostrato diminuzioni di sorta in nessuna delle stagioni dell'anno. (13 gennaio 2011)
TUNISIA I giovani sfidano il coprifuoco scontri e un morto nella capitale Centinaia di manifestanti in piazza malgrado il divieto, nottata di incidenti in vari quartieri. Un tassista ucciso in un sobborgo. Molti edifici danneggiati, attività commerciali assaltate. L'esercito si ritira dal centro I giovani sfidano il coprifuoco scontri e un morto nella capitale TUNISI - Centinaia di giovani hanno sfidato il coprifuoco imposto e sono scesi in piazza a Tunisi. Anche stanotte la capitale tunisina è stata teatro di scontri e sono stati esplosi colpi d'arma da fuoco. Un tassista è stato ucciso nel sobborgo di Ettadhamen, dove i disordini sono stati particolarmente violenti. Nei quartieri di Le Kram e Salambo, distanti solo due chilometri dal palazzo presidenziale, i manifestanti si sono riversati in strada, mentre a La Marsa, nella zona residenziale de La Soukra e in quella universitaria di Mannouba si sono uditi spari e rumori di vetri infranti. Nel quartiere operaio di Kabaria gruppi di giovani hanno devastato almeno un negozio. Secondo alcune fonti, incidenti si sono verificati anche nell'area turistica di La Goulette. AUDIOVIDEO La cronaca del nostro inviato a Tunisi Renato Caprile 1 "Tutta la notte si sono sentiti colpi d'arma da fuoco, grida e rumori - ha raccontato un testimone - I disordini sono iniziati ieri pomeriggio durante un'adunata che è degenerata in scontri violenti tra forze di sicurezza e giovani". Questa mattina, colonne di fumo nero si levavano al cielo da due edifici e i vigili del fuoco sono stati all'opera per ore. Molte costruzioni sono state parzialmente danneggiate, così come alcune attività commerciali e una farmacia. Sempre questa mattina, l'esercito ha cominciato a ritirarsi dalle vie della capitale. Blindati e unità di pronto intervento della polizia hanno rimpiazzato i militari su via Habib Bourguiba e a piazza Barcelone, nel centro di Tunisi. Solo due mezzi delle forze armate, con alcuni soldati armati, sono rimasti in piazza Ibn Khaldoun, di fronte all'ambasciata francese. Per domani, l'Unione regionale del lavoro di Tunisi ha indetto uno sciopero generale di due ore ore, dalle 9 alle 11, nel governatorato della capitale. Dal canto suo, il nuovo ministro dell'Interno 2 Ahmed Fria ha affermato che il coprifuoco resta in vigore dalle 20 alle 5:30. Continua ad aggravarsi il bilancio delle vittime della repressione con cui il regime del presidente Zine al-Abidine Ben Ali. Secondo il governo dall'inizio delle proteste contro il carovita sono state uccise 23 persone. L'opposizione parla da giorni di oltre 50 morti. E stamane si è appreso che ieri tre giovani hanno perso la vita durante gli scontri con la polizia avvenuti a Degueche, una località nei pressi di Tozeur. (13 gennaio 2011)
* Sei in: * Repubblica / * Esteri / * Tucson, l'appello di Obama … * + * - * Stampa * Condividi * OKNOtizie * Google Buzz IL CASO Tucson, l'appello di Obama "America, ritrova te stessa" Il commosso discorso del presidente ai funerali delle vittime della strage in Arizona. "Gabrielle Giffords ha riaperto gli occhi, lo faccia anche la Nazione". Nelle stesse ore duro discorso di Sarah Palin: "Non sono io la mandante" Tucson, l'appello di Obama "America, ritrova te stessa" NEW YORK - Da Tucson, appello di Barack Obama agli americani: se l'America vuole davvero onorare le sei vittime 1 di quella strage di Tucson, allora che ritrovi se stessa. Lo deve a Gabrielle Giffords 2, "che questa sera per la prima volta ha riaperto gli occhi", e a Christina Green, la bimba di 9 anni uccisa sabato scorso e che "merita un esempio degno dell'America che lei si era immaginata". Sia capace l'America di fare altrettanto. In nome di Christina Green, di Gabrielle Giffords, e di tutte le altre vittime della "insensata" strage di Tucson. Obama ha parlato nel palazzetto dell'Università, davanti alla moglie Michelle, al marito della Giffords, Mark Kelly, ai segretari Eric Holder e Janet Napolitano, al senatore dell'Arizona John McCain, e ad altre 14 mila persone. "Quello che non possiamo permetterci di fare - ha detto Obama - è di tornare a rivoltarci l'uno contro l'altro tra reciproche accuse. E' importante per tutti noi fare una pausa, accertarci che davvero ci stiamo parlando". L'America, tutta l'America, lo deve a Gabrielle Giffords, e al giudice John Roll, e a tutte le altre vittime della strage. Ma lo deve soprattutto a Christina. "Ricordiamoci tutti che in Christina noi vediamo tutti i nostri figli". Era una bambina curiosa, fiduciosa, piena di energia, "così meritevole di un buon esempio". "Se questa tragedia farà scaturire una riflessione, come è giusto che sia, assicuriamoci che sia degna di coloro che abbiamo perso. Facciamo in modo che l'America sia così buona come Christina se l'era immaginata". "Gabrielle Giffords - ha proseguito Obama - sa che siamo qui, e che la amiamo. Sa che qui metteremo le radici fino a che lei non sarà fuori dal suo difficile viaggio". Sarah Palin, indicata da più parti come la "mandante morale" della strage di Tucson, perché aveva inserito la Giffords in una sua "lista nera" di avversari politici in campagna elettorale indicandoli con dei veri bersagli, reagisce con fermezza assolvendo se stessa e i toni estremisti usati da mesi dalla sua parte politica. "Siamo di fronte ad atti di criminalità mostruosa, che iniziano e finiscono con chi li commette" afferma l'esponente del Tea Party, l'ex governatrice dell'Alaska ed ex candidata repubblicana alla vicepresidenza. La Palin accompagna la sua autodifesa con un video di 8 minuti in cui, comparendo davanti a un camino e con a fianco una bandiera americana, chiarisce che "la responsabilità non può essere estesa a tutti i cittadini di uno Stato, a chi ascolta la radio, a chi scrive mappe per indicare distretti politicamente in bilico usate da ambedue le parti politiche. O a chi, rispettando la legge e il primo emendamento, ha organizzato la propria campagna elettorale e poi ha votato alle elezioni". La Palin punta quindi l'indice contro "quei giornalisti che a poche ore dalla tragedia hanno creato ad arte una diffamazione sanguinaria che serve solo per incitare sul serio quell'odio e quella violenza che loro dicono di voler condannare. Tutto ciò è riprovevole". (13 gennaio 2011)
2011-01-12 IL DOCUMENTARIO Haiti, quella rigida barriera fra la gente e le Ong Tanti soldi impegnati, ma l'emergenza è ancora lì Un'inchiesta di 5 giornalisti haitiani sulla gente dell'isola esclusa dalle decisioni sulla propria sorte. Il titolo è: "Goudou Goudou: le voci ignorate della ricostruzione", un film finanziato da Fondation de France e RFI con il supporto di Reporters sans Frontières. Un reportage sull'efficacia degli aiuti, al di là del positivo risultato mediatico che le organizzazioni internazionali hanno finora incassato. di EMANUELA STELLA Haiti, quella rigida barriera fra la gente e le Ong Tanti soldi impegnati, ma l'emergenza è ancora lì Un confronto duro tra un haitiano e un rappresentante dell'Onu PORT AU PRINCE - A un anno dal terremoto che ha mietuto oltre 220mila vittime, in quello che già prima del sisma era il paese più povero dell'emisfero occidentale l'emergenza fa ancora parte della quotidianità. Povertà, disoccupazione, analfabetismo (ad Haiti sei persone su dieci non sanno leggere né scrivere), tempeste tropicali, ora anche il colera, che si aggiunge alle tensioni sociali post-elettorali. Insomma, tutto tiene in scacco una popolazione che ogni giorno già fatica a mettere insieme il pranzo con la cena. Alla gente di Haiti (che si sente tagliata fuori dalla possibilità concreta di intervenire sulla propria sorte) dà voce "Goudou Goudou: le voci ignorate della ricostruzione", un web documentary indipendente e non profit realizzato da Benoit Cassegrain e Giordano Cossu, finanziato da Fondation de France e RFI con il supporto di Reporters sans Frontières 1, che sarà diffuso il 12 gennaio - anniversario del cataclisma - da RFI. Insomma, un reportage che si pone il problema di verificare l'efficacia di quanto è stato fatto fin qui, al di là del grande positivo risultato mediatico che le numerose organizzazioni umanitarie internazionali hanno incassato. Cinque cronisti fra la gente. "Goudou Goudou" è il termine onomatopeico che richiama il boato del terremoto, e che ad Haiti è diventato sinonimo di disastro: il tempo ora si conta da prima o dopo del "goudou goudou". E la realtà del dopo-terremoto scaturisce in modo tangibile dal racconto delle popolazioni colpite, grazie al lavoro di cinque giornalisti radiofonici locali (la radio è in pratica l'unico mezzo di comunicazione, e nelle tendopoli tutti vivono attaccati a una radiolina). Ralph, Mc Haendel, Orfa, Eloge, Roberson visitano ogni giorno i ripari di fortuna in cui si accalcano centinaia di migliaia di persone, e le testimonianze da loro raccolte sono state suddivise da Cassegrain e Cossu in cinque grandi problematiche: la vita quotidiana nelle tendopoli, l'incognita della ricostruzione, la sanità e il colera, l'elaborazione del disastro per mezzo del teatro e dei graffiti che si moltiplicano sui muri rimasti in piedi, l'impatto delle Ong. Il rapporto con le Ong: un punto dolente. Proprio il rapporto con le istituzioni umanitarie e i volontari accorsi a migliaia sull'isola è uno dei "punti dolenti" sollevati dalla gente di Haiti. "Il processo di aiuti umanitari viene largamente deciso all'estero, senza una consultazione dei beneficiari ultimi dei vari programmi, le voci ignorate di cui parliamo nel nostro documentario - sottolinea Giordano Cossu, coautore del web documentary. - Quello di Haiti è stato un dramma enorme, che ha attratto contributi molto elevati. I fondi governativi, quelli assegnati dagli stati, i famosi 5 miliardi di dollari di cui si parla, passano attraverso una commissione presieduta da Bill Clinton e dal premier haitiano Jean-Max Bellerive, che ha tempi lunghissimi di assegnazione: meno della metà dei fondi disponibili sono stati assegnati, e quelli tradotti in progetti, talvolta prescindono dall'efficacia a lungo termine che dovrebbe ispirarli. Chi aiuta non ascolta chi ha bisogno. Tra le Ong che hanno raccolto fondi da donatori privati, alcune decidono autonomamente come allocarli e poi le ridistribuiscono a piccole organizzazioni internazionali che sono sul campo che non hanno fondi propri. Piccole e medie ong dipendono da queste istituzioni, come dei 'clientì cui si vendono i progetti, e questo può far perdere di vista il fatto che l'obiettivo finale di chi coopera deve essere unicamente il destinatario degli aiuti". "Le ong internazionali - prosegue Cossu - dovrebbero fare riferimento alle Ong locali, per far sì che l'intervento si concretizzi a lungo termine e continui a produrre benefici anche dopo la partenza degli operatori umanitari. Gli aiuti vanno destinati allo sviluppo, garantendo un passaggio di competenze del progetto agli haitiani, a tutti i livelli. Invece la percezione della gente è che i funzionari delle organizzazioni internazionali si tengano un sacco di soldi per il proprio funzionamento: l'affitto di una macchina, per esempio, costa 150 dollari al giorno, e se ne importano continuamente dall'America". Una barriera fra la gente e i cooperanti. E' quanto viene percepito dalla gente, stando al reportage di Cassegrain e Cossu, una sorta di "barriera" che la separa dai cooperanti, come capita, per esempio, nel caso di una persona che lascia un impiego più qualificato per andare a fare l'autista, lavoro meglio pagato che al momento dà più soldi ma non offre prospettive future. "Il meccanismo che configura tra popolazione e organizzazioni è dunque quello dei 'committenti' ai quali si vogliono 'vendere' dei progetti - prosegue Cossu: - un volontario ci ha detto che la sua organizzazione non aveva intenzione di mettere in atto progetti cash for work, quelli per cui si assegnano lavoretti a giornata, talvolta superflui, per assicurare la sopravvivenza, ma il committente riteneva che in quel momento il cash for work fosse l'arma vincente, e la Ong si è dovuta adeguare". Il salario giornaliero. Chi lavora nel cash for work viene pagato 200-300 gourde al giorno, 4-6 euro, che bastano per la sopravvivenza minima. "A confronto del manovale che sta 14 ore al giorno a spaccare col martello, per liberare le città dagli edifici pericolanti, il cash for work crea una sorta di svilimento del lavoro. Il punto è il coinvolgimento delle popolazioni nell'opera di ricostruzione, che in generale viene trascurato". I volontari sono animati dal sincero desiderio di aiutare, molti di loro mettono a disposizione interi mesi di vita: ma il problema, secondo Cossu, sorge a livello di gestione delle Ong, che vanno spinte a creare modelli di sviluppo sostenibile. "In ogni tendopoli c'è un comitato autogestito - racconta - e tutti denunciano di non poter far sentire la propria voce. Arriva il funzionario della Ong e dice: oggi si fa la distribuzione di kit medici o alimentari, piuttosto che di acqua, ma non c'è coinvolgimento nel progetto, che invece è fondamentale, altrimenti tutto è calato dall'alto e fine a se stesso. I report accattivanti. Senza contare che le ong producono report sul proprio lavoro, li confezionano in modo accattivante e li spediscono direttamente agli organi di stampa, mentre il budget di comunicazione potrebbe essere destinato più utilmente a finanziare un 'revisore dei conti', un audit indipendente e qualificato che valuti il loro operato". "Un altro esempio: le Ong non sono le sole a gestire i campi, molti infatti sono autogestiti. Esiste un'associazione che gestisce 50 campi per 50mila persone, e che si è rivolta a grosse Ong e ad altri possibili finanziatori per un sostegno, ma le organizzazioni umanitarie internazionali sono sempre privilegiate". Quello della "exit strategy" è un altro dei problemi da affrontare e risolvere: i progetti devono avere un inizio, una fine e poi andare avanti da soli, per scuotere istituzioni in larga parte assenti, spingendole a prendere in gestione determinate attività, eppure questo non accade. "Certo, il colera è un'emergenza, ma bisogna cominciare a pensare al dopo: la situazione di assistenza prolungata finisce per produrre uno stato diffuso di passività". Le ragioni del documentario. Queste considerazioni hanno spinto Cassegrain e Cossu a girare un documentario "dalla parte degli haitiani", che si colloca in una più ampia iniziativa di sostegno al giornalismo haitiano, con l'obiettivo di incoraggiare una prospettiva locale rispetto all'emergenza umanitaria, illustrata nel blog multimediale Solidar'IT in Haiti 2 fondato da Giordano Cossu. Il web documentary, che potrà essere aggiornato con i contributi locali, sarà disponibile in francese da domani sul sito di RFI. (11 gennaio 2011)
LA RIVOLTA DEL PANE Scontri violenti, cinque morti a Tunisi Ben Ali fa rilasciare tutti gli arrestati Il presidente tunisino ha anche sostituito il ministro dell'Interno e nominato una commissione speciale che indaghi sulla corruzione dei funzionari pubblici. Ma, secondo alcuni siti egiziani, rischia di essere rimosso da un golpe dell'esercito. Condanna Ue-Usa: "Uso sproporzionato della forza". Aggredita una troupe del Tg3 nella capitale Scontri violenti, cinque morti a Tunisi Ben Ali fa rilasciare tutti gli arrestati Proteste contro il regime tunisino tenute dagli immigrati a Parigi TUNISI - Cinque persone sono morte negli scontri in corso a Tunisi tra manifestanti e forze dell'ordine, secondo la televisione satellitare Al Jazeera. Le cinque vittime, tra le quali un professore universitario, sono state uccise con colpi di arma da fuoco durante gli scontri fra manifestanti e polizia, in corso nel centro della città. Nel pomeriggio centinaia di giovani che gridavano slogan contro il regime sulla piazza della Porta di Francia hanno cercato di avanzare verso il viale Habib Bourguiba, ma le forze di sicurezza hanno sbarrato loro la strada lanciando lacrimogeni. I cinque morti di oggi si aggiungono alle decine dei giorni precedenti, da quando è cominciata la rivolta dei cittadini, stremati dalla crisi. Il presidente tunisino Ben Ali sta cercando di venire incontro ai cittadini in rivolta: ha ordinato infatti il rilascio di tutte le persone arrestate in seguito ai disordini degli ultimi giorni, ha detto in conferenza stampa il premier tunisino Mohammed Ghannouci. Inoltre il presidente tunisino ha annunciato la nomina di un nuovo ministro dell'Interno, Ahmed Fraa, ex accademico e sottosegretario, e ha anche predisposto la costituzione di una commissione speciale che indaghi sulla corruzione e sui comportamenti di alcuni funzionari pubblici. L'Unione europea ha però condannato l'uso "sproporzionato" della forza da parte della polizia in occasione delle proteste di piazza che da settimane si susseguono in Tunisia. "Profonda preoccupazione" per le "notizie relative a un eccessivo ricorso del governo tunisino alla forza" è stata manifestata anche da Mark Toner, portavoce del Dipartimento di Stato americano. Già dal primo mattino truppe armate sono state schierate nei punti nevralgici di Tunisi, dopo che nella notte scontri tra manifestanti e polizia in assetto anti-sommossa erano divampati anche nella capitale della Tunisia, dove da settimane è in corso un'intifada del pane 1. Lo hanno riferito testimoni oculari, comprese fonti giornalistiche presenti sul posto. I soldati, muniti di blindati leggeri, hanno preso in particolare posizione intorno alla sede della televisione di Stato. Secondo notizie riportate da alcuni siti egiziani, c'è la possibilità che l'esercito faccia un golpe per deporre il presidente Zin el-Abidin Ben Ali, dopo che quest'ultimo ha rimosso il capo di stato maggiore, il generale Rashid Bin Ammar. E intanto il governo libico ha abolito tutte le tasse che gravano sul prezzo dei beni alimentari in vendita nel Paese. Secondo quanto riferisce la tv araba 'Al-Jazeera', l'esecutivo ha deciso di adottare una misura drastica per fermare il carovita ed evitare proteste da parte dei cittadini simili a quelle scoppiate in Tunisia e Algeria. Eliminate tutte le tasse sui prodotti alimentari importanti dall'estero ma anche sui prodotti locali. Il provvedimento include l'orzo, il riso, il grano, la pasta, lo zucchero, l'olio ed il latte. Inoltre il governo libico ha chiesto alle banche del Paese di erogare maggiori finanziamenti alle famiglie, sia per quanto riguarda i mutui che i prestiti personali. Tunisia paralizzata dagli scioperi. Dopo le manifestazioni contro il carovita e la disocupazione e le violenze dei giorni scorsi in Tunisia, i sindacati ed in gruppi di opposizione hanno deciso di dare vita ad una raffica di scioperi che interesseranno tutto il Paese. Secondo quanto riferisce la tv araba 'Al-Jazeera', è stato proclamato per oggi lo sciopero generale nelle città di Kasserie e Sfax deciso dall'Unione generale del lavoro tunisino. Uno sciopero analogo è previsto per domani a Kairouan e Jendouba mentre nella capitale la protesta è prevista per venerdì prossimo. I sindacati hanno chiesto la creazione di una commissione d'inchiesta per accertare la verità sulla repressione delle manifestazioni dei giorni scorsi e su alcuni episodi nei quali i poliziotti avrebbero aperto il fuoco sui manifestanti. Inoltre chiedono che i reparti dell'esercito schierati dal governo si ritirino subito dalle città. Ieri si sono registrati infatti altri quattro morti negli scontri a Kasserine, mentre nella tarda serata la protesta e le violenze sono arrivate fino alla periferia di Tunisi dove un centinaio di artisti ed intellettuali ha tentato di inscenare una protesta davanti al teatro comunale prima dell'intervento della polizia che li ha caricati. Aggredita una troupe del Tg3. Una troupe del Tg3 è stata aggredita oggi a Tunisi da alcuni manifestanti, mentre stava documentando le proteste in corso nel centro della città. "I colleghi erano scesi in piazza - spiegano dalla redazione del Tg3 - per seguire una delle manifestazioni, disperse poi dalla polizia con il lancio di lacrimogeni, quando sono stati aggrediti da un gruppo di persone non in divisa. Claudio Rubino è stato colpito e gli è stata strappata la telecamera, Maria Cuffaro è stata spinta a terra, ma entrambi sono riusciti a tornare in albergo. Sembra non sia nulla di grave, anche se ora sono a riposo perchè sotto shock". I due giornalisti hanno immediatamente avvisato l'ambasciata italiana dell'accaduto. "Sono anche riusciti a riavere la telecamera, anche se sembra che sia rotta", concludono dalla redazione. I blogger: "Daremo gelsomini ai poliziotti". Il movimento dei blogger tunisini ha deciso che distribuirà gelsomini ai poliziotti, chiedendo loro di proteggere i manifestanti e di non attaccarli. Lo ha detto il blogger Zied el-Heni, precisando che presto sarà deciso anche il giorno di questa iniziativa. "L'idea è partita dal collega Mahmoud Laroussi, che lavora anche il giornale di opposizione Attariq Aljadid - ha detto el Heni - che ha proposto di distribuire rose. Ma io ho suggerito, anche se siamo in inverno, di distribuire gelsomini, dato che noi siamo 'il Paese del gelsomino". Da qui la decisione di connotare intanto il movimento di protesta sociale di queste settimane, in cui anche la contro-informazione dei blogger sta svolgendo un ruolo importante, come la rivolta del gelsomino. (12 gennaio 2011)
USA Tucson, Obama ai funerali delle vittime Palin contrattacca: "Sanguinaria diffamazione" Il presidente Usa stasera in Arizona per tenere un discorso durante il rito. Migliora Gabrielle Giffords: "Respira da sola". I genitori di Jared Loughner chiedono scusa per il gesto folle del figlio. In video l'ex governatrice dell'Alaska, indicata da molti osservatori come "mandante morale": "Atto criminale inizia e finisce con chi lo commette" Tucson, Obama ai funerali delle vittime Palin contrattacca: "Sanguinaria diffamazione" Sarah Palin TUCSON - Il presidente americano Barack Obama presenzierà questa sera alle esequie delle sei vittime della strage 1 compiuta sabato scorso in un centro commerciale di Tucson dal 22enne Jared Loughner, formalmente incriminato per pluriomicidio e per il tentato omicidio 2 della deputata democratica Gabrielle Giffords 3, che nel parcheggio dell'area commerciale stava tenendo un comizio. Obama arriverà in Arizona assieme alla moglie Michelle, al ministro della Giustizia Eric Holder e dal segretario alla Sicurezza interna Janet Napolitano, ex governatrice dell'Arizona. Il rito funebre si terrà nel palazzetto dello sport dell'Università dell'Arizona alle 20 ora di Washington, le 2 del mattino in Italia. Durante la cerimonia il presidente Usa pronuncerà un discorso. Alla cerimonia sarà presente anche il giudice della Corte Suprema Anthon Kennedy: una delle vittime della strage era un giudice federale. Intanto, le ore che separano l'America dalla cerimonia di Tucson sono scandite dalle notizie rassicuranti sulle condizioni di Gabrielle Giffords, dalle scuse dei genitori di Loughner e dalla protesta di Sarah Palin contro i media che hanno accusato lei e i toni oltranzisti del Tea Party di aver creato un clima favorevole all'eccidio di Tucson. GUARDA 4Sarah Palin: "Sanguinaria diffamazione "Giffords respira da sola". Stanno lentamente migliorando le condizioni di Gabrielle Giffords, il vero obiettivo di Loughner. La parlamentare democratica, raggiunta da un proiettile alla testa, sottoposta a un delicato e lungo intervento chirurgico e tenuta in coma farmacologico, è "in grado di respirare da sola". Lo annunciano i medici, che manifestano ottimismo su una sua graduale ripresa. "Non passerà il resto della sua vita in stato vegetativo - si dice certo Peter Rhee, chirurgo dello University Medical Center di Tucson - Non so come sarà il suo recupero, ma penso che sarà molto buono. Ancora non so quali deficit avrà, ma sono molto ottimista". "Abbiamo potuto diminuire le dosi di calmanti - aggiunge il neurochirurgo Michael Lemole - Gabrielle Giffords è ora capace di respirare da sola. L'unica ragione per la quale manteniamo la respirazione assistita è per proteggere il suo sistema respiratorio, perché non accusi complicazioni". I genitori di Loughner: "Siamo desolati". Alla vigilia della cerimonia funebre in memoria delle sei vittime, la famiglia di Jared Loughner, il 22enne autore della strage, rompe il silenzio per dichiararsi "assolutamente desolata" per il folle gesto del giovane, che adesso rischia una condanna alla pena di morte. "E' un momento molto difficile per noi - fanno sapere i Loughner - Non esistono parole per esprimere ciò che sentiamo. Ci piacerebbe che esistessero parole per confortare i parenti delle vittime. Non comprendiamo perché tutto ciò è accaduto". "Vorremmo poter cambiare il corso degli eventi atroci di sabato - aggiunge la famiglia del killer - Pensiamo alle vittime e alle loro famiglie e siamo assolutamente desolati per la morte dei loro cari". Infine, la famiglia di di Jared Loughner chiede ai media "di rispettare la nostra vita privata". Sarah Palin: "Diffamazione sanguinaria". Sarah Palin, indicata da più parti come la "mandante morale" 5 della strage di Tucson, perché aveva inserito la Giffords in una sua "lista nera" di avversari politici in campagna elettorale indicandoli con dei veri bersagli, reagisce con fermezza assolvendo se stessa e i toni estremisti usati da mesi dalla sua parte politica. "Siamo di fronte ad atti di criminalità mostruosa, che iniziano e finiscono con chi li commette" afferma l'esponente del Tea Party, l'ex governatrice dell'Alaska ed ex candidata repubblicana alla vicepresidenza. La Palin accompagna la sua autodifesa con un video di 8 minuti in cui, comparendo davanti a un camino e con a fianco una bandiera americana, chiarisce che "la responsabilità non può essere estesa a tutti i cittadini di uno Stato, a chi ascolta la radio, a chi scrive mappe per indicare distretti politicamente in bilico usate da ambedue le parti politiche. O a chi, rispettando la legge e il primo emendamento, ha organizzato la propria campagna elettorale e poi ha votato alle elezioni". La Palin punta quindi l'indice contro "quei giornalisti che a poche ore dalla tragedia hanno creato ad arte una diffamazione sanguinaria che serve solo per incitare sul serio quell'odio e quella violenza che loro dicono di voler condannare. Tutto ciò è riprovevole". (12 gennaio 2011)
2011-01-09 NEL NORD OVEST Aereo iraniano si schianta al suolo con 105 persone a bordo Nella zona imperversava una bufera di neve. Dalle lamiere del velivolo estratte vive trentadue persone Aereo iraniano si schianta al suolo con 105 persone a bordo La zona della tragedia aerea TEHERAN - Nuova tragedia aerea in Iran. Una velivolo della compagnia Iran Air con 105 persone a bordo, tra passeggeri e membri dell'equipaggio, si è schiantato al suolo alle 19,45 locali (le 17,15 ora italiana) nelle vicinanze della città di Urumiyeh i nel nord-ovest del Paese. Lo riferisce la tv di Stato citando un funzionario della provincia dell'Azerbaijan Occidentale. Nella regione imperversava una bufera di neve e c'era una spessa nebbia. Secondo le autorità iraniane, trentadue passeggeri sarebbero stati estratti vivi dalle lamiere dell'aereo. Un primo bilancio, comunque, parla di numerosi corpi senza vita trovati all'interno dei resti del velivolo. Secondo la Croce rossa iraniana le vittime sarebbero almeno 70. "Per il momento non ho ricevuto informazioni confermate sul numero dei morti. Ma 32 persone ferite, sulle 105 che erano a bordo, sono uscite vive dall'aereo", ha detto Gholam Reza Masumi, responsabile dei servizi d'emergenza citato dall'agenzia Fars. "L'aereo era decollato da Teheran con un'ora di ritardo sull'orario stabilito, con destinazione Urumiyeh, nel nord-ovest dell'Iran, nei pressi della quale si è schiantato a causa delle cattive condizioni climatiche". L'agenzia Fars precisa inoltre che il velivolo è un Boeing 727. Secondo il responsabile dei servizi d'emergenza, l'aereo si è spezzato nell'urto col suolo ma non è esploso. A bordo c'erano 95 passeggeri, inclusi due bambini e dieci membri dell'equipaggio. Il lavoro dei soccorritori è ostacolato dalla neve caduta abbondantemente nella zona e che, sul luogo del disastro, è alta anche 70 centimetri. Nelle ore precedenti, altri due aerei provenienti da Teheran avevano dovuto cambiare rotta proprio per l'impossibilità di atterrare a Urumiyeh a causa del maltempo. Nel luglio del 2009, nella stessa zona, un altro aereo 1, un Tupolev della Caspian Airlines, si era schiantato al suolo per l'incendio di uno dei motori. A bordo c'erano 168 persone: tutte rimasero uccise nell'impatto con il terreno agricolo su cui precipitò il velivolo. Negli ultimi 10 anni in Iran si sono verificate una quindicina di catastrofi aeree. La flotta aerea iraniana, sia civile sia militare, è notoriamente composta da velivoli datati e con poche possibilità di essere ammodernati a causa dell'embargo imposto dagli Stati Uniti che impedisce l'acquisto dai paesi occidentali di nuovi aerei o pezzi di ricambio. (09 gennaio 2011)
USA La Giffords operata: "Comunica" Attentatore pedina dei suprematisti bianchi Restano critiche le condizioni della deputata ferita da uno squilibrato durante un evento pubblico. Operata alla testa, medici "cautamente ottimisti". Sei vittime, altre 13 persone ferite. Scagionato il possibile complice. Obama chiede all'America un minuto di silenzio La Giffords operata: "Comunica" Attentatore pedina dei suprematisti bianchi * Aquaro: ''L'America ripiomba nelle tenebre'' video Dossier Repubblica Tv * Tra le vittime la piccola Christina: era nata l'11 settembre 2001 foto Tra le vittime la piccola Christina: era nata l'11 settembre 2001 * Tucson, notte di veglia foto Tucson, notte di veglia * Tucson, uomo spara e fa una strage deputata in fin di vita, morte 5 persone articolo Tucson, uomo spara e fa una strage deputata in fin di vita, morte 5 persone * articolo Gabrielle Giffords, democratica moderata Era finita nella "lista nera" di Sarah Palin * Arizona, le foto di Gabrielle Giffords foto Arizona, le foto di Gabrielle Giffords * Arizona, i soccorsi sul luogo della strage foto Arizona, i soccorsi sul luogo della strage Il presidente Usa Barack Obama chiede all'America un minuto di silenzio, da osservare lunedi alle 11 (ora di New York, le 17 in Italia) in memoria delle sei vittime della sparatoria in un supermercato di Tucson, Arizona. La settima avrebbe dovuto essere la parlamentare democratica Gabrielle Giffords, il vero obiettivo dell'attentatore, il 22enne Jared Loughner, su cui ora pendono formalmente cinque capi d'imputazione presso la Corte Federale di Tucson, tra cui l'omicidio e il tentato assassinio della deputata. La Giffords, 40 anni, colpita alla testa 1 , è stata operata e, secondo i medici, "è in grado di comunicare". La deputata ha subito un lunghissimo intervento alla testa all'ospedale universitario di Tucson e i medici sono fiduciosi sulla possibilità che si salvi, anche se il proiettile le ha trapassato il cervello e potrebbe essere necessaria un'altra operazione. Al momento la donna resta in condizioni critiche. "Siamo cautamente ottimisti - dicono i medici - anche se la ferita alla testa ha avuto effetti devastanti". A morire sotto i colpi dell'attentatore sono stati un assistente trentenne della Giffords, Gabe Zimmermann, una bambina di 9 anni nata il giorno dell'attacco alle Torri Gemelle, l'11 settembre 2001, un giudice federale e tre pensionati. Quattordici persone, compresa la deputata, sono rimaste ferite. Attualmente l'uomo è stato trasferito dalla custodia dello sceriffo di Tucson a quella degli agenti federali e si rifiuta di collaborare. Scagionato il presunto complice di Jared Lee Loughner, immortalato dalle immagini di una telecamera di sorveglianza del centro commerciale che mostrano un uomo di 40-50 anni dai capelli scuri, visto in zona in compagnia del giovane sparatore. Secondo il vice-sceriffo Jason Ogan, l'uomo, di cui era stata diffusa un foto, non ha avuto alcun ruolo nella strage. Si tratta di un tassista che aveva accompagnato Loughner sul luogo della strage. Una volta arrivato a destinazione, il giovane aveva detto di aver bisogno di cambiare una banconota di grosso taglio per poter pagare la corsa. Il tassista allora lo aveva accompagnato all'interno del centro commerciale, dove Loughner ha cambiato il denaro. Dopo essere stato pagato, il tassista se ne è andato. L'uomo ha chiarito la sua posizione e nessuna accusa è stata formalizzata nei suoi confronti. In precedenza, il direttore del Fbi, Robert Mueller, aveva dichiarato che la strage è stata frutto di un attacco isolato ed esclude che l'evento possa generare "ulteriori minacce". Mueller aveva confermato le indagini per risalire a una seconda persona, che potrebbe aver avuto una qualche relazione con Jared Lee Loughner ma che Mueller aveva già esclusp che potesse essere direttamente coinvolta nella sparatoria. Il direttore del Fbi aveva aggiunto un inquietante dettaglio alla ricostruzione: Jared Lee Loughner aveva già presenziato nel 2007 a un evento politico organizzato dalla deputata Gabrielle Giffords. A disarmare Loughner è stata "un'eroica donna ferita", riferisce invece lo Sceriffo della contea di Pima in Arizona, Clarence Dupnik, spiegando che quando il 22enne ha esaurito i colpi del primo caricatore della sua Glock 9mm la donna, di cui lo sceriffo non ha voluto rivelare il nome, malgrado fosse ferita si è rialzata e lo ha bloccato "impossessandosi del secondo caricatore e gettandolo via". Loughner ha inserito un terzo caricatore ma l'arma si è inceppata e a quel punto è stato neutralizzato. Senza la collaborazione di Loughner, i federali lavorano anche al suo movente. Secondo un memo del ministero dell'Interno, ottenuto da Fox News e reso noto da Greta Wire nel suo blog, Jared Lee Loughner sarebbe legato a un gruppo di suprematisti bianchi e antisemiti denominato "Rinascimento americano". Gli agenti del Fbi hanno ricostruito il legame tra l'attentatore e il gruppo indagando nei profili che il giovane aveva negli account su Youtube e su Myspace. La pista delle indagini si nutre di "forti sospetti nella direzione" del gruppo, che opera sotto la copertura della New Century Foundation, apparentemente impegnata a organizzare conferenze e seminari di contenuto razzista. Sul magazine della fondazione appaiono teorie pseudoscientifiche sulla superiorità della razza bianca. Agli incontri della fondazione partecipano, talvolta, esponenti degli ambienti neonazisti. La Giffords è una democratica moderata che aveva vinto a novembre la rielezione alla Camera battendo un candidato del Tea Party per quattromila voti. E' favorevole alla libera scelta in tema di aborto, alla ricerca sulle cellule staminali, ed è una sostenitrice delle energie rinnovabili, mentre ha posizioni rigide in materia di immigrazione e favorevole al libero commercio di armi. E' sposata con l'astronauta Mark Kelly, il comandante dell'ultima missione dello shuttle in programma ad aprile. L'attacco è avvenuto mentre la deputata stava tenendo un comizio, chiamato 'Congress in Your Corner', per dare modo agli elettori di esprimere le loro opinioni al loro rappresentante al Congresso. "Tutto il Tea Party la odiava 2" rivela adesso Spencer Giffords, padre della deputata. Nel frattempo il presidente della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, John Boehner, si è detto "inorridito", annunciando che le bandiere del Campidoglio oggi resteranno a mezz'asta, in segno di lutto. Sarà posticipato il voto sulla revisione della riforma sanitaria, previsto per mercoledì prossimo, intorno al quale da oltre un anno è in corso negli Stati Uniti un dibattito dai toni accesissimi. (09 gennaio 2011)
USA Tucson, la Giffords operata alla testa 6 morti, si cercano complici attentatore Restano critiche le condizioni della deputata ferita ieri da uno squilibrato durante un evento pubblico. I medici si dicono "cautamente ottimisti". Altri 13 persone ferite. Secondo lo sceriffo, Jared Loughner non avrebbe agito da solo. Bandiere a mezz'asta alla Camera, posticipato il voto sulla revisione della riforma sanitaria Tucson, la Giffords operata alla testa 6 morti, si cercano complici attentatore * Aquaro: ''L'America ripiomba nelle tenebre'' video Dossier Repubblica Tv * Tra le vittime la piccola Christina: era nata l'11 settembre 2001 foto Tra le vittime la piccola Christina: era nata l'11 settembre 2001 * Tucson, notte di veglia foto Tucson, notte di veglia * Tucson, uomo spara e fa una strage deputata in fin di vita, morte 5 persone articolo Tucson, uomo spara e fa una strage deputata in fin di vita, morte 5 persone * articolo Gabrielle Giffords, democratica moderata Era finita nella "lista nera" di Sarah Palin * Arizona, le foto di Gabrielle Giffords foto Arizona, le foto di Gabrielle Giffords * Arizona, i soccorsi sul luogo della strage foto Arizona, i soccorsi sul luogo della strage Gabrielle Giffords, la deputata ferita ieri 1 da uno squilibrato in un supermercato di Tucson, in Arizona, durante un evento pubblico, è stata operata. La 40enne, ricoverata in gravi condizioni dopo essere stata colpita alla testa da un proiettile, non sembra essere in pericolo di vita. La deputata democratica ha subito un lunghissimo intervento alla testa all'ospedale universitario di Tucson e i medici sono fiduciosi sulla possibilità che si salvi, anche se il proiettile le ha trapassato il cervello e potrebbe essere necessaria un'altra operazione. Al momento la donna resta in condizioni critiche e, secondo un portavoce dell'ospedale, non ha ripreso conoscenza dopo l'intervento chirurgico. "Siamo cautamente ottimisti - dicono i medici - anche se la ferita alla testa ha avuto effetti devastanti". Si allunga, invece, la lista delle vittime del folle attacco del 22enne Jared Loughner. A morire sotto i colpi dell'attentatore sono stati un assistente trentenne della Giffords, Gabe Zimmermann, una bambina di 9 anni nata il giorno dell'attacco alle Torri Gemelle, l'11 settembre 2001, un giudice federale e tre pensionati. Quattordici persone, compresa la deputata, sono rimaste ferite. Attualmente l'uomo è stato trasferito dalla custodia dello sceriffo di Tucson a quella degli agenti federali e si rifiuta di collaborare. Gli investigatori stanno anche interrogando la famiglia, i conoscenti e i vicini di casa del giovane. Secondo lo sceriffo Clarence Dupnik, Jared Loughner: non avrebbe agito da solo: "Probabile che ci sia un complice". Le immagini girate da una telecamera di sorveglianza del centro commerciale, infatti, mostrano un uomo di 40-50 anni dai capelli scuri, visto in zona in compagnia del giovane sparatore. La Giffords è una democratica moderata che aveva vinto a novembre la rielezione alla Camera battendo un candidato del Tea Party per quattromila voti. E' favorevole alla libera scelta in tema di aborto, alla ricerca sulle cellule staminali, ed è una sostenitrice delle energie rinnovabili, mentre ha posizioni rigide in materia di immigrazione e favorevole al libero commercio di armi. E' sposata con l'astronauta Mark Kelly, il comandante dell'ultima missione dello shuttle in programma ad aprile. L'attacco è avvenuto mentre la deputata stava tenendo un comizio, chiamato 'Congress in Your Corner', per dare modo agli elettori di esprimere le loro opinioni al loro rappresentante al Congresso. "Tutto il Tea Party la odiava 2" rivela adesso Spencer Giffords, padre della deputata. Nel frattempo il presidente della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, John Boehner, si è detto "inorridito", annunciando che le bandiere del Campidoglio oggi resteranno a mezz'asta, in segno di lutto. Sarà posticipato il voto sulla revisione della riforma sanitaria, previsto per mercoledì prossimo, intorno al quale da oltre un anno è in corso negli Stati Uniti un dibattito dai toni accesissimi. (09 gennaio 2011)
AL CONGRESSO USA DAL 2006 Gabrielle Giffords, democratica moderata Era finita nella "lista nera" di Sarah Palin Madre di due figli, proveniente da una famiglia che si occupa di vendita di autovetture, era stata eletta per la terza volta al Congresso. E' favorevole alla ricerca sulle cellule staminali, all'aborto e alle energie rinnovabili. Si occupa di immigrazione e Forze armate, ma si era opposta alla modifica dei diritti dei possessori di armi * Aquaro: ''L'America ripiomba nelle tenebre'' video Dossier Repubblica Tv * Tra le vittime la piccola Christina: era nata l'11 settembre 2001 foto Tra le vittime la piccola Christina: era nata l'11 settembre 2001 * Tucson, Gabrielle Giffords operata alla testa sei morti, si cercano i complici dell'attentatore articolo Tucson, Gabrielle Giffords operata alla testa sei morti, si cercano i complici dell'attentatore * Tucson, notte di veglia foto Tucson, notte di veglia * Tucson, uomo spara e fa una strage deputata in fin di vita, morte 5 persone articolo Tucson, uomo spara e fa una strage deputata in fin di vita, morte 5 persone * Arizona, le foto di Gabrielle Giffords foto Arizona, le foto di Gabrielle Giffords * Arizona, i soccorsi sul luogo della strage foto Arizona, i soccorsi sul luogo della strage
TUCSON - Ha appena 40 anni Gabrielle Giffords, la deputata democratica dell'Arizona. Fra le battaglie della sua vita politica, c'è la lotta per aumentare i fondi alla ricerca sulle cellule staminali e alle energie rinnovabili. E' impegnata in politica per il partito Democratico dal 2003, quando fu eletta nel Senato dell'Arizona Gabrielle Giffords viene definita una "star in ascesa" dal sito Politico.com tutto dedicato alla politica di Washington. Madre di due figli, è al suo terzo mandato. E' la terza donna nella storia dello Stato dell'Arizona a vincere uno scranno al Congresso. Giffords è considerata una "centrista". Vuole l'aumento del salario minimo, è impegnata su questioni di immigrazione, appoggiando programmi di integrazioni per migranti e per la legalizzazione dei clandestini, ma anche il rafforzamento delle frontiere del paese. Si definisce "al 100%" a favore della libertà di aborto, e ha votato a favore dell'incremento dei fonti della ricerca sulla cellule staminali di origine embrionale. E' critica della legge di Barack Obama "No Child Left Behind" (nessuno bambino deve restare indietro), in quanto a suo avviso non finanziata adeguatamente. Ironicamente, la parlamentare si è adoperata per i diritti dei possessori di armi, e si è opposta fermamente alle proposte di limitazioni in proposito. Solo ieri era stata intervistata dalla Fox News su un progetto di legge per tagliare del 5% i salari dei parlamentari Usa. Nel suo primo mese al congresso, Giffords votò per per ridurre i sussidi alle grosse compagnie petrolifere e investire i risparmi nelle energie rinnovabili. Giffords in seguito presentò un progetto di legge che proibiva la vendita sul mercato di componenti degli aerei f-14. E' stata presidente della sottocommissione per lo Spazio e l'Aeronautica ed è stata membro della commissione Scienza e Tecnologia e della commissione Forze armate. Aveva aderito alla coalizione democratica della Blue Dog coalition. La deputata democratica è l'unico membro del congresso sposato a un membro delle Forze armate; si tratta dell'astronauta Mark E. Kelly, comandante della missione dello Shuttle Sts 134 "Endeavour" il cui lancio è previsto in aprile e della quale fa parte l'astronauta italiano dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa) Roberto Vittori. In questo momento il gemello di Mark Kelly, Scott, si trova a bordo della Stazione Spaziale Internazionale insieme ad un altro astronauta italiano dell'Esa, Paolo Nespoli. I due gemelli avrebbero dovuto incontrarsi e lavorare insieme a bordo della stazione orbitale il prossimo aprile. Mark Kelly è un veterano delle missioni spaziali. La prossima è la quarta a cui partecipa. L'astronauta e la deputata si sono sono sposati il 10 novembre del 2007 e vivono a Tucson, in Arizona. Come vuole una tradizione della Nasa, gli astronauti nel corso delle missioni vengono svegliati con una canzone scelta a terra dai loro familiari. Durante la missione STS 121, nel 2006, fu Gabrielle Giffords a scegliere di svegliare in orbita l'allora suo fidanzato e i suoi colleghi con la canzone degli U2 "Beautiful Day". Gabrielle Giffords è finita anche nella "target list" di Sarah Palin. L'ex governatore dell'Alaska ed ex candidata alla vicepresidenza aveva stilato un elenco di avversari da sconfiggere politicamente "per la loro responsabilità nel disastro" rappresentato dal voto con cui il Congresso aveva approvato la riforma sanitaria. (08 gennaio 2011)
TUNISIA Riesplode la rivolta del pane "Uccisi venti manifestanti" La polizia ha aperto il fuoco sulla folla a Tala. L'opposizione parla di decine di vittime e uno dei suoi leader chiede al presidente Ben Ali di ordinare alle forze dell'ordine di non sparare più. Ancora una vittima, la quarta, in Algeria Riesplode la rivolta del pane "Uccisi venti manifestanti" Una manifestazione in Tunisia TUNISI - Mentre continuano gli scontri tra manifestanti e forze dell'ordine in Algeria 1, la rivolta del pane riesplode anche in Tunisia. Almeno otto persone sono state uccise nei disordini scoppiati a Tala e a Kasserine, nella regione centro-orientale del Paese. Ma fonti dell'opposizione parlano di "almeno venti morti". Ieri un ambulante si era dato fuoco a Sidi Bouzid e quattro dimostranti erano rimasti feriti in scontri con le forze dell'ordine a Rgeb, località a 210 chilometri ad ovest di Tunisi. In questa drammatica situazione, uno dei leader dell'opposizione, Ahmed Nejib Chebbi, ha rivolto un appello "urgente" al presidente Zine Abidine Ben Ali affinché dia "immediatamente" alla polizia l'ordine di non sparare più "per salvare la vita a cittadini innocenti e rispettare il loro diritto a manifestare". Deve "far cessare il fuoco", ha detto il capo storico del Partito democratico progressista sostenendo che secondo attivisti del suo partito nelle due città la polizia "ha sparato sui cortei funebri". AUDIOVIDEO Cronace e testimonianze dalla Tunisia 2 Ieri, dopo l'assalto a una banca e ad alcuni edifici pubblici, per la prima volta a Tala erano stati schierati i militari. Belgacem Sayhi, un sindacalista del comparto scuola, ha raccontato all'agenzia France Presse che nel centro della città la polizia ha aperto il fuoco sui manifestanti. Le vittime sono Marwan Jomni, 20 anni, Boulaaba Ahmed, 30 anni, Omri Mohamed, 17 anni, e Nouri Boulaaba, 30 anni, secondo quanto confermato da due fonti che hanno chiesto l'anonimato. Tra i feriti, sei sono in gravissime condizioni e sono stati trasferiti in un ospedale di Kasserine, il capoluogo della regione dove, in altri scontri, sarebbe stato ucciso un bambino di 12 anni. Quest'ultima notizia, però, non è stata confermata dalle autorità locali. In Tunisia la rivolta contro il carovita 3 e la disoccupazione è iniziata il 17 dicembre dopo che un ambulante laureato si era dato fuoco a Sidi Bouzid per protestare contro la polizia che gli aveva sequestrato la merce. La protesta contro il carovita continua anche in Algeria, dove negli ultimi giorni quattro persone sono state uccise e circa 800 persone, tra le quali 300 agenti, sono rimaste ferite. L'ultima vittima è un giovane centrato da un colpo di pistola ieri sera nella regione di Tiaret, 340 chilometri a ovest di Algeri, mentre insieme al padre tentava di salvare il loro bar da un attacco dei manifestanti. Le circostanze della sua morte restano tuttavia poco chiare: secondo testimoni e un senatore che ha richiesto l'anonimato, il proiettile che ha ucciso il giovane proveniva dalla pistola del padre. La notte è stata tranquilla ad Algeri, anche se alcuni incidenti, riporta il quotidiano El Watan, sono avvenuti ieri pomeriggio e in serata nella periferia orientale, a Bordj El Kiffan e Ain Taya, dove i manifestanti hanno bloccato le vie principali con barricate. Scontri sono avvenuti in Cabilia, nel capoluogo Tizi Ouzou, nei pressi di Bejaia, Boumerdes e Bouira, ma anche ad Annaba e Tebessa (est). Per la prima volta ieri sera, i giovani sono scesi in strada anche a Bechar e Maghnia, lungo la frontiera con il Marocco. Intanto il governo ha annunciato nuove misure eccezionali adottate dal governo per ridurre i prezzi di olio e zucchero. Tra le principali disposizioni adottate dal consiglio interministeriale c'è "una sospensione ed esonero dei diritti doganali, di tasse e imposte" su olio e zucchero che permetteranno complessivamente di ridurre i prezzi del 41% i prezzi, ha reso noto un comunicato del primo ministro Ahmed Ouyahia, invitando produttori e distributori ad applicare con "urgenza gli effetti delle norme sui prezzi". La sospensione di queste imposte sarà in vigore fino al 31 agosto, precisa la nota, e nello stesso periodo il governo definirà insieme agli operatori un sistema per "stabilizzare in modo permanente i prezzi di zucchero e olio". (09 gennaio 2011)
La rivolta di chi non ha più niente da perdere di TAHAR BEN JELLOUN Il capo dello Stato tunisino, Ben Ali, è un ex ufficiale di polizia; e a quanto pare sua moglie, Leila Trabelsi, che gioca un ruolo importante nell'ombra, ha un passato di parrucchiera. Un giorno, mentre mi trovavo in Tunisia, innervosito e a disagio per la presenza della polizia, mi lamentai con un amico di quel clima di alta sorveglianza. E lui, sorridendo, rispose: "Che altro ti aspettavi da un Paese governato da un ex poliziotto e da una ex parrucchiera?" Ma al di là dell'aneddoto, Ben Ali, al potere dal 1987, dopo un colpo di stato "morbido", si era dapprima lanciato in una lotta senza quartiere contro gli islamisti, per poi dedicarsi alla crescita del Paese. Non ha però mai tollerato nessun tipo di critica, né di contestazione o di opposizione politica. Ha governato il Paese col pugno di ferro, imbavagliando la stampa e tenendo i cittadini sotto sorveglianza. Ad autorizzare la sua posizione rigida, che rifiuta ogni concessione, è stato l'appoggio pressoché unanime della Francia in particolare e degli Stati europei in generale. Tutto funziona secondo la sua volontà: il commercio estero è prospero, i turisti affluiscono in massa; dunque, perché cambiare politica? E soprattutto, perché cedere ai contestatori? C'è stato bisogno di una scintilla, di una ventata di follia, di un dramma umano per spingere la popolazione a scendere in piazza per manifestare contro questo regime poliziesco: il 17 dicembre un ambulante 26enne si è cosparso di benzina per immolarsi sulla pubblica piazza di Sidi Bouzid, una cittadina nella zona centrale del Paese. E' deceduto tre settimane dopo. I poliziotti avevano confiscato arbitrariamente la sua carretta di frutta e verdura; e lo sdegno lo ha spinto a farla finita. Il suo non è stato però un gesto impulsivo: da molto tempo subiva i soprusi e il disprezzo dei poliziotti. E' contro questo disprezzo che migliaia di tunisini hanno manifestato per diversi giorni. Quattro i morti: due suicidi e due manifestanti uccisi da colpi di arma da fuoco. Il regime di Ben Ali si è così screditato, e non dovrebbe più poter contare sulla benevolenza degli europei. Se in Algeria la situazione non è migliore, il contesto delle sommosse di questi ultimi due giorni è però diverso. L'Algeria vive in uno stato di tensione permanente da ormai vent'anni - da quando il processo elettorale che stava portando alla vittoria il partito islamista "Front Islamique du salut" fu interrotto. Seguì una guerra civile, costata oltre 100.000 morti. Il terrorismo che si richiama all'islam esiste tuttora, e non ha cessato di commettere crimini ai danni della popolazione civile. Oggi è stato il brusco aumento dei prezzi dell'olio e dello zucchero a scatenare le proteste di una popolazione che si sente depredata, umiliata e sfruttata. Non si comprende perché un Paese ricco come l'Algeria (grazie alla manna del petrolio e del gas, lo Stato dispone di ben 155 miliardi di dollari di riserve di cambio) debba avere una popolazione così povera. L'Algeria è un Paese ferito, che risente ancora dei postumi della guerra di liberazione. E benché lo Stato si confonda con l'esercito, non riesce a garantire la sicurezza dei cittadini. Gli attacchi dei sedicenti commando islamici si ripetono quasi ogni settimana. Un giovane su tre non trova lavoro. A mezzo secolo dall'indipendenza il Paese continua a soffrire, e non riesce a usare le sue immense ricchezze per avviare uno sviluppo razionale a beneficio di tutti gli strati della popolazione. Eppure l'Algeria può vantare molti intellettuali di qualità, giornalisti di grande talento e coraggio e alcuni formidabili economisti; e ha una popolazione ospitale, buona, generosa, che ama la vita. Ma le cose non funzionano; c'è il peso della storia, in uno Stato non consolidato; i grossolani appetiti di alcuni militari, la corruzione. La Kabilia (la parte berbera dell'Algeria) non ha mai cessato di contestare il potere centrale, che risponde sempre con la repressione. Manca la fiducia tra i politici e i cittadini. E a tutto ciò si aggiunge l'avanzata dell'islamismo identitario e contestatore. E' nata così una situazione esplosiva, illustrata dalle manifestazioni di questi ultimi giorni. Come in Egitto, come in Tunisia, la gente non ne può più di subire umiliazioni (l'ormai celebra hogra) e scende in piazza al grido di Kifaya! ("basta"). Se in Tunisia e in Algeria il potere non accetta di essere messo in discussione, se al clamore popolare sa rispondere solo con azioni repressive e spargimento di sangue, è perché non ha compreso nulla di quanto accade ai livelli più profondi; e non si rende conto che presto o tardi sarà spazzato via dall'ira di chi non ha più nulla da perdere. (Traduzione di Elisabetta Horvat) (09 gennaio 2011)
LO SCENARIO L'aumento dei prezzi e la spirale speculativa Il rischio di rivolte alimentari generalizzate Raggiunto il picco nei mercati alimentari dovuto alla ripresa che inizia ad affermarsi con la conseguente pressioni sulla produzione del cibo, soprattutto carne e zucchero e dunque dell'aumento dei prezzi. Il deficit strutturale del mercato globale e i rapidi arricchimenti dovuti alle speculazioni finanziarie di GIULIO DI BLASI L'aumento dei prezzi e la spirale speculativa Il rischio di rivolte alimentari generalizzate ROMA - Come previsto da diverse autorevoli "Cassandre" negli scorsi mesi, il mondo sembra essere sull'orlo di una nuova crisi alimentare globale di proporzioni simili a quella che nel 2008 aveva causato rivolte in oltre 23 paesi nel mondo. Se infatti la crisi economica mondiale aveva avuto una ricaduta positiva sui prezzi dei generi alimentari, determinandone un calo generalizzato, ora che la ripresa inizia ad affermarsi nei paesi a medio-alto tasso di sviluppo, le pressioni strutturali sulla produzione alimentare tornano farsi sentire. Questa settimana infatti è stato raggiunto il picco storico dell'indice FAO che dal 1990 monitora il prezzo degli alimenti di base nel mondo. Gli scontri in Tunisia e Algeria. Per ora gli effetti dell'incremento dei prezzi sull'instabilità politica sembrano essere ancora relativamente contenuti e limitati alla sola Algeria e Tunisia, dove ci sono tati e continuano manifestanti, nel corso delle quali alcuni hanno perso la vita negli scontri di piazza. A subire i maggiori rincari sono stati infatti la carne e lo zucchero, due beni che, diversamente dal riso e dai cereali, non costituiscono la fonte di alimentazione primaria nei paesi del sud del mondo. A questo si è aggiunto un buon raccolto in diversi paesi africani, che ha consentito di rendere disponibili prodotti alimentari ai mercati locali. Inoltre il prezzo del petrolio, fattore chiave nell'incrementare i prezzi della vendita al dettaglio degli alimenti, è per ora relativamente basso attestandosi attorno ai 95$ al barile, contro gli oltre 130$ dell'ultima crisi. Il rischio della spirale speculativa. Ma soprattutto, diversamente da quanto avvenuto nel 2008, per il momento le spinte protezionistiche dei paesi produttori sono ancora piuttosto limitate - solo la Russia ha infatti limitato le proprie esportazioni di grano e cereali - garantendo il funzionamento dei meccanismi di riequilibrio legati al mercato internazionale. Tuttavia, diversamente da quanto avvenuto in occasione dell'ultima impennata dei prezzi, è indispensabile che i governi dei maggiori paesi produttori, come l'India e l'Indonesia, non si facciano coinvolgere dal senso di panico diffuso che nel 2008 aveva portato alla chiusura delle frontiere, e facilitato l'avvio della spirale speculativa sui mercati finanziari internazionali. Il deficit strutturale del mercato alimentare. In ogni caso, andando oltre la situazione contingente, risulta chiaro che vi sono dei deficit strutturali nel mercato alimentare globale dovuti in particolare al rapido arricchimento di ampie fasce di popolazione nel sud est asiatico, e alla volatilità del prezzo del petrolio. Di conseguenza, per evitare di trovarsi continuamente sull'orlo del precipizio di una rivolta alimentare globale, è indispensabile rivedere i sistemi di produzione e distribuzione degli alimenti, frenando al contempo gli eccessi dei mercati finanziari. (09 gennaio 2011)
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L'UNITA' per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.unita.it/2011-08-02 Intesa sul debito, Obama: evitato default devastante obama, 304 nuova Il compromesso sull'aumento del tetto del debito Usa evita un "default" che sarebbe stato "devastante" per l'economia. "La legge è un primo passo, ma i partiti devono lavorare a un piano più ampio. Dobbiamo fare tutto quello che possiamo per far crescere l'economia e rimettere gli americani al lavoro". Ma "far crescere l'economia non significa solo tagliare le spese" e quindi servirà "un approccio equilibrato", ha detto Obama indicando senza parlare apertamente di nuove tasse, la necessità di accompagnare ai tagli un aumento del gettito fiscale. "Il rientro dal deficit richiederà cambiamenti a Medicare e al fisco", ha detto il presidente Usa riferendosi al programma federale di assistenza sanitaria per gli anziani. Il presidente ha poi esteso il riferimento velato alle tasse dicendo che "tutti devono contribuire, è giusto ed è quello per cui mi batterò". In ogni caso, ha assicurato Obama. un eventuale aumento della pressione fiscale non riguarderà le classi medie. La proposta di legge che innalza il tetto del debito pubblico Usa, evitando così il rischio di default, è passata al Senato. La votazione è in corso e i sì hanno superato i 60 voti rendendo così ufficiale il passaggio dell'intesa, approvata ieri dalla Camera. Adesso la misura, che consente un aumento del debito di 2.100 miliardi e introduce tagli alle spese per 2.500, andrà entro oggi alla firma del presidente Barack Obama per diventare legge.
Era stato etichettato come il partito dell'intransigenza all'innalzamento del tetto del debito, sembrava tenesse gli Stati Uniti ostaggio, alla fine il Tea Party ha votato a favore dell'accordo per evitare il default tecnico dell'America. Nonostante le declamazioni contro qualsiasi tipo di aumento del debito, con 32 voti favorevoli e 28 contrari, i deputati appartenenti al movimento conservatore, ieri hanno deciso di approvare l'accordo che aumenta la capacità di contrarre debito del Paese. Anche se il Tea Party e i nuovi deputati repubblicani hanno indotto il partito Repubblicano a rivalutare le proprie priorità e abbracciare una posizione più conservativa in materia fiscale, per Judson Phillips, fondatore di Tea Party Nation - gruppo vicino al movimento -, l'accordo "è stato un suicidio politico". Secondo quanto scritto dal New York Times, approvando l'intesa, il Tea Party si è mostrato fragile: "non è un monolito. Non è un partito con una chiara linea politica e i suoi membri sono portatori di istanze varie". L'opposizione ad un aumento del debito era di facciata. In alcuni sondaggi, nota il quotidiano, gli elettori che avevano votato a favore del Tea Party alle elezioni di metà mandato dello scorso novembre avevano infatti giustificato la loro scelta citando la voglia di cambiamento e la necessità di ridurre la spesa pubblica, ma non perché volevano ridurre il debito pubblico. Molti dei simpatizzanti del movimento sono sempre stati a favore di un'intesa sul debito. Un altro sondaggio condotto da Cbs News due settimane fa, aveva trovato che il 66 per cento degli elettori del Tea Party voleva che i repubblicani al Congresso trovassero un compromesso che scongiurasse il rischio di default. E per raggiungere l'obiettivo, il 53 per cento di loro era favorevole ad un approccio che prevedesse sia tagli alla spesa pubblica che un aumento delle tasse. 2 agosto 2011
2011-07-27 Usa a un passo dal disastro Obama: "Evitiamolo" di Gabriel Bertinetto | tutti gli articoli dell'autore IMG Il piano della destra prevede di spezzare l’innalzamento del tetto del debito in due tranche: 900 miliardi di dollari per i prossimi sei mesi, 1600 per il periodo successivo. Per il presidente in questo modo "saremmo costretti a fronteggiare di nuovo il rischio del default fra sei mesi. L’economia resterebbe in ostaggio. È’ un gioco pericoloso". A una soluzione del genere, se passasse al Congresso, il capo della Casa Bianca sarebbe costretto a porre il veto. Lo ha ribadito ieri pomeriggio Gene Sperling, direttore del Consiglio economico nazionale.
"Ma i repubblicani sono ostaggio del Tea Party e sono una minaccia vera..." Intervista all'ex consigliere di Clinton oggi in edicola con l'Unità: oppure clicca qui Per mettere i concittadini di fronte alla gravità della situazione, Obama è ricorso ancora una volta al mezzo televisivo. Un discorso di dieci minuti, nel quale ha descritto con toni drammatici il pericolo che si prospetta se repubblicani e democratici non troveranno un accordo sul modo in cui alzare il livello del debito federale entro il 2 agosto: "Per la prima volta nella storia ci troveremmo senza soldi per pagare i conti. Sarebbe un esito sconsiderato e irresponsabile". Obama ha accusato gli avversari di avere respinto le sue proposte, basate su un "approccio equilibrato che chiamava tutti a piccoli sacrifici". Ma quella che il presidente definisce "una rilevante minoranza di repubblicani al Congresso insiste perché vengano varati solo tagli fiscali senza chiedere nulla ai ricchi e alle grandi aziende"", cioè senza cancellare le agevolazioni concesse in passato da Bush ai ceti privilegiati. Dunque c’è disaccordo sui tempi dell’operazione riguardante l’innalzamento del debito, e c’è disaccordo anche sulle misure che dovrebbero accompagnarla sul terreno della riduzione del deficit. Ma l’impressione è che su quest’ultimo fronte i democratici siano disposti a cedere ancora, mentre la chiusura totale è verso le pretese repubblicane di dividere l’intervento sul debito in due fasi. In maniera che il secondo provvedimento arrivi in piena campagna per le presidenziali del 2012 e Obama rimanga a lungo sulla graticola. Ieri Boehner si è mostrato molto fiducioso con la stampa:"È ora che il Congresso si metta al lavoro, ed il primo passo da compiere è assicurarci che la nostra proposta sia approvata alla Camera".. Non è escluso che il testo elaborato dai repubblicani sia sottoposto già oggi al vaglio dei deputati. In quel ramo del Parlamento, che è presieduto dallo stesso Boehner, l’Elefante ha la maggioranza. Con ogni probabilità però il testo sarebbe poi respinto al Senato, dove i numeri sono rovesciati a vantaggio dei Democratici. 27 luglio 2011
Somalia in ginocchio: migliaia di bambini a rischio IMGNon hanno più niente i somali. Non hanno acqua, non hanno cibo, non hanno un tetto, non hanno le cure mediche basilari. E come se non bastasse il sanguinoso conflitto che vede contrapposti i ribelli fondamentalisti di al-Shabaab e i peacekeeper della missione Amison, in difesa dell'attuale governo di transizione, i somali stanno anche subendo una feroce siccità. La peggiore degli ultimi 60 anni. La carestia, che ha colpito tutto il Corno d'Africa, ha già ucciso migliaia di persone e ne minaccia 12 milioni tra Etiopia, Gibuti, Kenia, Uganda e Sudan. Gli sfollati sono migliaia e aumentano ogni giorno di più. "Sono circa 40mila i somali che si sono mossi nell'ultimo mese, costretti alla fuga da siccità e carestia, si sono riversati a Mogadiscio in cerca di cibo, acqua, assistenza – dicono dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) – negli ultimi due mesi la città ha visto arrivare circa 100mila sfollati a un ritmo di mille al giorno, e la cifra è destinata ad aumentare". Ma a Mogadiscio le scorte alimentari sono insufficienti, nonostante gli sforzi delle organizzazioni internazionali, e questo provoca disordini e saccheggi con il risultato che le persone più deboli e vulnerabili si ritrovano a mani vuote. I bambini sopratutto. É questa l'emergenza nell'emergenza. Save the Children e Unicef lanciano allarmi a ripetizione. "Questa è una carestia infantile", dicono. "La grandezza della sofferenza e le perdite sono enormi. Le immagini che abbiamo visto dal Corno d'Africa parlano da sole. Oltre mezzo milione di bambini sono a rischio di morte imminente a causa di malnutrizione acuta grave. Tra Somalia, Etiopia e Kenya, sono circa 2,3 milioni i bambini già affetti da malnutrizione acuta. Già prima dell'emergenza questi bambini erano tra i più svantaggiati del mondo. Vivono in bilico e diventano più vulnerabili giorno dopo giorno, privati di ogni bisogno umano e di ogni diritto fondamentale. Si tratta di un doppio disastro". È l'appello del direttore dell'Unicef Anthony Lake. Per Save The Children un milione di bambini nella sola Somalia potrebbe morire se i leader mondiali presenti oggi al summit sull'emergenza non riescono ad evitare il mancato stanziamento di un miliardo di dollari di aiuti per la crisi dell'Africa orientale. Il summit per l'emergenza, convocato su richiesta della Presidenza francese, si pone l'obiettivo di mobilitare gli aiuti internazionali per salvare la vita delle popolazioni colpite in Kenya, Etiopia e Somalia. Però, nonostante abbia organizzato il vertice, il governo francese ha donato solo 2,6 milioni di dollari, ben lontani dagli 85 donati recentemente dal governo Uk, e l'Italia, che ospita l'incontro a Roma ed è la quarta economia europea, ha contribuito con soli 900.000 dollari. Intanto però a Mogadiscio i somali sono disperati, sfollati, ridotti alla fame, in cerca delle poche risorse messe a disposizione dagli immani sforzi delle organizzazioni umanitarie. Domani dovrebbe finalmente decollare un ponte aereo della Pam (Programma Alimentare Mondiale) 14 tonnellate di alimenti altamente nutritivi destinati a Mogadiscio. I voli erano in programma già oggi ma non meglio precisati problemi doganali li hanno bloccati. Mentre è partita la campagna di vaccinazione dell'Unicef che raggiungerà 40 mila bambini e 46 mila donne di Mogadiscio. E domani anche il Pd si interesserà alla questione somala. Bersani presenterà con l'Agenzia Italiana Risposta Emergenze (Agire), l'accordo sottoscritto per le emergenze umanitarie. "Si tratta di attivare, per quanto concerne il Pd, le proprie strutture e gli iscritti nel sostenere le campagne di aiuto legate all'emergenza umanitaria. É un'esperienza di raccordo con il mondo del volontariato e della cooperazione per salvare delle vite umane. Il primo impegno è immediato ed è rivolto alla Somalia". 26 luglio 2011
2011-07-26 Somalia in ginocchio: migliaia di bambini a rischio IMGNon hanno più niente i somali. Non hanno acqua, non hanno cibo, non hanno un tetto, non hanno le cure mediche basilari. E come se non bastasse il sanguinoso conflitto che vede contrapposti i ribelli fondamentalisti di al-Shabaab e i peacekeeper della missione Amison, in difesa dell'attuale governo di transizione, i somali stanno anche subendo una feroce siccità. La peggiore degli ultimi 60 anni. La carestia, che ha colpito tutto il Corno d'Africa, ha già ucciso migliaia di persone e ne minaccia 12 milioni tra Etiopia, Gibuti, Kenia, Uganda e Sudan. Gli sfollati sono migliaia e aumentano ogni giorno di più. "Sono circa 40mila i somali che si sono mossi nell'ultimo mese, costretti alla fuga da siccità e carestia, si sono riversati a Mogadiscio in cerca di cibo, acqua, assistenza – dicono dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) – negli ultimi due mesi la città ha visto arrivare circa 100mila sfollati a un ritmo di mille al giorno, e la cifra è destinata ad aumentare". Ma a Mogadiscio le scorte alimentari sono insufficienti, nonostante gli sforzi delle organizzazioni internazionali, e questo provoca disordini e saccheggi con il risultato che le persone più deboli e vulnerabili si ritrovano a mani vuote. I bambini sopratutto. É questa l'emergenza nell'emergenza. Save the Children e Unicef lanciano allarmi a ripetizione. "Questa è una carestia infantile", dicono. "La grandezza della sofferenza e le perdite sono enormi. Le immagini che abbiamo visto dal Corno d'Africa parlano da sole. Oltre mezzo milione di bambini sono a rischio di morte imminente a causa di malnutrizione acuta grave. Tra Somalia, Etiopia e Kenya, sono circa 2,3 milioni i bambini già affetti da malnutrizione acuta. Già prima dell'emergenza questi bambini erano tra i più svantaggiati del mondo. Vivono in bilico e diventano più vulnerabili giorno dopo giorno, privati di ogni bisogno umano e di ogni diritto fondamentale. Si tratta di un doppio disastro". È l'appello del direttore dell'Unicef Anthony Lake. Per Save The Children un milione di bambini nella sola Somalia potrebbe morire se i leader mondiali presenti oggi al summit sull'emergenza non riescono ad evitare il mancato stanziamento di un miliardo di dollari di aiuti per la crisi dell'Africa orientale. Il summit per l'emergenza, convocato su richiesta della Presidenza francese, si pone l'obiettivo di mobilitare gli aiuti internazionali per salvare la vita delle popolazioni colpite in Kenya, Etiopia e Somalia. Però, nonostante abbia organizzato il vertice, il governo francese ha donato solo 2,6 milioni di dollari, ben lontani dagli 85 donati recentemente dal governo Uk, e l'Italia, che ospita l'incontro a Roma ed è la quarta economia europea, ha contribuito con soli 900.000 dollari. Intanto però a Mogadiscio i somali sono disperati, sfollati, ridotti alla fame, in cerca delle poche risorse messe a disposizione dagli immani sforzi delle organizzazioni umanitarie. Domani dovrebbe finalmente decollare un ponte aereo della Pam (Programma Alimentare Mondiale) 14 tonnellate di alimenti altamente nutritivi destinati a Mogadiscio. I voli erano in programma già oggi ma non meglio precisati problemi doganali li hanno bloccati. Mentre è partita la campagna di vaccinazione dell'Unicef che raggiungerà 40 mila bambini e 46 mila donne di Mogadiscio. E domani anche il Pd si interesserà alla questione somala. Bersani presenterà con l'Agenzia Italiana Risposta Emergenze (Agire), l'accordo sottoscritto per le emergenze umanitarie. "Si tratta di attivare, per quanto concerne il Pd, le proprie strutture e gli iscritti nel sostenere le campagne di aiuto legate all'emergenza umanitaria. É un'esperienza di raccordo con il mondo del volontariato e della cooperazione per salvare delle vite umane. Il primo impegno è immediato ed è rivolto alla Somalia". 26 luglio 2011
"Dal sangue nasca la pace: ricostruiamo Utoya" utoya vista isola 304 Il partito laburista norvegese (Ap) ha lanciato la "ricostruzione" di Utoya, l'isola sulla quale venerdì scorso l'estremista xenofobo Anders Behring Breivik ha ucciso a sangue freddo 68 giovani che partecipavano al campo estivo del movimento giovanile (Auf), trasformandola in un "simbolo per tutti i norvegesi", nella "culla per tutti i giovani impegnati". Il miliardario Petter Stordalen, 49 anni, tycoon dell'industria alberghiera, ha aperto la sottoscrizione pubblica con una offerta di 5 milioni di corone (circa 650.000 euro): "Quelli che hanno perso la vita devono vedere che lottiamo per il futuro della democrazia norvegese". Il lancio del progetto di ristrutturazione e della raccolta di fondi è stato annunciato dal leader dell'Auf, Eskil Pedersen, e dallo stesso Stordalen con una conferenza stampa tenuta all'aperto nella piazza Youngstorvet, di fronte alla sede dello Arbeiderpartiet. Una pagina internet è stata aperta con l'obiettivo di raggiungere la somma di 15 milioni di corone, indicata da Stordalen e Pedersen come quella approssimativamente necessaria per rifare le strutture dell'isola in modo che Utoya - donata nel 1950 al partito laburista e da allora sede del tradizionale campeggio estivo dei suoi giovani militanti - possa continuare ad ospitare i campi senza suscitare ricordi visivi dell'orrore del 22 luglio. La "nuova Utoya" secondo Pedersen dovrà "essere un posto per tutti, non solo per i giovani dell'Auf, ma un posto in cui si possa crescere nella pace e nella democrazia". 26 luglio 2011
2011-07-25 Breivik rivela: "Altre due cellule coinvolte" tribunale breivik 640 Anders Behring Breivik ha detto che esistono altre due cellule coinvolte nelle stragi di Oslo. Lo ha riferito il presidente del Tribunale di Oslo, Geir Engebretsen.Anders Behring Breivik, autore del duplice attentato di venerdì in Norvegia, è stato accusato di atti terroristici e resterà in custodia cautelare per otto settimane, di cui quattro in isolamento totale, senza nessun contatto con l'esterno. Lo hanno dichiarato i giudici dell'udienza preliminare che hanno ascoltato l'uomo. Breivik ha agito allo scopo di "dare un forte segnale per la salvezza europea". È quanto ha affermato - secondo quanto riferito dal giudice - lo stesso attentatore nel corso dell'udienza preliminare al Tribunale di Oslo. Una frase che ricalca i propositi già espressi nel memoriale di 1.500 pagine diffuso da Breivik su internet poco prima degli attacchi di Oslo. La prima udienza per Breivik si è conclusa. Circa 35 minuti dopo l'inizio dell'udienza una guardia è uscita e ha detto ai giornalisti che la sessione era finita e che "tutti se ne erano andati". La rete tv norvegese Nrk ha fatto sapere che giornalisti e residenti di Oslo hanno assalito un'automobile arrivata davanti alla sede del tribunale di Oslo. Qualcuno ha gridato un insulto, credendo che Breivik fosse dentro la macchina. La rete Nrk ha tuttavia riferito che il 32enne è stato portato nel tribunale attraverso un ingresso laterale in un convoglio della polizia. Breivik voleva raggiungere il campo estivo del Partito laburista sull'isola di Utoya durante la visita dell'ex primo ministro Harlem Brundtland. Lo riferisce il quotidiano norvegese Aftenposten, senza citare fonti. La Brundtland aveva tuttavia lasciato l'isola prima dell'inizio della sparatoria, in cui hanno perso la vita almeno 86 persone. Il portavoce della polizia di Oslo, Henning Holtaas, non ha voluto commentare le rivelazioni di Aftenposten. A dispetto della sua rigida morale sessuale, che lo portava a stigmatizzare i comportamenti sessuali altrui e i 'numerosi partner' avuti dalla madre e dalla sorella, Anders Behrig Breivik progettava di "festeggiare" la sua imminente operazione "di martirio" con una bottiglia francese di Chateau Kirwan del 1979 e due "prostitute di alto bordo". A spulciare nelle 1.500 pagine del memoriale messo in rete dall'attentatore prima della sua "missione", si scoprono dettagli che aggiungono del grottesco all'orrore della vicenda. "La mia interpretazione dell'essere un 'perfetto cavaliere' - scriveva Breivik - non include e non dovrebbe includere il celibato, anche se alcuni dei miei pari, cavalieri templari, non sarebbero d'accordo con me su questo punto". Breivik racconta anche delle pressioni che riceveva da amici e familiari per il fatto di essere "l'unico ancora single". "Gli ho detto che inizierò di nuovo a uscire con ragazze da agosto - scriveva -, credo che sia il modo più facile per evitare la pressione sociale". Breivik aveva inviato il suo 'manifesto' - un libro di 1500 pagine in cui invoca una rivoluzione europea contro il marxismo, l'islam ed il multiculturalismo - ad alcuni politici dell'estrema destra finlandese. Tra i destinatari, la parlamentare di Tampere del partito dei 'Veri finlandesi', Terhi Kiemunki. Lo rivela un quotidiano di Helsinki, Iltalehti, secondo il quale Breivik ha spedito il suo 'manifestò (intitolato '2083 - Dichiarazione europea di indipendenzà) alle 14.20 di venerdì scorso, ovvero appena un'ora prima dell'esplosione che ha sconvolto il centro di Oslo e tre ore prima di attaccare l'isola di Utoya dove ha massacrato oltre 80 giovani attivisti del partito laburista. Il partito dei 'veri finlandesì nel marzo scorso è balzato al 19% diventando la terza forza politica del Paese. Ha, tra l'altro, una linea politica decisamente antieuropeista. Queste, e le dichiarazioni del legale, chiudono in modo drammatico una giornata che la pacifica e progressista Norvegia, all'indomani dello sconvolgente attentato, aveva iniziato in uno stato di vero e proprio shock. Ieri mattina infatti il paese ha scoperto con angoscia che i morti non erano stati 17, come era sembrato in un primo momento, ma molti di più. E che a provocare la strage non era stato il terrorismo islamico, come era stato ipotizzato, ma il fanatismo di un connazionale, il 32enne Anders Behring Breivik, bianco, biondo, cristiano fondamentalista con simpatie di estrema destra, iscritto a una loggia massonica e con avversione per l'islam e la società multiculturale. Due i massacri, che hanno suscitato condanna e cordoglio in tutto il mondo, da Barack Obama a Angela Merkel, dalla Russia ai palestinesi di Fatah, al Papa. Il primo nel centro di Oslo, dove un'autobomba è esplosa nel primo pomeriggio di venerdi vicino alla sede del governo e alla redazione del tabloid Vg, provocando la morte di almeno 7 persone; il secondo, efferato, compiuto circa due ore più tardi, sull'isoletta di Utoya, dove si teneva un campo estivo annuale dei giovani del partito laburista e dove un uomo, in uniforme da poliziotto, armato di una pistola, di un fucile a canne mozze e di un'arma automatica, ha ucciso almeno 85 persone, per lo più adolescenti, imperversando per quasi un'ora e mezza indisturbato prima di arrendersi alla polizia. Fra le molte persone che si sono lanciate in acqua per salvarsi ci sono almeno 4 o 5 dispersi, che vengono cercati anche con l'ausilio d'un piccolo sommergibile. Se saranno trovati morti, potrebbe salire a 97-98 il bilancio delle vittime, non ancora definitivo per le gravissime condizioni di almeno una ventina fra i feriti. La polizia ha detto di non poter ancora escludere che l'assassino abbia avuto dei complici ma di non avere neppure elementi di conferma. Ha però fatto sapere che Breivik, ha confessato la strage di Utoya, l'isoletta su un lago a 40 km da Oslo, dove è stato arrestato "senza opporre resistenza" dopo il massacro. Non ha ancora accertato ufficialmente la responsabilità dell'uomo nella strage di Oslo, anche se quanto riferito dal suo legale non lascia spazio a ulteriori dubbi. Gli indizi contro Breivik (ribattezzato con le iniziali ABB dai media) sono comunque tanti: l'esplosivo trovato sull'isola; la bomba fabbricata nella fattoria in cui si era trasferito e dove aveva "tonnellate" di concime chimico utilizzabile anche per confezionare ordigni esplosivi; testimoni che l'hanno visto nella zona dell'esplosione a Oslo. I sopravissuti, radunati in un albergo nel villaggio di Sundvollen, vicino all'isoletta, hanno raccontato l'inferno, l'assassino che si muoveva con calma sparando sulla folla di giovani, colpendo alla testa i feriti o coloro che si fingevano morti, mitragliando chi si lanciava in acqua per fuggire a nuoto. "Ho sentito urla. Ho visto gente che chiedeva pietà, ho sentito tanti spari, anch'io ero sicuro che sarei morto", racconta Kursetgjerde, 18 anni, che si è nascosto fra le piante, è fuggito a nuoto ed è stato soccorso da una barca. L'ideologia di ABB, che è stato anche iscritto al partito del progresso (conservatore) negli anni passati, è esposta su vari forum, fra cui il norvegese Document.no, ma anche su uno neonazista svedese, Nordisk. Si descrive come "single, cristiano e conservatore", che odia Islam, multiculturalismo, marxismo, accomunandoli al nazismo come ideologie fondate sull' odio. Accusa la laburista Gro Harlem Brundlandt, primo ministro per tre mandati tra il 1981 e il 1996, di aver "assassinato il Paese". Il giovane risulta anche membro della loggia massonica norvegese di San Giovanni Olaus dei Tre Pilastri, che ora ha preso le distanze da lui. Iscritto a Facebook e a Twitter, ha riassunto la sua filosofia in una citazione del filosofo inglese John Stuart Mill: "Una persona con una fede ha la forza di 100.000 che coltivano solo i loro interessi". È proprietario della Breivik Geofarm, che produceva coltivazioni biologiche a 150 chilometri da Oslo, dove teneva i fertilizzanti. La polizia ha anche perquisito il suo appartamento di Oslo e ora sta setacciando il suo computer per accertare eventuali collegamenti con una non meglio precisata 'rete del terrorè. Il Re di Norvegia, Harald, la regina Sonia e gran parte della famiglia reale, insieme al capo al premier laburista Jens Stoltenberg e diversi ministri, hanno fatto visita al luogo della strage e ai sopravvissuti. E il premier, che ha definito gli attacchi una "tragedia nazionale" che non farà piombare nel terrore la "società aperta" che è il "marchio di fabbrica" della Norvegia, ha fatto sapere che il livello di allerta terrorismo non è stato elevato.
QUI SOTTO, LE 1500 PAGINE SCRITTE DA BREIVIK: IL SUO MEMORIALE DELL'ORRORE 25 luglio 2011
"Sarò il peggior mostro dalla Seconda Guerra" Attentato a Oslo Anders Behring Breivik, l'uomo che ha confessato il duplice attentato di venerdì in Norvegia, voleva raggiungere il campo estivo del Partito laburista sull'isola di Utoya durante la visita dell'ex primo ministro Harlem Brundtland. Lo riferisce il quotidiano norvegese Aftenposten, senza citare fonti. La Brundtland aveva tuttavia lasciato l'isola prima dell'inizio della sparatoria, in cui hanno perso la vita almeno 86 persone. Il portavoce della polizia di Oslo, Henning Holtaas, non ha voluto commentare le rivelazioni di Aftenposten. Ci sono anche minacce al Papa e all'Italia nei proclami che l'attentatore di Oslo e Utoya, Anders Behring Breivik, aveva diffuso sul web subito prima della strage di venerdì scorso. Lo sostiene il sociologo Massimo Introvigne, rappresentante dell'Osce per la lotta al razzismo e alla discriminazione contro i cristiani, che ha analizzato un lungo testo firmato "Andrew Bervik", sicuramente attribuibile a Breivik e diffuso su un sito criptato il 22 luglio, a poche ore dai suoi attacchi terroristici. Intanto, sei persone sono state fermate en poi rilasciate dalla polizia norvegese nell'operazione in un quartiere orientale di Oslo, collegata agli attacchi di venerdì scorso. Lo si è constatato sul posto. L'operazione è in corso si svolge in un quartiere estremamente popolare della capitale norvegese in cui abitano molti stranieri, in particolare di nazionalità est europea. Anders Behring Breivik, l'estremista cristiano norvegese arrestato per la duplice strage perpetrata venerdi a Oslo in cui almeno 93 persone sono rimaste uccise, davanti alla polizia si è assunto la responsabilità del suo gesto . L'arrestato è "collaborativo" con gli inquirenti. Lo ha detto un portavoce della polizia di Oslo, Viola Bjelland. Quest'ultima ha tuttavia rifiutato di fornire qualsiasi elemento sul movente. Il responsabile degli attentati ha detto di aver agito "da solo". La polizia indaga comunque per scoprire se ci fossero "uno o più" tiratori nel corso della sparatoria nell'isola di Utoya. Nella notte l'avvocato di Breivik aveva reso noto che il suo assistito aveva confessato la strage, pianificata "per lungo tempo", almeno dal 2009. "Ritiene che sia stato crudele dover compiere questa azione, ma che, nella sua testa, era necessaria", ha detto l'avvocato Geir Lippestad. Lo ha riferito ieri sera alla Tv norvegese il legale che lo rappresenta, aggiungendo che il suo assistito lunedi comparirà davanti a un magistrato che dovrà decidere se rilasciarlo o se trattenerlo in carcere. Davanti al giudice, ha detto l'avvocato, "spiegherà tutto". Breivik aveva inviato il suo 'manifesto' - un libro di 1500 pagine in cui invoca una rivoluzione europea contro il marxismo, l'islam ed il multiculturalismo - ad alcuni politici dell'estrema destra finlandese. Tra i destinatari, la parlamentare di Tampere del partito dei 'Veri finlandesi', Terhi Kiemunki. Lo rivela un quotidiano di Helsinki, Iltalehti, secondo il quale Breivik ha spedito il suo 'manifestò (intitolato '2083 - Dichiarazione europea di indipendenzà) alle 14.20 di venerdì scorso, ovvero appena un'ora prima dell'esplosione che ha sconvolto il centro di Oslo e tre ore prima di attaccare l'isola di Utoya dove ha massacrato oltre 80 giovani attivisti del partito laburista. Il partito dei 'veri finlandesì nel marzo scorso è balzato al 19% diventando la terza forza politica del Paese. Ha, tra l'altro, una linea politica decisamente antieuropeista. Queste, e le dichiarazioni del legale, chiudono in modo drammatico una giornata che la pacifica e progressista Norvegia, all'indomani dello sconvolgente attentato, aveva iniziato in uno stato di vero e proprio shock. Ieri mattina infatti il paese ha scoperto con angoscia che i morti non erano stati 17, come era sembrato in un primo momento, ma molti di più. E che a provocare la strage non era stato il terrorismo islamico, come era stato ipotizzato, ma il fanatismo di un connazionale, il 32enne Anders Behring Breivik, bianco, biondo, cristiano fondamentalista con simpatie di estrema destra, iscritto a una loggia massonica e con avversione per l'islam e la società multiculturale. Due i massacri, che hanno suscitato condanna e cordoglio in tutto il mondo, da Barack Obama a Angela Merkel, dalla Russia ai palestinesi di Fatah, al Papa. Il primo nel centro di Oslo, dove un'autobomba è esplosa nel primo pomeriggio di venerdi vicino alla sede del governo e alla redazione del tabloid Vg, provocando la morte di almeno 7 persone; il secondo, efferato, compiuto circa due ore più tardi, sull'isoletta di Utoya, dove si teneva un campo estivo annuale dei giovani del partito laburista e dove un uomo, in uniforme da poliziotto, armato di una pistola, di un fucile a canne mozze e di un'arma automatica, ha ucciso almeno 85 persone, per lo più adolescenti, imperversando per quasi un'ora e mezza indisturbato prima di arrendersi alla polizia. Fra le molte persone che si sono lanciate in acqua per salvarsi ci sono almeno 4 o 5 dispersi, che vengono cercati anche con l'ausilio d'un piccolo sommergibile. Se saranno trovati morti, potrebbe salire a 97-98 il bilancio delle vittime, non ancora definitivo per le gravissime condizioni di almeno una ventina fra i feriti. La polizia ha detto di non poter ancora escludere che l'assassino abbia avuto dei complici ma di non avere neppure elementi di conferma. Ha però fatto sapere che Breivik, ha confessato la strage di Utoya, l'isoletta su un lago a 40 km da Oslo, dove è stato arrestato "senza opporre resistenza" dopo il massacro. Non ha ancora accertato ufficialmente la responsabilità dell'uomo nella strage di Oslo, anche se quanto riferito dal suo legale non lascia spazio a ulteriori dubbi. Gli indizi contro Breivik (ribattezzato con le iniziali ABB dai media) sono comunque tanti: l'esplosivo trovato sull'isola; la bomba fabbricata nella fattoria in cui si era trasferito e dove aveva "tonnellate" di concime chimico utilizzabile anche per confezionare ordigni esplosivi; testimoni che l'hanno visto nella zona dell'esplosione a Oslo. I sopravissuti, radunati in un albergo nel villaggio di Sundvollen, vicino all'isoletta, hanno raccontato l'inferno, l'assassino che si muoveva con calma sparando sulla folla di giovani, colpendo alla testa i feriti o coloro che si fingevano morti, mitragliando chi si lanciava in acqua per fuggire a nuoto. "Ho sentito urla. Ho visto gente che chiedeva pietà, ho sentito tanti spari, anch'io ero sicuro che sarei morto", racconta Kursetgjerde, 18 anni, che si è nascosto fra le piante, è fuggito a nuoto ed è stato soccorso da una barca. L'ideologia di ABB, che è stato anche iscritto al partito del progresso (conservatore) negli anni passati, è esposta su vari forum, fra cui il norvegese Document.no, ma anche su uno neonazista svedese, Nordisk. Si descrive come "single, cristiano e conservatore", che odia Islam, multiculturalismo, marxismo, accomunandoli al nazismo come ideologie fondate sull' odio. Accusa la laburista Gro Harlem Brundlandt, primo ministro per tre mandati tra il 1981 e il 1996, di aver "assassinato il Paese". Il giovane risulta anche membro della loggia massonica norvegese di San Giovanni Olaus dei Tre Pilastri, che ora ha preso le distanze da lui. Iscritto a Facebook e a Twitter, ha riassunto la sua filosofia in una citazione del filosofo inglese John Stuart Mill: "Una persona con una fede ha la forza di 100.000 che coltivano solo i loro interessi". È proprietario della Breivik Geofarm, che produceva coltivazioni biologiche a 150 chilometri da Oslo, dove teneva i fertilizzanti. La polizia ha anche perquisito il suo appartamento di Oslo e ora sta setacciando il suo computer per accertare eventuali collegamenti con una non meglio precisata 'rete del terrorè. Il Re di Norvegia, Harald, la regina Sonia e gran parte della famiglia reale, insieme al capo al premier laburista Jens Stoltenberg e diversi ministri, hanno fatto visita al luogo della strage e ai sopravvissuti. E il premier, che ha definito gli attacchi una "tragedia nazionale" che non farà piombare nel terrore la "società aperta" che è il "marchio di fabbrica" della Norvegia, ha fatto sapere che il livello di allerta terrorismo non è stato elevato QUI SOTTO: LE 1500 PAGINE SCRITTE DA BREIVIK: IL SUO MEMORIALE DELL'ORRORE24 luglio 2011
Debito Usa, non c'è accordo. Scivolano le Borse Obama preoccupato Un accordo ancora non c'è e repubblicani e democratici vanno ognuno per la propria strada, avanzando piani diversi per ridurre il deficit e il debito. Il presidente Barack Obama vede i leader democratici del Congresso, Harry Reid e Nancy Pelosi. Lo speaker della Camera, John Boehner, aggiorna i membri del suo partito sulle negoziazioni. Le parti sono ancora distanti, con i repubblicani che spingono per un accordo in due fasi e i democratici che si oppongono a un piano a breve termine. Boehner resta convinto che l'unica soluzione è un aumento del tetto del debito in due fasi, una immediata con 1.000 miliardi di dollari di tagli. E una nel 2012, in piena campagna elettorale, dopo che una commissione avrà individuato le spese da tagliare. La Casa Bianca ritiene la proposta inaccettabile: e il dollaro subito recupera le perdite accumulate nelle contrattazioni pre-borsa sui mercati asiatici. Le borse più che all'aumento del tetto del debito guardano con attenzione a un possibile downgrade se non sarà raggiunto un un ampio accordo di riduzione del deficit e del debito. Reid per i democratici sta mettendo a punto una misura che prevede tagli da 2.700 miliardi di dollari. Alla scadenza del 2 agosto mancano solo otto giorni e le parti cercano una soluzione in extremis per evitare il default. Il piano di Boehner "non ha senso, non è un punto di partenza" afferma categorico il segretario al Tesoro, Timothy Geithner, secondo il quale l'aumento del limite legale del debito deve essere lasciato fuori dalla politica. Il presidente Barack Obama potrebbe opporre il proprio veto a un piano di aumento del debito che non copra i bisogni finanziari degli Stati Uniti fino al 2013, dopo le elezioni presidenziali, mette in guardia il capo dello staff della Casa Bianca, William Daley. L'amministrazione Obama, coinvolta attivamente nelle negoziazioni come ha precisato Geithner smentendo le indiscrezioni su un'esclusione del presidente, resta fiduciosa: un default sarà evitato. "È impensabile" evidenzia Geithner. "Quello che è più importante è scongiurare la minaccia di default per i prossimi 18 mesi": l'economia è debole e un default avrebbe effetti catastrofici. Un impatto "devastante" lo avrebbe anche il piano dei repubblicani. "Ritengo che la forza della ragione stia prevalendo. Ci sono dei progressi" aggiunge Geithner, mettendo in evidenza che le cornici di accordo sulle quali si sta lavorando sono due. Una è quella discussa da Obama e Boehner con tagli alla spesa e un aumento delle entrate. L'altra è la proposta avanzata da dal leader dei repubblicani in Senato, Mitch McConnell. "Sono sul tavolo e possono essere combinate in vari modi". 25 luglio 2011
2011-05-08 Osama, l'ultimo audio: "Sicurezza Usa legata a Gaza" Nell'ultima registrazione prima di essere eliminato lunedì scorso Osama bin Laden avvertiva gli Stati Uniti che la loro sicurezza dipende da quella dei palestinesi. Il messaggio è stato messo in rete oggi su un sito estremista islamico. In questo messaggio rivolto al presidente americano Barack Obama, Osama avverte che "l'America non potrà sognare la sicurezza fino a quando non vivremo in pace in Palestina". "È ingiusto che voi viviate in pace mentre i nostri fratelli nella Striscia di Gaza vivono in condizioni di insicurezza. A causa di ciò e con la volontà di Dio, i nostri attacchi contro di voi continueranno fino a quando proseguirà il vostro sostegno agli israeliani", aggiunge lo "sceriffo del terrore" in questo breve messaggio. La moglie: non ha fatto in tempo a prendere l'arma La notte del raid americano nella villa-bunker di Abbottabad, Osama bin Laden e Amal, la moglie yemenita, erano appena andati a letto e spento la luce, quando hanno sentito degli spari. Prima che il capo di al Qaida potesse prendere il suo kalashnikov, la squadra dei Navy Seals ha fatto irruzione e sparato al marito. È quanto ha raccontato la stessa Amal Ahmed Al Sadah negli interrogatori delle forze di sicurezza pachistane, secondo quanto riferiscono due ufficiali al quotidiano pachistano Dawn. La donna, 29 anni, ha aggiunto che lei stessa è rimasta ferita a una gamaba mentre cercava di resistere agli americani. Usa: ecco l'Osama "mai visto" Gli Stati Uniti diffondono i video1 di Osama bin Laden, privi di audio, sequestrati durante il raid di lunedi che ha portato all'eliminazione del fondatore di al Qaeda. Secondo alcune anticipazioni di media americani, i video mostrano uno spaccato della vita quotidiana di Osama bin laden nella casa di Abbottabad. La Cnn ha riferito che in un video il leader di Al Qaida compare mentre passeggia, in un altro mentre guarda un suo stesso filmato, in un altro ancora nell'atto di indossare la tunica e il copricapo tradizionali. E ancora: in un altro filamto bin Laden sembra essersi tinto la barba e averla accorciata appositamente per una registrazione di propaganda. I video sono stati mostrati ai giornalisti da alcuni ufficiali dell'intelligence americana, che hanno riferito che si tratta solo di alcune delle clip ritrovate nel compound. Nel raid di Abbottabad, inoltre, sono stati sequestrati numeri di telefono e documenti che le autorità sperano possano aiutare a scoprire di più su al-Qaeda. Il rifugio-bunker ad Abbottabad dove è stato ucciso lunedì Osama bin Laden era a tutti gli effetti "un centro di comando e controllo attivo" di al Qaeda. Lo riferiscono fonti del Pentagono. Osama bin Laden viveva in una città del Pakistan non lontana da Islamabad da più tempo rispetto a quanto creduto dagli investigatori, almeno dalla fine del 2003. È quanto emerge dagli interrogatori a cui è stata sottoposta una delle mogli dell'ex numero uno di al-Qaeda, la 29enne yemenita Amal, riportati dal quotidiano pakistano Dawn. Secondo fonti ufficiali vicine alle indagini, la donna avrebbe detto che, prima di trasferirsi nel compound di Abbottabad, alla fine del 2005, Bin Laden visse a Chak Shah Mohammad Khan, villaggio nel vicino distretto di Haripur per quasi due anni e mezzo. Chak Shah Mohammad Khan, situata sull'autostrada che porta ad Abbottabad, si trova a 2 chilometri a sudest della città di Haripur, a poche decine di chilometri da Islamabad. In base a queste dichiarazioni, dunque Osama avrebbe lasciato la regione tribale al confine tra Pakistan e Afghanistan nel 2003. La più giovane delle mogli di Osama bin Laden, ha anche dichiarato che il marito era in salute e in buone condizioni fisiche e si era ripreso dai suoi problemi ai reni. Lo riporta il sito del quotidiano pakistano Dawn. Il numero di al-Qaeda, ucciso lunedì scorso da un raid statunitense ad Abbottabad, dove Amal è rimasta ferita a una gamba, era stato sottoposto a due interventi chirurgici nella provincia sudoccidentale afghana di Kandahar, durante il regime talebano, e poi si era ripreso. "Non era mai debole a fragile", ha detto un ufficiale citando la giovane moglie di Bin Laden, la quale ha smentito la credenza che Osama si sottoponesse a dialisi per curare le problematiche ai reni. La notte del raid americano nella villa-bunker di Abbottabad, Osama bin Laden e Amal, la moglie yemenita, erano appena andati a letto e spento la luce, quando hanno sentito degli spari. Prima che il capo di al Qaida potesse prendere il suo kalashnikov, la squadra dei Navy Seals ha fatto irruzione e sparato al marito. È quanto ha raccontato la stessa Amal Ahmed Al Sadah negli interrogatori delle forze di sicurezza pachistane, secondo quanto riferiscono due ufficiali al quotidiano pachistano Dawn. La donna, 29 anni, ha aggiunto che lei stessa è rimasta ferita a una gamaba mentre cercava di resistere agli americani. Gli Stati Uniti si apprestano a diffondere i video di Osama bin Laden sequestrati durante il raid di lunedi che ha portato all'eliminazione del fondatore di al Qaeda. Secondo alcune anticipazioni di media americani, i video mostrano uno spaccato della vita quotidiana di Osama bin laden nella casa di Abbottabad. La Cnn ha riferito che in un video il leader di Al Qaida compare mentre passeggia, in un altro mentre guarda la televisione, in un altro ancora nell'atto di indossare la tunica e il copricapo tradizionali. 8 maggio 2011
I ribelli libici: armi dall'Italia La Farnesina smentisce * * * * libia ribelle in festa a misurata Il consiglio nazionale di transizione (cnt), braccio politico della ribellione libica, ha detto che l'italia ha accettato di fornire "molto presto" delle armi per contribuire a combattere le forze fedeli al leader muammar gheddafi. "Ci daranno le armi e le riceveremo molto presto", ha detto ai giornalisti il vice presidente del cnt, Abdel Hafiz Ghoga, spiegando che alcuni ufficiali militari avevano firmato un accordo in tal senso con dei funzionari italiani. Ad annunciare il presunto accordo per la fornitura di armanenti, è stato il vice presidente del Consiglio Transitorio, Abdel-Hafiz Ghoga, nel corso di una conferenza stampa tenuta a Bengasi. A detta di Ghoga, le autorità italiane "ci forniranno armi, che riceveremo molto presto". Il numero due del governo-ombra libico non ha specificato di quali armamenti si tratterebbe, limitandosi ad affermare che l'intesa riguarderebbe qualsiasi tipo di equipaggiamento fosse necessario. A suo dire, esponenti militari degli insorti si sarebbero recati proprio a tale scopo in Italia. Una delegazione del Consiglio era presente alla seconda riunione del cosiddetto Gruppo di Contatto sulla Libia, tenutasi l'altroieri a Roma. Fonti della Farnesina hanno seccamente smentto che presto l'Italia fornirà armi agli insorti, come annunciato dal Cnt. Le stesse fonti ricordano che l'Italia fornisce "materiali per l'autodifesa" secondo gli accordi Doha nel quadro della risoluzione 1973, ma nessun materiale d'attacco. 7 maggio 2011
2011-05-01 Raid Nato: ucciso Saif figlio ultimogenito di Gheddafi * * * * saif al arab gheddafi 640 Saif al-Arab Gheddafi, ultimogenito del leader libico, è stato ucciso ieri notte in un raid della Nato, secondo quanto annunciato da un portavoce del governo di Tripoli. "La casa di Saif al Arab, il più piccolo dei figli della Guida (il leader libico), è stata attaccata con potenti mezzi", ha detto il portavoce del governo di Tripoli, Mussa Ibrahim in una conferenza stampa. "La Guida si trovava nell'abitazione assieme a sua moglie con amici e parenti ed è sano e salvo" . Nell'attacco hanno perso la vita anche tre nipoti del colonnello. Il leader libico è dunque rimasto illeso. L'appello alla Nato: "Trattiamo" | Lega, mozione sulla Libia: "Subito stop al conflitto" | La denuncia Usa: Viagra ai soldati per commettere stupri Colpi di arma da fuoco sono stati sparati in aria a Bengasi, la 'capitale' degli insorti, all'annuncio dell'uccisione in un raid della Nato dell'ultimogenito del leader libico Muammar Gheddafi. Era Muammar Gheddafi il vero obbiettivo del raid della Nato in cui stanotte sono rimasti uccisi il figlio minore del rais, Saif al-Arab, e tre nipoti del leader libico. Lo ha detto il portavoce del governo di Tripoli, Mussa Ibrahim, in una conferenza stampa.
La Nato ha confermato di aver condotto un attacco aereo su un centro comando nel complesso di Bab al-Aziziya a Tripoli, residenza di Gheddafi, ma non ha confermato la morte di un figlio del rais, Saif al Arab, annunciata dal governo libico. Il comandante delle operazioni della Nato sulla Libia, il generale canadese Charles Bouchard, ha dichiarato che "la Nato ha continuato stanotte i suoi attacchi di precisione contro le installazioni militari del regime a Tripoli, compreso l'attacco a un noto edificio di comando e controllo nell'area di Bab al-Azizya poco dopo le ore 18 GMT (le 19 in Italia) di sabato sera". "Tutti gli obiettivi della Nato sono di natura militare - ha aggiunto Bouchard -. Non prendiamo di mira individui... Sono a conoscenza di notizie di stampa non confermate secondo le quali alcuni membri della famiglia Gheddafi potrebbero essere stati uccisi... Noi siamo rammaricati per ogni perdita di vite umane". Saif al-Arab Gheddafi era il sesto ed ultimo figlio del leader libico. Nato nel 1982 è morto stasera in un raid Nato a Tripoli in cui è sopravvissuto il Colonnello. Figlio di Safia Farkash, la seconda moglie di Gheddafi, Saif al-Arab era anche il figlio più gaudente e meno coinvolto nella gestione dello Stato. Dal 2006 ha studiato a Monaco di Baviera alla 'Tecnische Universitat'. Qui è rimasto coinvolto in una rissa con una guardia del corpo di un nightclub per difendere la fidanzata che era stata allontanata dal locale. La polizia tedesca nel 2008 gli sequestrò la potente Ferrari 430 per l'eccessivo rumore del motore che si divertiva a mandare fuori giri di notte. Lo stesso anno fu sospettato di contrabbandare armi da Monaco a Parigi in un'automobile con targa diplomatica. Il caso però fu lasciato cadere dalla procura del capoluogo bavarese. Secondo i media americani, a differenza del fratello Saif al Islam, al Arab non era mai apparso in televisione e aveva rilasciato pochissime dichiarazioni pubbliche. La risoluzione 1970 dell'Onu aveva imposto un divieto di viaggio a Seif Al Arab, ma non il sequestro dei suoi beni all'estero, come per altri figli dei rais. Dopo l'inizio della rivolta, il giovane Gheddafi era stato mandato dal padre all'est al comando di truppe per combattere gli insorti.
