S. Messa
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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-07-06 ad oggi 2011-03-25 Sintesi (Più sotto trovate gli articoli)IL RAPPORTO OSMED Una compressa al giorno, siamo italiani Farmaci, consumo raddoppiato in dieci anni Nel 2009 sono state prescritte 926 dosi giornaliere ogni mille abitanti, nel 2000 erano 580, per un totale di 30 scatole a testa l’anno. Le molecole più usate servono al sistema cardiovascolare. Boom di antidepressivi, complice la crisi. Cresce il mercato dei generici. Ecco i dati del rapporto Osmed Approfondimenti 2010-07-06 LA RIFORMA Certificati online non si parte il 19 luglio "Troppi problemi tecnici, tutto slitta al 2011″ La carta resta dove sta. Eppure la riforma del ministro Brunetta prevede che entro la metà di luglio vada in pensione, lasciando al medico di famiglia l'onere di certificare la malattia via web. Ma il segretario della Fimmg ribatte: "Troppi problemi informatici e costi aggiuntivi per i camici bianchi" |
ST
DG Studio TecnicoDalessandro Giacomo 41° Anniversario - SUPPORTO ENGINEERING-ONLINE |
Non decolla il certificato medico on-line. Il ‘tradizionale’ pezzo di carta dovrebbe andare in pensione a partire dal 19 luglio. Almeno secondo la riforma fortemente voluta dal ministro dell'Innovazione, Renato Brunetta, che prometteva la fine dell’epoca dei certificati di malattia consegnati a mano o per raccomandata. Ma, a quanto pare, i 15 milioni di lavoratori dipendenti pubblici a cui era destinato il provvedimento dovranno aspettare, perché il collaudo di tre mesi non è bastato. Ci sono ancora troppi ostacoli sulla strada: problemi ci carattere tecnico, di connessione internet e di costi aggiuntivi a carico dei medici di famiglia. |
Internet, l'informatore, ll Giornalista, la stampa, la TV, la Radio, devono innanzi tutto informare correttamente sul Pensiero dell'Intervistato, Avvenimento, Fatto, pena la decadenza dal Diritto e Libertà di Testimoniare. Poi si deve esprimere separatamente e distintamente il proprio personale giudizio. |
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"Libro dei Miei Pensieri"html PDFIl mio commento sull'argomento di Oggi è :
Ogni anno i 15 miglioni di lavoratori fanno in media 2 periodi di malattia con emissione di certificato medico per le aziende e l'INPS.
E' assolutamente giusto che i medici di famiglia inoltrino direttamente i suddetti certificati direttamente all'INPS ed alle Aziende.
Questa operazione non costa nulla, solo la memorizzazione dell'Indirizzo e-mail dell'Azienda, mentre quello dell'INPS è unico.
E' ASSURDO CHE I MEDICI NON VOGLIANO ADOTTARE IL SISTEMA.
Non spetta a loro decidere, ma al Governo, ed in alternativa alle regioni.
Questo automatismo fa risparmiare almeno30 Milioni di documenti cartacei, oltre i tempi burocratici e di registrazione: Il risparmio è di almeno 5 euro a certificato, il che significa almeno 150 Mln di Euro, oltre gli eventuali costi di raccomandate se inviati per posta.
Inoltre con questo sistema si evitano anche false certificazioni.
Parimenti per gli ammalati cronici che abbisognano di Ricette per medicinali da prendere continuativamente, nell'ipotesi che ci siano 10Mln di ammalati, i quali mensilmente abbisognano di 2 ricette, nell'arco di un anno ci vogliono 24 ricette per ammalato, per un totale di 240 Mln di ricette, che al costo minimo di 4 euro, fra costo cartaceo, tempo ripetitivo, significa almeno 960 Mln di Euro anno, oltre le 12 ore annue minimo per assistito per andare a fare la fila dal dottore (120Mln di ore perse di cui almenno un quarto è tempo perso che io medici potrebbero dedicare ai malati.
Globalmente con la prima e la seconda misura si risparmierebbero almeno 1,1 Mld di Euro .
Se non lo fa il Governo, lo attuino le regioni, imponendo il sistema della e-mail.
A tutto ciò andrebbe inoltre aggiunto il controllo diretto dell'uso dei medicinali in ospedale con informazione dei medicinali somministrati ed autorizzazione di convalida attestanti il prelievo e consumo diretto per le cure ospedaliere di ciascun degente.
Molto probabilmente con questo sistema si abbatterebbero i costi di almeno altri 2-3 Mld verificando ed ottimizzando l'uso dei medicinali, senza falsi prelievi.
Ulteriore sistema da adottare è quello della Prenotazione diretta online tramite Medico Curante. Nel caso di 4 Visite Specialistiche od analisi per Assistito
Si avrebbero 240 Mln di prenotazioni con risparmio di almeno altri 960 Mln di Euro, oltre la perdita di tempo, gli intrallazzi per allungare i tempi di risposta, ecc.
Globalmente in questo modo si ottimizza il sistema e si risparmiano oltre 5 Mld di Euro.
Quasto va assolutamente realizzato.
Martina F. 2010-07-06
Per. Ind. Giacomo Dalessandro
Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-07-06 ad oggi 2011-03-25 |
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2011-02-02 1 febbraio 2011 SANITA' Certificati on-line, scattano le sanzioni per i medici. Sindacati sul piede di guerra "Nel giorno dell'avvio delle sanzioni per i certificati on-line i nostri medici ci segnalano che il sito "è bloccato già da ieri sera e ancora in queste prime ore del mattino. E per una risposta dal Call Center si impiegano fino a 18 minuti. Per questo ci sentiamo presi in giro dal ministro Brunetta". È quanto afferma il segretario nazionale della Fimmg, Giacomo Milillo che sottolinea: "il sistema non funziona". I disagi "sono ben noti" al ministero della Pubblica Amministrazione, prosegue Milillo, precisando: "li abbiamo più volte segnalati sulla base di studi e sondaggi dai quali emergeva chiaramente il persistere di blocchi frequenti nel sistema di certificazione on-line e soprattutto per il call center. Il sistema non è a regime e per questo abbiamo appreso con amarezza il no del ministro Brunetta alla richiesta di tutti i sindacati medici di rinviare le sanzioni per il mancato utilizzo dei certificati on-line. Lo stato di agitazione va avanti". Nessuna sanzione per quei medici che dimenticano di spedire un certificato o sbagliano indirizzo di posta elettronica: il sistema è in funzione, e anche da qui "passa la modernizzazione del Paese". Così il ministro per la Pubblica amministrazione e l'Innovazione, Renato Brunetta, risponde alla mobilitazione dei sindacati dei medici dopo la conferma, da oggi, della partenza delle sanzioni per il mancato invio dei certificati online. "I medici finora hanno collaborato; temono le sanzioni che però scatteranno solo per quei medici che si rifiutino di fare il certificato online. Mentre se c'è un blocco tecnico momentaneo del sistema, come può capitare nella rete, le norme non prevedono alcuna sanzione". Il ministro ha ricordato che il sistema prevede che "18 milioni di italiani non faranno più raccomandate, con un risparmio di 200 milioni di euro perchè è il medico che compila il certificato e lo invia online all'Inps che poi lo manderà al datore di lavoro". Per Brunetta, si tratta di "una fatichetta in più per i medici" che porterà "vantaggi" anche a loro. Ieri, ultimo giorno senza sanzioni, ha osservato il ministro, "i medici hanno inviato 105mila certificati online: il 100% del cartaceo dello stesso periodo dell'anno scorso". E ha concluso: "Il sistema ormai è a regime e sono soddisfatto: ci sarà qualche blocco ma i medici finora hanno collaborato, le proteste rientreranno e dialogheremo".
2011-01-08 8 gennaio 2011 IL CASO Uova e alimenti alla diossina Fazio esclude rischi in Italia Un doppio filtro per controllare l'eventuale presenza di diossina nei prodotti alimentari provenienti dalla Germania con un controllo all'origine da parte delle stesse aziende importatrici e un sistema di verifica al dettaglio nelle regioni con l'aiuto dei Nas. È il doppio filtro previsto dal ministro della Salute Ferruccio Fazio per evitare l'ingresso di qualsiasi alimento contaminato dalla diossina prodotto in Germania. Ma il ministro rassicura sottolineando che i prodotti italiani latte, carne e uova sono e restano sicuri: "Oggi stiamo scrivendo una nota a tutte le aziende che importano dalla Germania perché facciano, oltre ai controlli di routine anche quelli sulla diossina". Un altro step sarà nella prossima settimana. Il 12 infatti è prevista una riunione tecnica a Bruxelles sulla contaminazione da diossina. "E il 13 a Roma ho già convocato una riunione a cui parteciperanno i tecnici che hanno partecipato all'incontro di Bruxelles, i Nas e le Regioni. Insieme si metteranno a punto modalità di controllo a campione per realizzare un secondo filtro", conclude Fazio ricordando che il latte italiano è sicuro al 100% così come la carne bovina e le uova. Per il latte a lunga conservazione e le carni suine sui quali invece non è prevista l'etichetta che indica l'origine potremmo contare "su questo doppio filtro".
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CORRIERE della SERA
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2011-02-06 Il primario: "Ha aspettato due minuti, ERa in osservazione e la stavo curando io" Muore dopo otto ore al pronto soccorso Cassino, i familiari della vittima accusano l'ospedale: "Volevano ricoverarla in ortopedia" * NOTIZIE CORRELATE * Il precedente: neonata morta dopo un cesareo a Cassino (19 nov 10) Il primario: "Ha aspettato due minuti, ERa in osservazione e la stavo curando io" Muore dopo otto ore al pronto soccorso Cassino, i familiari della vittima accusano l'ospedale: "Volevano ricoverarla in ortopedia" L'ospedale di Cassino (Ansa) L'ospedale di Cassino (Ansa) CASSINO (Frosinone) - Una donna di 56 anni è deceduta venerdì sera nell'ospedale Santa Scolastica di Cassino dopo che, secondo il racconto dei familiari, sarebbe rimasta ben otto ore al pronto soccorso con uno stato di affaticamento respiratorio e dolori al petto. Una volta concluso l'iter di accertamenti i medici avrebbero stabilito il suo ricovero nel reparto di ortopedia. IL PRIMARIO: "NON È VERO" - Il primario del Pronto soccorso, Ettore Urbano, dà una versione diversa. La donna deceduta ha atteso "soltanto due minuti" prima di essere visitata. L'ho visitata e monitorata io personalmente. Non è stata otto ore in attesa, ma in trattamento e in osservazione". INFARTO IN ASCENSORE - Mentre la signora, residente a Cassino, veniva trasferita ai piani superiori, è stata colta in ascensore da un improvviso infarto ed è morta. In ospedale sono immediatamente arrivati i carabinieri della Compagnia di Cassino che ora dovranno accertare quanto accaduto e se, come dicono i familiari della donna, realmente sia rimasta otto ore al pronto soccorso senza che nessuno si rendesse conto che i dolori e l'affaticamento respiratorio potevano arrivare da un problema cardiaco in corso. NEONATA DECEDUTA - L'episodio denunciato venerdì 4 febbraio segue di poche settimane un altro evento luttuoso che avrebbe avuto origine nello stesso ospedale di Cassino: la magistratura indaga infatti sulla morte di una neonata, avvenuta lo scorso 19 novembre al Policlinico Umberto I di Roma, dopo che la piccola era nata con cesareo nel nosocomio di Cassino; la bimba aveva subito mostrato una grave insufficienza cardiaca. Secondo i genitori, il cesareo sarebbe stato eseguito in ritardo e ciò avrebbe causato danni e problemi alla neonata che non ce l'ha fatta. Redazione online 05 febbraio 2011(ultima modifica: 06 febbraio 2011)
2011-02-05 Il primario: "Ha aspettato due minuti, ERa in osservazione e la stavo curando io" Muore dopo otto ore al pronto soccorso Cassino, i familiari della vittima accusano l'ospedale: "Volevano ricoverarla in ortopedia" * NOTIZIE CORRELATE * Il precedente: neonata morta dopo un cesareo a Cassino (19 nov 10) Il primario: "Ha aspettato due minuti, ERa in osservazione e la stavo curando io" Muore dopo otto ore al pronto soccorso Cassino, i familiari della vittima accusano l'ospedale: "Volevano ricoverarla in ortopedia" L'ospedale di Cassino (Ansa) L'ospedale di Cassino (Ansa) CASSINO (Frosinone) - Una donna di 56 anni è deceduta venerdì sera nell'ospedale Santa Scolastica di Cassino dopo che, secondo il racconto dei familiari, sarebbe rimasta ben otto ore al pronto soccorso con uno stato di affaticamento respiratorio e dolori al petto. Una volta concluso l'iter di accertamenti i medici avrebbero stabilito il suo ricovero nel reparto di ortopedia. IL PRIMARIO: "NON È VERO" - Il primario del Pronto soccorso, Ettore Urbano, dà una versione diversa. La donna deceduta ha atteso "soltanto due minuti" prima di essere visitata. L'ho visitata e monitorata io personalmente. Non è stata otto ore in attesa, ma in trattamento e in osservazione". INFARTO IN ASCENSORE - Mentre la signora, residente a Cassino, veniva trasferita ai piani superiori, è stata colta in ascensore da un improvviso infarto ed è morta. In ospedale sono immediatamente arrivati i carabinieri della Compagnia di Cassino che ora dovranno accertare quanto accaduto e se, come dicono i familiari della donna, realmente sia rimasta otto ore al pronto soccorso senza che nessuno si rendesse conto che i dolori e l'affaticamento respiratorio potevano arrivare da un problema cardiaco in corso. NEONATA DECEDUTA - L'episodio denunciato venerdì 4 febbraio segue di poche settimane un altro evento luttuoso che avrebbe avuto origine nello stesso ospedale di Cassino: la magistratura indaga infatti sulla morte di una neonata, avvenuta lo scorso 19 novembre al Policlinico Umberto I di Roma, dopo che la piccola era nata con cesareo nel nosocomio di Cassino; la bimba aveva subito mostrato una grave insufficienza cardiaca. Secondo i genitori, il cesareo sarebbe stato eseguito in ritardo e ciò avrebbe causato danni e problemi alla neonata che non ce l'ha fatta. Redazione online 05 febbraio 2011
2011-02-02 Brunetta: sanzioni solo se c'è colpa esplicita "Certificati online, pronti allo sciopero" Da oggi obbligatori gli attestati di malattia per via telematica. I camici bianchi: "Il sistema è in tilt" * NOTIZIE CORRELATE * Certificati medici via web: se l'ammalato è la banda larga di L. Ripamonti * Le novità in quattro punti Brunetta: sanzioni solo se c'è colpa esplicita "Certificati online, pronti allo sciopero" Da oggi obbligatori gli attestati di malattia per via telematica. I camici bianchi: "Il sistema è in tilt" MILANO - È muro contro muro tra il ministro Renato Brunetta e i medici del servizio sanitario. Il provvedimento sull'obbligo di trasmissione via telematica dei certificati di malattia entra in vigore oggi, senza nessun rinvio. E scatena la reazione dei camici bianchi che avvertono su di loro il rischio di sanzioni pesanti (fino alla revoca della convenzione per i medici di famiglia o di sospensione dal servizio) se non si mettono in condizione di rispondere ai cittadini. Intervento punitivo previsto dalla legge, ma prorogato più volte. Fino alla data odierna. Ed ecco che si affaccia la prospettiva di uno sciopero. Intanto è stato dichiarato lo stato di agitazione. Oggi l'impiegato o qualsiasi dipendente che avesse bisogno di certificare l'indisponibilità a recarsi in ufficio per motivi di salute potrebbe subire disagi non indifferenti perché, secondo Giacomo Milillo, segretario generale della Fimmg (Federazione medici di famiglia, il maggior sindacato del settore) "le difficoltà sono evidenti. Il sistema messo in piedi dal ministero della Funzione Pubblica fa acqua. Anche chi nel proprio studio si è organizzato per rispondere ai pazienti in modo moderno trova ostacoli nel contattare il call center centrale o perde tempo perché la rete va in tilt". RISPARMIO - Brunetta non demorde, sicuro del fatto che il nuovo corso farà risparmiare milioni di euro in termini di carta (finora sono stati spediti via telematica già quattro milioni di certificati). Ha inviato una lettera ai medici dove ricorda la scadenza. E chiarisce, per rabbonirli: "Le sanzioni scatteranno solo nel caso di colpa esplicita. Timori e paure non hanno ragione di essere. Già adesso è così. Sarà nostra cura assicurare un attento monitoraggio delle procedure e i meccanismi del sistema per evitare ingiustificati atteggiamenti punitivi". Milillo però rincara la dose, a nome dei suoi si professa "umiliato e offeso", sostenuto anche dal sindacato degli ospedalieri l'Anaao-Assomed, dai colleghi dei pronto soccorso la cui attività potrebbe essere rallentata dalle richieste di certificare. Per evitare che il conflitto degeneri ci sarà un incontro di conciliazione tra le parti al ministero del Lavoro. Tra i due contendenti il ministro della Salute Ferruccio Fazio cerca di mettere una parola di pace: "Bisogna arrivare a un'intesa in modo da scongiurare proteste che potrebbero creare disagi a cittadini e malati. Mi unisco a Brunetta nell'esprimere soddisfazione per i risultati raggiunti in questi 10 mesi di sperimentazione, dobbiamo impegnarci tutti per ottenere la trasmissione online di tutti i certificati, circa 50 milioni all'anno". Ma giustifica i medici che pretendono una proroga: "Il sistema informatico va perfezionato". "Le multe? Facciamole a Brunetta", scherza ma non troppo il segretario della Cgil medici, Massimo Cozza. Margherita De Bac mdebac@corriere.it 01 febbraio 2011(ultima modifica: 02 febbraio 2011)
