S. Messa Quotidiana Registrata a Cristo Re Martina F. Mese di Gennaio 2011 Pubblicata anche su YOUTUBE http://www.youtube.com/user/dalessandrogiacomo Vedi e Ascolta cliccando sul giornoSa01. Do02. Lu03. Ma04. Me05. Gv06. Ve07. Sa08. Do09. Lu10. Ma11. Me12. Gv13. Ve14. Sa15. Do16. Lu17. Ma18. Me19. Gi20. Ve21. Sa22. Do23. Lu24. Ma25. Me26. Gi27. Ve28. Sa29. Do30. Lu31.

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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi-dal 2010-05-21 ad oggi 2011-10-12 Sintesi (Più sotto trovate gli articoli)

2010-08-07 Processo breve, legge bavaglio, lodo Alfano così il premier vuole 'incastrare' i dissidenti

Berlusconi prepara il piano-giustizia di settembre. Nel progetto anche la separazione delle carriere e la riforma del Csm. Tutto si giocherà sulla norma transitoria.

I finiani: "Aspetta al varco i nostri 'no' per far saltare il banco.Ma noi a questo gioco non ci prestiamo"

2010-08-05 GOVERNO Il premier studia già la data del voto "E vedrete che Fini dovrà dimettersi"

Berlusconi sul presidente-ribelle: se ci riporta alle urne dovrà spiegarlo al Paese. Con i fedelissimi il premier allude ai possibili effetti della querelle sulla casa di Montecarlo

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Dalessandro Giacomo

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È finita. Il vascello fantasma del governo Berlusconi (come lo aveva definito Ezio Mauro meno di un mese fa) naviga ormai alla deriva. Senza un nocchiero, senza una rotta, senza una meta. Neanche più in balia di se stesso, ma piuttosto di una "Cosa" che non ha ancora un nome e un colore, ma che in Parlamento già esiste, e già cambia la geografia politica del Paese. Questo dice il voto della Camera sulla mozione di sfiducia contro il sottosegretario Caliendo: la maggioranza di centrodestra che aveva stravinto le elezioni due anni e mezzo fa non solo non esiste più politicamente, com'era ormai evidente già da qualche mese.

2010-08-05 GOVERNO Bossi: "Al voto con Berlusconi? Vedremo" Casini: "Contro Fini squadrismo intimidatorio"

Il leader della Lega sulle fibrillazioni della maggioranza: "Se si va alle elezioni spazziamo via tutti". Il numero uno dell'Udc difende il presidente della Camera dopo le inchieste partite dai giornali vicini a Berlusconi

già da qualche mese.

2010-08-04 Camera, Caliendo è salvo ma la maggioranza non c'è più

A Montecitorio voto secondo le previsioni: l'asse finiani-Udc-rutelliani tiene di fatto in mano le sorti dell'esecutivo. Arriva anche Chiara Moroni. E nei prossimi mesi si resterà in bilico tra navigazione a vista ed elezioni. Con l'incognita del governo tecnico di MARCO BRACCONI

2010-08-01 Bocchino: "Niente elezioni, se si vota Gianfranco è pronto per i moderati"

L'esponente finiano avverte: chiederemo di valutare "preventivamente" i provvedimenti del governo. E su Caliendo: chi sta al governo non fa riunioni con i pregiudicati. Il ritiro della delega sarebbe un gesto di responsabilità

2010-07-30 Berlusconi mette alla porta Fini Verso gruppi parlamentari autonomi

L'ex leader di An non lascia la presidenza della Camera e organizza i suoi fedelissimi alla Camera e al Senato. I finiani sarebbero 34 a Montecitorio e 14 a Palazzo Madama, sufficienti a mettere in difficoltà il governo

2010-07-29 LA CRISI Pdl, Berlusconi sceglie la linea dura I finiani verso un nuovo gruppo parlamentare

Il vertice si è tenuto a palazzo Grazioli ed è terminato alla due di notte. Respinta al mittente l'offerta del presidente della Camera. Pronto il documento contro i dissidenti: "Non ci sono più le condizioni per stare assieme". Oggi l'ufficio di presidenza dovrebbe ufficializzare l'espulsione. In 20 da Bocchino firmano il modulo per l'adesione a nuovo gruppo. Schifani polemico: legalità non è esclusiva di nessuno

MOLTISSIME ALTRE NOTIZIE FINO AL:

2010-07-10 ROMA - Silvio Berlusconi all'attacco su tutela della privacy e libertà di stampa, all'indomani della giornata del silenzio contro il ddl intercettazioni. In un messaggio audio ai Promotori della Libertà, il premier spiega in sostanza che la libertà di stampa "non è un diritto assoluto" e affida un "compito non facile ma importante" ai suoi interlocutori: "Dovete togliere il bavaglio alla verità - è l'appello contenuto nel messaggio audio -, quel bavaglio imposto dalla stampa schierata con la sinistra, pregiudizialmente ostile al governo, che calpesta in modo sistematico il sacrosanto diritto dei cittadini alla privacy come l'uso sereno dei telefoni. Loro invocano la libertà di stampa come se si trattasse di un diritto assoluto che prescinde dai diritti degli altri. In democrazia non esistono diritti assoluti, perché ognuno incontra un limite negli altri diritti. Questo è un principio delle democrazie liberali".Preoccupazione del Dipartimento di giustizia Usa: "Sono essenziali per i pm". Il ministro: intesa con Washington

MILANO - Pari dignità ai diritti di riservatezza, cronaca e indagini. Così il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha sintetizzato il contenuto del disegno di legge sulle intercettazioni. Un intervento, ha sottolineato, per "ripristinare la verità sugli effettivi contenuti del ddl dato che troppe cose tra quelle che vengono annunciate, dette o temute, non corrispondono al testo in esame al Senato".

USA: ESSENZIALI PER INDAGINI - Le prese di posizione contro il provvedimento non sono mancate. Anche gli Stati Uniti si sono espressi in merito, per bocca del sottosegretario al Dipartimento di giustizia Lanny Brauer

La Busi: "Rinuncio a condurre il Tg1" Lettera affissa sulla bacheca della redazione: "Non mi riconosco più nella testata". Minzolini: "Non condivido"

MILANO - Maria Luisa Busi rinuncia alla conduzione del Tg1. Lo scrive lei stessa in una lettera (LEGGI IL TESTO) che ha affisso nella bacheca della redazione. Tre cartelle e mezzo per spiegare le motivazioni della sua decisione. Uno dei volti più celebri dell'edizione serale del telegiornale di Rai1 afferma di non riconoscersi più nella testata, e dichiara che se un giornalista ha come unico strumento per difendere le sue prerogative professionali quello di togliere la propria firma, un conduttore può solo togliere la sua faccia. Così ha deciso di fare lei, abbandonando la conduzione del Tg1 delle 20.

Annozero, Santoro contro tutti

Il monologo di Masaniello

Se uno amasse davvero il Servizio pubblico dovrebbe cominciare ad astenersi dall’usare il Servizio pubblico per fatti personali, per regolare i propri conti con chi la pensa in maniera diversa, per ergersi a Sentinella Unica della Democrazia. E invece, ancora una volta, Michele Santoro ha aperto "Annozero" con un lunghissimo intervento dedicato alle sue vicende, al suo addio all’azienda.

Internet, l'informatore, ll Giornalista, la stampa, la TV, la Radio, devono innanzi tutto informare correttamente sul Pensiero dell'Intervistato, Avvenimento, Fatto, pena la decadenza dal Diritto e Libertà di Testimoniare.. Poi si deve esprimere separatamente e distintamente il proprio personale giudizio..

 

Il Mio Pensiero (Vedi il "Libro dei Miei Pensieri"html PDF ):

Martina F. 2010-07-10

Il Presidente del Consiglio dei Ministri non ha lui il Potere Assoluto !

Il Presidente Berlusconi ha oggi affermato che la Libertà di Stampa non è un diritto assoluto.

Certo Sig. Presidente, va Salvaguardato il Vero Diritto Supremo, ovvero quello della Vita della Persona Umana, della sua Salute Fisica e Mentale, del Lavoro ( della sua durata nel Tempo e della sua Sicurezza ), del Giusto Godimento della Pensione, della possibilità di Formare Famiglia, Avere Figli, del diritto alla Istruzione, Scolarità Superiore, Università, Formazione Tecnica e Professionale, Cultura, all'Espressione Pensiero, della Manifestazione Pacifica, del Godimento dei Diritti Civili, Sociali, Religiosi, della Vivibilità delle Citta, della Protezione dalla Droga, dalla Delinquenza, dalla Corruzione, dalla Concussione, dagli Scippi, dai Furti, dai Danneggiamenti alle Persone, Proprietà e cose, alla Prevenzione degli Incidenti sul Lavoro e Stradali provocati da terzi per Colpa e Dolo, alla Difesa dalla Sopraffazione del Delinquente, del Mafioso, del Corrotto, dal prevalere del Corruzione sulla Onestà, dalla Speculazione sul Lavoro delle Aziende Oneste, dalla negligenza nel Lavoro, difesa del diritto alla Giusta Mercede per il Lavoro Svolto dall'Operaio, al Pagamento della Fattura in tempi certi e brevi per il Lavoro Correttamente Eseguito, nella Difesa dell'Ambiente, nella Libera Concorrenza non sopraffatta dalla Tangente, dalla Concorrenza Sleale, dalle Coperture Mafiose e Politiche, ecc. .

Allora Sig. Presidente, quando nella Privacy ci si nasconde e si agisce per un'azione delittuosa la Società deve intervenire per difendere le Libertà sopra accennate, e lo deve fare con la massima autorità e prontezza, a garanzia dello Stato Democratico, compito che spetta inderogabilmente alla Magistratura, con la sua organizzazione e mezzi che vanno assolutamente potenziati in maniera seria, non a parole vuote come l'ipotetico potenziamento con " Giudici assunti a Progetto " e Cancellieri ad ore, perchè altrimenti è una grandissima fandonia e presa per i fondelli.

Inoltre non ci può essere la prescrizione del reato, complice la lungaggine di processi ai quali non si da assolutamente corso perché si impoverisce l'organizzazione e la si lascia languere, pur essendo nel terzo millennio, quello in cui la prevenzione andrebbe attuata con i massimi sistemi innovativi esistenti, e con il potenziamento ed una vera organizzazione della Magistratura e Forze dell'Oerdine, per rendere veramente Giustizia e dare la Vera Libertà alla Vita dell'UOMO.

Con la Prescrizione dei Processi invece si Garantisce l'Impunità e si Aumenta a dismisura l'Iniquità!

In tutto questo processo la Libertà di Informazione è il vero cardine, pietra d'angolo, che consente di Informare la Collettività di quanto avvine. In assenza prevalgono i poteri occulti, degrado, la corruzione, l'anarchia, l'Ingiustizia.

Pertanto la Libertà di Informazione si che è Assoluta!

Chi Governa o detiene Poteri Forti, così come è privilegiato nel Potere e negli enormi e spropositati ritorni Economici e Sociali, allo stesso modo è soggetto a controllo (anzi dovrebbe esserere parimente spropositatamente soggetto a controllo costante e continuo), ed il suo operato deve essere cristallino nei comportamenti che devono essere conformi a quello che decanta e professa.

Sig. Presidente, Lei è stato democraticamente Eletto per Governare il Paese, ma non ha Lei il Potere Assoluto !

Ella può governare, come qualsiasi Italiano vorrebbe fare, nei limiti della Costituzione Italiana, massimo cardine della Democrazia !

La Costituzione Le assegna unicamente il diritto di Governare, possibilmente saggiamente, non di imporre leggi, eventualmente può proporle.

Ma le Leggi le fa e le approva sempre e solamente il Parlamento Sovrano ( anche i Decreti Leggi di Sua pertinenza ), suo diretto superiore e Giudice, come suo Giudice è anche la Giustizia, alla quale nessuno si può esimere se commette reato.

Ma anche la Giustizia ha un limite, non può reprimere ciò che non è reato.

Ella non è superiore né al Parlamento, né alla Giustizia, né alla Corte Costituzionale, né alla Libertà di Stampa, i quattro poteri dello Stato Italiano ed universali, ciascuno Assoluto nel proprio campo specifico, ma tutti soggetti alla Costituzione, della quale il Presidente della Rapubblica è Custode, Rappresentante del Popolo Italiano !

Per. Ind. Giacomo Dalessandro

Martina F. 2010-07-08

Il comportamento di una Persona che lede la Libertà di un'altra Persona non è libertà ma oppressione, coercizione, sopraffazione, delitto.

Questo comportamento, che ha la valenza di anarchia, va prevenuto perché è prevalente la Garanzia ed il Rispetto della Vita per la Persona oggetto di tali sopraffazioni, dei suoi Beni e Proprietà, dei Beni Colletivi e Sociali.

Pertanto la Giustizia, cui spetta il compito di far rispettare le Leggi e Perseguire chi le infrange, deve adottare tutti i sistemi idonei a prevenire qualsiasi tipo di delittto contro le Persone Cose, Collettività Beni Sociali, ecc.

In questa ottica è giusto limitare la Privacy ogni qualvolta accadono situazioni tali che richiedono la prevenzione, la lotta alla delinquenza, Sopraffazione, corruzione, ecc., tenendo presente che chi commette reati lo fa avvalendosi delle più sofistiche innovazioni per sfuggire ai controlli, e pertanto anche la Giustizia deve fare altrettanto e di più in difesa dei Deboli, Minori, Collettività.

E' giusto registrare e filmare tutto ciò che può condurre a prevenire e sconfiggere la Delinquenza in qualsiasi forma o apersona si nasconda, anche la più illustre in apparenza.

A maggior ragione chi ricopre incarichi politici o rilevanti a livello collettivo deve essere per scelta e per dovere il più trasparente possiblile e coerente con le sue affermazioni pubbliche.

Comunque non è consentito diffonder immagini, informazioni, notizie che non siano attinenti a prevenire o in accertamento ed indagini di reati possibili.

Comunque va data la possibilità in maniera esauriente a colui di cui si informa di dare le sue spiegazioni sul fatto, avvenimento, intercettazione, oggetto della informazione, distinguendo chiaramente fra fonte di informazione, giudizi personali o politici sugli avvenimenti in oggetto.

Per. Ind. Giacomo Dalessandro

Martina F. 2010-01-01

Io non temo le intercettazioni, le teme chi delinque.

E' una balla che con le intercettazioni si lede la libertà individuale e la Privacy.

La libertà di ognuno di noi finisce nel momento in cui tenta di sopraffare la libertà o gli interessi della collettività.

Chi delinque limita la libertà altrui, e la Giustizia al il diritto dovere di perseguire i reati.

Nelle indagini non si devono diffondere comportamenti ed affetti sentimentali, a meno che siano inerenti ad i reati in essere, contrastino con la trasparenza del mandato, con la coerenza delle affermazioni pubbliche, politiche.

Tutti coloro che si mettono in politica o nelle istituzione ed enti pubblici devono avere il pudore ed il dovere, visto i grandissimi privilegi che ricevono, di rinunciare alla loro Privacy per garantire la collettivita sul loro operato.

Il Capo dello Stato ed il Presidente della Camera non hanno mai chiesto di avere priviliegi, come invece chiede la maggioranza di governo.

Per. Ind. Giacomo Dalessandro

Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-05-21 ad oggi 2011-10-12

AVVENIRE

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2011-10-12

 

 

 

 

 

2010-09-06

 

6 settembre 2010

LO STRAPPO

Fini: "Il Pdl non c'è più.

Nuovo patto di legislatura"

"Non si può rientrare in un partito che non c'é più. Si va avanti senza farsi intimidire". Lo dice Gianfranco Fini liquidando, di fatto, il Pdl. "Il Pdl, così come l'avevamo concepito, è finito il 29 di luglio. E non perché - aggiunge - qualcuno se ne è andato, ma perche è venuto meno all'interno il confronto di idee che è il sale delle democrazia". Oggi dunque "non c'é più il Pdl" ma "c'é il partito del predellino". "Qualche colonnello ha cambiato generale - dice - ed è forse già pronto a cambiarlo di nuovo".

"Si va avanti - dice il presidente della Camera dal palco di Mirabello - senza ribaltoni o ribaltini, senza cambi di campo. E senza atteggiamenti che possano dare in alcun modo agli elettori la sensazione che noi si abbia raccolto voti nel centrodestra per poi portarli da qualche altra parte". Ma si va avanti, avverte Fini, "convinti della necessità di onorare quel patto con gli elettori, ma fino in fondo, senza magari aggiungerci qualche parte che nel programma non c'era e che invece diventa un'emergenza".

"La sovranità popolare - dice Fini sottolineando che la sua proposta sarà considerata alla stregua di un capo di imputazione contro di lui - significa che le elettrici e gli elettori devono avere il diritto di scegliere i propri parlamentari, perché è vergognoso che ci sia una lista prendere o lasciare". "E faccio mea culpa - aggiunge - perché ho contribuito anch'io" ad approvarla.

Le proposte. Serve un nuovo patto tra capitale e lavoro per rilanciare l'economia italiana. E' la ricetta di Gianfranco Fini contro la crisi, secondo il quale serve una "grande assise del mondo del lavoro". "Il governo ha operato bene per fermare la crisi - premette il presidente della Camera dal palco di Mirabello - ma oggi dobbiamo far ripartire l'economia, non ci possiamo compiacere che i conti pubblici tengono"". Dunque "credo che occorra il coraggio politico di dar vita a quelle riforme che erano nel programma originale del popolo delle libertà e che sono state dimenticate. E' arrivato il momento di dar vita a riforme che portino ad un nuovo patto tra capitale e lavoro perché è indispensabile mettere i produttori di ricchezza dalla stessa parte della barricata dei lavoratori".

"Nessuno, nessuno troverà mai una mia dichiarazione o una dichiarazione di qualcuno di Fli, contrarie al Lodo Alfano o al legittimo impedimento, perché noi siamo convintissimi del fatto che occorre risolvere una questione: quella del diritto che Berlusconi ha di governare senza che ci sia l'interferenza o il tentativo da parte di segmenti iper-politicizzati di metterlo fuori gioco. Ma bisogna rovesciare l'approccio alla questione, bisogna finirla di affidare a quel simpatico "Dottor Stranamore" che è l'onorevole Ghedini il compito di trovare una soluzione con il risultato che la soluzione non si trova mai il problema finisce per incancrenirsi ancor più" . E' un passaggio dell'intervento del presidente della Camera, Gianfranco Fini, dal palco di Mirabello. "Non ci vogliono leggi ad personam, ma leggi che tutelano il capo del governo, non la cancellazione dei processi, ma la loro sospensione", ha aggiunto Fini.

"La proposta che noi facciamo, la fanno anche altri, aprirebbe in Parlamento un grande dibattito: la proposta che noi facciamo è quella di "intervenire sul cosiddetto quoziente familiare". E' un passaggio dell'intervento di Gianfranco Fini dal palco di Mirabello: "Parliamo di tutto ciò anche con l'opposizione". "Se nell'ambito di cinque punti si deve ridurre carico fiscale, la proposta che noi facciamo è: interveniamo sul quoziente familiare per far sì che chi ha figli, anziani e disabili a carico abbia un peso fiscale minore", puntualizza Fini.

Serve un patto legislatura ma basta acquiescenza da parte del Pdl verso la Lega Nord, "é nell'interesse anche di Berlusconi". Ha affermato Fini. "Vogliamo capire come costruire un patto di legislatura". Ha detto il presidente della Camera. "Confidiamo nel senso di responsabilità di tutti".

"Il federalismo è possibile solo se sarà fatto nell'interesse di tutta l'Italia, non soltanto nella parte più sviluppata del Paese. Bossi sa che è possibile realizzare il federalismo, ma solo se nell'interesse generale" e se non è "a scapito del Mezzogiorno". E' un passaggio dell'intervento del presidente della Camera. "Bossi - ha detto Fini - è un leader popolare, abbiamo polemizzato tante volte, solo chi non conosce la storia oltre che la geografia può pensare che la Padania esista davvero. Ma capisce che quella bandiera che alzato per primo, fra lo scetticismo e l'ironia, quella del federalismo oggi può essere bandiera che determinerebbe il compimento di una missione storica. Quel federalismo è possibile solo se è nell'interesse di tutta Italia non solo in quella della parte più progredita. Nella commissione bicamerale che dovrà verificare i decreti attuativi del federalismo fiscale dovremmo discutere e non lasciare la discussione all'asse Tremonti-Calderoli" La riforma del federalismo fiscale in questo senso deve servire, secondo Fini "per celebrare i 150 anni dell'Unità d'Italia".

A Silvio Berlusconi "siamo tutti grati per quel che ha fatto soprattutto quando, nel '94, ha contrastato la gioiosa macchina da guerra; ma la gratitudine non puo' significare che ogni volta che si critica o si esprime opinioni diverse, ci si debba sentire accusati di lesa maestà. Non ci può essere diritto di lesa maestà perché non c'é un popolo di sudditi". "Berlusconi ha tanti meriti, ma anche qualche difetto: in primo luogo di non aver ben compreso che in una democrazia liberale non può esserci l'eresia, perché non c'é l'ortodossia. Gli siamo tutti grati per quello che ha fatto, ma la gratitudine - ha puntualizzato Fini - non può significare che ogni volta che si esprime una critica ci si sente accusati di lesa maestà: non c'é un popolo di sudditi, ma di cittadini che vogliono partecipare attivamente". "Non ho mai contestato la leadership di Berlusconi - ha detto poi - ma lui ha l'attitudine a confondere la leadership con il ruolo che nelle aziende hanno i proprietari: il Pdl non può essere derubricato a contorno di un leader".

Il premier Berlusconi non confonda la leadership con la proprietà. Lo ha affermato il presidente della Camera Gianfranco Fini nel suo intervento a Mirabello sottolineando che la "gratitudine" non può significare l'impossibilità di fare critiche a cui si risponde con "gesti di stizza e fastidio".

"Ma vi pare possibile che nonostante il "ghe pensi mi" si debba attendere ancora di conoscere il nome del ministro dello Sviluppo economico? Ma in quale altro Paese" avverrebbe una cosa del genere? E' un ministero importante "non uno strapuntino". E' un passaggio dell'intervento del presidente della Camera, Gianfranco Fini, dal palco di Mirabello.

"La mia espulsione del Pdl è stata un atto illiberale e autoritario" degno del "peggior stalinismo". Ha detto Fini nel corso del suo intervento. Non c'e stata alcuna fuoriuscita, nessuna scissione, nessun atteggiamento volto a demolire al Pdl: c'é stata di fatto la mia estromissione dal partito che avevo contribuito a creare, un atto che forse è stato ispirato, da chi lo ha scritto, libro nero del comunismo. Solo nelle pagine del peggior stalinismo - ha ammonito Fini - si può essere messi alla porta senza nessun tipo di contraddittorio, con il tentativo di annullare ogni tipo di diversità".

E' stato uno "spettacolo poco decoroso quello con cui è stato accolto un personaggio che non può insegnare nulla né nel rispetto della donne né nella dignità della persona umana. Da ex ministro degli Esteri conosco le ragioni della "real politik", ma non può portare a una sorta di genuflessione nei confronti di chi può ergersi a maestro o punto di riferimento". E' un passaggio dell'intervento del presidente della Camera in cui si fa un implicito riferimento alla visita di Muammar Gheddafi a Roma.

"Il garantismo è un principio sacrosanto, ma mai e poi mai può essere considerato una sorta di immunità permanente".

La campagna estiva di alcuni giornali del centrodestra "é stata il tentativo di dar vita ad un'autentica lapidazione di tipo islamico contro la mia famiglia". Ha affermato il presidente della Fini. "Attendiamo fiduciosi e sereni che siano i magistrati a chiarire quante calunnie e diffamazioni" vi siano state in questa vicenda, ha tra l'altro detto Fini. Aggiungendo: Questi giornali sono "il biglietto da visita del partito dell'amore. Immaginiamo cosa scriverebbero se diventassero un po' meno amichevoli".

"Si va avanti senza farci intimidire da quello che è stato il "metodo Boffo" messo in campo da alcuni giornali che dovrebbero essere, pensate un po', il biglietto d'amore del partito dell'amore; noi non ci facciamo intimidire perché di intimidazioni ne abbiamo vissute ben altre. Non ci facciamo intimidire da campagne paranoiche e patetiche".

Le reazioni. "Se cade la maggioranza si va al voto e il Ministero dell'Interno è pronto a organizzare le elezioni in pochi giorni". Lo ha detto il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, dal palco della feste della Lega Nord a Torino. "Il Ministero è pronto - ha aggiunto - se si dovesse andare a votare in due giorni organizziamo le elezioni, anche per domenica prossima".

"La situazione è difficile, perché è come se Fini avesse detto "non voglio accordi con la Lega". Anzi, peggio: "io ce l'ho con il nord". Se Berlusconi dava retta a me si andava a elezioni e non c'erano Fini ne Casini né la sinistra che scompariva". Lo ha detto Umberto Bossi, segretario della Lega Nord e ministro delle Riforme, a una festa del Carroccio in Valcuvia. Dal palco Bossi ha ribadito che adesso "per Berlusconi la strada è molto stretta: se tutti i giorni deve andare a chiedere i voti a Fini e a Casini per far passare una legge non dura molto". Oggi il leader del Carroccio vedrà Silvio Berlusconi.

"L'unica questione di vero dissenso con Fini è che noi da due anni dicevamo che il Pdl era un Forza

Italia allargato. Allora lui era salito sul predellino. Oggi fa un'analisi in gran parte condivisibile. Condivido che resti col centrodestra per eludere il pericolo di elezioni anticipate", ha detto Pierferdinando Casini commentando il discorso di Gianfranco Fini a Mirabello. E ha aggiunto: "Nel '94 ho appoggiato Berlusconi e vedevo le anomalie, ma speravo che si sarebbe costituita nel

tempo un'armonia istituzionale. Mi sono sbagliato, l'ho detto più volte. Fini ha pensato che questo partito potesse dare risposte agli italiani".

"È chiaro che nella maggioranza c'è una crisi esplicita. Berlusconi ora venga in Parlamento a dirci

se ha o meno una maggioranza; non si può far finta di nulla perchè da oggi nulla è più come prima", così Piero Fassino del Pd commenta l'intervento di Gianfranco Fini a Mirabello. "Il discorso di Fini - spiega Fassino - è stato chiaro, esplicito e molto duro. Ha detto che il Pdl non esiste più. Se non c'è la maggioranza, si apra la crisi".

 

 

 

 

6 settembre 2010

FORUM ABROSETTI

Tremonti: "L'Italia non è in emergenza

e non ha bisogno di guardare la Germania"

L'Italia non è in emergenza e non ha bisogno di guardare all'esempio tedesco per rinnovarsi e sciogliere i nodi che ne frenano lo sviluppo. Lo ha sostenuto il ministro dell'Economia e delle Finanze Giulio Tremonti chiudendo ieri nel suo intervento a una platea di imprenditori, economisti e politici riuniti a Cernobbio per il workshop Ambrosetti.

Separatamente, in una video-intervista con il Financial Times registrata sabato, prima del discorso del presidente della Camera Gianfranco Fini sulle sorti della coalizione di governo, e resa disponibile sul sito del quotidiano ieri pomeriggio, il ministro dell'Economia ha detto che "anche se ci fossero elezioni, questa maggioranza vincerebbe la politica economica di questo governo".

Parlando alla platea di Cernobbio ieri, Tremonti ha difeso l'operato del governo guidato da Silvio Berlusconi dalle sollecitazioni giunte negli ultimi giorni da Confindustria, dal presidente della Repubblica, come da diversi economisti.

Il ministro ha sottolineato che la nomina o meno di un responsabile del dicastero dello Sviluppo economico è solo uno dei tasselli della politica di sviluppo di un paese, che va elaborata e discussa con la più ampia base possibile di protagonisti della società. Tremonti ha, poi, rimancato l'importanza della riforma del Patto di stabilità, che introdurrà una sessione di bilancio europea, e ha affermato che, nonostante i diversi accenti, tutti i paesi della zona euro sono diventati consapevoli, dopo la crisi, della necessità di una politica di bilancio più responsabile.

"Per Italia non c'è un'emergenza, ma l'esigenza di cambiare, e di redigere un programma di riforma", ha detto ieri il ministro dopo aver escluso, sabato, la necessità di varare misure di bilancio aggiuntive in autunno. "C'è la necessità di definire quale sia il bene comune per questo paese nei prossimi dieci anni... e io assumo che il governo duri dieci anni".

Con tono deciso il responsabile dell'Economia ha rispedito al mittente molti dei suggerimenti giunti da autorità ed economisti in questi giorni per rinvigorire la crescita del paese, dopo aver sottolineato sabato le peculiarità del tessuto economico dell'Italia fatto in maggioranza da imprese di piccole dimensioni.

"Dire che bisogna fare come la Germania mi sembra roba da bambini", ha detto Tremonti dopo che, nei giorni scorsi l'esempio tedesco su sviluppo, politica di bilancio e relazioni tra capitale e lavoro era stato suggerito dal suo predecessore all'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, dal governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, e oggi anche dal presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia.

"Questo è un paese curioso: ad agosto i politici vanno in vacanza in agosto e gli altri si mettono a fare politica", ha detto ironico il ministro. "Conosciamo tutti i problemi di competitivi del paese, abbiamo ben chiaro quello che si deve fare", ha rintuzzato.

A questo proposito il ministro ha elencato, tra i nodi da sciogliere, le piccole dimensioni delle imprese italiane - nani che faticano a dialogare con i giganti - l'eccessiva burocrazia, la scarsa crescita - "dobbiamo avere anche noi il nucleare" - i rapporti tra capitale e lavoro da rinnovare.

"Il ministro dello Sviluppo economico? Certo che è necessario, ma anche se c'è un ministro... il documento di programmazione lo deve discutere tutto il parlamento, il governo", e tutti i protagonisti della vita del paese, ha detto Tremonti.

Nella video-intervista al Financial Times registrata sabato il ministro, parlando delle sorti del governo Berlusconi, ha detto: "Noi abbiamo un enorme sostegno popolare nel Paese e quindi la politica di consolidamento fiscale proseguirà perchè lo vogliono i cittadini e noi rappresentiamo la maggioranza".

 

 

 

 

2010-09-04

4 settembre 2010

POLITICA

Berlusconi: processo breve

fuori dai "cinque punti"

Il governo è intenzionato a chiedere la fiducia sui cinque punti programmatici che alla ripresa dell'attività politica il premier presenterà al parlamento. A confermarlo è stato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in un messaggio ai Promotori della Libertà. "Abbiamo elaborato le priorità e gli interventi concreti sui quali il Parlamento dovrà pronunciarsi nelle prossime settimane, a cominciare dai cinque punti programmatici nei quali abbiamo sintetizzato le riforme che sono appunto prioritarie e che intendiamo realizzare entro questa legislatura e cioè: la riforma tributaria, il federalismo fiscale, la sicurezza, l'immigrazione, il rilancio del Sud e la riforma della giustizia", ha elencato.

"Dunque alla riaperture delle Camere, ci impegneremo affinchè sia votata la fiducia su questi cinque punti e non ci lasceremo distrarre dai giochi di Palazzo che purtroppo sono ancora in corso", ha aggiunto.

MOZIONE GIUSTIZIA

"Nella mozione sulla giustizia che porteremo all'approvazione del Parlamento – ha poi specificato Silvio Berlusconi – per quanto mi riguarda non dovrebbe esserci il cosiddetto processo breve, che dovrebbe invece essere finalmente un processo per tutti di ragionevole durata e cioè di una durata massima di sei anni e mezzo, molto di più di quel che durano i processi nelle vere democrazie. Ma siccome quando si tratta di giustizia e di processi non c'è una norma che non tocchi, non riguardi uno dei tanti processi o meglio delle tante aggressioni che mi sono state rivolte in questi anni per tentare di sovvertire il voto degli italiani, anche se questa norma è giusta e anzi assolutamente doverosa, la sinistra e i suoi giornali la fanno diventare uno scandalo e la mettono al centro di una campagna ancora e sempre contro di me. Allora io voglio rassicurare ancora una volta la sinistra".

"E quindi, per favore, la piantassero di fare tanto baccano e pensassero piuttosto al loro vuoto di idee, di programmi e di leader".

 

 

FEDELTA'

Se i parlamentari che hanno aderito a Fli dimostreranno "lealtà e senso di responsabilità", decidendo di restare nel Pdl, potranno contare sul loro inserimento nelle liste elettorali del partito. Lo afferma il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi nel suo audiomessaggio ai Promotori della Libertà. "Non c'è bisogno di ripeterlo - dice il premier - ma con l'occasione voglio ricordarlo ancora una volta: tutti i nostri parlamentari che, avendo prima deciso di fare parte di un nuovo gruppo, dovessero per senso di responsabilità e per lealtà nei confronti degli elettori che li hanno votati, decidere di restare nel gruppo del Pdl, tutti, nessuno escluso, potranno contare sulla nostra amicizia, sulla nostra solidarietà e lealtà, anche nel momento della formazione delle liste elettorali".

 

 

 

Home Page Avvenire > Interni > Fini: in politica non ci sono nemici ma avversari

Interni

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4 settembre 2010

ALLA FESTA DELL'API

Fini: in politica non ci sono nemici ma avversari

La prima uscita pubblica di Gianfranco Fini dopo il silenzio della pausa estiva è avvenuta alla festa dell'Api di Francesco Rutelli. Il presidente della Camera è stato accolto da applausi in una platea gremita ma all'inizio del suo intervento c'è stata anche qualche contestazione isolata. L'intervento dal palco, comunque, è stato applaudito ben sei volte nonostante la platea fosse sostanzialmente di militanti di centrosinistra.

NEMICI - AVVERSARI

"È indispensabile nei momenti convulsi, dove sembra perdersi la bussola del comune agire, avere ben chiaro che nel 2010 non ci può essere la categoria del nemico che evoca logiche distruttive ma solo quella dell'avversario", è stato un passaggio del suo intervento.

PROPAGANDA - POLITICA

"La propaganda è un momento dell'impegno politico ma la politica è confronto di idee. Se prevale la propaganda, se ci si arrabatta in una fase convulsa e poco edificante, è naturale che un impegno alto e nobile in politica finisce per essere minoritaria ma anche se minoritario è essenziale perchè è l'unico antidoto possibile per fermare la crisi di fiducia verso le istituzioni".

RISPETTO PER LE ISTITUZIONI

"Ci vuole il reciproco rispetto per le idee di tutti e soprattutto per le istituzioni. Sono certo di esprimere l'opinione dei 630 deputati quando esprimo la solidarietà al presidente del Senato, Renato Schifani, che oggi è stato oggetto di una intollerabile contestazione per impedirgli di parlare. Il rispetto delle istituzioni - ha aggiunto il presidente della Camera - è l'abc della politica".

 

 

 

4 settembre 2010

CRISI

Tremonti: "Emergenza finita"

Ma in Ue restano incognite

"Siamo ancora in terra incognita. Non parliamo dell'Italia ma di altri Paesi. Serve prudenza e una visione realistica": così il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, risponde ai cronisti che, a margine del workshop Ambrosetti a Cernobbio, gli chiedono se l'emergenza crisi è superata.

"Lunedì e martedì a Bruxelles è convocato un Ecofin straordinario, di nome e di fatto. Serve per scrivere il nuovo Patto di Stabilità e di Crescita. Un atto che marcherà la fine delle politiche national oriented, e con questo il principio di una vera e nuova politica economica europea comune, coordinata e collettiva, non più eclettica ed estemporanea, diversa stato per Stato", ha spiegato Tremonti.

In sintesi, secondo il ministro, con il nuovo Patto vi sarà "una fondamentale devoluzione di potere, insieme 'dal basso verso l'altò e 'dal diviso all'unitò. "Le linee fondamentali comuni su cui si svilupperà la politica europea - ha precisato Tremonti - sono marcate da due sigle: SCP e NRP. 'Stability and convergence program' e 'National Reform Program'. Le due politiche fondamentali della nuova Europa:

stabilità delle finanze pubbliche, competitività del blocco continentale".

Per quanto riguarda l'Italia "il nostro Programma di Stabilità contiene la manovra di luglio ed è stato giàapprovato in Europa. Su questa base possiamo assumere che il nostro 'SCP' è stato già impostato. Il problema che abbiamo è sull'altra politica, quella marcata dalla sigla 'NRP'. È su questa che dobbiamo e possiamo concentrarci. In una prospettiva temporale non istantanea, ma neppure lunghissima: da qui a gennaio-aprile del 2011", ha continuato il ministro. Rivolgendosi all'opposizione, poi, Tremonti ha spiegato che "fuori dalla lotta politica e fuori dalla dialettica di parte, idee e proposte certo dovranno essere alla fine sintetizzate, ma prima dovranno essere sul più vasto catalogo possibile e nel più ampio dibattito possibile. E in questo il ruolo dell'opposizione potrà e dovrà essere positivo e costruttivo".

 

 

 

 

4 settembre 2010

CERNOBIO

Napolitano: "All'Europa servono

nuovi leader con coraggio"

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano crede e spera che potrà nascere una nuova generazione di leader, ma per questo servirà l'impulso di un'opinione pubblica competente. Parlando in collegamento video al workshop Ambrosetti, il capo dello Stato ha detto che "una nuova generazione di leader potrà nascere, lo credo e lo spero. Ma non succederà per miracolo, bensì attraverso una vasta mobilitazione della società civile e della società politica, un impulso di opinione pubblica informata e competente". Dal canto suo Napolitano a questi nuovi leader potrà "solo trasmettere - ha aggiunto - con passione il testimone".

"Soltanto parlando con la sua voce e portando avanti una politica estera e di sicurezza comune, e il Trattato di Lisbona finalmente entrato in vigore ce ne offre gli strumenti, l'Europa può contare nella politica internazionale". Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. "È giunto per tutti - ha spiegato - il momento di riconoscere che nessuno Stato europeo, nemmeno i più forti e i più ricchi di tradizioni storiche, persino imperiali, nemmeno i più ricchi ed economicamente avanzati, nessuno potrà con le sue sole forze contare come nel passato se non contribuendo a costruire un'Europa più unita, efficiente e dinamica".

"Capisco - ha aggiunto - che si tratta di una verità sgradevole per alcuni o che sembra in questo momento contraddire gli sforzi che sta compiendo e i risultati che stanno raggiungendo alcuni Stati come, è inutile dirlo, la Germania".

Prendendo ad esempio proprio la Germania Napolitano ha proseguito: "Una cosa è mettersi d'impegno per dare il meglio di sè, facendo ordine in casa propria e mettendosi coraggiosamente nella competizione globale. Una cosa è offrire a tutta Europa gli esempi più efficaci e le pratiche migliori, altra sarebbe pensare di poter risolvere i propri problemi e fare i conti con il resto del mondo che cambia, allontanandosi dal contesto e dal comune impegno europeo".

"Per questo - ha concluso Napolitano - ho particolarmente apprezzato nell'incontro del luglio scorso a Roma il neoeletto presidente federale tedesco che ha ribadito l'impegno a contrastare una tendenza di rinazionalizzazione delle politiche in seno all'Unione. Bisogna essere tutti conseguenti a questo impegno e occorre un nuovo supplemento di volontà politica europea".

 

 

 

4 settembre 2010

L'INCHIESTA

Anemone, spunta

nuova lista con 100 nomi

Ristrutturazioni nelle abitazioni e negli uffici di clienti potenti e operazioni bancarie sospette: dopo una recente segnalazione di Bankitalia, esce una nuova lista di circa cento nomi nell'inchiesta della procura diPerugia sui Grandi eventi.

La lista, di cui oggi danno notizia numerosi quotidiani, è emersa, grazie alle indagini della Guardia di Finanza, dal computer di Stefano Gazzani, il commercialista di fiducia di Diego Anemone. Tra i nomi, quello di Pasquale de Lise, all'epoca dei fatti presidente del Tar del Lazio e oggi alla guida del Consiglio di Stato, al quale sarebbero stati versati 250 mila euro da un famoso avvocato. Il giudice replica al Messaggero: "Cado dalle nuvole, ma quell'anno comprai una casa e ne vendetti un'altra".

La maggior parte dei nomi era contenuta già nella cosiddetta prima lista Anemone ma c'è anche un Berlusconi, senza altri riferimenti e specifiche, e i quotidiani sottolineano come si stia cercando di stabilire se si tratti di Paolo, il fratello del premier che attraverso una delle sue aziende si occupò dei lavori alla Maddalena in vista del vertice del G8.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

4 settembre 2010

ALLA FESTA DEL PD

Schifani contestato a Torino

L'altolà di Napolitano

"Non amo la politica della barbarie, dello scontro e del gossip personale. Ho sempre privilegiato una politica di confronto e di progetto. È stata una estate velenosa piena di invettive e negatività, che non hanno migliorato il quadro politico. Auspico fortemente che alla ripresa si possa ripartire con un piede di maggiore responsabilità". Lo ha detto il presidente del Senato Renato Schifani a Torino alla festa nazionale del Pd, mentre nei suoi confronti era in corso una rumorosa contestazione da parte di una ventina di aderenti al Movimento cinque stelle - Grillo.

IL RAMMARICO DI BERSANI

Più tardi il segretario del Partito Democratico, Pier Luigi Bersani, ha telefonato al presidente del Senato "per esprimere solidarietà e profondo rammarico per quello che è avvenuto oggi a Torino, stigmatizzando la gazzarra indecente che ha disturbato il dibattito". "Il dibattito politico, anche il più aspro - afferma Bersani - deve segnare un confine netto con la prepotenza e la prevaricazione. Le nostre feste vivono come luoghi aperti di incontro e di discussione politica. Così le abbiamo volute, così sono e saranno. Qualcuno si levi dalla testa di poterci intimorire o farci derogare da questa scelta".

LE PAROLE DI NAPOLITANO

"Il tentativo di impedire con intimidatorie gazzarre il libero svolgimento di manifestazioni e discorsi politici è un segno dell'allarmante degenerazione che caratterizza i comportamenti di gruppi sia pur minoritari incapaci di rispettare il principio del libero e democratico confronto e di riconoscere nel Parlamento e nella stessa magistratura le istituzioni cui è affidata nel sistema democratico ogni chiarificazione e ricerca di verità". Lo ha detto il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, avuta notizia degli incidenti verificatisi alla festa del Pd di Torino. "Perciò - sottolinea il capo dello stato - deploro vivamente l'episodio verificatosi oggi a Torino ai danni del Presidente del Senato e ogni forma di contestazione aggressiva sia verso figure di particolare responsabilità istituzionale sia verso qualsiasi esponente politico nell'esercizio della sua inconfutabile libertà di parola e di opinione".

IL DISCORSO DI SCHIFANI

"Mi auguro che per la governabilità del Paese non si torni a votare. Il Paese ha bisogno di una guida e di un governabilità che attui il progetto voluto due anni fa". È quanto ha affermato il presidente del Senato Renato Schifani dal palco della festa del Pd a Torino aggiungendo che "un'interruzione traumatica della legislatura è un danno per la convivenza civile e per l'economia del Paese. Auspico fortemente che la maggioranza voluta dagli elettori possa trovare una sua coesione per attuare il programma. Vi sono state forti tensioni e ritengo che sia complessa la ricomoposizione all'interno del Pdl ma non impossibile. Quindi occorre prevalga il senso di responsabilità e che lavorino le colombe e non i falchi".

Nel caso ciò non sarà possibile, ha detto Schifani, "tutto va nelle mani del capo dello Stato che è garante della costituzione. Lo è sempre stato e ha dimostrato di esserlo in maniera impeccabile in ogni momento della vita del nostro Paese. Ha grande senso dello Stato e senso di responsabilità e saprà fare le scelte migliori nel caso in cui la maggioranza dovesse andare in crisi. È rispettoso della costituzione reale a cui tutti ci dobbiamo inchinare".

 

 

 

 

 

 

2010-09-03

3 Settembre 2010

DOPO LE POLEMICHE

Berlusconi: tra una settimana

il nome del ministro dello Sviluppo

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi dice in una nota che la prossima settimana sottoporrà al capo dello Stato il nome del nuovo ministro per lo Sviluppo economico. È quanto scrive il presidente del Consiglio in risposta alle polemiche di queste ore sulla successione di Claudio Scajola, che si dimise il 4 maggio scorso. Più volte negli ultimi mesi Berlusconi ha annunciato che avrebbe indicato un successore di Scajola per il ministero, del quale ha assunto l'interim.

"La settimana prossima sottoporrò al capo dello Stato il nome di un nuovo ministro dello Sviluppo", scrive il capo del governo nella frase finale della lunga nota. In precedenza scrive: "Vedo che da più parti si chiede la nomina di un nuovo ministro per lo Sviluppo, sostenendo che sino ad ora ci sarebbe stato un vuoto in questa funzione. Mi permetto di garantire che il mio interim non è stato un vuoto, ma 'un pieno', un vero e proprio pieno di decisioni e di provvedimenti e che il dicastero di Via Vittorio Veneto è stato ed è nelle mani di una delle istituzioni più autorevoli del Paese, quella del presidente del Consiglio".

Berlusconi ricorda che "sono state assunte molteplici decisioni organizzative, [...] si è operato incessantemente a supporto di imprese, [...] con una decisione e con una concretezza mai viste prima, come credo, nella storia del ministero". Poi il premier aggiunge: "Sono stati più di 300 i provvedimenti che hanno recato la mia firma" ed in una successiva nota dettaglia i provvedimenti presi.

Nella seconda nota Berlusconi affronta poi punto per punto le critiche sollevate dalla stampa sulla politica industriale del governo di questi mesi. "Per quanto riguarda i tagli effettuati dal ministro Tremonti (più correttamente deliberati dal governo su proposta del Ministero dell'Economia e delle Finanze), questi non hanno riguardato solo il Ministero dello Sviluppo Economico, ma hanno interessato tutte le amministrazioni pubbliche", dice la nota a proposito delle riduzioni di spesa previste in manovra, che hanno colpito pesantemente lo Sviluppo economico.

Una battuta infine al contestato capitolo delle nomine: "In merito alle nomine, le stesse vengono effettuate nel rispetto dell'iter previsto dalla normativa vigente e, dunque, il potere decisionale del Ministro dell'Economia e delle Finanze è circoscritto ai casi in cui esso è previsto ed è esercitato nel rispetto della normativa medesima".

 

 

3 settembre 2010

L'APPELLO DEL COLLE

"Lotta alla mafia, istituzioni

sostengano la magistratura"

"Rafforzare, specialmente nei giovani, la cultura della legalità e il senso della democrazia" e "rinnovare un convergente e deciso sostegno delle istituzioni repubblicane e della società civile all'attività di contrasto delle organizzazioni criminali svolta dalla magistratura e dalle forze dell'ordine, al fine di contenerne la capacità di controllo del territorio e di infiltrazione nella economia, nazionale e internazionale". È il duplice appello che rivolge il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel messaggio inviato al prefetto di Palermo Giuseppe Caruso, in occasione del 28° anniversario dell'uccisione del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell'agente Domenico Russo.

Il Capo dello Stato, rinnovando ai familiari delle vittime "i sentimenti di vicinanza e gratitudine di tutti gli italiani" e la sua "personale e solidale partecipazione", ricorda che il generale Dalla Chiesa "servitore dello Stato di grande rigore civile e morale, da alto ufficiale e da prefetto della Repubblica pose costante impegno nell'azione di contrasto al terrorismo e alla mafia, adottando metodi investigativi atti a fronteggiare efficacemente l'espandersi di fenomeni criminali che andavano segnando tragicamente il nostro Paese".

Napolitano sottolinea che "le sue capacità, il suo coraggio e la sua determinazione lo resero punto di riferimento della comunità nazionale, ma anche obiettivo della delinquenza mafiosa, che ne eseguì l'omicidio con modalità spietate nell'intento di provocare un diffuso stato di intimidazione".Dal Quirinale, si osserva che "la sua morte contribuì, invece, a far crescere un ancora più ampio e diffuso moto di indignata e consapevole difesa di quei valori di giustizia, democrazia e libertà per i quali egli si era battuto anche a costo della vita"

 

 

 

3 settembre 2010

RIPRESA ECONOMICA

Draghi: la ripresa mondiale

resterà in Europa

La ripresa mondiale "resterà con noi" e quella europea, che vede un divario fra il Nord e il Sud e del Vecchio Continente, si sta diffondendo anche fra i paesi meno veloci a ripartire. Lo ha detto il governatore della Banca d'Italia e presidente del Financial Stability Board Mario Draghi.

Secondo Draghi "ci sono maggiori probabilità che questa ripresa non ci abbandoni". E per l'Europa - dove "la crescita è più marcata al Nord che al Sud" - l'impressione è di una ripresa "con basi più ampie e con

segnali positivi sia sul fronte de consumi che degli investimenti".

Alcuni rischi - ha spiegato tuttavia Draghi che in Corea del Sud partecipa ad una conferenza organizzata dal Financial Stability Forum - restano in piedi. Gli elementi di rischiosità sono legati soprattutto alla rimozione delle misure di stimolo economico e alla fragilità dei mercati finanziari. La crescita, in particolare, è sostenuta soprattutto dal commercio mondiale e per l'Europa l'export è un elemento trainante. "Ci sono ancora mercati fragili", ha proseguito il governatore, ma sul fronte europeo un elemento positivo è dato dalla bassa inflazione, "le cui aspettative sono ancorate al livello più basso degli ultimi cinque anni".

 

 

 

 

3 settembre 2010

POLITICA

Linea dura del premier:

chi non è con noi è fuori

Il barometro della giornata lo dà la folla che, alle 7 della sera, accoglie Berlusconi che lascia palazzo Grazioli urlando (non tutti, ma più di qualcuno) "presidente, caccia Fini". Ormai all’antivigilia dell’attesissimo discorso di Gianfranco Fini a Mirabello, il presidente del Consiglio sceglie una linea drastica. Resa esplicita anche dalla decisione di non rinviare il "processo" ai tre finiani affidato ai probiviri (vedi a fianco). Fino a sabato non è più tempo di mediazioni o d’ipotesi di tregua. Quanto potrà avvenire alla festa di "Futuro e libertà" viene ritenuto non risolutivo, in casa Pdl. E la possibilità concreta di riallacciare il dialogo è praticamente ridotta al lumicino, se non tramontata del tutto.

È questo il bollettino della giornata che filtra dalla residenza romana del premier. "Chi sta con noi sta con noi – sono state le parole del Cavaliere, dette anche alla presenza del coordinatore Denis Verdini – e chi non sta con noi, a partire dal processo breve, è fuori". Ma nel Pdl cresce il fermento, testimoniato dalla riunione tenuta, nello studio del sindaco di Roma, Gianni Alemanno, da un gruppo di ex An fedeli a Berlusconi: c’erano La Russa, Gasparri, Matteoli e Meloni. E monta anche una certa insofferenza per le ultime uscite del presidente Napolitano, dal nodo del ministero dello Sviluppo alla giustizia. Quest’ultimo resta il capitolo-chiave e Berlusconi non a caso ha inviato il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, a illustrare al capo dello Stato possibili modifiche al processo breve. Mentre a illustrare il sentimento della base ci pensa Filippo Berselli, presidente della commissione Giustizia al Senato: "Nessuno discute le prerogative del capo dello Stato, però queste non possono in nessun modo interferire con le prerogative del Parlamento".

È una linea dura cementata dai collaboratori ricevuti ieri: due "falchi" come Ignazio La Russa e Daniela Santanchè, in aggiunta al vertice di due ore che ha visto presenti pure i ministri Alfano e Brambilla. La convinzione del premier resta che ce la farà ad andare avanti senza compromessi particolari, ma anche senza correre il rischio di finire al voto anticipato. Un’eventualità che - si pensa nel Pdl - certo non prenderà corpo per la nascita del nuovo partito finiano, che Berlusconi e i vertici del Pdl non si aspettano.

Il premier pensa che Fini domenica non "strapperà", che punterà a non rompere ma a logorare, perché "il tempo serve a lui più che a noi". E che, alla ripresa dei lavori parlamentari, la maggioranza avrà lo stesso i numeri per portare avanti l’azione di governo. Come massimo, Berlusconi si attende che il presidente della Camera insisterà nel sostenere che è stato cacciato, ma a questa accusa il Pdl risponde che c’è, nero su bianco, il documento della direzione di aprile a far capire agli elettori come sono andate le cose. Quel testo fu approvato con 157 voti a favore e appena 12 contrari. E fu allora che costoro si sono messi fuori dal Pdl, non li ha cacciati Berlusconi.

Eugenio Fatigante

 

 

 

 

 

3 Settembre 2010

POLITICA

Bersani "spara" su Berlusconi:

"Fa regredire la politica alla fogna"

Volano parole grosse. Si scalda Pierluigi Bersani, per il quale il "berlusconismo" fa "regredire la politica alla fogna". Il Pd si prepara alla campagna d’autunno, e se con l’alleato Di Pietro l’attrito resta forte, ma si continua a camminare insieme, i democratici cercano di trasformare la sponda dell’Udc in qualcosa di più solido. Così Massimo D’Alema inizia una corte serrata a Pier Ferdinando Casini, che, ammette il presidente del Copasir, "potrebbe essere un alleato" alle prossime elezioni. Ma per ora l’amore è a senso unico, e anzi il leader udc conferma che se si andasse a votare oggi, correrebbe ancora da solo. Lo stesso Casini, però, tesse la sua tela con l’Api di Rutelli, mentre si scalda ai nastri per la campagna d’ottobre contro il premier e la sua legge per il processo breve.

L’autunno, insomma, si preannuncia caldo come l’estate. Questa volta, infatti, lo stesso Bersani arriva a usare termini forti, che urtano la suscettibilità degli avversari. "Se un uomo politico come Bersani giunge ad esprimersi con tali sorprendenti parole vuol dire che il Pd ha cessato di esistere politicamente", replica il coordinatore pdl Bondi, mentre per Cicchitto "la politica diventa una fogna quando un segretario di partito parla in questo modo".

Ma il rischio che si corre, va oltre il segretario del Pd, è "un deterioramento ulteriore della politica". Perciò contro il processo breve, la battaglia sarà dura: "Berlusconi sta cercando di salvare il suo processo cercando di evitare che saltino altre decine di migliaia di processi". Ma, insiste Bersani, "non abbiamo ancora la Costituzione di Arcore e abbiamo sempre la nostra Costituzione che non è facile da aggirare". La proposta democratica, allora, deve essere quella di "alleanze credibili. Dobbiamo realizzare una "nuova riscossa italiana". Su questo progetto e sulle idee e le proposte lavoreremo nelle prossime settimane. Per l’autunno proporremo una mobilitazione straordinaria".

E sul processo breve Bersani avrà dalla sua tutti i partiti di minoranza. Ma spera di andare oltre. "In Parlamento – continua – faremo un’opposizione drastica e forte e chiederemo coerenza a quelle forze del centrodestra che fin qui hanno avuto da ridire, e che pensano che il processo breve sia una sorta di amnistia per Berlusconi". Casini, a conferma, non è da meno: "Non è una cosa che si può fare. È un’indecenza".

Nessuno pensa a un’alleanza con Fini, precisa D’Alema. "Fini è un uomo di destra ma siccome in nome della legalità critica Berlusconi, mi interessa come interlocutore e non per fare un’alleanza insieme", spiega l’ex premier ds, che chiede al presidente della Camera di "spiegare le sue ragioni che io credo siano quelle di una destra diversa, democratica con il senso dello Stato. Quanto alle alleanze, per D’Alema "in caso di elezioni dobbiamo cercare di vincerle e abbiamo la possibilità di vincerle" con il nuovo Ulivo indicato da Bersani: "Un cantiere su cui tutti lavoreremo". Se poi Di Pietro insiste nel non volere alleato Casini, D’Alema ricorda che quello "che ha detto Di Pietro è già stato smentito dal suo stesso partito". L’obiettivo di sconfiggere Berlusconi non va offuscato e "il precedente del Piemonte insegna".

Il Pd non è l’unico a lavorare al cantiere. Casini continua a parlare di "intesa con l’Api. C’è – dice – una grande condivisione su tante cose, sulla maggioranza dei temi". Ma di più l’ex presidente della Camera non si sbilancia. Piuttosto conferma che "non ho mai avuto la tentazione di entrare nella maggioranza". Mentre "se si votasse tra due mesi noi non dobbiamo avere paura di testimoniare un’idea scomoda. Un’alleanza politica si salda sui principi, non è solo trovare un nome per vincere". Se poi "ci sarà un’evoluzione di Pd e Pdl vedremo, si creeranno condizioni diverse".

Roberta D’Angelo

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2010-09-02

2 settembre 2010

IL RICHIAMO DEL COLLE

Napolitano: serve una seria

politica industriale

"È venuto il momento che l'Italia si dia una seria politica industriale nel quadro europeo, secondo le grandi coordinate dell'integrazione europea". È il monito lanciato dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, oggi in occasione dell'inaugurazione a Mestre della nuova piazzetta dedicata a Gianni Pellicani, suo grande amico e compagno di partito scomparso quattro anni fa.

Per il capo dello Stato infatti "abbiamo bisogno di questo per l'occupazione e per i giovani che oggi sono per noi il motivo principale di preoccupazione" perchè "attorno alla questione dell'occupazione giovanile si stringono i nodi dell'economia. E oggi -prosegue il capo dello Stato- c'è una nuova categoria di giovani che non sono impegnati nè in processi formativi nè in processi occupazioni nè in processi di addestramento al lavoro".

Così, per Napolitano, non c'è dubbio "dobbiamo dare delle risposte su tutti questi terreni tenendo però conto dei limiti stretti in cui si muove l'azione pubblica e tendendo conto delle risorse del bilancio dello Stato, punto ineludibile questo per governo e opposizione".

"LA VER A PRIORITA' E' LA CRISI"

A leggere i giornali, pare si vada verso una situazione politica "più benigna", ma governo e Parlamento dovrebbero impegnarsi per fronteggiare innanzitutto la crisi economica. Da Venezia, dove ha preso parte a iniziative culturali legate alla Mostra del Cinema, il presidente Giorgio Napolitano non ha mancato di rivolgere alle forze politiche un pressante appello a pensare alle vere priorità del Paese e degli Italiani. Che riguardano i problemi dell’economia e dell’occupazione. Una questione centrale, sulla quale la politica "dovrà per forza impegnarsi". Anche di fronte a segnali contraddittori sullo sviluppo europeo, dove ci sono gli ottimi risultati tedeschi, che però "purtroppo non fanno tendenza". C’è stata la manovra, incalza il presidente della Repubblica, ma "poi c’è la finanziaria, e poi bisogna verificare soprattutto qual è l’andamento della congiuntura sul piano mondiale, europeo e nazionale". L’invito di Napolitano è sembrato a molti commentatori un auspicio a rimodulare le priorità programmatiche del governo, dopo la richiesta del premier Berlusconi di far approvare immediatamente il cosiddetto processo breve. Ma il capo dello Stato si è tenuto prudentemente fuori dalle dispute che hanno animato le vacanze estive. E a un giornalista che gli ha chiesto come avesse vissuto questo mese "politicamente infernale", ha risposto placido che lui cerca di "non sentirsi mai all’inferno". Certo, fa sapere il presidente, sui giornali "c’è una grande molteplicità di idee, di ipotesi su cosa succederà" al governo e alla legislatura. "Attualmente – continua Napolitano – non c’è che da leggere, cercando di non confondersi quotidianamente troppo le idee. Vi sono tremila punti interrogativi che, poi, a un dato momento, si scioglieranno. Si va verso un’evoluzione più benigna". Ma, per quello che riguarda i suoi compiti istituzionali, il presidente precisa: "Non faccio previsioni. Quando accade qualcosa che coinvolga le mie decisioni, allora rifletto e adotto e motivo le decisioni". Un modo anche per ribadire ai giornalisti che lo tempestano di domande che su provvedimenti discussi come il processo breve non ci saranno forme di trattativa preventiva con il governo, così come si è vociferato sui giornali. Se e quando il testo verrà approvato dal Parlamento e arriverà al Quirinale per la firma, sembra dire il presidente, allora farò le mie considerazioni. E il precedente è quello della legge sulle intercettazioni telefoniche e ambientali, finita poi su un binario morto: "Su queste cose – spiega ancora Napolitano – ho già detto tante volte, mentre si discuteva della legge sulle intercettazioni: sapete che fine ha fatto quella legge? Siete informati...". Stesso metodo per lo statuto della Regione Veneto, in discussione in questi giorni, che ha provocato dure polemiche tra il governatore leghista Luca Zaia e le opposizioni di centrosinistra per via di alcuni riferimenti (e diritti) riservati in via preferenziale ai cittadini veneti, che i critici considerano contrari alla Costituzione e allo Stato unitario: "Non ne so nulla– risponde Giorgio Napolitano – quando l’avrò letto reagirò". (Giovanni Grasso)

 

2 settembre 2010

LA RESA DEI CONTI

Intesa sul processo breve, il premier ci crede meno

Basta con le mediazioni tra falchi e colombe. Le antenne di Silvio Berlusconi e di Umberto Bossi sono già sintonizzate su domenica. In attesa di quello che dirà Gianfranco Fini a Mirabello. Senza troppe illusioni: saranno parole dure. Ma "tutto il resto non ha la minima importanza", dice il presidente del Consiglio ai tanti interlocutori incontrati ieri a Palazzo Grazioli. "Aspettiamo di vedere cosa dice Fini", afferma laconico il leader della Lega al termine dell’ultimo round, al quale hanno partecipato il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, Roberto Calderoli e Roberto Cota, i due ambasciatori leghisti in terra finiana. Nubi nerissime si addensano sul cammino del processo breve. La linea del premier è: "Avanti, senza ulteriori mediazioni". Si incarica di ribadirla Ignazio La Russa. Il ddl "è già stato votato al Senato e pensiamo di votarlo così anche alla Camera", assicura il ministro della Difesa e coordinatore del Pdl. "Poi la Camera, il ministro di Giustizia possono anche valutare diversamente. L’unica cosa certa – ha aggiunto con un affondo ai finiani – è che nessuno ci può imporre trattative, soprattutto all’interno di una maggioranza che si è già impegnata". Secca la replica del capogruppo di Futuro e Libertà Italo Bocchino: "La Camera non è notaio del Senato. Il testo non può essere votato a scatola chiusa e non accettiamo un aut-aut di questo tipo". Si aggiunge la voce di Fabio Granata che parla di "amnistia mascherata". Pure l’Udc, con Pierluigi Mantini, ribadisce il suo no. "Abbiamo suggerito la via della garanzia del sereno svolgimento della funzione del premier tramite riforma costituzionale. Altri trucchi o espedienti sono impraticabili".

Le posizioni tra Pdl e Fli, dunque, restano lontane. Forse, insanabili. Se sarà rottura, si vedrà. Intanto ieri è stato un vorticare di incontri nella residenza romana del premier. Mentre alle 18 arrivavano gli ultimi ospiti, usciva il ministro della Giustizia Angelino Alfano, l’uomo che ha in mano il pur sottilissimo filo del dialogo. "Non possiamo avere un pregiudizio, vediamo prima le modifiche che ci proporrà", fa sapere un finiano moderato, Silvano Moffa. Forse non sarà un caso che, prima del Guardasigilli, il presidente del Consiglio abbia incontrato il senatore Mario Baldassarri, una "colomba" tra gli uomini del presidente della Camera. Il quale conferma che il processo breve è "il" nodo da sciogliere (pur avendo puntato nel colloquio ai temi economici). "Se uno vuol colpire un passero, non deve usare il cannone". Come a dire che per tutelare il premier non si possono bloccare migliaia di processi.

La linea emersa già la scorsa notte dal vertice a casa del premier prevedeva, comunque, di poter modificare la norma transitoria, modulando i termini della prescrizione per avere proprio un minore impatto sul numero di processi in corso destinati a estinguersi. Il tutto garantendo uno "scudo" al premier. Perché, spiega il presidente dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto, "la situazione è paradossale". "Contro Berlusconi dal 1994 è in atto una durissima offensiva giudiziaria ad opera di settori politicizzati della magistratura", e perciò si blocca ogni proposta sulla giustizia anche se punta a "ridurre a 6 o 8 anni i tempi della durata del processo, che sarebbero già abbastanza lunghi".

Gianni Santamaria

 

 

2 Settembre 2010

POLITICA

Bersani "spara" su Berlusconi:

"Fa regredire la politica alla fogna"

"Al di là delle denunce di un Governo che si denuncia da solo, francamente, abbiamo visto in questo agosto terrificante come il secondo tempo del Berlusconismo possa far regredire la politica alla fogna. Questo è il rischio che abbiamo davanti: un deterioramento ulteriore della politica, del tessuto civile e del senso civico, della fiducia, della speranza mentre il paese sta scivolando ed è da tempo che scivola". Lo ha detto il segretario del Pd Pierluigi Bersani stamane nel suo discorso di inaugurazione della nuova sede a Firenze del Partito democratico regionale e metropolitano.

"Noi credibilmente - ha aggiunto Bersani - con un quadro di alleanze, con proposte politiche, dobbiamo realizzare il progetto 'nuova riscossa italianà. Su questo progetto e sulle idee e le proposte lavoreremo nelle prossime settimane. Per l'autunno proporremo una mobilitazione straordinaria per presentare le nostre proposte".

Non si è fatta attendere la risposta del Pdl. Ha parlato dapprima Fabrizio Cicchitto, capogruppo Pdl alla

Camera, affermando che "la politica diventa una fogna quando c'è uno come Bersani che, essendo segretario del Partito democratico, parla in questo modo. Evidentemente al peggio non c'è mai limite".

E' poi intervenuto il portavoce del Pdl, daniele Capezzone, che ha affermato: "Oggi è una giornata nera per la democrazia italiana. Lo dico con dolore: quando Bersani si abbandona a un simile insulto ('fognà) contro il partito votato dalla maggioranza degli elettori, non offende tanto e solo noi, ma proprio gli italiani". "Come può definirsi 'democratico' - ha proseguito - un partito che insulta una forza legittimamente votata dai cittadini? Mi auguro che Bersani non solo si scusi (con gli italiani, prim'ancora che con noi), ma soprattutto si renda conto della gravità inaudita dell'atto che ha scelto di compiere".

 

 

 

2 settembre 2010

I CREDENTI IN POLITICA

Miano: "Unità dei cattolici sui problemi della gente"

Impegno educativo e Settimane Sociali. Senza tralasciare alcuni importanti appuntamenti associativi, tra i quali un incontro con il Papa. È questo l’orizzonte sul quale l’Azione Cattolica Italiana lavorerà in questo periodo di ripresa delle attività dopo la pausa estiva. Ieri se ne è parlato nella riunione di presidenza, al termine della quale il presidente nazionale, Franco Miano ha espresso ad Avvenire l’auspicio che l’agenda di speranza messa a punto in vista delle Settimane Sociali, diventi patrimonio condiviso del Paese, non solo all’interno del mondo cattolico.

Presidente Miano, che autunno sarà per l’Ac?

Un autunno di grande impegno. I temi su cui stiamo lavorando sono gli stessi che più stanno a cuore alla Chiesa italiana. Impegno educativo e Settimane Sociali. Inoltre stiamo organizzando due appuntamenti particolarmente significativi per la vita della nostra associazione. Anzitutto l’atteso incontro dei ragazzi e dei giovani di Ac con il Papa, previsto per il 30 ottobre. Lo slogan sarà "C’è di più" e vuole ribadire l’impegno appassionato dell’Azione Cattolica per le nuove generazioni, all’inizio del decennio dell’educazione. E ad Ancona, dal 10 al 12 settembre, si terrà il convegno dei presidenti diocesani, primo passo del nostro anno assembleare che si chiuderà a maggio con l’Assemblea generale.

A proposito di educazione e temi sociali, qual è l’agenda delle priorità del Paese secondo l’Ac?

Prima di tutto la questione della vita. Penso ad esempio all’insistenza con cui il cardinale Bagnasco ha parlato dell’inverno demografico. Penso alla famiglia, senza la quale la società si sgretola, come ricordava il presidente della Cei. E penso alla questione del lavoro, che significa dare risposte per la vita delle persone. In sostanza penso all’idea del bene comune, che nella nostra ottica parte dalla centralità della persona, della comunità, delle relazioni. Noi vogliamo contribuire affinché il bene comune si traduca in provvedimenti concreti e ci sia una vita bella, buona e degna per tutti.

Il mondo e l’associazionismo cattolico sono uniti su questi temi?

Il mondo cattolico è molto più unito di come i media lo rappresentano. E sono d’accordo con quanto sosteneva Giorgio Vittadini nell’intervista ad Avvenire di qualche giorno fa. C’è oggi un di più di impegno nella direzione della comunione ecclesiale. E questa comunione, nella vita delle associazioni, dei gruppi, dei movimenti, sta diventando sempre più il pilastro fondamentale su cui le diversità legittime diventano ricchezza e non elementi di divisione. In questi anni c’è stato un cammino positivo da questo punto di vista, che ha favorito l’incontro prima di tutto l’incontro sulle cose che contano.

Eppure c’è chi continua a tirare la giacca ai cattolici, volendoli portare ora da una parte ora dall’altra? Quale deve essere a suo avviso il posto dei cattolici in politica?

Ritengo che il rapporto tra gruppi movimenti e associazioni cattolici e la politica debba avere come punti di riferimento anzitutto il Vangelo, la Dottrina sociale della Chiesa e il Magistero. Queste sono anche le bussole dell’Ac, che mette al centro la persona, la famiglia, il lavoro, l’attenzione al territorio e tanto impegno concreto. Una politica che mette al cento la persona è una politica che sfida la corruzione, una politica in cui l’elemento della moralità è ineludibile e la dimensione della legalità è imprescindibile. E tutto questo non è di destra o di sinistra. Ma si pone semplicemente a servizio dell’uomo.

Quindi, dopo la stagione dell’unità politica e quella che è seguita alla sua conclusione, quale stagione lei auspicherebbe ora per l’impegno dei cattolici in politica?

Il cardinale Bagnasco, anche nei giorni scorsi, ha ripetuto il suo appello affinché sorga una nuova classe politica cristiana nei fatti più che nelle parole. Il modo migliore per rispondere all’appello del presidente della Cei credo sia quello di mantenere uno stretto legame fra le comunità e i singoli cattolici impegnati in politica, al fine di incoraggiare una presenza coerente con i principi professati. Ma a tal fine è necessario un cambiamento di mentalità nelle nostre Chiese: e cioè non ritenere la dimensione sociale e politica come marginale o destinata a pochi specialisti, ma considerare la formazione a questi aspetti essenziale come per tutti gli altri momenti del cammino cristiano.

La stessa Azione Cattolica è anche un itinerario di educazione all’impegno sociale e politico perché di fatto è un luogo concreto di esercizio della socialità, della corresponsabilità e della democrazia. Che cosa è lecito attendersi da questo punto di vista dalla Settimana Sociale di Reggio Calabria?

Mi attendo che il grande sforzo fatto nella fase preparatoria intorno al concetto di bene comune venga tradotto in proposte concrete. Scuola, università, lavoro, impresa, famiglia, vita, tutti i temi dell’Agenda di speranza, sono di vitale importanza per il Paese. Dobbiamo dare il nostro contributo. Inoltre, compito della comunità ecclesiale è anche di non lasciare soli coloro che sono impegnati direttamente in politica, cercando momenti di confronto e di dialogo. Spero, dunque, che a partire da Reggio Calabria in ogni Chiesa locale maturino queste convinzioni, per costruire insieme un futuro migliore.

Mimmo Muolo

 

2 settembre 2010

PIANETA GIUSTIZIA

Giudici e pm sì, ma "precari"

Quando il tribunale è a cottimo

Entri in un’aula di giustizia dove si sta svolgendo un’udienza per omicidio colposo legato a un incidente stradale e l’accusa è sostenuta da un pubblico ministero "a cottimo". Ancora: sei alle prese con una causa civile in cui possono esserci in ballo decine di migliaia di euro e il giudice che è chiamato a decidere è un "lavoratore a termine" che anno dopo anno attende il rinnovo dell’incarico.

Basta aggirarsi fra i tribunali della Penisola per imbattersi in giudici e pubblici ministeri a gettone che chiedono condanne, scrivono sentenze o stabiliscono pene. Magistrati, sì. Ma precari. Che, in ogni caso, amministrano un terzo della giustizia italiana e sono più di 3400. La legge li chiama magistrati onorari di tribunale ("mot"). Loro si definiscono giudici "a tempo determinato" e "in attesa di condono" perché la loro categoria è in perenne ricerca di un assetto definitivo. Non hanno uno stipendio e neppure le ferie, ma soltanto un "rimborso": 98 euro lordi per ogni udienza. Un compenso che si riduce a 72 euro una volta pagate le imposte e i contributi previdenziali e che non tiene conto della mole di lavoro: si guadagna sempre la stessa somma anche se in una giornata i fascicoli da studiare o da discutere arrivano fino a trenta.

Eppure, quando i mot decidono di scioperare, la macchina della giustizia si ferma. Del resto lo dicono le cifre: a fronte di 2059 togati in servizio nelle procure, sono 1613 i "temporanei" che vestono i panni dei pm e che prendono il nome di vice procuratori onorari; e rispetto ai 6317 giudici di carriera, gli onorari che presiedono le udienze sono 1798. Certo, la loro competenza ha limiti precisi: l’attività si svolge soltanto nei tribunali monocratici o davanti al giudice di pace. Niente corte d’assise o d’appello. Ma si stima che le procure indirizzino due terzi delle cause ai vice procuratori onorari, mentre un quarto dei procedimenti penali e un altro quarto di quelli civili è deciso da un magistrato precario. "E poi ci sono gli oltre 2500 giudici di pace che coprono un’altra parte rivelante del contenzioso e che sono anch’essi magistrati onorari – spiega il presidente di Federmot, Paolo Valerio, l’associazione che raccoglie più della metà dei magistrati onorari di tribunale –. Se si sommano le due categorie, viene superata la fatidica soglia del cinquanta per cento nel riparto delle cause con i magistrati di ruolo".

A differenza dei togati, però, i mot non entrano in aula dopo un concorso. Il loro reclutamento avviene per titoli e il requisito minimo è quello della laurea in giurisprudenza. Così gli onorari sono soprattutto giovani avvocati o praticanti che per un paio di giorni alla settimana diventano pm o giudici e per il resto del tempo lavorano in uno studio legale. Ecco spiegata la ragione dell’elevato numero di domande che l’ultimo bando si è portato dietro: quasi 37mila per le nuove nomine di giudici onorari e oltre 27mila per i futuri vice procuratori. Comunque il quadro è in evoluzione. "Negli ultimi anni – spiega Valerio – il fenomeno che si sta riscontrando è quello di un maggiore radicamento alla funzione giurisdizionale da parte di professionisti che in origine facevano altro e che col tempo si sono trovati gravati da una crescita di attività giudiziaria delegata con la conseguenza di avere dovuto liberare spazio nella giornata lavorativa. In quest’ottica una categoria originariamente di forte estrazione forense si è riconvertita".

Da qui la richiesta di una riforma che stabilizzi gli onorari. Perché giudici e pm "a cottimo" possono durare in carica al massimo sei anni. Anche se le deroghe sono ormai all’ordine del giorno. Ad esempio il presidente di Federmot è vice procuratore onorario a Roma da più di dieci anni. "Ogni volta le proroghe sono conferite in vista di una riforma che ancora non c’è stata – afferma Valerio –. Come onorari non chiediamo di essere assimilati ai magistrati di carriera. La nostre funzioni restano di supporto. Ma rivendichiamo un minimo di certezze economiche per chi svolge questa attività in maniera esclusiva abolendo l’attuale meccanismo della temporaneità del rapporto di servizio".

Il riordino della categoria è stato ribadito nell’ultima "Relazione sull’amministrazione della giustizia in Italia" che il ministro Angelino Alfano ha illustrato lo scorso gennaio al Parlamento. Il progetto del governo si muove lungo tre direttrici: la creazione di uno statuto unico della magistratura onoraria; la rideterminazione delle funzioni dei giudici onorari; e la riorganizzazione dell’ufficio del giudice di pace. "L’intervento – ha spiegato il ministro – è finalizzato anche a contenere la durata del processo entro il termine di ragionevole durata imposto dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, attraverso una migliore organizzazione e gestione delle risorse disponibili".

Giacomo Gambassi

 

 

2 settembre 2010

I 3.500 magistrati onorari

Quei precari in toga fanno giustizia

Che in Italia i processi non siano "brevi" lo sanno tutti. Basta chiedere a uno qualsiasi dei milioni di cittadini alle prese con una giustizia troppo spesso sorda e impenetrabile, la cui arcaicità non sembra essere scalfita dagli annunci d’innovazione tecnologica od organizzativa che si succedono di anno in anno. Ancora più velocemente, di mese in mese, si rincorrono le condanne della Corte di Strasburgo per i diritti dell’uomo (organismo del Consiglio d’Europa) nei confronti del nostro Paese per l’"irragionevole durata" dei procedimenti giudiziari civili e penali. Perciò l’intenzione espressa dal governo di snellire i tempi processuali sarebbe da considerare semplicemente doverosa, oltre che ragionevole. Le polemiche, si sa, scaturiscono per lo più dalla norma transitoria (contenuta appunto nel testo sul cosiddetto "processo breve", approvato all’inizio dell’anno dal Senato e da allora fermo alla Camera) che prevede l’applicazione ai processi già in corso, tra i quali ve ne sono un paio che riguardano il presidente del Consiglio. Non è un particolare di poco conto, certo. Ma a voler prescindere da questo (del resto, una proposta simile fu presentata nel 2004 dai Democratici di sinistra) e a voler guardare soltanto alla potenziale efficacia della riforma in questione, c’è da chiedersi se sia sufficiente porre un limite di tempo per assicurare ai cittadini una giustizia che, oltre a essere (relativamente) "breve", sia anche "giusta". È questo, infatti, uno dei principali doveri dello Stato. La risposta non può che essere negativa, in assenza di altri interventi "strutturali", in grado di raddrizzare finalmente i tortuosi e accidentati sentieri che, oggi, il fascicolo di una causa o di un’indagine deve percorrere prima di tagliare il traguardo della sentenza. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano, qualche giorno fa, ha assicurato che troverà le risorse economiche necessarie per riorganizzare il lavoro di procure e tribunali per realizzare nei fatti il "processo breve" o "di ragionevole durata", come sarebbe più corretto dire. Speriamo. Ma servirebbe, in ogni caso, uno scatto ulteriore: bisognerebbe sgravare la bilancia della Giustizia (che, per definizione, dovrebbe essere certa, solida) dal peso della precarietà. Già, perché precari in toga sono i circa 3.500 magistrati onorari di tribunale che ogni giorno, insieme ai giudici di pace, contribuiscono a smaltire in larga parte l’enorme contenzioso di questo nostro Paese, bello, litigioso e cavilloso. Il 98 per cento dei processi penali di primo grado davanti ai giudici monocratici viene celebrato grazie a loro. Anche nelle sedi disagiate, dove le toghe ordinarie, tutelate dal Csm e dall’Anm, non vogliono andare. Per le toghe onorarie, invece, tutele zero, come spieghiamo all’interno del giornale. Lavorano a cottimo: una settantina di euro netti per ogni udienza tenuta. L’attività fuori dall’aula (lo studio dei fascicoli, la scrittura delle sentenze) non viene retribuita, così come i periodi di malattia, di maternità, di ferie. I contributi previdenziali li mette da parte solo chi se li può pagare. L’incarico è a tempo, salvo proroghe. Intanto della riforma organica della magistratura onoraria e dei giudici di pace, annunciata a novembre dello scorso anno e poi oggetto di aggiustamenti (sulla carta) nel corso di incontri tra Alfano, il sottosegretario Caliendo e le organizzazioni di categoria, si sono perse le tracce. Ma senza di loro sarebbe la paralisi definitiva, altro che processo breve... Una giustizia "a tempo determinato", ingiusta con una parte non marginale di coloro che sono chiamati ad amministrarla, fatica a essere credibile agli occhi del cittadino.

Danilo Paolini

2010-08-31

31 agosto 2010

POLITICA

Processo breve e legge elettorale

infiammano il dibattito politico

Confronto politico sempre serrato sui temi di una nuova legge elettorale e sul cosiddetto processo breve. Il ministro per la Semplificazione normativa, Roberto Calderoli, non ha dubbi: ""Escludo che ci sia una maggioranza in Parlamento per rivedere la mia legge" e poi chiosa: "La legge elettorale, oltre alla rappresentatività democratica, deve garantire l'imprevedibilità" e il 'porcellum' "ha fatto vincere una volta la sinistra e un'altra la destra. Non favorisce nessuno a priori, a differenza di altre proposte che vedo girare in questi giorni". Per Daniele Capezzone, portavoce Pdl: "È ormai evidente un fatto: la sinistra, l'opposizione e, in particolare, il Pd non ha nè proposte nè un progetto. L'unico collante disponibile resta l'antiberlusconismo, una ostilità tenace, livorosa, già ripetutamente bocciata dal Paese. Una sinistra così non è un'alternativa credibile".

Per il processo breve si insiste dalle fila del Pdl: "Il merito del governo Berlusconi è anche quello di volere ridimensionare cifre incivili, che tengono vite e imprese appese decenni in attesa della sentenza e che per questo ci hanno fatto condannare dall'Europa", sostiene il capogruppo alla Camera, Fabrizio Cicchitto. Gli fa eco il portavoce nazionale vicario del partito, Anna Maria Bernini: si tratta di "una delle priorità più evidenti e avvertite dalla gente per tagliare l'ingessatura di processi infiniti, che danneggiano la vita di persone e imprese". Netto il no di Antonio Di Pietro: il termine "processo breve è una truffa mediatica" e il provvedimento proposto dalla maggioranza "non abbrevia il processo, ma i termini dell'impunità e Berlusconi fa politica per assicurarsi l'impunità". Per il leader Idv "in Parlamento sarà la cartina di tornasole del comportamento di tutti: della maggioranza, dell'opposizione e della finta o neo-opposizione interna al centrodestra".

Sul fronte della legge elettorale dall'opposizione Michele Ventura, vicepresidente vicario dei deputati del Pd, ammonisce: "Il centrodestra è in difficoltà vera e trascina nella sua crisi l'intero Paese. Il Pd dev'essere la forza trainante dell'alternativa. Noi vogliamo cancellare il 'porcellum', dare agli italiani la possibilità di scegliere chi li rappresenta, dare al Paese un esecutivo stabile e che possa governare sulla base di un programma condiviso". Contro la cosiddetta 'legge porcatà anche il capogruppo Idv alla Camera, Massimo Donadi: "Pdl e Lega difendono la casta. In Parlamento devono sedere gli eletti, non più i nominati". Francesco Rutelli, leader di Alleanza per l'Italia, dice: "Tutto è meno peggio del porcellum, una legge che esiste solo in Italia".

Angelo Picariello

 

 

 

 

 

31 agosto 2010

IL RAIS A ROMA

Gheddafi lascia l'Italia

con una coda di polemiche

Muammar Gheddafi ha lasciato l'Italia dopo una visita di 48 ore carica di polemiche. L'aereo del leader libico, che indossava una camicia sahariana marrone, è ripartito da Ciampino poco prima delle 13. Il soggiorno a Roma per i festeggiamenti per il secondo anniversario del Trattato di amicizia italo-libico era iniziato domenica con una lezione di Islam a 500 ragazze di un'agenzia di hostess e si è concluso intorno alla mezzanotte di ieri con la cena con oltre 800 invitati. Durante il discorso tenuto in serata, Gheddafi ha chiesto all'Europa "almeno 5 miliardi di euro all’anno per fermare l’immigrazione clandestina".

"Abbiamo letto i resoconti della stampa - ha detto il portavoce della vice presidente della Commissione Ue Viviane Reding - ma noi non commentiamo le dichiarazioni di mister Gheddafi". Il portavoce ha comunque ricordato come, "il dialogo resta lo strumento principale per migliorare la cooperazione con le autorità libiche, in particolare per quel che riguarda la situazione degli immigrati irregolari".

PER FERMARE I CLANDESTINI, 5 MILIARDI DI EURO ALL'ANNO

Le polemiche non hanno senso: "Tutti dovrebbero rallegrarsi" della nuova amicizia fra Italia e Libia, "è stata chiusa una ferita ed è iniziata una vita nuova". Anche sul criticato rapporto con Gheddafi, Silvio Berlusconi non accetta recriminazioni e tira dritto. Malgrado il "rilancio-minaccia" del Colonnello che avvisa l’Europa intera: "Un domani, davanti a milioni di immigrati che avanzano, potrebbe diventare Africa", e allora ecco che servono "almeno 5 miliardi di euro all’anno per fermare l’immigrazione clandestina". Non ha scalfito Berlusconi nemmeno il Gheddafi-show impazzato in questo fine agosto romano (e che, si mormora, ha causato qualche imbarazzo persino dentro il governo). Più delle precedenti 3 visite fatte nel 2009, questa volta il leader della "Gran Giamahiria Araba" non si è fatto mancare nulla (sotto il segno dell’eccesso, se non del puro kitsch) nel suo soggiorno nella capitale: lezioni coraniche quasi esclusivamente per ragazze di bella presenza (reclutate da un’agenzia di hostess e pagate 100-150 euro a testa) e scorta di amazzoni, cavalli berberi e incontri ufficiali, passeggiate serali a piazza Navona con munifiche mance e persino il giallo della tenda (bianca stavolta) dove il Colonnello soggiorna, montata solo 24 ore dopo l’arrivo nel giardino della residenza dell’ambasciatore libico.

Il clou è stato la cena offerta da Silvio Berlusconi, accompagnato da 6 ministri, per l’Iftar, cioè per la fine del Ramadan, ieri sera nella caserma dei Carabinieri "Salvo d’Acquisto", a Tor di Quinto, alla presenza di 800 ospiti, soprattutto big dell’economia e della finanza. E qui, dopo il silenzio delle ore precedenti, ci sono stati i discorsi ufficiali dei due leader. Con Berlusconi che, davanti a una visita che celebrava i due anni (Bengasi 2008) dalla firma del Trattato di amicizia e di cooperazione fra i due Stati, dopo le polemiche del periodo coloniale, con il Colonnello al suo fianco, ha affermato che il Trattato "porterà vantaggi per tutti" e "chi non lo capisce appartiene al passato ed è prigioniero di schemi superati". Poi la parola è passata, per oltre 40 minuti, a Gheddafi che (in tunica bianca, nel pomeriggio ne aveva una marrone), dopo aver salutato "il grande coraggio del mio grande amico Berlusconi", ha sfoggiato la sua oratoria ringraziando l’Italia per la condanna del colonialismo, l’ha indicata come degna di un seggio permanente al Consiglio di sicurezza dell’Onu e ha manifestato l’auspicio "che il Mar Mediterraneo sia un mare di pace". Ma per divenirlo realmente bisogna appunto affrontare la questione-immigrazione.

D’altronde nella due giorni romana l’ha fatta da padrone il business di quella che è stata ribattezzata la Berlusconi-Gheddafi Spa: in appena 24 mesi il giro d’affari fra i due Paesi è bruscamente salito a qualche decina di miliardi di euro (si dice 40). I due si erano incontrati già nel pomeriggio, per 30 minuti sotto la tenda. Poi, sempre insieme si erano spostati alla vicina Accademia libica, dove hanno disertato un convegno storico ma hanno scoperto una targa e inaugurato una mostra fotografica sulla storia della Libia. Durante la quale, ha poi rivelato Gheddafi, il nostro premier "ha pianto" vedendo orrori che, ha aggiunto il Cavaliere,"tutti dovrebbero vedere" .Orrori commessi da "Mussolini, Graziani e Balbo" che "noi condanniamo", ha precisato Gheddafi. Il rapporto economico procede bene: si parla di ulteriori aperture del mercato libico alle imprese tricolori. "L’incontro è andato bene – ha detto il ministro degli Esteri, Franco Frattini –, abbiamo parlato anche di economia e di come uscire dalla crisi". Fra i dossier esaminati c’è quello di Finmeccanica che dovrà fornire un complesso sistema satellitare per il controllo della frontiera sud della Libia. Si sarebbe poi parlato del coinvolgimento di aziende italiane per la rete ferroviaria ed elettrica (8 miliardi di lavori nei prossimi anni), oltre che per la metro di Tripoli. Di affari si è continuato a parlare intorno ai tavoli imbanditi. Per la cena con spettacolo (c’è stato anche il Carosello dei Carabinieri), sono arrivati nomi di spicco: il direttore generale di Confindustria Galli, il presidente di Finmeccanica Guarguaglini, l’ad dell’Eni Scaroni e quello di Unicredit Profumo, il presidente dell’Enel Piero Gnudi, il presidente di Impregilo (e della banca Bpm) Ponzellini e, per la Fiat, il capo delle relazioni istituzionali, Auci.

In mattinata la "Guida della Rivoluzione" aveva tenuto la sua seconda lezione (dopo quella di domenica) di Corano. Solo duecento hostess, stavolta: una decina con indosso il tradizionale velo islamico, una portava appesa al collo una foto del Colonnello. Per le altre, camicetta bianca e gonna nera. L’attenzione di Gheddafi si sarebbe concentrata sul ruolo della donna. Le ragazze hanno riferito che il Colonnello ha spiegato che in Libia i lavori pesanti sono praticati solo dagli uomini. In Occidente invece, ha detto il colonnello, "le donne guidano i treni e lavorano nelle miniere, in Libia non sarebbe possibile". E domenica sera Gheddafi si era concesso una breve passeggiata nel centro di Roma, comprando alcuni anelli da ambulanti tunisini ai quali ha dato 300 euro. (Eugenio Fatigante)

 

 

 

 

31 agosto 2010

IL RAIS A ROMA

"Gheddafi e Islam? Va preso sul serio"

Attenzione al Colonnello di Tripoli in visita a Roma. La tenda beduina, le amazzoni che gli fanno da guardia del corpo, le belle ragazze che vuole indottrinare, tutto questo fa parte del solito teatrino di cui ama circondarsi il leader libico. Ma non è solo folklore. "Lo spettacolo sarà anche un po’ ridicolo ma quel che ha detto Gheddafi a proposito di una futura Europa musulmana va preso terribilmente sul serio". È l’opinione di Samir Khalil Samir, islamologo di fama internazionale. Gesuita di origini egiziane, padre Samir è docente al Pontificio Istituto Orientale di Roma, alla Cattolica di Milano e all’università di Beirut, impegnato nel dialogo interreligioso e consulente del Vaticano. E sul presidente della Jiamahiria ha un giudizio molto chiaro.

Gheddafi arriva a Roma e dice che l’islam, prima o poi, sarà la religione d’Europa. Se uno andasse a Tripoli e invitasse i cittadini libici ad abbracciare il cristianesimo cosa succederebbe?

Scoppierebbe il finimondo ed il malcapitato predicatore verrebbe immediatamente arrestato e condannato per il reato di proselitismo. In Libia, così come in ogni altro Paese islamico, non ci puoi neanche metter piede se sei sospettato di voler esercitare un’attività missionaria. Ma quel che è vietato ai cristiani è un dovere per i musulmani. Non soltanto per i singoli credenti ma anche per gli Stati. Ogni Paese musulmano ha un ufficio per la "Dawa", il termine arabo che indica il proselitismo. La Libia ad esempio ha un ufficio incaricato della "Dawa" per tutto il continente africano. Gheddafi ne ha idelamente aperto uno anche per l’Europa.

Qualcuno la considera una buffonata, qualche altro una provocazione. Lei come la vede?

Iniziamo col dire che Gheddafi è abituato a tenere simili discorsi. L’ultima volta l’ha fatto davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 23 settembre dello scorso anno. Lui sa bene che, a differenza dei leader degli altri Paesi islamici che non lo degnano di grande considerazione e lo trattano alla stregua di un giullare, i popoli musulmani lo ammirano perchè predica il Corano a tutto il mondo. E devo dire che, dal punto di vista della religione islamica, il suo discorso non fa una grinza. Nei suoi incontri romani ha affermato che l’islam è l’ultima religione rivelata e che per questo ha cancellato il giudaismo e il cristianesimo. Nessun musulmano lo può contraddire.

Ma ha pure aggiunto che l’Europa è destinata a diventare islamica. Va preso sul serio?Diciamo che si tratta di una previsione non certo campata in aria. Ed io starei attento a liquidarla come una boutade di poco conto. Guardiamo ai fatti. Gli europei hanno un tasso di natalità molto basso, in media l’1,38%, vale a dire la metà di quello degli immigrati di provenienza extracomunitaria, in gran parte musulmani. I demografi prevedono che entro il 2050 un quarto della popolazione europea sarà islamica. Se il trend non cambia l’Europa un giorno si ritroverà abitata in maggioranza da musulmani. E di fatto, se la Turchia entrerà nella Ue, ciò significherà che un grosso pezzo del mondo islamico, almeno a livello sociologico, farà parte dell’Europa. C’è poi il fattore culturale: nel nostro continente diminuisce progressivamente la pratica cristiana, dilaga l’indifferentismo religioso ed il cristianesimo viene spesso deriso e osteggiato mentre l’islam diventa sempre più propagandistico e intollerante.

Mentre noi, permettendo a Gheddafi di tenere il suo discorso a Roma, abbiamo dato una bella dimostrazione di tolleranza...

È così, e lo dico senza alcuna ironia. Anche se mi permetto di notare che Roma non è Hyde Park ma la capitale del cattolicesimo. Io penso che dobbiamo fare i conti con la provocazione lanciata da Gheddafi. Dobbiamo svegliarci: qual è l’Europa che vogliamo? Ha un valore e un’influenza solo economica?

Forse è proprio per questo che Gheddafi a Roma può dire quel che vuole sull’islam: la Libia è un importante partner economico dell’Italia, meglio non contrariarla...

Capisco queste considerazioni, ma dobbiamo agire con coerenza. Non possiamo riempirci continuamente la bocca di belle parole sui diritti umani quando ci rivolgiamo all’interno dell’Europa, e poi far finta di niente con un capo di Stato straniero che è al potere da 41 anni e spesso ha mostrato disprezzo per i dirtti fondamentali della persona umana. Lo ha dimostrato anche recentemente con centinaia di eritrei rinchiusi nei campi di detenzione. Lui non parla solo di affari, si atteggia a predicatore dell’islam. Qualcuno gli faccia notare che per noi gli affari non sono tutto.

Luigi Geninazzi

 

 

 

31 agosto 2010

IL RAIS A ROMA

Opposizioni contro. E il Pdl si divide

Il ghibli causato dalla visita del colonnello Gheddafi si insinua non solo nei rapporti tra maggioranza e opposizioni. Ma squaderna le ante già ben fessurate dei rapporti tra Silvio Berlusconi e finiani.

L’Italia dei valori prende l’immagine simbolo della visita alla lettera e alla tenda installata nel giardino dell’ambasciata di Tripoli a Roma ne contrappone una "della legalità" davanti alla sede di rappresentanza della Gran Jamahiria. Le Forze dell’ordine la fanno, però, spostare e i dipietristi replicano più tardi davanti alla caserma dove si esibiscono i cavalli berberi.

Folklore chiama folklore, si dirà. Però a far indignare gran parte dei politici - oltre allo stile del rais libico e ai suoi sermoni sull’islam - sono anche i silenzi sul tema dell’immigrazione e dei diritti umani. Tutte questioni che vengono sollevate non solo da Pd, Udc, Idv e sigle della sinistra. Ma anche dallo schieramento di centrodestra. A partire da esponenti di Futuro e libertà come Souad Sbai, che invita a scindere il lato economico da quello degli "atti gratuiti di folklore presuntuoso, pretestuoso e umiliante verso la cultura millenaria occidentale". O Carmelo Briguglio che parla di "inopportune esternazioni" che rischiano di provocare dissidi con Stati Uniti e Vaticano. Considerazioni condivise da alcuni esponenti del Pdl. Da Isabella Bertolini ("inutile provocazione") a Enrico La Loggia, che si chiede quando il leader islamico "farà un appello per la libertà di culto nei paesi islamici". Anche il sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi ritiene che all’amico Gheddafi vadano "dette parole di verità" e che in questo caso abbia mancato di rispetto agli italiani, in maggioranza cattolici. Altra cosa i successi, sottolineati dalla Craxi e da Mario Valducci: sbocchi per le nostre aziende e contrasto all’immigrazione clandestina.

Terreni sui quali sempre duro è lo scontro con le opposizioni. Per il segretario del Pd Pier Luigi Bersani il problema - che ci tiene "fuori dai Paesi che contano" - non è tanto il "teatrino" di Gheddafi quanto quello "della politica estera di Berlusconi, dove tutto è concepito nel rapporto tra amici". Di nominare Putin e Lukaschenko (autocrate bielorusso) si incarica il senatore Luigi Zanda, per il quale non si riesce a distinguere dove finiscano gli interessi del Paese e inizino quelli del premier. Gheddafi fa "la star in casa nostra perché Berlusconi tutela l’ennesimo conflitto di interessi", rincara la dose Antonio Di Pietro. Tranchant Ferdinando Adornato (Udc): tutte le democrazie sono al bivio tra affari e diritti umani. Lui non crede "che nel trattato di cooperazione tra Italia e Libia questo secondo aspetto sia stato rispettato". Dura replica del ministro degli Esteri Franco Frattini: "Gente che non conosce affatto né la politica estera, né gli interessi dell’Italia. Da questa opposizione non ci aspettiamo niente".

Il senatore Pd Roberto Di Giovan Paolo, poi, mette sul tavolo il tema dell’immigrazione, dei respingimenti e in particolare delle "condizioni di vita degli stranieri nei centri di permanenza di Tripoli". Anche l’auspicio di un’Europa islamica è visto come una "provocazione" dal numero due del partito, Enrico Letta, che sfida Governo e Lega. Così come l’udc Rocco Buttiglione che giudica il silenzio del primo "allucinente". Savino Pezzotta si dice "offeso e indignato dall’ipocrisia" e dall’"indifferenza" di chi si è proclamato in passato paladino delle radici cristiane o della laicità.

Dal Carroccio poche voci. Il sindaco di Verona Matteo Tosi elogia Gheddafi ("animale politico eccezionale"). Massimo Polledri, invece, gli chiede reciprocità. Mentre Claudio Morganti gli intima di "predicare a casa sua". E la Padania a tutta pagina oggi titola "L’Europa sia cristiana", indicando il "rischio Turchia". Colorito, come sempre, Mario Borghezio, per il quale quella del libico è la filosofia del "mercante di tappeti". Che con il vento si sa volano meglio.