GLI OTTO FIGLI DI GHEDDAFI Il leader libico Muammar Gheddafi ha avuto otto figli da due moglie diverse: da Fatima ha avuto il primogenito Mohammad, da Safia gli altri. - Mohammad: l'imprenditore. Presidente del Comitato olimpico libico e capo di Lybiana, una delle due aziende nazionali di telefonia mobile. Secondo notizie dell'intelligence americana rivelate da Wikileaks, si Š scontrato con i fratelli Mutassim e Saadi per il controllo dell'azienda che produce la Coca Cola in Libia. - Saif Al Islam (39 anni): l'erede designato. È il pi— noto dei figli di Gheddafi, quello che tiene i rapporti con i media internazionali. Laureato in Inghilterra in Architettura, ha conseguito un dottorato alla London School of Economics con un tesi risultata in gran parte copiata. È sempre apparso come il pi— progressista dei figli del dittatore, quello pi— aperto alla democrazia e alle riforme. Possiede tre reti televisive e due giornali ed Š presidente della associazione caritatevole Fondazione Gheddafi. - Saadi (38): il leggerone. Giocatore di calcio senza talento, grazie alle conoscenze del padre ha militato brevemente in Perugia, Udinese e Sampdoria. È il pi— gaudente dei figli del rais, famoso per le feste e le imitazioni. Guida la Federcalcio libica e ha investito un centinaio di milioni di dollari in una societ… di Hollywood che avrebbe dovuto produrre film. Mandato a Bengasi all'inizio della rivolta, si Š salvato a stento dalle grinfie dei ribelli. - Mutassim Bilal: il militare. Tenente colonnello dell'esercito, ha guidato il Consiglio per la sicurezza nazionale. Dopo Saif al Islam, Š considerato un possibile erede di Muammar. - Hannibal: il picchiatore. Ha mandato in ospedale la moglie a Londra, ha picchiato fotografi e poliziotti in Italia, Š stato condannato per armi in Francia. È stato arrestato in Svizzera per maltrattamenti alla servit— e suo padre per rappresaglia ha scatenato una guerra diplomatica, tenendo agli arresti per mesi due cittadini elvetici. Ha avuto anche flirt con attricette italiane. - Aisha (33): la bella. Avvocato, ha fatto parte del collegio difensivo di Saddam Hussein. Nota per la sua bellezza, ma anche colta e intelligente, Š stata delegata dell'Onu per la lotta all'Aids. Sposata e madre di figli, dopo che Š scoppiata la rivolta Š apparsa in pubblico pi— volte a sostegno del padre. - Saif Al Arab (29): studente a Monaco di Baviera, si Š dedicato pi— alle feste che agli studi, facendosi denunciare per rissa in un locale, rumori molesti con la sua Ferrari, contrabbando di armi verso la Francia e altri affari non specificati. Dopo lo scoppio dell'insurrezione gli erano state affidate delle truppe per combattere i ribelli. Si era anche sparsa la voce che avesse defezionato e fosse passato con loro. Un raid della Nato lo ha ucciso stanotte nella sua casa di Tripoli, insieme a tre nipoti. Secondo il governo libico, nell'abitazione c'erano anche suo padre Muammar (vero obiettivo dell'attacco) e sua madre, che sono rimasti illesi. - Khamis (28): il macellaio (definizione degli insorti). Laureato all'accademia militare di Tripoli, comanda la Brigata Khamis, in prima linea nella repressione della ribellione. Era stato dato per morto il 20 aprile, ma la notizia era falsa. 1 maggio 2011
2011-04-16 Siria, Assad pronto a cedere: via lo stato d'emergenza * * * * bashar al assad presidente siria 304 Il leader di Damasco torna a promettere riforme alla Siria in piazza contro il regime. Lo stato d'emergenza , in vigore dal 1963, sarà revocato in una settimana al massimo. Lo ha di nuovo eveocato durante il discorso in corso a Damasco, in occasione della prima riunione del governo formato giovedì. A fine marzo, Assad - sotto la spinta riformatrice della piazza - ha incaricato una commissione giuridica di redigere una nuova legislazione per sostituire lo stato d'emergenza. Fra le riforme annunciate, anche una legge sul pluralismo dei partiti politici e una sui mass media. Il presidente ha poi espresso - nel discorso in diretta televisiva - la sua tristezza per la morte di decine di persone durante le manifestazioni contro il regime. "Le riforme risponderanno alle richieste dei manifestanti", ha detto il presidente siriano parlando per la prima volta al nuovo governo e nel suo secondo discorso dall'esplosione delle proteste senza precedenti nel Paese. L'abbandono dello Stato d'emergenza è una delle richieste chiave avanzate dai manifestanti in questo mese di proteste antigovernative, perché consentono al regime di arrestare i cittadini senza formulare accuse. Nel Paese dilaga ancora una volta la protesta. A sud migliaia di persone sono tornate anche oggi in piazza a Deraa, epicentro delle manifestazioni popolari costate finora diverse decine di morti: lo hanno riferito testimoni oculari raggiunti telefonicamente, secondo cui la folla brandiva cartelli con sopra l'effigie delle vittime della repressione, e scandiva in coro slogan quali "Il popolo vuole il rovesciamento del regime". Oltre un migliaio di donne hanno marciato per la democrazia e contro il regime anche a Banias, 280 chilometri a nord-ovest di Damasco, una delle città dove più duro è stato l'intervento delle forze di sicurezza. Al grido di "non sunniti, non alauiti. La libertà e ciò che vogliamo", hanno invaso il centro della città teatro di violenti scontri con molte vittime nel fine settimana scorso. Nella stessa cittadina, in migliaia hanno partecipato ai funerali di Osama al Shikha, morto per le ferite da colpi di arma da fuoco, che lo avevano raggiunto quasi una settimana fa, quando uomini in abiti civili, da molte auto in corsa, avevano aperto il fuoco indistintamente contro i fedeli che stavano pregando sulla spianata della grande moschea di Abu Bakr al-Sidiq. 16 aprile 2011
Arrigoni, due salafiti confessano "Siamo stati noi" * * * * arrigoni Hanno confessato due dei militanti salafiti arrestati ieri dalla polizia di Hamas nella Striscia di Gaza nel quadro delle indagini sul rapimento e l'uccisione del volontario italiano Vittorio Arrigoni. Lo riferiscono fonti investigative locali, precisando che uno dei due è ritenuto il killer di Arrigoni, mentre l'altro ha ammesso di avere svolto un ruolo di fiancheggiatore nella logistica del sequestro. Intanto, giornalisti, attivisti e membri di Ong si sono riuniti stamane nella sede della Provincia di Roma per dedicare pensieri e riflessioni a Vittorio Arrigoni, l'attivista italiano ucciso nella Striscia di Gaza. Nel corso dell'incontro è stato più volte ribadito che Arrigoni era un attivista, un pacifista, un coraggioso protagonista attivo in una lotta di verità e denuncia. "Vittorio era una persona coerente e coraggiosa - ha detto Alessandra Mecozzi, di Cgil internazionale - che aveva fatto del suo motto 'restiamo umanì il fondamento della sua vita. Sua madre si è detta orgogliosa di lui e noi tutti lo siamo con lei". Per la giornalista de Il Manifesto Giuliana Sgrena "essere dalla parte degli oppressi e dei più deboli significa per molti cronisti andarsi a cercare i guai". Fa eco a Sgrena il suo collega Loris Campetti: "non è vero che Vittorio odiava Israele, come ho letto su alcuni giornali. Era un pacifista vero e ora il problema è raccogliere il suo testimone, che deve essere collettivo". La portavoce della Piattaforma per le Ong italiane in Medio Oriente Silvia Stilli ha poi sottolineato la necessità di "togliere l'embargo di Israele dalla Striscia di Gaza", mentre il consigliere provinciale di Sinistra, Ecologia e Libertà Gianluca Peciola ha evidenziato che "ci sono due pesi e due misure nelle diplomazie e nell'applicazione delle risoluzioni dell'Onu". 16 aprile 2011
Misurata, pioggia di missili sulla città martire * * * * libia mezzo colpito Gheddafi scatena la furia sulla città martire. Potenti esplosioni hanno scosso Misurata, una delle più devastate dai combattimenti in Libia. Mentre il bilancio dei morti continua a salire di giorno in giorno, Human Rights Watch ha denunciato l'utilizzo da parte delle forze di Gheddafi delle bombe a grappolo: fuorilegge in quasi tutto il mondo. Oltre ai bombardamenti uditi stamane a ovest della città libica di Aajdabiya, dove i ribelli si erano spinti per monitorare la zona a seguito dei raid della Nato degli scorsi giorni, Misurata torna ancora a tremare per le vaste esplosioni che vengono puntualmente accompagnati da raffiche di colpi d'arma da fuoco. Fonti ufficiali del principale ospedale di Misurata, l'Hikma, hanno riferito di aver ricevuto nel corso della notte 5 cadaveri e 31 feriti. Le forze governative fedeli al rais hanno fatto uso di bombe a grappolo (cluster bomb) contro la città, accusa, quest'ultima, smentita da un portavoce ufficiale a Tripoli. "La scorsa notte è stato come se piovesse", ha affermato Hazam Abu Zaid, cittadino di Misurata che è dovuto ricorrere alle armi per difendere la propria casa e il proprio quartiere. L'utilizzo di queste armi micidiali era stato rivelato dal New York Times. "Chiediamo alla Nato di attaccare Tripoli street. qui non vi sono civili", ha assicurato uno degli insorti. I ribelli attivi a Tripoli hanno deciso di adottare tecniche di guerriglia e sono pronti a ricorrere ad attacchi suicidi per far cadere il regime di Muammar Gheddafi. È quanto scrive oggi l'inviato del quotidiano britannico Guardian nella capitale libica, riferendo dell'incontro avuto con un attivista dell'opposizione. "Non ti dirò come mi chiamo e non voglio sapere il tuo", ha detto il ribelle a Harriet Sherwood, chiedendo anche di cancellare il suo numero di cellulare una volta terminato l'incontro. "Mi prenderanno presto", ha aggiunto, accusando un suo vicino di casa di lavorare per il regime. L'uomo ha raccontato di comunicare in codice con gli altri attivisti presenti a Tripoli, usando sim card acquistate dai lavoratori migranti che hanno lasciato il Paese. I ribelli evitano invece di incontrarsi. Hanno anche "alcuni amici a Bengasi", con cui hanno contatti sporadici. Nelle ultime settimane, gli attivisti hanno lanciato diversi attacchi contro alcuni posti di controllo presenti in città, uccidendo miliziani e rubando armi. Lo confermerebbero i colpi di arma da fuoco che si sentono spesso nella capitale al calar della sera, spesso attribuiti invece ai sostenitori di Gheddafi. "Stanno cercando di coprire tutto - ha detto la fonte al Guardian - ci sono attacchi ogni notte. I ragazzi ai posti di controllo sono terrorizzati. Prendono solo 40 dinari (22 euro) a notte e stanno cominciando a dire di non voler più fare questo sporco lavoro". I ribelli hanno anche colpito 15 caserme della polizia e stanno ora pensando di prendere di mira le stazioni di servizio. Ma ci sono anche "persone pronte per attentati suicidi", ha aggiunto, precisando che gli attivisti riescono ad avere l'esplosivo dai pescatori che usano la dinamite per la pesca. Obiettivo numero uno della guerriglia rimane comunque Gheddafi: "Possiamo arrivare fino a lui". Il leader libico dovrà presto fare i conti con le persone a lui più vicine, ha aggiunto l'attivista: "Alcuni non sono con lui al 100%. Stanno solo aspettando il momento opportuno. Noi attendiamo solo che uno o due dei capi dell'esercito gli voltino le spalle. Allora lo avremo". 16 aprile 2011
Guerra in Libia, l'Italia non bombarderà * * * * libia mezzo colpito L'Italia non cambia linea e non parteciperà ai bombardamenti in Libia. È questa la determinazione del Consiglio dei Ministri, secondo quanto riferito da alcuni ministri. Ieri il ministro degli Esteri Franco Frattini aveva annunciato che avrebbe posto la questione al Cdm. Secondo quanto riferito da fonti di governo, il premier Silvio Berlusconi ha detto: "Facciamo già abbastanza". Usa, Gran Bretagna e Francia mettono in guardia il raìs libico. In un articolo comune che pubblicato su quattro quotidiani, Barack Obama, David Cameron e Nicolas Sarkozy hanno affermato che è "impossibile immaginare che la Libia abbia un avvenire con Gheddafi". Nell'articolo pubblicato sul Figaro, il Times di Londra, l'International Herald Tribune e Al Hayat, il presidente americano, il premier britannico ed il capo di Stato francese sottolineano la necessità di continuare le operazioni militari per accelerare la partenza del leader libico Muammar Gheddafi e permettere così una transizione. "Non si tratta di spodestare Gheddafi con la forza. Ma è impossibile immaginare che la Libia abbia un avvenire con Gheddafi". Sul quotidiano francese, su quello inglese, sullo statunitense e su quello arabo, i tre leader aggiungono che "è impensabile che qualcuno che abbia voluto massacrare il proprio popolo giochi un ruolo nel futuro governo libico". Nel loro articolo comune, il presidente americano Barack Obama, quello francese Nicolas Sarkozy ed il premier britannico David Cameron hanno scritto che una permanenza di Muammar Gheddafi al potere a Tripoli "condannerebbe inoltre la Libia ad essere non solo uno stato paria ma anche uno stato fallito". "Qualsiasi compromesso che lo lasciasse al potere", hanno affermato i tre statisti riferendosi a Gheddafi, si tradurrebbe in un maggiore caos e anarchia". Per accelerare l'uscita del leader libico, Obama, Sarkozy e Cameron ritengono che "la Nato e i partner della coalizione debbano continuare le proprie operazioni affinchè sia mantenuta la protezione dei civili e accresciuta la pressione sul regime". Solo con l'uscita di scena del rais, secondo i tre capi di stato e di governo, "potrà cominciare la vera transizione da un regime dittatoriale verso un processo costituzionale aperto a tutti, con una nuova generazione di dirigenti". L'Italia non parteciperà ai bombardamenti in Libia. È questa la determinazione del Consiglio dei Ministri, secondo quanto riferito da alcuni ministri. Ieri il ministro degli Esteri Franco Frattini aveva annunciato che avrebbe posto la questione al Cdm. Dopo il Cdm, si è riunita l'unità di crisi sulla Libia. Secondo quanto riferito da fonti di governo, il premier Silvio Berlusconi ha detto: "Facciamo già abbastanza". 15 aprile 2011
Afghanistan, kamikaze fa strage a Jalalabad * * * * IMG Un kamikaze talebano, che indossava un'uniforme dell'esercito, si è fatto esplodere uccidendo 5 soldati isaf e 4 militari afghani nei pressi della città di Jalalabad, nella zona orientale dell'Afghanistan. "Cinque membri dell'international security assistance force hanno perso la vita nell'esplosione causata da un attacco ribelle nell'est del Paese", conferma l'isaf in una nota ufficiale. Al momento non è stata rivelata la nazionalità dei 5 militari isaf uccisi. il ministero della Difesa afghano ha riferito che oltre ai 4 militari afghani deceduti, almeno 8 persone sono rimaste ferite, tra cui 4 interpreti. Un portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, contattato telefonicamente dell'afp, ha rivendicato la responsabilità dell'attentato 16 aprile 2011
2011-04-14 Le Pen come Maroni: Francia fuori alla Ue * * * * marine le pen "Se verrò eletta alla presidenza francese proporrò un referendum per far uscire la Francia dall'Unione europea": lo ha detto la leader del Fronte Nazionale d'estrema destra francese, Marine Le Pen. Sull'emergenza immigrati, per la figlia del leader storico dell'estrema destra francese, l'Europa ha fatto fiasco. E' pronta a discuterne con il ministro leghista Maroni. "Se vuole ricevermi nei prossimi mesi sarebbe molto interessante parlare di questa cosa, serve una riflessione seria sulla fine dell'Ue", ha aggiunto la leader del Fronte nazionale, sottolineando poi che "l'Unione europea brilla della luce di una stella morta". La leader del Fn francese capisce la posizione del presidente del consiglio italiano. "Capisco Silvio Berlusconi, che di fronte all'inerzia dell'Europa approfitta delle regole europee per alleggerire il fardello". "Del resto - ha proseguito - sono perfettamente d'accordo con Berlusconi quando dice che gran parte di questi clandestini non vogliono restare in Italia ma andare in Francia o in Germania". "Paradossalmente - ha concluso - a causa delle regole di Schengen, essi possono farlo attraverso la concessione di un permesso di soggiorno temporaneo. I fatti mi hanno dato ragione. L'Unione europea non ha fatto nulla" per aiutare l'Italia a rispondere ai flussi di immigrati clandestini provenienti dal Nordafrica. Dobbiamo chiedere con urgenza la sospensione dello spazio Schengen". 14 aprile 2011
Mubarak agli arresti e ricoverato: condizioni instabili * * * * mubarak box Agli arresti per le violenze sui manifestanti, l'ex presidente egiziano Hosni Mubarak è ancora in ospedale. Smentito il trasporto d'urgenza in elicottero da Sharm el-Sheikh al Cairo. C'è preoccupazione per la sua salute. Le sue condizioni sono ancora instabili. Lo riferisce l'agenzia di stampa egiziana Mena. Anche la ex first lady Suzanne Mubarak è stata interrogata insieme all'ex rais e ai figli Gamal e Alaa. Lo riferiscono fonti della sicurezza, spiegando che Suzanne Muibarak è stata ascoltata nell'ospedale dove è ricoverato il marito, a proposito delle accuse di malversazione dei fondi della biblioteca di Alessandria. L'ex raìs rovesciato dalla rivolta egiziana e i suoi due figli Alaa e Gamal sono stati posti in arresto per un periodo di 15 giorni nel quadro di un'indagine sulle violenze perpetrate dal regime contro i manifestati dell'opposizione: lo ha annunciato il portavoce del procuratore generale. "Il procuratore generale Abdel Maguid Mahmoud ha ordinato la custodia cautelare per 15 giorni dell'ex presidente Hosni Mubarak e dei suoi due figli nel quadro dell'inchiesta" sulle violenze compiute ai danni dei manifestanti, negli scorsi mesi di gennaio e febbraio, ha indicato il portavoce in un comunicato pubblicato su una pagina facebook della Corte.
Il portavoce ha d'altra parte segnalato che il ministro dell'Interno Mansur Al Issaui ha informato il procuratore generale che l'interrogatorio dell'ex presidente e dei suoi figli non ha potuto svolgersi al Cairo "per ragioni di sicurezza". La procura ha fatto sapere che "ragioni di salute" hanno richiesto il trasferimento di Mubarak all'ospedale di Sharm el Sheikh, nella penisola del Sinai, precisando che il suo interrogatorio dell'ex capo dello Stato sarebbe proseguito presso il nosocomio. Mubarak, secondo quanto si è appreso, sarebbe stato ricoverato in terapia intensiva a causa di una crisi cardiaca accusata durante il suo colloquio con gli inquirenti. L'ospedale è stato messo sotto stretta sorveglianza della polizia militare e i medici sono autorizzati ad accogliere solo pazienti che hanno necessità di un soccorso urgente, ha riferito la televisione. Una fonte dei servizi di sicurezza ha confermato, inoltre, che lo stesso provvedimento restrittivo è stato preso nei confronti dei figli di Mubarak, Alaa e Gamal. I due, stando alle fonti, sarebbero stati trasferiti al carcere di Tora, al Cairo. Prima della rivolta che ha innescato la crisi politica in Egitto, Gamal era considerato come il successore designato del padre. Mubarak e i suoi figli sono anche sospettati di essersi arricchiti indebitamente, attraverso una serie di pratiche corruttive, su cui gli inquirenti stanno provando a fare luce. La procura, in particolare, sta cercando di capire se c'è stato "uso improprio di denaro pubblico". Ma le inchieste sulle violenze e sulla presunta corruzione stanno seguendo delle strade parallele e procedono in maniera distinta. La questione della presunta corruzione è in mano a un altro dipartimento, ha confermato il ministro della Giustizia. 13 aprile 2011
2011-04-12 Giappone, nuova scossa Fukushima come Chernobyl * * * * Una scossa di magnitudo 6,3 (valutazione preliminare) è stata registrata in Giappone, con epicentro nella prefettura di Fukushima. La Tepco, il gestore della disastrata centrale nucleare, ha ordinato ai lavoratori di evacuare l' impianto. Il terremoto, che ha avuto per epicentro Hamadori (prefettura di Fukushima) e una profondità di 10 km, secondo la Japan Meteorological Agency (Jma), è stato registrato alle ore 14,07 locali (le 7,07 in Italia). Il sisma è stato subito seguito da tre scosse minori di magnitudo compresa tra 4,1 e 4,9. La Tepco ha reso noto, dopo aver effettuato i controlli richiesti, che le pompe per raffreddare i reattori di Fukushima n.1 non hanno subito danni. La compagnia, inoltre, aveva disposto l'evacuazione dei tecnici dal reattore a scopo precauzionale, oltre che dal vicino impianto di Fukushima n.2. La scossa di oggi e quella di ieri pomeriggio hanno reso sempre più critica la situazione della centrale nucleare danneggiata. ''L'iniezione di acqua per raffreddare i tre reattori (1,2 e 3 di Fukushima) si e' arrestata quando l'alimentazione elettrica si e' interrotta'' per il sisma, ha comunicato un portavoce della Tepco, assicurando che non ci sono nuove conseguenze negative per l'impianto. La corrente e' stata poi ripristinata in breve tempo ed e' ripreso il pompaggio dell'acqua. Intanto il governo ha deciso di estendere il raggio di evacuazione della popolazione attorno a Fukushima, per ora fermo a 20 km. Un paio d'ore prima del nuovo terremoto, il nord-est del Giappone si e' fermato per un minuto per ricordare la catastrofe dell'11 marzo nell'ora esatta in cui parti' la grande scossa, le 14:46 (le 07:46 in Italia), seguita dal disastroso tsunami. Il primo ministro, Naoto Kan, infine, ha inviato a vari quotidiani del mondo un messaggio di gratitudine per la solidarietà verso il Giappone: ''In un momento disperato, gente di tutto il mondo s'e' stretta a noi, ispirandoci speranza e coraggio''. Il governo giapponese valuta l' ipotesi di rialzare la valutazione della crisi dell'impianto di Fukushima n.1, colpito duramente dal sisma/tsunami dell'11 marzo, dall'attuale livello 5 al 7, pari allo stesso di Cernobyl che è il più grave finora mai registrato. Lo riporta l'agenzia Kyodo. L'esame deciso dal governo di Tokyo tiene conto dei risultati di un rapporto preliminare della Commissione per la sicurezza nucleare secondo cui, a un certo punto, dalla centrale di Fukushima sono stati rilasciati fino a 10.000 terabecquerel per ora, dove un terabecquerel equivale a 1.000 miliardi di becquerel. La relazione ha spinto il governo a considerare l'ipotesi di rialzo del livello della gravità direttamente a 7, sullo stesso piano di Cernobyl, dall'attuale 5 che è pari alla crisi di Three Mile Island negli Usa nel 1979. I giudizi sulla tipologia degli incidenti nucleari sono emessi secondo la International Nuclear and Radiological Event Scale (Ines), una scala introdotta dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica (Aiea, che fa capo all'Onu), per consentire la comunicazione tempestiva delle informazioni rilevanti sulla sicurezza in caso di incidenti nucleari. Haruki Madarame, presidente della Commissione, ha riferito di aver stimato che il rilascio di 10.000 terabecquerel per ora di materiali radioattivi è andato avanti per diverse ore. Sempre la stessa Commissione, continua la Kyodo, ha inoltre pubblicato un calcolo preliminare sui valori cumulativi di esposizione alle radiazioni esterne, rilevando che è stato superato il limite annuale di 1 millisievert nelle aree oltre i 60 km a nordovest e circa 40 km a sud-sudovest dalla centrale. In questa proiezione sono incluse le città di Fukushima, Data, Soma, Minamisoma, e Iwaki, che sono tutti nella prefettura di Fukushima, e alcuni altri settori tra cui la città di Hirono. All'interno dell'area di evacuazione dei 20 km deciso dal governo, la quantità di radioattività varia da meno di 1 a 100 millisievert o più, mentre nella fascia di rispetto di 20-30 km é inferiore ai 50 millisievert. Si fa sempre più dettagliato, intanto, il bilancio delle vittime del sisma/tsunami dell'11 marzo scorso, che ha devastato il nordest del Giappone: ha superato quota 13.000 in 12 prefetture, attestandosi a 13.013. Sulla base dell'aggiornamento dei dati comunicati in serata dalla polizia nazionale, i dispersi sono saliti a 14.608 nel conteggio di sei prefetture soltanto, escludendo citta' colpite nella prefettura di Miyagi, quali Sendai, Higashimatsushima e Minamisanriku su cui e' pressoché impossibile formulare stime. Oltre la meta' delle vittime del sisma/tsunami dell'11 marzo, che ha devastato il nordest del Giappone, aveva piu' di 65 anni. Sono le stime, redatte sulla base degli elenchi forniti dalla polizia nazionale, del quotidiano Asahi secondo cui solo per un totale di 8.000 persone e' stato possibile stabilire l'identita'. In 4.398 casi (il 55,4% del totale) l'eta' era pari o oltre i 65 anni. Al momento il numero complessivo delle vittime e' di 12.998, cui si aggiungono 14.691 dispersi. Prima del disastro, la popolazione 'anziana' rappresentava il 25% dei residenti: ''molti di loro - scrive l'Asahi - sono morti perche' non hanno avuto il tempo di fuggire o non potevano farlo senza l'aiuto di qualcuno dopo l'allarme tsunami''. La doppia tragedia e' avvenuta nel pomeriggio, con la maggior parte dei bambini che era a scuola: questo ha contribuito a metterli in salvo, in luoghi piu' sicuri. L'Asahi, infine, ipotizza un bilancio ben piu' pesante con intere famiglie spazzate via dalla forza dello tsunami, mentre la distruzione degli uffici comunali rende complicato anche la consultazione degli elenchi dell'anagrafe. 12 aprile 2011
Costa d'Avorio, Gbagbo arrestato con la moglie * * * * costa d Sotto assedio da giorni, rinchiuso nel suo bunker, il presidente della Costa d'Avorio è stato arrestato arrestato dalle forze del Capo di Stato Alassane Ouattara e condotto al Golf Hotel, quartier generale del Presidente riconosciuto dalla comunità internazionale. Lo ha precisato l'Ambasciatore francese ad Abidjan, Jean-Marc Simon, smentendo che l'arresto sia stato eseguito dalle forze speciali francesi, come riferito da diversi media. "Laurent Gbagbo è stato arrestato dalle Forze repubblicane della Costa d'Avorio e condotto al Golf Hotel dalle stesse forze", ha detto l'Ambasciatore. Il ministero della Difesa francese, citato da Le Monde, ha precisato che le forze di Ouattara hanno operato l'arresto con il sostegno della missione Onu e di quella francese Licorne. Mezzi blindati francesi e Onu erano infatti stati dispiegati lungo la strada che conduce alla residenza di Gbagbo. Anche la moglie del Presidente uscente, Simone, è stata arrestata e condotta nel quartier generale di Ouattara. Ieri, le forze francesi e quelle dell'Onu avevano bombardato l'edificio, con l'intento di "neutralizzare le armi pesanti usate contro i civili". "Elicotteri della Licorne (forza francese) hanno sorvolato tra le 10 e le 11 l'area della residenza. Hanno lanciato molti missili sulla zona. Da un lato della residenza si è alzato molto fumo", ha raccontato un testimone. Il consigliere del Presidente francese Nicolas Sarkozy ha precisato oggi che la Francia è intervenuta ad Abidjan su richiesta Onu, con l'intento di scongiurare un "bagno di sangue" e non di "cacciare militarmente" Gbagbo. Da parte sua, il portavoce del governo Gbagbo ha dichiarato che Parigi non ha "altro obiettivo che quello di assassinare il capo di stato, tutto il resto sono solo pretesti". Oggi, il ministro della Gioventù di Gbagbo, Charles Ble Goude, ha affermato che "gli elicotteri dell'esercito francese hanno attaccato la residenza privata del presidente Laurent Gbagbo, distruggendola parzialmente". Negli ultimi giorni il fronte di Gbagbo era riuscito a riguadagnare terreno ad Abidjan contro gli uomini di Ouattara, arrivando anche ad attaccare il suo quartier generale al Golf Hotel. 11 aprile 2011
2011-04-09 Filo spinato in piazza Tahrir Cairo, torna la protesta * * * * Un autobus per il trasporto di truppe sta bruciando su piazza Tahrir, dopo una notte di battaglia fra manifestanti ed esercito. Ambulanze sono arrivate sulla piazza che è stata completamente sigillata dalle forze armate anche con filo spinato. L'esercito afferma che la situazione è sotto controllo mentre fonti, non confermati, nei manifestanti parlano di due o tre morti. I mezzi in fiamme sono sul lato della piazza vicino al palazzo della Lega araba e stanno provocando una fitta colonna di fumo che sovrasta la piazza. Secondo i manifestanti, inoltre, l'esercito ha cominciato a sparare per disperdere la folla che è rimasta sulla grande piazza simbolo della rivoluzione anti Mubarak anche dopo l'inizio del coprifuoco alle 2 del mattino ora locale, in seguito alla mega manifestazione di ieri nella quale è stato chiesto un processo rapido all'ex rais e alla sua famiglia. LA MANIFESTAZIONE I manifestanti avevano formato un cordone umano intorno alla tenda nel centro di piazza Tahrir, al Cairo, a protezione dei militari che si erano uniti ai dimostranti. Intorno alle 3 locali (stesso orario in Italia), circa 300 soldati sono infatti entrati nella piazza della capitale egiziana, hanno picchiato le persone con bastoni e sparato lunghe raffiche in aria. Si sono quindi fatti strada tra la folla fino alla tenda e qui hanno sfondato la catena umana e trascinato via alcuni manifestanti, spingendoli sui camion della polizia. "Alcune donne sono state schiaffeggiate in faccia, ad altre sono stati dati calci", gridava una manifestante di sesso femminile, una tra le circa 200 persone che sono fuggite e si sono rifugiate in una moschea vicina. Le truppe hanno circondato l'edificio e gli spari si sono sentiti per ore. I dimostranti nella moschea hanno detto che molti dei presenti sono stati feriti, alcuni anche da colpi d'arma da fuoco. L'attacco è arrivato dopo una giornata di proteste in piazza Tahrir, dove decine di migliaia di egiziani si sono radunati per chiedere ai militari di intentare un'azione penale contro il deposto presidente Hosni Mubarak e la sua famiglia per corruzione. La manifestazione è la prova della crescente impazienza e diffidenza che molti egiziani provano verso l'esercito, a cui è stato consegnato il potere quando Mubarak è stato cacciato dall'incarico l'11 febbraio. Alcuni manifestanti accusano la dirigenza militare di proteggere Mubarak, ex militare, e molti hanno dubbi su quali siano le reali intenzioni dei soldati nella transizione del Paese verso la democrazia. 9 aprile 2011
Fuoco sui ribelli libici. Manifestazione contro la Nato a Bengasi * * * * IMG Una manifestazione di protesta contro la Nato si è svolta a Bengasi, roccaforte della ribellione libica, allìindomani dell'episodio di "fuoco amico" che ha provocato almeno 4 morti. I circa 400 manifestanti - in gran parte donne e bambini - si sono riuniti davanti alla sede del Consiglio Nazionale di Transizione 8Cnt) ribelle, chiedendo che l'Alleanza bombardi le forze del leader libico Mummar Gheddafi e fornisca armi ai ribelli. La ribellione libica da parte sua non pretende alcuna scusa dalla Nato per il "fuoco amico" - il secondo caso negli ultimi giorni - ma chiede di migliorare le comunicazioni con l'Alleanza: "Non abbiano mai preteso delle scuse, solo chiesto delle spiegazioni, non mettiamo in discussione la buona fede della Nato: ci sembra però che ci sia stata un'interruzione delle comunicazioni, forse a causa delle condizioni sul terreno, che non ha reso chiara alla Nato la posizione dei nostri carri armati", ha spiegato un portavoce del Cnt. Fonti diplomatiche spiegano come il problema stia nel fatto che non esiste "alcun legame ufficiale" fra la direzione militare dei ribelli e l'Alleanza, e sarebbe dunque opportuno avere "una equipe della Nato sul terreno trasmettere quale sia la situazione e diminuire il rischio di incidenti". Nei prossimi giorni è previsto l'arrivo a Bengasi di apparecchi per telecomunicazioni che permetteranno di stabilire un collegamento fra L'Aleanza e il Cnt: equipaggiamento che, sottolineano le fonti, non verrà utilizzato per trasmettere le posizioni delle forze governative, dato che la Nato "non ha intenzione di diventare l'aviazione militare dell'opposizione". La Nato non si scusa, ma esprime rammarico per le morti tra i ribelli provocate dal 'fuoco amicò durante raid sulla città di Brega e, mentre le forze di Gheddafi si accaniscono ancora su Misurata, l'Alleanza nega che in Libia ci sia una situazione di stallo. Il "fuoco amico" diventa elemento di tensione tra la Nato e gli insorti. In pochi giorni, i raid aerei degli alleati hanno colpito per sbaglio due volte i combattenti anti-Gheddafi. "Sembra che due nostri attacchi aerei di ieri abbiano potuto provocare la morte di un certo numero di membri del Cnt (il consiglio nazionale di transizione), che operava con carri armati", ha ammesso il contrammiraglio Russel Harding, vice comandante di Unified protector. "Ma fino a ieri, non eravamo stati informati che le forze del Cnt facessero uso di carri armati", ha spiegato da Napoli, giustificando l'errore. "Abbiamo prove documentali che i carri armati sono stati usati in Libia per attaccare la popolazione civile e il nostro mandato è la protezione dei civili. Dall'alto non è facile capire chi c'è dentro i tank". Per questo, ha aggiunto l'alto ufficiale, "non ci saranno le nostre scuse". A spegnere l'incendio potenziale di queste parole è arrivata dopo un paio d'ore una dichiarazione del segretario generale della Nato: quello di Brega "è stato un incidente molto sfortunato. Mi rammarico profondamente per le vittime", ha detto Anders Fogh Rasmussen, ex primo ministro danese. "Non abbiamo mai preteso le scuse della Nato, ma soltanto delle spiegazioni. Non mettiamo in discussione la buona fede dell'Alleanza", ha commentato Shamseddin Abdelmolah, un portavoce del Cnt di Bengasi, accreditando la versione dell'incidente fornita dal Comando alleato. "Sembra ci sia stata un'interruzione nelle comunicazioni, forse dovuta alle condizioni sul terreno, che ha fatto in modo che la posizione dei nostri tank non fosse resa nota alla Nato", ha riferito Abdelmolah. Il miglioramento delle comunicazioni è un problema reale. "Ma non è un nostro problema. Non spetta a noi farlo", ha tagliato corto il contrammiraglio Harding, lasciando la palla nel campo degli insorti. Gruppi di ribelli si stanno già attrezzando come possono: alcuni tra loro hanno dipinto i veicoli di un rosa brillante per evitare altre vittime di 'fuoco amicò. Ma il nuovo 'codicè potrebbe valere per poche ore, fino a quando le forze pro-Gheddafi non se ne approprieranno, creando altra confusione per chi deve combattere restando in cielo, tra le nuvole, affidandosi ai radar perchè la missione Nato - viene ricordato ogni giorno - non ha "scarponi sul terreno". Nell'Alleanza cresce la preoccupazione per la maggior difficoltà nel condurre raid aerei senza provocare vittime tra civili, a causa del cambio di tattica delle forze pro-Gheddafi. "Nascondono carri armati in veicoli civili e usano persone come scudi umani davanti a scuole e moschee. Ciò rende molto difficile colpire target senza provocare vittime civili", ha riconosciuto la portavoce Oana Lungescu. Ma l'Alleanza respinge l'immagine di una situazione di stallo, così come rappresentata al Congresso Usa dal generale Carter Ham, comandante dello US Africa Command. "Non c'è impasse", ha detto la Lungescu. "Ma la soluzione militare non basta. Serve una soluzione politica e la comunità internazionale è unita per trovare una via d'uscita". Rasmussen sta avendo contatti con tutti i leader internazionali in vista della riunione del Gruppo di contatto sulla Libia mercoledì in Qatar e della ministeriale esteri della Nato il 14 e 15 a Berlino. L'alleanza si tiene pronta a dispiegare una missione militare di carattere umanitario per fare fronte alla situazione drammatica della città martire di Misurata, che le forze pro-Gheddafi hanno ripreso da oggi ad attaccare. "Se l'Onu farà la richiesta, noi saremo pronti ad agire", ha assicurato la Lungescu. Anche la Difesa della Ue è pronta ad andare in soccorso dei cittadini di Misurata, con la missione militare a scopo umanitario Eufor-Libia. "Ci attendiamo una richiesta dell'Onu nei prossimi giorni", ha indicato un alto diplomatico europeo. Per coordinare gli interventi, Rasmussen vedrà lunedì il capo della diplomazia Ue Catherine Ashton, che ha invitato anche a Berlino. 8 aprile 2011
Pugno duro di Assad: più di 20 morti * * * * siria proteste box Sale la tensione in Siria, dove manifestanti e forze di sicurezza sono tornati a confrontarsi nelle piazze. Secondo testimoni oculari, violenti scontri sono in corso a Daraa, nel sud del Paese, con migliaia di manifestanti che, alla fine della tradizionale preghiera del venerdì, "hanno marciato verso il palazzo di giustizia" incontrando tuttavia la resistenza delle forze di sicurezza. I morti sarebbero almeno 20. Alla reazione dei soldati, che hanno "lanciato gas lacrimogeni per disperderli", i dimostranti hanno risposto con il "lancio di pietre". Nella cittadina meridionale, da questa mattina imponenti forze di sicurezza sono schierate per fronteggiare le migliaia di persone, provenienti anche dai villaggi vicini, che vi si sono radunate per protestare contro il regime di Bashar Assad. Manifestazioni si sono tenute anche nel nord della Siria, nelle zone a maggioranza curda di Hassake e Qamishli. Un attivista locale, Radif Mustafa, ha riferito che "più di duemila persone, curdi, arabi e cristiani, hanno manifestato in Qamishli dopo la preghiera del venerdì" al grido di "no curdi, no arabi, il popolo siriano è uno". Proteste anche a Hassake, Ammuda, Derek e Deirbassiye, dove "centinaia di curdi sono scesi nelle strade chiedendo il rilascio dei prigionieri e l'abolizione dello Stato d'emergenza". Alta tensione anche a Douma, a 15 chilometri a nord di Damasco, dove, secondo gli attivisti, tutte le comunicazioni telefoniche sono state interrotte. Controlli sono in corso da parte di un'apposita commissione di residenti per verificare che i partecipanti alla manifestazione non portino armi. La misura fa parte di un accordo raggiunto con le autorità per evitare l'intervento delle forze di sicurezza. Venerdì scorso, infatti, almeno 8 persone sono rimaste uccise quando le polizia ha aperto il fuoco sulla folla che, alla fine della preghiera, protestava e tirava pietre. Le forze di sicurezza siriane hanno caricato e picchiato con i manganelli dei dimostranti sunniti mentre questi uscivano da una moschea a Damasco, secondo quanto rende noto un testimone. "Era difficile identificare le persone perchè quelli dell' Amn (forze di sicurezza, ndr) non portano uniformi", ha raccontato il testimone, un occidentale che vive nei pressi della moschea Rufai, nel quartiere di Kfar Suseh della capitale. 8 aprile 2011
Diario afghano, l'energia lega Kabul a Tokyo di Rachele Gonnelli - inviata a Kabul | tutti gli articoli dell'autore * * * * IMG Un filo logico sottotraccia unisce la tragedia dell'Afghanistan ancora alla ricerca di una sovranità statuale e di pace e la tragedia nucleare del Giappone: l'energia. Il colossale problema delle risorse energetiche che, anche nel pensiero comune, sta alla base dello scatenamento degli eserciti, alla ricerca di sicurezza per i traffici e nella gestione dei giacimenti. Anche il sottosuolo afgano conserva, per ora gelosamente perchè non sfruttate, consistenti riserve di idrocarburi fossili, una risorsa come tutti sappiamo vicina alla sua curva declinante. Riserve così importanti, insieme alla posizione strategica dell'Afghanistan nella via del gas e del petrolio che va dalle ex repubbliche sovietiche del Caucaso dell'Uzbekistan e del Tagikistan, da far dire al rappresentante dell'Unione Europea a Kabul che "si tratta ora di aiutare gli afghani a riprendere la strada per dare corpo ai nuovi progetti del piano che contribuirà a creare una nuova piattaforma di cooperazione geopolitica per lo sfruttamento delle risorse di Uzbekistan, Tagikistan e India". Il rappresentante Ue in Afghanistan, il lettone Ritva Hautanen ci riceve nell'ufficio, ben camuffato, della Comunità europea a fianco del ministero dell'Interno afghano. E dice candidamente che anche in Afghanistan "ci sono risorse naturali interessanti da estrarre che al momento non si possono estrarre" e che questo, insieme alla creazione di un apparato industriale ancora da venire, è un progetto a cui si stanno già dedicando in particolare "Canada, Australia e Norvegia". Ciò che serve al momento è un "sistema politico afghano più forte, anche in termini di opposizione", un sistema che "ci auguriamo sia in grado di utilizzare i proventi di queste risorse per cerare servizi per la popolazione e che la società civile afghana dovrà essere in grado di controllare". Al momento la principale voce dell'export afghano è l'oppio, che serve massimamente a alimentare un sistema feudale di corruzione, traffici d'armi, guerra permanente. Le ingenti somme del narcotraffico hanno bisogno di essere "lavate" e immesse in ogni caso nel sistema finanziario internazionale e il principale snodo arriva diritto alle banche del Golfo Persico. Lo scalo più vicino è Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti. Ed è lì, nell'emirato retto in modo autocratico da i tre emiri della famiglia Zaher, nell'occhio del Drago, che qualcosa è avvenuto proprio in questi giorni, anche sotto la spinta dei timori che si sono sprigionati nel mondo dalla devastazione incontrollata della centrale nucleare giapponese di Fukushima Uno. Nei giorni scorsi si è svolto proprio ad Abu Dhabi il primo summit mondiale sulle energie rinnovabili che ha sancito la nascita di Irena, l'International Renewable Energy Agency. La città di Abu Dhabi è piena di bandiere-manifesti che celebrano la nascita di Irena, oltre che di gigantografie del più anziano degli emiri Zaher con il suo volto inquietante che sembra contenere a metà due diverse espressioni, una dura ma quasi accettabile e l'altra deformata in una smorfia perfida.
Un volto che da solo riesce a condensare il succo della questione. Il summit da cui Irena ha preso vita – anche se i suoi esordi sono stati nel 2009 - ha per prima cosa parlato dei rischi di sicurezza di un futuro improntato allo sviluppo dell'energia dell'atomo, dopo l'incidente di Fukushima, quindi ha approntato un piano che si propone di sviluppare anche le altre energie rinnovabili "verdi", in particolare connettendole allo sviluppo di aree rurali povere, per affrancare l'economia mondiale dalla dipendenza da combustibili fossili, ormai verso l'esaurimento. Il problema preoccupa evidentemente in particolar modo gli emiri del petrolio, che si sono posti alla testa di Irena insieme ad altri 20 Paesi nel Consiglio direttivo dell'agenzia, la quale rappresenta 160 Stati membri. Da lì passerà il futuro oltre il petrolio, quello dei nostri figli. "Abbiamo uno sguardo sul futuro a questo punto", sono le parole di Bill Richardson, ex segretario all'Enegia americano sotto Bill Clinton che ipotizza un mix di nucleare, al 30 percento, e per il resto energie rinnovabili e proprio in questa direzione si sta muovendo un consorzio a guida coreana con piani pronti a partire già dal 2017. " I prossimi cinque-dieci anni saranno critici, penso con effettio a lungo termine", dice ancora Richarrdson. La rapidità della crescita in India e in Cina può creare, spiega, una rapida carestia di energie fossili. "E' cruciale in questo momento far forza sull'inflenza dei ministri per iniziare un dialogo che porti a risultati concreti", ha pure sottolineato a chiusura del vertice il direttore generale di Irena Adnam Amin. Negli Usa nei prossimi 5 anni si prevede la costruzione di 20 nuove centrali nucleari ma lo stesso Richardson ammette che i 104 nuovi impianti nucleari in costruzione nel mondo non danno garanzie sufficienti di sicurezza alla luce del disastro in Giappone. E anche le compagnie energetiche più grandi guardano con sempre maggiore interesse a investimenti nelle rinnovabili, come il solare e l'eolico. Perciò Richardson giudica "grande, storico, visionario" il summit che si è svolto lunedì e martedì ad Abu Dhabi. Ma la ministra dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo, che pure era nella lista dei 90 ministri invitati insieme a esperti di cambiamenti climatici e di politica energetica, ha preferito non partecipare a questo strategico vertice per non far mancare il suo voto al traballante governo Berlusconi. Il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha invece presenziato con un blitz di sei ore tra misure di sicurezza militari imponenti, al passaggio di consegne tra gli alpini e i paracadutisti ad Herat, in Afghanistan, inanellando una gaffe di seguito ad un'altra. Ha voluto togliere al governatore di Herat l'oincarico di inaugurare una nuova scuola finanziata dalla Fondazione Maria Grazia Cutuli presentandosi oltretutto, in piena crisi per il rogo del Corano negli Usa con corpose manifestazioni e spari anche ad Herat, con una segretaria a testa scoperta, incurante degli usi del luogo ha cercato di accarezzare sulla testa le banbine afghane. Ha innervosito gli alpini, che ricevevano due medaglie di plauso dal governatore locale, dicendo preventivamente che anche la Folgore avrà lo stesso riconoscimento. Ha lasciato di sasso la famiglia Cutuli venuta ad inaugurare la scuola che porta il nome della giovane giornalista del Corriere della Sera morta in un agguato durante un reportage, dicendo che l'edificio era dedicato a lei ma anche a tutte le vittime italiane, civili e militari. E' riuscito persino a far piangere un ragazzino che dal ministro avrebbe dovuto ricevere una maglietta della Juventus, dicendo che non gliela dava perchè lui, La Russa, preferisce l'Inter. Due luminosi esempi dall'estero degli attuali governanti del Belpaese. 7 aprile 2011
2011-04-06 Gheddafi scrive a Obama "Metti fine alla guerra" * * * * IMG In una lettera, il colonnello libico Muammar Gheddafi ha implorato il presidente degli Stati Uniti Barack Obama di mettere fine "a una guerra ingiusta contro un piccolo popolo di un Paese in via di sviluppo". Fonti ufficiali statunitensi credono che la lettera di tre pagine ottenuta in esclusiva dall'Associated Press sia autentica. Gheddafi ha scritto che il suo Paese è stato colpito dalla campagna della Nato più moralmente che fisicamente e che una società democratica non può essere costruita attraverso missili e attacchi aerei. Il leader libico ha ribadito che i suoi nemici sarebbero membri di al-Qaeda. Nella lettera, il colonnello chiama Obama "nostro figlio" e dice di sperare che vinca le elezioni del 2012. Imbarcato primo carico di petrolio degli insorti Sempre oggi una nave cisterna ha lasciato il porto di Tobruk per la prima consegna di petrolio da quando il governo dei ribelli ha ottenuto il riconoscimento da alcuni paesi. La nave, di proprietà greca e registrata in Liberia, è partita dal terminal con un carico del valore di 100 milioni di dollari, destinati a finanziare gli insorti . La Nato ha assicurato che farà di tutto per proteggere i civili a Misurata. L'Alleanza ha risposto così alle accuse dei rivoltosi libici di non proteggere la popolazione innocente. Anche oggi alcuni capi del rivoluzionari hanno imputato alle forze della coalizione internazionale un rallentamento delle operazioni militari contro le truppe di Muammar Gheddafi. 6 aprile 2011
2011-04-05 Libia, il regime tratta ma Gheddafi non lascia * * * * libia insorti furgoncino pick up box Il regime di Tripoli è pronto a una "soluzione politica del conflitto ed è disposto a indire elezioni e introdurre riforme politiche, ma solo il suo popolo può decidere se il leader libico Muammar Gheddafi può restare o meno al potere". Lo ha affermato l'altro ieri sera un portavoce del governo. Tripoli ha anche fatto sapere di essersi rammaricata per il "tradimento" dell'Italia che ha deciso di riconoscere gli insorti e il Consiglio nazionale di transizione come unico interlocutore legittimo. "I politici italiani hanno fatto scelte sbagliate per loro stessi e per gli interessi della loro nazione": così Ibrahim Mussa, portavoce del governo libico. Ma Frattini insiste e continua la sua conversione: l'opposizione va incoraggiata. "Basta privilegiare la stabilità di un governo dittatoriale piuttosto che il dialogo sincero sui grandi valori: l'Europa ha fatto tanti errori, li abbiamo fatti tutti noi per lunghi anni, ma questa primavera di rivoluzioni che sta attraversando il mondo arabo ha aperto gli occhi al mondo intero". ntanto a Bengasi svetola la prima bandiera italiana dopo la benidizione della rivolta da parte del ministro degli Esteri Franco Frattini. Tutta la roccaforte della rivolta sa dell`appoggio ottenuto dall`Esecutivo italiano e sa di aver vinto una nuova piccola battaglia.In piazza e sul lungomare le prime bandiere tricolori sventolano accanto a quelle quelle francesi e del Qatar, considerati salvatori del popolo della Cirenaica. La Nato continua i raid su Brega stretta d'assedio dalle truppe lealiste decise a piegare l'opposizione nonostante le timide offerte del governo libico. 5 aprile 2011
Costa D'Avorio, Gbagbo tratta la resa * * * * costa d Il presidente destituito dela Costa d'Avorio, Laurent Gbagbo, sta negoziando la propria partenza dal Paese. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri francese, Alain Juppè. Il capo di stato maggiore dell'esercito fedele al presidente uscente ivoriano, generale Philippe Mangou, ha annunciato di aver "chiesto un cessate il fuoco" al contingente Onu in Costa d'Avorio (Onuci). In precedenza, il generale Mangou aveva annunciato "la sospensione dei combattimenti" delle sue truppe. Il presidente ivoriano uscente Laurent Gbagbo nei giorni scorsi si era asserragliato nella sua residenza di Abidjan, nel mirino delle forze del presidente eletto Alassane Outtara. 5 aprile 2011
2011-04-03 Libia, le truppe di Gheddafi bombardano Misurata * * * * libia insorti furgoncino pick up box Almeno una persona è rimasta uccisa e molte altre ferite questa mattina all'alba quando forze fedeli al colonnello Muammar Gheddafi hanno bombardato un edifico nella città ribelle di Misurata. Lo ha reso noto un testimone. "Possiamo confermare che c'è stato un morto e non sappiamo quanti feriti. Stanno arrivando le ambulanze con i feriti" ha detto il testimone parlando al telefono da un edificio adibito a ospedale. Circa 160 persone sono rimaste uccise solo nell'ultima settimana nel corso degli scontri tra insorti e lealisti in corso da oltre un mese a Misurata. Lo ha rivelato un medico libico sul posto.
Intanto, dopo aver riperso il controllo del crocevia petrolifero di Brega ad Est, i ribelli sono in difficoltà anche a Zintan. La città 160 km a sud-ovest di Tripoli è stata ripetutamente colpita dall'artiglieria di Gheddafi da stamane. Lo riferiscono testimoni citati da Reuters. 3 aprile 2011
2011-04-01 Afghanistan, vendetta islam: 20 morti, 2 decapitati * * * * afghanistan protesta contro terry jones 304 Sono almeno 20 le persone morte, delle quali sette straniere, nell'assalto alla sede dell'Onu di Mazar-i-Sharif, nel nord dell'Afghanistan. Lo dice il governatore provinciale, secondo cui cinque dei morti sono manifestanti afghani. Due degli stranieri uccisi nella sede Onu di Mazar-i-Sharif sono stati decapitati: lo ha detto un portavoce della polizia. I manifestanti sono entrati nell'ufficio, hanno sparato sulle guardie e hanno dato fuoco all'interno dell'edificio. Le proteste sono state scatenate dalla notizia di un sacerdote della Florida, Wayne Sapp, che il 21 marzo aveva bruciato una copia del Corano. Il generale Daud Daud, comandante della polizia nazionale afghana in alcune province del nord, ha comunicato che le vittime sono guardie che lavoravano per l'Onu e altri dipendenti dell'ufficio. Una persona è rimasta ferita. Munir Ahmad Farhad, portavoce della provincia di Balkh, ha riferito che centinaia di persone protestavano pacificamente contro il rogo quando d'improvviso la manifestazione è diventata violenta. 1 aprile 2011
Diario Afghano: le strade non esistono, i galli combattono di di Rachele Gonnelli, inviata a Kabul | tutti gli articoli dell'autore * * * * IMG Le strade a Kabul non esistono. Persino all'interno del perimetro della specie di "Green zone", il quartiere delle residenze super-protette e degli hotel, chiamato Wazir Akbar Khan. Non solo non sono asfaltate, ma ogni pochi metri c'è un dosso di quelli che servirebbero a moderare la velocità. Una velocità del tutto immaginaria ma deformata come quella di un razzo perché qui questi dossi sono alti come montagne russe e oltretutto sprofondano in buche piene d'acqua appena fa due schizzi. Non si capisce come sia possibile, con tutti i finanziamenti dei donatori gettati in Afghanistan nell'arco di un decennio, dall'inizio dell'intervento internazionale e ancor più negli ultimi cinque, dopo la prima Conferenza di Londra sulla ricostruzione, che persino le strade della capitale possano ancora essere in questo stato. Ci sono solo tre arterie stradali a sei, una a otto corsie, dall'aeroporto al centro e ai lati della città, tutto intorno sono tratturi,anche nella periferia nord dopo l'ospedale turco e il gigantesco basamento su cui dovrà sorgere la nuova sede del ministero dell'Interno afghano. Niente strade, niente fognature, la luce elettrica che scarseggia o si interrompe e in molti edifici c'è ancora solo grazie ai generatori. Delle strade si deve dire che anche se fossero lisce e pulite, spesso sono impraticabili e deviate anche da fili spinati, blocchi di cemento, garitte e posti di blocco. A confondere ancor più, le auto in circolazione hanno quasi tutte il posto di guida a destra, come in Gran Bretagna, anche se la guida è pure a destra come da noi. Molto straniante. Comunque di venerdì si circola meglio, è festa e gli uffici, le scuole, sono chiusi per il riposo settimanale. Per la verità l'aria di giorno festivo è relativa. Molti negozi e ristoranti rimangono aperti, i muezzin chiamano alla preghiera cantilenando e si ascolta anche qualche sermone in altoparlante ma non c'è una grande mobilitazione spirituale come si percepisce invece a Damasco, Amman o Istanbul. E non si ha idea di ciò che sta succedendo nelle stesse ore nella città oltre le montagne, a nord, di Mazar i Sharif. Al parco di Baghbabour in centro gli uomini si radunano in cerchio per assistere al combattimento dei galli, scommettendo su quello con le ali e il becco più forte. Nel parco "fuori porta" di Baghballa, o giardini alti, invece ragazze e ragazzi vanno a fare una passeggiata, a mangiare una zuppa di ceci e patate molto speziata, a distendersi su coperte rosse per giocare a carte o a dama. Ci sono donne mendicanti, una rannicchiata per terra dentro un burqa quasi fosse una tenda cerca di vendere blister semi usati di medicine. Le altre donne con bambini in braccio la evitano, nessuno la soccorre e lei del resto sembra un fagotto più che un essere umano. Probabilmente, mi suggerisce una ragazza di una ong, è una tossicodipendente. 1 aprile 2011
S'infiamma anche la Siria manifestazioni e vittime * * * * siria proteste box Le manifestazioni di protesta in diverse città siriane iniziate dopo la preghiera del Venerdì volgono alla violenza: a Duma, un sobborgo di Damasco, l'intervento della polizia sarebbe costato la vita ad almeno quattro persone. Le forze di sicurezza hanno fatto ricorso a gas lacrimogeni per disperdere la folla nella capitale e nelle città costiere di Latakia e Banias. L'agenzia ufficiale siriana Sana riferisce di manifestazioni oggi a Daraa e a Latakia, nel sud e nel nord-ovest del Paese, di fedeli usciti dalle moschee che hanno scandito slogan "per il martire", chiedendo "che si accelerino le riforme". I corrispondenti della Sana nelle due città hanno assicurato che non vi sono stati "contatti tra le forze di sicurezza e i manifestanti". Gli imam delle moschee - prosegue l'agenzia - nelle loro prediche hanno messo in guardia i fedeli dai rischi della fitna - sedizione confessionale - e hanno ribadito che "la Siria è vittima di un vero complotto". Cortei si sono avuti anche, per la prima volta, in alcune città a maggioranza curda, rimaste finora estranee ai moti di protesta. Due giorni fa, il presidente Bashir al Assad ha pronunciato un discorso, lungamente atteso, che però ha deluso fortemente le aspettative dell'opposizione: infatti il capo di stato non ha annunciato alcuna iniziativa concreta in vista di riforme democratiche, chieste a suon di contestazioni che non hanno precedenti nel paese. 1 aprile 2011
Il premier: "Fukushima sarà smantellata" Iodio radioattivo oltre la norma in mare * * * * Fukushima da smantellare La centrale nucleare di Fukushima, gravemente danneggiata dal terremoto dell'11 marzo scorso e dal successivo tsunami, deve essere smantellata. La posizione del governo di Tokyo è stata confermata oggi dal primo ministro Naoto Kan alla leadership del Partito comunista giapponese. L'esecutivo esclude però, almeno per il momento, un allargamento dalla zona di evacuazione attorno alla centrale, malgrado le raccomandazioni dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica. "Non credo che sia necessario prendere un simile provvedimento", ha commentato il portavoce del governo, Yukio Edano. La società Tepco che gestisce la centrale ritiene inevitabile smantellare i primi quattro reattori, i più colpiti dall'incidente seguito al terremoto, una volta completati i difficili lavori di raffreddamento. Finora il presidente onorario del gruppo, Tsunehisa Katsumata, aveva lasciato intendere che i reattori 5 e 6, sopravvissuti alla catastrofe, potrebbero essere risparmiati. Questa mattina, intanto, la Tepco ha comunicato che un tasso di iodio radioattivo 4.385 volte superiore al limite legale è stato registrato in mare, 300 metri a sud dalla centrale. Secondo quanto spiegato dalla Tepco e dall'Agenzia per la sicurezza nucleare del Giappone, questo tasso di iodio radioattivo si 'diluisce' in mare e non comporterebbe rischi importanti per animali e alghe marine. Secondo altri specialisti, però, potrebbero esserci effetti superiori a quelli ufficialmente annunciati. E mentre la Cina ha fatto sapere che livelli "estremamente bassi" di radioattività sono stati rilevati in quasi tutto il suo territorio nazionale, il portavoce del governo di Tokyo ha ammesso che "il fatto che il livello di radiazioni al suolo in Giappone sia elevato conduce inevitabilmente a sollevare l'ipotesi di un accumulo di radiazioni a lungo termine potenzialmente pericoloso per la salute pubblica". Anche per questa ragione, il governo giapponese ha assicurato che continuerà "a monitorare il livello di radiazioni con grande attenzione in modo da poter prendere, eventualmente, tutte le misure necessarie". I livelli di radioattività misurati ieri dall'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (Aiea) in un villaggio a 40 chilometri dalla centrale nucleare giapponese hanno oltrepassato quelli massimi raccomandati. La Tokyo Electric Power (Tepco) ha accettato l'aiuto del gruppo nucleare francese Areva il cui presidente, Anne Lauvergeon, è già arrivato a Tokyo con alcuni esperti, per dare tecnicamente manforte ai gruppi nipponici, in particolare per il trattamento delle acque contagiate. 31 marzo 2011
2011-03-30 Libia, il governo: causa a chi fa affari con i ribelli * * * * libia insorti furgoncino pick up box GOVERNO LIBICO: CAUSA ALLE AZIENDE CHE FANNO AFFARI CON I RIBELLI Il governo libico farà causa a qualsiasi azienda internazionale che concluderà affari con i ribelli nel settore dell'energia. Lo riferisce l'agenzia Jana. CINA A SARKOZY: RAID POTREBBERO VIOLARE RISOLUZIONE "Se le azioni militari colpiscono popolazioni innocenti e provocano gravi crisi umanitarie, allora violano il mandato originale del Consiglio di sicurezza dell' Onu, ha affermato Hu citato dalla Cctv, la tv di Stato cinese. "La storia ha dimostrato che l' uso della forza non risolve i problemi, ma che anzi non fa che complicarli", ha aggiunto Hu. Ricevendo il presidente francese, uno dei promotori della risoluzione che ha autorizzato gli attacchi aerei contro le forze di Muammar Gheddafi, Hu ha sottolineato che "sono il dialogo e gli altri mezzi pacifici a fornire la risoluzione ultima dei problemi". Il presidente cinese ha aggiunto che Pechino "appoggia gli sforzi politici per il miglioramento della situazione in Libia". Sarkozy è in Cina per partecipare ad un seminario informale dei ministri economici e dei banchieri centrali del G20 sul sistema monetario internazionale che si terrà a Nanchino, nel sud del Paese. "Se le azioni militari colpiscono popolazioni innocenti e provocano gravi crisi umanitarie, allora violano il mandato originale del Consiglio di sicurezza dell' Onu, ha affermato Hu citato dalla Cctv, la tv di Stato cinese. "La storia ha dimostrato che l' uso della forza non risolve i problemi, ma che anzi non fa che complicarli", ha aggiunto Hu. Ricevendo il presidente francese, uno dei promotori della risoluzione che ha autorizzato gli attacchi aerei contro le forze di Muammar Gheddafi, Hu ha sottolineato che "sono il dialogo e gli altri mezzi pacifici a fornire la risoluzione ultima dei problemi". Il presidente cinese ha aggiunto che Pechino "appoggia gli sforzi politici per il miglioramento della situazione in Libia". Sarkozy è in Cina per partecipare ad un seminario informale dei ministri economici e dei banchieri centrali del G20 sul sistema monetario internazionale che si terrà a Nanchino, nel sud del Paese. Libia, Obama non esclude di armare i ribelli, la Russia dice no, la Farnesina la reputa una "misura estrema e controversa". Nel frattempo le forze pro Gheddafi hanno ripreso il terminal pretrolifero di Ras Lanuf - gli aerei francesi hanno iniziato ad attaccarle - e bombardano Misurata. La guerra libica si combatte come ogni guerra ormai su due fronti: quello sul campo, militare, e quello diplomatico e mediatico. OBAMA NON ESCLUDE DI ARMARE I RIBELLI, GHEDDAFI AVANZA L'ipotesi di armare gli insorti l'ha rivelata il New York Times e l'ha prospettata il presidente americano Barack Obama. Intervistato dall'Nbc, alla domanda sull'eventualità che gli Stati Uniti possano garantire assistenza militare diretta ai rivoltosi, Obama ha risposto: "Non lo escludo, ma non dico neanche che lo faremo. Stiamo valutando cosa faranno le forze di Gheddafi. Una delle questioni a cui stiamo cercando di dare risposta - ha aggiunto - è se le forze di Gheddafi sono state sufficientemente indebolite, perché allora non sarebbe necessario armare i ribelli". A questa ipotesi, o per la precisione che la Nato armi gli insorti, il ministro degli esteri russo Serghiei Lavrov si è detto contrario. "Armare i ribelli sarebbe una misura controversa, una misura estrema e certamente dividerebbe la comunità internazionale", afferma intanto il portavoce della Farnesina Maurizio Massari, a Radioanch'io. (ANSA). TAM 30-MAR-11 09:27 NNN Sul fronte strettamente militare le forze governative stamattina hanno ripreso il terminal petrolifero di Ras Lanuf che sono avanzate verso est e hanno bombardato le posizioni dei ribelli. "Gheddafi ci ha colpiti con razzi enormi. È entrato a Ras Lanuf" ha detto il guerrigliero Faraj Muftah. "Eravamo alla porta ovest di Ras Lanuf e siamo stati bombardati", ha aggiunto un secondo ribelle, Hisham, mentre un terzo militante ha detto che gli scontri continuano intorno alla cittadina: "È una battaglia avanti e indietro", ha spiegato. Gli insorti hanno detto di essere stati sopraffatti dalla superiore potenza di fuoco dei lealisti. Testimoni hanno riferito di aver visto decine di ribelli fuggire verso est sui loro pick up. Gli stessi insorti hanno fatto sapere che proprio a Ras Lanuf "aerei francesi sono arrivati e hanno bombardato le forze di Gheddafi ". Un reporter della Reuters conferma di aver sentito gli aerei sorvolare la zona, e di aver udito dei rumori simili a esplosioni, pur non potendo confermare. A complicare lo scenario Mosca si dice allarmata perché elementi di Al-Qaida sarebbero infiltrati nell'opposizione libica: lo ha detto il ministro degli esteri russo Serghiei Lavrov, citato dall'agenzia Interfax: "Stanno arrivando notizie davvero allarmanti, secondo cui elementi di Al-Qaida potrebbero essere presenti molto probabilmente nelle forze dell'opposizione. Questo non può che allarmarci. Noi tutti capiamo come tale piaga potrebbe diffondersi in tutta la regione, e non solo lì". 30 marzo 2011
2011-03-27 I ribelli libici a Sirte. "Esporteremo il petrolio" * * * * libia proiettile box LA DIRETTA RAID AEREI A SIRTE E TRIPOLI Con il buio riprendono i raid aerei della coalizione. Esplosioni si sono sentite a Sirte e a Tripoli.
NATO: COMANDO NOSTRO ANCHE EMBARGO NAVALE La Nato ha iniziato a "effettuare le operazioni della no-fly zone" sopra la Libia e a imporre un embargo navale sulle armi. Lo ha indicato in un comunicato il generale canadese Charles Bouchard, chiamato venerdì a guidare le operazioni dell'alleanza atlantica in Libia.
ANCHE IL VATICANO A CONFERENZA SU LIBIA Ci sarà anche il Vaticano alla conferenza sulla Libia, in programma a Londra martedì. A rappresentare la Santa Sede sarà il Nunzio apostolico in Gran Bretagna, Monsignor Antonio Mennini. Lo ha riferito il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi.
FORZE GHEDDAFI, DEFEZIONI A SIRTE Venti veicoli delle truppe di Muammar Gheddafi, inclusi alcuni dotati di batterie antiaeree, hanno abbandonato Sirte, la città natale del Colonnello e andare in direzione di Tripoli. Lo riferisce un reporter di Reuters aggiugendo che al seguito del convoglio militare si sono accodate auto civili che trasportano famiglie cariche di tutti i beni che hanno potuto portare vie dalle case. I ribelli del Consiglio Nazionale Transitorio di Bengasi hanno proseguito verso ovest strappando più territorio possibile ai fedelissimi del Colonnello. Fonti dei ribelli hanno però detto che per la notte intendono accamparsi a Nufilia, a circa 50 km da Sirte dove i soldati di Gheddafi si stanno trincerando per affrontarli. Prima di avanzare attendono l'intervento degli aerei della coalizione.
IL COMANDO ORA DELLA NATO Il generale canadese Charles Bouchard, è stato nominato comandante della "Task Force Multiforze Combinata" per l' operazione "Unified Protector" sull' applicazione dell' embargo marittimo alla Libia. Bouchard guiderà da Napoli le forze Nato e non-Nato.
LA NATO: LIMITARE I RAID, NO ARMI AGLI INSORTI La Nato, che si prepara ad assumere il comando di tutte le operazioni militari in Libia, intende limitare i raid a protezione dei civili e delle zone abitate. Lo hanno dichiarato fonti diplomatiche. Il piano messo a punto dall'alleanza atlantica non prevede interventi per sostenere gli insorti.
GLI INSORTI: POSSIAMO ESPORTARE PETROLIO I ribelli libici si dicono pronti a esportare petrolio "in meno di una settimana" e in grado di produrre "dai 100.000 ai 130.000 barili al giorno". Lo ha annunciato un portavoce, dopo la conquista oggi degli impianti e dei terminal a sud di Bengasi.
RIPRESO ATTACCO A MISURATA Le forze fedeli a Muammar Gheddafi hanno ripreso l'attacco contro Misurata, la città portuale tra Tripoli e Sirte.
AJDAIYA LIBERATA IN FESTA Ajdabiya è in festa. Nella città a sud di Bengasi riconquistata ieri dalle forze antigovernative dopo giorni di battaglia con le forze di Muammar Gheddafi, viene distribuito pane. Preso d'assalto l'unico distributore di benzina aperto.
DONNA DENUNCIA STUPRO MILITARI, 5 ARRESTI A TRIPOLI Ci sarebbe anche il figlio di un alto funzionario di polizia tra le cinque persone arrestate oggi a Tripoli dopo le accuse lanciate ieri da Iman al-Obeidi, che ha affermato di essere stata stuprata dai soldati di Muammar Gheddafi perchè proveniente da Bengasi. Lo riferisce Sky News, citando il viceministro degli Esteri libico, Khalid Kaim. Gli arresti sono stati effettuati nell'ambito "di una inchiesta penale sulle accuse lanciate dalla donna", ha precisato Kaim. ARRIVATI IN SARDEGNA AEREI EMIRATI ARABI UNITI È cominciato nel primo pomeriggio il rischieramento in Sardegna dei velivoli degli Emirati Arabi Uniti che parteciperanno alla coalizione che su mandato dell'Onu dovrà garantire la no fly zone sulla Libia. Alle 14.00 nell'aeroporto "Mario Mameli" di Cagliari-Elmas è atterrato un Airbus-330 con materiali e personale logistico. Nella base aerea di Decimomannu, dove gli emiratini venivano attesi ormai da otto giorni, sono dati in avvicinamento i velivoli da combattimento che affiancheranno gli F-18 spagnoli e gli F-16 olandesi che operano dall'isola. RIUNIONE DI LONDRA, CONFERMATI OLTRE 35 MINISTRI ESTERI I ministri degli Esteri di oltre 35 Paesi hanno confermato la loro partecipazione alla riunione del gruppo di contatto politico sulla Libia, in programma martedì a Londra. Lo ha annunciato il Foreign Office in un comunicato. "I ministri degli Esteri di oltre 35 Paesi hanno già confermato la loro presenza", al fianco del segretario di Stato statunitense Hillary Clinton e del segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon. Anche il presidente della commissione dell'Unione africana, Jean Ping, parteciperà alla riunione. Ieri, il governo britannico ha annunciato la presenza del primo ministro del Qatar, Hamad ben Jassem. NATO; COMANDO, C'È ACCORDO IN COMITATO MILITARE La Nato guida già la missione per fare rispettare l'embargo delle armi e si appresta entro domani ad assumere il comando per l'interdizione dei voli nei cieli libici. Con l'approvazione dei nuovi piani, attesa per la tarda serata (il consiglio atlantico si riunirà alle 18), l'Alleanza assumerà anche il comando delle operazioni per proteggere i civili dalle truppe del colonello Gheddafi, con una no fly zone rafforzata (no fly zone plus), che include anche bombardamenti su bersagli di terra. Il passaggio di consegne completo tra la coalizione dei volenterosi e la Nato sarà formalmente ufficializzato alla conferenza del "gruppo di contatto" martedi a Londra, tra i rappresentanti dei paesi che partecipano alle operazioni, alla quale parteciperà anche il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen. A comando delle operazioni ci sarà il generale canadese Charles Bouchard. Il centro di comando sarà nella base di Napoli. La Nato non rifornirà armi ai ribelli. Il segretario alla difesa britannico Liam Fox, intervistato a Bruxelles dalla Bbc, ha smentito indiscrezioni riportate dal Washington Post. C'è un embargo delle armi contro tutto il territorio della Libia e noi -ha detto Fox "dobbiamo accettarlo". Sulla possibilità di raid aerei contro bersagli a terra - così come condotti dalla coalizione dei volenterosi - i paesi dell'Alleanza si erano divisi. La Turchia in particolare aveva chiesto lo stop di tutti i raid prima del passaggio del comando alla Nato della no fly-zone. L'interdizione dei voli sarà totale e "imparziale", e riguarderà tutti gli aerei non autorizzati, sia gli aerei delle forze di Gheddafi che quelli dei ribelli. ANCHE BEN JAWAD È STATA CONQUISTATA DAGLI OPPOSITORI Anche la borgata di Ben Jawad, nell'est della Libia, a una decina di chilometri da Ras Lanouf, è stata conquistata dagli oppositori al regime di Gheddafi. Lo riferiscono fonti giornalistiche. ABITANTE SIRTE, FINO ALL'ALBA PESANTI RAID COALIZIONE Sirte, città natale del leader libico Muammar Gheddafi circa 560 chilometri ad est di Tripoli, è stata sottoposta nella notte, fino all'alba, a pesanti bombardamenti aerei da parte della coalizione internazionale. Lo ha riferito un'abitante parlando al telefono con la France Presse, precisando che i raid hanno provocato molti danni. "La città è diventata una palla di fuoco. Le porte delle nostre case sono state soffiate via dalle forza delle esplosioni", ha detto. "Quasi tutti gli abitanti sono fuggiti nel deserto, terrorizzati dai raid aerei". TRIPOLI CHIEDE TREGUA Dopo la riconquista di Agedabia e Brega, i ribelli libici proseguono nella loro avanzata e guardano verso al-Bisher, una città una trentina di chilometri più a ovest lungo la strada che porta alla città natale di Muammar Gheddafi, Sirte. Ma il regime libico è tornato a chiedere il cessate-il-fuoco e una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza Onu. A Tripoli, il portavoce del governo, Mussa Ibrahim, ha detto sabato notte che gli attacchi aerei della coalizione hanno ucciso soldati e civili lungo la strada tra Agedabia e Sirte: "Stanotte i raid aerei continuano a pieno ritmo. Stiamo perdendo molte vite, soldati e civili", ha detto e ha rinnovato il suo appello alla tregua e a una riunione urgente al Palazzo di Vetro. In effetti i raid, lanciati dalla coalizione occidentale per proteggere i civili, stanno effettivamente spostando l'equilibrio di potere sul terreno e sabato notte sono proseguiti senza sosta. I caccia francesi hanno anche distrutto almeno cinque aerei e due elicotteri delle forze lealiste nelle regioni di Zindan e Misurata. Ma intanto l'Italia pensa al dopo. Il ministro degli Esteri Franco Frattini, impegnato da giorni in un'ampia rete di contatti per tentare di risolvere la crisi, ha delineato i contorni di un piano per relegare Gheddafi in esilio. Dopo che tutta l'Europa e l'Onu hanno ripetuto che il Colonnello non è un interlocutore accettabile, non si può pensare ad una soluzione che contempli la sua permanenza al potere", ha detto Frattini a 'Repubblicà. "Chiaro, altra cosa è pensare a un esilio per Gheddafi, l'Unione Africana si è già fatta carico di trovare una soluzione". Frattini presenterà il suo piano alla riunione a Londra, martedì, tra i ministri degli Esteri della coalizione internazionale. "Abbiamo un piano e vedremo se si potrà tradurre in una proposta italo-tedesca. Magari da elaborare in un documento congiunto da presentare martedì". Il capo della diplomazia italiana ha detto che il piano deve comprendere un cessate-il fuoco monitorato dall'Onu, ampie consultazioni con i gruppi tribali libici e un corridoio umanitario permamente, a cui il governo italiano sta già lavorando con il governo turco. Aiutati dai raid aerei internazionali, i ribelli libici ieri hanno annunciato la riconquista di Ajdabiya e, in maniera controversa, anche di Brega, due centri strategici nel quadrante est della Sirte. Sull'altro lato del golfo le forze del colonnello Muammar Gheddafi hanno continuato a cannoneggiare l'enclave ribelle di Misurata per fermarsi solo quando in cielo sono comparsi gli aerei della coalizione. RIUNIONE A BRUXELLES Mentre a Bruxelles la Nato sta mettendo a punto piani e regole di ingaggio per il passaggio del comando della missione all'Alleanza - proprio come auspicato dall'Italia nonostante le resistenze francesi - da Washington il presidente Barack Obama ha usato il consueto messaggio del sabato per rassicurare gli americani annunciando che la coalizione sta vincendo e ha sventato una "catastrofe umanitaria" e "un bagno di sangue". I RIBELLI AVANZANO Ad essere riconquistate dai ribelli è stata prima Ajdabiya, città a 160 km a sud di Bengasi, considerata la 'portà verso due importanti centri petroliferi tra cui Brega, situata circa 80 km più a ovest e, almeno secondo alcune testimonianza, espugnata nel pomeriggio di ieri . Le due città erano state dapprima conquistate e poi perse dai ribelli tra il 13 marzo e una settimana fa. Questi hanno annunciato di aver inseguito per una trentina di km le truppe di Gheddafi in fuga verso ovest, dove si trova un altro importante centro petrolifero, Ras Lanuf, coprendo dunque circa 270 degli 800 km della litoranea del Golfo della Sirte. RAID NELLA NOTTE Per facilitare l'avanzata degli insorti verso ovest, in nottata la coalizione ha attaccato alcuni reparti di lealisti lungo la strada che collega Ajdabiya a Sirte, città natale di Gheddafi. E sempre nella tarda serata di ieri è stata colpita nuovamente Sabha, città della Libia centrale che rientra nella sfera di influenza della tribù del colonnello. Ribelli e fonti ufficiali (che denunciano una strage di civili) hanno attribuito un ruolo decisivo negli sviluppi sul terreno ai raid aerei della coalizione. Riferendosi solo a Ajdabiya, il viceministro degli Esteri libico Khaled Kaaim ha parlato comunque di mera "ritirata strategica" e di una prossima ulteriore riconquista della città. Il centro ieri si presentava come una città fantasma per la fuga di una rilevante parte dei suoi abitanti. Il bilancio di vittime degli scontri è incerto ma i ribelli segnalano nove morti e nove feriti, ma altre fonti parlano di almeno 21 soldati di Gheddafi uccisi nei pressi della città dove sarebbe stato catturato anche un generale dell'esercito del rais. Intanto a Misurata, città portuale circa 200 chilometri ad est di Tripoli controllata dai ribelli, è stata attaccata con carri armati e artiglieria fino a quando, in serata, sono comparsi aerei nel cielo della coalizione che hanno fatto fermare i bombardamenti. Il bilancio di una settimana di scontri sarebbe di almeno 115 morti, causati anche da cecchini del regime che - secondo testimonianze, - sparano sui civili. Oltre a quelli della tarda serata, la coalizione ha effettuato altri raid: i jet francesi hanno distrutto a terra, proprio a Misurata, cinque aerei e due elicotteri nemici. Tre missioni aeree sono state compiute tra venerdi e sabato oggi da caccia F-16 dell'Aereonautica militare italiana schierati a Trapani. "La missione in Libia sta avendo successo", ha detto Obama sotto assedio del Congresso che lo accusa di aver preso la missione alla leggera. "Quando uno come Gheddafi minaccia un bagno di sangue e la comunità internazionale è pronta ad agire insieme è nel nostro interesse nazionale agire", ha argomentato il presidente sottolineando che la missione in Libia "ha evitato una catastrofe umanitaria e le vite di civili, innocenti uomini, donne e bambini, sono state salvate". Il segretario alla difesa Usa Robert Gates dal canto suo ha affermato che i governativi userebbero i cadaveri delle persone da loro stassi uccise facendoli passare per vittime civili dei raid aerei della coalizione. Il riferimento di Obama alla comunità internazionale è indirettamente anche alla Nato e quindi all'accordo politico per il passaggio sotto il comando dell'alleanza atlantica di tutte le operazioni militari in Libia. In base a tale intesa, il Comitato militare della Nato, presieduto dall'ammiraglio Giampaolo Di Paola, ha lavorato per pianificare l'intervento. 27 marzo 2011
Frattini: piano italo-tedesco per la crisi libica * * * * IMG È pronta una proposta italo-tedesca per risolvere la crisi libica. Lo ha annunciato il ministro degli esteri Franco Frattini in una intervista a un quotidiano nazionale. L'iniziativa sarebbe finalizzata a riportare la pace nel paese nordafricano a scontrarsi con l'azione politica condotta invece dal tandem franco-inglese. Il documento sarà messo a punto con la cancelliera Angela Merkel al vertice della coalizione martedi a Londra. Secondo quanto anticipato al quotidiano, la linea guida del piano dovrbebe poggiare sull'esilio del colonnello Gheddafi. Ma la road map ha nel cessate il fuoco immediato il primo ineludibile passaggio. Questo, ha spiegato Frattini, "dovrà essere monitorato dalle Nazioni Unite. E l'istituzione di un corridoio umanitario permanente". Oltre al coinvolgimento delle organizzazioni internazionali come Lega Araba e Unione africana, il ministro è convinto che "occorrerà coinvolgere i gruppi tribali, quantomeno i più rappresentativi. Tutti insieme lavoreranno quindi per una costituzione per la Libia, della quale il paese finora è stato sprovvisto". 27 marzo 2011
2011-03-25 Libia, il Pentagono: "Gheddafi indebolito" Tripoli pronta a "road map" dell'Unione africana * * * * libia insorti I RIBELLI ENTRANO AD AGEDABIA I ribelli libici del Consiglio Nazionale Transitorio di Bengasi stanno tentando di strappare alle truppe di Muammar Gheddafi la città di Agedabia. Lo riferisce la rete qatariota al Jazira secondo cui i ribelli stanno penetrando in città da est. IL PENTAGONO: GHEDDAFI INDEBOLITO Il colonnello Gheddafi sta fornendo armi a dei volontari nella sua battaglia contro i ribelli libici per mantenere il potere. Lo afferma il Pentagono. "Abbiamo ricevuto oggi delle informazioni secondo cui" Gheddafi "sta dando armi a dei cosiddetti volontari per combattere l'opposizione", ha detto il vice ammiraglio William Gortney. AMMIRAGLIO USA: GHEDDAFI INDEBOLITO Muammar Gheddafi ha perso in parte la capacità di guidare le sue truppe. Lo ha riferito l'ammiraglio di squadra navale William Gortney, direttore dello Stato maggiore della Difesa Usa. Gortney ha aggiunto che Gheddafi ha iniziato ad armare "volontari" per combattere i ribelli. L'ammiraglio ha confermato che per ora le operazioni di attacco al suolo in difesa dei civili restano sotto il comando Usa e che alla fine potrebbero passare alla Nato. GHEDDAFI: PROMUOVO TUTTI NELLE FORZE ARMATE Muammar Gheddafi ha promosso tutti i componenti delle sue forze armate, di quelle di sicurezza e della polizia. Lo ha detto la tv di stato con un annuncio scritto che non precisa come funzionerà la promozione di massa e se comporterà aumenti di stipendio. Evidentemente il raìs vuole tenere fedeli i suoi militari. TRIPOLI PRONTA A ROAD MAP DELL'UNIONE AFRICANA Il governo libico è "pronto ad applicare la road map" proposta dall'Unione Africana per mettere fine alle ostilità in Libia: lo hanno reso noto i rappresentanti del regime di Muammar Gheddafi al termine di una riunione tenuta nella sede dell'Ua ad Addis Abeba. Tripoli è disposta ad attuare questo piano in cambio di un cessate il fuoco e della fine delle operazioni della coalizione internazionale. "Siamo pronti ad applicare la road map che prevede l'adozione e l'applicazione di una politica che risponda alle aspirazioni del popolo libico in modo pacifico e democratico", hanno dichiarato i componenti della delegazione di Tripoli, guidata da Moahmmed Zouai, segretario del Congresso generale del Popolo, e composta da quattro ministri. All'incontro Alla riunione partecipavano rappresentanti dell'Onu, dell'Ue, della Lega Araba e dell'Organizzazione della Conferenza Islamica, ma non c'erano rappresentanti dei ribelli. Le possibilità di un'attuazione concreta sembrano piuttosto remote. TRIPOLI: STOP A BOMBARDAMENTI, CONTROLLO ALL'UNIONE AFRICANA La dichiarazione dei delegati di Tripoli recita: "Il governo libico si impegna per un cessate il fuoco e al comunità internazionale dovrà imporre il medesimo obbligo a tutte le parti in causa; il governo si impegna ugualmente ad accettare una missione di verifica della tregua da parte dell'Unione Africana", ha proseguito la delegazione libica, chiedendo in cambio "la fine dei bombardamenti aerei, la revoca del blocco navale e delle sanzioni economiche. Quel che accade oggi in Libia costituisce un problema strettamente africano che non potrà esser risolto che dall'Unione Africana". LA TAVOLA DELLA PACE: "CESSATE IL FUOCO" MOBILITAZIONE NAZIONALE IL 2 APRILE "Cessate il fuoco!": è l'appello della Tavola della Pace, "galassia" di associazioni pacifiste italiane che invita tutti a esporre la bandiera arcobaleno dal balcone o dalla finestra e per il 2 aprile invita tutti a mobilitarsi contro l'intervento militare in Libia e contro le repressioni e le violenze che stanno infiammando l'Africa e alcuni Paesi del Medio Oriente. "Fermiamo la guerra, la violenza e la repressione. Difendiamo i diritti umani. Contro tutti i dittatori e i loro regimi. No al cinismo e all'indifferenza. Basta con il commercio delle armi. Solidarietà con i giovani e i popoli in lotta per la libertà, la giustizia e la democrazia nel Mediterraneo e nel mondo arabo. Protezione, accoglienza e asilo per i profughi e gli sfollati. Costruiamo una politica di pace e giustizia", dichiara la Tavola della Pace. Oltre alla giornata del 2 aprile ci saranno tre giorni (dal 15 al 17 aprile) ad Assisi sulla pace, la libertà e i diritti umani. Infine, i pacifisti chiedono ai cittadini di aiutarli a organizzare la Marcia per la pace Perugia-Assisi (il 25 settembre), costruendo nella propria città, a scuola, con gli amici un Comitato Perugia-Assisi. I PASSAGGI DEL COMANDO ALLA NATO Tra domani e domenica mattina, il Comitato militare della Nato ultimerà la pianificazione e domenica sera il Consiglio atlantico metterà l'ultimo timbro per il controllo delle operazioni militari. Martedì si riunirà a Londra il "gruppo di contatto" sulla Libia, dove la Francia e la Gran Bretagna presenteranno una soluzione "politica e diplomatica" alla crisi, secondo le parole di Sarkozy. AL JAZEERA: GHEDDAFI TRATTA "PER USCITA SICURA" Un funzionario dell'intelligence statunitense ha riferito all'emittente televisiva in lingua araba Al Jazira di una "iniziativa" di Muhammar Gheddafi: il rais sarebbe propenso ad accettare un "cessate il fuoco" in cambio di una propria "uscita sicura" dal conflitto libico.
ESPLOSIONI AD AGEDABIA Almeno tre violentissime esplosioni sono risuonate ad Agedabia, estrema difesa degli insorti libici lungo la direttrice che conduce alla loro capitale Bengasi, 160 chilometri più a nord. Lo hanno riferito fonti giornalistiche presenti sul posto, secondo cui i boati erano stati preceduti dal rombo dei motori dei jet alleati. A detta dei ribelli si è trattato di una nuova incursione della coalizione multinazionale contro le forze fedeli al regime libico che in mattinata avevano ripreso a bombardare la città.
IMAM DI BENGASI: INTERVENTO NATO CI DIFENDE "Stanno difendendo le nostre donne e i nostri bambini" in un intervento che "non è una guerra cristiana" contro l'Islam. Lo ha detto l'imam Wanis al-Mabruk al-Fisay a migliaia di persone nella piazza del tribunale di Bengasi dopo la preghiera del venerdì. "Il consiglio nazionale transitorio è il solo rappresentante del popolo"
LA NATO: A NOI COMANDO La Nato assumerà il comando di tutte le operazioni militari in Libia e guiderà la coalizione internazionale impegnata a far rispettare la risoluzione 1973 dell'Onu. Lo hanno riferito fonti dell'Alleanza atlantica a Bruxelles, poi confermate, sottolineando che la decisione sarà definita in una riunione in programma domenica nella capitale belga. Il comando Nato significa che alla 'Coalizione dei volenterosi' subentrerà una coalizione internazionale guidata dall'Alleanza. Berlusconi si è detto soddisfatto. La conferma è arrivata dalla portavoce, Oana Lungescu, in un comunicato. Questo comporterà che l'Alleanza atlantica avrà anche il comando degli interventi militari contro gli obiettivi di terra, oltre che il controllo della No fly zone. L'Alleanza atlantica ha comunicato che entro "qualche giorno" avrà non solo il controllo completo per la No fly zone, ma per tutte le operazioni militari contro gli obiettivi di terra per garantire il rispetto della risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza dell'Onu. FARNESINA: ANCHE ITALIA HA PROPOSTE "Anche l'Italia ha le sue idee e le sue proposte, e le farà valere nelle sedi opportune e nei prossimi appuntamenti discutendole con i nostri partner". Lo riferiscono autorevoli fonti della Farnesina commentando l'annuncio del presidente francese Nicolas Sarkozy di un'iniziativa "politica e diplomatica" franco-britannica sulla crisi libica. "Qualsiasi soluzione politica ad ogni modo - osservano le stesse fonti - dovrà necessariamente passare per il consenso dei Paesi Ue, della coalizione e dunque anche dell'Italia". SARKOZY: INIZIATIVA DIPLOMATICA DI PARIGI E LONDRA Il presidente francese nicolas sarkozy ha annunciato che parigi e londra stanno preparando un'iniziativa per una "soluzione politica e diplomatica" della crisi libica. in particolare, sarkozy ha spiegato che, in preparazione della riunione di martedì a londra sulla crisi libica del gruppo che sta conducendo l'intervento militare "ci sarà sicuramente un'iniziativa franco-britannica per dimostrare che la soluzione è non solo militare ma anche politico-diplomatica". sen/sam/lv 251356 mar 11 nnn NO FLY ZONE PER 90 GIORNI La missione della Nato per il rispetto della No Fly Zone in Libia è prevista per di 90 giorni. Il piano comunque - ha spiegato una fonte militare dell'Allaenza - può essere prolungato o ridotto. La missione sarà pienamente operativa entro 48 ore, ha aggiunto la stessa fonte spiegando che il comando della No Fly Zone sarà nella base Joint Force Comande di Napoli, che si avvale del centro operativo Caoc, il Combined Air Operations Center di Poggiorenatico (Ferrara). INSORTI: 8-10 MORTI DA INIZIO RIVOLTA Secondo gli insorti tra 8.000 e 10.000 persone sono morte in Libia dall'inizio della rivolta contro Gheddafi. Lo ha detto un portavoce da Bengasi. "Sappiamo che a Tripoli 1.200 persone tra attivisti politici e gente comune sono state prelevate dalle loro case e potrebbero essere utilizzate come scudi umani", ha spiegato il portavoce. Geriani ha rivelato che più volte il regime ha cercato una mediazione con i ribelli, che hanno respinto ogni tentativo. I rivoltosi hanno anche precisato che non sono in corso e non sono previste trattative con i capi tribali. 25 marzo 2011
Lampedusa, migranti in rivolta: "Abbiamo fame" * * * * lampedusa, rivolta cibo Monta la protesta tra i migranti che si trovano ancora a Lampedusa, in attesa di essere trasferiti sulla terra ferma, in condizioni igienico sanitarie precarie e senza un'assistenza adeguata. Le operazioni di imbarco sulla nave San Marco, giunta stamane da Augusta dove ieri aveva scaricato 500 profughi poi trasferiti a Mineo, non sono ancora cominciate, anche perchè non è chiara la destinazione finale dell'unità militare. LA RIVOLTA DEL PRANZO All'ora di pranzo, mentre in porto approdavano gli ultimi migranti soccorsi dalle motovedette, circa 2500 extracomunitari assiepati sulla banchina hanno cominciato a urlare e a scandire slogan come "hurriya" (libertà in arabo, ndr). Una contestazione scaturita dal ritardo nella distribuzione del pranzo, avvenuta inoltre con un furgone che gli immigrati avevano inizialmente confuso con quello utilizzato per la raccolta dei rifiuti. È stato lo stesso responsabile del Centro di accoglienza, Federico Miragliotta, a chiarire l'equivoco rassicurando i manifestanti. Ma anche la struttura di contrada Imbriacola, che in questo momento accoglie circa 1400 profughi, è ormai al collasso con servizi igienici intasati e decine di persone costrette a dormire in stanzette di pochi metri quadrati come documentato da un reportage del Tg5. Per non parlare dei locali della riserva marittima, che ospita oltre un centinaio di minori, dove l'aria è irrespirabile per il tanfo. 25 marzo 2011
Minori soli: "Denunciare Italia per abbandono" di Mariagrazia Gerina di Mariagrazia Gerina | tutti gli articoli dell'autore * * * * IMG Lampedusa è abbandonata a se stessa da settimane. Con il suo carico di cinque- mila immigrati, costretti a vivere in condizioni disu- mane. "Ma un governo che non sa neppure tutelare duecento bambini si dovrebbe dimettere", dice Alessandra Ballerini, avvocato genovese specializ- zata in diritto dell'immigrazione. "Po- trebbero esserci gli estremi perché si configuri il reato di abbandono". I piccoli ospiti dell’Area marina pro- tetta Alessandra li ha visti alcuni gior- ni fa. Quando è venuta insieme a San- dra Zampa, deputata del Pd. "Ho vi- sto lo sporco, l’odore da canile, i bagni quasi inagibili. Non c’erano docce. Nessuna coperta se non quelle porta- te dai lampedusani". Ieri, è arrivato qualche materasso. Le docce i bambini se le sono potute fare al campo sportivo. Qualcuno è stato portato in una struttura un più protetta. Ma Lampedusa continua ad essere un posto dove i bambini che ar- rivano sui barconi senza padre né ma- dre non possono stare un giorno di più. "È chiaro – denuncia Alessandra Ballerini - che in queste settimane c'è stata una violazione della convenzio- ne di New York. Lo Stato dovrebbe proteggere i bambini che sono presen- ti nel nostro territorio. Invece i bambi- ni che sono arrivati a Lampedusa non hanno trovato nessun tipo di assisten- za o di ascolto dei loro bisogni". Quando ci sono minori non accom- pagnati - ricorda da legale - la loro pre- senza va segnalata alla procura, pres- so il tribunale dei minori, al giudice tutelare e al Comitato per i minori stra- nieri. "E tutto questo va fatto imme- diatamente". Il concetto di "immedia- tezza" non è matematico. Ma i bambi- ni sbarcati dalla Tunisia sono a Lamp 25 marzo 2011
Il portavoce degli insorti libici: "Rispetteremo contratti ma anche chi ci ha aiutato" * * * * Vogliamo che la coalizione continui a distruggere le capacità militari di Gheddafi, abbiamo gli uomini, quello che chiediamo sono le armi". A sostenerlo è Ali Zeidan membro della Lega libica per i diritti umani e portavoce in Europa del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), il governo degli insorti. "Per settimane – afferma Zeidan – Gheddafi ha potuto usare gli aerei per bombardare le città insorte, non facendo alcuna distinzione tra combattenti e civili. Per settimane Gheddafi ha usato gli aerei per spostare armi e mercenari nel Paese. Se non ci fosse stato l'intervento della coalizione internazionale, le milizie del dittatore avrebbero trasformato Bengasi in un mattatoio. Capisco chi in Europa s'interroga sull'uso della forza. Ne rispetto il travaglio. Ma vorrei che riflettessero sul fatto che l'intervento internazionale ha impedito altri bagni di sangue". "Quello che sta avvenendo - sottolinea Zeidan - non è una guerra civile, è il popolo che ne ha abbastanza di 42 anni di dittatura. Non c'è alcun rischio di una divisione del Paese". A suo giudizio, l'intervento internazionale potrebbe terminare "tra 10 giorni se i bombardamenti continuano con la stessa intensità contro blindati e armi pesanti. Abbiamo abbastanza uomini per andare a Tripoli, siamo sicuri di vincere ". Sul Consiglio nazionale di transizione, Zeidan spiega che "è composto da 31 persone ma è stata rivelata l'identità solo di otto di loro perché alcuni vivono in zone ancora occupate dalle forze di Gheddafi. Sono soprattutto avvocati, professori, universitari.Sono rappresentate tutte le regioni della Libia. Ci sono membri di tutte le tribù, tra cui i Ghadafa a cui appartiene Gheddafi". Quanto al petrolio, Ali Zeidan promette che "i contratti firmati saranno rispettati", ma il futuro governo "prenderà in considerazione le nazioni che ci hanno aiutato"... IN EDICOLA IL SEGUITO DELL'ARTICOLO, OPPURE CLICCA QUI 24 marzo 2011 Vedi tutti gli articoli della sezione "Mondo"
Il portavoce degli insorti libici: "Rispetteremo contratti ma anche chi ci ha aiutato" * * * * Vogliamo che la coalizione continui a distruggere le capacità militari di Gheddafi, abbiamo gli uomini, quello che chiediamo sono le armi". A sostenerlo è Ali Zeidan membro della Lega libica per i diritti umani e portavoce in Europa del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), il governo degli insorti. "Per settimane – afferma Zeidan – Gheddafi ha potuto usare gli aerei per bombardare le città insorte, non facendo alcuna distinzione tra combattenti e civili. Per settimane Gheddafi ha usato gli aerei per spostare armi e mercenari nel Paese. Se non ci fosse stato l'intervento della coalizione internazionale, le milizie del dittatore avrebbero trasformato Bengasi in un mattatoio. Capisco chi in Europa s'interroga sull'uso della forza. Ne rispetto il travaglio. Ma vorrei che riflettessero sul fatto che l'intervento internazionale ha impedito altri bagni di sangue". "Quello che sta avvenendo - sottolinea Zeidan - non è una guerra civile, è il popolo che ne ha abbastanza di 42 anni di dittatura. Non c'è alcun rischio di una divisione del Paese". A suo giudizio, l'intervento internazionale potrebbe terminare "tra 10 giorni se i bombardamenti continuano con la stessa intensità contro blindati e armi pesanti. Abbiamo abbastanza uomini per andare a Tripoli, siamo sicuri di vincere ". Sul Consiglio nazionale di transizione, Zeidan spiega che "è composto da 31 persone ma è stata rivelata l'identità solo di otto di loro perché alcuni vivono in zone ancora occupate dalle forze di Gheddafi. Sono soprattutto avvocati, professori, universitari.Sono rappresentate tutte le regioni della Libia. Ci sono membri di tutte le tribù, tra cui i Ghadafa a cui appartiene Gheddafi". Quanto al petrolio, Ali Zeidan promette che "i contratti firmati saranno rispettati", ma il futuro governo "prenderà in considerazione le nazioni che ci hanno aiutato"... IN EDICOLA IL SEGUITO DELL'ARTICOLO, OPPURE CLICCA QUI 24 marzo 2011
Voltafaccia di Merkel su Libia e nucleare * * * * merkel sorridente 304 Un'astensione sull'intervento militare in Libia e un voltafaccia quasi a 360 gradi sull'energia nucleare: la cancelliera tedesca Angela Merkel va controcorrente rispetto a molti dei suoi partner internazionali, ma la sua posizione su due tra i temi più critici del momento sembra essere dettata più dalla paura di una sconfitta alle prossime regionali che da una strategia politica ponderata. Il 2011, un anno denso di importanti elezioni, è già cominciato male per la Cdu della Merkel, che ha perso Amburgo il 20 febbraio e nei sondaggi continua a indietreggiare. Per questo, se le cose non miglioreranno in fretta, anche alla luce di una continua ascesa dei Verdi spinta dalle proteste contro il nucleare, quest'anno rischia di segnare il destino della cancelliera anche alle politiche 2013. Tra esitazioni e ripensamenti, per la leader conservatrice si avvicina l'ora della verità, cioè le elezioni regionali di domenica prossima nel Baden-Wuerttemberg (Sud), che secondo l'opposizione potrebbero trasformarsi in un vero referendum sulla stessa leadership della Merkel. La cancelliera, scrive una parte della stampa tedesca, soffre di una crisi di credibilità che difficilmente riuscirà a superare nell'immediato futuro. Con il suo voto di astensione sulla Libia al Consiglio di sicurezza Onu, la Merkel si è tenuta lontana dall'intervento militare, forse memore delle proteste dei cittadini contro la guerra in Afghanistan. Allo stesso tempo, spinta dalla protesta seguita al disastro di Fukushima, ha fatto una rapida marcia indietro sull'energia atomica. Una conversione, questa, culminata nell'annuncio di ieri, secondo cui "più presto la Germania uscirà dal nucleare, meglio sarà". Un annuncio, questo, che è coinciso con l'ennesima conferma dell'ascesa dei Verdi nel paese che ospita ben 17 centrali atomiche. Il partito, che domenica potrebbe sottrarre alla Cdu il Baden-Wuerttemberg insieme alla Spd - dopo quasi 60 anni di governo conservatore - è al 20% su base nazionale, contro il 33% dell'Unione. I Verdi, quindi, raddoppiano rispetto alle politiche 2009 (10,7%), mentre la Cdu-Csu rimane al palo. Ma soprattutto, un'eventuale alleanza Spd-Verdi otterrebbe 7 punti in più rispetto alla maggioranza (45% contro 38%). E preoccupa la Merkel anche la debolezza ormai cronica della Fpd, che domenica scorsa è uscita dal Parlamento della Sassonia-Anhalt ed è ferma al 5% a livello federale (14,6% nel 2006). Secondo il capogruppo della Spd al Bundestag, Frank-Walter Steinmeier, l'astensione sulla Libia e la decisione di controbilanciarla con un impegno maggiore in Afghanistan (300 soldati per le missioni con aerei-radar Awacs) fanno parte della tattica da campagna elettorale della coalizione di governo. Da parte sua, Claudia Roth, co-presidente dei Verdi, attacca la politica nucleare della maggioranza definendola "cinica e immorale". In attesa di domenica, quando si voterà anche nella Renania-Palatinato, i cittadini tedeschi scelgono la piazza, dove sabato manifesteranno di nuovo contro il nucleare: a Berlino, Amburgo, Monaco di Baviera e Colonia, sono attese oltre 100mila persone. 24 marzo 2011 Vedi tutti gli articoli della sezione "Mondo"
2011-03-22 Obama telefona a Sarkozy. L'Eliseo: accordo sul sostegno Nato - Gheddafi: vinceremo noi - Foto a cura di Celestina Dominelli e Angela ManganaroCronologia articolo22 marzo 2011Commenta In questo articolo Media Argomenti: Politica | Gran Bretagna | Algeria | Giorgio Napolitano | Italia | Consiglio di sicurezza | Alain Juppé | Turchia | Parigi Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 22 marzo 2011 alle ore 16:15. * ascolta questa pagina * * * * a cura di Angela Manganaro Il quarto giorno di bombardamenti autorizzati dalla risoluzione 1973 dell'Onu è segnato dalle discussioni tra gli alleati della coalizione internazionale sul futuro della missione Odissea all'Alba che mira alla protezione dei civili libici. Mentre si definiscono alcuni dettagli dell'operazione - oggi i 28 paesi dell'Alleanza atlantica hanno deciso di affidare alla propria flotta navale il compito di far rispettare alla Libia l'embargo sulle armi - in serata si raggiunge un accordo fra gli Stati Uniti che, in linea con Gran Bretegna e Italia, vogliono trasferire il comando delle operazioni alla Nato, e la Francia, che per tutto il giorno manda segnali contrastanti e si oppone a questa soluzione. A risolvere l'impasse una telefonata del presidente Obama al collega francese Sarkozy: i due si accordano su come usare le strutture Nato a sostegno alla coalizione. Si chiude così una giornata complicata. A metà pomeriggio gli schieramenti si profilavano così: il presidente americano Obama, il premier britannico Cameron e il presidente italiano Giorgio Napolitano uniti nel dire che il comando dell'operazione deve passare alla Nato. La Francia a fare un gioco suo: prima sembra smorzare i toni, poi annuncia l'iniziativa di estendere le operazioni militari al di là dell'area di Bengasi da mercoledì. Poi il ministro degli Esteri Alain Juppé conferma che la posizione di Parigi è contro il comando Nato, alleanza in cui è tornata con un contingente militare nel 2009: nel pomeriggio, prima dell'accordo Obama-Sarkozy, Juppè lancia l'idea di un "coordinamento politico dell'operazione militare in Libia affidato a un comitato di ministri degli Esteri" e di un incontro nei prossimi giorni di questo comitato. foto Il caccia Usa caduto in Libia Caccia abbattuto a Bengasi, la foto sequenza Scatta l'operazione Odissea all'alba Vedi tutti " video Libia, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu autorizza la no fly zone Libia, nuovo audio di Gheddafi: barbari, sarà una lunga guerra Crisi in Libia, gli aerei italiani in campo Vedi tutti " audio Radio24 / L'abbattimento del caccia nella testimonianza dell'inviato del Sole documenti * Gli schieramenti in campo grafici Le sette basi italiane disponibili per l'operazione della Nato in Libia Vedi tutti " articoli correlati * Napolitano: comando Nato soluzione migliore * Gheddafi parla ai sostenitori: vinceremo noi. Scontri a Yafran. Precipita jet americano * Reportage. "Noi ribelli, islamici e tolleranti" Vedi tutti " Quello che si prefigurava come uno stallo non riguardava solo i soliti litigiosi leader europei: è stato infatti determinato dall'ambivalenza della Francia, dalle proteste di alcuni membri della Lega araba e dall'ostilità di Cina e Russia che la settimana scorsa si sono astenute sulla risoluzione e oggi hanno chiesto un immediato cessate il fuoco. Il segretario alla Difesa americano Robert Gates ha rassicurato Mosca dicendo che "le operazioni significative dovrebbero diminuire nei prossimi giorni". Lo stesso ministro degli Esteri italiano Frattini ha già invocato "un'azione di mediazione politica", da avviare con un "cessate il fuoco monitorato dall'Onu". Screzi pomeridiani fra Francia e Gran Bretagna Nel pomeriggio ci sono stati contrasti tra Parigi e Londra su chi deve prendere il comando delle operazioni. Il primo ministro britannico David Cameron ha detto che la responsabilità del rispetto della no fly zone dovrebbe essere trasferita alla Nato. Il ministro degli Esteri francese Alain Juppé obietta: "La Lega araba non vuole che l'operazione sia interamente sotto l'egida Nato". Parole in linea con quanto detto in mattinata da un portavoce del ministero della Difesa francese secondo cui la missione "è efficace così" e non c'è bisogno di trasferire il comando alla Nato. La giornata della diplomazia francese è contrassegnata da segnali contrastanti. Obama telefona a Erdogan Gli Stati Uniti non si muovono solo con la telefonata serale di Obama a Sarkozy e le rassicurazioni del Pentagono alla Russia. In mattinata Obama telefona al premier turco Recep Tayyip Erdogan per "riaffermare il supporto alla completa implementazione" della risoluzione Onu che autorizza l'azione militare per proteggere tutti i civili libici. "I due leader concordano sul fatto che occorre un sforzo della comunità internazionale che includa gli stati arabi", si legge nel comunicato ufficiale. Stati che già domenica, con il segretario generale della Lega Araba Amr Moussa, avevano criticato i raid sottolineando che la missione doveva essere limitata alla no fly zone. Washington e Ankara non rinunciano però a una comune dichiarazione d'intenti, sempre utile in questi contesti: i bombardamenti - prosegue la nota - devono raggiungere la massima "efficacia". Dal Moussa pre-elezioni alla diplomazia di Algeri: raid sproporzionati Un'altra voce del mondo arabo si leva contro i raid della coalizione internazionale in Libia. Stavolta non si tratta del segretario generale della Lega araba, Amr Moussa, 74enne candidato alla guida dell'Egitto del dopo Mubarak e quindi sospettato di "prese di posizione pre-elettorali". Stavolta a parlare è il capo della diplomazia algerina, Mourad Medelci, che definisce "sproporzionati" i bombardamenti aerei della coalizione internazionale contro la Libia rispetto alla risoluzione dell'Onu e chiede "la cessazione immediata delle ostilità". Medelci accusa i paesi della coalizione di aver "aggravato la crisi", in una dichiarazione che legge in presenza del suo omologo russo, Sergei Lavrov. La Libia attraversa una "crisi profonda" aggravatasi con l'entrata in azione delle forze aeree che noi riteniamo sproporzionata rispetto all'obiettivo assegnato dal Consiglio di sicurezza nella sua risoluzione 1973" dichiara Medelci. "L'Algeria coglie quest'occasione per chiedere ancora una volta la cessazione immediata delle ostilità e degli interventi stranieri al fine di risparmiare la vita dei nostri fratelli libici" aggiunge. Medelci ha infine sottolineato la necessità di permettere ai libici "di risolvere pacificamente e durevolmente la crisi, rispettando l'unità, l'integrità territoriale e la piena sovranità" del loro paese. Intanto il ministro degli esteri russo Lavrov sarà ricevuto dal presidente, Abdelaziz Bouteflika.