2011-01-22 L’ipotesi di aumentare i contratti finanziati dallo Stato e di riconvertire i piccoli ospedali In Italia mancheranno 20 mila medici Più pensionati che nuovi ingressi. E il governo vara il Piano sanitario L’ipotesi di aumentare i contratti finanziati dallo Stato e di riconvertire i piccoli ospedali In Italia mancheranno 20 mila medici Più pensionati che nuovi ingressi. E il governo vara il Piano sanitario ROMA - È un’emorragia inesorabile. Se non verrà tamponata porterà in breve al dissanguamento della sanità pubblica in termini di medici. I dirigenti ospedalieri, i primari e gli aiuti per usare termini più masticati dai cittadini, sono in via di estinzione. Uno dei problemi urgenti da risolvere secondo lo schema di Piano sanitario nazionale per il triennio 2011-2013 approvato ieri dal Consiglio dei ministri nella sua forma preliminare. Il documento che indica obiettivi e correttivi è all’inizio del cammino. Dovrà essere votato dal Parlamento. Tra i capitoli nevralgici, le risorse umane. Previsioni nere. La stima è che entro il 2015 diciassettemila medici lasceranno ospedali e strutture territoriali per aver raggiunto l’età della pensione. In parte non verranno rimpiazzati per la crisi economica e i tagli del personale. In parte mancheranno i rincalzi. Dovremo anche noi ricorrere all’assunzione di stranieri come Gran Bretagna e Stati Uniti? La crisi italiana si avvertirà in modo sensibile a partire dal 2012, avvio di un "saldo negativo tra pensionamenti e nuove assunzioni". La forbice tra chi esce e chi entra tenderà ad allargarsi anche per penuria di nuovi professionisti sfornati dalle scuole di specializzazione. Squilibrio ancora più evidente nelle Regioni in deficit che devono gestire rigidi piani di rientro. I tecnici del ministro della Salute, Ferruccio Fazio, propongono correttivi che consistono nell’aumento di risorse finanziarie per la formazione degli specialisti. Bisognerebbe innalzare il numero dei contratti finanziati dallo Stato. Ora sono 5 mila, insufficienti. L’analisi va nel dettaglio. Dal 2012 al 2014 è prevista una carenza di 18 mila medici che diventeranno 22 mila dal 2014 al 2018. Legato a questo il problema degli specializzandi in medicina veterinaria, odontoiatria, farmacia, biologia, chimica, fisica e psicologia che oggi non ricevono borse di studio. Per la loro formazione viene indicata una copertura per 800-1.000 contratti. Per Stefano Biasioli, segretario della Confedir, la confederazione dei dirigenti in pubblica amministrazione, "lo squilibrio tra necessità e programmazione nelle scuole di specializzazione è un fenomeno già presente che si sta aggravando anche perché il numero di posti nelle scuole non viene adattato alle esigenze di mercato". Alcune specialità sono in uno stato di sofferenza cronica. Anestesia, radiologia, pediatria, nefrologia, geriatria (con la popolazione che invecchia) e tutta la chirurgia. "Si guadagna molto poco agli inizi, si rischia molto. Due ragioni per scegliere altre strade", testimonia le difficoltà dei colleghi il trapiantologo Antonio Pinna. Il Piano sanitario individua altri ingranaggi da cambiare nella sanità. Occorre riqualificare la rete ospedaliera con la riconversione degli ospedali di piccole dimensioni e la loro trasformazione nei nuovi modelli di offerta territoriali sviluppati dalle Regioni. Va rivista, poi, la rete dei laboratori di analisi, mal distribuiti. Soprattutto in considerazione della sua importanza: il 60-70% delle decisioni cliniche partono da qui. Il Piano si sofferma anche sul tema delle vaccinazioni con particolare attenzione a quella antimorbillo. Margherita De Bac 22 gennaio 2011
2011-01-08 I consigli di FlyLady, il sito americano di autoaiuto con centinaia di migliaia di iscritte Tornare in forma, la strategia dei 7 passi Piatti divisi in tre parti. Mangiare al 90% sano e al 10% con concessioni alla gola. Gli esperti: anche attività fisica * NOTIZIE CORRELATE * Il canale nutrizione di Corriere.it * Nutrizione: l'esperto risponde * Tutti i video sulla nutrizione * Diabete: l'esperto risponde * Cuore: l'esperto risponde * Le linee guida per una sana alimentazione * Come leggere l'etichetta degli alimenti * I disturbi del comportamento alimentare * Il dizionario della salute I consigli di FlyLady, il sito americano di autoaiuto con centinaia di migliaia di iscritte Tornare in forma, la strategia dei 7 passi Piatti divisi in tre parti. Mangiare al 90% sano e al 10% con concessioni alla gola. Gli esperti: anche attività fisica MILANO - Anno nuovo, vita nuova. E perché non porsi finalmente buoni propositi in fatto di prevenzione e corretta alimentazione. Un cambiamento culturale che, volenti o nolenti, deve partire in casa. In famiglia. Un problema non indifferente nelle società del benessere dove proprio a tavola si innescano le patologie croniche più gravi e più costose per la sanità: obesità, diabete, malattie cardiovascolari. E anche i tumori che nel tipo di cibo trovano concause o antidoti. Il logo del sito FlyLady.net Il logo del sito FlyLady.net La regola delle tre Q Quantità (da ridurre), qualità, quotidianità: tre Q per cambiare cultura alimentare. Tre Q è la filosofia, da applicare in sette passi quotidiani (GUARDA). Sette step, attraverso i quali scandire il cambiamento culturale anti-grasso, zavorra per l'estetica e per la salute. Il metodo degli step arriva dagli Stati Uniti, da una delle mailing-list più seguite: quella delle casalinghe affatto disperate. Il Flylady.net (centinaia di migliaia di iscritte) rilancia e amplifica, nel 2011, la sfida della First Lady Michelle Obama contro i mali peggiori dilaganti negli States: l'obesità e il diabete senile, che ormai sta diventando giovanile. La diabesità, così si può definire, è la nuova emergenza globale, concausa di altrettanto drammatiche mine per la salute: colesterolo alto e malattie cardiovascolari, ipertensione, invecchiamento precoce anche delle capacità cognitive, complicanze del diabete (dagli occhi ai reni), disabilità da sedentarietà e troppo peso sulle articolazioni. Il costo dei chili in più Insomma, una popolazione futura destinata a vivere a lungo ma molto male. E a costare molto: 280 miliardi di dollari per la sanità americana, sommando solo obesità e sedentarietà. In Italia i sedentari sono 24 milioni, il 66,7% della popolazione e solo il 20%, pari a circa 7 milioni di persone, svolge una sufficiente attività motoria. E i costi sociali di obesità e sedentarietà toccano, nel nostro Paese, i 65 miliardi di euro all'anno: lo 0,38% del Pil. La sfida deve partire dall'obesità infantile. Anche in Italia, dove ormai circa il 12% dei bambini è obeso e uno su tre è in sovrappeso. Tradotto: tra i 6 e gli 11 anni sono circa 400 mila i "malati" di chili in più. Casalinghe Fly Sfida raccolta dalle casalinghe americane di FlyLady (dove Fly significa Finally loving yourself, ama finalmente te stessa) che hanno iniziato l'anno trasferendo il loro metodo degli step quotidiani e dei reminders dalla cura della casa alla cura del corpo. Obiettivo da raggiungere con sette step quotidiani. I sette passi della buona salute per dire addio ai chili di troppo o per non prenderne affatto. "Con piccoli ritocchi sono buoni per tutti. Direi universali", dice Adriana Albini, responsabile della Ricerca oncologica dell'Istituto MultiMedica di Milano e curatrice scientifica di una colonna di monografie su dieta e prevenzione. Dimagrire in sette mosse Ecco quindi i sette passi quotidiani da seguire, da imparare a memoria, da rendere automatici come il lavarsi i denti. 1. Porzioni distorte: i piatti di oggi sono molto più grandi di quelli usati 40 anni fa, per cui meglio ragionare utilizzando i piatti da dessert. Si prende il piatto, lo si divide idealmente a metà: in una metà va frutta e verdura, l'altra la si divide ancora in due. Un quarto è per i carboidrati (patate, pasta o riso integrali), l'altro per le proteine (pollo, pesce, formaggi magri). Un metodo facile per avere a pasto le giuste porzioni, non ingrassanti e di qualità. Peraltro dimezzando senza sforzo le calorie. 2. Menù pianificati: sapere cosa mangiare, quando e come cucinare il cibo per preservare i nutrienti. Predisporre alcuni snack o spuntini sani (frutta, yogurt, fibre) per i momenti critici. Se salta la pianificazione, fallisce l'intero piano. 3. No ai cibi conservati (le scatolette contengono troppo sale e pochi nutrienti), sì a frutta e verdura di stagione e fresca. Evitare le salse e il pane tipo fast food: c'è una pericolosa aggiunta di zucchero nella loro preparazione. 4. Meno proteine e ben selezionate: da legumi, salmone non allevato, pesce azzurro, un po' di parmigiano. Da limitare la carne rossa (al massimo due volte al mese se è la gola a comandare) e i grassi animali. Olio extravergine d'oliva (ricco di vitamina E) aggiunto sui cibi già cotti. 5. Stop alle bibite gassate: bere acqua (minimo 8 bicchieri al giorno) e tè verde, ottimo per la perdita di peso e ricco di proprietà benefiche. Il tè verde contiene caffeina e, quindi, può disidratare: nel caso un bicchiere d'acqua in più è sufficiente. 6. Qualità invece di quantità: basta con l'alibi "costa troppo mangiare sano". Esistono sempre le offerte speciali. Un sacchetto di patate, per esempio, costerà sempre meno di un purè precotto e permetterà di cucinare molti altri piatti oltre al purè. 7. Regola del 90/10: mangiare sano il 90% del tempo, strappi concessi per il restante 10%. Così si è bilanciati nella dieta, senza però soffrire deleterie mortificazioni. Portare a spasso il cane "Aggiungerei l'attività fisica - interviene la Albini -: consiglierei un cane da portare a passeggio, o fare le scale in discesa tutti i giorni. Previene diabete, ipertensione e sovrappeso. Ottime le attività domestiche senza aiuti elettronici: meglio della palestra". Insomma, lavare i vetri o passare lo straccio potrebbe sostituire il tapis roulant. Anche per gli uomini. Consigli dai recenti studi scientifici? "Non eccedere in spremute di pompelmo, è dimagrante ma anche rischioso (aumenta il rischio di tumore al seno per i suoi fito-ormoni) - aggiunge la Albini -. Bene l'ananas, aiuta nella dieta ed è scudo per il tumore". Informazioni utili: dimagrire di 5-6 kg vuol dire cambiare l'assetto metabolico e ridurre il rischio di diabete; una taglia in più o in meno equivale a 6-8 kg; ogni nuovo buco sulla cintura corrisponde a mezza taglia. Mario Pappagallo 07 gennaio 2011(ultima modifica: 08 gennaio 2011)
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IL CASO Mafia, Formigoni contro Vendola "Miserabile, fa uso di sostanze..." Il presidente della Regione Puglia chiama in causa il governatore lombardo e il sindaco di Milano puntando il dito sulla sanità e sul "circuito degli appalti ntorno alla 'ndrangheta" Mafia, Formigoni contro Vendola "Miserabile, fa uso di sostanze..." Il governatore pugliese Nichi Vendola a Piazza Affari "La Lombardia è la regione più mafiosa di Italia". Il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, lo dice senza mezzi termini e punta il dito soprattutto sulla sanità, tirando in ballo anche il sindaco di Milano, Letizia Moratti, e il presidente della Regione, Roberto Formigoni, che secondo lui sono stati tenuti fuori da un recente fatto di cronaca giudiziaria che riguardava riunioni di boss mafiosi nelle sale di alcuni ospedali milanesi. L'intervento di Vendola arriva da Palazzo Mezzanotte, sede della Borsa milanese, durante l'incontro 'La fabbrica dell'economia, c'è un'Italia migliore'. Le parole di Vendola sulla Lombardia Immediata la replica di Formigoni: "E' un miserabile. Lo sapevamo. Lo conferma. Fra l'altro ripete pari pari le stesse parole che ha detto venti giorni fa. Quindi probabilmente è sotto l'effetto di qualche sostanza", ha detto il presidente della Regione Lombardia. "Risponda piuttosto Vendola - ha detto Formigoni - alla domanda che gli pongo da oltre un mese: come mai il suo ex assessore Tedesco è stato messo in galera, non è in galera solo perché il Pd lo ha messo a senatore? E Tedesco ha detto con chiarezza che gli stessi reati commessi da lui li ha commessi Vendola. Come mai due pesi e due misure?". "Non abbiamo avuto la fortuna - aveva detto Vendola - di vedere sui tigì nazionali i volti di Moratti e di Formigoni associati alle vicende di cronaca giudiziaria che raccontano quale sia il livello di pervasività dell'organizzazione 'ndranghetista che controlla le Asl e ai boss che organizzano le proprie riunioni negli ospedali. A giudizio di Vendola "la 'ndrangheta in Lombardia ha un un circuito di appalti che ruotano intorno a tutte le pubbliche amministrazioni di questa regione. Sarebbe interessante affrontare questo nodo". Sulla vicenda interviene anche l'assessore alla Sanità della Regione Lombardia, Luciano Bresciani, secondo il quale "il presidente Formigoni ha espresso il pensiero di molti. Non vorrei che da parte di Vendola fosse invidia. Ognuno guardi casa propria e faccia una buona gestione delle proprie Regioni". Poi la controreplica di Vendola a Formigoni: "Non si è arrabbiato, ha letteralmente perso le staffe: se cerca qualcuno dedito all'uso di sostanze stupefacenti non si deve rivolgere a me, può guardarsi attorno". E ancora: "Formigoni mi chiede come mai non sono in galera. Quando hanno iniziato ad indagare qualcuno nella mia giunta, ho cacciato tutti. Ho azzerato la giunta. Lui quando hanno arrestato Prosperini ha manifestato solidarietà nei confronti del suo assessore fino a quando ha patteggiato la pena, riconoscendo quindi il reato". (25 marzo 2011)
L'INCHIESTA Tedesco: "Chiederò al Senato di autorizzare l'arresto" In una intervista l'ex assessore alla Sanità pugliese dice di non poter accettare di essere salvato. E su Vendola: "Un uomo privo di sentimenti" Tedesco: "Chiederò al Senato di autorizzare l'arresto" Chiederà al Senato di concedere l'autorizzazione all'arresto il senatore Alberto Tedesco, autosospesosi dal gruppo del Pd al Senato, ex assessore alla Sanità della Regione Puglia, e indagato nell'ambito delle inchieste sulla gestione della sanità pugliese. Per il senatore Tedesco il gip De Benedictis qualche giorno fa ha confermato la richiesta della misura cautelare dopo un lungo interrogatorio. Il Senato dovrà decidere nei primi giorni di aprile se concedere o no gli arresti. "Non posso accettare che la magistratura chieda il mio arresto e che il Senato mi salvi. Per questo quando il provvedimento giungerà in aula inviterò l'assemblea ad autorizzare il carcere". "Voglio camminare a testa alta - dice l'ex assessore alla sanità - e voglio che la mia famiglia cammini a testa alta"."Non potrei camminare tra la gente che dice 'è stato salvato dal Senato'". E Tedesco continua: "La mia innocenza è totale e la voglio dimostrare. Le indagini stanno andando stranamente in un modo molto lento". "A me - ribadisce Tedesco - interessa la gente. Temevo che la gente potesse ricredersi sul mio conto. Invece non è così e non voglio incrinare questa credibilità". La sua decisione - è stato chiesto a Tedesco - può dipendere dal fatto di temere di essere 'scaricato' dal Pd? "No, è esattamente l'opposto - ha risposto Tedesco - io voglio solo avere la possibilità di esprimermi e di dimostrare la mia totale innocenza". LEGGI Il gip conferma la richiesta di arresto Tedesco ammette comunque di provare "una delusione forte" dal punto di vista umano per quanto riguarda il comportamento tenuto nei suoi confronti dal presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, e dal sindaco di Bari, Michele Emiliano. "Ho sempre dimostrato lealtà, ho sempre lavorato con il massimo impegno ogni giorno e mi aspettavo una solidarietà diversa, soprattutto da Vendola dal quale non ho ricevuto neanche una telefonata". In una intervista, Tedesco definisce il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola: "Un uomo privo di sentimenti. Con lui, sino a quando gli sono stato utile elettoralmente, ho avuto ottimi rapporti. Anche quando ero indagato. Dal giorno dopo le elezioni del 2010 mi ha accuratamente ignorato". Il senatore del Pd ironizza sull'interesse di Vendola per le nomine dei vertici della sanità regionale ("Nelle sue famose 'narrazioni' c'è un posto anche per i direttori generali"). LEGGI Tedesco in tribunale. "Ho chiarito tutto al gip" Il parlamentare non risparmia neppure il sindaco di Bari, Michele Emiliano: si interressava delle nomine "perché era preoccupato di mantenere gli equilibri all'interno del partito"; "ha sempre cercato di influenzare le politiche regionali e questo ha creato in quegli anni attrito anche con Vendola". Il senatore punta il dito anche contro i compagni di partito Rosy Bindi e Francesco Boccia: "Senza aver letto una carta si sono scagliati con inaudita violenza contro di me". LEGGI Vendola: "Sottovalutai il conflitto di Tedesco"