Gianni Santamaria

 

 

 

31 agosto 2010

POLITICA E GIUSTIZIA

Sul processo breve guerra di nervi Pdl-Fli

Processo breve, lunga gestazione. Numeri alla mano non dovrebbe bastare il secondo passaggio alla Camera, dove il gruppo dei finiani è decisivo. Il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi, uno dei deputati più ascoltati da Silvio Berlusconi, ammette che l’argomento non fa parte del programma di governo, "ma – avverte – è un punto fondamentale perché i processi non possono durare un’eternità". E aggiunge: basta con i tira e molla, "ognuno si dovrà assumere le responsabilità. Arriverà un momento in cui si dovrà votare la fiducia e si voterà su tutti e 5 i punti".

Prendere o lasciare, insomma. Per la Lega Roberto Maroni resta però "ottimista", e si dice convinto che, sulla gisutizia, queste "sono cose che si dicono durante la trattativa". Ma Italo Bocchino, che è il capogruppo di Fli a Montecitorio, avverte a nome di Gianfranco Fini qul è la trattativa: "La Camera non è l’ufficio notarile del Senato", dice. Pasquale Viespoli, capogruppo di Fli al Senato, e capofila delle "colombe", aveva definito il testo approvato a Palazzo Madama "una buona base di discussione". Il testo va cambiato (anche se con con un eufemismo dice "approfondito"), e per due ragioni: "Servono mezzi, risorse e strumenti perché una cosa è dire "facciamo i processi in tempi più brevi" e una cosa è farli". L’altra ragione risiede nella norma transitoria sui processi in corso. "Siamo favorevoli a uno scudo per Berlusconi, vittima di un’aggressione, ma non a fare venire meno, dalla sera alla mattina, 4-500mila processi". Ma per il il capogruppo alla Camera del Pdl Fabrizio Cicchitto "sollevare questioni di lana caprina non aiuta il buon esito dei rapporti che invece vanno chiariti in modo definitivo".

"Berlusconi passa dal Lodo Alfano al processo breve perché vuole una norma che lo tuteli anche quando non sarà più presidente del Consiglio", attacca il capogruppo del Pd Dario Franceschini. Ma, a ingarbugliare ulteriormente le cose, c’è anche del rischio, di cui si parla, di una possibile bocciatura della Consulta del legittimo impedimento, il che – senza la norma transitoria inserita nel testo del processo breve e finita al centro delle polemiche – lascerebbe le alte cariche senza più alcuno scudo nei processi in corso.

"Dai finiani ci aspettiamo coerenza", ribadisce il segretario del Pd Pierluigi Bersani. Da Palazzo Chigi, invece, trapela un Berlusconi che dagli uomini di Fini si aspetta "chiarezza". E la formazione del presidente della Camera, che ancora non è partito, si ritrova ad essere vero e proprio ago della bilancia, posta l’indisponibilità dell’Udc (confermata da Pier Ferdinando Casini) che sul processo breve ha già votato contro, al Senato.

Inutile girarci intorno, allora, il tema diventa la possibile apposizione della questione di fiducia. Ma anche su questo Fini (che in questi giorni di ferie si è visto più volte con la presidente della Commissione Giustizia Giulia Bongiorno) studia le contromosse. "I nostri – spiega il deputato Aldo Di Biagio – sono rilievi di buon senso. Noi potremmo anche ridurli al minimo, e non credo che avranno il coraggio di aprire la crisi solo sulla norma transitoria per i processi in corso. Come lo andrebbero a spiegare agli italiani?".

Angelo Picariello

 

 

 

30 agosto 2010

LA VISITA E LE POLEMICHE

Gheddafi: "In Libia, donne

più rispettate che in Europa"

Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha lasciato poco dopo le 19 la residenza dell'ambasciatore libico a Roma, dove insieme al leader africano Muammar Gheddafi ha inaugurato l'Accademia libica a Roma. Il premier che ha tenuto un colloquio privato con Gheddafi di circa mezz'ora, nel quale si è discusso di politica internazionale ed economia, era accompagnato dal ministro degli Esteri, Franco Frattini, e dai sottosegretari alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta e Paolo Bonaiuti.

FESTEGGIAMENTI E POLEMICHE

Festeggiamenti e polemiche nella visita di Muammar Gheddafi a Roma. Dopo lo show domenicale con le hostess e l'invito all'Europa a convertirsi all'Islam, il leader libico stamattina ha tenuto un secondo incontro all'Accademia libica con le ragazze dell'agenzia Hostessweb (stavolta però 200 e non più 500) durante il quale, secondo quanto riferito da una delle ragazze, Gheddafi ha evidenziato che "in Libia la donna è più rispettata che in Occidente e negli Stati Uniti"

Nel pomeriggio Gheddafi ha scoperto una targa all'Accademia insieme al premier Silvio Berlusconi in cui si auspica che l'istituto sia "un continuo ponte culturale e civile tra i due Paesi". Berlusconi e Gheddafi si sono poi recati nei locali dell'Accademia dove era allestita una mostra fotografica che rappresenta il primo evento dell'attività dell'Accademia libica a Roma. Nel successivo colloquio, a cui ha partecipato anche il ministro degli Esteri Franco Frattini, si è parlato della presenza delle imprese italiane in LIbia, di Medio Oriente, Africa e crisi internazionale.

In serata, si tengono i festeggiamenti per l'anniversario del Trattato di amicizia, con lo spettacolo di 30 cavalli berberi e il carosello dei Carabinieri nella caserma Salvo D'Acquisto. Seguirà l'Iftar - il pasto che spezza il digiuno imposto ai musulmani dal mese di Ramadan - offerto al leader libico e agli altri 800 invitati.

Fra questi, ci saranno nomi di spicco del mondo dell'industria e della finanza italiana. Tra i partecipanti sono previsti il direttore generale di Confindustria Paolo Galli, il presidente e amministratore delegato di Finmeccanica Pier Francesco Guarguaglini, l'amministratore delegato dell'Eni Paolo Scaroni e il numero due Claudio Descalzi, il presidente dell'Enel Piero Gnudi, l'amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo, il presidente di Impregilo Massimo Ponzellini e l'ad del gruppo Alberto Rubegni.

"ITALIA RIDOTTA A DISNEYLAND"

Dopo le critiche arrivate dall'opposizione e da ambienti cattolici alle uscite di Gheddafi, liquidate come "folklore" da Berlusconi, è scesa in campo FareFuturo. La fondazione vicina a Gianfranco Fini ha parlato di un'Italia ridotta "a Disneyland di Gheddafi". La sezione italiana di Amnesty International ha scritto una lettera a Berlusconi per ricordare le "gravi violazioni" dei diritti umani in Libia e per chiedere che questo tema sia messo al centro dei colloqui e dei rapporti bilaterali. Anche il sottosegretario agli Esteri, Stefania Craxi, ha espresso "perplessità" per alcuni atteggiamenti di

Gheddafi e lo ha invitato a non mancare di rispetto "ai cittadini italiani, in grande maggioranza cattolici". Ma per il fratello ed ex collega, Bobo Craxi, si tratta di "polemiche un pò esagerate" e "agitate da chi preferisce i marines armati alle letture del Corano in periodo di Ramadan, o magari

canticchiare Tripoli, bel suol d'amore".

"È inimmaginabile per qualsiasi paese europeo guidato dalla destra offrirsi per costruire un palcoscenico a Gheddafi e per far sfilare 500 ragazze a pagamento mandate da un'agenzia per far finta di essersi convertite all'Islam. C'è di mezzo la dignità di un paese e la dignità delle donne italiane". Lo ha dichiarato Dario Franceschini, capogruppo del Pd alla Camera, alla Festa nazionale del partito a Torino.

 

 

 

 

2010-08-30

30 agosto 2010

GENOVA

Bagnasco: "Trascurare la famiglia

significa sgretolare la società"

"Trascurare la famiglia, ad esempio nelle sue esigenze economiche, significa sgretolare la società stessa": lo ha ribadito l'arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, nell'omelia domenica pronunciata al santuario della Madonna della Guardia durante le celebrazioni per il 520/mo anniversario dell'apparizione della Vergine a un contadino.

"Per contro - ha proseguito l'alto prelato - mettere in atto delle politiche adeguate ai reali bisogni della famiglia perché possa avere dei figli, significa guardare lontano, assicurare un corpo sociale equilibrato. Non si finirà mai di insistere perché le misure siano sempre più aderenti ed efficaci alla reltà della famiglia grembo della vita".

L'arcivescovo di Genova ha anche osservato che se "l'Italia non gode di buona salute sul piano della natalità", "la Liguria si trova nelle primissime posizioni in quella che è una vera corsa verso la morte". "Per la verità - ha proseguito - i segni di una ripresa esistono anche da noi, e non solo grazie agli immigrati. Ma l'inversione di tendenza non è ancora decisa".

"Il mondo - ha detto il cardinale Bagnasco - può guardare con fiducia al futuro finché un uomo e una donna uniranno le loro vite per sempre nel vincolo del matrimonio". "La famiglia fondata sul matrimonio, e in modo tutto speciale nel sacramento, è una prova che Dio continua ad amare il mondo, che ha fiducia nell'uomo, che esiste il futuro, che l'amore e la speranza sono più forti del male".

 

 

30 Agosto 2010

GOVERNO

Processo breve, Pdl in pressing

L'Udc: "Così non la votiamo"

Pressing di Silvio Berlusconi sui finiani: al centro, questa volta, le misure per il processo breve, che il Pdl pretende siano approvate rapidamente e in via definitiva dalla Camera. A Futuro e Libertà, che chiede di aprire un confronto proprio su questo tema, non resta quindi che votare a scatola chiusa. Insistere, spiega il vicepresidente dei deputati del partito del premier Osvaldo Napoli, "vuol dire sbarrare alla legislatura". Il tema della giustizia con il provvedimento sul processo breve si conferma quindi il primo scoglio da superare per la prosecuzione della legislatura.

Ma i finiani in queste settimane non hanno certo nascosto di avere dubbi proprio su questo fronte e c'è chi come Carmelo Briguglio già annuncia di essere pronto a "votare no se il testo non cambia". Certo a ora si tratta di una posizione personale ma è anche vero, dice, che "questo provvedimento non pare compatibile con la linea di rigoroso rispetto della legalità che ha intrapreso il presidente Fini".

D'altro canto anche altri, a partire dal capogruppo di Fli a Montecitorio Italo Bocchino, mostrano più di qualche perplessità: il nodo è rappresentato dalla norma transitoria, che rischia di essere "un'amnistia mascherata". Un timore, quest'ultimo che, sono convinti sempre i finiani, sarebbe condiviso da Napolitano. "Non sapevo - ironizza il deputato del Pdl Amedeo Laboccetta - che l'onorevole Bocchino fosse diventato il nuovo portavoce del Quirinale".

Ma a tirare in ballo il Colle è anche il presidente dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri che ricorda come nel 2006 il Pd, di cui Napolitano era un esponente, "propose un'ampia amnistia a causa della quale si rischia di celebrare molti processi che poi non porteranno a condanne".

Quindi, aggiunge, "sicuramente il presidente Napolitano ricorderà quelle scelte e saprà valutare con equilibrio le decisioni del Parlamento di oggi". In realtà, la situazione è in divenire e dunque, si fa

notare in ambienti parlamentari, il Colle per ora non può che aspettare e vedere cosa accade non potendo in nessun modo intervenire fino a quando, a confronto terminato, ci sarà un testo da vagliare.

Per Fabrizio Cicchitto è evidente comunque che non si può sommare alla "situazione assai contraddittoria a livello di partiti e di gruppi una linea ambigua" sui problemi di contenuto all'interno dei 5 punti programmatici (tra cui ci sono giustizia e processo breve). Sarebbe un comportamento, preannuncia, "inaccettabile" che porterebbe "solo a disastri".

Mentre la maggioranza continua a "contarsi", le opposizioni intanto si schierano compatte contro il processo breve. Il Pd e l'Italia dei Valori assicurano che in Parlamento sarà battaglia durissima, convinti che il processo breve sia l'ennesima dimostrazione che "al centrodestra interessano solo - afferma

il capo della segretaria dei Democratici Filippo Penati - i problemi personali del Presidente del consiglio, delle sue aziende e dei suoi amici".

E dice no anche l'Udc che pure ribadisce la disponibilità a pensare ad una tutela delle alte cariche. "Cancellare centinaia di processi per farne finire uno o due - spiega il leader centrista Pier Ferdinando Casini dalle colonne del "Corriere" - sarebbe però una follia".

 

 

 

 

2010-08-27

28 agosto 2010

IL J'ACCUSE DEL LEADER PD

"Il governo non arriverà

a fine legislatura"

"Questo governo non finirà la legislatura. Non lo dico solo adesso; è da un anno che lo ripeto". Pierluigi Bersani arriva in veste di ospite di lusso e collaudato, ma fuori programma quest’anno, al Meeting. Secca, dall’altro lato della Fiera, arriva la replica di Roberto Calderoli, che invece nel programma di quest’anno c’era: "Bersani non ne azzecca una, e se tanto mi da tanto questa è la migliore garanzia che arriveremo a fine legislatura", ironizza il ministro della Semplificazione. E, prima di intervenire all’incontro sulla mostra del Buon governo del pittore Ambrogio Lorenzetti, infierisce ancora sul segretario del Pd: "Forse ha sbagliato festa, visto che non l’avevano invitato".

No, non ha sbagliato (anche se alle 19 e 30 è atteso nella vicina Ravenna, alla festa democratica) e d’altronde l’arrivo di Bersani era annunciato da giorni a Rimini nei tam tam. "Io vengo qui da sempre", ricorda subito. Appena arrivato, intorno alle 17 e 30, per lui un breve incontro nel salottino riservato agli ospiti, dieci minuti poi a chiacchierare con il presidente della Compagnia delle Opere Bernard Scholz nel suo stand, poi un’immersione nei padiglioni della Fiera in compagnia dell’imprenditore turistico padovano Graziano Debellini, scortato a distanza da un paio di volontari, niente a che vedere con le tradizionali catene umane dei volontari in maglietta rossa, in grado di tener lontana la ressa dei giornalisti. E invece la scorta a Bersani, al Meeting, quest’anno, la fanno proprio i cronisti, con lui che non si sottrae certo a taccuini e microfoni. "Non so mettere appuntamenti - risponde, sulla durata del governo -, ma già adesso si vede il profondo disfacimento della maggioranza. E la mia analisi prescinde da quest’agosto vergognoso". Gli chiedono allora degli scenari possibili, all’orizzonte. "Non so, in caso di crisi decide il Quirinale", premette. Ma serve: "un’altra Italia che riprenda la spinta e la fiducia di poter crescere per lasciarsi alle spalle Berlusconi". E sulle possibili alleanze "non ho sentito dei no - dice -, ho sentito semmai un sacco di sì: così tanti che non me li aspettavo neanche io. E da tutti i lati", avverte. Non si fa attendere la replica di Palazzo Chigi, affidata a Paolo Bonaiuti: "Bersani è sceso a Rimini direttamente dalla Luna e ha detto che vuole subito una bella ammucchiata di vecchia politica per un’altra Italia, ovviamente senza Berlusconi voluto dalla maggioranza degli italiani... non poteva restare un altro po’ sulla Luna?", controbatte il portavoce del premier.

Ma Bersani insiste, spera anche nel ruolo di Gianfranco Fini: "Non mi aspetto particolari risposte, ma si può discutere con lui di temi costituzionali che definiscono le regole del gioco", spiega. Parla di "riscossa civica" si dice soddisfatto del sì arrivato da Prodi al "nuovo Ulivo". E anche dell’attenzione di Casini: "Ha capito il senso della mia proposta".

Accoglienza cordiale, per lui dalla gente del Meeting che ben lo conosce, qualche freddezza, a tratti lo scorta anche il deputato Maurizio Lupi, ma quando si rifanno sotto i giornalisti il vicepresidente della Camera, fa più di un passo indietro, come a non essere coinvolto negli attacchi politici che il segretario del Pd invia. A un certo punto, Bersani, si fionda fiducioso nella mostra sul lavoro possibile in tempi di crisi, ma l’illusione di essersi infilato nella ridotta "laburista" del Meeting dura poco, fin quando gli rivelano che a spiegargli la mostra è Andrea Lupi, uno studente di economia, che - vedi combinazione - è proprio il figlio del vicepresidente della Camera. Difficile fare proseliti, insomma, ma lui ci prova lo stesso: "Come fai a frequentare quel signore lì", dice indicando il papà, che da lontano sorride. Piccoli miracoli del Meeting.

Angelo Picariello

 

 

28 agosto 2010

LA PROPOSTA DI MARCHIONNE

"Il patto sociale? Subito

Ma con fisco e riforme"

Pronti per il nuovo Patto sociale proposto da Sergio Marchionne?

La Cisl è nata pronta. Lo chiediamo da tempo: un nuovo patto si deve fare. È interesse dei lavoratori, è una necessità per il Paese. Il discorso, però, va allargato ben oltre il tema delle nuove relazioni industriali". Il leader della Cisl Raffaele Bonanni non solo accetta la sfida lanciata ieri dall’amministratore delegato della Fiat, ma rilancia alzando la posta in gioco.

Segretario, il nuovo patto sociale è solo uno scambio tra certezza dell’occupazione e maggiore flessibilità o c’è dell’altro?

Dobbiamo partire dalla necessità di superare la cultura del conflitto e dell’antagonismo nel lavoro per rafforzare il nostro sistema produttivo, far crescere le aziende e i salari. La globalizzazione ha cambiato profondamente il sistema economico e non possiamo far finta di nulla. Il benessere complessivo del Paese è sfidato: non c’è redistribuzione senza produzione della ricchezza, non c’è solidarietà senza capacità di far fruttare i talenti. E non ci sono diritti scolpiti nella pietra, immutabili, che possono garantire le persone, se si manca di essere produttivi e competitivi. Proprio per questo, però, si possono e si devono cambiare i rapporti tra capitale e lavoro nelle imprese. Il nostro orizzonte ideale rimane quello, storico, di un sistema pienamente partecipativo. Intanto, però, registro con estrema soddisfazione che concetti come la bilateralità e il collegamento dei salari agli utili d’impresa siano ormai entrati nella riflessione comune e addirittura "sponsorizzati" da parte del governo.

Quale ruolo possono giocare il governo e le forze politiche?

Anzitutto l’esecutivo deve governare. E poi, maggioranza e opposizione, sono chiamati a fornire indirizzi chiari di contrasto alla crisi. Occorre incidere su quei fattori di sistema che frenano la nostra competitività, sono piombo nelle ali dell’impresa e nei portafogli dei lavoratori. Penso ad esempio al peso dell’apparato amministrativo, pletorico, che non si è avuto il coraggio di intaccare, come dimostra la questione della mancata abolizione delle Province. E, ancora, alla necessità di privatizzare le municipalizzate, liberalizzare i servizi, abolendo i monopoli di fatto, investire nelle infrastrutture necessarie. Ma soprattutto c’è da affrontare il nodo decisivo del fisco.

I tempi sono incerti, che cosa chiedete?

Occorre accelerare per ridurre le imposte su lavoratori e pensionati, sulle famiglie, ma anche sulle imprese. Perché, dobbiamo riconoscerlo, non è possibile che le aziende italiane paghino il doppio delle tasse rispetto ai loro concorrenti in Europa, non nei Paesi in via di sviluppo. Vanno premiati i comportamenti virtuosi, come quelli delle imprese che investono soldi veri nella ricerca e nello sviluppo delle attività. Poi dobbiamo riequilibrare il prelievo, spostandolo dai redditi dei lavoratori ai consumi: chi ha di più, consuma di più e deve pagare più imposte. L’intera operazione si finanzia con una lotta senza quartiere all’evasione fiscale. Grazie alle pressioni esercitate da Cisl, Uil e imprese, sono state introdotte le norme sulle tracciabilità dei pagamenti e il nuovo redditometro. E a settembre proporremo una nuova iniziativa unitaria tra sindacato e imprese.

Si riparla di una legge sulla rappresentanza sindacale: la Cisl è d’accordo?

Abbiamo già dato la nostra disponibilità a stringere un accordo con le altre parti sociali per regolare definitivamente questa materia. Poi se ritiene il Parlamento potrà recepire quell’intesa come un avviso comune e trasformarla in legge. La Cgil, però, non deve farsi condizionare dalla Fiom, tentando di invertire questo percorso.

C’è chi paventa che la Fiat alla fine esca dal contratto nazionale dei metalmeccanici, mirando a cancellarlo.

Non sarà questo l’epilogo. Le esigenze delle Fiat, e delle altre imprese, possono essere affrontate e risolte gestendo in maniera flessibile i contratti e se necessario concordando deroghe. Ma la cornice di garanzia del contratto nazionale resterà valida. E questa è la linea sulla quale ci stiamo confrontando con Confindustria.

Francesco Riccardi

 

 

 

 

 

2010-08-26

26 agosto 2010

INTERVENTO

Berlusconi: "No ad alleanze

dalle prospettive incerte"

Il governo andrà avanti con la sua "politica del fare" senza farsi distrarre dalle chiacchiere estive e dovrà ottenere la fiducia parlamentare sui 5 punti del programma da parte di "tutti" gli eletti nelle liste Pdl. Il giorno dopo il vertice con il leader della Lega Umberto Bossi - che ha raffreddato l'ipotesi di voto anticipato ma anche di un allargamento della maggioranza all'Udc - il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, detta la linea con un messaggio ai Promotori della Libertà.

"Al di là dei dibattiti politici estivi, dobbiamo tenere un punto fermo: le innovazioni che abbiamo introdotto nella politica restano, non perché lo diciamo noi, ma perché questa è una conquista della gente e la gente giustamente non accetterebbe mai di tornare indietro. Andiamo avanti, quindi, sulla strada della novità e della semplificazione, su quella realizzazione concreta delle promesse elettorali che resta l'unico punto di aggancio vero nei confronti dei nostri elettori", sollecita i propri supporter il premier.

E dichiara: "I cinque punti che il Popolo della Libertà e il Governo intendono portare con priorità in settembre dinnanzi alle due Camere, confermando tutto il programma approvato dagli elettori, sono la continuazione concreta di una politica tutta tesa ai fatti: su quei punti e per quei punti sono stati eletti tutti i rappresentanti del Popolo della libertà che su quei punti e per quei punti saranno chiamati ad impegnarsi per portare a termine una legislatura fruttuosa e feconda di risultati positivi. Sono sicuro che questo debba avvenire ed avverrà. Tutto il resto sono soltanto chiacchiere, chiacchiere e basta".

Il premier si schiera anche contro ipotesi di "ammucchiate fuori del tempo". "È vero che siamo in estate, ma agli italiani alcune idee chiare e precise non vengono certo offuscate dai calori estivi... Il ritorno della vecchia politica perciò è il tentativo di riaprire un teatrino che ormai non trova più spettatori", scrive Berlusconi.

E retoricamente domanda: "Come si può pensare, nell'anno di grazia 2010, a resuscitare alleanze dal collante incerto, dai programmi ancora più incerti, dalle prospettive addirittura incertissime?".

Stamani il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, ha auspicato la creazione di un nuovo Ulivo di centrosinistra e la costituzione di una alleanza democratica in funzione antiberlusconiana per quando si tornerà alle urne. Due giorni fa l'ex leader Pd aveva invece respinto la possibilità di "sante alleanze".

 

 

 

26 agosto 2010

LA RIPRESA SOTTO LA LENTE

Tremonti: "Ora riparta

il cantiere delle riforme"

È il momento "di riaprire il cantiere delle riforme e delle cose da fare". Di "tornare a ragionare sulla riforma fiscale, con l’obiettivo di semplificare le aliquote e mettere in campo agevolazioni per famiglia, lavoro e ricerca". Giulio Tremonti arriva in forma al Meeting e rilancia le otto priorità per agganciare la ripresa e mettersi al passo degli altri. Ma sulla riforma fiscale, e sui tre settori da agevolare che prospetta, indica con forza la priorità della tenuta dei conti, invitando a diffidare da chi prospetta soluzioni del tipo "oggi da bere per tutti, al bar, e poi non si sa chi paga". Insomma, par di capire, il quoziente familiare è nel programma, e del resto già lo era: "Avevamo cominciato questo impegno, poi è arrivata la crisi greca e la nostra attenzione è stata distolta". Adesso occorre "studiare e fare i giusti calcoli, perché – avverte – è il politico che firma l’assegno, ma se è scoperto sono le famiglie che lo pagano".

Tremonti comunque rivendica che "siamo orgogliosi e convinti della politica che con il governo abbiamo fatto". Il titolare di via XX settembre annuncia poi che potrebbero essere le Poste il luogo per una sperimentazione della "politica di combinazione tra capitale e lavoro con una remunerazione calcolata sugli utili delle imprese". Inoltre Tremonti – in un riferimento indiretto colto dalla platea al caso-Fiat di Melfi – afferma che "una certa quantità di diritti e regole è un lusso che non ci possiamo più permettere: il rischio è avere i diritti perfetti ma poi la fabbrica va da un’altra parte".

E il mondo economico appare sollevato dell’esito del vertice del Lago Maggiore, che sembra allontanare la prospettiva del voto. "Sono soddisfatta", dice Emma Marcegaglia appena concluso il suo intervento, alle 17 e lo stesso dirà un’ora dopo al ministro dell’Economia in un breve colloquio alla Fiera di Rimini. "La nostra posizione è molto chiara – ribadisce Marcegaglia – il governo deve governare e portare avanti il programma". Di più: "Se non vengono portate avanti le riforme – rimarca – sarebbe un tradimento della gente seria che nel nostro Paese vuol fare le cose". E avverte: "Alla politica chiediamo concretezza. Non ci interessano cognati, appartamenti e amanti, ma lavoro e occupazione. Compostezza del comportamento, nello stile e nel linguaggio", aveva attaccato nel suo intervento. Poi, nel pomeriggio le notizie più rassicuranti dal Lago Maggiore; gli industriali però hanno chiaro che la legislatura resta a rischio: "Ma non si può accettare di vivacchiare, si devono fare delle scelte: l’economia ha bisogno di crescere".

Ma se in mattinata Roberto Maroni era andato all’attacco dei "poteri forti" che avevano attaccato la classe dirigente, da Passera a Montezemolo ("la leggo come un’autocritica visto che anche loro sono classe dirigente"), ieri al Meeting, dal mondo economico sono arrivati solo incoraggiamenti al governo, come ribadito dal presidente delle Assicurazioni Generali Cesare Geronzi: "Il governo ha il dovere di andare avanti", dice Geronzi. Sulla stessa linea anche l’amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni: "L’Italia ha retto bene. Ora vada avanti".

Angelo Picariello

 

 

 

26 agosto 2010

FACCIA A FACCIA

Berlusconi convince Bossi:

si va avanti

"Umberto, capisci, non si possono buttare due anni di lavoro". Berlusconi guarda dritto negli occhi Bossi. E a bassa voce gli ripete che votare ora sarebbe un "errore imperdonabile". Non c’è tensione nella villa del Cavaliere sul lago Maggiore. Il premier parla, il gruppo di comando della Lega ascolta in silenzio. Duecento minuti più tardi Umberto Bossi lascia il vertice e tutto è meno confuso. "Si va avanti così ma senza l’Udc nella maggioranza", ripete il Senatur davanti a taccuini e telecamere.

È in quelle dieci parole (le uniche ufficiali) il senso della giornata politica. Eppure dietro i cancelli di villa Campari c’è un’altra novità che prende forza. C’è Berlusconi che ammette tutti i rischi legati a un voto anticipato senza Fini. Che spiega a Bossi che in tre regioni (Sicilia, Puglia, Campania) Fli potrebbe arrivare all’otto per cento e a quel punto addio maggioranza al Senato. Che torna a ripetere di non capire il muro contro Casini: "Umberto, l’Udc rimane all’opposizione, ma certamente ammetterai anche te che le loro posizioni non sono quelle di Bersani, di Di Pietro. C’è già una convergenza su alcuni temi molto significativi... Bisogna ragionare...". Bossi scuote la testa, Berlusconi allora lo incalza: "Se cade il governo chi si prende la responsabilità?". Per qualche istante c’è silenzio. Non parla nessuno. Non parla Ghedini, non parla Verdini e non parlano gli uomini del Carroccio. Poi Calderoli azzarda: "Con Fini parliamo noi".

Questa è la novità inattesa: sarà la Lega a mediare. A far ragionare Fini in vista del voto sul documento programmatico previsto alla riapertura delle Camere a settembre. Sarà Calderoli (o magari lo stesso Bossi) a sedersi davanti al presidente della Camera per capire se questa legislatura arriverà fino in fondo con il sostegno leale dei finiani. Insomma si va avanti. Nonostante l’avvertimento sussurrato da Maroni: "Credo ci sia in corso una operazione per far fuori Berlusconi". Nonostante i dubbi della Lega su un voto che loro avrebbero preferito già in autunno. Berlusconi però dice no e allora si va avanti. Senza l’Udc. Perchè l’Udc - per dirla con Cesa - non ha nessuna intenzione di far aggiungere un posto al tavolo della maggioranza. E perché anche Berlusconi capisce che è prematuro ipotizzare un ritorno dei centristi nell’area di governo. Oggi è, infatti, la stagione delle convergenze programmatiche, ripete il Cavaliere che poi confessa il suo obiettivo: abbiamo davanti tanti mesi per diluire le incomprensioni tra Lega e Udc e per immaginare una riedizione della Casa della Libertà.

È iniziato il percorso della verifica vera. E la palla è nelle mani della Lega. Si muoveranno per capire in tempi brevissimi (ora Berlusconi è deciso a votare il documento programmatico prima possibile) la posizione di Fini e dei suoi sui temi dell’attualità politica: la giustizia e il federalismo su tutti. È una svolta e a fine giornata il premier, di nuovo a villa san Martino ad Arcore, sembra sereno. "Ha prevalso la ragionevolezza: Umberto ha capito, ora aspetto Fini. Perché è ancora possibile chiudere la legislatura con nuovi risultati". E una conferma del nuovo clima si agita, a tarda sera, dietro le parole di Calderoli: "È stato un agosto allucinante sotto l’aspetto del dibattito politico... Pensare che tutta la vita del presidente della Camera ruoti attorno a Montecarlo credo sia un brutto modo di fare politica". È un primo segnale, ma la missione della Lega è già partita.

Arturo Celletti

 

 

 

26 agosto 2010

UNA NUOVA FASE IN QUESTA LEGISLATURA

L'ora delle priorità

e della responsabilità

L'incontro tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi ha prodotto la decisione di andare avanti con il governo, per verificare se, pur nelle angustie determinate dalle rotture all’interno del Popolo della libertà, sia possibile realizzare i punti del programma ridefiniti recentemente. Si tratta di una scelta pressoché obbligata, perché il mandato elettorale, al quale Bossi e Berlusconi si appellano costantemente, non conferisce solo il diritto, ma anche il dovere di governare, almeno finché ne sussistono le condizioni. Il punto politico principale ora diventa la capacità del centrodestra di assicurarsi un sostegno parlamentare sufficiente, il che implica un atteggiamento di apertura e di dialogo che superi le pretese (rivelatisi spesso illusorie) di autosufficienza del passato.

Non si tratta in tutta evidenza di allargare qui e ora la compagine di governo a forze come l’Udc di Casini o l’Api di Rutelli – che peraltro non lo hanno mai chiesto e hanno anzi ricordato sempre il ruolo di opposizione loro assegnato dagli elettori – ma di cercare consenso o neutralità su singoli provvedimenti in quell’area dell’opposizione. L’Unione di centro e l’Alleanza per l’Italia considerano, infatti, prioritario l’interesse del Paese e non la "cacciata di Berlusconi", come dicono invece Antonio Di Pietro e Pierluigi Bersani. E la situazione del Paese, come aveva sottolineato il presidente della Repubblica, sarebbe messa a rischio da un vuoto di potere mentre continuano crisi economica e turbolenze dei mercati internazionali e ci sono da affrontare temi urgenti, compresa una ridefinizione delle relazioni industriali che eviti l’incancrenirsi di situazioni di muro contro muro come quella che si sta verificando alla Fiat di Melfi.

Nei temi programmatici che saranno sottoposti alla verifica parlamentare c’è materia per cercare nuove convergenze. Il carattere concreto del federalismo, che Roberto Calderoli ha assicurato avrà caratteri coesivi e lo scopo di evitare inaccetabili processi di disgregazione, può essere articolato in modo da superare le diffidenze, non infondate, di chi ancora ne teme una deriva antiunitaria. La riforma fiscale, che ovviamente dovrà essere calibrata con intelligenza e tempismo, può aprire finalmente uno spazio per la ridefinizione del carico fiscale basato sulla famiglia e non sul solo reddito individuale. Queste due tematiche, il federalismo solidale e la promozione della famiglia, sarebbero un’attuazione di punti programmatici presentati agli elettori, non un cedimento a diktat interni o a richieste esterne alla maggioranza, ma una sottolineatura di aspetti sui quali si può ottenere un consenso più ampio.

Certe insistenze, soprattutto della Lega ma anche di settori mediatici berlusconiani, che puntavano a elezioni immediate e quasi "punitive", sembra siano state superate, almeno per ora, dalla consapevolezza della responsabilità che grava su chi ha il compito di governare. Si tratterà ora di vedere se le assicurazioni di lealtà al governo dei seguaci di Gianfranco Fini, che considerano una loro vittoria la rinuncia al ricorso immediato alle urne, si concretizzeranno in un comportamento parlamentare conseguente, oppure se si tradurranno in una sorta di guerriglia che renderebbe accidentato fino alla paralisi il percorso della legislatura.

I due leader del centrodestra hanno lasciato aperta la prospettiva della governabilità, anche se forse un po’ a malincuore. Ma non dipende solo da loro se questo stretto sentiero si potrà davvero percorrere.

Sergio Soave

 

 

26 Agosto 2010

BERGAMO

Tessera del tifoso, assalto

degli ultrà contro Maroni

Erano circa 500, nei dintorni della 'Berghem fest' di Alzano lombardo, nel Bergamasco, per dire 'no' alla tessera del tifoso, voluta dal ministro dell'Interno Roberto Maroni che alla kermesse leghista parlava con i colleghi Roberto Calderoli e Giulio Tremonti. E gli ultrà dell'Atalanta, che ha una tifoseria notoriamente

calda, questo 'no' l'hanno detto nel peggiore dei modi: tafferugli, agenti feriti da lancio di oggetti, auto date alle fiamme.

Dal palco su cui stavano parlando il ministro si è avuta la percezione di quanto stava succedendo, quando si sono sentiti gli slogan e lo scoppio dei petardi: "Questi non sono i tifosi, io con i violenti non parlo - ha detto il titolare del Viminale-. Parlo con i tifosi veri". Ha rincarato la dose il ministro della Semplificaziione Calderoli, che pure è bergamasco e atalantino: "Quando sento fuochi d'artificio o peti dietro provo fastidio. Sono atalantino e ho passione per gli ultras, per il loro entusiasmo, ma non posso accettare che l'immagine di Bergamo sia svenduta da 200 imbecilli che prima dell'inizio della partita vanno ad attaccare la polizia e i tifosi esterni".

E la Polizia proprio in quegli istanti era attaccata, nelle strade vicine all'area della festa, solo che gli "imbecilli" erano più del doppio e si erano dati appuntamento in paese. È successo che verso le 22, infatti, circa 500 tifosi si sono presentati nei pressi dei cancelli per manifestare contro la tessera del tifoso. Una mezz'ora più tardi, una settantina di ultrà sono riusciti ad aggirare il servizio d'ordine e sono arrivati fino al retro del palco, da dove hanno lanciato i petardi e i fumogeni.

Nel frattempo, gli agenti sono riusciti a tenere il grosso del gruppo lontano dalla festa. A prezzo, però, di tafferugli, in cui un paio di agenti sono rimasti feriti dal lancio di oggetti, fortunatamente in modo non grave, mentre gli ultras hanno dato alle fiamme un'auto dei carabinieri, una della polizia locale e altre tre automobili. Alcuni dei responsabili dei tafferugli, almeno cinque, sono stati subito identificati dalle forze dell'ordine, fermati e portati in questura.

IL QUESTORE: "ASSALTO ALLA POLIZIA"

"Non ci sono stati scontri di piazza, sia ben chiaro, ma un attacco dei tifosi alle forze dell'ordine": così il questore di Bergamo, Matteo Turillo, ha commentato gli incidenti di ieri sera a Alzano Lombardo, dove i tifosi dell'Atalanta hanno tentato di interrompere un comizio con il ministro dell'Interno, Roberto

Maroni, per protestare contro la tessera del tifoso. Il questore ha spiegato che l'attacco è stato fatto perchè gli agenti cercavano di "impedire loro l'accesso alla struttura, dove si trovavano anche donne e bambini". "Tutto è stato talmente blindato - ha aggiunto - che non sono arrivati". Hanno comunque tirato bombe carta, fumogeni e incendiate alcune auto. Il questore ha spiegato che non ci sono feriti tra i civili, ma è rimasto ferito un agente della Digos da una bomba carta. Turillo non ha confermato che al momento ci siano dei fermi. "Io - ha sottolineato - do solo notizie certe. Noi stiamo operando".

 

 

 

 

2010-08-25

25 agosto 2010

IL GIORNO DEL VERTICE

"Non è tempo di urne

Bossi lo dovrà capire"

A metà pomeriggio Roberto Calderoli esce a passi svelti da via Bellerio, la roccaforte milanese del Carroccio, saluta i giornalisti e sfreccia via in auto. Dentro il quartier generale della Lega a Milano, Umberto Bossi ha appena finito di ripetere la linea: voto subito e stop ai tentativi di dialogo del premier con l’Udc. Alla stessa ora Silvio Berlusconi passa da una telefonata all’altra e, con la testa al vertice di oggi con il gruppo di comando della Lega (ci sarà anche Tremonti) a villa Campari, la residenza del Cavaliere sul lago Maggiore, mette a punto l’offensiva: "Non è questo il momento di votare. C’è un governo che ha fatto, che può ancora fare e interrompere la legislatura sarebbe un errore imperdonabile... Bossi non la pensa così? Bossi dovrà capire".

È la vigilia di un vertice complicato e forse decisivo. Ci sarà il ministro degli Interni, Roberto Maroni e anche il governatore del Piemonte, Roberto Cota, che proprio ieri è tornato ad attaccare l’Udc rea di "mettere i bastoni tra le ruote". Lo ha fatto, accusa, nell’esperienza di governo dal 2001 al 2006, lo ha fatto contrastandolo alle Regionali e non votando il federalismo. "La nostra gente non capirebbe", taglia corto Cota. Ecco la linea: bloccare i tentativi del premier di riavvicinare i centristi al governo in previsione di un uscita definitiva dei finiani. Anche se Adolfo Urso ha smentito l’intenzione di fra nascere un partito. La Lega usa i toni duri. Ma l’Udc replica senza fare sconti. "Basta fango, Bossi prendeva tangenti", tuona Rocco Buttiglione. Poi è Lorenzo Cesa, il segretario dell’Udc, a spiegare che "è fin troppo chiaro che la crisi della maggioranza, da noi ampiamente prevista, è un problema tutto interno alla maggioranza stessa".

La tensione è alta e il lavoro diplomatico del premier complicatissimo. Ci prova il vicepresidente della Camera, Maurizio Lupi, che invita la Lega a non chiudere al dialogo con un’"opposizione costruttiva". Ma la Padania, il quotidiano della Lega, mette in fila le foto di otto esponenti dell’Udc, da Casini a Cesa, fino a De Mita e a Carra, e le accompagna con un interrogativo: "Comprereste un’auto usata da uno di loro?". In un riquadro c’è poi una "lettera aperta" con la scritta: "Non vogliamo Casini. Firmato: i padani". La polemica corre sul filo del Nord. In Lombardia tra il leghista Andrea Gibelli ("nessun dialogo è possibile") e Savino Pezzotta ("si dia una calmata, non abbiamo mai chiesto nulla"). E in Veneto, che sembra trasformarsi in un film di guardie e ladri. Con il centrista Antonio De Poli che attacca prendendo a prestito la famosa battuta di De Niro-Al Capone ne Gli Intoccabili: Bossi è "solo chiacchere e distintivo". E ne riceve una risposta da Chicago Anni Trenta da Giampaolo Vallardi: "In Veneto la Lega è il primo partito. Al Capone-De Poli se lo chiede il perché?".

Gianni Santamaria

 

 

 

 

25 agosto 2010

RIMINI

Al Meeting la difesa della vita

e l'Africa della speranza

La sentenza della Corte federale statunitense che lunedì ha bloccato i finanziamenti pubblici alla ricerca sulle cellule staminali embrionali "è la novità più radicale di questi ultimi anni su questo delicato tema". Carter Snead, esperto della consulta bioetica dell’amministrazione Bush, e docente di diritto alla Notre Dame University, abbandona per un’istante il discorso scritto per il Meeting, per commentare la novità che arriva dagli Usa. Si parla di tutela della vita, e il professor Snead descrive la svolta che "tragicamente" si è registrata, con Obama, sulla prevenzione dell’aborto (in particolare sull’obiezione di coscienza) e sui finanziamenti alla ricerca sulle staminali embrionali, "sostenuta fra l’altro da una campagna comunicativa che profila come alla portata obiettivi scientifici invece del tutto illusori". Ma ora, con questa sentenza, "Obama - si dice sicuro - ha le mani legate, può solo sperare in un ribaltamento interpretativo dalla Corte Suprema di Appello, o promuovere una nuova legge del Congresso, ma con i numeri che si profilano per il voto di novembre anche quella soluzione sarà difficile".

E dunque dagli Usa arriva un segnale inatteso, in controtendenza, a quell’idea che si va affermando nella biologia moderna "di spiegare l’origine della vita in termini meccanici o chimici", come la definisce John Milbank, docente di religione politica ed etica alla Notthingham University. Spiegazioni che pretenderebbero di tenere fuori la fede, "mentre è più realistico immaginare un’origine trascendente della vita, come la Bibbia ci insegna". Solo così, spiega Milbank, "l’essere umano ha la possibilità di dilatarsi, attraverso la dimensione del cuore", dice in chiaro riferimento al tema del Meeting di quest’anno. ""Perché, abbandonando l’umanesimo cristiano si perde l’idea stessa della vita, per andare verso la nullità, verso la ricerca del piacere corporale, e la ricerca assoluta del libero arbitrio".

Qualcosa di simile è avvenuto in Italia sul caso di Eluana Englaro, sottolinea il professor Andrea Simoncini, docente di diritto costituzionale a Firenze, nella duplice veste di moderatore e relatore ("per effetto della crisi economica", ironizza sul doppio ingaggio). "Quello è stato un bivio fondamentale, in grado di segnare un’epoca, un caso del quale ci siamo già dimenticati", rimarca Simoncini. "Ha affermato un principio per cui la vera libertà è libertà dal bisogno, è capacità di intendere e di volere. Come se a un bambino, che palesemente non ha tale capacità, fosse possibile negare l’alimentazione". La soluzione, per Simoncini, quando una persona non è più in grado di provvedere a sé stessa dovrebbe essere allora la nomina di un tutore, "e questo sono state per 14 anni le suore di Lecco, per lei". Mentre, è sempre il giurista che parla, "la pena di morte non può essere inflitta in Italia da nessun tribunale, nemmeno più da quello militare".

Angelo Picariello

 

 

 

25 agosto 2010

L'ILLEGALITA' CHE CRESCE

Sempre più debiti, l'usura soffoca il sud

Il mercato dell’usura non conosce crisi e continua a fare proseliti, soprattutto al Sud. A farne le spese sono soprattutto le famiglie meridionali con alle spalle una piccola attività economica, sempre più indebitate e ormai facile bersaglio per chi propone prestiti a tassi altissimi. Il quadro di degrado e illegalità emerge dai dati diffusi dalla Consulta nazionale antiusura, secondo cui sono circa 2,5 milioni le famiglie a rischio in tutta Italia: l’indebitamento medio ha superato quota 16mila euro, con un aumento di 863 euro nel 2009 rispetto al 2008. Non solo: nel 2010, stando alla fotografia scattata ieri da Contribuenti.it, l’associazione dei contribuenti italiani, il sovraindebitamento delle famiglie nel Mezzogiorno è cresciuto del 156% rispetto a un anno fa, mentre il ricorso all’usura è salito del 117%.

In particolare, nelle regioni meridionali, Campania in testa, "sono a rischio usura 681mila famiglie e 716mila piccoli imprenditori – ha spiegato il presidente di Contribuenti.it, Vittorio Carlomagno –. Il debito medio delle famiglie ha raggiunto la cifra di 31.200 euro, mentre quello dei piccoli imprenditori è a 49.300 euro".

Ma come si entra nel vorticoso giro di ricatti e minacce che, con inquietante facilità, sconvolge per sempre la vita di centinaia di migliaia di persone? Per il sociologo Maurizio Fiasco, attento osservatore del fenomeno, "il dramma nasce quando il patrimonio della famiglia finisce per coincidere col patrimonio dell’impresa familiare". Una sovrapposizione che, in periodi di congiuntura economica negativa, porta con sé conseguenze pesantissime: il bilancio in passivo dell’esercizio commerciale o della bottega artigianale di cui si è titolari si scarica sulle finanze familiari. Debiti su debiti, insomma, cui neppure la richiesta di finanziamenti alle banche riesce a far fronte, se si pensa che al Sud l’importo medio annuo di un fido accordato ad aziende individuali è di soli 12mila euro, contro i 60-70mila concessi a un’impresa del Centro e Nord Italia. "Attenzione – aggiunge Fiasco, che a fine anno presenterà un rapporto ad hoc sulla materia –. Il modello di illegalità si sta lentamente replicando al Nord, soprattutto nei distretti industriali. Da Treviso a Sassuolo, fino a Prato, laddove le imprese finiscono per delocalizzare, i primi soggetti a farne le spese sono proprio le ditte familiari. Che pagano dazio e devono chiudere".

Il punto è che, mentre il titolare di un’azienda economica può denunciare il suo strozzino e accedere ai benefici del fondo nazionale, non altrettanto è riconosciuto al capofamiglia che compie un passo analogo. "È un’evidente disparità che numerosi costituzionalisti hanno rappresentato in un elaborato scritto inviato alle Camere e, a tutt’oggi, rimasto senza alcuna risposta" denuncia monsignor Alberto D’Urso, segretario nazionale della Consulta, che invece plaude al recente provvedimento che impone la sospensione delle rate del mutuo casa per quelle famiglie che sono incorse in gravi difficoltà economiche.

L’altro dramma nascosto, colpevolmente passato sotto silenzio, riguarda il mondo delle scommesse, che da sempre illude e ipnotizza milioni di famiglie. Dal Superenalotto ai giochi sportivi, sono sempre di più "le famiglie monoreddito costrette a richiedere prestiti" spiega l’associazione contribuenti.it. Ancora più dura la Consulta antiusura, che parla di messaggio devastante. "Lo sperpero di denaro pubblico – spiega monsignor D’Urso – smentisce il significato etico dell’impegno degli investigatori antiusura" che pure è cresciuto negli ultimi mesi, come testimonia l’attività di contrasto avviata dalla Guardia di Finanza, con perquisizioni e indagini in aumento in tutta Italia.

Diego Motta

 

 

 

2010-08-24

24 agosto 2010

IL PIANO SEGRETO

Sul quoziente familiare

il premier "tenta" Casini

"Bossi è così. Usa quei toni nelle sue valli, davanti alla sua gente... Gli serve urlare contro l’Udc ma, se vuole la verità, quest’anno mi è sembrato addirittura più spento del solito". Maurizio Gasparri sorride e va avanti con un solo obiettivo: rassicurare i centristi. Spiegare a Casini che non c’è e non ci sarà un veto della Lega. "Gli uomini del Carroccio non mangiano i bambini. Forse sono un po’ rozzi, forse usano toni sbagliati; ma sui temi che contano sono seri, leali, affidabili. Guardiamo i fatti, riflettiamo sulle scelte della Lega sui temi etici, sulla famiglia... C’è una convergenza anche con l’Udc che deve far pensare". Il capogruppo parla però dando l’impressione di non fare i conti con il veto di Bossi. È stato il Senatur a dire "con Casini mai". È stato lui a ventilare le dimissioni di Giulio Tremonti (e dal ministro non sono arrivate smentite) qualora la maggioranza avesse aperto le porte a Casini. Gasparri sospira e invita ad attendere facendo capire che qualcosa di rilevante succederà. "Berlusconi, nelle prossime ore, parlerà con la Lega. E quando arriverà il momento delle scelte la Lega sarà attenta a quello che dice Berlusconi".

È volutamente enigmatico Gasparri. Ma tutto è vero: c’è un appuntamento già fissato, e c’è una trattativa segretissima che va avanti lontano dai taccuini e dalle telecamere. Berlusconi vedrà Bossi domani e gli farà un discorso franco. Gli spiegherà che ha parlato con Casini. Che sul federalismo l’Udc è pronta a ragionare. E che è ora di smetterla con i veti e gli ultimatum. Gli ricorderà che i centristi sono alleati nel Ppe. Poi sarà pragmatico: "Al Senato senza Fini rischiamo... È ora di salvare la legislatura, di salvare le riforme, di costruire le condizione per un ritorno a casa di Pier". Questa è solo la prima parte della trattativa. Berlusconi spiegherà sia a Bossi che a Tremonti che la mano tesa verso i centristi deve essere sostenuta con i fatti, con le scelte. E se Casini chiede il quoziente familiare, Tremonti – ripete il Cavaliere – "dovrà superare le sue vecchie rigidità e trovare le risorse necessarie. Perché è una scelta in cui credo e perché è su questo tema ristabiliamo i contatti con l’Udc".

È partito il pressing su Bossi. Osvaldo Napoli, in vacanza a Miami, avverte: "Basta veti, la politica non è blocco, non è chiusura. L’Udc è nel Ppe al fianco del Pdl e la Lega non può alzare i ponti". Anche Altero Matteoli, il potente ministro alle Infrastrutture, apre le porte del governo e della maggioranza ai centristi: "Sarebbe un ritorno a casa... Non sarebbe un’alleanza spuria, ma una ricomposizione". È un coro. Ma è ancora una volta Gasparri a mettere in fila i pro e i contro di un nuovo patto Pdl-Udc. È lui a spiegare che per Casini c’è una sola strada: riavvicinarsi al Pdl. "Che fa un terzo polo con Fini dopo quello che ha combinato e ha detto Fini sui temi cari al mondo cattolico?". Gasparri va avanti e boccia anche l’ipotesi di un patto con Bersani. "Lo spazio che ci poteva essere qualche mese fa non c’è più. Se il Pd dicesse "ecco c’è Casini" immediatamente Vendola e l’Idv sferrerebbero l’attacco. E gli porterebbero via un mare di voti". C’è solo una strada. Che conviene alla Lega che troverebbe un nuovo interlocutore sul federalismo. E a Casini che – ripete sottovoce il presidente dei senatori del Pdl – "rientrerebbe nel Pdl da protagonista assoluto. Sì con noi lui giocherebbe la Champion league, potrebbe aspirare a qualsiasi ruolo, potrebbe...". Gasparri si ferma. Poi avverte. "Non andiamo avanti, altrimenti la Lega...".

Questa è solo una battuta ma la fase della competizione è cominciata. Isabella Bertolini, una vita sul territorio, avverte il Cavaliere: "In Toscana la Lega ha preso quattro consiglieri regionali senza avere un partito. Attento Silvio che se si vota oggi, la Lega fa il pieno anche nelle regioni rosse. Hanno governatori che tirano, amministratori capaci...". E poi c’è il patto con Tremonti. Chi conosce Berlusconi racconta di una crescente diffidenza del premier verso il suo ministro dell’Economia. Chi partecipa ai vertici che contano confida un retroscena che fa capire. "Giulio ti sei già messo la camicia verde?". Nei prossimi giorni sarà tutto meno confuso. Si capirà l’effetto dell’offensiva del premier su Bossi. E si capirà se l’ottimismo di Gasparri troverà un fondamento nelle cose. "Con l’Udc siamo destinati ad incontrarci. In alcune regioni abbiamo vinto insieme e insieme governiamo anche diverse città del Centro-Sud. Credo che non si debba avere fretta in certe cose. Contano i contenuti. La Lega teme un freno su alcune riforme. Se ci fosse la possibilità di rendere compatibili gli obiettivi politici, il disegno andrebbe assolutamente perseguito". Parole chiare. Quasi una conferma a quella trattativa segreta su federalismo e quoziente familiare. Ma Bossi insiste. "L’unica possibilità sono le urne. E tutti questi qua – dice con chiaro riferimento a Casini e a Fini – li polverizzeremo...". E ancora: "Non si può andare avanti così, non si può per ogni cosa che si fa pagare un dazio troppo alto". Parole chiare che rendono più complicata la "mission" del Cavaliere e più teso l’oramai vicino "faccia a faccia".

Arturo Celletti

 

 

 

24 agosto 2010

ECUMENISMO

Erdö: "Cristiani divisi?

Provo un dolore fisico"

L’idea di farli avvicinare era stata di Charlie, il responsabile del servizio d’ordine del Meeting, pressato dai fotografi in cerca dello scatto "storico". Imprevisto o meno, l’abbraccio tra il cardinale Peter Erdö – presidente del Ccee, il Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa – e il metropolita Filaret c’è stato e ha scatenato una cascata di applausi nell’aula più grande della fiera, gremita dai visitatori del Meeting. Poco prima, il primate d’Ungheria aveva detto che "le questioni dogmatiche che ancora dividono cattolici e ortodossi sono talmente poche che provoca dolore il fatto che non ci sia ancora una piena comunione". E l’esarca patriarcale di tutta la Bielorussia, di rimando, ha dichiarato ai giornalisti che "il 2011 per un incontro tra il Papa e il patriarca Kirill è una data davvero molto vicina, ma ostacoli di principio io non ne vedo".

Se è vero che, per stare al titolo del Meeting, il cuore fa desiderare grandi cose, ieri il desiderio più grande si è materializzato nell’amicizia di due uomini dell’Est, uniti nelle fede e divisi dalle chiese. Divisioni che per l’arcivescovo di Budapest sono solo o soprattutto dogmatiche - "sui temi pastorali, ad esempio sulla vita e sulla famiglia abbiamo le stesse posizioni" - e anche sotto questo profilo ("che compete alla Santa Sede" ha precisato il cardinale) il dialogo interconfessionale è ad un passo dal concludersi, al punto che la sua incompiutezza provoca, appunto, "dolore". Conferma Filaret, metropolita di Minsk e Sluzk: "Siamo ormai da tempo in dialogo e a volte in questo percorso ci sono momenti di slancio a volte una caduta di tensione" ma ora Roma e Mosca "si stanno parlando del futuro della chiesa e dio voglia che quest’atmosfera continui".

Erdö e Filaret si sono confrontati per un’ora sulla fede in Europa, partendo dalla domanda di Dostoevskij: "Un uomo colto, un europeo dei nostri giorni, può credere, credere proprio alla divinità del figlio di Dio, Gesù Cristo?". Filaret ha insistito sul tema del cuore come "campo di battaglia tra il diavolo e Dio" e individuando questa lotta perenne anche "nei processi di sviluppo dei sistemi democratici in Europa e nel mondo", mentre Erdö ha esaminato la figura dell’intellettuale europeo, il quale non può prescindere dall’eredità cristiana nella sua ricerca di risposte. Linguaggi che sembrano far dimenticare gli errori del passato quando, ha commentato Filaret, "parlava sottovoce delle proprie falsità", sottacendo "contraddizioni che gridano al cielo".

Paolo Viana

 

 

 

 

 

23 agosto 2010

RIMINI

Il ministro Sacconi al Meeting:

l'agenda etica presto in Parlamento

"Presenterò al Parlamento l’agenda etica che abbiamo predisposto e sono convinto che su di essa si potrà registrare una maggioranza più ampia di quella del governo": Maurizio Sacconi rilancia da Rimini le priorità su inizio e fine vita, ricerca e disabilità, e si dice convinto che esse troveranno spazio dell’agenda dell’esecutivo "per i prossimi tre anni" (dice, fiducioso sulla tenuta della legislatura), che possono anzi, essere un terreno fertile per aprire a una maggioranza più ampia, "checché ne dica Della Vedova", aggiunge, riferendosi alle fughe in avanti del deputato finiano su coppie di fatto e Legge 40, il quale poi, a dire il vero, aveva chiarito di parlare a titolo personale.

Il ministro del Welfare interviene all’incontro del Meeting dedicato all’esperienza del dono. Ma non è il suo, un modo per parlare d’altro. Anzi. Le proposte di "biopolitica" fanno parte integrante di quell’"antropologia positiva" di cui Sacconi parla come concezione integralmente "etica" della politica. Perché con la crisi cambia tutto, è finita anche, ad esempio, l’idea di "impunità del debito sovrano", dice ancora il ministro, alludendo alla vecchia illusione che "tanto paga Pantalone". Ne discende, prosegue il ragionamento del ministro, anche una nuova concezione del bene comune, che, "come voi mi insegnate non dipende dallo Stato, ma dal cuore della persona".

Un’"antropologia positiva", insiste, che richiede anche "posizioni inequivoche sul valore della vita", ma che è alla base anche della doppia direttrice del federalismo e del nuovo Welfare, in chiave di sussidiarietà, come si dice, verticale (decentramento), e orizzontale, intesa come più spazio alla persona, alla famiglia, all’associazionismo. Perché, ricorda Sacconi, "il concetto di gratuità, la cultura del dono, non possono più essere confinati nella sfera privata, ma hanno che vedere direttamente con la democrazia, con la concezione stessa della politica".

Un concetto su cui si era soffermato, prima di lui, anche il pro-rettore dell’Università Cattolica Luigi Campiglio: "Il dono - ha detto - non può essere associato solo al concetto di pietà, ma significa anche solidarietà, in definitiva comunità", senza la quale una nazione non tiene. Campiglio ha molto fatto riferimento all’esperienza americana, nella quale "si stima che oltre il 2 per cento del Pil sia reinvestito in gratuità, nonostante la crisi". Anzi, proprio l’enorme allargamento dell’area del bisogno apre ora spazi nuovi alla generosità intesa non più come slancio individuale, ma come autonoma risposta, strutturata nell’ambito della società, da parte di chi ha di più, a vantaggio di chi non ha nemmeno il necessario per vivere o per far fronte a uno stato di disagio. Per cui il dono si conferma, ricorda Campiglio, come un "elemento costitutivo della società americana", e ricorda l’esperienza recente di 40 miliardari americani che si sono messi insieme per devolvere a cause benefiche una considerevole parte del loro patrimonio. Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione per il Sud, si è invece soffermato nel suo appassionato e molto applaudito intervento, su una serie di iniziative dell’associazionismo nel Mezzogiorno, che ha potuto conoscere nel suo nuovo incarico (dall’orchestra sinfonica degli scugnizzi del Rione Sanità di Napoli, alle iniziative contro la dispersione scolastica "che strappano ad uno ad uno i giovani alla criminalità"), "e che andrebbero conosciute di più, per vincere i tanti stereotipi sul Sud senza speranza", auspica Borgomeo. Fra i temi rilanciati da Sacconi anche il 5 per mille, come strumento di sostegno all’associazionismo da utilizzare però correttamente. Una misura apprezzata anche da Carlo Costalli, presidente dell’Mcl.

Angelo Picariello

 

 

24 agosto 2010

IL PIANO SEGRETO

Sul quoziente familiare

il premier "tenta" Casini

"Bossi è così. Usa quei toni nelle sue valli, davanti alla sua gente... Gli serve urlare contro l’Udc ma, se vuole la verità, quest’anno mi è sembrato addirittura più spento del solito". Maurizio Gasparri sorride e va avanti con un solo obiettivo: rassicurare i centristi. Spiegare a Casini che non c’è e non ci sarà un veto della Lega. "Gli uomini del Carroccio non mangiano i bambini. Forse sono un po’ rozzi, forse usano toni sbagliati; ma sui temi che contano sono seri, leali, affidabili. Guardiamo i fatti, riflettiamo sulle scelte della Lega sui temi etici, sulla famiglia... C’è una convergenza anche con l’Udc che deve far pensare". Il capogruppo parla però dando l’impressione di non fare i conti con il veto di Bossi. È stato il Senatur a dire "con Casini mai". È stato lui a ventilare le dimissioni di Giulio Tremonti (e dal ministro non sono arrivate smentite) qualora la maggioranza avesse aperto le porte a Casini. Gasparri sospira e invita ad attendere facendo capire che qualcosa di rilevante succederà. "Berlusconi, nelle prossime ore, parlerà con la Lega. E quando arriverà il momento delle scelte la Lega sarà attenta a quello che dice Berlusconi".

È volutamente enigmatico Gasparri. Ma tutto è vero: c’è un appuntamento già fissato, e c’è una trattativa segretissima che va avanti lontano dai taccuini e dalle telecamere. Berlusconi vedrà Bossi domani e gli farà un discorso franco. Gli spiegherà che ha parlato con Casini. Che sul federalismo l’Udc è pronta a ragionare. E che è ora di smetterla con i veti e gli ultimatum. Gli ricorderà che i centristi sono alleati nel Ppe. Poi sarà pragmatico: "Al Senato senza Fini rischiamo... È ora di salvare la legislatura, di salvare le riforme, di costruire le condizione per un ritorno a casa di Pier". Questa è solo la prima parte della trattativa. Berlusconi spiegherà sia a Bossi che a Tremonti che la mano tesa verso i centristi deve essere sostenuta con i fatti, con le scelte. E se Casini chiede il quoziente familiare, Tremonti – ripete il Cavaliere – "dovrà superare le sue vecchie rigidità e trovare le risorse necessarie. Perché è una scelta in cui credo e perché è su questo tema ristabiliamo i contatti con l’Udc".

È partito il pressing su Bossi. Osvaldo Napoli, in vacanza a Miami, avverte: "Basta veti, la politica non è blocco, non è chiusura. L’Udc è nel Ppe al fianco del Pdl e la Lega non può alzare i ponti". Anche Altero Matteoli, il potente ministro alle Infrastrutture, apre le porte del governo e della maggioranza ai centristi: "Sarebbe un ritorno a casa... Non sarebbe un’alleanza spuria, ma una ricomposizione". È un coro. Ma è ancora una volta Gasparri a mettere in fila i pro e i contro di un nuovo patto Pdl-Udc. È lui a spiegare che per Casini c’è una sola strada: riavvicinarsi al Pdl. "Che fa un terzo polo con Fini dopo quello che ha combinato e ha detto Fini sui temi cari al mondo cattolico?". Gasparri va avanti e boccia anche l’ipotesi di un patto con Bersani. "Lo spazio che ci poteva essere qualche mese fa non c’è più. Se il Pd dicesse "ecco c’è Casini" immediatamente Vendola e l’Idv sferrerebbero l’attacco. E gli porterebbero via un mare di voti". C’è solo una strada. Che conviene alla Lega che troverebbe un nuovo interlocutore sul federalismo. E a Casini che – ripete sottovoce il presidente dei senatori del Pdl – "rientrerebbe nel Pdl da protagonista assoluto. Sì con noi lui giocherebbe la Champion league, potrebbe aspirare a qualsiasi ruolo, potrebbe...". Gasparri si ferma. Poi avverte. "Non andiamo avanti, altrimenti la Lega...".

Questa è solo una battuta ma la fase della competizione è cominciata. Isabella Bertolini, una vita sul territorio, avverte il Cavaliere: "In Toscana la Lega ha preso quattro consiglieri regionali senza avere un partito. Attento Silvio che se si vota oggi, la Lega fa il pieno anche nelle regioni rosse. Hanno governatori che tirano, amministratori capaci...". E poi c’è il patto con Tremonti. Chi conosce Berlusconi racconta di una crescente diffidenza del premier verso il suo ministro dell’Economia. Chi partecipa ai vertici che contano confida un retroscena che fa capire. "Giulio ti sei già messo la camicia verde?". Nei prossimi giorni sarà tutto meno confuso. Si capirà l’effetto dell’offensiva del premier su Bossi. E si capirà se l’ottimismo di Gasparri troverà un fondamento nelle cose. "Con l’Udc siamo destinati ad incontrarci. In alcune regioni abbiamo vinto insieme e insieme governiamo anche diverse città del Centro-Sud. Credo che non si debba avere fretta in certe cose. Contano i contenuti. La Lega teme un freno su alcune riforme. Se ci fosse la possibilità di rendere compatibili gli obiettivi politici, il disegno andrebbe assolutamente perseguito". Parole chiare. Quasi una conferma a quella trattativa segreta su federalismo e quoziente familiare. Ma Bossi insiste. "L’unica possibilità sono le urne. E tutti questi qua – dice con chiaro riferimento a Casini e a Fini – li polverizzeremo...". E ancora: "Non si può andare avanti così, non si può per ogni cosa che si fa pagare un dazio troppo alto". Parole chiare che rendono più complicata la "mission" del Cavaliere e più teso l’oramai vicino "faccia a faccia".

Arturo Celletti

 

 

 

24 agosto 2010

ECUMENISMO

Erdö: "Cristiani divisi?

Provo un dolore fisico"

L’idea di farli avvicinare era stata di Charlie, il responsabile del servizio d’ordine del Meeting, pressato dai fotografi in cerca dello scatto "storico". Imprevisto o meno, l’abbraccio tra il cardinale Peter Erdö – presidente del Ccee, il Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa – e il metropolita Filaret c’è stato e ha scatenato una cascata di applausi nell’aula più grande della fiera, gremita dai visitatori del Meeting. Poco prima, il primate d’Ungheria aveva detto che "le questioni dogmatiche che ancora dividono cattolici e ortodossi sono talmente poche che provoca dolore il fatto che non ci sia ancora una piena comunione". E l’esarca patriarcale di tutta la Bielorussia, di rimando, ha dichiarato ai giornalisti che "il 2011 per un incontro tra il Papa e il patriarca Kirill è una data davvero molto vicina, ma ostacoli di principio io non ne vedo".

Se è vero che, per stare al titolo del Meeting, il cuore fa desiderare grandi cose, ieri il desiderio più grande si è materializzato nell’amicizia di due uomini dell’Est, uniti nelle fede e divisi dalle chiese. Divisioni che per l’arcivescovo di Budapest sono solo o soprattutto dogmatiche - "sui temi pastorali, ad esempio sulla vita e sulla famiglia abbiamo le stesse posizioni" - e anche sotto questo profilo ("che compete alla Santa Sede" ha precisato il cardinale) il dialogo interconfessionale è ad un passo dal concludersi, al punto che la sua incompiutezza provoca, appunto, "dolore". Conferma Filaret, metropolita di Minsk e Sluzk: "Siamo ormai da tempo in dialogo e a volte in questo percorso ci sono momenti di slancio a volte una caduta di tensione" ma ora Roma e Mosca "si stanno parlando del futuro della chiesa e dio voglia che quest’atmosfera continui".

Erdö e Filaret si sono confrontati per un’ora sulla fede in Europa, partendo dalla domanda di Dostoevskij: "Un uomo colto, un europeo dei nostri giorni, può credere, credere proprio alla divinità del figlio di Dio, Gesù Cristo?". Filaret ha insistito sul tema del cuore come "campo di battaglia tra il diavolo e Dio" e individuando questa lotta perenne anche "nei processi di sviluppo dei sistemi democratici in Europa e nel mondo", mentre Erdö ha esaminato la figura dell’intellettuale europeo, il quale non può prescindere dall’eredità cristiana nella sua ricerca di risposte. Linguaggi che sembrano far dimenticare gli errori del passato quando, ha commentato Filaret, "parlava sottovoce delle proprie falsità", sottacendo "contraddizioni che gridano al cielo".

Paolo Viana

 

 

 

 

2010-08-23

23 agosto 2010

COALIZIONE E VERIFICA

Berlusconi mobilita il Pdl

"Tenersi pronti anche al voto"

Non ha messaggi diretti da inoltrare a Gianfranco Fini. Quantomeno, è questa la risposta che fornisce a domanda specifica. Ma in realtà Silvio Berlusconi continua eccome a rivolgersi duramente, senza più alcuna remora, al presidente della Camera e ai suoi fedelissimi.

L'ha fatto pure ieri, con il consueto intervento audio affidato ai Promotori della Libertà. E verosimilmente ripeterà di continuo la linea impostata venerdì scorso, durante il vertice Pdl convocato per definire i cinque punti programmatici, da portare in aula alla ripresa, su cui verrà posto il voto di fiducia. Lo schema, infatti, non dovrebbe cambiare almeno per due settimane, finchè l'ex leader di An, domenica 5 settembre a Mirabello, a chiusura della kermesse nazionale di Futuro e Libertà, non scioglierà il quesito chiave: i finiani fonderanno davvero un nuovo partito? In attesa della risposta, si ripropone il muro contro muro. Da una parte, il Cavaliere insiste sulla inemendabilità del documento programmatico, secondo l'opzione "prendere o lasciare", dall'altra gli uomini della terza carica dello Stato denunciano come irricevibile l'aut-aut berlusconiano.

Sullo sfondo, sempre più nitida, l'ipotesi di un ritorno anticipato alle urne. "Dobbiamo essere pronti a qualsiasi evenienza, come quella ad esempio di elezioni entro poco tempo", spiega il premier ai militanti capitanati dal ministro Brambilla. Scenario da extrema ratio, che Umberto Bossi invece auspica ormai pubblicamente e a gran voce: "Andremo al voto e li polverizzeremo tutti questi qua".

D'altronde, "non si può andare avanti così, con il rischio che, per ogni cosa che si fa, si debba pagare un dazio troppo alto". Quindi, "se si rompe la coalizione" non ci sono alternative. Per il Senatur si tornerebbe al cospetto degli elettori, ma senza l'alleanza con l'Udc di Pier Ferdinando Casini - sul "niet" dice di aver ricevuto garanzie dal presidente del Consiglio - ma anche senza l'appoggio di un eventuale partito finiano ("Noi abbiamo le nostre idee, non ci interessa, per un voto in più, non riuscire a combinare più niente"). Sulla questione, Casini, rivolgendosi al leader del Carroccio, chiarisce: "Non corriamo alcun rischio di trovarci assieme". Poi rilancia: "Il Partito della Nazione è il nuovo soggetto politico che punta ad unire i moderati" e che "nasce per riconciliare l'Italia, perchè questo è un Paese che si sta drammaticamente rompendo".

Berlusconi sul nodo interno al Pdl, ribadisce: "Dopo che alcuni nostri parlamentari, i cosiddetti finiani, hanno deciso di costituire un gruppo autonomo in Parlamento, che è un'iniziativa paradossale se si considera che sono stati tutti eletti sotto il simbolo del Popolo della libertà - con la scritta "Berlusconi presidente" - è diventato necessario verificare la coesione e la tenuta della maggioranza che sostiene il nostro governo".

Ecco perchè "qualora venissero meno anche su uno solo dei cinque punti, che sono parte integrante del programma di governo, non accetteremmo mai di farci logorare in un tirare a campare in discussioni continuative così come rifiuteremmo anche la prospettiva di dover negoziare al ribasso".

Per capirci: "Sarebbe un atto fortemente antidemocratico, addirittura offensivo della sovranità popolare, partecipare a dei nuovi giochi di palazzo per tentare di cambiare, di sovvertire il risultato elettorale e portare al governo chi le elezioni invece le ha perse. La strada maestra non può essere che quella di ritornare davanti al giudizio del popolo che è sovrano. Chi dice il contrario, invocando magari dei formalismi costituzionali sa bene, benissimo, di dire una falsità".

Non si fa attendere la replica dei finiani. Italo Bocchino non crede che si possa ricucire lo strappo, tanto da intravedere "all'orizzonte la nascita di un nuovo partito politico". Scenario su cui però non tutti i finiani sembrano propendere. "Espellere Fini dal partito che ha fondato e volere impedire a lui e a chi si riconosce nelle sue posizioni di esercitare il proprio mandato in un altro soggetto politico o gruppo parlamentare - sottolinea Carmelo Briguglio - equivale a un attentato ai loro diritti politici e costituzionali. Berlusconi prenda atto invece della nuova situazione e la affronti con senso politico, abbandonando la linea degli inutili anatemi".

 

 

 

21 agosto 2010

Grave il rischio di decadenza

Ma non è questa la "politica" da insegnare ai giovani

Ogni giorno che passa si diffonde l’impressione che stia maturando una crisi, quasi una decadenza, del governo della cosa pubblica, che genera sfiducia e smarrimento, che può investire le istituzioni, e allontana i giovani da un impegno che resta prezioso per il futuro del Paese. Non mi riferisco agli scandali veri o presunti che esplodono periodicamente a ritmo crescente, e colpiscono trasversalmente ora uno ora l’altro personaggio politico, senza alcuna distinzione. Anzi, proprio l’uso che si fa degli scandali, e un certo tipo di giornalismo, sono tra le cause di questa decadenza. Non so se tutti ne siano consapevoli, ma da almeno due anni (le radici sono più lontane) diversi quotidiani dedicano per settimane cinque, dieci, tredici pagine ossessivamente allo "scandalo del giorno". Si può immaginare l’effetto deprimente, avvilente, che ciò provoca sui lettori: alcuni possono veder soddisfatti i propri istinti meno elevati, ma poi tutti restano con un sapore amaro nell’animo.

Qui, dunque, vorrei concentrarmi su altro. Sul fatto che la politica, e i suoi massimi protagonisti, senza eccezioni di schieramento, sembrano a volte abdicare a princìpi connaturati alla gestione della res pubblica, alla ricerca del bene comune, e preferiscono perseguire i propri obiettivi per vie traverse, cercando di sfruttare gli scandali, aspettando i passi falsi dell’antagonista, senza proporre al Paese idee e programmi veri, senza parlare ai giovani delle loro speranze e aspettative.

È quasi palpabile la sensazione che partiti e gruppi politici, invece di elaborare strategie convincenti, vadano alla ricerca di alleanze improbabili, effimere, quasi naif, per raggiungere obiettivi contingenti, o per tentare il colpo grosso di vincere alle elezioni magari riuscendo a sfruttare qualche errore dell’avversario. Ma così si corre il rischio di scivolare verso l’"insignificanza" della politica, quando qualche suo protagonista sembra non credere neanche lui a ciò dice, alle strategie che propone, ritenendole talmente provvisorie da poterle cambiare o rovesciare il giorno dopo se la convenienza lo suggerisce. La politica cessa di essere l’arte del governo della società, dell’orientamento dei grandi movimenti popolari, e rischia di divenire il luogo del tatticismo più esasperato che però allontana chi ne nutre una concezione più nobile, e attira chi sa muoversi nelle cose piccole, fingendo che siano grandi. Credere che dopo anni di scandalismo si possa tornare alla nobiltà della politica è pura illusione, perché si sarà sedimentato un metodo cui non si rinuncerà facilmente.

Un altro elemento che viene dimenticato è che la personalizzazione della politica viene spesso criticata, ma poi esercita una attrazione fatale su tutti, influenza trasversalmente partiti e organizzazione. Nascono mille fondazioni, in un proliferare che provoca quasi un simpatico disincanto, si esaltano le primarie senza pensare che possono costituire anche un formidabile veicolo di personalismi, all’improvviso personaggi più o meno importanti, con incerto seguito reale, si propongono di sostituire i capi dei maggiori partiti.

Nulla di tutto ciò costituisce un peccato mortale, ma tutte insieme queste cose riflettono una crisi della politica che non ha la capacità di rigenerarsi e si avviluppa in continue contorsioni. Di questo passo, potrebbe arrivare un momento in cui la politica abbandonerà ogni idealità, divorerà se stessa, non avrà nulla da dire a chi vuole capire, scegliere, impegnarsi per qualcosa di grande, e sarebbe un brutto momento.

Infine, una domanda che ci dovremmo porre tutti riguarda soprattutto i giovani. Quando per mesi, e anni, la vita pubblica è corrosa dalla contesa scandalistica qual è l’effetto che produce sulle nuove generazioni? I giovani non riusciranno a imparare neanche l’alfabeto più semplice della politica, non vedranno crescere dentro di sé il rispetto per le istituzioni, certamente non troveranno nella nostra storia le radici di un presente così povero e avvilente. Semplicemente si adageranno su ciò che vedono, si convinceranno che se domina una specie di guerra di tutti contro tutti è bene abituarsi alle sue leggi, che sono utili a destra, al centro e a sinistra. Il danno sarà a quel punto molto serio, e la decadenza si farà più acuta.

Se, in tempo di vacanze, si riuscisse a riflettere sulle conseguenze più negative che i fatti di questi giorni possono provocare, ne deriverebbe un po’ di bene, per il domani ma anche per l’oggi.

Carlo Cardia

 

 

 

 

23 Agosto 2010

RIMINI

Il ministro Sacconi al Meeting:

su bioetica governo in maggioranza

Sui temi della bioetica e "della biopolitica, il governo ha una posizione, ed è convinto che su quelle posizioni c'è una maggioranza parlamentare anche più ampia di quella che usualmente lo sostiene": lo ha detto questa mattina il ministro del Welfare Maurizio Sacconi a margine del Meeting di Rimini. Sacconi ha ribadito di non "avere mai parlato di verifica di governo sulla biopolitica. Ho sempre e solo detto che la biopolitica è oggettivamente all'ordine del giorno e che, piaccia o non piaccia bisognerà trovarsi di fronte a problemi come la pillola dei cinque giorni dopo, l'aborto farmacologico, il rapporto tra vita e morte e tra ricerca ed etica. Su tutti questi temi – ha puntualizzato il ministro – il governo ha una posizione ed è convinto che su di essa c'è una maggioranza parlamentare anche più ampia di quella che usualmente sostiene il governo".

Il ministro è intervenuto anche su temi economici: Sacconi ha confermato di condividere la proposta del leader della Cisl Raffaele Bonanni per una partecipazione dei lavoratori agli utili di Fiat. "Parlare di meno Stato e più società - osserva il ministro del Welfare al Meeting di Cl - significa parlare di Pomigliano, di un grande investimento che si realizza non con un incentivo pubblico ma con quanto è realizzato dalla disponibilità dei lavoratori ad una maggiore produttività. A mio avviso, questi lavoratori acquisiscono il titolo a condividere un domani i risultati delle loro fatiche non solo in termini di salario fisso contrattuale, ma anche di salario collegato ai risultati dell'attività aziendale"

Domenica, l'intervento di Corrado Passera

Un monito alla politica: l'Italia ha "forze enormi" per reagire, "può essere un modello", ma rischia disoccupazione e povertà. È necessario "mettere il tema della crescita economica, e di cosa bisogna fare per crescere, al primo posto dell'agenda politica". Così il banchiere Corrado Passera invita il mondo politico "ad aver coraggio, innovare, cambiare". A pensare "alto". E in una fase della vita politica del Paese in cui gli occhi sono puntati su chi potrebbe scendere in campo, anche dal mondo degli affari, chiarisce: sono parole che nascono da "una indignazione propositiva", è un ruolo di stimolo che "non va in nessun modo letto in maniera politica e partitica".

Sono comunque parole nette quelle che il consigliere delegato di Intesa Sanpaolo lancia parlando alla platea del Meeting di Rimini. Corrado Passera chiarisce che non vuole entrare nel dibattito di stretta attualità sull'opportunità o meno di elezioni anticipate. Ma avverte: se si dovesse andare al voto la politica deve presentarsi al Paese con "una visione di sistema", con "scelte e proposte serie e concrete su temi come lo sviluppo e l'occupazione. E non sulle miserie di questo periodo". Ma "solo il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, dovrà e potrà valutare, al momento giusto, se si deve andare alle elezioni".

Il Paese deve reagire, ha la forza per farlo: "Spesso ci dimentichiamo quante forze abbiamo e possiamo mettere in campo, forze enormi". Dopo aver retto la crisi e fatto riforme "meglio di altri", e con i conti pubblici in ordine, dice Passera, dobbiamo "convincerci che ci sono cose che possiamo fare per crescere di più": come su scuola e istruzione; investimenti per le infrastrutture trovando risorse da lotta agli sprechi e soldi non spesi; difficoltà per le imprese come sul fronte di sicurezza e corruzione. E sulla Giustizia, con "riforme forti e rispettose della Costituzione". In Italia "c'è più un problema di processo decisionale imballato che non di risorse. Un problema di coraggio politico, di intelligenza organizzativa. Serve un ripensamento su come funziona il Paese". Quella di Passera è una chiamata ad assumersi responsabilità rivolta "a tutta la classe dirigente". Ma bisogna anche "dividere, nel mondo della politica, chi si prende delle responsabilità e fa delle scelte e chi invece dice di attendere". Sul tema della crescita "ci giochiamo tantissimo: non possiamo non crescere o crescere poco, perchè con questo livello di crescita non si crea occupazione.

Ed il lavoro è il tema numero uno". Ma "dobbiamo crescere anche perchè c'è povertà, anche da noi". Il paese ha bisogno di "disponibilità ad innovare, disponibilità a cambiare, il coraggio di pensare alla grande. Responsabilità prima di tutto della politica ma anche dell'intera classe dirigente. Quindi, di tutti noi".

 

 

 

 

2010-08-21

20 agosto 2010

COALIZIONE E VERIFICA

Berlusconi: sul programma

non tratteremo

"Non accetteremo un voto sul 95% della mozione che conterrà i cinque punti programmatici, non intendiamo trattare sul 5% relativo alla giustizia. Prendere o lasciare". È stato questo il ragionamento svolto dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, nel corso del vertice di questa mattina a Palazzo Grazioli secondo quanto riferito da diversi partecipanti.

Nel pomeriggio, è stato Paolo Bonnaiuti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, a ribadire il pensiero del presidente del Consiglio: "I cinque punti presentati ieri dal presidente Berlusconi indicano le linee di azione del Governo per i prossimi tre anni, in sintonia con le richieste degli elettori".

GASPARRI: "IL PROCESSO BREVE È UNA PRIORITA'"

Il processo breve torna al centro del dibattito politico. A rilanciare l'argomento, il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri che, uscendo da Palazzo Grazioli dove questa mattina si è svolto un nuovo vertice del Pdl. "Il processo breve è una nostra priorità, è già stato approvato dal Senato ed è un punto del nostro programma", ha detto Gasparri che ha poi aggiunto: "Sono convinto che ci sarà

un'ampia maggioranza sul documento programmatico approvato nel vertice di ieri. Se c'è qualcuno che volesse derogare a questo fatto, l'unica alternativa è il voto".

Una presa di posizione cha ha provocato l'immediata reazione dei finiani. Per Italo Bocchino, capogruppo FLI alla Camera, il provvedimento sul processo breve "non fa parte del programma del governo, nè credo che sia una priorità del paese in questo momento", tuttavia Futuro e Libertà "è pronta a discutere nel merito".

"Siamo pronti a discutere dei contenuti - spiega Bocchino- anche se quel provvedimento non fa parte del programma di governo nè credo sia una priorità del Paese in questo momento. Non accettiamo aut-aut - aggiunge Bocchino replicando a Cicchitto - ma se se ne deve discutere ne discuteremo nel merito. Innanzi tutto vediamo qual è l'obiettivo di quel provvedimento e su quali e su quanti processi queste norme interverranno".

"Mi sembra la riproposizione del programma di governo. La richiesta della fiducia rappresenta il riconoscimento politico della nostra forza parlamentare della quale non si può non tener conto", è il commento di Fabio Granata, Vicepresidente della Commissione nazionale Antimafia , il quale aggiunge: "Sul documento discuteremo e decideremo con l'indicazione decisiva del Presidente Fini. Restano fortissime perplessità su processo breve e doppio CSM. Si dovrà discutere anche sul punto relativo ai respingimenti e sulla materia concreta dei decreti attuativi il federalismo fiscale e sulle politiche di sostegno al Sud". Per Granata "non è più una questione di falchi e colombe, ne va del futuro della destra legalitaria e repubblicana e dell'Italia".

LA SFIDA DI BERLUSCONI: MAGGIORANZA AMPIA O SI VA AL VOTO

Avanti spediti su cinque punti del programma, oppure meglio il voto, "anche a dicembre senza perdere altro tempo, che sarebbe negativo per il Paese". Silvio Berlusconi si presenta davanti a giornalisti, a Palazzo Grazioli, munito delle 10 pagine di documento appena approvato dallo stato maggiore del Pdl, dopo quasi sei ore di riunione. Oltre a federalismo, fisco, Sud e giustizia, c’è anche la sicurezza chiesta da Ignazio La Russa a nome degli ex An rimasti nel Pdl. Il premier rimanda però ai capigruppo la stesura definitiva dei testi, e dunque non siamo ancora alla resa dei conti. Immediata filtra la reazione di Gianfranco Fini che ha seguito l’intervento del premier in diretta su Sky da Ansedonia. "Queste sono per il momento lodevoli intenzioni che meritano la massima attenzione e molte delle quali erano già da me auspicate (ad esempio sul Sud e il fisco) però – commentava ieri sera al telefono con i suoi colonnelli – tutto dipenderà da come saranno tradotte nei singoli provvedimenti". I margini per la tregua, insomma, ci sono ancora, ma la vera resa dei conti sembra rinviata di una ventina di giorni, alla ripresa dei lavori delle Camere.

Ed è un Berlusconi determinato sulla road map dei "prossimi tre anni di legislatura", dice ancora fiducioso sulla tenuta della maggioranza: "Sono convinto che la fiducia su questo documento otterrà una maggioranza non risicata", risponde a chi gli chiede dei numeri alla Camera. Ma attacca duramente, se i numeri non ci saranno più, l’ipotesi di un governo tecnico, perché "non c’è nessuna teoria giuridico-politica che possa giustificare un governo di chi è uscito sconfitto dalla competizione elettorale". E, dopo aver rimarcato che gli eletti della maggioranza si sono tutti presentati su quel programma e con quella coalizione, avverte: "Siamo pronti alle elezioni, nel caso in cui il riscontro sulla fiducia in Parlamento decretasse che non c’è più la maggioranza". E assicura che "se si votasse a breve, stando ai focus sugli elettori – visto che sondaggi non sono possibili in tempi di vacanza –, la maggioranza Pdl e Lega, con altri partiti che si aggiungerebbero, avrebbe oltre il 50 per cento dei consensi". E infatti oggi si dedicherà a un nuovo vertice organizzativo con i club e i circoli della Libertà.

Visibilmente stanco, ma sereno, dopo la lunga giornata di lavoro di un agosto quasi tutto "lavorato", si sincera con i cronisti se almeno loro le vacanze le hanno fatte o se l’essere lì possa aver comportato, per loro, un brusco rientro dalle ferie. Ma evita accuratamente ogni spunto polemico, senza però sottrarsi alle domandi sulla scottante attualità, fatta anche di martellanti inchieste sulla casa di Montecarlo, che vedono come capofila proprio i giornali a lui più vicini. Nega che possa esserci una sua autorizzazione o condivisione: "Posso assicurare – assicura – che non ci sono mai state da parte mia o dei miei collaboratori delle incentivazioni rispetto a questa campagna: noi siamo sempre dispiaciuti quando si passa da un’attività politica normale a un’attività politica che conosce scandali o campagne giornalistiche che portano dei turbamenti nei rapporti politici e personali".

E, sempre rispondendo alle indiscrezioni di questi giorni, nega di aver mai ordito una sorta di campagna acquisti dei finiani: "Non abbiamo organizzato nessuna azione di conquista, e posso assicurare di non aver telefonato a nessuno", sostiene il premier. Insomma una verifica che dovrà avvenire alla luce del sole, nelle aule parlamentari. "Ma non accetteremo – avverte – che sui punti riguardanti il programma sottoscritto con gli elettori ci possano essere trattative, come in passato".

Ma è proprio sui punti extra-programma che i finiani potrebbero riaprire le ostilità: "Il documento è condivisibile al 95 per cento" dice Italo Bocchino, capogruppo di Futuro e Libertà, alla Camera dove, mettendosi di traverso, il gruppo di Fli sarebbe (senza defezioni) in grado di far mancare i numeri alla maggioranza. Niente da dire, dunque, su riforma del Csm e carriere separate, ma del processo breve (che non è nel programma, e dovrà approdare in seconda lettura proprio a Montecitorio) se ne dovrà riparlare. "Se non ci saranno modifiche potremmo rivotarlo", concede però il coordinatore di Fli Sulvano Moffa. Ma è sul metodo che Fini non vuole cedere: "Basta aut aut, dovranno rispettarci e parlare con noi", avverte da Ansedonia e detta la linea ai suoi.

 

 

 

21 agosto 2010

IMMIGRAZIONE ED ESPULSIONI

Caso rom, Migrantes:

l'Europa chiede inclusione

I rimpatri in atto in questi giorni dei rom dalla Francia alla Romania sono illegittimi. È quanto ha detto alla Radio Vaticana monsignor Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes della Conferenza episcopale italiana, commentando i provvedimenti presi dal governo di Nicolas Sarkozy. "Occorrerebbe verificare -ha detto l'esponente della Chiesa italiana- se questi rimpatri sono legittimi e da quanto è stato detto dalla Commissione europea, sono illegittimi perchè riguardano sostanzialmente persone che hanno il diritto di movimento in Europa e d'insediamento. Questi rimpatri, vanno a toccare soprattutto una popolazione, la popolazione rom indistintamente, senza invece, valutare con attenzione quali sono i problemi".

Intanto, dall'Italia, il ministro dell'interno Roberto Maroni dice che bisogna arrivare alla possibilità di espellere anche i cittadino comunitari e plaude all'iniziativa di Sarkozy e paventa la possibilità di "espellere anche i cittadini comunitari" che violano la direttiva che fissa i requisiti per chi vive in un altro Paese membro dell'Ue (reddito minimo, dimora adeguata e non essere a carico del sistema sociale del Paese che lo ospita).

Monsignor Perego sottolinea poi come in Italia sia "necessario costruire nuovi percorsi che portino alla cittadinanza anche per le minoranza non riconosciute come sono quelle dei rom" e come sia necessario "un nuovo percorso di cittadinanza che premi soprattutto i bambini che nascono in Italia, o che sono già nati in Italia in modo che possano diventare cittadini al momento della nascita, che premi soprattutto la partecipazione al voto e in particolare amministrativo; che sia sempre più una legge che aiuti da subito l'integrazione, la partecipazione e la responsabilità"

 

 

 

 

21 Agosto 2010

TOLLERANZA ZERO

Rom, Parigi tira dritto

altri 130 in Romania

Senza il minimo accenno a segni di debolezza di fronte alle accuse e alle polemiche, le autorità francesi hanno continuato ieri nel loro programma di rimpatrio di cittadini rom. Dopo i primi 75 imbarcati giovedì su voli diretti a Bucarest da Parigi e da Lione, ieri sono stati 130 i rom partiti dalla capitale francese con destinazione la città romena di Timisoara. I rom sono stati trasportati all’aeroporto su tre pullman scortati dalla polizia e non hanno potuto rilasciare dichiarazioni alla stampa. La prosecuzione dei "rientri volontari" era stata annunciata poco prima dal ministro dell’Immigrazione Eric Besson (che però aveva parlato di 139 partenti). Besson ha spiegato che altri 160 rimpatri sono previsti per giovedì prossimo e che alla fine del mese i rom rimpatriati dalla Francia dall’inizio dell’anno, con una trentina di voli, raggiungeranno quota 850. "Lo smantellamento dei campi abusivi ad agosto ha portato all’accelerazione di questo processo che era stato già avviato", ha spiegato il ministro. In base alla formula del cosiddetto "rientro volontario", i rom partiti dalla Francia stanno ricevendo un sussidio statale di 300 euro a persona per gli adulti e di 100 euro per i bambini. Il rimpatrio è sì su base volontaria, ma a chi rifiuta l’offerta arriverà comunque un ordine di lasciare il Paese entro un mese e senza compensi. Anche se i rom di Bulgaria e Romania sono cittadini dell’Unione Europea, Parigi si è riservata fino al 2014 il diritto di escludere i cittadini dei nuovi membri dell’Ue dal mercato del lavoro e di espellerli entro tre mesi dal loro arrivo. Ma le critiche contro la politica del presidente Nicolas Sarkozy non mancano. Giovedì sul quotidiano Liberation Robert Kushen, direttore del Centro europeo per i diritti dei rom, sosteneva con amarezza che il governo francese "strumentalizza i rom per mostrare il pugno duro sulle questioni dell’ordine pubblico". Opposizione e Ong denunciano il clima di razzismo e di xenofobia nei confronti della popolazione rom, diventata il "capo espiatorio" dell’esecutivo. Per il deputato socialista Arnoud Montebourg, che ha invitato i ministri ad "essere umani", il governo sta instaurando "una sorta di razzismo ufficiale". Parigi però non demorde, anzi rincara la dose. "I bambini non devono servire da alibi", è la posizione del segretario di Stato alla Famiglia Nadine Morano, interpellata dalla radio Europe 1. "Quando si vedono persone sedute in strada – ha proseguito – che si servono di bambini, alcuni dei quali sono sotto effetto di farmaci per essere un po’ drogati o addormentati, che chiedono la carità, non si può accettare un simile comportamento". Da parte sua l’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti, ha ribadito ieri a Radio Vaticana che occorre "tener presenti le regole dell’Unione Europea, che proibisce, per esempio, espulsioni collettive e che dice che se non c’è un grave pericolo per la sicurezza non ci può essere espulsione". In materia di immigrazione, ha però chiosato il ministro Besson, Parigi non deve "prendere lezioni da nessuno". "La Francia – ha sottolineato Besson – è il Paese europeo più rispettoso dei diritti degli immigrati, soprattutto di quelli irregolari o, per essere più modesti, uno dei Paesi più rispettosi".

Paolo M. Alfieri

 

 

 

 

12 agosto 2010

NELLE TASCHE DEGLI ITALIANI

Cgia, in Italia più tasse e meno welfare

Su ciascun italiano grava un peso tributario annuo, fatto di sole tasse, imposte e tributi, pari 7.359 euro, mentre in Germania la quota pro capite tocca i 6.919 euro. Tra i principali Paesi dell'area euro, solo la Francia sta peggio di noi. Ma si tratta di una situazione relativa, perchè i transalpini versano una media di 7.438 euro di tasse allo Stato ma vengono "ricompensati" con una spesa sociale pro capite pari a 10.776 euro. È quanto sostiene il Centro studi della Cgia di Mestre, sulla base delle tasse pagate nel 2009.

Sempre in termini di spesa sociale i tedeschi ricevono, invece, 9.171 euro pro capite l'anno, mentre agli italiani tra spese per la sanità, l'istruzione e la protezione sociale vanno appena 8.023 euro: vale a dire 2.753 euro in meno della Francia e 1.148 euro in meno della Germania. Se si analizza invece il saldo, vale a dire la differenza pro capite tra quanto ricevuto in termini di spesa e quanto versato in termini di tasse, quello francese è positivo e pari a 3.339 euro. Anche il differenziale tedesco registra una valore positivo, pari a 2.251 euro. In Italia, invece, si segna un saldo di 664 euro pro capite.

"La situazione è fortemente sconfortante - commenta il segretario della Cgia di Mestre Giuseppe Bortolussi - perchè dimostra ancora una volta come, pur in presenza di un peso tributario tanto elevato, in Italia non vengano destinate risorse adeguate per la casa, per aiutare le famiglie indigenti, i giovani, i disabili e chi vive ai margini della società. È evidente a tutti - prosegue - che le tasse così elevate nel

nostro Paese sono la conseguenza di una spesa pubblica eccessiva".

A chi poi sostiene che probabilmente le tasse sono alte per colpa degli evasori fiscali, la risposta di Bortolussi è secca: "È innegabile che il problema dell'evasione fiscale pesi sull'Italia. Ma allora sarebbe anche opportuno studiare una strategia efficace - propone - affinchè venga fatta emergere

l'economica sommersa e si faccia pagare chi è completamente sconosciuto al fisco". Dagli Artigiani di Mestre arriva infine la sollecitazione "ad abbassare le imposte, combattere l'evasione fiscale e tagliare le intollerabili inefficienze presenti nella Pubblica amministrazione così come stanno facendo in tutti gli altri Paesi europei".

2010-08-20

20 agosto 2010

ROMA

Berlusconi: "Fiducia a settembre

oppure andiamo al voto"

Silvio Berlusconi conferma l'azione del governo su tutta la linea e lo fa al termine di un vertice di quasi sei ore con lo stato maggiore del Pdl. E lo fa durante una conferenza stampa in cui esordisce parlando della crisi della maggioranza: "Non è giustificabile che governi chi è stato sconfitto".

Nelle elezioni del 2008, ha aggiunto Berlusconi "anche grazie alla legge elettorale, si è realizzata la novità assoluta che gli elettori scelgono il primo ministro, l'alleanza e il programma di governo. Questa è una novita che non può essere cancellata, nel rispetto del popolo sovrano".

Federalismo fiscale, ddl intrcettazioni e riforma della giustizia sono alcuni punti del programma su cui il governo chiederà la fiducia alle Camere. Ma sul documento, ha aggiunto il premier, "Serve una maggioranza non risicata". In caso contrario il Pdl è "pronto" a elezioni anticipate, anche "entro dicembre". "Certamente entro dicembre se non ci fosse la fiducia sui punti del programma - ha spiegato il premier dopo aver elencato i cinque punti che saranno messi al vaglio della fiducia dei finiani alla riapertura dei lavori - ogni passo in più sarebbe tempo perso".

I PUNTI DEL PROGRAMMA

Tra i vari temi che sono stati dibattuti durante la riunione dei capigruppo del Pdl non poteva mancare la riforma del federalismo fiscale che, assicura il premier, "non comporterà assolutamente maggiori costi" e per quanto riguarda "la pressione fiscale è destinata progressivamente a dimuinire".

Il premier ha poi affrontato il nodo della giustizia e dei rapporti con la magistratura sottolineando che "non si può indulgere di fronte al tentativo che minoranze militanti della magistratura, ispirate da teoremi politici, cerchino di porre in atto fin dal '94, di abbattere il governo legittimo".

"Si rende necessario anche per via costituzionale una riforma della disciplina dei magistrati e un intervento sul Csm con una riforma costituzionale" allo scopo di avere "due organismi separati per la magistratura". Inoltre, ha aggiunto Berlusconi: "Attueremo una riforma complessiva della giustizia per processi più brevi". E si dovrà procedere al più presto all'approvazione definitiva del ddl sulle intercettazioni.

Il premier ha poi ribadito che il governo approverà una legge "a tutela delle alte cariche istituzionali, già ora al Senato e che verrà approvata in tempi celeri anche alla Camera" mentre sul tema dell'immigrazione, il governo intende proseguire con la politica dei respingimenti.

FINI E I FINIANI

"Non c'è mai stata da parte mia nessuna incitazione su questa campagna". Lo ha specificato il premier Silvio Berlusconi con riferimento alla campagna mediatica sul dossier della casa di Montecarlo contro Gianfranco Fini. "Sono sempre dispiaciuto - ha concluso Berlusconi - quando avvengono queste cose".