"Sì a ruolo forte Nato": accordo Usa-Gb-francia * * * * libia bombaramento box LA DIRETTA STRAGE DI BAMBINI A MISURATA La propaganda del rais proclama l'intenzione di rispettare il cessate il fuoco, ma Gheddafi continua a fare guerra al suo popolo, come ha drammaticamente dimostrato il nuovo massacro di Misurata, città della Libia occidentale con ancora sacche di resistenza degli insorti. Sono 40 le vittime di oggi, e stavolta testimoni parlano anche di 4 bambini morti. Il più grande aveva appena 13 anni. Sono stati uccisi tutti insieme, mentre si trovavano a bordo di un'auto. La terza città della Libia, 170 km a est dalla capitale Tripoli, è uno dei centri cruciali della rivoluzione; un simbolo, da quando è iniziata la rivolta. Fino a qualche giorno fa era in mano ai ribelli, poi il governo ha annunciato di averla riconquistata, ma - nell'ormai consueta altalena di notizie - oggi secondo alcune fonti sarebbe di nuovo in mano agli insorti. E l'accanimento delle forze lealiste sul centro costiero della Libia sembra dimostrarlo. La città è stata nel mirino dalle forze leali a Gheddafi, sin da stamattina. Accerchiata dai carri armati del regime, poi cannoneggiata. Già ieri era stata teatro di un attacco cruento e, anche ieri, il bilancio era stato di almeno quaranta vittime. Il rais, secondo alcune testimonianze, ha utilizzato scudi umani contro gli insorti. Oltre ai cannoni, all'opera c'erano anche i cecchini. La gente racconta di essere esausta e spaventata. "Qui la situazione è molto brutta", ha detto Mohammed, spiegando al telefono di trovarsi davanti all'ospedale cittadino. "Anche i cecchini prendono parte all'operazione - ha riferito, raccontando poi la morte dei quattro piccoli libici -. Un'auto di civili è stata distrutta e sono morti 4 bambini, il più grande aveva 13 anni. Erano con i loro genitori". La tensione in questa città costiera non si spegne da giorni. "Le forze leali al leader libico Muammar Gheddafi stanno continuando ad attaccare la popolazione civile, in particolare a Misurata", ha confermato l'ammiraglio americano Samuel Locklear, capo della operazione Odyssey Dawn. Secondo il regime libico, da sabato scorso, anche la coalizione dei volenterosi sta attaccando la città, finita nel mirino dell'Occidente come Tripoli, Zawira e Sirte. Intanto, nella Libia orientale, resta incerta la situazione di Ajdabiya, ultimo avamposto degli insorti prima di Bengasi. Perso e liberato diverse volte nell'ultima settimana, da giorni i ribelli sostengono che la città è ormai "totalmente" sotto il loro controllo. Ma poi ammettono: "Ci sono ancora truppe di Gheddafi alle porte della città, ai checkpoint est e ovest, cioè quelli sulla strada da Bengasi e da Brega", ha detto oggi Khaled El Sayeh, portavoce dell'esercito rivoluzionario. Nonostante l'aiuto internazionale che ha fermato le truppe lealiste alle porte di Bengasi, le forze ribelli che due settimane fa erano molto più avanti sulla strada verso l'ovest, a Ras Lanuf, adesso sembrano non saper più avanzare. "Vogliamo limitare le perdite di vite umane tra i rivoluzionari, molti di loro sono molto giovani", ha detto, quasi imbarazzato, El Sayeh. ACCORDO OBAMA-SARKOZY-CAMERON Barack Obama, Nicolas Sarkozy e David Cameron hanno discusso oggi della situazione in Libia e si sono trovati d'accordo sul fatto che la Nato dovrà avere un ruolo chiave nel comando dell'operazione. Obama ha telefonato al presidente francese e al primo ministro britannico dall'Air Force One in volo tra il Cile e il Salvador, ultima tappa della visita del presidente Usa in America Latina. I tre "hanno esaminato il sostanziale progresso che è stato fatto nell'arrestare l'avanzata delle forze di Gheddafi su Bengasi oltre all'istituzione della no-fly zone," ha detto ai giornalisti a bordo il portavoce Ben Rhodes. I tre leader si sono trovati d'accordo sul fatto che "la Nato debba giocare un ruolo chiave nella struttura di comando d'ora in poi", ha detto Rhodes. La telefonata è arrivata durante una giornata nella quale gli alleati, impegnati nelle operazioni militari sulla Libia hanno proseguito le discussioni su chi dovrà assumere la guida una volta che gli Usa avranno passato la mano, come Obama ha detto che faranno una volta distrutte le difese antiaeree del regime libico. AEREI ITALIANI, OGGI DUE MISSIONI I Tornado Ecr e i caccia F-16 italiani hanno compiuto oggi due missioni sulla Libia: lo fa sapere lo Stato maggiore della Difesa. ABC, GHEDDAFI PROBABILMENTE NASCOSTO SOTTO TERRA Muammar Gheddafi "con ogni probabilità" è nascosto "in qualche rifugio sotterraneo intorno a Tripoli": a sostenerlo in un'intervista all'americana ABC è l'ex ambasciatore libico alle Nazioni Unite Ibrahim Dabbashi. Un'altra fonte diplomatica libica, di cui l'Abc non riporta il nome, ha confermato all'emittente americana le voci secondo cui uno dei figli di Gheddafi, Khamis, sarebbe morto. Khamis Gheddafi, posto dal padre a capo di un'unità militare speciale, avrebbe perso la vita per le gravi ustioni riportate in seguito ad un attacco kamikaze portato da un pilota libico rivoltatosi al regime. Il pilota si sarebbe gettato contro il quartier generale della famiglia di Gheddafi. L'Abc precisa di non aver avuto modo di verificare autonomamente quanto riferito dalla fonte diplomatiche. USA-RUSSIA, POLEMICA SULLE PERDITE CIVILI Polemica sulle perdite civili in Libia tra il ministro della difesa russo, Anatoly Serdyukov, e l'omologo americano, Robert Gates. Una dialettica che riflette i rispettivi tatticismi nazionali sull'approccio al conflitto. Durante una conferenza stampa congiunta nel corso di una visita di Gates , Serdyukov ha chiesto un immediato cessate il fuoco, per proteggere i civili. Gates prima è stato impassibile mentre parlava il ministro russo, ma poi ha detto ai giornalisti al suo seguito: "È assolutamente chiaro che la grande maggioranza, se non la quasi totalità delle vittime civili le ha fatte Gheddafi". Una precisazione che è il prologo per l'affondo: "Noi siamo stati molto attenti a questo aspetto", ha detto il segretario alla difesa Usa, "sul numero delle perdite civili alcune persone qui stanno dando credito alle parole di Gheddafi che, per quanto mi riguarda, sono solo menzogne". Il responsabile della difesa americano ha aggiunto che i bombardamenti aerei si sono concentrati sui siti della difesa aerea libici e sulle batterie di missili terra-aria, in gran parte localizzati lontano dai centri abitati. SPAGNA VOTA INTERVENTO: 336 SI' SU 340 Il Parlamento spagnolo ha autorizzato la partecipazione di forze militari di Madrid all'intervento multinazionale contro il regime libico. Su 340 deputati presenti in aula, hanno votato a favore 336, tre contro e uno solo si è astenuto. La Spagna ha messo a disposizione della coalizione, tra l'altro, quattro caccia-bombardieri F-18 e un aereo-cisterna per il rifornimento in volo, che faranno base a Decimomannu, in Sardegna. UNHCR, SERVE AZIONE URGENTE ITALIA A LAMPEDUSA L'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha esortato oggi a Ginevra "un'azione urgente" delle autorità italiane per alleviare le condizioni di sovraffollamento sull'isola di Lampedusa. È "cruciale" che la situazione a Lampedusa non impedisca all'Italia di essere pronta di fronte ad un'eventuale fuga di persone dalla situazione in Libia, "dato che queste persone avranno probabilmente bisogno di protezione internazionale", ha detto l'agenzia delle Nazioni Unite a Ginevra. La vasta maggioranza dei migranti presenti sull'isola sono migranti tunisini, spinti a lasciare la patria per ragioni economiche. Solo pochi hanno manifestato l'intenzione di chiedere protezione internazionale, ha spiegato l'Unhcr. Data la rapida evoluzione della situazione nei paesi del Nord Africa, l'Unhcr ha esortato ad una "solidarietà dell'Unione europea con l'Italia confrontata a questa nuova sfida", anche alla luce dell'evolversi della situazione in Africa del Nord. In questo contesto -ha detto un portavoce - "l'Unhcr confida che ogni meccanismo destinato a controllare l'immigrazione irregolare garantirà l 'accesso al territorio per le persone bisognose di protezione". "La situazione umanitaria dei circa 5.000 migranti presenti a Lampedusa, migranti tunisini in maggioranza, si sta deteriorando e "esortiamo le autorità italiane ad aumentare il numero di trasferimenti dall'isola verso il territorio italiano per alleviare la congestione di Lampedusa e consentire al centro di accoglienza di funzionare normalmente", afferma l'Unhcr. Più di 15mila migranti tunisini sono giunti a Lampedusa da metà gennaio. Circa due-terzi sono stati trasferiti in altre località italiane. FRANCIA; COORDINAMENTO FUNZIONA,OPERAZIONI EFFICACI Il coordinamento delle forze della coalizione in Libia, attualmente gestito dagli Stati Uniti, "funziona. L'efficacia delle operazioni non è contestabile. Mi pare che fino a questo momento non ci siano stati aerei della coalizione che si sono scontrati tra loro". Lo ha detto nel corso di una conferenza stampa a Parigi il portavoce del ministero degli Esteri francese, Catherine Fages. In ogni caso, ha aggiunto, "la priorità è l'attuazione della risoluzione 1973 delle Nazioni Unite" per uno stop delle violenze in Libia. "E per il momento mi pare che su questo la missione sia efficace". DA AVIANO NUOVA MISSIONE, IN BASE USAF 80 AEREI Nuova missione oggi per gli F16 del 31/o Fighter Wing Usa di stanza ad Aviano. I caccia sono decollati di prima mattina e, dopo aver raggiunto gli obiettivi, sono rientrati alla base. Secondo quanto si è appreso, gli aerei schierati nella base Usaf di Aviano sarebbero ora un'ottantina. Per affrontare il tema della sicurezza attorno all'insediamento militare americano, il Prefetto di Pordenone Piefrancesco Galante, ha convocato per domani una nuova riunione del Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica. Vi parteciperanno, oltre alle Forze dell'ordine, anche i rappresentanti dei quattro Comuni su cui si affaccia la base e i vertici della Brigata Ariete di stanza in provincia di Pordenone. L'obiettivo è quello di potenziare i controlli, anche attraverso l'utilizzo delle polizie locali, senza sguarnire la città capoluogo ove, da oltre un anno, operano pattuglie miste composte da militari dell'Esercito e da rappresentanti di Polizia e Carabinieri. ATTERRATO TERZO TORNADO IN SCALO TRAPANI È appena atterrato sulla pista dello scalo militare Trapani-Birgi il terzo dei sei tornado partiti in mattinata. Massimo riserbo sulla missione che hanno effettuato. AD AMBASCIATA NEW YORK SOLO BANDIERE DEI RIBELLI Due bandiere libiche tricolori rosso-verdi-nere della Libia pre-Gheddafi sono tornate a sventolare all'esterno dell'ambasciata di Tripoli a New York, mentre è scomparsa quella verde della Libia di Gheddafi. Nei giorni immediatamente successivi ai primi scontri a Bengasi, sull'edificio della 48/a strada a New York in cui ha sede l'ambasciata libica erano state esposte due bandiere: all'entrata la bandiera tricolore della Libia pre-rivoluzione, sulla sommità dell'edificio quella verde voluta in Libia dal colonnello Muammar Gheddafi. Ora quest'ultima è scomparsa, e sono solo quelle tricolori le bandiere libiche a New York. NAPOLITANO, COMANDO NATO SOLUZIONE APPROPRIATA Il Presidente Napolitano ha ribadito "l'esigenza imprescindibile sostenuta dall'Italia, in piena sintonia con Stati Uniti, Regno Unito ed altri alleati, di un comando unificato, osservando che la Nato rappresenta la soluzione di gran lunga più appropriata". È quanto si legge nel comunicato del Quirinale sull'incontro avuto con la delegazione parlamentare americana guidata da Nancy Pelosi. LA RUSSA: FERMI SU RICHIESTA COMANDO NATO "Abbiamo discusso dei tempi, della nostra disponibilità ad andare in Parlamento: domani se si ritiene il giorno giusto o dopodomani se si vuole aspettare la riunione in sede Nato che potrebbe dare qualche informazione in più sulla nostra richiesta di un comando Nato su cui noi siamo molto fermi". Così ai giornalisti il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, al termine di una riunione al Senato con il ministro degli Esteri Franco Frattini, al gruppo del Pdl, sulla vicenda libica. TURCHIA; ONU OMBRELLO, OPERAZIONE SOLO UMANITARIA Le Nazioni Unite dovrebbero essere ombrello per un'operazione in Libia unicamente umanitaria. Lo ha detto oggi il premier turco Tayyip Erdogan. FARNESINA, RIMORCHIATORE È IN PORTO TRIPOLI, STANNO TUTTI BENE Il Ministro Frattini e la Farnesina continuano a seguire ininterrottamente, in stretto coordinamento con le Istituzioni competenti e con la "Società Augusta off shore", la vicenda dell'Asso 22 avendo come unico obiettivo la sicurezza del personale a bordo. Nel mantenere, per la propria parte, il necessario riserbo in ragione del contesto difficilissimo nel quale ci si trova ad operare, la Farnesina conferma che al momento il rimorchiatore è rientrato nel porto di Tripoli ed i marinai hanno potuto prendere contatti diretti con i familiari. Questi ultimi sono tenuti informati dalla Società Augusta off shore che condivide le informazioni sull'evoluzione della vicenda con il Ministero della Difesa e la Farnesina, che ha anche aperto un complementare canale di informazione con i familiari più stretti e che manterrà fino all'auspicabile conclusione della vicenda. Nel mantenere, per la propria parte, il necessario riserbo in ragione del contesto difficilissimo nel quale ci si trova ad operare, la Farnesina conferma che al momento il rimorchiatore Asso Ventidue Š rientrato nel porto di Tripoli ed i marinai hanno potuto prendere contatti diretti con i familiari. TESTIMONI; MISURATA BOMBARDATA, ALMENO 40 MORTI Sono almeno 40 le persone uccise nel cannoneggiamento da parte dei carri armati di Gheddafi sulla città ribelle libica di Misurata. Lo dice un testimone residente. PRECIPITA CACCIA USA, RIBELLI SALVANO PILOTA Un cacciabombardiere F-15 statunitense è precipitato in Libia durante un raid, a quanto pare per un'avaria, e il pilota, eiettatosi dall'abitacolo, è stato salvato dai ribelli libici. Lo rende noto il quotidiano britannico Daily Talegraph che cita un suo inviato sul posto. TRE GIORNALISTI OCCIDENTALI ARRESTATI DAI LIBICI Tre giornalisti occidentali sono stati arrestati dalle forze armate libiche. Lo ha reso noto il loro autista. Si tratta di due reporter dell'agenzia France Presse e un fotografo della Getty Images, fermati il 19 marzo nella zona di Tobruk. I giornalisti dell'Afp sono il britannico Dave Clark, 38 anni, e il tedesco-colombiano Roberto Schmidt, 45; il fotografo della Getty Images l'americano Joe Raedle, 45. Di loro non avevano più notizie da venerdì. L'autista libico che ha dato la notizia, Mohammed Hamed, rientrato domenica a Tobruk, nella sua testimonianza ha detto di aver preso i tre giornalisti a bordo della suo auto la mattina del 19 marzo a Tobruk, di averli accompagnati lungo la strada che conduce ad Ajdabiya. Qualche decina di chilometri prima di entrare in quest'ultima, ha raccontato l'autista, hanno incrociata una colonna di mezzi militari libici, jeep e veicoli blindati trasporto truppe, hanno cercato di compiere una inversione a U ma sono stati bloccati dalle armi spianate di quattro militari e costretti a scendere. Dave Clark ha gridato ai militari "Sahafa!, sahafa!" (Stampa!, stampa!), ma i tre giornalisti - dice l'autista - sono stati costretti a inginocchiarsi sul bordo della strada con le mani dietro alla nuca. L'auto, insieme ad altri veicoli che sono passati nel frattempo lungo la strada, fra i quali un'ambulanza, sono stati dati alle fiamme dai militari, che hanno poi caricato i tre giornalisti su un mezzo militare verso una destinazione sconosciuta. UGANDA ACCUSA OCCIDENTE: PERCHÈ NO A FLY-ZONE IN BAHREIN? Il Presidente ugandese Yoweri Museveni condanna i raid aerei lanciati dalla coalizione internazionale in Libia e accusa l'Occidente di usare due pesi e due misure. In un articolo pubblicato oggi dal quotidiano ugandese New Vision, Museveni sostiene che l'Occidente ha voluto imporre una no-fly zone in Libia, chiudendo invece un occhio su situazioni simili a quella libica, come in Bahrein e in altri Paesi con governi filo-occidentali. "In Libia hanno voluto a tutti i costi imporre una zona di interdizione di volo - ha dichiarato - in Bahrein e in altri Paesi filo-occidentali hanno chiuso un occhio su situazioni molto simili se non peggiori". In un comunicato di nove pagine, il leader ugandese ricorda anche che l'Unione africana (Ua) ha chiesto più volte, "senza successo, di imporre una no-fly zone in Somalia, per ostacolare i movimenti dei terroristi legati ad al Qaida che hanno ucciso cittadini americani l'11 settembre, e cittadini ugandesi lo scorso luglio, e hanno causato enormi danni ai somali. Perchè?". Museveni ricorda anche gli errori commessi dal leader libico Muammar Gheddafi, come il sostegno al dittatore ugandese Idi Amin, il suo tentativo di indebolire l'Unione africana e la sua interferenza negli affari interni di diversi paesi africani, ma sottolinea anche come sia "un vero nazionalista" e non "un fantoccio dell'Occidente". "Preferisco i nazionalisti ai fantocci che curano interessi stranieri", scrive il leader ugandese. Museveni invita quindi Gheddafi a sedersi a un tavolo con l'opposizione, "con la mediazione dell'Ua", perchè "il dialogo è l'unica via di uscita". Il Presidente ugandese è uno dei cinque membri del comitato dell'Ua sulla Libia, che domenica scorsa ha chiesto "la cessazione immediata di tutte le ostilità" nel Paese. Nel suo comunicato, Museveni chiede un summit straordinario dell'Ua ad Addis Abeba per "discutere di questa grave situazione". REPORTER SENZA FRONTIERE, SCOMPARSO FOTOGRAFO FRANCESE A BENGASI Da domenica è scomparso a Bengasi un fotografo francese freelance dell'agenzia Polaris Images. Lo riferisce l'organizzazione internazionale Reporters Sans Frontieres (Rsf). "Il giornalista viveva a Bengasi con un team di una televisione francese", si legge in una nota di Rsf. DECOLLATI DUE F18 CANADESI DA TRAPANI BIRGI Due caccia F18 canadesi sono appena decollati dallo scalo militare di Trapani Birgi dove è di stanza il 37/mo storno dell'aeronautica militare. Proseguono così i decolli e gli atterraggi, intensificatisi ieri, che hanno visto in cielo Tornado e F16. Il livello di allerta nella base rimane "bravo 00". PROSEGUE MANOVRE MILITARE NELLO SCALO TRAPANI-BIRGI Sono continuate anche nella notte le manovre nella base militare di Trapani-Birgi. È atterrato un C-130 J per il trasporto di materiale logistico. Ieri, fino a tarda sera, erano decollati ed atterrati i Tornado e gli F-16. TV ACCUSA LA DANIMARCA DELL'ATTACCO A BUNKER DI GHEDDAFI La televisione di Stato libica ha accusato la Danimarca dell'attacco condotto domenica scorsa contro la residenza-bunker di Muammar Gheddafi a Tripoli. "L'offensiva contro Bab al-Aziziya è stata comandata dalla Danimarca", ha riferito la scorsa notte l'emittente, leggendo un comunicato in inglese, citato dalla Bbc. La coalizione internazionale ha fatto sapere che i missili lanciati contro il bunker di Gheddafi hanno distrutto un edificio che ospitava un centro di "comando e controllo" delle forze libiche. BAN KI-MOON SORVOLA PAESE CON AEREO SPECIALE Nella terza notte di bombardamenti, Ban Ki-moon ha sorvolato la Libia a bordo di un aereo speciale che lo ha portato dal Cairo a Tunisi, ossia da est a ovest del Paese. Il segretario generale dell'Onu era ieri nella capitale egiziana, dove ha incontrato il segretario generale della Lega Araba, Amr Moussa. A Tunisi incontrerà il presidente ad interim Foued Mebazaa. USA: LANCIATI 20 MISSILI TOMAHAWK NELLE ULTIME 12 ORE Le forze armate statunitensi hanno lanciato 20 missili Tomahawk in Libia nelle ultime 12 ore. Lo ha dichiarato alla Cnn un portavoce militare della task force presente nel Mediterraneo, Monica Rousselow. Complessivamente sono 159 i missili Tomahawks lanciati da Stati Uniti e Regno Unito nell'ambito dell'operazione militare avviata sabato scorso dalla coalizione internazionale. Il portavoce ha anche precisato che uno dei tre sottomarini Usa che hanno partecipato all'avvio dell'intervento ha lasciato l'area. ASSEDIO A ZINTAN, COALIZIONE ATTACCA ROCCAFORTI GHEDDAFI Tripoli, Zintan, Misurata, Sirte, Sabha e una zona a est di Bengasi. È su questi obiettivi che si è concentrata la terza ondata di attacchi della coalizione occidentale sulla Libia. L'area di Bengasi appare la più solida roccaforte dei ribelli. I soldati di Gheddafi si sono ritirati di circa 100 km, mentre è fallito il tentativo di riconquistare Agedabia, sotto il controllo delle milizie del rais. Dieci chilometri dalla capitale è stata colpita la base della Marina militare di Bussetta. Sono stati colpiti porti e aeroporti a Sirte e su Sabha, entrambe roccheforti politiche e militari di Muammar Gheddafi. A Sabha sarebbero stati bombardati un deposito militare e una colonnna militare lealista in movimento verso Zintan, 120 km a sudest di Tripoli. Nonostante ciò, la città è di nuovo sotto i colpi dell'artiglieria lealista. "Diverse case sono state distrutte, un minareto è crollato ed è in corso un assedio: 40 carri armati stazionano sulle colline". Il giornalista svizzero Gaetan Vannay ha descritto i bombardamenti in corso come i più pesanti degli ultimi tre giorni: "Una battaglia intensa è cominciata sul fronte orientale, donne e bambini si sono rifugiati nelle grotte tra i boschi". Il governo libico ha rivendicato la "liberazione" di Misurata, ma da lì arriva una diversa versione dei ribelli. Per loro la città, che si trova a circa 200 km dalla capitale, è sì attaccata dai lealisti ma non è stata riconquistata. "La situazione è catastrofica", ha raccontato un portavoce, "oggi vi sono stati almeno 40 morti e 200 feriti. Quando Gheddafi ha sospeso il fuoco, la gente è uscita per strada". A quel punto l'esercito del Colonnello "ha cominciato a sparare colpi di artiglieria. Sono state colpite anche due ambulanze e due dei loro autisti". TERZA NOTTE DI RAID A TRIPOLI, COLPITI RADAR A BENGASI Terza notte di raid della comunità internazionale in Libia, dove è stata presa nuovamente di mira la residenza-bunker del leader libico Muammar Gheddafi a Tripoli. Ieri sera si sono uditi colpi di contraerea seguiti da esplosioni vicino a Bab al-Aziziya, colpita la notte prima da alcuni missili, che hanno distrutto un edificio che ospitava un centro di "comando e controllo" delle forze libiche. I raid della coalizione internazionale hanno colpito anche una base navale situata 10 chilometri a est della capitale, dove sarebbe scoppiato un incendio, secondo quanto riferito da diversi testimoni. Secondo l'emittente araba al Jazeera, i raid hanno preso di mira anche installazioni radar di due basi dell'aviazione libica a Bengasi. Il portavoce del regime di Tripoli, Mussa Ibrahim, ha dichiarato ieri sera che le incursioni della coalizione hanno colpito ieri anche un "piccolo porto di pescatori" situato 27 chilometri a ovest di Tripoli. Il portavoce ha accusato la coalizione di aver fatto "numerose vittime" tra i civili. BOMBE SU TRIPOLI,MA REGIME ANNUNCIA 'RIPRESA MISURATA' Altri tre gli attacchi notturni su Tripoli, dopo quello di domenica sera che ha centrato il bunker di Muammar Gheddafi. Missili e bombe anche su Sabah e Sirte. Il colonnello schiera i suoi 'scudi umanì e martella Misurata, che secondo fonti governative Š tornata sotto il controllo dei lealisti. Esplode intanto la polemica sul comando delle operazioni: l'Italia, come Gran Bretagna e Belgio, chiede che il comando passi alla Nato, affermando che potrebbe decidere altrimenti di riprendere il controllo delle basi; contrari Usa e Francia. Secondo il ministro degli Esteri Franco Frattini, una decisione dei 28 alleati potrebbe arrivare tra oggi e domani. "Sono addolorato per Gheddafi: quello che accade mi colpisce personalmente", commenta il premier Silvio Berlusconi. L'Aereonautica precisa che le missioni dei Tornado italiani sono state di 'accecamentò dei radar libici. La crisi libica sarà oggi tra i principali argomenti delle conferenze dei capigruppo di Camera e Senato. LEADER VERDI UE, CHI SCENDE IN PIAZZA STA CON RAIS Scendere in piazza contro la missione internazionale in Libia significa stare con Gheddafi. È la posizione del leader dei Verdi al Parlamento europeo, Daniel Cohn-Bendit che in un'intervista a La Repubblica dichiara: "ricordate Francia e Gran Bretagna del '36, che lasciarono sola la Rapubblica spagnola contro Franco, Hitler e Mussolini". "Vedo appelli anti-raid solo in Italia o in Grecia, dai neostalinisti - aggiunge - . Finiscono per schierarsi con la Cina, Putin e Chavez. Sono prigionieri delle categoria anni '50". Gli appelli contro la missione miliare, secondo Cohn-Bendit sono "mossi dall'ossessione assoluta e accecante della mitica lotta contro l'imperialismo americano" e aggiunge rivolgendosi al governatore della Puglia: "come fa Vendola a dire 'nè con Gheddafi, nè con le bombè? Non faccio paragoni col triste slogan 'nè con lo Stato, nè con le Br' ma mi ricordo del 1936". Secondo il leader dei Verdi, "arriva il momento in cui bisogna fare scelte. La Resistenza italiana - prosegue - francese o jugoslava fu giusta ma sanguinosa". "Spesso chi protesta nel mondo del benessere - conclude - non si immagina cosa sia vivere sotto dittatori come Gheddafi. Ciò ha a che fare con ideologie marxiste-leniniste: il mondo diviso in cattivi e buoni, l'imperialismo cattivo e tutti i suoi nemici buoni". EX MINISTRO FRANCESE, SVOLTA ONU È NOSTRO SUCCESSO "La svolta dell'Onu è un successo storico della diplomazia francese, destinato a modificare le relazioni internazionali del futuro, anche al di là di quello che succede in Libia". È la posizione di Hubert Vedrine, ex ministro degli Esteri francese, intervistato da La Repubblica. L'ex ministro precisa che "la risoluzione dell'Onu è molto chiara: non è la Nato che deve condurre l'intervento militare in Libia - afferma - ma una coalizione di Paesi scelti per l'occasione". La Nato "può svolgere un ruolo tecnico - aggiunge - fornendo l'appoggio logistico". Per la prima volta l'Onu, secondo Vedrine, ha adottato il principio per cui "la coalizione si fa carico della responsabilità di proteggere le popolazioni civili". Per la precisione, "la risoluzione prevede di fermare con ogni mezzo - precisa l'ex ministro - i massacri di civili, non di rimuovere Gheddafi" ovvero "il cambio di regime può essere un effetto dei bombardamenti aerei, non è lo scopo diretto" della missione. "La Francia ha chiesto un intervento perchè non era tollerabile assistere impotenti alle stragi - conclude Vedrine - . Ma rispetto al Kosovo, nessun Paese prevede l'eventualità di occupare la Libia. Quello che succederà nel Paese è affare dei libici, al massimo dei Paesi arabi vicini". TURCHIA NON PARTECIPERÀ A RAID MA POTREBBE CONTRIBUIRE La Turchia non sarà tra i paesi che parteciperanno alle operazioni militari contro la Libia ma potrebbe contribuire con operazioni umanitarie sul posto ha detto citato dal giornale Hürriyet il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan "non parteciperemo con le nostre forze militari. È impensabili che i nostri caccia bombardino il popolo libico, è un eventualità impossibile" ha detto Erdogan ieri sera tornando da una visita in Arabia Saudita. Erdogan ha quindi aggiunto che il suo paese potrebbe partecipare a operazioni umanitarie sul posto, per esempio a Bengasi, e in particolare mettere a disposizione la marina per operazioni di "controllo" nel mediterraneo. "Noi - ha poi aggiunto - non vogliamo che la Libia diventi un secondo Iraq. In otto anni, una civilità è stata distrutta, oltre un milione di persone sono state uccise". 22 marzo 2011
Libia, governo in crisi: Berlusconi diserta l'Aula * * * * bossi-berlu, voto La crisi libica rischia di compromettere seriamente la politica estera italiana. Se ne è reso perfettamente conto Silvio Berlusconi il quale non fa nulla per nascondere il suo disagio di fronte alla piega presa dall'intervento militare alleato. Con le bombe su Tripoli cade infatti una parte del piano diplomatico che puntava a creare una sorta di asse energetico privilegiato per l'Italia a cavallo tra Libia e Russia. Non è un caso che anche Vladimir Putin si sia personalmente esposto con una dura critica alla "crociata" occidentale. Il Cavaliere ha fatto di più, si è detto addolorato per Gheddafi. E non interverrà nel dibattito parlamentare, lasciando il compito a Frattini e La Russa. È fallita, pare di capire, la sua scommessa personale sul Rais e sulla possibilità di una normalizzazione del regime libico per via democratica che aprisse la strada a un dividendo politico per il nostro Paese. Naturalmente si tratta di espressioni che prestano il fianco a molte interpretazioni: Pierluigi Bersani e Pierferdinando Casini per esempio giudicano indecorose le parole del presidente del Consiglio, dicono che bisogna preoccuparsi piuttosto della sorte del popolo libico. Ma il vero pericolo per la maggioranza è di finire come il centrosinistra di Massimo D'Alema o l'Unione di Romano Prodi, con una clamorosa spaccatura in politica estera che pure è la base di ogni programma di governo. Si tratterebbe di una sorta di nemesi storica: fu proprio il centrodestra a salvare il governo dalla defezione dell'estrema sinistra sulla missioni in Kosovo e in Afghanistan, oggi potrebbero essere i voti di Pd e terzo polo a compensare la fronda leghista. È per questo motivo che nella maggioranza si lavora a una risoluzione di compromesso tra Pdl e Carroccio: la difficoltà è data dalla richiesta dei lumbard di prevedere esplicitamente il blocco dei flussi dei profughi e la tutela degli accordi energetici con la Libia. Punti sui quali è difficile la convergenza del Pd e forse anche del terzo polo. Il fatto è che anche nel centrodestra si allarga il fronte dei delusi, di quanti ritengono che si sia commesso un errore di sottovalutazione nell'approvare l'operazione Odissea di cui i francesi hanno assunto la leadership. E soprattutto di quanti temono il pericolo del fondamentalismo islamico alimentato da quella che potrebbe apparire una guerra neocoloniale. In fondo nessuno ha ancora analizzato in profondità le vere ragioni del neutralismo tedesco e delle critiche di Russia, Cina, India e Brasile: insieme sono i cinque Paesi che detengono i maggiori tassi di crescita a livello mondiale. Questo è il motivo per cui il governo italiano insiste perché l'operazione militare passi sotto il controllo Nato: fugare ogni sospetto di imperialismo. Le caute aperture degli Stati Uniti e, a sorpresa, della stessa Turchia - sia pure avviluppate nel fumoso linguaggio diplomatico - costituiscono un primo successo delle pressioni italiane che hanno trovato espressione nelle parole di Giorgio Napolitano il quale ha definito questa soluzione la più appropriata, condivisa anche da Stati Uniti e Gran Bretagna. Resta da vincere la resistenza francese: Parigi dice di non voler fare polemiche artificiali sulla Nato e che il coordinamento attuale funziona, ma l'impressione è che prima o poi Sarkozy sarà costretto a cedere. In attesa del voto parlamentare, comunque, la coalizione occidentale ha dato prova di divisione e confusione: l'Europa in particolare, secondo alcuni esponenti del Pdl come Osvaldo Napoli, sembra aver compiuto un passo indietro di cento anni ed essere tornata alla politica delle cannoniere guidata dalle cancellerie di Londra, Parigi, Roma e Berlino. Quale che sia il risultato sul terreno, è una sconfitta politica che per ora costituisce il vero frutto avvelenato del colonnello Gheddafi. 22 marzo 2011
"Sì a ruolo forte Nato": accordo Usa-Gb-francia * * * * libia bombaramento box LA DIRETTA STRAGE DI BAMBINI A MISURATA La propaganda del rais proclama l'intenzione di rispettare il cessate il fuoco, ma Gheddafi continua a fare guerra al suo popolo, come ha drammaticamente dimostrato il nuovo massacro di Misurata, città della Libia occidentale con ancora sacche di resistenza degli insorti. Sono 40 le vittime di oggi, e stavolta testimoni parlano anche di 4 bambini morti. Il più grande aveva appena 13 anni. Sono stati uccisi tutti insieme, mentre si trovavano a bordo di un'auto. La terza città della Libia, 170 km a est dalla capitale Tripoli, è uno dei centri cruciali della rivoluzione; un simbolo, da quando è iniziata la rivolta. Fino a qualche giorno fa era in mano ai ribelli, poi il governo ha annunciato di averla riconquistata, ma - nell'ormai consueta altalena di notizie - oggi secondo alcune fonti sarebbe di nuovo in mano agli insorti. E l'accanimento delle forze lealiste sul centro costiero della Libia sembra dimostrarlo. La città è stata nel mirino dalle forze leali a Gheddafi, sin da stamattina. Accerchiata dai carri armati del regime, poi cannoneggiata. Già ieri era stata teatro di un attacco cruento e, anche ieri, il bilancio era stato di almeno quaranta vittime. Il rais, secondo alcune testimonianze, ha utilizzato scudi umani contro gli insorti. Oltre ai cannoni, all'opera c'erano anche i cecchini. La gente racconta di essere esausta e spaventata. "Qui la situazione è molto brutta", ha detto Mohammed, spiegando al telefono di trovarsi davanti all'ospedale cittadino. "Anche i cecchini prendono parte all'operazione - ha riferito, raccontando poi la morte dei quattro piccoli libici -. Un'auto di civili è stata distrutta e sono morti 4 bambini, il più grande aveva 13 anni. Erano con i loro genitori". La tensione in questa città costiera non si spegne da giorni. "Le forze leali al leader libico Muammar Gheddafi stanno continuando ad attaccare la popolazione civile, in particolare a Misurata", ha confermato l'ammiraglio americano Samuel Locklear, capo della operazione Odyssey Dawn. Secondo il regime libico, da sabato scorso, anche la coalizione dei volenterosi sta attaccando la città, finita nel mirino dell'Occidente come Tripoli, Zawira e Sirte. Intanto, nella Libia orientale, resta incerta la situazione di Ajdabiya, ultimo avamposto degli insorti prima di Bengasi. Perso e liberato diverse volte nell'ultima settimana, da giorni i ribelli sostengono che la città è ormai "totalmente" sotto il loro controllo. Ma poi ammettono: "Ci sono ancora truppe di Gheddafi alle porte della città, ai checkpoint est e ovest, cioè quelli sulla strada da Bengasi e da Brega", ha detto oggi Khaled El Sayeh, portavoce dell'esercito rivoluzionario. Nonostante l'aiuto internazionale che ha fermato le truppe lealiste alle porte di Bengasi, le forze ribelli che due settimane fa erano molto più avanti sulla strada verso l'ovest, a Ras Lanuf, adesso sembrano non saper più avanzare. "Vogliamo limitare le perdite di vite umane tra i rivoluzionari, molti di loro sono molto giovani", ha detto, quasi imbarazzato, El Sayeh. ACCORDO OBAMA-SARKOZY-CAMERON Barack Obama, Nicolas Sarkozy e David Cameron hanno discusso oggi della situazione in Libia e si sono trovati d'accordo sul fatto che la Nato dovrà avere un ruolo chiave nel comando dell'operazione. Obama ha telefonato al presidente francese e al primo ministro britannico dall'Air Force One in volo tra il Cile e il Salvador, ultima tappa della visita del presidente Usa in America Latina. I tre "hanno esaminato il sostanziale progresso che è stato fatto nell'arrestare l'avanzata delle forze di Gheddafi su Bengasi oltre all'istituzione della no-fly zone," ha detto ai giornalisti a bordo il portavoce Ben Rhodes. I tre leader si sono trovati d'accordo sul fatto che "la Nato debba giocare un ruolo chiave nella struttura di comando d'ora in poi", ha detto Rhodes. La telefonata è arrivata durante una giornata nella quale gli alleati, impegnati nelle operazioni militari sulla Libia hanno proseguito le discussioni su chi dovrà assumere la guida una volta che gli Usa avranno passato la mano, come Obama ha detto che faranno una volta distrutte le difese antiaeree del regime libico. AEREI ITALIANI, OGGI DUE MISSIONI I Tornado Ecr e i caccia F-16 italiani hanno compiuto oggi due missioni sulla Libia: lo fa sapere lo Stato maggiore della Difesa. ABC, GHEDDAFI PROBABILMENTE NASCOSTO SOTTO TERRA Muammar Gheddafi "con ogni probabilità" è nascosto "in qualche rifugio sotterraneo intorno a Tripoli": a sostenerlo in un'intervista all'americana ABC è l'ex ambasciatore libico alle Nazioni Unite Ibrahim Dabbashi. Un'altra fonte diplomatica libica, di cui l'Abc non riporta il nome, ha confermato all'emittente americana le voci secondo cui uno dei figli di Gheddafi, Khamis, sarebbe morto. Khamis Gheddafi, posto dal padre a capo di un'unità militare speciale, avrebbe perso la vita per le gravi ustioni riportate in seguito ad un attacco kamikaze portato da un pilota libico rivoltatosi al regime. Il pilota si sarebbe gettato contro il quartier generale della famiglia di Gheddafi. L'Abc precisa di non aver avuto modo di verificare autonomamente quanto riferito dalla fonte diplomatiche. USA-RUSSIA, POLEMICA SULLE PERDITE CIVILI Polemica sulle perdite civili in Libia tra il ministro della difesa russo, Anatoly Serdyukov, e l'omologo americano, Robert Gates. Una dialettica che riflette i rispettivi tatticismi nazionali sull'approccio al conflitto. Durante una conferenza stampa congiunta nel corso di una visita di Gates , Serdyukov ha chiesto un immediato cessate il fuoco, per proteggere i civili. Gates prima è stato impassibile mentre parlava il ministro russo, ma poi ha detto ai giornalisti al suo seguito: "È assolutamente chiaro che la grande maggioranza, se non la quasi totalità delle vittime civili le ha fatte Gheddafi". Una precisazione che è il prologo per l'affondo: "Noi siamo stati molto attenti a questo aspetto", ha detto il segretario alla difesa Usa, "sul numero delle perdite civili alcune persone qui stanno dando credito alle parole di Gheddafi che, per quanto mi riguarda, sono solo menzogne". Il responsabile della difesa americano ha aggiunto che i bombardamenti aerei si sono concentrati sui siti della difesa aerea libici e sulle batterie di missili terra-aria, in gran parte localizzati lontano dai centri abitati. SPAGNA VOTA INTERVENTO: 336 SI' SU 340 Il Parlamento spagnolo ha autorizzato la partecipazione di forze militari di Madrid all'intervento multinazionale contro il regime libico. Su 340 deputati presenti in aula, hanno votato a favore 336, tre contro e uno solo si è astenuto. La Spagna ha messo a disposizione della coalizione, tra l'altro, quattro caccia-bombardieri F-18 e un aereo-cisterna per il rifornimento in volo, che faranno base a Decimomannu, in Sardegna. UNHCR, SERVE AZIONE URGENTE ITALIA A LAMPEDUSA L'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha esortato oggi a Ginevra "un'azione urgente" delle autorità italiane per alleviare le condizioni di sovraffollamento sull'isola di Lampedusa. È "cruciale" che la situazione a Lampedusa non impedisca all'Italia di essere pronta di fronte ad un'eventuale fuga di persone dalla situazione in Libia, "dato che queste persone avranno probabilmente bisogno di protezione internazionale", ha detto l'agenzia delle Nazioni Unite a Ginevra. La vasta maggioranza dei migranti presenti sull'isola sono migranti tunisini, spinti a lasciare la patria per ragioni economiche. Solo pochi hanno manifestato l'intenzione di chiedere protezione internazionale, ha spiegato l'Unhcr. Data la rapida evoluzione della situazione nei paesi del Nord Africa, l'Unhcr ha esortato ad una "solidarietà dell'Unione europea con l'Italia confrontata a questa nuova sfida", anche alla luce dell'evolversi della situazione in Africa del Nord. In questo contesto -ha detto un portavoce - "l'Unhcr confida che ogni meccanismo destinato a controllare l'immigrazione irregolare garantirà l 'accesso al territorio per le persone bisognose di protezione". "La situazione umanitaria dei circa 5.000 migranti presenti a Lampedusa, migranti tunisini in maggioranza, si sta deteriorando e "esortiamo le autorità italiane ad aumentare il numero di trasferimenti dall'isola verso il territorio italiano per alleviare la congestione di Lampedusa e consentire al centro di accoglienza di funzionare normalmente", afferma l'Unhcr. Più di 15mila migranti tunisini sono giunti a Lampedusa da metà gennaio. Circa due-terzi sono stati trasferiti in altre località italiane. FRANCIA; COORDINAMENTO FUNZIONA,OPERAZIONI EFFICACI Il coordinamento delle forze della coalizione in Libia, attualmente gestito dagli Stati Uniti, "funziona. L'efficacia delle operazioni non è contestabile. Mi pare che fino a questo momento non ci siano stati aerei della coalizione che si sono scontrati tra loro". Lo ha detto nel corso di una conferenza stampa a Parigi il portavoce del ministero degli Esteri francese, Catherine Fages. In ogni caso, ha aggiunto, "la priorità è l'attuazione della risoluzione 1973 delle Nazioni Unite" per uno stop delle violenze in Libia. "E per il momento mi pare che su questo la missione sia efficace". DA AVIANO NUOVA MISSIONE, IN BASE USAF 80 AEREI Nuova missione oggi per gli F16 del 31/o Fighter Wing Usa di stanza ad Aviano. I caccia sono decollati di prima mattina e, dopo aver raggiunto gli obiettivi, sono rientrati alla base. Secondo quanto si è appreso, gli aerei schierati nella base Usaf di Aviano sarebbero ora un'ottantina. Per affrontare il tema della sicurezza attorno all'insediamento militare americano, il Prefetto di Pordenone Piefrancesco Galante, ha convocato per domani una nuova riunione del Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica. Vi parteciperanno, oltre alle Forze dell'ordine, anche i rappresentanti dei quattro Comuni su cui si affaccia la base e i vertici della Brigata Ariete di stanza in provincia di Pordenone. L'obiettivo è quello di potenziare i controlli, anche attraverso l'utilizzo delle polizie locali, senza sguarnire la città capoluogo ove, da oltre un anno, operano pattuglie miste composte da militari dell'Esercito e da rappresentanti di Polizia e Carabinieri. ATTERRATO TERZO TORNADO IN SCALO TRAPANI È appena atterrato sulla pista dello scalo militare Trapani-Birgi il terzo dei sei tornado partiti in mattinata. Massimo riserbo sulla missione che hanno effettuato. AD AMBASCIATA NEW YORK SOLO BANDIERE DEI RIBELLI Due bandiere libiche tricolori rosso-verdi-nere della Libia pre-Gheddafi sono tornate a sventolare all'esterno dell'ambasciata di Tripoli a New York, mentre è scomparsa quella verde della Libia di Gheddafi. Nei giorni immediatamente successivi ai primi scontri a Bengasi, sull'edificio della 48/a strada a New York in cui ha sede l'ambasciata libica erano state esposte due bandiere: all'entrata la bandiera tricolore della Libia pre-rivoluzione, sulla sommità dell'edificio quella verde voluta in Libia dal colonnello Muammar Gheddafi. Ora quest'ultima è scomparsa, e sono solo quelle tricolori le bandiere libiche a New York. NAPOLITANO, COMANDO NATO SOLUZIONE APPROPRIATA Il Presidente Napolitano ha ribadito "l'esigenza imprescindibile sostenuta dall'Italia, in piena sintonia con Stati Uniti, Regno Unito ed altri alleati, di un comando unificato, osservando che la Nato rappresenta la soluzione di gran lunga più appropriata". È quanto si legge nel comunicato del Quirinale sull'incontro avuto con la delegazione parlamentare americana guidata da Nancy Pelosi. LA RUSSA: FERMI SU RICHIESTA COMANDO NATO "Abbiamo discusso dei tempi, della nostra disponibilità ad andare in Parlamento: domani se si ritiene il giorno giusto o dopodomani se si vuole aspettare la riunione in sede Nato che potrebbe dare qualche informazione in più sulla nostra richiesta di un comando Nato su cui noi siamo molto fermi". Così ai giornalisti il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, al termine di una riunione al Senato con il ministro degli Esteri Franco Frattini, al gruppo del Pdl, sulla vicenda libica. TURCHIA; ONU OMBRELLO, OPERAZIONE SOLO UMANITARIA Le Nazioni Unite dovrebbero essere ombrello per un'operazione in Libia unicamente umanitaria. Lo ha detto oggi il premier turco Tayyip Erdogan. FARNESINA, RIMORCHIATORE È IN PORTO TRIPOLI, STANNO TUTTI BENE Il Ministro Frattini e la Farnesina continuano a seguire ininterrottamente, in stretto coordinamento con le Istituzioni competenti e con la "Società Augusta off shore", la vicenda dell'Asso 22 avendo come unico obiettivo la sicurezza del personale a bordo. Nel mantenere, per la propria parte, il necessario riserbo in ragione del contesto difficilissimo nel quale ci si trova ad operare, la Farnesina conferma che al momento il rimorchiatore è rientrato nel porto di Tripoli ed i marinai hanno potuto prendere contatti diretti con i familiari. Questi ultimi sono tenuti informati dalla Società Augusta off shore che condivide le informazioni sull'evoluzione della vicenda con il Ministero della Difesa e la Farnesina, che ha anche aperto un complementare canale di informazione con i familiari più stretti e che manterrà fino all'auspicabile conclusione della vicenda. Nel mantenere, per la propria parte, il necessario riserbo in ragione del contesto difficilissimo nel quale ci si trova ad operare, la Farnesina conferma che al momento il rimorchiatore Asso Ventidue Š rientrato nel porto di Tripoli ed i marinai hanno potuto prendere contatti diretti con i familiari. TESTIMONI; MISURATA BOMBARDATA, ALMENO 40 MORTI Sono almeno 40 le persone uccise nel cannoneggiamento da parte dei carri armati di Gheddafi sulla città ribelle libica di Misurata. Lo dice un testimone residente. PRECIPITA CACCIA USA, RIBELLI SALVANO PILOTA Un cacciabombardiere F-15 statunitense è precipitato in Libia durante un raid, a quanto pare per un'avaria, e il pilota, eiettatosi dall'abitacolo, è stato salvato dai ribelli libici. Lo rende noto il quotidiano britannico Daily Talegraph che cita un suo inviato sul posto. TRE GIORNALISTI OCCIDENTALI ARRESTATI DAI LIBICI Tre giornalisti occidentali sono stati arrestati dalle forze armate libiche. Lo ha reso noto il loro autista. Si tratta di due reporter dell'agenzia France Presse e un fotografo della Getty Images, fermati il 19 marzo nella zona di Tobruk. I giornalisti dell'Afp sono il britannico Dave Clark, 38 anni, e il tedesco-colombiano Roberto Schmidt, 45; il fotografo della Getty Images l'americano Joe Raedle, 45. Di loro non avevano più notizie da venerdì. L'autista libico che ha dato la notizia, Mohammed Hamed, rientrato domenica a Tobruk, nella sua testimonianza ha detto di aver preso i tre giornalisti a bordo della suo auto la mattina del 19 marzo a Tobruk, di averli accompagnati lungo la strada che conduce ad Ajdabiya. Qualche decina di chilometri prima di entrare in quest'ultima, ha raccontato l'autista, hanno incrociata una colonna di mezzi militari libici, jeep e veicoli blindati trasporto truppe, hanno cercato di compiere una inversione a U ma sono stati bloccati dalle armi spianate di quattro militari e costretti a scendere. Dave Clark ha gridato ai militari "Sahafa!, sahafa!" (Stampa!, stampa!), ma i tre giornalisti - dice l'autista - sono stati costretti a inginocchiarsi sul bordo della strada con le mani dietro alla nuca. L'auto, insieme ad altri veicoli che sono passati nel frattempo lungo la strada, fra i quali un'ambulanza, sono stati dati alle fiamme dai militari, che hanno poi caricato i tre giornalisti su un mezzo militare verso una destinazione sconosciuta. UGANDA ACCUSA OCCIDENTE: PERCHÈ NO A FLY-ZONE IN BAHREIN? Il Presidente ugandese Yoweri Museveni condanna i raid aerei lanciati dalla coalizione internazionale in Libia e accusa l'Occidente di usare due pesi e due misure. In un articolo pubblicato oggi dal quotidiano ugandese New Vision, Museveni sostiene che l'Occidente ha voluto imporre una no-fly zone in Libia, chiudendo invece un occhio su situazioni simili a quella libica, come in Bahrein e in altri Paesi con governi filo-occidentali. "In Libia hanno voluto a tutti i costi imporre una zona di interdizione di volo - ha dichiarato - in Bahrein e in altri Paesi filo-occidentali hanno chiuso un occhio su situazioni molto simili se non peggiori". In un comunicato di nove pagine, il leader ugandese ricorda anche che l'Unione africana (Ua) ha chiesto più volte, "senza successo, di imporre una no-fly zone in Somalia, per ostacolare i movimenti dei terroristi legati ad al Qaida che hanno ucciso cittadini americani l'11 settembre, e cittadini ugandesi lo scorso luglio, e hanno causato enormi danni ai somali. Perchè?". Museveni ricorda anche gli errori commessi dal leader libico Muammar Gheddafi, come il sostegno al dittatore ugandese Idi Amin, il suo tentativo di indebolire l'Unione africana e la sua interferenza negli affari interni di diversi paesi africani, ma sottolinea anche come sia "un vero nazionalista" e non "un fantoccio dell'Occidente". "Preferisco i nazionalisti ai fantocci che curano interessi stranieri", scrive il leader ugandese. Museveni invita quindi Gheddafi a sedersi a un tavolo con l'opposizione, "con la mediazione dell'Ua", perchè "il dialogo è l'unica via di uscita". Il Presidente ugandese è uno dei cinque membri del comitato dell'Ua sulla Libia, che domenica scorsa ha chiesto "la cessazione immediata di tutte le ostilità" nel Paese. Nel suo comunicato, Museveni chiede un summit straordinario dell'Ua ad Addis Abeba per "discutere di questa grave situazione". REPORTER SENZA FRONTIERE, SCOMPARSO FOTOGRAFO FRANCESE A BENGASI Da domenica è scomparso a Bengasi un fotografo francese freelance dell'agenzia Polaris Images. Lo riferisce l'organizzazione internazionale Reporters Sans Frontieres (Rsf). "Il giornalista viveva a Bengasi con un team di una televisione francese", si legge in una nota di Rsf. DECOLLATI DUE F18 CANADESI DA TRAPANI BIRGI Due caccia F18 canadesi sono appena decollati dallo scalo militare di Trapani Birgi dove è di stanza il 37/mo storno dell'aeronautica militare. Proseguono così i decolli e gli atterraggi, intensificatisi ieri, che hanno visto in cielo Tornado e F16. Il livello di allerta nella base rimane "bravo 00". PROSEGUE MANOVRE MILITARE NELLO SCALO TRAPANI-BIRGI Sono continuate anche nella notte le manovre nella base militare di Trapani-Birgi. È atterrato un C-130 J per il trasporto di materiale logistico. Ieri, fino a tarda sera, erano decollati ed atterrati i Tornado e gli F-16. TV ACCUSA LA DANIMARCA DELL'ATTACCO A BUNKER DI GHEDDAFI La televisione di Stato libica ha accusato la Danimarca dell'attacco condotto domenica scorsa contro la residenza-bunker di Muammar Gheddafi a Tripoli. "L'offensiva contro Bab al-Aziziya è stata comandata dalla Danimarca", ha riferito la scorsa notte l'emittente, leggendo un comunicato in inglese, citato dalla Bbc. La coalizione internazionale ha fatto sapere che i missili lanciati contro il bunker di Gheddafi hanno distrutto un edificio che ospitava un centro di "comando e controllo" delle forze libiche. BAN KI-MOON SORVOLA PAESE CON AEREO SPECIALE Nella terza notte di bombardamenti, Ban Ki-moon ha sorvolato la Libia a bordo di un aereo speciale che lo ha portato dal Cairo a Tunisi, ossia da est a ovest del Paese. Il segretario generale dell'Onu era ieri nella capitale egiziana, dove ha incontrato il segretario generale della Lega Araba, Amr Moussa. A Tunisi incontrerà il presidente ad interim Foued Mebazaa. USA: LANCIATI 20 MISSILI TOMAHAWK NELLE ULTIME 12 ORE Le forze armate statunitensi hanno lanciato 20 missili Tomahawk in Libia nelle ultime 12 ore. Lo ha dichiarato alla Cnn un portavoce militare della task force presente nel Mediterraneo, Monica Rousselow. Complessivamente sono 159 i missili Tomahawks lanciati da Stati Uniti e Regno Unito nell'ambito dell'operazione militare avviata sabato scorso dalla coalizione internazionale. Il portavoce ha anche precisato che uno dei tre sottomarini Usa che hanno partecipato all'avvio dell'intervento ha lasciato l'area. ASSEDIO A ZINTAN, COALIZIONE ATTACCA ROCCAFORTI GHEDDAFI Tripoli, Zintan, Misurata, Sirte, Sabha e una zona a est di Bengasi. È su questi obiettivi che si è concentrata la terza ondata di attacchi della coalizione occidentale sulla Libia. L'area di Bengasi appare la più solida roccaforte dei ribelli. I soldati di Gheddafi si sono ritirati di circa 100 km, mentre è fallito il tentativo di riconquistare Agedabia, sotto il controllo delle milizie del rais. Dieci chilometri dalla capitale è stata colpita la base della Marina militare di Bussetta. Sono stati colpiti porti e aeroporti a Sirte e su Sabha, entrambe roccheforti politiche e militari di Muammar Gheddafi. A Sabha sarebbero stati bombardati un deposito militare e una colonnna militare lealista in movimento verso Zintan, 120 km a sudest di Tripoli. Nonostante ciò, la città è di nuovo sotto i colpi dell'artiglieria lealista. "Diverse case sono state distrutte, un minareto è crollato ed è in corso un assedio: 40 carri armati stazionano sulle colline". Il giornalista svizzero Gaetan Vannay ha descritto i bombardamenti in corso come i più pesanti degli ultimi tre giorni: "Una battaglia intensa è cominciata sul fronte orientale, donne e bambini si sono rifugiati nelle grotte tra i boschi". Il governo libico ha rivendicato la "liberazione" di Misurata, ma da lì arriva una diversa versione dei ribelli. Per loro la città, che si trova a circa 200 km dalla capitale, è sì attaccata dai lealisti ma non è stata riconquistata. "La situazione è catastrofica", ha raccontato un portavoce, "oggi vi sono stati almeno 40 morti e 200 feriti. Quando Gheddafi ha sospeso il fuoco, la gente è uscita per strada". A quel punto l'esercito del Colonnello "ha cominciato a sparare colpi di artiglieria. Sono state colpite anche due ambulanze e due dei loro autisti". TERZA NOTTE DI RAID A TRIPOLI, COLPITI RADAR A BENGASI Terza notte di raid della comunità internazionale in Libia, dove è stata presa nuovamente di mira la residenza-bunker del leader libico Muammar Gheddafi a Tripoli. Ieri sera si sono uditi colpi di contraerea seguiti da esplosioni vicino a Bab al-Aziziya, colpita la notte prima da alcuni missili, che hanno distrutto un edificio che ospitava un centro di "comando e controllo" delle forze libiche. I raid della coalizione internazionale hanno colpito anche una base navale situata 10 chilometri a est della capitale, dove sarebbe scoppiato un incendio, secondo quanto riferito da diversi testimoni. Secondo l'emittente araba al Jazeera, i raid hanno preso di mira anche installazioni radar di due basi dell'aviazione libica a Bengasi. Il portavoce del regime di Tripoli, Mussa Ibrahim, ha dichiarato ieri sera che le incursioni della coalizione hanno colpito ieri anche un "piccolo porto di pescatori" situato 27 chilometri a ovest di Tripoli. Il portavoce ha accusato la coalizione di aver fatto "numerose vittime" tra i civili. BOMBE SU TRIPOLI,MA REGIME ANNUNCIA 'RIPRESA MISURATA' Altri tre gli attacchi notturni su Tripoli, dopo quello di domenica sera che ha centrato il bunker di Muammar Gheddafi. Missili e bombe anche su Sabah e Sirte. Il colonnello schiera i suoi 'scudi umanì e martella Misurata, che secondo fonti governative Š tornata sotto il controllo dei lealisti. Esplode intanto la polemica sul comando delle operazioni: l'Italia, come Gran Bretagna e Belgio, chiede che il comando passi alla Nato, affermando che potrebbe decidere altrimenti di riprendere il controllo delle basi; contrari Usa e Francia. Secondo il ministro degli Esteri Franco Frattini, una decisione dei 28 alleati potrebbe arrivare tra oggi e domani. "Sono addolorato per Gheddafi: quello che accade mi colpisce personalmente", commenta il premier Silvio Berlusconi. L'Aereonautica precisa che le missioni dei Tornado italiani sono state di 'accecamentò dei radar libici. La crisi libica sarà oggi tra i principali argomenti delle conferenze dei capigruppo di Camera e Senato. LEADER VERDI UE, CHI SCENDE IN PIAZZA STA CON RAIS Scendere in piazza contro la missione internazionale in Libia significa stare con Gheddafi. È la posizione del leader dei Verdi al Parlamento europeo, Daniel Cohn-Bendit che in un'intervista a La Repubblica dichiara: "ricordate Francia e Gran Bretagna del '36, che lasciarono sola la Rapubblica spagnola contro Franco, Hitler e Mussolini". "Vedo appelli anti-raid solo in Italia o in Grecia, dai neostalinisti - aggiunge - . Finiscono per schierarsi con la Cina, Putin e Chavez. Sono prigionieri delle categoria anni '50". Gli appelli contro la missione miliare, secondo Cohn-Bendit sono "mossi dall'ossessione assoluta e accecante della mitica lotta contro l'imperialismo americano" e aggiunge rivolgendosi al governatore della Puglia: "come fa Vendola a dire 'nè con Gheddafi, nè con le bombè? Non faccio paragoni col triste slogan 'nè con lo Stato, nè con le Br' ma mi ricordo del 1936". Secondo il leader dei Verdi, "arriva il momento in cui bisogna fare scelte. La Resistenza italiana - prosegue - francese o jugoslava fu giusta ma sanguinosa". "Spesso chi protesta nel mondo del benessere - conclude - non si immagina cosa sia vivere sotto dittatori come Gheddafi. Ciò ha a che fare con ideologie marxiste-leniniste: il mondo diviso in cattivi e buoni, l'imperialismo cattivo e tutti i suoi nemici buoni". EX MINISTRO FRANCESE, SVOLTA ONU È NOSTRO SUCCESSO "La svolta dell'Onu è un successo storico della diplomazia francese, destinato a modificare le relazioni internazionali del futuro, anche al di là di quello che succede in Libia". È la posizione di Hubert Vedrine, ex ministro degli Esteri francese, intervistato da La Repubblica. L'ex ministro precisa che "la risoluzione dell'Onu è molto chiara: non è la Nato che deve condurre l'intervento militare in Libia - afferma - ma una coalizione di Paesi scelti per l'occasione". La Nato "può svolgere un ruolo tecnico - aggiunge - fornendo l'appoggio logistico". Per la prima volta l'Onu, secondo Vedrine, ha adottato il principio per cui "la coalizione si fa carico della responsabilità di proteggere le popolazioni civili". Per la precisione, "la risoluzione prevede di fermare con ogni mezzo - precisa l'ex ministro - i massacri di civili, non di rimuovere Gheddafi" ovvero "il cambio di regime può essere un effetto dei bombardamenti aerei, non è lo scopo diretto" della missione. "La Francia ha chiesto un intervento perchè non era tollerabile assistere impotenti alle stragi - conclude Vedrine - . Ma rispetto al Kosovo, nessun Paese prevede l'eventualità di occupare la Libia. Quello che succederà nel Paese è affare dei libici, al massimo dei Paesi arabi vicini". TURCHIA NON PARTECIPERÀ A RAID MA POTREBBE CONTRIBUIRE La Turchia non sarà tra i paesi che parteciperanno alle operazioni militari contro la Libia ma potrebbe contribuire con operazioni umanitarie sul posto ha detto citato dal giornale Hürriyet il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan "non parteciperemo con le nostre forze militari. È impensabili che i nostri caccia bombardino il popolo libico, è un eventualità impossibile" ha detto Erdogan ieri sera tornando da una visita in Arabia Saudita. Erdogan ha quindi aggiunto che il suo paese potrebbe partecipare a operazioni umanitarie sul posto, per esempio a Bengasi, e in particolare mettere a disposizione la marina per operazioni di "controllo" nel mediterraneo. "Noi - ha poi aggiunto - non vogliamo che la Libia diventi un secondo Iraq. In otto anni, una civilità è stata distrutta, oltre un milione di persone sono state uccise". 22 marzo 2011
Lucio Caracciolo: "Comunque vada noi abbiamo perso" di Umberto De Giovannangeli | tutti gli articoli dell'autore * * * * lucio caracciolo 304 Nella guerra libica, l’Italia ha una certezza. Comunque andrà a finire abbiamo perso". A sostenerlo è Lucio Caracciolo, direttore di Limes, la rivista italiana di geopolitica. "La guerra in Libia è una storia a parte - rileva Caracciolo - L’errore di collocarla in una serie, dopo la Tunisia e l’Egitto, è alla radice della scelta franco-inglese-americana di entrare in guerra. Non esiste una rivoluzione popolare in Libia, e comunque Gheddafi può contare ancora su un forte consenso in Tripolitania; consenso che sarà rafforzato dall’attacco occidentale". Quali scenari apre la guerra in Libia? "Gli scenari sono totalmente imprevedibili anche perché non sono chiari gli obiettivi strategici degli attaccanti, Francia in testa. Se è vero, come è molto probabile, che le ragioni che hanno spinto Sarkozy in guerra sono innanzitutto domestiche, ossia elettorali, ciò significa che non ci sarà una logica strategica in questa guerra. È diventata una questione di faccia, giocata sulla pelle dei libici". E l’Italia? "L’Italia ha una certezza. Comunque andrà a finire, abbiamo perso. Se Gheddafi resiste, ce la farà pagare, sotto forma di concessioni energetiche e non solo. Se vincono i suoi nemici, si legheranno mani e piedi ad americani, francesi e inglesi, a chi li ha appoggiati davvero. Se non vincessero né gli uni né gli altri e si finisse in una grande Somalia con il petrolio, non solo avremmo perso la guerra, ma... In edicola il seguito dell'articolo, oppure clicca qui. 21 marzo 2011 Articoli Correlati * L'Italia che vuole cavarsela di B. Gravagnuolo Vedi tutti gli articoli della sezione "Mondo"
Bengasi, ribelli ringraziano Francia e Gran Bretagna di g.d.g. di Gabriele Del Grande | tutti gli articoli dell'autore * * * * libia proteste 3 No all'ingresso degli stranieri" È scritto di rosso su uno sfondo bianco con su disegnata una montagna di teschi neri sorvolata daunelicottero da guerra. È il manifesto più grande sotto il tribunale di Benghazi. In piazza sono in migliaia e l'hanno sistemato bene in vista, perché finisca dentro l'inquadratura del cameraman di Al Jazeera, che dal terrazzo del palazzo di fronte filma i manifestanti il giorno dopo il bombardamento degli alleati. I manifestanti però sono gli stessi che sfilano sventolando la bandiera francese e cantando a squarciagola slogan sgrammaticati tipo: "One two tre, merci Sarkozé" oppure "Shukran marra thania lil Faransa wal Britania!". Ovvero "Un due tre, grazie Sarkozy", e "Grazie due volte alla Francia e all'Inghilterra". E tra la folla c'è addirittura qualcuno che pronuncia frasi impensabili fino a pochi giorni fa, del tipo: "Ringraziamo dio e gli Stati Uniti d'America! ". E per capire da dove nasca questo improvviso amore per Francia, America e Gran Bretagna, basta fare una gita fuori porta. Lalocalità sichiamaJarrutha e si trova a una ventina di chilometri dal centro. È qui che hanno bombardato i francesi la notte di sabato e la mattina di domenica. La strada è paralizzata dal traffico. Centinaia di ragazzi di Bengasi sono venuti a vedere i carri armati bombardati dai francesi per farsi una foto e portare a casa qualche ricordo di guerra. I carri armati sono aperti in due. E dei camion delle munizioni non resta che il telaio attorcigliato su se stesso dalla botta dei missili. Altrove invece le macchine e i camion sono soltanto bruciati, come da una nube di calore, ma senza segni evidenti di esplosione. Lungoun'area di pochi chilometri, contiamo 26 carri armati, sette camion lanciamissili Grad, due pickup lanciarazzi, 19 camion, una batteria antiaerea, tre autocisterne, cinque autobus, 45 macchine, eunlanciamissili attrezzato di radar. Tutti esplosi e ridotti in cenere dalle fiamme. Sono soltanto una parte dell'artiglieria pesante che Gheddafi aveva spedito per riprendere il controllo della città di Bengasi. Fonti vicine agli ambienti militari del consiglio transitorio degli insorti parlano di una colonna di 40 armati e 60 camion lanciamissili Grad. E gli abitanti di Qimenes, 50 km a sud di dove hanno colpito i francesi, confermano di aver assistito alla fuga di un'imponente colonna di blindati subito dopo il bombardamento di domenica mattina. La domanda della gente è una sola: "E se fossero entrati a Bengasi? ". Sì perché erano questi i rinforzi destinati a stanare "i ratti" della rivoluzione, "casa per casa", "vicolo per vicolo", "senza pietà", come gridava da giorni infuriato in televisione il colonnello Gheddafi. A sfondare le inconsistenti linee difensive dei ragazzi ci avevano provato già sabato scorso. Una battaglia urbana devastante, durata tutta la mattina e costata la vita a almeno 94 ragazzi dell'armata popolare. I segni di quella battaglia sono ancora scritti sulle facciate dei palazzi che affacciano su Sharaa Tarabulus, la strada che porta a Tripoli. I muri sono crivellati di colpi e le pareti sfondate dalle granate. Con il senno di poi, la strategia di Gheddafi era facilmente intuibile. Giocare di forzaopponendo l'artiglieria pesante all'agilità dei due o tremila ragazzi dell'armata popolare. Una volta portati i carri armati e i lanciamissili in città infatti, l'aviazione francese non avrebbe potuto bombardarli, perché troppo vicini ai centri abitati. E gli squadristi dei Lijan thauriya avrebbero potuto seminare il terrore. La prima fase del piano è stata bloccata dal bombardamento. La seconda invece sembra essere andata comunque in porto. Almeno a giudicare dalle sparatorie che abbiamo sentito nelle ultime due notti in pieno centro. Simuovonoquandofabuio, arrivano in macchina a tutta velocità e sparano qualsiasi cosa si muova. Sono gli squadristi delle falangi di Gheddafi. In arabo si chiamano Lijan Thauriya, che tradotto in italianosuona tipo i comitati rivoluzionari, ma che di fatto sono corpi speciali di polizia segreta. Secondo fonti bene informate, nella sola città di Bengasi potrebbero contare su almeno mille persone. Le loro caserme sono state tutte distrutte e date alle fiamme dai ragazzi del movimento del 17 febbraio. Inizialmente il consiglio transitorio aveva lanciato un appello via radio innomedella riconciliazione e della pace, offrendo loro l'amnistia in cambio della dissociazione dal regime di Gheddafi. Ma da quando i Lijan Thauriya sono tornati in forze e hanno iniziato a sparare sui ragazzi della rivoluzione, ad esempio durante la battaglia di sabato scorso contro le milizie di Gheddafi, il consiglio ha deciso per le maniere forti. E allora hanno lanciato loro un ultimatum. Chi non consegnerà le armi entro le prossime 24 ore sarà tratto in arresto. E insieme a loro, prima o poi, sarà arrestato anche Gheddafi. Questa è la speranza di tutti. Nessuna negoziazione. Lo ha detto in conferenza stampa anche il portavoce del consiglio nazionale transitorio, Abdelhafid Ghoga: "Con Gheddafi non si discute. Deve essere processato per ogni singola goccia del sangue che ha versato. Per rispetto dei martiri della rivoluzione, ma anche per tutti i martiri degli anni Ottanta e Novanta". 22 marzo 2011
Bufera su Merkel non interventista: "Germania isolata" di g.u. di Gherardo Ugolini | tutti gli articoli dell'autore * * * * IMG Un grave errore e un segnale sbagliato lanciato al mondo" scriveva l’altro giorno il quotidiano conservatore Die Welt nel commentare l’astensione tedesca in seno al Consiglio di Sicurezza dell’Onu sull’intervento militare in Libia. Tutti i principali organi di stampa sono concordi nell’accusare la cancelliera Merkel ed il suo ministro degli Esteri Westerwelle di pavidità e inadeguatezza. La Süddeutsche Zeitung denuncia il "disastro diplomatico senza precedenti" e sottolinea l’"isolamento della Germania nel mondo occidentale", mentre Der Spiegel parla di un "colpo alla posizione internazionale del Paese". Tra le forze politiche arrivano critiche dalle opposizioni e perfino dalle file della maggioranza. Paradossalmente solo la Linke di Lafontaine esprime apprezzamento per la linea non interventista di Angela. E molti si domandano se si tratti di scelta strategica oppure di uno stratagemma tattico dettato dalla contingenza: un modo per strizzare l’occhio all’opinione pubblica pacifista in coincidenza con le importanti elezioni regionali in programma in questi giorni. Nonc’è dubbio che la gestione della crisi libica da parte dell’esecutivo di Berlino sia stata segnata da continue oscillazioni. Di fronte alle prime manifestazioni di protesta in Libia la Germania aveva scelto una posizione attendista, timorosa di mettere in gioco gli eccellenti rapporti commerciali con Tripoli. Si sono dovuti aspettare i bombardamenti sui dimostranti per sentire parole ufficiali di netta condanna verso Gheddafi. Poi Westerwelle ha preso posizione a favore delle sanzioni economiche contro Tripoli e ha fatto bloccare i conti della Banca centrale libica in Germania. Ma al momento del voto sulla no-fly-zone c’è stato l’ennesimo tentennamento e la Germania si è astenuta al pari di Cina e Russia. Epensare che nel 2003,quando il governo rosso-verde di Gerhard Schrö der negò l’appoggio alla guerra in Iraq voluta da Bush, fu proprio Angela Merkel, allora leader dell’opposizione, a volare immediatamente a Washington per esprimere la propria vergogna per la mancata solidarietà militare tedesca verso gli alleati. Ieri la cancelliera ha cercato per l’ennesima volta di correggere il tiro augurandosi che la risoluzione Onu "si realizzi presto con successo ". Ma sarà molto difficile per lei recuperare consensi e popolarità con una linea tanto ondivaga. Anche il dietrofront sul nucleare dopo la catastrofe di Fukushima, con la decisione di chiudere in via provvisoria sette dei più vecchi impianti, non è piaciuto all’opinione pubblica. Secondo i sondaggi l’81% dei tedeschi giudica "non credibile" la virata ecologista di Angela. L’ennesima prova del trend negativo di Frau Merkel e del suo governo è venuta la scorsa domenica dalla Sassonia-Anhalt, un piccolo Land orientale, dove si è votato per il rinnovo del parlamento locale. La Cdu ha subito un significativo arretramento scendendo dal 36,2% al 32,5%. Quattro punti in meno non sonouna catastrofecomequella patita un mese fa ad Amburgo (dove la Cdu è stata letteralmente dimezzata), macertamente sono un brutto segnale. Peggio è andata ai liberali di Westerwelle fermatisi al 3,8%edunque senza rappresentanza nel parlamento di Magdeburgo. Il voto ha premiato le opposizioni di sinistra. La Linke col 23,7% si è confermata seconda forza politica nel Land dimostrando ancora una volta quanto sia forte il proprio radicamento popolare nei territori della ex Ddr. L’Spd ha ottenuto il 21,5% con un leggero miglioramento rispetto alle elezioni precedenti, mentre i Verdi sono arrivatiti al 7,1% raddoppiando i loro consensi. Sconfitta anche per i neonazisti della Npd rimasti al di sotto della soglia di sbarramento del 5%. E domenica 27 marzo è in programma un altro test elettorale: si vota in Baden-Württemberg e Renania- Palatinato, due Länder ricchi e popolosi. Anche lì Merkel rischia di perdere molti voti. 22 marzo 2011
Dibattito Camera, l'opposizione: venga Berlusconi * * * * berlusconi stanco 304 LA CRONACA
OPPOSIZIONE: BERLUSCONI VENGA ALLA CAMERA; FINI CONCORDA A riferire sulla linea politica del governo Italiano nella crisi libica sia direttamente il presidente del Consiglio. A chiederlo è tutta l'opposizione alla Camera, in sede di conferenza dei capigruppo. Anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini, si è unito all'auspicio che il dibattio in aula, giovedì mattina, si svolga alla presenza di Silvio Berlusconi. CAMERA, DIBATTITO IN AULA GIOVEDÌ MATTINA Giovedì mattina l'aula della Camera sarà impegnata nel dibattito sulla crisi in Libia. Lo ha deciso la conferenza dei capigruppo della Camera.
DIBATTITO AL SENATO DOMANI POMERIGGIO Il dibattito sulla Libia in Senato si terrà domani pomeriggio. Lo hanno detto il vicecapogruppo del Pd, Luigi Zanda, e il capogruppo del Pdl, Maurizio Gasparri, al termine della riunione dei capigruppo del Senato. Zanda riferisce che il governo ha dato la disponibilità per la presenza in aula del ministro Franco Frattini, ma il Pd chiede che a riferire sia direttamente il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Per questo, aggiunge Zanda, "il voto sul calendario è rimasto in sospeso, se non viene Berlusconi votiamo contro".
IL PUNTO ALLE 9 Riunione alle 12,30 sia dei capigruppo della Camera, sia dei capigruppo del Senato. All'ordine del giorno ci sono i calendari dei lavori delle due aule, con priorità al confronto fra maggioranza e opposizione su quanto sta accadendo in Libia e sull'impegno militare italiano. La Lega nel frattempo punta i piedi. il ministro Roberto Calderoli illustra quattro punti sui quali il Carroccio non transige: garanzie sul rispetto degli accordi con la Libia su gas e petrolio; intervento negli stretti confini della risoluzione Onu che "qualcuno sta interpretando male"; mantenimento di una posizione di cautela "come sta facendo la Germania"; impegno concreto di tutti i paesi europei affinché si prendano carico di un numero di profughi proporzionale al numero dei propri abitanti. Il ministro degli Interni Roberto Maroni chiede che nella risoluzione della maggioranza che verrà presentata alle Camere si faccia riferimento "a un blocco navale non solo in entrata per la libia ma anche in uscita, cioè nei confronti dei migranti". Il numero di quanti sono sbarcati a Lampedusa e stazionano nell'isola è ormai superiore a quello della popolazione residente. Silvio Berlusconi, impegnato in una iniziativa del Pdl a Torino in vista delle elezioni municipali, ha illustrato le modalità della partecipazione italiana agli interventi militari in Libia: "Per noi la missione è limitata alla no fly zone, all'embargo, alla protezione dei civili. I nostri aerei non hanno sparato e non spareranno. Stiamo sollecitando iniziative umanitarie per quanto riguarda la popolazione e per prevenire flussi migratori". Il premier, auspicando che il comando militare passi al più presto alla Nato, si è detto anche "addolorato per Gheddafi", aggiungendo che "quello che accade in libia mi colpisce personalmente". ma non ha fatto riferimenti alla posizione della Lega. La situazione si sta complicando sul fronte della diplomazia. Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha sollevato il problema del comando delle operazioni militari: se non passasse nelle mani della Nato, l'Italia potrebbe addirittura ritirare l'uso delle concessioni delle basi sul proprio territorio. Il responsabile della Farnesina non esclude di istituire un proprio comando nazionale separato per gestire le attività di comando e controllo di tutte le operazioni militari. è una posizione polemica nei confronti della Francia, rientrata a far parte della Nato solo tre anni fa, e dell'eventualità che il comando delle operazioni contro Gheddafi, come è avvenuto in questi giorni, rimanga appannaggio franco-britannico con il sostegno degli Stati Uniti.. La norvegia ha deciso ieri di sospendere la propria partecipazione alle operazioni militari condividendo la posizione italiana. La replica è arrivata dal generale Philippe Ponthies, portavoce del ministero della difesa di Parigi: "La Francia applica pienamente e unicamente la risoluzione 1973 delle Nazioni Unite, che corrisponde anche alla visione della diplomazia italiana. Per il momento la Nato non ha alcun ruolo in questa vicenda". Sulla posizione di Parigi, ribadita anche dal ministro degli Esteri francese Alain Juppè, si è allineato il governo spagnolo. Precisa Trinidad Jimenez, ministro degli Esteri di Madrid: "Per il momento, tenendo conto che c'è già una coalizione internazionale formata non solo da paesi europei e membri della Nato, ma anche da paesi arabi, sembra che il sentimento prevalente sia che la coalizione continui". La Nato, secondo Parigi e Madrid, sarebbe fortemente invisa alla lega araba. "Col tempo vogliamo che il comando e il controllo dell'operazione passi alla Nato", ha dichiarato il premier inglese David Cameron, prendendo così le distanze dalla posizione del governo francese e avvicinandosi alla proposta italiana. da Santiago del Cile dove è in visita ufficiale, il presidente statunitense Barack Obama precisa che "la Nato verrà coinvolta nelle future operazioni in Libia, al momento opportuno lascerò al capo di stato maggiore delle forze armate Mike Mullen decidere". Obama ha parlato di un intervento militare che comunque durerà "giorni e non settimane" e che non ha il compito di cacciare Gheddafi, che pure resta un obiettivo politico, ma di proteggere i civili. 22 marzo 2011
2011-03-20 Tripoli, sequestrata nave con italiani Gheddafi: "Farete la fine di Hitler" * * * * Fuga da Bengasi: VIDEO Aereo dei ribelli abbattuto: VIDEO LE BASI ITALIANE COINVOLTE BOSSI: LO PRENDIAMO IN... L'ULTIMATUM DI IERI: LA CRONACA L'ULTIMATUM, BENGASI ESULTA: VIDEO LA DIRETTA DI OGGI, 20 MARZO
USA, 40 BOMBE SU SCALO LIBICO Alcuni aerei invisibili americani - gli Stealth - hanno bombardato questa mattina un aeroporto libico. Lo riferisce la televisione statunitense. Tre bombardieri B-2 americani hanno compiuto un raid contro un'importante abase aerea libica, sganciando 40 bombe, ha riferito la Cbs. BOMBARDATO AEROPORTO DEI VIP DEL REGIME Tra gli obiettivi colpiti nei primi raid di Odissey Dawn c'è anche un aeroporto vicino a Tripoli usato per i voli dei Vip del regime. Sarebbe stato preso di mira per impedire ai fedelissimi di Gheddafi di fuggire, scrive il Sunday Times. Colpita anche, secondo il Times, una base aerea vicino a Misurata che sarebbe diventato un centro per le forze favorevoli al colonnello. FARNESINA: OGNI VALUTAZIONE PREMATURA L'Unità di Crisi della Farnesina sta seguendo con attenzione la situazione del rimorchiatore italiano con a bordo otto italiani, due indiani e un ucraino, trattenuto da ieri pomeriggio nel porto di Tripoli. Il ministero degli Esteri, secondo quanto si apprende, è in contatto in queste ore con la società armatrice ma la situazione rimane ancora "fluida" e si ritiene "prematura" per il momento ogni valutazione. Il sequesto ieri alle 17 ora italiana, nel porto di Tripoli: un rimorchiatore italiano Asso 22 della Società Augusta Off Shore, con 11 membri dell'equipaggio - 8 italiani, 2 indiani e un ucraino - ha sbarcato personale libico dell'Eni. RAIS, MINACCIA LA COALIZIONE INTERNAZIONALE: "SIETE BARBARI, FARETE FINE DI HITLER" "Siete dei barbari, dei terroristi, dei mostri", "avete attaccato il civile popolo libico che non vi aveva fatto nulla": lo ha detto il leader libico Muammar Gheddafi, in un discorso in audio trasmesso in diretta da Al Jazira e da altre tv. "Cadrete dalle vostre poltrone. Farete la fine di Hitler e Mussolini. Vi faranno cadere i vostri popoli. Questa è un'aggressione, ma noi vi sconfiggeremo", ha concluso il Colonnello. CESSATI I BOMBARDAMENTI SU TRIPOLI E BENGASI I bombardamenti condotti dalle forze della coalizione anti-Gheddafi contro obiettivi militari libici su Tripoli e Bengasi, sono cessati questa mattina. Lo affermano testimoni e giornalisti secondo i quali all'inizio di giornata Tripoli e Bengasi - bastione della ribellione - appaiono calme. Gli abitanti che nella notte si erano rifugiati nelle case per i violenti bombardamenti della coalizione e delle forze di Gheddafi, cominciano a uscire per le strade. ARRESTATI 4 GIORNALISTI DI AL JAZIRA L'emittente panaraba al Jazira ha affermato ieri che quattro dei suoi giornalisti, fra cui un norvegese e un britannico, sono stati arrestati dalle autorità di Tripoli, dopo essere stati fermati nell'ovest della Libia. Secondo la televisione, i giornalisti Lufti Massudi (tunisino) e Ahmad Val Ould el Dine (mauritano), come pure i fotografi Ammar al Hamdane (norvegese) e Kamel Ataloua (britannico) sono stati fermati "nell'esercizio della loro funzione" nell'ovest del paese. BAGNASCO: "SPERIAMO SI VOLGA TUTTO RAPIDAMENTE" "Speriamo che si svolga tutto rapidamente, in modo giusto ed equo, col rispetto e la salvezza di tanta povera gente che in questo momento è sotto gravi difficoltà e sventure. Preghiamo per la salvezza del popolo libico": lo ha detto l'arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco stamani in visita pastorale alla Chiesa di Nostra Signora del Rimedio in piazza Alimonda a Genova commentando l'inizio dei bombardamenti sulla Libia. RIMORCHIATORE CON ITALIANI FERMATO A TRIPOLI L'equipaggio di un rimorchiatore d'altura italiano è stato trattenuto nel porto di Tripoli da uomini armati: lo apprende l'ANSA da fonti qualificate, secondo le quali le persone a bordo sono otto italiani, due indiani e un ucraino. IMMIGRATI, TRIPOLI: STOP A COOPERAZIONE CON L'EUROPA La Libia ha deciso di non cooperare più con l'Unione europea nella sua lotta contro l'immigrazione clandestina. "La Libia non si ritiene più responsabile dell'immigrazione clandestina verso l'Europa", ha affermato un responsabile della sicurezza, secondo quanto riferito dalla televisione ufficiale di Tripoli. LA DIRETTA DI IERI COLPITE CONTRAEREA E DEPOSITI DELLE FORZE DI GHEDDAFI I 110, o 112, missili da crociera Tomahawk lanciati sulla Libia avrebbero colpito una ventina di obiettivi militari: batterie contraeree e depositi di carburante. Colpite, secondo fonti riferite dall'Ansa, postazioni di contraerea presso Tripoli. GHEDDAFI SOLO IN AUDIO E NON COMPARE IN TV Gheddafi ha parlato tramite un audio registrato diffuso dalla tv di Stato. Il leader libico non appare in video da 48 ore e non si sa dove si nasconda. UCCISO NABBOUS VOCE LIBERA DA BENGASI Ucciso oggi dai lealisti di Muammar Gheddafi a Bengasi Mohammad Nabbous -conosciuto come "Mo", il volto del "citizen journalism" in Libia fin dai primi giorni della rivolta nella città della Cirenaica. Per i giornalisti stranieri era diventato una delle fonti più affidabili. Aveva fondato il canale internet al-Hurra Tv Libia, che cominciò le trasmissioni il 17 febbraio. AEREI GB E FRANCESI COORDINATI DAGLI USA IN GERMANIA I bombardamenti dei jet britannici e francesi contro le truppe di Muammar Gheddafi in Libia sono coordinati dal quartier generale Usa in Europa che ha sede a Stoccarda in Germania. Lo riferisce alle agenzie un ufficiale delle forze armate francesi dietro condizione di anonimato. AL JAZEERA: ARRESTATI QUATTRO NOSTRI GIORNALISTI Quattro giornalisti di al Jazeera sono stati arrestati dalle forze di sicurezza libica nella Tripolitania, la parte occidentale del Paese. Lo riferisce la stessa rete del Qatar specificando che sono un britannico, un norvegese, un tunisino e un mauritano. TESTIMONI ALL'ANSA BOMBARDAMENTI LONTANI DA BASE DI GHEDDAFI I bombardamenti su Tripoli non sono stati uditi nei pressi del compound militare della capitale dove risiederebbe Muammar Gheddafi. Lo hanno detto all'Ansa testimoni sul posto. GHEDDAFI: LIBICI ARMATEVI PER LA RIVOLUZIONE Il Raìs ai libici: armatevi per la "rivoluzione". Lo riferisce la Bbc su suo sito online GHEDDAFI: IL POPOLO LIBICO RESISTERA' CONTRO I CROCIATI Muhammar Gheddafi ha minacciato di attaccare obiettivi civili e militari nel mediterraneo come rappresaglia "all'aggressione dei crociati". Il Raìs ha sostenuto che gli interessi dei Paesi del Mediterraneo e del Nordafrica saranno da ora in pericolo, ha insisito che il popolo libico resisterà all'aggressione "coloniale dei crociati". Ha poi chiesto aiuto agli africani, agli arabi, ai sudamericani e agli asiatici di sostenere il popolo libico contro il nemico. GHEDDAFI: MEDITERRANEO CAMPO DI BATTAGLIA MINACCIA OBIETTIVI MILITARI E CIVILI Gheddafi parla in tv. Minaccia di attaccare "obiettivi civili e militari". Il Mediterrano si è trasformato in "un campo di battaglia" è il suo primo commento trasmesso dalla tv di Stato libica. Il Colonnello ha anche annunciato che "i depositi di armi sono stati aperti" per consentire al popolo di difendere la Libia. E minaccia di attaccare "obiettivi civili e militari". AL JAZEERA: COLPITA BASE DI MITIGA I jet della coalizione internazionale hanno bombardato la base aerea di Mitiga, subito fuori il centro di Tripoli, che opera principalmente per i voli civili dei alti quadri della classe dirigente libica. Lo riferisce Al Jazeera. FRANCIA SMENTISCE AEREO ABBATTUTO La Francia smentisce l'abbattimento di un suo caccia. 112 I MISSILI PUNTATI A CONTRAEREA I missili lanciati da navi sarebbero 112. Hanno mirato a basi contraeree e postazioni pro Gheddafi. GHEDDAFI PARLERA' IN TV TRA POCO Gheddafi dovrebbe parlare in tv tra poco. L'ANSA: SOSTENITORI DI GHEDDAFI NEGLI OBIETTIVI MILITARI Migliaia di sostenitori di Muammar Gheddafi si sono radunati "spontaneamente" a Tripoli attorno agli obiettivi militari. Lo scrive l'agenzia Ansa. Quanto sia spontanea questa reazione è impossibile verificare. MEDIA LIBICI: BOMBARDATA SIRTE, CITTA' DI GHEDDAFI Media ufficiali libici hanno detto che è stata bombardata Sirte, città natale di Gheddafi. Le agenzie non chiariscono al momento, le 22.18, di quali media si tratti. AL JAZEERA: BOMBARDATA ACCADEMIA MILITARE DI GHEDDAFI La tv satellitare Al Jazeera ha detto che le forze della coalizione hanno bombardato un'accademia militare vicino alla città libica di Misurata dove si trovano i fedelissimi di Gheddafi. AL JAZIRA: INSORTI IN CONTATTO CON COALIZIONE Il consiglio di transizione libico è in contatto con la coalizione internazionale che oggi ha lanciato raid aerei contro le aree dove sono presenti le forze di Gheddafi. Lo riferisce al Jazira. PARLAMENTO LIBICO: VITTIME DA UN'AGGRESSIONE BARBARA Il segretario generale del Parlamento libico Mohamed al Zawi ha definito "un'aggressione barbara" l'attacco della coalizione e ha parlato di numerose vittime. Lo riferisce la tv satellitare al Jazira. TV LIBICA: ABBATTUTO CACCIA FRANCESE Un aereo da caccia francese sarebbe stato abbattutto in Libia. Lo dice la tv di stato libica. OBAMA: HO AUTORIZZATO LIMITATA AZIONE MILITARE "Oggi", ha detto Obama, "ho autorizzato le forze armate degli Stati Uniti a cominciare una limitata azione militare in Libia". Il presidente degli Stati Uniti è in Brasile in visita ufficiale. TV LIBICA: COLPITI CAMION A MISURATA Le bombe della coalizione occidentale hanno colpito camion-cisterna a Misurata, oggi in mano ai ribelli, 210 km da Tripoli. Questo è quanto afferma la tv libica. DIFESA: AEREI ITALIANI NON IN VOLO Al momento, le 21.32 di sabato, non sono in volo aerei italiani in relazione alle operazioni militari sulla Libia. Lo hanno detto all'Ansa fonti della Difesa. LONDRA E WASHINGTON: COLPITE 20 POSTAZIONI Londra e Washington: colpiti 20 postazioni libiche con i missili lanciati dalle navi. L'ATTACCO: "ODISSEA ALL'ALBA" L'attacco si chiama "Odissea all'alba". ITALIA IN AZIONE, DIFESA SMENTISCE Anche l'Italia starebbe intervenendo. La Difesa non conferma e anzi smentisce ma più fonti parlano di aerei italiani militari in volo. MISSILI BRITANNICI: LONDRA CONFERMA Sottomarini britannici della classe Trafalgar hanno lanciato missili Tomahawks contro obiettivi in Libia. Lo ha riferito il ministero britannico della difesa. PENTAGONO: MISSILI CONTRO SISTEMI DI DIFESA Le forze statunitensi hanno colpito delle batterie antiaeree libiche con missili da crociera "Tomahawk", per creare una zona di interdizione al volo prevista dalla risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu: lo hanno annunciato fonti del Pentagono. "La maggior parte dei primi bersagli previsti si trovano sulla costa perchè lì si trovano i sistemi" di difesa aerea, hanno spiegato le fonti precisando che gli obbiettivi si trovano nelle zone di Misurata e di Tripoli. Sia i due incrociatori che i tre sommergibili statunitensi attualmente nella zona hanno missili da crociera. 110 MISSILI USA E BRITANNICI Gli Usa e la Gran Bretagna hanno lanciato almeno 110 missili su obiettivi libici. Lo riferiscono agenzie di stampa. TRIPOLI USA SCUDI UMANI Bambini e oppositori incarcerati usati come scudi umani a Tripoli: lo denuncia il Democratic Libya Information Bureau, con sede a Londra, sulla base di informazioni raccolte nella capitale libica. In precedenza, testimoni avevano detto all'Ansa che migliaia di persone presidiano gli obiettivi militari nella capitale. Fonti del governo affermano che si tratta di una manifestazione spontanea. USA: COLPIREMO OBIETTIVI LIBICI Una nave da guerra Usa ha lanciato missili da crociera contro obiettivi libici. Lo riferisce la Cn citando funzionari del Pentagono. Gli Stati Uniti: colpiremo obiettivi della difesa aerea. CAMERON: FORZE BRITANNICHE SONO IN AZIONE Forze britanniche sono in azione sulla Libia all'interno delle operazioni previste dalla risoluzione Onu. Lo ha riferito il primo ministro britannico, David Cameron. MISSILI CRUISE LANCIATI SULLA LIBIA Missili Cruise sono stati lanciati da navi Usa nel Mediterraneo. I missili cruise (da crociera), di tipo Tomahawk, vengono lanciati da navi da guerra statunitensi. TV DI STATO LIBICA "NEMICI CROCIATI" COLPISCONO CIVILI Lo sostiene la tv di Gheddafi. La tv di Stato libica ha riferito che obiettivi civili sono stati bersaglio di bombardamenti aerei messi in atto dai "nemici crociati". IN AZIONE GLI USA E LA GRAN BRETAGNA Le agenzie battono due notizie: le forze britanniche e quelle statunitense sono entrate in azione. JUPPE': GLI USA INTERVERRANNO PRESTO Gli Stati Uniti parteciperanno "pienamente" alle operazioni militari in Libia per l'applicazione della risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu: lo ha affermato il ministro degli Esteri francese Alain Juppé. Secondo il ministro il contributo statunitense si sentirà "nelle ore e i giorni che verranno". LA DIFESA FRANCESE: ABBIAMO BOMBARDATO QUATTRO VOLTE I caccia francesi hanno bombardato quattro volte il territorio della Libia, distruggendo numerosi blindati del regime di Muhammar Gheddafi. E' quanto riferisce il ministero della Difesa di Parigi. INSORTI: ALMENO 40 UCCISI DA FORZE GHEDDAFI A BENGASI Almeno 40 persone sono morte nell'attacco delle forze di Gheddafi stamani a Bengasi. Lo ha detto all'agenzia Ansa Mustafa Gheriani, portavoce del Media Committee del Consiglio transitorio libico. Si tratta del bilancio stimato alle 11.30 di oggi, prima che lasciasse Bengasi per Tobruk. RUSSIA CONTRO INTERVENTO MILITARE La Russia ha deplorato l'intervento militare in Libia. Il ministero della Difesa ha definito la risoluzione Onu - sulla quale Mosca si è astenuta senza però esercitare il proprio diritto di veto - "adottata in modo affrettato. Restiamo convinti che per dare una soluzione stabile al conflitto interno libico si debba rapidamente mettere fine al versamento di sangue e i libici debbano riprendere il dialogo". UNA VENTINA GLI AEREI FRANCESI ENTRATI IN AZIONE Una ventina gli aerei francesi entrati oggi in azione. DIFESA FRANCESE: DISTRUTTI DIVERSI BLINDATI Un funzionario della Difesa francese ha invece detto che l'aviazione francese ha distrutto in Libia "alcuni carri armati e veicoli blindati". Il ministero ha confermato di aver distrutto diversi mezzi blindati senza specificare. AL JAZEERA: COLPITI QUATTRO CARRI ARMATI Sono quattro carri armati i mezzi libici colpiti nel primo raid aereo sferrato oggi dai caccia francesi sulla Libia. Lo riferisce al Jazira con una scritta in sovraimpressione. FORZE GHEDDAFI ATTACCANO MISURATA La città di Misurata, a est di Tripoli, è sotto il fuoco di artiglieria delle forze pro-Gheddafi. Lo ha riferito alla Cnn un testimone sul posto. CLINTON: DA USA SUPPORTO A COALIZIONE Come ha dichiarato da Parigi il segretario di stato Hillary Clinton, l'obiettivo degli Stati Uniti è "offrire supporto alla coalizione internazionale perché venga rispettata la risoluzione dell'Onu". I nuovi perni della politica estera americana sono il primato delle Nazioni Unite e la risposta concordata tra tutti gli attori internazionali. Anche e soprattutto al di fuori della Nato, come accade con la partecipazione degli arabi, una presenza che Hillary Clinton ha definito oggi "cruciale". NAPOLITANO: PACE, IMPEGNO DURO MA NECESSARIO L'intervento in Libia è un impegno duro ma è per la libertà e i diritti. "Andare a portare aiuto non rimanendo indifferenti alle sofferenze e alle repressioni, e sappiamo di cosa parlo, è un impegno che può apparire duro, ma è un impegno per la pace, per la solidarietà, i diritti, e la libertà dei popoli". Lo ha detto il presidente Giorgio Napolitano al Sermig di Torino dove ha ricevuto il premio 'Artigiano della pace'. "La pace è un obiettivo difficile" ha detto il Presidente Napolitano. "In Europa l'abbiamo costruita e consolidata, ma non è così nel resto del mondo. Oggi servire la pace significa anche trovare il modo per andare incontro alle popolazioni perseguitate, andare a portare aiuto non rimanendo indifferenti alle sofferenze e alle repressioni". LA CNN: DISTRUTTO UN CARRO ARMATO Il primo obiettivo distrutto dal fuoco degli aerei francesi, alle 17.45 di oggi in Libia, è "un veicolo militare". Il portavoce dello stato maggiore francese, colonnello Thierry Burckhard, ha precisato che l'obiettivo è stato "neutralizzato", senza specificare di che mezzo si tratti. Secondo la Cnn sarebbe un carro armato. E' il primo attacco della coalizione in Libia per far rispettare la risoluzione 1973 dell'Onu. LA FRANCIA: NOSTRO CACCIA COLPISCE MEZZO MILITARE LIBICO Il ministero della difesa francese ha annunciato che un caccia Rafale ha aperto per la prima volta il fuoco contro un veicolo militare libico in una zona a 150 chilometri da Bengasi. GHEDDAFI: NON SI E' PARLATO DEL DOPO GHEDDAFI Nella riunione di Parigi "non si è arrivati a parlare" di un esilio di Gheddafi, perché è stata messa in primo piano la questione della "salvaguardia delle popolazioni civili". Lo ha detto Berlusconi, durante una conferenza stampa al termine del vertice all'Eliseo. BERLUSCONI: NOI DISPONIBILI MA PER NO FLY ZONE ALTRI PAESI SUFFICIENTI "Noi abbiamo detto di essere disponibili - ha spiegato il premier - sulla base delle esigenze, ma non credo che ci saranno esigenze particolari al riguardo perché anzitutto si deve mettere in atto il rispetto della no fly zone e quindi io credo che i mezzi della Francia, della Gran Bretagna e gli altri Paesi hanno messo a disposizione" possano essere sufficienti. "Noi - ha ribadito Berlusconi - saremmo a disposizione ove si rivelasse la necessità di un nostro impegno". BERLUSCONI: SPERO GHEDDAFI CI RIPENSI Berlusconi auspica un "ripensamento" di Gheddafi che consenta all'Italia di evitare di entrare direttamente nel conflitto. In una conferenza stampa al termine del vertice di Parigi, il premier ha detto che "noi abbiamo ancora la speranza, visto questo schieramento globale della comunità internazionale e non soltanto della comunità occidentale ma anche dei Paesi arabi, che ci possa essere un ripensamento da parte del regime libico e che lo stesso regime possa ritenere di sua convenienza porre fine alle attività di contrasto alle popolazioni civili". SARKOZY: VIA LIBERA ALL'ATTACCO CONTRO GHEDDAFI A BENGASI Sarkozy ha annunciato, dopo il vertice di Parigi tra Onu, Usa, Ue e Lega araba, il via libera all'attacco aereo contro le forze leali a Gheddafi a Bengasi. Le operazioni militari, ha annunciato il premier belga Yves Leterme, inizieranno nelle prossime ore. I paesi che hanno partecipato al vertice di Parigi hanno deciso "di assicurare l'attuazione della risoluzione Onu", ha affermato il presidente francese. l Qatar e diversi paesi europei hanno confermato oggi al vertice la loro partecipazione militare all'intervento. BERLUSCONI, PER ORA SOLO BASI, NAPOLI COME COORDINAMENTO Berlusconi alle agenzie: per ora diamo solo basi, se servono poi i raid. E dichiara di aver proposto la base di Napoli come centro di coordinamento delle azioni. DI PIETRO: VOTEREMO SI' ALLA RISOLUZIONE ONU Antonio di Pietro prende posizione: "L'Italia dei valori non si tirerà indietro per impedire a Gheddafi di massacrare il suo popolo. Ci impegniamo a dare il nostro apporto in Parlamento quando la settimana prossima si voteranno i contenuti della risoluzione dell'Onu". CAMERON: PASSARE ORA ALL'AZIONE, E' URGENTE "È giunto il momento di passare all'azione in Libia": lo ha affermato il premier britannico David Cameron, intervistato dalla Bbc al termine del vertice internazionale di Parigi sulla crisi libica. "È Gheddafi che lo ha voluto: ha mentito alla comunità internazionale, ha promesso e poi violato il cessate il fuoco; continua a colpire il proprio popolo, ed è ora di passare all'azione, è urgente". NAPOLITANO: BENE L'INTESA AL SUMMIT DI PARIGI "Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è stato informato telefonicamente dal presidente del Consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi, dell'andamento e dell'esito della riunione di Parigi. Il capo dello Stato si è compiaciuto dell'importante intesa raggiunta, per il contributo dato e per l'impegno assunto dall'Italia". Lo comunica una nota del Quirinale. BERLUSCONI: MISSILI LIBICI NON SONO PERICOLO PER L'ITALIA Il premier ha affermato che i missili libici non sono un pericolo per l'Italia. Le forze armate assicurano che non hanno una gittata sufficiente a colpire la nostra penisola. SARKOZY: I CACCIA FRANCESI STANNO GIA' FERMANDO GHEDDAFI L'intervento militare alleato in Libia è sostanzialmente già iniziato. Lo ha di fatto confermato alla fine del summit di Parigi il presidente francese Sarkozy affermando che i caccia francesi stanno già impedendo gli attacchi aerei di Gheddafi contro Bengasi e che l'aviazione è pronta a colpire i carriarmati del rais che assediano la città. I caccia Rafale transalpini già volanoo sulla Libia da ore senza incontrare ostacoli. Gheddafi ha "ancora tempo di evitare il peggio", ovvero un'offensiva militare - ha aggiunto Sarkozy - se "rispetterà senza ritardo e senza riserve" la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu". IL BELGIO: ATTACCO NELLE PROSSIME ORE Il Belgio avvisa: l'attacco avverrà nelle prossime ore. Il Canada parteciperà ma puntualizza: ci vorranno due giorni per preparare i loro aerei. FUGA DA BENGASI DOPO L'ATTACCO DI GHEDDAFI A Bengasi dopo il primo bombardamento degli aerei di Gheddafi su Bengasi è cominciata la fuga di migliaia di residenti terrorizzati dai raid. Adulti e bambini si ammassano su automobili, fuoristrada, minibus e lasciano alle loro spalle negozi distrutti e strade deserte. L'obiettivo di molti è raggiungere Al-Baida, 100 chilometri a est di Bengasi L'ITALIA PREPARA I SUOI CACCIA Sono stati rischierati a Trapani i caccia Tornado dell'Aeronautica militare che potrebbero essere impiegati sulla Libia. Sono i Tornado Ecr (da Piacenza) specializzati nel distruggere le difese missilistiche e radar, e dei Tornado Ids di Ghedi (Brescia), progettati per attaccare. Schierati nella stessa base anche i caccia Eurofighter di stanza a Grosseto. Nella base di Trapani ci sono i caccia F-16, aerei radar Awacs della Nato e velivoli per il rifornimento in volo. SEI CACCIA DANESI A SIGONELLA Sei F-16 danesi sono atterrati alla base aerea di Sigonella. Rientrano nell'operazione militare messa in moto dalla risoluzione Onu sulla crisi libica. La Danimarca è tra i paesi disponibili all'intervento. I CACCIA FRANCESI SU BENGASI E TUTTA LA LIBIA Un altro dispaccio parla di numerosi caccia francesi del modello Rafale francesi che stanno sorvolando Bengasi e l'intero territorio libico in ricognizione. JET FRANCESI SU BENGASI L'operazione internazionale è iniziata. Dei caccia francesi Dassult Rafale sorvolano il territorio libico. Lo dicono fonti militari. Sono sui cieli di Bengasi per ostacolare i movimenti delle truppe del Colonnello Muammar Gheddafi. Lo confermano fonti militari di Parigi citate dalla France Presse. GINO STRADA: SONO CONTRO L'INTERVENTO MILITARE, E' GUERRA Gino Strada, fondatore di Emergency, si schiera contro l'intervento militare. "Io sono contro la guerra. Lo dico da lustri e continuo a essere contro la guerra", ha detto a Radio Capital. L'Onu interverrà per fermare gli attacchi di Gheddafi contro i civili, gli ha ribattuto l'emittente. "E perché? Chi li fermerà mirerà dritto a Gheddafi?". L'intento è quello di colpire le basi militari. "Probabilmente anche nell'intento di Gheddafi - ha risposto Strada - non si vogliono colpire i civili. Ma non è questo il problema. Il problema è il ricorso allo strumento guerra. Io sono contrario alla guerra per tante ragioni, una delle quali è che sono italiano e ho una Costituzione che ripudia la guerra". AL JAZEERA, 26 MORTI E 40 FERITI DOPO SCONTRI A BENGASI Ventisei morti e quaranta feriti. questo il bilancio degli scontri di questa mattina a bengasi tra gli insorti e le truppe del leader libico muammar gheddafi. a diffondere i dati l'emittente al jazeera, citando fonti ospedaliere. INSORTI, RESPINTO ATTACCO A BENGASI Un portavoce degli insorti libici ha affermato che l'attacco delle forze fedeli a Gheddafi contro la città di Bengasi è stato respinto. JANA, CITTADINI SI RADUNANO SU OBIETTIVI RAID L'agenzia ufficiale libica riferisce che folle di cittadini libici si stanno radunando sugli obiettivi militari che la Francia ha minacciato di attaccare. NAPOLITANO, ITALIA FARÀ QUELLO CHE È NECESSARIO "Faremo quello che è necessario, anche noi". Così il presidente Giorgio Napolitano, al termine della visita allo stabilimento Pirelli di Settimo Torinese, ha risposto ai giornalisti a proposito della questione libica. "Vedo che qui - ha detto Napolitano riferendosi alla visita appena compiuta - si lavora per la pace e poi altrove facciamo la nostra parte come membro attivo della comunità internazionale. Interessati - ha proseguito - tutti i paesi che sono nel G8, che sono nell'Organizzazione delle Nazioni Unite ad affermare dei principi e ad esigere il rispetto dei valori fondamentali come sono i diritti umani e le aspirazioni di libertà e giustizia sociale, oggi, in modo particolare, nel mondo arabo. E faremo - ha concluso il capo dello Stato - quello che è necessario anche noi". A PARIGI 4 PAESI ARABI,EMIRATI, GIORDANIA, MAROCCO E QATAR Emirati arabi uniti, Giordania, Marocco e Qatar sono i quattro Paesi arabi rappresentati al vertice di Parigi per l'intervento militare in Libia. Lo hanno riferito fonti diplomatiche. MIGLIAIA CIVILI IN FUGA DA BENGASI Migliaia di persone stanno fuggendo dalla città libica di Bengasi, controllata dagli insorti e sotto attacco da questa mattina: lo constatano fonti giornalistiche sul posto. BERLUSCONI ATTERRATO A PARIGI, ATTESO A ELISEO PER VERTICE Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è atterrato a Parigi. Il premier è atteso al Palazzo dell'Eliseo dove alle 13.30 prenderà il via il vertice sulla crisi libica al quale partecipano i leader dei paesi occidentali, africani e arabi. Saranno presenti anche il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, e il numero uno dell'Onu, Ban Ki-moon. Ad accoglierli sarà il presidente francese, Nicolas Sarkozy. TV DI STATO: EX MINISTRO TORNA CON GHEDDAFI, INSORTI SMENTISCONO La tv di stato libica ha detto che l'ex ministro dell'Interno Abdel Fatah Yunes, che ai primi di marzo era passato con gli insorti, Š tornato nel campo di Gheddafi e ha ripreso il suo incarico. Lo riferisce Al Jazira. La tv panaraba riporta anche che il capo del Consiglio nazionale libico (il governo provvisorio degli insorti) ha subito smentito la notizia. CECCHINI GHEDDAFI A MISURATA, UCCISE DUE PERSONE Cecchini delle forze di Gheddafi hanno aperto il fuoco nella città di Misurata uccidendo almeno due persone, dicono testimoni locali. "Due persone sono state uccise questa mattina... ci sono tiratori scelti sui tetti delle case che sparano alla gente. Sparano a chiunque vedano", dice un residente al telefono. La città di Misurata, un centinaio di chilometri a est di Tripoli, in mano ai ribelli e off limits per i giornalisti, nelle ultime ore viene bombardata dalle forze di Gheddafi, dicono testimoni, secondo i quali è stato anche tagliato l'approvvigionamento di acqua. GHEDDAFI MINACCIA FRANCIA E GB, VE NE PENTIRETE Gheddafi minaccia Francia e Gran Bretagna. "Se intervenite nel nostro paese ve ne pentirete" ha detto un portavoce del rais aggiungendo che Gheddafi ha inviato messaggi anche al presidente Usa, Barack Obama e al segretario generale dell'Onu Ban Ki-Moon. "Ho tutti i libici dalla mia parte - ha detto ancora il portavoce riferendo le parole del rais - sono pronti a morire per me, uomini donne e bambini". ATTACCATA BENGASI, ATTESA SUMMIT PARIGI In Libia le forze di Gheddafi attaccano Bengasi da terra, dall'aria e dal mare e i carri armati, dicono gli insorti, sono arrivati alla periferia ovest. Nell'imminenza di prevedibili raid della coalizione internazionale e in vista del vertice fra Ue, Unione africana e Lega Araba alle 13:30 a Parigi, le truppe del regime cercano di accelerare i tempi e di guadagnare più terreno possibile nella città bastione degli insorti. Attacchi si registrano anche a Zenten, a ovest, e a Misurata. E Gheddafi attacca anche verbalmente, minacciando la coalizione: "Ve ne pentirete se interverrete nei nostri affari interni", ha scritto il rais in una lettera inviata a Sarkozy, Cameron e Ban ki-moon. Il portavoce del regime di Tripoli, Mussa Ibrahim, in una conferenza stampa ha detto che il rais ha inviato messaggi personal al presidente Usa, Barack Obama, a quello francese, Nicolas Sarkozy, al premier britannico, David Cameron, e al segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon. Il portavoce ha definito qualsiasi azione militare una "chiara aggressione" e una "ingiustizia", affermando che i libici sono con lui e sono "pronti alla morte". Sul terreno l'offensiva delle forze del Colonnello contro Bengasi è iniziata la mattina presto, con raid aerei, cannonate sul centro sparate da ovest, sud e dal mare. I primi carri armati sono stati visti alla periferia ovest, anche se la notizia dei ribelli stenta per ora a trovare conferme. Un aereo militare ha preso fuoco sopra la citt… ed Š caduto, ripreso da Al Jazira. Secondo gli insorti, si tratta di un loro aereo. Centinaia di persone fuggono in auto dalla citt… verso est. È stata bombardata anche la citt… di Zenten, all'ovest, in mano al Consiglio nazionale transitorio (Cnt), il governo dei ribelli. Un portavoce del governo di Tripoli ha smentito l'attacco a Bengasi: a suo dire, il cessate il fuoco è ancora in vigore e le sue truppe hanno solo risposto ad un attacco dagli insorti. In questo contesto, il Consiglio nazionale transitorio lancia l'Sos, guardando a Parigi: "Abbiamo solo armi leggere - ha detto - e Gheddafi sembra avere nuove e potenti armi". Il tempo stringe e Sarkozy, Cameron e la segretaria di Stato Usa si incontrano a Parigi alle 12:30, subito prima del vertice. GUGA, ABBIAMO SOSTEGNO DI COMUNITÀ INTERNAZIONALE PORTAVOCE CONSIGLIO NAZIONALE, RISOLUZIONE ONU UNA VITTORIA La risoluzione Onu sulla Libia "ha un grande significato: è finalizzata a proteggere prima di tutto la popolazione civile ed evitare spargimenti di sangue. Ma ha anche grande significato politico; la comunità internazionale conferma di essere dalla nostra parte". Lo dice in un'intervista al Sole 24 Ore Abdel Hafith Guga, portavoce e vicepresidente del Consiglio nazionale transitorio, il governo de facto della Cirenaica. "Sono convinto che se Gheddafi cercherà di nuovo aggredirci con la sua aviazione sarà fermato - spiega -. Non è una risoluzione che resta sulla carta. E sarà fermato anche se le sue forze di terra minacceranno la popolazione civile. Di tutta la Libia. Lo prevede il testo della risoluzione. È una grande vittoria". "Stiamo cercando di riorganizzare le nostre forze - prosegue Guga -. La rivoluzione non sarà terminata fino a che non arriveremo a Tripoli. È l'epilogo naturale di quanto iniziato il 17 febbraio". TV,FORZE GHEDDAFI ATTACCANO BENGASI DA COSTA E DA SUD Al Jazira riferisce che l'esercito di Gheddafi attacca Bengasi dalla costa e da sud. La tv panaraba ha anche mostrato le immagini dell'aereo delle forze governative abbattuto nel cielo della città. L'aeroplano, probabilmente un Mig-23, prende fuoco in volo e precipita a terra, provocando una nuvola di fumo. Si vede chiaramente anche il pilota che si lancia all'esterno prima dell'impatto, a poche decine di metri da terra. TRIPOLI DENUNCIA: ATTACCATI DAI RIBELLI A OVEST BENGASI Il regime libico denuncia di essere stato attaccato dai rivoltosi a ovest di Bengasi, roccaforte dei rivoltosi nella zona orientale del Paese, scossa oggi da intensi bombardamenti. Lo ha riferito l'agenzia ufficiale Jana. "Le gang di al Qaida hanno attaccato delle unità delle forze armate dislocate a ovest di Bengasi, in applicazione del cessate il fuoco annunciato ieri dalla Libia - si legge sull'agenzia Jana, che cita fonti del ministero della Difesa - queste bande terroristiche hanno utilizzato elicotteri e un aereo da caccia per bombardare le forze armate, in flagrante violazione della zona d'interdizione di volo imposta dal Consiglio di sicurezza. Ciò ha spinto le forze armate a rispondere per difendersi". Esplosioni sono state udite tutte la notte a Bengasi, ma non è stato possibile determinare se si trattava di bombardamenti o di colpi di batterie anti-aeree. La scorsa notte, il viceministro degli Esteri libico, Khaled Kaaim, ha accusato i rivoltosi di aver violato il cessate il fuoco, attaccando le forze fedeli al regime nella regione di Al Magrun, a circa 80 chilometri a sud di Bengasi. TV, BOMBARDAMENTO ARTIGLIERIA SU CENTRO BENGASI Il centro di Bengasi è bersaglio di un intenso bombardamento di artiglieria, dice l'emittente Al Jazira, che cita un suo inviato. Granate d'artiglieria, dice l'emittente, sono esplosi anche nella centrale Gamal Abdel Nasser Street. LA LIBIA ANNUNCIA IL CESSATE IL FUOCO, MA I RAID SONO PRONTI VIA LIBERA A IMPEGNO ITALIA, ASSENTI LA LEGA E I RESPONSABILI Ministro esteri libico annuncia fine azioni militari. Insorti: è un bluff. A Misurata 25 morti. Ultimatum Francia Usa Gb; Obama: Gheddafi ha perso ogni legittimità. La Russa: serve la Nato per la no-fly zone; in Italia pronte sette basi aeree e mezzi, pronti a effettuare raid. Frattini: chiusa ambasciata Tripoli, mai coesione tanto ampia per un'azione di forza. Berlusconi: agiremo con pieno accordo con il Quirinale. Premier a summit Parigi. D'Alema: rischiamo ritorsioni, serve scudo Nato.Comitato nazionale per la sicurezza innalza livello attenzione.Da Senato e Camera ok a mandato Governo, Idv e Lega non votano, assenti i Responsabili. Francia pronta ad attacco. Merkel: astensione non vuol dire neutralità. Processo Mills: lunedìBerlusconi assente per cdm. BBC CONFERMA: FORZE GHEDDAFI A BENGASI Anche la BBC riferisce di notizie secondo le quali le forze di Gheddafi stanno avanzando nella periferia della città. L'inviato della tv britannica a Bengasi riferisce di aver sentito spari provenienti anche dal mare. VIOLATA LA TREGUA, TRUPPE DI GHEDDAFI A PERIFERIA BENGASI, RIBELLI ABBATTONO JET Le truppe di Muammar Gheddafi hanno sferrato nella notte un'offensiva su Bengasi e questa mattina alcuni mercenari sono penetrati nella periferia ovest della roccaforte dei ribelli. A darne notizia è stato l'inviato di Al Jazira. E mentre l'artiglieria continua a martellare il centro della città, gli insorti sono riusciti ad abbattere un jet dopo diversi bombardamenti aerei. Il Colonnello ha quindi ignorato il cessate il fuoco che il suo regime si era impegnato a rispettare dopo la risoluzione di giovedì del Consiglio di sicurezza dell'Onu per accelerare l'avanzata prima del summit di questo pomeriggio a Parigi in cui saranno le decise le modalità per un intervento militare internazonale. L'attacco sul capoluogo della Cirenaica è iniziato intorno alle due di notte e da quel momento i combattimenti sono proseguiti ininterrottamente, con colpi di mortaio, lanci di razzi katiuscia e scambi di colpi di mitragliatrice. All'alba ci sono stati almeno due raid aerei a distanza di 20 minuti con bombardamenti di zone attorno alla città. Un terzo bombardamento è avvenuto un'ora dopo. Colpite la strada per l'aeroporto e il quartiere di Abu Hadi. I ribelli sono poi riusciti ad abbattere un jet che è stato visto perdere fumo dalla coda prima di schiantarsi in una zona residenziale del sud di Bengasi. Testimoni hanno riferito di una jeep che sarebbe riuscita e entrare nei quartieri ovest di Bengasi con a bordo due mercenari di Gheddafi che hanno lanciato granate prima di essere uccisi dai ribelli. Dai documenti è risultato che i due, in abiti vivili, erano nigeriani. A Gheddafi era arrivato nella serata di venerdì il monito di Barack Obama, che gli ha ricordato che "ha ormai perso l'appoggio della sua gente e la legittimità". Per questo l'unico modo per evitare un attacco era quello di rispettare la risoluzione dell'Onu che ha "chiare condizioni": fermare gli attacchi e ritirate le truppe". DE MICHELIS, STUPITO DAI TENTENNAMENTI RISCHI PER L'ITALIA? "Com'è possibile che l'Italia abbia tanto esitato a capire che direzione stava prendendo la storia, facendosi scavalcare da Francia e Inghilterra che vorrebbero tornare a spadroneggiare nel Mediterraneo come nel 1955, quando non c'era il Canale di Suez?". Se lo chiede a proposito della missione in Libia l'ex ministro degli Esteri Gianni De Michelis che in un'intervista alla Stampa afferma che i rischi per l'Italia ci sarebbero stati "se non fosse stata presa la decisione di intervenire: sarebbe stato dato un via libera non solo a Gheddafi ma all'Iran e a Hezbollah". "Un rischio terrorismo - precisa - c'è sempre, se gli si spiana la strada. L'Italia deve evitare di favorire per la Libia una soluzione somala. Disintegrare, smembrare Tripolitania e Cirenaica, creerebbe all'Italia notevoli problemi: proprio per questo occorre liberarsi di Gheddafi al più presto". Il nostro Paese, prosegue De Michelis, "deve essere in prima fila anche nell'institution building, aiutarli a costruire la loro democrazia. Anzi, mi stupisco che non ci siano già dei nostri laggiù che abbiano il controllo della situazione". FRATTINI; PRONTI A COLPIRE, A NOI IL COORDINAMENTO "Abbiamo chiesto che la base di coordinamento sia spostata da Stoccarda a Capodichino. Giochiamo un ruolo fondamentale, senza l'Italia questa operazione non si potrebbe svolgere". Così il ministro degli Esteri Franco Frattini commenta in un'intervista al Messaggero l'intervento della coalizione internazionale in Libia. "Sono molto soddisfatto - spiega -. Il Parlamento ha votato all'unanimità l'intervento militare sotto l'egida dell'Onu. C'è stato perfino qualcuno che in commissione ha detto: 'La comunità internazionale è arrivata troppo tardì" ma "la decisione è arrivata quando c'è stato il sì della Lega Araba e dell'Unione africana". Il ritardo, sottolinea Frattini, "è il prezzo che si è pagato per il multilateralismo". Il ministro rispetta la posizione della Lega, assente alla votazione nelle Camere, ma afferma che Bossi "ha sempre dimostrato lealtà verso la maggioranza" e si dice fiducioso di "riuscire a convincere la Lega a schierarsi a favore: essere in prima linea permetterà all'Italia di chiedere il sostegno dell'Europa per fronteggiare il flusso migratorio". "Nessuna guerra" dell'Italia con la Libia, sottolinea Frattini, solo l'impegno "a far rispettare una risoluzione dell'Onu che chiede a Gheddafi di cessare il fuoco, di terminare i bombardamenti aerei e di rispettare l'embargo". BOMBARDAMENTI INTENSI A BENGASI, AEREO SORVOLA CITTÀ Intensi bombardamenti sono in corso oggi nella zona sud-ovest di Bengasi e un aereo militare ha sorvolato la città prima di nuove esplosioni. Lo riferiscono giornalisti della France presse. Quattro esplosioni a distanza ravvicinata sono state udite nel centro della città. Diverse colonne di fumo si sono alzate dall'area sud-occidentale di Bengasi, che potrebbe essere residenziale. Un aereo militare ha quindi sorvolato a bassa quota la città, prima di una nuova serie di potenti esplosioni.