SANITA' Così i furbetti del ticket evadono un miliardo l'anno Esentato senza diritto quasi il 40% dei malati. Firme false e medici distratti. Il trucco consiste nell'autocertificare un reddito basso, ma dai controlli a campione si scoprono decine di truffe. Le Regioni erogano annualmente 13,6 miliardi e riescono a recuperarne con la tassa solo l'11,8% di MICHELE BOCCI Così i furbetti del ticket evadono un miliardo l'anno Il segreto sta tutto in una firma e nella giusta faccia tosta. Un frego dietro la ricetta del medico e anche chi magari è proprietario di tre appartamenti e guadagna 4mila euro al mese se ne va senza pagare. L'importante è non impappinarsi di fronte all'impiegato della Asl quando si afferma: "Ho l'esenzione per reddito". Il giochetto riesce ogni giorno a migliaia di italiani, in tutte le regioni. Il Veneto, ad esempio, si è messo a controllare le dichiarazioni al fisco del 5% dei cittadini che nel 2009 hanno detto di essere indigenti e perciò non hanno tirato fuori un euro per esami, visite e analisi nelle strutture sanitarie pubbliche. Ebbene, una parte significativa di loro non aveva diritto all'esenzione. Secondo quanto comunicato dalla Regione al ministero delle Finanze, in un anno quel gruppo di falsi esenti, certamente molto ridotto rispetto al totale, ha fatto mancare alle aziende sanitarie venete la bellezza di 10 milioni di euro. Siamo un paese di evasori e il ticket sanitario non fa eccezione. Tra imbrogli, controlli scarsi e una normativa dalle maglie larghissime, nessuna Regione riesce ad evitare di perdere soldi. Il ministero delle Finanze vuole di correre ai ripari e cerca di avviare una riforma, già al centro di polemiche, per riscuotere più denaro. Questo tipo di tassa ha una particolarità rispetto alle altre: vale poco. Per la cosiddetta specialistica, visite esami ed analisi, il ticket è al massimo di 36 euro ma spesso costa meno. Chi non lo paga non si sente autore di un crimine, come chi nasconde i soldi all'estero o fa migliaia di euro di nero, ma contribuisce a produrre un danno molto rilevante. Le prestazioni sanitarie infatti sono un numero enorme e i furbetti del ticket, messi tutti insieme, ogni anno evadono almeno un miliardo e 100 milioni di euro. Una cifra di poco inferiore a quella che versano nelle casse delle Asl i non esenti, cioè un miliardo e 600 milioni. Vuol dire che il 40% di coloro che dovrebbero pagare la tassa sulla sanità in realtà la evadono. Come fa a sparire quella bella fetta della cosiddetta "quota di partecipazione" dei cittadini al sistema sanitario? Video Parla Carlo Lusenti, assessore alla Sanità dell'Emilia Romagna 1 UN ESERCITO DI ESENTI Dal ticket per la specialistica (quelli sulle ricette e sul pronto soccorso non sono previsti in tutte le Regioni) sono dispensati due gruppi di cittadini: chi ha problemi di salute o invalidità e chi ha problemi economici. Sono gli ultimi a sfuggire al controllo delle Asl, perché a loro basta un'autocertificazione per non pagare la tassa su visite ed esami. Questa categoria di esenti è composta da disoccupati, titolari di pensione minima o sociale e da tutti coloro che hanno più di 65 anni, o meno di 6, e un reddito lordo familiare inferiore a 36mila euro e spiccioli. Ma quanti sono i cittadini con un'esenzione nel nostro paese? Di certo la maggior parte di coloro che si rivolgono alle strutture pubbliche. In una Regione considerata virtuosa come la Toscana, a non pagare il ticket sia per motivi di salute che di reddito è il 57% di chi consuma prestazioni sanitarie. Se si vanno a prendere le fasce di età, si trovano numeri ancora più interessanti. Considerando solo chi nell'arco di un anno non paga la tassa a causa del reddito basso, gli ultrasettantacinquenni sono oltre il 65%, i bambini sotto i 5 anni oltre il 55%. In buona parte delle altre Regioni i numeri sono anche sensibilmente più alti. E disegnano una situazione economica degli italiani assai poco credibile. Ma quali sono i dati dell'evasione? E soprattutto, quanto pesa in ogni Regione italiana il mancato guadagno? QUELLO CHE SPENDIAMO PER I TICKET Non esiste un calcolo certo ma incrociando i dati del ministero della Salute si comprende il fenomeno. Ogni anno il sistema sanitario recupera 1 miliardo e 605 milioni di euro di ticket. Il 73% della cifra entra direttamente nelle casse delle aziende sanitarie, il resto viene riscosso dal privato convenzionato. Per avere una prima idea dell'evasione va fatto il rapporto tra incassato e popolazione di ogni Regione. Le differenze tra le varie realtà sono legate alla maggiore o minore incidenza degli esenti per reddito, perché non ci sono motivi epidemiologici che facciano pensare a grosse differenze nei dati di quelli per patologia. Questo tipo di esenzioni, tra l'altro, richiedono un certificato medico e un attestato della Asl, cioè si ottengono con una procedura assai più complessa dell'autocertificazione. Ovviamente esistono i falsi malati, e sono tanti, ma se si parla di ticket pesa di più l'evasione di chi dice di non guadagnare abbastanza. Ebbene, a guardare il dato nel dettaglio si trovano differenze importanti. Ogni anno in Valle d'Aosta gli abitanti pagano in media 36,3 euro a testa per visite ed esami nel pubblico, in Veneto 36,2, in Emilia 33,9, in Friuli 33,6, in Toscana 32,9, in Piemonte 30,8, nelle Marche 28,8. Partendo dal fondo della classifica ci sono la Calabria con 15,5 euro versati all'anno, poi la Puglia con 17,5, la Campania con 22,3 euro, l'Umbria 26,1, la Sardegna con 26,5, la Sicilia, 27,7. Non brillano il Lazio, con 21 (ma il dato non tiene conto di quanto riscosso dal privato convenzionato), e la Lombardia, che si ferma a 27,1. La media nazionale è 26,7 euro. Si potrebbe dire: valutare la spesa dei cittadini non basta perché certe Regioni sono più povere. Abbiamo così corretto il dato con la distribuzione del reddito medio nelle Regioni nel 2008. In Veneto il ticket rappresenta così l'1,85 per mille di quanto guadagnato in media all'anno da ogni cittadino, in Val d'Aosta l'1,77, in Friuli l'1,72, in Toscana l'1,69, in Emilia l'1,64, nelle Marche l'1,63, in Piemonte l'1,53, in Lazio lo 0,98 (ma c'è il problema dei convenzionati). In questi nuovi dati, una parte del sud recupera sul nord. In Campania il ticket rappresenta l'1,41 per mille di quanto denunciato da ogni cittadino mediamente in un anno, in Sicilia addirittura l'1,83, in Sardegna l'1,62. Restano basse Calabria (1,15) e Puglia (1,18). Colpisce il dato della Lombardia, che è l'1,20 per mille, come fosse una realtà del sud. Questa Regione però ha deciso che chi ha meno di 14 anni non paga mai il ticket, al di là del reddito familiare, quindi incassa di meno. La media nazionale è di 1,41. I NUMERI DELLA FRODE Se il sistema si uniformasse e le Regioni facessero maggiore attenzione all'evasione, i soldi recuperati dalle casse delle Asl sarebbero molti di più. Questo ragionamento è rafforzato da altri dati, ricavati dal rapporto tra l'investimento del sistema per offrire ai cittadini l'attività specialistica e i soldi che rientrano dai ticket per compensare questi esborsi. Le strutture pubbliche per assicurare ai cittadini italiani esami, analisi e visite spendono circa 13 miliardi e 600 milioni di euro. Il sistema, si diceva, incassa dai ticket circa 1 e 605 milioni, cioè l'11,8% di quanto spende. Ma quanto entra nel giro di un anno nelle casse di ciascuna Regione grazie alla tassa sulla specialistica e quanto in più potrebbe entrare? Anche in questo caso la situazione non è omogenea. La Campania incassa circa il 9,2% della spesa, la Calabria il 7,5%, la Lombardia il 9,9%, la Liguria il 10,4% e la Puglia l'11,7%. Le altre Regioni stanno sopra la media nazionale (Valle d'Aosta 16,8%, Umbria 16%, Toscana 16,5%, Friuli 15,4%, Emilia il 14,6%, Marche il 13,7%, Piemonte il 13,1% Sicilia il 12,6%, Sardegna 12,5%). Le differenze tra i numeri non sono giustificate, teoricamente la percentuale di soldi che rientrano dovrebbe essere uguale ovunque. Ebbene, se tutte le Regioni, grazie a più verifiche mirate a scovare i furbetti, portassero i loro dati ad un livello ritenuto dai tecnici sanitari plausibile e comunque non irraggiungibile, cioè intorno al 20%, quanto incassato con i ticket salirebbe a 2 miliardi e 722 milioni di euro. Cioè un miliardo e 100mila euro in più, soldi che presumibilmente oggi vengono evasi. Si arriva quasi alla stessa cifra con un calcolo più semplice (e un po' meno affidabile). La Toscana stima di perdere per l'evasione 45 milioni all'anno, e ha circa un ventesimo degli abitanti del paese. Se si moltiplica si arriva a circa 900 milioni. 4500 DENUNCIATI OGNI ANNO Al di là dei tentativi delle Asl italiane di fare controlli e recuperare i soldi di ticket perduti, resta fondamentale l'attività delle forze di polizia. Negli ultimi mesi Nas e Finanza hanno denunciato 40 persone a Nocera, 266 a Parma, 344 a La Spezia, 150 ad Ancona e via così. Le Fiamme Gialle nella relazione sull'attività del 2010 riportano il dato di 4500 denunce di falsi invalidi e falsi poveri. Emblematico il caso di un paese di 7mila abitanti in provincia di Reggio Calabria, Caulonia. I finanzieri ha scoperto tra chi in un anno si è rivolto al presidio sanitario locale ben 621 persone che si sono dette disoccupate o indigenti mentre in realtà erano proprietarie di case o titolari di attività da 300mila euro all'anno. "Fa impressione che si sia trattato di una verifica a campione - dicono dalla procura di Locri - L'evasione del ticket sanitario appare quasi un costume sociale, al nord e al sud". Negli uffici regionali e nelle Asl, c'è chi è convinto che non sempre l'evasione avvenga per volontà del cittadino, magari anziano. Il fatto è che in molti, anche tra chi lavora nel sistema sanitario, pensano che gli ultrasessantacinquenni non debbano pagare comunque, al di là del reddito. Che cosa rischia in Italia chi viene scoperto e finisce sotto processo per non aver pagato il ticket? Normalmente le procure contestano il reato di truffa ma le sezioni unite della Cassazione il 25 febbraio hanno depositato una sentenza che cambia le cose, alleggerendo la posizione dei colpevoli. Il reato di chi ottiene l'esenzione per prestazioni sanitarie attraverso un'autocertificazione sul reddito sarebbe "indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato". Il codice penale prevede, se si tratta di una prestazione da meno di 4mila euro, come in questo caso, una sanzione amministrativa, e quindi non penale, tra 5.164 e 25.822 euro. La sentenza dovrà essere tenuta in considerazione da tutti i magistrati che avranno a che fare con i furbetti del ticket. NUOVE REGOLE E POLEMICHE I ministeri della Salute e delle Finanze sanno bene che la partita del ticket è fondamentale, tanto più in un periodo difficile dal punto di vista economico. Dal primo aprile dovrebbe partire un nuovo sistema per certificare l'esenzione per patologia ma è polemica da parte di chi si vorrebbe al centro dei controlli: i medici di famiglia e i pediatri. L'idea del decreto del dicembre 2009 che vuole potenziare "i procedimenti di verifica delle esenzioni in base al reddito" è di utilizzare la tessera sanitaria, la carta ancora piuttosto lontana dall'essere attiva in buona parte delle Regioni, e soprattutto di dare responsabilità ai dottori. Saranno loro a dover consultare attraverso il pc i dati del ministero per accertare l'eventuale esenzione di ogni loro paziente. "Non siamo ragionieri ma medici", protesta il segretario del sindacato Fimmg, il più rappresentativo dei dottori di famiglia, Giacomo Milillo, che ha da poco ingaggiato una dura polemica contro il sistema dei certificati online. Sulla stessa linea i pediatri: "Qui si sta esagerando, vogliono farci sbrigare sempre più burocrazia", dice Giuseppe Mele della Fimp. Con i dottori di traverso, il nuovo sistema è destinato a slittare. La grande evasione va avanti. (25 marzo 2011)
2011-03-17 IL CASO La vergogna degli Ospedali psichiatrici "Condizioni disumane per gli internati" La denuncia della commissione del Senato che ha visitato le sei strutture giudiziarie italiane: "Muri cadenti, malati lasciati senza cure e nella sporcizia; tre Opg sarebbero da chiudere subito". C'è chi è dentro per essersi travestito da donna 25 anni fa. Domenica sera tutte le immagini a "Presa Diretta" di ADELE SARNO La vergogna degli Ospedali psichiatrici "Condizioni disumane per gli internati" Il corridio di un ospedale psichiatrico giudiziario italiano ROMA - Le lenzuola sporche, i muri scrostati dall'umidità, la muffa, i materassi accatastati, gli uomini, soprattutto, lasciati senza cure e costretti in condizioni disumane. Sono i fotogrammi della realtà dimenticata che si cela oltre i cancelli degli ospedali psichiatrici giudiziari (opg) italiani, i luoghi in cui gli internati sono condannati a scontare una sorta di ergastolo bianco. Qui la malattia mentale è ancora uno stigma, una ferita da nascondere alla società. Eppure, oltre agli autori di crimini efferati, negli Opg italiani c'è anche chi è finito dentro 25 anni fa per essersi travestito da donna e aver spaventato i bambini di una scuola. IL VIDEO 1 / FOTOGALLERY 2 A fare il punto sulla situazione in cui versano gli Opg è la Commissione d'inchiesta del Senato sull'efficacia ed efficienza del Servizio sanitario nazionale, presieduta da Ignazio Marino, che ha presentato oggi un documentario che racconta la vita dietro le sbarre. Dall'indagine condotta sugli ospedali di Barcellona Pozzo di Gotto (Me), Aversa (Ce), Napoli, Montelupo Fiorentino (Fi), Reggio Emilia e Castiglione delle Stiviere, emerge un quadro chiaro: in queste strutture che avrebbero dovuto sostituire i manicomi criminali, in realtà, le cose non sono cambiate di molto. Il problema è che quando si entra si rischia di non uscire più. Secondo i dati della Commissione, su 376 internati dichiarati 'dimissibili', per ora solo 65 sono stati effettivamente rilasciati, mentre per altri 115 è stata prevista una proroga della pena. Di questi ultimi, solo cinque sono ancora internati perché ritenuti socialmente pericolosi, tutti gli altri non sono stati liberati perché non hanno un progetto terapeutico, non hanno una famiglia che li accolga o una Asl che li possa assista. E' come se fossero rifiutati dai "loro" territori perché mancano le risorse e, secondo la Commissione, è rimasto sulla carta l'impegno del governo di stanziare 10 milioni di euro (5 dal ministero della Salute e 5 dalla Giustizia) per agevolare l'assistenza e garantire le cure a chi può uscire e tornare alla vita. Le immagini scattate dai commissari e il documentario girato nel corso dell'inchiesta raccontano una realtà in cui non c'è rispetto per l'identità della persona, dove non viene garantito il diritto all'igiene e persino alle terapie. Le medicine non curano ma 'contengono', i medici, in ciascuna struttura, sono presenti solo quattro ore a settimana e devono prendersi cura anche di 300 persone. Sono gli internati stessi a raccontare il degrado o l'umiliazione di chi, ad esempio, è costretto a infilare le bottiglie d'acqua nel buco dei bagni alla turca - come è stato racocntato all'ospedale di Aversa - per farle rinfrescare d'estate o per impedire la risalita dei topi. E poi stanze da quattro che ospitano nove internati su letti a castello (proibiti in un ospedale) e uno spazio disponibile di tre metri quadrati a "malato", in netta violazione di quanto sancito dalla Commissione europea per la prevenzione della tortura. La Commissione sta monitorando ogni settimana ogni struttura per avere notizie degli internati che dovrebbero essere stati dimessi già da mesi o anni, persone rinchiuse anche se hanno commesso un reato minore, e mai più uscite a causa delle infinite proroghe delle misure cautelari. "Raccogliere i primi dati non è stato per niente semplice - spiega il presidente della Commissione d'inchiesta, Ignazio Marino - : reticenze, diffidenze, inesattezze hanno scandito le prime settimane di lavoro soprattutto negli Opg più degradati. Ci sono, tuttavia, realtà come quella di Reggio Emilia dove gran parte dei dimissibili hanno già lasciato la struttura. Speravamo di poter fare molto e al più presto, ma abbiamo bisogno di collaborazione delle realtà sanitarie locali. Anche i territori devono acquistare consapevolezza riguardo ai diritti di queste persone: non dobbiamo tollerare degrado e condizioni di vita incompatibili con il più elementare rispetto della dignità e lesivi dei principi della nostra Costituzione". La Commissione vorrebbe chiudere almeno tre ospedali su sei e, comunque, arrivare all'individuazione di nuove strutture a custodia 'attenuata' da destinare al trattamento sanitario degli ospiti. Bisogna intervenire su queste realtà, ribadisce la Commissione, anche alla luce degli ultimi fatti di cronaca che hanno coinvolto l'Opg di Montelupo Fiorentino, dove un internato è morto per aver inalato del gas, ed Aversa, dove due agenti della polizia penitenziaria sono state poste agli arresti con l'accusa di aver abusato di un internato transessuale. "Gli ospedali psichiatrici giudiziari - afferma il senatore Michele Saccomanno, relatore di maggioranza dell'inchiesta sulla salute mentale - devono essere superati. Non possiamo più ignorare, di fronte agli ultimi fatti di cronaca e alle risultanze dell'indagine effettuata dalla Commissione d'inchiesta, le condizioni disumane e di degrado in cui vivono questi cittadini. Gli internati sono persone malate e come tali vanno curate e recuperate nel pieno rispetto della dignità umana e dei diritti costituzionalmente garantiti. Lo sforzo economico a sostegno della riabilitazione e della presa in carico di questi cittadini da parte della sanità regionale non solo è possibile, ma rappresenta un impegno concreto preso da Governo e Parlamento per cancellare questa vergogna".