Parlando poi dei rapporti con i finiani che hanno formato il gruppo "Futuro e libertà", Berlusconi ha precisato che "noi non dobbiamo conquistare nessuno (il riferimento è ai finiani "moderati", ndr) Sono rimasti nel Pdl e non crediamo di dover conquistare nessuno di loro, e io personalmente, ma credo nessuno dei dirigenti del partito, abbia fatto nessuna telefonata".

Ma su un punto il premier è stato categorico: "Non permetteremo alcuna trattativa sui punti del programma come avvenuto in passato. Abbiamo dato prova di grande senso di responsabilità, dando la priorità all'approvazione della manovra. Poi - ha concluso Berlusconi - siamo stati costretti a intervenire con quel documento approvato a stragrande maggioranza dall'ufficio di presidenza".

 

 

 

 

20 agosto 2010

FEDE E SOCIETA'

Progetto culturale Cei

"sguardo sull'Italia"

Una piazza aperta su cui si affacciano il campanile e il palazzo pubblico, le case e i portici. Dall’agorà dei Greci a quella del Comune, la piazza ha sempre rappresentato il cuore della città, il posto in cui si dialoga, ci si confronta, si interloquisce: il luogo in cui si rispettano le identità nella consapevolezza della propria. Da questa immagine nasce la filosofia del Progetto culturale e di conseguenza il logo del Servizio nazionale della Cei. Nel villaggio globale, in un mondo dove Internet e le nuove tecnologie "linkano" le persone, le mettono in contatto, la piazza del progetto culturale rappresenta lo spazio virtuale ma anche reale dove confrontarsi e riconoscersi attorno alle idee e ai problemi è importante così come pensare più a fondo e alla luce della fede le questioni fondamentali della cultura. "È il luogo dove comunicare tutto questo agli altri, nella convinzione che la comunità nasce anche dalla comunicazione" spiegano dal Servizio nazionale per il progetto culturale. È nel 1994 che il cardinale Camillo Ruini, nella sua prolusione al Consiglio permanente della Cei, fa per la prima volta un accenno a un "progetto culturale": cultura "come terreno di incontro tra la missione propria della Chiesa e le esigenze più urgenti della nazione". Nel 1995 il Convegno ecclesiale di Palermo registra un consenso generale intorno al progetto e un anno dopo, nel 1996 tre seminari di studio promossi dalla Cei e l’Assemblea Generale dei vescovi italiani delineano le motivazioni e i contenuti del progetto culturale. I tre seminari sono dedicati rispettivamente a "Chiesa e cattolicesimo in Italia dopo il Concilio", a "La comunicazione sociale oggi, le sue prospettive e l’impegno della Chiesa", ad "Antropologia cristiana e culture contemporanee". Nel 1997 viene pubblicato dalla presidenza della Cei il documento fondativo Progetto culturale orientato in senso cristiano. Una prima proposta di lavoro. Per quanto riguarda le grandi aree tematiche, ha cercato di individuarne tre su cui focalizzare la riflessione, e verso cui orientare le attività di ricerca: libertà personale e sociale in campo etico; identità nazionale, identità locali e identità cristiana; interpretazione del reale: scienze e altri saperi.

Non mancano poi i temi emergenti su cui il progetto culturale ha concentrato l’attenzione come nel caso dell’antropologia e della trasmissione della fede, i nodi riguardanti la spiritualità, le tematiche della famiglia e della vita, scuola ed educazione, responsabilità verso il creato. Al riguardo durante gli anni molto utili sono stati il Forum del progetto culturale, i seminari di studio, le iniziative a sostegno della ricerca realizzate da esperti delle più diverse discipline, nella comune prospettiva di un’antropologia ispirata al Vangelo.

"Nel significato e nella centralità dell’evento di Gesù Cristo – spiegano dal Servizio nazionale per il progetto culturale –. In Cristo, infatti, ci è data un’interpretazione di Dio e dell’uomo, e quindi implicitamente di tutta la realtà, che è così pregnante e dinamica da potersi incarnare nelle più diverse situazioni e contesti storici, mantenendo al contempo la sua specifica fisionomia, i suoi elementi essenziali e i suoi contenuti di fondo".

Vincenzo Grienti

 

 

 

 

 

20 agosto 2010

LOTTA E GOVERNO

Bossi: si voti a dicembre

Berlusconi: extrema ratio

"Fine novembre... Magari i primi di dicembre... Vedremo con il presidente, ma una soluzione si trova". All’improvviso Umberto Bossi accelera deciso e arriva a ipotizzare una data per un eventuale voto anticipato. Poi, senza cambiare tono di voce motiva la scelta. "Così non è possibile andare avanti. Ormai la macchina sta correndo verso le elezioni". Si ferma ancora, il Senatur. Riflette due, tre secondi prima di dettare l’ultimo messaggio. Destinatario il presidente della Camera. "... Serve qualche gesto importante che la blocchi. Le dimissioni di Fini sarebbero un gesto importante per fermare questa corsa".

A poche ore dal vertice del Pdl fissato per questa mattina a Palazzo Grazioli per mettere a punto un documento programmatico di fine legislatura la sortita di Bossi sembra comunque una mossa tattica. Perchè – ripetono sottovoce nell’entourage del Cavaliere – "se vuoi la pace devi preparare la guerra". Già, Berlusconi vuole la pace. O meglio non vuole il voto anticipato. E nelle ore passate nella residenza sarda di Porto Rotondo ripete ai pochi collaboratori di cui si fida in maniera assoluta il suo vero pensiero: "La prospettiva del voto non mi spaventa, ma nemmeno mi rallegra. Anzi, il voto anticipato è una sconfitta. Perchè questa esperienza di governo ha dato e poteva ancora dare risultati importanti". Si ferma qualche istante il premier e chiude quel ragionamento con poche ulteriori parole. "È un vero peccato interromperla".

È una partita di poker. Berlusconi capisce fino in fondo le insidie che si agitano dietro quell’idea di presentarsi alle Camere e chiedere la fiducia sul documento che dovrebbe essere messo a punto nella maratona di oggi (ma si potrebbe andare avanti anche fino a sabato). Il premier mette in fila tutte le variabili. Ma si rende anche conto che è il momento di mostrare fermezza. E allora sul tema più controverso, quello della giustizia (al vertice oltre a coordinatori, capigruppo e vice dovrebbe partecipare anche il ministro Guardasigilli, Alfano), non ci sarà nessuna concessione. Perchè "è il momento di andare dritti sul Lodo Alfano costituzionale, sul processo breve e sulla riforma del processo penale".

Le prossime ore aiuteranno a capire. Ma l’offensiva sul voto del capo della Lega fa discutere. "Sono d’accordo con Bossi: meglio elezioni a novembre piuttosto che trasformare il governo del fare in una sorta di esecutivo di transizione", ripete Gianfranco Rotondi che chiosa: "Un quadro così sfibrato non ce l’aveva nemmeno Prodi". Sarà ma il premier è convinto che la legislatura può arrivare fino in fondo. "Magari allargando la maggioranza. Magari riportando nel Pdl i finiani moderati", ripete il capo del governo che con la testa già al vertice romano ripete la linea: "Il voto deve essere solo l’extrema ratio".

Arturo Cellett

 

 

20 agosto 2010

LOTTA E GOVERNO

Pd-Idv: prima sia crisi alle Camere

Alla accelerazione elettorale di Umberto Bossi il Pd replica chiedendo una certificazione di fronte alle Camere della dissoluzione dell’esecutivo. "Bossi può chiedere le elezioni, prima però il presidente del Consiglio si deve presentare in Parlamento ed ufficializzare la crisi ammettendo che non è più in grado di governare", è l’intimazione che arriva dal capo della segreteria politica di Pier Luigi Bersani, Filippo Penati. All’unisono il capogruppo di Idv alla Camera, Massimo Donadi, dichiara: "Prima il premier venga in aula a formalizzare la crisi, altrimenti è fantapolitica". E il presidente dei senatori dell’Udc, Gianpiero D’Alia ribadisce, chiamando in causa la Costituzione, che "se Berlusconi dovesse rassegnare le dimissioni, il Capo dello Stato dovrà provvedere a verificare se ci sarà ancora una maggioranza in Parlamento e se le forze politiche potranno andare avanti".

Quasi ad assicurare che il Pd non teme elezioni, il portavoce di Bersani, Stefano Di Traglia, smentisce decisamente quanto affermato dal capo della Lega, cioè che il suo leader si sarebbe recato dal premier per dirgli "mica vorrai andare al voto?". "Bossi è in confusione, arriva a inventarsi delle favole", ribatte Di Traglia. Addirittura tutta la "maggioranza o il residuo di maggioranza rimasto", secondo Pierluigi Castagnetti sarebbe "in stato confusionale" con Bossi che spinge e Berlusconi che frena. L’impressione dell’ex segretario del Ppi è "che non sappiano come uscire dall’impasse: da un lato non riescono ricomporre condizione numerica, forte e coesa", dall’altro si rendono conto che il "ricorso alle elezioni non è così semplice, perché la Costituzione impone al presidente Napolitano di rispettare le procedure assolutamente vincolanti".

Ma il bersaglio principale del Pd è il leader della Lega. "Bossi ha indicato anche la data delle elezioni: siamo all’assurdo, se un giorno salirà al Quirinale, potrà togliersi questa soddisfazione, per ora ha altri doveri di fronte agli italiani", rimarca Francesco Boccia. Se il "Carroccio" ha inserito la quinta per raggiungere la consultazione popolare, Penati interpreta la mossa come il riconoscimento davanti agli italiani che "il centrodestra ha fallito e che la guerra scoppiata al suo interno ha distrutto la fiducia". Il vertice di oggi? "Solo una riunione politica", ne minimizza la portata istituzionale Michele Ventura. I quattro punti programmatici? "Altrettanti fallimenti del governo", sostiene Davide Zoggia.

Pier Luigi Fornari

 

 

 

20 agosto 2010

IL PAESE CHE SOFFRE

Nuove povertà

Il triplice rischio

In Italia ci sono oltre due milioni e mezzo di famiglie che non possono spendere più di 900 euro al mese - è il cosiddetto indice di "povertà relativa" - e addirittura un milione e 162mila classificate secondo gli indici della "povertà assoluta". Si tratta cioè di persone che hanno a disposizione meno di 680 euro al Nord e meno di 512 al Sud. Insomma, tra "quasi" poveri e poveri conclamati, siamo al di sopra dei 10 milioni di persone. Secondo quanto riferisce l’ultimo dossier Istat questa cifra negli ultimi anni risulta in lieve, ma costante aumento. Ma esistono situazioni, circostanze, difficoltà che aprono la strada alle nuove povertà? Sulla base delle statistiche abbiamo individuato tre casi; malattia, momento della pensione e separazione. E raccontiamo altrettante storie.

Raffaellina d'inverno si scalda con la carbonella

La porta della cucina di Raffaelina è sempre aperta e chiunque vi si può affacciare in qualsiasi momento per un saluto che la fa felice. La cucina è il cuore della sua casa - piano rialzato in uno stabile dall’intonaco scrostato - a destra c’è la camera con il lettone, a sinistra il piccolo bagno e un ingresso che sembra un ripostiglio e davanti un pianerottolo come un corridoio. Raffaelina mostra i ninnoli e le foto che tiene in ogni angolo, sull’armadio e sulle pareti e ad ognuno corrisponde un ricordo. E sono tanti.

Lucida anche se, come dice lei, qualche volta si appanna e la memoria va e viene, Raffaelina Percoco, napoletana di 83 anni, vive con la pensione di artigiano: "530 euro al mese che non ti fanno comparire e a stento campare", osserva. "Quando mia sorella Sisina se n’è andata per la malattia, faranno sedici anni a gennaio, io sono rimasta sola e le cose moderne non le capisco".

Nelle "cose moderne" Raffaelina include l’euro, con un prima e un dopo. "Adesso la pensione vale la metà e la spesa costa il doppio", riflette. Questo per lei significa mangiare una volta al giorno - solo il primo oppure solo il secondo, una mela, ma la domenica il pranzo si completa con un bicchiere di vino. Ha rinunciato al gas di città perché costa troppo: per cucinare usa la bombola, ma più spesso, specie in estate, la fornacella - il barbecue dei poveri - per l’acqua calda ha uno scaldino elettrico che accende solo quando le serve, per riscaldarsi d’inverno c’è il braciere con la carbonella che brucia dal mattino. "Così stanno le cose e i soldi quelli sono. Ogni mese ci vogliono di pigione 150 euro, poi c’è la luce, l’acqua e il telefono. Pure la carbonella è aumentata e bisogna stare accorti a non sciuparla. Qualcosa nel frigorifero ci deve stare e qualche soldo da parte per il funerale e il cimitero lo devi tenere. Le cose si fanno vecchie come i cristiani e bisogna aggiustarle o comprarle nuove e alla fine uno deve pregare di non cadere malato", elenca con un sospiro. Rimette una ciocca di capelli dietro l’orecchio - "da questo lato ci sento ancora un poco, da quell’altro non sento nemmeno le campane di mezzogiorno" precisa - si accomoda meglio sulla seggiolina e ricomincia a raccontare: "Per 40 anni ho fatto la sarta. Tutto me lo sono guadagnato con la fatica mia", dice alzando un po’ la voce e allargando le braccia per includere nella stretta anche l’ultimo cassetto e il suo contenuto. "Sacrificio e pazienza sono pane quotidiano", riprende. "Però io – aggiunge con orgoglio – pago l’abbonamento alla televisione". Con le chiacchiere il suo unico passatempo.

Ha moglie e figli in cura: "Un Comune ci "adotti""

"Cercasi Comune disposto ad aiutare famiglia in difficoltà, in cambio si offre un marito e padre tuttofare". Il suo messaggio in bottiglia, Mario l’ha lanciato nel mare di Internet e adesso attende, fiducioso una risposta. A 55 anni si è reso conto di non farcela più da solo a tenere testa a una situazione sempre più complicata. E ora tende la mano.

Fino a 5 anni fa, la vita di Mario Riboldi, di sua moglie Caterina e della loro figlia adolescente, era uguale a quella di tante altre famiglie. Lavoro, studio, vacanze scandivano i diversi periodi dell’anno. La svolta, in negativo, è arrivata con la diagnosi di sclerosi multipla per la moglie, una malattia degenerativa che, in appena cinque anni, ha molto prostrato una donna attiva, un’artista impegnata nella produzione di racconti per bambini. Come se non bastasse, poco dopo, alla bambina viene diagnosticata una malattia neurologica che la costringe a frequenti ricoveri in ospedale.

"Ho chiesto aiuto al mio Comune di residenza, senza però mai ottenere una risposta positiva – denuncia Mario, che da 12 anni abita ad Alassio (Savona), dove, in passato, è stato promotore di numerosi eventi culturali –. Anche l’Azienda sanitaria, a cui avevo sollecitato l’invio, a domicilio, di un infermiere, mi ha dato una risposta negativa, dicendo di non avere personale a disposizione. Così, per curare le mie donne, sono stato costretto a lasciare il lavoro e adesso mi arrangio come posso".

Attualmente, la situazione della famiglia Riboldi è la seguente. Ogni mese in casa entrano tra i 500 e i 600 euro, 250 dei quali come pensione di invalidità di Caterina e il resto dai lavoretti quotidiani che Mario riesce a raccattare, ma ne escono più di 200 in medicine, senza contare le spese d’affitto e per la casa. Anche questa, tra l’altro, sta diventando un problema.

"Abitiamo in collina – spiega Mario – e per arrivare alla nostra casa si deve percorrere una mulattiera a gradoni di oltre 200 metri. Una fatica che mia moglie non è più in grado di sopportare. Per questa ragione, ho da tempo fatto domanda al Comune di un alloggio popolare più adatto alle nostre condizioni, ma non ho mai ottenuto risposta".

Mario non cerca una reggia, gli basterebbe una casa dove poter accudire al meglio Caterina e la figlia malate. Così ha pensato di chiedere asilo a qualche Comune della zona, con un appello in Internet.

"Se qualche amministrazione crede di poter fare qualcosa di concreto per noi si faccia avanti – sollecita Mario –. In cambio mi offro come factotum. So fare di tutto: dal giardiniere, al custode all’imbianchino. Non chiedo la carità, ma una casa adatta e un lavoro onesto per poter sostenere la mia famiglia".

Franco arriva a fine mese solo grazie alla solidarietà

Una mattina ti svegli e non hai più niente. Il tuo matrimonio è andato in pezzi e tu, senza quasi avere il tempo di realizzare la nuova situazione, ti ritrovi in mezzo a una strada. È quello che è successo a Franco (il nome è di fantasia ma la storia è drammaticamente vera), che dopo la separazione dalla moglie, ha dovuto "reinventarsi una vita".

Per prima cosa è tornato a vivere con gli anziani genitori, perchè non si poteva certo permettere una casa tutta sua. Con uno stipendio di 2mila euro al mese - che fino a poco tempo prima gli consentiva di vivere più che dignitosamente ma che adesso era diventato troppo stretto - doveva mantenersi e versarne più di due terzi (circa 1.300 euro al mese) come assegno di mantenimento all’ex-coniuge. Inoltre, così era stato stabilito nella sentenza di separazione, doveva coprire anche il 50% delle spese straordinarie per il figlio di tre anni. Che, tra l’altro, Franco riesce a incontrare tra mille difficoltà.

"Per fortuna c’erano i miei genitori, altrimenti non avrei davvero saputo dove sbattere la testa", ricorda l’uomo, riaprendo una ferita mai rimarginata, anche perchè, a undici anni di distanza dai fatti, ancora oggi è costretto a versare questa cifra, rivalutata secondo l’inflazione. E questo, nonostante viva in affitto a 900 euro al mese, con la nuova compagna, che non lavora e una bimba di nemmeno tre anni.

"Siccome spesse volte non riuscivo materialmente a versare quanto richiesto dal giudice – aggiunge Franco – chiesi la revisione dell’assegno di mantenimento. Per tutta risposta, il giudice non solo me l’ha confermato ma ha pure costretto l’azienda per la quale lavoro a trattenermelo direttamente dallo stipendio. Così, adesso in busta paga, quando mi va bene, trovo 5-600 euro al mese. Riusciamo a campare soltanto grazie al premio di produzione che l’azienda mi riconosce e alla tredicesima".

Anche queste entrate, però, sono adesso a rischio, perchè la società, che non naviga in buone acque, ha varato una drastica politica di riduzione dei costi e, tra le prime voce da tagliare, ci sono proprio i premi e i benefit ai quadri, tra i quali c’è anche Franco, che adesso teme anche di perdere il lavoro.

"Non ho vergogna a dire – conclude l’uomo, che ha imparato a rivoltare i colli delle camicie e a rammendare i calzini – che, spesse volte, riusciamo ad arrivare alla fine del mese soltanto grazie al pacco del Banco alimentare. Inoltre, quando è nata la bambina, il Movimento per la vita ci ha fornito il materiale necessario al suo accudimento, che altrimenti non avremmo saputo come recuperare".

<+firmacoda>Paolo Ferrario

Valeria Chianese e Paolo Ferrario

 

 

 

 

2010-08-19

19 agosto 2010

LA RESA DEI CONTI

Fini: "Danneggia il Paese

chi attacca le istituzioni"

"Chi spara sulle istituzioni non fa altro che danneggiare il Paese". Gianfranco Fini e Gianni Letta si appartano per una ventina di minuti, dopo aver reso omaggio alla camera ardente per Francesco Cossiga. Il presidente della Camera assicura che, da parte sua, intende essere leale, ma in un clima del genere di inchieste e aggressioni a mezzo stampa tutto di fa più difficile. E difficile, davvero, è l’ennesima mediazione che chiede al sottosegretario alla presidenza. Una mission impossible persino per uno come lui. Se margini d’intesa ancora ci sono, insomma, questi si spostano, in Parlamento. Il tempo dei mediatori si è esaurito, lascia intendere Letta. Così, a tarda sera, dallo staff del presidente della Camera decidono di far uscire quel messaggio che, altrimenti, sarebbe rimasto nel chiuso del faccia a faccia.

Una risposta, da Fini, anche alle indiscrezioni filtrate da Porto Rotondo, dove il premier aveva ragionato con i suoi, sulla strategia da tenere con i finiani dissidenti: "Un conto è la fedeltà, personale, a Gianfranco Fini, un conto è la rottura del patto con gli elettori, sono convinto su questa strada lo seguirebbero in pochi, in pochissimi". Silvio Berlusconi, insomma, prova a svuotare il gruppo del presidente della Camera alla ripresa dei lavori parlamentari: "Bisogna convincere uno ad uno i finiani moderati. E se ognuno di voi parla con uno di loro, siamo già a cavallo". L’offensiva rimbalza anche sulle agenzie di stampa. E Fini si sfoga con i suoi: "Se Berlusconi pensa di dividerci si sbaglia di grosso. Non ce la farà mai".

Si naviga a vista, insomma, mentre il premier prepara il vertice di domani: ci sarà tutto lo stato maggiore del Pdl ma senza i ministri. I temi sul tavolo sono noti, ma la giustizia sarà centrale. Berlusconi pensa a uno scudo con le alte cariche, la cosa si presenta però piena di incognite, non essendo percorribile la via della modifica costituzionale e non essendo facile convincere i finiani su un percorso che provi di nuovo (dopo la bocciatura del Lodo Alfano) a intervenire con legge ordinaria. Il premier pensa a un percorso a tappe forzate, che preveda un passaggio alla Camera, con un suo intervento in aula e voto di fiducia, e poi "chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori". Fabrizio Cicchitto, coordinatore del gruppo di lavoro, però, resta fiducioso: "Vogliamo costruire, non rompere", dice.

L’altro giocatore di poker non è da meno. Fini incarica i capigruppo (il "duro" Bocchino e il "moderato" Viespoli) di uscire con una nota congiunta: "Siamo tutti moderati, ma non smemorati, visto che ci sono state espulsioni senza contradditorio", ricordano.

Angelo Picariello

 

 

 

2010-08-18

18 agosto 2010

POLITICA E BIOETICA

Sui valori non negoziabili

cresce il fronte bipartisan

Ripartire dai valori non negoziabili sembra questo in un momento di stallo della politica, non solo per la interruzione estiva, una indicazione che accomuna parlamentari di diverse forse politiche. Il vicepresidente dei senatori del Pdl Gaetano Quagliariello, assicura che dopo la rottura con Gianfranco Fini, il suo partito "avrà la possibilità di qualificarsi con ancora più per la coerenza sui temi bioetici". Comunque l’esponente del centrodestra auspica che l’attuale passaggio politico "sia l’occasione di un confronto con quelle forze come i cattolici e i moderati del Pd, come l’Udc, che su queste tematiche dovrebbero trovarsi accanto al governo e la sua agenda. Spero, perciò, che anche nella differenziazione dei ruoli si trovino ragioni per andare avanti insieme e magari per approfondire dei rapporti".

"Non è più possibile immaginare una politica che si muova come se l’unico criterio antropologico di riferimento fosse l’homo oeconomicus", osserva la udc Paola Binetti constatando che "le posizioni di molti finiani sui temi etici sono scarsamente condivisibili", per cui ben vengano "gli interventi di molti cattolici del Pd a sostegno di questi valori". Secondo la Binetti l’apertura dell’Unione di Centro ad "una nuova realtà politica, un’area di responsabilità nazionale, va in questa direzione: creare un luogo d’incontro rivolto in primo luogo, ma non solo, a tutti i cattolici che hanno voglia di ricominciare a far politica partendo proprio da questi valori essenziali". Secondo l’ex presidente di Scienza&Vita "il cambiamento politico che è nell’aria", può avere senso "se genera schieramenti con un forte collante di valori etici condivisi".

Marco Calgaro di Api esprime consenso con le posizioni assunte dal ministro Sacconi in materia di bioetica, ma in campo di politica familiare registra che "né il centrosinistra né il centrodestra sono stati capaci di attuare misure significative per i genitori con figli", né quoziente familiare, né deduzioni consistenti. "Per noi il bipolarismo ha fallito – argomenta Calgaro – perché nei partiti c’è tutto ed il contrario di tutto. Auspichiamo la formazione di un terzo polo, ma non per ripetere lo stesso errore, quindi una condizione ineludibile è la elaborazione di un programma chiaro e coeso anche sotto il profilo antropologico". Laura Molteni della Lega considera la proposta di legge sul fine vita uscita dalla commissione Affari sociali della Camera una proposta "equilibrata, rispettosa dei principi costituzionali, della vita e delle persone disabili, che si oppone sia a qualsiasi deriva eutanasica, sia all’accanimento terapeutico". "Sui valori non è possibile negoziare – evidenzia un altro leghista, Massimo Polledri – anche Bossi in questo campo ha tracciato una linea, rilevando che il cambiamento ci può essere in economia, ma non nella concezione della famiglia. È una questione di diritto naturale. Anche Roberto Calderoli ha detto che la Ru486 attacca la salute delle donne, una posizione difesa anche dai governatori Luca Zaia e Roberto Cota".

Pier Luigi Fornari

 

 

 

18 agosto 2010

POLITICA E BIOETICA

Fioroni: "Libertà di coscienza sui temi sensibili"

"In uno scenario di basso impero, di lotta per bande, che non risparmiano neppure incursioni contro il presidente della Repubblica, avviare una riflessione di alto profilo sullo Stato sociale e sulla bioetica è un modo per tornare a parlare di politica con la "p" maiuscola". Dalla opposta sponda del Pd, Beppe Fioroni, responsabile Welfare, commenta così i contenuti della intervista ad Avvenire di domenica scorsa del ministro Maurizio Sacconi, pur rinviando a una verifica più concreta delle posizioni in merito. "Riprendere a occuparsi dei problemi del Paese – evidenzia l’ex ministro della Pubblica Istruzione – è la maniera migliore per onorare la figura di Francesco Cossiga che ha sempre privilegiato gli interessi dello Stato rispetto a quelli di parte".

Nel caso di Sacconi, lei sembra interessato più alle posizioni del parlamentare che a quelle del ministro...

Sì. Perché l’agenda bioetica aperta più volte dall’esecutivo non ha mai trovato un prosieguo in un reale confronto parlamentare.

E se le Camere affronteranno quei temi, cosa accadrà?

Se saranno dibattuti senza politicizzazioni o polemiche elettorali, è certo che una riflessione basata sulla libertà di coscienza porterà molto probabilmente quelli che hanno un comune sentire a trovare delle convergenze. Comunque mi sembra che la novità rilevante di questi giorni sia un’altra.

Quale?

La libertà di coscienza è tornata ad essere tema di attualità. Sembrava un una sorta di escamotage politico, un problema esclusivo dei cattolici del centrosinistra, adottato ad esempio per votare a favore della legge sulla procreazione medicalmente assistita, invece diviene oggi decisivo ribadire che sui temi dell’inizio e del fine vita, per la loro stessa natura non si può essere un obbligati a seguire la linea prevalente del partito. La Costituzione non prevede vincolo di mandato per i parlamentari, figuriamoci se può esserci su questi temi.

Ma di concreto cosa c’è di nuovo?

Sui temi etici, all’interno della maggioranza – così viene ancora definito il rapporto tra Pdl, Lega e Fli – noto posizioni divergenti del raggruppamento di Fini, e non solo in quella forza politica. Costato anche che in un ipotetico terzo polo su questi temi ci sono profonde divergenze tra i parlamentari che sostengono il presidente della Camera e il partito di Pier Ferdinando Casini. Tutto ciò segna anche un passo in avanti, perché il lavoro legislativo viene riconsegnato alla maturità e responsabilità del politico nel richiamo ai valori della dignità umana ineludibili in questo campo.

E su un altro punto messo a tema da Sacconi quello del Welfare?

È necessario attuare il principio di sussidiarietà. Siamo di fronte a un cambiamento radicale: lo Stato sociale che un tempo aveva il compito di redistribuire tra i più svantaggiati quello che sovrabbondava nella crescita economica è colpito da una crisi di lunga durata e non c’è nessuna eccedenza da dividere. Quindi diviene vitale che il Welfare stesso sia un fattore di crescita. Può esserlo eliminando le diseguaglianze e puntando sulla sussidiarietà.

In che modo?

Occorre investire nella famiglia che si rivela sempre più una risorsa per la comunità nazionale soprattutto nella cura dei disabili e dei non autosufficienti. Non bisogna dimenticare poi che il 48% dei bambini della scuole materne fruisce del servizio di qualità offerto dagli istituti paritari cattolici.

Pier Luigi Fornari

 

 

18 Agosto 2010

I CONTI DEL PAESE

Federalismo: per le Regioni

una miscela di Iva e di Irap

Compleanno con federalismo. È quello che si celebrerà oggi a Lorenzago di Cadore dove, come negli ultimi anni, Giulio Tremonti festeggerà il compleanno (sono 63) assieme al tandem leghista formato da Umberto Bossi e Roberto Calderoli. Già ieri sera il leader lumbard si è trasferito dalla "sua" Ponte di Legno. Brindisi e torta per il ministro dell’Economia sono d’obbligo. Ma le pratiche di governo incombono. Fra le montagne del Cadore potrebbe decidersi come saranno finanziate le Regioni nell’era post-federalista: l’ipotesi che filtra è che sia loro destinato un mix di Iva e Irap (quest’ultima, che già oggi va alle Regioni, "cambierà, ma non dico come", ha detto ieri Calderoli a Calalzo), più incerto è invece se destinare una quota di Irpef.

Già il giorno di Ferragosto il ministro della Semplificazione ha portato a Bossi gli ultimi due decreti attuativi della delega sul federalismo, quelli che riguardano appunto le Regioni e le Province. Noncuranti delle avvisaglie di crisi che offuscano il futuro della maggioranza, dunque, i leghisti e il loro "tutore" Tremonti procedono come niente fosse sulla strada della riforma federalista. È un ottimismo contagiato, dalla Sardegna, dal premier Berlusconi che confida ai suoi di ritenere possibile, dopo gli ultimi dati, che la crescita dell’economia possa anche arrivare quest’anno "fino all’1,2-1,5%", contro quell’1,1% indicato nelle ultime stime governative.

Alla vigilia dell’incontro odierno, è stato Calderoli a fare il punto della situazione, in attesa della ripresa parlamentare di metà settembre. "I Comuni hanno capito – ha spiegato – che dall’emersione degli "immobili-fantasma" e dalla cedolare secca sugli affitti trarranno lo strumento per superare quello che perdono con la manovra". Adesso bisogna completare quel progetto: "Abbiamo cercato di accelerare il cammino dei decreti legislativi e abbiamo rispettato i tempi per i Comuni – ha proseguito il ministro –, ora dobbiamo rispettarli anche per le Province e per le Regioni anche perché rappresentano uno strumento rispetto alle situazioni di difficoltà che vengono dalla crisi".

Per i principali tributi si attende pertanto un sostanziale ridisegno. Calderoli ha osservato al riguardo che l’Iva "è una tassa "fredda", oggi stabilita dall’Istat, in futuro potrebbero incassarla direttamente i territori". Mentre l’Irap "è l’odioso balzello inventato dai comunisti" e che "continua a essere odioso e comunista". Infine una rassicurazione per chi continua ad accusare la Lega di nutrire propositi divisori del Paese: "Abbiamo scelto il federalismo anziché la secessione", ha chiuso Calderoli.

A "guastare" la festa di compleanno del ministro Tremonti interviene però, a nome del Pd, il responsabile economico Stefano Fassina. "Sarebbe utile – ha dichiarato – che Bossi e il ministro dell’Economia si decidessero a inquadrare gli interventi per l’autonomia fiscale degli enti territoriale in un disegno coerente di riforma fiscale generale, per ridurre le tasse sui lavoratori e le piccole imprese. Altrimenti, per le Regioni si ripeterà lo sgangherato e penalizzante intervento realizzato per i Comuni".

Eugenio Fatigante

 

 

 

2010-08-17

17 agosto 2010

LE ISTITUZIONI E LA CRISI

Napolitano: tradisco la Carta?

Chiedano l'impeachment

Ferragosto di fuoco per il Colle. Dopo le polemiche scatenate nei giorni scorsi dall’intervista all’Unità, domenica Giorgio Napolitano ha letto con disappunto un’intervista a il Giornale, in cui il vicepresidente dei deputati Pdl Maurizio Bianconi lo accusava di stare "tradendo la Costituzione". Se è così, si avvii la procedura di "impeachment", ribatte in modo piccato il Quirinale.

Il concetto viene espresso in una durissima nota nella quale si definiscono quelle affermazioni "avventate e gravi", e si invita il parlamentare, "essendo questa materia regolata dalla stessa Carta (di cui l’onorevole Bianconi è di certo attento conoscitore)", - "se egli fosse convinto delle sue ragioni" - a esercitare il "dovere di assumere iniziative ai sensi dell’articolo 90 e relative norme di attuazione". È l’articolo che regola la messa sotto accusa del Capo dello Stato. Altrimenti quelle di Bianconi "resteranno solo gratuite insinuazioni e indebite pressioni, al pari di altre interpretazioni arbitrarie delle posizioni del presidente della Repubblica e di conseguenti processi alle intenzioni".

Proprio le tre parole finali spiegano gli strali presidenziali. Le parole di Bianconi sono, infatti, solo il cerino che fa esplodere il barile caricato a benzina in questi giorni di reazioni veementi alle parole del Colle. Nell’intervista al quotidiano fondato da Antonio Gramsci auspicava che non ci fosse "vuoto politico" e invitava a non "delegittimare" il presidente di un ramo del Parlamento (trasparente richiamo agli attacchi del Pdl verso Fini). Con seguito sul Corriere della sera: non esistono governi tecnici ma solo politici. E spetta a lui verificare se ne sussistono le condizioni in Parlamento.

Tutt’altra musica rispetto a quella suonata dal Pdl con il coro "o Berlusconi o il voto". Ieri ancora Fabrizio Cicchitto - che pure smorzava i toni della polemica di Bianconi e garantiva "massimo rispetto" al Colle - indicava l’obiettivo di proseguire con il governo, ottenendo il sostegno del Parlamento su quattro punti qualificanti. In caso contrario "riteniamo che si debba andare al voto e non si debba dar vita a governi tecnici o di transizione". Linea ribadita anche da un esponente del governo come Altero Matteoli.

All’attacco, invece, i finiani e le opposizioni. "Accusare in via preventiva il presidente della Repubblica di voler favorire governi alternativi a quello in carica è un tentativo di intimorire", sottolinea Italo Bocchino (Fli). Accuse di puntare allo sfascio istituzionale arrivano da Pd e Idv. I "continui attacchi" del Pdl a Napolitano sono "inaccettabili e devono finire", sottolinea Anna Finocchiaro, presidente dei senatori democratici. Lorenzo Cesa (Udc) invita Berlusconi a "far tacere le voci irresponsabili che si levano dal suo partito". Un invito ai moderati del Pdl a "prendere le distanze da comportamenti del genere" arriva anche da Giuseppe Fioroni (Pd).

Gianni Santamaria

 

 

 

17 agosto 2010

L'altro editoriale

E adesso si fermino le cannonate d'agosto

Non esiste autentico rispetto della volontà dei cittadini-elettori senza profondo e consapevole rispetto per i ruoli e le funzioni di garanzia assegnati alle Istituzioni repubblicane. Questo è il saggio equilibrio democratico che i padri costituenti seppero costruire all’indomani della dittatura e della guerra e che poi – in particolare negli anni di quella troppo lunga transizione che continuiamo a chiamare Seconda Repubblica – nessuna evoluzione-manomissione è riuscita a cancellare.

I poteri istituzionali non sono, naturalmente, uno "strumento" affidato all’arbitraria discrezionalità del detentore di turno sulle cui spalle grava, anzi, il dovere di un esemplare esercizio del rigore e della responsabilità, ma proprio per questo non possono e non devono essere neanche trasformati nel bersaglio di smodate campagne di pressione, di sulfuree intemerate accusatorie e di continui tentativi di delegittimazione. Purtroppo – dopo l’uscita dei finiani dal partito di maggioranza relativa e il conseguente e definitivo conclamarsi della crisi del bipartitismo forzoso Pdl-Pd – è, invece, questa l’irrespirabile aria nella quale siamo immersi. E il polverone sta facendo perdere lucidità a più di un politico (anche di opposizione, ma soprattutto di maggioranza). È di questo passo, però, che davvero si rischia di "tradire" la Costituzione, mortificando il Paese e le sue giuste attese.

Inevitabile e appropriata nella sua misurata fermezza è apparsa, perciò, la reazione giunta ieri dal Quirinale nei confronti di chi – un deputato del Pdl – era addirittura arrivato ad accusare il presidente Napolitano di "tradimento" costituzionale per aver dato voce a preoccupazioni ampiamente sentite, richiamato i suoi propri doveri e ricordato in modo severo e appassionato quelli dell’intera classe dirigente verso la comunità nazionale.

Non sappiamo ancora se la crisi politica nella quale siamo indubitabilmente immersi sfocerà in una crisi di governo e di legislatura proprio nel momento in cui di più servirebbe una salda e chiara capacità di direzione per affrontare passaggi cruciali nella difficile risalita della china della crisi economica. Ma sappiamo che alle crisi politica ed economica (certe e da risolvere) nonché alla crisi di governo (possibile e non auspicabile), non si può assolutamente aggiungere anche una quarta crisi, di natura istituzionale.

Chi ha responsabilità politica smetta, dunque, di farsi usare nell’irresponsabile gioco delle cannonate d’agosto che ha cultori scriteriati e recidivi. Sembrano fuochi d’artificio, ma fanno a pezzi ciò che vale

Marco Tarquinio

 

 

 

17 agosto 2010

LE ISTITUZIONI E LA CRISI

"Ma guai a negare la volontà popolare"

"Non perdiamo tempo in discussione astratte. Non ci sarà nessun atto estremo di incoerenza dei finiani e dunque non ci sarà nessun dibattito su un eventuale esecutivo tecnico. Ma comunque un altro punto mi appare fermo: Giorgio Napolitano non farebbe mai nascere governi che non siano rispettosi della volontà popolare". Maurizio Gasparri, presidente dei senatori del Pdl, sospira e sorride: "Non c’è nessuno spazio. Nessuno. Sarebbe come ipotizzare che ad agosto a Roma la temperatura possa salire fino a 52 gradi".

Sarà ma il capo dello Stato in un’intervista a l’Unità...

Tutti ci siamo meravigliati sul perché di quell’intervista, poi abbiamo capito: era un atto di cortesia, soltanto un atto di cortesia. Napolitano è un credibile garante delle regole democratiche e del principio di sovranità popolare.

Ha letto la nota del Colle contro l’intervista dell’onorevole Bianconi? L’inquilino del Quirinale dice basta a pressioni indebite...

Francamente non ho capito quella nota e non vorrei che fosse stata solo un pretesto... La verità, comunque, è una sola: tutta la maggioranza rispetta il capo dello Stato, ma tutta la maggioranza sa che in caso di crisi c’è una sola strada possibile. C’è il ritorno alle urne perché siamo in una Repubblica che si fonda sul voto dei cittadini.

Proviamo a valutare la variabile impossibile, a immaginare che si faccia un tentativo per un governo istituzionale.

Sarebbe una sciagurata forzatura contro il principio della sovranità popolare. Un principio che vale anche per il capo dello Stato che è stato eletto da un Parlamento eletto dai cittadini.

Insisto: se si dovesse tentare...

La nostra protesta in Parlamento sarebbe decisa e totale: regolamenti alla mano non permetteremmo che si muova nulla. Ma non finirebbe così. Anche nel Paese ci sarebbe un’inevitabile sollevazione. Una protesta composta, ma ferma. La gente che ha votato Pdl non potrebbe mai accettare una sottrazione del suo potere di decisione.

È una minaccia?

E perché minaccia? Io non contesto il diritto degli altri di andare al governo, contesto il diritto di andarci senza passare dalle elezioni. E di fronte a questa eventualità il Paese avrebbe tutto il diritto di farsi sentire. O forse qualcuno immagina una limitazione dei nostri diritti? Sarebbe grave, assurdo: questi sono diritti costituzionali. E poi...

E poi?

E poi ci siamo lamentati per anni dell’instabilità, per anni abbiamo denunciato i limiti dei governi balneari e ora che abbiamo conquistato una democrazia dove il peso dei cittadini è maggiore... Il vero problema è che la Costituzione non ha ancora registrato il cambiamento.

A questo punto vede il rischio di una crisi istituzionale?

A luglio andai a fare visita al capo dello Stato. Fu un incontro di mezz’ora, l’occasione per fare il punto. Alla fine informai Napolitano che sul Csm avremmo fatto il nome di Annibale Marini. Una novità su cui non avevo ancora informato Berlusconi.

Perché questo episodio?

Per spiegare che noi del Colle ci fidiamo. E che quel rapporto di fiducia non si è incrinato nemmeno quando Napolitano è entrato nel dibattito politico dando giudizi di merito su leggi che erano in discussione in Parlamento.

Le intercettazioni?

Già ed è per questo che dico: l’intervista di ferragosto di Bianconi non andava sopravvalutata. Bianconi è un uomo di partito come era un uomo di partito l’attuale capo dello Stato quando il Pci aggrediva Giovanni Leone e Francesco Cossiga. Vado a memoria, ma non ricordo voci dissonanti. Nemmeno quella di Giorgio Napolitano.

Arturo Celletti

 

 

 

2010-08-16

16 agosto 2010

CRISI DELLA POLITICA

Napolitano: tradisco la Carta?

Chiedano l'impeachment

Giorgio Napolitano risponde alle critiche del Pdl, e in una nota pone un aut aut: se il Pdl crede che io tradisca la Costituzione chieda l'impeachment, altrimenti ponga fine a indebite pressioni. Questo, in sintesi, il tono della nota divulgata oggi dal Quirinale con cui il presidente della Repubblica difende il proprio operato. A scatenare il dibattito, un'intervista al vicepresidente dei deputati Pdl, Maurizio Bianconi, pubblicata il 15 agosto su "Il Giornale". La nota del Quirinale parla di "affermazioni avventate e gravi" nelle quali si sostiene che "il Presidente Napolitano "sta tradendo la Costituzione"".

"Essendo questa materia regolata dalla stessa Carta (di cui l'on. Bianconi è di certo attento conoscitore), se egli fosse convinto delle sue ragioni avrebbe il dovere di assumere iniziative ai sensi dell'articolo 90 e relative norme di attuazione. Altrimenti le sue resteranno solo gratuite insinuazioni e indebite pressioni, al pari di altre interpretazioni arbitrarie delle posizioni del Presidente della Repubblica e di conseguenti processi alle intenzioni", prosegue la nota.

Dopo il divorzio politico tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, che ha tolto al governo una maggioranza certa alla Camera, dalla coalizione di governo si sono levate più voci a favore di un ritorno anticipato alle urne e contro governi tecnici sostenuti da maggioranze diverse da quella uscita vincitrice dalle elezioni del 2008.

In un'intervista concessa a "L'Unità" la settimana scorsa, Napolitano aveva espresso il timore che l'economia italiana possa risentire negativamente del vuoto politico che si creerebbe in caso di elezioni anticipate. E a proposito di eventuali governi di transizione ha osservato che nessun governo è tecnico ma politico perchè votato da Parlamento.

Il presidente della Repubblica ha anche sollecitato la fine degli attacchi al presidente della Camera, accusato, tra l'altro, da Il Giornale del fratello di Berlusconi di aver mentito sulla vendita di una casa a Montecarlo, ex proprietà di Alleanza nazionale, di cui risulta ora affittuario il cognato Giancarlo Tulliani.

Napolitano aveva parlato di una "campagna gravemente destabilizzante sul piano istituzionale" e "volta a delegittimare il Presidente di una ramo del parlamento e la stessa funzione essenziale che egli è chiamato ad assolvere per la continuità dell'attività legislativa". In una nota, il Pd chiede al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi e al centrodestra di sconfessare Bianconi "per le insensate parole espresse nei confronti del capo dello Stato" paventando il rischio di "uno scontro istituzionale gravissimo i cui esiti saranno certamente nefasti per il nostro Paese".

Il portavoce del Pdl, Daniele Capezzone, replica che "nessuno dubita della correttezza passata, presente e futura del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano" ma precisa che "non sarebbe accettabile l'idea di governi cosiddetti "tecnici" o "istituzionali" che dovessero ribaltare o comunque mettere tra parentesi gli esiti elettorali del 2008, peraltro confermati nel 2009 e nel 2010".

In serata lo stesso Bianconi ha replicato a Napolitano. L'esponente del Pdl ammette che le parole "tradire" e "tradimento" sono frutto "dello sbrigativo linguaggio giornalistico", ma aggiunge che la sostanza del concetto da lui espresso non cambia: "La nuova prassi costituzionale non consente la costituzione di governi che godono di una maggioranza parlamentare ma non popolare".

 

 

 

16 agosto 2010

POLITICA IN FERMENTO

Berlusconi prepara

il vertice del Pdl

Silvio Berlusconi ha deciso di passare qualche giorno in Sardegna attorniato da figli e nipoti nella residenza di Villa Certosa, dove è arrivato alla vigilia di Ferragosto. Poche le uscite pubbliche, come l'altra sera a Porto Rotondo quando ha rassicurato alcuni sostenitori e il deputato del Pdl Osvaldo Napoli dicendo che "a settembre tutto andrà a posto".

Chi ha avuto modo di parlare con il presidente del Consiglio, riferisce che Berlusconi è convinto dell'impossibilità di un accordo politico con Gianfranco Fini. Da qui la decisione di provare a dividere i finiani in modo che qualcuno di loro possa tornare sui propri passi e dare al governo i numeri per continuare il suo cammino.

Di tutto questo si discuterà in un vertice del Pdl convocato a Roma venerdì 20 agosto a cui parteciperanno anche tutti i ministri del partito. Berlusconi dovrebbe proporre in quella sede di evitare incontri ufficiali con i finiani. L'alternativa resta quella di preparare un documento programmatico con il quale il premier ha intenzione di presentarsi in Parlamento alla riapertura delle Camere.

L'obiettivo è chiedere una rinnovata fiducia su precisi punti programmatici (giustizia, federalismo, fisco, Sud). Se Berlusconi non fosse confortato dai numeri, il Pdl chiederebbe ufficialmente le elezioni anticipate.

L'alternativa conferma della maggioranza o scioglimento delle Camere non convince il Pd. Nicola Latorre, vicepresidente dei senatori democratici, ribadisce che ciò che può accadere in caso di crisi di governo "lo decide il Parlamento e solo il Parlamento".

L'ipotesi di un "governo tecnico" che si poggiasse su un'altra maggioranza subirebbe però la netta opposizione di Pdl e Lega che hanno minacciato in tale eventualità di mobilitare i loro militanti. Un governo tecnico sarebbe un ribaltone e violerebbe la Costituzione, hanno ribadito ieri a Palermo - dove hanno presieduto il Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica - i ministri Angelino Alfano e Roberto Maroni.

"Qualsiasi ipotesi secondo cui chi ha vinto le elezioni fa l'opposizione e chi le ha perse fa il governo viola l'articolo 1 della Costituzione", ha detto il guardasigilli. E Maroni ha confermato che ha a suo parere "le elezioni si possono fare in qualunque momento dell'anno". Da Alfano è venuta la conferma della strategia a cui sta lavorando Berlusconi: "Alla ripresa, sottoporremo alla maggioranza alcuni punti programmatici in base ai quali si verificherà se esiste o meno una maggioranza in grado di governare".

Il ministro degli Interni si è detto intanto d'accordo con quanto dichiarato da Pier Ferdinando Casini, leader dell'Udc: "Non può nascere un governo contro una parte del Paese. La Lega non è disponibile a un governo diverso da quello esistente".

IL BILANCIO DELLA LOTTA ALLA MALAVITA

Maroni ha pure illustrato i risultati raggiunti dal governo Berlusconi contro mafia e criminalità: "Sono stati catturati otto mafiosi al giorno e un superlatitante al mese. Tra il maggio 2008 e il 31 luglio 2010 sono stati 6.433 i mafiosi catturati. E sono stati sottratti alle cosche 32.799 beni per 15 miliardi di euro".

"Per la prima volta - ha sottolineato il ministro degli Interni - abbiamo organizzato fuori Roma la tradizionale riunione del Comitato per la sicurezza pubblica e la scelta di Palermo ha un valore simbolico per evidenziare l'importanza che il governo annette alla lotta alla criminalità organizzata e per illustrare i risultati assolutamente lusinghieri raggiunti in questi due ultimi anni".

Maroni ha aggiunto che "ammonta a 2,2 miliardi di euro la consistenza del Fondo unico giustizia alimentato dai depositi bancari e postali sequestrati alla criminalità organizzata, ci auguriamo che entro fine anno queste risorse vengano distribuite ai ministeri di Interno e Giustizia per compensare i tagli determinati dalla manovra finanziaria".

Il ministro degli Interni ha illustrato anche i risultati raggiunti contro l'immigrazione clandestina: "Dal primo agosto 2009 al 31 luglio di quest'anno sono sbarcate in Italia 3.499 persone, con un calo dell'88% rispetto alle 29mila del periodo 1 agosto 2008-31 luglio 2009. L'accordo con la Libia funziona molto bene ed intendiamo applicare intese simili anche con altri paesi come la Turchia".

Sul tema della lotta alla mafia c'è da registrare una dichiarazione di Umberto Bossi: "Ho dato la concessione per aprire una sede della Lega in Calabria e due giorni dopo c'era uno della 'ndrangheta. Si infiltrano da tutte le parti, anche in politica ma non nella Lega. Io li tengo fuori dalla porta". Il leader del Carroccio, concludendo la tradizionale festa leghista di Ferragosto a Ponte di Legno, ha ribadito il no a governi tecnici: "Sono come l'anguria: verdi fuori e rossi dentro".

 

 

 

2010-08-14

14 agosto 2010

INCHIESTA P3

Bankitalia: irregolarità

nella banca guidata da Verdini

Gravi carenze degli organi aziendali, con accentramento dei poteri nelle mani dell'allora presidente Denis Verdini, coordinatore nazionale del Pdl; potenziale conflitto di interesse dello stesso Verdini con la Banca per affidamenti per oltre 60 milioni di euro; impieghi spesso a rischio, concentrati su grandi clienti, in contrasto con gli obiettivi mutualistici dell'istituto.

Sono queste le linee essenziali della delibera 553 del 20 luglio scorso della Banca d'Italia, che porta la firma del Governatore Mario Draghi inviata al ministro dell'Economia Giulio Tremonti e alla segreteria del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (Cicr), con la quale è stata proposta, e poi disposta con decreto del 27 luglio dello stesso Tremonti, l'amministrazione straordinaria del Credito cooperativo fiorentino (Ccf), la banca finita anche nell'inchiesta sulla cosiddetta P3.

La Banca d'Italia ha anche evidenziato scarsa istruttoria per finanziamenti talvolta con finalità sospette; e tardiva applicazione delle norme antiriciclaggio. Ciononostante, il patrimonio del Credito fiorentino è risultato ancora sufficiente, anche se con l'eccedenza in progressiva erosione.

Gli accertamenti ispettivi condotti dal 25 febbraio al 21 maggio scorsi hanno evidenziato un esecutivo della banca "scarsamente autorevole" e un collegio sindacale "privo di sufficiente indipendenza". Il governo societario è risultato "totalmente accentrato" nelle mani del presidente Denis Verdini.

Indagato in diverse sedi giudiziarie in relazioni a ipotesi di corruzione e riciclaggio, Verdini, sempre secondo Bankitalia, "ha omesso di fornire piena informativa, ai sensi dell'articolo 2391 del Codice civile, circa la sussistenza di propri interessi potenzialmente in conflitto con quelli della banca, per affidamenti complessivamente ammontanti a euro 60,5 milioni", riconducibili ad iniziative editoriali e immobiliari.

Sono diverse le anomalie e le irregolarità rilevate dagli 007 della Vigilanza. Sono stati giudicati "inadeguati" l'esame preventivo e la successiva gestione dei finanziamenti (uno dei quali ad una società facente capo a Verdini) accordati per preliminari di acquisto di immobili o di partecipazioni, la cui compravendita non è stata poi perfezionata. Inoltre - secondo gli ispettori - sono stati accordati fidi, per quasi sei milioni di euro, non assistiti da garanzia, a soggetti legati da rapporti di lavoro o di affari con la Bpt (riconducibile al gruppo Fusi-Bartolomei) per finanziare un'operazione sospetta di acquisto di appartamenti da una società controllata dalla stessa Bpt.

Infine, sono stati concessi finanziamenti ad alcune cooperative edilizie, di fatto utilizzati, attraverso articolati trasferimenti finanziari, per favorire il rientro di una società affidata dall'istituto fiorentino e in stato di difficoltà.

Per quanto esistesse una elaborazione trimestrale in materia antiriciclaggio, al Credito fiorentino le procedure corrette - secondo Bankitalia - sono state di fatto avviate "solo agli inizi del 2010. Prive di approfondimento - scrive l'Istituto di Vigilanza - sono rimaste talune operazioni volte ad effettuare, con modalità anomale e in assenza di registrazioni nell'Archivio Unico Informatico, il trasferimento di un importo di 500mila euro in favore di due clienti classificati a sofferenza", uno dei quali sottoposto aindagini per riciclaggio.

Inoltre, "solo nel corso degli accertamenti ispettivi" e in seguito all'avvio di indagini giudiziarie, il Credito cooperativo fiorentino "ha provveduto a segnalare i versamenti per complessivi 800mila euro in favore di una delle società editoriali riconducibili al dott. Verdini, effettuati nel periodo giugno-dicembre 2009 da soggetti non conosciuti, interessati in iniziative economiche di dimensioni modeste o da tempo cessate".

Verdini, interrogato dai pm di Roma e durante una conferenza stampa, ha sostenuto che quel versamento di 800mila euro rientrava in un'operazione da 2,6 milioni di aumento di capitale del Giornale della Toscana.

Nonostante dall'ispezione sia emerso "un grave deterioramento della qualità del portafoglio crediti", il patrimonio del Credito cooperativo fiorentino è risultato "ancora sufficiente a garantire i requisiti prudenziali minimi", anche se si registra una "progressiva erosione dell'eccedenza, dovuta alle perdite registrate sugli impieghi e alla costante crescita dell'attivo a rischio".

Tale eccedenza è stata valutata dagli ispettori di Bankitalia di "soli 2,9 milioni di euro". Non la situazione patrimoniale, dunque, ha indotto Bankitalia a chiedere il commissariamento del Credito cooperativo fiorentino, ma la gravità delle violazioni normative e delle irregolarità, che hanno determinato un "progressivo deterioramento dei profili tecnici della banca, compromettendone la capacità reddituale e riducendone i margini patrimoniali, a fronte dei livelli crescenti di rischiosità dell'attività condotta".

LA DIFESA DI VERDINI

"In merito alle notizie di agenzia sulle contestazioni di Bankitalia dopo l'ispezione al Ccf", scrive l'ex presidente del Credito cooperativo fiorentino, "rilevo che si tratta dell'inizio di un provvedimento

amministrativo al quale risponderò puntualmente e adeguatamente nei termini previsti dalla legge".

Dopo aver negato l'esistenza di un "potenziale conflitto di interessi", Verdini sottolinea come nella "delibera degli ispettori non vi sia traccia alcuna delle infamanti ipotesi uscite sulla stampa nei mesi scorsi, tese a individuare nel Ccf un crocevia di tangenti e di malaffare".

"Come ho già spiegato ai magistrati - conclude il coordinatore del Pdl -, da tempo non ho rapporti in società operative con l'imprenditore Riccardo Fusi, e i crediti erogati alla Btp sono sempre stati pienamente garantiti. Respingo dunque con fermezza sia le contestazioni sul conflitto d'interessi che quelle relative ad inesistenti operazioni anomale".

 

 

 

14 agosto 2010

LOTTA ALLA MAFIA

Confiscati beni per 800 milioni

al "re" della sanità siciliana

I carabinieri del comando provinciale di Palermo hanno notificato all'ex manager della sanità privata Michele Aiello un provvedimento di confisca dei beni del valore di 800 milioni di euro. L'imprenditore sconta una condanna a 15 anni e sei mesi per associazione mafiosa, corruzione continuata e truffa aggravata. La misura patrimoniale, già resa nota la scorsa settimana e oggi comunicata ad Aiello, è stata disposta dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo.

Aiello, coinvolto nella stessa inchiesta che ha portato alla condanna per favoreggiamento aggravato dell'ex governatore siciliano Salvatore Cuffaro, è ritenuto strettamente legato al boss Bernardo Provenzano. Secondo gli inquirenti, avrebbe potuto contare in tutto l'arco della sua attività imprenditoriale, nata nel settore edile e poi ampliatasi in quello della sanità, su una sostanziale situazione di monopolio assicurata dall'appoggio dei vertici di Cosa nostra, che avrebbe anche investito ingenti somme di denaro nelle sue aziende.

Il provvedimento, nato dagli accertamenti patrimoniali del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo, riguarda il polo oncologico di eccellenza "Villa Santa Teresa", a Bagheria (Pa); otto imprese edili e sei imprese del settore sanitario. Sequestrate poi la società che gestisce la squadra di calcio di Bagheria (Pa); la "Servizi & Sistemi s.r.l.", operante nel settore informatico; due stabilimenti industriali di circa 6.000 metri quadrati; un impianto di calcestruzzi; quattro edifici adibiti ad uffici; 14 appartamenti a Bagheria e tre ville ad Aspra, Santa Flavia e Ficarazzi (Pa).

E ancora il provvedimento riguarda 22 magazzini; 22 terreni edificabili, 24 auto; 22 veicoli industriali; 2 imbarcazioni da diporto; 145 rapporti bancari per 250 milioni di euro in contanti e due polizze vita. I giudici hanno anche disposto, a carico del manager, l'applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per due anni e sei mesi. I beni, sino ad oggi in amministrazione giudiziaria, sono stati messi a disposizione dell'Agenzia nazionale per

l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, che ne stabilirà la destinazione. Sono circa 400 i lavoratori che operano nelle imprese sanitarie, edili e amministrative di Aiello.

 

 

 

14 agosto 2010

IL PALAZZO E IL PAESE

Pdl, gelo con il Colle: "Pronti alla piazza"

Forte è stato l’impatto sull’attuale stallo politico delle interviste - di segno in parte diverso - rilasciate dal capo dello Stato Giorgio Napolitano e dal presidente del Senato Renato Schifani. La prima che frena chi vuole correre alle urne dimenticando che - Carta alla mano - occorre prima passare per il Quirinale. La seconda che si appella alla "costituzione materiale" e avverte: "O Berlusconi o voto". Letti i giornali, le truppe si dispongono sul campo di battaglia. Il Pdl sostiene al gran completo la tesi della seconda carica dello Stato, e con Fabrizio Cicchitto fa balenare - due volte lungo la giornata - il ricorso alla piazza: "I governi tecnici sono manovre di Palazzo, Pdl e Lega non possono essere messi all’opposizione, nel caso sarebbe legittimo sviluppare le più incisive manifestazioni politiche, in Parlamento e nel Paese". Il Pd, con il segretario Bersani in prima linea, si pone a difesa del Colle: "Berlusconi dovrà rispettare la Costituzione, le loro minacce non impressionano nessuno".

Poi, al termine di una giornata già calda, irrompe nel dibattito anche Umberto Bossi: "Andare alle elezioni è naturale quando il governo non funziona più, un "vuoto di governo" – dice riferendosi alle parole del presidente – può essere anche un esecutivo spaccato che non riesce a combinare niente". D’altra parte, prosegue, "è impossibile andare avanti con questo caos nella maggioranza", e al Quirinale preoccupato di possibili ripercussioni economiche fa notare che "questo è il momento meno pericoloso per andare alle urne". Infine la chiosa: "Napolitano non farebbe mai nulla contro la volontà popolare".

Dalla parte del Colle ci sono i finiani, soprattutto per quella porzione d’intervista in cui invita a interrompere l’attacco al presidente della Camera. Ma l’asse lungo pro-Quirinale che va da Fini alla sinistra si interrompe con i distinguo di Di Pietro: "Ha detto una cosa giusta, ma la sua è un’entrata a gamba tesa" (l’ex pm, con la sua uscita, ha indispettito non poco i moderati del Pd). Previdibile "l’ampia condivisione" di Lorenzo Cesa, segretario Udc: i centristi sollecitano da tempo un esecutivo di "responsabilità nazionale".

Nel complesso, il Pdl non cede alla tentazione dello scontro frontale con il Colle, ma nota su nota elogia "il realismo, la moderazione, la saggezza" di Schifani. Prendono la parola i ministri Frattini - che aveva già anticipato le idee del presidente del Senato -, Brunetta, Alfano, Sacconi, Rotondi. C’è chi come il coordinatore Sandro Bondi e Maurizio Gasparri mostra più diplomazia, ma il finale è sempre lo stesso: "Meglio il voto che la paralisi". Intervengono Quagliariello, Capezzone, Lupi, e il punto è chiaro: ormai c’è una "prassi democratica" che impone di lasciare la parola ai cittadini, a meno che i finiani non restino nell’attuale governo. Di esecutivi tecnici neanche a parlarne. Non mancano accenti più polemici con il Quirinale, specie quando si mette a confronto lo "scudo" concesso a Fini con il silenzio sugli attacchi al premier, oppure facendo notare la "sede" dell’intervista, il quotidiano l’Unità.

L’idea di scavalcare il capo dello Stato invocando le urne scatena il Pd: "È un pensiero para-costituzionale – attacca Bersani –. Per loro il consenso è come un plebiscito, la Carta un involucro formale". Il segretario stigmatizza le parole di Schifani e l’uscita di Cicchitto sulla "piazza", poi punta dritto al cavaliere: "La Costituzione di Arcore ancora non c’è, volente o nolente rispetterà quella su cui ha giurato". Parole simili vengono da Rosy Bindi, Marino, Fassino e dagli uomini vicini a Letta.

Marco Iasevoli

 

 

 

 

2010-08-13

13 Agosto 2010

POLITICA

Pdl, nuovo scontro con i finiani

"Meglio il voto che la paralisi"

E durata meno di ventiquattro ore la flebile tregua tra il Popolo della Libertà e i parlamentari vicini a Gianfranco Fini. Ad alimentare lo scontro ci pensano il Giornale di Vittorio Feltri, gli editoriali di FareFuturo (fondazione presieduta dall'ex leader di An) ma anche le parole del Capo dello Stato Giorgio Napolitano e del presidente del Senato Renato Schifani.

La divisione è netta. Gli esponenti di Futuro e Libertà citano l'intervista del Capo dello Stato sull'Unità così come la preoccupazione di Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, per invitare gli ex colleghi di partito ad abbassare i toni dello scontro: "Tutti dovrebbero riflettere sulle parole del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano", dicono all'unisono Italo Bocchino, Silvano Moffa e Pasquale Viespoli che puntano il dito contro alcuni ex colleghi di partito colpevoli di voler sabotare la maggioranza attraverso gli attacchi al presidente della Camera e di portare il paese verso una crisi al buio: "Poichè ad alimentare questa irresponsabile campagna sono alcuni esponenti del Pdl e del governo oltre che il continuo delirio calunniatorio del giornale della famiglia Berlusconi è facile capire chi gioca allo sfascio".

Il monito di Napolitano scatena qualche reazione anche nelle file del Pdl che guardano al voto anticipato, se non come ad un'opportunità, almeno come al male minore: meglio le urne - è la parola d'ordine di oggi - che la paralisi. Maurizio Gasparri, capogruppo del Popolo della Libertà al Senato apprezza "il tono misurato" del presidente della Repubblica, ma ci tiene a fare una precisazione: "il Quirinale sa che chi ha vinto le elezioni non può essere messo all'opposizione con giochi di Palazzo. Quindi o va avanti il governo Berlusconi o si vota. Su questo non ci sono dubbi".

Insomma, la strategia del Popolo della Libertà è chiara. Come ripetuto dal premier già diverse volte: se a settembre si verifica che il governo non ha più i numeri per andare avanti, l'unica alternativa solo le elezioni anticipate. Da Arcore dove il Cavaliere si trova da quasi una settimana (domani sarà in Sardegna per trascorrere il ferragosto) l'intervista di Giorgio Napolitano non è certo passata inosservata. Ufficialmente il premier non parla lasciando che a fare le dovute puntualizzazioni siano i suoi fedelissimi. Tant'è che Fabrizio Cicchitto non manca di sottolineare come l'intervista del Capo

dello Stato sia "su un giornale di partito". In più il capogruppo del Pdl alla Camera di fronte all'ipotesi di governi tecnici avverte: "Qualora decollassero operazioni di questo tipo, sarebbe legittimo sviluppare le più incisive manifestazioni politiche, in Parlamento e nel Paese". Insomma: Pdl e Lega non andranno all'opposizione, ma semmai in piazza. Pochi commenti alle parole del presidente della Repubblica, è dunque la linea, mentre coro unanime di consensi all'intervista del presidente del Senato Renato Schifani. La seconda carica dello Stato invita a mettere fine "al conflitto politico-istituzionale" e sugli scenari in caso di fine anticipata della legislatura è chiaro: se l'esecutivo non

è in grado di andare avanti l'unica alternativa sono le urne. No secco dunque ad un governo tecnico "retto peraltro da chi ha perso le elezioni".

Parole, quelle di Schifani, che il Pdl gira agli esponenti di Fli: "Mi auguro che gli amici finiani accettino senza remore questa strada che è l'unica che i cittadini si aspettano da noi", dice Maurizio Lupi. Plaude anche il ministro della Giustizia Angelino Alfano augurandosi "la maggioranza possa ricompattarsi ritrovando lo spirito e le ragioni che ci portarono alla vittoria elettorale del 2008".

L'intervista della seconda carica dello Stato però non piace al Finiano Carmelo Briguglio che bolla Schifani come "un politico di parte. In un momento così delicato - attacca ancora - avrebbe fatto meglio a chiudersi in un dignitoso silenzio

 

 

 

13 Agosto 2010

CENTROSINISTRA INQUIETO

Pd: "Pronti alle elezioni"

Ma resta il nodo primarie

Il fragile filo che tiene ancora legati Pdl e finiani costringe l’opposizione a frenare su scenari e prospettive. L’opzione fondamentale resta - con distinguo circa la mission, la durata e la guida - un governo di transizione per cambiare la legge elettorale. Ma l’ombra del voto continua ad alimentare nel Pd il dibattito sui soliti nodi: primarie o meno, il profilo del leader, l’ampiezza della coalizione. Ieri, gli interventi autorevoli di Piero Fassino e Rosy Bindi hanno stoppato nuovamente la candidatura a premier di Nichi Vendola: "È figlia dell’impazienza", spegne il fuoco l’ex segretario dei Ds in un’intervista a l’Espresso. "Non può essere lui a fare una sintesi tra le diverse componenti del centrosinistra", conferma il presidente dei democratici in una festa a Siena. Quanto all’esecutivo-ponte, resta a denti stretti il "si" di Antonio Di Pietro, che anche ieri ha ribadito di crederci poco ("sono disposto ad andare a votare subito, è l’unico modo per liberarsi del modello piduista che è al governo"), e per di più condiziona l’accordo a richieste (mettere mano al pluralismo informativo e al conflitto d’interesse) che potrebbero arenare il progetto. Al centro, invece, l’Udc e l’Api Rutelli respingono le "forzature" e il "terrorismo" sul voto anticipato, rilanciando gli appelli ad unire le forze.

Fassino e Bindi danno al loro ragionamento lo stesso input: "Non abbiamo paura del voto, anche se fosse a ottobre". Una precisazione dovuta, date le ricostruzioni dei giornali che mostrano un Pd preoccupato dalle urne. Tuttavia, prosegue l’ex segretario, "sarebbe più ragionevole andarci con una nuova legge elettorale". Il punto è che l’elettorato di sinistra è "impaziente" e non ne può più di "vedere Berlusconi ancora lì", e allora nascono "candidature come quella di Vendola". Il rischio è che il governatore pugliese venga accolto come un salvatore della Patria, ma senza un progetto. Per questo il Pd ha proposto un governo di transizione - "non un ribaltone" - che può essere condiviso da Idv, Udc, magari anche dai finiani, e che "può essere anche più allargato". Nessuna pregiudiziale, eccetto che sul capo dell’esecutivo: "Non può essere Berlusconi". Da Siena, Bindi aggiunge giusto un altro elemento: "In caso di voto, da statuto, il candidato del Pd è il segretario Bersani, ma se faremo una coalizione decideremo con le primarie". Ma leader che catturano le simpatie delle sinistre come Vendola e Di Pietro non sono la soluzione migliore se il fine è di "creare un fronte delle opposizioni compatto". Se non è Vendola il possibile candidato a premier tanto meno può esserlo, per i democratici, un altro nome forte dell’Idv, l’ex pm Luigi De Magistris, che ha avanzato la propria disponibilità nel caso l’ex pm di Mani pulite rinunciasse a correre. Ipotesi che fa rabbrividire Giorgio Merlo ("già immagino lo slogan: "Più carcere per tutti""), ma che invece non dispiace alla sinistra radicale, che con Claudio Fava, segretario di Sel e sponsor del governatore pugliese, reclama "primarie vere". Fuori dal coro l’ex ministro della Difesa Arturo Parisi, che indica un’unica priorità: portare la crisi nelle mani di Napolitano.

Al centro, c’è chi come Ferdinando Adornato (Udc) non rinuncia al bersaglio grosso: "Un Pd che rompesse con Di Pietro sarebbe una grossa novità". Il suo collega, Maurizio Ronconi, reagisce a chi, minacciando il ritorno alle urne, "surroga la potestà del Parlamento". Sulla stessa lunghezza d’onda Pino Pisicchio (Api): "Basta con questo terrorismo, siamo seri e cambiamo il porcellum".

Marco Iasevoli

 

 

 

2010-08-12

12 agosto 2010

LA POLITICA IN FERMENTO

Italia Futura: voto inutile,

ricompattare maggioranza

L'associazione Italia Futura, che fa capo all'ex presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo, ha detto oggi che i leader del centrodestra devono smettere di litigare e completare la legislatura, perché andare ora ad elezioni anticipate sarebbe da irresponsabili. In un articolo comparso sul suo sito Internet (www.italiafutura.it), il think tank non risparmia le critiche al premier Berlusconi, perché non sarebbe stato capace di riformare le istituzioni in dieci anni di governo e sembra ora "elettrizzato" dalla prospettiva di un successo elettorale anzitempo, mentre l'economia è ancora instabile.

Montezemolo è visto come un possibile futuro antagonista politico di Berlusconi, capace di coagulare buona parte del centrosinistra e i "poteri forti" dell'economia contro di lui in una prossima competizione elettorale. Ma l'ex presidente del gruppo Fiat non è mai sceso apertamente nell'arena politica e l'articolo odierno sembra indicare che non voglia farlo ora. "Andare alle elezioni, tanto più con questa indecorosa legge elettorale, non risolverà alcun problema. Perderemmo solo altri sei mesi", si legge nell'articolo di Italia Futura.

"Berlusconi, (Gianfranco) Fini e (Umberto) Bossi hanno il dovere di chiudere lo scontro istituzionale che non è degno di un Paese civile, di ricompattare la maggioranza sulla base di un programma elettorale anche minimo, di riforme essenziali per i cittadini e di completare la legislatura".

"Se, al contrario, sceglieranno la via della rottura e delle elezioni, venendo meno agli impegni presi con gli italiani, saranno pienamente responsabili delle conseguenze, imprevedibili e potenzialmente gravissime, che un'ennesima stagione di scontri e di veleni potrà avere", tanto più che siamo "dinanzi a uno scenario economico ancora fortemente instabile".

Per Italia Futura, Berlusconi porta comunque una parte della responsabilità di quella che definisce "una lunga e improduttiva stagione politica", contrassegnata da una transazione infinita e da nodi irrisolti che bloccano la crescita. "Il fallimento della Seconda repubblica è certificato dalle parole di Berlusconi, che dopo quasi dieci anni da presidente del Consiglio si dichiara impossibilitato a governare per colpa delle istituzioni che non è stato capace di riformare".

"Paradossalmente, la prospettiva delle elezioni sembra elettrizzare proprio chi dovrebbe viverle come una sconfitta e invece spera che i 600mila promotori della libertà e i milioni di leghisti pronti a mobilitarsi possano far dimenticare che la più ampia maggioranza della storia repubblicana si sia sciolta come neve al sole", dice Italia Futura.

 

 

11 agosto 2010

INPS

Falsi invalidi e pensione defunti

Scoperte truffe per 100 milioni

Ammontano ad almeno 100 milioni di euro le somme indebitamente pagate dall'Inps nel 2010 per effetto di quelle truffe organizzate ai suoi danni, e oggetto di una indagine della magistratura. L'attività investigativa svolta da autorità giudiziaria e forze dell'ordine nei primi sette mesi dell'anno, con l'attiva collaborazione dell'Istituto, ha portato ad indagare 5.245 persone e denunciarne 976, mentre 135 sono stati gli arresti, 42 le condanne e 32 le richieste di condanna da parte dei pubblici ministeri. Lo riferisce in una nota l'Inps evidenziando che la maggior parte delle truffe è messa in campo da falsi invalidi, falsi braccianti agricoli, persone che riscuotono pensioni di persone defunte e imprenditori che assumono fittiziamente lavoratori.

"L'azione di contrasto contro chi tenta di truffare l'Inps e quindi lo Stato sarà sempre più determinata - dichiara il presidente dell'Inps Antonio Mastrapasqua - e infatti nel mese di settembre costituiremo una nuova unità antitruffe presso la Direzione generale dell'Istituto per coordinare le operazioni su tutto il territorio nazionale".

Le truffe ai danni dell'Inps - riferisce l'Istituto di previdenza nel comunicato - hanno per protagonisti principalmente falsi invalidi (55 arrestati, 470 indagati, 2 denunciati e 4 per i quali è stata richiesta la condanna, per oltre 11 milioni di euro indebitamente pagati), falsi braccianti agricoli (48 arrestati, 4.415 indagati, 945 denunciati, 41 condannati e 28 per i quali è stata richiesta la condanna, per oltre 25 milioni di euro indebitamente pagati per indennità di disoccupazione, maternità e malattia), persone che riscuotono prestazioni di defunti, imprenditori che assumono fittiziamente lavoratori per consentire loro di ottenere prestazioni a sostegno del reddito.

"Anche l'ultima truffa ai danni dell'Inps venuta alla luce nei primi giorni di agosto, che ha visto una ventina di studi legali della Capitale finire nel mirino della Procura della Repubblica - prosegue il presidente Antonio Mastrapasqua - conferma come l'Istituto, attraverso la stretta collaborazione con l'autorità giudiziaria, voglia svolgere in maniera sempre più efficace il proprio ruolo di baluardo a difesa della legalità. Le situazioni anomale, scoperte dal personale nello svolgimento della propria attività, vengono immediatamente denunciate nel tentativo di sventare le truffe, che rappresentano un danno non solo per l'Inps, ma per l'intera collettività".

Mastrapasqua spiega anche che "sul fronte dell'invalidità civile, una novità è prevista dalla legge 122/2010. I medici che attestano falsamente uno stato di malattia o handicap che dia luogo al pagamento di una pensione di invalidità, ferme restando le responsabilità penali e disciplinari, sono obbligati a risarcire il danno corrispondente al valore della prestazione indebitamente erogata. Una segnalazione obbligatoria automatica verrà inviata dall'Istituto anche alla Corte dei Conti. Questa nuova disciplina - conclude il presidente dell'Inps - favorirà ulteriormente il virtuoso scambio tra l'Inps e la magistratura penale, civile e amministrativa".

2010-08-10

10 agosto 2010

GENOVA

Bagnasco: "Nei poveri

il faro della Chiesa"

Il capo del vescovi italiani, cardinale Angelo Bagnasco, fa appello alla "dimensione etica della vita personale e sociale". Nella sua omelia per la solennità di San Lorenzo, l'arcivescovo di Genova ha sottolineato come secondo la Chiesa "alla radice di tanti mali e di tante povertà" vi sia il "sottosviluppo morale" di cui parla Benedetto XVI nella "Caritas in veritate". Per questo, ha aggiunto, essa "non cessa di servire il mondo, nella persona amata dei poveri e nella figura delle istituzioni che presiedono il bene comune, anche con il richiamo alla dimensione etica della vita personale e sociale".

"La Chiesa - ha detto ancora il presidente della Cei - non è mai stata un'agenzia di pronto soccorso, ma la famiglia dei credenti in Cristo" e "promuove l'uomo nella sua integralità di anima e di corpo, di individuo e di società, crea civiltà e cultura". Per questo, ha proseguito il porporato, ogni gesto di carità "è annuncio della fede perchè il pane sia possibilmente accompagnato dalla speranza".

La Chiesa, ha concluso, "sa che è Dio il vero garante del bene e del pieno sviluppo dell'uomo, per questo non si stanca di annunciarlo pur in mezzo a difficoltà e prove vecchie e nuove".

 

 

 

10 agosto 2010

ILTESTO INTEGRALE

"I tesori della Chiesa"

Carissimi Fratelli e Sorelle nel Signore

Siamo qui per la festa di San Lorenzo al quale è dedicata da secoli la Basilica Cattedrale di Genova. Ogni anno, continuando l’antica tradizione, celebriamo la Santa Eucaristia per ringraziare il Signore di questo Diacono, santo e martire. Egli non cedette agli ordini iniqui dell’imperatore Valeriano che, nel terzo secolo, confiscò i beni della Chiesa pena la morte. Lorenzo allora, come si legge in sant’Ambrogio, consegnò tutto ai poveri, li radunò e li presentò all’imperatore dicendo: "Ecco i tesori della Chiesa". L’episodio è rappresentato in modo mirabile nell’affresco del presbiterio a ricordo perenne della persecuzione di questo giovane, che si concluse con la tortura sul fuoco e la decapitazione.

La mentalità del mondo non sempre riesce a comprendere che i beni la Chiesa non sono per sé ma per la vita della comunità e, soprattutto, per i poveri e i bisognosi. E’ sempre così! Non dobbiamo dimenticare che la grande parte del patrimonio della Chiesa è di tipo artistico, storico e culturale: come tale è a disposizione di tutta l’umanità come universale tesoro di bellezza e di fede. La più grande apologia della fede cristiana, la dimostrazione più convincente della sua verità, contro ogni negazione, sono da un lato i Santi, e dall’altro la bellezza che la fede ha generato. Dovremmo, noi moderni, entrare di più nel mondo del bello creato dalla fede, lasciarci maggiormente prendere dal fascino dell’arte cristiana, perché il nostro spirito sia purificato dalle brutture e dalle oscurità interiori, e così intravvedere la luce di Dio. La cultura contemporanea a volte fa difficoltà a generare bellezza: il bello solleva l’anima, riconduce a migliori pensieri, purifica i sentimenti, provoca domande, riporta alla nostra origine, anticipa il Cielo.

Ma i beni della Chiesa sono soprattutto dedicati alla vita della comunità cristiana, alle opere educative e pastorali, ai poveri e ai bisognosi. Anche nel contesto attuale, per le note ragioni, la presenza e l’opera di sostegno delle comunità ecclesiali sono capillari ed evidenti, aperti a tutti senza distinzioni. Creano quella rete di solidarietà e di pronto intervento destinata a rispondere a bisogni urgenti e concreti, puntando sempre, per quanto possibile, ad accompagnare verso la soluzione radicale dei problemi e verso l’autonomia delle persone: "Tutta la Chiesa – scrive il Santo Padre - in tutto il essere e il suo agire, quando annuncia, celebra e opera nella carità, è tesa a promuovere lo sviluppo integrale dell’uomo" (Caritas in veritate, 11).

La Chiesa non è mai stata un’agenzia di pronto soccorso, ma la famiglia dei credenti in Cristo: ha il compito di annunciare la Speranza, il Signore Gesù, Colui che salva l’uomo dal male più grave, il peccato, e dalla povertà più triste, quella della mancanza di Dio. Senza Dio, infatti, l’uomo non sa dove andare e non comprende se stesso e il suo destino. E proprio perché annuncia la salvezza radicale e apre alla vita piena e vera - quella del cielo - la Chiesa promuove l’uomo nella sua integralità di anima e di corpo, di individuo e di società: crea civiltà e cultura.

Come San Lorenzo, la mano della Chiesa si apre aprendo anche il cuore. Ogni gesto di carità evangelica, infatti, non sarebbe tale se non fosse accompagnato dall’amore che nasce dal cuore di Gesù ed abbraccia tutti specialmente i più deboli e bisognosi. La carità è frutto della fede che scalda il cuore, affina l’attenzione al bisogno, rende più generosi nel dare, aumenta la gioia; ma nello stesso tempo, è segno e annuncio della fede perché il pane sia possibilmente accompagnato dalla speranza.

Per questo, la Chiesa in tutti i tempi non si mai limitata ad aiutare coloro che si trovano nell’ indigenza - quasi samaritana della storia - ma, fedele al suo mandato, si è fatta portatrice di verità, la verità di Dio rivelato in Cristo e la verità piena dell’uomo. Ella sa che è Dio il vero garante del bene e del pieno sviluppo dell’uomo, per questo non si stanca di annunciarlo pur in mezzo a difficoltà e prove vecchie e nuove. Solo Dio è la misura vera della dignità, misura che, non derivando da nessuna autorità umana, non può essere diminuita o offesa da nessun potere.

Ella sa che alla radice di tanti mali e di tante povertà vi è il "sottosviluppo morale" come afferma Benedetto XVI (Caritas in veritate, 29); e per questo non cessa di servire il mondo, nella persona amata dei poveri e nella figura delle istituzioni che presiedono il bene comune, anche con il richiamo alla dimensione etica della vita personale e sociale.

Il nostro San Lorenzo, con le poche parole riportate dalle cronache – "Ecco i tesori della Chiesa" – indica all’imperatore Valeriano non solo una realtà umana che attende soccorso e giustizia, ma rivela altresì un nuovo modo di pensare e quindi di agire: ricorda che esiste un codice morale che nasce dallo spirito e dalla natura stessa di ogni uomo; ricorda la distinzione tra il bene e il male, e che questa non dipende dall’arbitrio di nessuno; ricorda che tutti un giorno risponderemo ad una Istanza superiore e assoluta che è Dio; ricorda che esistono dei valori per i quali vale la pena non solo di vivere ma anche di morire. Così come ha fatto lui! E noi oggi qui lo preghiamo perché possiamo seguirlo dietro a Cristo.

cardinale Angelo Bagnasco

 

 

 

 

2010-08-06

6 agosto 2010

IL RISCHIO DEL VOTO

Appello di Bersani al centrosinistra

Berlusconi rilancia sul programma

Il leader Pd Pierluigi Bersani guarda già oltre l'attuale governo e lancia un appello al centrosinistra: "Non si tratta solo di mandare a casa un governo. Dobbiamo superare una fase lunga 16 anni, non due. Dobbiamo liberarci di Berlusconi". Bersani spiega che la posta in gioco, davanti alla crisi della maggioranza che si era unita intorno a Berlusconi, è la democrazia e invita tutte le forze di opposizione a evitare "veti reciproci". Un appello che viene accolto positivamente da Nichi Vendola, ma bocciato come "violento" dal ministro Angelino Alfano, dalle cui parole nasce un lungo botta e risposta con il Pd.

LA CONTROFFENSIVA DEL CAVALIERE

C'è chi la chiama sfida, chi ne parla come di un rilancio. Fatto sta che la parola elezioni ora entra

tra le subordinate, mentre all'ordine del giorno dell'impegno di Silvio Berlusconi c'è la stesura di un programma di legislatura in quattro punti su cui chiedere la fiducia in autunno. Nel caso la fiducia non ci fosse, allora sì, si andrebbe alle urne. Un segnale che da Futuro e libertà si giudica comunque positivo.

Berlusconi nelle lunghe riunioni di ieri, avrebbe infatti deciso di procedere a una sorta di "predellino parlamentare", cioè di verificare sul campo se esiste ancora una maggioranza. Dunque in Consiglio dei ministri, dove sono presenti anche esponenti finiani, verrebbero scritti i punti fondamentali del

programma che il governo intende portare avanti: economia e fisco, giustizia, Sud e federalismo. Su questi temi Berlusconi si presenterà alle Camere per chiedere un voto di fiducia.

Da Futuro e libertà si tratta di un fatto "molto positivo". "È positivo che ci sia una pausa di riflessione e che a settembre si tornerà a parlare di politica e di programma. Ora le elezioni sono decisamente più lontane" afferma il viceministro di Fli Adolfo Urso. "I quattro capitoli indicati - prosegue Urso - sono nel programma, bisogna vedere come verranno declinati e attualizzati alla luce dei cambiamenti indotti dalla crisi economica".

Comunque Urso assicura che "su questi punti siamo pronti al confronto" e "sono ottimista che si troverà una base programmatica comune". Per Urso "se però non ci dovesse essere accordo, almeno sarà chiaro agli italiani su cosa ci dividiamo e che il disaccordo riguarda fatti concreti e no personalismi perchè la questione è tutta politica".

Il capogruppo Pdl Fabrizio Cicchitto spiega: "A settembre

Berlusconi presenterà una piattaforma fondata su pochi punti:

su di essa ci auguriamo che venga raccolta una maggioranza che

rinnova la fiducia al governo, oppure a quel punto non ci

potrà essere alternativa se non le elezioni". E intanto il

premier ai giornalisti annuncia che le sue vacanze si

limiteranno a "qualche giorno di riposo ad Arcore".

 

 

 

 

6 agosto 2010

Il voto di mercoledì e il ritorno di antiche fenomenologie politiche

Fatti inediti in Parlamento (più qualcosa da Prima Repubblica)

La votazione con la quale la Camera ha respinto mercoledì pomeriggio la "mozione di sfiducia" contro il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo ha portato novità nella pur variegata tradizione parlamentare italiana.

La prima novità, infatti, consiste nell’oggetto della votazione, che solo fra virgolette può essere qualificata come una mozione di sfiducia. Quest’ultimo tipo di atto parlamentare, infatti, ha come destinatario di norma il Governo, verso il quale può essere diretto, su iniziativa di un decimo dei componenti di una delle due Camere, per obbligarlo a rassegnare le dimissioni. Dagli anni Ottanta, però, si sono diffuse nella prassi parlamentare delle mozioni di sfiducia "contro singoli ministri", che alla Camera sono poi state disciplinate giuridicamente dall’art. 115 del Regolamento, mentre al Senato la disciplina è rimasta allo stato di prassi, ed è retta da una decisione di Cossiga, all’epoca presidente dell’Assemblea di Palazzo Madama.

La mozione di sfiducia individuale viene così assimilata a quella "generale" (contro il Governo) e, analogamente a questa, è idonea a obbligare il ministro sfiduciato a dimettersi. La sua ragione di esistenza è duplice: da un lato far valere la responsabilità politica del ministro, senza coinvolgere l’intero Governo; dall’altro operare come sostituto funzionale del potere di revoca dei ministri da parte del presidente del Consiglio (non previsto nella nostra Costituzione).

Nel primo caso la mozione è strumento dell’opposizione, nel secondo della maggioranza: per questo solo il secondo tipo di mozione ha qualche chance di successo e di questo tipo è l’unica sinora approvata, quella contro il ministro della Giustizia Filippo Mancuso nel 1995. Tutte le altre mozioni di sfiducia contro ministri sono state sempre respinte.

Contro i sottosegretari è più problematico immaginare mozioni di sfiducia, anche perché per loro è ammessa nella prassi la revoca (effettivamente disposta, sinora, in tre casi: Pappalardo, governo Ciampi; Giorgianni, I governo Prodi; Sgarbi, II governo Berlusconi). Nel caso di Caliendo (come nell’unico precedente, lo scorso mese contro Cosentino, con voto saltato per le dimissioni del sottosegretario destinatario), la mozione è uno strumento dell’opposizione, non della maggioranza. Essa è configurata come impegno al Governo "ad invitare (...) a rassegnare le dimissioni da sottosegretario". E avrebbe avuto possibilità di successo solo se fosse stata sostenuta dalla stessa maggioranza.

Qui sta la seconda particolarità dell’atipico voto di mercoledì. In esso, per la prima volta nella storia delle votazioni "fiduciarie" di epoca repubblicana, un gruppo parlamentare che compone la maggioranza di governo (e che esprime un ministro, un viceministro e alcuni sottosegretari) si è formalmente dissociato (mediante l’astensione) rispetto alla permanenza in carica di un membro del Governo stesso.

Pur con tutte le precisazioni che si sono viste, pertanto, il voto di due giorni fa, nonostante il suo risultato favorevole al Governo, è un altro segno dell’anomalia parlamentare che si è delineata con la formazione dei gruppi di "Futuro e Libertà. Per l’Italia". La posizione dei finiani è difficilmente classificabile: forse è qualcosa a metà fra l’"appoggio esterno" noto alla prassi politica anteriore al 1992, la politica craxiana delle "mani libere" e l’andreottiano "governo della non-sfiducia" nel 1977-78. Una fenomenologia da Prima Repubblica che non annuncia tempi tranquilli.

Marco Olivetti

 

 

 

6 agosto 2010

MAGGIORANZE VARIABILI

"Le urne? Un bluff"

Fli e Udc in sintonia

Legittimo impedimento. Processo breve. Riforma della giustizia e separazione della carriere. Cittadinanza agli immigrati. Federalismo. E ancora: quote latte, anti-corruzione. È quasi un programma alternativo, su cui sono pronti a convergere di nuovo, alla ripresa di settembre, quelli del cosiddetto correntone nato intorno all’astensione sul caso Caliendo. Nasce un coordinamento dei gruppi di Fli, Udc, Mpa e Api. D’ora in poi, di fronte a temi non concordati nella maggioranza con l’alleato finiano, sarà pronto a votare in modo difforme, e anche a mettere in minoranza il governo.

Silvio Berlusconi ha già detto ai suoi, in tal caso, di tenersi pronti al voto anticipato. "Lo dice ma non lo farà", scommette con i suoi, in queste ore, Gianfranco Fini. "Non fa i conti con le prerogative del Quirinale e del Parlamento. E comunque dovrebbe sapere che, andando alle elezioni, oggi le perderebbe, al Senato. In ogni caso – continua a ripetere – dobbiamo tenerci pronti". Ma soprattutto gli uomini di Fini sono convinti che in caso di forzatura verrebbero allo scoperto anche al Senato altri dissidenti del Pdl in posizione di attesa, e la maggioranza potrebbe andar sotto anche a Palazzo Madama. A settembre ne vedremo delle belle", promette Fabio Granata, che preannuncia in tempi brevi "un rigorosissimo ddl anti-corruzione". E su temi come questi (come anche sulla proposta di cittadinanza breve Granata-Sarubbi) nel Pdl converge, al Senato, anche Giuseppe Pisanu, cosicché diventano più labili i margini, per Pdl e Lega, e non solo alla Camera.

"Berlusconi o si dimette o governa, ma i governi vengono fatti o disfatti in Parlamento", avverte anche Pier Ferdinando Casini, convinto che il Quirinale non sia disponibile ad assecondare l’eventuale accelerazione verso il voto. "Se invece capisce la novità politica della nascita dell’area di responsabilità nazionale, si misuri con essa". "Un’iniziativa che rivoluziona la legislatura", la definisce Bruno Tabacci, di Alleanza per l’Italia. "Berlusconi – prevede – proverà a tirare la corda, dobbiamo prepararci allo scontro, anche elettorale. Anche se – precisa subito, anche lui – le elezioni non sono nella disponibilità del premier".

Così l’"area di responsabilità" si prepara a due diversi scenari. O aggiungere, su singoli temi, i suoi voti a quelli della maggioranza, se questa scegliesse "equilibri più avanzati", come si diceva un tempo, sui temi controversi. Ma è anche pronta a aggregare proprio su di essi, e magari su una nuova legge elettorale, un governo di segno diverso. Con o senza il Pdl. E i segnali che arrivano dal Pd guardano già al dopo: "Dobbiamo offrire la candidatura a premier a Casini, è l’unico modo che abbiamo per battere Berlusconi", dice la dalemiana Livia Turco. E Francesco Rutelli, che assicura di non avere problemi a stare al fianco di Fini ("Mi sentirei più a disagio con l’Idv", dice) invita il Pd a fare la stessa scelta.

Angelo Picariello

 

 

 

 

2010-08-05

5 agosto 2010

DOPO IL VOTO

Caliendo salvo, ma al governo

mancano i numeri

La mozione di sfiducia non passa e il sottosegretario Caliendo si salva. L’ultima votazione alla Camera prima della sosta estiva dura tanto, sembra non finire mai. Alla fine, il tabellone elettronico di Montecitorio dà, per la prima volta, la rappresentazione plastica del mutato quadro politico. La maggioranza (Pdl più Lega), privata dell’apporto dei finiani, si arresta significativamente sotto quota 300 (a 299), quindi al di sotto del quorum di 316 valido se tutti fossero presenti.

D’ora in poi la sopravvivenza del governo Berlusconi si giocherà sul filo dei numeri: pur tenendo conto degli 8 assenti (dei quali 2 in missione: Pecorella e Antonione) ieri nella maggioranza, si arriva infatti a quota 307, quindi un soffio in più dei 304 voti rappresentati dal fronte teorico composto dai 229 delle opposizioni - Pd più Idv - sommati ai 75 che si sono astenuti (e che, in futuro, potrebbero anche votare contro). Per non dire che, fra i 299 che hanno respinto la mozione, sono confluiti i due voti di Ronchi e Urso, i finiani al governo.

Con le certezze dei numeri che vengono un po’ meno, la maggioranza si aggrappa alla retorica dei simboli e del leader assoluto. Così, quando Silvio Berlusconi entra nell’aula di Montecitorio, alla fine dell’intervento del suo capogruppo Cicchitto e senza mai incrociare lo sguardo di Fini, i banchi del Pdl esplodono nel grido "Silvio, Silvio". Il Cavaliere si alza e saluta con la mano destra mentre i leghisti, per non essere da meno, intonano "Bossi, Bossi". È l’immagine di chiusura della giornata che segna comunque il debutto di un ipotetico terzo polo, o asse che dir si voglia. Una giornata aperta dalla difesa totale di Caliendo fatta in aula dal suo ministro, Angelino Alfano che, entrando nel merito delle indagini (e questo dopo gli verrà rinfacciato da Franceschini, capogruppo del Pd), sostiene che "la P3 è probabilmente il frutto di una costruzione dei pm" e che "stiamo difendendo dei principi", come la presunzione d’innocenza.

Il clou era atteso per le dichiarazioni di voto. Dopo Di Pietro che ha attaccato gli astenuti, il silenzio assoluto è sceso al turno di Benedetto Della Vedova, primo intervento in aula di un membro Fli. Che ha motivato l’astensione del nuovo gruppo addebitando a Caliendo "una grave imprudenza", ma "non la responsabilità di essere venuto gravemente meno ai suoi doveri", e invitando però il sottosegretario (oltre che Berlusconi) a "valutare una sospensione delle sue deleghe".

L’asse degli astenuti è stato poi completato da Pier Ferdinando Casini. Il leader dell’Udc ha citato Sant’Agostino e ha chiuso ammonendo (lo stesso farà Franceschini) chi pensa al voto anticipato che questo potrebbe dare "sorprese ben maggiori". Il leghista Marco Reguzzoni gli ha ricordato però che "noi non siamo figli dei salotti, siamo gente che nasce dal prato di Pontida". E alla stessa Lega si è appellato Franceschini: per ricordare che la politica, come spesso succede in Europa, "non può attendere l’accertamento delle responsabilità" e che il governo ha "demolito il rispetto dell’etica pubblica". Poi il voto. Solo il primo di quel "Vietnam" che ora attende Berlusconi alla ripresa.

Eugenio Faticante

 

 

 

5 agosto 2010

Il nuovo quadro politico

Adesso è chiaro: non esistono soluzioni di forza

Il clima che ha contraddistinto il dibattito parlamentare sulla richiesta di dimissioni del sottosegretario Giacomo Caliendo, infine respinta da una maggioranza che non sarebbe stata tale senza l’astensione dei centristi dell’Udc e dell’Api ai quali si sono aggiunti i voti – in libera uscita dal centrodestra – dei seguaci di Gianfranco Fini e del lombardiano Mpa, segnala una situazione di aspra tensione, sia all’interno della maggioranza di governo, sia tra le opposizioni. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha accusato i finiani di aver abbandonato una posizione di principio garantista per modesti calcoli politici, Antonio Di Pietro si è scagliato contro gli astenuti accusandoli di vigliaccheria ricevendo una replica assai ferma da Pier Ferdinando Casini.

Formalmente la coalizione di governo raccolta intorno a Silvio Berlusconi e scelta con chiarezza dagli elettori poco più di due anni fa sussiste tuttora, Benedetto Della Vedova, intervenendo per i finiani ha addirittura sostenuto la tesi un po’ surreale che "la maggioranza è solida". In realtà, i sostenitori del governo Berlusconi sono meno di 300 in una Camera di 630 membri. Il che significa comunque una settantina di deputati in più di quelli dell’opposizione "senza se e senza ma" proclamata dall’Italia dei valori e dal Partito democratico (nel quale però non mancano distinzioni, persino a proposito del contenuto della nuova legge elettorale sulla quale si dovrebbe fondare l’agognato "esecutivo di transizione"). E al Senato la supremazia di Pdl e Lega resta chiara.

La situazione è assai ingarbugliata. Nessuno ha in mano il bandolo della matassa, né per garantire in un modo o nell’altro il proseguimento della legislatura, né per sancirne la conclusione anticipata col ricorso alle urne. Questo non significa che non esistano soluzioni possibili, ma che non esistono soluzioni di forza. E dal Quirinale questo scenario appare particolarmente chiaro.

I compiti delle vacanze che i responsabili politici dovranno svolgere si presentano davvero piuttosto ardui. Tutti, per ora, insistono nel proclamare, come in un’indimenticabile poesia di Eugenio Montale, "ciò che non siamo, ciò che non vogliamo". Per passare a spiegare che cosa invece pensano che si possa fare, che è poi il compito della politica, sarebbe necessario un bagno di umiltà e una ricerca di comprensione delle ragioni altrui, operazione ostica ma indispensabile. Il federalismo fiscale, la giustizia, la stessa legge elettorale, oltre – ovviamente – il controllo della spesa pubblica e il sostegno all’economia e al lavoro, sono problemi che richiedono soluzioni meditate, che superino i confini di un’autosufficienza della maggioranza che non è più scontata.