Gheddafi minaccia: "Pronti a guerra lunga. Farete la fine di Hitler" * * * * IMG Il popolo libico "è pronto a una guerra lunga e gloriosa. Sarete sconfitti, senza dubbio. Ora tutto il popolo libico ha possibilità di impugnare le armi. Ogni uomo e donna potrà avere armi, missili, mitragliatrici, bombe. Tutto il popolo è armato. E se moriranno i nostri uomini, le nostre donne impugneranno le armi. Le abbiamo addestrate. Noi vinceremo". Muammar Gheddafi è tornato a minacciare l'occidente e, in un messaggio audio affidato alla televisione di stato, ha incitato anche il popolo di Bengasi, che è contro il regime, a impugnare le armi contro "i crociati". "Siete dei barbari, dei terroristi, dei mostri", "avete attaccato il civile popolo libico che non vi aveva fatto nulla", "Dio è con noi, il diavolo è con voi e il diavolo perderà", ha detto rivolgendosi a "italiani, francesi, britannici americani" che "vogliono solo il petrolio" e non lo otterranno. "Anche i vostri popoli sono con noi. Cadrete dalle vostre poltrone. Farete la fine di Hitler e Mussolini. Vi faranno cadere i vostri popoli. Questa è un'aggressione, ma noi vi sconfiggeremo", ha aggiunto. Gheddafi, che secondo alcuni organi di stampa tra cui il New York Times, sarebbe protetto da centinaia di civili che si sono offerti di fare da "scudi umani" al colonnello, aveva già detto ieri che avrebbe trasformato "il Mediterraneo in un campo di battaglia" e che sarebbero stati colpiti "obiettivi civili". Un discorso che giunge all'indomani dell'inizio dell'operazione 'Odissea all'alba'. Stamane i bombardamenti su Tripoli e Bengasi sono stati sospesi per qualche ora. Ma fonti della difesa francese hanno fatto sapere che gli aerei Rafale continuano a sorvolare il territorio libico e che le incursioni sono riprese. "Finora nessun aereo (italiano, ndr) ha partecipato ad azioni", ha precisato da parte sua il ministro della Difesa Ignazio La Russa. 20 marzo 2011
Bossi: "Era meglio più cautela" * * * * libia bombaramento box Bossi si dissocia dall'intervento in Libia. "Penso che la posizione più equilibrata sia quella della Germania. Era meglio essere più cauti. C'è il rischio che con i bombardamenti perdiamo il petrolio e il gas" "Berlusconi non l'ho ancora sentito, non so come l'hanno accolto a Parigi: il Consiglio dei ministri aveva però rallentato l'appoggio con una posizione cauta di non partecipazione diretta. Poi ci sono ministri che credono di essere più del premier e parlano a vanvera". Così ha Umberto Bossi ha parlato della posizione italiana nella crisi libica durante un convegno organizzato dal Carroccio nel Comasco. Bossi: "Lo prendiamo in quel posto..." "Il mondo è pieno di famosi democratici, li conosciamo, che sono abilissimi a fare i loro interessi". Ha sostenuto il leader leghista a un convegno a Erba, nel comasco. "Noi - ha obiettato con i suoi modi consueti che gli hanno dato tanta fortuna - siamo invece abilissimi a prenderlo in quel posto". "I famosi democratici, da Napoleone in poi li conosciamo", ha insistito il senatur. "Se io dovessi fare un accordo - ha spiegato - non lo farei con i francesi o con gli americani ma con un popolo amico come gli svizzeri, che parlano la nostra lingua". A suo giudizio, infatti, per l'Italia è troppo rischioso fare accordi "con Paesi troppo potenti". 19 marzo 2011 Vedi tutti gli articoli della sezione "Italia"
Nato - Libia, le forze del cielo * * * * caccia militari box In prima linea contro Gheddfi ci sono Gran Bretagna e Francia, i due paesi che più hanno spinto per la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza che istituisce la no-fly zone e autorizza a colpire obiettivi a terra. Interverranno anche altri paesi, verosimilmente anche l'Italia con i suoi cacciabombardieri. Le forze in campo saranno pressoché solo aeree. L'aviazione libica è in cattivo stato da quando sono cessati nel 1989 gli aiuti militari sovietici, e benché possa attaccare con relativa impunità le milizie ribelli non può tenere testa a quello che schiera la Nato. Di seguito le forze che potrebbero intervenire sui cieli della Libia in una scheda d'agenzia. FRANCIA Il paese più attivo nel lavoro diplomatico che ha portato alla risoluzione di giovedì è anche uno dei due, oltre agli Usa, che con la Libia si è già scontrato militarmente, nel conflitto in Chad durante gli anni Ottanta. Per pattugliare i cieli e colpire obiettivi a terra l'Armée de l'Air potrebbe utilizzare i collaudati Mirage e il suo modernissimo Rafale. La versione Mirage 2000, che sarebbe impiegata sia come pattugliatore sia come bombardiere, è quella che il fabbricante Dassault avrebbe voluto vendere a Gheddafi prima della crisi. Il Rafale, in servizio da pochi anni e mai esportato, potrebbe decollare anche operare dalla portaerei nucleare De Gaulle, attualmente in rada a Tolone ma in grado di raggiungere le coste libiche in pochi giorni. Le basi francesi utilizzabili sono Solenzara in Corsica e Istres sulla costa mediterranea. In entrambi casi sarebbero necessari rifornimenti in volo, per i quali la Francia dispone di aerocisterne Boeing KC-135. GRAN BRETAGNA I britannici dovrebbero invece rischierarsi a sud, probabilmente in Italia o nella base di Akrotiri a Cipro, per essere a portata della Libia. Userebbero il bombardiere Tornado, veterano dell'Iraq e della ex Yugoslavia, e il nuovo caccia europeo multiruolo Typhoon per il controllo dei cieli. Insieme alle aerocisterne, potrebbero essere schierati già nel fine settimana in Italia, forse insieme ai vetusti ma ancora efficaci quadrimotori da ricognizione e guerra elettronica Nimrod. Il governo di David Cameron voleva mandarli in pensione, ma la crisi libica ha posticipato la data del ritiro. Londra può schierare anche due fregate portaelicotteri, Cumberland e Westminster, al largo della Libia. GLI USA Attualmente gli Usa hanno nel Mediterraneo la portaerei nucleare Enterprise e numerose altre navi d'appoggio. Gli F-18 a bordo della portaerei sono in grado sia di far rispettare la no-fly zone che di attaccare ogni tipo di obiettivo a terra. Gli Stati Uniti hanno centinaia di aerei in Europa, schierati tra Aviano in Italia e basi in Germania e Gran Bretagna: ci sono cacciabombardieri F-15, F-16 e aerei anticarro A-10. Di produzione Usa ma con equipaggi di tutte le nazioni Nato invece sono gli aerei radar Boeing E-3 Awacs, indispensabili per coordinare le operazioni dall'aria. ITALIA Secondo il ministro della Difesa La Russa "l'Italia ha una forte capacità di neutralizzare i radar di ipotetici avversari". E questa potrebbe essere il primo impiego iniziale dell'aeronautica. Agirebbero i Tornado della versione speciale ECR, una quindicina di aerei di base a San Damiano vicino a Piacenza, equipaggiati con missili americani AGM-88 Harm che si dirigono verso le emissioni radar per distruggere i sistemi di guida senza i quali i missili antiaerei sono ciechi. I Tornado italiani hanno già compiuto queste azioni nel 1999 durante la campagna Nato contro la Serbia. Per il bombardamento potrebbero essere impiegati anche gli AV-8 Harrier della Marina, basati a Taranto ma impiegabili sulla portaerei Cavour. E da Grosseto e Gioia del Colle potrebbero decollare i caccia Typhoon, gli aerei più moderni dell'Aeronautica militare italiana. DANIMARCA E NORVEGIA Gli F-16 dei due paesi scandinavi partecipano da tempo alle operazioni Nato in Afghanistan, soprattutto con compiti di attacco al suolo. Il ministro della Difesa danese ha detto che quattro F-16 più due di riserva sono pronti a rischierarsi a sud. La Norvegia ha indicato una disponibilità simile. LEGA ARABA E ALTRI PAESI La Lega Araba è a favore della no-fly zone, ma finora nessun paese membro ha offerto aerei. Se si dovesse arrivare a quel punto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi dispongono dei più moderni cacciabombardieri americani ed europei (F-15 sauditi e F-16 degli Emirati). L'Egitto, che dispone di F-16 e Mirage 2000, finora ha indicato solo la disponibilità a fornire armi leggere ai ribelli. LIBIA Il regime di Gheddafi fa paura più per i missili antiaerei di cui dispone - una trentina di batterie secondo l'intelligence Usa - che per gli aerei, quasi tutti vecchi MiG sovietici in cattive condizioni. Le informazioni sono incerte, ma probabilmente ha alcune decine di MiG-23 degli anni Settanta che il colonnello ha impiegato contro i ribelli insieme ai Su-22. I MiG-21, degli anni Sessanta, sarebbero pochi. 18 marzo 2011
Libia, l’Italia contribuirà con basi, uomini e mezzi di Umberto De Giovannangeli | tutti gli articoli dell'autore * * * * frattini la russa Siamo in guerra. Nella "Coalizione dei volenterosi" o nella Nato. Comunque in guerra contro Muammar Gheddafi. L'Italia "parteciperà attivamente" all'attuazione della risoluzione delle Nazioni Unite sulla Libia e autorizza "l'uso delle sue basi e non solo". Così il titolare della Farnesina, Franco Frattini in Senato, riferendo alle Commissioni Esteri e Difesa dei due rami del Parlamento. Tra gli assetti messi a disposizione dell'Italia vi è la "forte capacità di neutralizzare radar e ipotetici avversari" in Libia "e su questo potrebbe esserci una nostra iniziativa: possiamointervenire in ogni modo", specifica, nel corso della stessa riunione, il ministro della Difesa, Ignazio La Russa. NON SOLO LE BASI Il Governo chiederà "l'autorizzazione " al Parlamento di "aderire alla coalizione di volenterosi" cui spetterà far rispettare la risoluzioneOnusulla Libia, annuncia il titolare della Difesa, sottolineando che l'Italia interverrà con gli altri Paesi disponibili e con le organizzazioni internazionali, "offrendo le basi, ma senza nessun limite restrittivo all'intervento, quando si ritenesse necessario per far rispettare la risoluzione Onu" e garantire la tutela dei cittadini. Un impegno fortemente sollecitato dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. "Nonè possibile restare indifferenti davanti alle attese di democrazia e di libertà che arrivano dall’altra sponda del Mediterraneo e quanto sia inaccettabile la sistematica repressione della libertà compiuta da Gheddafi", rimarca con forza il presidente della Repubblica parlando al Teatro Regio di Torino. "Se pensiamo a ciò che è stato il nostro Risorgimento, innanzitutto come movimento liberatore, nonpossiamo rimanere indifferenti rispetto alla sistematica repressione di fondamentali libertà e diritti". Parole scandite da un lungo applauso. Napolitano parla delle decisioni impegnative e difficili che l’Italia è chiamata a compiere per fermare i massacri in Libia. Decisioni che di lì a poco prenderanno corpo a Roma, a Palazzo Chigi e nei due rami del Parlamento. "Le nostre basi sono a disposizione nell'eventualità che serva intervenire a salvaguardia delle popolazioni civili. La nostra aeronautica è a disposizione per evitare che le popolazioni civili subiscano bombardamenti ", rimarca La Russa conversando con i cronisti dopo l'audizione a Palazzo Madama. L’Italia farà la sua parte: in basi, uomini e mezzi: almeno cinque navi, sette basi e cacciabombardieri in grado di distruggere le postazioni antiaeree quando scatterà la "no fly zone". Sono sette le basi aeree che l'Italia può mettere a disposizione in relazione alla situazione in Libia, specifica La Russa: Amendola, Gioia del Colle, Sigonella, Aviano, Trapani, Decimomannu e Pantelleria. "La risoluzione 1973 dell'Onu sulla Libia, per essere attuata, richiede l'Italia: comprendete bene che non potevamo neanche immaginare, davanti ad un consenso unanimedella Comunità internazionale, di non consentire che partisse questa missione dell'Onu", dice Frattini al Senato rispondendo a chi gli chiedeva della posizione di astensione della Germania. "Noi rispettiamo la decisione della Germania che ha detto "ci asteniamo e ovviamente comprendiamo le motivazioni di quelli che non si astengono", come ha riferito la cancelliera Merkel. La differenza con noi - spiega il titolare della Farnesina - è che senza la Germania questa missione si può realizzare, senza di noi no". Il capo della diplomazia italiana si mostra più che scettico sulla tenuta del cessate- il-fuoco annunciato dal regime libico: "Secondomeil cessate il fuoco non reggerà" e in Libia "ci saranno degli attacchi", si lascia andare Frattini. Anche per questo l’Italia hadeciso la chiusura della nostra Ambasciata a Tripoli:"Una misura coerente con l' attuazione della risoluzione dell'Onu", motiva il ministro, aggiungendo che l'Italia ha chiesto "alla Turchia, secondo le convenzioni internazionali, di curare gli interessi dell'Italia in territorio libico". La Turchia ha accettato la richiesta italiana. LA LEGA "TEDESCA" Ma non tutti, nella maggioranza, sono su queste posizioni. "La Lega Nord si sente vicina alla posizione della Germania per quanto riguarda il problema della Libia", aveva dichiarato all’apertura della giornata Umberto Bossi. Il Senatur frena - con il ministro leghista Roberto Calderoli che si astiene in Consiglio dei ministri - e i suoi parlamentari lo seguono, non partecipando sia al Senato che alla Camera al voto, in sede di commissioni unite Esteri e Difesa, sul via libera al Governo per l'attuazione della risoluzione Onu sulla Libia (l’Idv si è astenuta). "Rispettiamo questa posizione, la comprendiamo, l'abbiamo vista anche sull'Afghanistan: la Lega alla fine mantiene una lealtà assoluta alle azioni del Governo", prova a minimizzare Frattini. "Senonci fosse stata la presenza dei parlamentari di opposizione, nelle Commissioni Esteri e Difesa della Camera la maggioranza non avrebbe avuto i voti necessari a votare sulla risoluzione dell'Onu per la Libia", commenta la vice presidente dei deputati Pd, Rosa Calipari, che stigmatizza "l’assenza della Lega". 19 marzo 2011
Una sfida difficile di Pino Arlacchi di Pino Arlacchi | tutti gli articoli dell'autore * * * * libia bombaramento box L’Europa col vertice di ieri a Parigi si è assunta per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, in piena autonomia dagli Stati Uniti, la responsabilità politica di un intervento militare all’estero. Un dato che la contrarietà tedesca non basta a scalfire. Il consenso è stato molto ampio e il coinvolgimento del nostro Paese, dopo tante esitazioni e incertezze, ne è una conferma. Bisogna sostenere con convinzione questa iniziativa che cancella di colpo le esitazioni europee verso i processi di cambiamento in Nord Africa, ma è anche opportuno fin d’ora riflettere con lucidità sui rischi e sui vantaggi. Va rilevato, intanto, che c’è una chiara intenzione della Francia di prendere la leadership dell’operazione, sia sul piano politico, sia su quello militare. Sono stati i francesi a volere e a ottenere una risoluzione dell’Onu ad ampio raggio che dà il mandato di stabilire una no fly zone senza specificare che tipo di intervento si vuole attuare (e mette solo un caveat sull’attacco via terra). È evidente che interpreteranno questa no fly zone come un’autorizzazione a un largo uso della forza aerea contro ogni tentativo di Gheddafi di recuperare il suo dominio sul paese. La Francia, insomma, vuole fare in Libia ciò che gli americani non sono riusciti a fare nè in Iraq, nè in Afghanistan: sbarazzarsi rapidamente di una tirannia riducendo al minimo il costo di vite umane, favorire l’instaurazione di un governo democratico col quale collaborare nella fase di transizione. E farsi sostenere in questo tentativo dagli europei, dagli americani e dalla Lega araba. Ma, soprattutto, dai paesi della Lega araba che hanno la maggior forza aerea: gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita. La loro aviazione è ragguardevole e sarebbe stata capace anche da sola, senza intervento occidentale, di rendere effettiva la no fly zone. Come, d’altra parte, alcuni osservatori hanno fatto subito notare. Tutti dobbiamo sperare che il tentativo di sbarazzarci di Gheddafi vada in porto. Ma, quanto a questo primo scenario, va detto che i precedenti non sono incoraggianti. Le no fly zone senza un intervento di terra non bastano. Non hanno funzionato mai da sole: nè in Bosnia, nè in Iraq dove, dodici anni dopo l’istituzione della no fly zone, Saddam era ancora lì. La forza e la capacità militare dei ribelli saranno determinanti e, allo stato, nessuno è in grado di valutarne con precisione l’entità. E ciò vale anche per la forza militare e il consenso di Gheddafi. Esistono altri due scenari oltre a quello sperato. C’è la possibilità che Gheddafi non riprenda il controllo del paese ma riesca a "barricarsi" a Tripoli e dintorni. È lo scenario dello stallo. Una situazione che il rais non potrebbe sostenere a lungo e che lo obbligherebbe a trattare. In questo caso, per evitare una guerra sanguinosa e lunghissima, sarebbe opportuno dargli una via di fuga attenuando le conseguenze della prima risoluzione Onu, quella che invita la Corte penale internazionale a metterlo sotto accusa per crimini contro l’umanità. La via di fuga, evidentemente, non servirebbe ad "assolverlo" dai suoi crimini, ma a evitare che ne compia altri ancora più atroci. Il terzo scenario, il peggiore di tutti, è quello di un numero molto alto di vittime civili determinato dal tentativo di distruggere difese aeree e armamenti collocati in zone urbane.Lo stesso Gheddafi l’ha fatto in qualche modo intravedere quando ieri ha parlato di civili che "si sono offerti" come scudi umani. Ma, anche lasciando da parte la tattica del rais, il rischio è strutturale. Qualunque scontro in Libia, per la natura del territorio, va a compiersi in zona urbane. È, in definitiva, il rischio di una vera e propria guerra civile, di una lacerazione del paese con distruzioni materiali e perdite umane su vasta scala. Dobbiamo sperare tutti che chi ha pianificato l’intervento abbia ben calcolato tutte queste possibilità e che vengano fatti valere i principi di moderazione e di rispetto per le vite umane coerenti con gli obiettivi dell’impresa e con le norme del diritto internazionale. 20 marzo 2011
Libia, le basi italiane coinvolte * * * * aerei militari italiani box Di seguito, le forze militari italiani schierate al momento, la sera di sabato 19 marzo, sulla crisi libica così come le descrivono vari dispacci. Secondo il ministro degli Esteri Franco Frattini "l'Italia ha raggiunto l'obiettivo di spostare la base di coordinamento a Capodichino. Lì si deciderà dove e quando colpire la Libia". Lo ha dichiarato nel pomeriggio. L'Apcom, in un filmato, riporta che gli abitanti di Capodichino non gradiscono. "Gli equipaggi sono pronti a decollare verso la Libia qualora fosse necessario". Lo ha detto il colonnello Mauro Gabetta, comandante del 37esimo Stormo dell'Aeronautica Militare di stanza all'aeroporto di Trapani Birgi. "Affronteremo questa notte - ha aggiunto - con la tensione di un momento particolare, ma con la consapevolezza di essere pronti a portare a termine il nostro compito". "Stiamo predisponendo - ha detto - gli assetti necessari a disposizione dell'Aeronautica Militare. Siamo a questo punto in una fase di crescita di questo sistema difensivo". In caso di necessità i voli civili dall'aeroporto trapanese verranno sospesi. Sono schierati nella base trapanese i caccia Tornado Ecr di Piacenza, specializzati nella distruzione delle difese missilistiche e radar, i Tornado Ids di Ghedi (Brescia), con capacità di attacco, gli Eurofighter di stanza a Grosseto insieme ai caccia F-16, aerei radar Awacs della Nato e aerei per il rifornimento in volo. In Sardegna, la base aerea di Decimomannu a 25 chilometri da Cagliari deve accogliere velivoli spagnoli e canadesi. La portaerei italiana Garibaldi è al largo delle coste siciliane e, in attesa di nuovi ordini, continua a svolgere attività di addestramento. Nelle acque internazionali al confine tra Italia e Libia c'è il cacciatorpediniere Andrea Doria che, partito sempre dalla base di Taranto all'inizio di marzo, svolge funzioni antimissilistiche e costituisce una piattaforma avanzata per la difesa aerea italiana. Dall`inizio della crisi libica altre due unità navali italiane sono impiegate nel pattugliamento delle coste a Nord della Libia. Si tratta della fregata Euro e del rifornitore di squadra Etna. Le due navi fanno parte dell`operazione "Active endeavour" della Nato. Complessivamente dalla base di Taranto, nelle ultime due settimane, sono partiti in missione più di 1500 marinai. 19 marzo 2011 Vedi tutti gli articoli della sezione "Italia"
Bengasi, odore di morte e voglia di resistere di Gabriele Del Grande | tutti gli articoli dell'autore * * * * bengasi Il prossimo da portare via è Mohamed Said Mahdi. L'hanno appena lavato. Il corpo è avvolto in un lenzuolo bianco dalla vita in giù. I capelli sono ancora bagnati. Un infermiere gli passa con cura un batuffolo di cotone inumidito sul volto. L'occhio sinistro non c'è più. Gli hanno sparato in faccia. E un altro colpo sul fianco, al cuore. Aveva 24 anni ed è la vittima numero 70 di oggi. La guerra è arrivata a Bengasi. E l'ospedale Jala è il miglior punto d'osservazione per capire quello che sta succedendo alle porte della città. La camera mortuaria è affollatissima. Arrivano i parenti a riconoscere i propri morti, i ragazzi della piazza a farsi coraggio e i venti giornalisti rimasti in città a filmare la scena del massacro. Gli infermieri sono pochissimi. La maggior parte sono volontari, gente comune venuta a dare una mano. GUANTI INTRISI DI SANGUE Ahmed El Fituri è uno di loro. Ha 33 anni e indossa un camice azzurro sopra la mimetica. I guanti di lattice sono sporchi di sangue. Ha appena finito di sistemare la salma di Hussein Salah El Barasi nella sacca da morto. L'esplosione di una granata gli ha distrutto completamente la faccia. Era un volontario della città di Beida. Faccio fatica a sopportare la vista di questa carneficina. Ma qualcuno bisogna pure che veda e che racconti. E allora dico a El Fituri che sì, che apra pure la cerniera dei quattro sacchi verdi. Sono i ragazzi bruciati vivi dai missili Rpg e dai Katiusha sparati questa mattina dai lanciarazzi delle milizie di Gheddafi. Sono carbonizzati. Potrebbero essere scambiati per un tronco d'albero. Irriconoscibili. A fianco c'è una cassa di legno di un metro, piene di cenere. Dice Fituri che è quello che resta di altri due martiri. Nessuno conosce il loro nome. Improvvisamente mi rendo conto di quanto è forte l'odore di morte che si respira qua dentro. Molti volontari hanno le mascherine. Fituri apre le celle frigorifero e mi mostra altri due corpi. Questi però sono dei mercenari di Gheddafi. In totale oggi ne hanno portati qui all'ospedale 12. Sono sia libici che stranieri, addosso non gli hanno trovato documenti, dalla faccia si direbbero dell'Africa occidentale, ma nessuno può dirlo con certezza. Alcuni hanno un completo militare, altri portano vestiti normali, jeans e maglietta. Sette di loro sono buttati a terra dietro una grata, con un foglio bianco addosso su cui c'è scritto "identità sconosciuta". Mentre gli scatto una foto, improvvisamente fuori qualcuno si mette a sparare all'impazzata. È una raffica di colpi. Non faccio in tempo a capire cosa stia succedendo, che sento una mano sulla spalla. È Fituri, l'infermiere, che mi dice di stare tranquillo, che non c'è nessun pericolo, il nemico è lontano, sono spari in aria. Sparano per rendere onore a Abdallah Abdel Hakim Gergir. È avvolto in un lenzuolo bianco dentro una cassa aperta di legno. I parenti l'hanno appena caricata sul pickup. Aveva 26 anni, il funerale è fissato per domani. Mentre la macchina lo porta via, la folla lo accompagna gridando a pieni polmoni: "Allahu akbar! la ilaha illa Allah!". Dio è grande, e non c'è altro dio all'infuori di Allah! Appoggiato alla ringhiera all'ingresso dell'ospedale, un ragazzo singhiozza e porta le mani al viso per asciugarsi le lacrime. Chi passa lo consola. Le milizie di Gheddafi non si erano mai spinte così vicino alla città. Ma la voce di un attacco imminente girava già da ieri sera. In piazza parlavano tutti di tre aerei militari atterrati a Sebha con centinaia di mercenari destinati a raggirare il fronte di Ijdabiya, occupare Qimenes, e da lì puntare alla periferia di Bengasi. L'attacco è cominciato all'alba. Hanno sparato all'impazzata fino a mezzogiorno, usando l'artiglieria pesante, soprattutto lanciarazzi e carri armati. Di aerei non se ne sono visti invece. Gli unici due che si sono levati in volo erano aerei dell'armata rivoluzionaria. Uno è esploso in volo per un problema al motore. E l'altro è stato abbattuto per errore dal fuoco amico. Quando siamo usciti, verso le nove, per andarlo a fotografare, siamo stati costretti a scappare a gambe levate e a tornare in albergo. Perché per strada si sparava. E nelle retrovie i ragazzi si preparavano alla guerriglia urbana accatastando in mezzo alla strada rottami e cassonetti per creare delle improvvisate barricate dietro cui trincerarsi. Intorno alle dodici e trenta le sparatorie sono cessate e abbiamo cominciato a sentire strombazzare i clacson dei ragazzi che annunciavano la fuga dei miliziani di Gheddafi, che però avrebbero ripiegato a non più di 20 chilometri dalla città, pronti a colpire di nuovo stanotte o al più tardi domani mattina. Cinquanta prigionieri Resta un mistero invece che fine abbiano fatto i prigionieri. Sembra infatti che i ragazzi della rivoluzione siano riusciti a catturare una cinquantina di uomini delle forze di Gheddafi. Ma è un giallo sul loro destino. E alcuni dicono che siano stati ammazzati tutti, sul campo. E parlano di un ordine in tal senso, che sarebbe la risposta al massacro avvenuto stanotte a Ijdabiya. Di nuovo sono informazioni difficili da verificare e che prendiamo con le molle. Ma in giro si vocifera di centinaia di morti a Ijdabiya, dove stanotte le forze di Gheddafi avrebbero preso il controllo di un quartiere della città e passato sotto le armi uno per uno tutti gli abitanti. Verificarlo è impossibile. I telefonini non funzionano da tre giorni e internet è fuori uso da un mese. E anche uscire in città per indagare diventa sempre più pericoloso. Oggi per la prima volta ce lo hanno sconsigliato anche i ragazzi in armi, dicono che col clima che c'è in giro nessuno esclude che i vecchi miliziani di Gheddafi rimasti segretamente in città oppure entrati senza fare rumore negli ultimi giorni, potrebbero entrare in azione con operazioni mirate, anche contro i giornalisti. E intanto oggi, dopo l'assassinio dell'inviato di Al Jazeera, è stata la volta di Mohammed Nabbous, ucciso al fronte da un cecchino. Era l'inviato della prima tv libica libera, Al Hurra, che aveva iniziato a trasmettere da Bengasi dopo la rivoluzione del 17 febbraio. 20 marzo 2011
Libia, 94 i morti nell'offensiva del Raìs su Bengasi * * * * morti, bengasi1 È salito a 94 il numero dei morti nell'offensiva su Bengasi lanciata venerdì dalle forze di Muammar Gheddafi. Lo hanno riferito fonti mediche della roccaforte dei ribelli libici. A questi vanno aggiunto almeno nove uomini del Colonnello, i cui cadaveri sono stati recuperati dagli insorti. 20 marzo 2011
2011-03-19 Libia, è la guerra. Gheddafi: "Reagiremo" * * * * Fuga da Bengasi: VIDEO Aereo dei ribelli abbattuto: VIDEO LE BASI ITALIANE COINVOLTE BOSSI: LO PRENDIAMO IN... L'ULTIMATUM DI IERI: LA CRONACA L'ULTIMATUM, BENGASI ESULTA: VIDEO LA DIRETTA DI OGGI 19 MARZO
COLPITE CONTRAEREA E DEPOSITI DELLE FORZE DI GHEDDAFI I 110, o 112, missili da crociera Tomahawk lanciati sulla Libia avrebbero colpito una ventina di obiettivi militari: batterie contraeree e depositi di carburante. Colpite, secondo fonti riferite dall'Ansa, postazioni di contraerea presso Tripoli. GHEDDAFI SOLO IN AUDIO E NON COMPARE IN TV Gheddafi ha parlato tramite un audio registrato diffuso dalla tv di Stato. Il leader libico non appare in video da 48 ore e non si sa dove si nasconda. UCCISO NABBOUS VOCE LIBERA DA BENGASI Ucciso oggi dai lealisti di Muammar Gheddafi a Bengasi Mohammad Nabbous -conosciuto come "Mo", il volto del "citizen journalism" in Libia fin dai primi giorni della rivolta nella città della Cirenaica. Per i giornalisti stranieri era diventato una delle fonti più affidabili. Aveva fondato il canale internet al-Hurra Tv Libia, che cominciò le trasmissioni il 17 febbraio. AEREI GB E FRANCESI COORDINATI DAGLI USA IN GERMANIA I bombardamenti dei jet britannici e francesi contro le truppe di Muammar Gheddafi in Libia sono coordinati dal quartier generale Usa in Europa che ha sede a Stoccarda in Germania. Lo riferisce alle agenzie un ufficiale delle forze armate francesi dietro condizione di anonimato. AL JAZEERA: ARRESTATI QUATTRO NOSTRI GIORNALISTI Quattro giornalisti di al Jazeera sono stati arrestati dalle forze di sicurezza libica nella Tripolitania, la parte occidentale del Paese. Lo riferisce la stessa rete del Qatar specificando che sono un britannico, un norvegese, un tunisino e un mauritano. TESTIMONI ALL'ANSA BOMBARDAMENTI LONTANI DA BASE DI GHEDDAFI I bombardamenti su Tripoli non sono stati uditi nei pressi del compound militare della capitale dove risiederebbe Muammar Gheddafi. Lo hanno detto all'Ansa testimoni sul posto. GHEDDAFI: LIBICI ARMATEVI PER LA RIVOLUZIONE Il Raìs ai libici: armatevi per la "rivoluzione". Lo riferisce la Bbc su suo sito online GHEDDAFI: IL POPOLO LIBICO RESISTERA' CONTRO I CROCIATI Muhammar Gheddafi ha minacciato di attaccare obiettivi civili e militari nel mediterraneo come rappresaglia "all'aggressione dei crociati". Il Raìs ha sostenuto che gli interessi dei Paesi del Mediterraneo e del Nordafrica saranno da ora in pericolo, ha insisito che il popolo libico resisterà all'aggressione "coloniale dei crociati". Ha poi chiesto aiuto agli africani, agli arabi, ai sudamericani e agli asiatici di sostenere il popolo libico contro il nemico. GHEDDAFI: MEDITERRANEO CAMPO DI BATTAGLIA MINACCIA OBIETTIVI MILITARI E CIVILI Gheddafi parla in tv. Minaccia di attaccare "obiettivi civili e militari". Il Mediterrano si è trasformato in "un campo di battaglia" è il suo primo commento trasmesso dalla tv di Stato libica. Il Colonnello ha anche annunciato che "i depositi di armi sono stati aperti" per consentire al popolo di difendere la Libia. E minaccia di attaccare "obiettivi civili e militari". AL JAZEERA: COLPITA BASE DI MITIGA I jet della coalizione internazionale hanno bombardato la base aerea di Mitiga, subito fuori il centro di Tripoli, che opera principalmente per i voli civili dei alti quadri della classe dirigente libica. Lo riferisce Al Jazeera. FRANCIA SMENTISCE AEREO ABBATTUTO La Francia smentisce l'abbattimento di un suo caccia. 112 I MISSILI PUNTATI A CONTRAEREA I missili lanciati da navi sarebbero 112. Hanno mirato a basi contraeree e postazioni pro Gheddafi. GHEDDAFI PARLERA' IN TV TRA POCO Gheddafi dovrebbe parlare in tv tra poco. L'ANSA: SOSTENITORI DI GHEDDAFI NEGLI OBIETTIVI MILITARI Migliaia di sostenitori di Muammar Gheddafi si sono radunati "spontaneamente" a Tripoli attorno agli obiettivi militari. Lo scrive l'agenzia Ansa. Quanto sia spontanea questa reazione è impossibile verificare. MEDIA LIBICI: BOMBARDATA SIRTE, CITTA' DI GHEDDAFI Media ufficiali libici hanno detto che è stata bombardata Sirte, città natale di Gheddafi. Le agenzie non chiariscono al momento, le 22.18, di quali media si tratti. AL JAZEERA: BOMBARDATA ACCADEMIA MILITARE DI GHEDDAFI La tv satellitare Al Jazeera ha detto che le forze della coalizione hanno bombardato un'accademia militare vicino alla città libica di Misurata dove si trovano i fedelissimi di Gheddafi. AL JAZIRA: INSORTI IN CONTATTO CON COALIZIONE Il consiglio di transizione libico è in contatto con la coalizione internazionale che oggi ha lanciato raid aerei contro le aree dove sono presenti le forze di Gheddafi. Lo riferisce al Jazira. PARLAMENTO LIBICO: VITTIME DA UN'AGGRESSIONE BARBARA Il segretario generale del Parlamento libico Mohamed al Zawi ha definito "un'aggressione barbara" l'attacco della coalizione e ha parlato di numerose vittime. Lo riferisce la tv satellitare al Jazira. TV LIBICA: ABBATTUTO CACCIA FRANCESE Un aereo da caccia francese sarebbe stato abbattutto in Libia. Lo dice la tv di stato libica. OBAMA: HO AUTORIZZATO LIMITATA AZIONE MILITARE "Oggi", ha detto Obama, "ho autorizzato le forze armate degli Stati Uniti a cominciare una limitata azione militare in Libia". Il presidente degli Stati Uniti è in Brasile in visita ufficiale. TV LIBICA: COLPITI CAMION A MISURATA Le bombe della coalizione occidentale hanno colpito camion-cisterna a Misurata, oggi in mano ai ribelli, 210 km da Tripoli. Questo è quanto afferma la tv libica. DIFESA: AEREI ITALIANI NON IN VOLO Al momento, le 21.32 di sabato, non sono in volo aerei italiani in relazione alle operazioni militari sulla Libia. Lo hanno detto all'Ansa fonti della Difesa. LONDRA E WASHINGTON: COLPITE 20 POSTAZIONI Londra e Washington: colpiti 20 postazioni libiche con i missili lanciati dalle navi. L'ATTACCO: "ODISSEA ALL'ALBA" L'attacco si chiama "Odissea all'alba". ITALIA IN AZIONE, DIFESA SMENTISCE Anche l'Italia starebbe intervenendo. La Difesa non conferma e anzi smentisce ma più fonti parlano di aerei italiani militari in volo. MISSILI BRITANNICI: LONDRA CONFERMA Sottomarini britannici della classe Trafalgar hanno lanciato missili Tomahawks contro obiettivi in Libia. Lo ha riferito il ministero britannico della difesa. PENTAGONO: MISSILI CONTRO SISTEMI DI DIFESA Le forze statunitensi hanno colpito delle batterie antiaeree libiche con missili da crociera "Tomahawk", per creare una zona di interdizione al volo prevista dalla risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu: lo hanno annunciato fonti del Pentagono. "La maggior parte dei primi bersagli previsti si trovano sulla costa perchè lì si trovano i sistemi" di difesa aerea, hanno spiegato le fonti precisando che gli obbiettivi si trovano nelle zone di Misurata e di Tripoli. Sia i due incrociatori che i tre sommergibili statunitensi attualmente nella zona hanno missili da crociera. 110 MISSILI USA E BRITANNICI Gli Usa e la Gran Bretagna hanno lanciato almeno 110 missili su obiettivi libici. Lo riferiscono agenzie di stampa. TRIPOLI USA SCUDI UMANI Bambini e oppositori incarcerati usati come scudi umani a Tripoli: lo denuncia il Democratic Libya Information Bureau, con sede a Londra, sulla base di informazioni raccolte nella capitale libica. In precedenza, testimoni avevano detto all'Ansa che migliaia di persone presidiano gli obiettivi militari nella capitale. Fonti del governo affermano che si tratta di una manifestazione spontanea. USA: COLPIREMO OBIETTIVI LIBICI Una nave da guerra Usa ha lanciato missili da crociera contro obiettivi libici. Lo riferisce la Cn citando funzionari del Pentagono. Gli Stati Uniti: colpiremo obiettivi della difesa aerea. CAMERON: FORZE BRITANNICHE SONO IN AZIONE Forze britanniche sono in azione sulla Libia all'interno delle operazioni previste dalla risoluzione Onu. Lo ha riferito il primo ministro britannico, David Cameron. MISSILI CRUISE LANCIATI SULLA LIBIA Missili Cruise sono stati lanciati da navi Usa nel Mediterraneo. I missili cruise (da crociera), di tipo Tomahawk, vengono lanciati da navi da guerra statunitensi. TV DI STATO LIBICA "NEMICI CROCIATI" COLPISCONO CIVILI Lo sostiene la tv di Gheddafi. La tv di Stato libica ha riferito che obiettivi civili sono stati bersaglio di bombardamenti aerei messi in atto dai "nemici crociati". IN AZIONE GLI USA E LA GRAN BRETAGNA Le agenzie battono due notizie: le forze britanniche e quelle statunitense sono entrate in azione. JUPPE': GLI USA INTERVERRANNO PRESTO Gli Stati Uniti parteciperanno "pienamente" alle operazioni militari in Libia per l'applicazione della risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu: lo ha affermato il ministro degli Esteri francese Alain Juppé. Secondo il ministro il contributo statunitense si sentirà "nelle ore e i giorni che verranno". LA DIFESA FRANCESE: ABBIAMO BOMBARDATO QUATTRO VOLTE I caccia francesi hanno bombardato quattro volte il territorio della Libia, distruggendo numerosi blindati del regime di Muhammar Gheddafi. E' quanto riferisce il ministero della Difesa di Parigi. INSORTI: ALMENO 40 UCCISI DA FORZE GHEDDAFI A BENGASI Almeno 40 persone sono morte nell'attacco delle forze di Gheddafi stamani a Bengasi. Lo ha detto all'agenzia Ansa Mustafa Gheriani, portavoce del Media Committee del Consiglio transitorio libico. Si tratta del bilancio stimato alle 11.30 di oggi, prima che lasciasse Bengasi per Tobruk. RUSSIA CONTRO INTERVENTO MILITARE La Russia ha deplorato l'intervento militare in Libia. Il ministero della Difesa ha definito la risoluzione Onu - sulla quale Mosca si è astenuta senza però esercitare il proprio diritto di veto - "adottata in modo affrettato. Restiamo convinti che per dare una soluzione stabile al conflitto interno libico si debba rapidamente mettere fine al versamento di sangue e i libici debbano riprendere il dialogo". UNA VENTINA GLI AEREI FRANCESI ENTRATI IN AZIONE Una ventina gli aerei francesi entrati oggi in azione. DIFESA FRANCESE: DISTRUTTI DIVERSI BLINDATI Un funzionario della Difesa francese ha invece detto che l'aviazione francese ha distrutto in Libia "alcuni carri armati e veicoli blindati". Il ministero ha confermato di aver distrutto diversi mezzi blindati senza specificare. AL JAZEERA: COLPITI QUATTRO CARRI ARMATI Sono quattro carri armati i mezzi libici colpiti nel primo raid aereo sferrato oggi dai caccia francesi sulla Libia. Lo riferisce al Jazira con una scritta in sovraimpressione. FORZE GHEDDAFI ATTACCANO MISURATA La città di Misurata, a est di Tripoli, è sotto il fuoco di artiglieria delle forze pro-Gheddafi. Lo ha riferito alla Cnn un testimone sul posto. CLINTON: DA USA SUPPORTO A COALIZIONE Come ha dichiarato da Parigi il segretario di stato Hillary Clinton, l'obiettivo degli Stati Uniti è "offrire supporto alla coalizione internazionale perché venga rispettata la risoluzione dell'Onu". I nuovi perni della politica estera americana sono il primato delle Nazioni Unite e la risposta concordata tra tutti gli attori internazionali. Anche e soprattutto al di fuori della Nato, come accade con la partecipazione degli arabi, una presenza che Hillary Clinton ha definito oggi "cruciale". NAPOLITANO: PACE, IMPEGNO DURO MA NECESSARIO L'intervento in Libia è un impegno duro ma è per la libertà e i diritti. "Andare a portare aiuto non rimanendo indifferenti alle sofferenze e alle repressioni, e sappiamo di cosa parlo, è un impegno che può apparire duro, ma è un impegno per la pace, per la solidarietà, i diritti, e la libertà dei popoli". Lo ha detto il presidente Giorgio Napolitano al Sermig di Torino dove ha ricevuto il premio 'Artigiano della pace'. "La pace è un obiettivo difficile" ha detto il Presidente Napolitano. "In Europa l'abbiamo costruita e consolidata, ma non è così nel resto del mondo. Oggi servire la pace significa anche trovare il modo per andare incontro alle popolazioni perseguitate, andare a portare aiuto non rimanendo indifferenti alle sofferenze e alle repressioni". LA CNN: DISTRUTTO UN CARRO ARMATO Il primo obiettivo distrutto dal fuoco degli aerei francesi, alle 17.45 di oggi in Libia, è "un veicolo militare". Il portavoce dello stato maggiore francese, colonnello Thierry Burckhard, ha precisato che l'obiettivo è stato "neutralizzato", senza specificare di che mezzo si tratti. Secondo la Cnn sarebbe un carro armato. E' il primo attacco della coalizione in Libia per far rispettare la risoluzione 1973 dell'Onu. LA FRANCIA: NOSTRO CACCIA COLPISCE MEZZO MILITARE LIBICO Il ministero della difesa francese ha annunciato che un caccia Rafale ha aperto per la prima volta il fuoco contro un veicolo militare libico in una zona a 150 chilometri da Bengasi. GHEDDAFI: NON SI E' PARLATO DEL DOPO GHEDDAFI Nella riunione di Parigi "non si è arrivati a parlare" di un esilio di Gheddafi, perché è stata messa in primo piano la questione della "salvaguardia delle popolazioni civili". Lo ha detto Berlusconi, durante una conferenza stampa al termine del vertice all'Eliseo. BERLUSCONI: NOI DISPONIBILI MA PER NO FLY ZONE ALTRI PAESI SUFFICIENTI "Noi abbiamo detto di essere disponibili - ha spiegato il premier - sulla base delle esigenze, ma non credo che ci saranno esigenze particolari al riguardo perché anzitutto si deve mettere in atto il rispetto della no fly zone e quindi io credo che i mezzi della Francia, della Gran Bretagna e gli altri Paesi hanno messo a disposizione" possano essere sufficienti. "Noi - ha ribadito Berlusconi - saremmo a disposizione ove si rivelasse la necessità di un nostro impegno". BERLUSCONI: SPERO GHEDDAFI CI RIPENSI Berlusconi auspica un "ripensamento" di Gheddafi che consenta all'Italia di evitare di entrare direttamente nel conflitto. In una conferenza stampa al termine del vertice di Parigi, il premier ha detto che "noi abbiamo ancora la speranza, visto questo schieramento globale della comunità internazionale e non soltanto della comunità occidentale ma anche dei Paesi arabi, che ci possa essere un ripensamento da parte del regime libico e che lo stesso regime possa ritenere di sua convenienza porre fine alle attività di contrasto alle popolazioni civili". SARKOZY: VIA LIBERA ALL'ATTACCO CONTRO GHEDDAFI A BENGASI Sarkozy ha annunciato, dopo il vertice di Parigi tra Onu, Usa, Ue e Lega araba, il via libera all'attacco aereo contro le forze leali a Gheddafi a Bengasi. Le operazioni militari, ha annunciato il premier belga Yves Leterme, inizieranno nelle prossime ore. I paesi che hanno partecipato al vertice di Parigi hanno deciso "di assicurare l'attuazione della risoluzione Onu", ha affermato il presidente francese. l Qatar e diversi paesi europei hanno confermato oggi al vertice la loro partecipazione militare all'intervento. BERLUSCONI, PER ORA SOLO BASI, NAPOLI COME COORDINAMENTO Berlusconi alle agenzie: per ora diamo solo basi, se servono poi i raid. E dichiara di aver proposto la base di Napoli come centro di coordinamento delle azioni. DI PIETRO: VOTEREMO SI' ALLA RISOLUZIONE ONU Antonio di Pietro prende posizione: "L'Italia dei valori non si tirerà indietro per impedire a Gheddafi di massacrare il suo popolo. Ci impegniamo a dare il nostro apporto in Parlamento quando la settimana prossima si voteranno i contenuti della risoluzione dell'Onu". CAMERON: PASSARE ORA ALL'AZIONE, E' URGENTE "È giunto il momento di passare all'azione in Libia": lo ha affermato il premier britannico David Cameron, intervistato dalla Bbc al termine del vertice internazionale di Parigi sulla crisi libica. "È Gheddafi che lo ha voluto: ha mentito alla comunità internazionale, ha promesso e poi violato il cessate il fuoco; continua a colpire il proprio popolo, ed è ora di passare all'azione, è urgente". NAPOLITANO: BENE L'INTESA AL SUMMIT DI PARIGI "Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è stato informato telefonicamente dal presidente del Consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi, dell'andamento e dell'esito della riunione di Parigi. Il capo dello Stato si è compiaciuto dell'importante intesa raggiunta, per il contributo dato e per l'impegno assunto dall'Italia". Lo comunica una nota del Quirinale. BERLUSCONI: MISSILI LIBICI NON SONO PERICOLO PER L'ITALIA Il premier ha affermato che i missili libici non sono un pericolo per l'Italia. Le forze armate assicurano che non hanno una gittata sufficiente a colpire la nostra penisola. SARKOZY: I CACCIA FRANCESI STANNO GIA' FERMANDO GHEDDAFI L'intervento militare alleato in Libia è sostanzialmente già iniziato. Lo ha di fatto confermato alla fine del summit di Parigi il presidente francese Sarkozy affermando che i caccia francesi stanno già impedendo gli attacchi aerei di Gheddafi contro Bengasi e che l'aviazione è pronta a colpire i carriarmati del rais che assediano la città. I caccia Rafale transalpini già volanoo sulla Libia da ore senza incontrare ostacoli. Gheddafi ha "ancora tempo di evitare il peggio", ovvero un'offensiva militare - ha aggiunto Sarkozy - se "rispetterà senza ritardo e senza riserve" la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu". IL BELGIO: ATTACCO NELLE PROSSIME ORE Il Belgio avvisa: l'attacco avverrà nelle prossime ore. Il Canada parteciperà ma puntualizza: ci vorranno due giorni per preparare i loro aerei. FUGA DA BENGASI DOPO L'ATTACCO DI GHEDDAFI A Bengasi dopo il primo bombardamento degli aerei di Gheddafi su Bengasi è cominciata la fuga di migliaia di residenti terrorizzati dai raid. Adulti e bambini si ammassano su automobili, fuoristrada, minibus e lasciano alle loro spalle negozi distrutti e strade deserte. L'obiettivo di molti è raggiungere Al-Baida, 100 chilometri a est di Bengasi L'ITALIA PREPARA I SUOI CACCIA Sono stati rischierati a Trapani i caccia Tornado dell'Aeronautica militare che potrebbero essere impiegati sulla Libia. Sono i Tornado Ecr (da Piacenza) specializzati nel distruggere le difese missilistiche e radar, e dei Tornado Ids di Ghedi (Brescia), progettati per attaccare. Schierati nella stessa base anche i caccia Eurofighter di stanza a Grosseto. Nella base di Trapani ci sono i caccia F-16, aerei radar Awacs della Nato e velivoli per il rifornimento in volo. SEI CACCIA DANESI A SIGONELLA Sei F-16 danesi sono atterrati alla base aerea di Sigonella. Rientrano nell'operazione militare messa in moto dalla risoluzione Onu sulla crisi libica. La Danimarca è tra i paesi disponibili all'intervento. I CACCIA FRANCESI SU BENGASI E TUTTA LA LIBIA Un altro dispaccio parla di numerosi caccia francesi del modello Rafale francesi che stanno sorvolando Bengasi e l'intero territorio libico in ricognizione. JET FRANCESI SU BENGASI L'operazione internazionale è iniziata. Dei caccia francesi Dassult Rafale sorvolano il territorio libico. Lo dicono fonti militari. Sono sui cieli di Bengasi per ostacolare i movimenti delle truppe del Colonnello Muammar Gheddafi. Lo confermano fonti militari di Parigi citate dalla France Presse. GINO STRADA: SONO CONTRO L'INTERVENTO MILITARE, E' GUERRA Gino Strada, fondatore di Emergency, si schiera contro l'intervento militare. "Io sono contro la guerra. Lo dico da lustri e continuo a essere contro la guerra", ha detto a Radio Capital. L'Onu interverrà per fermare gli attacchi di Gheddafi contro i civili, gli ha ribattuto l'emittente. "E perché? Chi li fermerà mirerà dritto a Gheddafi?". L'intento è quello di colpire le basi militari. "Probabilmente anche nell'intento di Gheddafi - ha risposto Strada - non si vogliono colpire i civili. Ma non è questo il problema. Il problema è il ricorso allo strumento guerra. Io sono contrario alla guerra per tante ragioni, una delle quali è che sono italiano e ho una Costituzione che ripudia la guerra". AL JAZEERA, 26 MORTI E 40 FERITI DOPO SCONTRI A BENGASI Ventisei morti e quaranta feriti. questo il bilancio degli scontri di questa mattina a bengasi tra gli insorti e le truppe del leader libico muammar gheddafi. a diffondere i dati l'emittente al jazeera, citando fonti ospedaliere. INSORTI, RESPINTO ATTACCO A BENGASI Un portavoce degli insorti libici ha affermato che l'attacco delle forze fedeli a Gheddafi contro la città di Bengasi è stato respinto. JANA, CITTADINI SI RADUNANO SU OBIETTIVI RAID L'agenzia ufficiale libica riferisce che folle di cittadini libici si stanno radunando sugli obiettivi militari che la Francia ha minacciato di attaccare. NAPOLITANO, ITALIA FARÀ QUELLO CHE È NECESSARIO "Faremo quello che è necessario, anche noi". Così il presidente Giorgio Napolitano, al termine della visita allo stabilimento Pirelli di Settimo Torinese, ha risposto ai giornalisti a proposito della questione libica. "Vedo che qui - ha detto Napolitano riferendosi alla visita appena compiuta - si lavora per la pace e poi altrove facciamo la nostra parte come membro attivo della comunità internazionale. Interessati - ha proseguito - tutti i paesi che sono nel G8, che sono nell'Organizzazione delle Nazioni Unite ad affermare dei principi e ad esigere il rispetto dei valori fondamentali come sono i diritti umani e le aspirazioni di libertà e giustizia sociale, oggi, in modo particolare, nel mondo arabo. E faremo - ha concluso il capo dello Stato - quello che è necessario anche noi". A PARIGI 4 PAESI ARABI,EMIRATI, GIORDANIA, MAROCCO E QATAR Emirati arabi uniti, Giordania, Marocco e Qatar sono i quattro Paesi arabi rappresentati al vertice di Parigi per l'intervento militare in Libia. Lo hanno riferito fonti diplomatiche. MIGLIAIA CIVILI IN FUGA DA BENGASI Migliaia di persone stanno fuggendo dalla città libica di Bengasi, controllata dagli insorti e sotto attacco da questa mattina: lo constatano fonti giornalistiche sul posto. BERLUSCONI ATTERRATO A PARIGI, ATTESO A ELISEO PER VERTICE Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è atterrato a Parigi. Il premier è atteso al Palazzo dell'Eliseo dove alle 13.30 prenderà il via il vertice sulla crisi libica al quale partecipano i leader dei paesi occidentali, africani e arabi. Saranno presenti anche il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, e il numero uno dell'Onu, Ban Ki-moon. Ad accoglierli sarà il presidente francese, Nicolas Sarkozy. TV DI STATO: EX MINISTRO TORNA CON GHEDDAFI, INSORTI SMENTISCONO La tv di stato libica ha detto che l'ex ministro dell'Interno Abdel Fatah Yunes, che ai primi di marzo era passato con gli insorti, Š tornato nel campo di Gheddafi e ha ripreso il suo incarico. Lo riferisce Al Jazira. La tv panaraba riporta anche che il capo del Consiglio nazionale libico (il governo provvisorio degli insorti) ha subito smentito la notizia. CECCHINI GHEDDAFI A MISURATA, UCCISE DUE PERSONE Cecchini delle forze di Gheddafi hanno aperto il fuoco nella città di Misurata uccidendo almeno due persone, dicono testimoni locali. "Due persone sono state uccise questa mattina... ci sono tiratori scelti sui tetti delle case che sparano alla gente. Sparano a chiunque vedano", dice un residente al telefono. La città di Misurata, un centinaio di chilometri a est di Tripoli, in mano ai ribelli e off limits per i giornalisti, nelle ultime ore viene bombardata dalle forze di Gheddafi, dicono testimoni, secondo i quali è stato anche tagliato l'approvvigionamento di acqua. GHEDDAFI MINACCIA FRANCIA E GB, VE NE PENTIRETE Gheddafi minaccia Francia e Gran Bretagna. "Se intervenite nel nostro paese ve ne pentirete" ha detto un portavoce del rais aggiungendo che Gheddafi ha inviato messaggi anche al presidente Usa, Barack Obama e al segretario generale dell'Onu Ban Ki-Moon. "Ho tutti i libici dalla mia parte - ha detto ancora il portavoce riferendo le parole del rais - sono pronti a morire per me, uomini donne e bambini". ATTACCATA BENGASI, ATTESA SUMMIT PARIGI In Libia le forze di Gheddafi attaccano Bengasi da terra, dall'aria e dal mare e i carri armati, dicono gli insorti, sono arrivati alla periferia ovest. Nell'imminenza di prevedibili raid della coalizione internazionale e in vista del vertice fra Ue, Unione africana e Lega Araba alle 13:30 a Parigi, le truppe del regime cercano di accelerare i tempi e di guadagnare più terreno possibile nella città bastione degli insorti. Attacchi si registrano anche a Zenten, a ovest, e a Misurata. E Gheddafi attacca anche verbalmente, minacciando la coalizione: "Ve ne pentirete se interverrete nei nostri affari interni", ha scritto il rais in una lettera inviata a Sarkozy, Cameron e Ban ki-moon. Il portavoce del regime di Tripoli, Mussa Ibrahim, in una conferenza stampa ha detto che il rais ha inviato messaggi personal al presidente Usa, Barack Obama, a quello francese, Nicolas Sarkozy, al premier britannico, David Cameron, e al segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon. Il portavoce ha definito qualsiasi azione militare una "chiara aggressione" e una "ingiustizia", affermando che i libici sono con lui e sono "pronti alla morte". Sul terreno l'offensiva delle forze del Colonnello contro Bengasi è iniziata la mattina presto, con raid aerei, cannonate sul centro sparate da ovest, sud e dal mare. I primi carri armati sono stati visti alla periferia ovest, anche se la notizia dei ribelli stenta per ora a trovare conferme. Un aereo militare ha preso fuoco sopra la citt… ed Š caduto, ripreso da Al Jazira. Secondo gli insorti, si tratta di un loro aereo. Centinaia di persone fuggono in auto dalla citt… verso est. È stata bombardata anche la citt… di Zenten, all'ovest, in mano al Consiglio nazionale transitorio (Cnt), il governo dei ribelli. Un portavoce del governo di Tripoli ha smentito l'attacco a Bengasi: a suo dire, il cessate il fuoco è ancora in vigore e le sue truppe hanno solo risposto ad un attacco dagli insorti. In questo contesto, il Consiglio nazionale transitorio lancia l'Sos, guardando a Parigi: "Abbiamo solo armi leggere - ha detto - e Gheddafi sembra avere nuove e potenti armi". Il tempo stringe e Sarkozy, Cameron e la segretaria di Stato Usa si incontrano a Parigi alle 12:30, subito prima del vertice. GUGA, ABBIAMO SOSTEGNO DI COMUNITÀ INTERNAZIONALE PORTAVOCE CONSIGLIO NAZIONALE, RISOLUZIONE ONU UNA VITTORIA La risoluzione Onu sulla Libia "ha un grande significato: è finalizzata a proteggere prima di tutto la popolazione civile ed evitare spargimenti di sangue. Ma ha anche grande significato politico; la comunità internazionale conferma di essere dalla nostra parte". Lo dice in un'intervista al Sole 24 Ore Abdel Hafith Guga, portavoce e vicepresidente del Consiglio nazionale transitorio, il governo de facto della Cirenaica. "Sono convinto che se Gheddafi cercherà di nuovo aggredirci con la sua aviazione sarà fermato - spiega -. Non è una risoluzione che resta sulla carta. E sarà fermato anche se le sue forze di terra minacceranno la popolazione civile. Di tutta la Libia. Lo prevede il testo della risoluzione. È una grande vittoria". "Stiamo cercando di riorganizzare le nostre forze - prosegue Guga -. La rivoluzione non sarà terminata fino a che non arriveremo a Tripoli. È l'epilogo naturale di quanto iniziato il 17 febbraio". TV,FORZE GHEDDAFI ATTACCANO BENGASI DA COSTA E DA SUD Al Jazira riferisce che l'esercito di Gheddafi attacca Bengasi dalla costa e da sud. La tv panaraba ha anche mostrato le immagini dell'aereo delle forze governative abbattuto nel cielo della città. L'aeroplano, probabilmente un Mig-23, prende fuoco in volo e precipita a terra, provocando una nuvola di fumo. Si vede chiaramente anche il pilota che si lancia all'esterno prima dell'impatto, a poche decine di metri da terra. TRIPOLI DENUNCIA: ATTACCATI DAI RIBELLI A OVEST BENGASI Il regime libico denuncia di essere stato attaccato dai rivoltosi a ovest di Bengasi, roccaforte dei rivoltosi nella zona orientale del Paese, scossa oggi da intensi bombardamenti. Lo ha riferito l'agenzia ufficiale Jana. "Le gang di al Qaida hanno attaccato delle unità delle forze armate dislocate a ovest di Bengasi, in applicazione del cessate il fuoco annunciato ieri dalla Libia - si legge sull'agenzia Jana, che cita fonti del ministero della Difesa - queste bande terroristiche hanno utilizzato elicotteri e un aereo da caccia per bombardare le forze armate, in flagrante violazione della zona d'interdizione di volo imposta dal Consiglio di sicurezza. Ciò ha spinto le forze armate a rispondere per difendersi". Esplosioni sono state udite tutte la notte a Bengasi, ma non è stato possibile determinare se si trattava di bombardamenti o di colpi di batterie anti-aeree. La scorsa notte, il viceministro degli Esteri libico, Khaled Kaaim, ha accusato i rivoltosi di aver violato il cessate il fuoco, attaccando le forze fedeli al regime nella regione di Al Magrun, a circa 80 chilometri a sud di Bengasi. TV, BOMBARDAMENTO ARTIGLIERIA SU CENTRO BENGASI Il centro di Bengasi è bersaglio di un intenso bombardamento di artiglieria, dice l'emittente Al Jazira, che cita un suo inviato. Granate d'artiglieria, dice l'emittente, sono esplosi anche nella centrale Gamal Abdel Nasser Street. LA LIBIA ANNUNCIA IL CESSATE IL FUOCO, MA I RAID SONO PRONTI VIA LIBERA A IMPEGNO ITALIA, ASSENTI LA LEGA E I RESPONSABILI Ministro esteri libico annuncia fine azioni militari. Insorti: è un bluff. A Misurata 25 morti. Ultimatum Francia Usa Gb; Obama: Gheddafi ha perso ogni legittimità. La Russa: serve la Nato per la no-fly zone; in Italia pronte sette basi aeree e mezzi, pronti a effettuare raid. Frattini: chiusa ambasciata Tripoli, mai coesione tanto ampia per un'azione di forza. Berlusconi: agiremo con pieno accordo con il Quirinale. Premier a summit Parigi. D'Alema: rischiamo ritorsioni, serve scudo Nato.Comitato nazionale per la sicurezza innalza livello attenzione.Da Senato e Camera ok a mandato Governo, Idv e Lega non votano, assenti i Responsabili. Francia pronta ad attacco. Merkel: astensione non vuol dire neutralità. Processo Mills: lunedìBerlusconi assente per cdm. BBC CONFERMA: FORZE GHEDDAFI A BENGASI Anche la BBC riferisce di notizie secondo le quali le forze di Gheddafi stanno avanzando nella periferia della città. L'inviato della tv britannica a Bengasi riferisce di aver sentito spari provenienti anche dal mare. VIOLATA LA TREGUA, TRUPPE DI GHEDDAFI A PERIFERIA BENGASI, RIBELLI ABBATTONO JET Le truppe di Muammar Gheddafi hanno sferrato nella notte un'offensiva su Bengasi e questa mattina alcuni mercenari sono penetrati nella periferia ovest della roccaforte dei ribelli. A darne notizia è stato l'inviato di Al Jazira. E mentre l'artiglieria continua a martellare il centro della città, gli insorti sono riusciti ad abbattere un jet dopo diversi bombardamenti aerei. Il Colonnello ha quindi ignorato il cessate il fuoco che il suo regime si era impegnato a rispettare dopo la risoluzione di giovedì del Consiglio di sicurezza dell'Onu per accelerare l'avanzata prima del summit di questo pomeriggio a Parigi in cui saranno le decise le modalità per un intervento militare internazonale. L'attacco sul capoluogo della Cirenaica è iniziato intorno alle due di notte e da quel momento i combattimenti sono proseguiti ininterrottamente, con colpi di mortaio, lanci di razzi katiuscia e scambi di colpi di mitragliatrice. All'alba ci sono stati almeno due raid aerei a distanza di 20 minuti con bombardamenti di zone attorno alla città. Un terzo bombardamento è avvenuto un'ora dopo. Colpite la strada per l'aeroporto e il quartiere di Abu Hadi. I ribelli sono poi riusciti ad abbattere un jet che è stato visto perdere fumo dalla coda prima di schiantarsi in una zona residenziale del sud di Bengasi. Testimoni hanno riferito di una jeep che sarebbe riuscita e entrare nei quartieri ovest di Bengasi con a bordo due mercenari di Gheddafi che hanno lanciato granate prima di essere uccisi dai ribelli. Dai documenti è risultato che i due, in abiti vivili, erano nigeriani. A Gheddafi era arrivato nella serata di venerdì il monito di Barack Obama, che gli ha ricordato che "ha ormai perso l'appoggio della sua gente e la legittimità". Per questo l'unico modo per evitare un attacco era quello di rispettare la risoluzione dell'Onu che ha "chiare condizioni": fermare gli attacchi e ritirate le truppe". DE MICHELIS, STUPITO DAI TENTENNAMENTI RISCHI PER L'ITALIA? "Com'è possibile che l'Italia abbia tanto esitato a capire che direzione stava prendendo la storia, facendosi scavalcare da Francia e Inghilterra che vorrebbero tornare a spadroneggiare nel Mediterraneo come nel 1955, quando non c'era il Canale di Suez?". Se lo chiede a proposito della missione in Libia l'ex ministro degli Esteri Gianni De Michelis che in un'intervista alla Stampa afferma che i rischi per l'Italia ci sarebbero stati "se non fosse stata presa la decisione di intervenire: sarebbe stato dato un via libera non solo a Gheddafi ma all'Iran e a Hezbollah". "Un rischio terrorismo - precisa - c'è sempre, se gli si spiana la strada. L'Italia deve evitare di favorire per la Libia una soluzione somala. Disintegrare, smembrare Tripolitania e Cirenaica, creerebbe all'Italia notevoli problemi: proprio per questo occorre liberarsi di Gheddafi al più presto". Il nostro Paese, prosegue De Michelis, "deve essere in prima fila anche nell'institution building, aiutarli a costruire la loro democrazia. Anzi, mi stupisco che non ci siano già dei nostri laggiù che abbiano il controllo della situazione". FRATTINI; PRONTI A COLPIRE, A NOI IL COORDINAMENTO "Abbiamo chiesto che la base di coordinamento sia spostata da Stoccarda a Capodichino. Giochiamo un ruolo fondamentale, senza l'Italia questa operazione non si potrebbe svolgere". Così il ministro degli Esteri Franco Frattini commenta in un'intervista al Messaggero l'intervento della coalizione internazionale in Libia. "Sono molto soddisfatto - spiega -. Il Parlamento ha votato all'unanimità l'intervento militare sotto l'egida dell'Onu. C'è stato perfino qualcuno che in commissione ha detto: 'La comunità internazionale è arrivata troppo tardì" ma "la decisione è arrivata quando c'è stato il sì della Lega Araba e dell'Unione africana". Il ritardo, sottolinea Frattini, "è il prezzo che si è pagato per il multilateralismo". Il ministro rispetta la posizione della Lega, assente alla votazione nelle Camere, ma afferma che Bossi "ha sempre dimostrato lealtà verso la maggioranza" e si dice fiducioso di "riuscire a convincere la Lega a schierarsi a favore: essere in prima linea permetterà all'Italia di chiedere il sostegno dell'Europa per fronteggiare il flusso migratorio". "Nessuna guerra" dell'Italia con la Libia, sottolinea Frattini, solo l'impegno "a far rispettare una risoluzione dell'Onu che chiede a Gheddafi di cessare il fuoco, di terminare i bombardamenti aerei e di rispettare l'embargo". BOMBARDAMENTI INTENSI A BENGASI, AEREO SORVOLA CITTÀ Intensi bombardamenti sono in corso oggi nella zona sud-ovest di Bengasi e un aereo militare ha sorvolato la città prima di nuove esplosioni. Lo riferiscono giornalisti della France presse. Quattro esplosioni a distanza ravvicinata sono state udite nel centro della città. Diverse colonne di fumo si sono alzate dall'area sud-occidentale di Bengasi, che potrebbe essere residenziale. Un aereo militare ha quindi sorvolato a bassa quota la città, prima di una nuova serie di potenti esplosioni. 19 marzo 2011
Nato - Libia, le forze del cielo * * * * caccia militari box In prima linea contro Gheddfi ci sono Gran Bretagna e Francia, i due paesi che più hanno spinto per la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza che istituisce la no-fly zone e autorizza a colpire obiettivi a terra. Interverranno anche altri paesi, verosimilmente anche l'Italia con i suoi cacciabombardieri. Le forze in campo saranno pressoché solo aeree. L'aviazione libica è in cattivo stato da quando sono cessati nel 1989 gli aiuti militari sovietici, e benché possa attaccare con relativa impunità le milizie ribelli non può tenere testa a quello che schiera la Nato. Di seguito le forze che potrebbero intervenire sui cieli della Libia in una scheda d'agenzia. FRANCIA Il paese più attivo nel lavoro diplomatico che ha portato alla risoluzione di giovedì è anche uno dei due, oltre agli Usa, che con la Libia si è già scontrato militarmente, nel conflitto in Chad durante gli anni Ottanta. Per pattugliare i cieli e colpire obiettivi a terra l'Armée de l'Air potrebbe utilizzare i collaudati Mirage e il suo modernissimo Rafale. La versione Mirage 2000, che sarebbe impiegata sia come pattugliatore sia come bombardiere, è quella che il fabbricante Dassault avrebbe voluto vendere a Gheddafi prima della crisi. Il Rafale, in servizio da pochi anni e mai esportato, potrebbe decollare anche operare dalla portaerei nucleare De Gaulle, attualmente in rada a Tolone ma in grado di raggiungere le coste libiche in pochi giorni. Le basi francesi utilizzabili sono Solenzara in Corsica e Istres sulla costa mediterranea. In entrambi casi sarebbero necessari rifornimenti in volo, per i quali la Francia dispone di aerocisterne Boeing KC-135. GRAN BRETAGNA I britannici dovrebbero invece rischierarsi a sud, probabilmente in Italia o nella base di Akrotiri a Cipro, per essere a portata della Libia. Userebbero il bombardiere Tornado, veterano dell'Iraq e della ex Yugoslavia, e il nuovo caccia europeo multiruolo Typhoon per il controllo dei cieli. Insieme alle aerocisterne, potrebbero essere schierati già nel fine settimana in Italia, forse insieme ai vetusti ma ancora efficaci quadrimotori da ricognizione e guerra elettronica Nimrod. Il governo di David Cameron voleva mandarli in pensione, ma la crisi libica ha posticipato la data del ritiro. Londra può schierare anche due fregate portaelicotteri, Cumberland e Westminster, al largo della Libia. GLI USA Attualmente gli Usa hanno nel Mediterraneo la portaerei nucleare Enterprise e numerose altre navi d'appoggio. Gli F-18 a bordo della portaerei sono in grado sia di far rispettare la no-fly zone che di attaccare ogni tipo di obiettivo a terra. Gli Stati Uniti hanno centinaia di aerei in Europa, schierati tra Aviano in Italia e basi in Germania e Gran Bretagna: ci sono cacciabombardieri F-15, F-16 e aerei anticarro A-10. Di produzione Usa ma con equipaggi di tutte le nazioni Nato invece sono gli aerei radar Boeing E-3 Awacs, indispensabili per coordinare le operazioni dall'aria. ITALIA Secondo il ministro della Difesa La Russa "l'Italia ha una forte capacità di neutralizzare i radar di ipotetici avversari". E questa potrebbe essere il primo impiego iniziale dell'aeronautica. Agirebbero i Tornado della versione speciale ECR, una quindicina di aerei di base a San Damiano vicino a Piacenza, equipaggiati con missili americani AGM-88 Harm che si dirigono verso le emissioni radar per distruggere i sistemi di guida senza i quali i missili antiaerei sono ciechi. I Tornado italiani hanno già compiuto queste azioni nel 1999 durante la campagna Nato contro la Serbia. Per il bombardamento potrebbero essere impiegati anche gli AV-8 Harrier della Marina, basati a Taranto ma impiegabili sulla portaerei Cavour. E da Grosseto e Gioia del Colle potrebbero decollare i caccia Typhoon, gli aerei più moderni dell'Aeronautica militare italiana. DANIMARCA E NORVEGIA Gli F-16 dei due paesi scandinavi partecipano da tempo alle operazioni Nato in Afghanistan, soprattutto con compiti di attacco al suolo. Il ministro della Difesa danese ha detto che quattro F-16 più due di riserva sono pronti a rischierarsi a sud. La Norvegia ha indicato una disponibilità simile. LEGA ARABA E ALTRI PAESI La Lega Araba è a favore della no-fly zone, ma finora nessun paese membro ha offerto aerei. Se si dovesse arrivare a quel punto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi dispongono dei più moderni cacciabombardieri americani ed europei (F-15 sauditi e F-16 degli Emirati). L'Egitto, che dispone di F-16 e Mirage 2000, finora ha indicato solo la disponibilità a fornire armi leggere ai ribelli. LIBIA Il regime di Gheddafi fa paura più per i missili antiaerei di cui dispone - una trentina di batterie secondo l'intelligence Usa - che per gli aerei, quasi tutti vecchi MiG sovietici in cattive condizioni. Le informazioni sono incerte, ma probabilmente ha alcune decine di MiG-23 degli anni Settanta che il colonnello ha impiegato contro i ribelli insieme ai Su-22. I MiG-21, degli anni Sessanta, sarebbero pochi 18 marzo 2011
D'Alema: "Siamo i più esposti. Lo scudo Nato è una garanzia" di Umberto De Giovannangeli | tutti gli articoli dell'autore * * * * IMG "Uno scenario" come quello che apre la partecipazione dell'Italia all'intervento internazionale in Libia "comporta problemi per la sicurezza nazionale perché siamo una delle aree immediatamente esposte ad azioni ritorsive". Massimo D'Alema lo rimarca nel corso della riunione delle commissioni Esteri e Difesa al Senato. "Dobbiamo chiedere - precisa l’ex titolare della Farnesina e attuale presidente del Copasir - che si attivi un dispositivo di protezione della Nato,una rete di sicurezza indispensabile, perché va bene la coalizione dei "willings'", ma la Nato è la Nato. MOMENTO DRAMMATICO L’aria che si respira a Palazzo Madama è quella di un momento drammatico, dacondividere conunatteggiamento responsabile, bipartisan. Senza protagonismi o fughe in avanti. "Condivido le preoccupazioni dell'onorevole D'Alema sull'attivazione della rete di protezione della Nato" nei confronti dell'Italia, afferma nella stessa riunione il ministro degli Esteri, Franco Frattini. "Esprimoil mio apprezzamento sulla risoluzione dell'Onu che interviene, anche se forse dopo un pò troppo tempo rispetto all'inizio delle ostilità, ma tuttavia con un consenso largo e significativo e con un dispositivo assai efficace e robusto", aveva rilevato nel suo intervento D’Alema, sottolineando che "è evidente che nessuna iniziativa di questo tipo si può svolgere senza il consenso dell'Italia, consenso che è necessario". "Anche per questo è molto importante dire subito sì, autorizzando il governo a prendere tutte le misure possibili " conclude l'ex ministro degli Esteri. Condivisione senza inutili "fughe in avanti". È un concetto rilanciato da Pierluigi Bersani. La questione della Libia è "una cosa seria" e non deve diventare un tema come quello "della Nazionale italiana di calcio, in cui ognuno fa lo stratega": questo è l'invito che il segretario del Pd rivolge al Governo. "Lo dico in modo preventivo avendo già avuto qualche esperienza: non mettiamoci nelle condizioni - avverte Bersani - per cui si pensi di essere davanti ad un tema come la Nazionale di calcio, in cui ognuno fa lo stratega. Questa è una cosa seria, la conduciamo seriamente da Paese serio. Questo è l'invito che faccio al Governo". È nelle Commissioni parlamentari, nelle "sedi giuste" che si deve interpretare "la decisione del Consiglio di sicurezza dell' Onu - conclude il leader del Pd - per evitare che in quel Paese continuino le stragi dei civili e venga soffocato il movimento democratico ". Un richiamo al senso di responsabilità che accompagna quanto annunciato in precedenza da Bersani: "Nei limiti della risoluzione dell'Onu siamo pronti a sostenere il ruolo attivo dell'Italia". 19 marzo 2011
Bahrein nel caos, opposizione: "Uccisi cinque manifestanti" * * * * bahrein proteste Un parlamentare di opposizione del Bahrein dice che cinque manifestanti sono stati uccisi stamani dalle forze di sicurezza. Le autorità del Bahrein hanno annunciato oggi la chiusura della Borsa, delle scuole e delle Università in tutto il Paese, dopo lo stato di emergenza decretato ieri dal re per contenere la protesta popolare. Oggi, le forze di sicurezza hanno fatto sgomberare con la forza i manifestanti accampati da febbraio nel centro di Manama per chiedere riforme, causando la morte di almeno due di loro, stando a quanto riferito dall'opposizione. 16 marzo 2011
2011-03-18 Libia, stop scontri. Clinton: Gheddafi vada via * * * * bengasi LA DIRETTA BERSANI, PRONTI SOSTENERE RUOLO ATTIVO ITALIA "Nei limiti della risoluzione dell'Onu siamo pronti a sostenere il ruolo attivo dell'Italia". Lo ha detto il segretario del Pd Pierluigi Bersani parlando della situazione in Libia. HILLARY CLINTON, GHEDDAFI SE NE DEVE ANDARE Il segretario di stato americano, Hillary Clinton, ha detto oggi che la risoluzione Onu per una no fly zone sulla Libia era "un passo necessario" per fermare "le violenze di Muammar Gheddafi contro il suo stesso popolo". "Non ci ha lasciato altra scelta - ha affermato Hillary Clinton -. Continueremo a esercitare pressione su Muammar Gheddafi affinché se ne vada". HILLARY CLINTON, DUBBI SU CESSATE IL FUOCO Gli Stati Uniti hanno "molti dubbi" sul fatto che in Libia sia in atto un cessate il fuoco da parte delle autorità libiche. Lo ha detto il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton. "Non siamo interessati nè colpiti dalle parole" del leader libico e di suo figlio - ha detto Hillary Clinton - "e vogliamo vedere azioni concrete sul terreno" che comprovino che in Libia è stato messo in atto un cessate il fuoco. "Continueremo a lavorare con i nostri partner della comunità internazionale per fare pressione su Gheddafi affinchè se ne vada e per sostenere le legittime aspirazioni del popolo libico". "Gheddafi - ha aggiunto - ha perso ogni legittimità". FRATTINI: NAVE ITALIANA CON AIUTI E SENZA ARMI A BENGASI L'Italia invierà una seconda navi carica di aiuti a Bengasi. Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini in audizione, spiegando che ci saranno a bordo "molti aiuti umanitari ma non armi". La nave dovrebbe arrivare a Bengasi entro domani mattina. BAN KI-MOON: A PROCESSO I RESPONSABILI DI ATTACCHI AI CIVILI Per il segretario dell'Onu Ban Ki-Moon i responsabili di "crimini contro i civili" in Libia dovranno essere tradotti davanti alla giustizia. In una conferenza stampa congiunta a Madrid con il premier spagnolo Zapatero, il segretario dell'Onu ha sottolineato che "gli attacchi armati contro civili disarmati costituiscono una violazione dei diritti umani e della legge umanitaria internazionale", i responsabili "dovranno renderne conto" ed essere "tradotti davanti alla giustizia" CAMUSSO: FERMARE GENOCIDIO MA SENZA STRUMENTI DI GUERRA Per Susanna Camusso la priorità, "in queste ore", è "fermare il genocidio e il rischio di combattimenti dentro la Libia, senza però usare gli strumenti di guerra". "Credo che si sia perso molto tempo, l'allarme c'era da tempo", ha osservato il segretario generale della Cgil. FRATTINI: CONDIVIDIAMO RISOLUZIONE ONU CHIUDIAMO AMBASCIATA A TRIPOLI "Noi abbiamo apprezzato e condividiamo pienamente" la risoluzione Onu e "la prima conseguenza che il Governo trae è evidentemente la chiusura dell'ambasciata italiana a Tripoli. È una misura coerente con la condivisione e con l'attuazione italiana di questa risoluzione". Lo ha detto il ministro degli esteri Franco Frattini alle commissioni difesa riunite. "Abbiamo chiesto alla Turchia, che ha accettato, di curare i nostri interessi in Libia". BAN KI- MOON:"RISOLUZIONE STORICA" Il segretario dell'Onu Ban Ki-Moon ha definito di portata "storica" la risoluzione sulla Libia adottata ieri dal Consiglio di Sicurezza, perchè sancisce il principio della protezione internazionale della popolazione civile. In una conferenza stampa congiunta con il premier spagnolo Josè Luis Zapatero, Ban Ki-Moon ha detto che "tutti gli stati membri dell'Onu" devono contribuire alla sua applicazione e che "le autorità libiche devono cessare immediatamente ogni ostilità contro la popolazione civile". BOMBE SU MISURATA: 25 MORTI Almeno 25 persone - tra cui dei bambini - sono morte durante pesanti bombardamenti delle forze leali a Gheddafi sulla città di Misurata. Lo rendono noto fonti sanitarie della città libica e la notizia è stata confermata dalla tv al Arabiya. INSORTI DA BENGASI, CESSATE IL FUOCO È UN BLUFF Il comandante dei ribelli libici a Bengasi ha definito "un bluff" l'annuncio del 'cessate il fuocò del colonnello Gheddafi. "Per noi non è importante - ha detto - Gheddafi sta bluffando". ONU, BAN KI-MOON DOMANI A PARIGI CON UE,UA,LEGA Il segretario generale Onu parteciperà domani al vertice Unione Europea, Unione Africana e Lega Araba sulla Libia indetto a Parigi dal presidente francese Nicolas Sarkozy: lo ha annunciato a Madrid lo stesso Ban Ki Monn. In precedenza aveva avuto un colloquio con il premier spagnolo Josè Luis Zapatero.
RASMUSSEN, RISOLUZIONE SEGNALE FORTE A REGIME La risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite "manda una forte e chiaro messaggio al regime di Gheddafi da parte di tutta la comunità internazionale: ferma immediatamente la tua brutale e sistematica violenza contro il popolo di Libia". Lo ha dichiarato il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen.
BOSSI, LEGA VICINA A POSIZIONE GERMANIA "La Lega Nord si sente vicina alla posizione della Germania, per quanto riguarda il problema della Libia". Lo ha detto il leader della Lega e ministro delle riforme, Umberto Bossi.
GIORNALISTI NEW YORK TIMES SARANNO LIBERATI OGGI I quattro giornalisti del New York Times dispersi da martedì in Libia erano stati arrestati dalle autorità di Tripoli e saranno rilasciati oggi: lo ha reso noto lo stesso quotidiano statunitense. GB; CAMERON, GHEDDAFI SARÀ GIUDICATO DA FATTI Muammar Gheddafi sarà giudicato dai fatti non dalle parole: lo ha detto il premier britannico David Cameron alla Bbc dopo l'annuncio da parte della Libia di un cessate il fuoco.
INIZIATA RIUNIONE CONSIGLIO MINISTRI STRAORDINARIO È iniziata a palazzo Chigi la riunione del Consiglio dei ministri straordinario sulla crisi libica. MARONI CONVOCA COMITATO NAZIONALE SICUREZZA Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha convocato per il pomeriggio al Viminale il Comitato Nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica. La decisione del ministro, secondo quanto si apprende, fa seguito alla riunione del Comitato Permanente dei Ministri sulla crisi libica che si è tenuta questa mattina a palazzo Chigi.
FRANCIA CAUTA SU CESSATE IL FUOCO;MINACCIA RESTA La Francia rimane "cauta" dopo l'annuncio del cessate il fuoco in Libia. "La minaccia sul terreno non è cambiata", hanno affermato le autorità di Parigi. CONCLUSA RIUNIONE INTERMINISTERIALE CON BERLUSCONI Si è conclusa la riunione interministeriale con il premier Silvio Berlusconi a palazzo Chigi dedicata alla Libia. È durata oltre un'ora. NATO CAUTA, ACCELERA PIANI MA NON DISCUTE AZIONE Il Consiglio Atlantico della Nato è d'accordo per "accelerare il più possibile" la preparazione dei piani di intervento. Ma mentre da Parigi, Londra, così come dai governi belga o norvegese, oltre che da Washington, arrivano segnali di possibili interventi a breve, l'Alleanza Atlantica resta cauta su un'operazione militare in Libia. Fuori discussione qualsiasi intervento sul terreno, tra gli ambasciatori che hanno partecipato alla riunione di stamani è emerso l'accordo per offrire l'appoggio a un'operazione umanitaria. ONU, PREOCCUPAZIONE PER GIORNALISTI NYT Le Nazioni Unite sono "molto preoccupate" per i quattro giornalisti del New York Times scomparsi in Libia - uno dei quali il figlio di Gheddafi Seif al-Islam ha detto essere stato arrestato - e di altri cronisti vittime di attacchi nel Paese. "Esortiamo con forza le autorità libiche a lasciare i giornalisti compiere il loro lavoro", ha detto a Ginevra il portavoce dell'Alto commissario dell'Onu per i diritti umani, Rupert Colville rispondendo a domande dei giornalisti. TRIPOLI FERMA OPERAZIONI MILITARI PER PROTEGGERE CIVILI Le forze libiche fedeli a Muammar Gheddafi hanno sospeso tutte le operazioni militari per garantire la protezione dei civili, in linea con la risoluzione Onu che ha imposto la No Fly Zone. L'"immediato cessate il fuoco" è stato annunciato dal ministro degli Esteri libico, Mousa Koussa, conversando con i giornalisti a Tripoli. ITALIA, CONSIGLIO DEI MINISTRI STRAORDINARIO È stato convocato per le 13.30 un Consiglio dei ministri straordinario per discutere della situazione in Libia, alla luce anche della risoluzione Onu sulla no fly zone. È quanto riferiscono fonti ministeriali. GHEDAFFI PROMETTE "L'INFERNO" Il rais libico, Muammar Gheddafi, ha lanciato un avvertimento contro ogni attacco alla Libia, promettendo di "trasformare in un inferno la vita" di coloro che oseranno compierlo. NAPOLITANO: "PROSSIME ORE DECISIONI DIFFICILI" "Nelle prossime ore dovremo prendere decisioni difficili, impegnative, rispetto a ciò che sta accadendo in Libia", ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel discorso al Teatro Regio di Torino. "Viviamo - ha aggiunto - in un mondo ricco di promesse per il futuro e gravido di incognite. Se pensiamo a ciò che è stato il nostro Risorgimento, innanzitutto come movimento liberatore, non possiamo rimanere indifferenti rispetto alla sistematica repressione di fondamentali libertà e diritti". Parole scandite da un lungo applauso.
TESTIMONI;COMBATTIMENTI A NABLUT E ZENTEN, SUD-OVEST Combattimenti hanno opposto ieri sera e stamani le forze fedeli al colonnello Gheddafi e gli insorti a Nalut e Zenten, due città a sud-ovest di Tripoli controllate dagli antigovernativi. Nalut si trova a 60 km a sud-ovest della capitale e Zenten a 145 km. FONTI OSPEDALIERE, 4 MORTI E 70 FERITI A MISURATA Quattro persone sono rimaste uccise e 70 ferite oggi nei bombardamenti contro la città di Misurata da parte delle forze pro Gheddafi. Lo riferiscono fonti ospedaliere, secondo quanto riportato dal canale televisivo Al Arabiya. La città di Misurata, 200 km ad est di Tripoli, è ancora in mano agli insorti. INSORTI, A MISURATA GOVERNATIVI USERANNO SCUDI UMANI Una fonte degli insorti ha detto ad al Azira che blindati delle forze di Gheddafi stanno bombardando Misurata da oltre tre ore e che i 'lealistì vogliono usare civili come scudi umani contro possibili attacchi aerei delle forze internazionali. "Blindati e truppe circondano Misurata e stanno cercando di avanzare verso il centro della città", ha detto al telefono Sadun, un addetto stampa del 'Comitato della rivoluzione dei 17 febbraiò, secondo quanto riferisce al Jazira nella sua edizine online. ALLE 12 RIUNIONE GOVERNO CON VERTICI MILITARI A P.CHIGI Il contributo italiano alla no fly zone è al centro di un vertice interministeriale sulla situazione in Libia, previsto intorno a mezzogiorno a palazzo Chigi. Lo riferiscono fonti governative. Tra i ministri, saranno presenti fra gli altri il titolare della Difesa Ignazio La Russa e quello degli Esteri Franco Frattini. BERSANI, ALLA BUON'ORA LA DECISIONE DELL'ONU "Alla buon'ora: la Comunità internazionale ha detto una cosa chiara, cioè che a una persona che riteniamo criminale e che vogliamo mandare al Tribunale dell'Aja non possiamo permettere di bombardare Bengasi": lo ha detto il segretario del, Pd Pier Luigi Bersani, entrando al Teatro Regio di Torino, dove è in programma la cerimonia per i 150 anni dell'unità d'Italia con il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. FRATTINI E LA RUSSA ALLE 14 A COMMISSIONI ESTERI I ministri degli Esteri Franco Frattini e della Difesa Ignazio La Russa saranno ascoltati alle 14 dalle commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato a Palazzo Madama. Lo si apprende da fonti parlamentari. Al centro della riunione la crisi libica dopo la decisione dell'Onu. GHEDDAFI CHIUDE SPAZIO AEREO Il regime libico ha disposto la chiusura totale dello spazio aereo nazionale "fino a nuovo ordine": una sortita che appare mirata a giocare d'anticipo rispetto alla concreta imposizione della 'no fly-zone' appena autorizzata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. A renderla nota è stato EuroControl, l'organizzazione pan-europea che coordina i controlli del traffico aereo di 39 Paesi. POLONIA, AIUTO LOGISTICO MA NO INTERVENTO MILITARE La Polonia è pronta ad offrire supporto logistico ma non intende partecipare ad un eventuale interventi militare internazionale in Libia. Lo ha detto il ministro della difesa Bogdan Klich in dichiarazioni stamane alla radio privata Tok Fm, dopo la risoluzione Onu sulla no fly zone sul paese. SEIF,FORZE ANTI-TERRORISMO ENTRERANNO A BENGASI Il figlio del leader libico Muammar Gheddafi, Seif al Islam, ha detto che forze "anti-terrorismo" saranno mandate a Bengasi per disarmare gli insorti. Lo riferisce la televisione satellitare al Jazira.
FORZE GHEDDAFI TENTANO DI ENTRARE IN CENTRO MISURATA Dopo i bombardamenti degli ultimi giorni, le forze di Gheddafi ora stanno cercando di forzare la mano a Misurata. Un corrispondente di Al jazeera riferisce che i carriarmati e le truppe di terra del regime stanno effettuando una sortita e provano a entrare nel centro della citta. QATAR, PARTECIPEREMO A NO FLY ZONE Il Qatar ha annunciato che parteciperà alla no fly zone sulla Libia. È il primo paese arabo a dichiarare la sua partecipazione dopo l'approvazione ieri da parte del Consiglio di sicurezza dell'Onu di una risoluzione sulla Libai e l'ok della Lega Araba.
RISOLUZIONE ONU, SAIF GHEDDAFI: "NON ABBIAMO PAURA" La Libia "non ha paura" delle possibili conseguenze dell'approvazione della risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza dell'Onu che autorizza l'uso della forza contro le truppe del regime di Muammar Gheddafi. Lo ha detto oggi uno dei figli del colonnello, Saif al-Islam. LE FORZE DI GHEDDAFI BOMBARDANO MISURATA Le forze di Muammar Gheddafi stanno bombardando la città di Misurata, una delle roccaforti ancora in mano ai rivoltosi, dopo una notte di pesanti scontro a fuoco. Lo ha detto un portavoce dei ribelli. TRIPOLI: PRONTI A TREGUA, MA SI DISCUTANO DETTAGLI Le autorità di Tripoli hanno fatto sapere ieri sera di essere pronti per una tregua con i ribelli, ma hanno richiesto di discutere prima i dettagli della sua attuazione: lo ha dichiarato il vice ministro agli Affari esteri Khaled Kaim, nel corso di una conferenza stampa nella capitale libica. FRANCIA,ATTACCHI CONTRO GHEDDAFI IN TEMPI RAPIDI Gli attacchi contro le truppe di Gheddafi avverranno "in tempi rapidi" e la Francia vi prenderà parte. Lo ha detto a Parigi il portavoce del governo, Francois Baroin.
AEREI E BASI, COSÌ L'ITALIA PARTECIPERÀ ALLA MISSIONE Anche l'Italia parteciperà alla missione militare internazionale per l'imposizione di una no fly zone sulla Libia, autorizzata dalla risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza dell'Onu. Il nostro paese è pronto a mettere a disposizione basi aeree e velivoli, sulla base di una pianificazione già avviata, che sarà definita nelle prossime ore. Secondo quanto riferito da fonti qualificate, l'impegno italiano non sarà, dunque, oramai indirizzato solo a fini umanitari, ma prevederà una partecipazione "attiva" alle operazioni. "Non ci sottrarremo ai nostri doveri", ha detto ieri il ministro della Difesa Ignazio La Russa OBAMA CHIAMA SARKOZY E CAMERON PER COORDINARE OPERAZIONI Barack Obama ha telefonato al presidente francese Nicolas Sarkozy - il più strenuo difensore della necessità di un intervento militare contro il regime di Muammar Gheddafi - e al premier britannico David Cameron. I tre leader hanno concordato i prossimi passi da compiere per istituire la no-fly zone in Libia.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione 1973 che impone una no fly zone sui cieli della Libia e prevede "tutte le necessarie misure per proteggere la popolazione civile", tranne un' invasione di terra. Lo stop agli aerei di Gheddafi, secondo la Francia, potrebbe essere messo in atto nel giro di poche ore, forse già stanotte. L'Unione europea s'è subito detta pronta a "'mettere in pratica" la risoluzione, accolta a Bengasi dal giubilo della piazza, ma con messaggi contraddittori dal governo del rais libico, che la definisce una minaccia all'integrità libica, ma dice di essere pronto a un cessate-il-fuoco. Il testo è stato approvato con il voto favorevole di dieci Paesi: Francia, Gran Bretagna, Usa, Bosnia, Gabon, Nigeria, Sudafrica, Portogallo, Colombia e Libano. Si sono astenute Russia, Cina, entrambe con diritto di veto, oltre a Brasile, India e, unico fra gli europei, la Germania. Il governo italiano sta valutando i prossimi passi diplomatici dopo il disco verde delle Nazioni Unite ad una No Fly Zone in Libia per impedire a Gheddafi di bombardare la popolazione civile 'ribelle'. La notizia dell'approvazione della risoluzione da parte del consiglio di sicurezza dell'Onu è arrivata in Italia attorno alle 23:30 proprio in concomitanza con le battute finali dell'esecuzione del Nabucco al Teatro di Roma, alla presenza delle nostre massime cariche istituzionali che coronavano così la lunga giornata di celebrazioni per i 150 anni dell'unità d'Italia. Così, in una delle sale del teatro si è tenuto un improvvisato vertice tra il presidente del consiglio Silvio Berlusconi, il ministro della Difesa Ignazio La Russa, il sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta e alti gradi delle forze armate, compreso il Capo di Stato maggiore della Difesa. Al colloquio, del tutto informale e interlocutorio, si è poco dopo unito anche il capo dello Stato Giorgio Napolitano immediatamente informato sugli sviluppi della situazione sulla Libia. Con i cronisti, che hanno cercato di avere notizie su quanto stava accadendo e sulle decisioni che il nostro governo intende assumere , ha parlato il ministro La Russa, incalzato sulla questione delle basi militari italiane da mettere eventualmente a disposizione della Nato. "Abbiamo avuto in tempo reale notizia" della Risoluzione Onu sulla No fly zone in Libia, "anzi avevamo già prima l'orientamento, e dopo abbiamo svolto una riunione informale in cui abbiamo discusso delle conseguenze di questa risoluzione", ha spiegato La Russa. "Alla fine dell'opera - ha riferito il ministro - è stato informato il presidente della Repubblica che si è intrattenuto con il presidente del Consiglio per apprendere tutte le informazioni ed esaminare la situazione". Di più La Russa non ha voluto aggiungere: "è tutto quello che ho da dirvi", ha detto ai giornalisti. Ci saranno altri contatti nelle prossime ore. E non si esclude un vertice internazionale a Parigi su questo tema al quale potrebbe partecipare il premier
***** LA CRONACA DI IERI VICE MINISTRO TRIPOLI: SPERIAMO CHE L'ITALIA NE STIA FUORI "Speriamo che l'Italia si tenga fuori da questa iniziativa": lo ha detto all'ANSA il vice-ministro degli esteri libico Khaled Kaaim, commentando la disponibilità del governo italiano a consentire l'utilizzo delle basi sul territorio italiano per la no-fly zone. "Siamo certi che l'Italia abbia a cuore l'integrità della Libia e la salvaguardia della popolazione", ha detto il vice-ministro libico. "Speriamo che non consenta l'utilizzo delle sue basi e si tenga fuori da questa iniziativa decisa dall'Onu", ha poi aggiunto Kaaim. VOTO ONU, ASTENZIONE GERMANIA DOVUTA A "RISCHI" Il ministro degli esteri tedesco Guido Westerwelle ha detto che la Germania si è astenuta sul voto all'Onu sulla Libia per i "considerevoli pericoli e i rischi" comportati da un un intervento militare contro Muammar Gheddafi. VICE-MINISTRO TRIPOLI: PRONTI A CESSATE IL FUOCO Il vice-ministro degli esteri libico Khaled Kaaim ha detto in una conferenza stampa a Tripoli che il suo governo è pronto a osservare un cessate il fuoco ma che resta in attesa di dettagli tecnici dopo la risoluzione sul cessate il fuoco approvata ieri sera dal Consiglio di sicurezza del'Onu. Il vice-ministro ha detto anche che il suo governo nel corso della giornata di ieri ha ribadito alle Nazioni Unite di essere impegnato nella protezione delle popolazioni civili e a salvaguardare l'integrità territoriale del paese. Kaaim ha detto anche che a questo fine la Libia continuerà a collaborare con l'Onu e anche i militari, ha aggiunto, perseguono lo stesso fine. CNN: GHEDDAFI CI RIPENSA E NON ATTACCA PIU' BENGASI Il leader libico Muammar Gheddafi avrebbe deciso di cambiare tattica e di non attaccare più con l'esercito la capitale dei ribelli Bengasi. È quanto riferisce il corrispondente della Cnn a Tripoli, dopo un colloquio telefonico con uno dei figli di Gheddafi, Saif al-Islam. "Saif ha detto - spiega Nic Robertson, corrispondente da Tripoli per la Cnn - che la strategia su Bengasi cambierà e che l'esercito non sarà più inviato nella capitale della Cirenaica, ma che si limiterà a mantenere le posizioni nei dintorni. Il motivo - aggiunge il corrispondente dell'emittente televisiva - è che il regime si aspetta un esodo umanitario, che la gente impaurita per quello che può accadere lascerà la città e che l'esercito interverrà per aiutarli ad andare via". In precedenza, la tv di stato aveva trasmesso un messaggio telefonico del colonnello Gheddafi che annunciava che Bengasi sarebbe stata attaccata questa notte e che per i ribelli non ci sarebbe stata alcuna pietà. "Cacceremo questi traditori da Bengasi - aveva detto Gheddafi - distruggeremo le loro postazioni. Per loro non ci sarà pietà alcuna. Il mondo vuole vedere Bengasi libera". LIBIA, A VERTICE GOVERNO SI UNISCE NAPOLITANO Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si è unito al vertice informale convocato dal premier Silvio Berlusconi con il ministro della Difesa Ignazio La Russa e il sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta ed è stato informato degli ultimi eventi relativi alla Libia dal premier. L'incontro, riferiscono fonti governative, è stato informale e si è tenuto in una sala del teatro dell'opera al termine della rappresentazione del Nabucco per i 150 anni dell'unità d'Italia. Il capo dello Stato, riferiscono le stesse fonti, ha raggiunto i membri del governo che lo hanno prontamente ragguagliato su quanto sta avvenendo. LIBIA, VERTICE BERLUSCONI, LETTA, LA RUSSA Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi si è riunito con il ministro della Difesa Ignazio La Russa e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta per discutere sulla situazione in Libia alla luce della risoluzione Onu sulla 'No fly zonè. A quanto si apprende in ambienti governativi. Al'incontro partecipano alcuni alti gradi delle forze armate. VOTO ONU, GOVERNO LIBICO: CI MINACCIA A meno di un'ora dalla sua approvazione, il governo libico ha stasera denunciato come una "minaccia" alla sua unità la risoluzione sulla No Fly Zone approvata ieri sera dal Consiglio di sicurezza dell'Onu. Il vice-ministro degli esteri Khaled Kaaim ha detto all'agenzia Afp che la risoluzione, oltre a mettere a repentaglio l'integrità territoriale del suo paese, costituisce "un invito ai libici ad uccidersi tra di loro". VOTO ONU, FOLLA FESTANTE IN PIAZZA A BENGASI Una folla di sostenitori degli insorti sta festeggiando con canti e grida di giubilo in piazza a Bengasi, accogliendo la notizia dell'approvazione della risoluzione sulla no fly zone in Consiglio di sicurezza dell' Onu. Le immagini in diretta sono state trasmesse dall'emittente Al Jazira, che ha mostrato anche fuochi d'artificio. Dalla folla di migliaia di persone in festa mostrata da Al Jazira si sono levati anche tiri d'arma da fuoco, sparati in segno di gioia. Si vedono anche molte bandiere della monarchia, diventata il vessillo della Rivoluzione del 17 febbraio. IL VOTO ONU La risoluzione che autorizza la 'No fly zonè sulla Libia e ulteriori misure per proteggere la popolazione civile (la numero 1973) è stata approvata con il voto favorevole di 10 Paesi: Francia, Gran Bretagna, Usa, Bosnia, Gabon, Nigeria, Sudafrica, Portogallo, Colombia e Libano. Si sono astenute Russia, Cina, Germania, Brasile e India. ONU: SI' A TUTTI I MEZZI PER PROTEGGERE I CIVILI Tutti i mezzi per proteggere i civili sono autorizzati. Lo ha deciso il Consiglio di sicurezza dell'Onu. ONU AUTORIZZA NO FLY ZONE Il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha autorizzato la No fly zone. EMIRATI ARABI PRONTI AD ATTACCARE Con Francia e Gran Bretagna sarebbero pronti ad attaccare anche gli Emirati Arabi. ESPLOSIONI E CONTRAEREA A BENGASI Tre forti esplosioni sono state avvertite a Bengasi intorno alla mezzanotte (le 23 ora italiana), dopo di che è partito il fuoco della contraerea. I RIBELLI: FERMATE GENOCIDIO "Restiamo saldi dove siamo. Non saremo intimiditi da queste menzogne e da queste asserzioni", ha detto il capo del Cnt, Mustafa Abdel Jalili, riferendosi alle minacce di Gheddafi e agli annunci di riconquista delle città cirenaiche da parte del regime. Secondo Jalili, "le città libiche, da Ajdabiya e in tutto l'est sono sotto il controllo degli insorti". Per il capo del governo provvisorio libico qualunque provvedimento della comunità internazionale che fermi il "genocidio" può solo essere benvenuto. BBC: CON SI' ONU LA GRAN BRETAGNA PUO' ATTACCARE ENTRO POCHE ORE Le forze britanniche potrebbero entrare in azione "entro venerdì" se il Consiglio di sicurezza dell'Onu approverà la risoluzione che autorizza l'imposizione sulla Libia di una 'no fly zone'. Lo riferisce la Bbc. Che poi, citando fonti di Downing Street, puntualizza: l'aeronautica britannica è pronta a sferrare la prima ondata entro poche ore.
SKY NEWS: SI ASTERRANO CINQUE PAESI La risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che autorizza l'istituzione di una no-fly zone sulla Libia con il ricorso all'uso della forza, sembra destinata a passare con l'astensione di Cina, Russia (due dei cinque paesi con diritto di veto), Brasile, India e Germania. Lo riferisce la rete britannica SkyNews citando fonti del Palazzo di Vetro. CONSIGLIO DI SICUREZZA: CHI HA DIRITTO DI VETO Il consiglio di sicurezza dell'Onu è formato da 15 paesi. Cinque hanno il diritto di veto e sono permamenti: Usa, Russia, Gran Bretagna, Francia e Cina. Basta che uno dei cinque paesi eserciti questo diritto e la risoluzione si blocca. Gli altri paesi sono a rotazione. TRIPOLI: ILLEGALE UN INTERVENTO MILITARE Un eventuale intervento militare contro la Libia autorizzato dalle Nazioni Unite sarebbe "illegale e immorale". Non sorprende quanto ha detto stasera a Tripoli Mussa Ibrahim, un portavoce del governo di Gheddafi. IL MINISTRO FRANCESE: CI PREPARIAMO AD AGIRE Il ministro degli Esteri Francese Alain Juppe conferma e quindi è ufficiale: "Ci stiamo preparando ad agire" (riferito anche ai paesi partner) dopo che l'Onu avrà adottato la No fly zone. Tra gli altri paesi potrebbe esserci la Gran Bretagna. E il primo ministro, Francois Fillon auspica un intervento militare subito dopo il sì. FONTE FRANCESE: RAID DOPO IL SI' O DOMATTINA "Dal momento in cui la risoluzione dell'Onu verrà adottata, le azioni militari potrebbero iniziare nel giro di poche ore", ha detto un diplomatico francese e vuole restare anonimo all'Afp. "I raid potrebbero essere effettuati stasera o domani". FONTI NATO: NON CI SARA' INTERVENTO SUBITO L'agenzia Agi, citando fonti della Nato, esclude un attacco nella notte subito dopo il sì dell'Onu: "Non è pensabile un intervento della Nato senza una riunione del Consiglio atlantico", riunione che dovrebbe tenersi domani alla luce della risoluzione Onu. I raid aerei ipotizzati da fonti francesi un minuto dopo l'approvazione della risoluzione, potrebbero quindi essere unilaterali. ATTACCO PRONTO APPENA ARRIVA IL SI' DELL'ONU Un diplomatico francese: appena l'Onu approverà la risoluzione gli attacchi aerei contro le postazioni militari dell'esercito libico potranno scattare subito.