Dello stesso parere Daniele Bosone, relatore di minoranza dell'inchiesta: "È indispensabile che l'aspetto sanitario prevalga su quello carcerario: attualmente, infatti, le condizioni in cui i pazienti sono costretti a vivere costituiscono un insulto alla dignità dell'essere umano e nulla hanno a che fare con la cura delle malattie mentali. Per questo appare indifferibile una prospettiva che in tempi rapidi conduca alla chiusura degli Opg". Per la prima volta in onda a "Presa Diretta" le terribili immagini che la Commissione d'inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale ha girato negli ex manicomi giudiziari. Le telecamere di Francesco Cordio hanno seguito il lavoro dei parlamentari che sono entrati senza preavviso nelle fatiscenti strutture. Quello che hanno trovato è atroce. Il senatore Ignazio Marino del Pd, presidente della commissione sarà in Studio con Riccardo Iacona per raccontare il lavoro di inchiesta svolto con Michele Saccomanno del Pdl e Daniele Bosone del Pd. Appuntamento su Rai3 alle 21,30.
(16 marzo 2011)
2011-02-10 IL CASO La scomparsa del pediatra "2 milioni di bambini senza medici" Tagli alla sanità: chi va in pensione non viene sostituito. "In crisi soprattutto gli ospedali. Entro 10 anni non riusciremo più a curare i nostri figli" di CORRADO ZUNINO La scomparsa del pediatra "2 milioni di bambini senza medici" ROMA - Ai nostri figli mancheranno anche i pediatri. Ad alcuni, perlopiù al Nord, perlopiù in provincia, già mancano. Il mulino dei pensionamenti sanitari sta espellendo seicento professionisti l'anno dalla rete dei medici per i bambini mentre la fucina delle scuole di specializzazione, sono 43 in Italia, ogni grande università ne ospita una, nel 2010 ha sfornato solo 229 giovani pediatri. Il saldo umano netto tra chi esce e chi entra - meno 371 l'anno scorso - oggi mette in difficoltà pezzi interi della provincia italiana. Le prospettive future, con il dimezzamento dei professionisti italiani nei prossimi vent'anni, fa alzare l'allarme alla Società italiana pediatri: "Rischiamo di distruggere un gioiello della nostra Sanità copiato nel resto d'Europa". Quello della pediatria, ecco, sembra il percorso conosciuto dalla scuola elementare: un sistema d'eccellenza riconosciuto nel mondo azzoppato, nelle ultime stagioni, dai tagli di Stato. L'Italia con la disoccupazione giovanile al trenta per cento e una difficoltà crescente ad erogare cure alla terza età oggi "lascia scoperti", sostiene lo studio Sip, due milioni e duecentomila bambini. Scoperti, spiegano i tecnici, significa che non c'è un pediatra di territorio nel quartiere o nel paese, né una struttura vicina che possa offrire questa figura iperspecializzata. "La grande crisi oggi si registra negli ospedali", spiega Giovanni Corsello, vicepresidente della Sip, una cattedra di Pediatria all'Università di Palermo. "I pensionamenti coniugati alle politiche di risparmio lasciano posti vacanti e così crescono i reparti che non possono garantire un pediatra di guardia ventiquattro ore su ventiquattro". Sono storie contemporanee quelle di genitori che vivono nell'arco delle province del Nord, dal Piemonte al Veneto, e che per ottenere la ricetta per il farmaco antireflusso o tamponare un'emergenza clinica devono salire in auto e raggiungere un pediatra lontano. In altri casi conoscono - è la prima volta nel campo della cura dei bambini - le lista d'attesa. L'associazione pediatri ha individuato nel 2020 il punto di non ritorno. "Senza politiche d'intervento entro dieci anni non saremo più in grado di curare i nostri figli". Le previsioni dicono che fra 15 anni il 50% dell'attuale "forza pediatrica" (14.300 specialisti) sarà in pensione e fra venti si arriverà al 76%: numeri che renderebbero impossibile la cura dei bambini nella fascia da zero a sei anni. Ad essere colpito dallo sbilanciamento sarà soprattutto il Centro-Sud, con le sue Regioni sottoposte ai piani di rientro finanziario e con minori risorse per collocare i pediatri. È già in atto un fenomeno migratorio verso il Nord, dove le erogazioni pubbliche sono superiori e la domanda per coprire gli organici più forte. "Il ministero della Salute deve lasciare salire i numeri dei nuovi pediatri da immettere sul mercato e dare vita all'integrazione tra lo specialista di famiglia e gli ospedali". Potrebbe nascere un nuovo luogo, il presidio pediatrico, a metà tra l'ospedale e il medico di riferimento. Chiude Corsello: "Non è pensabile arretrare in questo campo visto che si sta affermando una teoria di pensiero che chiede al pediatra di seguire un adolescente oltre i quattordici anni, previsti oggi, arrivando fino ai diciotto". Il presidente della Sip, Alberto Ugazio, per evitare di dover ragionare nei prossimi anni in una logica emergenziale ha chiesto ai ministri della Salute e dell'Istruzione, Ferruccio Fazio e Mariastella Gelmini, di aumentare le borse di studio per l'accesso alle scuole di specializzazione. Nell'ultimo anno sono state 212. (10 marzo 2011)
2011-01-31 IL CASO Certificati sanitari online, è caos i medici: fermate le sanzioni Da domani scattano le multe. I sindacati: falle nel sistema. Fimmg: serve un rinvio, altrimenti faremo obiezione. Il nuovo metodo in uso da aprile di MICHELE BOCCI Certificati sanitari online, è caos i medici: fermate le sanzioni ROMA - Da domani i medici italiani sono pronti a fare disobbedienza civile contro il Governo, dando vita a una protesta senza precedenti. La battaglia dei certificati online sta per arrivare al suo culmine: dal primo febbraio è prevista l'applicazione delle sanzioni per i camici bianchi che non mandano per via informatica all'Inps i referti di malattia. Se i dati del malato non vengono comunicati per due volte, può scattare il licenziamento. Il punto è che da una parte molti professionisti, circa la metà, non sono ancora pronti perché non hanno programmi e connessioni adeguate, dall'altro, accusano i sindacati, il ministero non ha messo a disposizione un sistema efficiente, perché spesso, soprattutto il lunedì, il cervellone si blocca e il call center che lo dovrebbe sostituire non funziona quasi mai. Parola di Giacomo Milillo, il segretario del sindacato più rappresentativo dei medici di famiglia, la Fimmg, persona normalmente pacata che su questa questione si scalda molto. "Non prevedere un rinvio del sistema sanzionatorio sarebbe come gettare un fiammifero sulla benzina. Faremo disobbedienza civile. Del resto l'ingiustizia è lampante. Il medico viene colpito con la sanzione disciplinare, che tra l'altro non è graduata, se non ha l'attrezzatura adeguata ma paga anche se non funziona il cervellone del ministero. Quando si blocca tutto si perde un mare di tempo e la burocrazia ruba spazio all'assistenza ai pazienti". Tutti i sindacati si sono riuniti venerdì, ospedalieri con medici di famiglia, internisti con dottori del pronto soccorso. Hanno chiesto un incontro urgente con il ministro Brunetta, hanno scritto ai dicasteri interessati dalla riforma (oltre a Pubblica amministrazione e innovazione, Economia, Sanità e Lavoro) e alle Regioni. È partita anche una lettera per Berlusconi. I camici bianchi non intendono accettare le sanzioni. "Bisogna rinviarle per un anno - dice Milillo - Ci aspettiamo che si prenda questa decisione". Il nuovo sistema per la trasmissione dei certificati di malattia all'Inps è stato introdotto nell'aprile del 2010 ed ha iniziato a lavorare a giugno. Quando il professionista decide che un paziente deve restare a casa, scrive sul suo computer il referto che parte direttamente verso il cervellone dell'Inps, facendo ottenere un indubbio risparmio di tempo, e viene stampato in due copie per la persona malata, che ne terrà una per sé e manderà l'altra, senza diagnosi, al datore di lavoro. "Intanto, il cervellone si blocca spesso - dice Milillo - A quel punto si può chiamare il call center, con cui non si riesce mai ad arrivare in fondo alla procedura. Questo strumento servirebbe anche quando si accerta la malattia al domicilio del paziente, nel caso questi non abbia una connessione veloce". Ma ci sono anche tantissimi medici che non hanno istallato i programmi o non hanno connessione. I sindacati stimano che si tratti del 50% dei professionisti. Bisogna tener presente che si calcola anche chi lavora in ospedale. "Regioni come Lombardia ed Emilia sono molto avanti, tutti possono mandare i certificati online, altre sono molto indietro", spiega Milillo. (31 gennaio 2011)
2011-01-13 Costringeva i pazienti a operazioni inutili Arrestato primario dell'ospedale di Ragusa Il medico è accusato di aver indotto alcuni ricoverati a scegliere di essere operati "a pagamento", di aver formulato false diagnosi ed eseguito operazioni per patologie inesistenti. A una donna asportato l'unico rene funzionante, ora è in dialisi Costringeva i pazienti a operazioni inutili Arrestato primario dell'ospedale di Ragusa
Arrestato dai carabinieri del Nas il primario del reparto di Chirurgia toracica dell'ospedale di Ragusa, Ignazio Massimo Civello, 62 anni. L'accusa a suo carico è aver indotto pazienti ricoverati a scegliere di essere operati "a pagamento" in regime di attività libero professionale intramoenia, di aver formulato false diagnosi ed eseguito operazioni per patologie inesistenti. Sono indagati altri professionisti appartenenti sia allo stesso reparto sia a altre unità operative ospedaliere. I carabinieri hanno inoltre perquisito vari domicili e strutture sanitarie e ospedaliere. Nei confronti del medico ha emesso ordine di custodia cautelare domiciliare il Gip di Ragusa, Claudio Maggioni, su richiesta del procuratore Carmelo Petralia, che ha coordinato le indagini avviate nell'agosto 2008 e concluse nello scorso dicembre. Al primario vengono contestati diversi casi di concussione ai danni di ammalati, cui offriva le sue prestazioni a pagamento con la falsa prospettiva, in caso contrario, di lunghissime liste d'attesa e della possibilità che non fosse lui a eseguire l'intervento chirurgico. Inoltre, il primario avrebbe alterato le liste d'attesa per dare la precedenza ai pazienti che erano transitati dai suoi studi privati. Sarebbero emerse anche falsificazione del registro di sala operatoria, dove veniva inserito artatamente il nome del primario quale esecutore materiale, mentre in realtà era altrove. Il falso era finalizzato a far lievitare il numero degli interventi cosiddetti "istituzionali" e cioè a totale carico del Servizio sanitario nazionale, aumentando così la casistica operatoria del dirigente medico. In alcune occasioni, il primario avrebbe operato senza il consenso informato dei pazienti, perfino con l'indebita asportazione di organi sani, come una ovaia ad una giovane donna e l'unico rene funzionante ad altra paziente che, da quel momento, è stata costretta a sottoporsi a dialisi. A due pazienti sono stati "asportati" tumori allo stomaco inesistenti. In un altro caso ancora, una paziente è stata operata due volte nell'arco di pochi giorni, prima per la sua patologia e poi per rimuovere una garza dimenticata nel sul addome dall'equipe chirurgica. Il secondo intervento sarebbe stato giustificato con l'elaborazione di una falsa diagnosi. (13 gennaio 2011)
2010-01-08 Basta primo e secondo a scuola il piatto è unico Rivoluzione al via nei comuni del Nord: pasto più equilibrato e si risparmia. Ma è protesta. La sociologa: l'abitudine a una sola portata si diffonderà lentamente soprattutto al Sud dove resiste la tradizione del menu completo di FRANCO VANNI Basta primo e secondo a scuola il piatto è unico MILANO- Bambini, mettetevi in fila che si va in pausa pranzo. Le mense scolastiche del Nord si adeguano ai riti del pasto "mordi e fuggi" dei lavoratori urbani, e il piatto unico prende il posto del primo e del secondo sulle tavole dei refettori. Succede nelle grandi città del Veneto come nei minuscoli Comuni del Comasco. E una sperimentazione è in corso anche a Milano. "Con il piatto unico i bambini avanzano meno cibo e si risparmia", sostengono i sindaci e gli assessori che credono nella rivoluzione del pranzo a scuola. "Il costume alimentare sta cambiando e non si torna indietro", sostengono i sociologi. "Risparmiando sui pasti si perde in qualità", replicano le mamme delle "Commissioni mensa". Un fatto è certo: il piatto unico a scuola è anzitutto un tentativo dei Comuni di risparmiare, vista la sofferenza dei conti dovuta al patto di stabilità, alla cancellazione dell'Ici e alla dieta finanziaria imposta dal governo. Il Comune di Padova ha introdotto il piatto unico in mensa per tre giorni a settimana, e conta di risparmiare così 650 mila euro in un anno, riducendo gli avanzi dei 7mila pasti serviti ogni giorno a scuola. "Sarà una portata equilibrata - assicura l'assessore all'Educazione, Claudio Piron - e al pomeriggio sarà servita una merenda". A Vicenza il piatto unico arriva in tavola in versione rinforzata: oltre alla portata principale (lasagne o spezzatino) è previsto un contorno di verdura. Lo stesso succederà in alcuni piccoli centri: da Asso in provincia di Como ad Assago alle porte di Milano, da Cernate nel cuore della Brianza a Calcinato nel Bresciano. Francesca Zajczyk, sociologa urbana che sta conducendo una ricerca sul ciclo di vita del cibo, mette in guardia: al piatto unico a scuola ci si dovrà abituare. "La pausa pranzo mette a dura prova la tradizione italiana - dice - e il piatto unico è alla base della cucina di molti Paesi presenti nelle nostre città, come quella messicana o cinese. Certo, l'abitudine al piatto unico si diffonderà con più lentezza nelle regioni del Sud, dove il susseguirsi delle portate nella giornata del lavoratore tipo resiste". E le mense scolastiche vanno di conseguenza. A Palermo il Comune annuncia un nuovo menù "bio-mediterraneo", legato ai prodotti locali, alle ricette del territorio. Una mossa in controtendenza rispetto a quelle dei molti Comuni, fra cui quello di Roma, che per risparmiare tagliano il biologico in mensa. Milano Ristorazione, la società comunale che serve ogni giorno 80mila pasti in 450 scuole, offrirà il piatto unico solo tre giorni al mese. "È una sperimentazione che tentiamo con la Asl - dice il presidente Roberto Predolin - di più non facciamo". Una rassicurazione per le agguerrite mamme delle Commissioni mensa, che già non hanno gradito la riduzione della dimensione delle porzioni di verdura, sempre in ottica anti-sprechi. Rosanna Campeggi è una dei 400 genitori milanesi che controllano la qualità del cibo che mangiano i loro figli: "Se il piatto unico viene introdotto come forma di risparmio - dice - il rischio per la qualità è forte". Negli ultimi mesi la commissione ha segnalato diversi eccessi provocati dal voler spendere poco: dal pesce tritato e poi ricomposto a forma di filetto fino alla mozzarella comprata in Germania a prezzi bassissimi. Il costo medio di ognuno degli 1.580 pasti serviti ogni giorno nelle scuole materne ed elementari in Italia è di 3.90 euro. La stima è di Fipe, il sindacato dei pubblici esercizi. E Angem, l'associazione delle aziende che servono le mense, fornisce un altro dato: l'80,3 per cento delle gare per la fornitura di cibo alle scuole nel 2010 è stata aggiudicata con il criterio del maggior ribasso, contro il 4,9 per cento delle mense aziendali. Ilario Perotto, presidente di Angem, commenta: "Il sottocosto non può che generare insoddisfazione fra i bambini e le proteste delle famiglie". (08 gennaio 2011)