Se si cesserà di puntare alla distruzione dell’avversario, obiettivo peraltro mancato già tante volte – sia da chi annuncia invano da 16 anni la fine del berlusconismo, sia da chi pensa che l’alternativa alla propria parte sia solo un illiberale salto nel buio – forse si potranno esaminare le questioni di merito in modo meno pregiudiziale, puntando a trovare soluzioni e compromessi che vadano al di là di steccati ormai piuttosto malconci. E forse si potrà individuare il percorso più utile per attraversare quest’ennesimo guado.

Soltanto se i leader di partito e di schieramento passeranno le prossime settimane a pensare a come render conto al Paese delle loro scelte, invece di organizzare "rese dei conti" all’interno di una classe politica arroccata, risentita e lontana dalla gente, si creeranno le condizioni per confronti e dialoghi costruttivi. Se invece si sceglierà di animare ancora di più le contrapposte tifoserie che si sono viste all’opera ieri a Montecitorio, si darà tristemente spettacolo e si deluderanno le attese vere della gente. Gli italiani meritano decisamente di più e di meglio.

Sergio Soave

 

 

 

 

5 agosto 2010

LA MOZIONE DI SFIDUCIA

Berlusconi: ora dico votiamo in autunno

"Inumeri sono chiari. E io non voglio e non posso fare finta di nulla. Devo ammettere la realtà: questo governo non è più autosufficiente". E già buio quando Silvio Berlusconi fotografa con i collaboratori più stretti la nuova situazione dopo lo strappo con Gianfranco Fini. Ripete quattro parole il premier: "Non siamo più autosufficienti". Le spiega: "Il punto non è non essere arrivati a quota 316. Quello è successo altre volte, anzi succede quasi sempre. Ma la novità su cui sarebbe sciocco non riflettere è un’altra: le astensioni e i voti contro Caliendo superano quelli a favore".

Due cifre: 304 contro 299. Berlusconi le ripete quasi meccanicamente, poi arriva al punto: "Il voto oggi è nettamente più vicino. E io sono pronto a rilanciare la sfida e a spiegare al Paese i motivi".

Sono ore complicate. Gianni Letta prova a frenare il Cavaliere, ma la scelta questa volta sembra davvero presa. E allora tocca al sottosegretario chiamare Stromboli per avvertire il capo dello Stato partito per l’isola siciliana proprio alla vigilia del voto su Caliendo. L’accelerazione sembra netta. E anche Bossi che a caldo aveva commentato l’esito della mozione escludendo un voto ravvicinato ("Questo è il segnale che resistiamo"), ora dopo ora, prende coscienza della nuova realtà e avverte: "Siamo pronti ad andare ad elezioni con Berlusconi. Quel giorno la Lega non solo vince; stravince". Tutti capiscono che continuare così sarà complicatissimo. E tutti parlano di elezioni in autunno senza nemmeno usare il condizionale.

"Eravamo il Paese più stabile in Europa qualcuno vuole farci tornare all’instabilità di prima": così il premier si sfoga in serata a cena con i suoi deputati. "Avevamo una maggioranza straordinaria, un governo compatto e una squadra di giovani ministri motivati da grande idealismo, un esecutivo che ha risposto con grande efficacia alle emergenze. Non c’era nessuna possibilità che un mandato così largo degli elettori fosse messo in discussione. E invece è successo ciò che è successo e anche domani leggeremo sui giornali internazionali descrizioni di un’Italia tornata inaffidabile".

Berlusconi sfoglia l’agenda. Si ferma sui primi giorni di ottobre: "Sciogliere qui e così votare entro novembre". Il premier pensa alla campagna elettorale, tutta giocata per spiegare i responsabili della crisi. "Io avevo una maggioranza ampia e Gianfranco Fini l’ha devastata...Mi ha logorato per mesi dall’interno e ora vuole continuare a farlo dall’esterno. La scelta di puntare su Bocchino capogruppo è un segnale che davvero non posso sottovalutare".

È un’analisi impietosa. Berlusconi racconta di possibili difficoltà nel gestire, numeri alla mano, commissioni importanti. E svela un particolare: il federalismo non è a rischio; anche se non chiudiamo ora chiuderemo una volta rivinte le elezioni.

C’è solo il voto. Berlusconi esclude governi tecnici, istituzionali, di transizione. E sottovoce ammette di confidare nel capo dello Stato. "C’è una sola strada. Perché non posso restare in mezzo al guado: devo muovermi subito. Devo farlo ora che sono forte. Senza dargli tempo per riorganizzarsi".

aRTURO c

 

 

 

 

5 agosto 2010

CORRENTONE

Fini: "Dovranno fare i conti con noi"

"Tu saprai fare i conti pubblici, ma in Parlamento li so fare meglio io". Alla buvette Pier Ferdinando Casini si aggira come un vincitore. I conti gli danno ragione: con i suoi 37 voti su 38, l’Udc si conferma primo azionista di quello che non sarà un terzo polo e neppure un correntone, ma certo qualcosa di nuovo è, se non si parla d’altro da due giorni. Un cartello parlamentare che, numeri alla mano, se su singoli punti decidesse di votare contro sarebbe in grado di ribaltare gli equilibri di Montecitorio, conteggiando anche i 7 astenuti rutelliani e i 5 dell’Mpa di Lombardo.

Riferiscono di un Gianfranco Fini raggiante: "Quello che ha detto la Moroni dinostra che non era una battaglia fra giustizialisti e garantisti". E ripeteva ai suoi: "Siamo leali, ma da oggi è chiaro che si dovrà discutere anche con noi". Su quali temi lo chiarisce, esemplificando, Fabio Granata: "Su giustizia, legalità e federalismo, siamo determinati a far valere le nostre ragini".

Nell’Udc si sfila dal voto il solo Enzo Carra, al pari di Buno Tabacci, già in vacanza, dell’Api di Francesco Rutelli. E c’entra probabilmente la durezza di Tangentopoli vissuta in prima persona da entrambi. Ma anche dal fronte dei finiani si canta vittoria. Poco importa se all’autorizzazione concessa al ministro Ronchi e al vice-ministro Urso a votare contro (assenti perché in missione gli altri due sottosegretari Menia e Buonfiglio) si siano aggiunte le assenze dall’aula di Consolo, Angeli, Divella e Tremaglia, con gli ultimi due – fanno notare – che erano malati. Anche se l’aplomb anglossasone di Benedetto Della Vedova, prova a smorzare: "Questo non è un terzo polo, non è un nuovo partito". Ma un colpo lo assesta al governo, parlando di "grave imprudenza" e di "eccessiva confidenza con personaggi che non meritavano nè ascolto nè credito", invitando Caliendo a "valutare serenamente se una sospensione delle deleghe fino al chiarimento definitivo", giustificando così la differenziazione dalla maggioranza dei 25 astenuti finiani presenti in aula, e col problema di dove sedersi, per il momento.

Ma il sassolino dalla scarpa se lo toglie anche Casini, rispedendo al mittente l’accusa di trasformismo del Pdl: "Non possiamo avere lezioni da chi in privato e in pubblico ha provato a chiederci atti di trasformismo, che noi abbiamo rifiutato". Con Fini è più di una mano tesa: "Ci sono novità – dice Casini – come la nascita di un nuovo gruppo, che possono cambiare il corso della legislatura". E avverte, parafrasando Sant’Agostino: "Meglio zoppicare sulla strada giusta che correre su quella sbagliata".

Angelo Picariello

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2010-08-04

4 agosto 2010

VOTO

Caliendo, Camera respinge

la sfiducia con 299 voti

La Camera ha bocciato la mozione sulle dimissioni del sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo indagato per la violazione della legge Anselmi sulle società segrete. I voti contro sono stati 299, quelli a favore 229, gli astenuti 75. Il Pdl e la Lega Nord avevano annunciato voto contrario, Pd e Idv voto favorevole. Si erano espressi a favore dell'astensione oltre a Udc, Api ed Mpa anche il nuovo gruppo Futuro e libertà a cui hanno aderito 33 deputati fedeli al presidente della Camera Gianfranco Fini in rotta con il Pdl.

Il ministro per l'attuazione per il Federalismo, Umberto Bossi, ha commentato la bocciatura della mozione di sfiducia nei confronti del sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, dicendo che "questo è il segnale che resistiamo. Adesso non si va al voto".

Giacomo Caliendo non nasconde la propria soddisfazione subito dopo il voto della Camera che respinge la mozione di sfiducia nei suoi confronti. E non rinuncia a mettere in chiaro alcune cose: "Di Pietro ha riferito fatti non veri, che ho già dimosrtato essere inesistenti. Quanto a Franceschini - dice il

sottosegretario alla Giustizia - non ha detto nulla di comportameni illeciti o scorretti. Io rispondo alla mia coscienza, se fosse scoperto un mio comportamento illecito, o solo scorretto, farei le valutazioni del caso. Nulla dei fatti che mi vengono contestati è vero".

E a Pier Ferdinando Casini, che ha parlato di una questione di decenza nello scegliere le frequentazioni, Caliendo replica: "Non ho frequentato altra gente tranne Lombardi, che era incensurato".

L'INTERVENTO DI ALFANO.

La discussione sulla mozione contro il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo comincia a Montecitorio in un'aula semideserta. Vuoti i banchi del governo. "Noi difendiamo Caliendo, difendendo con lui un principio, quello della non colpevolezza, e un valore scritto nella Costituzione, quello della legalità. E consapevoli che oggi alcuni tra i colleghi, molti lo faranno per disciplina di partito, non voteranno secondo la propria coscienza ma piegheranno all'utilità parlamentare di un giorno, al tatticismo parlamentare di un giorno, un alto e nobile principio". La requisitoria in Aula di Angelino Alfano ha diversi destinatari, tutti non esplicitati ma facili da mettere a fuoco.

Si parla di quanti erano nel Pdl fino all'altro ieri e ora si asterranno, venendo meno, fa capire l'esponente Pdl, alla difesa del garantismo. Ma si parla anche di chi aggancia una richiesta di dimissioni all'iscrizione nel registro degli indagati.

Il ministro della Giustizia spiega di non voler entrare nel merito ma smonta il lavoro delle toghe, derubrica la P3 a "costruzione di taluni pm" e stavolta rende chiaro il destinatario dell'ammonimento sulle conseguenze politiche del voto sulla sfiducia a Caliendo. È ai banchi del Pd che Alfano si rivelge per ricordare che questo legame indagato-dimissioni "in futuro vi tornerà indietro".

Alfano prende la parola spiegando che Caliendo "deve continuare a svolgere il suo lavoro, perchè lo

consideriamo un uomo del governo che mai si è sottratto ai doveri del proprio ufficio e che mai ha agito contrariamente ad essi". Il Guardasigilli osserva che "in questa vicenda tutto è noto, tutto è stato pubblicato sui giornali e ciò che non è noto e non è chiaro è esattamente ciò che in violazione dei

doveri del proprio ufficio, della legge, di codici anche rigorosi di natura etica, il sottosegretario Caliendo avrebbe fatto".

"Non si può trarre spunto da un'indagine per presentare una mozione di sfiducia e, quando ci si rende, conto che diventa troppo debole, eccepire l'argomento dell'a prescindere. No, voi avete presentato la mozione di sfiducia perchè c'era questa indagine e se oggi dite che la volete a prescindere è perchè virendete conto che la mozione è strumentale e debole. Altrimenti insistereste sull'indagine".

 

 

 

 

 

4 agosto 2010

LA GIORNATA DELLA VERITÀ

Caliendo, oggi la sfiducia

Asse Fini-Casini-Rutelli

Alle otto della sera Silvio Berlusconi tira le somme della giornata che ha registrato le prove tecniche di una sorta di "terzo polo", sulle mozioni di sfiducia (del Pd e dell’Idv) al sottosegretario Caliendo che saranno votate oggi alle 17 alla Camera. E lo fa aprendo già un fronte, quello dei deputati finiani che sono membri del governo (cioè Ronchi e Urso), nella nuova pattuglia dei trentatré, che ieri intanto hanno avviato un dialogo con Casini, Rutelli e l’Mpa di Lombardo: "Passi per l’astensione dei deputati "semplici", ma da parte dei membri di governo sarebbe un atto per me intollerabile... Chi si astiene dovrà prendersi le sue responsabilità", dice il premier, chiuso a palazzo Grazioli con il ministro Alfano, il deputato-avvocato Ghedini e il protagonista di questo "passaggio-chiave" della maggioranza, Caliendo appunto. È un fronte che, quand’è sera, costringe Fini a precisare: "Non siamo traditori, restiamo leali. Chi è al governo voti contro".

La tensione è alle stelle, quella in corso attorno al sottosegretario alla Giustizia rimasto implicato nell’inchiesta sulla cosiddetta P3 è anche una "guerra di nervi". Il diktat del Cavaliere rimbalza direttamente sulle spalle dei due interessati: Andrea Ronchi, titolare delle Politiche comunitarie, e Adolfo Urso, vice-ministro allo Sviluppo economico. Quest’ultimo, prima della cena di "Futuro e libertà" conferma l’imbarazzo di queste ore: "Valuterò solo domani (oggi per chi legge, ndr), si limita a dire, prima dell’"ordine" serale di Fini.

Sono ore di febbrili contatti, riunioni volanti, sollecitazioni continue. Seguite alla breve riunione che, all’ora di pranzo, ha segnato la giornata: con i centristi dell’Udc a fare da padroni di casa nella sede del loro gruppo, i finiani (ce n’erano 4: Bocchino, Conte, Moffa e Della Vedova) si sono visti anche con esponenti dei gruppi dell’Api di Rutelli e del Movimento per l’Autonomia. Una manciata di minuti per sancire una linea di condotta comune da tenere oggi: tutti si asterranno, ma ciascuno dentro il proprio gruppo.

Qualcuno si azzarda a parlare di nascente "terzo polo". Ma i diretti protagonisti non gradiscono e preferiscono parlare di "convergenza" o di una più altisonante "area di responsabilità", per ricorrere alle espressioni usate da Della Vedova e da Lorenzo Cesa, segretario dell’Udc. È una definizione rigettata con forza pure da Bocchino: "Nel sistema bipolare il terzo polo non esiste. È come giocare a tennis e sedersi sulla rete".

Per tutta la giornata nel tam tam del "Palazzo" è rimbalzata la voce secondo cui Berlusconi sarebbe pronto a spingersi fino alla crisi se la maggioranza non dovesse raggiungere quota 316. In sostanza il presidente del Consiglio, si ragiona in ambienti del Pdl, non sarebbe disposto a farsi rosolare a fuoco lento, ma preferirebbe chiudere subito la partita piuttosto che sottoporsi a uno stillicidio quotidiano. Da qui gli attacchi sferrati dai "fedelissimi" del Cavaliere. Per il capogruppo alla Camera, Fabrizio Cicchitto, se la mozione passasse sarebbe "una resa al giustizialismo" e la decisione dei finiani "l’avvio di una manovra politica".

Eugenio Fatigante

 

 

 

 

4 agosto 2010

LO STRAPPO

Bersani apre a Tremonti: lui premier meglio del voto

Parla Pierluigi Bersani. Lo scenario in movimento in vista del voto di oggi va studiato e ristudiato. Il terzo polo riunito per la prima volta è lì a testimoniare cambiamenti in atto e il leader del Pd continua a chiedere un dopo-Berlusconi. Per l’esattezza un governo tecnico, più volte evocato. Da qui a passare all’ipotesi Tremonti è un soffio. Da giorni si vocifera di un lavorio infaticabile di Massimo D’Alema, convinto che il ministro dell’Economia porterebbe con sé anche la Lega di Bossi. Il leader del Pd non lo nomina ma fa capire che si tratterebbe di una soluzione "più sensata di un confronto elettorale con un meccanismo come questo".

Anche Silvio Berlusconi, nel suo studio, sta valutando il nuovo corso e viene aggiornato in continuazione. Il premier legge i desideri dell’avversario e riflette con i suoi fedelissimi: se questa è la manovra del Pd, il Pdl può dormire sonni tranquilli. Uno, perché il capo del governo ha piena fiducia in Tremonti. Due, perché è certo che Bossi non lo tradirà. Tre, perché relega l’operazione in quella "politica politicante" fine a sé stessa, così lontana dalla gente, che avrebbe portato, dice, il centrosinistra alla sconfitta e che non darà spazio al terzo polo di Fini e Casini.

Il capo dell’esecutivo fa i conti dei voti che mancheranno oggi sulla mozione per Caliendo e tenta fino all’ultimo di frenare l’emorragia. Ma di fronte alla strategia del Pd ostenta sicurezza e si sente saldamente in sella. Bersani non lo vede affatto così. Ma, ragiona, "se il predellino gli è franato sotto ai piedi, non può dare le colpe a Fini". Poi però frena sul nome del possibile capo di un governo tecnico. "Il nostro mestiere non è quello del Capo dello Stato, non spetta a me decidere. Certo però che non può traghettare quello che ci ha portato fin qui".

Il segretario del pd, dunque, non nomina Tremonti, anche se gli viene attribuita l’ipotesi del ministro come successore, nel contesto del ragionamento. "Bersani non ha mai fatto nomi", precisa il suo portavoce Di Traglia. Anzi, il segretario democratico si mostra scettico su una possibile collaborazione da parte leghista, sebbene si dica pronto a "discutere" con il Carroccio su diverse riforme.

Ma l’uscita allo scoperto dell’ipotesi di un governo-Tremonti porta un certo scombussolamento nei corridoi e dall’Udc il leader Casini pare sollevato della smentita bersaniana: "Ha fatto bene Bersani a smentire quella finta indicazione". Piuttosto, continua il leader Udc, il governo tecnico non sarà transitorio, ma dovrà fare diverse cose per il Paese. Per questo la nascita del terzo polo rappresenta una novità di rilievo.

Ne conviene il Pd che guarda al nuovo scenario con curiosità e interesse. Bersani, però, precisa subito che se si va avanti, "in un assetto bipolare che ormai è entrato profondamente nel Paese" anche il terzo polo dovrebbe decidere dove collocarsi.

E questo è anche il monito a quanti nel Pd guardano con un interesse maggiore alla nascita di un soggetto che va a inserirsi al centro tra Pdl e Pd. Sebbene proprio gli ex popolari smentiscano di esserne attratti: "Se lo fossimo stati – spiega Fioroni – il passaggio lo avremmo già fatto. Questo è un dato positivo ma bisogna che diventi un interlocutore anche per tornare a governare".

Roberta D’Angelo

 

 

 

4 agosto 2010

Futuro e libertà

Fini boccia il terzo polo: "Non è il mio progetto"

"Nessuno è autorizzato a parlare di terzo polo, non è il mio progetto. Oggi è solo avvenuto un processo politico importante fra diverse componenti di maggioranza e opposizione". Gianfranco Fini apre la riunione con i suoi alla cena di Farefuturo, con un obiettivo ben chiaro in testa: tenere unita la truppa de deputati e senatori che l’hanno seguito, sminando il terreno dalle pressioni esercitate sul fronte moderato dei suoi deputati, sul caso Caliendo.

Nel pomeriggio era girato uno strano messaggio: "Attenzione, se domani i finiani si astengono sulla sfiducia a Caliendo con Rutelli, Casini e Lombardo, se Berlusconi si ritrova anche con un solo voto meno dei 316 della maggioranza, sale al Quirinale". L’sms, fatto girare dai fratelli-coltelli ex An rischiava di riaprire i giochi. A quell’ora erano già accesi i fornelli dell’imminente cena nella quale, ieri sera, il presidente della Camera ha riunito i suoi alla fondazione Farefuturo. E proprio al momento di buttare la pasta, ecco, in tema, la rassicurazione di Francesco Divella (che nel pomeriggio aveva preannunciato il suo personale no alla sfiducia) che si sarebbe allineato anche lui alle posizioni degli altri, orientati verso l’astensione. Ma non era più pacifico che fosse questa la via per far sì che la differenziazione della nuova formazione, sul caso Caliendo, non diventasse rottura, crisi.

Nel Pdl non tutti erano disposti a far passare liscia ai finiani: "Ci aspettano fango e minacce di voto, evitiamo pretesti". La pressione era diventata insidiosa, in serata, verso il ministro e viceministro di osservanza finiana. Nella cena, ieri, veniva anche valutata l’ipotesi di far uscire Andrea Ronchi e Adolfo Urso, per toglierli dall’imbarazzo. Ma poi Fini cedeva e dettava la linea: "Votino no, per non essere tacciati di contraddizione". E la spiegava così: "Caliendo non è Cosentino, è una mozione strumentale, questa. Restiamo uniti, troviamo una sintesi, non serve a nessuno dare l’idea di dividerci fra falci e colombe".

"Se i parlamentari del gruppo Fli dovessero astenersi, il presidente del Consiglio un minuto dopo dovrebbe salire al Quirinale per illustrare la situazione", aveva detto l’ex An Mario Landolfi. E un senatore ex finiano, poi rimasto nel Pdl, come il sottosegretario Andrea Augello arrivava alla stessa conclusione: "Non mi pare che si possa far finta di niente in tal caso". Ma il presidente della Repubblica nel pomeriggio era già partito per Stromboli. Nessun cambiamento nella tabella di marcia delle ferie del Presidente, in ossequio alla linea che il Quirinale ha ribadito in questi giorni, che lo vuole fuori da quella che continua a considerare dialettica interna alla maggioranza. E alla fine potrebbe andare proprio così: polemiche forti, ma la maggioranza tiene. Per ora.

Angelo Picariello

 

 

 

4 agosto 2010

INTERVISTA

Gasparri mette in mora i ministri finiani: "Vadano via se non votano come noi"

Passi per l’astensione dei finiani che sono soltanto deputati, una scelta comunque "singolare". Ma quelli che ricoprono incarichi di governo, come il ministro Ronchi o il viceministro Urso, devono schierarsi con il sottosegretario oppure dimettersi. Non usa mezze misure, il capogruppo del Pdl al Senato Maurizio Gasparri.

Non ci sono alternative?

Una soltanto: andare da Berlusconi a chiedere la testa di Caliendo. Come potrebbero, del resto, non votare contro le mozioni presentate dalle opposizioni e poi restare al governo insieme a una persona che non ritengono degna di fiducia? Mi sembra un ragionamento da scuola elementare. Così come lo era prevedere il "non voto" del gruppo di Fli.

Perché?

Perché era il solo modo per coprire la confusione che regna tra loro: alcuni vorrebbero esprimersi contro la sfiducia, altri vorrebbero mandare a casa Caliendo... Era una scelta obbligata, per non lasciare emergere le spaccature che in quel gruppo ci saranno su qualsiasi questione, dall’immigrazione ai temi bioetici. Anche se stanno cercando di farla passare come una strategia politica di convergenza con l’Udc e con altri. Un’operazione comunque ambigua e singolare: il primo atto di un gruppo neonato, che si dice a sostegno del governo, è quello di mettersi d’accordo con gruppi di opposizione.

La legalità è un’esigenza che va oltre le logiche di maggioranza, dicono i finiani.

È un tema sul quale non mi sento di prendere lezioni da nessuno: mi sono battuto per l’inasprimento del 41-bis e le sto parlando dopo che, qui al Senato, abbiamo appena approvato il codice antimafia. Quanto al merito della vicenda, ancora non ho capito perché Caliendo dovrebbe lasciare l’incarico e all’ex-vicepresidente del Csm Nicola Mancino nessuno ha chiesto dei suoi incontri con membri della cosiddetta cricca, i quali gli hanno chiesto di votare Marra alla presidenza della corte d’appello di Milano. Cosa che poi è avvenuta, sono sicuro per libero convincimento. Però Caliendo è finito nel mirino solo per aver partecipato a un convegno. Quando ci fu la richiesta di arresto per Bocchino, io andai a difenderlo in tv, non ne chiesi le dimissioni.

In ogni caso, oggi il governo dovrebbe salvarsi. Ma il Pdl è ora un partito con due distinti gruppi parlamentari alla Camera e due al Senato. Non è meglio andare alle elezioni che sopravvivere tre anni così?

Stiamo parlando dei destini del Paese, perciò serve cautela e, mi creda, ne stiamo usando in quantità industriale. Perciò, aspettiamo di vedere se davvero, come hanno detto, sosterranno lealmente l’esecutivo. Non è questione di emendamenti o di singole norme, sui quali è fisiologico discutere. Ma se ci fosse una strisciante opposizione da parte loro, come molte dichiarazioni lasciano pensare, allora il voto anticipato sarebbe l’epilogo di questa azione corrosiva. In contraddizione con il mandato conferito dagli elettori.

Lei ha appena incontrato La Russa e Alemanno. Avete discusso del patrimonio di An e dell’ormai famosa villa di Montecarlo?

No, abbiamo parlato di politica. Ma poco fa ho parlato con alcuni esponenti del comitato di vigilanza di An e mi hanno detto che quella casa fu venduta a 300mila euro a una società con sede in un paradiso fiscale. Roba strana per un partito... Sono molto rammaricato, ho letto che era stato offerto un milione e mezzo.

Danilo Paolini

 

 

 

4 agosto 2010

CONCORSO IN CORRUZIONE

G8, processo a Balducci

e soci fissato al 19 ottobre

È stato fissato, a Roma, per il 19 ottobre prossimo il processo per i presunti illeciti legati agli appalti per la Scuola dei marescialli dei Carabinieri di Firenze. Lo ha deciso il gip Barbara Liso. Con il rito immediato saranno giudicati Angelo Balducci, ex presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici, Fabio De Santis, già presidente del Consiglio Lavori pubblici della Toscana, Francesco Maria De Vito Piscicelli e Riccardo Fusi, imprenditori. Tutti sono accusati di concorso in corruzione.

A sollecitare il dibattimento sono stati il procuratore aggiunto Alberto Caperna ed i sostituti Ilaria Calò e Roberto Felici. Nel procedimento al vaglio della Procura di Roma rimangono tuttora indagati, sempre per concorso in corruzione, il coordinatore del Pdl, Denis Verdini, e l'imprenditore Roberto Bartolomei, mentre un settimo indagato, l'avvocato Guido Cerruti, è morto recentemente.

Nel chiedere il giudizio immediato per Balducci, De Santis e Piscicelli, la procura di Roma ha sostanzialmente rinnovato l'iniziativa già adottata dalla magistratura fiorentina prima che la Cassazione decretasse la competenza romana a procedere. Gli inquirenti della capitale hanno inoltre ritenuto di estendere la richiesta anche a Fusi, in virtù delle prove acquisite nei suoi confronti.

Una delle questioni che sarà sollevata il 19 ottobre riguarderà la posizione di Piscicelli, l'imprenditore che rideva al telefono dopo il terremoto in Abruzzo pensando alla ricostruzione, il quale, per gli stessi fatti per cui è imputato a Roma, ha già chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato a Firenze. L'udienza è fissata per il 21 settembre davanti al Gup Anna Favi.

MONDIALI DI NUOTO: A GIUDIZIO IN 32

Per i presunti abusi edilizi che avrebbero scandito la realizzazione degli impianti sportivi, piscine e altre strutture, in occasione dei mondiali di nuoto del 2009, la Procura di Roma ha citato a giudizio 33 persone.Tra queste Angelo Balducci, già presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, tuttora detenuto per la vicenda degli appalti G8, Claudio Rinaldi ex commissario straordinario per i mondiali di nuoto, Giovanni Malagò all'epoca presidente del comitato organizzatore dei mondiali.

Il processo comincerà il 5 aprile 2011. Abusivismo edilizio il reato contestato dai Pm, Sergio Colaiocco e Delia Cardia. Tra gli imputati figurano Simone Rossetti, gestore del Salaria sport village, il centro di benessere citato in alcune intercettazioni sul caso G8 riguardanti la posizione di Guido Bertolaso, e l'architetto Angelo Zampolini, già direttore dei lavori del Salaria sport village nonchè uno dei principali indagati nella più ampia inchiesta nei cosiddetti "grandi eventi" finita al vaglio della Procura di Perugia in seguito al coinvolgimento dell'ex procuratore aggiunto di Roma Achille Toro.

Copia degli atti dell'inchiesta dei Pm romani sono stati trasmessi alla Procura regionale della Corte dei conti come dalla stessa richiesta del 9 luglio scorso. Nell'ambito dell'indagine di Piazzale Clodio sono finiti

sotto sequestro una decina di strutture, circoli ed impianti sportivi, oggetto di lavori in occasione della competizione sportiva del 2009.

 

2010-08-03

Home Page Avvenire > Interni > Su Caliendo domani il voto Astensione di Fli, Udc, Mpa e Api

Interni

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3 luglio 2010

DOPO LO STRAPPO

Su Caliendo domani il voto

Astensione di Fli, Udc, Mpa e Api

I finiani, Udc, Mpa e Api hanno deciso al termine di un incontro alla Camera di proporre ai rispettivi gruppi di votare per l'astensione sulla mozione di sfiducia al sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, che verrà discussa domani in Aula. "Abbiamo riscontrato un'area di sensibilità istituzionale con gli amici dell'Udc, dell'Mpa e dell'Api", ha dichiarato il deputato finiano Della Vedova al termine dell'incontro a Montecitorio sulla posizione da adottare domani alla mozione di sfiducia nei confronti del sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo. "Un'area di sensibilità - sottolinea però Della Vedova - che non contrasta con la lealtà che confermiamo al mandato elettorale".

I DUBBI DEI FINIANI

"Attenzione. Se domani i finiani si astengono sulla sfiducia a Caliendo con Rutelli Casini e Lombardo, se Berlusconi si ritrova anche con un solo voto meno dei 316 della maggioranza, sale al Quirinale". A un certo punto del pomeriggio, circolano sms di questo tipo tra le truppe di "Futuro e Liberta". E lo spettro di una spaccatura nel neonato gruppo Fli alla Camera si concretizza in conciliaboli e riunioni dei fedelissimi al Presidente della Camera, che però non hanno gradito la pubblica esternazione del fronte Fli-Udc-Api-Mpa, fronte vasto schierato per l'astensione.

Ci sono i perplessi e quelli pronti addirittura a votare contro la sfiducia e ragionano a lungo (tra gli altri Moffa, Menia, Consolo, Proietti, Bellotti, Napoli, il reggente Giorgio Conte) su come dimostrare alla prima prova dei fatti che il sostegno al governo c'è, così come la volontà di non costituire terzi poli e nuove maggioranze.

Una mina che Gianfranco Fini dovrà disinnescare stasera - alla cena con i neonati gruppi alla Fondazione Farefuturo - dove si discuterà della linea astensionistica annunciata e si deciderà il nuovo capogruppo a Montecitorio (in pole position Italo Bocchino). È in questa sede che Fini dovrà dimostrare di avere con sè gruppi compatti per non consentire al premier di poter sostenere che il governo è andato sotto per il mancato sostegno dei finiani, che pure hanno annunciato di volerlo sostenere e di volersi mantenere fedeli alla maggioranza che li ha eletti.

Intanto, all'ora di pranzo nella sede della Fondazione di Gianni Alemanno "Nuova Italia", in una riunione dei fedelissimi del sindaco di Roma, di Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa ed Altero Matteoli, si è a lungo discusso della necessità per Berlusconi di non farsi condizionare da Fini, fin da questo primo delicato passaggio parlamentare. Del resto, il premier anche ieri lo ha detto nella cena con i senatori: "La via è stretta, non voglio farmi rosolare: al primo incidente si va al voto".

"SENZA LA LEGA NON SI VA DA NESSUNA PARTE"

Maroni aggiunge: "Senza la Lega non si va da nessuna parte, anche perchè al Senato un qualsiasi altro Governo non potrebbe mai prendere la fiducia. È inutile fare ragionamenti tortuosi. Se il Governo viene sfiduciato, il presidente del Consiglio va al Quirinale a dimettersi. Il capo dello Stato affida un incarico per la verifica di rito ed il verificatore accerterà che non c'è una maggioranza in Parlamento. E la strada delle urne è aperta".

E se, invece, si dovesse trovare una maggioranza diversa in Parlamento? "Non esiste - replica Maroni - una maggioranza diversa da quella che hanno voluto gli elettori. È irrealizzabile. Poteva accadere nella Prima Repubblica. Oggi no. Non c'è spazio per giochi di questo genere e senza la Lega non si va da nessuna parte. Se sfiduciano il Governo si va soltanto da una parte: alle urne".

 

 

 

 

3 agosto 2010

IL J'ACCUSE DEL MINISTRO

"Leader del centrodestra? Fini non ha più un futuro"

"Erano mesi che il linguaggio di Fini era incomprensibile al popolo di centrodestra. Le sue uscite sui temi etici, la sua sortita sulla cittadinanza breve per gli extracomunitari... Ma c’è stato un momento in cui nessuno ha capito il presidente della Camera...". Franco Frattini esita qualche istante prima di spiegare e scandire l’atto d’accusa.

"...Quando ha gridato "chi è indagato deve lasciare il governo"... Parole incomprensibili a una destra moderna che crede nelle garanzie e non accetta questo giustizialismo alla Di Pietro". Il ministro degli Esteri, parola dopo parola, diventa sempre più esplicito. "Fini non è più visto come un leader del centrodestra. E, in prospettiva, non sarà più uno dei leader naturali alla successione". Siamo alla Farnesina, nell’appartamento del capo della diplomazia italiana. Si parla di attualità politica. Di un voto che nessuno vuole, di un governo di transizione che non esiste e che il Quirinale "non avallerebbe mai". Ma soprattutto si parla di Gianfranco Fini. C’è una domanda netta che precede una risposta altrettanto netta. Ministro cosa pensa della vicenda della casa di Montecarlo? "È stato fatto un lavoro di giornalismo d’inchiesta. E quello che è venuto fuori merita risposte. Fini non può dire "la questione non esiste", risponderemo in sede legale. Non può dire "è solo fango". Il fango vero è stato riversato per anni contro il presidente del Consiglio.

Preoccupato per la mozione su Caliendo?

Un voto contrario dei "finiani" vorrebbe dire la fine di una storia. E di una legislatura. È così: si andrebbe, inevitabilmente al voto anticipato.

E le strade di Fini e Berlusconi si separerebbero per sempre?

Ora bisogna governare, ma al primo accordo che fallisce si va a votare perchè il logoramento è l’unica cosa che non può essere accettata. Ma voglio essere ancora più chiaro: se davvero si dovesse andare al voto per colpa di Fini faremo la campagna elettorale contro di lui.

Si spieghi

La gente ci chiede stabilità e lui? Lo inseguirebbero con i forconi. E costringerebbero il Pdl a spiegare le ragioni per cui cadiamo. E questa ragione avrebbe dei nomi e dei cognomi.

Lei sembra escludere lo scenario del governo di transizione...

Io conosco il capo dello Stato, so che cosa pensa... Voi credete che potrebbe mai avallare un ribaltone? O magari dire sì a un pateracchio... Siamo seri, Giorgio Napolitano non è mica Oscar Luigi Scalfaro.

Eppure girano voci. E nomi: che dice di Tremonti?

Giulio è l’ultima persona al mondo che potrebbe prestarsi a una cosa del genere e certi retroscena fanno ridere me e credo anche lui. E poi guardiamo i fatti: il governo tecnico è l’esatto contrario di quello che vogliono Bossi e Berlusconi. Non crede che basti? Ma dico un’ultima cosa: la storia spazza via quelle formazioni politiche che si prestano a giochi di Palazzo e l’esperienza di Lamberto Dini dovrebbe essere ricordata da tutti.

I finiani insistono: serve un nuovo patto di legislatura

Non capisco. Il programma è e resta questo. Non si possono aggiungere nuovi capitoli o toglierne altri. E allora se qualcuno immagina un patto per cambiare l’accordo di programma dico no. Pensate se seguendo l’idea dell’aggiornamento si dicesse: lavoriamo alla cittadinanza breve per gli extracomuunitari... E non voglio andare avanti.

Torniamo a Fini. C’è l’eventualità che dia vita a un raggruppamento con Casini e Rutelli?

Provi a fare un giro nei blog legati al mondo della destra. Legga che cosa scrive quel mondo sullo strappo di Fini. E immagini come quel mondo giudicherebbe un accordo con Rutelli che è stato il capo dei radicali.

Insomma Fini è in un vicolo cieco?

Sicuramente non ha altre opzione che non quella del centrodestra. E allora ha una sola possibilità: dimostrare concretamente di essere ancora una risorsa. E cominci con azioni parlamentari e politiche prive di ambiguità.

Arturo Celletti

 

 

 

3 agosto 2010

LA CRISI DEL CENTRODESTRA

Berlusconi: "Al primo incidente si va al voto"

Silvio Berlusconi avverte: "La via è stretta, al primo incidente si va al voto". Il premier al ricevimento con i senatori del Pdl non fa alcun cenno diretto alla calendarizzazione immediata della mozione di sfiduciacontro il sottosegretario Caliendo, ma fissa i paletti per i corretti rapporti con il presidente della Camera Gianfranco Fini ed i suoi nuovi gruppi parlamentari. Berlusconi non attacca l'ex alleato anche perchè riconosce la lealtà dei finiani che, sostiene, "fanno parte del governo e non lo faranno cadere". "Voteranno all'interno del programma della maggioranza", assicura. Secondo il premier, d'altronde, l'ex leader di An non ha interesse ad arrivare al voto perchè "ha solo il 1,5%" dei consensi.

Circa ipotetiche campagne acquisti in Parlamento, il Cavaliere spiega: "Io non ho fatto telefonate". Anzi "sono stato contattato da cinque finiani", dice ai senatori Berlusconi. Al ricevimento erano presenti anche Pasquale Villari e Deodato Scanderebech che sostituirà Michele Vietti al Senato essendo stato eletto nelle liste dell'Udc.

L'attenzione del premier è tutta per "l'architettura dello Stato che non ci lascia tranquilli": per questo Berlusconi vuole "le riforme istituzionali" in modo da "non essere imprigionato". Limitazioni istituzionali che - a suo dire - gli impediscono di governare e riformare l'Italia.

Il presidente della Repubblica è stato votato dal centrosinistra, la Corte Costituzionale è al 90% formata da membri di sinistra e lo staff del Quirinale controlla anche gli aggettivi delle leggi che gli sottoponiamo per cui ciò che entra come un cavallo purosangue esce come un ippopotamo ed in comune hanno solo "l'ippo" (riferendosi al nome greco di cavallo, ndr).

Il premier, in base al racconto di diversi presenti, si sarebbe detto preoccupato per le conseguenze democratiche di tutto questo. Frasi poi smentite da Palazzo Chigi con una nota. Berlusconi non ha comunque intenzione di aprire un nuovo fronte con Napolitano ma punta sull'esigenza di concludere regolarmente la legislatura: "Io voglio andare avanti", dice più volte durante la cena, e per questo - aggiunge - "lavorerò durante le vacanze per il rinnovo del partito e sui temi della campagna

elettorale da qui a tre anni, se non servirà prima".

 

 

 

 

3 agosto 2010

INCHIESTA LOGGIA

P3 e giudici, Formigoni interrogato a Roma

Due ore e mezza. Nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta "Loggia P3", tanto è durata l’audizione del presidente della Lombardia Roberto Formigoni, alla Procura di Roma, davanti al procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e al sostituto Rodolfo Sabelli.

"Sono stato audito come testimone – ha detto il governatore della Lombardia – e sono rimasto testimone. Mi sono state rivolte domande su fatti di cui potessi essere a conoscenza. Non è mia intenzione rompere il segreto istruttorio". Successivamente però, la portavoce di Formigoni, ha aggiustato il tiro. "Il presidente della Lombardia – ha detto – non ha mai affermato "sono ancora testimone" o "rimango testimone". Alla domanda di un giornalista che ha chiesto se fosse in Procura in tale veste ha risposto: "Assolutamente sì. Sono stato audito in qualità di testimone. Non intendo rompere il segreto istruttorio"". Formigoni, poi, salendo in macchina, ha raccontato ancora la portavoce, con la mano ha fatto il gesto "roger" (pollice alzato) ai fotografi e alle telecamere.

Tuttavia, ora i magistrati starebbero valutando le dichiarazioni di Formigoni, confrontandole con quelle di due suoi stretti collaboratori: Paolo Alli e Mauro Villa, quest’ultimo citato nelle carte processuali con lo pseudonimo "Willy".

Durante il colloquio con i magistrati Formigoni, infatti, dovrebbe aver fornito spiegazioni in merito alle presunte pressioni che alcuni membri della P3, tra cui l’ex giudice tributario Pasquale Lombardi e l’imprenditore campano Arcangelo Martino, avrebbero esercitato sulla Corte di Appello di Milano, diretta a suo tempo da Alfonso Marra, per fare accogliere un ricorso elettorale della lista "Per la Lombardia" che faceva capo a Formigoni esclusa dalle ultime elezioni regionali. Il governatore lombardo dovrebbe avere anche spiegato le presunte pressioni esercitate successivamente da alcuni esponenti della P3 per ottenere un’ispezione ministeriale a carico del collegio che respinse il ricorso in questione.

Intanto, dopo che negli scorsi giorni sono stati interrogati, in quanto indagati, personaggi di punta del Pdl come il coordinatore nazionale Denis Verdini, il senatore Marcello Dell’Utri e il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, i magistrati stanno mettendo a punto il calendario dei prossimi interrogatori. Dopo Formigoni, sono già convocati negli uffici della Procura romana, per audizioni come testimoni, il capo dell’ispettorato del ministero della Giustizia Arcibaldo Miller, l’ex avvocato generale della Cassazione Antonio Martone e l’ex presidente della Corte di Cassazione Vincenzo Carbone.

Sulla vicenda si muove anche il Parlamento. Ieri trenta parlamentari, 21 del Partito Democratico e 9 Radicali, hanno presentato sia alla Camera che al Senato un’interrogazione per chiedere conto al governo di quanto successo con l’affaire "P3-lista elettorale Formigoni".

Davide Re

 

 

 

 

3 agosto 2010

INCHIESTA

P3, Miller: nessuna pressione su istituzioni

"Non ho mai esercitato pressioni sulle istituzioni". Lo ha detto il capo dell'ispettorato del dicastero della Giustizia, Arcibaldo Miller, ai pm romani che stamani lo hanno sentito come testimone nell'ambito dell'inchiesta sulla P3. Nelle carte processuali il nome del capo degli ispettori ministeriali viene indicato a proposito dei tentativi di avvicinamento ai giudici della Consulta in vista dell'esame del ricorso del Lodo Alfano e alla ventilata ispezione, mai disposta, alla Corte di Appello di Milano.

 

 

 

3 agosto 2010

POLITICA

Bersani: meglio Tremonti

che votare con questa legge

Il segretario del Pd Pierluigi Bersani ritiene "più sensato" un governo di transizione a guida dell'attuale ministro dell'Economia Giulio Tremonti che tornare alle urne con l'attuale legge elettorale. Alla domanda dei giornalisti a Montecitorio su che cosa pensi il Pd di un eventuale governo del presidente a guida Tremonti, Bersani ha detto di ritenere questa "una evenienza più sensata di un confronto elettorale con un meccanismo come questo vigente".

"Sono valutazioni che spettano al presidente della Repubblica. Il nostro mestiere non è quello del Capo dello Stato. Certo però non può traghettare quello che ci ha portato fin qui", ha aggiunto riferendosi al premier Silvio Berlusconi.

 

 

 

 

3 luglio 2010

MAFIA

Grasso: "Rischio attentati di mafia

in momenti di tensioni politiche"

È stato "violato il codice etico Antimafia" perchè "alcuni partiti e alcuni candidati alla Presidenza delle Regioni non hanno vigilato come era richiesto e doveroso". Lo sostiene il vicepresidente della commissione Antimafia Fabio Grranata che annuncia: "Alla ripresa riferiremo alle Camere".

"Nonostante la condivisione teorica al codice etico promosso dalla commissione Antimafia, sia tra le candidature che tra gli eletti - spiega il finiano - ci sono infiltrazioni e zone d'ombra. Nonstante la carente collaborazione delle Prefetture stiamo ricomponendo il quadro e riferiremo alle Camere. La politica rompa ogni ambiguità nella lotta alla mafia".

Il Procuratore Nazionale Antimafia Piero Grasso non è "sorpreso" dalla denuncia del vicepresidente della Commissione Antimafia Fabio Granata sulla violazione (da parte di alcuni partiti e candidati alla presidenza delle regioni) del codice etico". Grasso comunque sottolinea che questi "sono problemi politici e che quindi giustamente se ne occupa la politica". "Già nel 1991 - ricorda l'alto magistrato - un fatto del genere era stato accertato dall'allora Commissione Antimafia presieduta da Gerardo Chiaromonte. Io - afferma Grasso - all'epoca ero consulente della commissione e il fenomeno delle infiltrazioni mafiose si registrò in varie zone, soprattutto del sud".

Il procuratore Grasso, poi ritorna sul rischio che la mafia, come successe negli anni '92-'93 con gli attentati di Firenze, Capaci e via d'Amelio, possa approfittare delle tensioni politiche per dar vita a una nuova stagione terroristica-mafiosa. "La mia - precisa il procuratore nazionale antimafia - è stata soltanto una valutazione rispetto al passato. Allo stato, però, non ci sono elementi in tal senso. Anzi, secondo le dichiarazioni di alcuni collaboratori, il super latitante Matteo Messina Denaro sarebbe contrario alla ripresa di questa strategia. È chiaro, però, che a queste dichiarazioni servono riscontri. Quindi, lo ripeto, la mia è un'analisi che si basa sulla storia del passato e speriamo che nel futuro non accada". Infine sul ruolo che Messina Denaro avrebbe sulla mafia, Piero Grasso conclude: "ha una grande autorevolezza, sicuramente viene consultato, ma da qui ad affermare che sia diventato il capo dei capi....".

 

 

 

 

 

3 agosto 2010

LOTTA ALLA MAFIA

Approvato dal Senato

il nuovo Codice antimafia

Con 279 voti a favore, un astenuto e nessun contrario l'Aula del Senato ha approvato definitivamente il disegno di legge con il "Codice antimafia". Sull'approvazione definitiva del ddl con il piano straordinario contro le mafie, il Presidente del Senato, Renato Schifani, aggiunge in aula: "Voglio ringraziare tutti i senatori, ma in particolare i gruppi di opposizione, che hanno fatto prevalere l'esigenza di far entrare immediatamente in vigore un testo contenente norme così rilevanti".

"Mi compiaccio - ha aggiunto ancora Schifani - che abbiano accolto il mio invito, dimostrando come, di fronte all'esigenza di battere la criminalità organizzata, ancora una volta il Parlamento sa essere unito". il presidente del Senato ha poi ricordato che in due anni il Parlamento ha approvato norme di contrasto senza precedenti: dal sequestro dei patrimoni, al 41 bis, al codice antimafia, "votando tutti questi provvedimenti all'unanimità e dimostrando che la legalità non è esclusiva di qualcuno ma è patrimonio di tutti. Lo dobbiamo ai cittadini italiani ma lo dobbiamo soprattutto alle vittime della mafia che hanno pagato con la vita il contrasto alla criminalità organizzata".

Sull'approvazione del Codice antimafia è intervenuto anche il ministro della Giustizia, Angelino Alfano: "Oggi è un grande giorno per la lotta alla mafia. Si completa, infatti, il percorso avviato a Reggio Calabria, quando il Consiglio dei Ministri ha varato il "Piano straordinario contro le mafie", ha approvato il decreto relativo all'Agenzia per i beni confiscati e presentato il testo che, oggi, giunge all'approvazione del Senato"

"Il Parlamento - continua il Guardasigilli - ha così definitivamente delegato il Governo a redigere il codice antimafia nel quale, per la prima volta nel nostro ordinamento, la legislazione di contrasto alla mafia verrà riunita in un unico testo normativo". Si tratta, ha aggiunto il Guardasigilli, di un codice antimafia che non ha precedenti nella nostra storia: "Fino ad oggi la legislazione antimafia ed in materia di misure di prevenzione è stata frammentaria e disordinata. Il codice darà finalmente ordine e maggiore efficacia alle leggi e fornirà, ai magistrati ed alle Forze dell'ordine, strumenti più incisivi ed armi più affilate".

Soddisfatto anche il ministro dell'Interno, Roberto Maroni che ha ribadito la propria convinzione sulla possibilità "di sconfiggere la criminalità organizzata entro i prossimi tre anni". Il ministro, intervenuto a conclusione delle votazioni del ddl sul Codice antimafia, ha ringraziato tutte le forze politiche per il voto compatto sul provvedimento, approvato senza modifiche e divenuto legge dello Stato.

 

 

 

 

2 agosto 2010

TRENT'ANNI DOPO

Strage di Bologna, Napolitano:

colmare lacune e ambiguità

"La trasmissione della memoria di quel tragico fatto e di tutti quelli che in quegli anni hanno insanguinato l'Italia non costituisce solo un doveroso omaggio alle vittime di allora, ma impegna anche i magistrati e tutte le istituzioni a contribuire con ogni ulteriore possibile sforzo a colmare persistenti lacune e ambiguità sulle trame e le complicità sottese a quel terribile episodio". È quanto ha scritto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel messaggio all'associazione dei famigliari delle vittime della strage di Bologna in occasione del trentesimo anniversario.

La giornata dedicata alla memoria delle 85 vittime della strage del 2 agosto 1980 si aperta con lo storico striscione "Bologna non dimentica". Il corteo è partito da Piazza del Nettuno; a sfilare per il centro fino alla stazione c'è anche Agnese Moro, la figlia di Aldo ucciso dalle Brigate Rosse. Ai cronisti che le chiedevano un commento sull'assenza, per la prima volta in 30 anni, di un rappresentante del Governo alla commemorazione, Agnese Moro ha risposto: "Penso che qui c'è chi ha a cuore il popolo italiano".

La figlia di Moro ha sulla maglia la gerbera bianca, simbolo dei parenti delle 85 vittime della strage. Una battuta sull'assenza del Governo anche da parte del presidente dell'associazione dei familiari delle vittime, Paolo Bolognesi: "Chi non c'è ha perso un'occasione. Voglio guardare a chi c'è, non a chi non c'è".

In rappresentanza dell'Esecutivo c'è il Prefetto di Bologna Angelo Tranfaglia: "I fischi non ci dovrebbero essere mai. Mi auguro che questa sia una giornata tutta tesa a questo obiettivo", ha detto, alludendo alle contestazioni che negli anni hanno accolto i ministri sul palco nel piazzale della stazione. In corteo anche 85 persone con al collo di ciascuna un cartello con il nome di una delle 85 vittime. "Volevamo rendere concrete le vittime e farle camminare con le loro gambe", ha spiegato l'esecutivo di Sel.

Sono decorsi trenta anni da quel terribile 2 agosto 1980, quando il devastante attentato alla stazione centrale di Bologna provocò 85 morti e oltre 200 feriti. "A essi e ai loro famigliari - conclude Napolitano - va il mio pensiero commosso e partecipe. La vita di inermi cittadini fu quel giorno spezzata dalla violenza di ciechi disegni terroristici ed eversivi. La definizione delle loro matrici così come la individuazione dei loro ispiratori hanno dato luogo a una tormentata vicenda di investigazioni e processi non ancora esaurita".

"Non ci muove l'odio ma il senso di dignità perchè senza esigenza di memoria e pretesa di giustizia non vi è vita collettiva che abbia un senso e un valore", è un passaggio del discorso letto da Paolo Bolognesi, presidente dell'Associazione dei famigliari delle vittime.

"Nel rivedicare i nostri diritti abbiamo evitato di sentirci e farci sentire vittime, ci siamo sempre comportati come cittadini che chiedono cose a loro dovute. La nostra è stata ed è una lunga battaglia: contro il tempo che passa; contro i silenzi e le menzogne; contro i tentativi di delegittimazione ancora in corso; contro chi pensa di difendere i carnefici e non le vittime; contro chi vuole farci dimenticare, abbassare la testa", ha aggiunto Bolognesi.

Il presidente dll'associazione dei familiari delle vittime ha poi contestato duramente l'ipotesi di reiterare il segreto di Stato dopo 30 anni: "È una vergogna, sembra fatta non per tutelare la sicurezza dello Stato ma per rendere impossibile colpire i mandanti e gli ispiratori politici".

Secondo Bolognesi, "l'ostacolo principale alla verità, allo smascheramento dei mandanti, è l'apposizione anche in modo non ufficiale del segreto di Stato in tutti i processi di terrorismo e stragi" e per questo i familiari delle vittime chiedono che "passati 30 anni dall'evento tutti i documenti ad esso relativi e i nominativi in esso contenuti, in possesso dei servizi segreti, della polizia e dei carabinieri vengano catalogati e resi pubblici, senza distinguere tra documenti d'archivio e quelli d'archivio corrente".

IL MESSAGGIO DI SCHIFANI

"Accertare la verità dei fatti e individuare i responsabili di quel drammatico e atroce attentato deve continuare ad essere una priorità, perchè non soltanto i familiare delle vittime, ma la Nazione tutta ha il diritto di sapere le ragioni di un gesto così efferato, affinchè fatti così gravi non abbiano più a ripetersi". È quanto si legge nel messaggio del presidente del Senato Renato Schifani al presidente del Comitato di Solidarietà alle Vittime delle Stragi, Annamaria Cancellieri, nella ricorrenza del trentesimo anniversario della strage di Bologna.

Scrive Schifani: "Sono passati trent'anni da quel sabato 2 agosto 1980, giorno tragico e drammatico della storia recente del nostro Paese in cui persero la vita 85 persone e 200 rimasero ferite. A tutti loro va oggi il mio pensiero commosso e al Comitato di Solidarietà alle Vittime, all'Associazione Familiari, presieduta da Paolo Bolognesi, e a quanti hanno operato in questi anni per tenere sempre viva l'attenzione su quella terribile strage attraverso un'opera costante di ricerca della verità e di trasmissione della memoria il più sentito ringraziamento".

"Nel rinnovare la mia vicinanza alle famiglie colpite e alla città di Bologna tutta - conclude Schifani - rivolgo un sincero saluto a Lei e a quanti ogni giorno si battono per l'affermazione della verità e della giustizia".

E QUELLO DI FINI

Il ricordo della strage di Bologna contribuisca "a riaffermare i valori di libertà e di legalità che sono alla base della nostra democrazia, contro ogni forma di fanatismo politico, di odio ideologico e di violenza terroristica". Lo scrive il presidente della Camera, Gianfranco Fini, esprimendo "profonda vicinanza" al Commissario straordinario di Bologna, Annamaria Cancellieri, e al presidente dell'Associazione vittime della stazione di Bologna, Paolo Bolognesi.

"In occasione del trentesimo anniversario della strage alla stazione di Bologna - scrive il presidente Fini - desidero unirmi idealmente a voi, oggi riuniti per commemorare le 85 vittime innocenti che persero la vita in quella immane tragedia, rinnovando la solidarietà mia personale e dell'intera Camera dei deputati ai loro familiari, così duramente segnati nei propri affetti".

"Il barbaro attentato del 2 agosto 1980 che sconvolse la città di Bologna - prosegue la terza carica dello Stato - violando il suo animo generoso, costituisce una delle pagine più terribili della storia del nostro Paese e uno degli esempi più efferati di un disumano disegno destabilizzante, che con la sua criminale azione terroristica si abbattè sull'Italia e su Bologna, producendo tanti lutti e tante indicibili sofferenze".

Il presidente Fini formula inoltre formula "l'auspicio che venga finalmente accertata, in tutti i suoi aspetti, la verità sulla strage, facendo piena luce su una trama terroristica che ha tentato di scardinare il nostro sistema democratico e rendendo un doveroso servigio alla città, agli italiani e al nostro Paese".

 

 

 

 

2010-08-02

 

2 agosto 2010

TRENT'ANNI DOPO

Strage di Bologna, Napolitano:

colmare lacune e ambiguità

"La trasmissione della memoria di quel tragico fatto e di tutti quelli che in quegli anni hanno insanguinato l'Italia non costituisce solo un doveroso omaggio alle vittime di allora, ma impegna anche i magistrati e tutte le istituzioni a contribuire con ogni ulteriore possibile sforzo a colmare persistenti lacune e ambiguità sulle trame e le complicità sottese a quel terribile episodio". È quanto ha scritto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel messaggio all'associazione dei famigliari delle vittime della strage di Bologna in occasione del trentesimo anniversario.

La giornata dedicata alla memoria delle 85 vittime della strage del 2 agosto 1980 si aperta con lo storico striscione "Bologna non dimentica". Il corteo è partito da Piazza del Nettuno; a sfilare per il centro fino alla stazione c'è anche Agnese Moro, la figlia di Aldo ucciso dalle Brigate Rosse. Ai cronisti che le chiedevano un commento sull'assenza, per la prima volta in 30 anni, di un rappresentante del Governo alla commemorazione, Agnese Moro ha risposto: "Penso che qui c'è chi ha a cuore il popolo italiano".

La figlia di Moro ha sulla maglia la gerbera bianca, simbolo dei parenti delle 85 vittime della strage. Una battuta sull'assenza del Governo anche da parte del presidente dell'associazione dei familiari delle vittime, Paolo Bolognesi: "Chi non c'è ha perso un'occasione. Voglio guardare a chi c'è, non a chi non c'è".

In rappresentanza dell'Esecutivo c'è il Prefetto di Bologna Angelo Tranfaglia: "I fischi non ci dovrebbero essere mai. Mi auguro che questa sia una giornata tutta tesa a questo obiettivo", ha detto, alludendo alle contestazioni che negli anni hanno accolto i ministri sul palco nel piazzale della stazione. In corteo anche 85 persone con al collo di ciascuna un cartello con il nome di una delle 85 vittime. "Volevamo rendere concrete le vittime e farle camminare con le loro gambe", ha spiegato l'esecutivo di Sel.

Sono decorsi trenta anni da quel terribile 2 agosto 1980, quando il devastante attentato alla stazione centrale di Bologna provocò 85 morti e oltre 200 feriti. "A essi e ai loro famigliari - conclude Napolitano - va il mio pensiero commosso e partecipe. La vita di inermi cittadini fu quel giorno spezzata dalla violenza di ciechi disegni terroristici ed eversivi. La definizione delle loro matrici così come la individuazione dei loro ispiratori hanno dato luogo a una tormentata vicenda di investigazioni e processi non ancora esaurita".

"Non ci muove l'odio ma il senso di dignità perchè senza esigenza di memoria e pretesa di giustizia non vi è vita collettiva che abbia un senso e un valore", è un passaggio del discorso letto da Paolo Bolognesi, presidente dell'Associazione dei famigliari delle vittime.

"Nel rivedicare i nostri diritti abbiamo evitato di sentirci e farci sentire vittime, ci siamo sempre comportati come cittadini che chiedono cose a loro dovute. La nostra è stata ed è una lunga battaglia: contro il tempo che passa; contro i silenzi e le menzogne; contro i tentativi di delegittimazione ancora in corso; contro chi pensa di difendere i carnefici e non le vittime; contro chi vuole farci dimenticare, abbassare la testa", ha aggiunto Bolognesi.

Il presidente dll'associazione dei familiari delle vittime ha poi contestato duramente l'ipotesi di reiterare il segreto di Stato dopo 30 anni: "È una vergogna, sembra fatta non per tutelare la sicurezza dello Stato ma per rendere impossibile colpire i mandanti e gli ispiratori politici".

Secondo Bolognesi, "l'ostacolo principale alla verità, allo smascheramento dei mandanti, è l'apposizione anche in modo non ufficiale del segreto di Stato in tutti i processi di terrorismo e stragi" e per questo i familiari delle vittime chiedono che "passati 30 anni dall'evento tutti i documenti ad esso relativi e i nominativi in esso contenuti, in possesso dei servizi segreti, della polizia e dei carabinieri vengano catalogati e resi pubblici, senza distinguere tra documenti d'archivio e quelli d'archivio corrente".

IL MESSAGGIO DI SCHIFANI

"Accertare la verità dei fatti e individuare i responsabili di quel drammatico e atroce attentato deve continuare ad essere una priorità, perchè non soltanto i familiare delle vittime, ma la Nazione tutta ha il diritto di sapere le ragioni di un gesto così efferato, affinchè fatti così gravi non abbiano più a ripetersi". È quanto si legge nel messaggio del presidente del Senato Renato Schifani al presidente del Comitato di Solidarietà alle Vittime delle Stragi, Annamaria Cancellieri, nella ricorrenza del trentesimo anniversario della strage di Bologna.

Scrive Schifani: "Sono passati trent'anni da quel sabato 2 agosto 1980, giorno tragico e drammatico della storia recente del nostro Paese in cui persero la vita 85 persone e 200 rimasero ferite. A tutti loro va oggi il mio pensiero commosso e al Comitato di Solidarietà alle Vittime, all'Associazione Familiari, presieduta da Paolo Bolognesi, e a quanti hanno operato in questi anni per tenere sempre viva l'attenzione su quella terribile strage attraverso un'opera costante di ricerca della verità e di trasmissione della memoria il più sentito ringraziamento".

"Nel rinnovare la mia vicinanza alle famiglie colpite e alla città di Bologna tutta - conclude Schifani - rivolgo un sincero saluto a Lei e a quanti ogni giorno si battono per l'affermazione della verità e della giustizia".

E QUELLO DI FINI

Il ricordo della strage di Bologna contribuisca "a riaffermare i valori di libertà e di legalità che sono alla base della nostra democrazia, contro ogni forma di fanatismo politico, di odio ideologico e di violenza terroristica". Lo scrive il presidente della Camera, Gianfranco Fini, esprimendo "profonda vicinanza" al Commissario straordinario di Bologna, Annamaria Cancellieri, e al presidente dell'Associazione vittime della stazione di Bologna, Paolo Bolognesi.

"In occasione del trentesimo anniversario della strage alla stazione di Bologna - scrive il presidente Fini - desidero unirmi idealmente a voi, oggi riuniti per commemorare le 85 vittime innocenti che persero la vita in quella immane tragedia, rinnovando la solidarietà mia personale e dell'intera Camera dei deputati ai loro familiari, così duramente segnati nei propri affetti".

"Il barbaro attentato del 2 agosto 1980 che sconvolse la città di Bologna - prosegue la terza carica dello Stato - violando il suo animo generoso, costituisce una delle pagine più terribili della storia del nostro Paese e uno degli esempi più efferati di un disumano disegno destabilizzante, che con la sua criminale azione terroristica si abbattè sull'Italia e su Bologna, producendo tanti lutti e tante indicibili sofferenze".

Il presidente Fini formula inoltre formula "l'auspicio che venga finalmente accertata, in tutti i suoi aspetti, la verità sulla strage, facendo piena luce su una trama terroristica che ha tentato di scardinare il nostro sistema democratico e rendendo un doveroso servigio alla città, agli italiani e al nostro Paese".

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Supplementi

 

 

 

1 agosto 2010

POLITICA E MAGISTRATURA

Csm, Michele Vietti

è il nuovo vicepresidente

Michele Vietti è il nuovo vicepresidente del Csm, prende il posto di Nicola Mancino. L'ex presidente vicario dell'Udc alla Camera è stato eletto stamane a Palazzo dei Marescialli. Presente il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che ha presieduto la seduta ma che, come di consueto, non ha votato. Vietti ha avuto 24 voti su 26 votanti. Due le schede bianche.

"Con la sua elezione lei è divenuto il presidente di tutti". Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano rivolgendosi a Vietti, eletto praticamente all'unanimità dal plenum. "Ciascun componente del Consiglio - ha proseguito Napolitano rivolgendosi sempre a Vietti - potrà sentirsi da lei rappresentato, ascoltato e garantito nell'esercizio delle sue funzioni".

"Alla sua competenza e saggezza - è ancora l'invito del presidente della Repubblica - è demandato il compito di armonizzare le diverse, libere voci e di stabilire con il capo dello Stato un valido raccordo istituzionale. Sono certo che al pari del suo predecessore, il senatore Nicola Mancino, saprà prestarmi prezioso e costante ausilio".

IL DISCORSO DI VIETTI

"C'è l'esigenza di riguadagnare prestigio e consenso" del Consiglio Superiore della Magistratura "scosso anche da recenti scandali". È quanto ha sottolineato il nuovo vicepresidente del Csm Michele Vietti nel suo discorso di insediamento.

"Ciò andrà fatto ponendo particolare attenzione - ha detto Vietti - alle regole deontologiche che devono valere non solo per i magistrati, ma anche per i componenti del Csm, cercando di recuperare uno stile di rigore e serietà". Secondo Vietti, va recuperato un "bene prezioso", come "credibilità,

imparzialità e terzietà della magistratura".

Vietti, ha poi concluso il proprio discorso augurandosi che la sua elezione sia un segnale di unità per tutto il Consiglio: "Grazie a chi mi ha votato e chi no, credo che questo consenso non sia basato sulla qualità dei candidati ma voglia essere un segnale di unità che rappresenti un sintomo di autorevolezza e forza nei rapporti interni ed esterni al Consiglio".

IL PROFILO DEL NUOVO VICEPRESIDENTE

Piemontese, 56 anni, avvocato, ex sottosegretario alla Giustizia, Michele Giuseppe Vietti, esponente dell'Udc, rivestirà per i prossimi quattro anni il ruolo di vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Nato a Lanzo Torinese il 10 febbraio 1954, si è laureato in Giurisprudenza all'Università di Torino nel 1977. Dal 1978 al 1987 ha collaborato presso la prima Cattedra di Diritto Civile della Facoltà di Giurisprudenza dello stesso Ateneo. Dal 1983 al 1989 è stato vicepretore a Rivarolo Canavese.

La sua attività politica è iniziata con l'incarico di consigliere comunale a Torino dal 1990 al 1997. Nel 1996 Vietti si candidò alla Camera nel collegio di Chivasso: sostenuto dal centrodestra ma non dalla Lega Nord, ottenne il 34,6% dei consensi.

Per il neo-vicepresidente dell'organo di autogoverno della magistratura, non è la prima volta a Palazzo dei Marescialli: dal 1998 al 2001, infatti, è stato uno dei membri laici del Csm. Nel maggio 2001 è stato eletto alla Camera dei deputati nel collegio n.17- Piemonte 1 (Lanzo, Rivarolo, Cuorgnè) ed è stato deputato della XII legislatura quando ha presieduto il Comitato Pareri della Prima Commissione (Affari Costituzionali) della Camera ed ha fatto parte della Giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizio.

Vietti ha anche presieduto la Commissione ministeriale per la riforma del diritto societario, la Commissione ministeriale per la riforma del diritto delle professioni intellettuali, nonchè il gruppo di lavoro per la riforma del diritto fallimentare, per la tutela degli acquirenti di immobili e per l'unificazione degli albi dei commercialisti.

Dal 2002 ha aderito all'Unione Democratici Cristiani e Democratici di Centro (Udc). Ha ricoperto incarichi governativi come sottosegretario al ministero della Giustizia (secondo Governo Berlusconi) e sottosegretario al ministero dell'Economia e delle Finanze (terzo Governo Berlusconi).

Nel 2006 è stato eletto deputato nella circoscrizione I (Piemonte 1) e nell'anno successivo è stato nominato vicesegretario nazionale del suo partito. Nel 2008 Vietti è stato di nuovo eletto alla Camera, dove ha ricevuto l'incarico di presidente vicario del gruppo parlamentare Udc.

 

 

 

 

 

2010-07-31

31 luglio 2010

IL TRAVAGLIO DEL PDL

Il giorno dopo lo strappo

Berlusconi cerca sponde

È l'ennesimo "day after", nella maggioranza. Quello in cui, dopo il proclama delle "mani libere" di Gianfranco Fini, si ragiona di possibili scenari senza escludere la crisi di governo. E mentre il Cavaliere vanta di aver portato a casa ben quattro provvedimenti "contro tante chiacchiere", iniziano a registrarsi smentite e controsmentite sulla "campagna acquisti" del premier per rinforzare governo e maggioranza dopo la costituzione del nuovo gruppo finiano "Futuro e Liberta".

Ci sono deputati dell'Udc e dell'Api di Francesco Rutelli ma anche del gruppo misto - avrebbe detto stanotte durante una cena con le deputate il premier - pronti a sostenerci, vanno intercettati. Ma dai diretti interessati la replica è gelida. "Nessuno pensi di spendere il nome di un movimento politico che è nato in modo coraggioso nuotando controcorrente per operazioni balneari. Detto in cinque parole, non c'è trippa per gatti", fa sapere chi è vicino al leader dell'Api, Francesco Rutelli.

"Io sono coniugato stabilmente e non cerco fidanzamenti", ribatte Pier Ferdinando Casini. "Sono sicuro che nessuno dei miei passerà con Silvio, siamo blindati - aggiunge il leader Udc - semmai sono gli altri a bussare alla nostra porta". "Sono una persona seria, rispetto gli impegni presi con gli elettori che mi hanno collocato all'opposizione - dice ancora Casini - Ho chiesto alla luce del sole nelle cene private come in Parlamento a Berlusconi di aprire una fase nuova. Serve all'Italia un governo di responsabilità nazionale che affronti il capitolo delle grandi riforme perchè così si campicchia e noi non possiamo permettercelo".

Di fatto, però, parlare di crisi di governo e persino di elezioni anticipate ormai non è un tabù neppure per i ministri stessi. "Se un'eventuale violazione del patto con gli elettori da parte di qualcuno dovesse impedire al governo di andare avanti - afferma ad esempio il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli - Berlusconi ed il centrodestra vincerebbero le inevitabili elezioni".

Intanto, a Palazzo Grazioli il premier incontra tra gli altri l'ex finanana Anna Maria Bernini (che dovrebbe diventare vice ministro dello Sviluppo nel cdm di mercoledì). Per evitare incidenti - riferiscono le deputate che lo hanno visto a cena ieri sera a Tor Crescenza - è lo stesso Cavaliere ad invitare ministri e sottosegretari ad essere più presenti in Parlamento quando si vota, a chiedere maggiore compattezza in Aula ed un maggior monitoraggio delle presenze.

I numeri traballano, insomma, e voto di sfiducia sul sottosegretario Giacomo Caliendo, processo breve, Lodo Alfano, riforma della giustizia e federalismo saranno i primi banchi di prova. Ma il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto avverte i finiani: "Vedremo ora come si comporteranno in Parlamento questi nuovi gruppi nati da parlamentari eletti con la maggioranza. Di certo nè il presidente del Consiglio nè il Pdl sono disponibili a farsi cuocere a fuoco lento, facendosi condizionare di volta in volta su ogni provvedimento. Se così fosse, si dovrebbe subito tornare a votare".

Dopo il proclama delle "mani libere" di Gianfranco Fini si smarca anche Raffaele Lombardo, leader del Movimento per le Autonomie. "Quasi nulla del programma per il Sud è stato realizzato - dice -. Da ora in poi vogliamo vedere cosa portiamo a casa. Se è nulla, non vedo perchè dobbiamo votare contro gli interessi degli elettori".

Il premier - rientrato a Milano dopo una giornata di lavoro a Roma ed intenzionato a trascorrere l'estate riorganizzando il partito - rivendica di avere fatto "contro tante chiacchiere", quattro provvedimenti in sette giorni, rafforzando "il profilo riformatore del Governo contro tante chiacchiere". Nuovo codice della strada, riforma del cinema e della università, ma soprattutto la manovra "che ha messo al riparo l'Italia dalle conseguenze più gravi della crisi economica e ha posto le condizioni dello sviluppo". "Frottole" per l'Idv, per la quale invece "governo e maggioranza sono al capolinea".

 

 

 

 

31 luglio 2010

Quadro politico terremotato

Non avventure ma ritrovate virtù

La rottura del Popolo della libertà è un terremoto politico del quale è difficile per ora valutare appieno le conseguenze, che comunque saranno rilevanti, sul governo, sul sistema dei partiti, sulle relazioni tra di loro. Formalmente il governo e la maggioranza restano com’erano. I membri dell’esecutivo che hanno scelto di seguire Gianfranco Fini non si dimetteranno, com’era apparso in un primo momento, il che significa che l’appoggio di quest’area al governo non sarà, almeno tecnicamente, un appoggio "esterno". Non sarà però un appoggio automatico (come per la verità già non era, da molti mesi) e potrà mancare o addirittura diventare opposizione su alcuni temi cruciali, dalla giustizia al federalismo.

Questa situazione spingerà, con ogni probabilità, l’esecutivo a cercare intese parziali con gruppi di opposizione, come quella che si è realizzato soprattutto con l’Udc per l’elezione dei membri laici del Consiglio superiore della magistratura, o a valorizzare apporti non contrattati ma assai utili, come quelli venuti dalla Svp e dall’Api rutelliana sulla riforma dell’università. Anche per questa via si sta disgregando il progetto di un sistema politico bipartitico, mentre si attenua anche la concezione del bipolarismo basata sull’autosufficienza, spesso esibita con una certa arroganza verbale poi smentita dai numerosi scivoloni parlamentari della maggioranza.

La maggioranza di centrodestra appare oggi esplicitamente friabile, mentre le opposizioni divergono sulla soluzione da dare a un’eventuale crisi formale del governo. Il rischio maggiore è quello di una situazione di paralisi, che può essere superato solo da un clima di effettivo confronto sul merito delle scelte, che oggi nessuno può pensare di poter imporre senza una discussione e una ricerca effettiva di sintesi.

Anche per quel che riguarda la struttura dei partiti pare tramontata la fase delle pure aggregazioni elettorali, tenute insieme da vincoli di pur legittima convenienza, ma prive di un effettivo radicamento organizzato. Il Popolo della libertà non potrà più essere una formazione "intermittente" perché dovrà fronteggiare – sia al centro sia sul territorio – una concorrenza che i finiani si propongono di rendere più agguerrita, così come il Partito democratico dovrà gestire in modo meno superficiale (e con nessun altezzoso sinistrismo) le differenze (e le sintesi) di cultura politica al proprio interno se vorrà reggere la concorrenza centrista, da una parte, e quella vendoliana o dipietrista dall’altra. Un sistema politico che costruiva solo l’alleanza elettorale per il rinnovo del Parlamento, per poi trascurare le relazioni politiche sulle questioni di merito, è arrivato insomma al capolinea, dimostrando la sua fragilità in modo davvero clamoroso.

Pur nel rispetto delle funzioni attribuite dall’elettorato a maggioranza e minoranze, si può aprire una fase nella quale l’ascolto reciproco diventa la regola e non l’eccezione, seppure non per un ricupero di virtù ma in condizioni di necessità. In fondo è quello che, già in fasi apparentemente meno drammatiche, il Quirinale consigliava con tenacia e che la Chiesa italiana auspicava con sincera e motivata preoccupazione. Ora questa via virtuosa appare come l’unica alternativa – che richiede umiltà e responsabilità, soprattutto a chi ha la guida dell’esecutivo – alla paralisi di un governo senza maggioranza sicura o ad avventure ribaltoniste altrettanto pericolose.

Sergio Soave

 

 

 

31 luglio 2010

IL TRAVAGLIO NEL PDL

"Ha iniettato il virus della disgregazione"

"I numeri ci sono". È il mantra di Berlusconi da quando il dado con Fini è tratto. Lo dice a se stesso, lo dice agli stati maggiori del partito, radunati in serata per tracciare i molteplici scenari che si profilano con la nascita di "Futuro e libertà". E se non ci fossero? "Io dico che ci sono, ma se non ci fossero non ci sarà nessun governo istituzionale, nessun ribaltone. Anche Bossi è d’accordo con me". Ma non è su questa ipotesi che il premier vuole lavorare ora. Anzi, ritiene che il divorzio l’abbia alleggerito, che "il governo resta saldo, anzi oggi ha un’unità ancora maggiore", e che può lavorare sulle grandi riforme (giustizia, fisco, istituzioni).

E poi ci sono i dati confortanti dei sondaggi che illustra ai vertici del Pdl a Palazzo Grazioli: in un’eventuale elezione Fini, se si presentasse da solo oggi, raccoglierebbe dall’1% al 3%. Dunque le sue chance non sono affatto invidiabili. Ma c’è comunque il problema di spiegare alla gente, che non sempre capisce, il perché della rottura. La colpa è stata loro, dei finiani "che hanno portato il virus della disgregazione". È per questo che "il Pdl ha ha perso la fiducia nel ruolo di garanzia del presidente della Camera". Dunque deve fare i bagagli da Montecitorio. C’è l’esempio autorevole di Pertini nel 1969. Dopo il fallimento della riunificazione tra Psi e Psdi, rimise il mandato. Ma tutti i gruppi parlamentari glielo riconsegnano.

Fiammate contro l’ex leader di An. Seguite, però, da dichiarazioni concilianti per spegnere le fibrillazioni nel governo e nel Parlamento post-scissione. Punto primo, i ministri finiani restano nell’esecutivo perché "hanno lavorato bene". Punto secondo, rinunciare al discorso previsto in Senato sulla giustizia. Di tutto c’è bisogno tranne che di esporsi a nuove mitragliate dei fuoriusciti, dell’opposizione, dei media.

A palazzo Grazioli, sorpreso dal fitto temporale estivo, ci sono i tre coordinatori nazionali, Denis Verdini, Sandro Bondi e Ignazio La Russa. C’è il portavoce Paolo Bonaiuti, il ministro degli Esteri Franco Frattini, i capigruppo di Camera e Senato Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri, e il suo vice, Gaetano Quagliariello. "Le prossime settimane – promette – saranno di lavoro, le userò per rilanciare le priorità programmatiche e il partito. Fate anche voi altrettanto". È quanto aveva detto nel pomeriggio, con un audiomessaggio, ai "promotori della libertà" della fedelissima Michela Brambilla. Quelli che rappresentano la base elettorale alla quale il premier vorrebbe parlare sempre più senza filtri: la scelta della rottura è stata difficile "ma ormai inevitabile".

L’ufficio di presidenza di giovedì sera dimostra, poi, che è stato il partito ad esprimersi, e non lui solo. Poi indica le colpe dei finiani: mentre il governo affrontava "con successo scelte difficilissime, alcuni eletti del Pdl, sempre sostenuti purtroppo dall’onorevole Fini, hanno lavorato in modo sistematico per svuotare, rallentare, bloccare il nostro lavoro. Peggio, hanno offerto una sponda ai nostri nemici", ad opposizione, magistrati rossi e stampa giustizialista. Bocchino e sodali avrebbero dunque dimostrato di essere "lontanissimi dalla nostra cultura liberale", e avrebbero cercato di "riportare in vita i metodi peggiori della Prima Repubblica".

Ma è sempre alla poltrona di Montecitorio che il cavaliere punta con decisione, quasi con ostinazione: "Loro hanno detto che nessun presidente della Camera ha dato mai le dimissioni. Non è vero". Cita l’episodio di Pertini, "un grande uomo", e aggiunge: "Spero che possa insegnare a qualcuno il modo in cui ci si debba comportare". Poi di nuovo quel mantra per rassicurare il popolo azzurro: "Abbiamo i numeri per andare avanti". E ripropone alla base del partito quella "operazione verità" che ritiene necessaria per ripulire l’immagine del Pdl segnata da inchieste, polemiche e divisioni.

Marco Iasevoli

 

 

 

31 luglio 2010

IL TRAVAGLIO DEL PDL

Napolitano: salvaguardare la continuità istituzionale

È metà pomeriggio quando Pier Luigi Bersani sale i gradini del Colle. Con lui i vertici parlamentari del Pd. Hanno chiesto udienza al Capo dello Stato per ribadirgli che lo scontro furibondo scoppiato tra i due leader del Pdl - ma anche tra governo e presidente della Camera - deve essere discusso in Parlamento. Ma lo scenario che hanno in mente è chiaro: crisi e governo di transizione.

Giorgio Napolitano li ascolta ed esprime loro preoccupazione per gli eventi. E poche ore dopo invia una nota nella quale richiama la "necessità di salvaguardare la continuità della vita istituzionale, nell’interesse generale del Paese". Le istituzioni siano lasciate al riparo dagli scontri. Il Colle stesso, puntualizza la nota, giudica "doveroso restare estraneo al merito di discussioni e decisioni interne ai partiti".

Insomma, il Capo dello Stato non vuole farsi tirare dentro il gorgo di uno scontro, che per il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini "non ha precedenti nella storia della Repubblica". La situazione nata dallo strappo finiano è ancora dagli esiti imprevedibili. Ma per il Pd la "frattura" è insanabile ed è il momento di dare la spallata parlamentare all’esecutivo. Subito alla Camera inizia l’ostruzionismo sui decreti Tirrenia ed energia.

La discussione ferve fuori e dentro l’aula. Bersani riunisce i suoi nella sala del Mappamondo. Intervengono tutti i leader, da Walter Veltroni a Massimo D’Alema. In particolare al centro c’è il tentativo berlusconiano di rimuovere Fini dal più alto scranno di Montecitorio. "Un potere non suo", puntualizzano sia il segretario, sia il capogruppo alla Camera Dario Franceschini. Tutti si sono detti contrari a un voto anticipato, sposando la tesi dell’appoggio a un governo di transizione. D’Alema è convinto che Berlusconi possa, invece, giocare la carta delle urne. Per elezioni anticipate è anche L’Italia dei valori. Mentre Casini torna a proporre un governo di responsabilità nazionale.

Il leader centrista vede confermate le sue perplessità originarie sul bipolarismo e sulla nascita del Pdl. Ma non maramaldeggia. A Berlusconi e Fini ricorda che "si sono presentati insieme", e dunque "insieme dovrebbero chiedere scusa agli italiani". Poi rigetta l’ipotesi che possa aver successo una campagna acquisti verso i suoi parlamentari. E ribadisce di non voler dare alcun puntello al governo. "Fare da tappabuchi sarebbe umiliante".

Comunque, per l’Udc la nascita del nuovo gruppo non significa automaticamente che non esiste più una maggioranza. Cosa su cui Pd e Idv la pensano diversamente. E, infatti, nel corso dei lavori parlamentari, un attimo dopo che è stata formalizzata la nascita di "Futuro e libertà per l’Italia", chiedono che si proceda a una verifica della maggioranza, perché a loro dire alla Camera non c’è più. Lo si vedrà nei numerosi passaggi delicati che attendono il Governo.

 

 

 

31 luglio 2010

IL NUOVO CSM

P3, Napolitano: trame

inquietanti che allarmano

"Nessuno è più di me consapevole dell'importanza decisiva dell'affermazione e del consolidamento di rigorose regole deontologiche per i magistrati e per gli stessi componenti del Consiglio". Lo ha detto il presidente della Repubblica. Giorgio Napolitano, parlando alla cerimonia di saluto dei nuovi componenti del Csm al Quirinale. "A ciò - ha proseguito - si potrà dedicare con la necessaria ponderazione il nuovo Csm anche alla luce di vicende recenti, di ampia risonanza nell'opinione pubblica, e di indagini giudiziarie in corso, di fenomeni di corruzione e di trame inquinanti che turbano e allarmano, apparendo essi, tra l'altro, legati all'operare, come ho di recente detto, di "squallide consorterie", delle quali tuttavia spetterà alla magistratura accertare l'effettiva fisionomia e rilevanza penale"

Già nella risoluzione adottata dal Csm il 20 gennaio di quest'anno si è mostrata consapevolezza

della percezione da parte dell'opinione pubblica che, "alcune scelte consiliari siano in qualche misura condizionate da logiche diverse, che possono talvolta affermarsi, "pratiche spartitorie" rispondenti ad "interessi lobbistici, logiche trasversali, rapporti amicali o simpatie e collegamenti politici"". Lo ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, durante il discorso di saluto dei nuovi componenti del Csm e sottolineando che "bisogna alzare la guardia nei confronti di simili deviazioni e di altre che finiscono per colpire fatalmente quel bene prezioso che è costituito dalla credibilità morale e dall'imparzialità e dalla tezietà del magistrato"

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel ricordare la sua attività come presidente del Csm, sottolinea la volontà di "interpretare questo suo ruolo" con "fedeltà convinta e attiva al principio costituzionale dell'autonomia e indipendenza della magistratura: con iniziative e posizioni che pongano l'altissima funzione dell'indagare e del giudicare al riparo da una spirale fatale di recriminazioni e di scontri sul piano politico e perseguano in tutti i sensi un corretto equilibrio istituzionale".

"Un equilibrio - ha aggiunto - di cui dovranno farsi carico anche riforme in materia di giustizia che tendessero a rimodularlo".

"Sugli annunci di tali riforme - dice il presidente della Repubblica - così come sulle ipotesi che possono liberamente prospettarsi, non ho nulla da dire. Attendo di conoscere testi di proposte da discutere in Parlamento per fare ciò che mi compete".

 

 

 

 

2010-07-30

30 luglio 2010

CENTRODESTRA IN CRISI

Berlusconi sfiducia Fini

La cornetta si abbassa e Silvio Berlusconi ripete, quasi meccanicamente, le ultime parole di quella telefonata che si è appena chiusa. Con una sola premessa, il nome dell’interlocutore: "Era Fedele Confalonieri. È d’accordo con me. Sì, anche lui è convinto che non ci sia altra strada che la rottura". Non c’è più tempo per evitare lo strappo.

Per scongiurare la separazione. Il premier lo ripete in tutte le conversazioni più private. Con le stesse parole e con gli stessi toni. "Per mesi Fini ha devastato il suo governo, la sua maggioranza, il suo partito. Ora è tardi per fermarsi. Ora c’è un documento che sancisce, con parole chiare, l’incompatibilità politica". Ripete quella parola Berlusconi. Quasi la sillaba: in-com-pa-ti-bi-li-tà. Passano le ore e a metà pomeriggio Sandro Bondi stringe la penna e scrive il documento. C’è la censura politica a Gianfranco Fini.

C’è l’apertura di procedimento disciplinare verso Italo Bocchino, Fabio Granata e Carmelo Briguglio che prevede il loro deferimento al Collegio dei probiviri per valutarne la sospensione dal Pdl se non addirittura l’espulsione. Si passa da un vertice a un’altro. A tarda sera Berlusconi, in piedi davanti ai 37 membri dell’ufficio di presidenza, conferma la fine della storia: "Non posso accettare una lenta consunzione. Legalità e garantismo sono principi di fondo del Pdl e se non sono principi comuni abbiamo il dovere di prendere strade diverse". C’è rumore a Palazzo Grazioli.

I finiani presenti dicono no, ma la linea è decisa: "L’ufficio di Presidenza considera le posizioni dell’onorevole Fini assolutamente incompatibili con i principi ispiratori del Popolo della Libertà, con gli impegni assunti con gli elettori e con l’attività politica". È la fine. Berlusconi ha chiare le mosse di Fini. Sa che è pronto per dare vita a nuovi gruppi parlamentari ma sembra comunque sereno, determinato. E deciso a fare totale chiarezza. Anche in prospettiva. Perchè "quando si tornerà a votare noi e loro non saremo mai più alleati".

Sono ore di tensione, ma anche di chiarezza. A tarda sera Berlusconi parla davanti alle telecamere e la linea è ancora più dura. "Viene meno la fiducia nel ruolo di garanzia del presidente della Camera", ripete il premier. È l’attacco finale. Quello più duro. I cronisti vogliono capire e la domanda è una sola: Fini dovrà lasciare la guida dell’assemblea di Montecitorio? Berlusconi ora passa la parola a deputati e senatori: "Lasciamo che siano loro ad assumere iniziative a riguardo".

Berlusconi scandisce uno dopo l’altro i suoi no. No a Fini e alla sua "opposizione permanente". No a chi per mesi ha costruito "un partito nel partito". Il premier alza la voce: "Non sono più disposto a pagare il prezzo della divisione. Non sopporto più che i giocatori litighino negli spogliatoi". E allora via anche i ministri finiani? Ora il Cavaliere è meno drastico di quanto lo fosse stato negli sfoghi più privati. "Questa decisione sarà assunta nella sede del governo ma per quanto mi riguarda non ho nessuna difficoltà a continuare una collaborazione con validi ministri", spiega. Si vogliono strappare a Fini uomini di governo e uomini di partito.

Ma è inevitabile riflettere sui numeri. Sui 34 deputati pronti a dare vita a un nuovo gruppo parlamentare. Berlusconi capisce i rischi, intravede i pericoli di una fase di instabilità e il fantasma di un governo istituzionale magari a guida Tremonti, ma ora non confessa le paure. "Abbiamo una maggioranza salda, il governo non è a rischio", ripete prima di lasciare Palazzo Grazioli e di scandire l’ultima accusa contro Fini: "Mai prima d’ora è avvenuto che

il presidente della Camera assumesse un ruolo così sfacciatamente politico e annullasse la propria imparzialità istituzionale".

Arturo Celletti

 

 

 

30 luglio 2010

CENTRODESTRA IN CRISI

"Gruppi autonomi, ci sono i numeri"

"Un segnale di tregua lo abbiamo mandato, ora la decisione non sta più nelle nostre mani: ma basta, nel documento del Pdl, una sola parola critica sull’operato politico e istituzionale di Fini e noi siamo pronti a fare i gruppi autonomi. Berlusconi ha promesso fuochi di artificio? Vedremo chi ne farà di più grandi". Un finiano della prima ora riassume così un caldo pomeriggio di attesa, aspettando di leggere il proclama che metterà al bando la minoranza legata al presidente della Camera. Un documento non votato dai finiani (Ronchi, Urso e Viespoli) presenti al "processo" di Palazzo Grazioli, i quali hanno chiesto, in extremis, 24 ore di tempo.

Ma quella della pattuglia legata al presidente della Camera non è stata un’attesa inerte. Tutt’altro. In continuo contatto con il leader e tra di loro, con l’elmetto in testa e con il coltello fra i denti, i finiani si son dati un gran da fare. Per convincere i riottosi ad aderire ai nuovi gruppi di Camera e Senato (per i quali hanno già raggiunto il quorum necessario, rispettivamente di 20 deputati e 10 senatori), per allargare il gruppo ad altri parlamentari (si è guardato attentamente all’interno del gruppo misto e nell’Mpa di Lombardo, sostenuto in Sicilia dai finiani, ma Italo Bocchino avrebbe telefonato personalmente a molti parlamentari del Pdl) e, soprattutto, per disegnare gli scenari futuri.

Alle durissime parole di Berlusconi, Fini ha deciso di non replicare, se non per ricordare che "il premier non può disporre della presidenza della Camera. Non può fare nulla. Io non mi dimetto". E questa mattina replicherà, con i fatti, dando il via all’immediata costituzione nei due rami del Parlamento dei gruppi autonomi. Sul tavolo di Fini ieri c’erano già le firme di 34 deputati. E ieri sera gli aderenti hanno fatto partire le lettere di addio al gruppo del Pdl. Al Senato si conta di superare agilmente la quota di dieci, grazie anche alla convergenza del presidente dell’Antimafia Beppe Pisanu, da mesi in netta polemica con le scelte del Cavaliere. Un personaggio chiave, anche per il futuro, visto che da tempo si è ritagliato il ruolo di pontiere (e paciere) tra Casini e Fini.

Gruppi autonomi, dunque, ma con quale posizione rispetto al governo? L’idea sarebbe quella di continuare ad appoggiare il governo, senza provocarne la crisi. Fini con i suoi ha ragionato così: "Il governo attuale è un governo di coalizione: Berlusconi sul programma fa trattative continue con la Lega. Adesso, la trattativa la dovrà fare pure con noi". Calano le azioni, invece, dell’ipotesi del ritiro della sparuta delegazione finiana al governo e conseguente l’appoggio esterno. Una mossa che avrebbe anche potuto comportare un rimpasto nell’esecutivo, creando un bel problema a Berlusconi. Ma a Montecitorio si ricorda che Andreotti sostituì in un pomeriggio i cinque ministri della sinistra dc, dimissionari contro la Legge Mammì, senza colpo ferire. Ma la guerra sarà condotta anche su altri fronti e senza esclusione di colpi. Contro l’espulsione, Fini è pronto a ricorrere alla magistratura ordinaria. Lo statuto del partito, fanno sapere a Montecitorio, è stato depositato da un notaio e non prevede la possibilità di mettere fuori uno dei due cofondatori.

Fini sembra che abbia indicato ai suoi pronti alla battaglia un solo limite invalicabile: quello del rispetto della volontà del corpo elettorale. Che, in soldoni, significa niente ribaltoni, nessun passaggio di campo, nessuna alleanza con i partiti dell’opposizione. E, in definitiva, nessuna mossa per provocare la caduta di Berlusconi.

Giovanni Grasso

 

 

 

 

30 luglio 2010

OPPOSIZIONI

Bersani: "È crisi, premier in Parlamento"

"Questa è una crisi di governo. Berlusconi venga in Parlamento". Non ha mezze misure il segretario del Pd Pierluigi Bersani nel commentare il duro comunicato emesso da Palazzo Grazioli sul caso Fini. E, poco prima, scherzando ma non troppo con i suoi deputati a Montecitorio per un saluto prima delle ferie, aveva brindato al "nuovo governo che verrà". E aveva attaccato i dirigenti del Pdl per il processo intentato ai finiani: "Strano partito quello di Berlusconi – aveva detto – dove si processano gli innocenti".

Intanto, il capogruppo alla Camera del Pd Dario Franceschini fa quadrato attorno a Fini per l’attacco mossogli dal Cavaliere sul suo ruolo istituzionale di presidente della Camera. "Il presidente del Consiglio – attacca Franceschini – non dispone della presidenza della Camera come fosse una sua proprietà. Un’altra volta si tratta di rispettare la Costituzione: noi non abbiamo votato Fini, ma dal momento in cui è stato eletto è il presidente di tutta la Camera, anche dell’opposizione".

Il Pd, dunque, si prepara a dare battaglia. E guarda con una certa soddisfazione a quella che ormai considera un governo e una maggioranza ormai in affanno. Ieri c’è stato anche il rinvio sine die del contrastato provvedimento sulle intercettazioni, che le opposizioni considerano anche come una loro vittoria. Ma ora la nuova trincea si sposta a Montecitorio: se Berlusconi non verrà in aula a riferire sugli ultimi, gravi avvenimenti, il Pd è pronto a bloccare i lavori con pratiche ostruzionistiche. Per questa mattina, alle nove, è stata convocata l’assemblea del gruppo, alla quale prenderà parte il segretario.

Commenta ancora Dario Franceschini: "All’inizio della legislatura sarebbe stato molto difficile immaginare quello che sta accadendo in questi giorni, ma la maggioranza è esplosa". E il suo vice, Alessandro Malan chiosa: "Questo governo e questa maggioranza sono alle corde: ministri che si devono dimettere, cofondatori pronti a fondare un altro partito o un altro gruppo parlamentare, uffici di presidenza riuniti per espellere. Questo Paese ha bisogno di essere governato, a cominciare dalla vicenda Fiat, e Berlusconi non ce la fa più. È il momento di aprire una nuova fase".

 

 

 

30 luglio 2010

Centrodestra in crisi

Ultimo addio al vagheggiato approdo al bipartitismo

Comunque andrà a finire la vicenda dello spinoso divorzio tra Berlusconi e Fini, sembra oggi difficile non cantare il Requiem per i sogni di bipartitismo all’italiana. Il nostro instabile sistema, con l’accelerazione sul Pd voluta da Veltroni e la rapida contromossa di Berlusconi con la fondazione del Pdl, sembrava destinato, più nelle intenzioni che nei fatti, a evolvere rapidamente verso una forma di quasi-bipartitismo.

Le questioni irrisolte nel più grande partito di opposizione e, soprattutto, la crisi tra i due leader del centrodestra (crisi che è personale, ma anche programmatica e politica) dimostrano che quell’operazione speculare di semplificazione del quadro politico era stata fatta frettolosamente, lasciando molti nodi aggrovigliati. Già questo era possibile intuirlo il giorno dopo il risultato elettorale, che sanciva la presenza scomoda e determinante, in ciascuno dei due campi, della Lega Nord e dell’Idv di Antonio Di Pietro. E che manteneva intatto il consenso ai centristi di Casini.

Rispetto a quella momento, molte cose sono successe, scompaginando ulteriormente il quadro politico. C’è stata, nel Pd, la scissione dei rutelliani, mentre alcuni democratici di area moderata sono andati a ingrossare le file dell’Udc. E un esponente della sinistra radicale, come Nichi Vendola, si è imposto alla primarie pugliesi, contro la volontà dei vertici del Pd.

La Lega, alle regionali, è cresciuta a scapito dell’alleato maggiore. E continua a capitalizzare le difficoltà altrui (dissimulando le proprie). Ora arriva anche la spaccatura del Pdl, con la creazione di un soggetto finiano. La realtà, a dispetto di una legge elettorale fortemente penalizzante per i partiti minori, consegna una fotografia molto frammentata. E apre una stagione di forte instabilità a livello parlamentare.

Ci vorrebbe la sfera di cristallo per capire, oggi, come si concluderà la legislatura. Se Berlusconi arriverà alla fine potendo contare sulla sua maggioranza blindata, magari con qualche colpo d’ala e d’ingegno. Se dovrà invece acconciarsi a contrattare di volta in volta il consenso dei finiani. Se si dimetterà, provando ad arrivare alle elezioni, schivando il rischio per lui letale del governo istituzionale. Le variabili non mancano. L’unica certezza in tanta nebbia è che la complessità italiana (che per qualcuno è frammentazione, per altri pluralismo) ha rotto la fragile camicia di forza che le era stata imposta ed è tornata prepotentemente a bussare al portone principale della politica. Con essa bisognerà pur fare i conti.

Giovanni Grasso

 

 

 

 

30 luglio 2010

GIUSTIZIA E POLITICA

Csm al traguardo, plauso del Colle

Il Consiglio superiore della magistratura è completato. Dopo il lungo braccio di ferro sui nomi, il Parlamento, riunito a Montecitorio in seduta comune, ha eletto gli otto membri laici dell’organo di autogoverno della magistratura. Appena in tempo per domani, 31 luglio, scadenza naturale del Csm in carica. E per incassare l’apprezzamento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che in una nota ha espresso gradimento "per lo sforzo convergente e responsabile dei gruppi parlamentari di maggioranza e di opposizione". Il Capo dello Stato, che del Csm è presidente, aveva più volte caldeggiato una soluzione.

La scelta ha comunque riservato sorprese fino all’ultimo. Soprattutto nel campo del centrodestra dove quasi tutti i nomi che giravano da tempo non hanno trovato posto. E soprattutto sono caduti il finiano Nino Lo Presti e la leghista Mariella Ventura Sarno. Nel rispetto delle quote, a quest’ultima è subentrato all’ultimo momento - dopo una telefonata tra Bossi e Berlusconi - il deputato Matteo Brigandì, avvocato del Carroccio. I quattro nomi del Pdl sono Annibale Marini, Filiberto Palumbo, Nicolò Zanon (il più votato con 712 voti) e Bartolomeo Romano. Tutti tecnici. Secondo le previsioni, invece, la terna spettante alle opposizioni, con il centrista Michele Vietti - in corsa per la vicepresidenza - e i due nomi designati dal Pd, Guido Calvi e Glauco Giostra. Gli eletti sono stati proclamati dal presidente della Camera Gianfranco Fini alle 21,15.