L'ONU VOTA ALLE 23 ITALIANE Come riportano le pagine Twitter delle ambasciate di Gran Bretagna, Francia e Germania alle Nazioni Unite, il voto dovrebbe arrivare alle 18, le 23 in Italia.
GHEDDAFI: NON INSEGUITE I FUGGITIVI Parlando alla tv libica, Gheddafi ha detto ai suoi combattenti di non inseguire i ribelli che depongono le armi e fuggono.
COPIA DELLA BOZZA: BENGASI PROTETTA Usare "tutte le misure necessarie" per proteggere la popolazione civile in Libia e "il divieto di sorvolo per tutti i voli" nello spazio aereo libico. È scritto una copia della bozza di risoluzione su cui il Consiglio di Sicurezza dell'Onu dovrebbe votare. L'agenzia Afp che ha ottenuto una copia del documento, sottolinea che la protezione internazionale dovrebbe essere estesa alla città di Bengasi, capoluogo della Cirenaica.
FONTI FRANCESI: COMUNITA' PRONTA A RAID Non appena ci sarà il via libera dell'Onu, la comunità internazionale si prepara a raid aerei mirati nelle prossime ore contro postazioni dell'esercito libico. Lo hanno riferito fonti diplomatiche francesi citate dall'agenzia France Presse.
GHEDDAFI: STANOTTE ATTACCO, NESSUNA PIETA' Muammar Gheddafi ha annunciato che le sue truppe attaccheranno stanotte Bengasi, la roccaforte dei ribelli. "Arriveremo stanotte", ha detto il Colonnello in un discorso alla Tv di Stato rivolto ai cittadini di Bengasi, minacciandoli che "non avremo pietà per alcuno".
LIBIA: COLPIREMO MILITARI E CIVILI NEL MEDITERRANEO Il ministero della Difesa libico ha detto che in caso di un intervento militare straniero la Libia potrebbe attaccare il traffico aereo e marittimo nel Mediterraneo. Lo rivela l'agenzia libica Jana. "Qualsiasi obiettivo civile e militare sarà colpito. Il bacino del Mediterraneo sarà a rischio non solo nel breve periodo, ma anche a lungo termine", ha dichiarato il portavoce del dicastero. FRANCIA: L'ONU VOTERA' NO FLY ZONE A MAGGIORANZA Secondo l'ambasciatore all'Onu Gerard Araud il Consiglio di sicurezza approverà la risoluzione per una no fly zone sulla Libia, ma non all'unanimità. Intanto, gli ambasciatori del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite hanno interrotto le trattative su una risoluzione che impone una no fly zone in Libia per consultarsi con le rispettive capitali e votare, con ogni probabilità, nelle prossime ore. Lo ha indicato Li Baodong, ambasciatore cinese all'Onu e presidente di turno dei Quindici. Diplomatici americani avevano indicato un possibile voto alle 20:30 italiane, ma ora i diplomatici del Consiglio indicano come orario più probabile le 23. RISCHIO DI UNA CARNEFICINA In Libia rischia di consumarsi una carneficina a danno dei ribelli e dei cittadini. Le forze di Gheddafi sono ad appena 160 chilometri da Bengasi. Secondo la diplomazia francese, una nuova bozza di risoluzione chiede al consiglio di sicurezza dell'Onu di proteggere i civili "con tutti i mezzi". tranne che attraverso l'occupazione del Paese. Se la bozza viene approvata, potrebbe scattare un intervento militare di "Francia, Gran Bretagna, forse gli Usa e uno o più Stati arabi". La Germania ha intanto ripetuto il suo no a un intervento militare e proposto di inasprire le sanzioni, mentre il vicesegretario di Stato degli Usa, William Burns, se il Raìs vince "esiste un pericolo molto serio, oltre agli altri considerevoli rischi, che possa ritornare a essere un terrorista e un violento estremista". ONU: VOTO SU NO FLY ZONE Il voto del Consiglio di Sicurezza dell'Onu sulla risoluzione che impone una no fly zone sulla Libia è atteso per le 15:30 di New York (le 20:30 in Italia). Lo hanno riferito diplomatici della missione americana al Palazzo di Vetro. RASMUSSEN, NATO: SCADE IL TEMPO Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha chiesto al Consiglio di Sicurezza dell'Onu di trovare rapidamente un accordo sulla risoluzione sulla Libia: "Il tempo sta scadendo. Se Gheddafi prevale, si manderà un segnale chiaro che la violenza paga; il che sarebbe inaccettabile da un punto di vista umanitario e democratico". Su Facebook Rasmussen ha ripetuto che la Nato è pronta a proteggere la popolazione civile se ci sono "una necessità dimostrabile, una base legale chiara e un forte sostegno regionale". FORZE DI GHEDDAFI ALLE PORTE DI BENGASI Le forze armate libiche fedeli a Muammar Gheddafi sarebbero ormai alle porte di Bengasi, roccaforte degli insorti contro il regime di Tripoli. Lo ha riferito la tv di Stato. "La città di Zuwaytinah è sotto controllo e le forze armate sono alle porte di Bengasi", ha detto l'emittente Allibya Television Said. Zuwaytinah si trova a 150 chilometri a sud della città simbolo della rivolta contro il colonnello. SCONTRI AD AGEDABIA Trenta persone tra bambini, donne e anziani sarebbero rimaste uccise negli scontri tra rivoltosi e lealisti ad Agedabia, nell'est della Libia. Lo ha riferito Al Arabiya che ha citato un testimone, Abdel Bari Zewi. L'uomo sostiene di aver visto i cadaveri all'ospedale. "Non erano ribelli", ha precisato, aggiungendo di aver visto un centinaio di feriti. Le forze di Gheddafi hanno circondato la città ed è in corso una feroce battaglia con i ribelli", ha concluso. RIBELLI: "ABBATTUTI DUE AEREI" I ribelli libici hanno annunciato l'abbattimento di due aerei delle forze di Gheddafi che stavano cercando di bombardare la città di Bengasi. "La situazione a Bengasi è tranquilla. Le forze di Gheddafi hanno provato a perpetrare un raid aereo sulla città ma la nostra difesa ha respinto l'offensiva e due aerei sono stati abbattuti", ha spiegato un portavoce dei ribelli all'Afp. Una fonte medica, tuttavia, ha riferito che solo un aereo è stato abbattuto dai rivoltosi. "Ci siamo riuniti nella piazza centrale davanti al palazzo di giustizia e il morale è alto", ha detto il medico contattato telefonicamente dall'Afp.Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi si è riunito con il ministro della Difesa Ignazio La Russa e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta per discutere sulla situazione in Libia alla luce della risoluzione Onu sulla 'No fly zonè. A quanto si apprende in ambienti governativi. Al'incontro partecipano alcuni alti gradi delle forze armate. 18 marzo 2011
Nuova strage in Yemen: spari sulla folla, 30 morti * * * * yemen, rivolta Assume le dimensioni di un'autentica strage il bilancio delle vittime della repressione di una manifestazione oggi a San'a, capitale dello Yemen. Secondo fonti mediche le vittime del fuoco di militari e forze dell'ordine è di almeno 30 morti. Il numero dei feriti è nell'ordine delle centinaia. Secondo testimoni ad aprire il fuoco, oltre alle forze dell'ordine, sono dei partigiani del regime. "La maggior parte dei feriti sono stati colpiti alla testa, al collo e al petto" ha detto un medico lasciando capire che chi ha sparato lo ha fatto per uccidere. Anche la polizia, in ogni caso, oltre a sparare lacrimogeni ha usato pallottole vere. 18 marzo 2011
2011-03-17 Truppe pro Raìs vicino Bengasi Nato all'Onu: "Scade il tempo" * * * * bengasi Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha chiesto al Consiglio di Sicurezza dell'Onu di trovare rapidamente un accordo sulla risoluzione sulla Libia: "Il tempo sta scadendo. Se Gheddafi prevale, si manderà un segnale chiaro che la violenza paga; il che sarebbe inaccettabile da un punto di vista umanitario e democratico". Su Facebook Rasmussen ha ripetuto che la Nato è pronta a proteggere la popolazione civile se ci sono "una necessità dimostrabile, una base legale chiara e un forte sostegno regionale". Le forze armate libiche fedeli a Muammar Gheddafi sarebbero ormai alle porte di Bengasi, roccaforte degli insorti contro il regime di Tripoli. Lo ha riferito la tv di Stato. "La città di Zuwaytinah è sotto controllo e le forze armate sono alle porte di Bengasi", ha detto l'emittente Allibya Television Said. Zuwaytinah si trova a 150 chilometri a sud della città simbolo della rivolta contro il colonnello. SCONTRI AD AGEDABIA Trenta persone tra bambini, donne e anziani sarebbero rimaste uccise negli scontri tra rivoltosi e lealisti ad Agedabia, nell'est della Libia. Lo ha riferito Al Arabiya che ha citato un testimone, Abdel Bari Zewi. L'uomo sostiene di aver visto i cadaveri all'ospedale. "Non erano ribelli", ha precisato, aggiungendo di aver visto un centinaio di feriti. Le forze di Gheddafi hanno circondato la città ed è in corso una feroce battaglia con i ribelli", ha concluso. RIBELLI: "ABBATTUTI DUE AEREI" I ribelli libici hanno annunciato l'abbattimento di due aerei delle forze di Gheddafi che stavano cercando di bombardare la città di Bengasi. "La situazione a Bengasi è tranquilla. Le forze di Gheddafi hanno provato a perpetrare un raid aereo sulla città ma la nostra difesa ha respinto l'offensiva e due aerei sono stati abbattuti", ha spiegato un portavoce dei ribelli all'Afp. Una fonte medica, tuttavia, ha riferito che solo un aereo è stato abbattuto dai rivoltosi. "Ci siamo riuniti nella piazza centrale davanti al palazzo di giustizia e il morale è alto", ha detto il medico contattato telefonicamente dall'Afp. 17 marzo 2011
2011-03-15 Riprendono i respingimenti, naufragio: 60 annegati * * * * immigranti sbarchi lampedusa Potrebbe essere più grave con maggiori vittime il naufragio accaduto al largo della Tunisia la notte tra domenica e lunedì di cui hanno dato testimonianza i tunisini giunti ieri sera a Lampedusa. Le barche partite da Zarzis infatti, secondo quanto spiegano alcune fonti locali, avevano a bordo almeno 60-70 persone (e non come si riteneva una quarantina) e quindi le persone disperse, fatta eccezione per i cinque recuperati da un'altra barca, potrebbero essere di più. Qui a Zarzis l'attesa di amici e parenti dopo le notizie dell'incidente in mare si fa sempre più preoccupante, tutti aspettano da quelli arrivati sull'isola siciliana un messaggio o una telefonata che in qualche modo rassicurerebbe le famiglie restate qui. Il ministero dell'Interno ha chiesto ai ministeri della Difesa e dei Trasporti di evitare l'ingresso in acque italiane della nave marocchina con 1.800 maghrebini, partita dal porto libico di Misurata ed ora in acque internazionali, fino a quando non ci siano "elementi di certezza" sulla nazionalità dell'imbarcazione e sul suo trasporto. Lo si apprende dal Viminale, che ha pregato anche il ministero degli Esteri di assumere contatti con lo Stato di bandiera della nave per avere anche in questo caso elementi di certezza. Una nave della Marina militare italiana, il pattugliatore Sfinge, sta monitorando la situazione venutasi a creare. "Il governo fornisca chiarimenti sulla vicenda della nave marocchina partita oggi da Tripoli con oltre 1800 passeggeri a bordo, alla quale per adesso le autorità italiane intenderebbero negare l'approdo ai porti siciliani"ha fatto sapere Emanuele Fiano, presidente forum Sicurezza del Partito Democratico, che prosegue: "Vogliamo capire se su quella nave si trovino persone che scappano da situazioni di emergenza e quindi con lo status di rifugiati oppure persone con altro tipo di condizione. Il governo faccia sapere quali sono le notizie in suo possesso". 15 marzo 2011
Mar 15 marzo, aggiornato ore 12:11 Meteo Nubi sparse Roma 10° 19° Mosca: al bando Gheddafi e famiglia Raìs: petrolio a India, Cina e Russia * * * * gheddafi pugno 640 LA DIRETTA GHEDDAFI OFFRE PETROLIO A INDIA, CINA E RUSSIA Il leader libico Gheddafi ha invitato le aziende di Cina, Russia, India a venire nel paese per sfruttare le risorse di greggio libico dopo l'abbandono del paese da parte della maggior parte delle compagnie straniere. Lo conferma l'agenzia ufficiale libica Jana. "Il capo della rivoluzione ha ricevuto ieri gli ambasciatori di Cina, Russia, India con i quali ha esaminato l'evoluzione delle relazioni bilaterali e ha invitato le società di questi paesi a venire a sfruttare il petrolio liboco" dice la Jana senza entrare nei dettagli. RUSSIA METTE AL BANDO GHEDDAFI E FAMIGLIA Il presidente russo Dmitri Medvedev ha annunciato oggi che il leader libico Muammar Gheddafi e la sua famiglia non potranno entrare in Russia e che sarà bandita la possibilità di condurre operazioni finanziarie libiche in territorio russo.
La cronaca di ieri TV, STRANIERI TORNATE A CARICARE PETROLIO La televisione di stato libica ha affermato oggi che i porti petroliferi nel Paese sono "sicuri" e stanno riprendendo le attività dopo la fine degli "atti di sabotaggio". Ha quindi invitato le compagnie petrolifere a tornare a caricare il greggio e i lavoratori degli impianti a tornare al lavoro.
TV DI STATO, BREGA STRAPPATA AGLI INSORTI La tv di Stato libica ha annunciato che la città di Brega, nell'est, è stata "ripulita delle bande armate".
BREGA SOTTO LE BOMBE, DECINE DI INSORTI SI RITIRANO Decine di insorti si stanno ritirando da Brega, nella Libia orientale, dopo massicci bombardamenti da parte delle forze fedeli a Gheddafi alle porte della città. Lo ha constatato un corrispondente della France Presse sul posto.
******* LA CRONACA DI IERI INSORTI: GHEDDAFI FA GUERRA PSICOLOGICA Il Consiglio Nazionale Provvisorio di Bengasi, che raggruppa le forze di opposizione al regime libico, ha accusato Muammar Gheddafi di aver intrapreso una "guerra psicologica" con l'intento di minare il morale degli insorti. "Il popolo libico non ha paura", ha dichiarato il numero due del Consiglio transitorio, che ha stigmatizzato il voto contrario di Algeria e Siria alla decisione, adottata oggi dalla Lega Araba, di considerare il Consiglio un interlocutore a tutti gli effetti e di avviare contatti diretti. USA E OCCIDENTE: BENE LEGA ARABA MA NON BASTA Stati Uniti e paesi occidentali del Consiglio di Sicurezza dell'Onu si sono detti soddisfatti per la decisione della Lega Araba di chiedere ufficialmente l'istituzione di una no-fly zone internazionale sui cieli della Libia, giudicandola però un insufficiente per essere un passo decisivo. BENGASI, UCCISO CAMERAMAN AL JAZIRA Un cameraman della tv satellitare qatariota Al Jazira, Ali Hassan Al Jabir, è stato ucciso oggi in un'imboscata nella regione di Hawari, vicino a Bengasi, mentre curava un reportage. Ne ha dato notizia da Doha la stessa rete tv. Un'altra persona è stata ferita. LEGA ARABA, AVREMO CONTATTI CON CNT Il Consiglio ministeriale della Lega ha affermato di voler aprire "canali di contatto con il Consiglio Nazionale Libico per aiutare il popolo libico". Lo ha detto all'ANSA una fonte diplomatica araba.
LEGA ARABA FAVOREVOLE A 'NO-FLY ZONE' La Lega araba è favorevole a una 'no-fly zonè in Libia e ad aprire le negoziazioni con il Consiglio nazionale transitorio che raggruppa l'opposizione al regime di Muammar Gheddafi. Lo hanno dichiarato alcuni diplomatici che al Cairo, in Egitto, partecipano al vertice straordinario dell'organizzazione.
RAS LANUF DI NUOVO NELLE MANI DI GHEDDAFI Ras Lanuf sarebbe di nuovo nelle mani delle forze leali a Gheddafi. A darne notizia sono Sky News e al-Jazeera, che citano fonti dell'opposizione. Secondo la tv araba, anche l'altro centro petrolifero di Brega, teatro di durissimi combattimenti fino a una settimana fa, sarebbe stato riconquistato dai militari pro-regime nella mattinata di oggi, quando i rivoltosi sono stati costretti alla ritirata da intensi bombardamenti e fuoco d'artiglieria. TUTTI I VIDEO SULLA LIBIA Gli altri articoli: - Veltroni: "In piazza per la Libia" - L'appello: abolire mercenari e contractors
OPPOSIZIONE, FORZE GHEDDAFI ATTACCANO MISURATA Le forze di Gheddafi continuano la controffensiva. Dopo aver continuato a martellare tutta la giornata Ras Lanuf con raid aerei, sono passati ad attaccare anche la città di Misurata controllata dai ribelli. OMAN, UN "INTERVENTO ARABO" SENNÒ ARRIVANO STRANIERI Gli Stati arabi devono intervenire in Libia attraverso la Lega Araba e in linea con il diritto internazionale perchè la crisi libica rappresenta una minaccia alla stabilità di tutti gli Stati arabi. Lo ha detto il ministro degli esteri dell'Oman. "Ciò che è necessario è un intervento arabo, utilizzando meccanismi della Lega Araba e allo stesso tempo ai sensi del diritto internazionali", ha detto il ministro Youssef bin Alawi bin Abdullah, nel suo discorso di apertura della riunione della Lega Araba al Cairo. "Alla luce di ciò, dobbiamo analizzare le varie opzioni che le circostanze , in Libia, richiedono". Se il mondo arabo non interverrà, è stato il suo monito, l'inazione potrebbe portare a "un intervento non voluto degli stranieri". APERTA RIUNIONE STRAORDINARIA LEGA ARABA Si è aperta al Cairo la riunione straordinaria della Lega Araba per discutere della possibilità di imporre una zona di esclusione aerea sulla Libia e del riconoscimento del Consiglio Nazionale di Transizione (Cnt) libico di Bengasi. Il delegato dell'Oman ha dichiarato che è richiesto un "intervento arabo" in Libia da compiere attraverso la Lega Araba e rispettando le leggi internazionali. La Libia non è rappresentata nella riunione. ASHTON, PER UE RIBELLI BENGASI NON UNICO INTERLOCUTORE Pur considerando come "interlocutore" il Comitato nazionale di transizione di Bengasi, l'Unione Europea è pronta a parlare con altre forze sul terreno libico per contribuire ad una soluzione della crisi. Lo ha detto il capo della diplomazia europea, Catherine Ashton, concludendo oggi a Budapest il consiglio informale dei 27 ministri degli Esteri europei. Quanto ad eventuali ulteriori sanzioni contro il regime di Gheddafi, la Ashton ha osservato - in una conferenza stampa - che è necessario intanto valutare "l'efficacia di quelle già adottate". FRATTINI, MINACCE FIGLIO RAIS? TENTATIVO LEGITTIMARSI Le nuove minacce del figlio di Gheddafi, Seif Al Islam, all'Italia sono solo "il tentativo di legittimare un regime che l'Unione europea ha detto che non può essere legittimato": è quanto ha dichiarato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, commentando una intervista in cui il rampollo del Rais annuncia anche che la Libia lascerà le porte aperte all'emigrazione verso l'Europa e che ora Tripoli controlla già il 90% del territorio libico. Su questo ultimo punto, ha detto Frattini, si spera che una commissione ispettiva dell'Onu verifichi effettivamente quale è la situazione sul campo. RIBELLI CHIEDONO RICONOSCIMENTO A LEGA ARABA E NO-FLY ZONE Il Consiglio Nazionale Transitorio dei ribelli libici di Bengasi ha chiesto alla Lega Araba di pronunciarsi a favore dell'imposizione di una no-fly zone sulla Libia e di riconoscerli come soli rappresentanti legittimi del Paese. Nel pomeriggio al Cairo si riuniranno i ministri degli esteri dei Ventidue senza i rappresentanti di Gheddafi che non sono stati invitati. RIBELLI SI RITIRANO DA CENTRO PETROLIFERO DI RAS LANUF I ribelli libici si sono ritirati dal centro petrolifero di Ras Lanuf, dove una raffineria sta ancora bruciando e dove le forze di Muammar Gheddafi sembrano aver ripreso il controllo. Quattro ribelli nel villaggio di Uqayla, sulla strada costiera tra Brega e Ras Lanuf, hanno riferito di aver lasciato la città dopo pesanti combattimenti e dopo che le forze di governo hanno espugnato la città giovedì scorso. Una scia di fumo era visibile a ovest di ras lanuf dove una raffineria di petrolio è stata colpita da un attacco aereo. AL JAZEERA: FORZE GHEDDAFI CONQUISTANO BREGA I guerriglieri dell'opposizione stanno perdendo terreno nella battaglia in corso in Cirenaica contro le forze regolari e i miliziani al soldo di Gheddafi. Secondo Al Jazeera International anche Brega, centro petrolifero cruciale e teatro di durissimi combattimenti fino a una settimana fa, sarebbe stata riconquistata dai militari pro-regime nella mattinata di oggi, quando i rivoltosi sono stati costretti alla ritirata da intensi bombardamenti e fuoco d'artiglieria. L'inviato dell'emittente satellitare con sede in Qatar, Nick Clark - che attualmente si trova comunque a Tobruk, quindi a est di Bengasi - ha sostenuto che le forze del Colonnello "sono ormai a buon punto nell'avanzata" verso il capoluogo della Cirenaica, roccaforte del movimento del 17 febbraio. SI COMBATTE A RAS LANUF; OGGI RIUNIONE LEGA ARABA Non si fermano le violenze sul fronte orientale della guerra civile libica: intensi combattimenti sono in corso fra i guerriglieri dell'opposizione e le forze fedeli a Gheddafi a Ras Lanuf. La Bbc riferisce di bombardamenti da parte dell'aviazione del colonnello su una raffineria e un checkpoint dei rivoltosi vicino al centro petrolifero, l'avamposto della resistenza 350 chilometri a ovest di Bengasi. L'inviato della Bbc, Jon Leyne sostiene che gli uomini di Gheddafi starebbero prevalendo nella dura battaglia costringendo i combattenti pro-democrazia alla resa. Ovviamente se il Colonnello riuscisse a rientrare in possesso della città sarebbe un risultato fondamentale, ai danni dell'opposizione che controlla gran parte della Cirenaica. All'inizio della settimana, i regolari e i miliziani africani assoldati dal rais avevano riconquistato anche Zawiyah, 48 chilometri a ovest di Tripoli. Alcuni testimoni, via twitter, riferiscono oggi di nuovi bombardamenti a Uqaylah e, ancora più ad est, vicino a Brega. Sul fronte diplomatico è attesa per oggi la riunione della Lega Araba. In un'intervista al settimanale tedesco Spiegel il segretario generale Amr Moussa ha difeso l'opzione militare di una no fly zone per la Libia e preannuncitoa che la sua organizzazione internazionale potrebbe "giocare un ruolo". "Non so come né chi imporrà una zona simile, vedremo. Anche la Lega Araba potrebbe avere un ruolo, cosa che mi auguro". Parlo di un'azione umanitaria - ha proseguito il diplomatico egiziano - una no fly zone equivale ad appoggiare il popolo libico nella sua lotta per la libertà e contro un regime sempre più pericoloso". Quanto a chi dovrebbe assumere la guida di una simile operazione, Moussa si è limitato a rispondere: "Questo dipende da ciò che deciderà il Consiglio di sicurezza (dell'Onu). Onu, Lega Araba, Unione africana, gli europei, tutti dovrebbero partecipare" ha sostenuto l'egiziano. I ministri degli Esteri arabi si riuniranno oggi al Cairo per discutere della questione. Finora la Lega Araba aveva fatto sapere della sua disponibilità a mettere in atto una no fly zone, pur sottolineando la propria ferma opposizione a qualsiasi intervento militare in Libia. dalla riunione della Lega Araba sono stati esclusi. I delegati di Gheddafi. Ieri i leader europei hanno aumentato la pressione su Muammar Gheddafi accettando di dialogare con l'opposizione ed evocando con una certa prudenza l'opzione militare per proteggere i civili, anche se fra i Ventisette restano pesanti divisioni. GHEDDAFI: COMPLOTTO COLONIALISTA DEGLI OCCIDENTALI Il leader libico Muammar Ghaddafi ha accusato gli occidentali, in particolare la Francia, di condurre "un complotto colonialista" contro il suo paese. In un'intervista diffusa questa mattina dal network francese LCI, il colonnello ha spiegato che la comunità occidentale "vuole colonizzare nuovamente la Libia". "C'è un complotto colonialista", ha aggiunto. A proposito di eventuali misure di rappresaglia contro la Francia, per il sostegno dato agli insorti di Bengasi, Ghaddafi ha risposto con un laconico: "si vedrà", pur dicendosi intenzionato a compiere future "visite" in Europa quando "tutto ciò sarà terminato". DELEGATI DI GHEDDAFI ESCLUSI DAL VERTICE DELLA LEGA ARABA La delegazione del leader libico Muammar Gheddafi non sarà autorizzata a partecipare al vertice della Lega araba in programma oggi al Cairo. Lo hanno fatto sapere funzionari dell'organizzazione panaraba, ricordando che la Libia è stata sospesa il 2 marzo scorso. Gheddafi ha inviato nella capitale egiziana Salma Rashed, per sostituire l'ex ambasciatore Abdel Moneim al Honi, che si è dimesso per protesta contro la violenza usata dal regime sui manifestanti, e il suo ministro per l'Elettricità, Omrane Abu Kraa. I Paesi arabi discuteranno oggi l'ipotesi di imporre una zona di interdizione di volo sulla Libia. AL JAZIRA, NUOVI BOMBARDAMENTI TRA BREGA E RAS LANUF Aerei libici hanno bombardato in serata alcune postazioni degli insorti situate tra Brega e il centro petrolifero di Ras Lanuf, nell'est del paese, stando a quanto riferisce la tv satellitare araba Al Jazira senza fornire altri particolari. L'emittente Al Arabiya, dal canto suo, ha dato notizia dell'uccisione di sei ribelli a Brega e Ras Lanuf senza collegarli tuttavia a un radi aereo. GHEDDAFI RISPONDE A SARKOZY, SOSPESI RAPPORTI ANNUNCIO DOPO RICONOSCIMENTO CONSIGLIO PROVVISORIO Non si è fatta attendere la riposta di Muammar Gheddafi a Nicolas Sarkozy: la Libia ha infatti oggi annunciato di avere "sospeso" i rapporti diplomatici con la Francia dopo il riconoscimento ieri accordato dal capo dell'Eliseo al Consiglio Nazionale Libico degli insorti insediatosi a Bengasi. L'annuncio è stato dato dal vice-ministro degli esteri Khaled Kaaim che, in una conferenza stampa a Tripoli, ha detto che il suo governo "incaricher… un paese terzo" di rappresentare gli interessi libici a Parigi. "È chiaro che la Francia punta a dividere la Libia", ha poi affermato. Con una mossa a sorpresa che ha spiazzato anche i partner europei, Sarkozy ieri aveva deciso di accordare il proprio riconoscimento al Consiglio provvisorio che gli oppositori di Gheddafi hanno costituito a Bengasi, il capoluogo della regione ribelle della Cirenaica dove Parigi potrebbe addirittura trasferire la propria ambasciata. Gi… ieri il vice-ministro aveva criticato aspramente la decisione. "Il Consiglio rappresenta solo se stesso, non rappresenta nessuna regione della Libia, nemmeno all'est", ha ribadito oggi. Assieme al premier britannico David Cameron, ieri sera Sarkozy aveva invitato i partner europei a riconoscere gli insorti quale "valido interlocutore politico". Stando alle a indiscrezioni del settimanale Nouvel Obesrvateur, inoltre, Sarkozy aveva proposto agli altri paesi Ue di non escludere "bombardamenti mirati" contro la Libia. Dopo essersi inizialmente dichiarata contraria, la Francia si è inoltre convertita all'imposizione di una 'no fly zonè sui cieli libici per impedire agli aerei e agli elicotteri di Gheddafi di attaccare gli insorti e i centri abitati occupati dai ribelli. Al vertice straordinario tenuto oggi a Bruxelles, i 26 partner della Francia si sono guardati bene dal seguire Sarkozy su tutta la linea. Non sono state prese decisioni concrete sulla zona di interdizione al volo nè sul riconoscimento formale del Consiglio di Bengasi come unico e legittimo rappresentante del popolo libico. Gheddafi comunque è stato invitato ad andarsene in quanto "interlocutore non più valido" e una qualche forma di contatto con i suoi oppositori ci sarà. Nella conferenza stampa, Kaaim ha detto che una risposta ufficiale alla Ue arriver… domani. Nel frattempo ha duramente criticato la BBC accusandola di diffondere notizie false, ed è tornato a minacciare rivelazioni sui "gravi segreti" della campagna elettorale di Sarkozy che già erano stati preannunciati dall'agenzia ufficiale Jana. LIBIA: UE APRE A BENGASI, RAIS DELEGITTIMATO: "VADA VIA" Più che con le bombe di Sarko, è per asfissia finanziaria e diplomatica che l'Occidente cerca di cacciare Gheddafi. Il vertice europeo straordinario dei 27 leader d'Europa convocato per la Libia "sull'orlo della guerra civile", come l'ha definita Van Rompuy, apre al Cnt di Bengasi e disconosce il sanguinario colonnello di Tripoli che sventra Zawiya: "Il suo regime ha perso ogni legittimità e non è più un interlocutore per la Ue". Parole forti, per il linguaggio diplomatico. Ma il riconoscimento del 'governò dei ribelli è ancora lontano. Secondo Sarkozy è "l'interlocutore politico". Nel documento finale e nelle parole del presidente permanente il Cnt è "un" interlocutore. Va valutata la rappresentatività di quegli "ex ministri di Gheddafi" che guidano l'insurrezione. Allo scopo si sta preparando una missione Ue proprio a Bengasi, a breve. I 27 invece frenano sulle azioni militari che Sarkozy ( con il quale Tripoli in serata interrompe le relazioni) e Cameron vorrebbero lanciare subito. È Angela Merkel, col sostegno - tra gli altri - di Berlusconi, Zapatero e dell'austriaco Faymann a riallineare l'Europa sulle posizioni di Stati Uniti e Nato. Cautela necessaria quando l'Unione Africana ha già detto no all'interventismo e quando domani sarà la Lega Araba a tenere al Cairo il suo vertice straordinario sulla crisi libica. Cautela sottolineata dalla richiesta di avere "al più presto" un supervertice tra Ue, Unione Africana e Lega Araba. È solo con il consenso del mondo arabo che si può intervenire sulla sponda sud del Mediterraneo. Dove, comunque, c'è già qualcuno che si muove nella direzione giusta: il re del Marocco, ad esempio, che nel documento viene congratulato per aver deciso di avviare una revisione della costituzione. In attesa del via libera delle Nazioni Unite (dove il vero ostacolo per una nuova e più decisa risoluzione è la Cina, più che la Russia possibilista) gli stati membri "esamineranno tutte le necessarie opzioni" per fermare chi bombarda la sua gente e, centrando i suoi stessi pozzi petroliferi, l'economia mondiale. Così, mentre la Nato continua a fare i piani per il blocco navale e/o la 'no-fly zonè (per quest'ultima saranno pronti martedì, secondo Hillary Clinton), l'Europa sceglie le stesse regole di ingaggio decise ieri dall'Alleanza Atlantica. Prima di intervenire sarà necessario che ci siano: una "dimostrata necessità", "una chiara base legale" e, appunto, "il supporto della regione". L'azione vera, per ora, resta quella politico-finanziaria. Così è David Cameron, che ieri si era allineato sull'interventismo di Sarkozy, a rilanciarla: nella conferenza stampa post vertice chiede che la Ue e la comunità internazionale applichino "sanzioni petrolifere". Significa dire a Gheddafi che l'Occidente può fare a meno del suo petrolio. Proprio nel giorno in cui entra in vigore il blocco delle attività delle sue casseforti (dal fondo nazionale sovrano alla Lafico), il premier britannico propone di aggiungere la compagnia petrolifera nazionale all'elenco delle 5 società e delle 27 persone di cui sono stati congelati i beni e le attività finanziarie. Quella di Cameron è comunque iniziativa tutta da discutere. Resta un documento finale di cui l'Italia è pienamente soddisfatta. Il presidente Napolitano approva. E per di più Berlusconi incassa la "concreta solidarieta" che i 27 finalmente si impegnano a dare agli stati "più direttamente esposti" ai movimenti migratori, con tanto di consiglio Giustizia e Affari interni straordinario da tenersi al più presto per trovare le risorse necessarie. Secondo le fonti Onu, sono già 250.000 le persone che hanno lasciato la Libia. Ed ora anche quelli che due settimane fa dicevano a Maroni che l'Italia esagerava nelle cifre riconoscono che "la Ue e gli stati membri" devono "essere pronti a dare tutto il necessario supporto". Ed il premier italiano si può togliere anche la soddisfazione di ricordare agli altri 26 leader europei che l'Italia è stata la prima a decidere e realizzare i campi di aiuto per i profughi. Invitando gli altri "a fare altrettanto". LA DIRETTA DI IERI
Libia, G8 rinuncia all'intervento militare Raid aereo contro Ajdadiya, ucciso un ribelle * * * * libia ribelli box RAID AEREO CONTRO AJDADIYA: ALMENO UN MORTO L'aviazione libica ha effettuato un raid aereo contro Ajdadiya, l'ultima roccaforte dei ribelli a protezione della capitale della Cirenaica Bengasi. Si registra almeno un morto. Al Jazeera riferisce che i ribelli stanno fortificando la cittadina preparandosi a un attacco di terra. Un portavoce dei ribelli parla in ogni caso di scontri "intermittenti" lungo la strada che da Brega porta a Ajdabiya. Negli ultimi due giorni l'esercito Libico ha riconquistato Brega e diversi altri centri dell'est del paese e ora sta puntando verso Bengasi. G8, NESSUN ACCORDO SU INTERVENTO MILITARE Le potenze riunite nell'ambito del G8 non hanno trovato un accordo su un possibile intervento militare in Libia. Lo ha dichirato il capo della diplomazia franncese Alain Juppé che ha ammesso di non essere riuscito "a convincere" gli altri paesi su questo punto. La Francia è l'unico paese del G8 ad aver formalmente riconosciuto il Consiglio nazionale di transizione libico (Cnt). Secondo quanto scrivono oggi vari organi di stampa, il Cnt avrebbe fatto tre ordini di richieste alle potenze occidentali: a) una no-fly zone b) raid aerei tattici contro le risorse militari libiche c) un raid contro il bunker del colonnello Gheddafi. GHEDDAFI AL GIORNALE: "TRADITO DA BERLUSCONI" Nel caso in cui i governi occidentali si dovessero comportare "come in iraq, la Libia uscirà dall'alleanza internazionale contro il terrorismo. Ci alleiamo con Al Qaeda e dichiariamo la guerra santa", dice in un'intervista al Giornale il leader libico precisando che gli insorti, ormai, "non hanno speranze" perchè "il popolo" è dalla sua parte. Riguardo ai rapporti con l'Italia, Gheddafi ha poi anche affermato di sentirsi "tradito dagli amici europei e da Silvio Berlusconi", auspicando che, in futuro, il popolo libico possa riconsiderare "i legami economici e finanziari e anche quelli nel campo della sicurezza con l'occidente". FUMATA NERA ALL'ONU, MANCA L'ACCORDO SULLA NO-FLY ZONE Fumata nera al Consiglio di sicurezza dell'Onu: i 15 membri non hanno trovato un accordo sull'imposizione di una No fly zone sui cieli libici. Al Palazzo di Vetro di New York il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha tenuto una seduta a porte chiuse per discutere l'opzione caldeggiata soprattutto dalla Francia, che si fa forte del pieno sostegno al divieto di sorvolo da parte della Lega Araba, la quale ha anzi chiesto all'unanimità allo stesso Consiglio di varare il provvedimento. Dopo la sessione, l'ambasciatore francese al Palazzo di Vetro, Gerard Araud, si è detto ancora fiducioso sulla possibilità di arrivare ad una intesa. "È possibile, con c'è un rifiuto totale. C'è preoccupazione, ci sono domande, ma stiamo andando avanti", ha commentato. L'ambasciatore russo Vitaly Churkin ha detto ai giornalisti che il Consiglio non è ancora in grado di votare perchè alcuni membri hanno chiesto maggiori informazioni sul modo in cui si intende attuare l'eventuale No fly zone. "Servono risposte a questioni fondamentali, non solo ciò che dobbiamo fare, ma in che modo", ha spiegato Churkin, aggiungendo che "in mancanza di questi dettagli o risposte a queste domande è volto difficile prendere una decisione responsabile". In particolare i chiarimenti sono stati chiesti proprio dalla Russia, e dal Canada. RAPPRESENTANTI TRIBÙ, BASTA BAGNO SANGUE "Occorre fermare ora il bagno di sangue e impedire la guerra civile", lo ha detto il capo del Comitato per il dialogo in Libia, Bashir Ali Tammani. "Se dicessi che non è vero che si combatte e che non sta scorrendo il sangue mentirei" ha affermato il capo del Consiglio costituito dai rappresentanti delle tribù per risolvere la crisi in atto nel paese. "Fino a poco tempo fa questa era una nazione sicura, senza tribù o gruppi divisi, ma una sola famiglia", ha aggiunto il capo del Consiglio. Secondo il comitato, che precisa di non rappresentare lo stato libico ma il popolo, la crisi nel paese è originata da tre grandi gruppi: "c'è chi ha legittime richieste e con loro stiamo parlando. Ma c'è anche un movimento armato che si è fatto trascinare nella violenza da un gruppo meno consistente che punta alla divisione del paese", ha sottolineato Tammani. Il comitato rinnova poi l'offerta agli insorti: "Lasciate le armi e vi accoglieremo a braccia aperte. Ma chi vuole o auspica l'intervento straniero di fatto si pone al di fuori della Nazione". TESTIMONE, FORZE DI GHEDDAFI CONTROLLANO ZUWARAH Le forze leali a Muammar Gheddafi hanno preso ormai il controllo di Zuwarah, ultimo baluardo dei rivoltosi in Tripolitania, dopo la caduta della strategica Zawiyah. Lo ha riferito Tarek Abdallah, lo stesso testimone che aveva annunciato l'ingresso in città dei blindati del colonnello. Ma mentre secondo la prima testimonianza era ancora in corso la battaglia con i rivoltosi, ora "Zuwarah è nelle mani delle truppe governative", ha detto Abdallah. "Non sappiamo quello che ci succederà e temiamo che saranno commessi dei crimini. Speriamo e preghiamo Dio che non sia così". MISSIONE LAMPO UE A BENGASI, INCONTRATI CAPI CNT È stata una missione-lampo quella inviata dalla rappresentante per la politica estera della Ue, Catherine Ashton, a Bengasi e alla frontiera libico-egiziana. Guidati da Agostino Miozzo, l'italiano responsabile del centro europeo per la gestione delle crisi, alcuni membri del servizio diplomatico europeo sono arrivati ieri nella città che ospita il Consiglio nazionale di transizione libico (Cnt), che venerdì scorso è stato riconosciuto dal Consiglio europeo dei capi di stato e di governo come "un interlocutore politico" dopo la delegittimazione da parte della Ue del colonnello Gheddafi. Nella serata di oggi la missione si è diretta in macchina verso il Cairo, da dove domani in tarda mattinata rientrerà a Bruxelles. "Ho incontrato i responsabili del Cnt ed i rappresentanti della Croce Rossa internazionale presenti a Bengasi", ha detto Miozzo raggiunto telefonicamente dall'ANSA. "In città il clima era teso. Domattina farò il mio rapporto alla baronessa Ashton", ha aggiunto. Obiettivo della missione, secondo quanto reso noto dalla portavoce della 'ministra degli esterì della Ue, era quello di "raccogliere informazioni e di valutare la situazione allo scopo di sostenere una prudenziale pianificazione delle risposte da dare alla crisi libica". In tale pianificazione, secondo altre fonti, rientra anche l'istituzione di una no-fly zone, argomento che dovrebbe essere trattato stasera in una riunione dei ministri degli esteri del G8 a Parigi. Durante il vertice di venerdì scorso, a fronte dell'interventismo manifestato dal presidente francese Nicolas Sarkozy e dal premier britannico David Cameron, era stata soprattuto la cancelliera tedesca Angela Merkel (sostenuta da Italia, Spagna, Grecia, Malta e Grecia) a manifestare scetticismo nei confronti di un intervento di carattere militare. Nel documento finale del vertice comunque si indicava che la Ue ed i suoi stati membri avrebbero esaminato "tutte le necessarie opzioni" per fermare chi bombarda la sua gente.
Le forze del colonnello Gheddafi hanno attaccato la città di Zuwarah, 100 km a ovest di Tripoli, vicino al confine con la Tunisia. Il prossimo obiettivo, secondo fonti del governo libico che ha affermato di poter contare su 100 mila volontari, è Ajdabya, 250 km a sudovest di Bengasi. A Parigi il G8 dei ministri degli Esteri affronta la crisi libica. Prima del vertice, incontro del segretario di stato Usa Hillary Clinton con il presidente francese Sarkozy. Secondo il ministro degli Esteri Frattini "l'unica soluzione" "‚ un cessate il fuoco immediato che si accompagni ad una misura internazionale". La Germania ha ribadito la sua contrarietà alla no fly zone; il ministro inglese Hague ha detto che le potenze occidentali dovrebbero discutere la possibilità di armare la ribellione. Stamani Bankitalia ha disposto l'amministrazione straordinaria per Ubae bank, controllata dalla Lybian Foreign Bank e nel cui azionariato figurano Unicredit e Intesa Sanpaolo. 14 marzo 2011
Gheddafi offre amnistia a ribelli e rompe le relazioni con la Francia * * * * libia ribelli box Obama interviene di persona: evitare un genocidio come avvenne nuovo Ruanda. Attacchi aerei delle forze di Gheddafi sempre più frequenti. L'Unione europea pronta a dialogare con i ribelli, non ancora al loro riconoscimento. Ma dichiara prioritaria la sicurezza dei cittadini libici. 'Bengasi stiamo arrivando'. Il figlio di Gheddafi, Saif al Islam, preannuncia un attacco totale contro gli insorti. E mentre la Nato spiega che le azioni militari arriveranno solo con un mandato dell'Onu, la Francia si dice pronta a colpire, anche da sola. E il raìs sospende le relazioni diplomatiche con Parigi. TUTTI I VIDEO SULLA LIBIA Gli altri articoli: - Veltroni: "In piazza per la Libia" - L'appello: abolire mercenari e contractors E in una lettera congiunta all'Ue, Sarkozy e Cameron chiedono al Raìs di andarsene. La Casa Bianca annuncia: contatti diretti con gli insorti. Parlamento europeo: prepararsi a possibile istituzione di una 'no-fly zone'. E per le monarchie del Golfo il regime libico ha perso la sua legittimità e devono essere stabiliti contatti con gli insorti. Le forze fedeli a Gheddafi continuano intanto a martellare dall'aria e dal mare le postazioni dei ribelli attorno alla città petrolifera di Ras Lanuf, e l'offensiva si spinge sempre più a est, mentre in Tripolitania il regime assicura di aver riconquistato Zawiya. GHEDDAFI OFFRE AMNISTIA A RIBELLI SE DEPONGONO LE ARMI Gheddafi offre l'amnistia ai ribelli se depongono le armi. Lo ha riferito la tv libica Al-Shababiya in un'ultim'ora sulla parte bassa dello schermo che recita: "Chiunque deporrà le armi non sarà punito e possa Hallah perdonarlo per i suoi atti precedenti". WASHINGTON CONGELA ASSET MOGLIE GHEDDAFI Gli Stati Uniti rafforzano le sanzioni nei confronti di Muammar Gheddafi e congelano gli asset (punti forti di un'azienza) della moglie e di altri nove libici. Lo comunica il Tesoro. GHEDDAFI ROMPE RELAZIONI CON FRANCIA PARIGI DETTA PRONTA A BOMBARDARLO Il governo di Gheddafi ha deciso di sospendere le relazioni diplomatiche con la Francia: lo annunciato il viceministro degli Esteri Khaled Kaaim. Parigi ha riconosciuto il governo degli insorti e si è detta pronta a bombardare le forze del colonnello. L'INVIATO ONU: "FINE STRAGI" PRONTO A INCONTRARE "TUTTE LE PARTI" Abdul Ilah Kathib è il nuovo inviato dell'Onu in Libia. L'obiettivo prioritario della sua missione nel Paese, la prossima settimana, sarà "porre un termine alle stragi", oltre a "mantenere l'unità del popolo libico e l'integrità territoriale della loro nazione". Il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, ha detto che l'inviato, ex ministro degli Esteri della Giordania "si concentrerà a porre fine alle violenze, ma mi aspetto un suo impegno in una dimensione più ampia della crisi, anche politica". Rispondendo ai giornalisti, Kathib si è detto pronto "a incontrare tutte le parti", insorti compresi. OBAMA: EVITIAMO CHE LIBIA SIA UN NUOVO RUANDA In Libia bisogna evitare un nuovo Ruanda (dove ci fu un autentico genocidio con un milione di morti) e una guerra come quella che ha devastato i Balcani negli anni Novanta. Lo ha detto il presidente degli Stati Uniti Barack Obama in una conferenza stampa oggi a Washington, aggiungendo che occorre seguire da vicino gli sviluppi in Libia, mentre le decisioni dovranno essere prese caso per caso NAPOLITANO CONCORDA CON L'UE: GHEDDAFI NON PUO' GOVERNARE Il presidente Napolitano ha espresso apprezzamento per la presa di posizione del Consiglio europeo sulla crisi nel Maghreb, sottolineando che le decisioni si muovono in coerenza con gli orientamenti assunti dal Consiglio supremo di difesa, in particolare per quanto riguarda la "perdita di ogni legittimazione a governare" del colonnello Gheddafi. Vivo apprezzamento anche per il "forte accento" posto dal Consiglio Ue sulla "comune responsabilità europea rispetto ai movimenti migratori in atto". SPAGNA (UFFICIOSAMENTE): NO FLY ZONE ANCHE SENZA L'ONU La 'no-fly zone' potrebbe essere imposta alla Libia anche senza una risoluzione delle Nazioni unite: è la posizione ufficiosa della Spagna emersa a margine del vertice straordinario Ue in corso a Bruxelles. "Al momento - spiega una fonte diplomatica iberica - è necessaria una base legale e un appoggio politico, ma se la situazione si aggraverà, non si dovranno più realizzare le condizioni richieste (la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu e l'appoggio chiaro della Lega Araba e dell'Unione Africana) ma si potrebbe agire altrimenti". PREMIER MALTESE: NOI RIFIUTATO RICHIESTA DI MEDIAZIONE DI GHEDDAFI Il governo maltese ha rifiutato una richiesta del colonnello Muammar Gheddafi di fare da mediatore con l'Unione europea. "Ho detto chiaramente di no al governo libico", ha dichiarato il Primo ministro maltese Lawrence Gonzi alla fine di un incontro privato a Bruxelles con il Presidente della Commissione europea Jose Manuel Durrao Barroso RAFFINERIA DI ZAWIA RIPRENDE L'ATTIVITA' L'importante raffineria di Zawia (40 chilometri a ovest di Tripoli) ha ripreso la normale attività dopo essere stata bloccata a causa dei combattimenti. Lo ha annunciato oggi il maggiore responsabile del settore petrolifero in Libia, Shukri Ghanem, direttore della Compagnia nazionale libica per il petrolio. UNICREDIT CONGELA DIRITTI AZIONISTI LIBICI Unicredit congela i diritti degli azionisti libici. Una nota dell'istituto di piazza Cordusio a Milano afferma: "Alla luce delle decisioni pubblicate oggi dall'Unione Europea, UniCredit dichiara che - con riferimento agli azionisti libici - l'esercizio dei diritti relativi alle azioni possedute sarà congelato in conformità a tali decisioni". FACEBOOK E TWITTER INACCESSIBILI INTERNET RALLENTATA Anche oggi le connessioni internet vanno a rilento e i social network, Facebook e Twitter risultano inaccessibili. Gli i-phone che garantiscono connettività ma non permettono di interagire con l'estero. TRIPOLI BLINDATA E DESERTA AI GIORNALISTI VIETATO FARE DOMANDE Tripoli è blindata e deserta nel giorno della preghiera del venerdì: nei centri nevralgici della capitale libica sono scomparsi anche i miliziani del regime, la città è presidiata dalle forze di sicurezza in borghese e dagli agenti di polizia. L'area attorno alla principale moschea è off-limits per i giornalisti: ai pochi che sono riusciti ad avvicinarsi non è stato permesso fare domande alle rare persone presenti nella zona, soprattutto ambulanti che vendono sigarette. Un gruppo di giornalisti stranieri aveva tentato di dirigersi a Tajoura, a venti chilometri dalla capitale, ma è stato bloccato dalle forze di sicurezza e scortato verso l'albergo Rixos. UE: SICUREZZA PER POPOLAZIONE I RESPONSABILI PAGHERANNO La bozza del Consiglio europeo straordinario sulla crisi libica chiede sicurezza per i cittadini libici: "La sicurezza della popolazione deve essere assicurata con tutti i mezzi necessari. I responsabili saranno messi di fronte alle loro azioni con pesanti conseguenze. Collaboreremo con le Nazioni Unite, la Lega araba, l'Unione africana e i partner internazionali nel reagire alla crisi". UE: PRONTA A DIALOGO CON NUOVE AUTORITA' NO RICONOSCIMENTO, MA GHEDDAFI LASCI "L'Unione Europea è pronta a dialogare con le nuove autorità libiche per aiutare il paese a costruire uno Stato costituzionale e a sviluppare lo stato di diritto". È uno dei passaggi della bozza di dichiarazione finale del Consiglio Ue sulla Libia che i 27 stanno discutendo a Bruxelles. L'Unione "è pronta a rispondere alle richieste del popolo libico di assistenza alla ripartenza economica libica". Il documento spiega che "l'obiettivo è che la Libia si avvii rapidamente ad una transizione ordinata verso la democrazia grazie ad un dialogo su basi ampie". L'Ue non prevede però ancora il riconoscimento ufficiale delle autorità ribelli, come ha fatto la Francia, e invoca che Gheddafi abbandoni il potere. RAID AEREO A UQAYLAH FONTI NON CONFERMATE: ATTACCHI ANCHE A BREGA Raid degli aerei di Gheddafi vicino alla città di Uqaylah, a est della linea del fronte dove ribelli e governativi hanno combattuto violentemente per il controllo della città portuale petrolifera di Ras Lanuf. Lo hanno riferito testimoni. Secondo altre fonti, che non hanno potuto essere confermate da fonti indipendenti, ci sono stati stamane raid aerei anche contro Brega, un'altra città petrolifera ancora più a est. ATTACCO AEREO DI GHEDDAFI AGLI INSORTI A RAS LANUF Le forze di Gheddafi hanno lanciato un attacco aereo su una postazione dei rivoltosi a una decina di chilometri a est di Ras Lanuf. L'attacco non avrebbe fatto vittime, ma proseguono i combattimenti con artiglieria: i ribelli lanciano razzi Katiusha contro l'esercito che risponde con granate e missili Grad. SANZIONI UE, SCATTA BLOCCO ASSET LIA E LAFIC Il congelamento degli asset controllati da Lia e Lafico, nonche' dalla Banca centrale libica, da altre tre societa' e dal vicepresidente della Lia, Mustafa Zarti, e' in vigore. Come previsto, e' stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Ue di oggi il regolamento che estende a questi soggetti le sanzioni contro la Libia varate il due marzo scorso. FRANCIA-GB: LETTERA A UE GHEDDAFI DEVE LASCIARE "Muammar Gheddafi e il suo clan devono andarsene per evitare ulteriori sofferenze al popolo libico": lo chiedono il presidente francese, Nicolas Sarkozy, e il premier britannico, David Cameron, in una lettera congiunta all'UE, resa nota a Parigi dall'Eliseo. Nel messaggio indirizzato al presidente del Consiglio europeo, Herman van Rompuy, Sarkozy e Cameron scrivono che "il mondo è testimone" di una "violenza e repressione" in Libia che sono "inaccettabili" e che "é chiaro che per noi il regime ha perso qualsiasi legittimità che avesse potuto avere". Parigi e Londra "accolgono con favore la formazione di un Consiglio nazionale di transizione con base a Bengasi" e si "avvicinano" ad esso e ai suoi membri per "sviluppare un dialogo cooperativo". Oggi la priorità è affrontare "la situazione politica e di sicurezza", proseguono Sarkozy e Cameron. La prima esigenza - scrivono rivolgendosi "ai nostri alleati e ai nostri amici arabi e africani" - è che "Gheddafi e il suo clan" devono andarsene. La seconda è "inviare il segnale politico chiaro" di considerare "il Consiglio come un interlocutore politico valido e una voce importante per il popolo libico in questa fase". A questo scopo, Gb e Francia "sostengono gli sforzi del Cnt di preparare un governo rappresentativo e responsabile". Parigi e Londra chiedono "la fine immediata" dell'uso della forza contro i civili "da parte del regime di Gheddafi". Fra i provvedimenti che potrebbero essere adottati per facilitare questa soluzione, quella di "una zona di esclusione aerea" o anche "altre opzioni" per "impedire gli attacchi aerei". Francia e Gran Bretagna lanciano un appello alle Nazioni Unite affinché "valutino e sorveglino da vicino la situazione umanitaria in Libia", dichiarano di "sostenere l'inchiesta annunciata dal Procuratore del Tribunale penale internazionale" e chiedono a "tutti i paesi di applicare completamente l'embargo sulle armi" alla Libia. NATO, AZIONI MILITARI SOLO CON RISOLUZIONE ONU Qualsiasi azione di tipo militare della Nato, necessiterà di "un chiaro mandato del consiglio di sicurezza delle nazioni unite", ha sottolineato il segretario della Nato Anders Fogh Rasmussen, nel corso dei una conferenza stampa. Rasmussen ha specificato che tale nuovo mandato servirebbe anche per un "monitoraggio rinforzato dell'embargo sulle armi" imposto alla Libia dalla risoluzione 1970. SAIF, PRESTO OFFENSIVA TOTALE CONTRO RIBELLI La Libia sta preparando un'offensiva totale contro i ribelli. Lo ha detto il figlio del leader libico Muammar Gheddafi, Saif al Islam, in un'intervista all'agenzia Reuters. "E' tempo per la liberazione. E' tempo per l'azione. Adesso é tempo di agire", ha aggiunto il figlio del colonnello. "Il popolo libico non accoglierà mai la Nato, non accoglierà mai gli americani. La Libia non è un pezzo di torta", ha detto Saif Gheddafi. "Voglio dire una cosa a Bengasi, stiamo arrivando. Vedo la vittoria davanti ai miei occhi". Lo dice Saif al Islam intervenendo davanti al comitato popolare giovanile di Tripoli. GHEDDAFI ACCUSA L'ESTERO "I disordini nel Paese sono organizzati da gente che vive all'estero, a Londra e a New York. Avete visto i loro figli con le armi combattere a Bengasi?", così Saif Gheddafi arringando i giovani in una tenda a Tripoli. "Quattromila volontari solo ieri si sono arruolati nell'esercito: vogliono marciare verso est per liberare i propri cari, ostaggio di queste bande di criminali. Vedo la vittoria chiaramente davanti ai miei occhi. Li faremo fuggire sulle navi britanniche che hanno attraccato a Bengasi", ha aggiunto concludendo con ironia "sempre che la regina d'Inghilterra non voglia mandare a combattere qui i soldati con la gonna". "Libereremo la Libia" ha poi assicurato il figlio del leader libico scatenando le grida di gioia del migliaio di giovani presenti. FRANCIA PRONTA A COLPIRE DA SOLA, NOUVEL OBSERVATEUR Secondo fonti ben informate citate da Le Nouvel Observateur, il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha assicurato ai due interlocutori libici rappresentanti dell'opposizione che ha ricevuto all'Eliseo stamane, che Parigi è pronta, "se necessario, ad effettuare bombardamenti anche da sola". CASA BIANCA, CONTATTI DIRETTI CON INSORTI Gli Stati Uniti sono in contatto diretto con la opposizione in Libia, ha ribadito oggi il portavoce della Casa Bianca Jay Carney. "Siamo in contatto diretto con la opposizione - ha detto Carney durante il briefing quotidiano - questo include importanti membri del Consiglio e altre persone in Libia". "Ci stiamo coordinando con la opposizione per determinare il modo migliore per sostenere le loro aspirazioni", ha aggiunto il portavoce della Casa Bianca. BBC, LIBERATO GIORNALISTA BRASILIANO Il giornalista brasiliano Andrei Netto è stato liberato e si trova adesso alla Ambasciata brasiliana di Tripoli: lo ha riferito il suo giornale, 'O Estado de Sao Paulo' alla BBC. Il reporter era in stato d'arresto dal 6 marzo scorso, dopo essere stato fermato nella zona di Zawiya, insieme a un reporter del Guardian, del quale invece, stando alla BBC, non vi sarebbero ancora notizie. VAN ROMPUY, REGIME GHEDDAFI LASCI SUBITO POTERE "L'attuale leadership libica deve lasciare il potere senza ritardi": lo afferma il presidente della Ue, Herman Van Rompuy, in un messaggio inviato ai leader europei che si riuniranno domani a Bruxelles per fare il punto sulla crisi in Libia. "La situazione in Libia è molto preoccupante - afferma Van Rompuy - e il nostro messaggio alle autorità libiche sarà molto chiaro: l'uso della forza contro i cittadini deve finire" e il regime deve lasciare il potere subito. Il Consiglio europeo di domani discuterà quindi su come la Ue può aiutare il popolo libico, spiega il presidente della Ue, sottolineando come l'obiettivo sia quello di "assicurare una transizione verso la democrazia". C'é poi da affrontare "la crisi umanitaria che si sta sviluppando in Libia e ai suoi confini". "Quello che sta accadendo ai confini meridionali dell'Europa - aggiunge Van Rompuy - è veramente unico. Un cambiamento irreversibile è già avvenuto in Egitto e in Tunisia, e il Consiglio europeo discuterà su come offrire all'intera regione prospettive positive. Dobbiamo aiutare a trasformare la Primavera araba in un vero nuovo inizio". FRATTINI, NO ITALIA A BOMBARDAMENTI MIRATI "L'Italia non parteciperà a bombardamenti mirati su territorio libico". Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini a Bruxelles al termine della riunione straordinaria dei capi delle diplomazie dei 27 sulla Libia. Il titolare della Farnesina ha comunque riferito che durante la riunione di questo non si è discusso. SARKOZY PROPORRA' A UE BOMBARDAMENTI MIRATI Il presidente francese Nicolas Sarkozy intende proporre ai partner dell'Unione europea "bombardamenti aerei mirati" in Libia. E' quanto riferiscono fonti vicine al dossier, spiegando che il capo dell'Eliseo vuole anche criptare i sistemi di trasmissione del comando del colonnello Muhammar Gheddafi. STRASBURGO, UE RICONOSCA CNT E PENSI NO FLY ZONE Il Parlamento europeo ha approvato a larghissima maggioranza (584 sì, 18 no, 18 astenuti) una risoluzione che chiede ai governi Ue di riconoscere il Consiglio nazionale della transizione libico come l'autorità che rappresenta ufficialmente l'opposizione libica. Il testo invita inoltre l'Unione europea a prepararsi alla possibile istituzione di una 'no-fly zone' per impedire a Gheddafi di colpire la popolazione e aiutare il rimpatrio di chi fugge dalla violenza. L'eventuale istituzione della "no-fly zone" dovrebbe avvenire non unilateralmente ma solo dopo una risoluzione in tale senso dell'Onu ed in coordinamento con Lega Araba e Unione Africana. Nel testo infatti si invitano i governi Ue a "tenersi pronti per una decisione nell'ambito del Consiglio di sicurezza dell'Onu circa ulteriori misure, compresa la possibilità di prevedere una zona di interdizione al volo". Durante il dibattito di ieri, solo il gruppo GUE (Sinistra Unita) si era espresso contro la "no-fly zone". Nella risoluzione si chiede alla rappresentante per la politica estera Ue, Catherine Ashton, di "stabilire contatti" con i rappresentanti dei ribelli del Consiglio nazionale per la transizione, con l'obiettivo di dare il via al riconoscimento internazionale dell'ente. Martedì scorso tale contatto informale è già avvenuto in un incontro a Strasburgo con una delegazione del Consiglio nazionale di transizione libico guidata dal 'ministro' Mahmoud Jebril che era stato invitato al Parlamento europeo dal gruppo liberaldemocratico (Alde). Il Parlamento chiede anche a Gheddafi di lasciare il potere e condanna con forza la sistematica violazione dei diritti umani in Libia. 2011-03-13 Dom 13 marzo, aggiornato ore 16:30 Meteo Pioggia Roma 8° 11° Giappone, 10mila morti solo a Miyagi Nucleare, è serio allarme. Energia razionata * * * * FOTO | DIRETTA VIDEO TUTTI I VIDEO -L'ESPLOSIONE DEL REATTORE A FUKUSHIMA -L'ONDA DI TSUNAMI COLPISCE LE COSTE -TSUNAMI PORTA BARCHE E NAVI SULLA TERRA FERMA -AEROPORTO SOMMERSO -ONDE DI 12 METRI -LA SCOSSA IN DIRETTA -TESTIMONIANZE DA TOKYO - GLI TSUNAMI PIU' DEVASTANTI - GIAPPONE TRAVOLTO DA TSUNAMI
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EVACUATE QUASI 700MILA PERSONE Sono quasi 700.000 le persone evacuate dopo il terremoto che ha sconvolto il Giappone. Lo ha reso noto l'Onu. "Circa 380.000 persone sono state evacuate dalle zone interessate dal sisma e dallo tsunami e ora ospitate in 2.050 centri" ha indicato l'Ufficio di coordinamento degli Affari umanitari dell'Onu (Ocha). "Le autorità hanno inoltre evacuato 210.000 persone che vivono in un raggio di 20 chilometri intorno alla centrale di Fukushima" ha aggiunto l'Ocha, citando l'Organizzazione internazionale dell'energia atomica (Aiea). AIEA, EMERGENZA IN ALTRA CENTRALE Decretato lo stato d'emergenza in una seconda centrale nucleare in Giappone, colpita dal devastante terremoto di venerdì. Lo ha reso noto l'Aiea (Agenzia internazionale dell'energia atomica). "Le autorità giapponesi - scrive un comunicato dell'agenzia dell'Onu, che ha sede a Vienna - hanno informato l'Aiea che il primo (cioè il più basso) stato d'allerta è stato deciso nella centrale di Onagawa dalla Tohoku Electric Power Company". Secondo le autorità giapponesi, riferisce l'Aiea, i tre reattori del sito nucleare di Onagawa "sono sotto controllo" e "l'allerta è stato dichiarato per il fatto che i livelli della radioattività registrati sono superiori ai livelli autorizzati nell'area vicino alla centrale". BORSE TOKYO E OSAKA OPERATIVE Le Borse di Tokyo e Osaka avranno domani apertura regolare, testando così il ritorno alla normalità. FUMO ANCHE DA CENTRALE MIYAGI L'uscita di fumo è stata anche segnalata da un'altra centrale nucleare della prefettura di Miyagi. Lo riferisce la tv pubblica Nhk. ENERGIA RAZIONATA DA DOMANI A FINE APRILE Da domani alla fine di aprile l'energia sarà razionata con black-out programmati in vaste zone del Giappone, compresa la capitale Tokyo. L'annuncio è stato dato oggi dal premier Naoto Kan in una conferenza stampa. In seguito la società elettrica giapponese Tokyo Electric Power Co. (Tepco) ha precisato che il razionamento riguarderà l'area che comprende, oltre alla capitale, le prefetture di Chiba, Gunma, Ibaraki, Kanagawa, Tochigi, Saitama, Yamanashi e Shizuoka. Secondo l' agenzia Kyodo, circa il 27% dell' energia prodotta dalla compagnia proviene dai reattori nucleari di Niigata e da quelli di Fukushima, che sono stati danneggiati dal terremoto di venerdì scorso. LO TSUNAMI "SVEGLIA" IL VULCANO Dopo lo Tsunami e con l'allarme nucleare in corso, ha ricominciato a svegliarsi il vulcano giapponese Shinmoedake dopo due settimane di inattività. Cenere e lapilli si intravedono da quattro chilometri di distanza nell'aria, raccontano testimoni locali. Il vulcano, dall'altezza di 1.421 metri, si era risvegliato dopo 52 anni a gennaio scorso, poi il primo marzo dopodichè era tranquillo da due settimane. È probabile che proprio lo Tsunami abbia stimolato la sua attività. Le autorità intanto mantengono il livello di 'warning' a tre su 5 e hanno bloccato l'accesso alla montagna. SI RAFFREDDERÀ ANCHE TERZO REATTORE Si utilizzerà acqua di mare per il raffreddamento di un terzo reattore di Fukushima I. Lo ha riferito la Jiji press citando la Tepco. 70% DI PROBABILITÀ PER UNA NUOVA SCOSSA DI MAGNITUDO I sismologi giapponesi si aspettano una nuova scossa di magnitudo 7, nel contesto delle scosse di assestamento seguite a quella di magnitudo 9 di venerdì. "C'è il 70% di possibilità che si verifichi una scossa di grado 7 o più elevata", ha spiegato Takashi Yokota, direttore del servizio sismologico dell'Agenzia meteorologica giapponese.
AMB. PETRONE, "NON SAPPIAMO NULLA DI SEI ITALIANI" Non si sa nulla di sei italiani che risiedono nel Giappone colpito dal sisma. A fare il punto sulla situazione è Vincenzo Petrone, ambasciatore italiano a Tokyo. Vi era preoccupazione per 29 tra gli iscritti all'anagrafe all'estero, e ne sono stati localizzati 19. "Ne restano 10 -ha spiegato Petrone- ma per quattro di loro siamo tranquilli. Il quadro critico riguarda altri sei, localizzati nelle quattro prefetture interessate dal sisma: non siamo riusciti a contattarli. Non risultano ricoverati negli ospedali nè registrati tra le vittime e questo è positivo; ma ciò non esclude che siano dispersi".
AMB.FRANCIA INVITA A LASCIARE TOKYO L'ambasciata di Francia a Tokyo invita i propri cittadini a lasciare Tokyo e la sua regione, per i rischi collegati al terremoto, incluso "il rischio di contaminazione".
KAN, NON SARÀ UN'ALTRA CERNOBYL Il premier giapponese Naoto Kan ha affermato oggi che "non ci sarà un'altra Cernobyl", in riferimento ai timori su un'emergenza nucleare come conseguenza dei danni causati dal terremoto.
KAN, DA DOMANI ELETTRICITÀ RAZIONATA Da domani il Giappone razionerà l'erogazione di energia elettrica. Lo ha comunicato primo ministro Naoto Kan.
PREMIER, "SITUAZIONE CENTRALE FUKUSHIMA È GRAVE" La situazione nella centrale nucleare di Fukushima resta grave. Lo ha detto il premier giapponese, Naoto Kan.
KAN, MOMENTO PIÙ DIFFICILE DOPOGUERRA "È il momento più difficile dalla fine della Seconda guerra mondiale: chiedo a tutti la massima unità". È l'appello lanciato dal premier giapponese Naoto Kan, parlando alla Nazione.
AMBASCIATA: CONTATTATI 24 RESIDENTI ITALIANI SU 30 L'ambasciata italiana in Giappone è ormai riuscita a mettersi in contatto con 24 connazionali sui 30 residenti nelle prefetture colpite dal sisma di venerdì. Lo riferiscono fonti diplomatiche a Tokyo, precisando che "per quanto riguarda i non residenti, è stato stabilito un contatto con 11 di essi sui 12" di cui l'ambasciata ha avuto segnalazione.
DANNI A BARRE COMBUSTIBILE REATTORE Le barre di combustibile al reattore n.3 di Fukushima hanno subito danni. I tentativi di evitarlo, ha riferito il ministro dell'Economia e dell'Industria nipponico, "non hanno avuto effetti".
ALLARME TSUNAMI DECLASSATO AD ALLERTA L'Agenzia meteorologica giapponese (Jma) ha declassato l'allarme tsunami su tutte le coste dell' arcipelago, che adesso sono soggette ad 'allertà per onde non superiori al mezzo metro di altezza.
BBC; A SENDAI MANCANO CIBO ACQUA E BENZINA Mancano cibo, acqua e carburante a Sendai, il capoluogo della prefettura più duramente colpita dallo tsunami nel nord-est del Giappone. Lo ha constatato l'inviata a Sendai della Bbc, che ne dà notizia nel suo sito internet. Lunghe code di persone si sono formate davanti ai pochi negozi aperti e file ancora più lunghe di veicoli bloccano le strade che portano alle stazioni di rifornimento di carburante. Migliaia di sfollati hanno trascorso un'altra notte al freddo, in rifugi di fortuna, sulla costa nord-orientale, sempre secondo la Bbc. Gli aiuti stanno arrivando solo ora in molte zone. "Abbiamo mangiato solo biscotti e un pò di riso", ha detto Noboru Uehara, un camionista di 24 anni, avvolto in una coperta per proteggersi dal freddo in un rifugio a Iwake. "Temo che rimarremo senza cibo", ha aggiunto.
SISMA GIAPPONE: OLTRE 10.000 MORTI A MIYAGI Sono più di 10.000 i morti stimati nella prefettura di Miyagi, una delle più colpite dal terremoto-tsunami di venerdì. Lo riferisce la tv pubblica, la Nhk, citando fonti della polizia. "Non ho alcun dubbio", ha detto Naoto Takeuchi, capo della polizia della prefettura di Miyagi, nel resoconto della Nhk, in relazione alla stima catastrofica. Il capoluogo Sendai, infatti, è stato devastato dall'onda anomala di oltre 10 metri di altezza e centinaia di corpi sono stati rinvenuti lungo le coste della prefettura. Il bilancio ufficiale, tuttavia, parla di poco più di 800 vittime, che fanno di Miyagi la prefettura più colpita.
LA DIRETTA DI IERI
IL GRAFICO grafico tsunami FOTO tsunami terremoto giapponeterremoto giappone GIAPPONE TERREMOTO terremoto giappone tsunami TERREMOTO GIAPPONE TERREMOTO GIAPPONE giappone, sisma, soccorsi giappone, nucleare spiaggia.giappone giappone, asfaltobuca Giappone, crollocasagiappone, sisma e distruzione giappone, code ai telefoni tsunami, distruggegiappone, disperazionegiappone terremoto autogiappone terremoto tsunami devastazionegiappone tsunami tv 2giappone tsunami tvgiapopne terremoto tsunami doloregiappone sismagiappone sismasisma giappone tsunami 13 marzo 2011
Dom 13 marzo, aggiornato ore 16:30 Meteo Pioggia Roma 8° 11° Libia, Brega strappata a insorti Ribelli ormai si ritirano * * * * immigrati libia TV, STRANIERI TORNATE A CARICARE PETROLIO La televisione di stato libica ha affermato oggi che i porti petroliferi nel Paese sono "sicuri" e stanno riprendendo le attività dopo la fine degli "atti di sabotaggio". Ha quindi invitato le compagnie petrolifere a tornare a caricare il greggio e i lavoratori degli impianti a tornare al lavoro.
TV DI STATO, BREGA STRAPPATA AGLI INSORTI La tv di Stato libica ha annunciato che la città di Brega, nell'est, è stata "ripulita delle bande armate".
BREGA SOTTO LE BOMBE, DECINE DI INSORTI SI RITIRANO Decine di insorti si stanno ritirando da Brega, nella Libia orientale, dopo massicci bombardamenti da parte delle forze fedeli a Gheddafi alle porte della città. Lo ha constatato un corrispondente della France Presse sul posto.
******* LA CRONACA DI IERI INSORTI: GHEDDAFI FA GUERRA PSICOLOGICA Il Consiglio Nazionale Provvisorio di Bengasi, che raggruppa le forze di opposizione al regime libico, ha accusato Muammar Gheddafi di aver intrapreso una "guerra psicologica" con l'intento di minare il morale degli insorti. "Il popolo libico non ha paura", ha dichiarato il numero due del Consiglio transitorio, che ha stigmatizzato il voto contrario di Algeria e Siria alla decisione, adottata oggi dalla Lega Araba, di considerare il Consiglio un interlocutore a tutti gli effetti e di avviare contatti diretti. USA E OCCIDENTE: BENE LEGA ARABA MA NON BASTA Stati Uniti e paesi occidentali del Consiglio di Sicurezza dell'Onu si sono detti soddisfatti per la decisione della Lega Araba di chiedere ufficialmente l'istituzione di una no-fly zone internazionale sui cieli della Libia, giudicandola però un insufficiente per essere un passo decisivo. BENGASI, UCCISO CAMERAMAN AL JAZIRA Un cameraman della tv satellitare qatariota Al Jazira, Ali Hassan Al Jabir, è stato ucciso oggi in un'imboscata nella regione di Hawari, vicino a Bengasi, mentre curava un reportage. Ne ha dato notizia da Doha la stessa rete tv. Un'altra persona è stata ferita. LEGA ARABA, AVREMO CONTATTI CON CNT Il Consiglio ministeriale della Lega ha affermato di voler aprire "canali di contatto con il Consiglio Nazionale Libico per aiutare il popolo libico". Lo ha detto all'ANSA una fonte diplomatica araba.
LEGA ARABA FAVOREVOLE A 'NO-FLY ZONE' La Lega araba è favorevole a una 'no-fly zonè in Libia e ad aprire le negoziazioni con il Consiglio nazionale transitorio che raggruppa l'opposizione al regime di Muammar Gheddafi. Lo hanno dichiarato alcuni diplomatici che al Cairo, in Egitto, partecipano al vertice straordinario dell'organizzazione.
RAS LANUF DI NUOVO NELLE MANI DI GHEDDAFI Ras Lanuf sarebbe di nuovo nelle mani delle forze leali a Gheddafi. A darne notizia sono Sky News e al-Jazeera, che citano fonti dell'opposizione. Secondo la tv araba, anche l'altro centro petrolifero di Brega, teatro di durissimi combattimenti fino a una settimana fa, sarebbe stato riconquistato dai militari pro-regime nella mattinata di oggi, quando i rivoltosi sono stati costretti alla ritirata da intensi bombardamenti e fuoco d'artiglieria. TUTTI I VIDEO SULLA LIBIA Gli altri articoli: - Veltroni: "In piazza per la Libia" - L'appello: abolire mercenari e contractors
OPPOSIZIONE, FORZE GHEDDAFI ATTACCANO MISURATA Le forze di Gheddafi continuano la controffensiva. Dopo aver continuato a martellare tutta la giornata Ras Lanuf con raid aerei, sono passati ad attaccare anche la città di Misurata controllata dai ribelli. OMAN, UN "INTERVENTO ARABO" SENNÒ ARRIVANO STRANIERI Gli Stati arabi devono intervenire in Libia attraverso la Lega Araba e in linea con il diritto internazionale perchè la crisi libica rappresenta una minaccia alla stabilità di tutti gli Stati arabi. Lo ha detto il ministro degli esteri dell'Oman. "Ciò che è necessario è un intervento arabo, utilizzando meccanismi della Lega Araba e allo stesso tempo ai sensi del diritto internazionali", ha detto il ministro Youssef bin Alawi bin Abdullah, nel suo discorso di apertura della riunione della Lega Araba al Cairo. "Alla luce di ciò, dobbiamo analizzare le varie opzioni che le circostanze , in Libia, richiedono". Se il mondo arabo non interverrà, è stato il suo monito, l'inazione potrebbe portare a "un intervento non voluto degli stranieri". APERTA RIUNIONE STRAORDINARIA LEGA ARABA Si è aperta al Cairo la riunione straordinaria della Lega Araba per discutere della possibilità di imporre una zona di esclusione aerea sulla Libia e del riconoscimento del Consiglio Nazionale di Transizione (Cnt) libico di Bengasi. Il delegato dell'Oman ha dichiarato che è richiesto un "intervento arabo" in Libia da compiere attraverso la Lega Araba e rispettando le leggi internazionali. La Libia non è rappresentata nella riunione. ASHTON, PER UE RIBELLI BENGASI NON UNICO INTERLOCUTORE Pur considerando come "interlocutore" il Comitato nazionale di transizione di Bengasi, l'Unione Europea è pronta a parlare con altre forze sul terreno libico per contribuire ad una soluzione della crisi. Lo ha detto il capo della diplomazia europea, Catherine Ashton, concludendo oggi a Budapest il consiglio informale dei 27 ministri degli Esteri europei. Quanto ad eventuali ulteriori sanzioni contro il regime di Gheddafi, la Ashton ha osservato - in una conferenza stampa - che è necessario intanto valutare "l'efficacia di quelle già adottate". FRATTINI, MINACCE FIGLIO RAIS? TENTATIVO LEGITTIMARSI Le nuove minacce del figlio di Gheddafi, Seif Al Islam, all'Italia sono solo "il tentativo di legittimare un regime che l'Unione europea ha detto che non può essere legittimato": è quanto ha dichiarato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, commentando una intervista in cui il rampollo del Rais annuncia anche che la Libia lascerà le porte aperte all'emigrazione verso l'Europa e che ora Tripoli controlla già il 90% del territorio libico. Su questo ultimo punto, ha detto Frattini, si spera che una commissione ispettiva dell'Onu verifichi effettivamente quale è la situazione sul campo. RIBELLI CHIEDONO RICONOSCIMENTO A LEGA ARABA E NO-FLY ZONE Il Consiglio Nazionale Transitorio dei ribelli libici di Bengasi ha chiesto alla Lega Araba di pronunciarsi a favore dell'imposizione di una no-fly zone sulla Libia e di riconoscerli come soli rappresentanti legittimi del Paese. Nel pomeriggio al Cairo si riuniranno i ministri degli esteri dei Ventidue senza i rappresentanti di Gheddafi che non sono stati invitati. RIBELLI SI RITIRANO DA CENTRO PETROLIFERO DI RAS LANUF I ribelli libici si sono ritirati dal centro petrolifero di Ras Lanuf, dove una raffineria sta ancora bruciando e dove le forze di Muammar Gheddafi sembrano aver ripreso il controllo. Quattro ribelli nel villaggio di Uqayla, sulla strada costiera tra Brega e Ras Lanuf, hanno riferito di aver lasciato la città dopo pesanti combattimenti e dopo che le forze di governo hanno espugnato la città giovedì scorso. Una scia di fumo era visibile a ovest di ras lanuf dove una raffineria di petrolio è stata colpita da un attacco aereo. AL JAZEERA: FORZE GHEDDAFI CONQUISTANO BREGA I guerriglieri dell'opposizione stanno perdendo terreno nella battaglia in corso in Cirenaica contro le forze regolari e i miliziani al soldo di Gheddafi. Secondo Al Jazeera International anche Brega, centro petrolifero cruciale e teatro di durissimi combattimenti fino a una settimana fa, sarebbe stata riconquistata dai militari pro-regime nella mattinata di oggi, quando i rivoltosi sono stati costretti alla ritirata da intensi bombardamenti e fuoco d'artiglieria. L'inviato dell'emittente satellitare con sede in Qatar, Nick Clark - che attualmente si trova comunque a Tobruk, quindi a est di Bengasi - ha sostenuto che le forze del Colonnello "sono ormai a buon punto nell'avanzata" verso il capoluogo della Cirenaica, roccaforte del movimento del 17 febbraio. SI COMBATTE A RAS LANUF; OGGI RIUNIONE LEGA ARABA Non si fermano le violenze sul fronte orientale della guerra civile libica: intensi combattimenti sono in corso fra i guerriglieri dell'opposizione e le forze fedeli a Gheddafi a Ras Lanuf. La Bbc riferisce di bombardamenti da parte dell'aviazione del colonnello su una raffineria e un checkpoint dei rivoltosi vicino al centro petrolifero, l'avamposto della resistenza 350 chilometri a ovest di Bengasi. L'inviato della Bbc, Jon Leyne sostiene che gli uomini di Gheddafi starebbero prevalendo nella dura battaglia costringendo i combattenti pro-democrazia alla resa. Ovviamente se il Colonnello riuscisse a rientrare in possesso della città sarebbe un risultato fondamentale, ai danni dell'opposizione che controlla gran parte della Cirenaica. All'inizio della settimana, i regolari e i miliziani africani assoldati dal rais avevano riconquistato anche Zawiyah, 48 chilometri a ovest di Tripoli. Alcuni testimoni, via twitter, riferiscono oggi di nuovi bombardamenti a Uqaylah e, ancora più ad est, vicino a Brega. Sul fronte diplomatico è attesa per oggi la riunione della Lega Araba. In un'intervista al settimanale tedesco Spiegel il segretario generale Amr Moussa ha difeso l'opzione militare di una no fly zone per la Libia e preannuncitoa che la sua organizzazione internazionale potrebbe "giocare un ruolo". "Non so come né chi imporrà una zona simile, vedremo. Anche la Lega Araba potrebbe avere un ruolo, cosa che mi auguro". Parlo di un'azione umanitaria - ha proseguito il diplomatico egiziano - una no fly zone equivale ad appoggiare il popolo libico nella sua lotta per la libertà e contro un regime sempre più pericoloso". Quanto a chi dovrebbe assumere la guida di una simile operazione, Moussa si è limitato a rispondere: "Questo dipende da ciò che deciderà il Consiglio di sicurezza (dell'Onu). Onu, Lega Araba, Unione africana, gli europei, tutti dovrebbero partecipare" ha sostenuto l'egiziano. I ministri degli Esteri arabi si riuniranno oggi al Cairo per discutere della questione. Finora la Lega Araba aveva fatto sapere della sua disponibilità a mettere in atto una no fly zone, pur sottolineando la propria ferma opposizione a qualsiasi intervento militare in Libia. dalla riunione della Lega Araba sono stati esclusi. I delegati di Gheddafi. Ieri i leader europei hanno aumentato la pressione su Muammar Gheddafi accettando di dialogare con l'opposizione ed evocando con una certa prudenza l'opzione militare per proteggere i civili, anche se fra i Ventisette restano pesanti divisioni. GHEDDAFI: COMPLOTTO COLONIALISTA DEGLI OCCIDENTALI Il leader libico Muammar Ghaddafi ha accusato gli occidentali, in particolare la Francia, di condurre "un complotto colonialista" contro il suo paese. In un'intervista diffusa questa mattina dal network francese LCI, il colonnello ha spiegato che la comunità occidentale "vuole colonizzare nuovamente la Libia". "C'è un complotto colonialista", ha aggiunto. A proposito di eventuali misure di rappresaglia contro la Francia, per il sostegno dato agli insorti di Bengasi, Ghaddafi ha risposto con un laconico: "si vedrà", pur dicendosi intenzionato a compiere future "visite" in Europa quando "tutto ciò sarà terminato". DELEGATI DI GHEDDAFI ESCLUSI DAL VERTICE DELLA LEGA ARABA La delegazione del leader libico Muammar Gheddafi non sarà autorizzata a partecipare al vertice della Lega araba in programma oggi al Cairo. Lo hanno fatto sapere funzionari dell'organizzazione panaraba, ricordando che la Libia è stata sospesa il 2 marzo scorso. Gheddafi ha inviato nella capitale egiziana Salma Rashed, per sostituire l'ex ambasciatore Abdel Moneim al Honi, che si è dimesso per protesta contro la violenza usata dal regime sui manifestanti, e il suo ministro per l'Elettricità, Omrane Abu Kraa. I Paesi arabi discuteranno oggi l'ipotesi di imporre una zona di interdizione di volo sulla Libia. AL JAZIRA, NUOVI BOMBARDAMENTI TRA BREGA E RAS LANUF Aerei libici hanno bombardato in serata alcune postazioni degli insorti situate tra Brega e il centro petrolifero di Ras Lanuf, nell'est del paese, stando a quanto riferisce la tv satellitare araba Al Jazira senza fornire altri particolari. L'emittente Al Arabiya, dal canto suo, ha dato notizia dell'uccisione di sei ribelli a Brega e Ras Lanuf senza collegarli tuttavia a un radi aereo. GHEDDAFI RISPONDE A SARKOZY, SOSPESI RAPPORTI ANNUNCIO DOPO RICONOSCIMENTO CONSIGLIO PROVVISORIO Non si è fatta attendere la riposta di Muammar Gheddafi a Nicolas Sarkozy: la Libia ha infatti oggi annunciato di avere "sospeso" i rapporti diplomatici con la Francia dopo il riconoscimento ieri accordato dal capo dell'Eliseo al Consiglio Nazionale Libico degli insorti insediatosi a Bengasi. L'annuncio è stato dato dal vice-ministro degli esteri Khaled Kaaim che, in una conferenza stampa a Tripoli, ha detto che il suo governo "incaricher… un paese terzo" di rappresentare gli interessi libici a Parigi. "È chiaro che la Francia punta a dividere la Libia", ha poi affermato. Con una mossa a sorpresa che ha spiazzato anche i partner europei, Sarkozy ieri aveva deciso di accordare il proprio riconoscimento al Consiglio provvisorio che gli oppositori di Gheddafi hanno costituito a Bengasi, il capoluogo della regione ribelle della Cirenaica dove Parigi potrebbe addirittura trasferire la propria ambasciata. Gi… ieri il vice-ministro aveva criticato aspramente la decisione. "Il Consiglio rappresenta solo se stesso, non rappresenta nessuna regione della Libia, nemmeno all'est", ha ribadito oggi. Assieme al premier britannico David Cameron, ieri sera Sarkozy aveva invitato i partner europei a riconoscere gli insorti quale "valido interlocutore politico". Stando alle a indiscrezioni del settimanale Nouvel Obesrvateur, inoltre, Sarkozy aveva proposto agli altri paesi Ue di non escludere "bombardamenti mirati" contro la Libia. Dopo essersi inizialmente dichiarata contraria, la Francia si è inoltre convertita all'imposizione di una 'no fly zonè sui cieli libici per impedire agli aerei e agli elicotteri di Gheddafi di attaccare gli insorti e i centri abitati occupati dai ribelli. Al vertice straordinario tenuto oggi a Bruxelles, i 26 partner della Francia si sono guardati bene dal seguire Sarkozy su tutta la linea. Non sono state prese decisioni concrete sulla zona di interdizione al volo nè sul riconoscimento formale del Consiglio di Bengasi come unico e legittimo rappresentante del popolo libico. Gheddafi comunque è stato invitato ad andarsene in quanto "interlocutore non più valido" e una qualche forma di contatto con i suoi oppositori ci sarà. Nella conferenza stampa, Kaaim ha detto che una risposta ufficiale alla Ue arriver… domani. Nel frattempo ha duramente criticato la BBC accusandola di diffondere notizie false, ed è tornato a minacciare rivelazioni sui "gravi segreti" della campagna elettorale di Sarkozy che già erano stati preannunciati dall'agenzia ufficiale Jana. LIBIA: UE APRE A BENGASI, RAIS DELEGITTIMATO: "VADA VIA" Più che con le bombe di Sarko, è per asfissia finanziaria e diplomatica che l'Occidente cerca di cacciare Gheddafi. Il vertice europeo straordinario dei 27 leader d'Europa convocato per la Libia "sull'orlo della guerra civile", come l'ha definita Van Rompuy, apre al Cnt di Bengasi e disconosce il sanguinario colonnello di Tripoli che sventra Zawiya: "Il suo regime ha perso ogni legittimità e non è più un interlocutore per la Ue". Parole forti, per il linguaggio diplomatico. Ma il riconoscimento del 'governò dei ribelli è ancora lontano. Secondo Sarkozy è "l'interlocutore politico". Nel documento finale e nelle parole del presidente permanente il Cnt è "un" interlocutore. Va valutata la rappresentatività di quegli "ex ministri di Gheddafi" che guidano l'insurrezione. Allo scopo si sta preparando una missione Ue proprio a Bengasi, a breve. I 27 invece frenano sulle azioni militari che Sarkozy ( con il quale Tripoli in serata interrompe le relazioni) e Cameron vorrebbero lanciare subito. È Angela Merkel, col sostegno - tra gli altri - di Berlusconi, Zapatero e dell'austriaco Faymann a riallineare l'Europa sulle posizioni di Stati Uniti e Nato. Cautela necessaria quando l'Unione Africana ha già detto no all'interventismo e quando domani sarà la Lega Araba a tenere al Cairo il suo vertice straordinario sulla crisi libica. Cautela sottolineata dalla richiesta di avere "al più presto" un supervertice tra Ue, Unione Africana e Lega Araba. È solo con il consenso del mondo arabo che si può intervenire sulla sponda sud del Mediterraneo. Dove, comunque, c'è già qualcuno che si muove nella direzione giusta: il re del Marocco, ad esempio, che nel documento viene congratulato per aver deciso di avviare una revisione della costituzione. In attesa del via libera delle Nazioni Unite (dove il vero ostacolo per una nuova e più decisa risoluzione è la Cina, più che la Russia possibilista) gli stati membri "esamineranno tutte le necessarie opzioni" per fermare chi bombarda la sua gente e, centrando i suoi stessi pozzi petroliferi, l'economia mondiale. Così, mentre la Nato continua a fare i piani per il blocco navale e/o la 'no-fly zonè (per quest'ultima saranno pronti martedì, secondo Hillary Clinton), l'Europa sceglie le stesse regole di ingaggio decise ieri dall'Alleanza Atlantica. Prima di intervenire sarà necessario che ci siano: una "dimostrata necessità", "una chiara base legale" e, appunto, "il supporto della regione". L'azione vera, per ora, resta quella politico-finanziaria. Così è David Cameron, che ieri si era allineato sull'interventismo di Sarkozy, a rilanciarla: nella conferenza stampa post vertice chiede che la Ue e la comunità internazionale applichino "sanzioni petrolifere". Significa dire a Gheddafi che l'Occidente può fare a meno del suo petrolio. Proprio nel giorno in cui entra in vigore il blocco delle attività delle sue casseforti (dal fondo nazionale sovrano alla Lafico), il premier britannico propone di aggiungere la compagnia petrolifera nazionale all'elenco delle 5 società e delle 27 persone di cui sono stati congelati i beni e le attività finanziarie. Quella di Cameron è comunque iniziativa tutta da discutere. Resta un documento finale di cui l'Italia è pienamente soddisfatta. Il presidente Napolitano approva. E per di più Berlusconi incassa la "concreta solidarieta" che i 27 finalmente si impegnano a dare agli stati "più direttamente esposti" ai movimenti migratori, con tanto di consiglio Giustizia e Affari interni straordinario da tenersi al più presto per trovare le risorse necessarie. Secondo le fonti Onu, sono già 250.000 le persone che hanno lasciato la Libia. Ed ora anche quelli che due settimane fa dicevano a Maroni che l'Italia esagerava nelle cifre riconoscono che "la Ue e gli stati membri" devono "essere pronti a dare tutto il necessario supporto". Ed il premier italiano si può togliere anche la soddisfazione di ricordare agli altri 26 leader europei che l'Italia è stata la prima a decidere e realizzare i campi di aiuto per i profughi. Invitando gli altri "a fare altrettanto".
Gheddafi offre amnistia a ribelli e rompe le relazioni con la Francia * * * * libia ribelli box Obama interviene di persona: evitare un genocidio come avvenne nuovo Ruanda. Attacchi aerei delle forze di Gheddafi sempre più frequenti. L'Unione europea pronta a dialogare con i ribelli, non ancora al loro riconoscimento. Ma dichiara prioritaria la sicurezza dei cittadini libici. 'Bengasi stiamo arrivando'. Il figlio di Gheddafi, Saif al Islam, preannuncia un attacco totale contro gli insorti. E mentre la Nato spiega che le azioni militari arriveranno solo con un mandato dell'Onu, la Francia si dice pronta a colpire, anche da sola. E il raìs sospende le relazioni diplomatiche con Parigi. TUTTI I VIDEO SULLA LIBIA Gli altri articoli: - Veltroni: "In piazza per la Libia" - L'appello: abolire mercenari e contractors E in una lettera congiunta all'Ue, Sarkozy e Cameron chiedono al Raìs di andarsene. La Casa Bianca annuncia: contatti diretti con gli insorti. Parlamento europeo: prepararsi a possibile istituzione di una 'no-fly zone'. E per le monarchie del Golfo il regime libico ha perso la sua legittimità e devono essere stabiliti contatti con gli insorti. Le forze fedeli a Gheddafi continuano intanto a martellare dall'aria e dal mare le postazioni dei ribelli attorno alla città petrolifera di Ras Lanuf, e l'offensiva si spinge sempre più a est, mentre in Tripolitania il regime assicura di aver riconquistato Zawiya. GHEDDAFI OFFRE AMNISTIA A RIBELLI SE DEPONGONO LE ARMI Gheddafi offre l'amnistia ai ribelli se depongono le armi. Lo ha riferito la tv libica Al-Shababiya in un'ultim'ora sulla parte bassa dello schermo che recita: "Chiunque deporrà le armi non sarà punito e possa Hallah perdonarlo per i suoi atti precedenti". WASHINGTON CONGELA ASSET MOGLIE GHEDDAFI Gli Stati Uniti rafforzano le sanzioni nei confronti di Muammar Gheddafi e congelano gli asset (punti forti di un'azienza) della moglie e di altri nove libici. Lo comunica il Tesoro. GHEDDAFI ROMPE RELAZIONI CON FRANCIA PARIGI DETTA PRONTA A BOMBARDARLO Il governo di Gheddafi ha deciso di sospendere le relazioni diplomatiche con la Francia: lo annunciato il viceministro degli Esteri Khaled Kaaim. Parigi ha riconosciuto il governo degli insorti e si è detta pronta a bombardare le forze del colonnello. L'INVIATO ONU: "FINE STRAGI" PRONTO A INCONTRARE "TUTTE LE PARTI" Abdul Ilah Kathib è il nuovo inviato dell'Onu in Libia. L'obiettivo prioritario della sua missione nel Paese, la prossima settimana, sarà "porre un termine alle stragi", oltre a "mantenere l'unità del popolo libico e l'integrità territoriale della loro nazione". Il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, ha detto che l'inviato, ex ministro degli Esteri della Giordania "si concentrerà a porre fine alle violenze, ma mi aspetto un suo impegno in una dimensione più ampia della crisi, anche politica". Rispondendo ai giornalisti, Kathib si è detto pronto "a incontrare tutte le parti", insorti compresi. OBAMA: EVITIAMO CHE LIBIA SIA UN NUOVO RUANDA In Libia bisogna evitare un nuovo Ruanda (dove ci fu un autentico genocidio con un milione di morti) e una guerra come quella che ha devastato i Balcani negli anni Novanta. Lo ha detto il presidente degli Stati Uniti Barack Obama in una conferenza stampa oggi a Washington, aggiungendo che occorre seguire da vicino gli sviluppi in Libia, mentre le decisioni dovranno essere prese caso per caso NAPOLITANO CONCORDA CON L'UE: GHEDDAFI NON PUO' GOVERNARE Il presidente Napolitano ha espresso apprezzamento per la presa di posizione del Consiglio europeo sulla crisi nel Maghreb, sottolineando che le decisioni si muovono in coerenza con gli orientamenti assunti dal Consiglio supremo di difesa, in particolare per quanto riguarda la "perdita di ogni legittimazione a governare" del colonnello Gheddafi. Vivo apprezzamento anche per il "forte accento" posto dal Consiglio Ue sulla "comune responsabilità europea rispetto ai movimenti migratori in atto". SPAGNA (UFFICIOSAMENTE): NO FLY ZONE ANCHE SENZA L'ONU La 'no-fly zone' potrebbe essere imposta alla Libia anche senza una risoluzione delle Nazioni unite: è la posizione ufficiosa della Spagna emersa a margine del vertice straordinario Ue in corso a Bruxelles. "Al momento - spiega una fonte diplomatica iberica - è necessaria una base legale e un appoggio politico, ma se la situazione si aggraverà, non si dovranno più realizzare le condizioni richieste (la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu e l'appoggio chiaro della Lega Araba e dell'Unione Africana) ma si potrebbe agire altrimenti". PREMIER MALTESE: NOI RIFIUTATO RICHIESTA DI MEDIAZIONE DI GHEDDAFI Il governo maltese ha rifiutato una richiesta del colonnello Muammar Gheddafi di fare da mediatore con l'Unione europea. "Ho detto chiaramente di no al governo libico", ha dichiarato il Primo ministro maltese Lawrence Gonzi alla fine di un incontro privato a Bruxelles con il Presidente della Commissione europea Jose Manuel Durrao Barroso RAFFINERIA DI ZAWIA RIPRENDE L'ATTIVITA' L'importante raffineria di Zawia (40 chilometri a ovest di Tripoli) ha ripreso la normale attività dopo essere stata bloccata a causa dei combattimenti. Lo ha annunciato oggi il maggiore responsabile del settore petrolifero in Libia, Shukri Ghanem, direttore della Compagnia nazionale libica per il petrolio. UNICREDIT CONGELA DIRITTI AZIONISTI LIBICI Unicredit congela i diritti degli azionisti libici. Una nota dell'istituto di piazza Cordusio a Milano afferma: "Alla luce delle decisioni pubblicate oggi dall'Unione Europea, UniCredit dichiara che - con riferimento agli azionisti libici - l'esercizio dei diritti relativi alle azioni possedute sarà congelato in conformità a tali decisioni". FACEBOOK E TWITTER INACCESSIBILI INTERNET RALLENTATA Anche oggi le connessioni internet vanno a rilento e i social network, Facebook e Twitter risultano inaccessibili. Gli i-phone che garantiscono connettività ma non permettono di interagire con l'estero. TRIPOLI BLINDATA E DESERTA AI GIORNALISTI VIETATO FARE DOMANDE Tripoli è blindata e deserta nel giorno della preghiera del venerdì: nei centri nevralgici della capitale libica sono scomparsi anche i miliziani del regime, la città è presidiata dalle forze di sicurezza in borghese e dagli agenti di polizia. L'area attorno alla principale moschea è off-limits per i giornalisti: ai pochi che sono riusciti ad avvicinarsi non è stato permesso fare domande alle rare persone presenti nella zona, soprattutto ambulanti che vendono sigarette. Un gruppo di giornalisti stranieri aveva tentato di dirigersi a Tajoura, a venti chilometri dalla capitale, ma è stato bloccato dalle forze di sicurezza e scortato verso l'albergo Rixos. UE: SICUREZZA PER POPOLAZIONE I RESPONSABILI PAGHERANNO La bozza del Consiglio europeo straordinario sulla crisi libica chiede sicurezza per i cittadini libici: "La sicurezza della popolazione deve essere assicurata con tutti i mezzi necessari. I responsabili saranno messi di fronte alle loro azioni con pesanti conseguenze. Collaboreremo con le Nazioni Unite, la Lega araba, l'Unione africana e i partner internazionali nel reagire alla crisi". UE: PRONTA A DIALOGO CON NUOVE AUTORITA' NO RICONOSCIMENTO, MA GHEDDAFI LASCI "L'Unione Europea è pronta a dialogare con le nuove autorità libiche per aiutare il paese a costruire uno Stato costituzionale e a sviluppare lo stato di diritto". È uno dei passaggi della bozza di dichiarazione finale del Consiglio Ue sulla Libia che i 27 stanno discutendo a Bruxelles. L'Unione "è pronta a rispondere alle richieste del popolo libico di assistenza alla ripartenza economica libica". Il documento spiega che "l'obiettivo è che la Libia si avvii rapidamente ad una transizione ordinata verso la democrazia grazie ad un dialogo su basi ampie". L'Ue non prevede però ancora il riconoscimento ufficiale delle autorità ribelli, come ha fatto la Francia, e invoca che Gheddafi abbandoni il potere. RAID AEREO A UQAYLAH FONTI NON CONFERMATE: ATTACCHI ANCHE A BREGA Raid degli aerei di Gheddafi vicino alla città di Uqaylah, a est della linea del fronte dove ribelli e governativi hanno combattuto violentemente per il controllo della città portuale petrolifera di Ras Lanuf. Lo hanno riferito testimoni. Secondo altre fonti, che non hanno potuto essere confermate da fonti indipendenti, ci sono stati stamane raid aerei anche contro Brega, un'altra città petrolifera ancora più a est. ATTACCO AEREO DI GHEDDAFI AGLI INSORTI A RAS LANUF Le forze di Gheddafi hanno lanciato un attacco aereo su una postazione dei rivoltosi a una decina di chilometri a est di Ras Lanuf. L'attacco non avrebbe fatto vittime, ma proseguono i combattimenti con artiglieria: i ribelli lanciano razzi Katiusha contro l'esercito che risponde con granate e missili Grad. SANZIONI UE, SCATTA BLOCCO ASSET LIA E LAFIC Il congelamento degli asset controllati da Lia e Lafico, nonche' dalla Banca centrale libica, da altre tre societa' e dal vicepresidente della Lia, Mustafa Zarti, e' in vigore. Come previsto, e' stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Ue di oggi il regolamento che estende a questi soggetti le sanzioni contro la Libia varate il due marzo scorso. FRANCIA-GB: LETTERA A UE GHEDDAFI DEVE LASCIARE "Muammar Gheddafi e il suo clan devono andarsene per evitare ulteriori sofferenze al popolo libico": lo chiedono il presidente francese, Nicolas Sarkozy, e il premier britannico, David Cameron, in una lettera congiunta all'UE, resa nota a Parigi dall'Eliseo. Nel messaggio indirizzato al presidente del Consiglio europeo, Herman van Rompuy, Sarkozy e Cameron scrivono che "il mondo è testimone" di una "violenza e repressione" in Libia che sono "inaccettabili" e che "é chiaro che per noi il regime ha perso qualsiasi legittimità che avesse potuto avere". Parigi e Londra "accolgono con favore la formazione di un Consiglio nazionale di transizione con base a Bengasi" e si "avvicinano" ad esso e ai suoi membri per "sviluppare un dialogo cooperativo". Oggi la priorità è affrontare "la situazione politica e di sicurezza", proseguono Sarkozy e Cameron. La prima esigenza - scrivono rivolgendosi "ai nostri alleati e ai nostri amici arabi e africani" - è che "Gheddafi e il suo clan" devono andarsene. La seconda è "inviare il segnale politico chiaro" di considerare "il Consiglio come un interlocutore politico valido e una voce importante per il popolo libico in questa fase". A questo scopo, Gb e Francia "sostengono gli sforzi del Cnt di preparare un governo rappresentativo e responsabile". Parigi e Londra chiedono "la fine immediata" dell'uso della forza contro i civili "da parte del regime di Gheddafi". Fra i provvedimenti che potrebbero essere adottati per facilitare questa soluzione, quella di "una zona di esclusione aerea" o anche "altre opzioni" per "impedire gli attacchi aerei". Francia e Gran Bretagna lanciano un appello alle Nazioni Unite affinché "valutino e sorveglino da vicino la situazione umanitaria in Libia", dichiarano di "sostenere l'inchiesta annunciata dal Procuratore del Tribunale penale internazionale" e chiedono a "tutti i paesi di applicare completamente l'embargo sulle armi" alla Libia. NATO, AZIONI MILITARI SOLO CON RISOLUZIONE ONU Qualsiasi azione di tipo militare della Nato, necessiterà di "un chiaro mandato del consiglio di sicurezza delle nazioni unite", ha sottolineato il segretario della Nato Anders Fogh Rasmussen, nel corso dei una conferenza stampa. Rasmussen ha specificato che tale nuovo mandato servirebbe anche per un "monitoraggio rinforzato dell'embargo sulle armi" imposto alla Libia dalla risoluzione 1970. SAIF, PRESTO OFFENSIVA TOTALE CONTRO RIBELLI La Libia sta preparando un'offensiva totale contro i ribelli. Lo ha detto il figlio del leader libico Muammar Gheddafi, Saif al Islam, in un'intervista all'agenzia Reuters. "E' tempo per la liberazione. E' tempo per l'azione. Adesso é tempo di agire", ha aggiunto il figlio del colonnello. "Il popolo libico non accoglierà mai la Nato, non accoglierà mai gli americani. La Libia non è un pezzo di torta", ha detto Saif Gheddafi. "Voglio dire una cosa a Bengasi, stiamo arrivando. Vedo la vittoria davanti ai miei occhi". Lo dice Saif al Islam intervenendo davanti al comitato popolare giovanile di Tripoli. GHEDDAFI ACCUSA L'ESTERO "I disordini nel Paese sono organizzati da gente che vive all'estero, a Londra e a New York. Avete visto i loro figli con le armi combattere a Bengasi?", così Saif Gheddafi arringando i giovani in una tenda a Tripoli. "Quattromila volontari solo ieri si sono arruolati nell'esercito: vogliono marciare verso est per liberare i propri cari, ostaggio di queste bande di criminali. Vedo la vittoria chiaramente davanti ai miei occhi. Li faremo fuggire sulle navi britanniche che hanno attraccato a Bengasi", ha aggiunto concludendo con ironia "sempre che la regina d'Inghilterra non voglia mandare a combattere qui i soldati con la gonna". "Libereremo la Libia" ha poi assicurato il figlio del leader libico scatenando le grida di gioia del migliaio di giovani presenti. FRANCIA PRONTA A COLPIRE DA SOLA, NOUVEL OBSERVATEUR Secondo fonti ben informate citate da Le Nouvel Observateur, il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha assicurato ai due interlocutori libici rappresentanti dell'opposizione che ha ricevuto all'Eliseo stamane, che Parigi è pronta, "se necessario, ad effettuare bombardamenti anche da sola". CASA BIANCA, CONTATTI DIRETTI CON INSORTI Gli Stati Uniti sono in contatto diretto con la opposizione in Libia, ha ribadito oggi il portavoce della Casa Bianca Jay Carney. "Siamo in contatto diretto con la opposizione - ha detto Carney durante il briefing quotidiano - questo include importanti membri del Consiglio e altre persone in Libia". "Ci stiamo coordinando con la opposizione per determinare il modo migliore per sostenere le loro aspirazioni", ha aggiunto il portavoce della Casa Bianca. BBC, LIBERATO GIORNALISTA BRASILIANO Il giornalista brasiliano Andrei Netto è stato liberato e si trova adesso alla Ambasciata brasiliana di Tripoli: lo ha riferito il suo giornale, 'O Estado de Sao Paulo' alla BBC. Il reporter era in stato d'arresto dal 6 marzo scorso, dopo essere stato fermato nella zona di Zawiya, insieme a un reporter del Guardian, del quale invece, stando alla BBC, non vi sarebbero ancora notizie. VAN ROMPUY, REGIME GHEDDAFI LASCI SUBITO POTERE "L'attuale leadership libica deve lasciare il potere senza ritardi": lo afferma il presidente della Ue, Herman Van Rompuy, in un messaggio inviato ai leader europei che si riuniranno domani a Bruxelles per fare il punto sulla crisi in Libia. "La situazione in Libia è molto preoccupante - afferma Van Rompuy - e il nostro messaggio alle autorità libiche sarà molto chiaro: l'uso della forza contro i cittadini deve finire" e il regime deve lasciare il potere subito. Il Consiglio europeo di domani discuterà quindi su come la Ue può aiutare il popolo libico, spiega il presidente della Ue, sottolineando come l'obiettivo sia quello di "assicurare una transizione verso la democrazia". C'é poi da affrontare "la crisi umanitaria che si sta sviluppando in Libia e ai suoi confini". "Quello che sta accadendo ai confini meridionali dell'Europa - aggiunge Van Rompuy - è veramente unico. Un cambiamento irreversibile è già avvenuto in Egitto e in Tunisia, e il Consiglio europeo discuterà su come offrire all'intera regione prospettive positive. Dobbiamo aiutare a trasformare la Primavera araba in un vero nuovo inizio". FRATTINI, NO ITALIA A BOMBARDAMENTI MIRATI "L'Italia non parteciperà a bombardamenti mirati su territorio libico". Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini a Bruxelles al termine della riunione straordinaria dei capi delle diplomazie dei 27 sulla Libia. Il titolare della Farnesina ha comunque riferito che durante la riunione di questo non si è discusso. SARKOZY PROPORRA' A UE BOMBARDAMENTI MIRATI Il presidente francese Nicolas Sarkozy intende proporre ai partner dell'Unione europea "bombardamenti aerei mirati" in Libia. E' quanto riferiscono fonti vicine al dossier, spiegando che il capo dell'Eliseo vuole anche criptare i sistemi di trasmissione del comando del colonnello Muhammar Gheddafi. STRASBURGO, UE RICONOSCA CNT E PENSI NO FLY ZONE Il Parlamento europeo ha approvato a larghissima maggioranza (584 sì, 18 no, 18 astenuti) una risoluzione che chiede ai governi Ue di riconoscere il Consiglio nazionale della transizione libico come l'autorità che rappresenta ufficialmente l'opposizione libica. Il testo invita inoltre l'Unione europea a prepararsi alla possibile istituzione di una 'no-fly zone' per impedire a Gheddafi di colpire la popolazione e aiutare il rimpatrio di chi fugge dalla violenza. L'eventuale istituzione della "no-fly zone" dovrebbe avvenire non unilateralmente ma solo dopo una risoluzione in tale senso dell'Onu ed in coordinamento con Lega Araba e Unione Africana. Nel testo infatti si invitano i governi Ue a "tenersi pronti per una decisione nell'ambito del Consiglio di sicurezza dell'Onu circa ulteriori misure, compresa la possibilità di prevedere una zona di interdizione al volo". Durante il dibattito di ieri, solo il gruppo GUE (Sinistra Unita) si era espresso contro la "no-fly zone". Nella risoluzione si chiede alla rappresentante per la politica estera Ue, Catherine Ashton, di "stabilire contatti" con i rappresentanti dei ribelli del Consiglio nazionale per la transizione, con l'obiettivo di dare il via al riconoscimento internazionale dell'ente. Martedì scorso tale contatto informale è già avvenuto in un incontro a Strasburgo con una delegazione del Consiglio nazionale di transizione libico guidata dal 'ministro' Mahmoud Jebril che era stato invitato al Parlamento europeo dal gruppo liberaldemocratico (Alde). Il Parlamento chiede anche a Gheddafi di lasciare il potere e condanna con forza la sistematica violazione dei diritti umani in Libia. 11 marzo 2011 2011-03-12 Rivolta in Yemen 5 manifestanti uccisi * * * * yemen, rivolta Cinque persone uccise, tra cui un ragazzino di 12 anni, e centinaia di feriti sono oggi le nuove vittime della rivolta che da quasi due mesi sconvolge lo Yemen. E il bilancio totale sale così a 42 manifestanti e sei agenti delle forze di sicurezza uccisi, oltre a centinaia di feriti, secondo un conteggio delle Nazioni Unite. L'ennesima giornata di violenze e manifestazioni per ottenere le dimissioni del presidente Ali Abdullah Saleh, al potere da 32 anni, è cominciata quando all'alba le forze di sicurezza hanno compiuto un blitz per disperdere gli studenti che da metà febbraio presidiano accampati la piazza davanti all'università di Sanaa. Gli agenti hanno fatto uso di gas lascimogeni, cannoni ad acqua e idranti prima, e di pallottole di piombo poi, quando gli studenti hanno risposto con una fitta sassaiola. E qui si è avuta la prima vittima: un manifestante ucciso, oltre ad un imprecisato, ma alto, numero di feriti. La notizia si è presto diffusa nel resto del Paese e decine di migliaia di manifestanti sono così scesi in strada in diverse città, tra cui Aden, Taiz e Mukalla (sud-est), dove è stato ucciso il ragazzino di 12 anni, che partecipava ad una manifestazione assieme ad alcuni compagni di scuola, cinque dei quali sono a loro volta rimasti feriti, secondo quanto hanno riferito fonti mediche. Nel primo pomeriggio è poi stata uccisa un'altra persona nella capitale, un uomo che cercava di unirsi al sit-in davanti all'università di Sanaa, divenuto da tempo il luogo simbolo della rivolta. Nel tardo pomeriggio e in serata infine, è giunta la notizia di due manifestanti deceduti in ospedale a Aden (sud) dopo essere stati feriti insieme ad altre quattro persone da colpi d'arma da fuoco sparati dai poliziotti che volevano impedire, secondo la versione delle autorità, che venisse incendiato un posto di polizia. Il ministero dell'interno ha poi accusato i manifestanti di essere responsabili delle violenze e ha fornito un bilancio di 161 feriti. I manifestanti a loro volta accusano le forze di sicurezza di aver fatto uso di una specie di gas nervino, che blocca il sistema nervoso. Un'accusa respinta con forza. Appena giovedì scorso, in un tentativo di riportare la situzione sotto controllo, il presidente Saleh ha fatto significative concessioni, invocando la formazione di un governo di unità nazionale e impegnandosi a sottoporre a referendum entro l'anno una nuova Costituzione che preveda un "sistema parlamentare". A stretto giro l'opposizione ha però risposto che si tratta di misure tardive e insufficenti. Difficile quindi credere che i manifestanti saranno ora disposti ad ascoltare l'esortazione di ieri degli Stati Uniti a raccogliere costruttivamente l'invito al dialogo lanciato dal presidente Saleh. L'assistente presidenziale Usa per la Sicurezza Interna John Brennan ha infatti accolto con favore l'iniziativa di Saleh, ma ha anche affermato che "tutte le parti sono ugualmente responsabili nello sforzo di raggiungere una soluzione pacifica all'attuale crisi, grazie a un processo trasparente, che eviti violenze e aiuti il Paese a diventare una nazione più stabile e più prospera". 12 marzo 2011
Libia, ribelli in ritirata Ucciso cameraman Al Jazira * * * * bengasi INSORTI: GHEDDAFI FA GUERRA PSICOLOGICA Il Consiglio Nazionale Provvisorio di Bengasi, che raggruppa le forze di opposizione al regime libico, ha accusato Muammar Gheddafi di aver intrapreso una "guerra psicologica" con l'intento di minare il morale degli insorti. "Il popolo libico non ha paura", ha dichiarato il numero due del Consiglio transitorio, che ha stigmatizzato il voto contrario di Algeria e Siria alla decisione, adottata oggi dalla Lega Araba, di considerare il Consiglio un interlocutore a tutti gli effetti e di avviare contatti diretti. USA E OCCIDENTE: BENE LEGA ARABA MA NON BASTA Stati Uniti e paesi occidentali del Consiglio di Sicurezza dell'Onu si sono detti soddisfatti per la decisione della Lega Araba di chiedere ufficialmente l'istituzione di una no-fly zone internazionale sui cieli della Libia, giudicandola però un insufficiente per essere un passo decisivo. BENGASI, UCCISO CAMERAMAN AL JAZIRA Un cameraman della tv satellitare qatariota Al Jazira, Ali Hassan Al Jabir, è stato ucciso oggi in un'imboscata nella regione di Hawari, vicino a Bengasi, mentre curava un reportage. Ne ha dato notizia da Doha la stessa rete tv. Un'altra persona è stata ferita. LEGA ARABA, AVREMO CONTATTI CON CNT Il Consiglio ministeriale della Lega ha affermato di voler aprire "canali di contatto con il Consiglio Nazionale Libico per aiutare il popolo libico". Lo ha detto all'ANSA una fonte diplomatica araba.