2010-08-19 MALASANITA' Puglia, il lebbrosario fantasma trecento letti, nessun paziente Per la Colonia Miulli la Regione paga 7 milioni l'anno. La struttura gestita dalla diocesi di Altamura. Denunce alla Procura e alla Corte dei conti. I pochissimi pazienti che vanno a farsi visitare ricevono un sussidio di 30 euro dal nostro inviato ANGELO LUPOLI Puglia, il lebbrosario fantasma trecento letti, nessun paziente GIOIA DEL COLLE - Eccolo qui l'ultimo lebbrosario. Nei boschi tra Bari e Taranto, a Gioia del Colle, la Colonia Hanseniana Opera Pia Miulli è nascosta da un verde che non ti aspetteresti in questo angolo di Puglia. E' un'eredità del passato, che continua a stare in piedi nonostante la malattia ormai sia quasi estinta. Il Miulli, però, è un lebbrosario senza lebbrosi, una struttura elefantiaca che ha perso la sua funzione. Gli oltre 300 posti letto sono praticamente tutti vuoti e i 60 dipendenti sono costretti a vegetare. I pazienti sono pochissimi, una cinquantina sulla carta, ma quelli effettivamente ricoverati tra i 10 e i 15, a seconda dei periodi. Il bello è che tutti potrebbero starsene tranquillamente a casa loro. Non sono più positivi al bacillo di Hansen, comunemente detta lebbra, e potrebbero reinserirsi tranquillamente nella società. E allora perché il Miulli, ospedale della Regione Puglia gestito dalla diocesi di Altamura, continua a esistere assorbendo circa sette milioni di euro l'anno dalle casse pubbliche? Franco (il nome è di fantasia), ex ricoverato che chiede riservatezza sul suo nome, vuol parlare: "Sì, sono stato un lebbroso. Ho vissuto per vent'anni in quell'ospedale specializzato, uno di quelli che vedete solo nei film o ne leggete sui libri. Ora ci torno ogni tre mesi per controlli di routine. Sono praticamente guarito, ma quel marchio indelebile mi ha segnato la vita". La sua voce si rompe al ricordo del passato, ma Franco ha voglia di raccontare. "Mi fa bene parlare - dice - anche perché solo ora mi rendo conto di come mi sia stato rubato un pezzo di vita: sono entrato ragazzino e sono riuscito a liberarmi delle catene solo a quarant'anni". Vuol raccontare soprattutto dopo aver saputo che in quell'ospedale poteva tranquillamente non starci più. Il suo ricovero, così come quello di altri sfortunati come lui, poteva essere evitato. Franco ne ha avuto la conferma leggendo la denuncia presentata alla Procura della Repubblica e alla Corte dei Conti di Bari da una dipendente del Miulli che vuol rimanere anonima. In sei pagine dense di episodi presenti e passati è condensata la storia della Colonia. Ed è spiegato il perché ora non ha più ragione di esistere. Le linee guida del 1999 della Conferenza Stato-Regioni sul Morbo di Hansen parlano chiaro. Il ricovero è necessario solo in quattro casi: positività al muco, leproreazione (lesioni e ulcerazioni, ndr), recidiva e interventi di chirurgia riabilitativa. E nessuna di tali condizioni, si legge nella denuncia, è presente nella colonia pugliese da molti anni. "Io sono rimasto in ospedale - racconta Franco - perché avevo paura di affrontare la realtà della vita. Sono entrato a 16 anni e a quell'età è difficile non credere a chi ti dice: sei un lebbroso, la gente ha paura di te. A chi ti fa pensare che sarai sempre un rifiuto della società. Oggi mi rendo conto che la mia presenza, come quella di tanti altri, serviva solo a giustificare l'esistenza della Colonia". Ora il Miulli di Gioia del Colle continua a essere al servizio di pochi ex malati, nessuno positivo al bacillo di Hansen, che considerano la struttura come un pensionato dove passare l'inverno o un ambulatorio dove farsi visitare senza troppe complicazioni. Ricoverarsi è conveniente: il paziente riceve anche un sussidio giornaliero di circa 30 euro oltre a vitto e alloggio. E poi ci sono vantaggi apparentemente inspiegabili. "Le diete personalizzate in base alla patologia - denuncia la dipendente - non esistono. Il regime alimentare prevede dalle 3.000 alle 4.000 calorie anche per i pazienti obesi, ipertesi, diabetici che dovrebbero consumarne massimo 1.500". E il motivo di quest'abbondanza è da non credere: "C'è commercio di scatolette di tonno, di carne, di affettati vari con l'esterno e con lo stesso personale in cambio di favori". "Ne ho viste tante - ricorda Franco - ci hanno blanditi ma anche condizionati pesantemente. E' difficile lasciare un posto che ti dà letto e cibo per affrontare l'ignoto senza un lavoro e con il peso della malattia". Al Miulli non esiste una direzione sanitaria (affidata pro tempore a un medico in pensione), e parte del personale è stato dirottato sull'ospedale centrale Miulli di Bari, che, come si legge nell'esposto "ha un bilancio economico a parte essendo un ente ecclesiastico". E non c'è uno psicologo a dare supporto ai malati. "Ma questo è ovvio - sottolinea Franco - per loro non ha senso aiutarti ad affrontare la vita normale. Negli anni Ottanta, il primario di allora, portò un ragazzo ricoverato in visita al presidente Pertini, che fece un bel discorso sulla necessità di riscatto e sulla capacità di superare la malattia. Ebbene, quel medico fu rimosso nel giro di poco tempo". Parole confermate dalle forti accuse della denuncia: "Tutta la politica della Colonia è stata dalla necessità che il paziente, lungi da risocializzarsi, dovesse rimanere il più possibile in Colonia per giustificare le sempre maggiori richieste fatte dal Miulli alla Regione Puglia nel passato come nel presente". E ancora: "L'ente Miulli ha sempre amplificato i giudizi su questa malattia eliminando nel tempo i rapporti dei pazienti con il mondo esterno per far sì che l'unico referente con cui potesse interloquire il paziente fosse il suo stesso "padrone"". Gli ultimi "esemplari in via di estinzione" affetti dal morbo di Hansen, secondo le accuse, sarebbero ricoverati al Miulli solo per giustificare l'esistenza stessa della colonia e mantenere i finanziamenti pubblici. Insomma gli anni sono passati, è finito il tempo in cui i ricoverati più agitati si legavano ai letti di contenzione o si chiudevano in vere e proprie celle, ma il "sistema" è rimasto in piedi. La diocesi di Altamura ogni anno presenta il conto e la Regione paga pur di non doversi accollare un altro ospedale da gestire in un'area ricca di strutture sanitarie ma povera di risorse. Del resto di nuovi casi nemmeno l'ombra. Negli ultimi dieci anni sono stati ricoverati 5-6 pazienti extracomunitari che sono stati curati e sono andati via. In tutta Europa ormai i malati del morbo di Hansen si curano come malati comuni. Non esistono quasi più strutture speciali. "Da anni lotto perché siano chiusi questi ghetti - spiega Enrico Nunzi, docente di dermatologia all'università di Genova, e uno dei massimi esperti di morbo di Hansen - non conosco la situazione di Gioia del Colle, ma ormai questi malati si possono curare tranquillamente in medicina generale, in dermatologia, in day hospital. Certo il morbo non è completamente sconfitto e per effetto della globalizzazione ogni tanto arriva un malato anche da noi. Ma non per questo è necessario conservare strutture dedicate. Purtroppo, e non vale solo per la lebbra, in medicina tende a vincere il business". (19 agosto 2010)
2010-08-17 L'altra verità su medici e ospedali Chi si arricchisce e chi si ferma a uno stipendio da serie c.
Chi è costretto a sessant'anni a trascorrere la notte del ferragosto in corsia e chi inaugura l'ultimo yacht ad Ansedonia. Com'è possibile che nello stesso ospedale le buste paga ci siano così clamorosamente diverse? Quali relazioni, quali coperture e quali trucchi servono per legare pochi a indennità d'oro? A Piccola Italia, dopo la pubblicazione di alcuni scandalosi redditi agguantati nei meandri di una normativa che allarga le maglie della discrezionalità e premia i pochi e soliti noti, sono giunte testimonianze che raccontano un'altra verità sui medici e sugli ospedali. Sull'Italia e su questo cattivo tempo. Giuseppe è pediatra oncologo, vive e lavora a Perugia: "Arrivo a circa 52 mila euro scarsi l'anno, ho 36 anni, ho due figli e moglie a carico. E sono precario. Sono specialista in oncologia, lavoro come pediatra oncologo, ho un dottorato di ricerca in ematologia e diversi altri post-it nel mio curriculum. Perché dico questo? Perché della smania e della voglia di essere "medico" non me ne resta più traccia. Della passione iniziale adesso solo routine. In reparto siamo in quattro e facciamo turni massacranti, un week end libero al mese. Non abbiamo diritto a ferie scientifiche o di aggiornamento. Non ci viene pagato lo straordinario che facciamo e ci viene imposto di ridurre le ore di accesso notturno. L'assistenza ai malati del nostro reparto è lasciata al nostro buon cuore e al rimorso che un giorno in più di ferie possa essere troppo per loro. Ed oggi leggo di illustri colleghi che prendono fino a 600 mila l'euro l'anno. Io che non ho tempo per me ed i miei figli, che devo pregare la banca per un fido di 3000 euro, cos'altro devo aspettarmi da questa Italietta? E loro come fanno ad arrivare a tali retribuzioni? Che tristezza ed amarezza". Maura ha cinquant'anni. E' neurologa. "La mia carriera di dipendente a tempo indeterminato è iniziata solo 12 anni fa. Prima ero dottore di ricerca in neuroscienze, successivamente Fellow negli USA e poi borsista CNR. Il mio reddito non supera i 55mila euro lordi e la mia pensione (se mai la prenderò) sarà inferiore al 50 per cento di quanto oggi guadagno. Forse non avrei limitato al penultimo rigo la descrizione delle reali condizioni economiche della "truppa", ed avrei invece marcato meglio che con tale remunerazione i medici fanno turni massacranti, non hanno il tempo di recuperare, vengono letteralmente aggrediti da tutti, schiacciati tra la riduzione delle risorse economiche e le scelte da fare per la salute del paziente, senza un riconoscimento adeguato e non solo in termini economici". "Sono un medico ospedaliero - scrive Salvatore, da Brescia - e ho diligentemente messo sul sito del mio ospedale sia il curriculum che lo stipendio. Dopo di che io, infettivologo, mi sono trovato ad avere entrate pari o anche superiori a colleghi cardiologi, ginecologi, chirurghi, ortopedici. Dov'è il trucco? Semplice, i proventi della libera professione non vengono inclusi e quindi non sono conteggiati, così io, che non raggiungo mai i 1000 euro al mese lordi per tale voce, mi trovo come colleghi che in realtà guadagnano 10 volte tanto! E poi ho anche scoperto che i colleghi universitari non pubblicano il loro stipendio, compresi i direttori di struttura". Luciano, ospedale di Carbonia. "Ho 45 anni ed ho iniziato a lavorare come medico ospedaliero a 35 anni. Tra la maturità scientifica, regolarmente conseguita a 18 anni, ed i 35 anni ci metta 6 anni di corso di Laurea, 4 anni di Specializzazione, il servizio militare e diversi anni di lavoro sottopagato effettuato ovunque capitasse. Ho lavorato in cliniche private per 10.000 lire all'ora. Meno di quanto davano a chi effettuava le pulizie! Attualmente lavoro in una Divisione di Medicina svolgendo esclusivamente attività di corsia compresi i turni di guardia notturni e festivi. Noi siamo aperti 24 ore su 24 per tutti i giorni dell'anno. Sa cosa vuol dire? Sa cosa vuol dire sentire alla radio domande del tipo: siete stati oggetto o pensate di essere stati oggetto di malasanità? Venite da noi, facciamo la denuncia e solo se la si vince ci pagate! I denunciati, siamo noi! Sa quanto dura una causa nel nostro paese? Sa quanto costa? Sa chi anticipa? E non oso pensare di fare qualche errore. Eppure sono un essere umano". "Io - accusa Enzo - sono "costretto" , per garantire le urgenze della Unità Operativa dell'ospedale ove lavoro, a più di dieci turni di pronta disponibilità notturna e festiva (quindi almeno due domeniche al mese) al modico prezzo di 20,66 euro. Forse si dirà che moltiplicato per 12, le ore del turno di reperibilità (dalle ore 20 alle ore 8 del giorno successivo), non è male... Ma c'è un equivoco. Le 20,66 euro sono per tutte e dodici le ore del turno, e sono lorde... Per cui, sottraendo il 40% circa dell'Irpef, al netto sono 1 (uno) euro l'ora! Quindi 1 euro l'ora per essere disponibile a raggiungere in massimo 20 minuti-mezz'ora l'ospedale (ogni ritardo è punibile anche in sede penale) ed essere in grado di affrontare un'urgenza - che sia un intervento chirurgico per rottura di milza a causa di un incidente stradale oppure una consulenza per un paziente in pronto soccorso o ricoverato nei vari reparti ospedalieri. Certo, in un periodo di crisi e disoccupazione parlare di soldi da parte di chi è "priivlegiato" e guadagna come me intorno agli 80mila euro lordi l'anno stona un poco, ma bisognerebbe bussare ad altre porte, non accusare chi fa andare avanti la baracca...". "Lavorare per più di dieci ore al giorno in ambiente ospedaliero - racconta Pierangelo, medico in Piemonte - è molto duro e si perde la concentrazione, ma in sanità ormai questo monte ore è la norma, ci si lamenta solo quando le ore diventano 13 -15... Per un giovane vecchio di 61 anni come me le mie otto ore giornaliere + 2/4 ore aggiuntive quotidiane pesano". Marco, ospedale Brotzu di Cagliari, prende in mano il suo Cud 2010: "A riga 1 compare 66.059.85 (lordi, tenga conto che il mio scaglione è, se non sbaglio, del 43%...). Sono uno degli italiani più ricchi! Faccia un po' lei i calcoli: quanto porto a casa ogni mese dopo vent'anni di servizio?" "La mia dichiarazione dei redditi - dice Fabio, un