Un "filotto" maturato dopo estenuanti mediazioni interne ai partiti e agli schieramenti. Ben sette son le sedute andate a vuoto. E se nel Pd si delinea una, sia pur numericamente esigua, fronda interna (vedi articolo sotto), nel Pdl la tensione è tale che il coordinatore Ignazio La Russa - poco prima di parlare in aula come ministro della Difesa sui morti in Afghanistan - deve gettare acqua sul fuoco. "Non dipende da quello", risponde a chi gli chiede se l’esclusione di Lo Presti sia causata dalle agitazioni interne al partito. "Si tratta sicuramente di un ottimo giurista, ma nella quaterna finale non c’è nessun parlamentare e la sua immagine è eminentemente politica", spiega La Russa. E il fatto che il partito del premier abbia puntato su profili eminentemente giuridici è anche segno del non demordere sulla possibilità di vedere uno dei quattro, l’ex presidente della Consulta Marini, eletto vicepresidente dal plenum che si riunirà a Palazzo dei Marescialli forse già lunedì. Di sicuro domani si terrà al Quirinale la cerimonia di insediamento con il commiato degli uscenti.

Per la poltrona di vicepresidente il nome più accreditato è da tempo quello di Vietti, vice dei deputati Udc. Anche se (o proprio perché) decisivo sarà il voto dei 16 togati. Tiene però il punto Maurizio Gasparri. Il fatto che si sia raggiunta l’intesa bipartisan necessaria per raggiungere un quorum elevato sugli otto nomi, non significa nulla. "Sul Csm votiamo i nomi concordati, ma non corrisponde al vero che ciò prefiguri intese su candidati alla vice presidenza", spiega il numero uno Pdl al Senato, artefice della candidatura Marini. "Si sa bene quale nome tra gli otto laici sia il più qualificato per l’incarico. C’è un solo ex presidente della Corte nella lista", prosegue Gasparri. Anche il suo vice Gaetano Quagliariello vede stabilito un principio: "Per la prima volta si è ottenuto - ha spiegato - di eleggere otto membri laici e non sette e un vicepresidente". Ora si vedrà se la caduta delle pregiudiziali potrà portare a un’inedita vicepresidenza di centrodestra. Sembra arduo, anche perché il blocco maggioritario dei magistrati di carriera propende più verso il centrosinistra.

Gianni Santamaria

 

 

 

 

 

2010-07-29

Fini propone la tregua Berlusconi: "Troppo tardi"

Interni

29 luglio 2010

CENTRODESTRA

Fini propone la tregua

Berlusconi: "Troppo tardi"

Il cofondatore del Pdl e presidente della Camera Gianfranco Fini cerca la conciliazione all'interno del partito di maggioranza per onorare l'impegno politico con gli elettori, ma trova il gelo del premier Silvio Berlusconi e dello stato maggiore del Pdl che, ieri notte a palazzo Grazioli, ha discusso un documento di censura nei confronti dei "finiani". Il testo verrà portato all'esame dell'ufficio di presidenza convocato per le 20 di stasera.

LE RASSICURAZIONI DI BERLUSCONI

"State sereni, il governo è saldo". Sivio Berlusconi fa una breve apparizione alla Camera e avvicina alcuni deputati. Li rassicura: si va avanti, anche senza Fini. Poi abbassa la voce, perché siano solo loro a sentire: "Martedì o mercoledì verrò in aula, chiederò la parola e farò un discorso che, vedrete, sarà uno sconquasso". Discorso che potrebbe tenere al Senato, tutto incentrato sulla riforma della giustizia, e l’indice accusatore, c’è da giurarci, sarà non solo contro le Procure politicizzate, ma anche contro la sponda offerta da Gianfranco Fini, che aveva teorizzato lunedì l’improponibilità politica degli indagati.

Ma quel giorno, nei piani del Cavaliere affinati ieri in un vertice notturno con tutto lo stato maggiore del Pdl, il presidente della Camera dovrebbe già essere con un piede fuori dal partito. Approvata la manovra, oggi l’ufficio di presidenza del Pdl, che dovrebbe essere convocato per venerdì nel primo pomeriggio, potrebbe decidere un’accelerazione nella sconfessione di Fini, che verrebbe in pratica accompagnato alla porta. La via statutaria, per chiudere la contesa in un colpo solo, la offrirebbe l’articolo 48 che consente la sospensione immediata (anticamera dell’espulsione) "in casi di particolare gravità". Certo, nell’ufficio di presidenza non mancheranno voci che inviteranno alla prudenza, ma non si sa se i Formigoni, Polverini, Scopelliti, o ministri come Galan o lo stesso Ronchi (di osservanza finiana) avranno la forza di arginare quello che appare ormai come un fiume in piena. "Dopo un anno di attacchi in cui sono stato zitto e ho dovuto ascoltare tutti quelli che mi invitavano alla calma è arrivato il momento in cui potrò parlare, finalmente", diceva Berlusconi ieri, anticipando il doppio show down, venerdì nell’organismo di partito, martedì, probabilmente, a Palazzo Madama. In lui c’è anche il dubbio di far saltare del tutto un’intesa raggiunta sulle intercettazioni (il nuovo testo arriva oggi alla Camera) in cui, nonostante la sigla del ministro Alfano in calce, non si riconosce: Il testo "l’hanno massacrato", ripeteva ieri Berlusconi.

Da Montecitorio, intanto, di fronte all’impennata dell’offensiva belusconiana, l’ordine di scuderia di Fini era di mantenere la calma: "Qui sto e qui resto", ripeteva, tanto non possono cacciarci". Ma se pensassero davvero di farlo? "Non voglio neanche pensare che si possano assumere una responsabilità del genere". I conti però si fanno, e i fedelissimi del presidente della Camera si dicono certi che i numeri ci sono eccome per far gruppo sia alla Camera, sia al Senato, dove anzi si parla anche di un gruppetto di 4-5 senatori vicini al presidente dell’Antimafia Beppe Pisanu che non fa mistero di guardare con un disappunto sia al deficit di democrazia interna al partito, sia alla crescente polemica con le procure e sula legalità, che vede coinvolto, fra l’altro, il vice dell’Antimafia Fabio Granata.

E Fini, in serata, decideva di far circolare in anticipo il testo di un colloquio col Foglio, nel quale, in estremis, prova a offrire una mano tesa: "Dobbiamo resettare insieme il patito – dice al giornale di Giuliano Ferrara –. Con Berlusconi non abbiamo il dovere di essere amici, ma abbiamo un impegno politico davanti agli italiani". Nega intenti giustizialisti, e invita il Cavaliere a "fermare insieme le tifoserie, la mattanza non avrebbe né vincitori né vinti".

"Lo show down? È un problema di chi lo evoca", taglia corto il sottosegretario finiano Andrea Augello, che continua a scommettere sull’esito benigno della contesa: "Noi certe notizie le leggiamo dai giornali, nel frattempo puntiamo ad andare al mare, e l’estate potrebbe servire a raffreddare gli animi". Ma forse, ormai, non ci sono più i margini.

Angelo Picariello

 

 

 

 

29 luglio 2010

LA PROFEZIA

Bossi: "Sono vicini alla rottura"

Più che una profezia sono paletti ben precisi e un messaggio chiaro a Berlusconi e Fini. Qualsiasi cosa succeda tra i due cofondatori non si andrà ad elezioni prima di aver portato a casa il federalismo. A metà pomeriggio il leader del Carroccio è nel cortile interno di Montecitorio; aspetta come fa da giorni una mossa del premier. Ai giornalisti che con insistenza gli girano intorno, il Senatur parla chiaro: i rapporti tra il presidente del Pdl e l’ex leader di An sono al capolinea.

"Ognuno andrà per la sua strada – dice – se non si incontrano, se non si trovano vuol dire che non vogliono trovarsi, ma questo non vuol dire che si vada ad elezioni". Quello che ronza nella testa del leader padano è la sua priorità di sempre. "Le Regioni sono senza soldi e mi ammazzano se non porto a casa il federalismo" continua senza peli sulla lingua; questa cioè è la migliore garanzia che non si andrà alle urne. "Anzi, ne sono sicuro", rincara.

Non ci sta Bossi a veder sfumare uno dei capisaldi della politica della Lega per le continue beghe di famiglia; non manda giù nemmeno di essere messo in disparte da un braccio di ferro senza fine. La tenuta del governo, spiega ancora, è assicurata dal federalismo e oggi ci sarà "una riunione al ministero per cominciare a scrivere i vari decreti, poi ci sarà il Consiglio dei ministri ed altre tappe. Quindi, la strada è ancora tanta". Lui è disposto a tutto per ottenerlo, nessuna via esclusa. "È pronto a valutare la situazione anche con altri? A parlare pure col diavolo?", la domanda del cronista insistente di turno non scompone minimamente il Senatur. Nella mente dei giornalisti c’è il pensiero all’apertura, qualche ora prima, di Pier Luigi Bersani per un governo di transizione. Bossi però non si sbilancia, anche se non chiude. "Sì, sono disponibile pure a parlare col diavolo". Nessun dettaglio aggiuntivo sulla natura del diavolo, ma anche questa volta, non smentendo la tradizione popolare, tra i due litiganti il terzo gaudente potrebbe essere lui.

Alessia Guerrieri

 

 

 

28 luglio 2010

INDAGINI

P3, Verdini attacca:

"Fini mi doveva tutelare"

Contro Fini e Bocchino, mente e braccio di quella minoranza interna che non l’ha difeso, che ne ha chiesto le dimissioni, "che non ha i titoli politici per parlare di legalità". Contro i "due pesi e due misure delle 3P", ovvero le tre procure - Roma, Firenze, L’Aquila - che indagano su di lui, rovesciamento in chiave ironica della P3 di cui è accusato di far parte. Contro Mancino, il vicepresidente del Csm "che parla con il compaesano Lombardi - in carcere per associazione segreta con Carboni e Martino - e poi conduce le epurazioni" dei magistrati accostati alla loggia. Ne ha per tutti Denis Verdini. Spiega e attacca, stempera e si agita, segue un filo e apre mille parentesi. Cercando di ricordare i tre obiettivi per cui ha convocato la stampa: giurare "sull’onore" che "la mia è l’unica verità, non c’entro nulla con questa P3", ribadire che quella della loggia segreta è un’ipotesi "ridicola e usata in modo pericoloso per la democrazia", scandire che "non c’è alcun motivo per dimettersi" dal coordinamento del Pdl.

Sul palchetto piazzato nel giardino di via dell’Umiltà, l’addetto stampa gli passa le agenzie in tempo reale. Ne arriva una particolare, inforca gli occhiali, legge e rilegge. Bocchino sostiene che "Verdini non é più in condizioni, anche psicologiche, di fare il coordinatore del Pdl". Replica immediata: "E lui non è nelle condizioni politiche di fare la morale sulla legalità". L’occasione è ghiotta per ricordare come il partito fece scudo quando lo stesso Bocchino si trovò nei panni dell’indagato. "Ha perso la lucidità – risponde a distanza il finiano –, sono cose mai accadute, accetterò le sue scuse". Da Bocchino a Fini il passo è breve: "È stato sgarbato – riprende Verdini –, mi ha attaccato mentre stavo sostenendo l’interrogatorio".

Poi riprende il discorso sull’inchiesta. Punto primo, il pranzo del 23 settembre nella sua dimora romana. "Il tema era il candidato in Campania, questo è il mio lavoro". Gli presentarono Arcibaldo Miller, capoispettore alla Giustizia, che non accettò. "Non conoscevo Martino e Lombardi – sottolinea Verdini –, poi li ho rivisti un’altra volta in cui mi presentarono Lettieri", altro nome per palazzo Santa Lucia. Conosceva però Dell’Utri, che considera "un vero amico, e io non scarico gli amici" (il riferimento è ad alcuni stralci di interrogatorio apparsi ieri sui giornali).

Quanto al dossier ordito contro Caldoro, "me lo presentò Ernesto Sica - politico salernitano -, che voleva candidarsi a governatore. Sono orgoglioso di averlo liquidato". In quel pranzo si parlò anche del voto della Consulta sul lodo Alfano: "Se ne discuteva ovunque, ma io non ho agito per influenzare i giudici".

Il tema più delicato è un altro: i rapporti con Carboni, che interviene con 2,6 milioni di euro per sostenere il Giornale di Toscana, del quale Verdini è "l’anima" (ne furono versati 800mila).

"Anche il principe Caracciolo, editore de L’Espresso, nel 2008 ha pranzato con lui. Chiedo lo stesso peso e la stessa misura". Il coordinatore Pdl ammette di aver "favorito un contatto" tra l’imprenditore - interessato ad affari nell’eolico - e il governatore Cappellacci, e di essersi "informato" sulla nomina di Ignazio Farris (nome gradito a Carboni) al vertice dell’Arpa isolana. "Ma io dell’eolico non capisco nulla, e riguardo al giornale non ho messo nulla in tasca, anzi ho perso oltre 4 milioni". Coda polemica: l’ultrà berlusconiano Stracquadanio e Giuliano Ferrara attaccano la giornalista de L’Unità Claudia Fusani. Intanto Formigoni fa sapere: sarò a Roma lunedì per deporre davanti ai giudici sulla P3, in qualità di testimone.

Marco Iasevoli

2010-07-28

28 luglio 2010

INDAGINI

Verdini: "La P3? Inesistente"

L'associazione segreta denominata P3? "È inesistente", ma le indagini rischiano di essere "pericolosissime per la democrazia". Secondo Denis Verdini, coordinatore del Pdl indagato dalla Procura di Roma per violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete, il rischio è che possa accadere quanto già visto con l'associazione guidata da Licio Gelli, "con tanta gente finita dentro le indagini e poi assolta dalle sentenze della magistratura".

"Non ho mai saputo nulla nè conosco le attività e le finalità, nè sono mai stato contattato da qualcuno". Così Verdini, in una conferenza stampa che si è svolta oggi, ha replicato alle accuse di un suo coinvolgimento nell'inchiesta sulla P3. Verdini ha sottolineato di trovarsi in una situazione "paradossale" in quanto indagato nonostante, ha ribadito, "non ho mai saputo nulla" dell'associazione. "Non conoscevo Miller nè una parte dei partecipanti a quel pranzo del settembre 2009" ha aggiunto.

E dopo la difesa, Verdini passa all'attacco. "Da Bocchino non accetto nessuna lezione perchè chi parla di presunta legalità dovrebbe essere ineccepibile, lindo e trasparente. Mi ricordo che il Pdl si è stretto intorno a lui quando fu al centro di un'inchiesta per cui il gip aveva chiesto anche l'arresto".

Mentre la richiesta di dimissioni avanzata dal presidente della Camera, Gianfranco Fini è una "brutta richiesta. Mi dispiace che il presidente della Camera in forma generica non mi abbia tutelato è brutto

che il tutore delle Camere e terza carica dello Stato, mentre un rappresentante della Camera viene interrogato, chieda le proprie dimissioni in forma generica e senza aspettare l'esito delle indagini".

Sempre sulla questione P3, è intervenuto anche il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo: "I miei avvocati hanno chiesto ai magistrati di ascoltarmi. Io rispondo dei fatti e di fatti non ne ho commessi" ha detto oggi, rispondendo, in Transatlantico, ai giornalisti che gli chiedono se ha intenzione di dimettersi dopo che le opposizioni son tornate alla carica con la mozione di sfiducia nei suoi confronti. "Tutti avete letto l'ordinanza - ha aggiunto Caliendo - e lì si capisce che in quella riunione in cui si è parlato di Lodo Alfano io non c'ero".

 

 

 

28 luglio 2010

POLITICA E DIBATTITO

Bossi: "Berlusconi e Fini?

Ciascuno per la sua strada"

"Spero che non si vada a elezioni. Anzi, ne sono sicuro. Le regioni sono senza soldi e se non facciamo il federalismo mi ammazzano". Lo ha detto il leader della Lega Umberto Bossi parlando con i giornalisti alla Camera. "Il federalismo -aggiunge- è la migliore garanzia che non si andrà alle elezioni". Bossi ha ribadito di essere pronto a tutto per ottenerlo. Anche ad allearsi con il diavolo? "Spero non sia necessario", ha replicato. Il leader del Carroccio ha poi commentato la difficile coabitazione, all'interno del Pdl tra Berlusconi e Fini.

"Ognuno andrà per la sua strada...se non si trovano, se non si incontrano ognuno andrà per la sua strada". Ma la rottura tra il premier e il presidente della Camera però, aggiunge Bossi "non vuol dire che si vada ad elezioni". E non si andrà a elezioni "perchè bisogna fare il federalismo e siccome deve andare in consiglio dei ministri e poi andare alle Camere e poi ancora in consiglio ci vuole tempo. Il federalismo è la carta che garantisce che non si vota".

 

 

28 luglio 2010

POLITICA E CORRUZIONE

Brancher condannato a due anni

L'ex ministro Aldo Brancher è stato condannato a due anni al processo con rito abbreviato nato da uno stralcio dell'inchiesta Antonveneta. Brancher è stato condannato per due episodi di appropriazione indebita e altrettanti di ricettazione mentre è stato assolto da altre due presunte ricettazioni. In particolare la condanna ha riguardato anche il capo sei d'imputazione relativo all'episodio che coinvolgeva anche il ministro Roberto Calderoli la cui posizione era stata, in passato, archiviata. Lex ministro è stato condannato anche a 4mila euro di multa. La posizione della moglie Luana Maniezzo è stata invece inviata a Lodi per competenza.

"Il processo ha più gradi di giudizio. Vedremo cosa fare dopo le motivazioni". È questo il primo commento del legale di Brancher, avvocato Pier Maria Corso, dopo la condanna del suo assistito. "Il giudice - aggiunge - ha condiviso parzialmente la linea difensiva".

 

 

 

 

28 luglio 2010

IL PALAZZO E IL POTERE

Berlusconi: domani "fuochi d’artificio"

La pazienza di Silvio Berlusconi è ai limiti. La scelta del silenzio nasconde solo la ricerca di una exit strategy non ancora trovata per sottrarsi alla morsa mediatica di Gianfranco Fini. Il quale ruba la scena, e intanto si mette di traverso su temi decisivi, dalle intercettazioni al federalismo. Il premier continua a ripetere che deve uscire dal partito e deve anche dimettersi da presidente della Camera. Sono ore complicate. I dubbi del premier toccano anche la struttura del Pdl: pensa a un robusto svecchiamento dell’organigramma. E anche a un nuovo partito. Non a caso, ormai, parla solo attraverso la Rete e si appoggia ai Promotori della Brambilla.

Ora però c’è Fini. Berlusconi vuole regolare i conti. Lo ripete ai collaborati più stretti. Si sfoga anche con Giulio Tremonti in un "faccia a faccia" a Montecitorio. Il ministro lo invita alla calma: c’è la Manovra, c’è il voto di fiducia di domani... Berlusconi capisce e decide di rinviare di qualche ora lo <+corsivo>show down<+tondo>. "Aspetto il sì alla Finanziaria, ma poi vedrete i fuochi d’artificio", ripete anche a chi lo invita a sfruttare la pausa estiva per far calare la tensione. Si parla di un ufficio di presidenza da convocare in tempi brevi, forse già venerdì.

Nel frattempo l’ordine di scuderia – dei colonnelli berlusconiani, finiani, e ancor più di Alemanno – è uno solo: disinnescare la... Granata che ha tolto margini di manovra ai mediatori che lavoravano al Grande Incontro fra i co-fondatori.

Ieri Berlusconi, tenendo fede alla linea di ignorare Fini, ha tenuto il punto. All’indomani delle richiesta del presidente della Camera di cacciare gli indagati, in un incontro con Giacomo Caliendo (il sottosegretario alla Giustizia indagato per associazione segreta, accusato di pressioni sui magistrati per il Lodo Alfano) "gli ha espresso la più ampia solidarietà e, rinnovandogli piena fiducia, l’ha invitato a continuare con l’impegno fin qui profuso", recita l’inequivocabile comunicato di palazzo Chigi. Nel pomeriggio, poi, va in Rete la "soddisfazione" del premier per l’operazione contro la cosca di Rosarno, un’occasione per rivendicare con puntiglio la "validità e l’efficacia delle norme varate contro il crimine organizzato".

E per ribadire come "i grandi risultati, senza precedenti nella storia d’Italia, dimostrino che la legalità e la sicurezza sono la nostra stella polare". Poi l’impegno solenne: "Nei prossimi tre anni continueremo a operare con decisione per liberare la Calabria e l’Italia da tutte le organizzazioni criminali". Una chiara risposta alle polemiche di Fini sulla legalità e alle accuse di Fabio Granata di non aver fatto abbastanza contro la mafia.

Ma sul versante finiano, ieri, i mediatori si sono rimessi al lavoro. Fini aveva promesso ai moderati Moffa, Augello e Viespoli un’iniziativa di riconciliazione con Alfredo Mantovano, attaccato da Granata per la protezione tolta a Gaspare Spatuzza. E ieri sera una telefonata di Fini al sottosegretario all’Interno preannunciava un’insolita lettera ("Caro Alfredo, come si dice scripta manent...") in cui gli conferma "immutata stima e considerazione", ricordando l’"impegno profondo" nella lotta alla criminalità e in difesa della legalità. Un bel gesto, ma per la tregua nel Pdl ci vuole ben altro.

Angelo Picariello

 

 

 

 

2010-07-27

27 luglio 2010

INCHIESTA P3

Indagato sottosegretario Caliendo

Dell'Utri non risponde al pm

Il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo è stato iscritto nel registro degli indagati della Procura di Roma. È accusato di aver fatto parte della cosiddetta loggia P3 e quindi di violazione della legge Anselmi. Il nominativo di Caliendo appare in alcune vicende sulle quali si è appuntata l'attenzione del procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e del sostituto Rodolfo Sabelli. Tra queste una cena nella casa romana del coordinatore del Pdl Denis Verdini, a palazzo Pecci Blunt, che avrebbe avuto il fine di stabilire le strategie di intervento sul lodo Alfano, sulla nomina di Alfonso Marra a presidente della Corte d'Appello di Milano e il ricorso in Cassazione dell'ex sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino contro l'ordinanza di custodia cautelare emessa nei suoi confronti dalla magistratura napoletana. Secondo quanto si è appreso, Caliendo dovrebbe essere interrogato dagli inquirenti romani nei prossimi giorni.

Anche se indagato, Caliendo - contro cui l'opposizione di centrosinistra ha depositato nei giorni scorsi una mozione di sfiducia - gode ancora della "fiducia e solidarietà" del ministro della Giustizia Angelino Alfano, come è scritto in una nota diffusa stasera da Via Arenula.

Il senatore del Pdl Marcello dell'Utri, invece, si è avvalso della facoltà di non rispondere ai magistrati romani che lo hanno messo sotto inchiesta nell'ambito della vicenda della cosiddetta P3. "A Palermo 15 anni fa - ha detto dell'Utr i- ho parlato 17 ore e sono stato rinviato a giudizio sulla base della mie dichiarazioni. Ho imparato da allora".

Il senatore era arrivato intorno alle 15 in Procura a Roma per essere ascoltato dai magistrati che indagano su una presunta associazione segreta. Dell'Utri, assieme al coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini e al deputato ed ex sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino, deve rispondere del reato di associazione per delinquere e violazione degli articoli 1 e 2 della Legge Anselmi sulla ricostituzione di associazioni segrete. Il senatore, ascoltato dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, è accompagnato dagli avvocati Pietro Federico e Giuseppe Di Peri.

Dell'Utri viene interrogato con riferimento a una circostanza illustrata nell'ordinanza di custodia cautelare emessa contro Claudio Carboni, Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino. Si tratta dell'incontro che attorno al 23 settembre si tenne nell'abitazione di Denis Verdini con la partecipazione di altre persone ora coinvolte nell'indagine e che, secondo il programma di Capaldo, dovrebbero essere chiamate a Palazzo di Giustizia dove oggi Dell'Utri è stato convocato con invito a comparire.

 

 

 

 

27 luglio 2010

BANCA D'ITALIA

Bankitalia propone commissariamento

Credito cooperativo fiorentino

Banca d'Italia propone al ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, il commissariamento della Banca di credito cooperativo fiorentino coinvolta nelle indagini sulla P3 "per gravi irregolarità nell'amministrazione e gravi violazioni normative". Lo si legge in una nota di Via Nazionale dopo "gli accertamenti ispettivi di vigilanza condotti presso il Credito cooperativo fiorentino - Campi Bisenzio - Società Cooperativa".

"In relazione ai risultati degli accertamenti ispettivi di vigilanza condotti presso il Credito cooperativo fiorentino - Campi Bisenzio - Società Cooperativa, la Banca d'Italia - si legge nella nota -, con delibera adottata all'unanimità dal Direttorio il 20 luglio u.s., ha proposto al ministro dell'Economia e delle finanze la sottoposizione dell'azienda alla procedura di amministrazione straordinaria per gravi irregolarità nell'amministrazione e gravi violazioni normative, ai sensi dell'art. 70, comma 1, lett.a), del Testo Unico Bancario".

Il 23 luglio, il presidente del Credito cooperativo fiorentino, Denis Verdini, aveva annunciato le sue dimissioni dalla carica e dal Cda, dopo il suo coinvolgimento nell'inchiesta sull'eolico. Dopo Verdini, anche l'intero Cda della banca aveva rassegnato le dimissioni in solidarietà con l'ex presidente.

 

 

 

26 luglio 2010

INCHIESTA EOLICO

P3, il Riesame nega scarcerazione a Carboni, Martino e Lombardi

Flavio Carboni, Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi, pur avendo a che fare con una "immagine negativa che gravava" sul loro conto prima che venissero raggiunti da un provvedimento restrittivo, avevano messo in piedi "una metodica attività di interferenza svolta presso organi costituzionali e amministrazioni pubbliche, come la Consulta, il Csm, la Regione Sardegna, la Cassazione, la Corte d'appello di Milano e l'ispettorato del ministero della Giustizia".

È quanto scrive il tribunale del riesame di Roma che nei giorni scorsi aveva confermato la misura del carcere per i tre soggetti, finiti in manette con l'accusa di associazione per delinquere finalizzata alla violazione della legge Anselmi sulle società segrete.

"Si tratta di soggetti - chiarisce il tribunale - che in nessun modo potevano essere considerati come interlocutori affidabili per la notorietà delle vicende criminali in cui è stato da decenni coinvolto Carboni, il quale ha anche riportato arresti e condanne per nove anni di reclusione, per il precedente penale per concussione di Martino, per il modestissimo livello culturale, quasi folcloristico nel caso di Lombardi, e per la mai nascosta immoralità e illiceità degli intenti".

E "tale pessima immagine - si legge ancora nell'ordinanza - non ha in alcun modo ostacolato l'azione degli indagati che, pur in assenza di una qualunque competenza o incarico che minimamente la giustificasse, hanno portato avanti la loro metodica azione di interferenza sull'esercizio delle funzioni degli organi costituzionali e di amministrazioni pubbliche, venendo incredibilmente accettati come interlocutori accreditati da soggetti che ricoprivano cariche istituzionali di massimo rilievo i quali non si sono limitati ad ascoltare le richieste degli indagati ma, in molte occasioni, memori dei favori ricevuti o promessi, spesso si sono attivati per soddisfare le richieste ovvero per decidere insieme ad essi i provvedimenti da assumere nelle rispettive alte funzioni pubbliche".

 

 

 

 

27 luglio 2010

POLITICA

Csm, intesa vicina:

ipotesi Vietti vicepresidente

Voto sul Csm a oltranza, ma la convocazione di giovedì potrebbe essere quella buona. È quanto si apprende da fonti della maggioranza. Questa mattina sono proseguiti i colloqui in Transatlantico e, riferiscono le stesse fonti, è in via di definizione la griglia dei nomi da votare dopodomani. Al di là della rosa degli otto membri laici, l'intesa prevederebbe la vicepresidenza per Michele Vietti, esponente di punta dell'Udc.

Questa mattina il leader centrista Pier Ferdinando Casini ha incontrato, durante le procedure di voto a Montecitorio, il capogruppo al Senato del Pdl, Maurizio Gasparri. Argomento della discussione proprio il nodo sul prossimo vicepresidente di palazzo dei Marescialli. Così come si sono susseguiti contatti tra esponenti del Pdl e lo stesso Vietti.

La decisione di riuninre il Parlamento in seduta comune a oltranza è stata concordata dai presidenti di Senato e Camera, Renato Schifani e Gianfranco Fini, e annunciata oggi alla conferenza dei capigruppo di Montecitorio. Nel Pdl, spiegano fonti di via dell'Umiltà, sarebbero dunque venute meno le pregiudiziali nei confronti del candidato centrista, sorte a seguito di voci che davano per concluso un accordo preventivo sottobanco tra il partito di Casini e il Pd. Accordo che ha spinto il Pdl a puntare su un suo candidato, Annibale Marini.

Ora, invece, riferiscono le stesse fonti, ci sarebbe nel Pdl l'orientamento a convergere sul nome di Vietti. Gasparri, parlando con i giornalisti, si è detto "fiducioso" a che si arrivi a un voto utile entro il 31 luglio: "Ho visto che ci sono diverse dichiarazioni che escludono veti e conventio ad excludendum" sull'ipotesi di un vicepresidente del Csm scelto fra i "laici" eletti dal centrodestra. Quindi, aggiunge, "non saranno eletti oggi, mi auguro però che il sì arrivi entro la fine di luglio. Mi sto adoperando in questo senso".

Il segnale che si sarebbe vicini a superare l'impasse è arrivato proprio dall'aula: dopo cinque votazioni andate a vuoto, oggi è stato raggiunto il quorum, anche se sia la maggioranza che l'opposizione, a eccezione dell'Idv, hanno votato scheda bianca. L'eventualità che il Pdl converga sul nome di Vietti sarebbe la conferma di un dialogo aperto e che si vuole mantenere tale in Parlamento tra il partito di Via dell'Umiltà e quello di Casini.

 

 

 

 

27 luglio 2010

MAGISTRATURA CONTABILE

Corte dei Conti, controlli anticorruzione

più efficaci se "randomizzati"

I controlli anti-corruzione sull'attività contrattuale delle pubbliche amministrazioni per essere efficaci devono essere "randomizzati". Lo ha sottolineato il neo presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, nel corso di un'audizione alla Commissione Affari costituzionali del Senato. "Le sezioni riunite in sede di controllo della Corte - ha spiegato il neo presidente - per promuovere forme più efficaci di controllo ai fini della prevenzione della corruzione, hanno affermato la necessità che i controlli sull'attività contrattuale delle pubbliche amministrazioni (ma ciò vale anche per altre tipologie di settori di spesa) siano "randomizzatI", siano, cioè, svolti in modo completo (anche con verifiche sur place) sull'intera catena procedimentale e, in particolare, sull'esecuzione dei provvedimenti, in base a criteri di casualità e con mancanza di preavviso".

La Corte, ha aggiunto Giampaolino, "ritiene che tale tipologia di controllo, sperimentata in altri Paesi, possa costituire uno strumento di dissuasione particolarmente efficace". Tali controlli, secondo il presidente della Corte, "dovrebbero, anche, interessare i nuovi organismi indipendenti di valutazione, i servizi di internal auditing, i collegi di revisione degli enti e i collegi sindacali delle società partecipate, in modo da coinvolgere, nell'azione di prevenzione della corruzione, anche questi importanti uffici di controllo interno".

 

 

 

 

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Interni

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27 luglio 2010

L'ABRUZZO FERITO

Le aziende: "È vero, negli appalti

all’Aquila troppo lavoro in nero"

I costruttori ammettono e i controllori non smentiscono, messi all’angolo dai numeri e dall’evidenza. L’illegalità nei cantieri è più facile nelle imprese "cottimiste" dei subappalti, nelle ditte private più piccole e nei tanti paesini che circondano il capoluogo. Per questo l’esperimento del super-coordinamento per la sicurezza del centro storico, attivo da marzo, potrebbe essere allargato alle 63 frazioni dell’Aquila e a 41 comuni del cratere.

Si corre ai ripari finalmente, insomma, dopo che da mesi quella percezione di Far West edile nei lavori post terremoto ha trovato spazio solo in qualche riunione blindata degli addetti ai lavori e nelle voci del volontariato. Ora però, che già nelle prove generali della ricostruzione leggera è apparso un fenomeno senza precedenti (il 50% delle imprese controllate è irregolare, così come un terzo degli operai), si punta a fare del modello di rinascita abruzzese il modus operandi per l’edilizia del futuro, almeno in teoria. Il cuore dell’Aquila con le sua banca dati delle ditte, i pass all’ingresso e dieci tecnici che ogni giorno controllano le oltre 200 società che vi lavorano, appare un’isola felice in mezzo all’anarchia totale della periferia. La sensazione del responsabile del super-coordinamento per la sicurezza dei cantieri, creato dal Comune per gestire in legalità e trasparenza le opere di puntellamento e demolizione, è tuttavia affiancata dalla realtà delle cifre. "Il nostro modo di tutelare il lavoro e la sicurezza nei cantieri sta funzionando bene – chiosa Maurizio Ardingo – visto che abbiamo trovato e denunciato solo tre casi di irregolarità in quattro mesi e abbiamo avuto solo due feriti lievi su quasi 3mila lavoratori".

Ardingo, già responsabile della sicurezza nei cantieri del progetto Case, è tutt’altro che transigente; non ammette deroghe su imprese non autorizzate, rispetto delle norme nelle opere in altezza e sul lavoro irregolare. "Gli operai, tutti schedati con tanto di storia professionale come prevede la normativa 81 nel pass al collo – ribadisce – sanno che al primo richiamo verranno sottoposti a un corso integrativo di formazione, al secondo non potranno più lavorare nella ricostruzione". Praticamente impossibile, dice, che "una ditta introduca lavoratori in nero nella zona rossa, visto che il controllo è costante". Più probabile e più facile, conferma, che "piccole ditte nei borghi del circondario possano essere fuori norma". Per questo il progetto di ampliamento del modello procedurale del cantiere unico del centro sarà presto allargato, "questa sarebbe l’intenzione" dice, a gran parte delle provincia per vincere la sfida della ricostruzione pesante.

E già, i controlli. Quelli che consentirebbero di scoprire lo sfruttamento degli immigrati, pagati due lire per lavorare dieci ore a nero, quando va bene. Il presidente dell’Ance dell’Aquila Filiberto Cicchetti lo sottolinea subito: "Sono a tappeto in ogni cantiere – precisa – da mesi c’è una task force aggiuntiva di ispettori che dalla regione sono a supporto delle cinque squadre provinciali. Il 90% dei cantieri delle imprese aquilane è in regola". Non si scompone troppo alla vista dei dati sull’illegalità diffusa; se l’ispettorato del lavoro vuole fare le pulci, prova a difendere la categoria, "qualche dettaglio che non va sicuramente lo trova".

Ma poi aggiunge: "Le irregolarità sono relative all’immenso sottobosco dei subappalti, dove i controlli sono più difficili o ai comuni del cratere". Certo è auspicabile, visto che L’Aquila sarà il cantiere più grande d’Europa "per i prossimi vent’anni – aggiunge – che le ispezioni aumentino. Anche per noi è basilare tutelare la sicurezza degli operai, quando c’è un ferito in cantiere siamo tutti sconfitti". L’illegalità in questa macchina organizzativa, conclude, "non conviene a nessuno, nemmeno ai costruttori, che poi si troverebbero tagliati fuori dalla ricostruzione vera, quella pesante".

Alessia Guerrieri

 

 

 

 

 

2010-07-26

26 luglio 2010

PARLAMENTO

Csm, Fini: si trovi intesa

per elezione entro il 31 luglio

Appello del Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ai presidenti dei gruppi parlamentari, affinchè si riesca in tempi brevi a eleggere gli otto membri del Csm. Domani alle ore 13 è prevista una nuova seduta comune del Parlamento per procedere alla elezioni. Nelle precedenti quattro votazioni non è stato raggiunto il numero legale.

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricordato Fini, ha già rivolto due appelli per una rapida elezione. Fini ha quindi sollecitato "ogni sforzo" per realizzare al più presto "le necessarie intese".

In vista della votazione di domani del Parlamento in seduta comune per l'elezione dei componenti laici del Csm, la maggioranza va verso la scelta della scheda bianca. Deputati e senatori del centrodestra sono già stati allertati in questo senso. È una scelta indicativa della volontà di arrivare ad integrare il plenum, come più volte sollecitato dal Capo dello Stato. Domani, inoltre, si riunisce anche l'ufficio di presidenza dei gruppi parlamentari del Pd. Le precedenti sedute del Parlamento in seduta comune sono andate a vuoto per mancanza del numero legale. Quindi non sono ancora scattati i quorum richiesti per l'elezione: i 3/5 dei componenti per le prime due votazioni, i 3/5 dei votanti a partire dalla terza.

LA LETTERA DEL PRESIDENTE FINI

Fini, nella lettera ai capigruppo, ricorda come "domani, martedì 27 luglio 2010 alle ore 13, è nuovamente convocato il Parlamento in seduta comune per procedere alla votazione per l'elezione di otto membri del Consiglio superiore della magistratura" e che "nelle precedenti quattro votazioni non è stato raggiunto il numero legale. Come vi è noto - aggiunge il presidente della Camera - il presidente della Repubblica, dapprima con una lettera ai presidenti delle Camere del 12 luglio scorso, della quale ho dato conto nella riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo del 14 luglio, indi con una nota ufficiale del 19 luglio, ha formulato un appello a tutti i gruppi parlamentari affinché si possa pervenire a una rapida elezione dei componenti del Consiglio superiore della magistratura scelti dal Parlamento, sottolineando, da ultimo, l'assoluta necessità che alla scadenza del mandato dell'attuale Consiglio, il 31 luglio, l'istituzione sia stata rinnovata interamente così da poter svolgere senza soluzioni di continuità e nella pienezza di poteri le sue più che mai essenziali e delicate funzioni".

"Ricollegandomi alle considerazioni che ho già svolto in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo - prosegue - desidero unirmi a tale appello rappresentandovi con viva sollecitudine l'urgenza che il Parlamento in seduta comune faccia fronte in tempo utile a tale importante adempimento. A tal fine - conclude - vi invito ad intensificare ogni sforzo per realizzare le necessarie intese tra i gruppi e ad adoperarvi affinché da parte di tutti i deputati sia assicurata la più ampia partecipazione al voto".

 

 

 

 

26 luglio 2010

POLITICA E GIUSTIZIA

P3, Verdini si dimette

da presidenza Credito cooperativo

L'onorevole Denis Verdini "ha rassegnato le sue dimissioni irrevocabili" da presidente del Credito cooperativo fiorentino e da componente del Cda. Lo ha annunciato lui stesso in una lettera inviata il 23 luglio ai vertici dell'istituto e resa nota stamani.

Intanto inizia oggi la settimana chiave per l'inchiesta sulla lobby dell'eolico. A palazzo Clodio il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e il pm Rodolfo Sabelli sentiranno il coordinatore del Pdl e domani il senatore Pdl Marcello dell'Utri. Verdini è indagato assieme a dell'Utri, Flavio Carboni e Massimo Lombardi per violazione della legge sulla costituzione di società segrete nell'inchiesta sulla cosiddetta P3. Il coordinatore del Pdl è indagato anche nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti per l'eolico.

LA LETTERA DI DIMISSIONI

"In questi mesi - scrive Verdini nella lettera di dimissioni - si è abbattuta sulla mia persona e, indirettamente, sul Credito cooperativo fiorentino, una tempesta mediatica e giudiziaria di ampie proporzioni rese certamente più eclatanti dal ruolo politico che rivesto. Sono assolutamente certo di poter dimostrare, e lo farò nelle sedi opportune, la mia estraneità da ogni illecito che mi viene in questa fase addebitato. Tuttavia devo prendere atto che la rilevanza assunta dai fatti che mi vengono imputati, rilevanza che va bene al di là del merito stesso dei problemi, rischia di gettare un ombra sulla banca".

"In questi 20 anni - prosegue Verdini - il Credito cooperativo fiorentino ha conosciuto una significativa espansione ritagliandosi uno spazio importante nell'area metropolitana fiorentina, crescendo in soci e patrimonio e contribuendo fattivamente allo sviluppo della nostra comunità. Sono risultati che nessuna tempesta mediatica o giudiziaria può cancellare, come è confermato dalla fiducia che anche in questi mesi soci e clienti non ci hanno fatto mancare. Proprio per questo e per l'impegno che ho profuso in questi anni, per tutelare la banca e assicurarne la crescita, non posso assistere passivamente al tentativo di coinvolgerla in vicende che potrebbero danneggiarla".

"Per questo motivo, con enorme rammarico - conclude Verdini rivolgendosi ai vertici dell'istituto - ho assunto la decisione di dimettermi irrevocabilmente dalla carica di presidente e di componente del Consiglio di amministrazione del Credito cooperativo fiorentino. Desidero esprimere anche attraverso questa lettera, i miei sentimenti di gratitudine ai soci, che in tutti questi anni ci hanno sempre confermato la loro fiducia, al personale dipendente, e a tutti voi, che avete supportato la mia azione e contribuito alla crescita di questa banca".

Il Consiglio di amministrazione del Credito cooperativo fiorentino è convocato per oggi pomeriggio.

 

 

 

25 LUGLIO 2010

INCHIESTA

L’Aquila, sulla ricostruzione

l’ombra del lavoro nero

Al’Aquila una ditta su due non è in regola e un operaio su tre neanche. Il 12 per cento poi è totalmente in nero. Nella città delle impalcature, le mille facce dei forestieri che, alle prime luci dell’alba, vedi aggirarsi nella via dei caporali o davanti ai cantieri ad elemosinare la giornata, fanno rumore quanto i numeri del dipartimento provinciale per il lavoro (Dpl). Così si scoperchia un vaso di Pandora che rende i racconti della disperazione tutt’altro che meteore.

Nei primi sei mesi dell’anno, infatti, il 50% delle aziende della ricostruzione controllate è irregolare, una tendenza già evidenziata nell’ultimo semestre 2009, che però non accenna a fermarsi. Sulle 237 imprese ispezionate, infatti ben 148 sono fuori norma per la sicurezza nel cantiere o per la posizione contrattuale. Se si guarda agli operai, poi, su 411 controllati 123 hanno contratti irregolari e 53 sono addirittura senza contratto. E a poco serve sventolare che anche il lavoro nero qui è al 10%, in linea dunque con la media nazionale (9,6%). L’Aquila è il più imparagonabile scenario lavorativo d’Italia per grandezza e profondità di interventi.

Lo precisa anche il direttore ispettivo del Dpl Maria Carmela Vecchio "C’è un’irregolarità non di poco contro – ammette. – I controlli ci sono, ma all’Aquila si incontra un cantiere aperto ogni dieci passi". Quasi a sminuire una situazione allarmante (e ad accennare, tra le righe, che è impossibile fare controlli abnormi con organici nella norma) aggiunge: "Non c’è mai stato un numero così elevato di aziende al lavoro qui finora". In sostanza, cioè, non si può controllarle tutte senza rinforzi. Ma alla parzialità dei dati si affianca il mondo taciuto, celato, e sfuggito ai controlli, delle centinaia di lavoratori giunti da tutta Italia attirati dal profumo dei soldi.

Una ricostruzione in nero, insomma. "C’è la crisi, non c’è più lavoro per te qui; vai in Abruzzo lì ce n’è per tutti", così si è sentito dire Alì un mese fa dal suo datore di lavoro in Veneto. E lui, con speranza di mandare qualche risparmio alla famiglia in Tunisia, sono due settimane che girovaga per i cantieri dell’Abruzzo. "Mi pagano 40 euro al giorno – dice – l’importante è dire di avere una sistemazione all’Aquila altrimenti non ti prendono". Fa spallucce quando gli si chiede dove abbia passato la notte. La paura di rivelare un nido abusivo è grande quando il morso allo stomaco che ha al passaggio di una volante della polizia. Ma adesso è anche un altro il suo timore, quello di non essere di nuovo pagato; "l’impresa dice di passare domani per i soldi, poi se ne va, prende un altro cantiere e non sai dove ritrovarla", chiosa.

Gli angeli della rinascita, però, parlano anche italiano e li vedi dividersi le brande nei punti di raccolta; qui per meno di trenta euro i privati offrono un posto letto senza chiedere troppi documenti. Gino e Rosario arrivano dalla Sicilia, consigliati da amici di amici. Dormono cinque ore a testa per pagare solo un letto nei container in periferia; sono in nero, ma non si lamentano. "Dalle nostre parti – dicono – non avremmo mai guadagnando cento euro al giorno, le ditte ci fanno i soldi, ma noi almeno prendiamo qualcosa in più per vivere". Come dire no al lavoro, anche irregolare, mormorano "quando l’offerta di lavoro è dieci volte più grande della domanda".

Alessia Guerrieri

 

 

2010-07-22

22 Luglio 2010

POLITICA & INFORMAZIONE

Berlusconi: contro di me campagna mediatica

Il Tg1 anticipa il messaggio, è polemica

"In questi giorni sono riprese contro il governo e contro il Popolo della libertà furibonde campagne mediatiche". Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi lancia "l'operazione memoria" con un messaggio inviato a tutto il popolo del Pdl e ai simpatizzanti, invitandoli alla mobilitazione. Un messaggio parzialmente anticipato dal sito del Tg1. Quanto basta a scatenare una polemica interna all'opposizione, l'Idv in primis che annuncia iniziative a San Macuto e "in ogni sede competente" contro le scelte del direttore del Tg1 Augusto Minzolini: il messaggio infatti è stato annunciato e in parte anticipato in apertura della homepage.

Il portavoce di Articolo21 Giuseppe Giulietti, dal canto suo, osserva che "è quanto meno singolare che il sito internet del principale tg del servizio pubblico dia spazio in apertura ad una lettera di propaganda, pubblicitaria, di partito del presidente del Consiglio".

Immediata la replica del tg della rete ammiraglia di Viale Mazzini proprio dal sito: "A chi ha criticato la tempestività con cui abbiamo dato la notizia del messaggio di Berlusconi, rispondiamo che il nostro sito è abituato a dare le notizie. Possibilmente prima degli altri. Cosa che succede spesso. Oggi – prosegue il Tg1 – è capitato con un messaggio di Berlusconi. Che, per inciso, subito dopo è diventato l'apertura dei maggiori siti d'informazione italiani. Domani speriamo che capiti con un messaggio o una qualunque altra iniziativa di Pier Luigi Bersani o Antonio Di Pietro. Questo è quello che dovrebbe fare ogni organo di informazione, cominciando da quello che è investito del compito di fare servizio pubblico. Tutto qui".

 

 

 

 

22 luglio 2010

POLITICA E GIUSTIZIA

Intercettazioni, sì della Commissione

a due emendamenti sui media

La Commissione Giustizia della Camera ha approvato oggi due modifiche al disegno di legge sulle intercettazioni, con il sì di parte dell'opposizione, che cancellano dal testo votato al Senato importanti limitazioni e sanzioni previste per i media. La commissione ha approvato l'emendamento del governo che rende possibile divulgare nei mezzi d'informazione il contenuto delle intercettazioni rilevanti per le inchieste e un subemendamento della presidente della commissione, la finiana Giulia Bongiorno, che cancella le sanzioni previste per gli editori nel caso in cui i loro media pubblichino quelle intercettazioni.

Il primo emendamento è passato con il voto favorevole di Pd e Udc che ieri in commissione erano riusciti a far passare una loro proposta che completava la norma. Contraria l'Idv di Antonio Di Pietro, che ha detto di non volere "accettare compromessi su una legge sbagliata". Secondo il nuovo testo, quindi, i media potranno pubblicare le intercettazioni agli atti di un'inchiesta al più tardi dopo la cosiddetta "udienza-filtro", quando, scaduto il termine legale per intercettare, il pm decide con il giudice e gli avvocati degli indagati quali ascolti sono rilevanti per l'indagine e quali no. Questa udienza dovrà tenersi al più tardi entro 45 giorni la richiesta del pm, come proposto da Udc e Pd.

In mattinata la commissione ha approvato la proposta di modifica di Bongiorno, che è il consigliere giuridico del presidente della Camera Gianfranco Fini, a capo della minoranza del Pdl. "Il mio subemendamento approvato oggi limita la responsabilità degli editori rispetto al testo attuale. La esclude per tutte le ipotesi in cui siano pubblicate intercettazioni rilevanti per le inchieste, anche se ancora coperte dal segreto. In pratica resta il regime previsto dalla legge vigente", ha detto Bongiorno ai giornalisti. Le sanzioni per gli editori rimarranno per la pubblicazione, che rimane vietata, degli ascolti ritenuti irrilevanti per l'inchiesta e di quelli di cui sia stata ordinata la distruzione, ha proseguito.

La commissione prosegue ora nell'esame degli altri emendamenti e dovrà portare in aula il testo del ddl, eventualmente integrato da altri cambiamenti, giovedì 29 luglio, per la discussione generale e la votazione finale. Non è ancora chiaro se Montecitorio riuscirà a votare il ddl prima della pausa estiva, anche se il presidente Gianfranco Fini ha detto che i deputati saranno chiamati a lavorare anche nella prima settimana di agosto.Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano -- che con l'emendamento sui media ha sciolto le riserve della minoranza finana del partito e superato alcune delle critiche del Quirinale -- ha detto di volere il sì della Camera prima delle vacanze agostane, anche se il premier Silvio Berlusconi si è detto deluso per il compromesso raggiunto perché così non si tutelerebbe adeguatamente la privacy dei cittadini.

 

 

 

 

 

22 luglio 2010

"INTOCCABILI"

Abruzzo, le mani dei casalesi

sulla ricostruzione

La camorra tentava di infiltrarsi negli appalti per la ricostruzione dopo il terremoto dell'Aquila. È uno degli elementi centrali emerso nell'operazione della Guardia di Finanza contro i Casalesi, che ha portato all'arresto di sei persone. L'operazione "Untouchable", infatti, ha consentito di monitorare "in diretta" le infiltrazioni della camorra casalese nelle commesse per la ricostruzione della città di L'Aquila, a seguito del devastante sisma del 6 aprile 2009. Infatti sono stati intercettati i colloqui telefonici con i quali gli arrestati disponevano l'invio del denaro necessario a finanziare le imprese costituite a L'Aquila, per loro conto, con il fine di aggiudicarsi i lavori per la ricostruzione.

L'operazione ha portato all'arresto di sei persone con l'accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso. Sono inoltre state sequestrate 21 società, 118 immobili ed altri beni e valori ad essi riferibili, per un ammontare complessivo di 100 milioni di euro. Gli arrestati, secondo le risultanze delle indagini condotte dai finanzieri del Gico del Nucleo Polizia Tributaria di Roma, sono ritenuti "espressioni economiche" del clan dei Casalesi, operanti nel Casertano, ma con propaggini anche in altre Regioni d'Italia e in particolare nel Lazio, in Abruzzo e in Toscana. In sostanza con l'operazione, denominata "Untouchable", le Fiamme Gialle e la Dda di Napoli ritengono di aver smantellato il braccio imprenditoriale dei Casalesi.

Dopo il terremoto dell'Aquila i rapporti già solidi tra imprenditori vicini al clan dei Casalesi e abruzzesi si erano ulteriormente rafforzati. È quanto è emerso dalle indagini che oggi hanno portato al blitz della Guardia di Finanza che ha smantellato il braccio economico del clan dei Casalesi. In particolare, per ottenere appalti per la ricostruzione, era stata spostata da Frignano (Caserta) all'Aquila la sede di una società che fa capo a Michele Gallo, arrestato oggi e considerato organico al gruppo capeggiato da Francesco idognetti.

I pm Giovanni Conzo, Raffaello Falcone e Maria Cristina Ribera, avevano anche chiesto l'arresto del presidente dell' Unione cooperative dell'Aquila, Cerasoli, ma il gip ha respinto la richiesta. L'operazione è stata chiamata "Untouchables", cioè intoccabili, in riferimento a un gruppo di imprenditori

vicini ai Casalesi considerati appunto intoccabili poichè completamente asserviti agli scopi del clan. A costoro, che facevano affari per conto dei boss, non veniva per esempio chiesta la tangente. Anche in queste indagini, ha sottolineato il procuratore aggiunto Federico Cafiero de Raho, sono state fondamentali le intercettazioni. In questo modo è stato per esempio possibile ricostruire il piano orchestrato dagli imprenditori abruzzesi e da quelli Casalesi per aggiudicarsi gli appalti.

In particolare Michele Gallo, parlando con il collega aquilano chiede: "Ma voi come state situati? Riusciamo a fare i lavori, no?". L'abruzzese risponde: "Si, si, a farli sì, si può fare anche per la zona di Ocre: è stata quella meno colpita". Sempre dalle intercettazioni è emerso che il clan stava cercando anche di aggiudicarsi lavori per l'autostrada Salerno-Reggio Calabria.

"Più andremo avanti con la ricostruzione pesante, maggiore dovrà essere l'attenzione ai fenomeni di infiltrazioni criminali". Il presidente della Provincia dell'Aquila, Antonio Del Corvo, a margine del consiglio provinciale in corso nel capoluogo, commenta così la notizia del maxi blitz della Guardia di Finanza che ha visto sei arresti in ambienti vicini al clan dei Casalesi.

"Questa operazione - ha commentato Del Corvo - è sintomatica dei rischi a cui si va incontro man mano che dalla ricostruzione leggera e privata si passa ad appalti più grandi. In ogni caso la Prefettura sta facendo un ottimo lavoro di monitoraggio, producendo informative per ogni minima cosa e in questo - ha concluso - siamo fiduciosi dell'efficacia dei controlli".

Le indagini, condotte dal Gico del Nucleo Polizia tributaria di Roma della Guardia di Finanza, sugli interessi economici del clan dei casalesi hanno consentito di smascherare anche quattro funzionari di banca. Questi ultimi, consapevoli, secondo gli investigatori, di agevolare l'attività dell'associazione camorristica, hanno favorito imprenditori "intoccabili" affiliati alla camorra attraverso la concessione di finanziamenti o consentendo sistematicamente l'effettuazione di movimentazioni su conti correnti senza la previa autorizzazione dei titolari. In questo modo, sono state eluse anche le disposizioni antiriciclaggio in materia di segnalazioni per operazioni sospette. L'accusa per 3 dei funzionari bancari è quella di favoreggiamento. Il quarto è accusato di concorso esterno all'associazione camorristica.

 

 

 

22 luglio 2010

L'ABRUZZO FERITO

L'Aquila dopo il disastro

sull'orlo della crisi di nervi

Il fardello pesante nella ricostruzione abruzzese arriva adesso. Che la fase che si vive a L’Aquila sia molto delicata lo si capisce da quando nel linguaggio degli addetti ai lavori è entrata la parola "questione sociale". Sì, perché dopo la fine dell’emergenza e dei bisogni materiali, ora è il momento in cui la voglia di comunità e di vivere in convivialità si scontra con la difficoltà di farlo davvero. La vedi in una città senza più agorà, nei corridoi dei centri commerciali, trasformati ormai nei nuovi portici e nella via dello struscio, negli occhi tristi e disorientati di chi nel centro storico ancora puntellato si ostina a tornare, quasi come se un tuffo nel passato e un caffè nell’unico bar aperto, potesse scacciare via quella paura del futuro che stringe lo stomaco. E la senti, invece, in quel buio che c’è tra le nuove case antisismiche e la vecchia città. Sono due solitudini che si sfiorano, l’una in un cuore che non pulsa più, animato di tanto in tanto dalle assemblee cittadine e dalle bancarelle del mercato, l’altra, quella giovane e antisismica che ha ridato un tetto a tanti aquilani, vuota di vita.

Il malessere non lo si legge solo nello sguardo della gente o facendo un giro nelle farmacie-container dell’Aquila, ma adesso anche nei numeri della Società italiana di farmacia ospedaliera. "Lo choc psicologico derivante dal disastro naturale ha fatto schizzare in alto le prescrizioni di antidepressivi", denunciano. Secondo i dati forniti della Asl dell’Aquila, infatti, sono aumentate del 37% le prescrizioni di farmaci antidepressivi e del 129% quelle di antipsicotici, nei sei mesi successivi al terremoto. "Qui stiamo bene, ma ci sentiamo soli, siamo lontani dalla città, per chi come me non ha la macchina è come stare in isolamento. Tutto questo ancora è più duro per chi ha lasciato un figlio tra le macerie". Annalucia abita al primo piano nella palazzina dalle ringhiere grigie nel villaggio di Preturo, non si lamenta della nuova sistemazione, "una necessità" dice, ma del nulla che c’è intorno. Negli alloggi provvisori e negli insediamenti in legno in periferia manca soprattutto la forza di reinventarsi una vita di relazione. "Lì c’è il nostro unico momento di socialità". È la tenda Amica che Caritas e Protezione civile hanno realizzato qui come in altri sette villaggi. È chiesa di domenica, oratorio per i fanciulli, bar dello sport durante gli ultimi mondiali, ma è soprattutto un piccolo frammento di realtà vissuta in una capoluogo che continua ad aver molto di surreale. La solidarietà potrebbe far nascere presto nuovi spazi comunitari, ma è la burocrazia a tirare il freno.

"C’è uno smarrimento nell’anima degli sfollati, dovuto anche al disorientamento dei servizi sul territorio e allo scenario di distruzione che li circonda". Alessia Donati fa parte dell’equipe Caritas che cura le visite domiciliari; la difficoltà più grande per gli aquilani, dice, è riadattarsi al nuovo. E per molti il nuovo significa essere capofamiglia disoccupato. "C’è un aumento di stati d’animo di ansia, solitudine – spiega – la gente ha un profondo bisogno di conforto, di trovare rocce a cui aggrapparsi. Per gli anziani negli alberghi è tutto più difficile, perché si sentono dimenticati". La preghiera e la fede fanno tanto, aggiunge, ma in molti si sta cronicizzando la tendenza a "normalizzare comportamenti non comuni, come dormire con il necessario per scappare in caso di terremoto". Non è lamento fine a stesso, ma un’emergenza silenziosa, precisa Angelo Bianchi, responsabile del centro di ascolto diocesano, che ha visto più che raddoppiare le richieste di aiuto nel post sisma. "Ogni settimana arrivano circa 40 nuove persone a domandare beni materiali, ma soprattutto conforto, siamo in una fase complicata per la rinascita – precisa – negli incontri parrocchiali la gente ci chiede di stare insieme, di ascoltarli e nei loro volti vediamo tutta la disperazione di chi fatica a ritrovare un equilibrio interiore".

Alessia Guerrieri

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2010-07-20

20 luglio 2010

L'EMENDAMENTO

Intercettazioni, si cambia

Berlusconi critico

"Con le modifiche di oggi la legge sulle intercettazioni lascerà pressappoco la situazione come è adesso, e cioè non lascerà gli italiani parlare liberamente al telefono e l'Italia non sarà un Paese davvero civile". Lo ha detto il premier Silvio Berlusconi, durante la presentazione del Milan, commentando l'emendamento al ddl intercettazioni presentato dal sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo.

Berlusconi ha spiegato che "la battaglia sulle intercettazioni porta fuori il difetto della nostra democrazia costruita con un'architettura costituzionale non in grado di produrre interventi di ammodernamento e democraticizzazione". Proseguirà quindi "lo scandalo assoluto di un privato che, senza aver commesso reati, può venire registrato e vedere poi le sue conversazioni su un giornale che possono avere un peso completamente diverso visto che basta tagliare una frase".

"Queste leggi non piacciono - ha proseguito - a certi signori della magistratura di sinistra che le impugnano davanti alla Corte Costituzionale composta a sua volta da undici giudici di sinistra".

L'EMENDAMENTO

Il governo, con il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, ha presentato in commissione Giustizia alla Camera un emendamento al ddl intercettazioni che allarga le maglie del diritto di cronaca. Nell'emendamento presentato dal governo si afferma il principio secondo il quale, nel corso delle indagini, l'obbligo del segreto per le intercettazioni "cade" ogni qual volta ne sia stata valutata la rilevanza. In questo senso viene inserita la previsione secondo la quale la documentazione e gli atti relativi alle intercettazioni sono coperti da segreto fino al momento della cosiddetta "udienza-filtro". In questo momento del processo, infatti, si selezionano le intercettazioni depositate dal Pm e si escludono quelle relative a fatti, circostanze o persone estranee alle indagini.

Stabilito questo principio, il governo propone quindi di sopprimere tutta quella parte del testo nel quale si prevede il divieto di pubblicazione delle intercettazioni sino alla conclusione delle indagini. Ma si sopprime anche la norma che specificava il regime delle intercettazioni allegate all'ordinanza cautelare. Le intercettazioni, comunque, secondo quanto si legge nel testo messo a punto dal governo, sono sempre coperte dal segreto fino a quando le parti non ne vengano a conoscenza.

Nella proposta di modifica che porta la firma di Giacomo Caliendo, si disciplinano anche i casi in cui il giudice e il Pm, prima che ci sia 'l'udienza-filtrò, utilizzino le intercettazioni per emettere, ad esempio, dei provvedimenti cautelari oppure per atti che riguardano la ricerca della prova (ad esempio, un'ordinanza di custodia cautelare oppure un decreto di perquisizione). In questi casi, saranno il Pm e il

giudice a dover selezionare quali conversazioni dovranno essere trascritte, in quanto rilevanti, per adottare la misura cautelare o l'atto d'indagine.

Il meccanismo previsto implica la necessità di restituire al Pm la facoltà di operare uno stralcio per tutelare la segretezza delle indagini. Nell'emendamento sono poi indicate tutte le modalità tecniche per selezionare le intercettazioni rilevanti e si stabilisce il divieto di trascrivere parti di conversazioni che riguardano fatti, circostanze o persone estranee alle indagini.

Giudice e Pm potranno poi disporre, con decreto motivato, l'obbligo del segreto, quando il contenuto delle conversazioni trascritte potrà ledere la riservatezza delle persone coinvolte. I difensori potranno estrarre copia delle trascrizioni e potranno trasferire le registrazioni su un supporto informatico.

Si stabilisce, infine, che, dopo la conclusione delle indagini preliminari, nell'udienza preliminare e nel

dibattimento, il giudice potrà sempre disporre su richiesta delle parti o anche d'ufficio l'esame dei verbali e l'ascolto delle registrazioni custodite nell'archivio riservato e potrà acquisire con ordinanza le intercettazioni in precedenza ritenute prive di rilevanza.

 

 

 

20 Luglio 2010

INCHIESTA

P3, oltre a Marra l'esame del Csm

si allarga ad altri magistrati

Non si limita ad Alfonso Marra, presidente della Corte di Appello di Milano, ma riguarda anche altri magistrati citati nell'inchiesta sulla P3 l' attività della prima commissione del Csm. Nella seduta di oggi – a quanto si è appreso – è stato deciso di focalizzare l' attenzione sul presidente della corte di Appello di Salerno, Umberto Marconi, in merito all' attività di dossieraggio ai danni dell' attuale presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro; sul sostituto procuratore generale di Milano Gaetano Santamaria Amato (ex componente del Csm tra il '90 e il '94), e sul procuratore aggiunto di Milano Nicola Cerrato, a proposito delle intercettazioni delle conversazioni di Lombardi; sui procuratori Giovanni Francesco Izzo (Nocera Inferiore) e Paolo Albano (Isernia) di cui Lombardi, in alcune intercettazioni, parla con componenti del Csm per favorire la loro nomina.

Non rientrano, invece, nelle competenze della prima commissione le posizioni dell' avvocato generale della Cassazione Antonio Martone, che ha chiesto di andare in pensione, e del capo degli Ispettori Arcibaldo Miller, magistrato fuori ruolo.

IL PROCURATORE DI GROSSETO VERUSIO: NON C'ENTRO NULLA

"Io non c'entro niente, ma non dovete chiederlo a me, chiedetelo alla procura di Roma, agli investigatori, vedrete che anche loro vi risponderanno che io non c'entro niente. Non sono stato nemmeno ascoltato come persona informata sui fatti". Lo dice il procuratore di Grosseto, Francesco Verusio, il cui nome compare in un'intercettazione agli atti dell'inchiesta P3. Verusio è stato presidente dell'associazione Diritti e Libertà, attraverso la quale, secondo l'accusa, Flavio Carboni, Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi coltivavano i rapporti con la magistratura. "Quando l'allora presidente Giacomo Caliendo venne nominato sottosegretario - spiega Verusio - mi dissero che avevano nominato me presidente onorario. Lo avevano fatto senza nemmeno dirmelo. Quando me lo comunicarono, dissi di no, poi, sprovvedutamente, accettai. Quell'incarico non presupponeva nessun impegno; comunque, dopo un po', l'ho lasciato".

IL PRESIDENTE DELLA CORTE D'APPELLO DI SALERNO, MARCONI: TRASFERITEMI

Con una lettera di due pagine formalizzata ieri, il presidente della Corte d'Appello di Salerno Umberto Marconi, tirato in ballo nella vicenda del dossier costruito per screditare la figura del governatore campano Stefano Caldoro, ha chiesto al Csm di essere trasferito in altra sede. "Pur ribadendo la mia estraneità ai fatti - ha detto Marconi - ho chiesto sin d'ora al Csm una nuova sede poiché ritengo che, sia pure incolpevolmente, dopo quello che è successo non posso continuare a svolgere le mie funzioni con la dovuta serenità".

 

 

 

 

 

2010-07-18

19 luglio 2010

POLITICA E GIUSTIZIA

P3, Napolitano a Mancino

"Ne discuta il nuovo Csm"

Sarà il nuovo CSM, quando si insedierà, a occuparsi dei tentativi di interferire sugli orientamenti di alcuni consiglieri per favorire la nomina del presidente della Corte d'Appello di Milano, Alfonso Marra, come emerge dalle inchieste sulla cosiddetta P3. Lo ha deciso il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che lo ha comunicato per lettera al vice presidente del CSM Nicola Mancino.

Il mandato dell'attuale Consiglio scade il 31 luglio prossimo. Erano stati alcuni consiglieri togati, fra i quali Livio Pepino, a sollevare la questione e a chiedere di metterla all'ordine del giorno. Su una decisione di tale delicatezza Mancino ha ritenuto opportuno acquisire il parere del presidente della Repubblica, che presiede di diritto il CSM e ne fissa l'ordine del giorno.

In mattinata l'Ufficio Stampa della Presidenza della Repubblica ha reso noto il testo della lettera di Napolitano al Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Nicola Mancino, "in risposta alla informazione ricevuta sulla richiesta avanzata da componenti del Consiglio di porre all'ordine del giorno la questione delle regole deontologiche minime che debbono caratterizzare i comportamenti dei

Consiglieri, della quale oggi è stata data lettura al Comitato di Presidenza del CSM".

"La richiesta fa osservare Napolitano - prende le mosse, in particolare, dalla esistenza di investigazioni su condotte indebitamente tese a interferire sul voto di alcuni componenti di questo Consiglio in occasione della nomina del Presidente della Corte di Appello di Milano. La questione, lei mi scrive, dovrebbe essere dibattuta in termini generali e propositivi prescindendo dalla esistenza di indagini penali, disciplinari e amministrative sull'episodio. A parte la seria preoccupazione, che è lecito mantenere, di non interferire in tali indagini, ritengo da un lato che il tema non possa essere affrontato in termini 'generali e propositivì con la necessaria ponderazione nel momento terminale di questa Consiliatura ? mentre è corretto lasciare alla prossima le appropriate decisioni in merito - e dall'altro che si debba essere bene attenti a non gettare in alcun modo ombre sui comportamenti di quei

consiglieri che ebbero a pronunciarsi liberamente, al di fuori di ogni condizionamento, su quella proposta di nomina concorrendo alla sua approvazione".

Dopo tre elezioni degli otto membri laici andarte a vuoto, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha auspicato che il Consiglio superiore della magistratura sia rinnovato entro luglio. "Nell'imminenza di una nuova seduta del Parlamento a Camere riunite per l'elezione dei membri laici del Csm, rinnovo un vivo appello a tutti i gruppi parlamentari a definire senza ulteriore indugio le intese necessarie perchè le prossime votazioni vadano a buon fine", ha dichiarato in una nota.

"Confidando nell'attivo impegno dei Presidenti delle Camere, sottolineo la assoluta necessità che alla scadenza del mandato dell'attuale Consiglio, il 31 luglio, l'istituzione sia stata rinnovata interamente così da poter svolgere senza soluzione di continuità e nella pienezza dei poteri le sue più che mai essenziali e delicate funzioni", ha insistito.

 

 

 

 

 

 

2010-07-17

17 luglio 2010

P3

Cosentino interrogato:

"Mai screditato Caldoro"

L'ex sottosegretario all'economia Nicola Cosentino è sotto interrogatorio alla Procura di Roma nel'ambito dell'inchiesta sulla cosiddetta P3: Cosentino viene sentito da circa due ore in qualità di indagato per associazione per delinquere e violazione della legge Anselmi sulle società segrete.

Il gruppo di Flavio Carboni, arrestato nelle scorse settimane, aveva puntato su Cosentino per la candidatura alla presidenza della Regione Campania al posto dell'attuale governatore StefanoCaldoro.

"Penso di avere chiarito tutto quello che c'era da chiarire. I magistrati sono stati gentili e disponibili". e "Non ho in alcun modo tentato di screditare Stefano Caldoro". Ha detto al termine dell'interrogatorio.

Nessun commento da parte del procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo salvo che l'atto istruttorio "non ha riguardato la parte relativa al contenuto delle intercettazioni telefoniche poichè quelle relative a parlamentari non sono utilizzabili".

 

 

 

17 luglio 2010

INTERVISTA

"Appalti, centrale unica per bloccare le mafie"

"In questo nostro Paese, purtroppo, dove ci sono i soldi, ci sono le mafie. È necessario prenderne atto. Non importa più che sia in Calabria, in Sicilia, a Milano o a Pordenone. Dove ci sono i soldi, ci sono le imprese che le mafie negli ultimi due decenni hanno messo in piedi. Abbiamo scoperto tardi il contrasto patrimoniale delle cosche: i risultati sono buoni, ma sono ancora insufficienti…". Il magistrato calabrese Alberto Cisterna si è occupato di ’ndrangheta sin dai primi anni novanta, in una squadra di pm che a Reggio Calabria coordinò fior di inchieste e catture di pericolosi latitanti. Oggi è sostituto procuratore presso la Direzione nazionale antimafia e, insieme ad altri colleghi, è stato incaricato di vigilare sul rischio di infiltrazioni criminali nella ricostruzione post - terremoto in Abruzzo. Perché laddove ci sono denari pubblici in ballo, ripete Cisterna, le mafie arrivano subito.

E la maxi-operazione anti ’ndrangheta tra Lombardia e Calabria, coi suoi 300 arresti (ieri è stato confermato il carcere per il presunto super capo, Oppedisano), ne è solo l’ennesima conferma.

"Bisogna intendersi su una cosa – spiega Cisterna –. La mafia al nord si rende invisibile, non percepibile. Se vogliamo guardare agli omicidi, alle estorsioni, qualcuno potrebbe anche dire che lì se ne registra un numero minore. Ma c’è un aspetto della ’ndrangheta e delle mafie in generale, quello delle infiltrazioni nell’economia, che pochi sembrano vedere. O, peggio, che molti non vogliono vedere…".

Perché, dottor Cisterna?

Perché i soldi non puzzano. Di questi tempi il denaro necessita alle imprese in crisi. E, perfino se arriva fuori dai circuiti bancari, è bene accetto. Ai soggetti che formalmente si presentano come investitori non si domanda dove abbiano preso i milioni di euro. Si accettano bonifici o finanziamenti estero su estero, si accetta tutto. È un problema grave, che dovrebbe pesare sulla coscienza del sistema bancario e finanziario del nostro paese, che non concedendo fidi o prestiti ragionevoli, lascia le imprese in balia dei riciclatori mafiosi.

Di solito le inchieste arrivano dopo, quando gli appalti sono stati assegnati e i soldi sporchi ripuliti. Cosa si può fare per arrivare prima?

I magistrati hanno ovviamente l’esigenza che i reati siano commessi, non possono perseguire solo la mera intenzione di compierli. Il fatto è che l’esigenza di prevenire, che dovrebbe appartenere ad altre amministrazioni, ancora oggi fa i conti con difficoltà organizzative e norme inadeguate.

Può fare un esempio?

Uno per tutti è la certificazione antimafia richiesta alle imprese. Uno sbarramento aggirabile e per questo ormai palesemente inefficace. Bisogna rimodularlo per renderlo più ostico, più aggressivo nei confronti delle imprese in odore di mafia. Oppure buttarlo a mare.

Ci sono altri strumenti pratici che possono essere adottati?

Guardi, in Italia ci sono 80 miliardi di euro in opere pubbliche aggiudicate ogni anno, tra forniture, servizi e appalti veri e propri. È il settore principale da monitorare, con soluzioni che già ci sono. Ad esempio, la stazione unica appaltante creata in Calabria è uno strumento che, attraverso il nuovo piano straordinario antimafia, il governo intende estendere all’intero Paese. Non è però l’unico strumento. La verità è che il settore degli appalti è un settore delicatissimo, nel quale quotidianamente molti operatori segnalano anomalie di tutti i generi. Perciò, bisogna fare uno sforzo in più

Vincenzo R. Spagnolo

 

 

 

 

2010-07-16

 

16 Luglio 2010

MESSAGGIO

Berlusconi: completeremo

il programma di governo

"Presto condurremo in porto la nuova legge per ridare agli italiani la libertà di usare il telefono senza correre il rischio di vedersi pubblicate sui giornali le proprie vicende private, come succede ora". Lo afferma il premier Silvio Berlusconi in un audio messaggio ai promotori della Libertà. "Questa settimana – ha proseguito il premier – dovete essere portatori nei nostri gazebo di un messaggio importante: di una notizia molto positiva sui successi del Governo contro la criminalità organizzata. È un messaggio preciso che fa anche piazza pulita del clima assurdo e giacobino, creato da alcuni giornali che stanno mettendo in atto una nuova vergognosa montatura già smentita dai fatti tentando di coinvolgere il Presidente del Consiglio e il Popolo della Libertà in vicende poco chiare da cui siamo lontani anni luce". Il riferimento è all'inchiesta sull'eolico e sulla cosiddetta P3.

Il Popolo della Libertà "è la prima forza politica in Italia. Abbiamo vinto tutte le sfide elettorali" e "nella realtà e nei numeri non ci sono ipotesi diverse di Governo", ha proseguito Berlusconi. "Abbiamo già in cantiere la grande riforma della giustizia e quella del fisco, con la determinazione di ridurre la pressione fiscale". "Siatene certi: lavorando con serenità, che non ci ha mai abbandonato, come abbiamo sempre fatto, completeremo nella Legislatura il nostro programma di governo, senza farci condizionare dai continui tentativi di delegittimazione di una opposizione che nella realtà continua a perdere peso e voti".

 

 

 

 

 

 

16 luglio 2010

CORRUZIONE E POLITICA

Alfano: "Niente caccia alle streghe"

"Abbiamo una certezza: che il sistema-giustizia ha dentro di sè tutti gli anticorpi per reagire". Così il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, sull'inchiesta P3 e il coinvolgimento di magistrati. "Non si può fare di tutta un'erba un fascio e non si può dare la caccia alle streghe", aggiunge. Parlando a Bruxelles, a margine al Consiglio Giustizia della Ue, Alfano premette che non intende commentare un'inchiesta in corso. "Ciascuno faccia il proprio dovere - ammonisce - Sia dal punto di vista inquirente che dal punto di vista di chi è chiamato a difendersi".

ll Guardasigilli esclude in maniera categorica che la tenuta del governo si a rischio. "Perchè dovrebbe? Ho letto ipotesi di cambiamenti di governo, di governi di transizione", dice Alfano, sottolineando come nel nostro paese siano "difficili da accettare le regole delle democrazie occidentali, che chi vince le elezioni governa, chi non vince le elezioni non può governare".

"Nel nostro paese -continua il responsabile della Giustizia - si confondono la politica e la democrazia con i videogame, ma non è un gioco per cui hai un telecomando e cambi". Il governo italiano, rivendica Alfano, ha vinto le elezioni nel 2008, le europee nel 2009 e le regionali nel 2010, è sempre stato confermato dagli italiani e "continuerà a governare nella certezza che gli italiani hanno che a presiedere questo governo c'è Berlusconi, che sta bene di suo e non ha certo bisogno di mettersi in tasca i soldi della politica, anzi ci ha rimesso".

 

 

15 luglio 2010

INDAGINE

Eolico, bufera sui giudici coinvolti

Il Csm trasferisce Marra

La Procura generale della Corte di Cassazione, titolare dell'azione disciplinare assieme al ministro della Giustizia, rende noto - con un comunicato - di aver avviato "sin dal 12 luglio scorso, una indagine di natura disciplinare" in merito ai "fatti emergenti dall'ordinanza di custodia cautelare" emessa dal gip di Roma nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti nell'eolico e sulla associazione segreta denominata P3.

La nota della procura generale della Suprema Corte non cita i nomi dei magistrati su cui sta compiendo accertamenti. Nell'ordinanza di custodia cautelare si fanno i nomi del presidente della Corte di Appello di Milano Alfonso Marra (su cui la prima commissione del Csm ha oggi avviato una istruttoria per il trasferimento per incompatibilità ambientale), del capo degli ispettori del ministero della Giustizia Arcibaldo Miller (magistrato fuori ruolo su cui possono intervenire a livello disciplinare il ministro della Giustizia e il pg della Cassazione, ma non il Csm), dell'avvocato generale in Cassazione Antonio Martone (che ha presentato la scorsa settimana domanda di pensionamento).

Il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, anch'egli magistrato fuori ruolo fino a qualche mese fa, il cui nome figura nell'inchiesta, è andato in pensione da poco e dunque non è più passibile di accertamenti disciplinari.

CSM APRE PROCEDURA DI TRAASFERMIENTO PER MARRA

All'indomani della richiesta di dimissioni dell'Anm ai magistrati coinvolti nella vicenda della cosiddetta "P3", la prima commissione del Consiglio superiore della magistratura ha aperto oggi una procedura di trasferimento di ufficio per incompatibilità ambientale nei confronti di Alfonso Marra, presidente della Corte d'Appello di Milano, il cui nome era comparso in alcune intercettazioni dell'inchiesta su presunti illeciti in appalti per l'eolico.

"Sono contento per l'apertura del procedimento del Csm perchè cosi si chiarirà la mia posizione", ha detto Marra a Milano parlanco coi giornalisti.

Oltre a Marra, tra i magistrati coinvolti - ma non indagati - nella vicenda ci sono Antonio Martone, presidente della Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche, e Arcibaldo Miller, capo degli ispettori del ministero della Giustizia.

 

 

 

 

 

 

2010-07-15

14 Luglio 2010

CAPO DELLO STATO

Napolitano: Costituzione

testo lungimirante

Giorgio Napolitano, rivolgendosi al sindaco di Udine, Furio Honsell, e ai consiglieri comunali di Udine,

ha riaffermato la "lungimiranza" della Costituzione vigente, approvata a dicembre del 1947, sul tema delle autonomie. "Sono saldate nello stesso articolo la inscindibilità della nazione italiana e la promozione delle autonomie". Due principi, ha detto il presidente della Repubblica a Udine, profondamente attuali sviluppati con le Regioni a Statuto speciale, nate con la stessa Costituzione, e le Regioni a statuto ordinario del 1970.

Oggi, ha aggiunto Napolitano, si deve proseguire sulla strada tracciata perchè "una Italia unita senza la coesione nazionale si perderebbe nel grande e tumultuoso fiume della globalizzazione. L'unità nazionale si può promuovere facendo conoscere la Costituzione e promuovendo le autonomie. Io sono profondamente impegnato nella difesa dei valori costituzionali. Ma piuttosto che usare l'espressione "difendere la Costituzione" amo dire che è necessario far vivere e attuare la Costituzione, attuare anche il nuovo Titolo V che ha segnato la strada per uno sviluppo anche in senso federalistico del principio autonomistico che trovò già forma felice nella prima formulazione della Costituzione".

"Si riveda ciò che è necessario, si garantisca il massimo di semplificazione nell'articolazione del nostro Stato", ha detto Napolitano raccomandando di salvare i vari livelli di autonomia regionale e locale e di riconoscere "l'importanza decisiva dei Comuni che sono le istituzioni più vicine ai cittadini e ai loro bisogni".

A proposito della crisi economica, il capo dello Stato ha affermato che "nessuna parte politica può sottrarsi alla responsabilità collettiva di alleggerire in modo decisivo e di consolidare il bilancio pubblico riducendo il debito che noi abbiamo accumulato e che è un pesante fardello sulle nostre spalle".

 

 

 

2010-07-13

13 Luglio 2010

GINEVRA

L'Onu: l'Italia modifichi

il ddl intercettazioni

Il governo italiano deve "abolire o modificare" il progetto di legge sulle intercettazioni perché "se adottato nella sua forma attuale può minare il godimento del diritto alla libertà di espressione in Italia". Lo ha detto il relatore speciale dell'Onu sulla libertà di espressione, Frank La Rue in un comunicato. La Rue si è detto "consapevole" del fatto che il disegno di legge vuole rispondere alle preoccupazioni relative "alle implicazioni della pubblicazione delle informazioni intercettate per il processo giuridico e il diritto alla privacy". Ma ha precisato che "il disegno di legge nella sua forma attuale non costituisce una risposta adeguata a tali preoccupazioni e pone minacce per il diritto alla libertà di espressione".

Ricordando le manifestazioni contro il progetto di legge del 9 luglio scorso, l'esperto ha quindi raccomandato al governo di non "adottarlo nella sua forma attuale, e di impegnarsi in un dialogo significativo con tutte le parti interessate, in particolare giornalisti e organizzazioni della stampa, per garantire che le loro preoccupazioni siano prese in considerazione". E si è detto pronto "a fornire assistenza tecnica per garantire" che il ddl "rispetti gli standard internazionali dei diritti umani sul diritto alla libertà di espressione".

LE REAZIONI

"Non siamo stupiti dal comunicato dell'Onu, anzi ci avrebbe sorpreso se si fossero espressi a favore". Lo ha detto Gaetano Quagliariello, vice presidente dei senatori Pdl, replicando alle dichiarazioni del relatore speciale Onu per i diritti, Frank La Rue. "La concezione dei diritti e delle libertà che ha l'Onu– rimarca Quagliariello – si commenta da sé. Ci sono interi scaffali di librerie sui paradossi cui le Nazioni Unite sono arrivati. Questo pronunciamento è un'altra perla della collana".

 

 

 

 

13 Luglio 2010

POLITICA E INCHIESTE

Berlusconi: clima giacobino

e giustizialista

Silvio Berlusconi dice la sua sulle varie ipotesi di governi di "larghe intese" o simili dei quali si parla molto nelle interviste di questi giorni sui giornali e risponde che il Paese ha oggi bisogno solo di governabilità, di approvare in fretta la manovra e non di ritorni alla "vecchia politica politicante" o di clima "giustizialista". È quanto si legge in una nota diramata da palazzo Chigi.

"Il Paese, in questa fase di uscita dalla crisi economica globale, ha bisogno di scelte precise e di responsabilità e quindi di una piena governabilità", dice la nota.

"Anzitutto, il governo ha a cuore l'interesse dei cittadini e perciò intende portare a rapida approvazione la manovra che stabilizzerà il bilancio pubblico come ha chiesto l'Europa, pure in presenza di una situazione migliore dei nostri conti rispetto agli altri partner europei", aggiunge Berlusconi.

"Personalmente, intendo restare fuori dalle artificiose burrasche scatenate dalla vecchia politica politicante e da quanti, in maniera irresponsabile, giocano una partita personale a svantaggio dell'interesse di tutti. Il clima giacobino e giustizialista nel quale alcuni stanno cercando di far ripiombare il nostro Paese non è certo d'aiuto", aggiunge il Cavaliere.

Il presidente del Consiglio conclude che "ancora una volta metterò tutto il mio impegno personale, assieme a quello del governo e della coalizione da me guidati e legittimati costantemente dal sostegno dei cittadini, per impedire ritorni ad un passato che gli italiani non vogliono più".

 

 

 

 

 

 

13 luglio 2010

LOTTA ALLA CRIMINALITÀ

L'operazione "Crimine" decapita le cosche

Gli appalti dei lavori dell'Expo erano uno degli obiettivi di Salvatore Strangio, il boss della 'ndrangheta arrestato oggi nell'inchiesta della Dda di Milano, assieme all'imprenditore Ivano Perego, nell'ambito della maxioperazione che ha accertato l'infiltrazione della mafia calabrese nel nord Italia e in Lombardia in particolare. Strangio intercettato al telefono il 25 aprile 2009 dice: "Il primo lavoro dell'Expo al novantanove per cento lo prende la Perego". Il riferimento è all'impresa Perego General Contractor, riconducibile alla cosca Strangio. La società ha la "funzione" di "mantenere 150 famiglie calabresi". Strangio, come scrive il gip, afferma al telefono.

Strangio è uno degli oltre 300 malavitosi arrestati oggi nell'ambito dell'operazione "Crimine", che ha assestato un duro colpo alla criminalità organizzata: tra ieri notte e questa mattina gli agenti di polizia e carabinieri hanno portato a termine l'arresto di centinaia persone in diverse parti d'Italia (dalla Calabria a varie località del Nord) e per vari reati. Con oltre 3mila uomini delle forze dell'ordine impegnati, si tratta di una delle più imponenti operazioni di questo tipo degli ultimi anni.

Sono state colpite e decapitate le più importanti e potenti famiglie della 'ndrangheta delle province di Reggio Calabria, Vibo Valentia e Crotone, oltre alle loro proiezioni extraregionali ed estere. Di fatto sono state "destrutturate", dicono gli inquirenti, le cosche egemoni nel capoluogo reggino, nella fascia ionica ed in quella tirrenica, tra cui i Pelle di San Luca, i Commisso di Siderno, gli Acquino-Coluccio ed i Mazzaferro di Gioiosa Ionica, i Pesce-Bellocco e gli Oppedisano di Rosarno, gli Alvaro di Sinopoli, i Longo di Polistena, gli Iamonte di Melito Porto Salvo.

Le cosche calabresi della 'ndrangheta presenti sul territorio lombardo hanno tentato di infiltrarsi nelle gare per gli appalti dell'Expo 2015 spa. È quanto è emerso nel corso della conferenza stampa a Milano degli inquirenti per illustrare i dettagli della maxi operazione che questa mattina ha portato all'arresto di oltre 300 esponenti di primo piano della 'ndrangheta, tutti attivi in Calabria e in Lombardia.

In particolare le indagini hanno messo in luce il tentativo della 'ndrangheta di assorbire al suo interno importanti aziende lombarde attive nel settore edile e in condizioni di difficoltà dovute alla crisi economica. L'obiettivo era quello di costituire apposite associazioni temporanee d'impresa capaci di partecipare direttamente all'affidamento degli appalti per l'Expo 2015. Il progetto, tuttavia, è sfumato a causa del mancato risanamento economico della "Perego General Contractor srl", importante azienda milanese dove operavano esponenti della 'ndrangheta per infiltrare le imprese calabresi nei grandi lavori pubblici lombardi.

LA CENA E L'ELEZIONE

Cena a base di pastasciutta a 'nduja, olive calabresi, stuzzichini e frutta. Una serata, apparentemente, come tante se non fosse che il momentò del brindisi sancì "l'elezione" del boss Pino Ner come boss della cosca lombarda. La centralità della struttura messa in piedi dagli 'ndranghetisti nella regione del Nord sarebbe testimoniata anche dal nome dato all'organizzazione, "La Lombardia", appunto, e si risconterebbe anche dal numero degli arresti effettuati dalle forze dell'ordine proprio in Lombardia, circa la metà dei 300 eseguiti nell'operazione.

Secondo le risultanze, il boss avrebbe dato vita a una organizzazione diversa dalla classica struttura 'ndranghetistica, non solo orizzontale ma anche verticale, una specie di organo di coordinamento.

La riunione si svolse il 31 ottobre scorso nel centro Arci "Falcone e Borsellino", inaugurato nell'ottobre del 2008 da Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso."Io ricordo una cena come tante altre - ha raccontato oggi Arturo Baldassarre, allora vicepresidente e oggi presidente del circolo, consigliere comunale del Pd a Paderno fino al febbraio scorso - Erano una trentina e vollero una sala con un tavolo sistemato a ferro di cavallo, i prodotti per la cena li portarono loro e l'incasso per il circolo fu di 75 euro per l'affitto della sala e 95 euro di vino, acqua, caffè".

Alla cena del vertice, molto spartana con piatti e bicchieri di carta, i partecipanti arrivarono tra le 19,30 e le 20 e se ne andarono per le 23,30. "Parlarono tutta la sera, erano solo uomini, notai che si erano seduti in modo da rispettare una certa alternanza giovani, anziani, io facevo avanti e indietro per servire ai tavoli, non ricordo alcun discorso particolare - racconta ancora Baldassarre - Mi ricordo del brindisi finale, forse diedero un bicchiere anche a me, ma a cosa brindarono non potrei proprio dirlo".

Secondo il procuratore aggiunto Ilda Boccassini, sono 500 gli uomini della 'ndrangheta affiliati in Lombardia. Boccassini ha inoltre spiegato che nell'inchiesta sono state individuati 15 "locali" (le famiglie mafiose), tra cui anche uno a Milano centro, a Bollate, a Erba a Cologno e in altri centri sparsi nella regione, in particolare in Brianza. "Ovviamente è un punto di partenza - ha affermato - perchè dalle persone indagate sappiamo che sono molti di più".

"Il dato più sconcertante che sta emergendo - ha sottolineato Ilda Boccassini - è che ancora molti negano di essere stati strutturati", cioè di far parte dei "locali" sparsi in Lombardia.

GLI ARRESTI NEL REGGINO

Nel reggino sono stati eseguiti 53 fermi da parte della Polizia e 68 da parte dei Carabinieri. Ma un grande numero di provvedimenti restrittivi (180 arresti) sono stati eseguiti in Lombardia sono stati ordinati dalla procura di Milano coordinata dai pm Ilda Boccassini, Alessandra Dolci e Paolo Storari.

La Dia del capoluogo lombardo ai ha arrestato Carlo Antonio Chiriaco, classe 1959, nato a Reggio Calabria, direttore sanitario dell'Asl di Pavia, Francesco Bertucca, imprenditore edile del pavese e Rocco Coluccio, biologo e imprenditore residente a Novara. I tre sono ritenuti responsabili di aver fatto parte della 'ndrangheta attiva da anni sul territorio di Milano e nelle province limitrofe, e costituita da numerosi locali coordinati da un organo denominato "la Lombardia". Nel corso dell'operazione sono state eseguite 55 perquisizioni e sequestri di beni immobili, quote societarie e conto correnti il cui valore è ancora da quantificare.

È stato arrestato anche Pino Neri, considerato il capo dell'ndrangheta in Lombardia. A quanto si è appreso da fonti investigative, Neri era, fino a prima dell'arresto, il vertice assoluto della mafia calabrese in Lombardia.

Gli arresti, riferiscono gli investigatori, scaturiscono da "complesse indagini coordinate dalle procure distrettuali antimafia di Milano e Reggio Calabria". Indagini che "hanno consentito di documentare la gestione delle attività illecite in Calabria e le infiltrazioni della 'ndrangheta nel nord Italia, dove stava estendendo i propri interessi illeciti in diversi settori economici". Sono stati sequestrati beni mobili e immobili per decine di milioni di euro.

Le accuse vanno dall'associazione di tipo mafioso al traffico di armi e stupefacenti, dall'omicidio all' estorsione, dall'usura ad altri gravi reati. Gli inquirenti calabresi e lombardi, al lavoro da tempo su questa inchiesta, hanno indagato in particolare sulle infiltrazioni della 'ndrangheta nel nord Italia, sia nelle attività produttive e commerciali, sia nel mondo politico e amministrativo locale. Oltre agli arresti, il blitz delle forze dell'ordine avrebbe portato anche al sequestro di denaro, armi e droga.

UNA PIOVRA CON TENTACOLI IN TUTTO IL MONDO

Il cuore pulsante e il cervello sono nella provincia di Reggio Calabria, ma i tentacoli della 'ndrangheta sono diffusi in ogni parte del Mondo, dalle Americhe all'Australia, dalla Spagna a tutti i Paesi del nord Europa. Dove c'è la possibilità di fare affari, in qualsiasi parte del mondo, c'è la 'ndrangheta. Una ramificazione che ha fatto delle cosche calabresi quelle più forti, più flessibili, più dinamiche e più affidabili di tutte le mafie.

Una potenza che, secondo gli investigatori, gli deriva dall'essere l'unico e vero "broker mondiale" del traffico di cocaina; l'unica organizzazione che, grazie alla propria capillare diffusione, è in grado di trattare praticamente in esclusiva con i narcos colombiani, che riconoscono alla 'ndrangheta una maggiore affidabilità rispetto alle altre organizzazioni criminali. Affidabilità riconducibile anche alla struttura interna delle cosche calabresi, composte da affiliati legati da vincoli di sangue che rendono l'organizzazione sostanzialmente impermeabile al fenomeno dei pentiti.

E il fiume di denaro provento del narcotraffico finisce in società ed investimenti "puliti" ovunque, soprattutto nel nord Europa. La conferma delle diramazioni internazionali della 'ndrangheta giungono da svariate inchieste condotte in questi anni.

 

2010-07-12

 

12 luglio 2010

EQUILIBRI IN POLITICA

L'apertura di Casini:

"Sì a un governo di larghe intese"

Un "governo di responsabilità nazionale". È quanto auspica il leader dell'Udc, Pierferdinando Casini secondo cui è l'unico modo per uscire dalla "crisi politica in atto": un esecutivo aperto a tutti, guidato da chi sceglierà il capo dello Stato, ma per il quale "non è possibile avanzare veti" su Silvio Berlusconi perchè "ha vinto lui le elezioni".

Intervistato dal Corriere della Sera, Casini spiega: "Se fossi il premier di fronte alla gravità della crisi e alla situazione del Paese, chiederei a tutte le forze politiche una responsabilità più ampia". Il Pd accetterebbe, secondo Casini, perchè sono "in molti a rendersi conto che così non si può andare avanti". La Lega e l'Idv, invece, "forse no".

Il leader dell'Udc inoltre dice che alla cena in casa del giornalista Bruno Vespa con Silvio Berlusconi, Gianni Letta e il segretario di Stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone ("messo ingiustamente in mezzo, di politica italiana non ha detto niente"), il premier non gli ha chiesto nulla. E rispondendo alla domanda se ci siano state offerte on altre occasioni, il leader dell'Udc dice: "Che Berlusconi pensi a rafforzare il suo governo è comprensibile, ma per quanto mi riguarda, non c'è un interesse a partecipare a questo governo: sarebbe ridicolo e umiliante. Bossi è un esperto di ribaltoni. Io no". Per questo la Lega, afferma, "insorge per un nulla". Per Casini comunque è "offensivo" pensare che l'Udc potrebbe sostituire i finiani: "mi auguro invece- dice- che Fini ritenga positivo il mio ragionamento e la necessità di un'alleanza tra forze che puntano a realizzare riforme importanti per il bene del Paese".

LE REAZIONI

"Per rispondere alla proposta di Casini di un governo di larghe intese guidato da Berlusconi bastano due lettere: no. Anzi cinque: no, mai". Così Dario Franceschini, capogruppo del Pd alla Camera, commenta la proposta lanciata oggi dal leader Udc Casini.

"Qualsiasi soluzione possibile per garantire un governo al paese che affronti le emergenze e aiuti il passaggio verso un bipolarismo moderno ed europeo - spiega Franceschini - per noi non può che passare attraverso il superamento e la chiusura dell'era di Berlusconi".

Un secco "no" alla proposta del leader Udc viene dal sindaco di Varese e presidente di Anci Lombardia, Attilio Fontana, esponente del Carroccio: "Mi sembra che la Lega abbia già risposto in maniera chiara e esplicita. Il problema è uno solo: nell'ultimo governo l'Udc si è sempre messa di traverso nelle riforme, soprattutto sul federalismo. È chiaro che a queste condizioni l'Udc non ci può stare". L'apertura del Carroccio nei confronti dell'Udc, ha aggiunto Fontana, sarà possibile quando Casini avrà "firmato con il sangue l'impegno a realizzare il federalismo".

Possibilista, ma senza aperture a sinistra, il ministro per l'Attuazione del programma di governo, Gianfranco Rotondi: "Sulle alleanze il premier ha carta bianca e noi dc del Pdl non ci opporremo a quella con Casini. Ma non si parla di larghe intese bensì di un allargamento del centrodestra".

"È necessario trovare un modo per allargare la maggioranza all'Udc, partendo da una piattaforma programmatica e non da un problema di numeri", ha detto Italo Bocchino vicecapogruppo del Pdl alla Camera commentando l'intervista rilasciata da Pier Ferdinando Casini.

"A decisione di dichiarare la crisi di governo per creare un nuovo esecutivo può spettare solo al presidente del Consiglio. È una valutazione che può fare solo Berlusconi di concerto col Capo dello Stato, come prevede la Costituzione", continua Bocchino in merito al passaggio di una crisi di governo secondo quanto delineato dal leader centrista. "Se Berlusconi con Fini e Bossi si appellasse a Casini - sottolinea il vicecapogruppo Pdl - certamente la maggioranza ne uscirebbe rafforzata".

Governo di larghe intese? "È una discussione del tutto priva di fondamento. Quel che faremo dopo si discuterà quando il Governo sarà caduto, di certo tutto il dibattito di questi giorni conferma che il governo Berlusconi è al capolinea". Lo ha detto Nicola Latorre, vicepresidente del Gruppo Pd al Senato, commentando la proposta di Casini di formare un governo di larghe intese.

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2010-07-10

10 Luglio 2010

INTERCETTAZIONI

Berlusconi: la libertà di stampa

non è un diritto assoluto

Silvio Berlusconi in un messaggio ai Promotori della Libertà, parlando della libertà di stampa, ricorda che "in democrazia non esistono diritti assoluti, perché ciascun diritto incontra il proprio limite negli altri diritti egualmente meritevoli di tutela che, in caso della privacy, sono prioritariamente meritevoli di tutela". Nei giorni scorsi il Guardasigilli Angelino Alfano era salito al Colle a indicare la volontà del premier di procedere a "modifiche significative" sul testo. Cambiamenti che dovrebbero essere pronti per lunedì, quando si riunirà la Consulta per la giustizia del Pdl, e dovrebbero tener conto anche dei desiderata dei finiani. Ma intanto oggi sul web magazine di FareFuturo si prende ancora una volta le distanze dal premier, sostenendo che la libertà di stampa "non è mai abbastanza" ed è un "diritto assoluto".