LEGA ARABA FAVOREVOLE A 'NO-FLY ZONE' La Lega araba è favorevole a una 'no-fly zonè in Libia e ad aprire le negoziazioni con il Consiglio nazionale transitorio che raggruppa l'opposizione al regime di Muammar Gheddafi. Lo hanno dichiarato alcuni diplomatici che al Cairo, in Egitto, partecipano al vertice straordinario dell'organizzazione.
RAS LANUF DI NUOVO NELLE MANI DI GHEDDAFI Ras Lanuf sarebbe di nuovo nelle mani delle forze leali a Gheddafi. A darne notizia sono Sky News e al-Jazeera, che citano fonti dell'opposizione. Secondo la tv araba, anche l'altro centro petrolifero di Brega, teatro di durissimi combattimenti fino a una settimana fa, sarebbe stato riconquistato dai militari pro-regime nella mattinata di oggi, quando i rivoltosi sono stati costretti alla ritirata da intensi bombardamenti e fuoco d'artiglieria. TUTTI I VIDEO SULLA LIBIA Gli altri articoli: - Veltroni: "In piazza per la Libia" - L'appello: abolire mercenari e contractors
OPPOSIZIONE, FORZE GHEDDAFI ATTACCANO MISURATA Le forze di Gheddafi continuano la controffensiva. Dopo aver continuato a martellare tutta la giornata Ras Lanuf con raid aerei, sono passati ad attaccare anche la città di Misurata controllata dai ribelli. OMAN, UN "INTERVENTO ARABO" SENNÒ ARRIVANO STRANIERI Gli Stati arabi devono intervenire in Libia attraverso la Lega Araba e in linea con il diritto internazionale perchè la crisi libica rappresenta una minaccia alla stabilità di tutti gli Stati arabi. Lo ha detto il ministro degli esteri dell'Oman. "Ciò che è necessario è un intervento arabo, utilizzando meccanismi della Lega Araba e allo stesso tempo ai sensi del diritto internazionali", ha detto il ministro Youssef bin Alawi bin Abdullah, nel suo discorso di apertura della riunione della Lega Araba al Cairo. "Alla luce di ciò, dobbiamo analizzare le varie opzioni che le circostanze , in Libia, richiedono". Se il mondo arabo non interverrà, è stato il suo monito, l'inazione potrebbe portare a "un intervento non voluto degli stranieri". APERTA RIUNIONE STRAORDINARIA LEGA ARABA Si è aperta al Cairo la riunione straordinaria della Lega Araba per discutere della possibilità di imporre una zona di esclusione aerea sulla Libia e del riconoscimento del Consiglio Nazionale di Transizione (Cnt) libico di Bengasi. Il delegato dell'Oman ha dichiarato che è richiesto un "intervento arabo" in Libia da compiere attraverso la Lega Araba e rispettando le leggi internazionali. La Libia non è rappresentata nella riunione. ASHTON, PER UE RIBELLI BENGASI NON UNICO INTERLOCUTORE Pur considerando come "interlocutore" il Comitato nazionale di transizione di Bengasi, l'Unione Europea è pronta a parlare con altre forze sul terreno libico per contribuire ad una soluzione della crisi. Lo ha detto il capo della diplomazia europea, Catherine Ashton, concludendo oggi a Budapest il consiglio informale dei 27 ministri degli Esteri europei. Quanto ad eventuali ulteriori sanzioni contro il regime di Gheddafi, la Ashton ha osservato - in una conferenza stampa - che è necessario intanto valutare "l'efficacia di quelle già adottate". FRATTINI, MINACCE FIGLIO RAIS? TENTATIVO LEGITTIMARSI Le nuove minacce del figlio di Gheddafi, Seif Al Islam, all'Italia sono solo "il tentativo di legittimare un regime che l'Unione europea ha detto che non può essere legittimato": è quanto ha dichiarato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, commentando una intervista in cui il rampollo del Rais annuncia anche che la Libia lascerà le porte aperte all'emigrazione verso l'Europa e che ora Tripoli controlla già il 90% del territorio libico. Su questo ultimo punto, ha detto Frattini, si spera che una commissione ispettiva dell'Onu verifichi effettivamente quale è la situazione sul campo. RIBELLI CHIEDONO RICONOSCIMENTO A LEGA ARABA E NO-FLY ZONE Il Consiglio Nazionale Transitorio dei ribelli libici di Bengasi ha chiesto alla Lega Araba di pronunciarsi a favore dell'imposizione di una no-fly zone sulla Libia e di riconoscerli come soli rappresentanti legittimi del Paese. Nel pomeriggio al Cairo si riuniranno i ministri degli esteri dei Ventidue senza i rappresentanti di Gheddafi che non sono stati invitati. RIBELLI SI RITIRANO DA CENTRO PETROLIFERO DI RAS LANUF I ribelli libici si sono ritirati dal centro petrolifero di Ras Lanuf, dove una raffineria sta ancora bruciando e dove le forze di Muammar Gheddafi sembrano aver ripreso il controllo. Quattro ribelli nel villaggio di Uqayla, sulla strada costiera tra Brega e Ras Lanuf, hanno riferito di aver lasciato la città dopo pesanti combattimenti e dopo che le forze di governo hanno espugnato la città giovedì scorso. Una scia di fumo era visibile a ovest di ras lanuf dove una raffineria di petrolio è stata colpita da un attacco aereo. AL JAZEERA: FORZE GHEDDAFI CONQUISTANO BREGA I guerriglieri dell'opposizione stanno perdendo terreno nella battaglia in corso in Cirenaica contro le forze regolari e i miliziani al soldo di Gheddafi. Secondo Al Jazeera International anche Brega, centro petrolifero cruciale e teatro di durissimi combattimenti fino a una settimana fa, sarebbe stata riconquistata dai militari pro-regime nella mattinata di oggi, quando i rivoltosi sono stati costretti alla ritirata da intensi bombardamenti e fuoco d'artiglieria. L'inviato dell'emittente satellitare con sede in Qatar, Nick Clark - che attualmente si trova comunque a Tobruk, quindi a est di Bengasi - ha sostenuto che le forze del Colonnello "sono ormai a buon punto nell'avanzata" verso il capoluogo della Cirenaica, roccaforte del movimento del 17 febbraio. SI COMBATTE A RAS LANUF; OGGI RIUNIONE LEGA ARABA Non si fermano le violenze sul fronte orientale della guerra civile libica: intensi combattimenti sono in corso fra i guerriglieri dell'opposizione e le forze fedeli a Gheddafi a Ras Lanuf. La Bbc riferisce di bombardamenti da parte dell'aviazione del colonnello su una raffineria e un checkpoint dei rivoltosi vicino al centro petrolifero, l'avamposto della resistenza 350 chilometri a ovest di Bengasi. L'inviato della Bbc, Jon Leyne sostiene che gli uomini di Gheddafi starebbero prevalendo nella dura battaglia costringendo i combattenti pro-democrazia alla resa. Ovviamente se il Colonnello riuscisse a rientrare in possesso della città sarebbe un risultato fondamentale, ai danni dell'opposizione che controlla gran parte della Cirenaica. All'inizio della settimana, i regolari e i miliziani africani assoldati dal rais avevano riconquistato anche Zawiyah, 48 chilometri a ovest di Tripoli. Alcuni testimoni, via twitter, riferiscono oggi di nuovi bombardamenti a Uqaylah e, ancora più ad est, vicino a Brega. Sul fronte diplomatico è attesa per oggi la riunione della Lega Araba. In un'intervista al settimanale tedesco Spiegel il segretario generale Amr Moussa ha difeso l'opzione militare di una no fly zone per la Libia e preannuncitoa che la sua organizzazione internazionale potrebbe "giocare un ruolo". "Non so come né chi imporrà una zona simile, vedremo. Anche la Lega Araba potrebbe avere un ruolo, cosa che mi auguro". Parlo di un'azione umanitaria - ha proseguito il diplomatico egiziano - una no fly zone equivale ad appoggiare il popolo libico nella sua lotta per la libertà e contro un regime sempre più pericoloso". Quanto a chi dovrebbe assumere la guida di una simile operazione, Moussa si è limitato a rispondere: "Questo dipende da ciò che deciderà il Consiglio di sicurezza (dell'Onu). Onu, Lega Araba, Unione africana, gli europei, tutti dovrebbero partecipare" ha sostenuto l'egiziano. I ministri degli Esteri arabi si riuniranno oggi al Cairo per discutere della questione. Finora la Lega Araba aveva fatto sapere della sua disponibilità a mettere in atto una no fly zone, pur sottolineando la propria ferma opposizione a qualsiasi intervento militare in Libia. dalla riunione della Lega Araba sono stati esclusi. I delegati di Gheddafi. Ieri i leader europei hanno aumentato la pressione su Muammar Gheddafi accettando di dialogare con l'opposizione ed evocando con una certa prudenza l'opzione militare per proteggere i civili, anche se fra i Ventisette restano pesanti divisioni. GHEDDAFI: COMPLOTTO COLONIALISTA DEGLI OCCIDENTALI Il leader libico Muammar Ghaddafi ha accusato gli occidentali, in particolare la Francia, di condurre "un complotto colonialista" contro il suo paese. In un'intervista diffusa questa mattina dal network francese LCI, il colonnello ha spiegato che la comunità occidentale "vuole colonizzare nuovamente la Libia". "C'è un complotto colonialista", ha aggiunto. A proposito di eventuali misure di rappresaglia contro la Francia, per il sostegno dato agli insorti di Bengasi, Ghaddafi ha risposto con un laconico: "si vedrà", pur dicendosi intenzionato a compiere future "visite" in Europa quando "tutto ciò sarà terminato". DELEGATI DI GHEDDAFI ESCLUSI DAL VERTICE DELLA LEGA ARABA La delegazione del leader libico Muammar Gheddafi non sarà autorizzata a partecipare al vertice della Lega araba in programma oggi al Cairo. Lo hanno fatto sapere funzionari dell'organizzazione panaraba, ricordando che la Libia è stata sospesa il 2 marzo scorso. Gheddafi ha inviato nella capitale egiziana Salma Rashed, per sostituire l'ex ambasciatore Abdel Moneim al Honi, che si è dimesso per protesta contro la violenza usata dal regime sui manifestanti, e il suo ministro per l'Elettricità, Omrane Abu Kraa. I Paesi arabi discuteranno oggi l'ipotesi di imporre una zona di interdizione di volo sulla Libia. AL JAZIRA, NUOVI BOMBARDAMENTI TRA BREGA E RAS LANUF Aerei libici hanno bombardato in serata alcune postazioni degli insorti situate tra Brega e il centro petrolifero di Ras Lanuf, nell'est del paese, stando a quanto riferisce la tv satellitare araba Al Jazira senza fornire altri particolari. L'emittente Al Arabiya, dal canto suo, ha dato notizia dell'uccisione di sei ribelli a Brega e Ras Lanuf senza collegarli tuttavia a un radi aereo. GHEDDAFI RISPONDE A SARKOZY, SOSPESI RAPPORTI ANNUNCIO DOPO RICONOSCIMENTO CONSIGLIO PROVVISORIO Non si è fatta attendere la riposta di Muammar Gheddafi a Nicolas Sarkozy: la Libia ha infatti oggi annunciato di avere "sospeso" i rapporti diplomatici con la Francia dopo il riconoscimento ieri accordato dal capo dell'Eliseo al Consiglio Nazionale Libico degli insorti insediatosi a Bengasi. L'annuncio è stato dato dal vice-ministro degli esteri Khaled Kaaim che, in una conferenza stampa a Tripoli, ha detto che il suo governo "incaricher… un paese terzo" di rappresentare gli interessi libici a Parigi. "È chiaro che la Francia punta a dividere la Libia", ha poi affermato. Con una mossa a sorpresa che ha spiazzato anche i partner europei, Sarkozy ieri aveva deciso di accordare il proprio riconoscimento al Consiglio provvisorio che gli oppositori di Gheddafi hanno costituito a Bengasi, il capoluogo della regione ribelle della Cirenaica dove Parigi potrebbe addirittura trasferire la propria ambasciata. Gi… ieri il vice-ministro aveva criticato aspramente la decisione. "Il Consiglio rappresenta solo se stesso, non rappresenta nessuna regione della Libia, nemmeno all'est", ha ribadito oggi. Assieme al premier britannico David Cameron, ieri sera Sarkozy aveva invitato i partner europei a riconoscere gli insorti quale "valido interlocutore politico". Stando alle a indiscrezioni del settimanale Nouvel Obesrvateur, inoltre, Sarkozy aveva proposto agli altri paesi Ue di non escludere "bombardamenti mirati" contro la Libia. Dopo essersi inizialmente dichiarata contraria, la Francia si è inoltre convertita all'imposizione di una 'no fly zonè sui cieli libici per impedire agli aerei e agli elicotteri di Gheddafi di attaccare gli insorti e i centri abitati occupati dai ribelli. Al vertice straordinario tenuto oggi a Bruxelles, i 26 partner della Francia si sono guardati bene dal seguire Sarkozy su tutta la linea. Non sono state prese decisioni concrete sulla zona di interdizione al volo nè sul riconoscimento formale del Consiglio di Bengasi come unico e legittimo rappresentante del popolo libico. Gheddafi comunque è stato invitato ad andarsene in quanto "interlocutore non più valido" e una qualche forma di contatto con i suoi oppositori ci sarà. Nella conferenza stampa, Kaaim ha detto che una risposta ufficiale alla Ue arriver… domani. Nel frattempo ha duramente criticato la BBC accusandola di diffondere notizie false, ed è tornato a minacciare rivelazioni sui "gravi segreti" della campagna elettorale di Sarkozy che già erano stati preannunciati dall'agenzia ufficiale Jana. LIBIA: UE APRE A BENGASI, RAIS DELEGITTIMATO: "VADA VIA" Più che con le bombe di Sarko, è per asfissia finanziaria e diplomatica che l'Occidente cerca di cacciare Gheddafi. Il vertice europeo straordinario dei 27 leader d'Europa convocato per la Libia "sull'orlo della guerra civile", come l'ha definita Van Rompuy, apre al Cnt di Bengasi e disconosce il sanguinario colonnello di Tripoli che sventra Zawiya: "Il suo regime ha perso ogni legittimità e non è più un interlocutore per la Ue". Parole forti, per il linguaggio diplomatico. Ma il riconoscimento del 'governò dei ribelli è ancora lontano. Secondo Sarkozy è "l'interlocutore politico". Nel documento finale e nelle parole del presidente permanente il Cnt è "un" interlocutore. Va valutata la rappresentatività di quegli "ex ministri di Gheddafi" che guidano l'insurrezione. Allo scopo si sta preparando una missione Ue proprio a Bengasi, a breve. I 27 invece frenano sulle azioni militari che Sarkozy ( con il quale Tripoli in serata interrompe le relazioni) e Cameron vorrebbero lanciare subito. È Angela Merkel, col sostegno - tra gli altri - di Berlusconi, Zapatero e dell'austriaco Faymann a riallineare l'Europa sulle posizioni di Stati Uniti e Nato. Cautela necessaria quando l'Unione Africana ha già detto no all'interventismo e quando domani sarà la Lega Araba a tenere al Cairo il suo vertice straordinario sulla crisi libica. Cautela sottolineata dalla richiesta di avere "al più presto" un supervertice tra Ue, Unione Africana e Lega Araba. È solo con il consenso del mondo arabo che si può intervenire sulla sponda sud del Mediterraneo. Dove, comunque, c'è già qualcuno che si muove nella direzione giusta: il re del Marocco, ad esempio, che nel documento viene congratulato per aver deciso di avviare una revisione della costituzione. In attesa del via libera delle Nazioni Unite (dove il vero ostacolo per una nuova e più decisa risoluzione è la Cina, più che la Russia possibilista) gli stati membri "esamineranno tutte le necessarie opzioni" per fermare chi bombarda la sua gente e, centrando i suoi stessi pozzi petroliferi, l'economia mondiale. Così, mentre la Nato continua a fare i piani per il blocco navale e/o la 'no-fly zonè (per quest'ultima saranno pronti martedì, secondo Hillary Clinton), l'Europa sceglie le stesse regole di ingaggio decise ieri dall'Alleanza Atlantica. Prima di intervenire sarà necessario che ci siano: una "dimostrata necessità", "una chiara base legale" e, appunto, "il supporto della regione". L'azione vera, per ora, resta quella politico-finanziaria. Così è David Cameron, che ieri si era allineato sull'interventismo di Sarkozy, a rilanciarla: nella conferenza stampa post vertice chiede che la Ue e la comunità internazionale applichino "sanzioni petrolifere". Significa dire a Gheddafi che l'Occidente può fare a meno del suo petrolio. Proprio nel giorno in cui entra in vigore il blocco delle attività delle sue casseforti (dal fondo nazionale sovrano alla Lafico), il premier britannico propone di aggiungere la compagnia petrolifera nazionale all'elenco delle 5 società e delle 27 persone di cui sono stati congelati i beni e le attività finanziarie. Quella di Cameron è comunque iniziativa tutta da discutere. Resta un documento finale di cui l'Italia è pienamente soddisfatta. Il presidente Napolitano approva. E per di più Berlusconi incassa la "concreta solidarieta" che i 27 finalmente si impegnano a dare agli stati "più direttamente esposti" ai movimenti migratori, con tanto di consiglio Giustizia e Affari interni straordinario da tenersi al più presto per trovare le risorse necessarie. Secondo le fonti Onu, sono già 250.000 le persone che hanno lasciato la Libia. Ed ora anche quelli che due settimane fa dicevano a Maroni che l'Italia esagerava nelle cifre riconoscono che "la Ue e gli stati membri" devono "essere pronti a dare tutto il necessario supporto". Ed il premier italiano si può togliere anche la soddisfazione di ricordare agli altri 26 leader europei che l'Italia è stata la prima a decidere e realizzare i campi di aiuto per i profughi. Invitando gli altri "a fare altrettanto". LA DIRETTA DI IERI 11 marzo 2011 Articoli Correlati * Berlusconi: baciamamo? Sono un guascone Vedi tutti gli articoli della sezione "l'Unità"
Gheddafi offre amnistia a ribelli e rompe le relazioni con la Francia * * * * libia ribelli box Obama interviene di persona: evitare un genocidio come avvenne nuovo Ruanda. Attacchi aerei delle forze di Gheddafi sempre più frequenti. L'Unione europea pronta a dialogare con i ribelli, non ancora al loro riconoscimento. Ma dichiara prioritaria la sicurezza dei cittadini libici. 'Bengasi stiamo arrivando'. Il figlio di Gheddafi, Saif al Islam, preannuncia un attacco totale contro gli insorti. E mentre la Nato spiega che le azioni militari arriveranno solo con un mandato dell'Onu, la Francia si dice pronta a colpire, anche da sola. E il raìs sospende le relazioni diplomatiche con Parigi. TUTTI I VIDEO SULLA LIBIA Gli altri articoli: - Veltroni: "In piazza per la Libia" - L'appello: abolire mercenari e contractors E in una lettera congiunta all'Ue, Sarkozy e Cameron chiedono al Raìs di andarsene. La Casa Bianca annuncia: contatti diretti con gli insorti. Parlamento europeo: prepararsi a possibile istituzione di una 'no-fly zone'. E per le monarchie del Golfo il regime libico ha perso la sua legittimità e devono essere stabiliti contatti con gli insorti. Le forze fedeli a Gheddafi continuano intanto a martellare dall'aria e dal mare le postazioni dei ribelli attorno alla città petrolifera di Ras Lanuf, e l'offensiva si spinge sempre più a est, mentre in Tripolitania il regime assicura di aver riconquistato Zawiya. GHEDDAFI OFFRE AMNISTIA A RIBELLI SE DEPONGONO LE ARMI Gheddafi offre l'amnistia ai ribelli se depongono le armi. Lo ha riferito la tv libica Al-Shababiya in un'ultim'ora sulla parte bassa dello schermo che recita: "Chiunque deporrà le armi non sarà punito e possa Hallah perdonarlo per i suoi atti precedenti". WASHINGTON CONGELA ASSET MOGLIE GHEDDAFI Gli Stati Uniti rafforzano le sanzioni nei confronti di Muammar Gheddafi e congelano gli asset (punti forti di un'azienza) della moglie e di altri nove libici. Lo comunica il Tesoro. GHEDDAFI ROMPE RELAZIONI CON FRANCIA PARIGI DETTA PRONTA A BOMBARDARLO Il governo di Gheddafi ha deciso di sospendere le relazioni diplomatiche con la Francia: lo annunciato il viceministro degli Esteri Khaled Kaaim. Parigi ha riconosciuto il governo degli insorti e si è detta pronta a bombardare le forze del colonnello. L'INVIATO ONU: "FINE STRAGI" PRONTO A INCONTRARE "TUTTE LE PARTI" Abdul Ilah Kathib è il nuovo inviato dell'Onu in Libia. L'obiettivo prioritario della sua missione nel Paese, la prossima settimana, sarà "porre un termine alle stragi", oltre a "mantenere l'unità del popolo libico e l'integrità territoriale della loro nazione". Il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, ha detto che l'inviato, ex ministro degli Esteri della Giordania "si concentrerà a porre fine alle violenze, ma mi aspetto un suo impegno in una dimensione più ampia della crisi, anche politica". Rispondendo ai giornalisti, Kathib si è detto pronto "a incontrare tutte le parti", insorti compresi. OBAMA: EVITIAMO CHE LIBIA SIA UN NUOVO RUANDA In Libia bisogna evitare un nuovo Ruanda (dove ci fu un autentico genocidio con un milione di morti) e una guerra come quella che ha devastato i Balcani negli anni Novanta. Lo ha detto il presidente degli Stati Uniti Barack Obama in una conferenza stampa oggi a Washington, aggiungendo che occorre seguire da vicino gli sviluppi in Libia, mentre le decisioni dovranno essere prese caso per caso NAPOLITANO CONCORDA CON L'UE: GHEDDAFI NON PUO' GOVERNARE Il presidente Napolitano ha espresso apprezzamento per la presa di posizione del Consiglio europeo sulla crisi nel Maghreb, sottolineando che le decisioni si muovono in coerenza con gli orientamenti assunti dal Consiglio supremo di difesa, in particolare per quanto riguarda la "perdita di ogni legittimazione a governare" del colonnello Gheddafi. Vivo apprezzamento anche per il "forte accento" posto dal Consiglio Ue sulla "comune responsabilità europea rispetto ai movimenti migratori in atto". SPAGNA (UFFICIOSAMENTE): NO FLY ZONE ANCHE SENZA L'ONU La 'no-fly zone' potrebbe essere imposta alla Libia anche senza una risoluzione delle Nazioni unite: è la posizione ufficiosa della Spagna emersa a margine del vertice straordinario Ue in corso a Bruxelles. "Al momento - spiega una fonte diplomatica iberica - è necessaria una base legale e un appoggio politico, ma se la situazione si aggraverà, non si dovranno più realizzare le condizioni richieste (la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu e l'appoggio chiaro della Lega Araba e dell'Unione Africana) ma si potrebbe agire altrimenti". PREMIER MALTESE: NOI RIFIUTATO RICHIESTA DI MEDIAZIONE DI GHEDDAFI Il governo maltese ha rifiutato una richiesta del colonnello Muammar Gheddafi di fare da mediatore con l'Unione europea. "Ho detto chiaramente di no al governo libico", ha dichiarato il Primo ministro maltese Lawrence Gonzi alla fine di un incontro privato a Bruxelles con il Presidente della Commissione europea Jose Manuel Durrao Barroso RAFFINERIA DI ZAWIA RIPRENDE L'ATTIVITA' L'importante raffineria di Zawia (40 chilometri a ovest di Tripoli) ha ripreso la normale attività dopo essere stata bloccata a causa dei combattimenti. Lo ha annunciato oggi il maggiore responsabile del settore petrolifero in Libia, Shukri Ghanem, direttore della Compagnia nazionale libica per il petrolio. UNICREDIT CONGELA DIRITTI AZIONISTI LIBICI Unicredit congela i diritti degli azionisti libici. Una nota dell'istituto di piazza Cordusio a Milano afferma: "Alla luce delle decisioni pubblicate oggi dall'Unione Europea, UniCredit dichiara che - con riferimento agli azionisti libici - l'esercizio dei diritti relativi alle azioni possedute sarà congelato in conformità a tali decisioni". FACEBOOK E TWITTER INACCESSIBILI INTERNET RALLENTATA Anche oggi le connessioni internet vanno a rilento e i social network, Facebook e Twitter risultano inaccessibili. Gli i-phone che garantiscono connettività ma non permettono di interagire con l'estero. TRIPOLI BLINDATA E DESERTA AI GIORNALISTI VIETATO FARE DOMANDE Tripoli è blindata e deserta nel giorno della preghiera del venerdì: nei centri nevralgici della capitale libica sono scomparsi anche i miliziani del regime, la città è presidiata dalle forze di sicurezza in borghese e dagli agenti di polizia. L'area attorno alla principale moschea è off-limits per i giornalisti: ai pochi che sono riusciti ad avvicinarsi non è stato permesso fare domande alle rare persone presenti nella zona, soprattutto ambulanti che vendono sigarette. Un gruppo di giornalisti stranieri aveva tentato di dirigersi a Tajoura, a venti chilometri dalla capitale, ma è stato bloccato dalle forze di sicurezza e scortato verso l'albergo Rixos. UE: SICUREZZA PER POPOLAZIONE I RESPONSABILI PAGHERANNO La bozza del Consiglio europeo straordinario sulla crisi libica chiede sicurezza per i cittadini libici: "La sicurezza della popolazione deve essere assicurata con tutti i mezzi necessari. I responsabili saranno messi di fronte alle loro azioni con pesanti conseguenze. Collaboreremo con le Nazioni Unite, la Lega araba, l'Unione africana e i partner internazionali nel reagire alla crisi". UE: PRONTA A DIALOGO CON NUOVE AUTORITA' NO RICONOSCIMENTO, MA GHEDDAFI LASCI "L'Unione Europea è pronta a dialogare con le nuove autorità libiche per aiutare il paese a costruire uno Stato costituzionale e a sviluppare lo stato di diritto". È uno dei passaggi della bozza di dichiarazione finale del Consiglio Ue sulla Libia che i 27 stanno discutendo a Bruxelles. L'Unione "è pronta a rispondere alle richieste del popolo libico di assistenza alla ripartenza economica libica". Il documento spiega che "l'obiettivo è che la Libia si avvii rapidamente ad una transizione ordinata verso la democrazia grazie ad un dialogo su basi ampie". L'Ue non prevede però ancora il riconoscimento ufficiale delle autorità ribelli, come ha fatto la Francia, e invoca che Gheddafi abbandoni il potere. RAID AEREO A UQAYLAH FONTI NON CONFERMATE: ATTACCHI ANCHE A BREGA Raid degli aerei di Gheddafi vicino alla città di Uqaylah, a est della linea del fronte dove ribelli e governativi hanno combattuto violentemente per il controllo della città portuale petrolifera di Ras Lanuf. Lo hanno riferito testimoni. Secondo altre fonti, che non hanno potuto essere confermate da fonti indipendenti, ci sono stati stamane raid aerei anche contro Brega, un'altra città petrolifera ancora più a est. ATTACCO AEREO DI GHEDDAFI AGLI INSORTI A RAS LANUF Le forze di Gheddafi hanno lanciato un attacco aereo su una postazione dei rivoltosi a una decina di chilometri a est di Ras Lanuf. L'attacco non avrebbe fatto vittime, ma proseguono i combattimenti con artiglieria: i ribelli lanciano razzi Katiusha contro l'esercito che risponde con granate e missili Grad. SANZIONI UE, SCATTA BLOCCO ASSET LIA E LAFIC Il congelamento degli asset controllati da Lia e Lafico, nonche' dalla Banca centrale libica, da altre tre societa' e dal vicepresidente della Lia, Mustafa Zarti, e' in vigore. Come previsto, e' stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Ue di oggi il regolamento che estende a questi soggetti le sanzioni contro la Libia varate il due marzo scorso. FRANCIA-GB: LETTERA A UE GHEDDAFI DEVE LASCIARE "Muammar Gheddafi e il suo clan devono andarsene per evitare ulteriori sofferenze al popolo libico": lo chiedono il presidente francese, Nicolas Sarkozy, e il premier britannico, David Cameron, in una lettera congiunta all'UE, resa nota a Parigi dall'Eliseo. Nel messaggio indirizzato al presidente del Consiglio europeo, Herman van Rompuy, Sarkozy e Cameron scrivono che "il mondo è testimone" di una "violenza e repressione" in Libia che sono "inaccettabili" e che "é chiaro che per noi il regime ha perso qualsiasi legittimità che avesse potuto avere". Parigi e Londra "accolgono con favore la formazione di un Consiglio nazionale di transizione con base a Bengasi" e si "avvicinano" ad esso e ai suoi membri per "sviluppare un dialogo cooperativo". Oggi la priorità è affrontare "la situazione politica e di sicurezza", proseguono Sarkozy e Cameron. La prima esigenza - scrivono rivolgendosi "ai nostri alleati e ai nostri amici arabi e africani" - è che "Gheddafi e il suo clan" devono andarsene. La seconda è "inviare il segnale politico chiaro" di considerare "il Consiglio come un interlocutore politico valido e una voce importante per il popolo libico in questa fase". A questo scopo, Gb e Francia "sostengono gli sforzi del Cnt di preparare un governo rappresentativo e responsabile". Parigi e Londra chiedono "la fine immediata" dell'uso della forza contro i civili "da parte del regime di Gheddafi". Fra i provvedimenti che potrebbero essere adottati per facilitare questa soluzione, quella di "una zona di esclusione aerea" o anche "altre opzioni" per "impedire gli attacchi aerei". Francia e Gran Bretagna lanciano un appello alle Nazioni Unite affinché "valutino e sorveglino da vicino la situazione umanitaria in Libia", dichiarano di "sostenere l'inchiesta annunciata dal Procuratore del Tribunale penale internazionale" e chiedono a "tutti i paesi di applicare completamente l'embargo sulle armi" alla Libia. NATO, AZIONI MILITARI SOLO CON RISOLUZIONE ONU Qualsiasi azione di tipo militare della Nato, necessiterà di "un chiaro mandato del consiglio di sicurezza delle nazioni unite", ha sottolineato il segretario della Nato Anders Fogh Rasmussen, nel corso dei una conferenza stampa. Rasmussen ha specificato che tale nuovo mandato servirebbe anche per un "monitoraggio rinforzato dell'embargo sulle armi" imposto alla Libia dalla risoluzione 1970. SAIF, PRESTO OFFENSIVA TOTALE CONTRO RIBELLI La Libia sta preparando un'offensiva totale contro i ribelli. Lo ha detto il figlio del leader libico Muammar Gheddafi, Saif al Islam, in un'intervista all'agenzia Reuters. "E' tempo per la liberazione. E' tempo per l'azione. Adesso é tempo di agire", ha aggiunto il figlio del colonnello. "Il popolo libico non accoglierà mai la Nato, non accoglierà mai gli americani. La Libia non è un pezzo di torta", ha detto Saif Gheddafi. "Voglio dire una cosa a Bengasi, stiamo arrivando. Vedo la vittoria davanti ai miei occhi". Lo dice Saif al Islam intervenendo davanti al comitato popolare giovanile di Tripoli. GHEDDAFI ACCUSA L'ESTERO "I disordini nel Paese sono organizzati da gente che vive all'estero, a Londra e a New York. Avete visto i loro figli con le armi combattere a Bengasi?", così Saif Gheddafi arringando i giovani in una tenda a Tripoli. "Quattromila volontari solo ieri si sono arruolati nell'esercito: vogliono marciare verso est per liberare i propri cari, ostaggio di queste bande di criminali. Vedo la vittoria chiaramente davanti ai miei occhi. Li faremo fuggire sulle navi britanniche che hanno attraccato a Bengasi", ha aggiunto concludendo con ironia "sempre che la regina d'Inghilterra non voglia mandare a combattere qui i soldati con la gonna". "Libereremo la Libia" ha poi assicurato il figlio del leader libico scatenando le grida di gioia del migliaio di giovani presenti. FRANCIA PRONTA A COLPIRE DA SOLA, NOUVEL OBSERVATEUR Secondo fonti ben informate citate da Le Nouvel Observateur, il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha assicurato ai due interlocutori libici rappresentanti dell'opposizione che ha ricevuto all'Eliseo stamane, che Parigi è pronta, "se necessario, ad effettuare bombardamenti anche da sola". CASA BIANCA, CONTATTI DIRETTI CON INSORTI Gli Stati Uniti sono in contatto diretto con la opposizione in Libia, ha ribadito oggi il portavoce della Casa Bianca Jay Carney. "Siamo in contatto diretto con la opposizione - ha detto Carney durante il briefing quotidiano - questo include importanti membri del Consiglio e altre persone in Libia". "Ci stiamo coordinando con la opposizione per determinare il modo migliore per sostenere le loro aspirazioni", ha aggiunto il portavoce della Casa Bianca. BBC, LIBERATO GIORNALISTA BRASILIANO Il giornalista brasiliano Andrei Netto è stato liberato e si trova adesso alla Ambasciata brasiliana di Tripoli: lo ha riferito il suo giornale, 'O Estado de Sao Paulo' alla BBC. Il reporter era in stato d'arresto dal 6 marzo scorso, dopo essere stato fermato nella zona di Zawiya, insieme a un reporter del Guardian, del quale invece, stando alla BBC, non vi sarebbero ancora notizie. VAN ROMPUY, REGIME GHEDDAFI LASCI SUBITO POTERE "L'attuale leadership libica deve lasciare il potere senza ritardi": lo afferma il presidente della Ue, Herman Van Rompuy, in un messaggio inviato ai leader europei che si riuniranno domani a Bruxelles per fare il punto sulla crisi in Libia. "La situazione in Libia è molto preoccupante - afferma Van Rompuy - e il nostro messaggio alle autorità libiche sarà molto chiaro: l'uso della forza contro i cittadini deve finire" e il regime deve lasciare il potere subito. Il Consiglio europeo di domani discuterà quindi su come la Ue può aiutare il popolo libico, spiega il presidente della Ue, sottolineando come l'obiettivo sia quello di "assicurare una transizione verso la democrazia". C'é poi da affrontare "la crisi umanitaria che si sta sviluppando in Libia e ai suoi confini". "Quello che sta accadendo ai confini meridionali dell'Europa - aggiunge Van Rompuy - è veramente unico. Un cambiamento irreversibile è già avvenuto in Egitto e in Tunisia, e il Consiglio europeo discuterà su come offrire all'intera regione prospettive positive. Dobbiamo aiutare a trasformare la Primavera araba in un vero nuovo inizio". FRATTINI, NO ITALIA A BOMBARDAMENTI MIRATI "L'Italia non parteciperà a bombardamenti mirati su territorio libico". Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini a Bruxelles al termine della riunione straordinaria dei capi delle diplomazie dei 27 sulla Libia. Il titolare della Farnesina ha comunque riferito che durante la riunione di questo non si è discusso. SARKOZY PROPORRA' A UE BOMBARDAMENTI MIRATI Il presidente francese Nicolas Sarkozy intende proporre ai partner dell'Unione europea "bombardamenti aerei mirati" in Libia. E' quanto riferiscono fonti vicine al dossier, spiegando che il capo dell'Eliseo vuole anche criptare i sistemi di trasmissione del comando del colonnello Muhammar Gheddafi. STRASBURGO, UE RICONOSCA CNT E PENSI NO FLY ZONE Il Parlamento europeo ha approvato a larghissima maggioranza (584 sì, 18 no, 18 astenuti) una risoluzione che chiede ai governi Ue di riconoscere il Consiglio nazionale della transizione libico come l'autorità che rappresenta ufficialmente l'opposizione libica. Il testo invita inoltre l'Unione europea a prepararsi alla possibile istituzione di una 'no-fly zone' per impedire a Gheddafi di colpire la popolazione e aiutare il rimpatrio di chi fugge dalla violenza. L'eventuale istituzione della "no-fly zone" dovrebbe avvenire non unilateralmente ma solo dopo una risoluzione in tale senso dell'Onu ed in coordinamento con Lega Araba e Unione Africana. Nel testo infatti si invitano i governi Ue a "tenersi pronti per una decisione nell'ambito del Consiglio di sicurezza dell'Onu circa ulteriori misure, compresa la possibilità di prevedere una zona di interdizione al volo". Durante il dibattito di ieri, solo il gruppo GUE (Sinistra Unita) si era espresso contro la "no-fly zone". Nella risoluzione si chiede alla rappresentante per la politica estera Ue, Catherine Ashton, di "stabilire contatti" con i rappresentanti dei ribelli del Consiglio nazionale per la transizione, con l'obiettivo di dare il via al riconoscimento internazionale dell'ente. Martedì scorso tale contatto informale è già avvenuto in un incontro a Strasburgo con una delegazione del Consiglio nazionale di transizione libico guidata dal 'ministro' Mahmoud Jebril che era stato invitato al Parlamento europeo dal gruppo liberaldemocratico (Alde). Il Parlamento chiede anche a Gheddafi di lasciare il potere e condanna con forza la sistematica violazione dei diritti umani in Libia. 11 marzo 2011 Vedi tutti gli articoli della sezione "Mondo"
Il premier cita Tocqueville: "No a dittatura dei giudici" * * * * berlusconi304 "Nei prossimi giorni e nelle prossime settimane dovremo rispondere ai numerosi attacchi che la sinistra e le toghe rosse hanno già iniziato a rovesciarci addosso nel tentativo di ostacolare ed evitare questa riforma. Ma sappiamo di avere argomenti molto validi per ribattere ad ogni critica e ripeto, una maggioranza coesa e determinata in Parlamento. Noi siamo un grande partito riformatore che si deve confrontare con una opposizione conservatrice che non fa l'interesse del Paese per fare il male di Berlusconi". È quanto afferma il premier Silvio Berlusconi, in un messaggio ai Promotori della Libertà. Dal '94 la volontà era quella di mettere mano a una riforma della giustizia " ma i nostri sforzi sono stati puntualmente vanificati perchè una componente della maggioraanza, Fini e i suoi, sono rimasti giustizialisti e statalisti e si sono messi sempre di traverso in accordo esplicito delle correnti si sinistra della magistratura". "Se questa riforma fosse stata fatta per tempo, la storia recente dell'Italia sarebbe stata diversa. Non ci sarebbe stata quella esondazione della magistratura dagli argini costituzionali che ha portato ad annullare un'intera classe di governo nel 1992-93, che ha causato l'abbattimento del nostro primo governo nel 1994, che ha determinato anche la caduta di un governo di sinistra a causa della loro improvvida proposta di riformare la giustizia avanzata dal ministro Mastella, così come non si sarebbe potuto portare avanti il tentativo tuttora in corso di eliminare il governo in carica per via giudiziaria", aggiunge il Presidente del Consiglio in un messaggio rivolto ai promotori delle libertà. "Da parte nostra invece c'è soltanto l'obbiettivo di lavorare per il bene dell'Italia, e di eliminare finalmente una anomalia, anzi una patologia grave della nostra democrazia", aggiunge. "Non è una legge ad personam, non è una riforma per una persona o contro una persona, perchè non si applica ai processi in corso e quindi l'opposizione non potrà dire che si applica ai miei processi. È una riforma per gli italiani, è rispettosa dei principi costituzionali, ha come obiettivo - come ho appena detto e lo ripeto - il giusto processo e una giustizia finalmente giusta nell' interesse dei cittadini". Così il premier Silvio Berlusconi, in un messaggio ai Promotori della Libertà, difende la riforma della giustizia.
"Il grande Alexis de Tocqueville diceva: 'Tra tutte le dittature la peggiore è quella dei giudici". Ecco con questa riforma noi cercheremo di evitare che questo ci accada e voi dovete darci una mano per spiegarlo a tutti gli italiani". Con questo messaggio il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha concluso il suo audiomessaggio ai 'Promotori della libertà' dedicato alla riforma della giustizia approvata due giorni fa dal governo. 12 marzo 2011 Articoli Correlati * Governo via a riforma copri-Ruby * Mediatrade, norma "trucco" pro Silvio Vedi tutti gli articoli della sezione "Italia"
2011-03-06 Gheddafi: "Senza di me, l'Europa sarà invasa" * * * * * IMG Muammar Gheddafi non molla. E mentre il suo regime lancia in Libia una massiccia controffensiva, accompagnata da una maxi-propaganda, torna a minacciare anche l'occidente. A cominciare dall'Europa a cui manda a dire che senza di lui sarà "invasa da migliaia" di immigrati, che "nessuno sarà in grado di fermare". Ma non solo. Il Colonnello - in un intervista sul francese Journal du Dimanche oggi in edicola - torna anche a usare la carta della minaccia-terrorismo. E rilancia il monito già usato nei giorni scorsi: "Se mi minacciano, se destabilizzano il Paese ci sarà il caos, arriveremo a Bin Laden, a dei gruppi terroristici". "Bin Laden verrà a installarsi in Africa del Nord: lo avrete alle vostre porte", ribadisce il capo della Jamahiriya presagendo "una jihad islamica davanti a voi, nel Mediterraneo. Attaccheranno la sesta flotta americana, ci saranno degli atti di pirateria qui, alle vostre porte, a 50 km dalle vostre frontiere... sarà veramente una crisi mondiale...". Uno scenario che "io non lascerei accadere", ammonisce Gheddafi dicendosi 'sorpreso' "dal fatto che nessuno capisca la portata del problema. Che "nessuno comprenda che questa è una lotta contro il terrorismo. I nostri servizi di sicurezza cooperano. Vi abbiamo aiutato molto in questi anni. Così perché quando noi siamo in guerra con il terrorismo qui in Libia, nessuno ci aiuta in cambio?", si chiede polemicamente il Colonnello. E respingendo le accuse di aver soffocato le rivolte con il sangue provocando un bilancio di migliaia di morti nella repressione, lancia la sua proposta. Invita l'Onu o l'Unione Africana a compiere una missione nel paese: una commissione di inchiesta - dice - per valutare la situazione sul terreno ed alla quale promette di potersi muovere in Libia "senza alcun ostacolo". E, in questa direzione, si dice favorevole all'ipotesi che questa commissione sia guidata o quantomeno coordinata dalla Francia che "ha grandi interessi in Libia. Abbiamo lavorato molto insieme al presidente Sarkozy su diverse questioni: la Francia avrebbe dovuto essere la prima a inviare una commissione di inchiesta, spero che cambierà atteggiamento nei nostri confronti". Anche perchè il Consiglio di Sicurezza dell'Onu" non è competente "per ciò che riguarda gli affari interni di un Paese: interviene quando due Stati si affrontano, ma in questo caso - è l'opinione del Rais - il Consiglio abusa dei suoi poteri sulla base di semplici voci e notizie. Se vuole interferire, che invii una commissione di inchiesta: nel frattempo, la sua risoluzione per me rimane nulla", conclude riferendosi alla presa di posizione delle Nazioni Unite di condanna alla repressione di questi giorni. Gheddafi ha poi confermato che i tre elicotteristi olandesi sono detenuti in Libia come prigionieri e che questo "è normale": "Abbiamo bloccato un elicottero olandese che era atterrato in Libia senza alcuna autorizzazione" e quindi - ha detto - "è normale". 6 marzo 2011
Abolire mercenari e contractors: l'appello di Umberto De Giovannangeli | tutti gli articoli dell'autore * * * * * IMG "Il mondo abolisca i soldati di ventura". Continua l'appello intenazionale dell'Unità, testo in inglese, spagnolo, francese. LEGGI E FIRMA ANCHE TU. * * * * * * * * * * * * * * * Viaggio nel business tra superpotenze e multinazionali Non solo arruolati da satrapi sanguinari, al soldo di dittatori africani che pur di mantenersi al potere garantiscono paghe sontuose, diritto di saccheggio e impunità ai mercenari al loro servizio. Oggi i mercenari si chiamano "contractors" e operano attraverso agenzie utilizzate il più delle volte da multinazionali e super potenze, per le quali compiono i lavori "sporchi" sotto copertura. Per cogliere la portata del giro di affari è il caso di soffermarsi sul fronte che negli ultimi anni ha rappresentato il "pozzo senza fondo" di denaro per le agenzie di "contractors": l’Iraq. In circa 8 anni - dal 1994 al 2002 - gli Usa hanno stipulato oltre 3000 contratti con società mercenarie americane (Private Military Companies), per un totale che ammonta a circa 100 miliardi di dollari all'anno. Nelle sole forze militari in Iraq, i mercenari hanno rappresentato la seconda forza in campo dopo gli Stati Uniti, per numero di unità impiegate, addirittura superiore a quelle della Gran Bretagna. Sempre in Iraq, l’80% delle sparatorie sono state causate da soldati privati che per primi aprivano il fuoco. (Blackwater, ora Xe Services). Due agenzie private americane (CACI and L-3), sono state responsabili delle torture nelle carceri di Abu Ghraib. Una serie di rapporti indicano che guardie di sicurezza private hanno avuto un ruolo fondamentale in importanti operazioni della Cia come la detenzione arbitraria e i raid clandestini contro gli insorti in Iraq ed Afghanistan. Il salario degli assassini di professione non è semplice da definire e varia in base a diversi fattori. Secondo John Pike, esperto in materia di sicurezza, Gheddafi "ha promesso almeno 1.000 dollari a ogni mercenario, con un bonus di arruolamento pagato in anticipo". Ma società americane come Xe che "noleggia" ex-soldati della marina e dell'esercito per lavori militari privati - nota il magazine americano Slate - durante la guerra in Iraq pagavano ai loro uomini di livello più alto stipendi che si aggiravano sui 200.000 dollari l'anno. Sempre i "contractors" sono stati protagonisti dei colpi di stato avvenuti in Africa ed in America Latina come quello in Guinea Equatoriale o in Ecuador. E sempre gli appartenenti alle "Compagnie militari private" sono stati in prima fila nei massacri perpetrati in Sierra Leone, Liberia, Costa d’Avorio, Cyad, Zimbabwe… Le Private Military Companies americane di sono vincolate per contratto al solo Dipartimento di Stato Usa: il codice militare non vale per loro, ma solo per i dipendenti del Pentagono. Ecco perché le indagini su massacri gestiti dai mercenari finiscono in nulla: i killer sono protetti dall’attenuante dell’autodifesa. "Non è possibile – rileva Emanuela De Marchi in un documentato articolo su Diritto di critica - conoscere il contenuto dei contratti conclusi dai governi (con riferimento particolare al Governo statunitense) e le compagnie private. Gli scopi ed i tipi di contratti rimangono spesso sconosciuti. Non ci sono mai state sanzioni contro queste agenzie di sicurezza nonostante le prove esistenti circa la loro partecipazione diretta a gravi violazioni dei diritti umani. È come se fossero giustificate perché si tratta di "business"". "Tra i silenzi di Washington - accusa PeaceReporter - il maggiore riguarda forse proprio la famigerata Blackwater, oggi ribattezzata Xe Services: è stato appena archiviato il caso di Andrew Moonen, ex mercenario in forza all’azienda, accusato di aver ucciso nel 2006 Raheem Khalif, guardia del corpo dell’allora vicepresidente iracheno Adel Abdul Mahdi. Moonen era già stato licenziato per "aver violato il regolamento sull’alcool e le armi da fuoco", ma ciò non ha impedito a Combat Support Associates, un’altra società alle dipendenze del Pentagono, di assoldare l’uomo per una missione in Kuwait. Per i mercenari, una sorta di immunità giudiziaria: che secondo il professor Andrew Leipold dell’Università dell’Illinois "rende difficile la perseguibilità di chi compie azioni criminose". Solo in Afghanistan nel maggio 2010, erano presenti 26mila contractors, la maggior parte dei quali operavano al di fuori del controllo di qualsiasi governo. Anche se uccide civili innocenti, la Blackwater non paga. Anzi, viene pagata. E non è tutto: un rapporto di Jeremy Scahill su The Nation ha rivelato che l’agenzia mercenaria ha "venduto servizi d’intelligence clandestini alla multinazionale Monsanto". Lo riferisce Silvia Ribeiro su La Jordana, in un servizio ripreso da Megacgip, secondo cui la Blackwater, che resta il maggiore appaltatore privato dei "servizi di sicurezza" di Washington, "pratica il terrorismo di Stato dando al governo l’opportunità di negarlo". Dietro le quinte, militari ed ex funzionari Cia "lavorano per Blackwater o società collegate create per sviare l’attenzione dalla propria cattiva reputazione". Alti profitti al riparo dell’agenzia: non solo per operazioni belliche, ma anche per servizi a beneficio di governi, banche e multinazionali: "Informazione e spionaggio, infiltrazione e lobbying politico". Altre compagnie di PMC (Private Military Company) sono nate negli anni Novanta e continuano ad operare. Tra di esse: la Sandline International (che ufficialmente annuncia la cessazione delle attività nel 2004), la Lifeguard, la Saracen, l'AirScan e molte altre. Pronti ad agire ovunque vi sia da condurre una "sporca guerra". 6 marzo 2011
2011-03-03 Obama: Gheddafi deve lasciare. Sulla crisi libica tutte le opzioni sul tavolo Cronologia articolo3 marzo 2011 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 03 marzo 2011 alle ore 20:15. * * * * Il dipartimento di Stato americano e quello alla Difesa stanno "prendendo in considerazione tutte le opzioni disponibili, in aggiunta alle azioni non militari già decise" per porre fine alle violenze in Libia perpetrate dal Governo del colonnello Muammar Gheddafi. Lo ha detto il presidente americano Barack Obama, parlando dalla Casa Bianca durante la coferenza stampa congiunta con il presidente messicano Felipe Calderon. "Non voglio che ci siano ambiguità: Gheddafi deve lasciare il potere e andarsene, é la cosa giusta", ha ribadito Obama, sottolineando comunque che qualunque decisione "deve essere presa nell'interesse della popolazione libica e in consultazione con la comunità internazionale, non in modo univoco dagli Stati Uniti". Obama, rispondendo a chi gli chiedeva se fosse stata presa in considerazione l'ipotesi di un intervento militare, ha detto che "esiste il pericolo di uno stallo sanguinoso, stiamo considerando tutte le opzioni in modo da avere piena capacità di agire in modo rapido", qualora la situazione lo rendesse necessario. In ogni caso, ha precisato Obama, "la priorità per ora è aiutare le persone a fare rientro nei loro Paesi, motivo per cui ho autorizzato l'utilizzo di aerei militari, oltre a quelli civili" per rimpatriare i profughi.
Bombe su Brega - Obama: Gheddafi oltraggioso, deve andarsene - La Nato: pronti a ogni eventualità articoli di Stefano Natoli, Roberto Bongiorni, Christian Rocca e Gianandrea GaianiCronologia articolo3 marzo 2011Commenti (1) * Leggi gli articoli * Guarda i video * Guarda le foto * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 03 marzo 2011 alle ore 11:14. * * * * di Stefano Natoli Un aereo da guerra ha bombardato oggi il terminal petrolifero di Brega, la città libica orientale dove ieri gli insorti hanno respinto un attacco aereo e di terra delle truppe fedeli di Gheddafi. Lo riferiscono testimoni. Gli insorti rafforzano intanto le proprie posizioni schierando cannoni anti-aerei per fronteggiare un nuovo attacco delle truppe fedeli al Raìs e chiedono aiuto al mondo. Il segretario della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha però fatto sapere che per il momento non sono previsti interventi militari in Libia, anche se l'alleanza è preparata "ad ogni eventualità". Gheddafi al contrattacco minaccia migliaia di morti. Gli insorti resistono (dall'inviato Roberto Bongiorni) Le buone ragioni di un intervento internazionale (di Christian Rocca) Obama: Gheddafi oltraggioso, deve andarsene La Nato: pronti ad ogni eventualità (di Gianandrea Gaiani) Saif al-Islam: bombe per spaventare i ribelli Il bombardamento aereo dell'aviazione militare libica sulla cittadina di Brega "aveva l'obbiettivo di spaventare e far fuggire, non di uccidere" i ribelli: lo ha affermato il figlio minore di Muammar Gheddafi, Saif al-Islam, intervistato dalla rete satellitare britannica SkyNews. Secondo Saif le milizie fedeli a Gheddafi avrebbero preso il controllo del porto e della raffineria, ma nessuno è in grado di autorizzarle a occupare la cittadina, considerata "il nodo petrolifero e del gas della Libia": "Ne dipendiamo per mangiare, per vivere. Senza Brega, sei milioni di persone si troverebbero prive di futuro, perché è da lì che partono le nostre esportazioni". Operativo il blocco dei beni dei sei principali componenti della famiglia Gheddafi Da oggi è intanto operativo il blocco dei beni dei sei principali componenti della famiglia Gheddafi e di 20 stretti collaboratori del regime libico. Il regolamento Ue che dispone il congelamento di tutti i fondi e le risorse economiche di queste 26 persone è stato pubblicato oggi sulla Gazzetta Ufficiale dell'Ue ed è entrato immediatamente in vigore Corte penale internazionale, inchiesta contro regime per crimini di guerra Nel frattempo, il procuratore della Corte penale internazionale (Cpi), Luis Moreno-Ocampo, ha annunciato in un'intervista a El Pais che aprirà un'inchiesta nei confronti di 10-15 responsabili del regime sospettati di "crimini contro l'umanità", per fatti "molto gravi" contro la popolazione civile. Sbarchi senza sosta a Lampedusa Proseguono, senza sosta, gli sbarchi a Lampedusa. Sono 552 i migranti, quasi tutti di nazionalità tunisina, giunti la scorsa notte nell'isola. Sono stati alloggiati presso il Centro di accoglienza, in attesa di essere trasferiti a Bari e Brindisi. Cresce l'emergenza, come ha spiegato ieri il ministro degli Interni Roberto Maroni nell'audizione presso le commissioni Esteri e Affari istituzionali di Camera e Senato: "Lo scenario peggiore tra quelli possibili - ha detto ieri il ministro Maroni nell'audizione presso le commissioni Esteri e Affari istituzionali di Camera e Senato -prevede movimenti di 200 mila persone in fuga dalla guerra in cerca di riparo laddove possibile. La chiusura del confine tra Libia e Tunisia accentua questo rischio. Il governo italiano si sta preparando a un impatto senza precedenti sulle nostre coste". Frattini, 5 milioni di euro supplementati per gli aiuti ai profughi Durante una conferenza stampa a Palazzo Chigi il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha detto che la missione umanitaria italiana in Tunisia, in favore dei profughi libici che si sono ammassati al confine, potrà contare su un budget di 5 milioni di euro supplementari stanziati in aggiunta ad altri fondi destinati all'acquisizione di generi alimentari e beni di prima necessità. L'11 marzo vertice Ue sulla Libia La crisi libica sarà al centro del vertice dell'11 marzo dei capi di stato e di governo dei Paesi dell'Unione europea. L'incontro sarà preceduto da un summit dei ministri degli Esteri - che si svolgerà sotto forma di un "pranzo di lavoro"- nato per iniziativa del capo della diplomazia europea Catherine Ashton. I ministri dovranno definire una risposta comune sulla rivolta in Libia e sul rischio di una crisi umanitaria e definire una nuova strategia nei confronti dei Paesi dell'Africa del Nord. Obama: Gheddafi deve uscire di scena Per il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, "è necessario" che Gheddafi esca di scena. "È bene per il suo Paese. È bene per il suo popolo. Ed è la cosa giusta da fare" ha detto Obama, precisando che "chi è vicino a Gheddafi deve capire che la violenza da loro perpetrata contro civili innocenti sarà monitorata, e loro saranno ritenuti responsabili. "Riguardo alla volontà di intervenire militarmente, ho dato istruzioni ai dipartimenti di Stato e della Difesa di esplorare l'intera gamma di opzioni", ha risposto Obama a un giornalista che gli chiedeva se Washington sia pronta a un intervento armato. "C'è il rischio di uno stallo sanguinoso", tra le forze governative e i ribelli, ha detto Obama, "ma gli Usa hanno tutta la capacità di agire in maniera potenzialmente rapida se la situazione si deteriora. Voglio prendere decisioni sulla base di quello che è meglio per il popolo libico, in consultazione con la comunità internazionale", ha affermato il presidente.
La Nato non prevede un intervento militare in Libia, ma è pronta "ad ogni eventualità" di Gianandrea GaianiCronologia articolo3 marzo 2011 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 03 marzo 2011 alle ore 13:36. * * * * "La Nato non prevede di intervenire militarmente in Libia ma si prepara ad ogni eventualità": lo ha detto oggi il segretario generale dell'Alleanza, Anders Fogh confermando che la richiesta di aiuto formulata ieri dai ribelli libici è stata registrata dall'Alleanza Atlantica . "Vorrei sottolineare che la Nato non ha intenzione di intervenire in Libia ma come organizzazione di difesa e sicurezza dobbiamo prudentemente pianificare per far fronte a ogni evenienza". Le spaccature e i distinguo all'interno dei partners Nato circa un possibile intervento militare in Libia costringono Rasmussen a mantenere un basso profilo. La Francia è scettica nei confronti dell'efficacia di una ‘no fly zone' che impedisca all'aeronautica di Gheddafi di bombardare i ribelli, opzione che sembrava piacere a Casa Bianca e Downinng Street ma che ieri è stata messa in discussione dal segretario alla Difesa, Robert Gates, che ha messo in guardia circa i costi, il numero di mezzi necessario a bloccare i cieli libici e la necessità di condurre attacchi preventivi contro le forze radar, aeree e missilistiche di Gheddafi. Anche l'Italia sembra smarcarsi da un intervento militare sulla "quarta sponda". Il Ministro degli esteri, Franco Frattini l'ha definita "un'ipotesi che ha già sollevato le perplessità della Lega Araba. Escludo categoricamente che l'Italia possa partecipare ad un'azione militare in Libia, per ovvi motivi legati al nostro passato coloniale. Al massimo, potremmo dare la disponibilità logistica delle nostre basi, ma anche in questo caso occorre un chiaro mandato internazionale dell'Onu. E, comunque, qualsiasi tipo d'azione deve tener presente il delicato contesto politico e culturale del mondo arabo''. Le perplessità di molti Stati membri sembrano quindi tagliare fuori la Nato da un coinvolgimento nella crisi libica mentre le resistenze di Russia e Cina al Consiglio di Sicurezza rendono improbabile al momento una risoluzione che autorizzi l'uso della forza contro i governativi libici. Anche l'Unione Europea pare non avere fretta di prendere decisioni sulla gestione della crisi libica considerato che terrà solo l'11 marzo un vertice straordinario per esaminare la situazione in Libia, Tunisia ed Egitto e il giorno prima si riuniranno informalmente i ministri degli esteri dei 27. Le opzioni più probabili sul piano militare restano due. Se la crisi dovesse prolungarsi potrebbe essere dispiegata una forza navale che garantisca il rispetto dell'embargo sulle forniture di armi alle forze di Gheddafi decretato dall'Onu. Missione già accennata nei giorni scorsi dal ministro della Difesa, Ignazio La russa, che parlò di una forza di sedici navi tra le quali alcune italiane. Un intervento diretto sul territorio libico a sostegno degli insorti, che ieri hanno chiesto aiuti militari, potrebbe venire organizzato in modo unilaterale dagli anglo-americani facendo leva anche sulla necessità umanitaria di impedire a Gheddafi di bombardare la Cirenaica, colpire i civili e distruggere gli impianti petroliferi. Quattrocento marines del primo battaglione sono arrivati ieri a Creta dalla North Carolina. Dalla base statunitense nella Baia di Suda verranno trasferiti nei prossimi giorni sulle navi del gruppo anfibio entrato ieri nel Mediterraneo da Suez e composto da tre navi tra le quali la portaelicotteri Kearsage
Libia, bombe sulla Cirenaica Navi da guerra Usa al largo * * * * * IMG FRATTINI, SÌMISSIONE UMANITARIA. L'AJA APRE INCHIESTA Il Consiglio dei ministri ha approvato la missione umanitaria per far fronte alla situazione di emergenza che si è creata ai confini con la Libia. Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini. 'L'Italia è disponibile - ha aggiunto il ministro Maroni - a fornire mezzi e personale per un maggiore controllo dei porti della Tunisia". Napolitano convoca per martedì il Consiglio Supremo di Difesa, mentre il giorno dopo si svolgerà a Bruxelles una riunione straordinaria dei ministri degli Esteri europei. La Corte penale internazionale dell'Aja ha aperto una inchiesta sui crimini contro l'umanità compiuti in Libia. La Corte penale internazionale ha deciso di aprire un'inchiesta sui crimini contro l'umanità compiuti in Libia "dal 15 febbraio scorso": lo ha detto nel corso di una conferenza stampa a L'Aja il procuratore generale della Corte, Luis Moreno Ocampo. Tre navi da guerra Usa si trovano a 50 miglia al largo della costa libica. NUOVI RAID DEI CACCIA, ANCORA BOMBE SULLA CIRENAICA Vi sarebbero stati nuovi bombardamenti aerei su Marsa el Brega, il centro petrolifero nella Cirenaica da ieri al centro di una battaglia tra i ribelli e le milizie fedeli a Muammar Gheddafi, e ad Ajdabiya. Un testimone ha riferito che sulla prima è stata sganciata almeno una bomba: "Ho sentito il rumore dell'aereo, poi l'esplosione e poi ho visto il cratere", ha detto Mohammed Shibli. L'ordigno sarebbe caduto vicino alla facoltà di ingegneria petrolifera, a circa 2 km dal terminal del greggio e dall'aeroporto. "C'è stato un bombardamento aereo circa un'ora e mezzo fa", ha detto un altro testimone, Awadh Mohammed, "l'ho visto con i miei occhi". Sul secondo centro sarebbero cadute due bombe, il cui obiettivo era un campo di addestramento militare. Il bilancio ufficiale dei combattimenti di ieri è stato di almeno 12 morti. PARIGI RESPINGE PROPOSTA MEDIAZIONE CHAVEZ La Francia ha respinto oggi una proposta di mediazione del presidente venezuelano, Hugo Chavez, in Libia, escludendo qualsiasi iniziativa mirante al mantenimento al vertice del paese di Muammar Gheddafi: lo ha dichiarato il ministro degli Esteri francese, Alain Juppè. "Qualsiasi mediazione che consenta al colonnello Gheddafi di succedere a se stesso - ha dichiarato il neoministro in una conferenza stampa congiunta con l'omologo britannico William Hague - non è ovviamente la benvenuta". ENTRO DOMANI MATTINA PARTE NAVE MARINA PER BENGASI Partirà entro domani mattina da Catania la nave della Marina Militare italiana con gli aiuti umanitari diretti alla popolazione di Bengasi: sarà questo il primo passo dell'intervento umanitario italiano deciso dal governo e coordinato dalla Farnesina. La nave, il pattugliatore 'Librà, si trova già in porto ed è in attesa di caricare il materiale umanitario - kit sanitari, coperte, generi alimentari - che dovrebbe arrivare in giornata dalla base delle Nazioni Unite a Brindisi. Le operazioni di carico dovrebbero andare avanti per l'intero pomeriggio e buona parte della serata. È probabile dunque che la nave Libra salpi nella notte o nelle prime ore di domani per Bengasi, che dovrebbe raggiungere in una trentina di ore. Il pattugliatore Libra, designato per il trasporto del materiale umanitario in Libia, è stato costruito nei cantieri navali del Muggiano di La Spezia ed è stato consegnato alla Marina militare nel marzo 1991. Lunga 79,8 metri, larga 11,8, la nave ha un dislocamento di 1.475 tonnellate a pieno carico, una velocità di 20 nodi e un'autonomia di 3.300 miglia. È armata con un cannone Oto Melara 76/62 e quattro mitragliere. L'equipaggio è composto da persone. Il comandante dell'unità è il tenente di vascello Luca Di Giovanni. UE, ENTRANO IN VIGORE SANZIONI CONTRO GHEDDAFI E I SUOI Da oggi è entrato in vigore il blocco dei beni dei sei principali componenti della famiglia Gheddafi e di 20 stretti collaboratori del regime libico. Il regolamento Ue - che dispone fra l'altro il congelamento di tutti i fondi e le risorse economiche di queste 26 persone - è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione ed è entrato immediatamente in vigore. Il congelamento dei beni e il blocco dei visti, oltre al Colonnello colpiscono sua moglie Safiah Farkash al-Barassi, la figlia Aisha, e i figli Hannibal, Khamis, Mutassim, Saif al Islam, Mohammed, Saif al-Araab e Saadi. Il cognato della 'guida della rivoluzionè libica, Abu Shaariya, vicecapo per la sicurezza esterna, e due cugini del raìs, Ahmed Mohamed e Said Mohammed al-Dam - sospettati di aver preso parte "direttamente" ad attività terroristiche, o comunque di essere "coinvolti in una campagna di omicidi di dissidenti" e "responsabili di diverse morti in Europa" - figurano anch'essi nella lista. Seguono altri esponenti di spicco degli apparati di regime: Masoud Abdulhafiz, capo delle forze armate; il capo dell'antiterrorismo Abdussalam Mohamed Abdussalam; il direttore dell'intelligence militare Abdullah Al-Senussi e il suo vice Al-Barrani Ashkal; il capo del movimento dei 'comitati rivoluzionarì - ritenuti responsabili delle violenze di queste settimane contro i manifestanti - Omar Ashkal. Il capo delle guardie del corpo di Gheddafi, Abdulqader Yusef Dibri, e il ministro della Difesa Abu Bakr Yunis Jabir sono anche loro messi all'indice, insieme ad Abu Zaid Umar Dorda, direttore dell'organizzazione per la sicurezza esterna; Matuq Mohames Matuq, segretario per i servizi; Bashir Saleh, capo di gabinetto di Gheddafi; Khaled Tohami, direttore dell'ufficio per la sicurezza interna, e Mohamed Busharya Farkash, responsabile dell'intelligence nell'ufficio per la sicurezza esterna. Oltre al congelamento dei beni e il divieto di espatrio, fra le sanzioni stabilite dall'Unione Europea c'è l'embargo sulla vendita di armi a qualsiasi persona o entità libica oltre che su ogni strumento che possa essere utilizzato ai fini della repressione. 3 marzo 2011
2011-03-02 Libia, Gheddafi: "L'Italia ci ha baciato le mani" Si stringe l'assedio a Gheddafi, sempre più isolato a Tripoli. Le forze fedeli al leader libico hanno attaccato la città di Misurata controllata dall'opposizione ed hanno ucciso almeno due persone. Gheddafi ha anche licenziato il capo dei servizi segreti, Abdullah Al-Senussi, accusato dal Colonnello di essere uno dei responsabili della sanguinosa repressione. Lo riferisce il quotidiano Quryna di proprietà del figlio Seif al Islam. Al posto di Senussi è stato nominato una delle guardie del corpo del leader libico, Mansur Al-Qahsi. "Il potere è nelle mani del popolo, sfido chiunque a dimostrare il contrario". Gheddafi riappare in pubblico, circondato dai suoi sostenitori, in occasione del 34esimo anniversario della jamahiria, "l'instaurazione dell'autorità del popolo". Immagini trasmesse dalla tv di Stato libica mostrano il raìs che si rivolge a una platea che lo applaude. Rivolgendosi alla comunità internazionale, Gheddafi ha alternato attacchi, frasi a effetto, e rivendicato prima di tutto la specificità dello stato libico: "Non siamo un regime presidenziale, il nostro sistema è diverso, tutto il potere è nelle mani dei comitati popolari" prosegue. "Il popolo è la guida del paese" aggiunge. Attacca ancora una volta l'Italia: "Abbiamo costretto l'Italia ad inchinarsi, deve scusarsi per il regime coloniale, ci pentiamo del rapporto che abbiamo avuto con loro, l'Italia dovrà pagare". E accusa l'estero di fomentare la rivolta: Il colonnello ha dato la responsabilità dei disordini nel Paese alla rete terroristica di Bin Laden:"Ci sono i militanti di Al Qaeda e alcuni libici reduci dall'Afghanistan dietro la rivolta di questi giorni". Le reazioni internazionali Dopo il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, anche l'Unione europea ha varato sanzioni contro il Colonnello, i suoi più stretti familiari e alti dignitari del regime. Obiettivo: fermare le violenze e appoggiare la transizione. Il segretario di stato Usa Hillary Clinton ha chiesto a Gheddafi di "lasciare subito il potere senza ulteriori violenze e rinvii" e la Casa Bianca ha ventilato l'ipotesi di un esilio. Ma il leader libico ha risposto con una risata di scherno. "Chi lascia il proprio Paese?", ha detto in un'intervista a un piccolo gruppo di giornalisti occidentali a Tripoli. Oltre a evocare la possibilità di un esilio per Gheddafi, che se non accettasse rischierebbe una incriminazione per crimini contro l'umanità alla Corte penale internazionale, gli Usa, per bocca della Clinton, hanno annunciato il riposizionamento della flotta Usa nel Mediterraneo davanti alle coste libiche. Il Tesoro Usa ha anche reso noto di aver congelato beni libici per 30 miliardi di dollari Nell'intervista agli inviati di Abc, Bbc e Sunday Times, ha replicato dicendo di sentirsi tradito dai Paesi occidentali amici e, secondo la tv araba Al Jazira, ha incaricato il capo dell'intelligence Bouzid Durdah di intavolare una trattativa con le tribù ribelli, che nel frattempo hanno già allacciato contatti con emissari americani per preparare la successione a Tripoli. Fonti ufficiali a Tripoli però smentiscono la trattativa e sostengono che è prevista solo una missione umanitaria a Bengasi, nella zona controllata dagli insorti. Una offensiva militare contro Tripoli non sembra pertanto imminente: entrambe le parti appaiono impegnate a scongiurate il pericolo di una guerra civile e le forze in campo non permettono ancora ai ribelli una rapida conquista della capitale. "In caso di attacco, ci saranno centinaia di migliaia di morti", ha minacciato oggi un portavoce del governo incontrando i 130 giornalisti stranieri giunti nella capitale libica. Secondo il quotidiano Qurina (considerato prima della rivolta vicino al figlio di Gheddafi, Saif al-Islam), ci sarebbero morti e feriti. Sembra reggere intanto la tregua a Zawia, città strategica a soli 40 chilometri da Tripoli verso il confine con la Tunisia. Il governo, che tiene sotto assedio da venerdì scorso la città, ha raggiunto un accordo con le tribù locali. L'accordo prevede che i ribelli rimangano all'interno della città, senza estendere la rivolta nelle altre città ad ovest della capitale, mentre l'esercito si impegna a non intervenire per sedare la rivolta con le armi. Sul fronte umanitario, il vescovo di Tripoli, Giovanni Martinelli, ha lanciato l'allarme sulla sorte di circa 2.000 cittadini eritrei, alcuni dei quali ospitati nella Chiesa di San Francesco, nel quartiere di Dahra. Gli eritrei, che non possono tornare in patria, temono di essere sospettati di essere mercenari stranieri e chiedono aiuto all'Italia. 2 marzo 2011
2011-02-28 Usa: "Schieriamo forze armate in Libia" mirino libia obiettivo militare 640 Stiamo considerando "attivamente e seriamente" l'ipotesi di una no-fly zone in Libia con la Nato ed altre organizzazioni internazionali. Lo ha detto l'ambasciatrice Usa all'Onu, Susan Rice, riferendo dell'incontro tra il presidente Usa Barack Obama e il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon. Gli Stati Uniti stanno riposizionando le loro forze armate, navali e aeree, attorno all'area della Libia. Lo ha annunciato uno dei portavoce della Difesa americana, David Lapan. La decisione del Pentagono, osserva il portavoce, è una conseguenza dell'intensificarsi della richiesta da parte della comunità internazionale di porre fine al regime di Gheddafi in carica da molti decenni. "I nostri strateghi sono al lavoro - ha aggiunto Lapan - e sul campo abbiamo molti piani per far fronte all'emergenza. Così può essere detto che in quest'ambito stiamo riposizionando le nostre forze navali e aeree per essere capaci di fornire opzioni e flessibilità, una volta che le decisioni sono state prese". Anche il premier britannico David Cameron non ha escluso l'uso di "mezzi militari" nella crisi libica e ha chiesto ai vertici della Difesa di di predisporre gli strumenti per creare una zona di "non volo" (no fly zone) sulla Libia. Cameron ha parlato al Question Time alla Camera dei Comuni. "Stiamo facendo ogni mossa possibile per isolare il regime di Gheddafi, privarlo dei finanziamenti, restringere il suo potere e assicurare che i responsabili degli abusi sia portato davanti alla giustizia", ha detto Cameron al parlamento britannico. Tra le misure possibili per aumentare la pressione "non escludiamo affatto l'uso di mezzi militari", ha detto il primo ministro. Intanto, Gheddafi ha nominato un negoziatore che avrà l'incarico di trattare con i manifestanti. Il mediatore sarebbe il capo dei servizi segreti per l'estero. Si tratta dunque di Bouzaid Dordah. La Casa Bianca ha affermato che l'esilio del leader libico Muammar Gheddafi è "una possibilità". Il portavoce della Casa Bianca Jay Carney ha detto oggi che "tutte le opzioni restano sul tavolo" per quanto riguarda la Libia. Il portavoce ha detto che un esilio di Gheddafi "resta una possibilità" per venire incontro alle richieste internazionali che lasci il potere. Carney non ha voluto dare dettagli sulla possibilità che gli Stati Uniti possano agevolare in qualche modo la strada dell'esilio per Gheddafi. Il portavoce della Casa Bianca ha detto che gli Stati Uniti e i suoi alleati sono impegnati in colloqui sulla creazione di una zona 'no-fly' sulla Libia e che Washington "sta attivamente dialogando con quanti in Libia stanno lavorando per arrivare a un governo" che rispetti i diritti del popolo libico. Gheddafi sta usando "mercenari e teppisti" contro i civili. A ribadirlo è stata Hillary Clinton, al Consiglio dei diritti umani dell'Onu in corso a Ginevra, in Svizzera. Il segretario di Stato americano ha poi aggiunto: "Per la gente in Libia è ormai chiaro: è tempo che Gheddafi vada via. Ora. Senza ulteriori violenze". Clinton ha poi chiesto che siano preparate "delle misure supplementari" per mettere fine alle violenze in Libia, senza che alcuna opzione "sia esclusa dal tavolo". "I libici dovrebbero poter formare il loro governo" e noi "dobbiamo sostenere la transizione nel mondo arabo: questo deve essere il nostro imperativo" ha aggiunto. Secondo il commissario Ue all'energia, Gunther Oettinger, il regime di Muammar Gheddafi non controlla più i principali pozzi di petrolio in Libia. "Abbiamo tutte le ragioni per pensare che i più grandi giacimenti (di gas e petrolio) non sono più nelle mani di Gheddafi, ma si trovano sotto il controllo delle tribù e delle forze provvisorie che hanno ripreso il potere", ha spiegato alla stampa di Bruxelles. In queste condizioni "abbiamo deciso di non imporre un blocco per non penalizzare le persone che non saranno coinvolte dalle sanzioni", ha aggiunto a margine di una riunione dei ministri dell'energia dei Ventisette. In libia, "la produzione petrolifera ha subito un colpo d'arresto", ha precisato aggiungendo che "le operazioni dovrebbero riprendere". "Le esportazioni di gas e petrolio dalla Libia non sono trascurabili, ma non sono neanche di grandi dimensioni. Il gas (libico) rappresenta meno del 3% del mercato totale dell'Ue e il petrolio meno del 10%", ha dichiarato il commissario. "L'Unione europea ha in ogni caso notevoli riserve di petrolio", ha assicurato Oettinger. L'Unione Europea ha adottato nel primo pomeriggio un embargo sulle armi dirette alla Libia, oltre al congelamento dei beni e il blocco dei visti contro il leader libico Muammar Gheddafi e altri 25 funzionari del suo entourage. L'Unione Europea sta inoltre pensando all'ipotesi di convocare un vertice straordinario "nel fine settimana" con i capi di Stato e di governo dei Ventisette sulla crisi libica, dopo una richiesta in tal senso del presidente francese Nicolas Sarkozy. L'iniziativa avrebbe ottenuto l'appoggio dell'Italia e della Spagna ma per il momento non è stata presa alcuna decisione formale (nel merito l'ultima parola spetta al presidente dell'Ue, Herman Van Rompuy); la responsabile della diplomazia europea, Catherine Ashton, avrebbe già dato il proprio via libera. Dall'Aia nel frattanto, il procuratore della Corte penale internazionale, Luis Moreno-Ocampo, ha annunciato l'apertura di un esame preliminare sulle violenze in Libia, che potrebbe condurre a un'eventuale inchiesta su Muammar Gheddafi per crimini contro l'umanità. L'ufficio del Procuratore esamina al momento le accuse di attacchi su larga scala condotti contro la popolazione civile. In Libia, stando a quanto riferisce il nuovo governo ad interim di Bengasi, i rivoltosi starebbero iniziando ad unire le loro forze e a cercare di convogliare le loro forze verso Bengasi. Il principale ostacolo per la marcia su Tripoli appare Sirte, città natale del leader libico Muammar Gheddafi, controllata dai miliziani fedeli al regime che hanno creato posti di blocco all'ingresso del centro abitato. "È diventata una roccaforte per Gheddafi più della capitale", ha spiegato un membro dell'opposizione di Bengasi". I rivoltosi libici - ha dichiarato inoltre Hafiz Ghoga, portavoce del Consiglio nazionale libico presentato ieri a Bengasi - non vogliono alcun intervento straniero. Ma istruttori militari americani ed europei sarebbero già in azione. Secondo il sito Debka, vicino ai servizi segreti israeliani, centinaia di consiglieri militari statunitensi, britannici e francesi sarebbero già in Cirenaica per collaborare con gli insorti contro il regime di Gheddafi. Il leader libico Muammar Gheddafi ha detto in un'intervista alla Bbc a Tripoli che si è sentito tradito da alcuni paesi occidentali con i quali aveva costruito relazioni negli ultimi anni e li ha accusati di aver tentato di colonizzare la Libia. Il colonnello ha rilasciato un'intervista anche a Christiane Amanpour della Abc e ha affermato: "Tutto il mio popolo mi ama e morirebbe per proteggermi", negando che vi siano state manifestazioni di protesta nelle strade di Tripoli, secondo quanto riferito via Twitter dalla giornalista britannica. 28 febbraio 2011
Afghanistan, ucciso un alpino italiano alpino, afghanistan, lutto Un militare italiano è rimasto ucciso nell'esplosione di un ordigno improvvisato che ha colpito un veicolo blindato Lince nei pressi di Shindand, nell'ovest dlel'Afghanistan. Quattro soldati sono rimasti feriti, secondo quanto si è appreso dallo Stato Maggiore della Difesa. L'esplosione ha avuto luogo alle 12.45 locali, a 25 chilometri a nord di Shindand. La deflagrazione dell'ordigno ha coinvolto un veicolo blindato Lince della Task Force Center, su base Quinto Reggimento Alpini. Di Pietro: "Queste morti ricadono sul governo" "Denunciamo in modo forte e chiaro che la responsabilità politica di queste morti ricade sul governo e su tutti coloro che in Parlamento hanno votato per il proseguimento della missione". Antonio Di Pietro attacca senza mezzi termini e torna a dire che "non ha più alcun senso restare in Afghanistan, perchè nel Paese è in atto una vera e propria guerra civile, e quindi non portiamo avanti soltanto una lotta al terrorismo". Il leader Idv ricorda che il sì a proseguire la missione "è stato un voto trasversale e, proprio per questo, ancora più inaccettabile". "Siamo vicini alle famiglie del militare caduto in Afghanistan, dei quattro feriti e a tutti i commilitoni impegnati su quei territori. Esprimiamo profondo dolore e commozione per questa ennesima tragedia annunciata. Smettiamola - ribadisce Di Pietro - e usciamo dal luogo comune di chi intende coprire la propria responsabilità in nome della patria e della bandiera". 28 febbraio 2011
Trentasette le vittime dall'inizio dell'anno SCHEDA IMG Prosegue la scheda sui militari italiani uccisi in Afghanistan dall'inizio della missione. Il 24 novembre 2007 muore in un attentato suicida nei pressi di Kabul il maresciallo capo Daniele Paladini, 35 anni. Altri tre militari rimangono feriti. Il 4 ottobre 2007 muore al Policlinico militare del Celio l'agente del Sismi Lorenzo D'Auria. Il militare era stato gravemente ferito il 24 settembre 2007 durante un'operazione delle forze speciali britanniche per cercare di liberarlo. Due giorni prima, D'Auria era stato sequestrato assieme a un altro sottufficiale del servizio di sicurezza militare e a un collaboratore afgano. Il 26 settembre 2006 perdono la vita i caporalmaggiori Giorgio Langella, 31 anni, e Vincenzo Cardella, in seguito all'esplosione di un ordigno lasciato lungo una strada nei pressi di Kabul. I due militari appartenevano alla 21esima compagnia del Secondo Reggimento alpini di Cuneo. Il 20 settembre 2006 muore in un incidente stradale, a sud di Kabul, il caporalmaggiore Giuseppe Orlando, 28 anni. Faceva parte della 22/a compagnia del Secondo Reggimento alpini di Cuneo. Il 2 luglio 2006 il tenente colonnello Carlo Liguori, 41 anni è stroncato da un attacco cardiaco ad Herat. Il 5 maggio 2006, in seguito all'esplosione di un ordigno lasciato lungo una strada nei pressi di Kabul, muoiono il tenente Manuel Fiorito, 27 anni, e il maresciallo Luca Polsinelli, 29 anni, entrambi del Secondo Reggimento Alpini. I due soldati si trovavano a bordo di due veicoli blindati "Puma", a sud-est della capitale afgana, quando sono stati investiti dall'esplosione. L'11 ottobre 2005 muore il caporalmaggiore capo Michele Sanfilippo, 34 anni. Sanfilippo, effettivo al Quarto Reggimento Genio Guastatori di Palermo, viene ferito con un colpo alla testa, partito accidentalmente, nella camerata del battaglione Genio a Kabul. Muore poco dopo il ricovero in ospedale. Il 3 febbraio 2005 l'ufficiale di Marina Bruno Vianini perde la vita nello schianto di un aereo civile sul quale viaggiava, tra Herat e Kabul. Il capitano di fregata aveva 42 anni. Il 3 ottobre 2004, il caporal maggiore Giovanni Bruno, 23 anni, del Terzo reggimento alpini, è vittima di un incidente stradale mentre si trova a bordo di un mezzo dell'esercito nel territorio di Sorobi, a 70 chilometri da Kabul. Nell'incidente rimangono feriti altri quattro militari. 28 febbraio 2011
Brucia anche l'Oman, cinque morti Si estende la rivolta antiregime piantina oman 304 L'ondata di proteste che sta attraversando tutto il mondo arabo si estende anche ad Oman, stato asiatico situato nella porzione sud-orientale della penisola arabica. Circa un migliaio di manifestanti, scesi in piazza per chiedere riforme politiche, posti di lavoro e una migliore retribuzione, hanno bloccato la strada che porta alla cittadina costiera di Sohar, dove si trova il principale porto di esportazione. Bloccato anche l'incrocio stradale di terra Roundabout, importante punto di snodo, bruciata una stazione di polizia e due uffici pubblici. Secondo quanto riportato dalle autorità locali, gli scontri tra dimostranti e truppe del sultanato, cominciati lo scorso sabato, hanno già causato la morte di due rivoltosi. Mentre i manifestanti antigovernativi parlano di "almeno cinque persone uccise". Un ufficiale della sicurezza riferisce inoltre che i manifestanti "hanno attaccato una stazione di polizia" e le truppe locali "hanno risposto lanciando gas lacrimogeni e sparando proiettili di gomma". L'agenzia di stampa Ona scrive invece di un supermercato dato alle fiamme e un incendio nella casa del governatore di Sohar. 28 febbraio 2011
Libia, governo dell'opposizione a Bengasi. Gheddafi sempre più solo -Gheddafi: "Drogati da Bin Laden" | AUDIO -Guardate la realtà di G.M. Bellu -Aumentano benzina e gasolio -I folli pensieri del Colonnello di Robert Fisk -L'avanzata delle tribù di u.d.g. Gheddafi sempre più solo. Zawia, 20 km da Tripoli, va ai ribelli. Hillary Clinton offre aiuti Usa agli insorti e anche il ministro russo Lavrov definisce inaccettabile l'uso della forza contro i civili. Ora 'inevitabile' che il rais se ne vada, dice Frattini. Intanto a Bengasi nasce un governo ad interim della opposizione. 'Colpa di stranieri e Al Qaida, resterò in Libia', dice il Colonnello alla tv serba e ammonisce: 'Risoluzione Onu non ha alcun valore'. Tornano altri italiani. RISOLUZIONE ONU NON HA ALCUN VALORE La risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu che ha imposto sanzioni alla Libia, è nulla e "non ha alcun valore". Lo ha detto il colonnello Muammar Gheddafi in una intervista alla tv serba. Il Consiglio di sicurezza, ha aggiunto Gheddafi nella sua intervista all'emittente serba, "adotta le sue risoluzioni sulla base dei resoconti dei media, e ciò è inaccettabile". "Questa risoluzione è nulla", ha ripetuto il leader libico, secondo il quale "é strano che al consiglio di sicurezza non vedano le manifestazioni in mio favore". Quanto sta avvenendo in Libia é colpa degli "stranieri e di al Qaida": ha ribadito Gheddafi. OPPOSIZIONE A BENGASI FORMATO CONSIGLIO NAZIONALE L'opposizione al regime di Gheddafi nell'est della Libia ha affermato oggi di aver formato un Consiglio nazionale libico precisando che non si stratta di un governo ad interime e descrivendolo come espressione della rivoluzione. ONU APPROVA SANZIONI La comunità internazionale ha intensificato il pressing su Muammar Gheddafi: il consiglio di sicurezza dell'Onu ha approvato la risoluzione 1970, che prevede in particolare il blocco dei beni del leader libico e di alcuni suoi familiari ed esponenti del regime, l'embargo alle vendite di armi, oltre ad un possibile coinvolgimento della corte penale internazionale dell'Aja per i crimini di guerra o contro l'umanità commessi in Libia. UNICREDIT: ATTENTI A EFFETTI RISOLUZIONE ONU "Stiamo seguendo con attenzione la situazione, anche alla luce della recente risoluzione delle Nazioni Unite". Così un portavoce di Unicredit, interpellato dall'ANSA, dopo che il governo Usa ha congelato i beni della famiglia Gheddafi alla luce del contenuto della risoluzione dell'Onu sulla Libia. L'istituto di Piazza Cordusio, che è partecipata dalla banca centrale libica e dal fondo Lia (nel complesso azionisti con circa il 7,5%), starebbe quindi alla finestra in attesa di eventuali interventi del governo italiano analoghi a quelli degli Stati Uniti. L'esecutivo potrebbe infatti in teoria congelare le partecipazioni, non solo in Unicredit ma anche in altri grandi gruppi italiani, che fanno capo al governo del Paese nordafricano. ZAWIA IN MANO AI RIBELLI La cittadina di Zawia, a una ventina di chilometri da Tripoli, e' in mano ai rivoltosi. Lo ha constatato l'inviato dell'ANSA. I ribelli si sono impossessati di molte armi, anche carri armati. L'esercito libico è schierato tutto intorno alla città a circa 5 chilometri. Gli insorti, che hanno accolto con grande calore i giornalisti stranieri giunti sul posto, affermano che in tre giorni di combattimenti ci sono stati 16 morti. Vogliono soprattutto ribadire che i soldati hanno sparato contro i civili. Nella piazza si vedono edifici bruciati, bombardati e sui muri i segni di numerosi colpi di artiglieria. Le uscite della piazza sono state bloccate con una decina di carri armati rimasti in loro possesso. Gli insorti affermano che sono stati abbandonati da soldati che hanno defezionato, una versione smentita dalle fonti ufficiali. Oltre ai carri armati molte sono le armi, tanti i kalashnikov, rimasti in mano agli insorti. Al termine della preghiera circa 6000-7000 persone stanno marciando sulla piazza della cittadina gridando slogan contro Gheddafi: "Gheddafi è finito", "il regime è finito". Sono solo uomini perché le donne e le famiglie sono state mandate fuori dalla città. Nelle loro mani ci sono anche due soldati che sono stati presi prigionieri e che nei prossimi giorni verranno rimessi in libertà. Sulla città sventola la bandiera libica monarchica. FRATTINI, E' INEVITABILE CHE GHEDDAFI SE NE VADA La situazione in Libia è a un "punto di non ritorno", è "inevitabile" che Gheddafi se ne vada. L'Italia non ha alcun vincolo che le impedirebbe di intraprendere "azioni" nei confronti della Libia derivante dal Trattato di amicizia tra Roma e Tripoli perché "la sospensione di fatto del Trattato è già una realtà". Il voto delle sanzioni Onu nei confronti della leadership libica "é decisamente una svolta molto importante, anche perché è stata votata all'unanimità e quindi permette di dire che tutta la comunità internazionale è convintamente dell'idea che il regime non possa più in alcun modo continuare questi comportamenti che hanno portato alla morte migliaia e migliaia di persone innocenti". Lo ha detto il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ai microfoni di Skytg24. * * * * * * * * * * * * * * * * * LE ALTRE NOTIZIE UNANIMITA': APPROVATA RISOLUZIONE ONU Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha approvato all'unanimità una risoluzione, la 1970, con sanzioni contro la Libia. La risoluzione prevede in particolare il blocco dei beni di Muammar Gheddafi e di alcuni suoi familiari e dignitari del regime, l'embargo alle vendite di armi, oltre ad un possibile coinvolgimento della corte penale internazionale dell'Aja per i crimini di guerra o contro l'umanità commessi in Libia. Come ha indicato l'ambasciatrice degli Stati Uniti Susan Rice, le risoluzione fa riferimento all'articolo 7 della Carta delle Nazioni Unite, che non esclude un intervento internazionale se necessario. OBAMA: "GHEDDAFI LASCI SUBITO" "Gheddafi lasci subito il Paese". Lo afferma il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che nell'ambito dei suoi contatti internazionali sulla crisi libica, ha chiamato la cancelliera tedesca Angela Merkel. Lo rende noto una nota della Casa Bianca. ONU: GHEDDAFI IN LISTA NERA Il progetto di risoluzione sulla Libia del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, prevede sanzioni dirette contro il leader, Muammar Gheddafi, otto dei suoi figli, due cugini e undici esponenti del regime di Tripoli, cioè 22 persone in tutto. Nel documento si impone ai 192 Paesi che fanno parte delle Nazioni Unite di "congelare senza ritardo tutti i fondi, le disponibilità finanziarie e le risorse economiche di (questi) individui". Il testo prevede anche un embargo delle forniture di armi oltre a un riferimento alla Corte Penale Internazionale dell'Aja (Cpi), competente per giudicare i crimini di guerra e contro l'umanità. A essere colpito dalle sanzioni è anzitutto Gheddafi, identificato come "leader della rivoluzione e comandante supremo della forze armate". Nella lista nera ci sono molti suoi figli, i quali avrebbero avuto - più o meno direttamente - un ruolo od un coinvolgimento nelle decisioni del regime di Tripoli. I FIGLI DEL RAIS Gli otto figli sono Hannibal Muammar, Khamis Muammar, Mohammed Muammar, Mutassin, Saadi, Saif al-Arab, Saif al-Islam, oltre che Aisha Gheddafi la quale, fino a qualche giorno fa era addirittura una delle ambasciatrici di buona volontà dell'Onu. La risoluzione menziona anche due cugini di Gheddafi: Ahmed Mohammed Ghedaf al-Daf, responsabile di "operazioni contro i dissidenti libici all'estero e coinvolto direttamente in attività terroristiche", e Sayyid Mohammed Ghedaf al-Daf, "coinvolto in una campagna di assassinii di dissidenti e probabilmente responsabile di una serie di uccisioni in Europa". BLOCCO FINANZIARIO Il blocco finanziario colpisce infine anche il capo delle forze armate, colonnello Masud Abdulhafiz, il ministro della difesa, generale Abu Bakr Yunis, il capo dell'antiterrorismo, Abdussalam Mohammed Abdussalam, gli alti funzionari per l'intelligence Abu Shaariya, Ashkal Al-Barrani e Abdullah (al-Megrahi) Al-Senussi, oltre ai responsabili dei Comitati rivoluzionari Omar Ashkal, Abdulqader Mohammed Al-Baghdadi, Matuq Mohammed Matuq. ONU A ITALIA: APPOGGIO E RUOLO ATTIVO Appoggio continuo e ruolo attivo dell'Italia per le azioni decisive da prendere per risolvere la crisi libica: lo ha chiesto il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Secondo quanto riferisce in una nota il servizio del portavoce del Palazzo di Vetro, "nella sua telefonata con il premier Berlusconi, il segretario generale ha discusso le opzioni disponibili per risolvere la crisi e ha chiesto il continuo appoggio dell'Italia ed un suo ruolo attivo per una azione decisiva". Ban ha anche parlato per telefono con re Abdullah dell'Arabia Saudita. SAIF, EST NON PUÒ SEPARARSI DA PAESE La Libia orientale, costituita in massima parte dalla Cirenaica, non può separarsi dal resto del paese. Lo ha detto oggi Saif al Islam, il figlio 'riformista' del leader libico Muammar Gheddafi, in una intervista alla Tv panaraba Al Arabiya. Così come aveva detto ieri sera a un gruppo di giornalisti stranieri Tripoli, Saif ha ribadito che i manifestanti sono "manipolati da forze esterne". Ieri il figlio di Gheddafi aveva ammonito che l'est del paese, dove le forze ostili al regime hanno assunto il controllo di vaste aree di territorio, si punta ad instaurare "un modello afghano". ONU, GHEDDAFI IN LISTA NERA CON OTTO FIGLI ANCHE 2 CUGINI E 22 DIRIGENTI IN MIRINO CONSIGLIO DI SICUREZZA Il progetto di risoluzione sulla Libia del Consiglio di Sicurezza dell'Onu prevede sanzioni dirette contro il leader, Muammar Gheddafi, otto dei suoi figli, due cugini e undici esponenti del regime di Tripoli, cioè 22 persone in tutto. Nel documento si impone ai 192 Paesi che fanno parte delle Nazioni Unite di "congelare senza ritardo tutti i fondi, le disponibilità finanziarie e le risorse economiche di (questi) individui". Il testo prevede anche un embargo delle forniture di armi oltre a un riferimento alla Corte Penale Internazionale dell'Aja (Cpi), competente per giudicare i crimini di guerra e contro l'umanità. A essere colpito dalle sanzioni è anzitutto Gheddafi, identificato come "leader della rivoluzione e comandante supremo della forze armate". Nella lista nera ci sono molti suoi figli, i quali avrebbero avuto - più o meno direttamente - un ruolo od un coinvolgimento nelle decisioni del regime di Tripoli. Gli otto figli sono Hannibal Muammar, Khamis Muammar, Mohammed Muammar, Mutassin, Saadi, Saif al-Arab, Saif al-Islam, oltre che Aisha Gheddafi la quale, fino a qualche giorno fa era addirittura una delle ambasciatrici di buona volontà dell'Onu. La risoluzione menziona anche due cugini di Gheddafi: Ahmed Mohammed Ghedaf al-Daf, responsabile di "operazioni contro i dissidenti libici all'estero e coinvolto direttamente in attività terroristiche", e Sayyid Mohammed Ghedaf al-Daf, "coinvolto in una campagna di assassinii di dissidenti e probabilmente responsabile di una serie di uccisioni in Europa". Il blocco finanziario colpisce infine anche il capo delle forze armate, colonnello Masud Abdulhafiz, il ministro della difesa, generale Abu Bakr Yunis, il capo dell'antiterrorismo, Abdussalam Mohammed Abdussalam, gli alti funzionari per l'intelligence Abu Shaariya, Ashkal Al-Barrani e Abdullah (al-Megrahi) Al-Senussi, oltre ai responsabili dei Comitati rivoluzionari Omar Ashkal, Abdulqader Mohammed Al-Baghdadi, Matuq Mohammed Matuq. SAIF AL ISLAM, SI APRE LA PORTA ALLA GUERRA CIVILE La rivolta libica lascia aperta tutte le opzioni, "compresa la guerra civile": Saif Al-Islam torna a proporre un dialogo con i rivoltosi, prefigurando in caso contrario foschi scenari. Secondo il secondogenito del colonnello, che ha parlato dagli schermi della tv pan-araba Al-Arabiya, la parte orientale della Libia non può essere separata dal resto della nazione e comunque il popolo libico non avrà alcun futuro se non si trova un accordo. "Ciò che sta accadendo in Libia apre la porta a tutte le opzioni - ha detto Saif all'emittente - e ora cominciano ad intravedersi segnali di guerra civile e di ingerenze esterne". "Un accordo deve essere raggiunto perchè il popolo non ha futuro se tutti non concordano un nuovo programma", ha aggiunto. Nell'intervista Saif ha detto anche che nei tre quarti del paese "la situazione è normale, anzi eccellente". Il figlio del leader della Jamahiriya ha assicurato anche che nel paese c'è "un'autentica volontà di cambiamento". ONU RIUNITO, SI PREPARANO SANZIONI A GHEDDAFI Il Consiglio di sicurezza dell'Onu si è riunito per il secondo giorno consecutivo per tentare d'imporre delle severe sanzioni al regime libico del colonnello Muammar Gheddafi, in modo da fermare la repressione violenta condotta nel Paese. I 15 Paesi membri del Consiglio si sono riuniti poco dopo le 12 (le 17 in Italia); il progetto di risoluzione, presentato dai Paesi occidentali, prevede che Gheddafi possa essere portato davanti alla Corte penale internazionale (Cpi) per crimini contro l'umanità. Il progetto di risoluzione prevede un ampio spettro di sanzioni, tra cui l'embargo sulle vendite d'armi alla Libia, il divieto di espatrio per Gheddafi e il congelamento dei suoi beni. "Sono sorpreso di vedere che c'è un tale accordo tra i membri del Consiglio. È un terremoto. Qualcosa sta succedendo, non solo nel mondo arabo, ma anche in questa organizzazione" ha sottolineato l'ambasciatore francese all'Onu, Gerard Araud. MERCENARI SU ELICOTTERI SPARANO SU CORTEO FUNEBRE Un gruppo di mercenari filo Gheddafi a bordo di elicotteri hanno aperto il fuoco su un corteo funebre a Misurata, la terza città della Libia, controllata dall'opposizione, a 150 km ad est di Tripoli. Lo riferiscono testimoni. I mercenari hanno aperto il fuoco sui parenti delle vittime degli scontri dei giorni scorsi che stavano per entrare nella moschea della citta e su un edificio che ospita una radio dell'opposizione. I testimoni, sentiti dalla France Presse, hanno aggiunto che alcuni consiglieri di Gheddafi hanno contattato i capi tribali di Misurata proponendogli di instaurare un mini-Stato indipendente a patto che non attaccassero Tripoli. ESERCITO SPARA A SABRATHA, DIVERSI FERITI Le truppe ancora fedeli a Muammar Gheddafi hanno aperto il fuoco sui dimostranti a Sabratha, vicino al confine con la Tunisia, causando "diversi feriti". Lo riporta il quotidiano Quryna di proprietà di Seif al Islam, il secondogenito di Gheddafi. MOGLIE E FIGLIA GHEDDAFI A VIENNA? VOCI E SMENTITE Le voci sull'arrivo a Vienna della moglie Safiya e della figlia Aisha del colonnello Muammar Gheddafi riportate oggi da Al Arabiya, circolano già da giorni in ambienti libici all'estero. Ne riferiscono oggi due tabloid austriaci scrivendo che secondo le fonti le due donne sarebbero giunte già ieri in un albergo di lusso della capitale austriaca. I due giornali riferiscono anche di una smentita sia dell'Hotel Imperial, che del ministero dell'interno. "Voci selvagge" sulla presenza delle due donne a Vienna, titola il popolare quotidiano Kurier. La voce della fuga a Vienna della moglie e figlia di Gheddafi, si sarebbe diffusa su internet e Twitter. Il portavoce del ministero degli interni, Gregor Schuetze, citato dal giornale, dice di non avere informazioni su un'entrata nel Paese della figlia e della moglie del dittatore. E di sicuro, scrive Kurier, "all'Imperial non ci sono". Anche per i servizi segreti interni, citati dal quotidiano, nessun membro della famiglia Gheddafi si trova a Vienna. Ciononostante, stando al tabloid, appena diffusesi le voci di una possibile presenza delle donne all'Imperial, un gruppo di libici in esilio ha improvvisato una protesta davanti all' albergo. Già nei giorni scorsi, prima del precipitare degli eventi a Tripoli, madre e figlia erano state viste a Vienna, assieme a numerosi altri componenti della famiglia Gheddafi e una dozzina di guardie del corpo. Le donne si erano trattenute una settimana e stando a testimoni avevano fatto shopping a man bassa. Le Gheddafi di nuovo a Vienna, titola anche un trafiletto il tabloid Oesterreich. Gli altri media, inclusa la radio e la tv pubblica, non menzionano la notizia. LA "SEXY" INFERMIERA UCRAINA DI GHEDDAFI TORNA A CASA La "procace" infermiera ucraina che, secondo dei cablogrammi americani rivelati da Wikileaks, avrebbe sempre accompagnato il leader libico Muammar Gheddafi, si appresta a tornare a casa. Lo ha dichiarato la figlia Tatiana in una intervista al quotidiano ucraino Segodnia e pubblicata oggi. "Mamma ha telefonato ieri. Ha detto che era a Tripoli. Ci sono spari, scontri, tutto quello che ha mostrato la televisione", ha raccontato Tatiana. "Parlava in maniera calma e ha detto che tornerà presto", ha aggiunto. Secondo delle note diplomatiche Usa diffuse da Wikileaks, il colonnello Gheddafi si faceva assistere da un piccolo gruppo di infermiere ucraine e "non poteva viaggiare" senza una di loro, Galina Kolotnitska, descritta come "una bionda procace". I cablogrammi inviati dai diplomatici Usa a Tripoli al Segretario di Stato Hillary Clinton nel 2009 sottolineavano che Gheddafi viaggiava sempre con la Kolotnitska. Il numero uno libico "si appoggia da anni alla sua infermiera ucraina, Galina Kolotnitska, che descrivono come una bionda procace", si leggeva in una delle note. "Non può viaggiare senza di lei, perche lei è l'unica a conoscere tutta la sua agenda", proseguiva la stessa fonte. La figlia di Kolotnitska ha detto di non sapere se la madre si trovi attualmente con il colonnello. Ha raccontato che la madre era partita per la Libia nove anni fa e ha confermato che vi sono "altre infermiere ucraine" con Gheddafi."Sembra che non si fidi delle libiche", ha commentato.