chirurgo di Milano - è di circa 65.000 euro senza "l'altro" (che per noi chirurghi non esiste se non per anestesisti e radiologi che per ridurre liste d'attesa lavorano in libera professione per l'azienda stessa, che paga profumatamente) dopo 20 anni di lavoro. L'impressione è che nell'ultimo decennio vi sia stata una contrazione insostenibile delle risorse umane e materiali con il solito proposito di favorire il privato convenzionato a discapito della qualità del servizio pubblico. Infatti, quel che si è ottenuto nella mia divisione di chirurgia generale, è stato di prorogare le liste d'attesa sino a due anni (ovviamente per ciò che non è urgenza e neoplasie), cioè sino a quando il paziente decide di utilizzare un'altra struttura. Nel corso dell'ultimo anno, per esempio, il turn over di pensionamento della mia divisione non è stato rispettato per gravi carenze di organico, e però non ha intaccato alcun servizio per i cittadini. Evidentemente ciò è potuto accadere grazie al nostro impegno. Da circa 12 mesi infatti non vengono rispettate le regole basilari del contratto di lavoro determinando un conseguente carico di servizi tale da rendere rischiosa la nostra opera. Non esistono riposi compensativi (un giorno di riposo dopo il week end di lavoro cumulato a tutta la settimana precedente), oltre 20 giorni di lavoro consecutivi con otto reperibilità all day and night long, più inframmezzate notti in pronto soccorso , sale operatorie cinque giorni alla settimana e via dicendo. Il mio pensiero è che le strutture ospedaliere non sono aziende. Non si può pensare di avere profitti su un costo sociale, se non sfruttando il lavoro altrui e la salute della comunità". Da Roma, Carmen: "Io invece sono un medico ospedaliero, specialista assunta a tempi indeterminato. Vinto regolare concorso pubblico, espletato il quale ho atteso altri due anni circa per l'assunzione definitiva, causa il solito blocco. Ho una figlia minore, pago un mutuo di circa mille euro il mese, lavoro a 40 km da Roma e non svolgo attività privata. Il mio reddito imponibile arriva a 58 mila euro, ho un prestito mensile Inpdap di 300 euro, le grosse spese non posso farle in contanti, quest'anno vacanze sì, ma a casa. Lavoro bene, i pazienti mi cercano , ma l'unico modo che ho per arrotondare il mio stipendio, sono gli straordinari, e i miei colleghi sono ben felici di cedere notti che concentro quando mia figlia sta dal padre, per non darle disagio e per non pagare baby sitter... Mi infastidisce il tono insinuante che noi medici ospedalieri siamo una lobby intoccabile, che accumuliamo denaro ai danni della collettività, che non arriva invece a fine mese. Ma la quarta settimana del mese, lo so benissimo anch'io, sulla mia pelle, cosa significa... So di svolgere un lavoro che spesso fa la differenza, sul crinale della vita e la morte (sono cardiologa). Posso affermare, anche dal confronto con le retribuzioni europee, che da cardiologo turnista sono sottopagata. A proposito, scrivo dal computer di casa. Stasera, notte di ferragosto, sarò di guardia". "Io sono un anestesista rianimatore ospedaliero di La Spezia - scrive Marco - ho letto con molto interesse e ancor più stupore il suo articolo in merito agli stipendi di alcuni medici. Sono sbigottito, perché io percepisco dopo 14 anni di servizio 70000 euro lordi annui (cud 2009) e non riesco a capire attraverso quale meccanismo si possa raggiungere certe cifre". Gregorio si è trasferito a Honolulu, e spiega il perché: "Faccio il chirurgo negli Stati Uniti dopo aver lasciato l'Italia disgustato dalle schifezze del paese e del mondo ospedaliero. Mi sono specializzato in chirurgia dei trapianti di fegato ed intestino. Ho eseguito il primo trapianto mutiviscerale totale pediatrico mai fatto in Italia (ospedale di Bergamo). I miei anni all'estero non sono valsi a nulla. nessun incarico dirigenziale. concorsi da primario vinti dai raccomandati. Per i trapianti all'inizio il chirurgo operatore riceveva la mostruosa cifra di 600 euro lordi (poi abolita dai sindacati). Nell'ultimo anno 2006/7 per un trapianto effettuato di notte percepivo l'enormità di 20 euro l'ora!". Donatella, di Brescia, primario, è sconsolata: "Personalmente faccio le guardie diurne e notturne e le reperibilità, i giorni festivi e in media il doppio delle ore settimanali dei miei collaboratori. L'Italia oggi soprattutto è piene di malandrini ad ogni livello. Ma si pensi anche a tutti noi che cerchiamo tra le mille difficoltà della sanità pubblica di fare onestamente il nostro lavoro, senza privilegi di casta". (17 agosto 2010)
Lo stipendio dei medici, più "l'altro" e la trasparenza fa trasparire molto poco La legge Brunetta avrebbe imposto di mettere on line i redditi, ma un viaggio tra varie Asl rivela che su questo fronte ben poco è stato fatto. E quel che si può sapere suscita brutti pensieri: le prestazioni straordinarie gonfiano le retribuzioni Tu hai uno stipendio, e poi un altro. Altro è la formula con cui alcune aziende sanitarie raccontano le retribuzioni integrative dei propri medici. Altro non significa altro che il monte di ore straordinarie pagate ad alcuni per sopperire le carenze di personale, i vuoti in corsia e in laboratorio, in radiologia e in anestesia. Altro non è che un modo per illustrare quanto siano a volte iniqui i tagli, quanto spreco produca l'azzeramento di ogni ingresso negli organici della sanità. Altro non è che il fondale contro cui periscono i professionisti giovani e disoccupati, perennemente poveri. A fronte della ricchezza ulteriore di chi già gode di ottimi stipendi. La parola altro, in questo caso, conferma definitivamente che l'Italia è destinato a rimanere un Paese per vecchi. Non c'è speranza né futuro per chi sia all'inizio della carriera e non sia figlio di papà. Porte sbarrate. Il dottor Gaetano P. (ospedale di Vallo della Lucania) gode di uno stipendio di circa 84mila euro lordi l'anno. Decente, quindi. Ma fa anche altro. Sopperisce ai vuoti di organico presso gli altri enti ospedalieri. Divide i giorni per tre, la settimana per cinque, corre qui e corre lì. L'altro gli rende 109mila euro in più all'anno. Totale lordo ai fini Irpef: 213mila euro. Il dottor Domenico P. (ospedale di Sapri) ha uno stipendio di 100 mila euro l'anno. Ma con l'altro che gli vale 250 mila euro, raggiunge la cifra di 364 mila euro. Ottimo e super abbondante. Inarrivabile, e qui ci vuole nome e cognome, il caso di Michele Verrioli, direttore del laboratorio di anatomia patologica dell'ospedale di Eboli: ha guadagnato 1700 euro lordi al giorno. Per i 365 giorni dell'anno scorso. Per un totale stratosferico di 657mila euro (107 mila di stipendio e 550 mila di altro). "Lavoro per dieci e non vado in ferie da tre anni", ha detto al quotidiano Terra. I sindacati hanno ribattuto: "Nemmeno se un giorno avesse 72 ore!". Ancora troppo poco traspare dalle norme sulla trasparenza. E' un bel guaio e un sicuro dispiacere per il ministro Brunetta, autore della legge che avrebbe dovuto garantire luce invece che buio sul giro vorticoso delle retribuzioni pubbliche. I medici ospedalieri, per esempio. Quanti sono e quanto guadagnano? Vivono bene o male? Si arricchiscono o sono costretti a turni massacranti e a stipendi di fame? Il loro lavoro è rispettato o oltraggiato? Piacerebbe saperlo. S'era convenuto - anzi ordinato - di mettere on line stipendi e curricula di dirigenti amministrativi e medici. Rendere pubblico tutto ciò che è al servizio del pubblico e pagato dallo Stato. Chi sei, cosa hai fatto, quanto guadagni. Scovare i dati, nell'acqua profonda delle decine di aziende sanitarie locali, è opera non semplice. E questo breve viaggio dimostra che la nebbia è fitta e la muraglia alta, quel che viene allo scoperto è un atto di resistenza, a volte di renitenza. Avvertenza per chi prosegue la lettura: lo stipendio medio di un medico d'ospedale si ferma spesso sulla soglia degli ottantamila euro lordi. L'età, alcune indennità di risultato lo fanno puntare verso i centomila (lordi), senza che questo tetto sia spesso toccato. E questa è la norma, la generalità delle retribuzioni. Ma tutti i sistemi complessi esibiscono anomalie di funzionamento, favoritismi, iniquità, attribuzioni di competenze superiori al giusto e al possibile. E qui l'operazione trasparenza avrebbe dovuto mitigare le sperequazioni illuminando le zone grigie, scoperchiando le amicizie riservate, i cachet ad personam. Forse ci siamo sbagliati e abbiamo cliccato dove non avremmo dovuto, ma l'Asl di Reggio Calabria, nella sua home page, non conduce esattamente il visitatore al centro del problema. "Spiacente, nessun risultato", comunica anche l'Asl Napoli 1. Anche qui sarà colpa del cattivo puntamento del mouse. E' come una caccia al tesoro ed è indubitabile che il tesoro sia ben nascosto. Occhi di aquila ci vogliono e nervi saldi. Ad Ancona l'Asl sembra offrire i curricula ma non le retribuzioni. A Firenze anche quelli scarseggiano. In tre su parecchie decine di medici hanno depositato il corso personale degli studi e delle esperienze lavorative. Sarà che ciascuno tiene famiglia e sarà anche che l'obbligo alla trasparenza - se maneggiato con eccessivo scrupolo - produce imbarazzi e qualche piccolo guaio. Il dirigente della sanità cilentana che raccoglie cinque piccoli ospedali della provincia di Salerno (Polla, Roccadaspide, Vallo della Lucania, Agropoli, Sapri), non propriamente il cuore dell'eccellenza italiana, ha voluto fare le cose in grande e segnalare, con implacabile determinazione, voci e sviluppi delle locali carriere. Ne è venuto fuori un quadro fosforescente, stipendi ineguagliabili. Sono decine i medici locali che scavalcano il tornante dei centomila euro annui. A fronte di uno stipendio che si situa tra i settanta e gli ottanta mila euro, la voce "altro" per le prestazioni straordinarie rese in convenzione presso gli altri ospedali della zona, innalza in modo mostruoso i redditi. Come abbiamo visto. Con il paradosso che una sanità al collasso come quella campana sforna premi a gogò. Ad Alessandria le punte massime toccano i 171 mila euro. Di Milano non si sa, quel che traspare è nebbia fitta. Magari un navigatore più esperto saprà scovare quel che non appare neanche a Campobasso, ma che è chiaro a Bari. Dove i redditi, senza la pignoleria del commissario della Asl Sa3, sono bene in vista e in via decrescente. Si parte dal dottor Michele B. (315 mila euro) si scende a 223 mila (la dottoressa Antonietta A.) e poi via via si cala: 200, 190, 170, 140. Non male. Il grosso della truppa è fermo ai sessantacinquemila, la retroguardia non giunge a 45mila. Traspare poco dalla trasparenza, come detto. Ma quel po' svelato già basta e mette brutti pensieri. (14 agosto 2010)
2010-08-06 TARANTO Quattromila pazienti deceduti ma la Asl continuava a pagare i medici I camici bianchi percepivano le retribuzioni anche per gli assistiti di cui avevano emesso i certificati di morte. Iscritti nel registro degli indagati i direttori generali pro-tempore della Azienda sanitaria. Il danno all'erario sarebbe di circa 300mila euro Quattromila pazienti deceduti ma la Asl continuava a pagare i medici
TARANTO - I medici di famiglia erano pagati per assistere anche i morti. Anche quelli di cui avevano diagnosticato il decesso, ma che non spettava a loro cancellare dagli elenchi degli assistiti. Sono stati ben quattromila i pazienti deceduti, ma che risultavano ancora vivi e vegeti nei registri dell'Asl di Taranto, che concorrevano alla quantificazione delle retribuzioni dei medici di base convenzionati. Un danno erariale stimato in circa 300 mila euro dalla Guardia di finanza. Incrociando i dati conservati nell'anagrafe tributaria con quelli in possesso dell'anagrafe sanitaria, le Fiamme gialle hanno scoperto la mancata cancellazione dagli elenchi di migliaia di persone decedute, per le quali lo Stato ha erogato ai medici compensi indebiti che ora dovranno restituire. Un avviso di conclusione delle indagini preliminari, firmato dal pubblico ministero Remo Epifani, è stato notificato all'ex direttore generale Marco Urago, all'ex commissario straordinario dell'Azienda sanitaria locale Taranto 1 Carlo Sessa e all'attuale direttore generale Angelo Domenico Colasanto. Sono accusati di abuso d'ufficio per aver omesso, nell'ambito delle competenze attribuite loro dalla normativa regionale e nazionale nel comparto della spesa sanitaria, di dare corso alle procedure di aggiornamento dell'anagrafe assistiti e per avere arrecato un ingiusto profitto ai medici. Il periodo preso in esame è quello compreso fra il 2004 e il 2008. Le indagini, che rientrano in un piano di azione disposto dal comando generale della guardia di finanza per monitorare la spesa sanitaria, sono ancora in corso per individuare altre presunte responsabilità, soprattutto per quanto riguarda la condotta dei medici, e per quantificare il danno erariale da segnalare alla Corte dei conti. Ai medici di base il Servizio sanitario nazionale corrisponde, oltre a un assegno individuale riconosciuto per anzianità di laurea e carico assistenziale, poco più di 38 euro lordi all'anno per ogni paziente. I finanzieri del Gruppo di Taranto hanno calcolato per il momento un danno patrimoniale di 300 mila euro, ma si tratta di una cifra approssimativa. Per accertare le irregolarità sono stati confrontati i certificati di morte acquisiti nei vari comuni della provincia con i tabulati dell'anagrafe sanitaria contenenti le generalità di centinaia di migliaia di assistiti. In molti casi erano gli stessi medici di famiglia a certificare il decesso dei pazienti, ma non ne davano comunicazione all'Asl. E così l'anagrafe si popolava di fantasmi e i medici coninuavano, in silenzio, a percepire le indennità. La vicenda è finita anche sul tavolo della Commissione parlamentare d'inchiesta sugli errori sanitari e i disavanzi sanitari regionali: il presidente, Leoluca Orlando, chiederà all'assessore alla Sanità della Puglia, Tommaso Fiore, ''una relazione sulla truffa''. ''La denunciata ipotesi di reato abuso - ha commentato Orlando - produce danni significativi sui costi del Servizio Sanitario nella provincia di Taranto e sulla sua credibilita'. Per questo merita ogni attenzione, non soltanto da parte della Guardia di Finanza e della Magistratura competente penale e contabile, ma anche da parte degli organi regionali e della Commissione parlamentare di inchiesta su errori sanitari regionali e su disavanzi sanitari regionali''.