NAPOLITANO: RIFORME CONDIVISE

Quella di sabato è anche la giornata in cui il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lancia nuovamente un appello a riforme condivise. Lo fa inviando un messaggio al congresso del Psi, nel quale sottolinea "la necessità che ben mirate modifiche istituzionali ormai mature si definiscano attraversoun percorso condiviso nel rispetto dei principi fondamentali desumibili dall'intero impianto costituzionale".

IL FRONTE POLITICO

Sul fronte politico, venerdì sera Silvio Berlusconi e il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini si sono incontri a una cena a casa di bruno Vespa, a Roma. Ma l'intento del giornalista di favorire l'appeasement tra i duem sembra fallito, stando a ciò che assicura lo stesso leader centrista, negando profferte da parte del premier. "Non mi è stata formulata alcuna offerta, né quella sarebbe stata la sede", taglia corto Casini. "Io credo che il dialogo in Italia sia una necessità e non un peccato", aggiunge ad ogni buon conto, ricordando di avere canali aperti non solo con il premier, ma anche con Bersani e D'Alema nell'ottica di costruire "una fase politica nuova". Smentita invece dallo stesso padrone di casa la voce di una presenza di Gianfranco Fini nella lista degli invitati. "Vecchia politica romana", liquida la cena a casa di Vespa il leghista Roberto Maroni. "Sono manovre di stampo romanesco che mi ricordano l'epoca del '92 e del '93, quando tutto si decideva in qualche salotto romano", rincara il ministro dell'Interno per poi mettere in chiaro che "Lega e Udc sono alternative: se qualcuno nell'Udc o anche nel Pdl pensa che il partito di Casini possa entrare nel governo sa bene che noi e l'Udc non possiamo stare insieme".

 

 

 

 

 

2010-07-08

8 luglio 2010

LIBERTA' DI INFORMAZIONE

Una giornata di silenzio

(che avrebbe potuto

non esserci)

Il 9 luglio Avvenire non sarà in edicola perché la maggioranza dei suoi giornalisti ha deciso di aderire allo sciopero indetto dalla Fnsi, per protesta contro la "legge sulle intercettazioni" all'esame del Parlamento. Anche l'aggiornamento del sito Internet resterà sospeso per l'intera giornata. Qui potete leggere l'editoriale del direttore Marco Tarquinio che argomenta la propria contrarietà all'iniziativa - "non so francamente immaginare che cosa riuscirà a dire l'evitabilissimo silenzio che a maggioranza i giornalisti italiani hanno deciso di autoimporsi" -. Una riflessione che si conclude con la segnalazione dell'"insidia più grave contro la libera stampa rappresentata oggi dall'agonia procurata di un gran numero di testate giornalistiche... colpite ferocemente e ingiustificatamente dalla decisione di cancellare le tariffe postali speciali".

 

 

 

 

8 luglio 2010

Domani la protesta della stampa

Ma questo silenzio non può dire tutto ciò che va detto

Stare in silenzio per un giornale è sempre un controsenso. E anche se è vero che alcuni silenzi sono inevitabili e altri possono dimostrarsi "parlanti", stavolta non so francamente immaginare che cosa riuscirà a dire l’evitabilissimo silenzio che a maggioranza i giornalisti italiani hanno deciso di autoimporsi in polemica con la "legge sulle intercettazioni" all’esame del Parlamento. Anche i giornalisti di Avvenire la pensano a maggioranza così e, ieri, ne abbiamo dato conto a pagina 2. Io ho profondo rispetto per la loro opinione e condivido molte delle preoccupazioni di quasi tutti coloro che nel nostro Paese si occupano di mass media. Ma ne ho qualcuna in più, e – per fortuna – non sono solo.

Ho già scritto e riscritto che fatico a protestare per norme che non mi piacciono e che spero e voglio vengano giustamente ricalibrate, ma ritengo che la stretta di legge – ormai comunque incombente – sia anche il pesante frutto di un modo sbagliato e guardone di fare giornalismo. Un modo che ad Avvenire abbiamo cercato di contestare autoregolandoci (prendendo cioè sul serio l’articolato codice etico che i giornalisti italiani si sono dati negli anni) e tenendoci lontani (proprio perché fedeli all’ispirazione di questa testata) da ogni tipo di conflitto di interessi.

A cominciare da quello che nasce dal cozzo di due doveri: onorare il diritto dei cittadini a essere liberamente e adeguatamente informati e garantire a quegli stessi cittadini uno sguardo sobrio e pulito sulle azioni di giustizia.

Per questo, nell’era del "grande orecchio", pur senza rinunciare a dar conto di tutto ciò che era davvero importante, non ci siamo mai avvolti in "lenzuolate" di intercettazioni. E non ci siamo mai assolti a priori, dicendo a noi stessi e ai lettori che sono altri – in toga – a decidere nel momento in cui infilano carte in un qualche faldone se certo materiale d’indagine sensibile (e, magari, penalmente irrilevante) merita di entrare o no in articoli e titoli di giornale. I giornali li fanno i giornalisti non i magistrati dell’accusa e neanche gli avvocati difensori. Siamo noi a dare la caccia alle notizie e a noi tocca l’onere di decidere se certe notizie sono importanti e pubblicabili oppure sono carta straccia o, persino, polpette avvelenate. Avvenire, i nostri lettori lo sanno, non ha mai giocato con polpette e veleni.

Ma di piatti all’arsenico ne sono stati cucinati non pochi in questi anni, con e senza intercettazioni di contorno, e qualcuno è stato usato anche contro fior di galantuomini.

Ci sono regole che vengono prima della legge, anche nel nostro lavoro. E il nostro impegno è e resterà quello di fare un’informazione libera e responsabile, con sereno rispetto della verità dei fatti e dell’essenziale azione contro reati e crimini svolta da magistratura e forze dell’ordine, ma anche con acuta consapevolezza di quel principio di civiltà che è la "presunzione d’innocenza" e, prima ancora, della indiscutibile dignità delle persone che sono protagoniste di un qualunque evento di cronaca. Mai silenzi servili, mai processi mediatici a chicchessia, mai aggressioni casuali o – peggio – premeditate.

Non sono affatto convinto che il nostro silenzio di domani riuscirà a comunicare tutto questo. E allora lo dico oggi. Ma dico anche un’altra cosa che non riesce neppure ad affiorare nei fiumi di retorica fatti correre per difendere libertà di stampa e molteplicità di voci e accenti. L’insidia più grave, a mio giudizio, contro la libera stampa è rappresentata oggi dall’agonia procurata di un gran numero di testate giornalistiche, soprattutto (ma non solo) locali, soprattutto (ma non solo) d’ispirazione cattolica. Tre mesi fa, in un incredibile disinteresse, sono state colpite ferocemente e ingiustificatamente dalla decisione di cancellare le tariffe postali speciali. E in queste ore le Poste rigirano il coltello nella piaga. Se ci può essere un grido nel silenzio di oggi, il mio è prima di tutto per questo.

Marco Tarquinio

 

 

8 luglio 2010

INTERCETTAZIONI

I punti "caldi" del ddl

I REATI

Unico cambiamento: l’aggiunta dello stalking

Il testo approvato a palazzo Madama, e ora all’esame della Camera, consente le intercettazioni per tutti i delitti più gravi, quali mafia, terrorismo, sequestro di persona, e in generale per i reati che prevedono una reclusione superiore ai cinque anni. Nell’ultimo passaggio in Senato la lista si è allungata, includendo tra gli intercettabili i molestatori e i colpevoli di stalking. Si potranno catturare conversazioni e immagini, e reperire tabulati telefonici, anche quando si indaga su corruzione, danno alla pubblica amministrazione e reati finanziari quali l’abuso di informazioni privilegiate e la manipolazione del mercato. Inoltre, potranno essere "spiati" gli spacciatori e chi alimenta il mercato e il consumo dei materiali pedopornografici. L’uso è lecito, infine, per i delitti concernenti armi ed esplosivi.

LIMITI DI TEMPO

Non più di 75 giorni, prorogabili

È il punto più contestato dai magistrati. Allo stato attuale è possibile effettuare intercettazioni lungo l’intero arco delle indagini preliminari. Il testo in discussione prevede invece, laddove ci siano "gravi indizi di reato", un massimo di 75 giorni. Il pm può procedere per un primo blocco di 30 giorni, e poi ottenere tre proroghe di 15 giorni ciascuna. Raggiunto tale limite, è possibile disporre altre intercettazioni che non superino però i tre giorni. Per i delitti di mafia, è possibile sforare il limite ricorrendo a proroghe di venti giorni.

AMBIENTALI

Vietate nei luoghi privati

Cimici, microfoni e microspie, ad oggi, possono essere piazzate ovunque, anche in case e automobili. Per tutelare la privacy - specie di chi non è indagato -, con il nuovo testo non sarebbe più possibile, e le "ambientali" diventerebbero ammissibili solo in luoghi pubblici, tipo bar, negozi e uffici in cui si presuppone si stia compiendo il reato. Si potrebbe sfuggire a questa regola solo in casi straordinari e motivati: in tal caso le cimici sarebbero ammesse anche in luoghi non pubblici, ma comunque per non più di tre giorni prorogabili.

LE SANZIONI

Sostituiti i pm "chiacchieroni"

Rischia grosso il magistrato che rilascia dichiarazioni o rivela alla stampa informazioni coperte dal segreto istruttorio: con il nuovo testo potrebbe essere sostituito dal capo del suo ufficio e allontanato dall’indagine. Non solo: il pm può incorrere nell’azione disciplinare, e vedersi addebitata la sospensione cautelare dal servizio o dall’esercizio della professione per un massimo di tre mesi. Una misura che, insieme a quella sulle "talpe", dovrebbe fungere da deterrente contro le fughe di notizie. Allo stato attuale, invece, non sono previste punizioni per i magistrati "chiacchieroni".

INFORMATORI

Per le "talpe" carcere fino a 6 anni

Tempi duri anche per cancellieri e informatori occulti dei tribunali. Chiunque rivela indebitamente notizie inerenti ad atti o documentazioni del procedimento potrebbe essere punito con la detenzione fino a 6 anni. Il Senato ha ritenuto di aumentare di un anno la pena massima approvata da Montecitorio. L’inasprimento rispetto alla situazione attuale è evidente, visto che le "talpe", oggi, rischiano un anno di carcere. Le pene sono più lievi per chi rivela un segreto non per dolo, ma solo per insipienza. Al contrario, sono più aspre per chi porta a pubblica conoscenza informazioni riguardanti i servizi.

GIORNALISTI

Arresto o sanzione pecuniaria

In teoria, anche con le norme vigenti sarebbe vietata la pubblicazione delle intercettazioni coperte da segreto istruttorio, e l’ammenda per il giornalista sarebbe di 281 euro. Il ddl Alfano andrebbe a punire gli abusi con l’arresto per un anno o una sanzione sino a 10mila euro. Degli altri atti d’indagine è ammessa la pubblicazione per riassunto. I contenuti delle richieste di misure cautelari non possono essere resi noti prima che ne siano a conoscenza le parti. Nessuna concessione infine su trascrizioni per le quali è stata ordinata la distruzione, in modo particolare quando riguardano persone non indagate ed estranee ai fatti. Le nuove norme si prestano a dubbi circa la possibile pubblicazioni di fotografie agli atti, che potrebbero essere di evidente interesse pubblico.

EDITORI

Multe fino a 450mila euro

Il ddl è ancora più severo per gli editori, forse il vero obiettivo del testo. Ed è questa un’altra misura aspramente contestata. Finora, i proprietari delle testate e delle televisioni erano solo sfiorati nel caso un giornalista pubblicasse o mandasse in video atti ancora sotto segreto. Ora, invece, si annunciano multe salatissime. L’ammenda è di 300mila euro (ovviamente per atti resi noti prima della chiusura delle indagini preliminari), ma salirebbe fino a 450mila quando le trascrizioni violassero la privacy di persone non indagate. Il timore delle categorie che protestano è che sanzioni così pesanti mettano un "bavaglio" ai cronisti, imprigionandoli nella paura di causare un danno economico alla loro testata.

PENDENZE

Applicabile ai processi in corso

Dopo l’eventuale approvazione alla Camera, il ddl si applicherebbe da subito anche alle indagini già in corso. Nel concreto, il limite di 75 giorni sarebbe valido anche per istruttorie già aperte. Stesso discorso per le proroghe. In ogni caso, resterebbero valide le intercettazioni già autorizzate ed eseguite prima dell’entrata in vigore della norma. Questo per non minare la validità e l’efficacia delle inchieste in corso. Le norme sulla pubblicazione degli atti, e le relative sanzioni previste per giornalisti, editori, magistrati e talpe, sarebbero valide da subito. Anche sull’applicazione transitoria ci sono tuttavia ancora margini di trattativa e di discussione.

FRASI RUBATE

Stop alle registrazioni fraudolente

È la cosiddetta "norma D’Addario". La escort rese note registrazioni audio catturate di nascosto e all’insaputa del premier Berlusconi, durante una notte passata a palazzo Grazioli con lui. Più in generale, interviene a tutela della privacy di molti cittadini che vengono ripresi senza esserne informati. Con il nuovo testo le riprese fraudolente sono punite con il carcere da 6 mesi a 4 anni. Sono escluse però le registrazioni nascoste effettuate da giornalisti e pubblicisti nell’ambito della loro professione. Non incorrono nella pena i pubblici ufficiali che agiscono in difesa dello Stato e nelle attività di intelligence. Le frasi "rubate" possono essere utilizzate anche per risolvere controversie giudiziarie.

 

PROCESSI IN TV

Più complicate le riprese in aula

Oggi è sufficiente l’autorizzazione del giudice (o del presidente del collegio giudicante) per effettuare riprese e registrazioni all’interno delle aule di tribunale. Ora la procedura si complica, a tutela dell’imputato o per evitare al pubblico immagini poco digeribili. Se il ddl fosse approvato, occorrerà rivolgersi al presidente della Corte d’appello del distretto giudiziario in cui si celebra il processo: sarà lui a concedere l’autorizzazione o a negarla, a prescindere da quanto voluto dalle parti in causa. La norma non impatterà però sul diritto di cronaca di tg e giornali radio, nonché su quelle trasmissioni televisive specializzate nella trattazione di procedimenti giudiziari, e che dunque hanno bisogno di ampi stralci.

 

I COSTI

Un decreto con tariffe fisse

È uno degli argomenti più battuti dalla maggioranza. Le intercettazioni costano, gravano sul bilancio della giustizia e dunque sulle tasche del contribuente. Il ddl, al fine di contenere la spesa, per le operazioni di intercettazione, stabilisce che un successivo decreto dei ministri della Giustizia, dello Sviluppo economico e della Pubblica amministrazione dovrà stabilire le tariffe applicate dalle società concessionarie dei servizi di telefonia. Il decreto dovrebbe arrivare entro 120 giorni dall’approvazione del ddl. Il "tariffario" dovrebbe portare ad avere maggiore controllo preventivo sui costi delle apparecchiature telefoniche e dei software.

 

REGISTRI

Un "diario" in ogni procura

Con il ddl inizierebbe anche un regime di "tracciabilità" delle intercettazioni, con l’obiettivo dichiarato di evitare che siano ammassate e custodite in modo irrazionale, e che ci sia la certezza di chi ci mette mano. Sarebbe dunque istituito in ogni procura della Repubblica un registro riservato in cui sono annotati, in ordine cronologico, la data e l’ora di emissione e la data e l’ora di deposito dei decreti che dispongono, autorizzano, convalidano o prorogano le intercettazioni. Inoltre, per ciascuna intercettazione occorrerà segnare l’inizio e la fine delle operazioni. Inoltre, il ddl vincola a redigere verbale di ogni intercettazione, e individua i responsabili per la conservazione e la riservatezza del materiale.

 

 

 

 

 

8 luglio 2010

INTERCETTAZIONI

Berlusconi: "Sacrosanta"

la legge sulle intercettazioni

Intercettazioni, lotta alla mafia che "non verrà ostacolata dal ddl sulle intercettazioni", la protesta "strumentale" degli aquilani di ieri e gli equilibri all'interno del governo. Parla a 360 gradi, Silvio Berlusconi, in un 'intervista concessa oggi a "Studio Aperto".

"Ero e resto convinto che sia una legge sacrosanta che ricalca un ddl approvato con una maggioranza bulgara ai tempi del governo di sinistra. Eppure allora nessuno parlò di legge bavaglio e di attentato alla libertà", così Silvio Berlusconi ha difeso il ddl intercettazioni che, a suo avviso, non ostacola le indagini sulla mafia. "È anzi vero il contrario. Il ddl - ha detto il premier - non modifica le indagini. Non un solo reato è stato sottratto alle intercettazioni. Ne abbiamo azi aggiunto uno: quello dello stalking"

Berlusconi ha poi sottolineato come questo "sia il governo che ha fatto di più e meglio nella lotta alla criminalità in 60 anni sequestrando beni per 12 miliardi di euro, arrestando 5.600 presuntui mafiosi tra cui 26 dei 30 più pericolosi".

Riferendosi poi alla manifestazione di protesta degli aquilani che si è svolta ieri a Roma, Berlusconi precisa di non aver ancora visto il resoconto delle forze dell'ordine, "ma mi pare che ci sia stata molta strumentalizzazione". "Noi abbiamo fatto come governo un intervento immediato ed efficace dopo il terremoto. La ricostruzione spetta agli enti locali, al comune e alla regione - ha detto -. Il governo doveva dare i finanziamenti, cosa che è stata fatta finora".

EQUILIBRI ED ECONOMIA

Affrontando poi il tema dei difficili equilibri politici all'interno della maggioranza Berlusconi precisa: "Ho in mente di continuare a governare e di andare avanti e chi nel Pdl dovesse dissentire da questo impegno assoluto e morale dovrebbe prendere atto di non essere più in sintonia con i nostri elettori".

Il premier ha poi ribadito che "in un partito ci si confronta e si discute, ma nel momento delle decisioni vince il principio della maggioranza. Soprattutto quando questa maggioranza porta avanti con coerenza gli impegni assunti con gli elettori in campagna elettorale".

Parlando poi della situazione economica, Berlusconi lascia trasparire il solito ottimismo. La ripresa è già "in corso", e sarà "solida" grazie al "rigore dei conti". Secondo il premier, gli ultimi dati economici confermano la validità della linea del governo in questi mesi difficili. "La ripresa è in corso e sarà tanto più salda quanto più collegata d una politica di rigore sui conti pubblici - ha detto Berlusconi - Abbiamo governato la crisi, avendo sempre come obiettivo gli interessi delle famiglie, dei risparmiatori e delle imprese".

"Partendo da queste premesse è chiaro che i saldi della manovra dovranno restare invariati", ha ribadito, "e la scelta del governo di porre la fiducia è stata un atto di coraggio. Se il parlamento non ci approverà questa manovra, andremo a casa".

 

 

 

 

8 luglio 2010

DDL INTERCETTAZIONI

Privacy e sicurezza

il difficile equilibrio

Non si conosce ancora il destino finale del contrastato ddl sulle intercettazioni, visto che nella maggioranza e nel governo le posizioni oscillano notevolmente tra la volontà di abbandonare la partita e quella di dare comunque una prova di compattezza. La soluzione al dilemma che affligge Berlusconi e i suoi, stretti tra l’opposizione interna dei finiani, le contestazioni di giornalisti ed editori, le notevoli perplessità espresse dal capo dello Stato e i rilievo, tutt’altro che teneri di magistratura e forze dell’ordine, potrebbe proprio arrivare – sul filo della pausa estiva delle Camere – da una sorta di "stralcio" delle questioni sul tappeto.

Il presidente del Consiglio ne ha parlato esplicitamente al vertice del suo partito convocato ieri a Palazzo Grazioli. C’è una questione di limite alla magistratura di fare gli ascolti, ha spiegato, e c’è il risvolto legato alla loro pubblicazione sui giornali. Sul primo punto, il ministro della Giustizia Alfano è stato incaricato di esaminare emendamenti e proposte, con il compito stemperare le perplessità del Quirinale (e semmai di attenuare l’opposizione dei magistrati e delle forze di polizia) e non certo di aprire ai finiani. Un lavoro faticoso, tanto che il Pdl sembra chiederà lo slittamento del termine per presentare gli emendamenti. Sul secondo punto, quello delle sanzioni agli editori e ai giornalisti , invece il premier ha detto che di ritoccare la legge non se ne parla proprio. Anche a costo di sopportare la continuazione a oltranza della guerra tra fautori della privacy e paladini della libertà di informazione.

Sui tempi, lo Stato maggiore del Pdl sembra aver allentato la morsa e rinunciato, anche dopo lo stop di Schifani, a portare a casa l’approvazione definitiva prima della chiusura estiva delle Camere. L’importante, hanno convenuto ieri, è che il ddl, con le piccole e opportune modifiche, passi almeno alla Camera nei primi giorni di agosto. Per essere trasformato in legge alla ripresa. Il ministro degli Esteri Franco Frattini, all’uscita dal conclave del Pdl, ha spiegato ai giornalisti: "Il testo del ddl intercettazioni non è la Bibbia. Il governo terrà conto delle perplessità avanzate e il ministro della Giustizia, sta riflettendo su alcuni emendamenti". Quanto ai tempi, Frattini ha spiegato che l’approvazione "dipenderà da quando verranno presentati gli emendamenti correttivi. Tecnicamente fino al 5 agosto è possibile approvarlo, ma dipende dal calendario".

Le opposizioni, però, restano sulle barricate. Donatella Ferranti, del Pd, spiega chiaro e tondo: "Sull’apertura alle modifiche auspichiamo che si abbia consapevolezza che, anche nel corso delle recenti audizioni, le perplessità sul ddl emerse sono radicali e toccano il cuore del provvedimento; non possono pertanto essere tradotte in piccoli interventi di inutile maquillage, servono cambiamenti radicali". Mentre Federico Palomba, dell’Idv, incalza: "Il dll non è finalizzato alla tutela della privacy, di cui noi siamo forti sostenitori, ma solo a ostacolare la giustizia e a mettere il bavaglio alla stampa". Stessa musica dai finiani che con Fabio Granata ribadiscono: "Senza cambiamenti sostanziali, noi la legge non la votiamo".

Giovanni Grasso

 

 

 

 

2010-07-02

2 Luglio 2010

POLITICA E INFORMAZIONE

Ddl intercettazioni

Ghedini contro Napolitano

Ancora tensioni su quelli che il presidente della Repubblica ha definito i "punti critici" della nuova normativa sulle intercettazioni. All'attacco di Napolitano va Niccolò Ghedini (Pdl): "C'è un Parlamento e spetta a quest'ultimo decidere. La valutazione del Capo dello Stato non è su problemi di natura tecnica, altrimenti dovrebbe farsi eleggere. La valutazione è sulla costituzionalità. Le "criticità tecniche" esulano dalla sua competenza".

Pieno rispetto istituzionale per il Quirinale da parte del presidente del Senato, Renato Schifani, che però prende le distanze dal suo collega di Montecitorio, Gianfranco Fini: il presidente della Repubblica "non si commenta, si ascolta", afferma la seconda carica dello Stato e aggiunge: "Mi auguro sempre che ogni tensione si allenti, facendo in modo che ci siano tempi e spazi adeguati per il dibattito su ogni provvedimento". Poi, rispetto alle osservazioni di Fini: "Non ritengo rientri nei compiti del presidente del Senato entrare nel merito di un provvedimento all'esame di una delle due Camere".

Il capogruppo della Lega Nord alla Camera, Marco Reguzzoni, afferma: "Sulle intercettazioni si va avanti a discutere. Noi siamo assolutamente disponibili al dialogo e credo che l'appello del capo dello Stato sia la sintesi".

Resta forte il dissenso dell'opposizione: "Il governo non riesce a mettere la testa sulla manovra per correggerla come necessario e non riesce a prendere atto che questa legge così com'è non va, non può andare". "Così diamo un colpo alla legalità", dice il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, che poi ha stigmatizzato le parole di Ghedini: "Il nervosismo del centrodestra si sta scaricando in affermazioni poco eleganti, nessuno può rivolgersi in questo modo al presidente della Repubblica, tantomeno uno che è avvocato e che dice di capire qualcosa di politica".

Anche per il portavoce dell'Italia dei valori, Leoluca Orlando: "L'avvocato Ghedini straparla, ignorando le norme della Costituzione, così come ha dimostrato con leggi aberranti da lui elaborate e dichiarate sistematicamente incostituzionali".

Il leader Udc, Pier Ferdinando Casini, sottolinea: "Se il testo del ddl intercettazioni non cambia non ci sarà la legge. Se non cambiano vuol dire che non vogliono la legge, vuol dire che rinunciano anche a tutelare la privacy, che dicono essere la prima preoccupazione" e ancora: "Il presidente della Repubblica è stato ineccepibile e alla maggioranza diciamo: basta esibizionismo muscolare, costruiamo insieme una risposta diversa che tuteli la legalità e garantisca la libertà di stampa".

Giovanni Grasso

 

 

2010-07-01

1 Luglio 2010

INTERCETTAZIONI

Napolitano: chiari i punti critici

Oggi la protesta dei giornalisti

"I punti critici della legge sulle intercettazioni nel testo approvata dal Senato risultano chiaramente", ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, rispondendo a una domanda dei giornalisti sulla manifestazione di protesta dei giornalisti in corso a Roma. Ha aggiunto che il Quirinale non ha il compito di formulare modifiche e che si riserva una valutazione finale nell'ambito delle prerogative proprie del Capo dello Stato.

Il Capo dello Stato ha innanzitutto motivato la scelta di rispondere dall'estero, contrariamente alle sue abitudini, ad una domanda che riguarda vicende italiane. "Lo faccio non tanto per la vicinanza di Malta all'Italia o perché fra poco farò rientro a Roma, ma per la confusione che ancora colgo in certi commenti di stampa sulla legge sulle intercettazioni. Posso in sintesi ribadire quanto segue: i punti critici della legge approvata dal Senato risultano chiaramente dal dibattito in corso e da quello che si è svolto alla Commissione Giustizia della Camera, nonché da molti commenti di studiosi, sia costituzionalisti, sia esperti della materia. E ovviamente sono gli stessi a cui si riferiscono le preoccupazioni del presidente della Repubblica. E ciò non si è mancato di sottolinearlo nei rapporti con esponenti di maggioranza e del Governo. Ma – ha concluso Napolitano – a noi non spetta indicare soluzioni da adottare e modifiche da approvare. Valuteremo obiettivamente se saranno apportate modifiche adeguate alla problematicità di quei punti messi in evidenza. Ci riserviamo la valutazione finale nell'ambito delle nostre prerogative".

I giornalisti avevano chiesto a Napolitano di dire se c'è un allarme in Italia per la libertà di stampa e di commentare le il giudizio critico espresso ieri dal Garante della privacy, Francesco Pizzetti. "Non mi pronuncio mai – ha risposto – sulle relazioni dei garanti delle autorità indipendenti. Consiglio però di leggere accuratamente la relazione del Garante della privacy, che non mi pare che si lamenti perchè si mette un po' troppo l'accento sulla privacy, sarebbe paradossale e un parere più argomentato e complesso. Le istituzioni di garanzia non lanciano allarmi, formulano pareri e valutazioni".

 

 

 

 

 

 

2010-06-19

19 giugno 2010

INTERCETTAZIONI

Berlusconi: "Cambiamo

il ddl ma approviamolo"

Il presidente Berlusconi parla ancora direttamente ai suoi "Promotori della Libertà", l'organizzazione

ufficiale del Pdl che direttamente a lui fa riferimento, per promuovere una nuova mobilitazione: "chiedo il vostro impegno nei gazebo dei Promotori della libertà, nei vostri incontri, nei vostri convegni e in tutte le vostre iniziative per una missione di grande importanza: difendere la libertà di ciascuno di noi, e quindi la libertà di tutti gli italiani da una minaccia che è subdola ma concretissima: l'abuso sistematico delle intercettazioni telefoniche e la loro pubblicazione sui giornali e addirittura in televisione. Intanto l'organizzazione dei Promotori della Libertà ha già ben radicato la sua strutturazione sul territorio".

"Badate bene: nessuno, nessuno sta mettendo in discussione l'utilità delle intercettazioni per combattere il terrorismo, e la criminalità organizzata e altri gravi reati. E non è vero - continua il presidente Belrusconi - che si vuole tutelare una presunta casta, come affermano, sapendo di mentire, la sinistra, la lobby dei pm politicizzati e la lobby dei giornalisti di sinistra. Il problema è semplice ed è grave: siamo tutti spiati. Per questo vi chiedo di unire la vostra voce alla mia, alla nostra e di gridare alto e forte che in Italia è in pericolo il nostro sacrosanto diritto alla privacy. Non si può dire altro - ha proseguito - quando anche il più innocente dei cittadini viene sottoposto a intercettazione, spiato per mesi e poi messo alla gogna sui giornali. Cari amici, il vostro sostegno è importante per spiegare agli italiani il valore e i contenuti di questa legge. Ognuno di voi si faccia protagonista di questa campagna di libertà. Dobbiamo impedire che questa legge subisca la triste sorte che di solito tocca alle leggi che non piacciono alla sinistra e ai suoi pm politicizzati. Cambiamola anche, rivediamola, emendiamola, miglioriamola ma approviamola! È nell'interesse di tutti, altro che casta".

E poi insiste: "Purtroppo quella di governare e fare le leggi è un'impresa che nel nostro Paese sta diventando ogni giorno più difficile e lo sarà fintanto che non saremo riusciti ad approvare le riforme istituzionali necessarie per ammodernare l'architettura costituzionale dello Stato, così da dare al nostro premier gli stessi poteri degli altri leader europei, riducendo il numero di parlamentari e di chi vive di politica e rendendo meno lunghi ed estenuanti i percorsi per l'approvazione delle leggi.

Sono riforme previste dal nostro programma, sottoscritte dal voto degli elettori e sono tutte pienamente condivise dalla Lega di Bossi che è statoe continuerà ad essere un alleato un alleato leale e sicuro".

 

 

 

 

 

2010-06-17

17 giugno 2010

POLITICA

Intercettazioni, Bossi vede Fini:

"Avanti con intesa del Colle"

La soluzione per fare uscire dall'impasse il disegno di legge sulle intercettazioni può venire solo dall'intesa tra il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Lo ha detto oggi il leader leghista Umberto Bossi, al termine di un incontro alla Camera con Gianfranco Fini. "Se tra Berlusconi e il presidente della Repubblica si trova una soluzione si può andare avanti", ha detto Bossi ai giornalisti.

In quella che appare come una frenata rispetto all'annunciato proposito di governo e maggioranza di fare entro luglio la legge che limita le intercettazioni - adottando il testo approvato con la fiducia la settimana scorsa dal Senato - Berlusconi ha detto ieri che il via libera della Camera potrebbe slittare a settembre, dopo l'approvazione del decreto sulla manovra finanziaria.

"Bisogna dare un'accelerazione per trovare una via d'uscita e per farlo bisogna parlare con Berlusconi e il Capo dello Stato, perché se non firma siamo fregati", ha aggiunto Bossi. Il leader leghista non ha voluto parlare delle questioni controverse del ddl ma ha detto che "su alcuni punti si può lavorare, una soluzione ancora non c'è, ma sono fiducioso".

La manovra e le Regioni. "È un bel problema la manovra, non per il federalismo che non viene toccato, ma perchè le regioni si sentono nude, sentono di avere troppo poco. Bisognerà trovare la via per aiutare le più virtuose". Ha inoltre sottolinea il leader della Lega.

 

 

 

 

2010-06-16

16 giugno 2010

Il premier

Berlusconi "Riformare

la nostra Costituzione"

"Questa non è vera democrazia, non c'è la tutela della libertà di parola": lo afferma Silvio Berlusconi nel corso del suo intervento all'Assemblea di Confcommercio parlando delle intercettazioni che coinvolgono complessivamente circa "7,5milioni di persone".

"Bisogna riformare la nostra Costituzione": afferma Berlusconi sottolineando la necessità di "riformare profondamente le istituzioni del nostro Paese". "L'architettura istituzionale" creata da nostri Padri costituenti "risentiva della dittatura" e di conseguenza il presidente del Consiglio ha "pochi poteri", ribadisce il premier.

Tra il dire e il fare in Italia c'è di mezzo non solo il mare, ma addirittura l'Oceano. E quando un imprenditore come me deve passare sotto continue forche caudine, dice "chI me lo fa fare, ritorno a fare ciò che facevo prima o vado in pensione".

"Stiamo preparando una grande riforma della Giustizia penale". Il premier spiega che una volta che la riforma arriverà in Parlamento l'auspicio è che il Parlamento la approvi entro la legislatura.

 

 

 

 

 

2010-06-10

10 giugno 2010

IL CASO

Intercettazioni, il governo

incassa la fiducia

Il governo ha ottenuto oggi la fiducia al Senato sul disegno di legge che limita l'uso delle intercettazioni telefoniche nelle indagini e proibisce la loro pubblicazione nei media. La fiducia ha ottenuto 164 sì, 25 no e nessuna astensione. Con questo voto il provvedimento si intende approvato dal Senato.

Il Pd non ha partecipato alla votazione, sia pure con alcune defezioni, in polemica con una legge che ha definito "liberticida", in una giornata di grande agitazione al Senato, che aveva visto in precedenza l'espulsione dall'aula dei senatori dell'Italia dei Valori, anch'essi contrari al ddl, perché occupavano i banchi riservati al governo.

Il provvedimento, che per il governo armonizza il diritto alla privacy con quello di cronaca, tornerà ora per un'altra lettura alla Camera, dove era stato approvato per la prima volta un anno fa, sempre con il voto di fiducia.

"Oggi si realizza un altro punto del programma. Noi consentiamo l'uso delle intercettazioni impedendone l'abuso", ha detto ai giornalisti il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, dopo il voto al Senato.

I senatori del Pd e dell'Idv si sono poi uniti ad un sit-in contro il disegno di legge, organizzato dal sindacato dei giornalisti nella vicina Piazza Navona. Anche l'Anm, il sindacato dei magistrati, si è detto contrario alle nuove norme, perché ostacolerebbero le indagini.

 

 

 

 

10 Giugno 2010

PROTESTA

Intercettazioni, giornali e tv

in sciopero il 9 luglio

Da domani in edicola giornali listati a lutto, manifestazioni davanti alle sedi istituzionali e uno sciopero generale di giornali e tv il 9 luglio. Queste le iniziative che la Federazione Nazionale della Stampa metterà in campo "per significare con immeditatezza l'allarme grave che si pone non per questo o quel cittadino di destra di sinistra, ma per il corretto svolgersi del circuito democratico" dopo il sì del Senato alla legge sulle intercettazioni.

"Abbiamo chiesto a editori e direttori - ha annunciato il segretario della Fnsi, Franco Siddi, in piazza Navona dove durante la votazione al Senato si è tenuto un presidio contro la "legge-bavaglio" - di predisporre un impianto comune per la prima pagina in cui si segnali il corpo mortale inferto alla libertà. Se gli editori non ci staranno pubblicheremo noi a pagamento un necrologio perchè sia chiaro l'allarme".

Siddi invita l'Italia "a svegliarsi" e "bloccare questa legge prima che diventi definitiva" perché "espropria i cittadini di un bene inalienabile, il diritto a sapere". "Faremo manifestazioni dappertutto - ha aggiunto - non siamo ancora in grado di fare uno sciopero generale perché la legge sui servizi pubblici impone tempi e procedure". Da oggi, comunque, i giornalisti sono invitati a "manifestazioni più intense".

""Sapevamo che siamo solo all'inizio di una battaglia per la libertà molto dura", ha aggiunto Siddi che vede la necessità di "impedire che si torni al regime del '25". Per questo "è molto importante la partecipazione del mondo dell'impresa e dell'editoria accanto a giornalisti e cittadini perché questa non è una battaglia tra destra e sinistra ma è una contrapposizione cercata per dividere l'Italia". .

 

 

 

 

2010-06-04

4 Giugno 2010

GIUSTIZIA E POLITICA

Intercettazioni, è svolta

Via il tetto dei 75 giorni

A sorpresa, il Pdl apre le porte alle richieste di Fini e dei suoi sulle intercettazioni. Prima in un vertice al Senato con il ministro Alfano, poi nella riunione della Consulta sulla Giustizia guidata da Ghedini, sono stati messi a punto alcuni principi (che si tradurranno in altrettanti emendamenti) fatti apposta per venire incontro alle richieste dei "ribelli", anche a costo di annacquare in alcuni punti le iniziali intenzioni. Il comunicato parla di "modifiche" per ottenere "un’ampia condivisione".

La notizia è abbastanza sorprendente, poiché ancora ieri mattina gli esponenti del partito fedeli a Berlusconi ribadivano la linea dura nei confronti dei dissenzienti. Un dirigente proveniente dalle file di An, ma schierato contro Fini, come il ministro Altero Matteoli, ad esempio, andava ripetendo che le critiche dei finiani erano strumentali e che al momento del voto la minoranza si sarebbe dovuta "adeguare alle decisioni prese a maggioranza". Ma lo scenario, ormai, sembra essere completamente mutato. Perché il doppio incontro di ieri ha aperto, anzi spalancato le porte alle obiezioni del presidente della Camera e della sua pattuglia.

Il comunicato di ieri, emesso dalla consulta, è tutto un programma: si "ringrazia il relatore" del provvedimento al Senato, senatore Centaro, per il lavoro svolto fino a quel momento e "si approva la linea illustrata dall’on. Ghedini". Come dire: da oggi si cambia musica. E la musica cambierà sui termini delle intercettazioni (Gasparri ammette: "Andremo oltre i 75 giorni", stabilendo delle proroghe di 48 ore in 48 ore), sulla norma transitoria (che voleva applicare le disposizioni previste dalla legge anche ai processi in corso), sugli ascolti ambientali e probabilmente sulla lista dei reati intercettabili. Stralcio in vista, infine, per la contestata norma sul segreto di Stato sulle telefonate degli 007.

I finiani in pubblico sono prudenti, parlano di "passi in avanti" e dicono di "attendere di leggere il testo degli emendamenti". Ma in privato hanno festeggiato quella che hanno definito la loro "prima vera vittoria sul campo", avvenuta, sottolineano, "anche grazie a gravissimi errori di strategia" dei berlusconiani. Una vittoria, come dice Fabio Granata, vicepresidente dell’Antimafia, che "premia la nostra ostinazione, ma non solo la nostra". Riferimento, con ogni probabilità, al ruolo di suggeritore, prudente ma fermo, avuto nell’intera vicenda dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. L’intesa, insomma, sembra che abbia molti padri: Fini, Napolitano, Ghedini (che è il plenipotenziario di Berlusconi in materia di Giustizia). E non da ultimo, anche dopo le polemiche con il suo "collega" di Montecitorio, il presidente del Senato Renato Schifani che ha lavorato di cesello nella fase finale della svolta con l’obiettivo di raggiungere "un avvicinamento" delle parti.

Anche le opposizioni, ieri, sia pure prudentemente, hanno fatto sapere che giudicano le aperture della maggioranza con un certo sollievo. Pur confermando che comunque, il loro sarà un voto negativo. E assistendo, divertiti e preoccupati, alle contorsioni di maggioranza che, come dice D’Alia (Udc) "sembra in preda a una crisi di nervi e in stato confusionale e non riesce a fare un percorso parlamentare lineare e trasparente".

Sullo sfondo non è però del tutto tramontata l’idea, accarezzata da Berlusconi varie volte, di lasciar finire il provvedimento, una volta approvato al Senato, su un binario morto: "Con tutti questi cambiamenti – ha ribadito anche di recente il premier ai suoi interlocutori – rischia di non servire più a niente".

Giovanni Grasso

 

 

 

 

2010-05-31

31 Maggio 2010

GIUSTIZIA

Ddl intercettazioni al Senato

E' scontro tra Schifani e Fini

L'aula del Senato ha iniziato lunedì pomeriggio ad affrontare il disegno di legge sulle intercettazioni, ma è già scontro all'interno della stessa maggioranza di centrodestra, divisa all'appuntamento, con il presidente dell'altro ramo del Parlamento Gianfranco Fini che già ipotizza ulteriori modifiche quando il provvedimento tornerà a Montecitorio.

Il provvedimento che circoscrive l'uso delle intercettazioni da parte della magistratura e vieta la loro pubblicazione sui giornali, anche per riassunto, fino al termine delle indagini preliminari, è stato più volte riscritto da maggioranza e governo in quasi due anni di lavori parlamentari e la maggioranza ha avanzato da ultimo 11 nuove proposte di modifica da mettere ai voti in aula al Senato.Ma tutto questo non basta per Fini, a capo della minoranza del Pdl, particolarmente battagliera alla Camera.Il dibattito sulle intercettazioni dovrà affrontare "le questioni che non sono state valutate bene dalla maggioranza", ha detto Fini ai giornalisti a margine di un evento a Santa Margherita ligure, soprattutto con riferimento al limite di 75 giorni a disposizione dei pubblici ministeri per ricorrere alle intercettazioni come strumento di indagine. "Se i deputati della Camera lo riterranno necessario si potrà intervenire", ha aggiunto, innescando immediatamente una polemica a distanza, a cui ha partecipato anche Renato Schifani, presidente del Senato.

"Sono sempre stato garante delle regole e men che mai mi sognerei di fare commenti su argomenti all'esame dell'altro ramo del Parlamento", ha detto ai giornalisti Schifani, visibilmente contrariato. Il ministro della Cultura Sandro Bondi, coordinatore del Pdl, che sta seguendo i lavori al Senato, si è retoricamente chiesto se "sia utile e ragionevole che il presidente della Camera esprima un giudizio politico nel merito di un provvedimento in discussione al Senato". E il vice capogruppo del Pdl a Palazzo Madama, Gaetano Quagliariello ha detto stizzito che "Fini è in conflitto di interessi", essendo al tempo stesso presidente di una camera e leader di minoranza del Pdl.

Il governo ha detto la settimana scorsa di non stare pensando al ricorso alla fiducia, con la quale il ddl era passato alla Camera un anno fa. Ma le iniziative ostruzionistiche dell'opposizione, che chiede, per cominciare, il ritorno del provvedimento in commissione Giustizia, potrebbero fargli cambiare idea.

Alcuni senatori dell'Idv indossano in aula sotto la giacca una maglietta "di protesta" con scritto: No alla legge bavaglio. Editori, sindacato dei giornalisti e sindacato dei magistrati si sono detto contrari al provvedimento, perché limita il diritto di cronaca e ostacolerebbe le indagini, soprattutto quelle sulla criminalità organizzata.

Il governo e la maggioranza del Pdl rispondono che si tratta di armonizzare l'azione delle procure e il diritto di cronaca da una parte con il diritto alla riservatezza, che sarebbe stato violato più volte negli ultimi anni, con la divulgazione, appunto, di diverse intercettazioni telefoniche. Se fosse stata già in vigore la nuova legge non sarebbero potute arrivare sui giornali -- pena pesanti sanzioni, soprattutto per gli editori -- i contenuti delle conversazioni telefoniche agli atti dell'inchiesta sugli appalti, che vede indagati il sottosegretario alla Protezione civile Guido Bertolaso e il coordinatore del Pdl, Denis Verdini, né la vicenda dell'acquisto di un appartamento, anche con denaro di terzi, da parte dell'ex ministro delle Attività produttive, Claudio Scajola, da cui sono discese le sue dimission

 

 

 

 

 

2010-05-30

29 Maggio 2010

INFORMAZIONE E POLITICA

Intercettazioni,

11 modifiche dal Pdl

Nodo intercettazioni, il ministro dell’Interno Roberto Maroni prova a rassicurare. "La nuova normativa – ha detto il numero uno del Viminale ieri a Varese per il vertice dei G6 sui temi della sicurezza – non pregiudica per nulla le attività investigative nei confronti della criminalità organizzata. Non c’è nessun ostacolo, dal mio punto di vista io sono tranquillo". Ma su questo provvedimento, dove il governo sembra compatto, la maggioranza in aula, prepara alcuni correttivi, soprattutto a riguardo del rispetto del diritto di cronaca, che tuttavia non sembrano cambiare il dispositivo pensato.

Undici, quindi, gli emendamenti presentati da Pdl e Lega, che poi ieri sera sono apparsi sul sito del Popolo della libertà al Senato (www.pdlsenato.it). Il Carroccio dice di approvarli e spiega con il suo capogruppo a Palazzo Madama Federico Bricolo "di condivide tutti gli emendamenti presentati a prima firma Gasparri, che rappresentano una soluzione equilibrata tra il diritto di cronaca e quello alla riservatezza dei cittadini. Attendiamo l’inizio dell’esame in Aula auspicando un clima di confronto tra tutte le forze politiche".

Alcuni emendamenti riguardano il lavoro dei giornalisti. Confermato in gran parte il dispositivo. Viene autorizzata la pubblicazione "per riassunto" degli atti delle indagini. È invece vietata la pubblicazione anche parziale, degli atti integrali, fino alla conclusione delle indagini preliminari. Vietata la pubblicazione anche in questo caso parziale, per riassunto o nel contenuto, delle ordinanze emesse in materia di misure cautelari. Stesso divieto vale anche per le richieste di tali misure.

Si potrà pubblicare il contenuto solo dopo che l’indagato o il suo difensore siano venuti a conoscenza dell’ordinanza del giudice (in realtà già dovrebbe accadere anche oggi). È sempre vietata la pubblicazione delle intercettazioni di cui sia stata ordinata la distruzione o che riguardino fatti, circostanze e persone estranee alle indagini. Un altro emendamento prevede che non ci sia alcun limite alle intercettazioni se le indagini servono alla cattura di un latitante. La disciplina prevista dal ddl si applica "anche ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge". Ridotte invece le sanzioni per gli editori, che potranno variare da 25.800 a 309.800 euro. Per le tv ora si parla sono di divieto di diffusione per "intercettazioni di immagini mediante riprese visive".

Infine l’appello di Milena Gabanelli a Report è stato ascoltato: anche i pubblicisti, oltre gli 007 e i giornalisti professionisti, potranno effettuare registrazioni di comunicazioni e riprese ai fini dell’attività di cronaca

 

 

 

2010-05-28

28 maggio 2010

ROMA

Finmeccanica, le procure indagano

su presunti fondi neri

Le procura di Roma ha aperto un'inchiesta su Finmeccanica per la presunta costituzione di fondi neri. Si tratta di un filone dell'indagine sul riciclaggio che alcuni mesi fa ha travolto Telecom Sparkle e Fastweb ed ha portato in carcere, tra gli altri Gennaro Mokbel e l'ex senatore del Pdl Nicola Di Girolamo.

Secondo quanto riportano alcuni quotidiani, i carabinieri del Ros hanno effettuato perquisizioni nei giorni scorsi nella sede principale dell'azienda a Roma. Verifiche riguarderebbero inoltre anche attività della Selex, la controllata di Finmeccanica di cui è amministratore delegato Marina Grossi, moglie del numero uno del colosso italiano Pier Francesco Guarguaglini, mentre altri atti sarebbero stati acquisiti anche presso la sede della Elsag Datamat a riguardo di un'altra indagine, partita ad aprile, dalla procura di Napoli che riguarda un appalto per la videosorveglianza della Napoli-Salerno e che aveva portato anche ad una perquisizione della sede centrale.

"La società sta fornendo la più ampia collaborazione alle indagini, aveva commentato Finmeccanica in merito alle indagini in corso sugli appalti di Napoli.Piena collaborazione alle indagini", aveva detto la società in quell'occasione. Ad indagare sulle attività di Finmeccanica ed alcune sue controllate il Ros dei carabinieri, la Guardia di finanza e la direzione investigativa antimafia. Indagini sono condotte, oltre che dalle procure di Roma e Napoli, anche dai magistrati di Milano: nel mirino l'acquisto di una società di nome Digint.

Interpellate questa mattina, fonti vicine a Finmeccanica affermano di aver appreso degli ultimi sviluppi della vicenda dai giornali e di non avere per ora altri commenti da fare.

 

 

 

 

 

2010-05-26

25 Maggio2 010

INFORMAZIONE E GIUSTIZIA

Intercettazioni, via libera

da Palazzo Madama

Alle tre del mattino la commissione Giustizia del Senato ha dato il via libera al ddl intercettazioni. L'opposizione protesta e annuncia battaglia per l'aula. Dopo una maratona durata circa sei ore il testo che, per ora, impedisce ai cronisti di pubblicare ogni atto di indagine e rende "molto più complessa" la procedura per autorizzare le intercettazioni, passa tra mille proteste dell'opposizione nonostante una sensibile marcia indietro da parte del ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che a inizio seduta annuncia la possibilità di tornare al testo licenziato da Montecitorio.

Il Guardasigilli prende anche, per alcuni versi, le distanze da ciò che è stato approvato fino a quel momento in commissione Giustizia. "Vorrei ricordare - sottolinea il numero uno di largo Arenula - che il governo ha presentato solo un emendamento per trasformare gli "evidenti indizi di colpevolezza" in "gravi indizi di reato". Il resto è stata un'iniziativa di singoli parlamentari".

La presa di distanza piace poco agli esponenti della maggioranza che si sono esposti in prima persona per inasprire ulteriormente il testo. Il relatore, Roberto Centaro, infatti, non esce per tutta la sera dall'aula della commissione e rifiuta di parlare con i giornalisti.

L'opposizione ha proseguito per tutta la seduta con il suo ostruzionismo e c'è stata anche un'iniziativa piuttosto singolare da parte del senatore del Pd, Stefano Ceccanti, che ha raccontato minuto per minuto la seduta della commissione su facebook.

Sono stati approvati solo due emendamenti dell'opposizione: uno di Luigi Li Gotti (Idv) e un altro di Felice Casson (Pd). Il primo per prevedere l'intercettabilità anche del reato di stalking, il secondo per stabilire un'azione disciplinare per il pm che non opera da subito una selezione tra gli atti processuali da considerare estranei alle indagini o relativi a fatti personali di terze persone e quelli, invece, inerenti al processo.

L'appuntamento è ora per questa mattina quando la conferenza dei capigruppo di palazzo Madama, intorno alle 11, si riunirà per calendarizzare il ddl per l'aula.

 

 

 

 

 

25 Maggio 2010

Intercettazioni: comunicato della Fnsi, con postilla del direttore

No alla logica del bavaglio

Ma sì a una vera responsabilità

I direttori e le redazioni dei giornali italiani, con la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, denunciano il pericolo del disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche per la libera e completa informazione.

Questo disegno di legge penalizza e vanifica il diritto di cronaca, impedendo a giornali e notiziari (new media compresi) di dare notizie delle inchieste giudiziarie – comprese quelle che riguardano la grande criminalità – fino all’udienza preliminare, cioè per un periodo che in Italia va dai 3 ai 6 anni e, per alcuni casi, fino a 10. Le norme proposte violano il diritto fondamentale dei cittadini a conoscere e sapere, cioè ad essere informati.

È un diritto vitale irrinunciabile, da cui dipende il corretto funzionamento del circuito democratico e a cui corrisponde – molto semplicemente – il dovere dei giornali di informare.

La disciplina all’esame del Senato vulnera i principi fondamentali in base ai quali la libertà di informazione è garantita e la giustizia è amministrata in nome del popolo.

I giornalisti esercitano una funzione, un dovere non comprimibile da atti di censura. A questo dovere non verremo meno, indipendentemente da multe, arresti e sanzioni. Ma intanto fermiamo questa legge, perché la democrazia e l’informazione in Italia non tollerano alcun bavaglio.

LA POSTILLA DEL DIRETTORE

Non mi sento di sottoscrivere in tutto e per tutto il testo sopra riportato. Da direttore di Avvenire, fatico a riconoscermi in esso soprattutto per un motivo: nella riunione convocata dalla Fnsi ci sono stati anche accenti riflessivi e saggiamente autocritici da parte di vari autorevoli colleghi, ma di questi nel comunicato finale non v’è la minima traccia. Peccato.

Credo che noi giornalisti non dovremmo perdere occasioni al cospetto dell’opinione pubblica per affermare il nostro lavoro più come servizio che come potere, più come responsabilità liberamente assunta e liberamente attuata che come libertà tout court. Non voglio essere equivocato e perciò ribadisco anche qui, chiaro e tondo, che neanche a chi fa Avvenire piace l’idea di un possibile lungo "silenziatore" mediatico alle inchieste su malavita, malafinanza e malapolitica: sarebbe pericoloso tentare di imporre un simile "tappo" e, alla fine, in un grande Paese democratico come il nostro, sarebbe anche tormentosamente inutile. So però – lo dico da cittadino prima che da giornalista – che lo statu quo è ingiusto e insopportabile.

Ci sono un bene da tutelare e un bene da recuperare. Va preservata l’efficacia dell’azione della magistratura, che non può e non deve ritrovarsi con armi spuntate nel suo impegno contro ogni forma di criminalità. E va ripristinato l’ossequio assoluto al principio di presunzione d’innocenza e, dunque, il rispetto delle persone coinvolte in inchieste anche scottanti che non possono e non devono più essere oggetto di incivili e inappellabili processi mediatici spesso segnati, grazie alla divulgazione di conversazioni telefoniche intercettate, da devastanti incursioni nella loro sfera privata. Anche questo dobbiamo sentire come dovere.

mt

 

 

 

 

2010-05-25

24 Maggio2 010

INFORMAZIONE E GIUSTIZIA

Intercettazioni, oggi al Senato

Parte stasera il rush finale al Senato per l'esame del ddl sulle intercettazioni. L'appuntamento è in commissione Giustizia alle 21:15 e in nottata dovrebbe esser più chiaro se il governo sceglierà la linea dura, blindando a Palazzo Madama il testo con fiducia e maxiemendamento, o si orienterà per una linea più soft, concordando ulteriori emendamenti che addolciscano il provvedimento. L'opposizione annuncia in ogni caso battaglia.

"Intercettare tutto e sempre sarebbe uno Stato di polizia", afferma il ministro della Giustizia Angelino Alfano. "Difenderemo l'indipendenza della magistratura dall'Esecutivo" la promessa del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso.

Questa mattina

"Ci siamo visti per parlare delle intercettazioni e della manovra economica. Sulle intercettazioni pensiamo che prima si finisce e meglio è. Il testo deve rimanere aperto in Aula". Così il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, sintetizza il breve colloquio, che assieme al vice capogruppo vicario, Gaetano Quagliarello ha avuto con l'omonimo della Camera, Fabrizio Cicchitto, nella Sala Maccari.

Gasparri ha precisato che "sui punti controversi la Commissione si è già pronunciata" e prevede il licenziamento del ddl con la seduta notturna che comincia alle 21:15 in Commissione Giustizia. Per quanto riguarda la manovra solo un accenno in attesa della consulta del Pdl di stasera.

Prima della riunione nella Sala Maccari, Quagliarello, scherzando coi cronisti, aveva parlato del "patto del crodino" per definire le ultime posizioni del Pdl sulle intercettazioni e in effetti è durato lo spazio di un aperitivo.

 

 

 

2010-05-22

 

22 Maggio 2010

INFORMAZIONE E GIUSTIZIA

Intercettazioni, avviso Usa

"Essenziali per indagare"

Le intercettazioni "sono strumenti essenziali per le indagini, non vorremmo mai che succedesse qualcosa che impedisse ai magistrati italiani di fare l’ottimo lavoro svolto finora". Stavolta non è l’Associazione magistrati a parlare, bensì Lanny Breuer, sottosegretario Usa al Dipartimento di Giustizia con delega alla criminalità organizzata che ieri, nel corso di una conferenza stampa all’ambasciata americana, ha detto la sua sulla riforma delle intercettazioni in cantiere al Senato.

Un intervento davvero irrituale, soprattutto se si pensa alla recente reazione irritata del segretario di Stato americano Hillary Clinton per una frase di Guido Bertolaso a proposito dei soccorsi americani dopo il terremoto di Haiti. Più tardi, visto l’impatto avuto dalla sua dichiarazione, Breuer ha precisato che non intendeva "entrare nel merito di decisioni politiche o giudiziarie riguardanti l’Italia".

Il governo di Roma ha atteso la rettifica, poi si è fatto sentire con una nota in cui il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha confermato "le relazioni fruttuose, intense e improntate alla massima amicizia e collaborazione" tra le magistrature e le polizie "italiane e statunitensi". Il guardasigilli ha quindi difeso una volta di più la "sua" riforma, ripetendo che "non è stata introdotta alcuna limitazione" all’uso delle intercettazioni, tanto meno per i reati di mafia e di terrorismo. E che sarà salvaguardato sia il diritto alla privacy di tutti, sia "il diritto a un’informazione ufficiale e trasparente", ma "non il diritto all’acquisizione e divulgazione illecita di atti riservati".

Tuttavia, per Palazzo Chigi, le parole del sottosegretario americano sono un ulteriore campanello d’allarme sul testo al vaglio della commissione Giustizia del Senato, che si va ad aggiungere alle perplessità del Quirinale e a quelle, interne alla maggioranza, dei finiani. Senza contare che la Federazione della stampa è pronta allo sciopero, affiancata dalla Federazione degli editori che teme le maxi-multe (fino a 464.700 euro) previste per la pubblicazione non solo di intercettazioni, ma anche di semplici notizie su atti d’indagine. L’Ordine dei giornalisti ha annunciato che, se le norme più contestate diventassero legge, ricorrerà "in ogni sede per garantire ai cittadini il diritto di essere informati".

Insomma, un assedio. Di fronte al quale Berlusconi, <+corsivo>obtorto collo<+tondo>, potrebbe fare alcune concessioni, che dovrebbero essere condensate in un maxi-emendamento al ddl da depositare nelle prossime ore. Non a caso, ieri mattina, il capo del governo ha ricevuto a Palazzo Grazioli il relatore del provvedimento Roberto Centaro. Il quale però ha escluso l’ipotesi di cambiamenti sostanziali, avvalorando perfino la possibilità di ricorrere "a voti di fiducia sia al Senato sia alla Camera".

Con il premier, ha raccontato Centaro, "abbiamo fatto solo il punto sull’intera vicenda, sui media si stanno diffondendo notizie false, visto che la stampa potrà continuare a seguire i procedimenti penali e le condanne per i giornalisti sono una semplice oblazione".

Non la pensano così le opposizioni.

"Quando la ragione cede, prevale la forza", ha dichiarato la capogruppo del Pd in Senato Anna Finocchiaro commentando le parole del relatore. È la linea che, nella sua relazione all’assemblea nazionale del partito, ha sintetizzato il segretario Pier Luigi Bersani: "Di fronte a norme del genere è doverosa ogni pratica ostruzionistica".

L’Italia dei valori, da parte sua, è passata alle vie di fatto e ha aderito al sit-in di protesta che si è tenuto ieri davanti a Montecitorio con la partecipazioni di diverse associazioni e di partiti della sinistra radicale. Lunedì sera, alle 21.30, la commissione di Palazzo Madama riprende l’esame del ddl. E sarà una lunga notte.

Danilo Paolini

 

 

 

 

 

 

2010-05-21

21 Maggio 2010

GIUSTIZIA E INFORMAZIONE

Ddl intercettazioni

Mezza frenata del Pdl

Contrordine, ma mica tanto: dal disegno di legge sulle intercettazioni sparisce l’emendamento del relatore Roberto Centaro (Pdl) che raddoppiava le sanzioni per i giornalisti "colpevoli" di pubblicare qualsiasi atto d’indagine, anche non più coperto dal segreto e anche solo "per riassunto", fino all’inizio dell’udienza preliminare. Ma l’arresto e l’ammenda, già presenti nel testo originario, rimangono, seppure in misura minore: fino a 30 giorni e fino a 5mila euro, che diventano 10mila se la pubblicazione riguarda intercettazioni o tabulati telefonici. La modifica avrebbe portato l’arresto fino a 2 mesi e la multa fino a 10mila euro, il doppio nel caso intercettazioni o tabulati.

La commissione Giustizia del Senato, che nella seduta notturna di lunedì dovrebbe completare l’esame, ha invece già dato il via libera al giro di vite contro gli editori che ospitano sulle loro testate servizi contenenti atti giudiziari (quindi non solo trascrizioni d’intercettazioni telefoniche), loro stralci o semplici riassunti: rischieranno un’ammenda da 64.500 a 464.700 euro. Chiunque, poi, prenderà "diretta cognizione" di atti del procedimento penale coperti da segreto istruttorio sarà punibile con il carcere da 1 a 3 anni.

Secondo Centaro, comunque, il risultato del ritiro del suo emendamento sui giornalisti è che "galera non se ne farà mai nessuno". La mezza frenata del centrodestra (nel quale aumentano le perplessità dei finiani, a cominciare da Italo Bocchino e Fabio Granata) ha incassato commenti cautamente positivi da parte delle opposizioni, che tuttavia continuano a bocciare l’impianto complessivo del ddl. Oggi l’Italia dei valori scenderà in piazza con il cosiddetto "popolo viola" per un sit-in di protesta davanti a Montecitorio. Ma, paradossalmente, il giudizio più favorevole è quello di Antonio Di Pietro, che ha letto l’accantonamento della norma Centaro come "un segno della sconfitta del regime che voleva tappare la bocca all’informazione".

Felice Casson (Pd) ha invece parlato di "un primo passo importante, che però non risolve il problema". Un "buon passo indietro", per Gianpiero D’Alìa dell’Udc, ma "più rivolto a evitare spaccature all’interno della maggioranza".

Resta intatto l’allarme del mondo dell’informazione. Sky, editore di Sky Tg24, ha preannunciato che "chiederà un intervento a tutte le Autorità internazionali competenti, anche ricorrendo presso la Corte europea dei diritti dell’uomo". Mentre il segretario della Federazione nazionale della stampa Franco Siddi ha di nuovo invocato una "mobilitazione permanente e diffusa sul territorio che dovrà sfociare in uno sciopero nazionale".

Danilo Paolini

 

 

 

 

 

 

 

CORRIERE della SERA

per l'articolo completo vai al sito Internet

http://www.corriere.it/

2011-10-12

 

 

 

 

 

2010-09-06

oggi vertice tra il ministro per le riforme e il presidente del consiglio

Bossi: "Così è dura andare avanti"

Bonaiuti: "Verifica in Parlamento"

Il Senatùr dopo il discorso di Fini: "Per Berlusconi la strada è molto stretta"

oggi vertice tra il ministro per le riforme e il presidente del consiglio

Bossi: "Così è dura andare avanti"

Bonaiuti: "Verifica in Parlamento"

Il Senatùr dopo il discorso di Fini: "Per Berlusconi la strada è molto stretta"

Bossi e Berlusconi (Emblema)

Bossi e Berlusconi (Emblema)

MILANO - Il giorno dopo Mirabello. Il discorso di Fini alla festa di "Futuro e Libertà", e i suoi effetti sul futuro della maggioranza, saranno analizzati oggi nell'incontro tra Berlusconi e Bossi. Il premier, per adesso, non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali sulle parole pronunciate dal presidente della Camera. Lo ha fatto invece il ministro per le Riforme: "Per Berlusconi la strada è molto stretta - ha detto il Senatùr - se tutti i giorni deve andare a chiedere i voti a Fini e Casini per far passare una legge non dura molto". "La situazione ora è difficile - ha aggiunto - così è dura andare avanti, è come se il presidente della Camera avesse detto: 'non voglio accordi con il Carroccio, anzi ce l'ho con il Nord". "Non mi sbilancio sulla durata del governo - ha affermato invece il ministro dell'Interno, Roberto Maroni - la questione è seria e non si può liquidare. Le valutazioni, in primo luogo, deve farle il presidente del Consiglio. Ma se cade la maggioranza si va al voto e il Ministero dell'Interno è pronto a organizzare le elezioni in pochi giorni".

IL CERINO - "Vedremo Berlusconi e faremo le valutazioni - ha aggiunto il titolare del Viminale - Sarà una riunione tra alleati. Mi pare però che una cosa certa ed evidente è che è rinata Alleanza Nazionale, è nato un vecchio partito con una forte caratterizzazione meridionalistica". "Ho sentito Bossi - ha aggiunto Maroni - lui è molto pessimista e di solito lui ci azzecca. Qualcuno dice che con questo discorso Fini ha passato il cerino nelle mani di Berlusconi. Di solito, quando uno ha il cerino in mano può anche scottarsi, ma è anche padrone del gioco e questo è l'aspetto positivo".

BONAIUTI - Il discorso di Gianfranco Fini a Mirabello, ha dichiarato invece Paolo Bonaiuti, non rappresenta un "fatto traumatico" e il Governo andrà avanti portando all'esame del Parlamento i "cinque punti" su cui il Pdl ha scelto di verificare la tenuta della maggioranza. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, durante una videochat sul sito web del Tg1, ha affermato: "Sono anni che ci sono questi discorsi, che sono in ballo gli attacchi di Fini e dei finiani, non è che l'abbiamo scoperto oggi".

CAPEZZONE-BOCCHINO - Daniele Capezzone, portavoce del Pdl, ha ribadito dal canto suo la richiesta a Fini di abbandonare la presidenza della Camera. "Comunque la pensi e qualunque siano le sue scelte - ha affermato - per milioni di cittadini italiani si pone il tema della compatibilità tra le sue azioni politiche di questi mesi e la sua permanenza alla Presidenza della Camera". "Nella politica italiana - ha aggiunto Capezzone - si erano viste molte cose, e anche, da anni, una qualche tendenza interventista dei Presidenti delle Camere. Ma mai nessuno si era spinto fino al punto di usare una delle massime cariche dello Stato per la costruzione di un proprio soggetto politico, in polemica quotidiana e costante con un Governo e con una maggioranza". "Arrivano con dieci anni di ritardo" è la risposta di Italo Bocchino. "Nel 2001 votarono e votammo Casini, che era leader di partito, allo scranno più alto di Montecitorio - ha ricordato il capogruppo Fli. - Quando gli conviene, come nel caso di Casini, non trovano nulla da obiettare, mentre quando gli conviene, come nel caso di Fini, usano strumentalmente il problema della incompatibilità. Noi siamo sempre della stessa idea - ha puntualizzato Bocchino - nel 2001 votammo Casini e oggi non vediamo problemi nel ruolo di Fini".

Redazione online

06 settembre 2010

 

Divorziati in casa

Divorziati in casa

Non si capisce se Gianfranco Fini abbia offerto a Silvio Berlusconi un patto di legislatura, o aperto la campagna elettorale. L’impressione è che abbia fatto le due cose insieme. La scelta di rimanere nel centrodestra è netta; e anche la disponibilità a dare a Berlusconi uno scudo contro qualche tentazione di scorciatoia giudiziaria. Ma detta le proprie condizioni come "terzo alleato" accanto al partito del presidente del Consiglio e alla Lega di Umberto Bossi. Per questo le incognite sul futuro del governo e della legislatura rimangono intatte.

Bisogna capire se la maggioranza riuscirà a sopportare una metamorfosi così traumatica, o si spezzerà ai primi appuntamenti parlamentari. Formalmente, Palazzo Chigi non può etichettare il discorso di ieri a Mirabello come una rottura. Non c’è neppure la nascita ufficiale del partito di Futuro e libertà. Pesano però la dichiarazione di morte del Pdl, che a detta di Fini "non c’è più"; un giudizio demolitorio e velenoso sul berlusconismo; e un cenno alla riforma elettorale che fa pensare a governi diversi dall’attuale. In altri tempi sarebbe bastato per la scomunica. Ma la cronaca recente dimostra che la fase "padronale" del Pdl è finita.

Anzi, se Fini ieri ha potuto ribadire i suoi attacchi al Cavaliere, deve almeno in parte ringraziare la campagna di cui è stato oggetto e che tendeva a riaffermare forzatamente il primato del Cavaliere. Operazione impossibile, di fronte a una destra finiana che sembra ormai avere interiorizzato l’antiberlusconismo. Gli applausi più potenti sono arrivati nei passaggi nei quali Fini ha attaccato il premier. Il partito in incubazione di Futuro e Libertà si considera portatore di valori e metodi alternativi a quelli del Pdl, definito ripetutamente "una Forza Italia allargata".

Non esce dal centrodestra soprattutto per incalzarlo, modificarne la strategia, e alla fine sostituirne la leadership. Il riconoscimento del primato berlusconiano è d’ufficio. Fini polemizza e insieme lancia segnali al ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, e a una Lega evocata con toni agrodolci. Il Pdl è trattato invece come una realtà dalla quale la terza carica dello Stato vuole emanciparsi al più presto: forse perché gli ricorda troppo l’errore politico che sente di avere commesso consegnando An a Berlusconi; e le frustrazioni accumulate negli ultimi due anni.

Probabilmente Fini si rende conto che archiviando la forza che ha contribuito a fondare, e rivestendo i panni del leader di parte, piccona anche il proprio ruolo di presidente della Camera. Ma nelle convulsioni della maggioranza le anomalie tendono a diventare normalità. Per questo l’ipotesi che il governo possa andare avanti rimane una possibilità: sebbene l’offerta del patto di legislatura, per come è stata confezionata, rischi di rivelarsi non l’occasione per una ricucitura vera ma l’ultima spallata tattica a una coalizione che non ritrova il baricentro.

Massimo Franco

06 settembre 2010

 

 

La reazione del premier

Berlusconi per adesso va avanti

Ma fa muro sul sistema di voto

E ai suoi: tutto previsto, però se avesse dignità si dimetterebbe dalla Camera

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Silvio Berlusconi

Silvio Berlusconi

ROMA - Ha deciso di non rispondere ufficialmente perché la risposta non dovrà essere impulsiva. Vedrà la Lega, che ieri sera parlava apertamente di elezioni anticipate, forse già oggi. Poi riunirà l'ufficio di presidenza del Pdl, quello che per Fini "non c'è più", per prendere una posizione formale, pubblica e non passibile di interpretazione.

Berlusconi ha visto il discorso ad Arcore, con alcuni collaboratori e il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e se un passaggio l'ha fatto infuriare è stato quello sulla legge elettorale, la disponibilità di Gianfranco Fini a cambiarla, esattamente come dice l'opposizione. È lo stesso discorso che fanno D'Alema, Bersani, Casini, un discorso che può legarsi all'ipotesi di un governo tecnico, dunque all'opzione di un tradimento da parte di Futuro e libertà.

Per il resto non ci sono tratti politici che l'hanno colpito: era tutto previsto, un copione già scritto, è stata una delle prime impressioni che ha scambiato sull'argomento.

Alcuni commenti li ha fatti con qualche amico, o con qualche membro del governo, al telefono. I centralini di villa San Martino ieri sera erano più caldi del solito. Il Cavaliere è rimasto dispiaciuto per gli insulti, per i toni sbeffeggianti con cui la terza carica dello Stato si è rivolta a lui, più che per il contenuto politico dell'intervento.

Una considerazione amara, peraltro non inedita, l'ha ripetuta durante la cena: se Fini avesse un minimo di dignità, si sarebbe già dimesso, ma non lo farà. Dalle parti di Palazzo Chigi si riconosce comunque la grande abilità strategica del discorso dell'ex leader di An. Non ha mai citato la parola elezioni, si fa notare, non ha dato appigli evidenti al Pdl per rompere.

Se il capo del governo vuole meditare bene una risposta, comunque c'è poco tempo per prendere decisioni che, in ogni caso, influenzeranno la legislatura.

Mercoledì prossimo alla Camera c'è un'impostante riunione dei capigruppo e sarà anche la prima uscita pubblica del premier. Nei prossimi due o tre giorni insomma si saprà se il patto che propone Fini, e che Osvaldo Napoli, vicecapogruppo del Pdl a Montecitorio, ha già definito "un coltello alla gola di Berlusconi", verrà respinto (com'è prevedibile) e con quali modalità.

Di certo, dicono nello staff del premier, il discorso di Fini serve a fare chiarezza. E, notano, alla fine potrebbe essere stato meno lungimirante di quanto non appaia a caldo: ad alto tasso politico e pieno di contraddizioni; con delle condizioni dettate non in modo istituzionale ma con i toni del capopartito; giocando in sostanza da irresponsabile con l'esito della legislatura, sulla pelle del Paese. Insomma tutti giudizi che poco hanno a che fare con il profilo della terza carica dello Stato e che non potranno non preoccupare - aggiungono - la prima delle cariche, ovvero Napolitano.

Carlo Rossella, che del Cavaliere è grande amico, ieri sera riassumeva così il tratto principale dell'intervento dell'ex leader di An: "Una fiera delle vanità e dell'ipocrisia, ha aperto ufficialmente la campagna pubblicitaria del suo nuovo partito". Nel partito si è andati in ordine sparso. Alcuni colonnelli hanno replicato a Fini. Altri esponenti del Pdl ne hanno chiesto le dimissioni. Mentre negli stessi istanti Maroni diceva che il ministero dell'Interno è pronto ad organizzare nuove elezioni in due giorni, se necessario. Un clima in cui l'unico punto certo, al momento, è che la verifica in Parlamento sui 5 punti del programma dell'esecutivo dovrebbe tenersi prima della fine del mese: se il Cavaliere pensa veramente di poter continuare la legislatura con il sostegno di Futuro e libertà e magari di altri parlamentari da aggiungere alla maggioranza si vedrà, ma in tanti ieri sera erano disposti a scommettere sul contrario.

Marco Galluzzo

06 settembre 2010

 

 

 

 

In primo piano

Il cofondatore e la rete

di alleanze per una fase nuova

Messaggi a Bossi e Tremonti: federalismo leghista e ricambio generazionale

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Gianfranco Fini

Gianfranco Fini

MIRABELLO (Ferrara) — Il duello è iniziato. Fini ha osservato l’arma di Berlusconi e l’ha vista scarica, perché il proiettile delle elezioni anticipate è a salve. E per togliergli qualsiasi possibilità di colpirlo ha iniziato a costruire una rete di alleanze, "tutte quelle che saranno utili per archiviare una fase e aprirne una nuova".

Ecco perché ha inviato a Bossi e Tremonti due chiari messaggi, dicendosi pronto a sostenere il disegno federalista della Lega e invitando il ministro dell’Economia a stringere un patto per un "nuovo centrodestra", evocando il "ricambio generazionale". Così il presidente della Camera apre la sfida al Cavaliere, allontanando da sé l’immagine del ribaltonista, ma mutando radicalmente il profilo della coalizione, siccome d’ora in avanti il premier dovrà riconoscere Futuro e libertà, che non è ancora un partito solo perché ieri non l’ha ufficializzato, ma che dovrà sedere al tavolo dell’alleanza insieme al Carroccio se il governo vorrà avere i voti in Parlamento sui provvedimenti.

È la sfida decisiva per Fini, perciò Mirabello è la sua vera Fiuggi, perché se quindici anni fa dovette inventarsi una destra post-fascista, ora dovrà costruire una forza che parte da un altro fallimento, da quel Pdl considerato "già finito". Perciò è costretto a proiettarsi in avanti, prospettando una rotta che inevitabilmente entrerà in collisione con quella di Berlusconi. Ma non ora, dato che non c’è nessuna certezza nel futuro, nessuno sbocco. Non sarà per nulla facile, "ho la consapevolezza della difficoltà dell’impresa", ammette l’ex leader di An, secondo il quale però nemmeno il premier ha margini per rompere.

Almeno per il momento — secondo Fini — "Berlusconi sarà costretto ad accettare il compromesso". Cioè quel "nuovo patto di legislatura" che verrà sancito in Parlamento sul programma: "Altrimenti... Credo non sia sfuggito a nessuno il mio riferimento al cambio di legge elettorale", l’unico denominatore comune per un eventuale governo che nascerebbe dalla crisi dell’attuale. "Berlusconi è un pragmatico", sottolinea l’inquilino di Montecitorio, e dunque è assai probabile che si arriverà al "compromesso".

Ma tutti sanno che sarà un patto scritto sulla sabbia, e non solo perché il presidente della Camera avvisa che "Futuro e libertà concorda sui titoli dei provvedimenti ma vorrà discutere sul contenuto dei provvedimenti". Il fatto è che "la rottura tra Berlusconi e Fini ormai è irreversibile, e probabilmente — come sostiene Rutelli — l’anno prossimo si tornerà a votare". In effetti il discorso di Fini è parso un manifesto politico ed elettorale, al tempo stesso, un appello a costruire .

Se il conflitto tra "Silvio" e "Gianfranco" viene dato per inevitabile, nell’attesa il Cavaliere dovrà far buon viso a cattivo gioco, andando a vedere il gioco dell’ex fedele alleato, abile nell’evitare la rottura definitiva e pronto a costruire un ponte con l’altra opposizione interna, quella incarnata da Tremonti. Non sono più i tempi in cui Fini diceva che "se Giulio si trovasse in una stanza e in quella stanza spegnessero la luce, non rimarrebbe nulla di lui".

Al titolare di via XX settembre riconosce di aver "operato bene nel fronteggiare la crisi", criticando i "tagli lineari" della manovra che hanno provocato le proteste nel mondo delle forze dell’ordine e della scuola, ma condividendo l’idea che "è necessario dialogare con l’opposizione anche sui problemi economici": "Perché c’è un’Italia preoccupata e bisogna far ripartire l’economia".

La priorità politica di Fini è non rimanere isolato nel centrodestra, siccome non c’è, non ci poteva essere una deriva fuori dai confini della sua storia, che ieri l’ha portato ad evocare Almirante e a citare Tatarella, dentro un marasma di emozioni e di parole brutali nei riguardi degli ex colonnelli. Deve trovare sponde il presidente della Camera, ecco spiegata quella mano tesa a Bossi, "leader popolare e concreto, che ha alzato per primo la bandiera del federalismo e che oggi può portare a termine una missione storica". Così il presidente della Camera si muove anche su questo tema nel solco di Napolitano, che qualche giorno fa — esprimendo un simile concetto — ha incassato le lodi dei leghisti.

Per Fini oggi è necessario costruire una rete di protezione e una di alleanze, un sistema di relazioni che coinvolge anche Casini e Rutelli.

È questa la vera novità, siccome il resto è scontato. Il discorso con Berlusconi infatti è chiuso, l’ex leader di An gli contesta la logica "padronale" nel partito, l’idea che "governare non è comandare". C’è solo l’offerta di una legge che ne tuteli il ruolo di premier "ma non l’impunità". Nell’inner circle berlusconiano c’è chi non si fida perché il rischio è che un simile provvedimenti arrivi fuori tempo massimo, dopo che il Cavaliere sarà stato colpito da una sentenza di condanna.

Il duello tra "Silvio" e "Gianfranco" è iniziato, anzi non è mai finito.

Solo che per la prima volta Fini gioca senza la rete di protezione del vecchio partito, e il nuovo dovrà inventarlo dopo un letargo durato due anni al piano nobile di Montecitorio.

Lo schema della sfida gli è chiaro: Berlusconi dovrà accettare la nascita della "terza gamba" della coalizione in attesa di verificare se in Parlamento troverà i numeri per rendere ininfluente la forza di Fini.

Ecco il motivo del lavorio ai fianchi, il tentativo di acquisire nuovi deputati. L’arma del voto al momento è scarica. Il capo dello Stato lo disse a Gianni Letta a metà agosto: in autunno no, la prossima primavera vedremo. Anche Fini lo sa.

Francesco Verderami

06 settembre 2010

 

 

 

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Pino Arlacchi

Pino Arlacchi

MILANO - "Ho deciso di autosospendermi dal partito. Così non si può andare avanti". Pino Arlacchi, eurodeputato dell'Idv, ragiona a voce alta sulla contestazione a Renato Schifani avvenuta sabato alla Festa nazionale del Pd. Ma soprattutto sulle dichiarazioni rilasciate subito dopo da Antonio Di Pietro a sostegno dei manifestanti. La goccia che, per quanto riguarda il sociologo amico di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e tra le figure di spicco dell'antimafia, ha fatto traboccare il vaso: "La sua deriva estremista mi preoccupa da tempo, ma questa sua ultima presa di posizione mi ha spinto ad autosospendermi".

Per Arlacchi, infatti, è profondamente sbagliato quanto accaduto a Torino. E prova a spiegare perché: "Sono lontano anni luce da Renato Schifani, mi batto da una vita contro gli ambienti geopolitici da cui proviene il presidente del Senato. Non l'avrei invitato a nessun dibattito, inutile dirlo. Però - e qui è il punto - fino a che non ci saranno prove certe emerse da procedure democratiche e nel pieno rispetto dei suoi diritti costituzionali, Schifani non può essere etichettato e additato al pubblico ludibrio come mafioso e non può essere né insultato né zittito. Se si trova in un'occasione pubblica ha il diritto di parlare. Vale per qualunque cittadino. Chi ignora queste cose, distrugge la credibilità di ogni lotta per la legalità".

Non piace, ad Arlacchi, "questo tipo di antimafia intollerante e demagogica. Primitiva, direi. Che nulla ha a che fare con quella storica. Se c'è un merito del movimento antimafia italiano, me lo lasci dire, è quello di aver sempre rifiutato qualunque forma di protesta violenta e incivile. Dalla sua nascita, negli Anni 40, fino a quando negli Anni 90 è diventato movimento di massa, era ben presente un filo comune: nessuna concessione alla violenza fisica e verbale. È sempre stato un movimento democratico guidato da persone illuminate che hanno saputo incanalare la giusta incazzatura della gente nell'alveo democratico".

Il contrario, secondo il professor Arlacchi, "di questo nuovo metodo di farsi giustizia da sé. Un'autogiustizia primitiva e inaccettabile". Perché mai, ricorda, "neanche nei momenti più difficili, abbiamo pensato di privare dei suoi diritti un criminale. Abbiamo saputo costruire dei miracoli come il maxiprocesso senza torcere un capello ai mafiosi. Questo è il grande patrimonio dell'antimafia che bisogna maneggiare con cura. I ragazzi con le agende rosse? Non li capisco. Anche perché probabilmente Paolo Borsellino non aveva proprio nulla di segreto in quella sua agendina: lui e Giovanni Falcone odiavano i diari, è noto. Ma indipendentemente da questo, a chi sta protestando dico: continuate ad arrabbiarvi e manifestare, però nel rispetto delle regole e della democrazia. E leggete più libri, oltre ai giornali e agli atti giudiziari".

Ecco perché invita il leader dell'Idv a cambiare rotta: "Il rischio è che diventi un cattivo maestro. I partiti hanno una responsabilità nell'educazione politica alla quale non ci si può sottrarre. Invece Di Pietro non lo riconosco più. Mani pulite è stato un altro grande esempio di democrazia che si è fatta sentire. Però i processi non si sono mai svolti su Facebook e sui giornali ma nei tribunali". Il perché di questa trasformazione del leader idv Arlacchi lo intravede nel timore che "forse ha di Beppe Grillo e dei suoi consensi. In modo ingiustificato, secondo me. Inseguire quelle posizioni estreme, gliel'ho detto più volte, non paga. E allontana il progetto di rendere l'Idv un grande partito di popolo capace di parlare a tutti. Si sta cacciando in un cul de sac. Per questo mi autosospendo. E finché non vedo un'inversione di rotta non torno indietro".

Angela Frenda

06 settembre 2010

 

 

 

 

LE MANCATE RIFORME CHE CI TENGONO FERMI

L'emergenza non è finita

LE MANCATE RIFORME CHE CI TENGONO FERMI

L'emergenza non è finita

Anziché rendere i Paesi che partecipano all’Unione monetaria più simili l’uno all’altro, l’euro ha spaccato l’Europa. La Germania cresce, risparmia e accumula ricchezza che investe nel resto del mondo; il Sud langue, spende più di quanto non riesca a produrre e si indebita. Non si tratta solo di Grecia, Spagna e Portogallo. Nei dieci anni prima della crisi il reddito pro capite italiano è cresciuto un punto all’anno meno che in Germania; durante la crisi è caduto di oltre 6 punti, a fronte del -3,7 tedesco. Anche la nostra ripresa è più lenta: la produzione industriale tedesca è quasi tornata al livello pre crisi; in Italia rimane 15 punti più bassa.

Di questo passo la disoccupazione (soprattutto fra i più giovani) rimarrà elevata per molti anni. La mancanza di crescita si riflette nella difficoltà delle famiglie che non riescono più a risparmiare, almeno tanto quanto prima. In questo decennio il risparmio privato è sceso di 2 punti (dal 20 al 18% del reddito), mentre in Germania saliva dal 22 al 24,5%. Il risultato è che per la prima volta gli italiani cominciano a indebitarsi all’estero: quest’anno prenderemo a prestito circa 50 miliardi di euro. I tagli alla spesa pubblica e l’aumento della pressione fiscale (salita di 3 punti nel decennio, a fronte di -2 in Germania) non sono riusciti a ridurre il debito pubblico. Alla fine degli anni Novanta, grazie alle privatizzazioni, era sceso di dieci punti, ora è risalito di 18, più che in Germania. L’economia tedesca cresce perché più degli altri ha saputo approfittare dell’Europa. Gli studi di Dalia Marin, un’economista austriaca, dimostrano che le aziende tedesche hanno approfittato dell’allargamento a Est sfruttando il capitale umano dei nuovi Paesi membri.

I tedeschi non hanno trasferito in Romania la produzione di scarpe; hanno costruito, in Polonia e nella Repubblica Ceca, fabbriche di automobili e di macchine utensili con management tedesco e operai qualificati locali. La competitività dei prodotti tedeschi non dipende dalla compressione dei salari (che per un operaio cinquantenne sono del 50% circa più elevati dei nostri), ma dall’aumento della produttività reso possibile dalla riorganizzazione della produzione. Ma è anche la nostra debolezza ad aiutare l a competitività tedesca. Senza le difficoltà del Sud dell’Europa, in questi mesi l’euro si sarebbe rafforzato almeno quanto yen e franco svizzero: le esportazioni tedesche ne avrebbero sofferto. L’interesse della Germania è un Sud saldamente ancorato all’euro (e infatti Berlino ha pagato pur di evitare l’uscita della Grecia), ma debilitato, così da mantenere debole il cambio. La nostra bassa crescita non preoccupa i tedeschi: ormai i loro mercati sono Cina, India e Brasile. I nostri politici dovrebbero capire che quando non fanno quelle riforme che libererebbero l’economia aiutando la crescita, danneggiano le famiglie italiane e fanno un regalo a Berlino.

Eppure nell’ambito degli obiettivi europei per il 2020, come ricordava ieri Mario Monti, è di questo che dovrebbero occuparsi. Il presidente della Repubblica lamenta il ritardo nella nomina del ministro per lo Sviluppo. Mi dispiace contraddirlo. Abbiamo già un ministro per lo Sviluppo e la crescita: si chiama Antonio Catricalà, il presidente dell’Antitrust. Anziché rischiare un ministro che si inventi una nuova "politica industriale", meglio tradurre in leggi e regolamenti le segnalazioni che l’Antitrust invia a governo e Parlamento e che ormai nessuno nemmeno più legge. Che fine ha fatto il disegno di legge sulla concorrenza (benzina, commercio, farmaci, appalti) che il governo ha promesso?

Francesco Giavazzi

05 settembre 2010(ultima modifica: 06 settembre 2010)

 

 

2010-09-05

Il presidente della Camera a MIRABELLO: "messo alla porta come nel peggior stalinismo"

Fini: "Si va avanti senza ribaltoni

con un nuovo patto di legislatura"

"Il Parlamento non può essere una sorta di dependance del governo". Poi sentenzia: "Il Pdl non esiste più"

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"Il Parlamento non può essere una sorta di dependance del governo". Poi sentenzia: "Il Pdl non esiste più"

(Foto Salmoirago)

(Foto Salmoirago)

MIRABELLO (FERRARA) - Quello della mia "estromissione" dal Pdl è "un atto, e non ho nessuna difficoltà a dirlo, che forse è stato ispirato a chi lo ha scritto, e so che non lo ha scritto Berlusconi, da quel libro nero del comunismo che ci fu consegnato quando demmo vita a alleanza nazionale perché soltanto dalle pagine del peggior stalinismo si può essere messi alla porta senza alcun contraddittorio e con motivazioni che sono assolutamente ridicole". È questo uno dei passaggi forti del discorso del presidente della Camera, Gianfranco Fini, dal palco della Festa Tricolore.

IL DISCORSO - Mirabello "è diventata ed è per un giorno capitale della politica italiana". Gianfranco Fini dedica alla cittadina nel Ferrarese l’inizio del suo intervento. Ricorda che "qui affondano le radici di parte della mia famiglia e qui tanti anni fa un uomo capace di guardare innanzi" Giorgio Almirante, "indicò al suo popolo la necessità di un salto di generazione. E credo che la presenza qui stasera insieme a tanti di un uomo come Mirko Tremaglia sia la più bella dimostrazione di quella ideale continuità". Mirabello, prosegue, è il "luogo delle emozioni che nel corso del tempo si sono rinnovate. Qui la destra italiana ha vissuto momenti importanti. Fu ancora qui che preconizzammo ulteriore svolta che portò alla nascita del Pdl". Ma, ha sottolineato "l’emozione di ieri è nulla rispetto a questo momento. Mai mai mai ho provato un’emozione forte come stasera".

GARANTISMO - Una delle "questioni forse più spinose" che ha visto contrapposti i due fondatori del Pdl è la questione della giustizia. Ne è convinto il presidente della Camera Gianfranco Fini che da Mirabello si rivolge a Berlusconi. "Il garantismo - dice Fini - è un principio sacrosanto, ma mai può essere considerato come una sorta di impunità permanente. Deve essere, infatti, garantita la condizione che processi si svolgano e si concludano e che si accertino se ci sono responsabilità". "La Magistratura - aggiunge il co-fondatore del Pdl - è caposaldo della democrazia italiana".

GHEDDAFI - Fini ha duramente criticato l'accoglienza riservata a Muammar Gheddafi durante la recente visita a Roma. È stato, ha detto nel suo intervento alla festa di Mirabello, "uno spettacolo poco decoroso quello con cui è stato accolto un personaggio che non può insegnare nulla né del rispetto delle donne né della dignità della persona". Certo, ha riconosciuto, "da ex ministro degli Esteri conosco la 'real politik', ma non può portare a una sorta di genuflessione nei confronti di chi non può ergersi né a maestro né a punto di riferimento".

IL PARLAMENTO - "Il Parlamento non può essere una sorta di dependance del governo" ha detto Fini aggiungendo: "Ci vuole rispetto delle istituzioni e per questo saluto il capo dello Stato che è un punto di riferimento della nostra Costituzione". Quindi Fini ha chiosato: "Governare non può mai significare in alcun modo comandare. Governare è comprendere le ragioni altrui e garantire equilibrio tra i poteri". E "chi ha responsabilità istituzionali deve rispettare tutte le altre istituzioni, a partire dal Capo dello Stato, che è un punto di riferimento". "Bisogna dire chiaramente che la magistratura è un caposaldo della democrazia italiana".

BERLUSCONI - "Berlusconi ha tanti meriti, ma anche qualche difetto: in primo luogo di non aver ben compreso che in una democrazia liberale non può esserci l'eresia, perché non c'è l'ortodossia. Siamo tutti grati a Berlusconi, e lo dico senza ironia, per quello che ha fato soprattutto nel 1994 per fermare la "gioiosa macchina da guerra", ma la gratitudine non può significare che ogni volta che si indica una strada diversa si incorre in una "lesa maestà"". "Non ci può essere una lesa maestà perché non c'è un popolo di sudditi ma di cittadini", ha aggiunto Fini. Ma "governare non può mai, in alcun modo, significare comandare" dice Fini rispondendo a quanti lo hanno accusato di "stillicidio di dissenso" per aver criticato certi atteggiamenti del premier. Piuttosto, conclude, "significa garantire equilibrio tra i poteri e garantire le ragioni altrui". Poi l'attacco ai telegiornali: "I telegiornali, salvo nobili eccezioni, sembrano fotocopie dei fogli d'ordine del Pdl".

PDL - Fini ha decretato la morte del Pdl. "Il Popolo della libertà non c'è più", ha detto il presidente della Camera dalla festa di Mirabello. Dunque, "non potrà accadere che Futuro e libertà possa rientrare in ciò che non c'e più", ha sottolineato, "ora si va avanti". Attualmente, ha aggiunto, "c'è il partito del predellino, ma il Popolo della libertà non c'è più. È in qualche modo Forza italia che si è allargato". "Il Pdl come lo avevamo immaginato e conosciuto non esiste più, è finito il 29 luglio". La data si riferisce alla riunione dell'ufficio di presidenza che lo ha di fatto espulso dal partito. "Il Pdl non può essere derubricato a contorno del leader, un grande partito deve essere qualcosa di più del coro dei plaudenti". Un grande partito liberale, aggiunge il presidente della Camera, "deve essere una fucina di idee, un polmone che respira e che dà ossigeno anche all'intera azione del governo". E allora, sottolinea, "rivendicare il diritto di avanzare delle proposte, la necessità di esprimere delle critiche, di svolgere delle analisi e fare delle valutazioni non può essere frazionismo, boicottaggio, controcanto. È piuttosto democrazia interna, altro che teatrino della politica". Invece il "Fli non è An in sedicesimo. Chi lo pensa non ha capito nulla: Fli è lo spirito autentico del sogno Pdl. È pensare che la transizione possa finire".

METODO BOFFO - "Si va avanti senza farci intimidire da quello che è stato il "metodo Boffo" messo in campo da alcuni giornali che dovrebbero essere, pensate un po', il biglietto d'amore del partito dell'amore; noi non ci facciamo intimidire perché di intimidazioni ne abbiamo vissute ben altre. Non ci facciamo intimidire da campagne paranoiche e patetiche". "Ho fiducia nella magistratura e aspettiamo che sia la magistratura a stabilire le responsabilità". Poi il leader di Fli ha aggiunto: "Vado avanti nonostante gli attacchi infami, non tanto contro la mia persona, ma contro la mia famiglia. Una cosa tipica degli infami. La campagna estiva di alcuni giornali del centrodestra è stata il tentativo di dar vita ad un'autentica lapidazione di tipo islamico contro la mia famiglia". Il presidente della Camera ha aggiunto: "Questi giornali sono "il biglietto da visita del partito dell'amore. Immaginiamo cosa scriverebbero se diventassero un po' meno amichevoli".

PATTO DI LEGISLATURA - "Si va avanti - dice il presidente della Camera dal palco di Mirabello - senza ribaltoni o ribaltini, senza cambi di campo. E senza atteggiamenti che possano dare in alcun modo agli elettori la sensazione che noi si abbia raccolto voti nel centrodestra per poi portarli da qualche altra parte". Ma si va avanti, avverte Fini, "convinti della necessità di onorare quel patto con gli elettori, ma fino in fondo, senza magari aggiungerci qualche parte che nel programma non c'era e che invece diventa un'emergenza". "Sosterremo lealmente quei punti" che il premier presenterà alle Camere, "ma noi chiederemo, e non dovrà esserci negato, di discutere di come si traducono in realtà i titoli delle riforme". "Avanzeremo in Parlamento con spirito costruttivo le nostre proposte. Non per remare contro, ma per far camminare il governo più veloce". Poi il leader di Fli ha aggiunto: "Cercheremo di dar vita a quello che è stato chiamato un patto di legislatura per arrivare al termine dei 5 anni e riempire di fatti concreti gli anni che separano dal voto. Un nuovo patto di legislatura che non sia un tavolo a due gambe. Dov'è finito quel punto del programma -domanda- dove si prevedeva l'abolizione delle province? E quello che riguardava la privatizzazione e liberalizzazione delle municipalizzate?". "Berlusconi - si dice poi convinto Fini- metterà da parte l'ostracismo perché noi non ci fermiamo e andiamo avanti. Ha ben compreso che non servono a nulla gli ultimatum". "Berlusconi - fa notare ancora - ha diritto di governare perché scelto dagli elettori. E pensare a scorciatoie giudiziarie per toglierlo di mezzo è una lesione alla sovranità dello Stato".

BOSSI - "Bossi - ha detto Fini - è un leader popolare, abbiamo polemizzato tante volte, solo chi non conosce la storia oltre che la geografia può pensare che la Padania esista davvero. Ma capisce che quella bandiera che alzato per primo, fra lo scetticismo e l'ironia, quella del federalismo oggi può essere bandiera che determinerebbe il compimento di una missione storica. Quel federalismo è possibile solo se è nell'interesse di tutta Italia non solo in quella della parte più progredita. Nella commissione bicamerale che dovrà verificare i decreti attuativi del federalismo fiscale dovremmo discutere e non lasciare la discussione all'asse Tremonti-Calderoli" La riforma del federalismo fiscale in questo senso deve servire, secondo Fini "per celebrare i 150 anni dell'Unità d'Italia". "Il federalismo è possibile solo se sarà fatto" nell'interesse di tutta l'Italia, non soltanto nella parte più sviluppata del Paese. Bossi sa che è possibile realizzare il federalismo, ma solo se nell'interesse generale" e se non è "a scapito del Mezzogiorno".

GIUSTIZIA - "Io non sarò mai contrario al lodo Alfano o al legittimo impedimento". Poi il leader di Fli ha aggiunto: "Berlusconi ha il diritto di governare senza che una parte della magistratura lo possa mettere fuorigioco. Ma quel simpatico dottor "Stranamore" che è l'onorevole Ghedini non deve trovare una soluzione purché sia. Dobbiamo lavorare non ad una legge "ad personam", ma per una legge, come in altri paesi d'Europa per tutelare la figura del capo del governo. E quindi non la cancellazione dei processi, ma la sospensione". Infine conclude: "La riforma va fatta per garantire gli onesti. Tutti vogliono che i processi si concludano in tempi brevi, ma la cosa inaccettabile è che una volta definiti i tempi congrui, li si renda retroattivi, lasciando così le parti lese e le vittime con un pugno di mosche in mano".

LEGGE ELETTORALE - "Gli italiani hanno il diritto di scegliere non solo il premier ma anche i loro parlamentari". Con questa frase Fini apre alla riforma della legge elettorale. "Poi discuteremo come, se con il collegio o la preferenza, ma è un diritto degli italiani", ha aggiunto Fini, che ha sottolineato il suo "mea culpa, perché a quella legge ho contribuito anche io" ma sono "vergognose le liste ’prendere o lasciare’".

MINISTRO SVILUPPO ECONOMICO - Gianfranco Fini ha criticato il lungo interim di Silvio Berlusconi alla testa del ministero dello Sviluppo economico. "In quale altro Paese manca un ministro dello Sviluppo economico?", ha detto il presidente della Camera dal palco della festa di Mirabello. Nonostante il "ghe pensi mi", aspettiamo ancora che l'oracolo di Delfi si pronunci sul ministro dello Sviluppo Economico".