BAN KI-MOON (ONU) TELEFONA A BERLUSCONI Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha telefonato oggi al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, per uno scambio di valutazioni sulla situazione in Libia. È quanto si apprende da una nota di Palazzo Chigi. "Il presidente Berlusconi e il segretario Generale Ban Ki-moon - si legge nella nota - hanno condiviso la necessità di porre termine alle violenze sui civili e alle violazioni del diritto umanitario e internazionale, e quella di garantire un futuro di stabilità e integrità della Libia. Il presidente Berlusconi ha sottolineato il ruolo centrale delle Nazioni Unite nel promuovere una reazione efficace della comunità internazionale, sottolineando l'impegno dell'Italia a cooperare in tutti i fori multilaterali per una soluzione rapida e pacifica della crisi". Tripoli è relativamente calma dopo i violenti scontri di ieri e il rabbioso discorso di Gheddafi. Per oggi si attende la decisione del consiglio di sicurezza dell'Onu sulle sanzioni per la Libia, mentre Obama ha congelato i beni della famiglia dei rais. "Sembra che effettivamente Gheddafi non controlli più la situazione", ha detto il premier Berlusconi aggiungendo: "Se tutti siamo d'accordo, possiamo mettere fine al bagno di sangue e sostenere il popolo libico". Il ministro della Difesa La Russa ha annunciato una possibile riunione Nato a Napoli. Intanto, continuano i ponti aerei per l'evacuazione degli stranieri. Ancora bloccati al confine con la Tunisia i 150 dipendenti della italiana Bonatti. Nella mattinata a Tripoli c'è calma apparente, per il momento, e dopo le sanzioni decise nella notte dal presidente Usa Barack Obama c'è attesa per le decisioni che potrebbero prendere le Nazioni UNite, il cui consiglio di sicurezza si riunisce alle 17 ora italiana. Ma una qualche novità sembra venire anche dalla stessa Tripoli dove Saif al Islam, il figlio del leader libico Muammar Gheddafi, ha proposto in tarda serata di sospendere gli attacchi contro gli oppositori del regime e di avviare un negoziato con loro. Gheddafi junior ha inoltre smentito che mercenari abbiano partecipato agli attacchi contro i manifestanti, dopo che questi ultimi avevano denunciato di africani arrivati dal Ciad e dal Mali coinvolti nella repressione. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha inflitto sanzioni nei confronti del colonnello Muammar Gheddafi e del suo entourage, mentre il leader libico ha invitato i suoi sostenitori a prendere le armi contro i manifestanti in un Paese messo a ferro e fuoco, dove le vittime sarebbero già diverse migliaia. Saif al-Islam, il figlio del rais, ha però aperto uno spiraglio al dialogo: ha proposto infatti di sospendere gli attacchi agli oppositori del regime e di intavolare negoziati. Il presidente Obama ha firmato un decreto presidenziale che congela gli asset e che blocca i beni negli Stati Uniti del colonnello e dei suoi quattro figli, ha indicato un comunicato della Casa Bianca. "Il regime di Muammar Gheddafi ha ridicolizzato le norme internazionali e la più elementare morale, deve esserne ritenuto responsabile", ha dichiarato il presidente Obama in questo comunicato, "Queste sanzioni riguardano di conseguenza il regime Gheddafi, ma proteggono i beni che appartengono al popolo libico". Il Consiglio di sicurezza ha terminato da parte sua le sue consultazioni venerdì sera e deve riprenderle oggi alle 11 orario di New York (le 17 in Italia), ha annunciato un responsabile del Palazzo di Vetro. Una bozza di risoluzione che circola fra i quindici Paesi del Consiglio di sicurezza valuta sanzioni tra cui un embargo sulle armi, sui viaggi del colonnello Gheddafi e su un blocco dei suoi asset, secondo i diplomatici. Il Consiglio di sicurezza dell'Onu deve prendere "misure decisive" in tal senso, ha ritenuto alla fine della riunione il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon. "La violenza deve cessare (...) chi versa con brutalità sangue di innocenti deve essere punito", ha affermato, "Una perdita di tempo significa una perdita di vite umane". La bozza di risoluzione del Consiglio di sicurezza redatta dagli occidentali ha avvertito inoltre Gheddafi che le violenze potrebbero essere considerate come crimini contro l'umanità, secondo diplomatici. Il Consiglio dei diritti umani dell'Onu ha richiesto in una risoluzione la sospensione della Libia dai suoi ranghi, oltre che un'indagine indipendente sulle violenze. L'Unione europea ha decretato un embargo sulle armi, come pure il congelamento dei beni il divieto dei visti nei confronti di Gheddafi e del suo entourage. Per quanto riguarda l'Italia, presa di mira da Gheddafi nel suo ultimo discorso alla piazza a Tripoli, proseguono - con qualche difficoltà - i rimpatri dei connazionali che ne hanno fatto richiesta. In serata sono state completate le operazioni di imbarco a bordo di nave San Giorgio della Marina militare, che al porto di Misurata ha sgomberato 245 persone, 130 delle quali di nazionalità italiana. L'unità da sbarco farà ora rotta verso Catania, dove dovrebbe giungere domenica mattina. Resta invece nella zona nell'eventualità di altri interventi per rimpatri il cacciatorpediniere "Mimbelli". Mentre le violenze scuotono tutto il Paese e Tripoli, il numero di morti si conta a migliaia e non a centinaia, ha affermato il vice ambasciatore della missione libica all'Onu, Ibrahim Dabbashi, che ha fatto defezione. Altre fonti parlano di un numero di vittime che oscilla tra trecento e mille. Sul campo, mentre la regione orientale petrolifera è nelle mani dell'opposizione armata che organizza una nuova amministrazione, a Tripoli, le forze filo-Gheddafi dispiegate intorno alle moschee per impedire le proteste hanno sparato sui manifestanti. Nell'est della città, almeno due dimostranti sono stati uccisi di simpatizzanti del colonnello nel quartiere popolare di Fashloum, secondo un testimone. In questa zona, come in quella di Ben Ashour, testimoni hanno segnalato raffiche di colpi "su tutti coloro che si trovavano in piazza". IL FIGLIO DI GHEDDAFI: ACCORDO CON I RIBELLI Il giorno dopo l'arringa di Gheddafi nella piazza Verde di Tripoli, non sembrano placarsi le proteste in Libia. Uno spiraglio arriva pero' da Seif al Islam, il figlio 'riformista' del leader libico, il quale ha detto che un accordo con i ribelli e' possibile, forse anche gia' entro oggi. ''I leader di questi gruppi sono ormai alla disperazione - ha detto - stiamo invitandoli a la deporre le armi e se cosi' faranno non gli faremo del male'. LIBIA: VIA LIBERA USA A SANZIONI IN ARRIVO ANCHE DA UE E ONU Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha varato una serie di sanzioni contro la Libia, congelando i beni della famiglia Gheddafi, ma non quelli che appartengono al popolo libico. Obama ha firmato l'ordine esecutivo poche ore dopo che i Quindici del Consiglio di Sicurezza dell'Onu avevano raggiunto un accordo su una serie di misure internazionali dello stesso tipo, che saranno formalizzate oggi. In giornata arrivera' anche il documento dell'Unione Europea. Allo stesso tempo, il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon ha lanciato l'allarme profughi, chiedendo ai paesi vicini alla Libia - compresa l'Italia - di tenere aperti i confini per ragioni umanitarie. * * * * * * * * * * * * * * * * * LE ALTRE NOTIZIE SI DIMETTE AMBASCIATORE A LISBONA, 'REGIME FASCISTA' L'ambasciatore libico in Portogallo Ali Ibrahim Emdored, ha annunciato oggi di essersi dimesso per protestare contro l'uso della forza contro gli oppositori da parte di un "regime fascista, tirannico e ingiusto". In una nota il diplomatico ha detto di avere aderito "alla giovane rivoluzione del 17 febbraio" e di mettere "tutta la mia esperienza e le mie capacità a sua disposizione". Secondo l'ambasciatore il regime Gheddafi "non ha altra alternativa che l'abbandono immediato del potere" SOPSESE LE ATTIVITA' DELL'AMABASCIATA USA A TRIPOLI AL ARABIYA: INTERFERENZE DELIBERATE SU NOSTRO SEGNALE Non specificata la sorgente dei disturbi Dubai, 25 feb. (TMNews) - La rete satellitare Al Arabiya ha reso noto che il suo segnale è stato disturbato, senza precisare la sorgente delle interferenze. Secondo la direzione della rete, le interferenze mirano ad "interrompere deliberatamente la copertura in diretta e continuata degli avvenimenti che hanno luogo in numerose zone del mondo arabo". Lunedì scorso la rete satellitare Al Jazeera aveva accusato i servizi libici di disturbare il suo segnale nel Paese, nel quale sono in corso dal 15 febbraio delle violente manifestazioni contro il regime di Muammar Gheddafi. WEB RISPONDE A GHEDDAFI, NESSUNO BALLA FINO A TUA MORTE "Gheddafi tu non sei uno di noi e nessuno canterà e ballerà con te fino a che non sarai morto": così sul web il gruppo di giovani oppositori al regime, 'Shabablybià, reagisce all'ultimo discorso di Gheddafi, pronunciato alla folla. "Nessuno sta più al tuo fianco, nessuno è con Gheddafi", scrivono.
EX DIPLOMATICO, FINE GHEDDAFI "IN POCHI GIORNI" Il leader libico Muammar Gheddafi è "peggiore" del defunto dittatore iracheno Saddam Hussein, e la fine del suo attuale regime avverrà "fra qualche giorno": lo ha affermato a Beirut l'ex rappresentante della Libia presso la Lega araba, Abdel Moneim al-Honi, in una intervista al quotidiano panarabo Al Hayat. "Credo che sia una questione di giorni, non di più. Purtroppo, penso che comunque tutto ciò costerà caro alla Libia e ai libici", ha detto il diplomatico dimissionario: "temo che avverranno orribili massacri". Gheddafi, ha aggiunto al-Honi, non ha soluzioni: "può uccidere, o può essere ucciso". È "ben peggio di Saddam Hussein. Penso che Saddam Hussein aveva un minimo di buon senso, mentre Gheddafi non ha nè buon senso, nè saggezza". L'ex diplomatico libico ha annunciato domenica le sue dimissioni da rappresentante permanente della Libia presso la Lega araba, per "raggiungere la rivoluzione" e "denunciare la violenza contro i manifestanti". Ieri il colonnello Gheddafi, al potere da quasi 42 anni, ha tenuto un durissimo discorso bellicoso volto a ristabilire l'ordine, minacciando un bagno di sangue e chiamando alla lotta i suoi partigiani. DIPLOMATICO LIBICO ONU: MIGLIAIA I MORTI Dabbashi ha parlato davanti ad alcuni giornalisti alla rappresentanza diplomatica della Libia all'Onu, aprendo la conferenza stampa con un infuocato discorso in arabo, seguito da alcune battute in inglese. "I morti sono migliaia, non centinaia - ha detto il diplomatico "ribelle" - ma lancio un appello ai miei concittadini: scendete nelle strade e continuate a resistere, perchè la fine del regime è vicina". Rispondendo ad alcune domande, Dabbashi ha detto che la battaglia con Gheddafi sarà dura: il rais "lotterà fino alla fine, non si farà prendere vivo", ha spiegato il diplomatico. Lunedì il vice-ambasciatore aveva accusato il Colonnello di "genocidio" e aveva chiesto l'intervento delle Nazioni Unite. La richiesta è stata ribadita nella conferenza stampa di oggi: "Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu deve agire", ha detto Dabbashi. DIPLOMATICO LIBICO: GHEDDAFI PEGGIO DI SADDAM HUSSEIN Muammar Gheddafi è "peggio" dell'ex dittatore iracheno Saddam Hussein e la fine del suo regime è "molto vicina". Lo afferma in un'intervista al quotidiano panarabe a capitali sauditi "Al Hayat", il rappresentante dimissionario della Libia presso la Lega araba, Abdel Moneim al-Honi. "Credo che sia questione di qualche giorno, non oltre. Allo stesso tempo, sfortunatamente penso che costerà caro alla Libia e ai libici, perché questo uomo è capace di tutto", dice al-Honi. "Credo che assisteremo a orribili massacri", aggiunge, scartando l'ipotesi di una guerra civile nel Paese. Il colonnello "è peggio di Saddam Hussein. Il rais iracheno aveva un pò di buon senso, mentre Gheddafi non ce l'ha, e non è neanche saggio", sottolinea l'ex membro del Consiglio di comando della rivoluzione libica. Si stringe il cerchio attorno a Muammar Gheddafi, il leader libico messo alle corde da una grande rivolta popolare giunta al suo undicesimo giorno. Molte aree del Paese sono ormai fuori dal controllo del Colonnello, che si prepara a far fronte al possibile assedio di Tripoli ma non si arrende: "Vinceremo", ha promesso in una breve apparizione nella Piazza Verde di Tripoli. Nel frattempo, l'Ue studia la possibile applicazione di una no-fly zone e ha raggiunto un accordo di massima per un embargo sulle armi e il congelamento dei beni di Gheddafi e dei suoi familiari. GHEDDAFI: VINCEREMO, COME ABBIAMO SCONFITTO COLONIALISMO Muammar Gheddafi ha parlato per pochi istanti, arrivando a sorpresa in piazza Verde, a Tripoli, dove erano radunati centinaia di suoi sostenitori. Il popolo libico "ama Gheddafi, questa è la voce del popolo" ha strillato, coprendo le urla dei sostenitori. "Preparatevi a difendere la Libia. Lotteremo fino a riconquistare ogni pezzo del territorio del Paese - ha aggiunto parlando ad una piazza che, a giudicare dalle immagini trasmesse dalle tv, non sembrava gremita di gente - sconfiggeremo il nemico come abbiamo sconfitto il colonialismo italiano". Il Colonnello ha poi aggiunto che "tutti i depositi di armi saranno aperti per armare il popolo". "Ecco la voce del popolo, lotteremo fino a riconquistare ogni pezzo del territorio della Libia. Sconfiggeremo il nemico come abbiamo sconfitto il colonialismo italiano", ha continuato Gheddafi, che ha concluso: "cantate, ballate e siate felici". IN CORSO OFFENSIVA RIBELLE SU TRIPOLI II leader della rivolta stanno inviando truppe per un'offensiva contro la capitale, dove le forze di sicurezza hanno circondato le moschee: oggi è infatti in programma la prima grande manifestazione anti-regime al termine della preghiera del venerdì; secondo alcuni testimoni i militari avrebbero aperto il fuoco contro i manifestanti nei quartieri di Fashlum e di Soug al Jomaa, e vi sarebbero almeno due morti. SAIF AL ISLAM: UNICO PIANO VIVERE E MORIRE IN LIBIA Gheddafi, che ieri ha tenuto un discorso via telefono, trasmesso dall'emittente panaraba al Jazeera, continua a nascondersi nel suo bunker, circondato da un gruppo di fedelissimi che resta molto numeroso, riferiscono fonti qualificate. Il suo clan, invece, sembra cominciare a sfaldarsi. Secondo l'agenzia Irna, il figlio minore del leader libico, Saif al Arab, si sarebbe unito ai rivoltosi e starebbe combattendo contro le truppe guidate dal padre a Bengasi. Tuttavia, in un'intervista rilasciata alla Cnn turca, Seif ha ribadito la sua volontà di resistere; "Abbiamo un Piano A, un piano B e un piano C. Il piano A è vivere e morire in Libia, il piano B è vivere e morire in Libia, il piano C è vivere e morire in Libia". SI DIMETTE CUGINO GHEDDAFI UN FIGLIO FUGGITO IN VENEZUELA Un altro dei sette figli del leader libico, non meglio identificato secondo una fonte sentita dal Telegraph, sarebbe arrivato due giorni fa nell'isola Margarita, in Venezuela. L'ultima defezione, in ordine di tempo, è stata poi quella di un cugino e stretto consigliere del Colonnello, Kadhaf al-Dam, che si è dimesso ieri "da tutti i suoi incarichi nel regime libico per protestare contro la gestione della crisi" in atto nel Paese. ALLO STUDIO IPOTESI NO-FLY ZONE DELL'UE Intanto i paesi europei si preparano a imporre un'eventuale zona di esclusione aerea (no-fly zone) in Libia per impedire agli aerei dell'aviazione militare libica di mettersi in volo. Una fonte dell'Ue ha detto che gli europei stanno valutando dei "piani d'urgenza" per controllare lo spazio aereo libico. L'Europa, però, ha preliminarmente bisogno di una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che autorizzi simili misure; proprio oggi è prevista una riunione del Consiglio di sicurezza Onu che potrebbe colmare il vuoto. ACCORDO UE SU EMBARGO ARMI E CONGELAMENTO BENI Accordo raggiunto in seno all'Ue per il congelamento dei beni del leader libico Muammar Gheddafi e dei suoi familiari, nonché un embargo sulle armi alla Libia: lo hanno reso noto fonti diplomatiche. I dettagli delle misure da adottare devono ancora essere definiti a livello di esperti, ma secondo fonti governative tedesche le sanzioni potrebbero entrare in vigore "all'inizio della prossima settimana". Oltre alle armi, l'embargo riguarda anche materiali ed equipaggiamenti che possano essere utilizzati per reprimere delle manifestazioni. CONSIGLIO ONU PER DIRITTI UMANI CHIEDE SOSPENSIONE LIBIA Il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha adottato venerdì una risoluzione che raccomanda la sospensione della Libia dal Consiglio stesso. Riunito a Ginevra, l'organismo ha anche deciso di compiere un'indagine sulle sospette violazioni dei diritti umani da parte del regime, inviando una commissione indipendente. Per espellere un paese dal Consiglio per i diritti umani sono necessari due terzi dei voti nell'Assemblea Generale dell'Onu, alla quale passa ora la pratica. DOPO DISCORSO GHEDDAFI FOLLA URLA 'SOLO DIO E MUAMMAR' Al termine del discorso del leader libico la folla sulla piazza Verde, che manifestava dal primo pomeriggio, ha scandito in coro lo slogan: "solo Dio, Muammar e Libia!". I manifestanti, tra i quali anche donne e bambini, sono ancora sulla piazza: mostrano immagini di Gheddafi e sventolano bandiere verdi della Jamayiria. Sul lungomare di Tripoli, a poche centinaia di metri di distanza dalla piazza, sono stati piazzati posti di blocco presidiati da polizia, esercito e miliziani armati con la fascia verde al braccio. TESTIMONE, MILIZIE GHEDDAFI FANNO SPARIRE CADAVERI "Le milizie di Gheddafi prelevano i cadaveri e i feriti dagli ospedali e li bruciano, si sbarazzano dei corpi per nascondere al mondo le prove delle uccisioni". A riferirlo è un testimone che vive a Tripoli. GHEDDAFI IN PIAZZA A TRIPOLI PER POCHI ISTANTI: VINCEREMO Ci aveva abituati a lunghi discorsi pubblici. Questa volta, Muammar Gheddafi ha parlato per pochi istanti, arrivando a sorpresa in piazza Verde, a Tripoli, dove erano radunati centinaia di suoi sostenitori. Il popolo libico "ama Gheddafi, questa è la voce del popolo" ha strillato, coprendo le urla dei sostenitori. "Preparatevi a difendere la Libia. Lotteremo fino a riconquistare ogni pezzo del territorio del Paese - ha aggiunto parlando ad una piazza che, a giudicare dalle immagini trasmesse dalle tv, non sembrava gremita di gente - sconfiggeremo il nemico come abbiamo sconfitto il colonialismo italiano". Il Colonnello ha poi aggiunto che "tutti i depositi di armi saranno aperti per armare il popolo". GHEDDAFI, ECCOMI TRA VOI BALLATE E SIATE FELICI "Guardate, sono tra voi: ballate, cantate e siate felici": così il colonnello Gheddafi ha salutato e si è accomiatato dalla Piazza Verde a Tripoli. GHEDDAFI, ABBIAMO COSTRETTO ITALIANI A PAGARE DANNI "Abbiamo recuperato la dignità del popolo, riuscendo addirittura a farci pagare i danni dall'Italia". È questo uno dei passaggi del discorso di Gheddafi, trasmesso dalla tv. "Ricordatevi la gloria del popolo libico", ha aggiunto. "Abbiamo sconfitto gli invasori italiani e così sconfiggeremo ogni tentativo straniero contro di noi": lo ha detto il leader libico Muammar Gheddafi apparendo di persona a piazza Verde a Tripoli, indossando un copricapo scuro simile a un colbacco. "Lotteremo, lotteremo fino a riconquistare ogni pezzo del territorio libico. Li sconfiggeremo come abbiamo sconfitto il colonialismo italiano", ha detto. GHEDDAFI IN PIAZZA GUARDATE FRUTTO RIVOLUZIONE "Guarda Europa, Guarda America, questo è il popolo libico, questo è il frutto della Rivoluzione. La Rivoluzione ha risuscitato Omar El Mukhtar, combatteremo per la terra di Libia". Ha detto il leader libico Gheddafi parlando in piazza Verde a Tripoli ai sostenitori del suo regime, affacciato ad un muro di cinta di un palazzo istituzionale. GHEDDAFI A SOSTENITORI "SCONFIGGEREMO TUTTI COME PASSATO" Sconfiggeremo tutti, come lo abbiamo già fatto in passato". Lo ha detto Il leader libico Muammar Gheddafi in un discorso dalla Piazza verde cuore della capitale. GHEDDAFI, UCCIDEREMO CHI PROTESTA I depositi di armi sono aperti per armare il popolo e assieme combatteremo, sconfiggeremo e uccideremo chi protesta: lo ha detto Gheddafi parlando a piazza Verde. GHEDDAFI IN TV "LOTTEREMO FINO ALLA MORTE PER LA LIBIA" Lotteremo fino alla morte per la Libia, La rivoluzione ha reso la Libia il leader del terzo mondo, vi chiedo di cantare ballare e gioire". Lo ha detto Il leader libico Muammar Gheddafi in un discorso dalla Piazza verde cuore della capitale. GHEDDAFI,VINCEREMO COME CONTRO COLONIALISMO ITALIANO Lotteremo e riconcquisteremo ogni pezzo di territorio
TV, GHEDDAFI COMPARE IN PIAZZA VERDE Muammar Gheddafi è comparso sulla piazza verde a Tripoli, lo mostra la televisione di Stato. "Preparevi a difendere la Libia", ha detto Muammar Gheddafi sulla piazza verde, rivolgendosi alla folla. "Chi non mi ama non merita la vita, sarà un inferno": lo ha detto Gheddafi, in un discorso alla folla a Tripoli, trasmesso in diretta tv. AL JAZIRA;SPARI MILIZIANI SU CIVILI,DECINE MORTI La brigate della sicurezza sparano sui civili e sono decine i morti e i feriti, in diverse zone di Tripoli. Lo riferisce Al Jazira citando fonti mediche. UE; FONTI, C'È ACCORDO POLITICO SU SANZIONI I paesi dell'Ue hanno raggiunto un accordo politico sulle sanzioni da imporre alla Libia: lo riferiscono fonti del ministero degli Esteri tedesco. Le sanzioni, secondo le fonti, si basano su quattro punti: un embargo all'export di armi, un embargo all'export di beni che possano essere usati per la repressione, il congelamento dei beni della famiglia Gheddafi e il divieto di ingresso (nell'Ue) per la famiglia al potere. Le sanzioni, sempre secondo le fonti, verranno approvate all'inizio della settimana prossima. NATO, RIUNIONE D'EMERGENZA CONSIGLIO ATLANTICO È cominciata al quartiere generale di Bruxelles la riunione d'emergenza del Consiglio Atlantico della Nato a livello di ambasciatori per discutere il ruolo dell'Alleanza nella crisi libica. Prima dell'incontro a Bruxelles, il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen ha incontrato i ministri della Difesa della Ue, riuniti a Godollo (Budapest), per verificare - ha riferito il segretario - come è possibile aiutare "in modo pragmatico coloro che ne hanno bisogno e limitare le conseguenze di questi eventi". "Chiaramente le priorità - ha detto Rasmussen - devono essere l'evacuazione ed eventualmente l'assistenza umanitaria". Secondo il segretario generale, "la Nato ha i mezzi che possono essere utilizzati in situazioni del genere e l'Alleanza Atlantica può agire come coordinatore se e quando uno stato membro individuale vuole agire" La riunione straordinaria è stata commentata in modo polemico dalla Francia. La portavoce del ministero degli esteri francese ha dichiarato di non vederne "la necessità". DELEGAZIONE LEGA ARABA SI DISSOCIA DA GHEDDAFI La delegazione libica alla Lega araba, al Cairo, si è dissociata da Muammar Gheddafi, condannando gli "atroci crimini" contro i civili. Secondo quanto riferisce l'agenzia Reuters, la delegazione ha annunciato di rappresentare, a partire da oggi, la volontà popolare, cambiando nome. "Ci siamo uniti al nostro popolo, nella sua legittima aspirazione al cambiamento e alla instaurazione della democrazia", ha sostenuto la delegazione in un comunicato ufficiale, col quale si condannano fra l'altro "gli atroci crimini contro cittadini inermi". La delegazione ha inoltre cambiato il suo nome in 'Rappresentanza del popolo libico nella Lega araba'. VENEZUELA, CHAVEZ SI SCHIERA CON GHEDDAFI "Viva la Libia e la sua indipendenza! Gheddafi deve affrontare una guerra civile": il presidente venezuelano Hugo Chavez - principale alleato latinoamericano di Tripoli - rompe il silenzio per schierarsi a fianco del rais con un messaggio diffuso sul social network Twitter. "Noi condanniamo la violenza, ma occorre analizzare il conflitto libico con obbiettività: si vogliono creare le condizioni per un'invasione della Libia il cui obbiettivo principale è impadronirsi del petrolio libico", ha commentato il ministro degli Esteri venezuelano, Carlos Maduro. Oltre a Chavez anche il presidente nicaraguense Daniel Ortega e il leader cibano Fidel Castro hanno espresso la propria solidarietà a Gheddafi.
OIM, MIGLIAIA STRANIER IN FUGA;11 MLN DLR PER L'ASSISTENZA In migliaia sono in fuga dalla Libia attraverso il confine con Tunisia e Egitto. Secondo l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), oltre ai 6.700 tunisini fuggiti negli ultimi tre giorni, sono molti altri gli stranieri che abbandonano il Paese, soprattutto lavoratori migranti egiziani (almeno 850) e cinesi (830) insieme a personale diplomatico di altri Stati. Per questo l'organizzazione ha lanciato un appello urgente alla comunità internazionale: "Servono almeno 11 milioni di dollari per accogliere il primo gruppo di 10.000 migranti, che in breve toccheranno quota 50.000". Le operazioni di rimpatrio sono già state avviate con il contributo dell'Oim e di altre organizzazioni umanitarie. "La situazione più preoccupante", ha spiegato Laurence Hart, capo missione Oim in Libia, "resta quella di tanti lavoratori immigrati irregolari sub-sahariani e asiatici, di cui non si hanno notizie da giorni". Per aiutarli l'Oim ha lanciato un appello alla comunità internazionale affinchè "intervenga a sostegno di tutti coloro che vogliono lasciare la Libia ma non dispongono dei mezzi e delle risorse necessarie". L'ufficio Oim nella capitale del Niger, Niamey, ha comunicato che, oltre ai 170 nigerini che hanno già attraversato il confine libico, altre centinaia di migranti sono attesi nelle prossime ore. Tra le comunità in fuga più numerose, quelle srilankese, vietnamita e nepalese. È iniziata intanto una missione congiunta dell'Oim, dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e dell'Ufficio Onu di coordinamento degli aiuti umanitari (Ocha) per monitorare la situazione sul confine con l'Egitto. ONU PROPONE BLOCCO BENI E EMBARGO ARMI Congelamento dei beni, embargo alle forniture di armi, ricorso alla corte penale internazionale per chi in Libia si sarà macchiato di crimini di guerra. Sono questi i tre punti principali di un progetto di risoluzione Onu sula Libia che i 15 del Consiglio di Sicurezza inizieranno ad esaminare oggi. Lo indicano fonti diplomatiche occidentali. TESTIMONI TRIPOLI, DISPERSE ALCUNE MANIFESTAZIONI I manifestanti sono stati dispersi in alcune zone della capitale libica dalle forze di sicurezza che "sparano in aria", mentre in altre aree la gente è ancora in piazza. Lo hanno riferito persone residenti nel centro di Tripoli. GHEDDAFI POTREBBE FUGGIRE IN ZIMBABWE "Muammar Gheddafi è pronto a partire con un aereo privato carico di lingotti d'oro e di dollari alla volta dello Zimbabwe dove starà dal suo amico Robert Mugabe". A dichiararlo è stato un attivista politico e scrittore libico residente a Londra. Parlando alla rete tv australiana ABC, Guma el-Gamaty ha detto di aver saputo "da fonti attendibili a Tripoli" della proposta di asilo fatta dal presidente dello Zimbabwe. Il dittatore libico potrebbe raggiungere lo Zimbabwe già sabato, anticipando così la possibile chiusura dello spazio aereo dei cieli della Libia, che la comunità internazionale potrebbe decidere per impedire l'uso di aerei da guerra contro i manifestanti. Secondo el-Gamaty, se Gheddafi fuggisse in Zimbabwe cercherebbe di "riunire intorno a sé gli africani e ritornare alla riconquista della Libia".
UE: ANCORA 3.600 EUROPEI BLOCCATI NEL PAESE Circa 3.600 cittadini europei sono sempre bloccati in Libia. Lo ha affermato l'Unione europea che ha ammesso di non avere alcun contatto con l'opposizione libica, che controlla gran parte del Paese. "Circa 3.400 europei sono stati sgomberati dalla Libia. Ne restano ancora quasi 3.600 sul posto", ha detto Maja Kocijancik, portavoce del capo della diplomazia Ue, Catherine Ashton, durante un punto stampa, ricordando che il rimpatrio dei cittadini europei è "una priorità". "Abbiamo chiesto alle autorità libiche di permettere questo sgombero e fino ad oggi non ci sono stati problemi", ha affermato. "Ma le circostanze sono lontane dall'essere favorevoli" e Ashton resta "preoccupata" per la sorte degli europei che restano bloccati in Libia, ha sottolineato Kocijancik. L'Ue non ha rappresentanti a Tripoli e alcun contatto con l'opposizione libica, ha aggiunto il portavoce. "Il personale della Commissione europea non è presente sul terreno", ha detto. AMBASCIATORE ONU DIRITTI UMANI, RAPPRESENTO SOLO IL POPOLO L'ambasciatore libico al Consiglio per i diritti umani dell'Onu Ibrahim A.E. Aldredi, ha deciso di non essere più leale al regime di Muammar Gheddafi e si è proclamato "rappresentante del popolo libico". Aldredi ha preso brevemente la parola durante la riunione speciale del Consiglio per annunciare che "da oggi il sottoscritto e tutta la missione libica a Ginevra rappresentiamo il popolo libico". In precedenza l'ambasciatore aveva chiesto un minuto di silenzio "in memoria dei martiri della rivoluzione del 17 febbraio". AL-JAZEERA, MILITARI VOLTANO SPALLE A GHEDDAFI ANCHE A OVEST Sempre più militari libici scelgono di abbandonare Muammar Gheddafi. Secondo quanto riferito da una corrispondente di Al-Jazeera che si trova nella zona est del paese, anche nella parte occidentale, della quale il rais ha ancora il controllo, gli ufficiali dell'esercito hanno cominciato a ribellarsi. La giornalista cita come fonti alcuni militari già passati con l'opposizione, i quali hanno tuttavia avvertito che la Brigata Khamis, reparto speciale legato alla famiglia Gheddafi e in possesso di armamenti sofisticati, sta ancora combattendo a pieni ranghi contro le forze anti-regime. CENTINAIA DI STRANIERI A FRONTIERA CON ALGERIA Centinaia di stranieri, tra cui egiziani, iracheni, siriani ma anche inglesi, in fuga dalla Libia sono entrati in territorio algerino, passando dai posti di frontiera di Debdeb, Tarat e Tinalkoum, nel sud est dell'Algeria. Lo riporta oggi l'agenzia ufficiale APS, precisando che gli stranieri sono stati accolti da squadre di soccorso e medici, ma anche da rappresentanti diplomatici di Gran Bretagna, Indonesia e Egitto. Dal valico di Debdeb, sono entrati in Algeria, 260 egiziani, 11 iracheni e 3 siriani, e precisa la stessa fonte, un migliaio di egiziani sono attesi per i prossimi giorni. Importanti gruppi di stranieri sono stati accolti anche a Tarat e più a sud, a Tinalkoum. DA TAJURA 10 MILA IN MARCIA VERSO IL CENTRO DI TRIPOLI Oltre diecimila abitanti di Tajura, 14 chilometri ad est di Tripoli hanno iniziato a marciare verso la Piazza verde, cuore della capitale libica. Lo ha riferito un testimone ad al Jazira. TELEFONATA CAMERON-BERLUSCONI, AZIONE COORDINATA EUROPA-ONU Il Primo Ministro del Regno Unito, David Cameron, ha telefonato oggi al Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, per uno scambio di valutazioni sulla situazione in Libia. Il Premier britannico ha ringraziato l'Italia per la messa a disposizione della base di Sigonella a personale e velivoli britannici impegnati nell'evacuazione dei connazionali ancora in Libia. I due Capi di Governo hanno concordato che i rispettivi apparati impegnati nell'evacuazione dei concittadini si tengano in stretto raccordo. Il Presidente Berlusconi e il Primo Ministro Cameron hanno poi discusso della situazione nel Paese nordafricano e delle prospettive nell'area, concordando pienamente sulla necessità di un'azione coordinata in ambito multilaterale e, innanzitutto, nel quadro europeo e ONU. Ieri sera, il Presidente Berlusconi aveva già avuto una lunga conversazione telefonica sulla situazione in Libia con il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, concordando anche in questo caso di lavorare insieme e mantenere uno stretto contatto fra leader e fra i rispettivi staff per fronteggiare la crisi. TESTIMONE, A TRIPOLI: MERCENARI SPARANO DA AMBULANZE "Tripoli è in un bagno di sangue. Nella strada di Shat, nella periferia est della città, la gente era affluita da cinque moschee e i miliziani di Gheddafi hanno sparato sulla folla facendo morti e feriti. Poi è arrivata un'ambulanza, ma quando si sono aperte le porte sono apparsi dei mercenari e anche loro hanno sparato sulla folla". Lo riferisce una testimone da Tripoli. Le violenze, racconta, sono iniziate "dopo la preghiera, all'uscita dalle moschee. La gente ha iniziato a correre per le strade gridando 'libertà. I miliziani di Gheddafi sono senza divisa, si confondono tra la folla e sparano. Usano l'ambulanza per trasportare i mercenari e uccidere, quello che sta succedendo è terribile". TESTIMONI; POZZI MARSA BREGA IN MANO RIBELLI Testimoni hanno riferito che le installazioni petrolifere della sittà di Marsa Brega sono sotto il controllo dei ribelli. E i soldati stanno aiutando i ribelli a mettere in sicurezza il porto. "Questa area è controllata dalla popolazione", ha detto Mabrook Maghraby, avvocato di Bengazi attualmente impegnato nei 'comitati di difesì di Brega. Secono Mgharaby, i soldati che stanno aiutando i ribelli a mettere in sicurezza hanno tutti disertato. AL JAZEERA,GHEDDAFI CONTROLLA SOLO BAB ALAZIZIA Gheddafi controlla ormai soltanto la caserma-bunker di Bab Alazizia, dove risiede a Tripoli: lo afferma al Jazira, citando giornalisti libici. Al Jazeera: "La città è caduta". Smentite TESTIMONE,MANIFESTANTI ANTI REGIME VERSO PIAZZA VERDE "I manifestanti che protestano contro il regime di Gheddafi si stanno dirigendo verso la Piazza dei martiri, conosciuta come Piazza Verde". Lo riferisce all'ANSA una testimone libica da Tripoli. AMBASCIATA PRESSO ONU GINEVRA SI SCHIERA CON RIVOLTA La rappresentanza diplomatica libica presso l'Onu a Ginevra "servirà il popolo libico" e non più il regime di Muammar Gheddafi. Lo ha annunciato oggi l'incaricato d'affari libico al Consiglio diritti umani delle Nazioni Unite. UNHCR,RIFUGIATI TEMONO ESSERE SCAMBIATI PER MERCENARI Diversi rifugiati in Libia - originari di Iraq, Camerun, Repubblica Democratica del Congo, Somalia ed Eritrea - temono di essere scambiati per mercenari e nonostante le loro scorte di cibo si stiano progressivamente esaurendo, hanno paura di subire aggressioni e pertanto restano rintanati in casa. È quanto hanno riferito gli stessi rifugiati all'Unhcr che, con il suo staff locale, Š impegnato nel tentativo di mantenere i contatti con la comunit… di rifugiati nel Paese in preda alla rivolta contro il colonnello Gheddafi. AL JAZIRA,DIMOSTRANTI E MILITARI INSIEME VERSO TRIPOLI SECONDO TESTIMONI IN DICIMILA IN MARCIA DA TAJOURA Le forze di polizia e i militari si sono uniti ai rivoltosi, a Tajoura, e stanno marciando assieme verso la piazza Verde di Tripoli. Lo afferma la tv Al Jazira, citando due testimoni oculari. Secondo le fonti si tratta di oltre 10 mila persone. OCCUPATA AMBASCIATA A PARIGI, AMBASCIATORE SI DIMETTE Un gruppo di manifestanti libici ha occupato oggi i locali dell'ambasciata libica a Parigi. Sempre in giornata l'ambasciatore libico presso la repubbica francese e quello presso l'Unesco si sono dimessi. "Ci uniamo alla rivoluzione e abbiamo dato le dimissioni. Condanniamo fermamente la repressione" hanno detto i due ambasciatori Salah Zaren e Abdul Salam el Galali. IRNA, FIGLIO MINORE GHEDDAFI SI UNISCE AI RIBELLI Il figlio minore di Gheddafi, Saif al-Arab, secondo i media iraniani, si sarebbe unito alla rivolta. L'agenzia Irna, citata dal sito Peace Reporter, riferisce che il giovane, inviato dal padre a sovrintendere la repressione dei sommovimenti, giunto a Bengasi sarebbe invece passato dall'altra parte, ottenendo l'appoggio di truppe da combattimento per rafforzare la rivolta. Saif al Arab avrebbe fra l'altro dichiarato che il padre potrebbe suicidarsi o rifugiarsi in America Latina. SI SPARA NEL MERCATO DI TRIPOLI Uno degli inviati della Cnn in Libia ha reso noto citando testimoni oculari che è in corso una battaglia "sanguinosa" nel mercato del venerdì a Tripoli. "Si spara a casaccio" ha riferito con un messaggio via twitter, precisando che secondo fonti mediche i morti tra i manifestanti nei diversi scontri in Libia sarebbero 17. NUOVA DELHI, SI DIMETTE CORPO DIPLOMATICO Si è dimesso l'intero corpo diplomatico dell'ambasciata libica a Nuova Delhi. Lo hanno reso noto gli stessi diplomatici indiani affermando in una nota di esprimere "solidarietà" nei confronti dei dimostranti in Libia. IN FUGA PILOTA PERSONALE DI GHEDDAFI Il pilota personale del Colonnello Gheddafi, il norvegese Aud Berger, è fuggito da Tripoli insieme alla sua famiglia diretto verso l'Austria. Lo rende noto l'agenzia egiziana Mena, citando un giornale austriaco, aggiungendo che il pilota ha giustificato la sua fuga dicendo che la violenza sta dominando la capitale Tripoli. La situazione in Libia, secondo il pilota, sta subendo rapidi e pericolosi sviluppi. Vi sono incendi, sottolinea, dappertutto nella capitale. Il pilota norvegese, 57 anni, è riuscito a prendere l'ultimo aereo diretto a Vienna. AL JAZIRA: "E' CARNEFICINA" Le forze di Gheddafi stanno sparando pesantemente sui civili, e le milizie pro-regime stanno facendo irruzioni nelle case uccidendo tutte le persone che trovano, "è una vera carneficina". È questa la testimonianza di un giornalista in diretta telefonica sulla televisione araba al Jazira. PORTATI VIA I GIORNALISTI DA PIAZZA VERDE Le forze di sicurezza pro-regime hanno portato via con la forza i giornalisti stranieri presenti nel centro di Tripoli, mentre centinaia di civili si riversavano a Piazza verde, cuore della capitale per la grande manifestazione. Lo ha reso noto un sito arabo dell'opposizione vicino ai rivoltosi. FIGLIO RAIS: "I GHEDDAFI VIVRANNO E MORIRANNO IN LIBIA" Seif Al-Islam, uno dei figli del leader libico Muammar Gheddafi, ha detto oggI in un'intervista alla Cnn turca che la sua famiglia rimarrà a qualunque costo in Libia, ed ha avvertito che non permetterà a "un pugno di terroristi" di controllare una parte del Paese. VOCI IN PIAZZA: "GHEDDAFI E' MORTO". SMENTITE Voci sulla morte del leader libico Muammar Gheddafi, attribuite alla tv al Jazira e alla Mbc, si sono diffuse sulla piazza di Tripoli dopo l'uscita dalle moschee. Le voci sono state subito smentite e si attende a breve anche un annuncio ufficiale del figlio Seif. Cortei di auto con foto di Gheddafi e manifestanti che inneggiano a lui si sono formati nel centro. SCONTRI A TRIPOLI, ALMENO 5 MORTI Sono almeno cinque i manifestanti uccisi in scontri a Tripoli, nel quartiere Janzour. Lo ha riferito un abitante. FUOCO SUI MANIFESTANTI Potrebbe essere iniziata la battaglia finale a Tripoli. Testimoni hanno riferito di scontri a fuoco in varie aree della città. Le forze di Gheddafi hanno aperto il fuoco sui manifestanti. ALLA PREGHIERA: "GHEDDAFI VATTENE" Decine di migliaia di persone hanno partecipato oggi alla tradizionale preghiera del venerdì nelle città orientali della Libia, da giorni passate sotto il controllo dei rivoltosi, e hanno chiesto al leader libico Muammar Gheddafi di lasciare la guida del Paese. Stando alle immagini mostrate dalla tv araba al Jazeera, a Derna alcune persone sono salite sul minareto della moschea e hanno srotolato la bandiera del vecchio Regno di Libia, sostituita dopo il colpo di Stato di Gheddafi del 1969. A Bengasi sono invece stati mostrati striscioni con su scritto "Nessun est, nessun ovest, siamo una sola nazione". CAMPI PETROLIO NELL'EST IN MANO AI RIBELLI Quasi tutti i campi petroliferi ad est di Ras Lanuf, in Libia, sono nelle mani dei rivoltosi: lo ha detto un ingegnere petrolifero, membro della coalizione di governo ad interim creatasi a Bengasi. I campi petroliferi e i terminal sono al lavoro, ma in misura ridotta, al 25 %. "Quasi tutti i campi petroliferi in Libia ad oriente di Ras Lanuf sono ora controllati dal popolo e il governo non ha più potere sull'area", ha detto Abdessalam Najib, ingegnere petrolifero nella compagnia libica Agico e componente della coalizione che si è insediata a Bengasi, la seconda città più importante della Libia. L'UE PENSA A 'NO FLY ZONE' L'unione europea sta pensando ad un blocco del traffico aereo nei confronti del governo libico. Secondo fonti diplomatiche Ue, potrebbe essere questa una delle prime misure adottate contro la violenza del regime di Gheddafi. "I governi dell'Unione europea stanno studiando soluzioni riguardo lo spazio aereo libico, ma prima c'è bisogno di una risoluzione del consiglio di sicurezza delle nazioni unite", ha precisato la fonte a margine della riunione informale dei ministri della difesa europei, a godollo, per affrontare la questione libica. SMENTITA GB: "NESSUNA MAZZETTA" Il governo britannico ha smentito seccamente le notizie riportate da Sky News, secondo cui Downing Street avrebbe pagato ufficiali del regime di Muammar Gheddafi per agevolare l'evacuazione dei cittadini inglesi rimasti nella capitale libica. "Neghiamo categoricamente le accuse di Sky News - ha precisato un portavoce del Foreign Office secondo quanto riportato dal Guardian -. L'aeroporto di Tripoli impone delle tasse per servizi come la gestione degli aeromobili. Si tratta di imposizioni applicate a tutti i paesi che intendono volare a o da Tripoli. Pagare tasse che vengono imposte dalle autorità in un aeroporto straniero non è certo corruzione". LA "SPALLATA" DOPO LA PREGHIERA "Secondo molti manifestanti, la spallata da parte degli insorti potrebbe avvenire dopo la preghiera del venerdì. Dopo le 14 si troveranno riunite nelle piazze tantissime persone: per diversi rivoltosi quello potrebbe rappresentare un momento chiave per la svolta, che potrebbe avvenire tra oggi e domani. In queste ore proseguono gli ammutinamenti dei militari". A riferirlo è il presidente della Comunità del Mondo Arabo in Italia (Comai) Foad Aodi, che è in costante contatto, da Roma, con alcuni testimoni in Libia. NAPOLITANO: "NON CEDERE AD ALLARMISMI SU IMMIGRATI" Sul rischio di un'emergenza immigrazione dopo la rivolta in Libia, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, da Berlino, ha lanciato un ammonimento: "Non bisogna cedere ad allarmismi e vittimismi". Resta ferma comunque la convinzione del capo dello Stato che "c'è un'esigenza forte di solidarietà (tra tutti i paesi Ue, ndr) per fare fronte a questa emergenza". SI DIMETTE IL BRACCIO DESTRO DI GHEDDAFI Kadhaf al-Dam, cugino e stretto consigliere del leader libico Muammar Gheddafi, si è dimesso ieri "da tutti i suoi incarichi in seno al regime libico per protestare contro la gestione della crisi" in atto nel Paese. È quanto si legge nel comunicato diffuso oggi dal suo ufficio al Cairo e riportato dall'agenzia di stampa egiziana Mena. TRIPOLI: AIUTI AL POPOLO E AUMENTI SALARI Il governo libico tenta disperatamente di aggrapparsi al potere e per fronteggiare la rivolta popolare, ha deciso di aumentare i salari, concedere aiuti alimentari e assegni famigliari. Lo ha annunciato la televisione di Stato. Ogni famiglia - ha precisato l'emittente - riceverà 500 dinari libici (290 euro), per fronteggiare l'aumento dei prezzi del cibo e gli stipendi di alcune categorie del settore pubblico aumenteranno del 150%. ASHTON: "SANZIONI DELL'UE" L'Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza dell'Ue, Catherine Ashton, ha detto che occorre emanare "misure restrittive" nei confronti del regime libico di Muammar Gheddafi per fermare il bagno di sangue. NATO: RIUNIONE URGENTE CON STATI MEMBRI Una riunione urgente dei paesi membri dell'alleanza atlantica per affrontare la questione libica. A richiederla il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, in un messaggio su twitter, precisando di essere pronto ad assumere il ruolo di "coordinatore" qualora gli alleati decidessero un'azione. Intanto si apre a Godollo, vicino Budapest, il meeting informale dei ministri della difesa dell'Unione europea che affronta la situazione libica e la possibile evacuazione dei migliaia di cittadini ancora bloccati nel paese arabo. GLI ANTI-GHEDDAFI CONQUISTANO MISURATA Le milizie anti-governative libiche hanno preso il controllo della città costiera Misurata, situata a meno di 200 km da Tripoli, dopo aver respinto una "violenta" controffensiva. GHEDDAFI RIPARLA: MESSAGGIO AUDIO LA SVIZZERA CONGELA I BENI DEL RAIS Il governo svizzero ha reso noto che congela i beni appartenenti a Gheddafi. MALMENATI I GIORNALISTI ITALIANI Un gruppo di giornalisti italiani, tra cui l'inviato dell'Ansa, sono stati bloccati e controllati da un gruppo di miliziani governativi sull'autostrada che va dall'aeroporto a Tripoli e uno di loro, Fabrizio Caccia del Corriere della Sera, è stato anche schiaffeggiato e preso a calci quando ha detto di essere italiano. Dopo un controllo 'brusco' sono stati rilasciati e hanno potuto raggiungere un albergo della capitale. SERVIZI: RISCHIO ISLAMICI IN RIVOLTE NORD AFRICA "I fermenti sociali e le forti aspirazioni al cambiamento nell'area nord africana, amplificati e condivisi sul web, potrebbero far registrare nuovi picchi di contestazione, con tentativi di strumentalizzazione in chiave islamista ed inserimenti di natura terroristica". Lo sottolinea la Relazione sulla politica dell'informazione per la sicurezza 2010 consegnata dal Dis al Parlamento. MANIFESTAZIONE DI PROTESTA A ROMA Il mondo e l'Italia "non possono credere a ciò che dice Gheddafi. È lui Bin Laden, non i giovani libici che attraverso il web si sono uniti per la libertà e la democrazia". Così il giornalista libico Farid Adly, ha aperto la manifestazione di solidarietà al popolo libico organizzata di fronte a Montecitorio da Arci, alla quale hanno aderito Sinistra Ecologia Libertà, Idv e diverse associazioni, tra cui Amnesty, Cgil, Fiom e Terres Des Hommes. Una grande bandiera della pace è stata posta al centro dei manifestanti tutti convinti che è il momento di un intervento deciso della comunità internazionale contro il leader libico. GB, CAMERUN PENSA INVIO FORZE SPECIALI Con oltre un centinaio di cittadini britannici "in pericolo" nel deserto libico, il governo di David Cameron sta valutando l'invio delle forze speciali in parti del paese nordafricano. Lo riporta la Bbc. A PRATICA DI MARE DUE C130 È previsto per le 18.35 l'arrivo in Italia - all'aeroporto di pratica di Mare - del primo dei due C-130 che oggi hanno prelevato in Libia, a Sheba, dei cittadini italiani e stranieri. Il secondo velivolo atterrerà dopo circa due ore e mezzo, sempre a Pratica di Mare. COMAI: "GHEDDAFI PREPARA AEREO PER FUGA" "Gheddafi sta facendo preparare il suo aereo privato per partire e lasciare la Libia". Lo sostiene il presidente della Comunità del Mondo Arabo in Italia (Comai) Foad Aodi che parlando con l'ANSA cita fonti "molto, molto attendibili". Gheddafi "sta facendo caricare sull'aereo gran parte dei suoi tesori, in particolare oro. E sembrerebbe intenzionato ad andare in un paese amico in Africa".
FASSINO ANNULLA FESTA CHIUSURA PRIMARIE In segno di solidarietà con il popolo libico, Piero Fassino ha annullato la manifestazione di chiusura della campagna delle primarie del centrosinistra a Torino, prevista per domani sera. Lo stesso candidato propone che metà del contributo che gli elettori verseranno al momento del voto sia devoluto a un fondo di solidarietà per le iniziative umanitarie. BOSSI: "INVIEREI I CASCHI BLU" Risponde così Umberto Bossi, leader della Lega Nord, conversando con i cronisti alla Camera, a chi gli chiede quale possa essere la soluzione per risolvere la crisi in Libia. OPPOSIZIONE: "NON E' GHEDDAFI CHE STA PARLANDO" "Non è Gheddafi che sta parlando alla Tv di Stato, conosco la sua voce da 42 anni, non è la sua". È quanto ha affermato Karim Bengharsa, presidente del Comitato Libia democratica, riferendosi al discorso via telefono diffusa dal colonnello alla Tv di Stato libica. "Ho sentito anche testimoni a Tripoli e ho avuto i medesimi riscontri", ha aggiunto Bengharsa. ONG: MILIZIANI UCCIDONO NEGLI OSPEDALI Esponenti dei "comitati rivoluzionari" al soldo di Muammar Gheddafi fanno irruzione negli ospedali di Tripoli e uccidono i feriti che hanno manifestato contro il regime. A riferirlo una fonte medica, citata da Sliman Bouchuiguir, segretario generale della Lega libica per i diritti umani. "TERMINAL PETROLIO IN MANO RIVOLTOSI" I principali terminal petroliferi ad est di Tripoli sono nelle mani dei rivoltosi, che li hanno strappati al controllo del regime di Muammar Gheddafi. Lo affermano abitanti di Bengasi che sono in contatto con abitanti della regione. 200 PRO-RAIS RINCHIUSI IN UNA SCUOLA Gli oppositori del regime di Gheddafi hanno rinchiuso circa 200 fedelissimi del rais in una scuola di al-Baida, città della costa mediterranea della Libia. molti di loro hanno detto di non aver ricevuto ordini precisi quando sono stati inviati nella città, che conta 210 mila abitanti ed è da giorni nelle mani dei ribelli. fra i detenuti, ai quali è stato permesso di parlare con i giornalisti, ci sono anche alcuni mercenari del Ciad, oltre a membri delle forze di elite, le milizie Khamees e Jafar. Uno dei miliziani ha detto che la loro missione era quella di "proteggere l'aeroporto". UE E RUSSIA: "INACCETTABILI" VIOLENZE CONTRO CIVILI Unione Europea e Russia hanno definito "inaccettabili la violenza e l'uso della forza contro i civili" in Libia. In occasione del vertice annuale Ue Russia a Bruxelles i due soggetti hanno esortato le autorità libiche a osservare il pieno rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale. Lo ha riferito la Commissione Ue, anticipando il contenuto della dichiarazione congiunta con cui si concluderà il summit. OBAMA CAUTO PER TIMORI OSTAGGI USA La cautela della Casa Bianca sulla crisi libica si spiega con il timore dell'amministrazione Usa che cittadini americani possano essere presi ostaggio dal regime di Muammar Gheddafi. Il portavoce della Casa Bianca Jay Carney ha ammesso, rispondendo a una domanda della Cnn, che il timore per gli americani presenti ancora in Libia è stato "un fattore importante" nella decisione del Presidente Barack Obama di non usare toni duri contro il leader libico. "Il Presidente è ovviamente preoccupato per la sicurezza dei cittadini americani, su questo non c'è dubbio - ha detto Carney - questo è un fattore importante per ogni Paese. E la situazione è diversa in ogni Paese per i cittadini Usa. BENGASI, FOLLA DEVASTA BASE MERCENARI Nella seconda città della Libia caduta ormai nelle mani dei rivoltosi, la folla inferocita ha preso d'assalto il complesso dove era sistemato il battaglione di mercenari dell'Africa subsahariana, ingaggiati dal regime per combattere i manifestanti. L'edificio è stato raso al suolo con l'ausilio di trattori, scavatrici e ruspe, una delle quali è stata lasciata tra i muri in rovina, sui quali i dimostranti hanno tracciato scritte come "La Libia è libera" oppure "Abbasso Gheddafi!". ONG: BANDIERE PACE SU OGNI BALCONE Una bandiera della pace su ogni balcone in segno di solidarietà con i giovani e i popoli del Mediterraneo, dall'Egitto alla Libia, in lotta per la dignità, i diritti umani, la libertà, la democrazia e lo stato di diritto nel mondo arabo. A chiederlo è la Tavola della pace insieme a Acli, Agesci, Arci, Cgil, Cisl, Articolo 21, Libera e numerose altre organizzazioni della società civile sotto lo slogan 'Questa rivoluzione è anche la nostra'. FIGLIO DI GHEDDAFI ACCUSA L'EGITTO DI "COSPIRAZIONE" Saif al-Islam, secondogenito e delfino in pectore del leader libico Muhammar Gheddafi, ha accusato apertamente l'Egitto di una "cospirazione" che punterebbe a rovesciare il regime nel suo Paese, e ha quindi negato che vi si siano verificate "stragi", come riferito invece da vari mass media stranieri. Nel frattempo la sorella Aisha, unica figlia femmina di Gheddafi, ha affermato di non aver mai lasciato la Libia, e ha così smentito le indiscrezioni secondo cui sarebbe stata a bordo di un velivolo della compagnia di bandiera 'Libyan Arab Airlines', al quale ieri era stato rifiutato l'atterraggio a Malta. AL JAZIRA: I PRO GHEDDAFI ATTACCANO LA FOLLA A MISURATA Secondo quanto riferisce al Jazira le forze leali al presidente Gheddafi hanno attaccato la folla in piazza a Misurata, citta a est di tripoli sulla costa che precedenti notizie avevano dato ormai già in mano agli insorti. AIRL, ASSOCIAZIONE RIMPATRIATI: "GRAVE IMMOBILISMO, IN PRIMIS DELL'ITALIA" "È gravissima l'inazione, almeno fino ad ora, dei governi occidentali e in primis dell'Italia autoproclamatasi partner strategico del colonnello Gheddafi, di fronte all'emergenza umanitaria che rischia di decimare la popolazione libica". Giovanna Ortu, presidente dell'Associazione italiani rimpatriati dalla Libia (Airl), tra i primi a subire nel 1970 "la furia del rais", non nasconde la propria "indignazione ascoltando le drammatiche notizie che provenienti dalla Cirenaica e dalla Tripolitana". SAIF GHEDDAFI: "PAESE APERTO AI GIORNALISTI" Saif al Islam, figlio del leader libico Gheddafi, ha detto parlando alla tv al Libiya che il suo paese è ormai "aperto ai giornalisti di tutto il mondo". Ieri il ministro degli esteri libico Khaled Kaïm aveva dichiarato di aver consentito l'accesso nel paese a tre equipe, della Cnn, di Al-Arabiya e della Bbc. BOMBARDATA ANCHE LA MOSCHEA DI AL ZAWIYAH È di 40 morti e decine di feriti il bilancio del bombardamento in corso sulla città di Zawiyah 50 chilometri ad ovest della capitale libica Tripoli da le prime ore del mattino. I miliziani pro Gheddafi - hanno reso noto testimoni ad un sito arabo - stanno bombardando con i cannoni, e sparando con armi automatiche contro i migliaia di civili che stanno manifestano per strada. Altri testimoni hanno riferito alla televisione 'Al Arabiya' che le milizie del regime hanno bombardato una moshea nella quale era radunato un gruppo di rivoltosi che chiedeva la fine di Gheddafi. La UE: NAVI MILITARI PER RIENTRI La Ue sta cercando un appoggio navale militare per fare rientrare a casa le migliaia di cittadini europei che ancora sono in Libia. Lo ha detto un portavoce della Commissione Ue. AL ARABYA: GHEDDAFI RIPARLA IN TV Il leader libico Gheddafi pronuncerà "a breve" un discorso tv dalla caserma di Bab Aziziya a Tripoli dove è asserragliato. Lo riferisce la tv panaraba al Arabiya. AL JAZIRA: RAID AEREI SU MANIFESTANTI SOTTO CASA GHEDDAFI Al Jazeera segnala nuovo raid aerei dell'aviazione libica contro la popolazione a Tripoli. Colpi sarebbero stati esplodi contro i manifestanti in piazza. le forze fedeli al colonnello stanno sparando anche contro una colonna di manifestanti che sta marciando contro la residenza del leader libico in città. COMAI; 'SQUADRE DELLA MORTE' NELLE CASE, STUPRI "A seminare il terrore tra la gente in queste ultime ore a Tripoli sono le 'squadre della mortè: uomini assoldati dagli stessi militari, su ordine del governo, che girano in strada con caschi e vestiti gialli. Hanno il compito di reprimere le proteste e lo fanno entrando nelle abitazioni, dove seminano il panico, picchiano gli uomini e violentano le donne". A riferirlo all'ANSA è il presidente della Comunità del Mondo Arabo in Italia (Comai) Foad Aodi.
AL ARABIYA, CENTINAIA DI MORTI A ZAWIA Sarebbero già centinaia i morti a Zawia, a ovest di Tripoli, teatro stamani di una offensiva dell'esercito contro i dimostranti anti-regime. Lo riferisce Al Arabiya citando testimoni oculari.
SCARONI, PETROLIO TRIPOLI FACILE DA RIMPIAZZARE "La crisi libica gioca un ruolo ma non ha nulla a che vedere con la sicurezza degli approvvigionamenti. - ha osservato Scaroni - È vero che importiamo molto petrolio dalla Libia, ma è facile da rimpiazzare con altri fornitori". In conseguenza delle rivolte ci sono sul mercato "1,2 milioni di barili in meno - ha proseguito - non è tanto, ma è qualcosa. Ma è il senso di insicurezza generale che può essere un grilletto che fa partire la speculazione".
ATTIVISTI ROMA,OCCUPATA CAMERA COMMERCIO ITALO-LIBICA "Abbiamo occupato la Camera di Commercio italo-libica in viale Regina Margherita a Roma. Siamo una cinquantina e abbiamo occupato l'ente che gestisce le relazioni commerciali tra l'Italia in segno di solidarietà con la tragedia che si sta consumando lì". Lo fa sapere un attivista di Action e della 'Rete verso il Primo Marzò, Bartolo Mancuso, annunciando un corteo di immigrati che si svolgerà nella Capitale proprio il Primo marzo, per "rivendicare i diritti degli immigrati, al fianco del popolo libico oppresso da Gheddafi"
SHOPPING MOGLIE GHEDDAFI GIORNI FA A VIENNA, STAMPA Mentre il suo Paese è in fiamme e il dittatore sta per capitolare, la moglie del colonnello Muammar Gheddafi, Safiya Gheddafi, madre di sette figli, è stata nei giorni scorsi a fare in segreto shopping a Vienna. È quanto riferisce oggi in prima il tabloid austriaco Oesterreich, citando fonti dell'ambasciata libica a Vienna, che peraltro ieri ha preso le distanze dal regime Gheddafi.
MARONI, EUROPA PASSI DA PAROLE A FATTI "Tutti dicono di essere pronti, ma bisogna passare dalle dichiarazioni alle azioni: si deve costituire il Fondo di solidarietà per attuare le iniziative che noi dei sei Paesi del Mediterraneo abbiamo proposto per affrontare l'emergenza Nord Africa". Lo ha detto il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, parlando a Bruxelles, prima della riunione del Consiglio Europeo affari interni.
TESTIMONI: GHEDDAFI PERDE IL CONTROLLO DI ZUARA Le milizie anti-governative libiche hanno preso il controllo della città di Zuara (45mila abitanti), circa 110 chilometri ad ovest della capitale Tripoli. Lo ha annunciato l'emittente Al Jazeera, che cita testimoni oculari che hanno attraversato il confine con la Tunisia.
INSORTI ALL'EST, MARCEREMO SU TRIPOLI Furibondi per la feroce repressione scatenata dal regime di Muhammar Gheddafi nella Libia occidentale, in larga misura ancora sotto il controllo governativo, i ribelli che si sono impadroniti praticamente di tutta la parte est del Paese, fino alla frontiera con l'Egitto, hanno avvertito che marceranno sulla capitale.
SCARONI, PROBLEMA FORNITURE GAS NON SI PONE "Il problema delle forniture di gas per l'Italia è un problema che non si pone". Lo ha detto l'amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, a margine di una audizione al Copasir.
MARONI, CATASTROFE, EUROPA SIA SOLIDALE Dalla Libia può arrivare un'ondata di immigrazione di "proporzioni catastrofiche" e l'Europa non può "lasciare l'Italia da sola". Lo ha detto il ministro dell' Interno, Roberto Maroni, all'arrivo al Consiglio europeo Affari Interni a Bruxelles. Il ministro ha ricordato che "Frontex, e non noi, ha parlato di 1 milione e mezzo" di rifugiati, ed ha osservato che "esiste il pericolo Al Qaida". MARONI, È EMERGENZA UMANITARIA
ALITALIA,MANCA SICUREZZA,SOSPESI VOLI SU TRIPOLI L'Alitalia ha sospeso i voli di linea con Tripoli. "A causa dell'aggravarsi della situazione presso l'aeroporto di Tripoli - afferma l'Alitalia in una nota - - dove è compromessa la possibilit… per i passeggeri di raggiungere i gate d'imbarco, non funzionano i collegamenti telefonici interni e internazionali, sono a rischio le misure di sicurezza e i servizi di handling e di assistenza - Alitalia, in linea con quanto deciso da altre compagnie aeree, sospende i voli di linea sulla destinazione fino a che non saranno ripristinate le necessarie condizioni operative".
USA PREOCCUPATI PER ARMI CHIMICHE DI GHEDDAFI IL Pentagono e l'intelligence americana sarebbero preoccupati per gli arsenali di armi chimiche (come gas mostarda e varie) del regime libico. Secondo gli esperti, scrive oggi il Washington Times, la Libia dispone di circa 14 tonnellate di gas mostarda che non sarebbero ancora state distrutte nonostante l'annuncio del 2003 della rinuncia da parte della Libia al suo arsenale di armi di distruzione di massa.
LIBIA: TESTIMONE, GHEDDAFI STA BOMBARDANDO ZAWIA "Le milizie di Gheddafi stanno bombardando Zawia, la stanno massacrando, la gente sta morendo". È l'allarme lanciato da una testimone oculare
****** L'articolo di Umberto De Giovannangeli Sta trasformando la Libia in un immenso cimitero. Disseminato di fosse comuni, in cui vengono seppellite centinai, migliaia di persone: uomini, donne, bambini. Un genocidio. Ideato, organizzato, da Muammar Gheddafi. Ci sono almeno 10.000 morti e 50.000 feriti in Libia: a riferire l'agghiacciante bilancio è il componente libico della Corte penale internazionale (Cpi), Sayed al Shanuka, intervistato dalla tv pan-araba Al Arabiya. "Schiacciare i ratti", aveva ordinato il Colonnello. Nella sua battaglia finale, Gheddafi ha anche a pianificato di bombardare i pozzi di petrolio, ma il pilota si è rifiutato. Lo afferma il capo della brigata di sicurezza di Tobruk, che si è unito ai manifestanti, riferisce sempre Al Arabiya. "La giornata oggi (ieri, ndr) è trascorsa in maniera tranquilla ma ci aspettiamo il peggio da un momento all'altro perchè Tripoli sarà l'ultima battaglia". È una calma apparente quella che racconta Fatima da Tripoli durante i giorni della rivolta contro il Rais. Ma la paura più grande, dice, "è che il governo utilizzi le bombe chimiche e biologiche". "C’è bisogno immediato di un'inchiesta indipendente per crimini contro l'umanità" in Libia, le fa eco l’Alto commissario per i Diritti umani dell'Onu, Navi Pillay, a Bruxelles dopo un incontro con il presidente della Commissione europea Jose Manuel Barroso. La commissaria ha specificato che "serve un mandato intergovernativo" ed ha annunciato che domani a Ginevra si terrà una riunione straordinaria del Consiglio Onu per i Diritti umani per i fatti di Libia: "In quella circostanza - sottolinea - mi aspetto di avere una raccomandazione in tal senso". Il regime ha paura della verità. E per questo prova a intimorire la stampa internazionale. Il viceministro libico degli Esteri, Khaled Kaim, ha avvertito i che i giornalisti entrati illegalmente in Libia saranno considerati come "collaboratori di al Qaeda" e "come dei fuorilegge". "Ci sono dei giornalisti che sono entrati illegalmente e noi li consideriamo ormai come collaboratori di al Qaeda, come dei fuorilegge e non siamo responsabili per la loro sicurezza. E se non si presenteranno alle autorità saranno arrestati", dice il viceministro ai giornalisti. "Abbiamo autorizzato tre troupe di Cnn, al Arabiya e Bbc in arabo di entrare in Libia. Un corrispondente di Cnn che è entrato illegalmente deve unirsi alla troupe, altrimenti verrà arrestato", taglia corto Kaim. Il cerchio si stringe attorno a Gheddafi. L'opposizione libica controlla ormai la parte orientale del Paese, con molti militari che si sono uniti ai manifestanti. Secondo fonti locali l'opposizione controlla ormai tutta la zona costiera che va dalla frontiera egiziana fino ad Adjabiya, passando per Tobruk e Bengasi; ad Al Bayda, teatro di alcuni degli scontri più violenti degli ultimi giorni, numerosi miliziani fedeli al raìs sarebbero stati giustiziati.
Mentre il Colonnello si appresta alla "battaglia finale", i suoi familiari incontrano sulla propria strada solo porte chiuse. A Malta il caso più clamoroso: un aereo libico che cercava di atterrare senza autorizzazione ha perso il braccio di ferro con le autorità dell'isola ed è stato costretto a tornare indietro. Tra le 14 persone a bordo dell'Atr42 della Libyan Airlines c'era anche la figlia di Gheddafi, Aisha, 34 anni, avvocato divenuta celebre per aver fatto parte del team legale di Saddam Hussein. Il no all'atterraggio, si apprende da fonti vicine al governo maltese, è stato deciso "per non creare un precedente". In Libano, invece, è stata negata l'autorizzazione all'atterraggio di un aereo privato, su cui si trovava la moglie di origine libanese del quintogenito di Gheddafi, il controverso Hannibal, e altri suoi familiari. Tripoli nel caos, con "squadre della morte" paramilitari che sparano a casaccio per uccidere e poi eliminano le prove degli omicidi: si legge in una testimonianza dalla capitale libica pubblicata dalla Bbc online. "Ci sono crescenti resoconti di quelli che sembrano assassinii da parte delle truppe paramilitari, con i cadaveri che vengono immediatamente caricati su camion e auto, così come le prove delle sparatorie, i bossoli, e il sangue sulle strade che viene lavato con l'acqua". L'emittente britannica cita poi il caso di quattro persone uccise di fronte alla sede della Tv di Stato, almeno una delle quali con colpi di arma da fuoco a bruciapelo. Si rincorrono le testimonianze sulle ore di terrore che si vivono a Tripoli: nel distretto di Jansour, riferisce Al Jazira, gli abitanti si sono barricati nelle case, nel timore di essere aggrediti dalle squadre della morte in borghese che si aggirano armate di spade e armi da fuoco. "Abbiamo barricato la porta con divani e mobili - racconta una donna all'emittente araba -, per cercare di impedirgli di entrare in casa, come hanno fatto in altre palazzine. Si sentono colpi in lontananza". 27 febbraio 2011
"Libia, Usa non escludono intervento militare" Colloquio telefonico Berlusconi-Obama obama sarkozy Meno di 24 ore dopo le prime dure, ma prudenti parole del presidente Usa Barack Obama sulla Libia, la Casa Bianca, di concerto con i gli alleati europei britannici e francesi, indurisce i toni, dicendosi pronta ad agire in fretta e ribadendo che nessuna opzione verrà esclusa per risolvere la situazione e proteggere i cittadini americani. Obama ha parlato oggi con il premier britannico David Cameron e il presidente francese Nicolas Sarkozy. Secondo l'Eliseo, Sarkozy ha chiesto una nuova riunione urgente del Consiglio di Sicurezza dopo quella dei giorni scorsi che ha visto l' approvazione all'unanimità di una prima dichiarazione di ferma condanna delle violenze. Dove un primo consenso sembra delinearsi senza difficoltà tra Usa, Gb e Francia, tutti e tre con diritto di veto in seno al Consiglio di Sicurezza, è sulla necessità di espellere la Libia dal Consiglio Onu sui diritti umani. Ne parleranno a Ginevra, dove il Consiglio ha la sede, i ministri degli Esteri nelle prossime ore, e tra questi il segretario di Stato Usa Hillary Clinton, attesa lunedì in Svizzera. A New York, consultazioni a porte chiuse del Consiglio di Sicurezza sono in calendario a breve, mentre nei corridoi del Palazzo di Vetro iniziano a circolare le prime voci incontrollabili (e al momento fantascientifiche), come l'ipotesi di un possibile e non meglio definito intervento o raid militare sotto il cappello dell'Onu. È vero che gli Usa non escludono mai l'opzione militare, ma si tratta di un punto fermo della loro dottrina militare, e da sempre. Ai giornalisti che gli chiedevano se erano alla studio anche le opzioni militari, il portavoce della Casa Bianca Jay Catrney ha detto: "Non escludo le nostre opzioni bilaterali, non escludo nulla", sposando ancora una volta la tradizionale posizione statunitense. Più concretamente, tra le ipotesi allo studio sembra emergere con forza quella della no-fly zone, cioè di una zona di non volo per proteggere da eventuali raid aerei libici le aree petrolifere e le popolazioni civili che si oppongono a Muammar Gheddafi, che secondo il Dipartimento di Stato avrebbe fatto pervenire un messaggio agli Usa. Ma come aveva spiegato in una intervista il segretario Usa alla Difesa Robert Gates, risulta difficile agli Usa organizzare una no-fly zone, come probabilmente lo è anche per i britannici. Sarebbe più facile secondo il capo del Pentagono, affidare la missione a paesi come Francia ed Italia. Per il momento, visti che numerosi americani non riescono per il momento a lasciare il Paese, Obama ha in realtà le mani legate, nel timore che il regime di Gheddafi possa prenderli in ostaggio, avviando una escalation difficile da controllare e dagli esiti incerti, a poco più di un anno dalle elezioni presidenziali americane. 24 febbraio 2011
Gheddafi ha armi chimiche il mondo teme una follia di Umberto De Giovannangeli | tutti gli articoli dell'autore gheddafi, tripoli Il Colonnello prova a blindare Tripoli. Per affrontare la battaglia finale con gli insorti. Carri armati e blindati delle forze lealiste hanno creato una cintura esterna di sicurezza, mentre nella capitale la sicurezza è affidata a gruppi mobili. Ne fanno parte membri delle forze speciali, squadre di mercenari e volontari. Il regime, in risposta all’appello lanciato l’altro ieri da Gheddafi, ha iniziato a distribuire armi a chi è disposto a battersi. Abitanti di Tripoli affermano che le autorità offrirebbero anche denaro. E nel mondo intanto crescono i timori per l’uso che Gheddafi potrebbe fare delle almeno 10 tonnellate di gas di tipo "iprite", anche conosciuto come "gas mostarda", di cui è in possesso. Il raìs avrebbe dovuto disfarsi entro il prossimo 15 maggio di queste armi di distruzione di massa, in base ad accordi presi con l’Unione Europea. Con la rivolta in atto... In edicola il seguito di questo articolo, oppure CLICCA QUI 27 febbraio 2011
2011-02-26 Libia, oggi saranno decise le sanzioni Usa e Onu Nella mattinata a Tripoli c'è calma apparente, per il momento, e dopo le sanzioni decise nella notte dal presidente Usa Barack Obama c'è attesa per le decisioni che potrebbero prendere le Nazioni UNite, il cui consiglio di sicurezza si riunisce alle 17 ora italiana. Ma una qualche novità sembra venire anche dalla stessa Tripoli dove Saif al Islam, il figlio del leader libico Muammar Gheddafi, ha proposto in tarda serata di sospendere gli attacchi contro gli oppositori del regime e di avviare un negoziato con loro. Gheddafi junior ha inoltre smentito che mercenari abbiano partecipato agli attacchi contro i manifestanti, dopo che questi ultimi avevano denunciato di africani arrivati dal Ciad e dal Mali coinvolti nella repressione. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha inflitto sanzioni nei confronti del colonnello Muammar Gheddafi e del suo entourage, mentre il leader libico ha invitato i suoi sostenitori a prendere le armi contro i manifestanti in un Paese messo a ferro e fuoco, dove le vittime sarebbero già diverse migliaia. Saif al-Islam, il figlio del rais, ha però aperto uno spiraglio al dialogo: ha proposto infatti di sospendere gli attacchi agli oppositori del regime e di intavolare negoziati. Il presidente Obama ha firmato un decreto presidenziale che congela gli asset e che blocca i beni negli Stati Uniti del colonnello e dei suoi quattro figli, ha indicato un comunicato della Casa Bianca. "Il regime di Muammar Gheddafi ha ridicolizzato le norme internazionali e la più elementare morale, deve esserne ritenuto responsabile", ha dichiarato il presidente Obama in questo comunicato, "Queste sanzioni riguardano di conseguenza il regime Gheddafi, ma proteggono i beni che appartengono al popolo libico". Il Consiglio di sicurezza ha terminato da parte sua le sue consultazioni venerdì sera e deve riprenderle oggi alle 11 orario di New York (le 17 in Italia), ha annunciato un responsabile del Palazzo di Vetro. Una bozza di risoluzione che circola fra i quindici Paesi del Consiglio di sicurezza valuta sanzioni tra cui un embargo sulle armi, sui viaggi del colonnello Gheddafi e su un blocco dei suoi asset, secondo i diplomatici. Il Consiglio di sicurezza dell'Onu deve prendere "misure decisive" in tal senso, ha ritenuto alla fine della riunione il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon. "La violenza deve cessare (...) chi versa con brutalità sangue di innocenti deve essere punito", ha affermato, "Una perdita di tempo significa una perdita di vite umane". La bozza di risoluzione del Consiglio di sicurezza redatta dagli occidentali ha avvertito inoltre Gheddafi che le violenze potrebbero essere considerate come crimini contro l'umanità, secondo diplomatici. Il Consiglio dei diritti umani dell'Onu ha richiesto in una risoluzione la sospensione della Libia dai suoi ranghi, oltre che un'indagine indipendente sulle violenze. L'Unione europea ha decretato un embargo sulle armi, come pure il congelamento dei beni il divieto dei visti nei confronti di Gheddafi e del suo entourage. Per quanto riguarda l'Italia, presa di mira da Gheddafi nel suo ultimo discorso alla piazza a Tripoli, proseguono - con qualche difficoltà - i rimpatri dei connazionali che ne hanno fatto richiesta. In serata sono state completate le operazioni di imbarco a bordo di nave San Giorgio della Marina militare, che al porto di Misurata ha sgomberato 245 persone, 130 delle quali di nazionalità italiana. L'unità da sbarco farà ora rotta verso Catania, dove dovrebbe giungere domenica mattina. Resta invece nella zona nell'eventualità di altri interventi per rimpatri il cacciatorpediniere "Mimbelli". Mentre le violenze scuotono tutto il Paese e Tripoli, il numero di morti si conta a migliaia e non a centinaia, ha affermato il vice ambasciatore della missione libica all'Onu, Ibrahim Dabbashi, che ha fatto defezione. Altre fonti parlano di un numero di vittime che oscilla tra trecento e mille. Sul campo, mentre la regione orientale petrolifera è nelle mani dell'opposizione armata che organizza una nuova amministrazione, a Tripoli, le forze filo-Gheddafi dispiegate intorno alle moschee per impedire le proteste hanno sparato sui manifestanti. Nell'est della città, almeno due dimostranti sono stati uccisi di simpatizzanti del colonnello nel quartiere popolare di Fashloum, secondo un testimone. In questa zona, come in quella di Ben Ashour, testimoni hanno segnalato raffiche di colpi "su tutti coloro che si trovavano in piazza". IL FIGLIO DI GHEDDAFI: ACCORDO CON I RIBELLI Il giorno dopo l'arringa di Gheddafi nella piazza Verde di Tripoli, non sembrano placarsi le proteste in Libia. Uno spiraglio arriva pero' da Seif al Islam, il figlio 'riformista' del leader libico, il quale ha detto che un accordo con i ribelli e' possibile, forse anche gia' entro oggi. ''I leader di questi gruppi sono ormai alla disperazione - ha detto - stiamo invitandoli a la deporre le armi e se cosi' faranno non gli faremo del male'. LIBIA: VIA LIBERA USA A SANZIONI IN ARRIVO ANCHE DA UE E ONU Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha varato una serie di sanzioni contro la Libia, congelando i beni della famiglia Gheddafi, ma non quelli che appartengono al popolo libico. Obama ha firmato l'ordine esecutivo poche ore dopo che i Quindici del Consiglio di Sicurezza dell'Onu avevano raggiunto un accordo su una serie di misure internazionali dello stesso tipo, che saranno formalizzate oggi. In giornata arrivera' anche il documento dell'Unione Europea. Allo stesso tempo, il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon ha lanciato l'allarme profughi, chiedendo ai paesi vicini alla Libia - compresa l'Italia - di tenere aperti i confini per ragioni umanitarie. * * * * * * * * * * * * * * * * * LE ALTRE NOTIZIE SI DIMETTE AMBASCIATORE A LISBONA, 'REGIME FASCISTA' L'ambasciatore libico in Portogallo Ali Ibrahim Emdored, ha annunciato oggi di essersi dimesso per protestare contro l'uso della forza contro gli oppositori da parte di un "regime fascista, tirannico e ingiusto". In una nota il diplomatico ha detto di avere aderito "alla giovane rivoluzione del 17 febbraio" e di mettere "tutta la mia esperienza e le mie capacità a sua disposizione". Secondo l'ambasciatore il regime Gheddafi "non ha altra alternativa che l'abbandono immediato del potere" SOPSESE LE ATTIVITA' DELL'AMABASCIATA USA A TRIPOLI AL ARABIYA: INTERFERENZE DELIBERATE SU NOSTRO SEGNALE Non specificata la sorgente dei disturbi Dubai, 25 feb. (TMNews) - La rete satellitare Al Arabiya ha reso noto che il suo segnale è stato disturbato, senza precisare la sorgente delle interferenze. Secondo la direzione della rete, le interferenze mirano ad "interrompere deliberatamente la copertura in diretta e continuata degli avvenimenti che hanno luogo in numerose zone del mondo arabo". Lunedì scorso la rete satellitare Al Jazeera aveva accusato i servizi libici di disturbare il suo segnale nel Paese, nel quale sono in corso dal 15 febbraio delle violente manifestazioni contro il regime di Muammar Gheddafi. WEB RISPONDE A GHEDDAFI, NESSUNO BALLA FINO A TUA MORTE "Gheddafi tu non sei uno di noi e nessuno canterà e ballerà con te fino a che non sarai morto": così sul web il gruppo di giovani oppositori al regime, 'Shabablybià, reagisce all'ultimo discorso di Gheddafi, pronunciato alla folla. "Nessuno sta più al tuo fianco, nessuno è con Gheddafi", scrivono.
EX DIPLOMATICO, FINE GHEDDAFI "IN POCHI GIORNI" Il leader libico Muammar Gheddafi è "peggiore" del defunto dittatore iracheno Saddam Hussein, e la fine del suo attuale regime avverrà "fra qualche giorno": lo ha affermato a Beirut l'ex rappresentante della Libia presso la Lega araba, Abdel Moneim al-Honi, in una intervista al quotidiano panarabo Al Hayat. "Credo che sia una questione di giorni, non di più. Purtroppo, penso che comunque tutto ciò costerà caro alla Libia e ai libici", ha detto il diplomatico dimissionario: "temo che avverranno orribili massacri". Gheddafi, ha aggiunto al-Honi, non ha soluzioni: "può uccidere, o può essere ucciso". È "ben peggio di Saddam Hussein. Penso che Saddam Hussein aveva un minimo di buon senso, mentre Gheddafi non ha nè buon senso, nè saggezza". L'ex diplomatico libico ha annunciato domenica le sue dimissioni da rappresentante permanente della Libia presso la Lega araba, per "raggiungere la rivoluzione" e "denunciare la violenza contro i manifestanti". Ieri il colonnello Gheddafi, al potere da quasi 42 anni, ha tenuto un durissimo discorso bellicoso volto a ristabilire l'ordine, minacciando un bagno di sangue e chiamando alla lotta i suoi partigiani. DIPLOMATICO LIBICO ONU: MIGLIAIA I MORTI Dabbashi ha parlato davanti ad alcuni giornalisti alla rappresentanza diplomatica della Libia all'Onu, aprendo la conferenza stampa con un infuocato discorso in arabo, seguito da alcune battute in inglese. "I morti sono migliaia, non centinaia - ha detto il diplomatico "ribelle" - ma lancio un appello ai miei concittadini: scendete nelle strade e continuate a resistere, perchè la fine del regime è vicina". Rispondendo ad alcune domande, Dabbashi ha detto che la battaglia con Gheddafi sarà dura: il rais "lotterà fino alla fine, non si farà prendere vivo", ha spiegato il diplomatico. Lunedì il vice-ambasciatore aveva accusato il Colonnello di "genocidio" e aveva chiesto l'intervento delle Nazioni Unite. La richiesta è stata ribadita nella conferenza stampa di oggi: "Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu deve agire", ha detto Dabbashi. DIPLOMATICO LIBICO: GHEDDAFI PEGGIO DI SADDAM HUSSEIN Muammar Gheddafi è "peggio" dell'ex dittatore iracheno Saddam Hussein e la fine del suo regime è "molto vicina". Lo afferma in un'intervista al quotidiano panarabe a capitali sauditi "Al Hayat", il rappresentante dimissionario della Libia presso la Lega araba, Abdel Moneim al-Honi. "Credo che sia questione di qualche giorno, non oltre. Allo stesso tempo, sfortunatamente penso che costerà caro alla Libia e ai libici, perché questo uomo è capace di tutto", dice al-Honi. "Credo che assisteremo a orribili massacri", aggiunge, scartando l'ipotesi di una guerra civile nel Paese. Il colonnello "è peggio di Saddam Hussein. Il rais iracheno aveva un pò di buon senso, mentre Gheddafi non ce l'ha, e non è neanche saggio", sottolinea l'ex membro del Consiglio di comando della rivoluzione libica. Si stringe il cerchio attorno a Muammar Gheddafi, il leader libico messo alle corde da una grande rivolta popolare giunta al suo undicesimo giorno. Molte aree del Paese sono ormai fuori dal controllo del Colonnello, che si prepara a far fronte al possibile assedio di Tripoli ma non si arrende: "Vinceremo", ha promesso in una breve apparizione nella Piazza Verde di Tripoli. Nel frattempo, l'Ue studia la possibile applicazione di una no-fly zone e ha raggiunto un accordo di massima per un embargo sulle armi e il congelamento dei beni di Gheddafi e dei suoi familiari. GHEDDAFI: VINCEREMO, COME ABBIAMO SCONFITTO COLONIALISMO Muammar Gheddafi ha parlato per pochi istanti, arrivando a sorpresa in piazza Verde, a Tripoli, dove erano radunati centinaia di suoi sostenitori. Il popolo libico "ama Gheddafi, questa è la voce del popolo" ha strillato, coprendo le urla dei sostenitori. "Preparatevi a difendere la Libia. Lotteremo fino a riconquistare ogni pezzo del territorio del Paese - ha aggiunto parlando ad una piazza che, a giudicare dalle immagini trasmesse dalle tv, non sembrava gremita di gente - sconfiggeremo il nemico come abbiamo sconfitto il colonialismo italiano". Il Colonnello ha poi aggiunto che "tutti i depositi di armi saranno aperti per armare il popolo". "Ecco la voce del popolo, lotteremo fino a riconquistare ogni pezzo del territorio della Libia. Sconfiggeremo il nemico come abbiamo sconfitto il colonialismo italiano", ha continuato Gheddafi, che ha concluso: "cantate, ballate e siate felici". IN CORSO OFFENSIVA RIBELLE SU TRIPOLI II leader della rivolta stanno inviando truppe per un'offensiva contro la capitale, dove le forze di sicurezza hanno circondato le moschee: oggi è infatti in programma la prima grande manifestazione anti-regime al termine della preghiera del venerdì; secondo alcuni testimoni i militari avrebbero aperto il fuoco contro i manifestanti nei quartieri di Fashlum e di Soug al Jomaa, e vi sarebbero almeno due morti. SAIF AL ISLAM: UNICO PIANO VIVERE E MORIRE IN LIBIA Gheddafi, che ieri ha tenuto un discorso via telefono, trasmesso dall'emittente panaraba al Jazeera, continua a nascondersi nel suo bunker, circondato da un gruppo di fedelissimi che resta molto numeroso, riferiscono fonti qualificate. Il suo clan, invece, sembra cominciare a sfaldarsi. Secondo l'agenzia Irna, il figlio minore del leader libico, Saif al Arab, si sarebbe unito ai rivoltosi e starebbe combattendo contro le truppe guidate dal padre a Bengasi. Tuttavia, in un'intervista rilasciata alla Cnn turca, Seif ha ribadito la sua volontà di resistere; "Abbiamo un Piano A, un piano B e un piano C. Il piano A è vivere e morire in Libia, il piano B è vivere e morire in Libia, il piano C è vivere e morire in Libia". SI DIMETTE CUGINO GHEDDAFI UN FIGLIO FUGGITO IN VENEZUELA Un altro dei sette figli del leader libico, non meglio identificato secondo una fonte sentita dal Telegraph, sarebbe arrivato due giorni fa nell'isola Margarita, in Venezuela. L'ultima defezione, in ordine di tempo, è stata poi quella di un cugino e stretto consigliere del Colonnello, Kadhaf al-Dam, che si è dimesso ieri "da tutti i suoi incarichi nel regime libico per protestare contro la gestione della crisi" in atto nel Paese. ALLO STUDIO IPOTESI NO-FLY ZONE DELL'UE Intanto i paesi europei si preparano a imporre un'eventuale zona di esclusione aerea (no-fly zone) in Libia per impedire agli aerei dell'aviazione militare libica di mettersi in volo. Una fonte dell'Ue ha detto che gli europei stanno valutando dei "piani d'urgenza" per controllare lo spazio aereo libico. L'Europa, però, ha preliminarmente bisogno di una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che autorizzi simili misure; proprio oggi è prevista una riunione del Consiglio di sicurezza Onu che potrebbe colmare il vuoto. ACCORDO UE SU EMBARGO ARMI E CONGELAMENTO BENI Accordo raggiunto in seno all'Ue per il congelamento dei beni del leader libico Muammar Gheddafi e dei suoi familiari, nonché un embargo sulle armi alla Libia: lo hanno reso noto fonti diplomatiche. I dettagli delle misure da adottare devono ancora essere definiti a livello di esperti, ma secondo fonti governative tedesche le sanzioni potrebbero entrare in vigore "all'inizio della prossima settimana". Oltre alle armi, l'embargo riguarda anche materiali ed equipaggiamenti che possano essere utilizzati per reprimere delle manifestazioni. CONSIGLIO ONU PER DIRITTI UMANI CHIEDE SOSPENSIONE LIBIA Il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha adottato venerdì una risoluzione che raccomanda la sospensione della Libia dal Consiglio stesso. Riunito a Ginevra, l'organismo ha anche deciso di compiere un'indagine sulle sospette violazioni dei diritti umani da parte del regime, inviando una commissione indipendente. Per espellere un paese dal Consiglio per i diritti umani sono necessari due terzi dei voti nell'Assemblea Generale dell'Onu, alla quale passa ora la pratica. DOPO DISCORSO GHEDDAFI FOLLA URLA 'SOLO DIO E MUAMMAR' Al termine del discorso del leader libico la folla sulla piazza Verde, che manifestava dal primo pomeriggio, ha scandito in coro lo slogan: "solo Dio, Muammar e Libia!". I manifestanti, tra i quali anche donne e bambini, sono ancora sulla piazza: mostrano immagini di Gheddafi e sventolano bandiere verdi della Jamayiria. Sul lungomare di Tripoli, a poche centinaia di metri di distanza dalla piazza, sono stati piazzati posti di blocco presidiati da polizia, esercito e miliziani armati con la fascia verde al braccio. TESTIMONE, MILIZIE GHEDDAFI FANNO SPARIRE CADAVERI "Le milizie di Gheddafi prelevano i cadaveri e i feriti dagli ospedali e li bruciano, si sbarazzano dei corpi per nascondere al mondo le prove delle uccisioni". A riferirlo è un testimone che vive a Tripoli. GHEDDAFI IN PIAZZA A TRIPOLI PER POCHI ISTANTI: VINCEREMO Ci aveva abituati a lunghi discorsi pubblici. Questa volta, Muammar Gheddafi ha parlato per pochi istanti, arrivando a sorpresa in piazza Verde, a Tripoli, dove erano radunati centinaia di suoi sostenitori. Il popolo libico "ama Gheddafi, questa è la voce del popolo" ha strillato, coprendo le urla dei sostenitori. "Preparatevi a difendere la Libia. Lotteremo fino a riconquistare ogni pezzo del territorio del Paese - ha aggiunto parlando ad una piazza che, a giudicare dalle immagini trasmesse dalle tv, non sembrava gremita di gente - sconfiggeremo il nemico come abbiamo sconfitto il colonialismo italiano". Il Colonnello ha poi aggiunto che "tutti i depositi di armi saranno aperti per armare il popolo". GHEDDAFI, ECCOMI TRA VOI BALLATE E SIATE FELICI "Guardate, sono tra voi: ballate, cantate e siate felici": così il colonnello Gheddafi ha salutato e si è accomiatato dalla Piazza Verde a Tripoli. GHEDDAFI, ABBIAMO COSTRETTO ITALIANI A PAGARE DANNI "Abbiamo recuperato la dignità del popolo, riuscendo addirittura a farci pagare i danni dall'Italia". È questo uno dei passaggi del discorso di Gheddafi, trasmesso dalla tv. "Ricordatevi la gloria del popolo libico", ha aggiunto. "Abbiamo sconfitto gli invasori italiani e così sconfiggeremo ogni tentativo straniero contro di noi": lo ha detto il leader libico Muammar Gheddafi apparendo di persona a piazza Verde a Tripoli, indossando un copricapo scuro simile a un colbacco. "Lotteremo, lotteremo fino a riconquistare ogni pezzo del territorio libico. Li sconfiggeremo come abbiamo sconfitto il colonialismo italiano", ha detto. GHEDDAFI IN PIAZZA GUARDATE FRUTTO RIVOLUZIONE "Guarda Europa, Guarda America, questo è il popolo libico, questo è il frutto della Rivoluzione. La Rivoluzione ha risuscitato Omar El Mukhtar, combatteremo per la terra di Libia". Ha detto il leader libico Gheddafi parlando in piazza Verde a Tripoli ai sostenitori del suo regime, affacciato ad un muro di cinta di un palazzo istituzionale. GHEDDAFI A SOSTENITORI "SCONFIGGEREMO TUTTI COME PASSATO" Sconfiggeremo tutti, come lo abbiamo già fatto in passato". Lo ha detto Il leader libico Muammar Gheddafi in un discorso dalla Piazza verde cuore della capitale. GHEDDAFI, UCCIDEREMO CHI PROTESTA I depositi di armi sono aperti per armare il popolo e assieme combatteremo, sconfiggeremo e uccideremo chi protesta: lo ha detto Gheddafi parlando a piazza Verde. GHEDDAFI IN TV "LOTTEREMO FINO ALLA MORTE PER LA LIBIA" Lotteremo fino alla morte per la Libia, La rivoluzione ha reso la Libia il leader del terzo mondo, vi chiedo di cantare ballare e gioire". Lo ha detto Il leader libico Muammar Gheddafi in un discorso dalla Piazza verde cuore della capitale. GHEDDAFI,VINCEREMO COME CONTRO COLONIALISMO ITALIANO Lotteremo e riconcquisteremo ogni pezzo di territorio
TV, GHEDDAFI COMPARE IN PIAZZA VERDE Muammar Gheddafi è comparso sulla piazza verde a Tripoli, lo mostra la televisione di Stato. "Preparevi a difendere la Libia", ha detto Muammar Gheddafi sulla piazza verde, rivolgendosi alla folla. "Chi non mi ama non merita la vita, sarà un inferno": lo ha detto Gheddafi, in un discorso alla folla a Tripoli, trasmesso in diretta tv. AL JAZIRA;SPARI MILIZIANI SU CIVILI,DECINE MORTI La brigate della sicurezza sparano sui civili e sono decine i morti e i feriti, in diverse zone di Tripoli. Lo riferisce Al Jazira citando fonti mediche. UE; FONTI, C'È ACCORDO POLITICO SU SANZIONI I paesi dell'Ue hanno raggiunto un accordo politico sulle sanzioni da imporre alla Libia: lo riferiscono fonti del ministero degli Esteri tedesco. Le sanzioni, secondo le fonti, si basano su quattro punti: un embargo all'export di armi, un embargo all'export di beni che possano essere usati per la repressione, il congelamento dei beni della famiglia Gheddafi e il divieto di ingresso (nell'Ue) per la famiglia al potere. Le sanzioni, sempre secondo le fonti, verranno approvate all'inizio della settimana prossima. NATO, RIUNIONE D'EMERGENZA CONSIGLIO ATLANTICO È cominciata al quartiere generale di Bruxelles la riunione d'emergenza del Consiglio Atlantico della Nato a livello di ambasciatori per discutere il ruolo dell'Alleanza nella crisi libica. Prima dell'incontro a Bruxelles, il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen ha incontrato i ministri della Difesa della Ue, riuniti a Godollo (Budapest), per verificare - ha riferito il segretario - come è possibile aiutare "in modo pragmatico coloro che ne hanno bisogno e limitare le conseguenze di questi eventi". "Chiaramente le priorità - ha detto Rasmussen - devono essere l'evacuazione ed eventualmente l'assistenza umanitaria". Secondo il segretario generale, "la Nato ha i mezzi che possono essere utilizzati in situazioni del genere e l'Alleanza Atlantica può agire come coordinatore se e quando uno stato membro individuale vuole agire" La riunione straordinaria è stata commentata in modo polemico dalla Francia. La portavoce del ministero degli esteri francese ha dichiarato di non vederne "la necessità". DELEGAZIONE LEGA ARABA SI DISSOCIA DA GHEDDAFI La delegazione libica alla Lega araba, al Cairo, si è dissociata da Muammar Gheddafi, condannando gli "atroci crimini" contro i civili. Secondo quanto riferisce l'agenzia Reuters, la delegazione ha annunciato di rappresentare, a partire da oggi, la volontà popolare, cambiando nome. "Ci siamo uniti al nostro popolo, nella sua legittima aspirazione al cambiamento e alla instaurazione della democrazia", ha sostenuto la delegazione in un comunicato ufficiale, col quale si condannano fra l'altro "gli atroci crimini contro cittadini inermi". La delegazione ha inoltre cambiato il suo nome in 'Rappresentanza del popolo libico nella Lega araba'. VENEZUELA, CHAVEZ SI SCHIERA CON GHEDDAFI "Viva la Libia e la sua indipendenza! Gheddafi deve affrontare una guerra civile": il presidente venezuelano Hugo Chavez - principale alleato latinoamericano di Tripoli - rompe il silenzio per schierarsi a fianco del rais con un messaggio diffuso sul social network Twitter. "Noi condanniamo la violenza, ma occorre analizzare il conflitto libico con obbiettività: si vogliono creare le condizioni per un'invasione della Libia il cui obbiettivo principale è impadronirsi del petrolio libico", ha commentato il ministro degli Esteri venezuelano, Carlos Maduro. Oltre a Chavez anche il presidente nicaraguense Daniel Ortega e il leader cibano Fidel Castro hanno espresso la propria solidarietà a Gheddafi.
OIM, MIGLIAIA STRANIER IN FUGA;11 MLN DLR PER L'ASSISTENZA In migliaia sono in fuga dalla Libia attraverso il confine con Tunisia e Egitto. Secondo l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), oltre ai 6.700 tunisini fuggiti negli ultimi tre giorni, sono molti altri gli stranieri che abbandonano il Paese, soprattutto lavoratori migranti egiziani (almeno 850) e cinesi (830) insieme a personale diplomatico di altri Stati. Per questo l'organizzazione ha lanciato un appello urgente alla comunità internazionale: "Servono almeno 11 milioni di dollari per accogliere il primo gruppo di 10.000 migranti, che in breve toccheranno quota 50.000". Le operazioni di rimpatrio sono già state avviate con il contributo dell'Oim e di altre organizzazioni umanitarie. "La situazione più preoccupante", ha spiegato Laurence Hart, capo missione Oim in Libia, "resta quella di tanti lavoratori immigrati irregolari sub-sahariani e asiatici, di cui non si hanno notizie da giorni". Per aiutarli l'Oim ha lanciato un appello alla comunità internazionale affinchè "intervenga a sostegno di tutti coloro che vogliono lasciare la Libia ma non dispongono dei mezzi e delle risorse necessarie". L'ufficio Oim nella capitale del Niger, Niamey, ha comunicato che, oltre ai 170 nigerini che hanno già attraversato il confine libico, altre centinaia di migranti sono attesi nelle prossime ore. Tra le comunità in fuga più numerose, quelle srilankese, vietnamita e nepalese. È iniziata intanto una missione congiunta dell'Oim, dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e dell'Ufficio Onu di coordinamento degli aiuti umanitari (Ocha) per monitorare la situazione sul confine con l'Egitto. ONU PROPONE BLOCCO BENI E EMBARGO ARMI Congelamento dei beni, embargo alle forniture di armi, ricorso alla corte penale internazionale per chi in Libia si sarà macchiato di crimini di guerra. Sono questi i tre punti principali di un progetto di risoluzione Onu sula Libia che i 15 del Consiglio di Sicurezza inizieranno ad esaminare oggi. Lo indicano fonti diplomatiche occidentali. TESTIMONI TRIPOLI, DISPERSE ALCUNE MANIFESTAZIONI I manifestanti sono stati dispersi in alcune zone della capitale libica dalle forze di sicurezza che "sparano in aria", mentre in altre aree la gente è ancora in piazza. Lo hanno riferito persone residenti nel centro di Tripoli. GHEDDAFI POTREBBE FUGGIRE IN ZIMBABWE "Muammar Gheddafi è pronto a partire con un aereo privato carico di lingotti d'oro e di dollari alla volta dello Zimbabwe dove starà dal suo amico Robert Mugabe". A dichiararlo è stato un attivista politico e scrittore libico residente a Londra. Parlando alla rete tv australiana ABC, Guma el-Gamaty ha detto di aver saputo "da fonti attendibili a Tripoli" della proposta di asilo fatta dal presidente dello Zimbabwe. Il dittatore libico potrebbe raggiungere lo Zimbabwe già sabato, anticipando così la possibile chiusura dello spazio aereo dei cieli della Libia, che la comunità internazionale potrebbe decidere per impedire l'uso di aerei da guerra contro i manifestanti. Secondo el-Gamaty, se Gheddafi fuggisse in Zimbabwe cercherebbe di "riunire intorno a sé gli africani e ritornare alla riconquista della Libia".