(06 agosto 2010)
2010-07-06 IL RAPPORTO OSMED Una compressa al giorno, siamo italiani Farmaci, consumo raddoppiato in dieci anni di Adele Sarno Nel 2009 sono state prescritte 926 dosi giornaliere ogni mille abitanti, nel 2000 erano 580, per un totale di 30 scatole a testa l’anno. Le molecole più usate servono al sistema cardiovascolare. Boom di antidepressivi, complice la crisi. Cresce il mercato dei generici. Ecco i dati del rapporto Osmed Approfondimenti * INTEGRATORI * Le 'aggiunte' più amate Una compressa al giorno, 30 scatole a testa all’anno. Consumare farmaci è come bere il caffè la mattina, un’abitudine. In dieci anni le quantità di medicinali assunte dagli italiani sono quasi raddoppiate: nel 2009 sono state prescritte 926 dosi giornaliere ogni mille abitanti, nel 2000 erano 580. Le molecole più utilizzate sono sempre quelle per il sistema cardiovascolare. Ma rispetto al 2008, quasi tutte le categorie terapeutiche fanno registrare un incremento delle prescrizioni. In particolare, sono aumentati i gastrointestinali (+7,9%), i farmaci per il sistema nervoso centrale (+4,2%) e gli ematologici (+3,3%). Tra tutti si registra un'impennata degli antidepressivi. A fotografare un’Italia che spende sempre di più in farmacia è il rapporto OsMed (Oservatorio nazionale sull'impiego dei medicinali) presentato oggi a Roma, un report annuale elaborato dall'Agenzia italiana per il farmaco e dall’Istituto superiore di sanità elabora per monitorare la spesa farmaceutica in Italia. Che nel 2009 è costata 25 miliardi di euro, di cui il 75% a carico del Servizio sanitario nazionale. In media, per ogni cittadino italiano, la spesa per farmaci è stata di 420 euro. "Non stupisce che aumentino proprio i farmaci per le patologie croniche – spiega Roberto Raschetti, direttore dell'Osservatorio sull'impiego dei farmaci dell’Iss – una crescita legata all'invecchiamento della popolazione, ma anche le abitudini di tipo socio-culturali. In Italia, complice anche la crisi, peggiorano gli stili di vita e le condizioni psichiche di persone che tutti i giorni fanno i conti con lavori precari. Un dato positivo però c’è: la crescita del mercato dei farmaci generici, quelli senza griffe e di cui è scaduto il brevetto". Basti pensare che, secondo un'indagine dell'Osservatorio nazionale sulla salute della donna, i 'no brand', avendo un costo medio inferiore del 20-40 per cento, potrebbero comportare un risparmio potenziale annuale per le casse dello Stato di oltre un miliardo di euro. I farmaci equivalenti rappresentano quasi la metà del consumo territoriale e circa il 28% della spesa, anche se la maggiore prescrizione si concentra ancora sui prodotti branded. "Ciò significa che - continua Raschetti - almeno per quelli spendiamo meno, in quanto l’unica differenza è il prezzo, per il resto contengono infatti lo steso principio attivo, sono 'bioequivalenti', in quanto hanno la stessa efficacia, e sono ugualmente sicuri perché sottoposti agli stessi controlli che l'Aifa svolge su tutti farmaci in commercio. Anche la quantità di farmaco contenuto nella confezione, le indicazioni e le controindicazioni sono le stesse". Le più assidue frequentatrici della farmacia sono le donne e comprano soprattutto antidepressivi. "Dall’analisi condotta nella popolazione a disposizione dell’OsMed si rileva nel complesso una prevalenza d’uso del 76%, con una differenza tra uomini e donne (71% e 81% rispettivamente). I maggiori livelli di consumo nelle donne riguardano i farmaci del sistema nervoso centrale (e specificamente gli antidepressivi), i farmaci del sangue (soprattutto gli antianemici) e i farmaci del sistema muscolo-scheletrico (i bifosfonati)" continua Raschetti. Alti valori di esposizione si osservano nei bambini e negli anziani: circa 8 bambini su 10 ricevono in un anno almeno una prescrizione (in particolare di antibiotici e antiasmatici). "In Italia - dice Pietro Folino Gallo dell'ufficio coordinamento Osmed dell'Agenzia italiana del farmaco - il 50% dei bambini ha ricevuto almeno un antibiotico. Un uso più razionale di questi medicinali potrebbe far risparmiare 300 mln di euro, con un impatto positivo su tutta la salute pubblica". Mentre la spesa media di un assistibile di età superiore a 75 anni è di oltre 12 volte maggiore a quella di una persona di età compresa fra 25 e 34 anni (la differenza diventa di 17 volte in termini di dosi). La popolazione con più di 65 anni assorbe circa il 60% della spesa e delle DDD; al contrario, nella popolazione pediatrica fino a 14 anni, a fronte di elevati livelli di prevalenza, si consuma meno del 3% delle dosi e della spesa. "Gli italiani - conclude Raschetti - si dimostrano ancora malati di farmaci. Noncuranti degli appelli alla prudenza indotti dall'emergere di alcuni effetti collaterali anche gravi. E amano gli antidepressivi e non considerano che dati in modo automatico e senza una giusta terapia di supporto sono inutili. Anzi: controproducenti". (Luglio 8, 2010) Tag: Farmaci, rapporto osmed 2009
LA RIFORMA Certificati online non si parte il 19 luglio "Troppi problemi tecnici, tutto slitta al 2011″ di Adele Sarno La carta resta dove sta. Eppure la riforma del ministro Brunetta prevede che entro la metà di luglio vada in pensione, lasciando al medico di famiglia l'onere di certificare la malattia via web. Ma il segretario della Fimmg ribatte: "Troppi problemi informatici e costi aggiuntivi per i camici bianchi" Non decolla il certificato medico on-line. Il ‘tradizionale’ pezzo di carta dovrebbe andare in pensione a partire dal 19 luglio. Almeno secondo la riforma fortemente voluta dal ministro dell'Innovazione, Renato Brunetta, che prometteva la fine dell’epoca dei certificati di malattia consegnati a mano o per raccomandata. Ma, a quanto pare, i 15 milioni di lavoratori dipendenti pubblici a cui era destinato il provvedimento dovranno aspettare, perché il collaudo di tre mesi non è bastato. Ci sono ancora troppi ostacoli sulla strada: problemi ci carattere tecnico, di connessione internet e di costi aggiuntivi a carico dei medici di famiglia. A sollevare i dubbi sul ritardo il segretario nazionale della Federazione dei medici di medicina generale, Giacomo Milillo, che a margine di un convegno sui farmaci contraffatti organizzato dall'Anifa, ha dichiarato: "Ci sono ancora molti punti oscuri e credo che il 19 luglio, data di scadenza del mese di collaudo, non succederà niente, perché continueremo ad usare il canale cartaceo. Perché la riforma diventi effettiva bisognerà aspettare almeno fino alla fine del 2010, ma presumibilmente tutto slitterà al 2011". Eppure grazie questa riforma, stando alle dichiarazioni di Brunetta, avrebbe contribuito ad eliminare 150-200 milioni di pezzi di carta, a far risparmiare circa 10 euro per ogni certificato, tanto al cittadino tanto all'amministrazione pubblica. Per un totale di circa 500 milioni di euro. La federazione nazionale degli ordini insieme al ministero dell'Innovazione assicurano di voler esaminare attentamente la situazione, ma che per ora è ancora tutto fermo. In altre parole, i tre mesi di sperimentazione sono terminati, è iniziato il mese di collaudo ma i problemi da sistemare sono ancora tanti. Il nuovo sistema prevede l’invio telematico del certificato all’Inps direttamente da parte del medico o dalla struttura sanitaria pubblica che ha rilasciato. L’onere di inviare l’attestazione della malattia passa quindi al medico che l’ha rilasciata, il quale sarà tenuto ad inviarla entro due giorni lavorativi dall’inizio del periodo di lontananza dal lavoro del dipendente per motivi di salute. "I problemi sono soprattutto di carattere tecnico – spiega Milillo – il collegamento informatico tra medici e Inps sempre in tilt. Basti pensare che non ha funzionato neanche in Lombardia, dove la situazione sembrava sotto controllo. Inoltre non sempre il medico ha un collegamento internet, perché non tutte le zone di Italia sono coperte dalla rete. Infine, i medici di famiglia dovrebbero sostenere costi che la riforma non prevede di risarcire. L’azienda produttrice del software ha richiesto 200 euro all’anno di costi di manutenzione e 250 per avere l’adeguamento del programma". Per questo, continua a spiegare Milillo, serve la collaborazione delle Regioni, perchè non basta avere il Pin, che il ministero della Salute sta distribuendo. È necessario che vengano risolti tutti i problemi di carattere tecnico. "Da parte mia - conclude Milillo - sono favorevole e credo che il progetto non vada fermato, ma forse sarà necessario avere più tempo prima che la riforma vada a regime". (Luglio 6, 2010)
Tutti pazzi per gli itegratori, le ‘aggiunte’ più amate dagli italiani di Irma d'Aria Un italiano su tre fa consuma integratori alimentari, come minerali, vitamine e fermenti. Si usano per la pelle, per la dieta e per la stanchezza. Non possono vantare proprietà terapeutiche, eppure vengono proposti per colmare eventuali carenze nutrizionali. Gli esperti si chiedono se facciano davvero bene Approfondimenti * ALIMENTAZIONE * Vitamine e frutta * GLOSSARIO * L'alfabeto alimentare * INTERATTIVO * I tesori dell'orto, la cura della natura Li usiamo per combattere l'insonnia o la stanchezza primaverile, per dimagrire e per preparare la pelle al sole dell'estate. Insomma, ricorriamo agli integratori come se fossero la soluzione giusta per avere una marcia in più. Del resto, i dati parlano chiaro: secondo una ricerca condotta dalla Federsalus (Federazione Nazionale Produttori Prodotti Salutistici), il 32% degli italiani, e cioè 1 su 3, fa uso di integratori alimentari, e specificatamente il 50% di minerali e vitamine, il 36% circa di fermenti lattici e il 14% circa di integratori energetici sportivi. Un consumo che, stando ai dati raccolti da Nielsen, quest'anno sono in ulteriore aumento del 13,4%. Ma sappiamo veramente di cosa si tratta? "Gli integratori sono prodotti che contengono uno o più nutrienti generalmente di derivazione alimentare", ci spiega il dottor Andrea Ghiselli, nutrizionista dell'Inran, l'Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione. "Per legge", prosegue il nutrizionista "non possono vantare proprietà terapeutiche, ma vengono proposti per colmare eventuali carenze nutrizionali". In realtà, nella maggior parte dei casi, non ci sarebbe bisogno di nessuna integrazione perché con un'alimentazione corretta riusciamo ad introdurre tutti i nutrienti di cui abbiamo bisogno. "Se ci sono delle carenze", mette in guardia Ghiselli "significa che la nostra dieta non è equilibrata. Ma la soluzione non è l'integratore, quanto piuttosto la correzione del regime alimentare". Il fatto è che è molto più semplice prendere una pillola piuttosto che modificare le cattive abitudini alimentari. Ci sono, però, alcuni casi in cui l'integrazione può essere indicata. "Alle donne in età fertile che stanno cercando una gravidanza" prosegue il nostro esperto "tutti i ginecologi prescrivono acido folico per la prevenzione delle turbe dello sviluppo neurale". Anche gli anziani e i bambini molto piccoli che magari non seguono proprio un'alimentazione corretta potrebbero aver bisogno di un'integrazione, ma l'importante è non far da sé e ricorrere sempre al medico che, attraverso le analisi del sangue, può verificare se ci sono carenze di minerali. Un consiglio può arrivare anche dai medici specializzati in ecologia clinica, nutrizione orto molecolare o medicina funzionale. A volte, però, all'integratore si ricorre per motivi più estetici che medici. È proprio quanto avviene in questo periodo dell'anno in cui, soprattutto le donne, cercano soluzioni al problema del sovrappeso, alla stanchezza oppure si preparano al sole estivo. Questi sono i tipici casi in cui si salta il medico e si va direttamente in farmacia, al supermercato e sempre più spesso in internet con l'obiettivo di risparmiare. Occhio, però, perché le truffe sono molto frequenti e possono essere rischiose per la salute. È per questo che FederSalus scende in campo a difesa dei consumatori. "Stiamo lavorando affinché tutti gli integratori siano prodotti e commercializzati rispettando non solo le norme di legge, ma anche i parametri di eccellenza" dichiara Germano Scarpa, presidente di FederSalus. "Per questo abbiamo definito una serie di regole, raccolte in un Codex Herbarum che viene costantemente aggiornato e propone limiti da imporre alle aziende produttrici". Ma ci sono dei casi in cui gli integratori possono danneggiarci anziché farci bene? Sembrerebbe di sì: "Uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica JAMA" spiega il dottor Ghiselli "ha dimostrato che la supplementazione di alcune vitamine ed in particolare della vitamina E, A e del beta-carotene possono aumentare la mortalità per tutte le cause". Un eccesso di vitamina C, invece, può innescare la formazione della cataratta negli occhi. Ciò vale naturalmente nel caso in cui se ne assumano dosi massicce per lunghi periodi. I risultati di una "cura" con gli integratori, infatti, si vedono abbastanza rapidamente. Nel caso di vitamine e minerali, per esempio, ci vogliono un paio di mesi. Insomma, sarebbe meglio lasciar fare all'organismo fornendogli in modo naturale tutte le sostanze naturali che gli servono con un'alimentazione il più possibile varia. "Sfatiamo anche il mito" chiarisce il nutrizionista "secondo cui la cottura ammazza tutti i nutrienti a parte la vitamina C che è termolabile. L'unica cottura da evitare è la frittura". E sul cosa mangiare ce n'è per tutti i gusti: con cinque porzioni medie al giorno di frutta (in particolare, agrumi e kiwi) e di verdura cruda (peperoni, rucola e cavolo) si fa il pieno di vitamine C, K, acido folico, betacarotene e di alcune vitamine del gruppo B. Per conservare intatte queste sostanze nutritive, è sufficiente acquistare sempre cibi freschi, lavare frutta e verdura bene, ma velocemente e scegliere cotture veloci. (Maggio 31, 2010)
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L'UNITA' per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.unita.it/2011-03-25
2011-03-19 Ospedali psichiatrici giudiziari L'inferno dei dimenticati di Natalia Lombardo | tutti gli articoli dell'autore * * * * Uno squarcio nello sconvolgente "Inferno dei dimenticati": 1500 persone abbandonate e recluse in sei ospedali psichiatrici giudiziari italiani, luoghi di degrado al limite della tortura, dove i malati sono privati della dignità dell’essere uomini, finiti in questi lager senza processo, buttati tra queste mura senza essere curati. 376 di loro potrebbero uscire ma nessuno li vuole e le Asl non hanno fondi. Un letto di contenzione con un foro arrugginito nel centro per la caduta degli escrementi di un paziente, nudo, legato alla branda mani e piedi con una corda: è l’immagine più sconvolgente del filmato-testimonianza che i parlamentari della Commissione d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale hanno effettuato, e che sarà trasmesso domenica 20 marzo nell’ultima puntata della serie di Riccardo Iacona, "Presa diretta", in onda su RaiTre in prima serata e che stavolta si protrarrà fino a mezzanotte (il filmato verso le 23,10). L’effetto denuncia è fortissimo, perché le riprese sono state fatte durante le visite "senza preavviso", a sorpresa e con i carabinieri dei Nas, negli ospedali di Barcellona Pozzo di Gotto, di Montelupo Fiorentino, di Aversa e altri, residui di istituzioni totali che andrebbero eliminati. L’inchiesta è stata presentata al Senato dal presidente, Ignazio Marino del Pd, insieme al relatore di maggioranza, il senatore del Pdl Saccomanno e quello di minoranza, Bosone, presenti anche il direttore di RaiTre, Ruffini e lo stesso Iacona. 16 marzo 2011
2011-02-06 Donna muore, i familiari: "8 ore al pronto soccorso" ospedale santa scolastica cassino Una donna di 56 anni è morta ieri sera nell'ospedale Santa Scolastica di Cassino (Frosinone) dopo che, secondo i familiari, sarebbe rimasta ben otto ore al pronto soccorso con uno stato di affaticamento respiratorio e dolori al petto. Una volta concluso l'iter di accertamenti i medici avrebbero stabilito il suo ricovero nel reparto di ortopedia. Mentre la signora, residente a Cassino, veniva trasferita ai piani superiori, in ascensore l'ha colta un improvviso infarto ed è morta. In ospedale sono immediatamente arrivati i carabinieri della Compagnia di Cassino. Dovranno accertare quanto accaduto e se, come dicono i familiari della donna, sia davvero rimasta otto ore al pronto soccorso senza che nessuno si rendesse conto che i dolori e l'affaticamento respiratorio potevano essere causati da un problema cardiaco in corso. 5 febbraio 2011