ECONOMIA - "Fli deve anche fare tutto il possibile per affiancare ai soliti due temi, federalismo e giustizia, anche altri temi come quello di far ripartire l'economia. Anche per essere coerenti con il monito del capo dello Stato e delle imprese". Poi il leader di Fli ha aggiunto: "C'è un'Italia preoccupata e sfibrata. L'ottimismo non è solo la forza della volontà. L'ottimismo si deve tradurre nella capacità di fare la riforme. Il nostro governo ha ben fermato la crisi, ma oggi dobbiamo far ripartire l'economia. Non basta che i nostri conti pubblici tengono. Dobbiamo far ripartire l'economia. Come? Facendo le riforme che erano nel programma originario del Pdl. Riforme che portino una sintesi, ad un nuovo patto tra il capitale e il lavoro. Mettendo i produttori di ricchezza dalla stessa parte della barricata". Poi ha rilanciato "la grande assise del mondo del lavoro". "Se nell'ambito di cinque punti si deve ridurre carico fiscale, la proposta che noi facciamo è: interveniamo sul quoziente familiare per far sì che chi ha figli, anziani e disabili a carico abbia un peso fiscale minore", puntualizza Fini.

ETICA - "Chiamo a raccolta l'Italia che lavora che è poi l'Italia onesta", ha detto Fini: "L'Italia onesta è quella dell'etica del dovere: quella dell'etica che un padre insegna ad un figlio. Il senso del dovere, di appartenenza e civico". Per Fini "non bisogna avere paura di aiutare i più deboli. Sono i deboli che hanno bisogno di garanzie e non i più forti. Questo per me è il centrodestra e della politica con la p maiuscola". L'ex leader di An ha quindi rilanciato l'idea di un "codice etico" per gli incarichi pubblici.

LA CONCLUSIONE - "Ridiamo un senso alla politica e andiamo avanti nel nome delle nostre idee". Così Fini ha concluso il suo intervento, durato circa un'ora e mezza. "Quando avevamo 18-20 anni, quando nessuno pensava che saremmo entrati in Parlamento e avremmo ricoperto cariche istituzionali - sottolinea Fini - amavamo dire che se un uomo non ha fiducia nelle sue idee e non è pronto ad impegnarsi per quelle idee, anche se scomode, o non valgono nulla quelle idee o non vale nulla quell'uomo". E siccome "le nostre idee valgono certamente - conclude - è nel nome di quelle idee che va avanti l'impegno la lotta e l'azione di futuro e libertà".

ACQUA - Dopo il lungo intervento dal palco di Mirabello, Gianfranco Fini si è fatto subito portare un bicchiere d'acqua prima di lasciare il palco. Per alcuni istanti, subito dopo la fine dell'intervento, Fini era sembrato piuttosto affaticato per avere parlato a braccio per circa un'ora e mezza. Ha lasciato quindi, insieme allo stato maggiore di Futuro e Libertà e con accanto la compagna Elisabetta Tulliani la zona del palco per raggiungere, acclamato dai militanti e simpatizzanti del movimento, il ristorante della festa. Lì si è seduto a tavola insieme alla compagna e ai parlamentari del movimento.

Redazione online

05 settembre 2010

 

 

 

 

Le reazioni al discorso di Fini A MIRABELLO

Capezzone: "Soltanto insulti

e antiberlusconismo"

Bersani: "Comincia il gioco del cerino". Di Pietro: "Gioca a fare il furbo". Gasparri: "Un frullatore"

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ROMA - Immediate le reazioni dei vari esponenti politici al discorso di Fini a Mirabello. Qualcuna polemicamente definitiva (come quella di Capezzone) anche nel mentre Fini ancora parlava sul palco. D'altronde l'importanza politica dell'intervento del presidente della Camera era stata sottolineata nel pomeriggio anche dal ministro Maroni che aveva legato il futuro del governo proprio al discorso di Fini.

LA RUSSA - "I colonnelli hanno cambiato generale perché il generale ha cambiato bandiera e probabilmente sarà disposto a farlo ancora", il ministro della Difesa Ignazio La Russa. "Abbiamo assistito al tentativo di mettere in mano il cerino a Berlusconi per la incapacità di assumere decisioni definitive", ha aggiunto La Russa, "non c'è stata né la marcia indietro sui gruppi autonomi, né la volontà di fondare un partito unico, nessuna rottura ma neanche nessun ritorno. Evidentemente Fini naviga a vista, conteranno i comportamenti in parlamento".

STRACQUADANIO - "Con questo discorso Fini fonda di fatto un nuovo partito che si presenterà, come ha annunciato, alle elezioni amministrative. È evidente che la coerenza e il rispetto delle istituzioni che Fini esige dagli altri dovrebbero portarlo alle dimissioni da presidente della Camera, incarico a cui è stato eletto in tutt'altro contesto politico. È questa la prima prova della serietà dell'uomo". È quanto afferma in una nota il parlamentare del Pdl, Giorgio Stracquadanio.

CICCHITTO - "Io mi auguro che quello che ha detto Fini sui 5 punti sia una linea positiva di appoggio in Parlamento e non una tattica di logoramento". È quanto ha affermato ai microfoni del Tg1, Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati del Pdl, commento il discorso di Mirabello. Cicchitto è intervenuto anche sul capitolo giustizia che "ha due questioni: superare l'uso politico perchè i magistrati fanno politica e Berlusconi non deve essere sottoposto al bombardamento di cui è vittima dal '94".

Daniele Capezzone (Fotogramma)

Daniele Capezzone (Fotogramma)

CAPEZZONE - Il portavoce del Pdl, Daniele Capezzone, ha definito deludente il discorso di Gianfranco Fini. "Nessuna spiegazione convincente sulle vicende che lo riguardano; antiberlusconismo costante e quasi ossessivo; insulti e offese contro il Pdl e contro la stampa che a Fini non piace".all'intervento del presidente della Camera a Mirabello. "Con queste provocazioni", aggiunge Capezzone, "non si va lontano. Gli italiani potranno presto vedere se, dopo queste pessime parole, i parlamentari vicini a Fini avranno la lealtà di rispettare il mandato ricevuto dagli elettori, e se voteranno o no i provvedimenti del Governo. Ma questi attacchi costanti contro Pdl, Governo e maggioranza", conclude il portavoce del Pdl, "non promettono nulla di buono, e confermano la deriva dei mesi passati".

GASPARRI - Dai microfoni del Tg1, il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri ha criticando "l'incoerenza di alcune affermazioni francamente ridicole. L'etica prima di essere citata va praticata rispondendo ai giornali. "Fini oggi ha fatto un frullatore". "Su alcuni temi molto delicati -aggiunge il capogruppo apalazzo Madama- Fini deve dare risposte. Ha proposto un codice etico, ma allora bisogna anche rispondere a delle domande che vengono poste". Quanto ai colonnelli che 'hanno cambiato generalè, Gasparri replica: "Noi siamo coerenti sui contenuti e abbiamo un progetto politico, quello di un grande pèartito di centrodestra. Lui lo ha abbandonato da tempo, con continue giravolte. E comunque meglio i colonnelli che i cognati...".

BERSANI - Dopo il discorso di Fini, che per Bersani "ha demolito il governo", "ora comincerà il gioco del cerino, ma il Paese non può subire traccheggiamenti. Perchè con il gioco del cerino vanno a fuoco le soluzioni per il Paese", ha detto il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. "È chiaro che nella maggioranza c'è una crisi esplicita. Berlusconi ora venga in Parlamento a dirci se ha o meno una maggioranza; non si può far finta di nulla perché da oggi nulla è più come prima" così Piero Fassino del Pd . "Il discorso di Fini - spiega Fassino al Tg1 - è stato chiaro, esplicito e molto duro. Ha detto che il Pdl non esiste più. Se non c'è la maggioranza, si apra la crisi".

DI PIETRO - "Caro Fini, non puoi giocare a fare il furbo. O stai all'opposizione o al governo. Hai fatto un discorso che faccio io tutti i giorni, sul conflitto di interessi, su tutta l'accozzaglia "stranamore" che circonda Berlusconi. E quindi? Resti in maggiornza e approvi i cinque punti. Non fare il furbo, fai una scelta". Così Antonio Di Pietro, leader di Idv, nei primi commenti del tg de La7 al discorso di Gianfranco Fini.

CASINI - È positivo il commento di Pier Ferdinando Casini (Udc) all’intervento di Fini: "Ha svolto un’analisi condivisibile. Quando ha chiesto il quoziente famigliare, una legge elettorale che restituisca la scelta agli elettori. E poi il passaggio sulle quote latte, sul federalismo equilibrato" e il fatto di aver posto la questione, in politica estera dopo la visita di Gheddafi, di "un’idea di mortificazione della politica estera". È poi "importante che abbia confermato il patto di lealtà al centrodestra che mette al riparo da ogni ipotesi avventata di elezioni anticipate". Ora, conclude, "Berlusconi assuma da questa vicenda l’impegno di andare in Parlamento e di capire che una fase si è chiusa e che il Paese ha bisogno di una fase di responsabilità: nell’opposizione non sono tutti ’sfascisti’ e la situazione italiana è drammatica".

RUTELLI - "Il discorso di Fini è largamente condivisibile nel merito e persino sovrapponibile a gran parte delle proposte emerse a Labro", afferma il leader dell'Api Francesco Rutelli. "Non entro nel merito dei rapporti nel centrodestra", ha sottolineato Rutelli: "Fini resta in maggioranza, noi all'opposizione, ma certamente oggi il nuovo polo è piu vicino". In ogni caso, precisa, "Il bipolarismo come lo abbiamo conosciuto in questi anni non esiste più". Infine, Rutelli dice: "No ad elezioni anticipate, sì anche a convergenze per il bene comune sulle grandi questioni dell'economia, del lavoro, della famiglia e dell'impresa".

MARONI - "Mi pare evidente che sia rinata Alleanza Nazionale, un partito che assicura gli interessi del sud più che quelli della padania che per Fini non esiste ma per noi esiste e come". Lo ha detto il ministro degli interni, Roberto Maroni, a margine della festa della lega nord a Torino. "La questione è seria - ha aggiunto - bisognerà valutare nei prossimi giorni se ci sono le condizioni per andare fino alla fine della legislatura oppure no".

MPI - "Questione giovanile, occupazione e meritocrazia per i nostri figli? Tutto vero, da Fini una bella lezione di ipocrisia: il cognato l'ha risolto bene il problema e vive a Montecarlo a prezzi stracciati. Le pagherà le tasse poi?", afferma Fabio Sabbatani Schiuma, coordinatore regionale del Lazio e membro dell'Esecutivo nazionale del Movimento per l'Italia con Daniela Santanchè - Pdl. "Per il resto - conclude Schiuma - la solita sagra delle ovvietà, nessuna parola sulle società offshore e la richiesta di libertà di espressione: come se in Alleanza nazionale ciò fosse stato possibile".

FELTRI - "È infame quello che dice Fini quando reclama per se stesso il diritto al dissenso nel Pdl e poi non consente ai giornali, il mio e Libero, di criticare lui", dice il direttore de "Il Giornale", Vittorio Feltri nello speciale di Enrico Mentana su La 7. Per Feltri "le nostre, quella de "Il Giornale" e di "Libero" sono contestazioni documentate".

Redazione online

05 settembre 2010

 

 

 

Al FORUM AMBORSETTI A CERNOBBIO. "Fare come Germania? È roba da bambini"

Tremonti: "Sviluppo, serve ministro"

E poi polemizza col governatore Draghi

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Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti e Mario Draghi, governatore di Bankitalia

Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti e Mario Draghi, governatore di Bankitalia

CERNOBBIO (Como) - Per lo sviluppo economico "serve un nuovo ministro". Lo ha detto il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti nel suo intervento al WorkShop Ambrosetti. La frase suona come una risposta all'appello fatto dal presidente degli Industriali, Emma Marcegaglia, che poco prima, sempre a Cernobbio, aveva chiesto al governo di intervenire, lamentando l'assenza di una "politica della crescita".

LA POLEMICA CON DRAGHI - "Dire che bisogna fare come la Germania è superficiale, è roba da bambini", ha aggiunto il ministro nel suo intervento. Un invito a prendere esempio dalla Germania e alla sua capacità di ripartire e di rilanciare la crescita era arrivato venerdì, sempre dall'assise del Forum Ambrosetti, dal governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi.

"NON C'È EMERGENZA, ORA RIFORME" - Per l'Italia, ha detto ancora il ministro dell'Economia, "non c'è un'emergenza autunnale" ma solo l'esigenza di attuare le riforme. Tremonti ha precisato che la "realtà non è così come viene rappresentata". Il ministro ha anche invitato alla serietà, perché "quando i politici vanno in vacanza - ha detto - altri si mettono a fare politica".

Redazione online

05 settembre 2010

 

 

 

al Forum Ambrosetti di Cernobbio

La Marcegaglia striglia il governo

"Manca volontà di lavorare per crescita"

La leader degli industriali: "Ci sono alcune iniziative, ma sono spot. Aumentare salari insieme alla produttività delle aziende"

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La Marcegaglia striglia il governo

"Manca volontà di lavorare per crescita"

La leader degli industriali: "Ci sono alcune iniziative, ma sono spot. Aumentare salari insieme alla produttività delle aziende"

Marcegaglia (Fotogramma)

Marcegaglia (Fotogramma)

CERNOBBIO - La Confindustria chiede "formalmente" che in cima all'ordine del giorno dell'agenda del governo ci sia il tema della crescita perché non si vede una vera volontà di puntare sul risanamento economico del Paese. È il messaggio lanciato dal presidente di Confindustria Emma Marcegaglia dal Forum Ambrosetti di Cernobbio. "Ci sono alcune iniziative, ma sono spot - ha spiegato a margine dei lavori -. Non c'è una visione e una volontà di lavorare veramente su tutti i punti che riguardano la crescita". Ed è per questo che la leader degli industriali chiede anche una convocazione da parte del governo: "Dobbiamo lavorare tutti insieme, non c'è più tempo".

DECISIONI - La presidente di Confindustria è dunque convinta che il governo debba agire subito aggiungendo ai cinque punti indicati per completare regolarmente la legislatura l'azione a sostegno della crescita economica. Non si tratta solo di nominare il ministro dello Sviluppo economico ("l'aspettiamo per la prossima settimana" ha ricordato Marcegaglia, come promesso da Berlusconi), ma anche di rimettere ordine nelle priorità. Confindustria ritiene necessario che il governo apra immediatamente il confronto con le parti sociali (imprese e sindacati) per definire gli impegni per rafforzare la crescita economica. "Non possiamo più aspettare che le cose ci siano imposte dall'Unione europea, dobbiamo agire ora: mentre la Germania crescerà quest'anno fra il 2 e il 3%, l'Italia crescerà dell'1%. Il problema è che in Italia non c'è la volontà complessiva di dire: diamoci un obiettivo di crescita di almeno il 2% l'anno, manca una visione di insieme". Tra Confindustria e governo non c'è divergenza sulle cose da fare: "I punti sui quali agire sono grossomodo gli stessi indicati dal ministro dell'economia Tremonti: ricerca, potenziamento delle infrastrutture, riduzione della burocrazia, formazione: il problema è prendere delle decisioni". Il presidente di Confindustria ha poi rilevato che bisogna "abbandonare la logica di fare del bilancio pubblico una specie di compensazione per tutti i problemi sociali: la riduzione del deficit e di conseguenza delle tasse deve essere una costante che rimane anche se cambiano i governi e per questo è necessario metterla nella Costituzione".

PATTO SOCIALE - Serve "un nuovo patto sociale", scandisce la Marcegaglia, con l'obiettivo di "aumentare i salari se però uniti a una maggiore produttività delle aziende", cioè facendo partecipare i lavoratori ai risultati delle imprese. "Con la revisione della riforma contrattuale del 2009 abbiamo tracciato la strada, ora si tratta di eseguirla". Marcegaglia ha inoltre rilevato che "non basta lavorare solo sul contratto nazionale perché le realtà sono diverse e bisogna andare azienda per azienda". Un caso su tutti, quello dello stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco: "Confindustria tiene alta la guardia sulla vicenda, la seguiamo con grande attenzione. Ma non è solo Pomigliano, sono tutte le imprese italiane che hanno bisogno di migliorare la produttività per essere competitive".

SINDACATO - La Marcegaglia ha poi risposto a una domanda sulla disdetta del contratto dei metalmeccanici del 2008 da parte di Federmeccanica: "Noi proseguiamo per la nostra strada. Teniamo aperta la possibilità che la Fiom rientra ma non possiamo aspettare. Federmeccanica ha la propria autonomia. Ha firmato nel 2009 con tutti i sindacati eccetto la Fiom una nuova intesa che può prevedere deroghe alle regole generali". E per quanto riguarda il rapporto con la Cgil: "Penso ci possano essere spazi di dialogo con la Camusso" ha detto, interpellata sulla più probabile candidata a sostituire Guglielmo Epifani alla guida del sindacato di corso d'Italia. "La Camusso conosce l'industria - ha osservato il presidente degli industriali -. Ci sarà spazio per il dialogo. L'importante è che promuova il cambiamento superando le resistenze interne".

Redazione online

05 settembre 2010

 

 

 

L'ATTESA PER L'INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA CAMERA

Maroni: "Il futuro del governo dipende

da quello che dirà Fini a Mirabello"

Il ministro dell'Interno: "Senza una maggioranza

è meglio andare al voto subito"

L'ATTESA PER L'INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA CAMERA

Maroni: "Il futuro del governo dipende

da quello che dirà Fini a Mirabello"

Il ministro dell'Interno: "Senza una maggioranza

è meglio andare al voto subito"

Il ministro Maroni (Imagoeconomica)

Il ministro Maroni (Imagoeconomica)

MILANO - "Attendiamo fiduciosi". Anche Roberto Maroni è curioso di sapere cosa dirà Gianfranco Fini nel discorso di chiusura della festa di "Futuro e Libertà" a Mirabello, in programma alle 18 di oggi. "Da quello dipenderà probabilmente il futuro del governo e della maggioranza" ammette il ministro dell'Interno. Insomma, Lega e Pdl aspettano di sapere se il presidente della Camera intenda ricomporre la frattura, anche alla luce delle ultime dichiarazioni di Berlusconi sul processo breve ("Non mi interessa"), o se invece il discorso di stasera sancirà una separazione non più sanabile.

AL VOTO SENZA MAGGIORANZA - "Cerchiamo di avere una maggioranza - puntualizza Maroni - se non c'è si va alle elezioni, se c'è si continua. Escluderei comunque un governo con una maggioranza diversa da quella uscita dalle elezioni, sarebbe inaccettabile. Chi ha vinto le elezioni governa, chi ha perso sta all'opposizione. Non c'è alternativa". Nel caso in cui dal voto in Parlamento non uscisse una chiara maggioranza - è convinto il titolare del Viminale - la scelta migliore sarebbe tornare a votare "il più presto possibile".

ESPULSIONI - Il ministro dell'Interno, a margine del worshop Ambrosetti, ha poi parlato anche di immigrazione. Maroni ha detto che chiederà lunedì a Parigi "agli altri ministri dell’Interno della Commissione di darci la possibilità di espellere i cittadini comunitari che non possono stare in base alla direttiva europea. Nulla a che fare con i Rom". "Non è che il ministro dell'Interno sia cattivo", ha aggiunto. Ma - ha avvertito - si tratta di "regole che ha deciso l'Europa". "Oggi - ha spiegato - se queste regole non vengono rispettate, noi siamo impotenti: per questo, chiederò che i governi abbiano la possibilità di applicare la direttiva Ue e che possano, quindi, espellere chi non rispetta le regole stabilite".

Redazione online

05 settembre 2010

 

 

 

l messaggio del presidente del consiglio. Oggi l'intervento di fini a mirabello

Berlusconi: "Mozione giustizia,

non ci sarà il processo breve"

"Se manca sostegno c'è il voto". Poi la promessa ai finiani: ricorderò gli amici nelle liste elettorali

il messaggio del presidente del consiglio. Oggi l'intervento di fini a mirabello

Berlusconi: "Mozione giustizia,

non ci sarà il processo breve"

"Se manca sostegno c'è il voto". Poi la promessa ai finiani: ricorderò gli amici nelle liste elettorali

ROMA - Se venisse a mancare il sostegno della maggioranza si andrebbe al voto. Così, in un messaggio ai Promotori della Libertà, il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, si rivolge ai suoi sostenitori. Il premier gioca d'anticipo rispetto all'atteso discorso di Gianfranco Fini, in programma oggi a Mirabello, e a sorpresa cambia le carte in tavola: "Nella mozione (sul piano in cinque punti, ndr), per quanto mi riguarda non dovrebbe esserci il cosiddetto processo breve, che dovrebbe invece essere finalmente un processo per tutti di ragionevole durata e cioè di una durata massima di sei anni e mezzo, molto di più di quel che durano i processi nelle vere democrazie". Berlusconi tenta insomma di disinnescare uno degli argomenti di maggior frizione con quelli di Fli. "Per quanto mi riguarda, dentro la mozione sulla giustizia che porteremo all'approvazione del Parlamento prossimamente - precisa - non dovrebbe esserci alcun riferimento a questo cosiddetto processo breve. E quindi, per favore, la piantassero di fare tanto baccano e pensassero piuttosto al loro vuoto di idee, di programmi e di leader".

LA PROMESSA AI FINIANI - Il presidente del Consiglio si rivolge poi ai parlamentari che hanno seguito Fini: "Non c'è bisogno di ripeterlo, ma con l'occasione voglio ricordarlo - dice Berlusconi nell'audiomessaggio - Tutti i nostri parlamentari che, avendo prima deciso di fare parte di un nuovo gruppo, dovessero per senso di responsabilità e per lealtà nei confronti degli elettori che li hanno votati, decidere di restare nel gruppo del Pdl, tutti, nessuno escluso, potranno contare sulla nostra amicizia, sulla nostra solidarietà e lealtà, anche nel momento della formazione delle liste elettorali".

CINQUE PUNTI - Il governo è intenzionato a chiedere la fiducia sui cinque punti programmatici che alla ripresa dall'attività politica il premier presenterà al parlamento. "Abbiamo elaborato le priorità e gli interventi concreti sui quali il Parlamento dovrà pronunciarsi nelle prossime settimane, a cominciare dai cinque punti programmatici nei quali abbiamo sintetizzato le riforme che sono appunto prioritarie e che intendiamo realizzare entro questa legislatura e cioè: la riforma tributaria, il federalismo fiscale, la sicurezza, l'immigrazione, il rilancio del Sud e la riforma della giustizia", ha elencato. "Dunque alla riaperture delle Camere, ci impegneremo affinché sia votata la fiducia su questi cinque punti e non ci lasceremo distrarre dai giochi di Palazzo che purtroppo sono ancora in corso", ha aggiunto.

SINISTRA EVERSIVA - Berlusconi difende poi l'attuale legge elettorale perchè rispetta il principio della democrazia liberale ma "a questo principio sacrosanto l'opposizione di sinistra prigioniera del passato continua a preferire i vecchi giochi di Palazzo. L'obiettivo fin troppo scoperto è quello di sovvertire il verdetto elettorale e di portare al governo loro stessi, cioè chi ha perso le elezioni". "Di questa legge elettorale, super criticata dalla sinistra, certo non si può dire che non rispetti il principio basilare della democrazia liberale: e cioè che il popolo sia sovrano". "In Italia infatti - spiega Berlusconi - grazie a questa legge, è finalmente il popolo che con il suo voto al contrario di quanto succedeva prima, decide chi sarà il presidente del Consiglio, quali saranno le alleanze di governo e quale sarà il programma che il governo e la maggioranza parlamentare si impegnano a realizzare. A questo principio sacrosanto, l'opposizione di sinistra, prigioniera del passato, continua a preferire i vecchi giochi di Palazzo. L'obiettivo fin troppo scoperto è quello di sovvertire il verdetto elettorale e di portare al governo loro stessi, cioè chi ha perso le elezioni".

AGOSTO FOLLE - "Come voi - sostiene Berlusconi - abbiamo sentito in questo periodo tante, troppe parole che non volevano dire nulla: soprattutto da parte dei nostri avversari dell'opposizione che sembrano avere solo due ossessioni: e quella di insultare il Capo del Governo attribuendogli le peggiori nefandezze e quella di cambiare una legge elettorale che invece funziona benissimo, e che ha dimostrato di consentire la governabilità del Paese". "Quanto al nostro governo, noi - puntualizza il presidente del Consiglio - sia nel mese di luglio che in agosto, mentre gli altri producevano solo chiacchiere e veleni, abbiamo continuato a lavorare in silenzio. Abbiamo tenuto a cuore ad esempio gli interessi di quei milioni di piccoli e medi imprenditori che sono la grande risorsa della nostra economia e soprattutto abbiamo cercato di aprire per loro, per i loro prodotti e per le loro esportazioni, prospettive nuove grazie a una concreta diplomazia commerciale attuata sul campo in ogni paese. Abbiamo anche elaborato le priorità e gli interventi concreti sui quali il Parlamento dovrà pronunciarsi nelle prossime settimane, a cominciare dai cinque punti programmatici nei quali abbiamo sintetizzato le riforme che sono appunto prioritarie e che intendiamo realizzare entro questa legislatura e cioè: la riforma tributaria, il federalismo fiscale, la sicurezza, l'immigrazione, il rilancio del Sud e la riforma della giustizia".

IDV - Immediate le reazioni politiche al messaggio di Berlusconi. A cominciare dall'Idv con il portavoce Leoluca Orlando: "L'unico ad essere eversivo è Berlusconi. Non si è mai visto nella storia della Repubblica italiana un presidente del Consiglio attaccare in maniera cosi violenta il Capo dello Stato, la Corte costituzionale e la magistratura, cercando di scardinare principi fondanti sanciti dalla Costituzione. Noi del'Italia dei valori difenderemo la Carta, messa in pericolo dal piduista Berlusconi, da ogni suo attacco eversivo".

PD - "L'ennesimo intervento in solitaria del presidente del Consiglio dimostra che la crisi all'interno del Pdl sta oscurando tutto il resto, impegnando il governo e la maggioranza in un dibattito politico dal quale sono esclusi gli interessi degli italiani" afferma Maurizio Migliavacca, coordinatore della segreteria nazionale del Pd, sottolineando come gli "slogan" lanciati dal premier "coprano in realtà il suo fallimento".

Redazione online

04 settembre 2010(ultima modifica: 05 settembre 2010)

 

 

Dietro le quinte. Scelta fatta con Letta e Bonaiuti, molti ministri spiazzati

Sondaggi giù e troppi ostacoli

all'origine del ripensamento

A convincere Berlusconi anche l'ipotesi di una sentenza Mills più lontana. Il colloquio Napolitano-Alfano

Dietro le quinte. Scelta fatta con Letta e Bonaiuti, molti ministri spiazzati

Sondaggi giù e troppi ostacoli

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A convincere Berlusconi anche l'ipotesi di una sentenza Mills più lontana. Il colloquio Napolitano-Alfano

Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini

Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini

ROMA - Le ragioni di una retromarcia, su una legge che sembrava toccasse il cuore degli interessi del Cavaliere, che nella norma transitoria contiene uno "scudo giudiziario" per il presidente del Consiglio e che sino a qualche giorno fa, a detta della maggioranza, appariva imprescindibile per il prosieguo della legislatura, possono essere molteplici e sicuramente tutte valide.

Quello che segue è un elenco che emerge secondo le ricostruzioni dello staff del premier e di alcuni membri del governo. Nota ulteriore: sia nello staff che nel governo in tanti non ne sapevano nulla e sono rimasti completamente spiazzati dalla decisione del presidente del Consiglio. Decisione maturata due giorni fa e presa definitivamente ieri mattina, insieme a Gianni Letta e Paolo Bonaiuti.

1) I sondaggi non sono buoni. Il Pdl rischia di vincere le elezioni anticipate ma di non avere una maggioranza netta in Senato. L'astensione potrebbe essere molto più alta che nel 2008 (secondo i calcoli del premier del 7-8%) e danneggerebbe il Pdl prima di altri. La cosa sconsiglia un braccio di ferro parlamentare con i finiani, che non ha un esito prevedibile.

2) L'umore e il carattere dell'uomo: persino alcune vignette sui giornali sembrano aver avuto una parte. Il premier è stanco di vedersi dipinto come colui che pensa soltanto a salvarsi dai magistrati con leggi ad personam. "E' indignato per come è stato stravolto il senso di una norma sacrosanta per il Paese", riassume il portavoce Bonaiuti.

3) L'ultimo colloquio fra il ministro Alfano e il presidente della Repubblica sembra sia stato molto costruttivo. Legittimità ed esigenza di uno scudo giudiziario per il Cavaliere non sono negati dal Colle, d'ora in poi il governo potrebbe abbracciare apertamente e pubblicamente la ratio di un'innovazione legislativa, di marca costituzionale, senza causare ricadute sul sistema giudiziario e sui cittadini.

4) Si è tolto un argomento di polemica, il primo fra i tanti, a Gianfranco Fini. Non è poco, secondo Palazzo Chigi. A questo punto, in attesa che il lodo Alfano costituzionalizzato faccia i suoi passaggi in Parlamento, le norme vigenti sul legittimo impedimento potrebbero essere modificate; in questo modo slitterebbe la decisione della Consulta, attesa per dicembre, che potrebbe bocciarle. Su questo punto il gruppo di Futuro e Libertà è favorevole. Se così non fosse comunque si cercheranno in un clima più sereno altre strade per garantire la governabilità.

5) Sembra che i calcoli fatti finora da Nicolò Ghedini e dagli avvocati del premier sui tempi della sentenza del processo Mills siano stati rivisti. Una decisione non è più attesa per la primavera del 2011, ma molto più in là. Questo dà più tempo al premier e ai suoi consiglieri per cercare comunque di evitare una sentenza penale in corso di legislatura. Su questo punto il presidente del Consiglio resta convinto del progetto che prevede di rivolgersi direttamente agli italiani, sulla sua odissea giudiziaria come più specificamente sul processo Mills.

6) Sembra che anche il "processo breve", con tutti i suoi risvolti, sia stato testato dal capo del governo attraverso i sondaggi. Ebbene dai numeri a disposizione del premier è emerso che gli elettori stessi della maggioranza lo vedono come il fumo negli occhi; è passata nell'immaginario collettivo l'idea che si introduce una sorta di amnistia mascherata. Un'altra ragione per non insistere, almeno con la tanto criticata norma transitoria, che sterilizzerebbe i procedimenti contro Berlusconi ma anche altre migliaia di processi comuni, con tanto di vittime di reato.

7) Fra le voci che non troveranno mai una conferma c'è n'è una, raccolta ad Arcore, che dice sia in arrivo "una botta giudiziaria contro la famiglia Berlusconi". Un tam tam legato forse alle inchieste della procura di Perugia. Ieri sui quotidiani è apparso il cognome del premier, sembra legato al fratello Paolo. Nell'eterna partita a distanza con i pm anche queste voci potrebbero aver avuto una parte sulla decisione.

8) Sconfessa il punto numero uno, avrebbe dell'incredibile, ma nel governo, anche fra ministri di prima fascia, è una tesi che ha i suoi fan: Berlusconi in sostanza è rassegnato a votare prima possibile, ecco perché il processo breve non serve più. Ha abituato il Paese ai predellini e ai colpi di scena, non è dunque un'indiscrezione da scartare.

Marco Galluzzo

05 settembre 2010

 

 

 

 

LE MANCATE RIFORME CHE CI TENGONO FERMI

L'emergenza non è finita

LE MANCATE RIFORME CHE CI TENGONO FERMI

L'emergenza non è finita

Anziché rendere i Paesi che partecipano all’Unione monetaria più simili l’uno all’altro, l’euro ha spaccato l’Europa. La Germania cresce, risparmia e accumula ricchezza che investe nel resto del mondo; il Sud langue, spende più di quanto non riesca a produrre e si indebita. Non si tratta solo di Grecia, Spagna e Portogallo. Nei dieci anni prima della crisi il reddito pro capite italiano è cresciuto un punto all’anno meno che in Germania; durante la crisi è caduto di oltre 6 punti, a fronte del -3,7 tedesco. Anche la nostra ripresa è più lenta: la produzione industriale tedesca è quasi tornata al livello pre crisi; in Italia rimane 15 punti più bassa.

Di questo passo la disoccupazione (soprattutto fra i più giovani) rimarrà elevata per molti anni. La mancanza di crescita si riflette nella difficoltà delle famiglie che non riescono più a risparmiare, almeno tanto quanto prima. In questo decennio il risparmio privato è sceso di 2 punti (dal 20 al 18% del reddito), mentre in Germania saliva dal 22 al 24,5%. Il risultato è che per la prima volta gli italiani cominciano a indebitarsi all’estero: quest’anno prenderemo a prestito circa 50 miliardi di euro. I tagli alla spesa pubblica e l’aumento della pressione fiscale (salita di 3 punti nel decennio, a fronte di -2 in Germania) non sono riusciti a ridurre il debito pubblico. Alla fine degli anni Novanta, grazie alle privatizzazioni, era sceso di dieci punti, ora è risalito di 18, più che in Germania. L’economia tedesca cresce perché più degli altri ha saputo approfittare dell’Europa. Gli studi di Dalia Marin, un’economista austriaca, dimostrano che le aziende tedesche hanno approfittato dell’allargamento a Est sfruttando il capitale umano dei nuovi Paesi membri.

I tedeschi non hanno trasferito in Romania la produzione di scarpe; hanno costruito, in Polonia e nella Repubblica Ceca, fabbriche di automobili e di macchine utensili con management tedesco e operai qualificati locali. La competitività dei prodotti tedeschi non dipende dalla compressione dei salari (che per un operaio cinquantenne sono del 50% circa più elevati dei nostri), ma dall’aumento della produttività reso possibile dalla riorganizzazione della produzione. Ma è anche la nostra debolezza ad aiutare l a competitività tedesca. Senza le difficoltà del Sud dell’Europa, in questi mesi l’euro si sarebbe rafforzato almeno quanto yen e franco svizzero: le esportazioni tedesche ne avrebbero sofferto. L’interesse della Germania è un Sud saldamente ancorato all’euro (e infatti Berlino ha pagato pur di evitare l’uscita della Grecia), ma debilitato, così da mantenere debole il cambio. La nostra bassa crescita non preoccupa i tedeschi: ormai i loro mercati sono Cina, India e Brasile. I nostri politici dovrebbero capire che quando non fanno quelle riforme che libererebbero l’economia aiutando la crescita, danneggiano le famiglie italiane e fanno un regalo a Berlino.

Eppure nell’ambito degli obiettivi europei per il 2020, come ricordava ieri Mario Monti, è di questo che dovrebbero occuparsi. Il presidente della Repubblica lamenta il ritardo nella nomina del ministro per lo Sviluppo. Mi dispiace contraddirlo. Abbiamo già un ministro per lo Sviluppo e la crescita: si chiama Antonio Catricalà, il presidente dell’Antitrust. Anziché rischiare un ministro che si inventi una nuova "politica industriale", meglio tradurre in leggi e regolamenti le segnalazioni che l’Antitrust invia a governo e Parlamento e che ormai nessuno nemmeno più legge. Che fine ha fatto il disegno di legge sulla concorrenza (benzina, commercio, farmaci, appalti) che il governo ha promesso?

Francesco Giavazzi

05 settembre 2010

 

 

 

Ghedini e il nome nell'elenco

"Premier sulla lista per lavori

regolari di Forza Italia"

La commessa "Si tratta di un intervento su locali usati dal partito a Palazzo Grazioli"

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Diego Anemone

Diego Anemone

ROMA - Era probabilmente riferito al presidente del Consiglio l'appunto "Berlusconi" sulla nuova lista di ristrutturazioni effettuate dalle aziende del Gruppo che fa capo a Diego Anemone. A confermarlo è uno degli avvocati del capo del governo, l'onorevole Niccolò Ghedini, che poi attacca: "Come sempre vengono pubblicate notizie, coperte da segreto di indagine e senza alcun riscontro, al solo scopo di diffamare il presidente Berlusconi. La asseritamente nuova lista dei lavori eseguiti dalla ditta Anemone per quanto riguarda il presidente Berlusconi non rappresenta alcun elemento di novità".

L'elenco, trovato in uno dei computer del commercialista Stefano Gazzani, contiene un centinaio di riferimenti tra nomi e indirizzi e ricalca quello ben più ampio, con oltre 400 "voci" che era stato rintracciato nel computer di Daniele Anemone, fratello dell'imprenditore. Si tratta dei lavori di ristrutturazione effettuati in abitazioni, palazzi istituzionali, sedi religiose, chiese, uffici pubblici. Clienti che spesso non avrebbero saldato i conti e avrebbero ricompensato Anemone di questi favori concedendogli appalti e altri lavori.

"Come già documentalmente comprovato per la precedente lista - aggiunge Ghedini - si tratta di alcuni modesti lavori di manutenzione eseguiti dalla ditta Anemone, una delle società più apprezzate nel settore edile. È quindi evidente che in questa lista non vi è altro se non la riproposizione dei lavori che nella prima erano indicati con la dicitura Palazzo Grazioli. Tali lavori erano stati ordinati da Forza Italia quale adeguamento di alcuni locali utilizzati a Palazzo Grazioli dal partito. Il prezzo dei lavori è stato regolarmente fatturato e regolarmente pagato. Era quindi sufficiente un modesto approfondimento per evitare di lanciare sulle prime pagine dei giornali una notizia del tutto infondata".

Su tutti gli interventi sono in corso accertamenti della Guardia di Finanza e dei carabinieri del Ros, ma l'avvocato Bruno Assuma, difensore del commercialista Gazzani afferma: "Al mio cliente non risulta affatto che la lista fosse contenuta nei suoi computer. Tutti i pc gli sono stati restituiti. In ogni caso, anche se si trattasse di documentazione in suo possesso, sarebbe del tutto lecito visto che curava gli interessi del Gruppo".

F.S.

05 settembre 2010

 

 

 

 

 

sulla crisi: "è ancora in atto, ma tremonti È stato bravo"

Bossi: "Berlusconi doveva cacciare Fini"

Comizio del leader leghista: "Quando sotto il palco gli

ha detto "mandami via" io avrei detto "fuori dalle balle""

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ha detto "mandami via" io avrei detto "fuori dalle balle""

Bossi (Cavicchi)

Bossi (Cavicchi)

CHIAVARI - "Berlusconi ha fatto un errore: quando Fini sotto il palco gli diceva "mandami via" io gli avrei detto "fuori dalle balle". Lui non l'ha fatto". Umberto Bossi sceglie i tradizionali toni poco concilianti per commentare gli sviluppi del divorzio tra il premier e i finiani e lo fa durante un comizio a Chiavari per la conclusione delle celebrazioni dei 20 anni della Lega ligure. "Fini e la sinistra sperano di far fuori Berlusconi, ma la gente non li vuole e non ce la faranno mai a passare" ha aggiunto.

"TENIAMO DURO" - Il leader della Lega non nega che ci siano dei problemi anche nella maggioranza: "Abbiamo certo delle difficoltà, ma teniamo duro e andiamo avanti". Poche ore prima toni ben diversi erano stati usati da Silvio Berlusconi in occasione di un messaggio ai Promotori della Libertà. Il premier aveva teso una mano ai finiani di Futuro e Libertà, garantendo lealtà a coloro che dovessero restare nel Pdl anche quando si tratterà di formare le liste alle prossime elezioni. Un appello respinto dai destinatari e destinato a "cadere nel vuoto" secondo Bocchino.

"CRISI IN ATTO" - A Chiavari Bossi ha anche parlato della situazione economica: "La crisi è ancora in atto, non è affatto risolta. C'è grande difficoltà, ma di certo il governo è stato abbastanza bravo a evitare che saltasse in aria tutto. Dobbiamo dare merito a Tremonti che è stato bravo: ha fatto qualcosa di buono e qualcos'altro no, qualcosa che è riuscita e altro meno. Però il Paese bene o male è in vita". Infine, la legge elettorale. Per il Senatùr "c'è ed è ottima. Vogliono cambiarla e tornare come nella prima repubblica per vincere le elezioni. Non si può andare in questa direzione, si deve andare avanti. La Lega - ha aggiunto - mantiene la parola con chi la mantiene con lei. Berlusconi l'ha mantenuta, sul federalismo i voti ce li ha dati. Andiamo avanti dritti, non ci fermiamo. Il popolo alla fine vince".

Redazione online

04 settembre 2010

 

2010-09-04

a TORINO. Fassino: "squadristi". Una ragazza: "Scandaloso che ci lascino fuori"

Festa Pd, grillini e viola fischiano Schifani

Interviene il Colle. Grillo: "È solo l'inizio"

Fischi e urla contro il presidente del Senato. Duro richiamo di Napolitano, il comico replica

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TORINO - Tensione alla festa nazionale del Pd tra un gruppo di manifestanti, gli esponenti democratici e Renato Schifani. Tutto inizia quando un gruppo di attivisti del MoVimento 5 Stelle di Beppe Grillo e del Popolo viola inizia la sua protesta contro il presidente del Senato davanti alla tensostruttura nel centro di Torino. I manifestanti - che ripetono lo slogan "Fuori la mafia dallo Stato" e che hanno in mano un'agenda rossa, riferimento al magistrato Paolo Borsellino ucciso dalla mafia nel 1992 - chiedono di entrare per assistere all'incontro con Piero Fassino e rivolgere qualche domanda a Schifani, ma le forze dell'ordine impediscono l'ingresso ai contestatori. Questo scatena la rabbia dei grillini che, assiepati contro le transenne che delimitano il perimetro dell’area Norberto Bobbio, iniziano a urlare e fischiare. "È scandaloso che alla festa di un partito che si definisce democratico - spiega Simonetta, una delle manifestanti - ci lascino fuori. Noi vogliamo semplicemente entrare ed ascoltare e fare delle domande a Schifani sull'attuale situazione politica italiana". "Se volete manifestare lo fate fuori dall'area della festa - risponde il segretario provinciale del Pd, Gioacchino Cuntrò - se foste stati invitati vi avremmo lasciati entrare".

LE REAZIONI SUL PALCO - Lo stesso Schifani, interrotto durante il suo intervento, replica duramente ai manifestanti: "Siete un esempio di antidemocrazia, perché volete impedire a due personalità politiche di parlare". Ed ancora: "Sono onorato - dice Schifani - di partecipare a questo dibattito e non saranno i vostri fischi ad impedirmi di parlare". I fischi e i cori però continuano. E allora interviene lo stesso Fassino: "Abbiamo letto sui giornali in questi giorni che c'è qualcuno che ha tentato di organizzare squadre di contestatori a Fini e li abbiamo definiti squadristi. È lo stesso metodo. Vorrei dire a chi sta urlando di provare ad ascoltare, la festa del Pd è un luogo dove si discute e si mettono a confronto le idee".

L'INTERVENTO - Proseguendo il dibattito, Schifani commenta l'attuale situazione politica: "Se non sarà possibile" ricompattare la maggioranza e mandare avanti la legislatura, afferma il presidente del Senato, "tutto va nelle mani del capo dello Stato, al quale tutti ci rifacciamo, al quale spetta secondo la Costituzione l’ultima parola". "Lui è garante della Costituzione - spiega Schifani - lo è sempre stato. Ha dimostrato di essere impeccabile in ogni momento della vita del nostro Paese. È un grande statista, ha un grande senso dello Stato, un grande senso di responsabilità e saprà lui fare le scelte migliori nel caso in cui la maggioranza dovesse andare in crisi. Saprà essere sempre rispettoso della Costituzione reale, di quella attuale a cui tutti ci dobbiamo inchinare". Schifani auspica però che non si torni ad elezioni anticipate. "Ogni interruzione - dice - è dannosa per la convivenza civile ed economica".

IL RICHIAMO DI NAPOLITANO - Sull'episodio è intervenuto il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che ha sottolineato la "preoccupante degenerazione" del confronto politico nel Paese: "Il tentativo di impedire con intimidatorie gazzarre il libero svolgimento di manifestazioni e discorsi politici è un segno dell'allarmante degenerazione che caratterizza i comportamenti di gruppi, sia pur minoritari, incapaci di rispettare il principio del libero e democratico confronto e di riconoscere nel Parlamento e nella stessa magistratura le istituzioni cui è affidata nel sistema democratico ogni chiarificazione e ricerca di verità". La nota del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, giunta pochi minuti dopo i fatti di Torino continua così: "Deploro vivamente l'episodio verificatosi oggi a Torino ai danni del presidente del Senato e ogni forma di contestazione aggressiva sia verso figure di particolare responsabilità istituzionale sia verso qualsiasi esponente politico nell'esercizio della sua inconfutabile libertà di parola e di opinione".

GRILLO: "È SOLO L'INIZIO" - Al richiamo del Colle si mostra sorda Beppe Grillo, ispiratore del MoVimento 5 Stelle: "Questo è solo l'inizio. Devono rendersi conto che è finita. Che si blindino con i poliziotti antisommossa, chiamino Maroni e l'esercito. Paghino la gente che va ai comizi per applaudirli. Oppure se ne vadano a casa". Così Grillo ha commentato le contestazioni di Torino al presidente del Senato: "Io non sono l'autore o il sobillatore, io interpreto quello che vedo e che sento: la gente non ce la fa più", ha aggiunto Grillo, per il quale i grillini sono "persone educate, perbene che manifestano un pensiero assolutamente giusto". Ma, ha aggiunto il comico, "gli italiani sono stanchi di farsi prendere per il culo".

LA TELEFONATA DI BERSANI - Più tardi, Schifani riceve la telefonata del segretario del Partito Democratico, Pier Luigi Bersani, che gli esprime solidarietà e profondo rammarico per quel che è avvenuto. "Il dibattito politico, anche il più aspro - afferma Bersani - deve segnare un confine netto con la prepotenza e la prevaricazione. Le nostre feste vivono come luoghi aperti di incontro e di discussione politica. Così le abbiamo volute, così sono e saranno. Qualcuno si levi dalla testa di poterci intimorire o farci derogare da questa scelta".

IN SERATA NUOVE TENSIONI - Nonostante l'uscita di scena di Schifani, peraltro, sono continuati gli episodi di tensione tra il servizio d'ordine e i manifestanti del movimento Resistenza viola e del Movimento 5 stelle negli spazi della festa. In serata esponenti dei movimenti hanno fischiato il responsabile Pd Economia e lavoro Cesare Damiano, il segretario provinciale del partito Gioacchino Cuntrò e altre persone. Quasi contemporaneamente, c’è stato un momento di contatto tra i manifestanti e il servizio d’ordine del Pd. Un funzionario del partito, ha raccontato Cuntrò, è dovuto ricorrere alle cure mediche perché colpito a un braccio. Da parte loro, Davide Bono e Fabrizio Biolè, consiglieri regionali in Piemonte del MoVimento 5 stelle, si dicono "rammaricati" per gli atteggiamenti sia di Fassino che del vicedirettore del Tg3, Giuliano Giubilei, moderatore del dibattito, "che hanno violentemente apostrofato i manifestanti con gli appellativi di ’squadristi’ e ’fascisti’. Noi riteniamo stonata e totalmente fuori luogo - spiegano i consiglieri - tale etichettatura, specie se questo avviene dopo che è stata negata loro la parola e l’ingresso nell’area del dibattito da un nutrito cordone di polizia in tenuta antisommossa". Alcuni manifestanti - denunciano i grillini - sono rimasti contusi "per gli interventi fuori luogo da parte sia delle forze di polizia all’esterno e, all’interno, da parte di alcuni addetti alla sicurezza che hanno aggredito un cittadino, il quale non tarderà a sporgere denuncia utilizzando le numerose prove filmate".

Redazione online

04 settembre 2010

 

 

 

 

il presidente del Consiglio in un messaggio ai Promotori della Libertà

Berlusconi: "Mozione giustizia,

non ci sarà il processo breve"

"Se manca sostegno c'è il voto". Poi la promessa ai finiani: ricorderò gli amici nelle liste elettorali

il presidente del Consiglio in un messaggio ai Promotori della Libertà

Berlusconi: "Mozione giustizia,

non ci sarà il processo breve"

"Se manca sostegno c'è il voto". Poi la promessa ai finiani: ricorderò gli amici nelle liste elettorali

ROMA - Se venisse a mancare il sostegno della maggioranza si andrebbe al voto. Così, in un messaggio ai Promotori della Libertà, il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. "Il sostegno della maggioranza - spiega - è stato fondamentale per l'azione di governo. Solo grazie a questo sostegno infatti, abbiamo già potuto realizzare una parte consistente del programma proposto agli italiani e consacrato dalla maggioranza degli elettori. Sarebbe imperdonabile che per puri interessi personali e di parte questo sostegno venisse meno tradendo il mandato e la fiducia degli elettori. Se proprio dovesse succedere torneremo dagli elettori che sapranno bene a chi dare il loro voto. Ma sono sicuro che questo non succederà".

LA PROMESSA AI FINIANI - Il presidente del Consiglio si rivolge poi ai parlamentari che hanno seguito Fini: "Non c'è bisogno di ripeterlo, ma con l'occasione voglio ricordarlo- dice Silvio Berlusconi nell'audiomessaggio - Tutti i nostri parlamentari che, avendo prima deciso di fare parte di un nuovo gruppo, dovessero per senso di responsabilità e per lealtà nei confronti degli elettori che li hanno votati, decidere di restare nel gruppo del Pdl, tutti, nessuno escluso, potranno contare sulla nostra amicizia, sulla nostra solidarietà e lealtà, anche nel momento della formazione delle liste elettorali".

CINQUE PUNTI - Il governo è intenzionato a chiedere la fiducia sui cinque punti programmatici che alla ripresa dall'attività politica il premier presenterà al parlamento. "Abbiamo elaborato le priorità e gli interventi concreti sui quali il Parlamento dovrà pronunciarsi nelle prossime settimane, a cominciare dai cinque punti programmatici nei quali abbiamo sintetizzato le riforme che sono appunto prioritarie e che intendiamo realizzare entro questa legislatura e cioè: la riforma tributaria, il federalismo fiscale, la sicurezza, l'immigrazione, il rilancio del Sud e la riforma della giustizia", ha elencato. "Dunque alla riaperture delle Camere, ci impegneremo affinchè sia votata la fiducia su questi cinque punti e non ci lasceremo distrarre dai giochi di Palazzo che purtroppo sono ancora in corso", ha aggiunto.

SINISTRA EVERSIVA - Berlusconi poi difende l'attuale legge elettorale perchè rispetta il principio della democrazia liberale ma "a questo principio sacrosanto l'opposizione di sinistra prigioniera del passato continua a preferire i vecchi giochi di Palazzo. L'obiettivo fin troppo scoperto è quello di sovvertire il verdetto elettorale e di portare al governo loro stessi, cioè chi ha perso le elezioni". "E voi - dice Berlusconi rivolto ai Promotori della Libertà - nei contatti con gli altri dovete denunciare ai nostri elettori questo continuo tentativo eversivo "di ribaltare il voto e di ribaltare la democrazia con il soccorso di alcuni magistrati di sinistra".

LEGGE ELETTORALE - "Di questa legge elettorale, super criticata dalla sinistra, certo non si può dire che non rispetti il principio basilare della democrazia liberale: e cioè che il popolo sia sovrano". "In Italia infatti - spiega Berlusconi - grazie a questa legge, è finalmente il popolo che con il suo voto al contrario di quanto succedeva prima, decide chi sarà il presidente del Consiglio, quali saranno le alleanze di governo e quale sarà il programma che il governo e la maggioranza parlamentare si impegnano a realizzare. A questo principio sacrosanto, l'opposizione di sinistra, prigioniera del passato, continua a preferire i vecchi giochi di Palazzo. L'obiettivo fin troppo scoperto è quello di sovvertire il verdetto elettorale e di portare al governo loro stessi, cioè chi ha perso le elezioni".

PROCESSO BREVE - "Nella mozione, sulla giustizia - sostiene Berlusconi - per quanto mi riguarda non dovrebbe esserci il cosiddetto processo breve, che dovrebbe invece essere finalmente un processo per tutti di ragionevole durata e cioè di una durata massima di sei anni e mezzo, molto di più di quel che durano i processi nelle vere democrazie. Ma siccome quando si tratta di giustizia e di processi non c'è una norma che non tocchi, non riguardi uno dei tanti processi o meglio delle tante aggressioni che mi sono state rivolte in questi anni per tentare di sovvertire il voto degli italiani, anche se questa norma è giusta ed anzi assolutamente doverosa , la sinistra e i suoi giornali la fanno diventare uno scandalo e la mettono al centro di una campagna ancora e sempre contro di me. Allora io voglio rassicurare ancora una volta la sinistra". "Per quanto mi riguarda, dentro la mozione sulla giustizia che porteremo all'approvazione del Parlamento prossimamente - precisa - non dovrebbe esserci alcun riferimento a questo cosidetto processo breve. E quindi, per favore, la piantassero di fare tanto baccano e pensassero piuttosto al loro vuoto di idee, di programmi e di leader".

AGOSTO FOLLE - "Come voi - sostiene Berlusconi - abbiamo sentito in questo periodo tante, troppe parole che non volevano dire nulla: soprattutto da parte dei nostri avversari dell'opposizione che sembrano avere solo due ossessioni: e quella di insultare il Capo del Governo attribuendogli le peggiori nefandezze e quella di cambiare una legge elettorale che invece funziona benissimo, e che ha dimostrato di consentire la governabilità del Paese". "Quanto al nostro governo, noi - puntualizza il presidente del Consiglio - sia nel mese di luglio che in agosto, mentre gli altri producevano solo chiacchiere e veleni, abbiamo continuato a lavorare in silenzio. Abbiamo tenuto a cuore ad esempio gli interessi di quei milioni di piccoli e medi imprenditori che sono la grande risorsa della nostra economia e soprattutto abbiamo cercato di aprire per loro, per i loro prodotti e per le loro esportazioni, prospettive nuove grazie a una concreta diplomazia commerciale attuata sul campo in ogni paese. Abbiamo anche elaborato le priorità e gli interventi concreti sui quali il Parlamento dovrà pronunciarsi nelle prossime settimane, a cominciare dai cinque punti programmatici nei quali abbiamo sintetizzato le riforme che sono appunto prioritarie e che intendiamo realizzare entro questa legislatura e cioè: la riforma tributaria, il federalismo fiscale, la sicurezza, l'immigrazione, il rilancio del Sud e la riforma della giustizia".

IDV - Immediate le reazioni politiche al messaggio di Berlusconi. A cominciare dall'Idv con il portavoce Leoluca Orlando: "L'unico ad essere eversivo è Berlusconi. Non si è mai visto nella storia della Repubblica italiana un presidente del Consiglio attaccare in maniera cosi violenta il Capo dello Stato, la Corte costituzionale e la magistratura, cercando di scardinare principi fondanti sanciti dalla Costituzione. Noi del'Italia dei valori difenderemo la Carta, messa in pericolo dal piduista Berlusconi, da ogni suo attacco eversivo".

PD - "L'ennesimo intervento in solitaria del presidente del Consiglio dimostra che la crisi all'interno del Pdl sta oscurando tutto il resto, impegnando il governo e la maggioranza in un dibattito politico dal quale sono esclusi gli interessi degli italiani" afferma Maurizio Migliavacca, coordinatore della segreteria nazionale del Pd, sottolineando come gli "slogan" lanciati dal premier "coprano in realtà il suo fallimento".

Redazione online

04 settembre 2010

 

 

 

 

bocchino: l'appello cadrà nel vuoto

Berlusconi tende una mano ai finiani

"In lista chi resta". "Campagna acquisti"

Il messaggio del premier ai Promotori della Libertà:

"Chi rimane nel Pdl potrà contare sulla nostra amicizia". FareFuturo: è un idea-lista, politica basata sul premio

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Berlusconi (Emblema)

Berlusconi (Emblema)

MILANO - Silvio Berlusconi lancia un ramoscello d'ulivo ai finiani confluiti in Futuro e Libertà, garantendo loro lealtà anche quando si tratterà di formare le liste del Pdl alle prossime elezioni. "Non c'è bisogno di ripeterlo, ma con l'occasione voglio ricordarlo ancora una volta: tutti i nostri parlamentari che, avendo prima deciso di fare parte di un nuovo gruppo, dovessero per senso di responsabilità e per lealtà nei confronti degli elettori che li hanno votati, decidere di restare nel gruppo del Pdl, tutti, nessuno escluso, potranno contare sulla nostra amicizia, sulla nostra solidarietà e lealtà, anche nel momento della formazione delle liste elettorali" ha detto il premier in un messaggio ai Promotori della Libertà.

BOCCHINO - Un appello che "cadrà nel vuoto", secondo il finiano Italo Bocchino, che ricorda: "Abbiamo già vissuto la guerra dei numeri, quando dicevano che con Fini sarebbero andati quattro gatti. Poi i numeri sono stati diversi". "Penso che Berlusconi, per il suo spessore e la sua leadership - prosegue - farebbe bene a interloquire con i gruppi di Fli nella sua qualità di capo del governo e leader della coalizione, tenendo conto che i leader di Fli hanno chiarito che sono ancorati culturalmente e politicamente con il centrodestra e che voteranno sempre la fiducia al governo e tutti i provvedimenti che fanno parte del programma. È meglio interloquire che cercare una campagna acquisti".

FAREFUTURO - Duro anche il commento di Filippo Rossi, direttore della testata online di FareFuturo Ffwebmagazine: "Finalmente ci ricrediamo. Finalmente abbiamo scoperto un Berlusconi idealista. Sì, idealista. Anzi, idea-lista, per essere più precisi. Ovvero, un Cavaliere che ha l'idea fissa della lista". Nell'articolo il leader del Pdl viene definito "pifferaio di Arcore": "Un idea-lista a caccia di idea-listi come lui". Per Ffwebmagazine "non è un bello spettacolo. Esteticamente prima che eticamente (e spiace, per un esteta come il premier si vanta di essere). Ed è uno spettacolo che rivela, ancora una volta, un'idea della politica sui generis. Un'idea costruita sulla promessa, sulla fedeltà personale, sul "premio". Un tempo c'erano i feudi, oggi i posti in lista, ma si direbbe che poco è cambiato".

Redazione online

04 settembre 2010

 

 

 

 

sulla crisi: "è ancora in atto, ma tremonti È stato bravo"

Bossi: "Berlusconi doveva cacciare Fini"

Comizio del leader leghista: "Quando sotto il palco gli

ha detto "mandami via" io avrei detto "fuori dalle balle""

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Bossi (Cavicchi)

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CHIAVARI - "Berlusconi ha fatto un errore: quando Fini sotto il palco gli diceva "mandami via" io gli avrei detto "fuori dalle balle". Lui non l'ha fatto". Umberto Bossi sceglie i tradizionali toni poco concilianti per commentare gli sviluppi del divorzio tra il premier e i finiani e lo fa durante un comizio a Chiavari per la conclusione delle celebrazioni dei 20 anni della Lega ligure. "Fini e la sinistra sperano di far fuori Berlusconi, ma la gente non li vuole e non ce la faranno mai a passare" ha aggiunto.

"TENIAMO DURO" - Il leader della Lega non nega che ci siano dei problemi anche nella maggioranza: "Abbiamo certo delle difficoltà, ma teniamo duro e andiamo avanti". Poche ore prima toni ben diversi erano stati usati da Silvio Berlusconi in occasione di un messaggio ai Promotori della Libertà. Il premier aveva teso una mano ai finiani di Futuro e Libertà, garantendo lealtà a coloro che dovessero restare nel Pdl anche quando si tratterà di formare le liste alle prossime elezioni. Un appello respinto dai destinatari e destinato a "cadere nel vuoto" secondo Bocchino.

"CRISI IN ATTO" - A Chiavari Bossi ha anche parlato della situazione economica: "La crisi è ancora in atto, non è affatto risolta. C'è grande difficoltà, ma di certo il governo è stato abbastanza bravo a evitare che saltasse in aria tutto. Dobbiamo dare merito a Tremonti che è stato bravo: ha fatto qualcosa di buono e qualcos'altro no, qualcosa che è riuscita e altro meno. Però il Paese bene o male è in vita".

Redazione online

04 settembre 2010

 

 

 

 

solidarietà al presidente del senato schifani, contestato alla kermesse dl pd a torino

Fini: "Basta alzare muri, serve confronto"

Il discorso alla festa dell'Api: "Non può più esistere la categoria del nemico politico". Dal pubblico numerosi applausi. E una richiesta: "Manda a casa il premier"

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Gianfranco Fini (Eidon)

Gianfranco Fini (Eidon)

RIETI - Basta alzare muri, serve un confronto politico tra le parti. La richiesta arriva da Gianfranco Fini, ospite della festa di Alleanza per l'Italia a Labro (Rieti): la prima uscita pubblica dopo il silenzio della pausa estiva. "È necessario un serio lavoro di confronto tra le varie culture politiche per individuare ciò che unisce e non solo per fare a gara su ciò che divide perché l'impressione è che caduto un muro se ne alza un altro per non risolvere i problemi" ha detto dal palco. Un impegno, ha sottolineato, "non da presidente della Camera ma a nome di amici che intendono la destra in un certo modo". L'intervento è stato scandito da diversi applausi del pubblico di centrosinistra, ma c'è stata anche qualche contestazione isolata: sono apparsi (e subito scomparsi) cartelli con scritto "Fini sei come Di Pietro" e "Fini traditore".

"MANDALO A CASA!" - Ma il popolo di Alleanza per l'Italia ha all'ex leader di An riservato un'accoglienza quasi trionfale. Dopo un colloquio con Francesco Rutelli e una breve passeggiata per le vie del borgo reatino, è salito sul palco, salutato da un grande applauso. Durante l'intervento diversi passaggi sono stati sottolineati dal pubblico in modo entusiasta, in particolare la promessa di un "confronto" con l'Api. Dopo aver ricevuto in regalo tre bottiglie di birra artigianale, Fini è entrato in auto, salutato questa volta con una richiesta urlata più volte e a più voci: "Gianfranco, mandalo a casa!". Il riferimento era ovviamente al premier, Silvio Berlusconi. Una signora gli ha rivolto una critica: "Ti ho seguito per anni, ma adesso ci hai traditi". "Macché traditi, macché traditi" ha replicato Fini. Un uomo lo ha interpellato mentre entrava in macchina: "Vinceremo". La risposta è stata un buffetto sulla guancia.

IMPEGNO - Fini ha dunque dismesso i panni di presidente della Camera per "prendere un impegno" con il partito di Rutelli: "C'è una grande questione sia per chi come me ha un’idea di destra della politica sia per formazioni politiche che hanno radici diverse come la vostra. È necessario su tante questioni un lavoro serio di confronto per individuare una volta tanto ciò che può unire e non soltanto fare a gara su ciò che divide. Credo di poter prendere con voi, con la vostra forza politica, questo impegno, anche per rendere non solo attuale, ma riempirla di contenuti la ricorrenza del centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia". Fini ha sottolineato che sulle grandi questioni, come la cittadinanza, la rielaborazione del welfare o una ridefinizione della rappresentanza, Futuro e Libertà non mancherà di confrontarsi responsabilmente con le altre forze politiche. "È indispensabile nei momenti convulsi dove sembra perdersi la bussola del comune agire avere ben chiaro che nel 2010 non ci può essere la categoria del nemico che evoca logiche distruttive ma solo quella dell'avversario" ha aggiunto.

PROPAGANDA - Quindi ha ribadito la necessità di avviare un confronto: "La propaganda è un momento dell'impegno politico ma la politica è confronto di idee. Se prevale la propaganda, se ci si arrabatta in una fase convulsa e poco edificante, è naturale che un impegno alto e nobile in politica finisce per essere minoritaria ma anche se minoritario è essenziale perché è l'unico antidoto possibile per fermare la crisi di fiducia verso le istituzioni". Altro tema, le riforme: "È da due decenni che se ne parla e poi non si realizza nulla e questo perché le forme della democrazia dal XXI secolo sono una grande sfida che non si combatte in nome di una parte ma ci vuole l'impegno di tutti o si rischia di perderla a prescindere".

SCHIFANI - Fini ha poi espresso la propria solidarietà al presidente del Senato Schifani, contestato alla festa del Pd a Torino, condannando l'"intimidatoria gazzarra" del Popolo Viola: "Ci vuole il reciproco rispetto per le idee di tutti e soprattutto per le istituzioni. Sono certo di esprimere l'opinione dei 630 deputati quando esprimo la solidarietà al presidente del Senato, che è stato oggetto di una intollerabile contestazione per impedirgli di parlare. Il rispetto delle istituzioni è l'abc della politica". Al termine del suo intervento a Labro, Fini ha telefonato a Schifani.

Redazione online

04 settembre 2010

 

 

 

un tema chiave di cui non si parla

Il silenzio sulla crescita

un tema chiave di cui non si parla

Il silenzio sulla crescita

"L’ Italia è uscita bene dalla crisi finanziaria ma male dalla recessione, con una perdita di prodotto ben maggiore che negli altri Paesi" (Luigi Spaventa, Repubblica, 31 agosto). Dieci anni fa eravamo intorno ai livelli della Germania (o superiori) per prodotto pro capite e produttività del lavoro. Oggi registriamo un arretramento di circa dieci punti sia rispetto alla Germania sia rispetto all’area dell’euro.

Il Governatore Draghi ha chiesto che l’Italia segua l’esempio della Germania, con riforme che la rendano più produttiva e competitiva.

La politica economica italiana, sotto la regia del ministro Tremonti, ha avuto il grande merito di permettere all’Italia di attraversare la crisi finanziaria con danni molto inferiori a quelli di altri Paesi, pur considerati meno fragili. D’altra parte, i risultati insoddisfacenti dell’economia reale sono anch’essi attribuibili, in parte, a carenze della politica economica.

Nel decennio considerato sono state fatte alcune riforme strutturali, ma evidentemente non sufficienti. Dall’inizio della crisi, inoltre, il governo ha optato per una linea di grande cautela finanziaria (limitati interventi anticiclici) e politica (minore priorità alle riforme). Era stato suggerito di effettuare qualche maggiore intervento di sostegno, associato però a un’accelerazione delle riforme per mostrare che l’Italia non intendeva certo tornare alla leggerezza finanziaria. È difficile dire quale strategia sarebbe stata la migliore. Certo, la linea seguita ha valorizzato — se così si può dire — la performance del ministro delle Finanze più che quella del ministro dell’Economia.

Ciò accresce i compiti e le responsabilità del ministro dello Sviluppo. Con una punta di paradosso, c’è da chiedersi se la situazione attuale — con il presidente del Consiglio che è anche ministro dello Sviluppo — non sia quella ottimale. Purché, naturalmente, ciò avvenga a titolo definitivo e non più ad interim.

Per l’economia e la società italiana la priorità della crescita è tale che un impegno strategico in prima persona del premier sarebbe non meno importante, per il Paese, di quello che egli riserva ad altri temi di cui è costretto a occuparsi, o ha scelto di farlo. Del resto, quando l’assoluta priorità era quella finanziaria, è accaduto che il capo del governo riservasse a sé anche il ministero del Tesoro.

Come è noto (o forse ignoto, dato che in Italia non ne parla nessuno), entro fine anno va sottoposto all’Unione europea il piano nazionale di riforme, nell’ambito della "strategia Ue 2020". È l’occasione per guardare al futuro e per mettere in campo politiche concrete per la crescita e la competitività, unica speranza per l’occupazione. Il ministro per le Politiche comunitarie ci sta lavorando. Ma dov’è la visione strategica del governo, dove sono le eventuali visioni alternative dei partiti di opposizione, dov’è un dibattito nel Paese su questa, che è la questione più importante per i nostri figli? Materia, mi pare, per il presidente del Consiglio.

E poi, al ministro per lo Sviluppo — coincida o meno con il premier — compete la politica industriale. Il presidente Napolitano ha detto: "Credo sia giunto il momento che l’Italia si dia una seria politica industriale nel quadro europeo, cioè secondo le coordinate dell’integrazione europea e in ossequio ai fondamenti della libera competizione e ai principi dell’economia di mercato". Speriamo che qualcuno se ne occupi, in modo coordinato con il piano nazionale delle riforme.

Mario Monti

04 settembre 2010

 

 

 

Crisi, Tremonti: "In Italia ora l'emergenza è finita. Niente manovra correttiva"

Napolitano: "Ci vuole una nuova generazione di leader che abbia coraggio"

Il Presidente della Repubblica in videoconferenza a Cernobbio: "Non vedo pericolo di morte per la Ue"

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Giorgio Napolitano (Eidon)

Giorgio Napolitano (Eidon)

CERNOBBIO - "Io non vedo pericolo di morte imminente, ma un difetto di visione e di coraggio: così ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, parlando del futuro dell' Unione Europea in collegamento video con il workshop Ambrosetti.

I LEADER - "Ci vuole però una nuova generazione di leader che abbia visione e coraggio per portare avanti l'integrazione di cui abbiamo assoluto bisogno. Questa generazione di leader non può nascere per miracolo ma solo grazie ad una vasta mobilitazione della societá civile e politica".

CREDO - In precedenza il presidente della Repubblica, aveva manifestato la sua fiducia nel Vecchio continente: "Continuo ad avere fiducia e ad essere un credente nell' Europa". "L'agenda per l'Europa - ha spiegato Napolitano - si presenta più esigente che mai. Se nelle mie parole coglierete della drammatizzazione, non consideratela come una sottovalutazione degli sforzi compiuti nel 2010, né come manifestazione di pessimismo e arte della retorica. Non dobbiamo edulcorare la drammaticità delle prove che l'Europa è stata chiamata ad affrontare nell'urto della crisi globale, nè la drammaticità delle sfide che pesano sullo sviluppo". Su questi temi, il capo dello Stato ha sottolineato: "Più saremo franchi e crudi, più potremo farcela".

TRICHET - Poi il presidente della Repubblica ha rivolto i propri complimenti all'azione svolta dalla Bce durante alla crisi e al suo presidente, Jean-Claude Trichet, Il banchiere, ha detto Napolitano, "ha saputo tenere la barra dritta" durante la fase di attacco all'euro e "non ha mai perso di vista la crescita europea" ha aggiunto Napolitano.

NESSUN STATO PUÒ CONTARE DA SOLO - "Soltanto parlando con la sua voce e portando avanti una politica estera e di sicurezza comune, e il Trattato di Lisbona finalmente entrato in vigore ce ne offre gli strumenti, l'Europa può contare nella politica internazionale", ha aggiunto Napolitano. "È giunto per tutti - ha spiegato - il momento di riconoscere che nessuno Stato europeo, nemmeno i più forti e i più ricchi di tradizioni storiche, persino imperiali, nemmeno i più ricchi ed economicamente avanzati, nessuno potrà con le sue sole forze contare come nel passato se non contribuendo a costruire un'Europa più unita, efficiente e dinamica". "Capisco - ha aggiunto - che si tratta di una verità sgradevole per alcuni o che sembra in questo momento contraddire gli sforzi che sta compiendo e i risultati che stanno raggiungendo alcuni Stati come, è inutile dirlo, la Germania".

PERES - Napolitano ha voluto riservare un saluto particolare al presidente d'Israele Shimon Peres riconoscendo "lo sforzo che si sta facendo ora per dare un assetto pacifico alla tormentata area del Medio Oriente". Napolitano si è detto "rammaricato" che la sua assenza da Roma abbia impedito un incontro con il presidente israeliano anche se si è detto sicuro che nei prossimi mesi ci sarà occasione di vedersi. Il capo dello Stato ha anche aggiunto che quando tornerà in Israele è fiducioso che si vedrà "l'evoluzione positiva dello sforzo che si sta facendo ora per dare un assetto pacifico a quella tormentata area del Mediterraneo".

TREMONTI - Intanto a Cernobbio è arrivato anche il ministro dell' Economia Giulio Tremonti. Nell’uscita dalla crisi "siamo ancora in terra incognita" ma l’Italia non ha bisogno di una nuova manovra economica in autunno, ha sottolineato il ministro, secondo cui "siamo ancora in terra incognita, anche se è finita per l’Italia la fase che ci ha portato da un ultimo a fare la manovra". "Non c’è bisogno di una manovra in autunno - ha aggiunto il ministro a margine del workshop Ambrosetti - e in autunno ci sarà la finanziaria che conterrà la manovra in tre tabelle".

Redazione online

04 settembre 2010

 

 

 

 

IL MINISTRO dell'economia da Cernobbio INVITA A PRUDENZA E a realistica visione cose

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Il ministro Tremonti a Villa D'Este (Ap)

Il ministro Tremonti a Villa D'Este (Ap)

CERNOBBIO - "Sono convinto che siamo ancora in terra incognita". Così il ministro dell'Economia,Giulio Tremonti, precisa il suo pensiero riguardo alla situazione della crisi economica. "Io rispondo delle cose che dico - sottolinea - e non di quello che titolano gli altri"". Il ministro si riferisce alla sua intervista, pubblicata sabato su La Repubblica, con il titolo "L'emergenza è finita". Secondo Tremonti è possibile che ci siano ancora "problemi". "Non in Italia - precisa - in altri paesi d'Europa". Il ministro invita quindi alla "prudenza, a una realistica visione delle cose. Certo - conclude - questo autunno chi sperava in un crollo nostro, ci dispiace, ma resterà deluso".

LA MANOVRA - "La situazione - nota Tremonti - ha margini di grande incertezza e imprevedibilità", ma "per l'Italia non c'è un problema sull'autunno, non c'è un problema di manovra correttiva perché basta la manovra già fatta". Tremonti nota che le "entrate fiscali non vanno male, le aste di titoli pubblici non vanno male. Il sistema nell'insieme tiene, per merito degli italiani, delle famiglie, dei lavoratori, delle imprese e se volete anche un pò del governo". Tremonti risponde quindi a chi pensava "il paese crolla, ci sarà il terzo autunno in cui l'Italia è attesa per il crollo economico, sociale, produttivo, occupazionale": "mi spiace di notare - replica - che non è così". Quanto all'ipotesi di un "patto" con l'opposizione sui temi dell'economia, Tremonti si limita a sottolineare che "il documento europeo che dobbiamo fare entro aprile prevede la consultazione del Parlamento, che è fatto da maggioranza e opposizione. È necessario sentire il Parlamento e tutti possono esprimere idee e proposte, poi i governi hanno il dovere di fare la sintesi. Questo è quello che dobbiamo fare entro aprile". "L'opposizione - conclude il ministro - deve e può essere propositiva e costruttiva e la maggioranza deve ascoltarla. Basta che non ci siano proposte che fanno deficit e debito perchè deficit e debito non fanno sviluppo ma crisi". (fonte: Radiocor)

04 settembre 2010

 

 

 

"I capitali arabi nelle banche italiane? gli investimenti esteri sono sempre possibili"

Trichet: "Serve una posizione comune

dell'Europa all'interno del Fmi"

Il presidente della Bce interviene sulla crisi greca:

"La scelta peggiore sarebbe l'uscita di Atene dall'euro"

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Trichet: "Serve una posizione comune

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Il presidente della Bce interviene sulla crisi greca:

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Jean Claude Trichet

Jean Claude Trichet

CERNOBBIO (Como) - Per la Grecia la soluzione peggiore sarebbe l'uscita dall'euro. Il presidente della Banca Centrale Europea, Jean Claude Trichet, esclude il ritorno alla dracma come un'opzione praticabile per affrontare la profonda crisi dell'economia ellenica. "Sarebbe la scelta peggiore" dichiara ai giornalisti durante il workshop Ambrosetti. A proposito della moneta unica europea, il numero uno della Bce ricorda che "è stata creata non contro il dollaro, ma per costruire la stabilità e la prosperità dell'Unione Europea". "L'euro - ha spiegato Trichet - è stato istituito proprio per ottenere un mercato unico con valute fluttuanti, non è stato realizzato contro il dollaro".

FMI - Trichet incoraggia "caldamente" l'Europa ad adottare una posizione comune nel Fondo Monetario Internazionale. "È un problema che non riguarda la Bce - ha risposto alla domanda di un giornalista - personalmente incoraggio caldamente l'Europa ad avere una posizione comune, o almeno univoca. È fondamentale per la governance internazionale che tutti i partner economici, dai Paesi avanzati a quelli emergenti migliorino il modo con cui è gestito il Fondo Monetario. Caldeggio e chiedo ai partner europei una posizione univoca".

CAPITALI ARABI - Rispondendo a una domanda sull'ingresso dei capitali arabi nelle banche italiane, come nel caso Unicredit, Trichet ha poi detto: " Non voglio commentare questo. Dico solo che viviamo in un mondo aperto e gli investimenti diretti esteri sono sempre possibili".

04 settembre 2010

 

 

 

 

 

l'inchiesta "grandi eventi". Un verbale accusa l'ex procuratore Toro

Indagine sui soldi versati

al capo del Consiglio di Stato

Dai pm di Perugia sospetti su 250 mila euro Una nuova lista dei clienti di Anemone

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Diego Anemone, il costruttore considerato una delle figure centrali dell'inchiesta condotta dalla procura di Perugia sugli appalti per i Grandi Eventi (Ansa)

Diego Anemone, il costruttore considerato una delle figure centrali dell'inchiesta condotta dalla procura di Perugia sugli appalti per i Grandi Eventi (Ansa)

PERUGIA - Nuove ristrutturazioni nelle abitazioni e negli uffici di clienti potenti, altre operazioni bancarie sospette. La pausa estiva non ha fermato l'inchiesta della Procura di Perugia sulla gestione dei Grandi Eventi. E dopo una recente segnalazione di Bankitalia gli accertamenti si concentrano su 250 mila euro versati lo scorso anno da un famoso avvocato sul conto corrente del giudice Pasquale de Lise, il presidente del Consiglio di Stato che all'epoca guidava il Tar del Lazio. In vista del verdetto della Corte di Cassazione - che a fine mese si pronuncerà sulla competenza dei pubblici ministeri umbri - gli investigatori hanno acquisito ulteriori elementi relativi al filone d'indagine che riguarda l'ex procuratore aggiunto Achille Toro e a quello sull'ex responsabile dello Sviluppo Economico Claudio Scajola. Mentre il tribunale dei ministri conferma la validità degli indizi raccolti nei confronti dell'ex titolare dei Trasporti Pietro Lunardi accusato di corruzione insieme all'arcivescovo di Napoli Crescenzio Sepe e definisce "corroborata la prospettiva accusatoria". L'atto, necessario per trasmettere al Parlamento la richiesta di autorizzazione a procedere nei suoi confronti, è già stato definito "puramente formale", dal difensore Gaetano Pecorella.

Il giudice Pasquale De Lise (Imagoeconomica)

Il giudice Pasquale De Lise (Imagoeconomica)

I soldi e il genero

Sono almeno una decina gli "avvisi" trasmessi dall'ispettorato della Banca d'Italia sul conto di de Lise e di suo genero Patrizio Leozappa, avvocato che aveva rapporti stretti con numerosi indagati tra i quali il Provveditore Angelo Balducci e lo stesso Anemone, tanto che si occupò del sequestro della piscina del Salaria Sport Village dove, secondo gli indagati, doveva avere "un ruolo di supporto", come gli chiedevano al telefono. Il professionista ha ricevuto somme di importi piuttosto modesti, ma ritenuti "interessati" dagli inquirenti poiché provengono da personaggi che hanno avuto un ruolo negli affari della "cricca". Il giudice dovrà invece spiegare per quale motivo un famoso legale esperto di diritto amministrativo nel luglio scorso abbia depositato direttamente sul suo conto un assegno di 250.000 euro. All'epoca de Lise era presidente del Tar del Lazio e in questa veste si occupò di numerosi ricorsi su appalti pubblici. Nel giugno scorso è stato invece nominato alla guida del Consiglio di Stato nonostante il suo nome fosse finito agli atti dell'inchiesta per il ruolo rivestito nel 2005, quando era consigliere giuridico di Lunardi. Fu proprio lui ad istruire la pratica per la concessione del finanziamento da 2 milioni e mezzo di euro a Propaganda Fide, la Congregazione per l'evangelizzazione che appena un anno prima aveva venduto allo stesso Lunardi un palazzetto al centro di Roma stimandolo, dice l'accusa, almeno un terzo del valore. I magistrati vogliono adesso scoprire per quale motivo il giudice abbia ricevuto quei soldi. E lo fanno tenendo conto che il genero era diventato punto di riferimento per gli imprenditori che miravano a ottenere ragione in sede amministrativa. Tra le telefonate che gli investigatori stanno riesaminando c'è pure quella del 26 febbraio 2008 quando il costruttore Emiliano Cerasi, titolare dell'impresa Sac, telefona al provveditore Fabio De Santis. Annotano i carabinieri: "Con tono preoccupato lo informa di aver saputo che la Giafi di Valerio Carducci intende presentare ricorso per la gara del nuovo Teatro di Firenze". Poi aggiunge: "Ho saputo che utilizza l'avvocato Izzo che è molto pericoloso, molto ... specialmente in Consiglio di Stato ... quindi io metterò Patrizio".

L'appunto su "Berlusconi"

La maggior parte dei nomi erano già contenuti nella cosiddetta "lista Anemone", l'elenco dei lavori svolti dalle aziende del Gruppo e trovati nel computer di Daniele Anemone, fratello dell'imprenditore arrestato e ora tornato in libertà. Ma su quel "listino" di circa cento voci, trovato dalla Guardia di Finanza tra i file custoditi nel computer del commercialista Gazzani, i pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi hanno già disposto ulteriori accertamenti. Non contiene infatti alcuna data né importo, però potrebbe essere l'indice delle ristrutturazioni effettuate e non pagate direttamente dai beneficiari. Ci sono riferimenti precisi a Scajola, che ottenne i soldi per l'acquisto dell'appartamento con vista Colosseo, oltre alla ristrutturazione gratuita. È citato anche il generale dei servizi segreti Francesco Pittorru al quale sono state intestate due case comprate per ordine di Anemone. In entrambi i casi si è accertato che le fatture da decine di migliaia di euro per il rifacimento dei loro immobili furono emesse a carico del Sisde e pagate con i soldi destinati al rifacimento della nuova sede degli 007 in piazza Zama, a Roma. E adesso si è scoperto che una parte dei lavori per il ministro fu affidata alla "Medea" società di Anemone gestita per un periodo da Mauro Della Giovampaola, delegato alla missione G8 anche lui finito agli arresti nella prima fase dell'inchiesta. Uno dei nomi citati nella nuova lista è "Berlusconi", senza nessun altro riferimento e ora si sta cercando di stabilire se si tratti di Paolo, il fratello del premier che attraverso una delle sue aziende si occupò di una parte dei lavori a La Maddalena in vista del vertice G8 oppure se ci si riferisca a qualche intervento effettuato a Palazzo Chigi. Del resto le imprese di Anemone avevano ottenuto grazie all'interessamento di Balducci l'appalto per la manutenzione degli stabili di diverse istituzioni. Un affare da milioni di euro che sembra aver scatenato numerosi appetiti. In una delle telefonate intercettate la segretaria di Scajola avvisa proprio Balducci che "il ministro Brambilla vuole farsi assegnare la delega per gestirli".

Toro e i testimoni

Personaggio chiave dell'indagine continua ad essere, secondo i magistrati, l'ex procuratore aggiunto di Roma Achille Toro indagato per concorso in corruzione e rivelazione di segreto d'ufficio. Agli atti dell'indagine c'è un verbale che viene ritenuto "importante" per confermare le "soffiate" arrivate agli indagati. È quello di Massimo Sessa, uno dei dirigenti delle Infrastrutture che nel gennaio scorso partecipò insieme a Balducci ad un incontro organizzato a casa dell'avvocato romano Edgardo Azzopardi, l'amico della famiglia Toro accusato di aver ottenuto da Camillo Toro, figlio del magistrato, le notizie sull'inchiesta in corso. Sessa ha confermato la circostanza, pur cercando di minimizzare. "Effettivamente - ha dichiarato - quella mattina parlammo delle indagini in corso a Roma. Ricordo che Balducci era molto preoccupato sia perché stava male, sia perché temeva gli sviluppi degli accertamenti". All'epoca i protagonisti immaginavano di aver i telefoni sotto controllo e così utilizzavano un linguaggio in codice. Lo fa Azzopardi quando, proprio in quei giorni, contatta Manuel Messina, collaboratore di Anemone e lo avvisa: "Piove". L'interlocutore si agita: "Non mi dire... pesantemente? Piove parecchio?". La risposta è lapidaria: "Speriamo che non ti piova dentro casa perché... piove tanto".

Fiorenza Sarzanini

04 settembre 2010

 

 

 

 

una nota per chiarire la presenza del nome del Cavaliere nella lista di Anemone

Ghedini: "Lavori di modesta entità ordinati daFi e regolarmente fatturati"

L'avvocato del Premier: "Notizie per diffamare Berlusconi"

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Niccolò Ghedini (Ansa)

Niccolò Ghedini (Ansa)

ROMA - "Come sempre vengono pubblicate notizie, coperte da segreto di indagine e senza alcun riscontro al solo scopo di diffamare il Presidente Berlusconi. La asseritamente nuova lista dei lavori eseguiti dalla ditta Anemone per quanto riguarda il Presidente Berlusconi non rappresenta alcun elemento di novità". Lo afferma l'avvocato del premier Niccolò Ghedini in una nota.

I LAVORI - "Come già documentalmente comprovato per la precedente lista si tratta di alcuni modesti lavori di manutenzione eseguiti dalla ditta Anemone, una delle società più apprezzate nel settore edile. È quindi evidente che in questa lista non vi è altro se non la riproposizione dei lavori che nella prima erano indicati con la dicitura Palazzo Grazioli. Tali lavori erano stati ordinati da Forza Italia quale adeguamento di alcuni locali utilizzati a Palazzo Grazioli dal partito. Il prezzo dei lavori è stato regolarmente fatturato e regolarmente pagato. Era quindi sufficiente un modesto approfondimento per evitare di lanciare sulle prime pagine dei giornali una notizia del tutto infondata", conclude Ghedini. (fonte: Ansa)

04 settembre 2010

 

 

 

Il caso | La settimana prossima il verdetto della Cassazione

La difesa di Carboni: "Intercettavano

me per ascoltare i politici"

Nuova richiesta di scarcerazione del faccendiere

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Flavio Carboni in una foto di archivio (Ansa)

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MILANO - Chiede nuovamente di essere scarcerato, Flavio Carboni, l'imprenditore-faccendiere presunto organizzatore di una presunta associazione segreta, in prigione da due mesi. Senza aspettare il verdetto della Cassazione contro l'ordinanza del Tribunale della libertà che a fine luglio l'ha lasciato dentro. Ci sono indizi gravi di una "continuativa azione di interferenza sull'esercizio di organi costituzionali e amministrazioni pubbliche", hanno detto i giudici del Riesame.

E solo la galera (per Carboni e per gli altri due arrestati, Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino) può impedire che "la prosecuzione dell'attività delittuosa della societas sceleris condizioni ulteriormente gli equilibri istituzionali e l'affidabilità sociale di istituzioni pubbliche, fra cui importanti uffici giudiziari". Come la Corte di Cassazione, che la prossima settimana deve decidere se liberare o meno gli indagati detenuti.

Ma l'associazione segreta non esiste, ha ripetuto ieri Carboni in un nuovo interrogatorio al procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo e al sostituto Rodolfo Sabelli. I magistrati dovranno dare un parere sull'istanza di liberazione che l'avvocato Renato Borzone, difensore del faccendiere, presenterà stamani; e dovranno decidere se iscrivere nel registro degli indagati altri personaggi coinvolti nelle "trame" contestate al "gruppo di potere occulto", che finora hanno vestito il ruolo di testimoni. Già inquisiti, insieme ai tre arrestati, sono i parlamentari del Pdl Denis Verdini e Marcello Dell'Utri, Nicola Cosentino e Giacomo Caliendo.

Manca qualunque elemento per sostenere che sia avvenuto un "concreto e significativo" tentativo di condizionamento della Corte costituzionale, della Cassazione, o del Consiglio superiore della magistratura, insiste Carboni, provando a rintuzzare le ricostruzioni dell'accusa avallate dal giudice delle indagini preliminari e da quelli del Riesame. Secondo i magistrati che l'hanno tenuto in carcere, "il gruppo facente capo a Carboni ha operato in un complesso intreccio di interessi condivisi, minacce, benefici procurati o promessi, che generava un potere di fatto e consentiva ai membri del gruppo di proporsi, perfino a personalità di alto livello, quali efficaci elementi di pressione e di intervento".

Tutto sbagliato, ribatte l'avvocato Borzone nel suo ricorso. I giudici "inquadrano episodi di pur deplorevoli raccomandazioni o supposti abusi d'ufficio come aggressioni alla integrità istituzionale degli organi; ma se così fosse, nel periodo di Tangentopoli, in cui oltre che organi pubblici le interferenze riguardavano anche la vita e il funzionamento dei partiti su cui si fonda la vita democratica, si sarebbero dovute individuate decine di associazioni segrete".

Chiosa il legale che se le attività di lobbying come quelle esercitate sul Csm fossero davvero illecite, "le patrie galere pullulerebbero di "raccomandanti"". E ancora: la segretezza non si deve confondere con la riservatezza degli inquisiti, diretta solo "a non far scoprire alcune attività non costituenti reato, o a mantenere riservato il proprio agire per meglio tutelare i propri interessi o propri affari".

Ma c'è una questione preliminare che secondo il difensore di Carboni mina l'inchiesta basata quasi esclusivamente su intercettazioni telefoniche. Le registrazioni dei colloqui sarebbero illegali perché i parlamentari (non intercettabili senza l'autorizzazione della Camera d'appartenenza) vi compaiono talmente spesso da far credere che siano loro l'obiettivo indiretto dell'ascolto. Il tribunale della libertà ha già replicato che è stato tutto "casuale", perché "non era preventivamente prevedibile che venissero captate conversazioni con dei parlamentari". Ribadisce la difesa di Carboni: fin dall'inizio dell'indagine è "emerso un costante contatto telefonico tra Carboni, Verdini e Dell'Utri", e man mano che i colloqui andavano avanti si capiva che altri ne sarebbero seguiti: "Gli inquirenti sapevano che intercettare le conversazioni di Carboni, Lombardi e Martino significava certamente intercettare i loro colloqui con Dell'Utri, Verdini e Cosentino (e Caliendo e Lusetti), riguardanti affari illeciti... In poco più di un mese i tre indagati (Carboni, Lombardi e Martino, ndr) effettuano 27 telefonate verso parlamentari, in un rapporto di quasi quotidiana frequentazione telefonica e personale inerente le ipotesi di reato per cui si stava procedendo". I pm dovevano fermarsi e chiedere, eventualmente, l'autorizzazione al Parlamento, sostengono i difensori; non l'hanno fatto e ora tutto quel materiale è da considerarsi non utilizzabile. Anche su questo, oltre che sui gravi indizi di colpevolezza, dovrà ora pronunciarsi la Corte di Cassazione.

Giovanni Bianconi

04 settembre 2010

 

 

 

 

 

 

2010-09-03

Il presidente del Consiglio lo annuncia in una nota

Berlusconi: "Prossima settimana

nuovo ministro allo Sviluppo"

"Il mio "interim" non è stato un vuoto ma un "pieno". È stato nelle mani di una delle istituzioni più autorevoli"

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L'ex ministro Claudio Scajola (Imagoeconomica)

L'ex ministro Claudio Scajola (Imagoeconomica)

ROMA - "La settimana prossima sottoporrò al Capo dello Stato il nome di un nuovo ministro dello Sviluppo". Lo dice in una nota il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che aggiunge: "Vedo che da più parti si chiede la nomina di un nuovo Ministro per lo Sviluppo, sostenendo che sino ad ora ci sarebbe stato un vuoto in questa funzione. Mi permetto di garantire che il mio "interim" non è stato un vuoto, ma un "pieno", un vero e proprio pieno di decisioni e di provvedimenti e che il dicastero di Via Vittorio Veneto è stato ed è nelle mani di una delle istituzioni più autorevoli del Paese, quella del Presidente del Consiglio. Sono state assunte molteplici decisioni organizzative, tutte tese all'efficacia e all'efficienza, sono state tenute molteplici riunioni con i rappresentanti delle imprese, dei lavoratori, degli enti territoriali, si è operato incessantemente a supporto di imprese, investimenti, innovazione, telecomunicazioni, intermediazione delle imprese, settore dell'energia, con una decisione e con una concretezza mai viste prima, come credo, nella storia del ministero".

"COSA HO FATTO" - Berlusconi sottolinea: "Sono stati più di 300 i provvedimenti che hanno recato la mia firma, anche per tutto il mese di agosto. Voglio citarne uno: la cosiddetta legge Berlusconi inserita nella Manovra, una norma che comporta una vera rivoluzione liberale del nostro sistema di rapporti con la Pubblica Amministrazione. Questa norma introduce infatti il principio per cui, mentre sino ad ora al cittadino era consentito soltanto ciò che era espressamente previsto come tale dalla legge, da ora in avanti sarà consentito tutto ciò che dalla legge non è espressamente vietato. Questo - conclude Berlusconi - permetterà, per fare un esempio, di aprire una qualsiasi impresa senza dover ottenere le tante autorizzazioni che oggi sono necessarie (a volte più di dieci), sostituite tutte da una verifica 'a posteriorì da parte della Pubblica Amministrazione circa la conformità alle varie norme di quanto realizzato. Davvero una assoluta rivoluzione".

IN PRECEDENZA - La nota del presidente del Consiglio giunge dopo quattro mesi di vacatio (Claudio Scajola si è dimesso il 4 maggio). Già il 23 luglio Berlusconi aveva annunciato nel corso della conferenza stampa conclusiva del vertice italo-russo con il presidente della Federazione russa, Dmitrij Medvedev: "La prossima settimana sarà nominato il nuovo ministro dello Sviluppo Economico".

BERSANI - "Non è la prima volta che sento dire che la nomina ci sarà la prossima settimana. Di che anno...? Spero che sia di quest'anno". Lo ha detto il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, rispondendo ai giornalisti che alla festa dell'Api di Labro che gli chiedono di commentare le dichiarazioni del premier Silvio Berlusconi sulla nomina, la settimana prossima, del nuovo ministro dello Sviluppo Economico. Comunque per Bersani l'interim di Berlusconi "è stato un vuoto totale". E quindi ha concluso: "Abbiamo bisogno di mettere mano a problemi seri: non è che un ministro possa risolverli tutti, ma almeno darebbe il segno che un presidio c'è. Berlusconi è stato il ministro più inconcludente che ci sia mai stato".

DI PIETRO - Il presidente dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, commentando le dichiarazioni di Berlusconi sull'interim al ministero dello Sviluppo Economico ha detto: "Berlusconi continua a bluffare e a prendere in giro gli italiani. Invece di pensare al Paese, continua a sistemare e tutelare gli affari suoi e delle sue imprese. L'illegittima occupazione del ministero dello Sviluppo Economico ne è la dimostrazione. Il signor Berlusconi è scollegato dal Paese reale, vive nel suo bunker e sostiene che tutto va bene. Ma se tutto funziona e tutto va bene, come afferma lui, per quale motivo i precari della scuola continuano a scioperare, le fabbriche e le imprese chiudono, l'indice della disoccupazione è ai massimi storici e l'economia va a rotoli? È ora che faccia le valigie e liberi l'Italia dai suoi soprusi".

Redazione online

03 settembre 2010

 

 

 

L'ad di Intesa Sanpaolo a Cernobbio durante il workshop dello studio Ambrosetti

Passera: "Urgenti le nomine alla Consob

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Il banchiere: "La ripresa? C'è ma in alcune parti del mondo come in Europa non è sufficiente"

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Corrado Passera, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo (Ansa)

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CERNOBBIO - Il Paese "sente la necessità" che siano nominati tanto il nuovo ministro dello sviluppo economico quanto il presidente della Consob. Lo ha detto l'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, parlando a Cernobbio a margine dei lavori del workshop dello studio Ambrosetti. "Si sente la necessità di entrambi - ha spiegato - ed è urgente che entrambe le posizioni vengano coperte". Parlando del ministero dello sviluppo economico, Passera ha ricordato che si tratta di "un ruolo molto importante all'interno del governo" e che "tutti ci auguriamo che ci sia presto la persona giusta in un posto così importante".

NAPOLITANO - Il banchiere ha richiamato anche le parole del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sulla necessità di una seria politica industriale: "è un tema di lungo termine cui tutti devono contribuire perchè non è solo una questione di economia. Un paese cresce - ha detto Passera - quando funzionano le imprese, il sistema paese, la giustizia, l'istruzione e quando ci sono coesione sociale e dinamismo". Per l'ad di Intesa Sanpaolo per una crescita "stabile nel lungo periodo" occorre "lavorare tutti insieme". "È chiaro - ha poi aggiunto - che il ruolo di un ministro come quello dello sviluppo economico è pivotale se si ha un obiettivo di questo genere". Passera ha poi invitato a un lavoro coordinato "anche tra le parti sociali". "Non si può chiedere al governo - ha concluso - di spingere l'economia. L'importante è che imprenditori e sindacati, se si vuole stabilmente crescere nel lungo periodo, lavorino insieme".

RIPRESA IN EUROPA NON SUFFICIENTE - Per Corrado Passera "la ripresa c'è" ma "forse questa ripresa in alcune parti del mondo come in Europa non è sufficiente e non sufficientemente diffusa". "Però c'è e questo è importante", ha detto il banchiere. Per Passera "cresce una buona parte del mondo, che è quella in via di sviluppo che ormai è tutta insieme un pezzo importante dell'economia globale e pareggia quasi quella americana che pur non crescendo tanto, comunque cresce". Per quanto riguarda l'Europa "ci sono Paesi che riescono a crescere di più e Paesi che crescono di meno ed è giusto andare a vedere perchè alcuni Paesi meglio di altri sanno approfittare del commercio internazionale e sanno saltare sopra la nuova fase di crescita. L'Italia - ha concluso - deve saper fare questo".