UE: ANCORA 3.600 EUROPEI BLOCCATI NEL PAESE Circa 3.600 cittadini europei sono sempre bloccati in Libia. Lo ha affermato l'Unione europea che ha ammesso di non avere alcun contatto con l'opposizione libica, che controlla gran parte del Paese. "Circa 3.400 europei sono stati sgomberati dalla Libia. Ne restano ancora quasi 3.600 sul posto", ha detto Maja Kocijancik, portavoce del capo della diplomazia Ue, Catherine Ashton, durante un punto stampa, ricordando che il rimpatrio dei cittadini europei è "una priorità". "Abbiamo chiesto alle autorità libiche di permettere questo sgombero e fino ad oggi non ci sono stati problemi", ha affermato. "Ma le circostanze sono lontane dall'essere favorevoli" e Ashton resta "preoccupata" per la sorte degli europei che restano bloccati in Libia, ha sottolineato Kocijancik. L'Ue non ha rappresentanti a Tripoli e alcun contatto con l'opposizione libica, ha aggiunto il portavoce. "Il personale della Commissione europea non è presente sul terreno", ha detto. AMBASCIATORE ONU DIRITTI UMANI, RAPPRESENTO SOLO IL POPOLO L'ambasciatore libico al Consiglio per i diritti umani dell'Onu Ibrahim A.E. Aldredi, ha deciso di non essere più leale al regime di Muammar Gheddafi e si è proclamato "rappresentante del popolo libico". Aldredi ha preso brevemente la parola durante la riunione speciale del Consiglio per annunciare che "da oggi il sottoscritto e tutta la missione libica a Ginevra rappresentiamo il popolo libico". In precedenza l'ambasciatore aveva chiesto un minuto di silenzio "in memoria dei martiri della rivoluzione del 17 febbraio". AL-JAZEERA, MILITARI VOLTANO SPALLE A GHEDDAFI ANCHE A OVEST Sempre più militari libici scelgono di abbandonare Muammar Gheddafi. Secondo quanto riferito da una corrispondente di Al-Jazeera che si trova nella zona est del paese, anche nella parte occidentale, della quale il rais ha ancora il controllo, gli ufficiali dell'esercito hanno cominciato a ribellarsi. La giornalista cita come fonti alcuni militari già passati con l'opposizione, i quali hanno tuttavia avvertito che la Brigata Khamis, reparto speciale legato alla famiglia Gheddafi e in possesso di armamenti sofisticati, sta ancora combattendo a pieni ranghi contro le forze anti-regime. CENTINAIA DI STRANIERI A FRONTIERA CON ALGERIA Centinaia di stranieri, tra cui egiziani, iracheni, siriani ma anche inglesi, in fuga dalla Libia sono entrati in territorio algerino, passando dai posti di frontiera di Debdeb, Tarat e Tinalkoum, nel sud est dell'Algeria. Lo riporta oggi l'agenzia ufficiale APS, precisando che gli stranieri sono stati accolti da squadre di soccorso e medici, ma anche da rappresentanti diplomatici di Gran Bretagna, Indonesia e Egitto. Dal valico di Debdeb, sono entrati in Algeria, 260 egiziani, 11 iracheni e 3 siriani, e precisa la stessa fonte, un migliaio di egiziani sono attesi per i prossimi giorni. Importanti gruppi di stranieri sono stati accolti anche a Tarat e più a sud, a Tinalkoum. DA TAJURA 10 MILA IN MARCIA VERSO IL CENTRO DI TRIPOLI Oltre diecimila abitanti di Tajura, 14 chilometri ad est di Tripoli hanno iniziato a marciare verso la Piazza verde, cuore della capitale libica. Lo ha riferito un testimone ad al Jazira. TELEFONATA CAMERON-BERLUSCONI, AZIONE COORDINATA EUROPA-ONU Il Primo Ministro del Regno Unito, David Cameron, ha telefonato oggi al Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, per uno scambio di valutazioni sulla situazione in Libia. Il Premier britannico ha ringraziato l'Italia per la messa a disposizione della base di Sigonella a personale e velivoli britannici impegnati nell'evacuazione dei connazionali ancora in Libia. I due Capi di Governo hanno concordato che i rispettivi apparati impegnati nell'evacuazione dei concittadini si tengano in stretto raccordo. Il Presidente Berlusconi e il Primo Ministro Cameron hanno poi discusso della situazione nel Paese nordafricano e delle prospettive nell'area, concordando pienamente sulla necessità di un'azione coordinata in ambito multilaterale e, innanzitutto, nel quadro europeo e ONU. Ieri sera, il Presidente Berlusconi aveva già avuto una lunga conversazione telefonica sulla situazione in Libia con il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, concordando anche in questo caso di lavorare insieme e mantenere uno stretto contatto fra leader e fra i rispettivi staff per fronteggiare la crisi. TESTIMONE, A TRIPOLI: MERCENARI SPARANO DA AMBULANZE "Tripoli è in un bagno di sangue. Nella strada di Shat, nella periferia est della città, la gente era affluita da cinque moschee e i miliziani di Gheddafi hanno sparato sulla folla facendo morti e feriti. Poi è arrivata un'ambulanza, ma quando si sono aperte le porte sono apparsi dei mercenari e anche loro hanno sparato sulla folla". Lo riferisce una testimone da Tripoli. Le violenze, racconta, sono iniziate "dopo la preghiera, all'uscita dalle moschee. La gente ha iniziato a correre per le strade gridando 'libertà. I miliziani di Gheddafi sono senza divisa, si confondono tra la folla e sparano. Usano l'ambulanza per trasportare i mercenari e uccidere, quello che sta succedendo è terribile". TESTIMONI; POZZI MARSA BREGA IN MANO RIBELLI Testimoni hanno riferito che le installazioni petrolifere della sittà di Marsa Brega sono sotto il controllo dei ribelli. E i soldati stanno aiutando i ribelli a mettere in sicurezza il porto. "Questa area è controllata dalla popolazione", ha detto Mabrook Maghraby, avvocato di Bengazi attualmente impegnato nei 'comitati di difesì di Brega. Secono Mgharaby, i soldati che stanno aiutando i ribelli a mettere in sicurezza hanno tutti disertato. AL JAZEERA,GHEDDAFI CONTROLLA SOLO BAB ALAZIZIA Gheddafi controlla ormai soltanto la caserma-bunker di Bab Alazizia, dove risiede a Tripoli: lo afferma al Jazira, citando giornalisti libici. Al Jazeera: "La città è caduta". Smentite TESTIMONE,MANIFESTANTI ANTI REGIME VERSO PIAZZA VERDE "I manifestanti che protestano contro il regime di Gheddafi si stanno dirigendo verso la Piazza dei martiri, conosciuta come Piazza Verde". Lo riferisce all'ANSA una testimone libica da Tripoli. AMBASCIATA PRESSO ONU GINEVRA SI SCHIERA CON RIVOLTA La rappresentanza diplomatica libica presso l'Onu a Ginevra "servirà il popolo libico" e non più il regime di Muammar Gheddafi. Lo ha annunciato oggi l'incaricato d'affari libico al Consiglio diritti umani delle Nazioni Unite. UNHCR,RIFUGIATI TEMONO ESSERE SCAMBIATI PER MERCENARI Diversi rifugiati in Libia - originari di Iraq, Camerun, Repubblica Democratica del Congo, Somalia ed Eritrea - temono di essere scambiati per mercenari e nonostante le loro scorte di cibo si stiano progressivamente esaurendo, hanno paura di subire aggressioni e pertanto restano rintanati in casa. È quanto hanno riferito gli stessi rifugiati all'Unhcr che, con il suo staff locale, Š impegnato nel tentativo di mantenere i contatti con la comunit… di rifugiati nel Paese in preda alla rivolta contro il colonnello Gheddafi. AL JAZIRA,DIMOSTRANTI E MILITARI INSIEME VERSO TRIPOLI SECONDO TESTIMONI IN DICIMILA IN MARCIA DA TAJOURA Le forze di polizia e i militari si sono uniti ai rivoltosi, a Tajoura, e stanno marciando assieme verso la piazza Verde di Tripoli. Lo afferma la tv Al Jazira, citando due testimoni oculari. Secondo le fonti si tratta di oltre 10 mila persone. OCCUPATA AMBASCIATA A PARIGI, AMBASCIATORE SI DIMETTE Un gruppo di manifestanti libici ha occupato oggi i locali dell'ambasciata libica a Parigi. Sempre in giornata l'ambasciatore libico presso la repubbica francese e quello presso l'Unesco si sono dimessi. "Ci uniamo alla rivoluzione e abbiamo dato le dimissioni. Condanniamo fermamente la repressione" hanno detto i due ambasciatori Salah Zaren e Abdul Salam el Galali. IRNA, FIGLIO MINORE GHEDDAFI SI UNISCE AI RIBELLI Il figlio minore di Gheddafi, Saif al-Arab, secondo i media iraniani, si sarebbe unito alla rivolta. L'agenzia Irna, citata dal sito Peace Reporter, riferisce che il giovane, inviato dal padre a sovrintendere la repressione dei sommovimenti, giunto a Bengasi sarebbe invece passato dall'altra parte, ottenendo l'appoggio di truppe da combattimento per rafforzare la rivolta. Saif al Arab avrebbe fra l'altro dichiarato che il padre potrebbe suicidarsi o rifugiarsi in America Latina. SI SPARA NEL MERCATO DI TRIPOLI Uno degli inviati della Cnn in Libia ha reso noto citando testimoni oculari che è in corso una battaglia "sanguinosa" nel mercato del venerdì a Tripoli. "Si spara a casaccio" ha riferito con un messaggio via twitter, precisando che secondo fonti mediche i morti tra i manifestanti nei diversi scontri in Libia sarebbero 17. NUOVA DELHI, SI DIMETTE CORPO DIPLOMATICO Si è dimesso l'intero corpo diplomatico dell'ambasciata libica a Nuova Delhi. Lo hanno reso noto gli stessi diplomatici indiani affermando in una nota di esprimere "solidarietà" nei confronti dei dimostranti in Libia. IN FUGA PILOTA PERSONALE DI GHEDDAFI Il pilota personale del Colonnello Gheddafi, il norvegese Aud Berger, è fuggito da Tripoli insieme alla sua famiglia diretto verso l'Austria. Lo rende noto l'agenzia egiziana Mena, citando un giornale austriaco, aggiungendo che il pilota ha giustificato la sua fuga dicendo che la violenza sta dominando la capitale Tripoli. La situazione in Libia, secondo il pilota, sta subendo rapidi e pericolosi sviluppi. Vi sono incendi, sottolinea, dappertutto nella capitale. Il pilota norvegese, 57 anni, è riuscito a prendere l'ultimo aereo diretto a Vienna. AL JAZIRA: "E' CARNEFICINA" Le forze di Gheddafi stanno sparando pesantemente sui civili, e le milizie pro-regime stanno facendo irruzioni nelle case uccidendo tutte le persone che trovano, "è una vera carneficina". È questa la testimonianza di un giornalista in diretta telefonica sulla televisione araba al Jazira. PORTATI VIA I GIORNALISTI DA PIAZZA VERDE Le forze di sicurezza pro-regime hanno portato via con la forza i giornalisti stranieri presenti nel centro di Tripoli, mentre centinaia di civili si riversavano a Piazza verde, cuore della capitale per la grande manifestazione. Lo ha reso noto un sito arabo dell'opposizione vicino ai rivoltosi. FIGLIO RAIS: "I GHEDDAFI VIVRANNO E MORIRANNO IN LIBIA" Seif Al-Islam, uno dei figli del leader libico Muammar Gheddafi, ha detto oggI in un'intervista alla Cnn turca che la sua famiglia rimarrà a qualunque costo in Libia, ed ha avvertito che non permetterà a "un pugno di terroristi" di controllare una parte del Paese. VOCI IN PIAZZA: "GHEDDAFI E' MORTO". SMENTITE Voci sulla morte del leader libico Muammar Gheddafi, attribuite alla tv al Jazira e alla Mbc, si sono diffuse sulla piazza di Tripoli dopo l'uscita dalle moschee. Le voci sono state subito smentite e si attende a breve anche un annuncio ufficiale del figlio Seif. Cortei di auto con foto di Gheddafi e manifestanti che inneggiano a lui si sono formati nel centro. SCONTRI A TRIPOLI, ALMENO 5 MORTI Sono almeno cinque i manifestanti uccisi in scontri a Tripoli, nel quartiere Janzour. Lo ha riferito un abitante. FUOCO SUI MANIFESTANTI Potrebbe essere iniziata la battaglia finale a Tripoli. Testimoni hanno riferito di scontri a fuoco in varie aree della città. Le forze di Gheddafi hanno aperto il fuoco sui manifestanti. ALLA PREGHIERA: "GHEDDAFI VATTENE" Decine di migliaia di persone hanno partecipato oggi alla tradizionale preghiera del venerdì nelle città orientali della Libia, da giorni passate sotto il controllo dei rivoltosi, e hanno chiesto al leader libico Muammar Gheddafi di lasciare la guida del Paese. Stando alle immagini mostrate dalla tv araba al Jazeera, a Derna alcune persone sono salite sul minareto della moschea e hanno srotolato la bandiera del vecchio Regno di Libia, sostituita dopo il colpo di Stato di Gheddafi del 1969. A Bengasi sono invece stati mostrati striscioni con su scritto "Nessun est, nessun ovest, siamo una sola nazione". CAMPI PETROLIO NELL'EST IN MANO AI RIBELLI Quasi tutti i campi petroliferi ad est di Ras Lanuf, in Libia, sono nelle mani dei rivoltosi: lo ha detto un ingegnere petrolifero, membro della coalizione di governo ad interim creatasi a Bengasi. I campi petroliferi e i terminal sono al lavoro, ma in misura ridotta, al 25 %. "Quasi tutti i campi petroliferi in Libia ad oriente di Ras Lanuf sono ora controllati dal popolo e il governo non ha più potere sull'area", ha detto Abdessalam Najib, ingegnere petrolifero nella compagnia libica Agico e componente della coalizione che si è insediata a Bengasi, la seconda città più importante della Libia. L'UE PENSA A 'NO FLY ZONE' L'unione europea sta pensando ad un blocco del traffico aereo nei confronti del governo libico. Secondo fonti diplomatiche Ue, potrebbe essere questa una delle prime misure adottate contro la violenza del regime di Gheddafi. "I governi dell'Unione europea stanno studiando soluzioni riguardo lo spazio aereo libico, ma prima c'è bisogno di una risoluzione del consiglio di sicurezza delle nazioni unite", ha precisato la fonte a margine della riunione informale dei ministri della difesa europei, a godollo, per affrontare la questione libica. SMENTITA GB: "NESSUNA MAZZETTA" Il governo britannico ha smentito seccamente le notizie riportate da Sky News, secondo cui Downing Street avrebbe pagato ufficiali del regime di Muammar Gheddafi per agevolare l'evacuazione dei cittadini inglesi rimasti nella capitale libica. "Neghiamo categoricamente le accuse di Sky News - ha precisato un portavoce del Foreign Office secondo quanto riportato dal Guardian -. L'aeroporto di Tripoli impone delle tasse per servizi come la gestione degli aeromobili. Si tratta di imposizioni applicate a tutti i paesi che intendono volare a o da Tripoli. Pagare tasse che vengono imposte dalle autorità in un aeroporto straniero non è certo corruzione". LA "SPALLATA" DOPO LA PREGHIERA "Secondo molti manifestanti, la spallata da parte degli insorti potrebbe avvenire dopo la preghiera del venerdì. Dopo le 14 si troveranno riunite nelle piazze tantissime persone: per diversi rivoltosi quello potrebbe rappresentare un momento chiave per la svolta, che potrebbe avvenire tra oggi e domani. In queste ore proseguono gli ammutinamenti dei militari". A riferirlo è il presidente della Comunità del Mondo Arabo in Italia (Comai) Foad Aodi, che è in costante contatto, da Roma, con alcuni testimoni in Libia. NAPOLITANO: "NON CEDERE AD ALLARMISMI SU IMMIGRATI" Sul rischio di un'emergenza immigrazione dopo la rivolta in Libia, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, da Berlino, ha lanciato un ammonimento: "Non bisogna cedere ad allarmismi e vittimismi". Resta ferma comunque la convinzione del capo dello Stato che "c'è un'esigenza forte di solidarietà (tra tutti i paesi Ue, ndr) per fare fronte a questa emergenza". SI DIMETTE IL BRACCIO DESTRO DI GHEDDAFI Kadhaf al-Dam, cugino e stretto consigliere del leader libico Muammar Gheddafi, si è dimesso ieri "da tutti i suoi incarichi in seno al regime libico per protestare contro la gestione della crisi" in atto nel Paese. È quanto si legge nel comunicato diffuso oggi dal suo ufficio al Cairo e riportato dall'agenzia di stampa egiziana Mena. TRIPOLI: AIUTI AL POPOLO E AUMENTI SALARI Il governo libico tenta disperatamente di aggrapparsi al potere e per fronteggiare la rivolta popolare, ha deciso di aumentare i salari, concedere aiuti alimentari e assegni famigliari. Lo ha annunciato la televisione di Stato. Ogni famiglia - ha precisato l'emittente - riceverà 500 dinari libici (290 euro), per fronteggiare l'aumento dei prezzi del cibo e gli stipendi di alcune categorie del settore pubblico aumenteranno del 150%. ASHTON: "SANZIONI DELL'UE" L'Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza dell'Ue, Catherine Ashton, ha detto che occorre emanare "misure restrittive" nei confronti del regime libico di Muammar Gheddafi per fermare il bagno di sangue. NATO: RIUNIONE URGENTE CON STATI MEMBRI Una riunione urgente dei paesi membri dell'alleanza atlantica per affrontare la questione libica. A richiederla il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, in un messaggio su twitter, precisando di essere pronto ad assumere il ruolo di "coordinatore" qualora gli alleati decidessero un'azione. Intanto si apre a Godollo, vicino Budapest, il meeting informale dei ministri della difesa dell'Unione europea che affronta la situazione libica e la possibile evacuazione dei migliaia di cittadini ancora bloccati nel paese arabo. GLI ANTI-GHEDDAFI CONQUISTANO MISURATA Le milizie anti-governative libiche hanno preso il controllo della città costiera Misurata, situata a meno di 200 km da Tripoli, dopo aver respinto una "violenta" controffensiva. GHEDDAFI RIPARLA: MESSAGGIO AUDIO LA SVIZZERA CONGELA I BENI DEL RAIS Il governo svizzero ha reso noto che congela i beni appartenenti a Gheddafi. MALMENATI I GIORNALISTI ITALIANI Un gruppo di giornalisti italiani, tra cui l'inviato dell'Ansa, sono stati bloccati e controllati da un gruppo di miliziani governativi sull'autostrada che va dall'aeroporto a Tripoli e uno di loro, Fabrizio Caccia del Corriere della Sera, è stato anche schiaffeggiato e preso a calci quando ha detto di essere italiano. Dopo un controllo 'brusco' sono stati rilasciati e hanno potuto raggiungere un albergo della capitale. SERVIZI: RISCHIO ISLAMICI IN RIVOLTE NORD AFRICA "I fermenti sociali e le forti aspirazioni al cambiamento nell'area nord africana, amplificati e condivisi sul web, potrebbero far registrare nuovi picchi di contestazione, con tentativi di strumentalizzazione in chiave islamista ed inserimenti di natura terroristica". Lo sottolinea la Relazione sulla politica dell'informazione per la sicurezza 2010 consegnata dal Dis al Parlamento. MANIFESTAZIONE DI PROTESTA A ROMA Il mondo e l'Italia "non possono credere a ciò che dice Gheddafi. È lui Bin Laden, non i giovani libici che attraverso il web si sono uniti per la libertà e la democrazia". Così il giornalista libico Farid Adly, ha aperto la manifestazione di solidarietà al popolo libico organizzata di fronte a Montecitorio da Arci, alla quale hanno aderito Sinistra Ecologia Libertà, Idv e diverse associazioni, tra cui Amnesty, Cgil, Fiom e Terres Des Hommes. Una grande bandiera della pace è stata posta al centro dei manifestanti tutti convinti che è il momento di un intervento deciso della comunità internazionale contro il leader libico. GB, CAMERUN PENSA INVIO FORZE SPECIALI Con oltre un centinaio di cittadini britannici "in pericolo" nel deserto libico, il governo di David Cameron sta valutando l'invio delle forze speciali in parti del paese nordafricano. Lo riporta la Bbc. A PRATICA DI MARE DUE C130 È previsto per le 18.35 l'arrivo in Italia - all'aeroporto di pratica di Mare - del primo dei due C-130 che oggi hanno prelevato in Libia, a Sheba, dei cittadini italiani e stranieri. Il secondo velivolo atterrerà dopo circa due ore e mezzo, sempre a Pratica di Mare. COMAI: "GHEDDAFI PREPARA AEREO PER FUGA" "Gheddafi sta facendo preparare il suo aereo privato per partire e lasciare la Libia". Lo sostiene il presidente della Comunità del Mondo Arabo in Italia (Comai) Foad Aodi che parlando con l'ANSA cita fonti "molto, molto attendibili". Gheddafi "sta facendo caricare sull'aereo gran parte dei suoi tesori, in particolare oro. E sembrerebbe intenzionato ad andare in un paese amico in Africa".
FASSINO ANNULLA FESTA CHIUSURA PRIMARIE In segno di solidarietà con il popolo libico, Piero Fassino ha annullato la manifestazione di chiusura della campagna delle primarie del centrosinistra a Torino, prevista per domani sera. Lo stesso candidato propone che metà del contributo che gli elettori verseranno al momento del voto sia devoluto a un fondo di solidarietà per le iniziative umanitarie. BOSSI: "INVIEREI I CASCHI BLU" Risponde così Umberto Bossi, leader della Lega Nord, conversando con i cronisti alla Camera, a chi gli chiede quale possa essere la soluzione per risolvere la crisi in Libia. OPPOSIZIONE: "NON E' GHEDDAFI CHE STA PARLANDO" "Non è Gheddafi che sta parlando alla Tv di Stato, conosco la sua voce da 42 anni, non è la sua". È quanto ha affermato Karim Bengharsa, presidente del Comitato Libia democratica, riferendosi al discorso via telefono diffusa dal colonnello alla Tv di Stato libica. "Ho sentito anche testimoni a Tripoli e ho avuto i medesimi riscontri", ha aggiunto Bengharsa. ONG: MILIZIANI UCCIDONO NEGLI OSPEDALI Esponenti dei "comitati rivoluzionari" al soldo di Muammar Gheddafi fanno irruzione negli ospedali di Tripoli e uccidono i feriti che hanno manifestato contro il regime. A riferirlo una fonte medica, citata da Sliman Bouchuiguir, segretario generale della Lega libica per i diritti umani. "TERMINAL PETROLIO IN MANO RIVOLTOSI" I principali terminal petroliferi ad est di Tripoli sono nelle mani dei rivoltosi, che li hanno strappati al controllo del regime di Muammar Gheddafi. Lo affermano abitanti di Bengasi che sono in contatto con abitanti della regione. 200 PRO-RAIS RINCHIUSI IN UNA SCUOLA Gli oppositori del regime di Gheddafi hanno rinchiuso circa 200 fedelissimi del rais in una scuola di al-Baida, città della costa mediterranea della Libia. molti di loro hanno detto di non aver ricevuto ordini precisi quando sono stati inviati nella città, che conta 210 mila abitanti ed è da giorni nelle mani dei ribelli. fra i detenuti, ai quali è stato permesso di parlare con i giornalisti, ci sono anche alcuni mercenari del Ciad, oltre a membri delle forze di elite, le milizie Khamees e Jafar. Uno dei miliziani ha detto che la loro missione era quella di "proteggere l'aeroporto". UE E RUSSIA: "INACCETTABILI" VIOLENZE CONTRO CIVILI Unione Europea e Russia hanno definito "inaccettabili la violenza e l'uso della forza contro i civili" in Libia. In occasione del vertice annuale Ue Russia a Bruxelles i due soggetti hanno esortato le autorità libiche a osservare il pieno rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale. Lo ha riferito la Commissione Ue, anticipando il contenuto della dichiarazione congiunta con cui si concluderà il summit. OBAMA CAUTO PER TIMORI OSTAGGI USA La cautela della Casa Bianca sulla crisi libica si spiega con il timore dell'amministrazione Usa che cittadini americani possano essere presi ostaggio dal regime di Muammar Gheddafi. Il portavoce della Casa Bianca Jay Carney ha ammesso, rispondendo a una domanda della Cnn, che il timore per gli americani presenti ancora in Libia è stato "un fattore importante" nella decisione del Presidente Barack Obama di non usare toni duri contro il leader libico. "Il Presidente è ovviamente preoccupato per la sicurezza dei cittadini americani, su questo non c'è dubbio - ha detto Carney - questo è un fattore importante per ogni Paese. E la situazione è diversa in ogni Paese per i cittadini Usa. BENGASI, FOLLA DEVASTA BASE MERCENARI Nella seconda città della Libia caduta ormai nelle mani dei rivoltosi, la folla inferocita ha preso d'assalto il complesso dove era sistemato il battaglione di mercenari dell'Africa subsahariana, ingaggiati dal regime per combattere i manifestanti. L'edificio è stato raso al suolo con l'ausilio di trattori, scavatrici e ruspe, una delle quali è stata lasciata tra i muri in rovina, sui quali i dimostranti hanno tracciato scritte come "La Libia è libera" oppure "Abbasso Gheddafi!". ONG: BANDIERE PACE SU OGNI BALCONE Una bandiera della pace su ogni balcone in segno di solidarietà con i giovani e i popoli del Mediterraneo, dall'Egitto alla Libia, in lotta per la dignità, i diritti umani, la libertà, la democrazia e lo stato di diritto nel mondo arabo. A chiederlo è la Tavola della pace insieme a Acli, Agesci, Arci, Cgil, Cisl, Articolo 21, Libera e numerose altre organizzazioni della società civile sotto lo slogan 'Questa rivoluzione è anche la nostra'. FIGLIO DI GHEDDAFI ACCUSA L'EGITTO DI "COSPIRAZIONE" Saif al-Islam, secondogenito e delfino in pectore del leader libico Muhammar Gheddafi, ha accusato apertamente l'Egitto di una "cospirazione" che punterebbe a rovesciare il regime nel suo Paese, e ha quindi negato che vi si siano verificate "stragi", come riferito invece da vari mass media stranieri. Nel frattempo la sorella Aisha, unica figlia femmina di Gheddafi, ha affermato di non aver mai lasciato la Libia, e ha così smentito le indiscrezioni secondo cui sarebbe stata a bordo di un velivolo della compagnia di bandiera 'Libyan Arab Airlines', al quale ieri era stato rifiutato l'atterraggio a Malta. AL JAZIRA: I PRO GHEDDAFI ATTACCANO LA FOLLA A MISURATA Secondo quanto riferisce al Jazira le forze leali al presidente Gheddafi hanno attaccato la folla in piazza a Misurata, citta a est di tripoli sulla costa che precedenti notizie avevano dato ormai già in mano agli insorti. AIRL, ASSOCIAZIONE RIMPATRIATI: "GRAVE IMMOBILISMO, IN PRIMIS DELL'ITALIA" "È gravissima l'inazione, almeno fino ad ora, dei governi occidentali e in primis dell'Italia autoproclamatasi partner strategico del colonnello Gheddafi, di fronte all'emergenza umanitaria che rischia di decimare la popolazione libica". Giovanna Ortu, presidente dell'Associazione italiani rimpatriati dalla Libia (Airl), tra i primi a subire nel 1970 "la furia del rais", non nasconde la propria "indignazione ascoltando le drammatiche notizie che provenienti dalla Cirenaica e dalla Tripolitana". SAIF GHEDDAFI: "PAESE APERTO AI GIORNALISTI" Saif al Islam, figlio del leader libico Gheddafi, ha detto parlando alla tv al Libiya che il suo paese è ormai "aperto ai giornalisti di tutto il mondo". Ieri il ministro degli esteri libico Khaled Kaïm aveva dichiarato di aver consentito l'accesso nel paese a tre equipe, della Cnn, di Al-Arabiya e della Bbc. BOMBARDATA ANCHE LA MOSCHEA DI AL ZAWIYAH È di 40 morti e decine di feriti il bilancio del bombardamento in corso sulla città di Zawiyah 50 chilometri ad ovest della capitale libica Tripoli da le prime ore del mattino. I miliziani pro Gheddafi - hanno reso noto testimoni ad un sito arabo - stanno bombardando con i cannoni, e sparando con armi automatiche contro i migliaia di civili che stanno manifestano per strada. Altri testimoni hanno riferito alla televisione 'Al Arabiya' che le milizie del regime hanno bombardato una moshea nella quale era radunato un gruppo di rivoltosi che chiedeva la fine di Gheddafi. La UE: NAVI MILITARI PER RIENTRI La Ue sta cercando un appoggio navale militare per fare rientrare a casa le migliaia di cittadini europei che ancora sono in Libia. Lo ha detto un portavoce della Commissione Ue. AL ARABYA: GHEDDAFI RIPARLA IN TV Il leader libico Gheddafi pronuncerà "a breve" un discorso tv dalla caserma di Bab Aziziya a Tripoli dove è asserragliato. Lo riferisce la tv panaraba al Arabiya. AL JAZIRA: RAID AEREI SU MANIFESTANTI SOTTO CASA GHEDDAFI Al Jazeera segnala nuovo raid aerei dell'aviazione libica contro la popolazione a Tripoli. Colpi sarebbero stati esplodi contro i manifestanti in piazza. le forze fedeli al colonnello stanno sparando anche contro una colonna di manifestanti che sta marciando contro la residenza del leader libico in città. COMAI; 'SQUADRE DELLA MORTE' NELLE CASE, STUPRI "A seminare il terrore tra la gente in queste ultime ore a Tripoli sono le 'squadre della mortè: uomini assoldati dagli stessi militari, su ordine del governo, che girano in strada con caschi e vestiti gialli. Hanno il compito di reprimere le proteste e lo fanno entrando nelle abitazioni, dove seminano il panico, picchiano gli uomini e violentano le donne". A riferirlo all'ANSA è il presidente della Comunità del Mondo Arabo in Italia (Comai) Foad Aodi.
AL ARABIYA, CENTINAIA DI MORTI A ZAWIA Sarebbero già centinaia i morti a Zawia, a ovest di Tripoli, teatro stamani di una offensiva dell'esercito contro i dimostranti anti-regime. Lo riferisce Al Arabiya citando testimoni oculari.
SCARONI, PETROLIO TRIPOLI FACILE DA RIMPIAZZARE "La crisi libica gioca un ruolo ma non ha nulla a che vedere con la sicurezza degli approvvigionamenti. - ha osservato Scaroni - È vero che importiamo molto petrolio dalla Libia, ma è facile da rimpiazzare con altri fornitori". In conseguenza delle rivolte ci sono sul mercato "1,2 milioni di barili in meno - ha proseguito - non è tanto, ma è qualcosa. Ma è il senso di insicurezza generale che può essere un grilletto che fa partire la speculazione".
ATTIVISTI ROMA,OCCUPATA CAMERA COMMERCIO ITALO-LIBICA "Abbiamo occupato la Camera di Commercio italo-libica in viale Regina Margherita a Roma. Siamo una cinquantina e abbiamo occupato l'ente che gestisce le relazioni commerciali tra l'Italia in segno di solidarietà con la tragedia che si sta consumando lì". Lo fa sapere un attivista di Action e della 'Rete verso il Primo Marzò, Bartolo Mancuso, annunciando un corteo di immigrati che si svolgerà nella Capitale proprio il Primo marzo, per "rivendicare i diritti degli immigrati, al fianco del popolo libico oppresso da Gheddafi"
SHOPPING MOGLIE GHEDDAFI GIORNI FA A VIENNA, STAMPA Mentre il suo Paese è in fiamme e il dittatore sta per capitolare, la moglie del colonnello Muammar Gheddafi, Safiya Gheddafi, madre di sette figli, è stata nei giorni scorsi a fare in segreto shopping a Vienna. È quanto riferisce oggi in prima il tabloid austriaco Oesterreich, citando fonti dell'ambasciata libica a Vienna, che peraltro ieri ha preso le distanze dal regime Gheddafi.
MARONI, EUROPA PASSI DA PAROLE A FATTI "Tutti dicono di essere pronti, ma bisogna passare dalle dichiarazioni alle azioni: si deve costituire il Fondo di solidarietà per attuare le iniziative che noi dei sei Paesi del Mediterraneo abbiamo proposto per affrontare l'emergenza Nord Africa". Lo ha detto il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, parlando a Bruxelles, prima della riunione del Consiglio Europeo affari interni.
TESTIMONI: GHEDDAFI PERDE IL CONTROLLO DI ZUARA Le milizie anti-governative libiche hanno preso il controllo della città di Zuara (45mila abitanti), circa 110 chilometri ad ovest della capitale Tripoli. Lo ha annunciato l'emittente Al Jazeera, che cita testimoni oculari che hanno attraversato il confine con la Tunisia.
INSORTI ALL'EST, MARCEREMO SU TRIPOLI Furibondi per la feroce repressione scatenata dal regime di Muhammar Gheddafi nella Libia occidentale, in larga misura ancora sotto il controllo governativo, i ribelli che si sono impadroniti praticamente di tutta la parte est del Paese, fino alla frontiera con l'Egitto, hanno avvertito che marceranno sulla capitale.
SCARONI, PROBLEMA FORNITURE GAS NON SI PONE "Il problema delle forniture di gas per l'Italia è un problema che non si pone". Lo ha detto l'amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, a margine di una audizione al Copasir.
MARONI, CATASTROFE, EUROPA SIA SOLIDALE Dalla Libia può arrivare un'ondata di immigrazione di "proporzioni catastrofiche" e l'Europa non può "lasciare l'Italia da sola". Lo ha detto il ministro dell' Interno, Roberto Maroni, all'arrivo al Consiglio europeo Affari Interni a Bruxelles. Il ministro ha ricordato che "Frontex, e non noi, ha parlato di 1 milione e mezzo" di rifugiati, ed ha osservato che "esiste il pericolo Al Qaida". MARONI, È EMERGENZA UMANITARIA
ALITALIA,MANCA SICUREZZA,SOSPESI VOLI SU TRIPOLI L'Alitalia ha sospeso i voli di linea con Tripoli. "A causa dell'aggravarsi della situazione presso l'aeroporto di Tripoli - afferma l'Alitalia in una nota - - dove è compromessa la possibilit… per i passeggeri di raggiungere i gate d'imbarco, non funzionano i collegamenti telefonici interni e internazionali, sono a rischio le misure di sicurezza e i servizi di handling e di assistenza - Alitalia, in linea con quanto deciso da altre compagnie aeree, sospende i voli di linea sulla destinazione fino a che non saranno ripristinate le necessarie condizioni operative".
USA PREOCCUPATI PER ARMI CHIMICHE DI GHEDDAFI IL Pentagono e l'intelligence americana sarebbero preoccupati per gli arsenali di armi chimiche (come gas mostarda e varie) del regime libico. Secondo gli esperti, scrive oggi il Washington Times, la Libia dispone di circa 14 tonnellate di gas mostarda che non sarebbero ancora state distrutte nonostante l'annuncio del 2003 della rinuncia da parte della Libia al suo arsenale di armi di distruzione di massa.
LIBIA: TESTIMONE, GHEDDAFI STA BOMBARDANDO ZAWIA "Le milizie di Gheddafi stanno bombardando Zawia, la stanno massacrando, la gente sta morendo". È l'allarme lanciato da una testimone oculare
****** L'articolo di Umberto De Giovannangeli Sta trasformando la Libia in un immenso cimitero. Disseminato di fosse comuni, in cui vengono seppellite centinai, migliaia di persone: uomini, donne, bambini. Un genocidio. Ideato, organizzato, da Muammar Gheddafi. Ci sono almeno 10.000 morti e 50.000 feriti in Libia: a riferire l'agghiacciante bilancio è il componente libico della Corte penale internazionale (Cpi), Sayed al Shanuka, intervistato dalla tv pan-araba Al Arabiya. "Schiacciare i ratti", aveva ordinato il Colonnello. Nella sua battaglia finale, Gheddafi ha anche a pianificato di bombardare i pozzi di petrolio, ma il pilota si è rifiutato. Lo afferma il capo della brigata di sicurezza di Tobruk, che si è unito ai manifestanti, riferisce sempre Al Arabiya. "La giornata oggi (ieri, ndr) è trascorsa in maniera tranquilla ma ci aspettiamo il peggio da un momento all'altro perchè Tripoli sarà l'ultima battaglia". È una calma apparente quella che racconta Fatima da Tripoli durante i giorni della rivolta contro il Rais. Ma la paura più grande, dice, "è che il governo utilizzi le bombe chimiche e biologiche". "C’è bisogno immediato di un'inchiesta indipendente per crimini contro l'umanità" in Libia, le fa eco l’Alto commissario per i Diritti umani dell'Onu, Navi Pillay, a Bruxelles dopo un incontro con il presidente della Commissione europea Jose Manuel Barroso. La commissaria ha specificato che "serve un mandato intergovernativo" ed ha annunciato che domani a Ginevra si terrà una riunione straordinaria del Consiglio Onu per i Diritti umani per i fatti di Libia: "In quella circostanza - sottolinea - mi aspetto di avere una raccomandazione in tal senso". Il regime ha paura della verità. E per questo prova a intimorire la stampa internazionale. Il viceministro libico degli Esteri, Khaled Kaim, ha avvertito i che i giornalisti entrati illegalmente in Libia saranno considerati come "collaboratori di al Qaeda" e "come dei fuorilegge". "Ci sono dei giornalisti che sono entrati illegalmente e noi li consideriamo ormai come collaboratori di al Qaeda, come dei fuorilegge e non siamo responsabili per la loro sicurezza. E se non si presenteranno alle autorità saranno arrestati", dice il viceministro ai giornalisti. "Abbiamo autorizzato tre troupe di Cnn, al Arabiya e Bbc in arabo di entrare in Libia. Un corrispondente di Cnn che è entrato illegalmente deve unirsi alla troupe, altrimenti verrà arrestato", taglia corto Kaim. Il cerchio si stringe attorno a Gheddafi. L'opposizione libica controlla ormai la parte orientale del Paese, con molti militari che si sono uniti ai manifestanti. Secondo fonti locali l'opposizione controlla ormai tutta la zona costiera che va dalla frontiera egiziana fino ad Adjabiya, passando per Tobruk e Bengasi; ad Al Bayda, teatro di alcuni degli scontri più violenti degli ultimi giorni, numerosi miliziani fedeli al raìs sarebbero stati giustiziati.
Mentre il Colonnello si appresta alla "battaglia finale", i suoi familiari incontrano sulla propria strada solo porte chiuse. A Malta il caso più clamoroso: un aereo libico che cercava di atterrare senza autorizzazione ha perso il braccio di ferro con le autorità dell'isola ed è stato costretto a tornare indietro. Tra le 14 persone a bordo dell'Atr42 della Libyan Airlines c'era anche la figlia di Gheddafi, Aisha, 34 anni, avvocato divenuta celebre per aver fatto parte del team legale di Saddam Hussein. Il no all'atterraggio, si apprende da fonti vicine al governo maltese, è stato deciso "per non creare un precedente". In Libano, invece, è stata negata l'autorizzazione all'atterraggio di un aereo privato, su cui si trovava la moglie di origine libanese del quintogenito di Gheddafi, il controverso Hannibal, e altri suoi familiari. Tripoli nel caos, con "squadre della morte" paramilitari che sparano a casaccio per uccidere e poi eliminano le prove degli omicidi: si legge in una testimonianza dalla capitale libica pubblicata dalla Bbc online. "Ci sono crescenti resoconti di quelli che sembrano assassinii da parte delle truppe paramilitari, con i cadaveri che vengono immediatamente caricati su camion e auto, così come le prove delle sparatorie, i bossoli, e il sangue sulle strade che viene lavato con l'acqua". L'emittente britannica cita poi il caso di quattro persone uccise di fronte alla sede della Tv di Stato, almeno una delle quali con colpi di arma da fuoco a bruciapelo. Si rincorrono le testimonianze sulle ore di terrore che si vivono a Tripoli: nel distretto di Jansour, riferisce Al Jazira, gli abitanti si sono barricati nelle case, nel timore di essere aggrediti dalle squadre della morte in borghese che si aggirano armate di spade e armi da fuoco. "Abbiamo barricato la porta con divani e mobili - racconta una donna all'emittente araba -, per cercare di impedirgli di entrare in casa, come hanno fatto in altre palazzine. Si sentono colpi in lontananza". 26 febbraio 2011
Riparla Gheddafi: "Criminali drogati da Bin Laden" IMG Il leader libico Muammar Gheddafi ha iniziato a parlare alla tv di Stato libica in collegamento telefonico. Condoglianze alle famiglie degli ufficiali morti Gheddafi ha offerto in diretta tv le condoglianze alle famiglie degli ufficiali e degli uomini della sicurezza lealisti morti durante gli scontri contro i rivoltosi anti-regime. "Ribelli manipolati da Bin Laden" "Questa gente non ha richieste. Le loro richieste vengono dettate da Bin Laden. I vostri figli sono manipolati da Bin Laden". "Bin Laden sta drogando i vostri figli" Al Qeada "sta impasticcando i vostri figli": è il monito lanciato da Muammar Gheddafi agli abitanti di al-Zawyah, la città pesantemente bombardata stamane dalle forze lealiste, nel corso di una telefonata in diretta con la tv di stato libica. "Ciò che sta accadendo in Libia non è simili a quello che è accaduto in Egitto" ha sostenuto il rais incitando ancora una volta i libici ad uscire per le strade per combattere i rivoltosi. "Droga a gente di Zawia" Quel che sta accadendo a Zawia è una commedia: gli uomini di Bin Laden hanno distribuito le droghe nell'acqua, nello yogurth, nel cibo agli abitanti, che armati stanno devastando la città", ha aggiunto Gheddafi. "Rivolta farsa" "Non c'è nessuna rivolta nel Paese, ma è tutta una messa in scena di Al-Qaeda, che vuole mettere le mani sulla Libia". Lo ha detto il leader libico Muhammar Gheddafi in un discorso telefonico alla televisione di Stato per alla popolazione di as-Zawiyah, città situata una cinquantina di chilometri a ovest di Tripoli. "Se non smettete faremo la fine dell'Iraq" "Vedete cosa è successo in Iraq, in Afghanistan, se continuate succederà lo stesso, voi state distruggendo la storia del vostro Paese". Mentre il leader libico Muammar Gheddafi tiene il suo discorso in diretta tv, in collegamento telefonico, l'annunciatore dell'emittente di Stato rimane muto e in ascolto "del fratello, guida della rivoluzione". Con questo sottopancia, scritto in bianco su sfondo verde, la tv di Stato sta presentando l'intervento "spontaneo" di Gheddafi. Gheddafi esorta alla Jihad Il raìs ha esortato i libici ad una jihad contro i rivoltosi così come "quando gli italiani colonizzarono una nostra terra ci fu una jihad contro gli italiani". "Genitori disarmate e arrestate i vostri figli" "I vostri figli vengono utilizzati per raggiungere uno scopo. Disarmateli e catturateli! Genitori, fratelli, uomini di chiesa, intellettuali, avete una responsabilità: dovete parlare con loro e arrestare chi li ha manipolati". Lo ha detto il leader libico Muammar Gheddafi al telefono con la tv libica. "Se si ferma flusso petrolio, come vivremo?" "se il pozzo si asciuga avrai sete". Nel suo intervento odierno Gheddafi ha giocato anche la carta dell'appello alla popolazione, sottolineando che il livello di vita accettabile al quale erano abituati verrebbe messo in discussione dalle rivolte in atto. "Se il flusso di petrolio sarà fermato mi chiedo come saremo in grado di sopravvivere" - ha detto -, ventilando un abbassamento dei "salari e degli altri redditi". Si paragona alla regina Elisabetta II "Ci sono persone al potere da più tempo di me, come la regina Elisabetta II, ma a lei non sta accadendo nulla": è quanto ha detto il leader libico Muammar Gheddafi a conclusione del suo discorso e trasmesso dalla tv di Stato. 24 febbraio 2011
"Libia, Usa non escludono intervento militare" Colloquio telefonico Berlusconi-Obama obama sarkozy Meno di 24 ore dopo le prime dure, ma prudenti parole del presidente Usa Barack Obama sulla Libia, la Casa Bianca, di concerto con i gli alleati europei britannici e francesi, indurisce i toni, dicendosi pronta ad agire in fretta e ribadendo che nessuna opzione verrà esclusa per risolvere la situazione e proteggere i cittadini americani. Obama ha parlato oggi con il premier britannico David Cameron e il presidente francese Nicolas Sarkozy. Secondo l'Eliseo, Sarkozy ha chiesto una nuova riunione urgente del Consiglio di Sicurezza dopo quella dei giorni scorsi che ha visto l' approvazione all'unanimità di una prima dichiarazione di ferma condanna delle violenze. Dove un primo consenso sembra delinearsi senza difficoltà tra Usa, Gb e Francia, tutti e tre con diritto di veto in seno al Consiglio di Sicurezza, è sulla necessità di espellere la Libia dal Consiglio Onu sui diritti umani. Ne parleranno a Ginevra, dove il Consiglio ha la sede, i ministri degli Esteri nelle prossime ore, e tra questi il segretario di Stato Usa Hillary Clinton, attesa lunedì in Svizzera. A New York, consultazioni a porte chiuse del Consiglio di Sicurezza sono in calendario a breve, mentre nei corridoi del Palazzo di Vetro iniziano a circolare le prime voci incontrollabili (e al momento fantascientifiche), come l'ipotesi di un possibile e non meglio definito intervento o raid militare sotto il cappello dell'Onu. È vero che gli Usa non escludono mai l'opzione militare, ma si tratta di un punto fermo della loro dottrina militare, e da sempre. Ai giornalisti che gli chiedevano se erano alla studio anche le opzioni militari, il portavoce della Casa Bianca Jay Catrney ha detto: "Non escludo le nostre opzioni bilaterali, non escludo nulla", sposando ancora una volta la tradizionale posizione statunitense. Più concretamente, tra le ipotesi allo studio sembra emergere con forza quella della no-fly zone, cioè di una zona di non volo per proteggere da eventuali raid aerei libici le aree petrolifere e le popolazioni civili che si oppongono a Muammar Gheddafi, che secondo il Dipartimento di Stato avrebbe fatto pervenire un messaggio agli Usa. Ma come aveva spiegato in una intervista il segretario Usa alla Difesa Robert Gates, risulta difficile agli Usa organizzare una no-fly zone, come probabilmente lo è anche per i britannici. Sarebbe più facile secondo il capo del Pentagono, affidare la missione a paesi come Francia ed Italia. Per il momento, visti che numerosi americani non riescono per il momento a lasciare il Paese, Obama ha in realtà le mani legate, nel timore che il regime di Gheddafi possa prenderli in ostaggio, avviando una escalation difficile da controllare e dagli esiti incerti, a poco più di un anno dalle elezioni presidenziali americane. 24 febbraio 2011
2011-02-22 Gheddafi: "Non mi dimetto". Berlusconi lo chiama VERTICE, RISCHIO 200-300MILA MIGRANTI IN ARRIVO C'è il rischio che arrivino in Italia 200-300mila migranti in fuga dalla Libia. È uno degli scenari - secondo quanto si apprende da fonti governative - emerso nel vertice in corso a palazzo Chigi. LIBIA: P.CHIGI, COLLOQUIO TELEFONICO BERLUSCONI-GHEDDAFI Nota di palazzo Chigi: "Il presidente del Consiglio Berlusconi ha avuto nel pomeriggio una conversazione telefonica con il leader della Jamahiriya libica, Muammar el Gheddafi". H.CLINTON, NO A VIOLENZE, RISPETTO DIRITTI UMANI Gli Stati Uniti condannano le violenze in Libia e chiedono il rispetto assoluto dei diritti umani. Lo ha detto il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton. GHEDDAFI PROMETTE NUOVA COSTITUZIONE Il colonnello Gheddafi si è rivolto ai giovani promettendo da domani una nuova Jamahirya (stato delle masse), con libera stampa, diritti dei blogger, una nuova costituzione e un nuovo sistema giuridico. ACCUSE A ITALIA E USA: RAZZI A MANIFESTANTI Il Colonnello Muammar Gheddafi ha accusato, nel suo intervento televisivo, Usa e Italia di avere "distribuito ai ragazzi a Bengasi" razzi rpg. "VOGLIONO TRASFORMARE LIBIA IN EMIRATO" I rivoltosi "vogliono trasformare il paese in un emirato". Gli scontri di questi giorni, ha aggiunto Gheddafi, "hanno l'obiettivo di consegnare il paese all'America o a Bin Laden". "Abbiamo dato incarico di arrestare tutti questi malfattori - ha proseguito il leader libico -. saranno puniti secondo la legge". GHEDDAFI: NON MI DIMETTO, RESTO FINO ALLA MORTE "Resterò a capo della rivoluzione fino alla morte". Lo ha detto il leader libico Muammar Gheddafi nel suo intervento in tv. "Io sono un rivoluzionario. Ho portato la vittoria in passato di questa vittoria si è potuto godere per generazioni". "Tutte le nazioni africane ci considerano l'America". "La vostra immagine è distorta nei mass media arabi per umiliarvi". "I manifestanti sono ratti pagati dai servizi segreti". IL DISCORSO DA UN PALAZZO DIROCCATO I consueti occhiali fumè, turbante color cammello e casacca con mantella sulla spalla ton sur ton. È apparso così il colonnello Muammar Gheddafi nel discorso alla Tv di Stato libica. Il leader libico ha parlato, in piedi, con toni accalorati da guerriero beduino e spesso gesticolando con le mani, in un ambiente che assomiglia ad un edificio diroccato. Dopo una quindicina di minuti dall'inizio del discorso al leader libico è stato portato un bicchier d'acqua. ENI: TEMPORANEO STOP DI GREGGIO E GAS "In relazione all'attuale situazione in Libia alcune attività di produzione petrolifera e di gas naturale sono state temporaneamente sospese in via precauzionale e i relativi impianti sono stati messi in sicurezza". Lo afferma l'Eni in una nota, aggiungendo che "le installazioni di produzione e trattamento di idrocarburi nel Paese non hanno subito alcun danneggiamento". NAVE GUERRA TRIPOLI A LARGO DI MALTA Una nave da guerra libica, con 200 marinai a bordo, incrocia al largo della Valletta, sotto la sorveglianza di unità militari maltesi. Lo rendono noto fonti militari locali. I libici hanno comunicato via radio di aver ammainato la bandiera libica, ma non hanno chiesto asilo politico, secondo le fonti. Il governo maltese sta tenendo una riunione d'emergenza. AMBASCIATORE FEDELE A GHEDDAFI Contrariamente al suo vice Ibrahim Dabbashi che parla di "genocidio", il rappresentante permanente della Libia all'Onu, Mohamed Shalgham, rimane fedele al leader Muammar Gheddafi. IL C130 PER ITALIANI NON ATTERRERA' A BENGASI Non atterrerà a Bengasi, dove l'aeroporto è stato bombardato, l'aereo C130 dell'Aeronautica Militare che partirà oggi per rimpatriare i primi 100 italiani residenti nella città di Bengasi. Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, da Abu Dhabi, non rivela quale pista sceglierà "per motivi di riservatezza". ONU, ALL'ESAME TESTO DI CONDANNA GHEDDAFI Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, riunito oggi a New York, sta esaminando una dichiarazione di condanna delle violenze in Libia: dovrebbe essere approvata oggi. GHEDDAFI PARLERA' IN TV Il leader libico, Muammar Gheddafi, parlerà al Paese nel pomeriggio in un discorso teletrasmesso: lo ha annunciato la televisione libica senza specificare l'ora. TRIPOLI, SCARSEGGIA CIBO A Tripoli comincia a scarseggiare il cibo, la città è semideserta, ma si sentono colpi d'arma da fuoco e miliziani fedeli al regime scorrazzano nelle strade e intimidiscono la popolazione. MINISTRO ESTERI TEDESCO: GHEDDAFI SPACCIATO Il regime di Gheddafi è spacciato e per la Germania e il mondo democratico l'ingerenza è adesso "un dovere" morale. Lo ha affermato questa mattina alla televisione pubblica Zdf il ministro degli Esteri Guido Westerwelle (Fdp): "una famiglia dominatrice che minaccia di guerra civile il proprio popolo è arrivata alla fine". AL JAZIRA: TRIPOLI, BOMBARDAMENTI E CADAVERI Al Jazira: bombardamenti su Tripoli, cadaveri per le strade. "Aerei da guerra ed elicotteri d'assalto stanno martellando indiscriminatamente un settore della città dopo l'altro", ha raccontato uno dei testimoni, Adel Mohammed Saleh. "Ci sono un sacco di morti". D'ALEMA: FLUSSO GAS RALLENTA "La Libia più l'Algeria fanno il 43% dell'energia italiana - ha detto Massimo D'Alema - della luce e del gas. La sicurezza energetica è una parte fondamentale della sicurezza del Paese. Uno degli effetti di questa mattina è che comincia a rallentare il flusso del gas". FRATTINI: NIENTE SOSPENSIONI DEL GAS "Allo stato non ci risultano sospensioni di forniture di gas".Lo ha affermato il ministro degli esteri Franco Frattini rispondendo ai giornalisti al Cairo. PALAZZO CHIGI STASERA VERTICE SUL GAS La fornitura di gas dalla Libia sarà uno dei temi del vertice di questa sera a Palazzo Chigi con Berlusconi e il responsabile dello Sviluppo economico, Paolo Romani. Lo ha detto il ministro egli Esteri, Franco Frattini AL JAZIRA MOSTRA CORPI CARBONIZZATI Cadaveri carbonizzati e resti di corpi umani "appartenenti alle vittime" dei bombardamenti compiuti contro i civili a Bengasi sono stati mostrati oggi dalla tv panaraba al Jazira. L'emittente ha trasmesso le crude immagini "riprese stamattina tramite telefoni cellulari" nella città costiera a est di Tripoli. Sempre al Jazira ha mostrato altre immagini, "riprese" nell'ospedale centrale della capitale, dei civili uccisi nelle ultime 24 ore a Tripoli da colpi di arma da fuoco sparati da "mercenar". NAPOLITANO: STOP VIOLENZE, ASCOLTARE POPOLO Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sta seguendo con attenzione le drammatiche notizie provenienti dalla Libia. Il Capo dello Stato sottolinea come "alle legittime richieste di riforme e di maggiore democrazia che giungono dalla popolazione libica vada data una risposta nel quadro di un dialogo fra le differenti componenti della società civile libica e le autorità del Paese che miri a garantire il diritto di libera espressione della volontà popolare". Lo afferma una nota del Quirinale. CAMERON, MEA CULPA: DECENNI DI SOSTEGNO A REGIMI "Abbiamo sbagliato a sostenere i dittatori": in Kuwait, il primo ministro britannico David Cameron ha fatto mea culpa per decenni di "diplomazia delle truppe cammellate" in appoggio a "regimi strettamente controllati" per mantenere la stabilità in Medioriente. Criticato in patria per essersi portato al seguito otto pilastri dell'industria britannica delle armi, il premier britannico ha detto che il suo paese si è reso colpevole di "pregiudizi che sfiorano il razzismo" per aver giudicato i musulmani incapaci di convivere in democrazia. Cameron ha fatto appello a scegliere le riforme. D'ALEMA: "STUPIDO GIOCO DI SCARICABARILE" "Non scherziamo, è uno stupido gioco di scaricabarile. Il Paese è coinvolto e dobbiamo vedere come affrontare questa situazione". Lo ha affermato il presidente del Copasir, Massimo D'Alema, a proposito della drammatica crisi in Libia. "Ci sono le connessioni economiche - ha aggiunto - la Libia è socia, è dentro il controllo delle principali aziende italiane. Alcuni giornali si sbizzarriscono a parlare delle complicità. Alcuni di noi facendo politica hanno avuto rapporti con quei regimi. Se vogliono approfondire questi rapporti - ha concluso - possono rivolgersi alle loro proprietà: c'è molto materiale molto più che nella politica". PALAZZO CHIGI: NOI CON POPOLO, FALSE VOCI AIUTI MILITARI CONTRO CIVILI "L'Italia è vicina al popolo libico che sta attraversando un momento tragico della sua storia". Lo hanno riferito fonti di Palazzo Chigi, che smentiscono categoricamente che vi sia stato alcun aiuto italiano nella repressione delle manifestazioni. "Sono totalmente false, provocatorie e prive di fondamento le voci riguardo a presunti aiuti italiani, militari o sotto qualsiasi altra forma, nelle azioni contro i manifestanti e a danno dei civili", hanno spiegato le fonti di Palazzo Chigi. UE: NO PROBLEMI PER GAS ITALIA Non ci sono problemi di forniture di gas per l'Italia, anche se è stata registrata la diminuzione dei livelli di forniture di gas dalla Libia. Lo ha detto una portavoce della Commissione Ue, riferendo che Bruxelles è in stretto contatto con l'Italia. TERMINALI PETROLIFERI CHIUSI È stato interrotto il funzionamento dei terminali petroliferi libici sul Mediterraneo. Lo riferisce la tv panaraba al Arabiya con una scritta in sovrimpressione. CORTE DELL'AJA: 600 MORTI La Corte penale internazionale dell'Aja afferma che in Libia circa 600 persone sono morte negli ultimi cinque giorni di disordini e che il tribunale con sede all'Aja "sta cercando prove per processare il presidente libico Muammar Gheddafi". BENGASI IN MANO AI CITTADINI "La popolazione a Bengasi si sta organizzando in comitati civici per ripristinare l'ordine nella città, dove non ci sono soldati, né poliziotti e tantomeno figure pubbliche". Lo ha riferito il corrispondente della Bbc da Bengasi, citando come testimone il dottor Ahmad Bin Tahir. "L'esercito controlla ancora la periferia della città e l'aeroporto. Le comunicazioni sono difficili e tutte le chiamate internazionali sono state disabilitate", ha aggiunto la fonte. FRATTINI: RISCHIO GUERRA CIVILE ED EMIGRAZIONE EPOCALE "Siamo molto preoccupati per il rischio di una guerra civile e per i rischi di un'immigrazione verso l'Unione Europea di dimensioni epocali". Lo ha detto il ministro degli esteri Franco Frattini durante una conferenza stampa al Cairo seguita all'incontro con il segretario generale della Lega Araba Amr Mussa. ALITALIA, VOLO SPECIALE ALLE 13 PER ITALIANI Partirà alle 13 dal 'Leonardo Da Vinci' di Fiumicino un primo volo speciale di Alitalia, concordato con la Farnesina, che si affiancherà ai voli di linea previsti per il rientro dei connazionali dalla Libia. Alitalia, oltre ai due collegamenti giornalieri (uno già partito per Tripoli questa mattina alle 8.15), ha messo a disposizione un volo speciale con un Boeing 777 capace di 280 posti. NAVE ITALIANA SALPA OGGI La nave della marina militare Francesco Mimbelli salperà oggi da Taranto per recarsi in acque internazionali, al largo delle coste libiche. È un cacciatorpediniere lanciamissili, unità multiruolo con un equipaggio di circa 400 persone, specializzata nella difesa dello spazio aereo. FORNITURE DI GAS RISCHIANO LO STOP? La crisi libica sta portando ad un progressivo stop delle forniture di gas. Lo scrive l'agenzia Ansa riferendosi a fonti qualificate di settore. Gli approvvigionamenti non si sono interrotti anche se "la situazione è molto complicata", ha dichiarato il sottosegretario allo Sviluppo economico, Stefano Saglia. Il quale ha aggiunnto che la Commissione emergenza gas del ministero monitora la situazione e che ha già allertato il Comitato di sicurezza sulle forniture. PRESS TV: RAID AEREI STAMATTINA SU TRIPOLI Secondo press tv alle prime ore di questa mattina aerei militari libici hanno compiuto nuovi raid nella capitale, ma diversi politici e membri dell'esercito sarebbero passati dalla parte dei manifestanti come protesta contro la sanguinosa repressione. DISTRUTTA PISTA AEROPORTO BENGASI La pista dell'aeroporto di Bengasi è stata distrutta e gli aerei non possono atterrare. Lo ha detto il ministro degli Esteri egiziano, citato dalla tv araba al Jazeera. LEGA ARABA, RIUNIONE URGENTE PER LIBIA I 22 paesi membri della Lega Araba si riuniranno alle 17, ora locale, al Cairo per discutere della crisi libica. AL JAZIRA: "NUOVI RAID AEREI SU TRIPOLI" Residenti a Tripoli citati dalla tv Al Jazira sul suo sito riferiscono di nuovi attacchi aerei questa mattina su alcuni quartieri di Tripoli. Secondo le fonti "mercenari" sparano sui civili in città. HAMAS CONDANNA MASSACRI In un comunicato il movimento islamico Hamas, che controlla la striscia di Gaza, si è appellato "al popolo palestinese, ai musulmani e agli arabi per condannare questi massacri", sottolineando che "il regime libico ha usato la forza aerea contro contro il suo stesso popolo che manifestava pacificamente". GHEDDAFI IN TV: SONO A TRIPOLI, SMENTISCO LE TV, QUEI CANI Il leader libico Muammar Gheddafi è apparso in televisione per smentire le voci circolate ieri che lo davano in fuga dalla Libia, sconvolta da giorni dalle proteste e da una violenta repressione, e riparato in Venezuela: "Vedrò i giovani in Piazza Verde. Per dimostrare che sono a Tripoli e non in Venezuela, e smentire le televisioni, questi cani". Il colonnello, ripreso dalla televisione di stato libica nella sua residenza di Bab Al Aziziya, a Tripoli è apparso in cappotto, che sale su un'automobile, con un ombrello bianco in mano per proteggersi dalla pioggia, davanti alla sua residenza-caserma di Bab Al Aziziya. gheddafi tvLe immagini sono state da alcuni definite "surreali": 22 secondi in tutto invece di un discorso alla nazione. Seduto in una sorta di pulmino bianco, dopo poche parole il leader libico ha salutato, ha chiuso l'ombrello ed è rientrato nel veicolo senza aggiungere altro. Il ministro degli Esteri britannico, William Hague, aveva dichiarato ieri pomeriggio, a Bruxelles, che il colonnello era fuggito nella terra di Chavez. TV DI STATO LIBICA: NIENTE MASSACRI Secondo la tv di stato Libica non c'è stato alcun "massacro" e ha parlato di disinformazione basata su "menzogne e semplici voci. Dicono che vi siano stati massacri in diverse città e villaggi. Dobbiamo lottare contro queste menzogne e semplici voci che sono gli strumenti di una guerra psicologica", recita il sottotitolo trasmesso su banda rossa sulla televisione Al-Jamahiriya. Queste notizie, prosegue la scritta "vogliono distruggere il vostro morale, la vostra stabilità, le vostre ricchezze". L'emittente ha riferito che le forze di sicurezza hanno preso d'assalto "diversi nidi di sabatatori". ONU, RIUNIONE D'EMERGENZA SU LIBIA Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si riunirà in seduta di emergenza a porte chiuse alle 15 ora italiana di oggi, le 21 a New York, per discutere della crisi in Libia: lo ha detto il segretario generale, Ban Ki-moon a Los Angeles. La riunione dell'organo decisionale dell'Onu è stata sollecitata dall'ambasciatore libico aggiunto presso il Palazzo di Vetro, Ibrahim Dabbashi. Come molti altri diplomatici del Paese nord-africano ha preso le distanze dal regime sollecitando Gheddafi a "lasciare il potere il prima possibile" e ha chiesto alla comunità internazionale di impedire che il leader libico "si rifugi in un Paese terzo". BAN KI-MOON, ONU: "OLTRAGGIATO DA VIOLENZE SUI MANIFESTANTI" Il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon si è detto "oltraggiato" dalla notizia che le forze di sicurezza libica hanno "sparato sui manifestanti usando aerei da guerra ed elicotteri". Ban in giornata aveva parlato con Muammar Gheddafi chiedendogli di porre fine alle violenze ritiene ora che "se (la notizia) di questi attacchi contro i civili verrà confermata costituirebbe un grave violazione della diritto umanitario internazionale e dovrebbe essere condannato dall'Onu nei termini più duri".
LA CRONACA DI LUNEDI' 21
AL JAZIRA; UFFICIALI, SOLDATI UNITEVI A RIVOLTA Un gruppo di ufficiali dell'esercito libico ha pubblicato una dichiarazione in cui esortano i soldati a "unirsi al popolo" per abbattere il regime di Muammar Gheddafi. Una sorta di contrappasso per il colonnello che assunse il potere con un golpe incruento di "giovani ufficiali" destituendo nel 1969 re Idriss. Lo riferisce al Jazira. UE TEME NUOVE ONDATE MIGRATORIE L'Unione europea teme nuove ondate migratorie dalle coste del Nord Africa verso quelle dei Paesi della sponda opposta del Mediterraneo ed è pronta ad aiutare gli Stati che verranno a trovarsi in difficoltà. "La situazione resta molto fluida e al momento è difficile avanzare delle cifre", ha detto Michele Cercone, portavoce della commissario per gli affari interni Cecile Malmstrom, rispondendo a chi chiedeva indicazioni su quanti migranti sarebbero pronti a sbarcare sulle coste europee.
FIGLIO GHEDDAFI, BOMBARDATI DEPOSITI ARMI Seif al-Islam, uno dei figli del leader libico Muammar Gheddafi, ha detto questa sera alla tv libica che l'aeronautica ha bombardato alcuni depositi di armi in zone periferiche e non zone urbane popolate di Tripoli e Bengasi.
CLINTON, "BAGNO DI SANGUE INACCETTABILE FINISCA ORA" Dopo un intera giornata di silenzio assordante gli Usa tornano a fare sentire la loro voce sulla libia. Hillary CLinton ha chiesto alle autorità di Tripoli di porre fine immediatamente a questo "inaccettabile bagno di sangue". AL ARABIYA, IMMINENTE DISCORSO GHEDDAFI Il leader libico Muammar Gheddafi rivolgerà a breve un discorso al paese. Lo ha annunciato la Tv satellitare araba Al Arabiya senza fornire altri particolari.
VENEZUELA: GHEDDAFI E' IN LIBIA Il governo venezuelano smentisce ufficialmente la voce che dava Muammar Gheddafi in volo verso Caracas. Il ministro degli Esteri Nicolas MAduro ha dichiarato che il leader libico è ancora a Tripoli dove "sta gestendo la situazione". IMAM SUNNITA: SOLDATI, UCCIDETE GHEDDAFI Yusuf al-Qaradavi, l'influente imam sunnita di origine egiziana, ha emesso una fatwa (un decreto religioso) che chiede a tutti i soldati libici di uccidere Muammar Gheddafi "per liberare la Libia". Il religioso, 82 anni, è noto per i suoi accesi sermoni alla tv al Jazira, seguiti da circa 40 milioni di telespettatori. SPAZIO AEREO CHIUSO Lo spazio aereo su Tripoli è stato chiuso fino a nuovo ordine. Lo ha comunicato stasera all'Afp un portavoce dell'esercito austriaco che con un velivolo contava di evacuare verso Malta cittadini austriaci e europei. TESTIMONI: "MASSACRO A TRIPOLI. ANCHE DA ELICOTTERI" Testimoni hanno parlato di "un massacro" oggi nei sobborghi tripolini di Tajura all'Agence France Presse definendo l'accaduto "un massacro". Bande armate nel quartiere di Tajura hanno sparato indiscriminatamente contro la folla uccidendo e ferendo anche donne mentre le moschee lanciano appelli per aiuti medici. A Fashlum invece i mercenari sarebbero arrivati trasportati da elicotteri militari: anche qui vi sarebbero state delle sparatorie con numerosi morti. libia scontri ferito 640 DELEGAZIONE LIBICA ONU: DA GHEDDAFI "CRIMINI CONTRO UMANITA'" La delegazione libica all'Onu, guidata dal vice-ambasciatore libico alle Nazioni Unite, Ibrahim Dabbashi, la squadra diplomatica libica ha accusato Gheddafi di essere colpevole "di crimini contro l'umanità", di "genocidio".
MINISTRO ALL'EMIGRAZIONE: GHEDDAFI DIMETTITI Anche il ministro dell'Emigrazione e della Comunità Straniera, Ali Errichi, si è dimesso e ha chiesto a Muammar Gheddafi di dimettersi. Errichi, al momento a Boston negli Usa, lo ha detto ad al Jazira. Già si era pronunciato per le dimissioni lasciando il suo posto il ministro della Giustizia Mustafa Abdeljalid.
NAVE ITALIANA PATTUGLIERA' ACQUE INTERNAZIONALI Una nave della Marina militare italiana salperà per controllare le acque internazionali. "L'Elettra e la marina militare italiana è stata mobilitata per raggiungere le acque internazionael di fronte alla Libia", ha detto il ministro della Difesa La Russa, ad Abu Dhabi dov'è in visita ufficiale fino a domani.
FARNESINA: PIANO RIMPATRI La Farnesina ha annunciato un "piano di rimpatrio" per gli italiani in Libia. Prima un piano simile non era prevista.
RIMPATRIATI: BERLUSCONI CON GHEDDAFI HA SMINUITO ITALIA I rimpatriati italiani dalla Libia, "sono vicini alla popolazione libica vittima della repressione voluta dal colonnello Gheddafi". Attraverso una nota diffusa oggi dalla Airl, la loro associazione, si augurano che Berlusconi "comprenda l'errore di valutazione compiuto assecondando Gheddafi in tutte le sue bizzarrie: considerarlo interlocutore affidabile e di più, amico fraterno degno di baciamani e regalie, senza mostrare la necessaria fermezza, ha sminuito la dignità dell'Italia e anche di noi rimpatriati".
BERLUSCONI: INACCETTABILE VIOLENZA SU CIVILI Il presidente del Consiglio Berlusconi "segue con estrema attenzione e preoccupazione l'evolversi della situazione in Libia e si tiene in stretto contatto con tutti i principali partner nazionali e internazionali per fronteggiare qualsiasi emergenza". Il comunicato di Palazzo Chigi esce in tarda serata e definisce il premier "allarmato per l'aggravarsi degli scontri e per l'uso inaccettabile della violenza sulla popolazione civile. L'Unione europea e la comunità internazionale dovranno compiere ogni sforzo per impedire che la crisi libica degeneri in una guerra civile dalle conseguenze difficilmente prevedibili, e favorire invece una soluzione pacifica che tuteli la sicurezza dei cittadini così come l'integrità e stabilità del paese e dell'intera regione".
LE CITTA' CONTROLLATE ALLA PROTESTA Bengasi, Sirte e al Baida, tra le altre città, sarebbero in mano ai manifestanti. Lo affermano la (Fidh) e la tv al Jazeera, citando diverse fonti. "Molte città sono cadute, soprattutto nell'Est del Paese. Parte dei militari ha aderito" alla rivolta contro Muammar Gheddafi, ha dichiarato la presidente della Fidh, Souhayr Belhassen. Alcuni testimoni hanno però smentito la caduta di Sirte.
LA FEDERAZIONE DELLE LEGHE: 300-400 MORTI Secondo la Federazione internazionale delle leghe dei diritti dell'uomo (Fidh), nel Paese ci sarebbe un autentico bagno di sangue, con un numero di morti stimato fra i 300 e i 400: la Tv satellitare Al Arabya parla di 160 morti soltanto nella giornata di oggi.
AL VIA RIMPATRI ITALIANI Nella mattinata di domani partirà per Tripoli un primo volo speciale, concordato con la Farnesina, che si affiancherà ai voli di linea previsti per il rientro dei connazionali. La Farnesina conferma un piano di rimpatri degli italiani in Tripolitania, gestito con l'Alitalia. "Al momento l'Italia non prevede un piano di evacuazione", affermano dal ministero degli Esteri.
ALLERTATI CACCIA TRAPANI E GIOIA COLLE Allertati al "massimo livello di prontezza" gli Stormi dell'Aeronautica militare di Trapani e Gioia del Colle (Bari), da cui partono i caccia che hanno il compito di intercettare velivoli entrati senza autorizzazione nello spazio aereo nazionale. È quanto fanno sapere all'Aeronautica.
LA RUSSA, PER ORA NON PREVISTI RIMPATRI COATTI "Ove fosse necessario siamo pronti ad affrontare il problema" del rimpatrio degli italiani dalla Libia, "ma al momento non è previsto un rimpatrio coatto dei nostri connazionali".
PILOTI 2 CACCIA CHIEDONO ASILO POLITICO A MALTA I due piloti dei caccia libici, due Mirage di fabbricazione francese, atterrati a Malta alle 16,53 ora italiana hanno chiesto "asilo politico" alle autorità di La Valetta. Si tratta di due alti ufficiali, due colonnelli dell'aeronautica libica. I due Mirage erano partiti dalla base di Okba Ben Nafinel nord del Paede. Fonti aeroportuali maltesi hanno chiarito che i due elicotteri atterrati poco dopo trasportavano 7 dipendenti di un'impresa petrolifera francese, di cui una sola ha il passaporto con se.
TWEET SU BBC, APACHE SPARANO SU MARCIA Secondo un messaggio inviato via Twitter alla Bbc, elicotteri Apache hanno attaccato civili che stanno marciando da Misurata, terza citt… della Libia a est di Tripoli, verso la capitale.
AL JAZIRA, SI DIMETTONO AMBASCIATORI LONDRA E PECHINO Gli ambasciatori libici in Cina, Gran Bretagna, Indonesia, Polonia, India e presso la Lega Araba si sono dimessi dalle loro funzioni. Lo riferisce la tv satellitare Al Jazira.
AL JAZIRA, OLTRE 250 MORTI OGGI A TRIPOLI Al Jazira ha detto che sono oltre 250 le vittime dei bombardamenti sulla folla oggi a Tripoli. libia protesta SITO ARABO, IN MIGLIAIA A TRIPOLI CONTRO IL REGIME "Sono decine di migliaia i manifestanti anti-regime nelle strade di Tripoli, bersagliati dai tiri dell'artiglieria e dalle mitragliatrici degli aerei dell'aviazione militare che stanno sorvolando la capitale". Lo rendo noto il sito arabo Almanara nella sua pagina Facebook. "A Tripoli - si legge ancora - le milizie del regime in abiti civili e alla guida di auto senza targhe stanno uccidendo, picchiando e terrorizzando i civili ". "In tutta la Libia - sostiene almanara - sono stata tagliate le comunicazioni ed internet".
PRODI, GOVERNO ITALIANO? NON SI MUOVE NIENTE "Vedo che non si muove niente, non c'è presenza e basta. Non essendo al Governo non posso dire quello che deve fare il Governo": così l'ex Presidente del Consiglio, Romano Prodi, ha risposto a chi gli chiedeva un commento sulla posizione del Governo italiano circa la grave crisi e i disordini in Libia.
ITALIA, ALLERTA ALZATO DOPO AEREI LIBICI A MALTA Fonti della Difesa italiana, interpellate ad Abu Dhabi dove si trova in visita ufficiale il ministro Ignazio La Russa, hanno confermato l'innalzamento del livello di allerta, fino al massimo, nelle basi aeree italiane e l'invio nel sud della penisola di elicotteri. La decisione è stata presa dopo l'atterraggio a Malta di due aerei e due elicotteri libici.
USA ORDINA EVACUAZIONE DIPLOMATICI "NON ESSENZIALI" La situazione sta precipitando nella guerra civile in Libia. Pertanto gli Stati Uniti hanno ordinato l'evacuazione di tutto il personale diplomatico non essenziale e dei loro familiari e hanno chiesto ai connazionali di non recarsi nel Paese.
ALLERTA MASSIMO IN TUTTE BASI AEREE ITALIANE "In tutte le basi aeree italiane il livello di allarme sarebbe massimo in relazione alla crisi libica": è quanto apprende l'ANSA da qualificate fonti parlamentari. Secondo le stesse fonti, una consistente quota di elicotteri dell'Aeronautica militare e della Marina militare in queste ore avrebbe ricevuto l'ordine di spostarsi verso il sud.
AL JAZIRA, JET MITRAGLIANO I DIMOSTRANTI A TRIPOLI La rete pan-araba riferisce che mentre dal cielo i jet colpiscono i dimostranti con le mitragliatrici di bordo, nella capitale sono stati sparati colpi di cannone contro i dimostranti, non è chiaro se si tratti di carrarmati o di batterie di artiglieria.
ONU;BANK KI-MOON CHIAMA GHEDDAFI,BASTA VIOLENZE Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha parlato oggi, a lungo, con il leader libico Libia, Muammar Gheddafi, chiedendogli di cessare ogni violenza. Lo si legge in una nota diffusa dalle Nazioni Unite. Il documento non precisa se il colonnello si trovi ancora in Libia.
AL JAZIRA: MANIFESTANTI ATTACCATI DA AEREI Le forze aeree stanno colpendo i manifestanti a Tripoli: lo dice al Jazira in una scritta in sovraimpressione. libia proteste 640 GHEDDAFI IN VOLO VERSO VENEZUELA? Il ministro degli Esteri britannico Hague riferisce di informazioni che darebbero il dittatore libico in volo verso il paese guidato da Chavez.
UE: BASTA VIOLENZE L'Unione europea "condanna" la repressione delle manifestazioni in Libia e chiede la "cessazione immediata" dell'uso della forza. Lo scrivono i 27 ministri degli Esteri Ue in una dichiarazione comune adottata oggi nella quale si chiede anche "a tutte le parti" di astenersi da ogni violenza.
CAPO DI STATO MAGGIORE: DA RIVOLTA AGLI ARRESTI Il capo di stato maggiore dell'esercito libico, Abu-Bakr Yunis Jabir, sarebbe agli arresti domiciliari dopo essere passato dalla parte dei rivoltosi. Lo riferisce la Bbc citando un ex responsabile libico citato dal sito 'Libia al- Youm'.
libia proteste FINI: STOP DURA REPRESSIONE Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha inviato al suo omologo libico, Muhammad Abu-al-Kasim Zway, presidente del Congresso generale del popolo, una lettera invocando la fine della "dura repressione. "Onorevole presidente, dsidero lanciare un appello alle competenti Autorità affinché le violenze cessino immediatamente e vengano riconosciuti ai cittadini i diritti fondamentali della libertà di manifestare pacificamente e di esprimere liberamente le proprie convinzioni".
DUE CACCIA MIRAGE ATTERRANO A MALTA Due cacciabombardieri Mirage libici, e due elicotteri civili con sette passeggeri a bordo, sono atterrati questo pomeriggio a Malta. Lo riferiscono testimoni e fonti dell'esercito maltesi. I passeggeri degli elicotteri (decollati dalla Libia senza autorizzazione) si sono dichiarati francesi, solo uno di loro ha il passaporto.
GOVERNO PRONTO A RIFERIRE IN AULA Il governo dovrebbe riferire in Parlamento sulla situazione che si è creata in Libia nella giornata di mercoledì. Secondo quanto apprende l'Agi dovrebbe essere il ministro degli Esteri Franco Frattini a svolgere l'informativa parlamentare. Domani sera alle 20 ci sarà un vertice a palazzo Chigi. Parteciperanno il premier Berlusconi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Letta, i ministri Frattini, Maroni, Sacconi, La Russa, Matteoli e Romani. CAOS ALL'EROPORTO DI TRIPOLI PER ESODO STRANIERI All'aeroporto di Tripoli da stamane è il caos più totale. Centinaia di stranieri in attesa di lasciare il paese dopo che la rivolta popolare ha raggiunto Tripoli, dove stanotte "è stato terribile, spari da tutte le parti e una fiumana di gente per le strade anche dei quartieri residenziali", ha detto Albert C., direttore di una società francese raggiunto per telefono all'aeroporto. "Sto cercando di far partire una quarantina di dipendenti con le famiglie", ha aggiunto, "ma qua è un disastro, gli aerei non bastano". Un giovane italiano che lavora nella società di famiglia a Tripoli è riuscito a partire dopo una lunga attesa, perchè, protesta, "ho dovuto lasciare il posto ad alcuni diplomatici, mi hanno fatto slittare di almeno 14 posizioni nella lista...una vergogna". Tra i passeggeri in partenza, decine i francesi -anche perchè la scuola francese di Tripoli è stata chiusa- e il personale delle società petrolifere come Shell, Bp, Statoil e Eni, che ha imbarcato su charter i dipendenti non operativi con le famiglie, oltre a Finmeccanica e altre aziende italiane. FAREFUTURO, PREOCCUPA ATTEGGIAMENTO GOVERNO ITALIANO "Quanto accade in Libia, e nell'intera zona del Maghreb, non ci chiama in causa soltanto per la posizione geografica dell'Italia, che ovviamente si presta più di altri paesi dell'Unione al rischio di nuove ondate di clandestini; oltre a questo, preoccupa l'atteggiamento del nostro governo sull'intera vicenda". Lo si legge in un articolo pubblicato sul magazine della Fondazione Farefuturo. USA, OBAMA STA STUDIANDO MISURE APPROPRIATE Il presidente americano Barack Obama "sta studiando tutte le misure appropriate" per fronteggiare gli eventi in Libia, ha reso noto oggi un funzionario della Casa Bianca. Il presidente Obama è "tenuto costantemente informato" sugli sviluppi della situazione. BERSANI: GOVERNO TACE PERCHÉ SI È COMPROMESSO Il governo Berlusconi "tace" sul conflitto in corso in Libia "perché non può parlare, perché si è compromesso in un modo incredibile stracciando anche la nostra dignità". È il pensiero del segretario nazionale del Pd Pierluigi Bersani, oggi a Imola per l'anteprima del festival 'Manifuturà che si terrà da giovedì a sabato a Bologna. MIGLIAIA IN PIAZZA VERDE A TRIPOLI Un testimone riferisce che migliaia di persone si stanno radunando sulla Piazza Verde a Tripoli. "In queste ore migliaia di cittadini starebbero affollando Piazza Verde, la ex Piazza Italia", ha riferito il testimone, che ha chiesto di rimanere anonimo. . CAOS IN MOLTE CITTÀ, UE PREPARA RIMPATRIO Numerose città libiche sarebbero in mano ai manifestanti, dopo la decisione dei militari di scappare o schierarsi con loro. Il caos si sta diffondendo in tutto il Paese, costringendo l'Unione europea a preparare velocemente il rimpatrio dei suoi cittadini. CITTÀ IN MANO AI MANIFESTANTI Bengasi, Sirte e al Baida, tra le altre, sarebbero in mano ai manifestanti. Lo affermano la Federazione internazionale delle leghe dei diritti dell'uomo (Fidh) e la tv al Jazeera, citando diverse fonti. "Molte città sono cadute, soprattutto nell'Est del Paese. Parte dei militari ha aderito" alla rivolta contro Muammar Gheddafi, ha dichiarato la presidente della Fidh, Souhayr Belhassen, che ha citato Bengasi, cuore dell'opposizione, e Sirte, città natale di Gheddafi, tra le città sotto il controllo dei manifestanti. Alcuni testimoni hanno però smentito la caduta di Sirte.
EZ ZAUIA NEL CAOS La polizia libica ha lasciato la città di Ez Zauia, 60 chilometri a ovest di Tripoli, sprofondata ora nel caos. Lo riportano decine di tunisini tornati in patria, provenienti dalla città della Tripolitania. "Sono in corso degli scontri tra gruppi pro e contro Gheddafi da due giorni; la città è nel caos, dopo che la polizia, ieri, ha lasciato la città". ITALIANI, NESSUNA EVACUAZIONE Gli italiani che vivono "stabilmente" in Libia sono 1.500, di cui circa 500 sono dipendenti di società italiane con progetti nel paese. È quanto si apprende da fonti della Farnesina. "Al momento l'Italia non prevede un piano di evacuazione". RIMPATRIO LAVORATORI ENI Eni sta rimpatriando i dipendenti non "strettamente operativi" presenti in Libia e i loro familiari. La società precisa in una nota che "non ravvisa alcun problema agli impianti e alle strutture operative" in Libia. SGOMBERO CITTADINI UE Il Portogallo si occuperà del rimpatrio dei cittadini portoghesi e di altri europei che si trovano in Libia. Lo ha reso noto il ministro degli Esteri di Lisbona. Il governo portoghese invierà un aereo militare C-130, che dovrebbe atterrare nelle prossime ore a Tripoli. AUSTRIA INVIA AEREO L'Austria ha annunciato l'invio di un aereo militare verso Tripoli, in vista dello sgombero dei cittadini austriaci presenti in Libia. Il velivolo è partito dall'isola di Malta. MORTI A TRIPOLI La rivolta in Libia contro il regime del colonnello Gheddafi non si limita più alla sola Cirenaica o al sud berbero. L'emittente satellitare araba al Jazeera riferisce notizie allarmanti da Tripoli. La rivolta ormai sembra dilagare anche nella capitale libica. Secondo fonti ospedaliere citate dalla televisione, nella sola giornata di oggi ci sarebbero 61 morti nella capitale. L'edificio del governo, inoltre, sarebbe in fiamme, mentre i rivoltosi stanno attaccando basi militari e commissariati di polizia. SAIF GHEDDAFI IN TV Parlando in televisione, Saif Gheddafi ha detto che il padre è a Tripoli e da qui sta guidando la battaglia. "Distruggeremo i responsabili della rivolta" ha ammonito Saif, sottolineando che "l'esercito avrà ora un ruolo cruciale nell'imporre la sicurezza, perché sono in gioco l'unità e la stabilità della Libia". "Il nostro morale - ha aggiunto - è più alto e il leader Muammar Gheddafi, qui a Tripoli, conduce la battaglia e noi lo sosterremo, come pure le nostre forze armate. Noi libereremo la Libia e combatteremo fino all'ultimo uomo, fino all'ultima donna e fino all'ultimo proiettile". Voci non verificate si rincorrono da ore su una possibile fuga di Gheddafi all'estero. QURINA, SI È DIMESSO MINISTRO GIUSTIZIA Il ministro della Giustizia libico si è dimesso in segno di protesta "per l'eccessivo uso di violenza contro le manifestazioni". Lo riferisce il quotidiano libico Qurina. libia proteste 640 LEADER ISLAMICI, RIVOLTA È DOVERE DIVINO OGNUNO Un gruppo di leader musulmani libici ha detto oggi che la rivolta contro la leadership in Libia è il dovere divino di ciascuno. "Hanno dimostrato una totale, arrogante, impunità e hanno continuato,e anche intensificato, i loro crimini sanguinosi contro l'umanità- Hanno così dimostrato una totale indefeltà alla guida di Dio e del suo amato Profeta (la pace sia con lui)", ha detto il gruppo, chiamato Rete dei liberi ulema di Libia'. "Questo li rende immeritevoli di qualsiasi obbedienza o sostegno e fa della ribellione contro di loro, con tutti i mezzi possibili, un dovere divino", afferma ancora il gruppo. BLOCCATO CONVOGLIO MEDICI A FRONTIERA CON EGITTO Guardie di frontiere libiche hanno impedito l'ingresso in Libia di un convoglio di assistenza medica per Bengasi, dove si sono avuti scontri molto violenti tra manifestanti e forze di polizia, dell'Unione dei Medici Arabi proveniente dall'Egitto. Ne ha dato notizia la tv satellitare Al Jazira, precisando che il convoglio è stato bloccato alla frontiera con l'Egitto per motivi non precisati. LIBIA: AMR MOUSSA, ORMAI VENTO CAMBIAMENTO SU TUTTO MONDO ARABO Per il segretario generale della Lega araba, Amr Moussa, "il vento del cambiamento soffia ormai nel Medio Oriente e in tutto il mondo arabo". "Le richieste dei popoli arabi", ha sottolineato l'ex ministro egli Esteri egiziano in un'intervista a El Pais, "sono più che legittime e vanno discusse con tutta la società". Moussa ha anche risposto a Seif al-Islam Gheddafi, il secondogenito del presidente libico che nel suo discorso in tv aveva denunciato la presenza sul suolo libico di palestinesi, egiziani e tunisini armati che aspirerebbero ad appropriarsi delle ricchezze del Paese: "Non è il momento di provocare tensioni e conflitti tra i Paesi arabi", ha avvertito. E mentre Amr Moussa ribadisce di non volersi candidare alle presidenziali in Egitto alla fine del suo mandato, tra due mesi, dal Forum liberale delle società civili del Golfo riuniti a Kuwait City arriva un appello: "È ora che le famiglie al potere nella regione prendano l'iniziativa per trasformare i loro regni sul modello delle monarchie occidentali". TESTIMONI: SIRTE NON È IN MANO AD OPPOSITORI DI GHEDDAFI Testimoni hanno smentito la caduta della città libica di Sirte nelle mani dei manifestanti anti Gheddafi, come affermato dalla Federazione delle leghe dei diritti dell'Uomo (Fidh). In precedenza, sia la Fidh che la tv araba al Jazeera, avevano riferito che numerose città libiche, tra cui Bengasi, Sirte e al Baida, sarebbero in mano ai manifestanti, dopo la decisione dei militari di scappare o schierarsi con loro. LIBIA: STRANIERI IN FUGA, 2300 TUNISINI RIMPATRIANO; ALLERTA UE Fuga di massa degli stranieri dalla Libia nelle ore in cui il Paese brucia nella protesta in una situazione ormai considerata grave da tutti. Mentre l'Ue prepara un'evacuazione dei cittadini comunitari dalla Libia, in particolare dalla Cirenaica e dalle altre aree orientali, almeno 2300 tunisini hanno già ripreso la strada di casa, 2000 nella notte e 300 stamane, facilitati dalle frontiere ormai abbandonate anche dalla polizia. L'ambasciatore tunisino a Tripoli, Salaheddine Jemmali, è intervenuto in mattinata per assicurare che le autorità tunisine sono pronte ad accogliere i connazionali, circa 50mila in tutta la Libia. In attesa di disposizioni concrete dell'Ue, i governi dell'Unione hanno iniziato a mettere in atto dei piani di evacuazione o a sollecitare i propri cittadini a lasciare il Paese: il Portogallo ha inviato un aereo militare a Tripoli e un secondo aereo è partito da Bruxelles diretto a Bengasi. Il ministro britannico, William Hague ha fatto sapere che il governo sta "assicurando protezione a chi lascia il Paese" mentre il ministro francese Laurent Wauquiez, ha fatto sapere che l'ambasciata sta aiutando le persone che desiderano lasciare il Paese con i propri mezzi. Anche l'Italia ha consigliato ai suoi connazionali nel paese nord-africano, circa 1500, di lasciare il Paese. L'Austria intanto ha annunciato che invierà un aereo a Malta per facilitare l'evacuazione. Mentre dalla Bulgaria e dalla Serbia è arrivata la sollecitazione a tutti i connazionali a lasciare immediatamente il Paese. Un aereo della Turkish Airlines inviato da Ankara per i connazionali turchino è però riuscito ad atterrare a Tripoli ed è tornato indietro. Intanto si muovono le grandi industrie europee presenti nel Paese: Eni, Shell e Bp hanno iniziato il rimpatrio dei dipendenti non operativi e dei familiari, così come Finmeccanica. L'Eni ha comunque assicurato che non c'è "alcun problema agli impianti e alle attività di Eni in Libia" e di continuare a seguire "con attenzione gli sviluppi". AD AL-ZAWIYA VIOLENTI SCONTRI, POLIZIA FUGGE. CITTÀ NEL CAOS Nella città libica di Al-Zawiya "ci sono stati violenti scontri tra dimostranti antiregime e filogovernativi" tanto che "la polizia è fuggita lasciando la città nel caos". Lo riferiscono alcuni testimoni. Bengasi e Sirte in mano ai manifestanti Sarebbero diverse le città della Libia ormai nelle mani dei manifestanti antiregime, fra cui Bengasi e Sirte, dopo il ritiro dei militari. Lo ha annunciato la federazione internazionale per i diritti umani (Fidh), che ha stimato un bilancio fra i 300 e i 400 morti dall'inizio delle contestazioni contro gheddafi. COMMISSARIATO IN FIAMME ALLA PERIFERIA EST DI TRIPOLI Un commissariato di polizia sarebbe in fiamme alla periferia orientale di Tripoli, nel sobborgo di Souk al-Jamma: lo hanno riferito fonti giornalistiche presenti alla scena, che tuttavia hanno precisato di non aver notato particolari segni di proteste anti-governative nè di scontri con le forze di sicurezza. Secondo le fonti, avrebbero preso fuoco anche numerosi veicoli in sosta nei pressi. ENI: IN CORSO RIMPATRIO DIPENDENTI NON OPERATIVI "In relazione allo stato delle attività in Libia, Eni informa che è in corso sia il rimpatrio dei familiari dei propri dipendenti, come già previsto a seguito della chiusura anticipata delle strutture scolastiche nel Paese, sia dei dipendenti non strettamente operativi". Lo rende noto l'ufficio stampa, che informa inoltre: "In questo momento Eni non ravvisa alcun problema agli impianti e alle strutture operative. Le attività proseguono nella norma senza conseguenze sulla produzione. Eni, tuttavia, sta provvedendo a rafforzare ulteriormente le misure di sicurezza a tutela di persone e impianti". QUATTRO NAVI DA GUERRA ATTRACCANO NEL PORTO DI TRIPOLI Mentre le manifestazioni di protesta contro il regime del colonello Gheddafi hanno ormai raggiunto la capitale del paese Tripoli, testimoni riferiscono dell'ingresso nel porto della città di alcune navi da guerra. Un testimone parlando alla France Press ha detto: "Questa mattina quattro fregate libiche hanno fatto la loro apparizione nel porto di Tripoli". VIDEO SU YOUTUBE, "È LA FUGA GHEDDAFI A SEBHA" Un video su YouTube mostrerebbe la fuga di Gheddafi con i suoi fedelissimi nella città desertica di Sebha (centro meridionale della Libia). Nel video, messo in rete il 20 febbraio, si vede quello che sembra un corteo presidenziale con oltre 75 fuoristrada, blindati, due pullman e due auto della polizia sfrecciare ad altissima velocità. Sono di ieri le voci che sostenevano che Muammar Gheddafi avrebbe lasciato la Libia e si sarebbe rifugiato in Venezuela come riportato da un corrispondente di al Jazira da Tripoli. Voci smentite dall'opposizione che sostiene - come dimostrerebbe il video - che il colonnello è ancora in Libia. LIBIA: TV, VOCI SU GOLPE MILITARI CONTRO GHEDDAFI Fonti libiche hanno fatto sapere alla tv satellitare Al Jazira che all'interno dell'esercito vi sarebbero grandi tensioni, al punto da poter prevedere che il capo di stato maggiore aggiunto, El Mahdi El Arabi, possa dirigere un colpo di stato militare contro il colonnello Gheddafi. Sul sito web della tv si ipotizza che questo sviluppo potrebbe mettere fine ai disordini in corso. Una fonte imprecisata ha comunicato ad Al Jazira che "il popolo sentirà buone notizie entro la fine della giornata". Tuttora - secondo le stesse fonti - violenti scontri si sviluppano tra quello che resta delle Guardie dei Comitati Rivoluzionari pro-Gheddafi ed i militari ribelli, al comando del capo di stato maggiore. In questi scontri sarebbe rimasto gravemente ferito il comandante delle forze speciali, Abdalla El Senoussi, che potrebbe essere addirittura già morto. GOVERNO TENTA BLOCCO TRASMISSIONI SATELLITARI I servizi segreti libici stanno provocando "interferenze" alle comunicazioni satellitari di Al Jazeera. A riferirlo è la stessa tv di Doha, secondo cui il 'jamming' "ha avuto origine a sud della capitale di Tripoli da un edificio tecnico dell'intelligence libica". LA GRAN BRETAGNA CONVOCA L'AMBASCIATORE La Gran Bretagna ha convocato l'ambasciatore della Libia a Londra per protestare contro la violenza della repressione delle manifestazioni nel Paese e ha chiesto che i colpevoli siano perseguiti. MILLE TUNISINI RESIDENTI CHIEDONO RIMPATRIO "Circa 1.000 tunisini sui 50.000 (residenti in Libia) hanno espresso il desiderio di rientrare in Tunisia" e "sono in corso contatti tra l'ambasciata e le autorità libiche per facilitare il ritorno dei tunisini dopo la chiusura degli aeroporti di Bengasi (est) e Misratah (nord)", ha dichiarato l'ambasciatore. FARNESINA SCONSIGLIA VIAGGI LIBIA Dopo l'annuncio di ieri che invitava a non recarsi in Cirenaica, il ministero degli Esteri ha aggiornato stamattina il sito 'Viaggiare Sicuri', sconsigliando "viaggi di qualsiasi titolo in tutto il paese". E raccomanda a chi si trova nel paese di "evitare gli assembramenti di folla, di allontanasi immediatamente dalle zone dove siano in corso manifestazioni e, in generale, di rimanere sempre aggiornati sull'attualità internazionale e regionale". I MANIFESTANTI: ABBIAMO IL CONTROLLO DI BENGASI Fonti dell'opposizione libica citate da Al Jazeera sostengono di avere ormai il controllo di Bengasi, seconda città della Libica, capoluogo della Cirenaica e roccaforte dell'opposizione. I manifestanti, dice sempre al Jazeera, avrebbero sequestrato armi ai militari e occupato le basi dell'esercito. FONTI LIBICHE: GHEDDAFI ANCORA NEL PAESE Il leader libico Muammar Gheddafi è ancora nel paese e non si è rifugiato in Venezuela. Lo hanno detto fonti libiche alla tv al Arabiya, smentendo voci diffusesi in nottata. AL JAZEERA: 61 MORTI L'emittente satellitare araba al Jazeera: la rivolta ormai dilagherebbe anche nella capitale libica. Secondo fonti ospedaliere citate dalla televisione nella sola giornata di oggi ci sarebbero 61 morti nella capitale. FINMECCANICA RIMPATRIA I DIPENTENTI Finmeccanica sta rimpatriando in queste ore i suoi dipendenti che lavorano in Libia dopo l'esplodere della rivolta nel Paese nordafricano. Lo confermano fonti della società specificando che sono meno di 10 i lavoratori italiani impiegati nella joint venture italo-libica Liatec partecipata da AgustaWestland, Finmeccanica e Libyan Company for Aviation Industry. La sede dell'impianto si trova nella località di Abou Aisha, a sud di Tripoli e vi si svolge l'assemblaggio e la manutenzione di elicotteri. IN FIAMME LA SEDE DEL GOVERNO La sede del governo libico a Tripoli è in fiamme. Lo afferma la televisione araba Al Jazeera, che aggiunge, citando fonti mediche, che le vittime di oggi della rivolta nella capitale libica sarebbero 61. BRUCIA SEDE TV DI STATO La sede di una tv a Tripoli è stata saccheggiata e nella capitale libica alcuni edifici pubblici sono stati dati alle fiamme. Lo riferiscono testimoni. Secondo quanto riferiscono i testimoni, a Tripoli e' stata saccheggiata anche la sede di una radio pubblica, mentre alcune stazioni di polizia e sedi dei comitati rivoluaizonari pilastro del regime sono stati dati alle fiamme ieri in tarda serata. NOTTE DI SCONTRI Salgono a 18 i feriti degli scontri registrati in un cantiere gestito a Tripoli da alcune società sudcoreane: secondo il ministero degli Esteri di Seul, 15 operai bengalesi sono rimasti coinvolti, di cui due accoltellati e in gravi condizioni, mentre tre sudcoreani hanno riportato lievi escoriazioni. Nel sito ci sono oltre 1.000 lavoratori del Bangladesh e 40-50 sudcoreani, in base a quanto riferito dall'agenzia Yonhap. Il governo di Seul ha invitato le compagnie impegnate in lavori nel Nord Africa e in Medio Oriente ad alzare l'allerta e predisporre misure per garantire la sicurezza. L'Associazione dei costruttori (Icak), che riunisce un totale di 70 operatori con solide attività in Paesi come Libia, Yemen, Iran, Marocco e Bahrein, ha già accusato milioni di dollari di danni causati dalle proteste, nel mentre ha intensificato la collaborazione con il governo di Seul. Sotto osservazione, in particolare, la Libia, dove le aziende sudcoreane sono, ad esempio, impegnate nella realizzazione di centrali termiche a Tripoli e Al Khalij. "I lavoratori presenti a Bengasi sono stati spostati per sicurezza a seguito delle istruzioni fornite dalla nostra ambasciata in Libia", ha riferito un funzionario del ministero dei Trasporti e degli Affari marittimi.
IL DISCORSO IN TV DEL FIGLIO DI GHEDDAFI La Libia e' vittima di un complotto esterno, corre il rischio di una guerra civile, di essere divisa in diversi emirati islamici, di perdere il petrolio che assicura unita' e benessere al Paese, di tornare preda del colonialismo occidentale. Cosi' si e' espresso in nottata, mentre circolano voci incontrollate di una possibile fuga del rais, Muammar Gheddafi, il figlio di quest'ultimo, Seif al-Islam, che, mentre i disordini arrivavano a Tripoli e per le strade della capitale si spara, in un discorso alla tv alla nazione ha promesso al Paese riforme, una nuova costituzione, e posto due opzioni: ''Siamo a un bivio: o usiamo i nostri cervelli, stiamo uniti e facciamo le riforme insieme, altrimenti dimentichiamoci delle riforme e per decenni avremmo la guerra in casa''. "RIFORME", PROMETTE E ha assicurato che il padre-rais ''dirige la battaglia a Tripoli'' e che ''vinceremo'' contro il nemico e ''non cederemo un pollice del territorio libico''. Del rais non si hanno piu' notizia, e mentre si parla di un bilancio di 300 morti, 50 solo nel pomeriggio a Bengasi, e testimoni affermano di udire folle in fermento e spari a Tripoli, alcuni capi tribali abbandonano il regime, invitano Gheddafi a ''lasciare il Paese'' e anche il rappresentante libico alla Lega Araba annuncia che lascia l'incarico per ''unirsi alla rivoluzione''. In questo contesto Seif al-Islam, voce ''riformista'' e 'illuminata' del regime, ha detto, parlando apparentemente a braccio e in dialetto libico direttamente al suo popolo, che la Libia ''non e' la Tunisia e non e' l'Egitto''. Ha parlato di ''giusta rabbia della gente'' a Bengasi e in altre citta' per le persone che sono rimaste uccise, ha ammesso che ''sono stati commessi degli errori'', con l'esercito che ''non era preparato'' a una simile situazione e si e' fatto cogliere dalla tensione. Anche se, ha detto, i media hanno ''esagerato'' il numero di morti. Molti, ha detto Seif al-Islam, si sono lasciati ''entusiasmare'' dagli eventi egiziani e tunisini, ''altri erano drogati'', ha detto. Ma la direzione della rivolta, ha detto a chiare lettere, viene da fuori: ''C'e' un complotto contro la Libia'', diretto da gente, anche ''fratelli arabi'', che ''vi usano'', ''standosene comodamente seduti a Londra o a Manchester'', fra gli agi, a ''sorseggiare caffe''' e guardando ''il Paese che brucia''. ''Milioni di sterline sono state investite'' in questo complotto, che pero' e' mosso da poche centinaia di elementi, ''che non esprimono il popolo libico''. Il secondogenito di Gheddafi ha detto che sono state attaccate caserme, aperte prigioni, rubate armi pesanti, che dei ''civili'' guidano perfino ''carri armati''. Se tutti i libici si armano ne nascerebbe una ''guerra civile'' che durerebbe 40 anni. Non ci sarebbero 84 morti ma ''migliaia''; il Paese verrebbe diviso in ''staterelli'' ed ''emirati islamici'', sarebbe un ''bagno di sangue'', ci vorrebbero visti da uno staterello all'altro, ''come in Corea''. E i libici, ha evocato Seif al-Islam, perderebbero il petrolio, che e' ''cio' che li tiene insieme'', ne fa un Paese, e con esso le scuole, gli ospedali, il benessere. ''Se ci separiamo - ha dichiarato - chi fara' la riforma? Chi spendera' per i nostri figli, per la loro salute, la loro istruzione?''. Inoltre, ha domandato, ''pensate che il mondo occidentale, permetterebbero di perdere il nostro petrolio, permetterebbero un'emigrazione incontrollata'', la formazione di emirati terroristi? Europa e Stati Uniti ''tornerebbero a occuparci, a imporre il colonialismo''. Quindi la proposta di convocare, entro poche ore, una Assemblea generale del popolo per costruire una ''nuova costituzione'', fare le riforme per creare insieme ''la Libia che sognate''. E una minaccia: ''L'esercito - ha detto - ora ha il compito di riportare l'ordine con ogni mezzo'' e ''non e' l'esercito egiziano o tunisino'' ''Distruggeremo la sedizione e non cederemo un pollice del territorio libico''. I libici, ha concluso hanno combattuto e vinto contro gli italiani'' e ''sono capaci di farlo''. mappa libia geo blog 21 febbraio 2011
2011-02-21 Tripoli, bombe su manifestanti: oltre 250 morti Imam ai soldati: fatwa per uccidere Gheddafi VENEZUELA: GHEDDAFI E' IN LIBIA Il governo venezuelano smentisce ufficialmente la voce che dava Muammar Gheddafi in volo verso Caracas. Il ministro degli Esteri Nicolas MAduro ha dichiarato che il leader libico è ancora a Tripoli dove "sta gestendo la situazione". IMAM SUNNITA: SOLDATI, UCCIDETE GHEDDAFI Yusuf al-Qaradavi, l'influente imam sunnita di origine egiziana, ha emesso una fatwa (un decreto religioso) che chiede a tutti i soldati libici di uccidere Muammar Gheddafi "per liberare la Libia". Il religioso, 82 anni, è noto per i suoi accesi sermoni alla tv al Jazira, seguiti da circa 40 milioni di telespettatori. SPAZIO AEREO CHIUSO Lo spazio aereo su Tripoli è stato chiuso fino a nuovo ordine. Lo ha comunicato stasera all'Afp un portavoce dell'esercito austriaco che con un velivolo contava di evacuare verso Malta cittadini austriaci e europei. TESTIMONI: "MASSACRO A TRIPOLI. ANCHE DA ELICOTTERI" Testimoni hanno parlato di "un massacro" oggi nei sobborghi tripolini di Tajura all'Agence France Presse definendo l'accaduto "un massacro". Bande armate nel quartiere di Tajura hanno sparato indiscriminatamente contro la folla uccidendo e ferendo anche donne mentre le moschee lanciano appelli per aiuti medici. A Fashlum invece i mercenari sarebbero arrivati trasportati da elicotteri militari: anche qui vi sarebbero state delle sparatorie con numerosi morti. libia scontri ferito 640 DELEGAZIONE LIBICA ONU: DA GHEDDAFI "CRIMINI CONTRO UMANITA'" La delegazione libica all'Onu, guidata dal vice-ambasciatore libico alle Nazioni Unite, Ibrahim Dabbashi, la squadra diplomatica libica ha accusato Gheddafi di essere colpevole "di crimini contro l'umanità", di "genocidio".
MINISTRO ALL'EMIGRAZIONE: GHEDDAFI DIMETTITI Anche il ministro dell'Emigrazione e della Comunità Straniera, Ali Errichi, si è dimesso e ha chiesto a Muammar Gheddafi di dimettersi. Errichi, al momento a Boston negli Usa, lo ha detto ad al Jazira. Già si era pronunciato per le dimissioni lasciando il suo posto il ministro della Giustizia Mustafa Abdeljalid.
NAVE ITALIANA PATTUGLIERA' ACQUE INTERNAZIONALI Una nave della Marina militare italiana salperà per controllare le acque internazionali. "L'Elettra e la marina militare italiana è stata mobilitata per raggiungere le acque internazionael di fronte alla Libia", ha detto il ministro della Difesa La Russa, ad Abu Dhabi dov'è in visita ufficiale fino a domani.
FARNESINA: PIANO RIMPATRI La Farnesina ha annunciato un "piano di rimpatrio" per gli italiani in Libia. Prima un piano simile non era prevista.
RIMPATRIATI: BERLUSCONI CON GHEDDAFI HA SMINUITO ITALIA I rimpatriati italiani dalla Libia, "sono vicini alla popolazione libica vittima della repressione voluta dal colonnello Gheddafi". Attraverso una nota diffusa oggi dalla Airl, la loro associazione, si augurano che Berlusconi "comprenda l'errore di valutazione compiuto assecondando Gheddafi in tutte le sue bizzarrie: considerarlo interlocutore affidabile e di più, amico fraterno degno di baciamani e regalie, senza mostrare la necessaria fermezza, ha sminuito la dignità dell'Italia e anche di noi rimpatriati".
BERLUSCONI: INACCETTABILE VIOLENZA SU CIVILI Il presidente del Consiglio Berlusconi "segue con estrema attenzione e preoccupazione l'evolversi della situazione in Libia e si tiene in stretto contatto con tutti i principali partner nazionali e internazionali per fronteggiare qualsiasi emergenza". Il comunicato di Palazzo Chigi esce in tarda serata e definisce il premier "allarmato per l'aggravarsi degli scontri e per l'uso inaccettabile della violenza sulla popolazione civile. L'Unione europea e la comunità internazionale dovranno compiere ogni sforzo per impedire che la crisi libica degeneri in una guerra civile dalle conseguenze difficilmente prevedibili, e favorire invece una soluzione pacifica che tuteli la sicurezza dei cittadini così come l'integrità e stabilità del paese e dell'intera regione".
LE CITTA' CONTROLLATE ALLA PROTESTA Bengasi, Sirte e al Baida, tra le altre città, sarebbero in mano ai manifestanti. Lo affermano la (Fidh) e la tv al Jazeera, citando diverse fonti. "Molte città sono cadute, soprattutto nell'Est del Paese. Parte dei militari ha aderito" alla rivolta contro Muammar Gheddafi, ha dichiarato la presidente della Fidh, Souhayr Belhassen. Alcuni testimoni hanno però smentito la caduta di Sirte.
LA FEDERAZIONE DELLE LEGHE: 300-400 MORTI Secondo la Federazione internazionale delle leghe dei diritti dell'uomo (Fidh), nel Paese ci sarebbe un autentico bagno di sangue, con un numero di morti stimato fra i 300 e i 400: la Tv satellitare Al Arabya parla di 160 morti soltanto nella giornata di oggi.
AL VIA RIMPATRI ITALIANI Nella mattinata di domani partirà per Tripoli un primo volo speciale, concordato con la Farnesina, che si affiancherà ai voli di linea previsti per il rientro dei connazionali. La Farnesina conferma un piano di rimpatri degli italiani in Tripolitania, gestito con l'Alitalia. "Al momento l'Italia non prevede un piano di evacuazione", affermano dal ministero degli Esteri.
ALLERTATI CACCIA TRAPANI E GIOIA COLLE Allertati al "massimo livello di prontezza" gli Stormi dell'Aeronautica militare di Trapani e Gioia del Colle (Bari), da cui partono i caccia che hanno il compito di intercettare velivoli entrati senza autorizzazione nello spazio aereo nazionale. È quanto fanno sapere all'Aeronautica.
LA RUSSA, PER ORA NON PREVISTI RIMPATRI COATTI "Ove fosse necessario siamo pronti ad affrontare il problema" del rimpatrio degli italiani dalla Libia, "ma al momento non è previsto un rimpatrio coatto dei nostri connazionali".
PILOTI 2 CACCIA CHIEDONO ASILO POLITICO A MALTA I due piloti dei caccia libici, due Mirage di fabbricazione francese, atterrati a Malta alle 16,53 ora italiana hanno chiesto "asilo politico" alle autorità di La Valetta. Si tratta di due alti ufficiali, due colonnelli dell'aeronautica libica. I due Mirage erano partiti dalla base di Okba Ben Nafinel nord del Paede. Fonti aeroportuali maltesi hanno chiarito che i due elicotteri atterrati poco dopo trasportavano 7 dipendenti di un'impresa petrolifera francese, di cui una sola ha il passaporto con se.
TWEET SU BBC, APACHE SPARANO SU MARCIA Secondo un messaggio inviato via Twitter alla Bbc, elicotteri Apache hanno attaccato civili che stanno marciando da Misurata, terza citt… della Libia a est di Tripoli, verso la capitale.
AL JAZIRA, SI DIMETTONO AMBASCIATORI LONDRA E PECHINO Gli ambasciatori libici in Cina, Gran Bretagna, Indonesia, Polonia, India e presso la Lega Araba si sono dimessi dalle loro funzioni. Lo riferisce la tv satellitare Al Jazira.
AL JAZIRA, OLTRE 250 MORTI OGGI A TRIPOLI Al Jazira ha detto che sono oltre 250 le vittime dei bombardamenti sulla folla oggi a Tripoli. libia protesta SITO ARABO, IN MIGLIAIA A TRIPOLI CONTRO IL REGIME "Sono decine di migliaia i manifestanti anti-regime nelle strade di Tripoli, bersagliati dai tiri dell'artiglieria e dalle mitragliatrici degli aerei dell'aviazione militare che stanno sorvolando la capitale". Lo rendo noto il sito arabo Almanara nella sua pagina Facebook. "A Tripoli - si legge ancora - le milizie del regime in abiti civili e alla guida di auto senza targhe stanno uccidendo, picchiando e terrorizzando i civili ". "In tutta la Libia - sostiene almanara - sono stata tagliate le comunicazioni ed internet".
PRODI, GOVERNO ITALIANO? NON SI MUOVE NIENTE "Vedo che non si muove niente, non c'è presenza e basta. Non essendo al Governo non posso dire quello che deve fare il Governo": così l'ex Presidente del Consiglio, Romano Prodi, ha risposto a chi gli chiedeva un commento sulla posizione del Governo italiano circa la grave crisi e i disordini in Libia.
ITALIA, ALLERTA ALZATO DOPO AEREI LIBICI A MALTA Fonti della Difesa italiana, interpellate ad Abu Dhabi dove si trova in visita ufficiale il ministro Ignazio La Russa, hanno confermato l'innalzamento del livello di allerta, fino al massimo, nelle basi aeree italiane e l'invio nel sud della penisola di elicotteri. La decisione è stata presa dopo l'atterraggio a Malta di due aerei e due elicotteri libici.
USA ORDINA EVACUAZIONE DIPLOMATICI "NON ESSENZIALI" La situazione sta precipitando nella guerra civile in Libia. Pertanto gli Stati Uniti hanno ordinato l'evacuazione di tutto il personale diplomatico non essenziale e dei loro familiari e hanno chiesto ai connazionali di non recarsi nel Paese.
ALLERTA MASSIMO IN TUTTE BASI AEREE ITALIANE "In tutte le basi aeree italiane il livello di allarme sarebbe massimo in relazione alla crisi libica": è quanto apprende l'ANSA da qualificate fonti parlamentari. Secondo le stesse fonti, una consistente quota di elicotteri dell'Aeronautica militare e della Marina militare in queste ore avrebbe ricevuto l'ordine di spostarsi verso il sud.
AL JAZIRA, JET MITRAGLIANO I DIMOSTRANTI A TRIPOLI La rete pan-araba riferisce che mentre dal cielo i jet colpiscono i dimostranti con le mitragliatrici di bordo, nella capitale sono stati sparati colpi di cannone contro i dimostranti, non è chiaro se si tratti di carrarmati o di batterie di artiglieria.
ONU;BANK KI-MOON CHIAMA GHEDDAFI,BASTA VIOLENZE Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha parlato oggi, a lungo, con il leader libico Libia, Muammar Gheddafi, chiedendogli di cessare ogni violenza. Lo si legge in una nota diffusa dalle Nazioni Unite. Il documento non precisa se il colonnello si trovi ancora in Libia.
AL JAZIRA: MANIFESTANTI ATTACCATI DA AEREI Le forze aeree stanno colpendo i manifestanti a Tripoli: lo dice al Jazira in una scritta in sovraimpressione. libia proteste 640 GHEDDAFI IN VOLO VERSO VENEZUELA? Il ministro degli Esteri britannico Hague riferisce di informazioni che darebbero il dittatore libico in volo verso il paese guidato da Chavez.
UE: BASTA VIOLENZE L'Unione europea "condanna" la repressione delle manifestazioni in Libia e chiede la "cessazione immediata" dell'uso della forza. Lo scrivono i 27 ministri degli Esteri Ue in una dichiarazione comune adottata oggi nella quale si chiede anche "a tutte le parti" di astenersi da ogni violenza.
CAPO DI STATO MAGGIORE: DA RIVOLTA AGLI ARRESTI Il capo di stato maggiore dell'esercito libico, Abu-Bakr Yunis Jabir, sarebbe agli arresti domiciliari dopo essere passato dalla parte dei rivoltosi. Lo riferisce la Bbc citando un ex responsabile libico citato dal sito 'Libia al- Youm'.
libia proteste FINI: STOP DURA REPRESSIONE Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha inviato al suo omologo libico, Muhammad Abu-al-Kasim Zway, presidente del Congresso generale del popolo, una lettera invocando la fine della "dura repressione. "Onorevole presidente, dsidero lanciare un appello alle competenti Autorità affinché le violenze cessino immediatamente e vengano riconosciuti ai cittadini i diritti fondamentali della libertà di manifestare pacificamente e di esprimere liberamente le proprie convinzioni".
DUE CACCIA MIRAGE ATTERRANO A MALTA Due cacciabombardieri Mirage libici, e due elicotteri civili con sette passeggeri a bordo, sono atterrati questo pomeriggio a Malta. Lo riferiscono testimoni e fonti dell'esercito maltesi. I passeggeri degli elicotteri (decollati dalla Libia senza autorizzazione) si sono dichiarati francesi, solo uno di loro ha il passaporto.
GOVERNO PRONTO A RIFERIRE IN AULA Il governo dovrebbe riferire in Parlamento sulla situazione che si è creata in Libia nella giornata di mercoledì. Secondo quanto apprende l'Agi dovrebbe essere il ministro degli Esteri Franco Frattini a svolgere l'informativa parlamentare. Domani sera alle 20 ci sarà un vertice a palazzo Chigi. Parteciperanno il premier Berlusconi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Letta, i ministri Frattini, Maroni, Sacconi, La Russa, Matteoli e Romani. CAOS ALL'EROPORTO DI TRIPOLI PER ESODO STRANIERI All'aeroporto di Tripoli da stamane è il caos più totale. Centinaia di stranieri in attesa di lasciare il paese dopo che la rivolta popolare ha raggiunto Tripoli, dove stanotte "è stato terribile, spari da tutte le parti e una fiumana di gente per le strade anche dei quartieri residenziali", ha detto Albert C., direttore di una società francese raggiunto per telefono all'aeroporto. "Sto cercando di far partire una quarantina di dipendenti con le famiglie", ha aggiunto, "ma qua è un disastro, gli aerei non bastano". Un giovane italiano che lavora nella società di famiglia a Tripoli è riuscito a partire dopo una lunga attesa, perchè, protesta, "ho dovuto lasciare il posto ad alcuni diplomatici, mi hanno fatto slittare di almeno 14 posizioni nella lista...una vergogna". Tra i passeggeri in partenza, decine i francesi -anche perchè la scuola francese di Tripoli è stata chiusa- e il personale delle società petrolifere come Shell, Bp, Statoil e Eni, che ha imbarcato su charter i dipendenti non operativi con le famiglie, oltre a Finmeccanica e altre aziende italiane. FAREFUTURO, PREOCCUPA ATTEGGIAMENTO GOVERNO ITALIANO "Quanto accade in Libia, e nell'intera zona del Maghreb, non ci chiama in causa soltanto per la posizione geografica dell'Italia, che ovviamente si presta più di altri paesi dell'Unione al rischio di nuove ondate di clandestini; oltre a questo, preoccupa l'atteggiamento del nostro governo sull'intera vicenda". Lo si legge in un articolo pubblicato sul magazine della Fondazione Farefuturo. USA, OBAMA STA STUDIANDO MISURE APPROPRIATE Il presidente americano Barack Obama "sta studiando tutte le misure appropriate" per fronteggiare gli eventi in Libia, ha reso noto oggi un funzionario della Casa Bianca. Il presidente Obama è "tenuto costantemente informato" sugli sviluppi della situazione. BERSANI: GOVERNO TACE PERCHÉ SI È COMPROMESSO Il governo Berlusconi "tace" sul conflitto in corso in Libia "perché non può parlare, perché si è compromesso in un modo incredibile stracciando anche la nostra dignità". È il pensiero del segretario nazionale del Pd Pierluigi Bersani, oggi a Imola per l'anteprima del festival 'Manifuturà che si terrà da giovedì a sabato a Bologna. MIGLIAIA IN PIAZZA VERDE A TRIPOLI Un testimone riferisce che migliaia di persone si stanno radunando sulla Piazza Verde a Tri |