Donna in coma, non c'è posto IMG Aperta un'inchiesta sul caso di una donna di Villalba (Caltanissetta), in coma dal 31 dicembre dopo avere subito un cesareo. La 37enne viene ricoverata presso l'ospedale di Mussomeli per partorire, ma dopo l'intervento qualcosa non funziona. Entra in coma, viene disposto il trasferimento nell'istituto per cerebrolesi di Messina. Qui, però, non ci sono posti e i sanitari ripiegano sull'ospedale di Enna che non sarebbe adeguatamente attrezzato. L'Azienda sanitaria provinciale di Caltanissetta ha avviato un'inchiesta che, dopo gli accertamenti, non avrebbe riscontrato responsabilità: "Tutti i protocolli previsti sono stati attivati e l'equipe si è subito mobilitata per soccorrerla". Il problema sarebbe la mancanza di posti: i trenta letti del nosocomio messinese, infatti occupati e sembra impossibile possibile garantire cure adeguate alla donna che ha bisogno di essere trasferita in un centro specializzato e che ora lotta per la vita. 5 febbraio 2011
2011-01-31 Sanità, certificati malattia on line Medici: stop alle sanzioni medico di base "Domani scatteranno le sanzioni disciplinari per i medici convenzionati che rilasceranno ancora i certificati di malattia in forma cartacea e i cittadini potrebbero essere costretti a recarsi al Pronto soccorso aggravando ulteriormente le attese. Un vero e proprio caos". Lo affermano in una nota Massimo Cozza, segretario nazionale Fp Cgil Medici, e Nicola Preiti, coordinatore nazionale Fp Cgil Medici medicina generale. "Scade infatti oggi la moratoria delle spropositate sanzioni disciplinari per i medici di famiglia- continua- le guardie mediche e gli specialisti ambulatoriali che non trasmettono per via telematica la certificazione di malattia, con la pena del licenziamento in caso di reiterazione". Secondo la Fp Cgil "sono invece esclusi dalle sanzioni disciplinari i medici ospedalieri che potranno continuare a rilasciare i certificati di malattia in forma cartacea, così come previsto dalla circolare della Funzione Pubblica n. 2 del 2010, grazie all'impegno sindacale che ha visto la Fp Cgil Medici per prima in campo fin dal 2009- continuano- Il medico di famiglia o di guardia medica, che per motivi indipendenti dalla sua volontà, non potrà rilasciare il certificato on line - come ancora frequentemente accade per problemi di trasmissione e per il call center inadeguato - potrebbe indurre il cittadino ad ulteriori accessi impropri al pronto soccorso nelle settimane nelle quali si sta manifestando il picco dell'influenza". STATO DI AGITAZIONE Medici di famiglia sul piede di guerra se non sarà rinviata l'entrata in vigore delle sanzioni per chi non invierà i certificati di malattia online. "Ho avuto mandato di proclamare lo stato di agitazione in qualsiasi momento se non ci sarà una nuova proroga", ha spiegato il segretario della Fimmg, Giacomo Milillo, sottolineando però che "è presto per arrivare a conclusioni. Noi aspettiamo un segnale da Brunetta in giornata". Nonostante non ci sia stato "ancora nessun contatto", Milillo si dice "ottimista". Ma il sistema, ribadisce, riscontra ancora forti criticità tecniche e ha bisogno di un ulteriore periodo di rodaggio. Non solo per la piattaforma telematica, ma anche "per le stesse sanzioni". La legge, infatti, "parla solo di licenziamento e decadenza della convenzione. Invece c'è bisogno, in questo anno, di definire procedure e gradualità delle sanzioni, che non devono essere umilianti e vessatorie per la categoria". In tutti i casi in cui non c'è "responsabilità" nel mancato invio telematico, spiega, "il medico deve sapere che non dovrà difendersi da un rischio licenziamento". Altrimenti "si alimenta un clima da caccia alle streghe, perchè la effettiva mancanza di collaborazione va comunque accertata, che disturberebbe l'attività di assistenza". 31 gennaio 2011
2011-01-08 Diossina, Fazio: anche in Italia uova tedesche, ma sono 'tracciate' uova Anche in Italia ci sono delle uova importate dalla Germania, ma si tratta di una quantità "limitata" e sono "tracciate" grazie al marchio di produzione e provenienza, e dunque rintracciabili. Non ci sono quindi allarmi. Lo ha detto il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, intervenendo sulla contaminazione con diossina di alcuni alimenti provenienti dalla Germania, tra cui le uova e il latte. L'Italia ha importato dalla Germania "una quantità di uova limitate - ha detto Fazio - ma grazie all'etichettatura è possibile rintracciarle guardando il marchio di produzione e provenienza". Per quanto riguarda il latte, Fazio ha spiegato che è stata inviata una lettera ai produttori italiani che importano latte dalla Germania ricordando di effettuare controlli per la diossina e, in Italia, ulteriori test a campione saranno eseguiti dai Nas e dalle Regioni. Il ministro ha infine annunciato che martedì e mercoledì prossimi, a Bruxelles, ci saranno delle riunioni tecniche per fare il punto sul caso-diossina. 8 gennaio 2011 |
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2011-01-21 Tremonti risponde a Brunetta: in arrivo le ricette mediche elettroniche di Nicoletta CottoneCronologia articolo21 gennaio 2011 Questo articolo è stato pubblicato il 21 gennaio 2011 alle ore 13:46. Tremonti scrive a Brunetta, dando un "positivo riscontro" alle diverse sollecitazioni che in questi giorni gli erano pervenute dal ministro per la Pubblica amministrazione su temi che vanno dalla ricetta medica alla carta d'indentità elettronica. La ricetta elettronica potrà determinare benefici al bilancio statale In una lettera inviata ieri a Palazzo Vidoni, il ministro dell'Economia ha assicurato a Brunetta che, per quanto riguarda la realizzazione della ricetta medica elettronica, "i competenti Uffici sono stati interessati per adottare le opportune iniziative volte alla concreta attuazione della normativa". Nell'ottica di un controllo efficace della spesa medica, sottolinea una nota di palazzo Vidoni, "la ricetta elettronica potrà così determinare consistenti benefici sia per il bilancio statale, sia nella qualità del servizio reso ai cittadini" In dirittura d'arrivo la carta d'identità elettronica Nella stessa lettera il ministro Tremonti ha anche garantito la sua piena collaborazione nella definizione di altri provvedimenti sui quali era stato sollecitato dal ministro Brunetta. Per la carta d'identità elettronica il ministro Tremonti ha fatto sapere nella lettera che "è già stato concordato con i suoi uffici e con il ministero dell'Interno uno schema di disposizione e si è in attesa di individuare il provvedimento legislativo nel quale inserire la norma in questione". Sul fronte della riforma del Codice dell'Amministrazione digitale "le disposizioni del predetto Codice potranno applicarsi all'Agenzia delle Entrate, il cui piano di investimenti già contempla le spese necessarie per conformarsi alla nuova disciplina". Sulla fatturazione elettronica è stato reso noto che "il provvedimento attuativo è in avanzata fase di predisposizione". Federalismo fiscale: negli schemi di Dlgs attuativi obbligo di relazione tecnica Tremonti nella sua lettera risponde positivamente anche alla nota con la quale, lo scorso 12 gennaio, il ministro Brunetta aveva evidenziato la necessità che gli schemi di decreti legislativi attuativi della legge delega in materia di federalismo fiscale fossero corredati dalla relazione tecnica. "Si tratta di un adempimento - ha risposto Tremonti - la cui esigenza è costantemente segnalata dai miei uffici".
2011-01-08 L'epidemia di obesità dell'occidente? Colpa del benessere di Chiara BeghelliCronologia articolo8 gennaio 2010 * Leggi gli articoli * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 08 gennaio 2011 alle ore 15:54. Non prendetevela con il Texas Triple Whopper Sandwich da 1310 calorie, con il Baconator Triple Burger da 1330, oppure con la sempre famigerata tv. La colpa dell'epidemia di obesità dei ricchi paesi occidentali è della loro stessa fonte di ricchezza. Cioè, dell'economia di mercato. A proporre la nuova funzione sono stati gli antropologi e gli economisti dell'università di Oxford con uno studio pubblicato di recente nella rivista "Economics and Human Biology". I ricercatori hanno messo a confronto i tassi di obesità di 11 paesi ricchi, usando i dati di 96 ricerche nazionali fatte nel decennio 1994-2004. La prima cosa che hanno notato è che il numero maggiore di obesi si registrava nei paesi anglofoni, cioè Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada e Australia, che erano anche quelli definiti "market-liberal", cioè di spiccata fede neo-liberista. Al contrario, i cittadini più magri e in salute si trovavano nei paesi dove welfare e presenza dello Stato nell'economia erano più spiccati, cioè Finlandia, Francia, Germania, Italia, Norvegia, Spagna e Svezia. Con un ottimo primato per noi, una volta ogni tanto: siamo il paese con meno obesi di tutti, il 17% della popolazione contro il 30% degli Stati Uniti. Il teorema degli oxfordiani è semplice: l'economia di mercato ha alimentato la flessibilità contrattuale, il calo delle garanzie sindacali, l'avarizia del welfare. Tutto ciò genera stress e lo stress porta a consumare sempre più "confort food", proprio come fanno anche gli animali selvatici che si ingrassano se stressati. Gli studiosi hanno preso in prestito anche i dati del "Big Mac Index" dell'Economist che dimostrano come i prezzi dei fast food siano più bassi nelle economie di mercato, "a causa dei bassi livelli di tasse e salari che prevalgono in quei sistemi. Il "fast food shock" (cioè l'iperconsumo di cibi pronti e ipercalorici) è più intenso in queste economie". Quindi se il mercato libero genera stress è "perché mette a repentaglio la stabilità personale e la sicurezza", si legge nello studio. Ecco, è soprattutto l'insicurezza a renderci grassi, insicurezza generale che per gli studiosi britannici si compone di quella legata al lavoro, ai disagi della mono-genitorialità, dell'età e delle malattie. Tutte paure che un solido sistema di welfare può contribuire a dissipare. A spiegare con chiarezza la nuova teoria è stato il professor Avner Offer, direttore dello studio, docente di storia economica a Oxford e che alla Bbc ha detto: "L'inizio della diffusione e la crescita dell'obesità su larga scala inziò durante gli anni 80, gli stessi del rafforzamento del liberismo nelle nazioni anglofone. Può essere che i benefici economici di un mercato aperto e flessibile siano stati ottenuti pagando in termini di salute personale e pubblica". Chiaramente lo studio dovrà essere approfondito, come gli stessi autori suggeriscono nelle loro conclusioni. Ma la strada per un nuovo approccio al più grave problema sanitario dell'Occidente è stata aperta. Anche se già Leo Longanesi, nei più magri anni 50, aveva capito che "la libertà tende all'obesità".
2010-02-08 Solo un medico su tre invia i certificati online Paolo Del Bufalo e Rosanna MagnanoCronologia articolo02 agosto 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 02 agosto 2010 alle ore 08:00. Non decolla l'invio online dei certificati malattia all'Inps. Una norma prevista dal "progetto Tessera sanitaria" che negli ultimi mesi ha scaldato gli animi dei medici "prescrittori", vale a dire quelli che devono provvedere all'invio e che in caso di inadempienza, quando il sistema sarà a regime, rischiano pene che vanno dal deferimento disciplinare al licenziamento per i dipendenti e alla perdita della convenzione per i medici di medicina generale. Solo un medico su tre è "attrezzato" per inviare all'Inps i certificati. Un'avanguardia di 60.126 dottori su un totale di 192.742 tra medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, guardie mediche e medici dipendenti di Asl e ospedali. E in tutto sono stati trasmessi al 23 luglio scorso – ultima rilevazione del ministero della Salute pubblicata sul settimanale "Il Sole-24 Ore Sanità" in distribuzione da domani – 121.335 certificati online. In un mese quindi (dal 19 giugno al 18 luglio, periodo di collaudo) ha viaggiato su web il 3% circa dei 4,2 milioni di certificati che ogni mese sono inviati con il sistema cartaceo (in tutto 50 milioni l'anno). Secondo le stime del ministero dell'Innovazione, il passaggio sul web, una volta ultimato, porterà a un risparmio di circa 500 milioni, ma se il ritmo restasse quello appena registrato non si andrebbe oltre i 15 milioni l'anno. Insomma una partenza al ralenti. Mentre il governo vara con la manovra le ricette telematiche - che dovranno viaggiare online con le stesse modalità - il sistema stenta, anche se il collaudo è finito il 18 luglio, come stabilito in una circolare del ministero dell'Innovazione. Per questo, il tavolo tecnico del monitoraggio (ministeri di Salute, Economia, Innovazione, Inps, Inpdap, FnomCeO e Regioni) ha dato un "giudizio complessivamente non positivo" e ha chiesto ufficialmente di poter "continuare il periodo di collaudo". Ma l'obbligo dell'invio non si ferma: resta "pienamente operativo, senza proroghe", sottolinea il ministero. Si bloccano invece fino a collaudo effettuato le sanzioni. Colpa delle regioni che non si organizzano e non organizzano programmi e piattaforme, sostengono i medici. E nella gara virtuale degli invii tra le regioni, questa volta la maglia nera non va al Sud ma al Nord-Est. Secondo la rilevazione del ministero, dei 121.335 certificati la stragrande maggioranza sono arrivati all'Inps dal Nord-Ovest: 93.095, trasmessi da 29.973 medici abilitati. E di questi 90.037 dalla Lombardia, regione che vanta ormai da anni una tradizione di informatizzazione quasi completa dei servizi che di medici abilitati ne ha da sola 25.295. Segue il Sud con 10.216 certificati probabilmente legati ai programmi di informatizzazione dei medici "di base", implementati negli ultimi anni dal programma E-gov 2012. Al Centro, nonostante il numero elevato di "prescrittori" (quasi 40mila) sono stati trasmessi 9.800 certificati dai 10.775 medici abilitati. Ultimo il Nord-Est, che di certificati ne ha trasmessi 8.231 da parte degli 11.176 medici abilitati di cui 8.613 nelle sole Veneto ed Emilia Romagna. In ogni caso il gradimento dell'intera operazione resta, tra i dottori, molto basso. Da un sondaggio realizzato da Health Monitor CompuGroup Medical in sinergia con Il Sole 24 Ore Sanità, su 1.000 camici bianchi intervistati in tutta Italia risulta che i certificati malattia online porterebbero pochi vantaggi per il Ssn e i pazienti e ancora meno per i medici e che l'obbligatorietà è il "rospo" più difficile da ingoiare per l'81% del campione. Altra certezza dei medici è che informazioni adeguate, connettività e strumenti informatici debbano essere forniti dalle aziende. In questo caso le percentuali di risposta sono pressoché omogenee: 88,33% al Nord-Est, 84,79% al Nord-Ovest, "solo" l'80,15% al Centro dove però è presente il maggior numero di indecisi (3,68%) e 83,53% al Sud. Infine, il giudizio sull'utilità della certificazione online. Bassissima la percentuale di chi ritiene che il meccanismo possa portare vantaggi ai medici: si va dal massimo del 18,3% di giudizi positivi al Sud ad appena il 3,33% al Nord-Est. Ma è bassa anche la percentuale di chi giudica ci siano possibili vantaggi gestionali per il Servizio sanitario: si va dal minimo del 20% di "sì" del Nord-Est al massimo del 35,11% del Sud. Valori mediamente bassi anche per gli eventuali vantaggi per i pazienti. Con l'unica eccezione del Nord-Ovest, dove il 43,16% dei medici la pensa diversamente. IL NUOVO SISTEMA - I medici del Ssn che possono rilasciare un certificato di malattia sono circa 190.000 (tra cui 60.000 medici di medicina generale e guardie mediche, 7.700 pediatri e 125mila medici dipendenti delle Asl e degli ospedali) - I lavoratori dipendenti sono circa 17 milioni (3,5 milioni appartenenti al settore pubblico e 13,5 milioni al settore privato) - I certificati di malattia prodotti ogni anno e inviati all'Inps per i controlli sono circa 50 milioni (e altrettanti gli attestati, quelli che giustificano l'assenza dal lavoro e sono privi della diagnosi): si stimano 100 milioni di pezzi di carta che circolano tramite raccomandata a/r o fax e che devono essere conservati - L'Inps dedica 500 persone al data entry dei certificati del settore privato - Il costo medio per la collettività dovuto alla gestione del "ciclo dei certificati di malattia cartacei" ammonta a circa 10 euro a certificato - Il risparmio introdotto dalla digitalizzazione dovrebbe ammontare a oltre 500 milioni - Il collaudo dell'invio online dei certificati è partito ad aprile 2010 e dal 19 giugno al 18 luglio (termine previsto per l'entrata a regime del sistema) la sperimentazione prevedeva l'impossibilità di utilizzare ancora i documenti cartacei
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