Redazione online

03 settembre 2010

 

 

 

messaggio del presidente per il 28° anniversario dell'uccisione del prefetto Dalla Chiesa

Napolitano: "Le istituzioni

sostengano la magistratura"

Il Capo dello Stato: "Rafforzare, soprattutto nei giovani, la cultura della legalità e il senso della democrazia"

messaggio del presidente per il 28° anniversario dell'uccisione del prefetto Dalla Chiesa

Napolitano: "Le istituzioni

sostengano la magistratura"

Il Capo dello Stato: "Rafforzare, soprattutto nei giovani, la cultura della legalità e il senso della democrazia"

(Ansa)

(Ansa)

ROMA - "Rafforzare, specialmente nei giovani, la cultura della legalità e il senso della democrazia" e "rinnovare un convergente e deciso sostegno delle istituzioni repubblicane e della società civile all'attività di contrasto delle organizzazioni criminali svolta dalla magistratura e dalle forze dell'ordine, al fine di contenerne la capacità di controllo del territorio e di infiltrazione nella economia, nazionale e internazionale". È stato questo il duplice appello rivolto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel messaggio inviato al prefetto di Palermo Giuseppe Caruso, in occasione del 28° anniversario dell'uccisione del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell'agente Domenico Russo. Il Capo dello Stato, rinnovando ai familiari delle vittime "i sentimenti di vicinanza e gratitudine di tutti gli italiani" e la sua "personale e solidale partecipazione", ricorda che il generale Dalla Chiesa "servitore dello Stato di grande rigore civile e morale, da alto ufficiale e da prefetto della Repubblica pose costante impegno nell'azione di contrasto al terrorismo e alla mafia, adottando metodi investigativi atti a fronteggiare efficacemente l'espandersi di fenomeni criminali che andavano segnando tragicamente il nostro Paese".

SCHIFANI: "DALLA CHIESA, MARTIRE DELLA GIUSTIZIA"- Nel suo messaggio il Presidente del Senato, Renato Schifani, ha ricordato Carlo Alberto Dalla Chiesa, sua moglie Emanuela Setti Carraro e l'agente Domenico Russo come "martiri della giustizia, che hanno pagato con il prezzo estremo della vita la loro lotta quotidiana e senza riserve contro la mafia nella terra di Sicilia. Dalla Chiesa - prosegue Schifani - ha dedicato ogni momento della sua esistenza al servizio delle Istituzioni con senso del dovere, con lealtà e rettitudine, con rigore, con altruismo e immenso amore per l'Italia e per i cittadini onesti. Un esempio al quale ciascuno di noi deve guardare, un modello al quale fare riferimento in ogni azione quotidiana per continuare a realizzare la difficile ma non impossibile vittoria dello Stato sulla violenza criminale mafiosa".

FINI: "RAFFORZARE IL LAVORO DELLE ISTITUZIONI" - Anche il presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini, nel suo ricordo del generale Dalla Chiesa ha detto che "il tempo trascorso non può scalfire il ricordo di questa straordinaria figura di servitore dello Stato, impegnato con coraggio e con profondo senso del dovere nella lotta al terrorismo ed alla mafia, fino all'estremo sacrificio della vita. Dopo l'assassinio del generale Dalla Chiesa qualcuno scrisse su un cartello "qui finisce la speranza dei palermitani onesti". Onorare la sua memoria significa innanzitutto dimostrare che quella speranza si è rafforzata grazie al lavoro risoluto e generoso di quanti, istituzioni, magistrati, forze dell'ordine e cittadini, sono intensamente impegnati nella lotta contro la criminalità organizzata".

MARONI: "GOVERNO VICINO A CHI E' IN PRIMA LINEA" - Il ministro Roberto Maroni, nel suo intervento in occasione del 28esima anniversario dell'uccisione del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, ha voluto ribadire che "il governo è vicino a coloro che sono in prima linea. È quello che mancò al generale dalla Chiesa rendendolo un bersaglio facile".

03 settembre 2010

 

 

 

La proposta del presidente del Partito Democratico. Di Pietro

La proposta della Bindi

"Se si vota alleanza con Fli"

Poi l'invito all'Udc: "Entri nel nuovo Ulivo per costruire alternativa di governo". Capezzone: "Un'ammucchiata"

La proposta del presidente del Partito Democratico. Di Pietro

La proposta della Bindi

"Se si vota alleanza con Fli"

Poi l'invito all'Udc: "Entri nel nuovo Ulivo per costruire alternativa di governo". Capezzone: "Un'ammucchiata"

Il presidente della Camera Gianfranco Fini e la vice presidente del Partito democratico Rosy Bindi in una foto d'archivio (Ansa)

Il presidente della Camera Gianfranco Fini e la vice presidente del Partito democratico Rosy Bindi in una foto d'archivio (Ansa)

MILANO - "Se Berlusconi e la Lega dovessero portare il Paese alle terze elezioni in sei anni, allora noi proporremo al Fli un'alleanza per la democrazia. Noi staremo con tutti coloro che sono disponibili a salvare questa Costituzione": è quanto ha detto il presidente del Partito Democratico Rosy Bindi ospite della trasmissione Iceberg di Telelombardia. "Dopo le parole di Farefuturo sul killeraggio del berlusconismo - ha aggiunto - che cosa aspettiamo da domenica se non la rottura definitiva?".

NUOVO ULIVO - Per Rosy Bindi il nuovo Ulivo proposto da Bersani deve aprirsi alle forze moderate del Paese: "Noi diciamo che anche l'Udc debba entrare in questa nuova forza, si è aperta una possibilità di prospettiva e incontro per costruire una alternativa di governo". "Sulle elezioni Berlusconi bluffa, ha paura delle elezioni, le minaccia perché vuole gli "accordicchi" nella sua maggioranza. Il presidente del consiglio sa che non vincerebbe. Bene che gli vada - ha concluso Rosy Bindi - non avrà mai una maggioranza al Senato e, comunque vada, vinceremo noi perchè abbiamo tutte le carte in regola per vincere".

BOCCHINO - Alleanze con il Pd e la sinistra in caso di elezioni anticipate come ipotizzato da Rosi Bindi e dallo stesso segretario del Pd Bersani? I finiani, con Italo Bocchino, lo escludono categoricamente. "Noi siamo nel centrodestra e restiamo nel centrodestra - spiega il capogruppo di Fli alla Camera all'Agi. "Siamo in questa maggioranza e ci resteremo", assicura. Anche in caso di elezioni anticipate? "Non ci sono ragioni per elezioni anticipate - scandisce Bocchino - e non ci sono ragioni politiche e culturali per alleanze di Futuro e libertà con la sinistra". Ma nel Pd si è aperto un dibattito importante sui rapporti con Fini. "Sarà importante - chiude Bocchino - ma non riguarda noi".

DI PIETRO - Antonio Di Pietro, in un'intervista pubblicata dal settimanale Left, sembra rispondere alla Bindi: "Il Partito democratico deve fare una scelta: stare dalla parte di una sinistra riformista oppure mettersi assieme a questo terzo polo. Costruito fra l'altro con i rimasugli della Prima repubblica. Per noi non esiste nessuna possibilità di fare agglomerati con personaggi in cerca d'autore. Con Udc e finiani non ci possiamo alleare e comunque Fini e Casini non staranno mai con il centrosinistra". "Il nome "nuovo Ulivo" mi piace - prosegue - e mi riferisco alla proposta di un'alleanza democratica lanciata da Bersani. Ma dentro ci devono stare i contenuti. Noi dell'Idv vogliamo essere i promotori di un'alleanza riformista, solidale, democratica che si fondi su tre fattori, uniformità di programma, unità d'intenti sugli obiettivi e una leadership scelta in maniera democratica".

BOSSI - Umberto Bossi, ai microfoni di SkyTg24, attacca Fini: "Spero che Fini non faccia "casini"... Non credo che a Mirabello dirà che fa il partito, questo non lo dirà". "Vedremo, secondo me lui si pente di aver chiuso il suo partito e quindi cerca di tornare sui suoi passi". Quanto alla eventualità di elezioni anticipate, Bossi afferma: "Non voglio dire niente, ci sono entrambe le possibilità".

CAPEZZONE - "Come volevasi dimostrare, nonostante le smentite dei giorni passati, il Pd ha in testa solo un'ammucchiata in salsa antiberlusconiana. Divisi su tutto, senza proposte e senza progetto comune, uniti solo in un'ostilità tribale e prepolitica contro il Premier. E le parole di Rosy Bindi ne sono l'ennesima conferma". Lo dice Daniele Capezzone, portavoce Pdl. (

" MAI PENSATO AD AMMUCCHIATE" - La presidente del Pd Rosi Bindi corregge il tiro su eventuali alleanze con Gianfranco Fini. "Giovedì sera - spiega in una nota - intervistata a Telelombardia ho ripetuto cose già dette in altre occasioni in queste settimane. Ho spiegato che se Berlusconi cerca la prova di forza con il voto anticipato e se ci sarà un attacco alla Costituzione, noi chiederemo a tutti di difendere la Costituzione e la democrazia. Non ho proposto né alleanze con Fini, né ammucchiate. Del resto, non fu un'ammucchiata quella dei cittadini che vinsero nel 2006 il referendum sulla Costituzione".

Redazione online

03 settembre 2010

 

 

Processo breve, Alfano porta il testo al Quirinale

Retroattività solo per i reati previsti dall'indulto di Prodi nel 2006. Ma il Cavaliere valuta anche altre strade

Processo breve, Alfano porta il testo al Quirinale

Retroattività solo per i reati previsti dall'indulto di Prodi nel 2006. Ma il Cavaliere valuta anche altre strade

ROMA - Mentre Silvio Berlusconi continua il confronto a distanza con Gianfranco Fini, il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, sale al Quirinale per parlare con Giorgio Napolitano proprio del punto più delicato della contesa con il Presidente della Camera: la riforma della giustizia e il "processo breve". Alla fine il Guardasigilli parla di "lungo e proficuo incontro di ricognizione sulle politiche della giustizia, sul lavoro svolto in questi due anni e sulle prospettive delle riforme". Ma non si è trattato di un incontro facile né risolutivo.

Alfano ha spiegato al presidente l'intenzione del governo di andare avanti con la promessa riforma complessiva della giustizia, compreso però anche il punto che potrà incontrare le difficoltà non solo dei finiani, ma anche dello stesso Napolitano che dovrà decidere se firmarlo o rinviarlo alle Camere. Il ministro ha illustrato tutto il progetto di riforma precisando anche le possibili soluzioni tecniche. Prima di tutto quella che limiterebbe la contestata "norma transitoria" ai reati commessi prima dell'indulto del 2006, firmato da Romano Prodi. Quasi a dire: se lo ha fatto un governo di centrosinistra perché non potrebbe farlo anche uno di centrodestra? Con esclusione dei delitti più gravi, come associazione sovversiva, banda armata, mafia e sequestro di persona, ma non del reato di corruzione, che riguarda i procedimenti che coinvolgono Berlusconi. Mentre negli stessi ambienti vicini ad Alfano si scommette che Fini all'inizio si metterà di traverso, ma alla fine farà passare il testo, magari con qualche piccola modifica.

Il capo dello Stato ha ascoltato con interesse, ma non avrebbe espresso giudizi di sorta. Prima di tutto per la già manifestata intenzione di volersi tenere fuori da ogni trattativa e di attendere l'eventuale approvazione del disegno di legge. Solo allora entrerà in scena operando un giudizio sul merito. Ma poi anche perché vuole capire se davvero si arriverà al voto finale su quel ddl o se invece farà la fine di quello sulle intercettazioni, come aveva fatto notare il giorno prima ai giornalisti che a Venezia lo incalzavano sulla materia.

Un clima comunque di grande incertezza, tanto che Silvio Berlusconi starebbe anche pensando di percorrere altre strade per giungere ad uno "scudo", tra cui una modifica al "legittimo impedimento", con un allungamento dei termini, che porterebbe automaticamente la Consulta a rinviare il giudizio atteso per il 14 dicembre su questo provvedimento.

Un pomeriggio passato per Napolitano interamente all'insegna della giustizia. Perché poco prima di incontrare Alfano aveva ricevuto anche il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Michele Vietti, per concordare l'ordine del giorno del plenum del Csm di mercoledì prossimo.

Roberto Zuccolini

03 settembre 2010

 

 

 

IL TIMORE

Il premier va alla sfida: con noi o fuori

Berlusconi: no al voto, l'astensionismo aumenterebbe del 7-8 per cento rispetto a due anni fa, a nostro danno

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La proposta del Pd a Fini "Alleanza se si va al voto" (3 settembre 2010)

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Silvio Berlusconi

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ROMA - Tre giorni fa si aspettava il discorso di Fini. Ora sembra che Berlusconi non attenda più. Riferiscono che gli interessa sino a un certo punto, che l'importante sarà la verifica in Parlamento: chi è con il governo e chi contro, chi vota il programma e chi no, chi ci sta sulla giustizia e sullo scudo giudiziario per il premier e chi invece si prenderà la responsabilità di non votare e dunque di far cadere l'esecutivo. Sembra che ogni canale di trattativa con Fini, con i finiani, si sia nuovamente chiuso. Di certo la Lega ha smesso di mediare e dalle parti del Cavaliere non tira più aria di distensione. C'è stato qualche tentativo nei giorni scorsi, si è fatto capire che il giudizio dei probiviri su Granata e Bocchino potrebbe slittare, ma ieri pomeriggio a Palazzo Grazioli, presenti Ignazio La Russa e Daniela Santanchè, Nicolò Ghedini e Denis Verdini, le lancette sembravano tornate nuovamente all'indietro di qualche settimana: a Berlusconi non interessa più nulla, se non della verifica parlamentare, lì si vedrà chi ha più filo, se il premier o la terza carica dello Stato.

 

"Ognuno dei due è convinto dei propri numeri, a questo punto non resta che attendere il Parlamento, sembra di assistere alla gara verso il precipizio dei due giovani di Gioventù bruciata", racconta un ministro leghista che insieme a Bossi due giorni fa è stato a Palazzo Grazioli, dal capo del governo, per ribadire la contrarietà della Lega a qualsiasi trattativa con Casini e l'Udc.

Berlusconi e Fini come Jim e Buzz del film che fece epoca, ognuno convinto di finire la propria corsa un metro dopo l'altro, è metafora che fa sorridere ma che descrive bene la dinamica in corso. Ormai non resta che attendere la gara, si terrà alla Camera alla riapertura dei lavori.

 

Con un occhio alle perplessità del Colle, dove ieri è stato il ministro della Giustizia, di certo va avanti il lavorio sul processo breve, per smussarne le conseguenze sui processi in corso. "La legge sulle intercettazioni ha insegnato qualcosa", dicono con ironia a Palazzo Chigi: e infatti l'elenco dei reati dell'indulto approvato da Prodi potrebbe finire fra le modifiche del testo, per sterilizzare le polemiche.

Tre giorni fa, durante una riunione di lavoro, il premier ha argomentato così le ragioni per cui non si può andare a votare subito: "In base ai nostri calcoli l'astensionismo aumenterebbe del 7-8% rispetto a due anni fa, e sarebbe un aumento a nostro danno, molti dei nostri non andrebbero a votare delusi dal fatto che ci hanno dato una maggioranza larghissima appena due anni fa e noi l'abbiamo buttata via". La situazione potrebbe cambiare, in caso di rottura, se fosse chiara agli italiani la responsabilità di una crisi di governo: e in fondo a questo punta il Cavaliere come opzione alternativa; se crisi deve essere che sia chiaro che è stato Fini a chiamarsi fuori.

Marco Galluzzo

03 settembre 2010

 

 

 

il tasso di disoccupazione è rimasto stabile al 9,6

Obama allontana la crisi

"Andiamo verso giorni migliori"

Ad agosto i posti di lavoro sono cresciuti di 67mila unità nel settore privato

il tasso di disoccupazione è rimasto stabile al 9,6

Obama allontana la crisi

"Andiamo verso giorni migliori"

Ad agosto i posti di lavoro sono cresciuti di 67mila unità nel settore privato

Barack Obama (Reuters)

Barack Obama (Reuters)

WASHINGTON - Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha accolto come "una notizia positiva" gli ultimi dati sull'occupazione riferiti al mese di agosto, dai quali risultata che i posti di lavoro sono cresciuti di 67mila unità nel settore privato, mentre il tasso di disoccupazione è rimasto al 9,6%, sostanzialmente stabile rispetto al 9,5% di agosto. "Sono dati positivi - ha detto Obama - che lasciano ben sperare. Andiamo verso giorni migliori".

NUOVE MISURE - Il presidente degli Stati Uniti, nella sua dichiarazione fatta nel giardino delle Rose della Casa Bianca, ha rassicurato gli americani sui segnali "positivi" della ripresa economica e ha annunciato per la prossima settimana un nuovo pacchetto di misure volte a rafforzare la ripresa e la crescita dell'occupazione. "Non dimentichiamoci della situazione in cui eravamo un anno fa - ha detto - Stiamo andando nella direzione giusta. Ma bisogna procedere più rapidamente", perché i dati sull'occupazione non sono ancora sufficienti.

Redazione online

03 settembre 2010

 

 

 

Il governatore della Banca d'Italia: "Più produttiva e competitiva"

Draghi: "Per crescere l'Italia

segua l'esempio della Germania"

Il recupero mondiale è soggetto a molti rischi, come il ritiro degli stimoli e la fragilità dei mercati finanziari

Il governatore della Banca d'Italia: "Più produttiva e competitiva"

Draghi: "Per crescere l'Italia

segua l'esempio della Germania"

Il recupero mondiale è soggetto a molti rischi, come il ritiro degli stimoli e la fragilità dei mercati finanziari

Mario Draghi (Scudieri)

Mario Draghi (Scudieri)

SEUL - La ripresa economica si sta diffondendo anche in Europa, pur se rimane un divario tra le nazioni del Nord e del Sud del Vecchio continente. Lo ha detto Mario Draghi, governatore della Banca d'Italia e presidente del Financial Stability Board (Fsb), a Seul a margine di un incontro della Fsb con il governo sudcoreano sulle regole finanziarie. E proprio per superare queste differenze, Draghi invita l'Italia a seguire l'esempio della Germania con le riforme in materia di lavoro e fisco e diventare così "più produttiva e competitiva".

RIPRESA - "C'è una probabilità che la ripresa economia su scala globale si confermi", ha affermato Draghi, il quale ha anche sottolineato che tale recupero è soggetto a numerosi rischi, tra cui quelli legati al ritiro delle misure di stimolo messe in campo e alla fragilità dei mercati finanziari. "La ripresa non è uniforme: in alcune parti del mondo, per esempio in Cina, è forte ma in altre parti non è così". Draghi sulla ripresa ha espresso "cautissimo ottimismo, con la consapevolezza dell'esistenza di rischi".

CRESCITA - La crescita è sostenuta soprattutto dal commercio mondiale e per l'Europa l'export è un elemento trainante. "Ci sono ancora mercati fragili", ha proseguito il governatore, "ma sul fronte europeo un elemento positivo è dato dalla bassa inflazione, le cui aspettative sono ancorate al livello più basso degli ultimi cinque anni".

Redazione online

03 settembre 2010

2010-09-02

Battuta del Presidente a un cronista che chiedeva notizie sul dicastero vacante

Napolitano: "Serve un ministro?

Va bene, allora passo la voce"

Il Capo dello Stato: "È venuto il momento che l’Italia si dia una seria politica industriale"

Battuta del Presidente a un cronista che chiedeva notizie sul dicastero vacante

Napolitano: "Serve un ministro?

Va bene, allora passo la voce"

Il Capo dello Stato: "È venuto il momento che l’Italia si dia una seria politica industriale"

MESTRE - Prima lo dice in modo serio. Poi con una battuta. Il Presidente della Repubblica torna sulla questione della politica industriale e sul vuoto che ancora esiste al ministero dello Sviluppo economico. "È venuto il momento che l’Italia si dia una seria politica industriale nel quadro europeo secondo le grandi coordinate dell’integrazione europea". Questo è il messaggio di Giorgio Napolitano, che ha partecipato all’inaugurazione della piazzetta a Mestre intitolata all’amico Gianni Pellicani, segretario regionale del Pci e nella segreteria nazionale nel 1989.

"PASSO LA VOCE" - Più tardi, sullo stesso tema, ha risposto con una battuta a un cronista che gli chiedeva del ministero dello Sviluppo economico tuttora vacante. Il giornalista ha chiesto al Presidente che stava per lasciare la nuova piazzetta Pellicani: "Allora ci vuole il ministro...?". Napolitano ha risposto ironicamente: "Lei crede?". Il cronista ha ribattutto "Lei ha notizie a questo riguardo?". Napolitano ha risposto: "Va bene, allora passo la voce...".

OCCUPAZIONE GIOVANILE - Il presidente ha anche sottolineato un altro tema importante per il Paese e la necessità della politica industriale, "abbiamo bisogno di questo - ha aggiunto - per l’occupazione e per i giovani che sono per noi il motivo principale di preoccupazione, dobbiamo riuscire a dare risposte su tutti questi terreni". Attorno alla questione dell’occupazione giovanile, per il Capo dello Stato "si stringono i nodi dell’economia". Sempre a proposito dei giovani il presidente Napolitano ha puntualizzato: "C’è una nuova categoria di giovani che, secondo gli esperti di statistica, non sono impegnati né in processi formativi, né in processi lavorativi, né in processi di addestramento al lavoro. Dobbiamo dare delle risposte su tutti questi terreni, tenendo conto dei limiti stretti in cui si muove l’azione pubblica, tenendo conto dell’impiego delle risorse del bilancio dello Stato punto ineludibile per Governo e opposizione".

"AUTONOMIA E FEDERALISMO SONO GARANZIE DI UNITA' NAZIONALE" - Napolitano ha poi parlato di "autonomia e federalismo, che sono garanzie della rinnovata unità nazionale. Il profilo di amministratore locale - ha spiegato il presidente - non è minore a quello del parlamentare e del politico e anche a quello dei governatori delle Regioni che sono investiti di un forte ruolo di carattere amministrativo e politico che si integra a quello del Parlamento nazionale".

URSO: "HA RAGIONE IL PRESIDENTE" - Secondo il viceministro allo Sviluppo economico, Adolfo Urso la riprese potrebbe subire un rallentamento e le sollecitazioni del presidente della Repubblica sulla necessità di una seria politica industriale vanno quindi pienamente condivise: "è probabile che la ripresa subirà un rallentamento, come dimostrano i dati sulla frenata dei paesi dell'Asean dove l'import ha rallentato la crescita".

02 settembre 2010

 

 

 

Sotto esame BOCCHINO, GRANATA E BRIGUGLIO

Linea dura del Pdl sul "processo" ai finiani

"Nessuno slittamento, esito aperto"

Verdini dopo un vertice con Berlusconi: "La riunione

dei probiviri resta fissata, c'è un ragionamento in corso"

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Denis Verdini

Denis Verdini

ROMA - "Non c'è nessuno slittamento della convocazione del collegio dei probiviri" che dovrà pronunciarsi sul caso dei "finiani" Bocchino, Granata e Briguglio, ma "l'esito non è scontato" perché c'è un "ragionamento aperto". Così Denis Verdini, coordinatore nazionale del Pdl, interpellato dai cronisti al termine di un incontro a Palazzo Grazioli con il premier Berlusconi.

PROBLEMI TRA SOCI - "Saremo determinati nelle questioni - spiega Verdini - perché ovviamente dobbiamo prendere delle decisioni. Ma non c'è nessuno slittamento: c'è un ragionamento aperto davanti ai probiviri che devono verificare come stanno le cose visto che hanno la funzione di dirimere i problemi tra i soci". Quanto alla questione della incompatibilità tra l’appartenenza a un gruppo parlamentare diverso e gli incarichi locali di partito, Verdini spiega: "Sono due problemi diversi. Il problema dei probiviri è di dottrina: qualunque socio può andarci e dire "tu sei poco buono" e poi i probiviri decidono. Poi ci sono i problemi che sono di partito e che devono essere sciolti dal partito con ragionevolezza".

RIORGANIZZAZIONE IN ATTO - Il coordinatore del Pdl afferma poi che il premier non pensa di andare alle elezioni a marzo. E a chi chiede se durante la riunione si sia parlato di processo breve, del ministro dello Sviluppo economico e del monito del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, Verdini risponde: "Non abbiamo parlato di questo. Abbiamo ricominciato a lavorare mettendo a punto le cose del partito e quindi c'è una riorganizzazione da porre in atto".

Redazione online

02 settembre 2010

 

 

 

Cicchitto: "Con le sue parole, al peggio non c'è mai limite"

Bersani durissimo: "Il berlusconismo

fa regredire la politica alla fogna"

"Serve grande mobilitazione e un quadro di alleanze"

Cicchitto: "Con le sue parole, al peggio non c'è mai limite"

Bersani durissimo: "Il berlusconismo

fa regredire la politica alla fogna"

"Serve grande mobilitazione e un quadro di alleanze"

Il leader del Pd Pierluigi Bersani

Il leader del Pd Pierluigi Bersani

FIRENZE - "Al di là delle denunce di un governo che si denuncia da solo, francamente, abbiamo visto in questo agosto terrificante come il secondo tempo del berlusconismo possa far regredire la politica alla fogna. Questo è il rischio che abbiamo davanti: un deterioramento ulteriore della politica, del tessuto civile e del senso civico, della fiducia, della speranza mentre il paese sta scivolando ed è da tempo che scivola".

L'AFFONDO - Lo ha detto il segretario del Pd Pierluigi Bersani nel suo discorso di inaugurazione della nuova sede a Firenze del Partito democratico regionale e metropolitano. "Noi credibilmente - ha aggiunto Bersani - con un quadro di alleanze, con proposte politiche, dobbiamo realizzare il progetto "nuova riscossa italiana". Su questo progetto e sulle idee e le proposte lavoreremo nelle prossime settimane. Per l'autunno proporremo una mobilitazione straordinaria per presentare le nostre proposte".

REAZIONI - Dure le reazioni della maggioranza alle parole di Bersani. "La politica diventa una fogna quando c'è uno come Bersani che, essendo segretario del Partito democratico, parla in questo modo. Evidentemente al peggio non c'è mai limite", ha replicato il capogruppo Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto. Aggiunge Anna Maria Bernini, portavoce nazionale vicario del Pdl: "Se la 'nuova riscossa italiana' del segretario Pd comincia dagli insulti, non è difficile immaginare come gestirà il seguito".

Redazione online

02 settembre 2010

 

 

 

 

Bossi: "Voto anticipato? Per ora no"

Il leader della Lega chiude le porte alle urne. Ma avvisa: "Evoluzione benigna nel governo? Io sarei più cauto"

LA MAGGIORANZA

Bossi: "Voto anticipato? Per ora no"

Il leader della Lega chiude le porte alle urne. Ma avvisa: "Evoluzione benigna nel governo? Io sarei più cauto"

Umberto Bossi (Cavicchi)

Umberto Bossi (Cavicchi)

ROMA - Il leader della Lega, Umberto Bossi, non pensa che si sia sulla strada delle elezioni anticipate. A chi gli ricorda le considerazioni del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sull'evoluzione "più benigna" dei rapporti all'interno della maggioranza, osserva però: "Io sarei più cauto". Rischio voto, allora? "No, per adesso non lo vedo" dice comunque. Sulla riforma federalista, che sta tanto a cuore alla Lega, aggiunge: "Quella la attuiamo comunque, l'abbiamo messa in cassaforte".

SU FINI - Il Senatùr non ha ancora incontrato il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ed è cauto sugli sviluppi dei rapporti tra finiani e Pdl. "Non mi aspetto niente. Vogliamo solo sentire che cosa dice" a Mirabello (dove domenica è prevista la "Festa tricolore" di Futuro e libertà). Bossi rileva che il presidente della Camera "ha chiesto di non incontrarci prima" di Mirabello, "ma - sottolinea il leader del Carroccio - ha visto Cota".

 

02 settembre 2010

 

 

 

Giustizia, nuova lite nel centrodestra

La Russa: votare il processo breve del Senato. No di Bocchino. Lo scoglio è la norma transitoria

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ROMA - I finiani ribadiscono con forza il loro no a ogni forma di "amnistia mascherata", ma il governo è determinato ad andare avanti alla ricerca di uno scudo per il presidente del Consiglio. Il ministro Guardasigilli, Angelino Alfano, vorrebbe salire al Quirinale tra oggi e domani, per presentare al presidente della Repubblica gli sviluppi sulla riforma del processo.

È la norma transitoria il passaggio più controverso e osteggiato del provvedimento. Quello che estende le modifiche ai processi in corso per il capo del governo e riguardo al quale non solo molti esponenti del Pdl, ma anche i tecnici del Colle, nutrono i dubbi più forti. Per giunta il Quirinale ha abbandonato da tempo ogni forma di moral suasion, riservando il suo giudizio solo al momento della firma. Né in via Arenula c'è molto ottimismo sulla possibilità di ottenere lo stesso risultato per un'altra strada, quella cioè che allungherebbe i tempi dei processi in primo grado, avvicinando così la possibilità della prescrizione per i giudizi che riguardano il premier.

Il ministro degli Esteri Franco Frattini (Ansa)

Il ministro degli Esteri Franco Frattini (Ansa)

Franco Frattini intanto ha fatto sapere che "è pronta" la lettera con cui spiegare ai ministri degli Esteri dell'Unione europea le motivazioni del processo breve. "È giusto far conoscere la situazione italiana che provoca ritardi e ricorsi - motiva l'iniziativa il responsabile della Farnesina - Berlusconi valuterà se e quando potrò inviare la lettera". Ma chi sperava che la pace tra Berlusconi e Fini potesse scoppiare proprio sulla giustizia, potrebbe restare deluso. I finiani non accetteranno aut aut, né "amnistie mascherate". A sera Italo Bocchino, capogruppo di Futuro e libertà alla Camera, ufficializza gli umori dei finiani meno dialoganti: "Non siamo disponibili a varare delle norme che facciano saltare un numero alto di processi. Tanto più se si tratta di reati che creano grande allarme, come la corruzione".

La tensione è di nuovo alta. Ignazio La Russa ricorda che la maggioranza "si è impegnata" e che dunque il processo breve "sarà votato alla Camera come è uscito dal Senato". Al ministro della Difesa replica Bocchino, per nulla conciliante: "La Camera non è il notaio del Senato, il testo è da modificare. Non può essere votato a scatola chiusa, noi non accettiamo aut aut". Ma i finiani sono divisi. L'onorevole Souad Sbai, berlusconiana dichiarata, voterà "serenamente e senza dubbi" il processo breve, convinta com'è che fondare un nuovo partito "sarebbe un errore". Gianfranco Fini svelerà i suoi piani domenica, dal palco di Mirabello. Ieri intanto il presidente è salito nel suo studio di Montecitorio per alcune scadenze istituzionali e ha ricevuto la visita di Bocchino e Giulia Bongiorno. E poiché la presidente della commissione Giustizia starebbe trattando col legale del premier Niccolò Ghedini, alla ricerca di una soluzione tecnica che garantisca uno scudo a Berlusconi senza mandare al macero migliaia di processi, la sua presenza nell'ufficio di Fini fa ben sperare l'ala dialogante. "I segnali dicono che si è aperto un confronto positivo", confida in un accordo Pasquale Viespoli. Ma Carmelo Briguglio smentisce: "Non c'è alcuna trattativa in corso".

Monica Guerzoni

02 settembre 2010

 

 

 

Il Processo Lungo

Le perplessità sulla riforma, anziché diminuire, aumentano

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Ufficialmente la riforma chiamata "processo breve" - che impone limiti di tempo insuperabili ai dibattimenti, pena la loro estinzione - è stata motivata con la loro eccessiva durata. Una vera e propria "emergenza", s'è detto, certificata dalle condanne della Corte europea dei diritti dell'uomo, con "rilevante danno d'immagine" oltre che finanziario.

 

Il fatto che la nuova norma, tramite un'apposita postilla, si applichi anche ai procedimenti pendenti (tra cui quelli a carico di Silvio Berlusconi, che verrebbero cancellati quasi automaticamente) è stato considerato dai proponenti un effetto collaterale poco significativo, che non può certo ostacolare l'approvazione della necessaria riforma. Chi se ne lamenta, ha ripetuto di recente il ministro Alfano, "è vittima di un pregiudizio politico"; prioritaria resta la riduzione dei tempi della giustizia. Ma le perplessità sulla riforma, anziché diminuire, aumentano. C'è il rischio concreto che non passi.

Ecco allora farsi strada, nel governo e nella parte di maggioranza che ne sostiene la strategia su questi temi, l'ipotesi di rinunciare alla poco digeribile applicabilità ai processi in corso in cambio di un altro paio di modifiche al codice di procedura penale: togliere al giudice la possibilità di escludere l'assunzione di prove "manifestamente superflue" (come l'ascolto di testimoni non necessari) chieste dalla difesa e impedire l'acquisizione di sentenze definitive di altri processi. Queste proposte sono contenute in un disegno di legge governativo presentato un anno e mezzo fa e da allora fermo al Senato (il che la dice lunga sulla sua urgenza), e ora potrebbero essere ripescate e approvate al più presto. Si tratta di modifiche già duramente criticate nel parere del Consiglio superiore della magistratura, perché comporterebbero "un pesante limite al celere svolgimento del processo, un inutile aggravio e un conseguente allungamento dei tempi necessari all'accertamento di fatti e situazioni già acclarate". La durata dei dibattimenti, cioè, verrebbe irragionevolmente prolungata, in palese contrasto con l'obiettivo di restringerli entro limiti "ragionevoli" imposti addirittura per legge con la riforma del "processo breve".

La contraddizione fra le due strade, imboccate contemporaneamente dallo stesso governo e dalla stessa maggioranza, è evidente. Tanto più alla luce della sentenza con cui, appena l'anno scorso, la corte costituzionale ha dichiarato pienamente legittima l'acquisizione delle sentenze definitive di altri procedimenti "ai fini della prova del fatto in esse accertato". Che poi andrà valutato in maniera autonoma, ma senza perdere tempo a dimostrare (con l'ascolto di tutti i testimoni e la raccolta di tutti gli elementi) ciò che altri hanno già dimostrato. Per esempio: al processo contro David Mills nel quale Silvio Berlusconi era imputato insieme all'avvocato inglese (concluso con l'accertamento della corruzione e la prescrizione del reato) si potrebbe acquisire la sentenza dove altri giudici hanno già accertato gli stessi fatti; in caso contrario si dovrebbe ricominciare daccapo, con conseguente allontanamento del verdetto e avvicinamento della prescrizione anche per il premier. La modifica proposta dal governo imporrebbe questa seconda soluzione, con buona pace della durata "ragionevole" dei processi che si vorrebbe tutelare con l'altra riforma. Almeno nelle intenzioni ufficialmente dichiarate, di cui a questo punto diventa lecito dubitare.

Giovanni Bianconi

02 settembre 2010

 

 

 

 

2010-08-31

Vertice a Palazzo Grazioli con Angelino Alfano e Niccolò Ghedini

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Niccolò Ghedini e Angelino Alfano (Eidon)

Niccolò Ghedini e Angelino Alfano (Eidon)

ROMA - È terminato dopo più di otto ore il lungo vertice sulla giustizia a Palazzo Grazioli, residenza romana del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. All'incontro oltre al premier hanno preso parte il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, i sottosegretari alla presidenza del Consiglio Gianni Letta e Paolo Bonaiuti, ed il deputato e avvocato del premier Niccolò Ghedini. Tra i temi affrontati nel corso dell'incontro il provvedimento sul processo breve e i temi della giustizia inseriti nei cinque punti sui quali il governo chiede la fiducia dei finiani.

LA LETTERA - Al termine del vertice si parla di una lettera in cui il ministro degli Esteri Franco Frattini spiega ai suoi colleghi europei le ragioni che rendono necessario il varo in Italia di provvedimento che introduca norme sulla "giusta durata del processo". La lettera sarebbe al vaglio del presidente del Consiglio Berlusconi. Il premier, tuttavia, non ha ancora deciso se inviare o meno la missiva. Nella missiva, a quanto si apprende, si insiste in modo particolare sui ripetuti richiami provenienti proprio da organismi europei e comunitari che in passato hanno criticato l'Italia per le lentezze della giustizia. Richiami a cui si sono aggiunti diversi ricorsi nelle competenti sedi giudiziarie europee e conseguenti condanne ai danni dell'Italia. La lettera, sottolineano le stesse fonti, è stata predisposta dal ministro degli Esteri, ma ancora non è ancora chiaro che uso intenda farne il premier. Potrebbe essere effettivamente inviata capi delle diplomazie europee, oppure essere usata dal Cavaliere come elemento di un discorso sulla giustizia nel caso in cui Berlusconi decidesse davvero - come sostiene qualcuno nella maggioranza - di spiegare agli italiani le ragioni della riforma della giustizia.

LA LINEA - A parte la lettera, la linea emersa sarebbe quella di attendere il discorso di Gianfranco Fini a Mirabello, ma intanto andare avanti con la riforma complessiva della giustizia, ivi incluso il processo breve, tenendo conto del fatto, però, che sul ddl già approvato in prima lettura al Senato non ci sono chiusure ad eventuali miglioramenti; in particolare sulla possibilità di intervenire sulla norma transitoria per ridurre l'impatto sui processi in corso destinati ad estinguersi. Nel corso del vertice, confida uno dei partecipanti, si è discusso un po' di tutto, dalla realizzazione dei punti programmatici ai rapporti con i finiani. Ma la presenza di Tremonti fa ipotizzare che si sia discusso anche delle risorse che Alfano ha detto di voler destinare al sistema giudiziario proprio per rendere possibile una riduzione dei tempi processuali. Anche se, assicura un presente, con il titolare del dicastero di via XX settembre si è discusso anche di Sud e di tasse.

I TERMINI DELLA PRESCRIZIONE - "La via più semplice per salvare capra e cavoli", spiega chi fra i berlusconiani ha "ancora freschi ricordi di dinamiche del foro" sarebbe "intervenire sulla prescrizione spostando alcuni termini", in maniera da ridurre il numero di processi che verrebbero mandati al macero, ma senza andare a toccare quelli che davvero interessano, primo fra tutti il caso Mills, che in primavera, qualora la Consulta bocciasse il legittimo impedimento, andrebbe a sentenza. Questa soluzione, secondo i consiglieri del premier, non snaturebbere la ratio della legge, garantirebbe la prescrizione dei processi Mills e Mediatrade (alle cui possibili sentenze è legato il futuro politico e non di Berlusconi) e consentirebbe la modifica all’attuale norma transitoria, punto su cui i finiani si sono spesi notevolmente. "Con questa norma transitoria - ha detto infatti anche martedì il "falco" finiano Fabio Granata - noi non voteremo il provvedimento. Il problema del processo breve è infatti legato alla scrittura dell’attuale testo che attraverso la norma transitoria introduce un’amnistia, neanche tanto mascherata, che di fatto porta alla prescrizione di moltissimi procedimenti. Non si può smantellare il sistema giudiziario per creare una condizione di tutela processuale fin quando è in carica il presidente del Consiglio. Su questo si dovrà discutere ed eliminare queste contraddizioni a partire dalla norma transitoria".

BERSANI - "Finiani e Pdl trattano sulla norma transitoria? Per adesso sono solo ipotesi, però credo che questa sia la questione centrale in questo momento", così il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, a Torino, a margine della Festa del partito, in merito al dibattito sul processo breve. "Tutto il resto è un tema che può essere discusso sulla base di una riflessione organizzativa del sistema giustizia. Per Berlusconi questo è un tema che sarà sempre più difficile da rimuovere".

FAMIGLIA CRISTIANA - Invece di affrontare temi importanti come quello della famiglia, la politica italiana è "alle prese con false priorità ed emergenze, come il cosiddetto "processo breve"". Lo scrive Famiglia Cristiana sottolineando che sì "le elezioni anticipate appaiono scongiurate" ma nei cinque punti proposti come urgenze dal Governo al primo posto figura questo provvedimento che "per renderlo meno indigesto all'opinione pubblica, si chiamerà processo in tempi ragionevoli. E che avrà una corsia preferenziale, grazie a risorse e investimenti straordinari. Da reperire, a ogni costo, sia pure in tempi di ristrettezze". "Per i politici - dunque - il benessere della famiglia non è bene prioritario, ma merce di scambio, in una logica mercantile che mira a interessi di parte e non al bene comune". Mentre, "nel welfare familiare ci superano Paesi come Cipro, Estonia e Slovenia. Peggio di noi fanno solo Malta e Polonia".

Redazione online

31 agosto 2010

 

 

 

 

 

Non è piaciuto il proselitismo del Colonnello: "In altri Paesi non ci sarebbe stato"

"Avvenire" all'attacco sul Gheddafi show

"Momenti urtanti, è stato un boomerang"

Editoriale del quotidiano dei vescovi contro l'"incresciosa messa in scena" del leader libico a Roma

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Gheddafi e Berlusconi durante la serata di celebrazione del secondo anniversario del trattato di Bengasi (Ansa)

Gheddafi e Berlusconi durante la serata di celebrazione del secondo anniversario del trattato di Bengasi (Ansa)

ROMA - Un'"incresciosa messa in scena" firmata dal colonnello Gheddafi o "forse solo un boomerang", "certamente è stata una lezione, magari pure per i suonatori professionisti di allarmi sulla laicità insidiata". Il quotidiano dei vescovi, Avvenire, in un editoriale firmato dal direttore Marco Tarquinio tira le fila della visita del leader libico a Roma, tra affari e provocazioni. Ultima delle quali la richiesta di denaro all'Europa per scongiurare il rischio che il vecchio continente diventi nero come l'Africa a causa dell'immigrazione clandestina. Che ha proprio nella Libia uno dei propri principali crocevia. La provocazioni finite nel mirino del giornale cattolico sono tuttavia in particolare quelle legate alla "conversione all'Islam" auspicata dal rais di Tripoli per l'intera popolazione europea.

"MOMENTI INCRESCIOSI" - "Incontrarsi serve comunque e sempre", premette Tarquinio lodando la "nuova stagione" e la "riconciliazione" tra Roma e Tripoli. Però - sottolinea il giornale della Cei - non si possono sottacere "aspetti sostanziali e circostanze volutamente folkloristiche" della visita così come "momenti incresciosi e urtanti" quali l'incontro per "una sessione di propaganda islamica (a sfondo addirittura europeo) tra il leader libico e hostess appositamente reclutate".

L'ITALIA E GLI ALTRI - Avvenire si chiede quindi come Gheddafi - nella "tollerante e pluralista Italia" dalle "profonde e vive radici cristiane" e al tempo stesso capace di "una positiva laicità" - abbia potuto "fare deliberato spettacolo di proselitismo (anche grazie a un Tg pubblico incredibilmente servizievole...). Non sapremmo dire in quanti altri paesi tutto questo avrebbe avuto luogo o, in ogni caso,avrebbe avuto spropositata (e stolida) eco". "Probabilmente è stato un boomerang - conclude l'editoriale -una dimostrazione di quanto possano confondersi persino in certo islam giudicato non (più) estremista piano politico e piano religioso".

"NON STIAMO A GUARDARE" - L'editoriale di Avvenire non è il solo segnale di malumore degli ambienti cattolici. Sulla prima pagina della Stampa è pubblicato un intervento di Maurizio Lupi e Mario Mauro, due dei più influenti esponenti del mondo cattolico interno al Pdl (deputato il primo, europarlamentare il secondo), che sotto il titolo "Basta offrire il palcoscenico al dittatore" si richiamano a Cesare Augusto per dire che "lo spettacolo è finito" e per ammonire sui rischi del verbo gheddafiano sull'islamizzazione dell'Europa, lasciate correre come semplice folklore: "Le frasi di Gheddafi - scrivono - sono pericolose proprio per il fatto che non ne avvertiamo la gravità".

IL COLONNELLO LASCIA ROMA - Intanto Gheddafi a conclusione della visita di Stato ha lasciato Roma per ritornare a Tripoli.

Redazione online

31 agosto 2010

 

 

 

 

 

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ROMA - Un' "incresciosa messa in scena" firmata dal colonnello Gheddafi o "forse solo un boomerang", "certamente è stata una lezione, magari pure per i suonatori professionisti di allarmi sulla laicità insidiata". Il quotidiano dei vescovi, Avvenire, in un editoriale firmato dal direttore Marco Tarquinio tira le fila della visita del leader libico a Roma, tra affari e provocazioni. Ultima delle quali la richiesta di denaro all'Europa per scongiurare il rischio che il vecchio continente diventi nero come l'Africa a causa dell'immigrazione clandestina. Che ha proprio nella Libia uno dei propri principali crocevia. La provocazioni finite nel mirino del giornale cattolico sono tuttavia in particolare quelle legate alla "conversione all'Islam" auspicata dal rais di Tripoli per l'intera popolazione europea.

"MOMENTI INCRESCIOSI" - "Incontrarsi serve comunque e sempre", premette Tarquinio lodando la "nuova stagione" e la "riconciliazione" tra Roma e Tripoli. Però - sottolinea il giornale della Cei - non si possono sottacere "aspetti sostanziali e circostanze volutamente folkloristiche" della visita così come "momenti incresciosi e urtanti" quali l'incontro per "una sessione di propaganda islamica (a sfondo addirittura europeo) tra il leader libico e hostess appositamente reclutate".

L'ITALIA E GLI ALTRI - Avvenire si chiede quindi come Gheddafi - nella "tollerante e pluralista Italia" dalle "profonde e vive radici cristiane" e al tempo stesso capace di "una positiva laicità" - abbia potuto "fare deliberato spettacolo di proselitismo (anche grazie a un Tg pubblico incredibilmente servizievole...). Non sapremmo dire in quanti altri paesi tutto questo avrebbe avuto luogo o, in ogni caso,avrebbe avuto spropositata (e stolida) eco". "Probabilmente è stato un boomerang - conclude l'editoriale -una dimostrazione di quanto possano confondersi persino in certo islam giudicato non (più) estremista piano politico e piano religioso".

"NON STIAMO A GUARDARE" - L'editoriale di Avvenire non è il solo segnale di malumore degli ambienti cattolici. Sulla prima pagina della Stampa è pubblicato un intervento di Maurizio Lupi e Mario Mauro, due dei più influenti esponenti del mondo cattolico interno al Pdl (deputato il primo, europarlamentare il secondo), che sotto il titolo "Basta offrire il palcoscenico al dittatore" si richiamano a Cesare Augusto per dire che "lo spettacolo è finito" e per ammonire sui rischi del verbo gheddafiano sull'islamizzazione dell'Europa, lasciate correre come semplice folklore: "Le frasi di Gheddafi - scrivono - sono pericolose proprio per il fatto che non ne avvertiamo la gravità".

Redazione online

31 agosto 2010

 

 

IL LEADER LIBICO: "Dateci 5 miliardi all'anno O DIVENTERETE COME L'AFRICA"

Immigrati, Gheddafi provoca l'Europa

E Berlusconi: "Si è chiusa una ferita"

Il raìs:"L'Italia finora ha fatto poco rispetto a ciò che abbiamo subito". Poi elogia il premier: "Coraggioso"

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ROMA - Lo ha definito "il mio amico", il "leader della rivoluzione". E nel suo intervento alla caserma "Salvo D'Acquisto" per le celebrazioni del secondo anniversario del trattato italo-libico Silvio Berlusconi ha sottolineato che "tutti dovrebbero rallegrarsi" della nuova amicizia tra Italia e Libia sancita il 30 agosto 2008 con la storica firma di Bengasi. In quell'occasione, ha sottolineato il premier, "è stata chiusa una ferita ed è iniziata una vita nuova": "Chi non capisce i vantaggi di questa intesa - ha detto il presidente del Consiglio -, appartiene al passato. Noi invece guardiamo al futuro". Nel suo intervento Berlusconi aveva sottolineato l'importanza strategica della nuova alleanza, lasciato intendere i tornaconti sul fornte dell'economia e ricordato tra l'altro gli accordi tra i due Paesi per la lotta all'immigrazione clandestina.

"FERITA CHIUSA" - Il capo del governo si è detto convinto dell'importanza del trattato anche per la chiusura di "una ferita" e per la possibilità di "recuperare il tempo perduto" dopo le tensioni del dopoguerra legate all'intervento coloniale italiano. "Il passato del popolo libico carico di sofferenza è consegnato ai libri di storia - ha sottolineato il premier -. La Libia ha vissuto il dolore che si infligge ad un popolo quando lo si vuole dominare".

"LA REPLICA DI GHEDDAFI" - Gheddafi, che ha preso la parola subito dopo, non ha rinunciato a sottolineare a sua volta le sofferenze subite dal suo popolo, ha ripercorso alcuni episodi risalenti al periodo coloniale, ha parlato di Graziani quale maestro di Hitler e ha enfatizzato il fatto che "ogni famiglia libica ha nella propria storia un morto, una persona risultata dispersa o costretta a subire mutilazioni a causa dell'occupazione italiana", ha ricordato l'ingente quantità di mine lasciate sul territorio libico dalle forze dell'Asse. L'Italia - ha commentato- ha eseguito alcuni interventi "riparatori" in LIbia, ha ad esempio costruito un ospedale ortopedico a Bengasi per curare le vittime delle mine, "ma è poca cosa rispetto a quanto successo veramente al popolo libico".

"BERLUSCONI CORAGGIOSO" - Ma alla fine anche lui ha ringraziato "il mio amico Berlusconi" e parlato della possibilità di "voltare pagina". "Avete riconosciuto gli errori del passato, commessi dall’Italia passata, fascista, e non attuale - ha detto il Colonnello, che ha invitato i giovani italiani a studiare gli orrori del colonialismo -. Il popolo libico è piccolo e pacifico e non aveva intenzioni ostili verso gli italiani. Ma ora vi ringrazio per la condanna del colonialismo e per il coraggio che avete dimostrato ammettendo gli errori; voi e il vostro coraggioso Berlusconi". Berlusconi che, ha ricordato, "ha pianto guardando le foto che testimoniavano le sofferenze del mio popolo". Berlusconi che a differenza di altri che lo hanno preceduto - e il leader libico ha citato Andreotti, Prodi e D'Alema, definendoli "amici" - che si sono limitati a firmare singoli accordi, ha portato fino alla fine la sottoscrizione del trattato. "Per questo è stato coraggioso".

"5 MILIARDI CONTRO L'IMMIGRAZIONE" - Nel suo intervento Gheddafi ha poi sollecitato un finanziamento di cinque miliardi di euro all'anno alla Libia, altrimenti "l'Europa potrebbe diventare Africa, potrebbe diventare nera". "La Libia chiede all'Unione Europea - ha detto Gheddafi - che l'Europa offra almeno cinque miliardi di euro all'anno per fermare l'immigrazione non gradita. Bisogna sostenere questo esercito che combatte per fermare l'immigrazione - ha aggiunto - altrimenti l'Europa potrebbe diventare Africa, potrebbe diventare nera. Libia è l'ingresso dell'immigrazione non gradita, dobbamo lottare insieme per affrontare questa sfida. L'Italia- deve convincere i suoi alleati europei per applicare la proposta libica".

LE CANZONI DI BERLUSCONI - La serata, caratterizzata anche dall'esibizione dei gruppi folkloristici berberi e del carosello equestre dei nostri carabinieri, è proseguita fino a tarda ora anche al di là del protocollo ufficiale. "Dobbiamo ancora terminare la cena, stiamo ancora qui insieme a festeggiare questa bella festa dell'amicizia, se fate i bravi vi canto anche una canzone" ha detto Berlusconi parlando dal tavolo d'onore nel corso della cena offerta dalla presidenza del consiglio. Al tavolo d'onore, oltre al premier e al Colonnello erano seduti il ministro degli Esteri Franco Frattini, quello della Difesa Ignazio La Russa, quello dell'Interno Roberto Maroni, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta e il portavoce di Palazzo Chigi, Paolo Bonaiuti. Agli altri tavoli erano presenti, tra gli altri, il ministro dell'Istruzione Maria Stella Gelmini, il ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo, il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, il viceministro alle Attività produttive, Adolfo Urso oltre al vescovo di Mazara del Vallo, mons. Domenico Mogavero. Menu tipicamente italiano per i commensali. Sono state servite una insalata caprese, pennette tricolore di primo, filetto di chianina di secondo. come dessert, gelato all'italiana. Durante la cena, il premier si è più volte avvicinato al leader libico per parlare con lui a stretto contatto. Verso la fine della serata il presdiente del Consiglio ha anche cantato una canzone in francese.

Redazione online

30 agosto 2010(ultima modifica: 31 agosto 2010)© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

 

 

I limiti invalicabili

per il buon nome del Paese

I limiti invalicabili

per il buon nome del Paese

Fu Indro Montanelli a spiegare che talvolta bisognava votare "tappandosi il naso". Gli interessi economici di tutti gli Stati, anche delle democrazie liberali, applicano un identico pragmatismo. Pensiamo ai rapporti degli Usa con la Cina, che non è certo la patria dei diritti umani. Pensiamo agli europei, italiani compresi, che per il gas e il petrolio trascurano i vizietti autoritari della Russia o la natura non esattamente democratica delle monarchie del Golfo. Non dobbiamo dunque scandalizzarci se l’Italia e il suo governo (peraltro ci provarono anche quelli precedenti, di destra e di sinistra) hanno teso tutt’e due le mani a un interlocutore tirannico, dal passato tenebroso e bizzarro come Muammar Gheddafi.

Non dobbiamo neppure, visto che da questa tolleranza ricaviamo un notevole tornaconto, essere eccessivamente intransigenti sulla forma propria delle visite di Stato, e ritenerci perciò offesi da quel che è stato benevolmente definito "folclore". In questi tempi di vacche magre fare business con chi se lo può permettere e portare in Italia i relativi benefici (sperando che tali davvero siano) è cosa che vale ampiamente qualche distrazione protocollare. Tanto più che Berlusconi, visto che di lui si tratta, per favorire l’azienda Italia ha chiuso con Gheddafi l’interminabile contenzioso coloniale e post coloniale, e non ha, come erroneamente si dice, "sdoganato " la reproba ed ex terrorista Libia perché a questo l’Occidente aveva già disinvoltamente provveduto prima della firma del Trattato di Bengasi.

Eppure, anche se è ragionevole e conveniente "tapparsi il naso" e accogliere Gheddafi nel modo migliore, crediamo che l’Italia di Berlusconi abbia sbagliato nel superare, o nel lasciare che venissero superati, limiti che dovrebbero essere considerati invalicabili perché collegati al buon nome del Paese e alla sua credibilità sulla scena internazionale. Erano presenti Berlusconi e quasi tutto il suo governo, ieri, quando Muammar Gheddafi ha lanciato quello che è difficile non definire un ricatto all’Europa. Per fermare l'immigrazione clandestina nella Ue, ha spiegato, la Libia deve ricevere almeno cinque miliardi di euro l’anno. Altrimenti risulterà impossibile controllare il flusso di milioni di esseri disperati, e l’Europa si ritroverà nera come l’Africa.

È vero che il leader libico non ha indicato scadenze, non ha precisato i termini dello scambio. Ma ha affermato (e noi rimaniamo speranzosi in attesa di smentite) di muoversi con il sostegno dell’Italia. Come se la ben pagata rappacificazione bilaterale gli offrisse ora l’occasione di alzare la posta, di chiedere soldi a tanti mettendo loro alla gola il coltello dei clandestini. Erano presenti Berlusconi e quasi tutto il suo governo anche quando Gheddafi — che nel frattempo aveva strizzato l’occhio ai padroni di casa appoggiando un seggio italiano nel Consiglio di sicurezza dell’Onu — ha disegnato la sua visione del Mediterraneo. Un mare di pace, e va bene. Un mare che va salvato dall’inquinamento, e va bene. Un mare nel quale deve esserci dialogo tra sponda nord e sponda sud, e va benissimo. E poi, ecco la ciliegina: un mare da sottrarre ai "conflitti imperialistici", nel quale possano muoversi soltanto le navi militari dei Paesi rivieraschi. Chissà se Gheddafi pensava in astratto. Perché in concreto l’unica forza "straniera" dislocata nel Mediterraneo è la VI Flotta statunitense, che ha le sue basi, guarda caso, in Italia.

Tutto "folclore", tutte stranezze di un leader che è sempre stato diverso? Chi vuole crederlo lo creda. Ma a noi pare di rivedere semplicemente il Gheddafi di sempre, quello pre-Trattato con l’Italia, quello che ha sempre tenuto la corda tesa per ricompattare il suo fronte interno e ha sempre monetizzato gli interessi altrui. Se necessario con un non troppo velato ricatto, come accade nei confronti di una Europa che conosce bene, e affronta male, la questione dell’immigrazione clandestina. E non finiscono qui, le grandi questioni che la visita del leader libico ha sollevato e che fanno da contraltare alle nostre convenienze economico- energetiche. Gheddafi si fa predisporre una platea in fiore per auspicare che l’Islam diventi la religione dell’Europa. Concetto per nulla scandaloso, dal momento che ognuno è libero di auspicare il trionfo anche planetario della propria religione.

Ma Gheddafi il suo proselitismo lo fa a Roma, capitale della cristianità. E lo fa ospite di Berlusconi, che polemizzò a suo tempo con la Francia perché la laica Parigi non voleva che nella poi fallita costituzione europea venissero menzionate le radici giudaico-cristiane. Questo numero Gheddafi lo aveva già recitato in occasione della sua prima visita a Roma. Si poteva e si doveva prevedere, e prevenire, la sua ripetizione. Anche perché sorge spontanea una domanda: come reagirebbe il medesimo Gheddafi se il capo dello Stato italiano si recasse a Tripoli e lì, nell’ambasciata d’Italia ma davanti a una folta platea libica appositamente riunita, auspicasse la cristianizzazione di Libia e dintorni? Poi c’è quel tipo di forma che diventa sostanza. Passi, lo abbiamo detto, per gli aspetti circensi.

Ma è sbagliato inserire tra le stranezze del colonnello anche la ripetuta convocazione di centinaia di hostess alle quali esprimere, appunto, il desiderio di estendere le fortune islamiche. Come si è giunti a queste riunioni che per la loro evidente selettività di sesso e di estetica offendono le donne? Chi ha finanziato una ricerca tanto accurata e tanto difficile (pensiamo alle implicazioni in materia di sicurezza)? Qualora venisse invocato il rispetto dell’extraterritorialità (gli incontri hanno avuto luogo in sedi libiche), quale parte hanno svolto le autorità italiane? Se si considera che è sempre aperta la ferita delle intese sui respingimenti degli immigrati clandestini provenienti dalla Libia (il numero degli arrivi in Italia è effettivamente diminuito, ma la sorte di quei disgraziati rimandati al mittente rimane più che incerta nei poco ospitali campi di Gheddafi), la nostra impressione è che il conto del dare e dell’avere avrebbe potuto, anzi avrebbe dovuto essere fatto meglio. Anche tappandosi il naso.

Franco Venturini

31 agosto 2010

 

 

 

E il raìs riscrisse la Storia

"Italiani maestri di Hitler"

La visita alla mostra sul passato coloniale

LA POLEMICA

E il raìs riscrisse la Storia

"Italiani maestri di Hitler"

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ROMA — Fuori, nel caos di viale Cortina d'Ampezzo, è appena svanita la seconda vagonata di studentesse del Rais (Glorioso Corano appoggiato sull'anca in favor di telecamera: "Ex terrorista, lui? Ehhh, non ho fatto una ricerca approfondita per rispondere!", sospira una moretta da reality). Il povero Shaykh Abd al Wahid Pallavicini, presidente della Comunità religiosa islamica, venuto fin quassù a sollecitare a Berlusconi tramite Gheddafi nientemeno che il "riconoscimento dell'Islam tra le grandi religioni monoteiste diffuse in Italia", "e non solo per rimediare l'otto per mille!", si fa largo a fatica ("sì, c'è molto di sacro e anche di profano, noi cerchiamo di stare nel sacro..."). Dentro, nell'Accademia di Libia, tra noi e loro, c'è la storia e c'è il sangue, c'è questa mostra terribile e dolorosa, "L'occupazione italiana 1911-1943".

Gheddafi e Berlusconi (De Vita)

Gheddafi e Berlusconi (De Vita)

Farsa e dramma giocano a rimpiattino tutto il giorno, nell'incredibile copione della visita gheddafiana. "Gli storici dicono che il maresciallo Graziani è stato il maestro di Hitler per i campi di concentramento e l'Olocausto. Lo stesso sistema è stato usato contro i libici. Nei campi morivano cinquanta libici al giorno, donne, uomini, bambini", tuonerà in serata il Rais tra danzatori folk e galoppate di cavalli berberi, nella caserma Salvo d'Acquisto dei carabinieri. Incomincia a maneggiare direttamente la Storia e i suoi orrori già sotto il grande tendone dell'Accademia che ospita la mostra, palcoscenico pomeridiano del lunedì dei cari leader, Muhammar e Silvio, di nuovo insieme, ma stavolta gelati dalle troppe polemiche: dunque, niente baciamano del nostro premier al dittatore, Berlusconi è terreo e forse di pessimo umore mentre arriva su una macchinetta da golfista con il partner libico accanto e Letta seduto vicino all'autista, per scoprire una targa che in arabo augura all'Accademia di essere un ponte culturale con noi. L'augurio del Colonnello agli europei, lanciato tramite le sue discepole romane ("Ha detto convertitevi all'Islam", svelavano l'altro ieri le più ardite) ha lasciato strascichi pesanti, anche nel Pdl in tanti l'hanno presa maluccio. Beppe Pisanu, molto applaudito al convegno di politici, professori e imprenditori che accompagna la mostra, ridacchia e spiega: "In quella battuta c'è più malizia politica di quanta ne sia stata colta!". Prego? "Mi segua: Gheddafi ha detto che l'Europa deve avvicinarsi all'Islam. E, del resto, quale nazione islamica è in bilico per entrare in Europa? La Turchia. Dunque Gheddafi ha detto agli europei: avete già 20 milioni di musulmani, i Turchi sono 70 milioni... Dov'è la notizia? Nel fatto che il Colonnello non si scalda per niente all'idea dell'ingresso della Turchia in Europa, anzi. Gheddafi sa benissimo che l'Islam non ha chance di espansione in Occidente, semmai rischia l'occidentalizzazione, come dice Messori".

Traduzione: tramite le sue veline coraniche, il rais di Tripoli avrebbe semplicemente messo un bastone tra le ruote del carro con cui Erdogan vorrebbe guidare il Paese che fu dell'Ataturk in seno all'Unione. Possibile? Pisanu ha chiavi di lettura e rapporti col mondo islamico da quando era ministro degli Interni: "Sì, me ne sono sempre occupato", dice sornione. Del resto con Gheddafi ogni cosa ha il suo doppio, come con la sua faccia scavata dal deserto e il suo inverosimile henné che lo fa sembrare in lontananza un'accompagnatrice di Berlusconi sul trabiccolo da golfisti: farsa e dramma stanno lì, mischiati, come nel tendone della mostra. C'è questa lunga sequenza di pannelli agghiaccianti sui nostri trent'anni in Libia: fucilazioni, gas tossici, deportazioni di massa, fino all'esecuzione di Omar El Mukhtar, il Leone del Deserto impiccato a quasi settant'anni e morto invocando il suo Dio dal patibolo, l'uomo di cui Gheddafi esibiva la foto appuntata in petto durante la sua prima visita romana. E c'è una "seconda parte" della mostra, lato sud, che sa un po' di "pecetta", di romanissimo cerotto giustapposto dopo il trattato d'amicizia berlusconiano del 2008. "Con quella parte io non c'entro nulla, la mia mostra si ferma al 1943, sia chiaro", spiega il curatore Costantino Di Sante. L'allora ambasciatore italiano a Tripoli, Francesco Paolo Trupiano, avrebbe ottenuto che pure i nostri rapporti più recenti (e più civili) fossero effigiati come si deve, e così ecco i pannelli con foto di Gheddafi e Andreotti, Gheddafi e D'Alema e, soprattutto, Gheddafi e il caro Silvio, sempre e comunque col ritornello di sottofondo dei soldi che tornano, infine tornano, assieme agli appalti e alle commesse, come sogna anche Pier Francesco Guarguaglini, il leader di Finmeccanica in prima fila al convegno, "sì, speriamo".

Qui, dagli interventi dei libici, coordinati da Ibrahim Magdud, il direttore dell'Accademia, il messaggio che passa è chiaro: li avremo irrorati di iprite, gli avremo bombardato l'oasi di Taizerbo, gli avremo pure deportato centomila poveretti in tredici campi di concentramento, gli avremo persino mandato giù dall'Italia fior di esaltati come l'aviere Vincenzo Biani che in "Ali del deserto" raccontava l'emozione di sganciare bombe e brindare a champagne all'atterraggio; ma, accidenti, possiamo tornare a essere "italiani brava gente" se solo riapriamo i cordoni della borsa. "Metabolizzare, non rimuovere", traduce Gianluigi Rossi, preside di Scienze politiche della Sapienza. "Non eravamo tutti fascisti, c'era chi voleva la Libia indipendente", sbotta Valentino Parlato, un'infanzia a Tripoli che adesso si ridisegna nelle piazze e nelle strade della mostra. Il gran carosello di emozioni non si placa, fuori c'è una tenda blu montata dall'Italia dei Valori contro Gheddafi. Dentro, il rais porta il premier a visitare di nuovo la mostra. "Si è commosso, il mio coraggioso amico Silvio s'è commosso guardando le foto dei nostri drammi", rivelerà in serata. Non se n'era accorto nessuno, ma se lo dice il Colonnello è vero di sicuro.

Goffredo Buccini

31 agosto 2010

 

 

 

Le mosse Berlusconi: voglio spiegare la mia odissea giudiziaria. Non farò la fine di Craxi

Parlare in tv, la tentazione del premier

Ghedini e Bongiorno lavorano all'ipotesi di rivedere le norme sulla prescrizione

Le mosse Berlusconi: voglio spiegare la mia odissea giudiziaria. Non farò la fine di Craxi

Parlare in tv, la tentazione del premier

Ghedini e Bongiorno lavorano all'ipotesi di rivedere le norme sulla prescrizione

Berlusconi (Ansa)

Berlusconi (Ansa)

ROMA — Berlusconi ha paura di un autunno caldo. Non con i sindacati, ma con i magistrati. La Lega gli ha detto che c'è un piano per farlo fuori. Lui ha risposto che il piano lo conosce già, che è in atto da sedici anni e che per questo sta pensando di andare in televisione e spiegare agli italiani come stanno le cose. Lo scenario che lo preoccupa è noto: senza uno scudo giudiziario ulteriore, se la Consulta a dicembre boccerà le norme sul legittimo impedimento, il capo del governo sarà "nudo" di fronte ai processi che lo riguardano, primo fra tutti quello sul caso Mills, la cui sentenza potrebbe arrivare in primavera.

Il cosiddetto processo breve, già approvato in Senato, servirebbe come soluzione, forse definitiva. Ma potrebbe essere una toppa peggiore del buco: il Colle potrebbe rimandare la legge alle Camere, il tempo risparmiato per non fare delle modifiche verrebbe perso per rivotare le norme e rimandarle al Quirinale. Senza escludere un intervento successivo della Corte costituzionale. Ce n'è abbastanza per provocare qualche preoccupazione superiore alla media anche a uno che da anni è abituato alla più drammatica guerra politica con le toghe. Per questo da alcuni giorni il presidente del Consiglio ha rispolverato una sua vecchia idea, elaborata altre volte e mai messa in pratica: "Andrò in tv a spiegare la mia odissea giudiziaria, perché gli italiani sappiano che non farò la fine di Craxi", racconta. Già due anni e mezzo fa, mentre si riposava ai Caraibi, ad Antigua, gli ultimi mesi all'opposizione, meditava di fare un discorso in Parlamento sulla giustizia italiana, ovviamente politicizzata, scandalosamente corporativa, eccessivamente sottratta a qualsiasi controllo disciplinare, un caso nel mondo occidentale, un caso di cui lui sarebbe un esempio pratico e lampante, oltre che una vittima. Poi, complice l'accelerazione della crisi prodiana, vi rinunciò. Oggi sembra tornato alla carica: ha anche chiesto alla Farnesina di rispolverare l'idea di mandare ai 26 Paesi dell'Unione europea una lettera sullo stato dell'ordinamento giudiziario italiano. Anche questo un progetto vissuto qualche settimana, prima dell'estate, e poi riposto nel cassetto, perché giudicato controproducente.

La televisione e la lettera (una prima versione è già stata scritta) non è detto che si realizzino: per ora vivono nella testa del Cavaliere, nei suoi sfoghi di fine agosto, una chiacchierata in tribuna allo stadio Meazza, un'altra nelle terrazze della sua villa sul lago Maggiore, a Lesa. Ovviamente c'è anche chi lavora perché tutto questo non accada, perché la lettera non sia mai spedita alle altre Capitali del vecchio Continente, perché non ci sia bisogno di appellarsi agli italiani sulla giustizia. È al momento ancora in embrione, ma sembra che sia già partita l'ennesima trattativa sotterranea fra l'avvocato del capo del governo, Nicolò Ghedini, e quello vicino al presidente della Camera, Giulia Bongiorno, per cercare una soluzione tecnica alternativa al processo breve. "C'è un tentativo in corso di andare oltre", racconta un berlusconiano del primo giro, appena un filo di voce al telefono. Il tentativo sarebbe quello di lavorare sulle norme del Codice penale che regolano la prescrizione; si arriverebbe in questo modo a uno "scudo" giudiziario, per il premier, che non coinvolgerebbe migliaia di processi in corso, come nel caso delle norme sul processo breve. Sicuramente però si esporrebbe il Cavaliere ad un'altra campagna fondata sul varo di una norma ad personam.

Si vedrà: la notizia è che, riservatamente, si sta cercando una soluzione alternativa a quella che sino a poche ore fa sembrava l'unica soluzione. Berlusconi ovviamente lascia fare: l'importante per lui è che venga risolto il problema della governabilità, che chi è stato eletto dalla maggioranza degli italiani possa completare la legislatura senza doversi difendere da processi che ritiene totalmente politicizzati e giuridicamente inconsistenti. Anche alla luce di questo lavorio due sere fa si diceva ottimista sulla possibilità di trovare un patto di fine legislatura con Gianfranco Fini, ovviamente a condizione che il gruppo di Futuro e Libertà scompaia, che i deputati e i senatori rientrino nel Pdl, che le cose da fare, il programma in cinque punti che verrà presentato in Parlamento fra qualche giorno venga votato senza distinguo. Bisognerà vedere, da qui ad allora, se un punto di questa verifica, quello sulla giustizia e sul processo breve, sarà stato modificato. E se il Cavaliere avrà o meno sciolto la riserva sul progetto di spiegare agli italiani, in prima persona, in televisione, "quello che i magistrati mi hanno fatto in sedici anni di politica".

Marco Galluzzo

31 agosto 2010

 

 

 

 

 

E all'Europa: "Dateci 5 miliardi all'anno per fermare l'immigrazione"

Berlusconi: "Si è chiusa una ferita,

chi non lo capisce appartiene al passato"

Gheddafi: "L'Italia finora ha fatto poco rispetto a ciò che abbiamo subito". Poi elogia il premier: "Coraggioso"

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Berlusconi e Gheddafi sul palco della caserma "Salvo D'Aquisto"

Berlusconi e Gheddafi sul palco della caserma "Salvo D'Aquisto"

ROMA - Lo ha definito "il mio amico" e il "leader della rivoluzione" e nel suo intervento alla caserma "Salvo D'Acquisto" per le celebrazioni del secondo anniversario del trattato italo-libico Silvio Berlusconi ha sottolineato che "tutti dovrebbero rallegrarsi" della nuova amicizia tra Italia e Libia sancita il 30 agosto 2008 Bengasi. In quell'occasione, ha sottolineato il premier, "è stata chiusa una ferita ed è iniziata una vita nuova": "Chi non capisce i vantaggi di questa intesa - ha detto il presidente del Consiglio, appartiene al passato. Noi invece guardiamo al futuro". Nel suo intervento Berlusconi aveva sottolineato l'importanza strategica della nuova alleanza e ha ricordato tra l'altro gli accordi tra i due Paesi per la lotta all'immigrazione clandestina.

"FERITA CHIUSA" - Il capo del governo si è detto convinto dell'importanza del trattato anche per la chiusura di "una ferita" e per la possibilità di "recuperare il tempo perduto" dopo le tensioni del dopoguerra legate all'intervento coloniale italiano. "Il passato del popolo libico carico di sofferenza è consegnato ai libri di storia - ha sottolineato il premier -. La Libia ha vissuto il dolore che si infligge ad un popolo quando lo si vuole dominare".

"LA REPLICA DI GHEDDAFI" - Gheddafi, che ha preso la parola subito dopo, non ha rinunciato a sottolineare a sua volta le sofferenze subite dal suo popolo, ha ricordato alcuni episodi risalenti al periodo coloniale, ha parlato di Graziani quale maestro di Hitler e ha enfatizzato il fatto che "ogni famiglia libica ha un morto, una persona risultata dispersa o costretta a subire mutilazioni a causa dell'occupazione italiana", ha ricordato l'ingente quantità di mine lasciate sul territorio libico dalle forze dell'Asse. L'Italia - ha ricordato - ha eseguito alcuni interventi sul territorio libico, ha ad esempio costruito un ospedale ortopedico a Bengasi per curare le vittime delle mine, "ma è poca cosa rispetto a quanto successo veramente al popolo libico".

"BERLUSCONI CORAGGIOSO" - Ma alla fine anche lui ha ringraziato "il mio amico Berlusconi" e parlato della possibilità di "voltare pagina". "Avete riconosciuto gli errori del passato, commessi dall’Italia passata, fascista, e non attuale - ha detto il Colonnello, che ha invitato i giovani italiani a studiare gli orrori del colonialismo -. Il popolo libico è piccolo e pacifico e non aveva intenzioni ostili verso gli italiani. Ma ora vi ringrazio per la condanna del colonialismo e per il coraggio che avete dimostrato ammettendo gli errori; voi e il vostro coraggioso Berlusconi". Berlusconi che, ha ricordato, "ha pianto guardando le foto che testimoniavano le sofferenze del mio popolo". Berlusconi che a differenza di altri che lo hanno preceduto - e il leader libico ha citato Andreotti, Prodi e D'Alema, definendoli "amici" - che si sono limitati a firmare singoli accordi, ha portato fino alla fine la sottoscrizione del trattato. "Per questo è stato coraggioso".

"5 MILIARDI CONTRO L'IMMIGRAZIONE" - Nel suo intervento Gheddafi ha poi sollecitato un finanziamento di cinque miliardi di euro all'anno alla Libia, altrimenti "l'Europa potrebbe diventare Africa, potrebbe diventare nera". "La Libia chiede all'Unione Europea - ha detto Gheddafi - che l'Europa offra almeno cinque miliardi di euro all'anno per fermare l'immigrazione non gradita. Bisogna sostenere questo esercito che combatte per fermare l'immigrazione - ha aggiunto - altrimenti l'Europa potrebbe diventare Africa, potrebbe diventare nera. Libia è l'ingresso dell'immigrazione non gradita, dobbamo lottare insieme per affrontare questa sfida. L'Italia- deve convincere i suoi alleati europei per applicare la proposta libica".

Redazione online

30 agosto 2010

 

 

 

Critiche anche dal centrosinistra. Silenzio della Lega. Ma la Padania: "Europa Cristiana"

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Berlusconi e Gheddafi insieme a Roma

Berlusconi e Gheddafi insieme a Roma

ROMA - E' continuato anche nella giornata di lunedì il Gheddafi show a Roma con un nuovo incontro con un gruppo di hostess italiane. Poco dopo mezzogiorno nella sede dell'Accademia libica sono arrivati diversi pullman con a bordo 400 ragazze. Nel gruppo si sono notate anche alcune giovani con il velo, ragazze che domenica si erano convertite all'islam con un breve rito davanti al leader libico. Un'altra delle partecipanti portava al collo una catenina con una medaglietta con l'immagine del Colonnello.

"IL RISPETTO DELLA DONNA" - "In Libia la donna è più rispettata che in Occidente e negli Stati Uniti" ha detto Gheddafi stando al racconto di una delle ragazze che hanno partecipato all'incontro, Elena Racoviciano, interpellata dall'Ansa. Non solo: parlando dell'Islam, il leader libico ha ribadito che per lui "se bisogna credere in una sola fede, questa è l'Islam perchè Maometto è stato l'ultimo dei profeti e quindi è quello da seguire". Un'altra delle hostess, Erika, interpellata da Sky Tg 24 ha invece raccontato che la "conversione" all'Islam di tre ragazze avvenuta domenica si è consumata tra le foto dello stesso colonnello da un lato e dall'altro del premier Silvio Berlusconi, affisse ai lati di un tavolo dove erano disposte varie copie del Corano. Le tre ragazze, ha riferito ancora Erika, "erano felici e contente", "hanno acconsentito a cambiare nome e chissà cos'altro...".

Berlusconi ricevuto da Gheddafi Berlusconi ricevuto da Gheddafi Berlusconi ricevuto da Gheddafi Berlusconi ricevuto da Gheddafi Berlusconi ricevuto da Gheddafi Berlusconi ricevuto da Gheddafi Berlusconi ricevuto da Gheddafi Berlusconi ricevuto da Gheddafi

L'INCONTRO NELLA TENDA - Gheddafi e il premier Silvio Berlusconi si sono poi incontrati per un faccia a faccia nella tenda beduina che il rais si è portato dalla Libia e che è stata montata nel giardino dell'ambasciata libica. L'incontro è durato mezz'ora. Poi i due leader hanno visitato insieme una mostra fotografica che inaugura la nuova Accademia Libica di via Cortina d'Ampezzo, a poche centinaia di metri dalla residenza dell'ambasciatore della Libia. Il premier italiano, che è apparso meno sorridente del solito e che al termine della visita alla mostra si è allontanato senza rilasciare dichiarazioni, è stato accompagnato, tra gli altri, dal ministro degli Esteri Franco Frattini e dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta. In seguito si sono svolte le celebrazioni per il secondo anniversario del Trattato italo-libico alla caserma Salvo d'Aquisto nel corso delle quali il premier ha parlato di "ferita chiusa" e di occasione per voltare pagina: "Chi non capisce i vantaggi di questa nuova amicizia - ha detto - appartiene al passato. Noi invece guardiamo al futuro".

LE POLEMICHE - Intanto proseguono le polemiche dopo la "convocazione" di domenica 200 ragazze-hostess per convertirle all'islam. Berlusconi ha liquidato la faccenda come "folklore". Amnesty International ha scritto una lettera a Berlusconi nella quale si ricordano le "gravi violazioni" dei diritti umani in Libia e chiede di inserire il tema dei diritti umani dell'agenda dei colloqui italo-libici. "Ogni volta che Gheddafi torna a Roma è sempre peggio della precedente senza che nessuno di coloro che lo hanno invitato gli faccia notare qualcosa",ha detto a Radio Radicale la vice presidente del Senato Emma Bonino. Per protesta contro "le scelte politiche di questo governo nei confronti del dittatore Gheddafi" i radicali dell'Associazione Aglietta alla festa nazionale del Pd in corso a Torino indosseranno una fascia nera a lutto. Potito Salatto, eurodeputato del Ppe e membro della commissione europea degli Esteri, chiede cosa accadrebbe se fosse Berlusconi a donare Bibbie o Vangeli in terra libica. L'appello all'Europa a convertirsi all'islam non è piaciuto ai cavalieri templari del Super Ordo Equestri Templi che rilanciano: "Siano gli islamici a diventare cristiani". Secondo il sito web finiano FareFuturo "l'Italia è diventata la Disneyland di Gheddafi, il parco-giochi delle sue vanità senili, ma la ragione è purtroppo politica. Il governo berlusconiano è passato dall'atlantismo all'agnosticismo, dalle suggestioni neo-con alla logica commerciale, per cui il cliente, se paga, ha sempre ragione". Invece per Ignazio La Russa, ministro della Difesa e coordinatore del Pdl, "l'ospite è sacro". Ma la sua collega di governo, il sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi, non è del tutto d'accordo: "Qualunque fede religiosa merita il massimo rispetto, ciò che in questa occasione temo stia mancando nei confronti dei cittadini italiani, in grande maggioranza cattolici", le sue parole. "A un amico come il colonnello Gheddafi occorre dire parole di verità, in ogni circostanza", ha aggiunto poi, ricordando anche "i frutti positivi del Trattato di amicizia e cooperazione tra Italia e Libia".

"L'EUROPA SIA CRISTIANA" - Molte critiche erano state rivolte in particolare alla Lega, che non ha preso posizione attraverso i suoi leader sull'auspicio della conversione dell'Europa all'Islam vaticinata da Gheddafi. La risposta è stata affidata al quotidiano La Padania che martedì va in edicola con il titolo "L'Europa sia cristiana". Nel sottotitolo il quotidiano del Carroccio così prosegue: "Gheddafi sogna il vecchio Continente convertito a Maometto". Poi cita il professore Del Valle che dice: "Il rischio concreto si chiama Turchia, vero cavallo di Troia dell'espansione islamica".

STAMPA ARABA - La stampa araba, e libica in particolare, esalta la visita di Gheddafi a Roma. Al-Jamahiriya titola: "Il capo della rivoluzione arriva a Roma per celebrare il secondo anniversario del trattato di amicizia tra i due Paesi". Aprono con questa notizia anche gli altri giornali libici, come Quryna e Al-Shames, dove non si parla però dell'incontro con le ragazze italiane. "Ragazze italiane si convertono all'islam dopo aver incontrato Gheddafi", titola invece Arab online. I principali giornali panarabi dedicano ampio spazio a questo evento. Titola Al-Hayat, edito a Londra: "Gheddafi in Italia con la sua tenda, ripete le sue lezioni alle donne sull'islam". Secondo Al-Sharq al-Awsat "Gheddafi arriva in Italia per celebrare il secondo anniversario della firma del Trattato di amicizia".

Redazione online

30 agosto 2010

 

 

 

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"IL RISPETTO DELLA DONNA" - "In Libia la donna è più rispettata che in Occidente e negli Stati Uniti" ha detto Gheddafi stando al racconto di una delle ragazze che hanno partecipato all'incontro, Elena Racoviciano, interpellata dall'Ansa. Non solo: parlando dell'Islam, il leader libico ha ribadito che per lui "se bisogna credere in una sola fede, questa è l'Islam perchè Maometto è stato l'ultimo dei profeti e quindi è quello da seguire". Un'altra delle hostess, Erika, interpellata da Sky Tg 24 ha invece raccontato che la "conversione" all'Islam di tre ragazze avvenuta domenica si è consumata tra le foto dello stesso colonnello da un lato e dall'altro del premier Silvio Berlusconi, affisse ai lati di un tavolo dove erano disposte varie copie del Corano. Le tre ragazze, ha riferito ancora Erika, "erano felici e contente", "hanno acconsentito a cambiare nome e chissà cos'altro...".

Berlusconi ricevuto da Gheddafi Berlusconi ricevuto da Gheddafi Berlusconi ricevuto da Gheddafi Berlusconi ricevuto da Gheddafi Berlusconi ricevuto da Gheddafi Berlusconi ricevuto da Gheddafi Berlusconi ricevuto da Gheddafi Berlusconi ricevuto da Gheddafi

L'INCONTRO NELLA TENDA - Gheddafi e il premier Silvio Berlusconi si sono poi incontrati per un faccia a faccia nella tenda beduina che il rais si è portato dalla Libia e che è stata montata nel giardino dell'ambasciata libica. L'incontro è durato mezz'ora. Poi i due leader hanno visitato insieme una mostra fotografica che inaugura la nuova Accademia Libica di via Cortina d'Ampezzo, a poche centinaia di metri dalla residenza dell'ambasciatore della Libia. Il premier italiano, che è apparso meno sorridente del solito e che al termine della visita alla mostra si è allontanato senza rilasciare dichiarazioni, è stato accompagnato, tra gli altri, dal ministro degli Esteri Franco Frattini e dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta. In seguito si sono svolte le celebrazioni per il secondo anniversario del Trattato italo-libico alla caserma Salvo d'Aquisto nel corso delle quali il premier ha parlato di "ferita chiusa" e di occasione per voltare pagina: "Chi non capisce i vantaggi di questa nuova amicizia - ha detto - appartiene al passato. Noi invece guardiamo al futuro".

LE POLEMICHE - Intanto proseguono le polemiche dopo la "convocazione" di domenica 200 ragazze-hostess per convertirle all'islam. Berlusconi ha liquidato la faccenda come "folklore". Amnesty International ha scritto una lettera a Berlusconi nella quale si ricordano le "gravi violazioni" dei diritti umani in Libia e chiede di inserire il tema dei diritti umani dell'agenda dei colloqui italo-libici. "Ogni volta che Gheddafi torna a Roma è sempre peggio della precedente senza che nessuno di coloro che lo hanno invitato gli faccia notare qualcosa",ha detto a Radio Radicale la vice presidente del Senato Emma Bonino. Per protesta contro "le scelte politiche di questo governo nei confronti del dittatore Gheddafi" i radicali dell'Associazione Aglietta alla festa nazionale del Pd in corso a Torino indosseranno una fascia nera a lutto. Potito Salatto, eurodeputato del Ppe e membro della commissione europea degli Esteri, chiede cosa accadrebbe se fosse Berlusconi a donare Bibbie o Vangeli in terra libica. L'appello all'Europa a convertirsi all'islam non è piaciuto ai cavalieri templari del Super Ordo Equestri Templi che rilanciano: "Siano gli islamici a diventare cristiani". Secondo il sito web finiano FareFuturo "l'Italia è diventata la Disneyland di Gheddafi, il parco-giochi delle sue vanità senili, ma la ragione è purtroppo politica. Il governo berlusconiano è passato dall'atlantismo all'agnosticismo, dalle suggestioni neo-con alla logica commerciale, per cui il cliente, se paga, ha sempre ragione". Invece per Ignazio La Russa, ministro della Difesa e coordinatore del Pdl, "l'ospite è sacro". Ma la sua collega di governo, il sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi, non è del tutto d'accordo: "Qualunque fede religiosa merita il massimo rispetto, ciò che in questa occasione temo stia mancando nei confronti dei cittadini italiani, in grande maggioranza cattolici", le sue parole. "A un amico come il colonnello Gheddafi occorre dire parole di verità, in ogni circostanza", ha aggiunto poi, ricordando anche "i frutti positivi del Trattato di amicizia e cooperazione tra Italia e Libia".

"L'EUROPA SIA CRISTIANA" - Molte critiche erano state rivolte in particolare alla Lega, che non ha preso posizione attraverso i suoi leader sull'auspicio della conversione dell'Europa all'Islam vaticinata da Gheddafi. La risposta è stata affidata al quotidiano La Padania che martedì va in edicola con il titolo "L'Europa sia cristiana". Nel sottotitolo il quotidiano del Carroccio così prosegue: "Gheddafi sogna il vecchio Continente convertito a Maometto". Poi cita il professore Del Valle che dice: "Il rischio concreto si chiama Turchia, vero cavallo di Troia dell'espansione islamica".

STAMPA ARABA - La stampa araba, e libica in particolare, esalta la visita di Gheddafi a Roma. Al-Jamahiriya titola: "Il capo della rivoluzione arriva a Roma per celebrare il secondo anniversario del trattato di amicizia tra i due Paesi". Aprono con questa notizia anche gli altri giornali libici, come Quryna e Al-Shames, dove non si parla però dell'incontro con le ragazze italiane. "Ragazze italiane si convertono all'islam dopo aver incontrato Gheddafi", titola invece Arab online. I principali giornali panarabi dedicano ampio spazio a questo evento. Titola Al-Hayat, edito a Londra: "Gheddafi in Italia con la sua tenda, ripete le sue lezioni alle donne sull'islam". Secondo Al-Sharq al-Awsat "Gheddafi arriva in Italia per celebrare il secondo anniversario della firma del Trattato di amicizia".

Redazione online

30 agosto 2010

 

 

 

 

Parla una delle giovani che hanno assistito al discorso del Colonnello

"Così mi sono convertita"

"Il mio fidanzato adesso mi dice: finalmente ti sei coperta"

Parla una delle giovani che hanno assistito al discorso del Colonnello

"Così mi sono convertita"

"Il mio fidanzato adesso mi dice: finalmente ti sei coperta"

ROMA — "Il mio ragazzo mi ha detto: finalmente ti sei coperta, prima per strada ti guardavano tutti...". Ha gli occhi verdissimi e ride, Rea Beko, 27 anni. Esce con il chador nero dall’accademia libica di via Caldonazzo. Sembra felice: "Mi sento purificata, ora faccio il digiuno, rispetto il Ramadan". Telecamere e microfoni la inseguono, ma lei sale muta sul pullman di "Hostessweb". Più tardi, però, ha voglia di parlare, di raccontare il suo giorno più lungo davanti a Gheddafi. "Il Colonnello — dice — è come uno di quei saggi antichi a cui si rivolgevano i cavalieri prima di andare in battaglia. Un saggio che dà consigli...". Laureata in scienze sociali all’università La Sapienza, frequenta un master in politiche pubbliche: "Il mio sogno è diventare sindaco di Roma", dice scherzando ma mica poi tanto.

Rea è nata a Tirana, Albania, ma vive in Italia da quando ha 15 anni. Papà imprenditore, mamma stilista, lei lavora come promotrice finanziaria. "Cominciai a leggere il Corano fin da piccola — racconta la biondissima neomusulmana — Prima ero cristiana ortodossa, ma in realtà tutte le religioni mi hanno sempre interessato, il buddismo, l’induismo, il cristianesimo, ho letto molto, ho studiato molto, forse perché sono nata in un Paese in cui non era così facile professare apertamente il proprio culto. Ma Dio è inspiegabile, non mi potete adesso chiedere di Dio, non è un cielo che si illumina all’improvviso". Il suo abbraccio all’Islam, così, è arrivato alla fine di un percorso, cominciato un anno fa con le lezioni di Corano del raìs e proseguito con i viaggi in Libia, ospite di Gheddafi insieme ad altre hostess come lei: "Ma voi sbagliate a fare distinzioni — avverte Rea —. Cristiani e musulmani, siamo tutte persone, anche la mia amica Clio Evans, hostess e attrice mezzo inglese e mezzo romana, è venuta in Libia a trovare Gheddafi. Anche a lei il Colonnello ha regalato una collanina d’oro con il suo ritratto, ma Clio è rimasta cristiana. E non per questo non siamo più amiche".

Fabrizio Caccia

30 agosto 2010

 

 

 

retroscena - il racconto di un'"infiltrata" tra le ragazze convocate dall'agenzia

Ore e ore sotto il sole per 80 euro:

la giornata delle hostess di Gheddafi

Giovani, carine, disoccupate e abbagliate dalla promessa di un futuro radioso in Libia, magari col matrimonio

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Lunga attesa sotto il sole per le hostess (Ansa)

Lunga attesa sotto il sole per le hostess (Ansa)

ROMA - Per almeno la metà delle 536 ragazze selezionate dall’agenzia hostessweb, l’incontro-dibattito a sfondo religioso programmato con il leader libico Muammar Gheddafi si è trasformato in ore di attesa. Giunte in pullman al civico 8 di via Cortina D’Ampezzo intorno alle 12.30, le ragazze hanno prima affrontato le lungaggini dei controlli della sicurezza. Sotto il sole delle prime ore del pomeriggio, disposte in una lunga fila nell’area interna dell’accademia culturale libica, hanno dovuto mostrare disciplina e obbedienza alle guardie libiche addette ai controlli, per ottenere il lasciapassare. E non tutte ce l’hanno fatta. Dopo il "sì" del body scanner e l’abbandono fuori della porta dell’accademia dei portafogli, dei cellulari e finanche delle sigarette, alcune sono state rispedite al mittente, mentre circa 500 sono entrate.

Solo duecento di loro, però, sono rimaste all’interno ad attendere la lezione di Corano. La sala riunioni, troppo piccola, ha suggerito infatti agli organizzatori di dividere l’incontro in due tranche. Non prima di aver ammonito tutte però, di evitare la stampa assiepata fuori, e di non raccontare i dettagli degli accordi economici con l’agenzia intermediaria, pena l’esclusione dalle liste di hostessweb, e la rinuncia alla paga. Ma oltre all’ammonimento, anche una promessa: "Per chi si mostrerà interessata al Corano, questa è l’occasione di farsi avanti – ha spiegato Alessandro – ci saranno infatti nuovi incontri e nuove opportunità di guadagno. Le ragazze che durante l’incontro si mostreranno interessate, saranno infatti invitate in Libia, ad approfondire i vari aspetti della cultura libica. Per esempio, a settembre, ci sarà un evento per la festa nazionale, a cui si potrà partecipare".

E con nuove prospettive di guadagno in arrivo, la metà delle aspiranti hostess, accampate nell’atrio dell’accademia, sedute per terra e sui muretti, hanno affrontato altre ore di attesa sotto il sole, per assicurarsi intanto gli 80 euro di rimborso promessi (64 per chi fosse stata segnalata da un’amica e non fosse direttamente iscritta nelle liste dell’agenzia intermediaria). Ore spese parlando a bassa voce, senza disturbare o fare troppe domande, per non infastidire le guardie, per fare amicizia, e per capire cosa avesse spinto tante ragazze, così diverse, a condividere il pomeriggio nell’atrio libico, per terra, sotto il sole.

C'è Sabrina, 22 anni, pugliese, iscritta a Farmacia alla sapienza di Roma, bellissima, bionda, occhi azzurri: "Cosa c’entra farmacia con tutto questo? in fondo sono curiosa…". C'è Monica, laureata in scienza della formazione, senza lavoro, ma pronta a proseguire la specializzazione: spera in un lavoro precario, "non si sa mai". E poi Pamela, 22 anni, mora, occhi da cerbiatto e gambe da gazzella, ammirate dalle altre nei pantacollant neri da 13 euro, che su di lei fanno però una gran figura. Vive in uno dei grattaceli della zona "che ho sentito che vogliono abbattere, per metterci tutti nei container", spiega alle amiche. Non ha nessuna fiducia nel futuro in Italia, e si chiede se sia il caso di andare all’estero a trovare fortuna. Ha solo un diploma al turistico, e forse, se nulla cambia, si segnerà all’università a lingue, a settembre. Sedute da una parte due polacche parlano tra loro. Ma il loro desino è simile: Marta, licenziata di fresco da un ristoratore romano che le dava 30 euro al giorno in nero, ha un bambino di tre anni, è separata, e aspetta i soldi "per mettere insieme l’affitto del mese nella casa di Ponte Galeria", spiega.

Finalmente si apre la porta e le prime duecento escono con il Corano sotto il braccio. È arrivata l’ora del dibattito. Ma, appena sedute nella sala, è subito chiaro a tutte che è meglio non fare domande scomode. D’altra parte gli organizzatori hanno avvertito: quelle a sfondo giornalistico-politico, verranno censurate. Gheddafi parla con tono sommesso, ma sicuro. Spiega a tutte che l’unica via di salvezza è il Corano. Ripete più volte: "L'ultimo profeta è Maometto. C’era scritto anche sul Vangelo, ma poi è stato modificato. Ora dunque l’unica sacra scrittura valida rimane il Corano, perché è l’unica che è arrivata a noi autentica". E prosegue: "Anche Gesù sapeva perfettamente che il nuovo profeta sarebbe stato Maometto. Hamed, per l’esattezza, che nella nostra lingua si traduce in Mohammed". E la religione islamica è l’unica e universale, alla quale bisogna convertirsi prima del giorno del giudizio: "Chi non sarà convertito entro quel giorno – ammonisce – sarà perdente".

Una ragazza chiede: "Ma allora la nostra religione è sbagliata?". "No – risponde Gheddafi-. Solo che ogni religione, anche quella cristiana cattolica, ha avuto il suo periodo. Perché il messia Gesù era quello che precedeva l’ultimo, Maometto. Ora la religione musulmana le deve rimpiazzare tutte". Arrivano anche domande sulla lapidazione delle donne peccatrici e sulla condizione delle donne in Libia, ma su queste il Leader glissa e la sicurezza mette a tacere le coraggiose.

Intanto è pronto per tutte, alla fine del dibattito, un invito a unirsi in matrimonio con gli uomini libici e rinsaldare così il legame Italia-Libia. "In passato questo due Paesi si sono fatti la guerra - ha spiegato Gheddafi -. Ma ora i rapporti promettenti di diplomazia tra me e il capo di Stato italiano Berlusconi consentono di mischiare le due etnie, e di procedere verso l’unità. Ma non prima, spiega che voi abbiate letto il Corano, senza preconcetti e con l’apertura mentale necessaria alla conversione". Infatti, prima di lasciare l’accademia culturale libica, già tre ragazze, entrate senza velo, lo indossano, uscendo, fiduciose nelle promesse di felicità, prosperità e, perché no, di ricchezza che un Paese diverso dall’Italia potrà assicurare loro.

Sabrina La Stella

29 agosto 2010

 

 

 

LA VISITA A ROMA / 2

I capricci di Sua Maestà da Tripoli

LA VISITA A ROMA / 2

I capricci di Sua Maestà da Tripoli

Compiaciuto tra i suoi 30 cavalli berberi più belli di quelli di Ben Hur, le amazzoni di scorta con rimmel antisommossa e le sue 500 ninfette italiane prese a nolo, "Papi" Muammar benedice l'amico Silvio e tutto il popolo italiano: questa sì è un'accoglienza da Re! E chissà che anche stavolta, tra le seguaci conquistate dalla sua oratoria e da un pacco di fruscianti bigliettoni, non spunti fuori qualche convertita all'Islam...

Diciamo la verità: era cominciata male, tra Gheddafi e gli italiani. Prima il fastidio delle polemiche sulla cacciata dei nostri connazionali buttati fuori dopo la rivoluzione. Poi lo strascico del rancore per la nostra occupazione coloniale che gli aveva fatto istituire la Giornata della Vendetta. Poi i seccanti sospetti su un suo coinvolgimento in certi episodi terroristici. Poi i missili contro Lampedusa e la rivendicazione della sovranità sulle Tremiti. Per non dire di certe parole di Oriana Fallaci: "Oltre ad essere un tiranno è un gran villanzone". Peggio: "È clinicamente stupido". Peggio ancora: "È senz'altro il più cretino di tutti". Screanzata. Più ancora di Indro Montanelli, che lo aveva bollato come "un sinistro pagliaccio". Più di Reagan, che lo chiamava: "Il cane di Tripoli".

Vabbè, pietra sopra. Tutto cancellato dal rapporto con l'amico Silvio. Lui, Muammar, l'aveva detto già nel lontano 1994: "Io e Berlusconi siamo fatti per intenderci, in quanto rivoluzionari. Prevedo per lui grandi successi nella gestione dello Stato, così com'è stato nella gestione del Milan. La sua personalità è apparsa all'orizzonte cambiando tutto da cima a fondo". Certo, il Cavaliere non ha accettato tutti i suoi consigli su come risolvere le grane parlamentariste. L'anno scorso in Campidoglio, ad esempio, aveva detto: "Il partitismo è un aborto della democrazia. Se me lo chiedesse il popolo italiano gli darei il potere. Annullerei i partiti, affinché il popolo possa prendere il loro posto. Non ci sarebbero più elezioni e si verificherebbe l'unità di tutti gli italiani. Basta destra e sinistra. Il popolo italiano eserciterebbe il potere direttamente, senza rappresentanti". Quindi, all'università "La Sapienza", aveva spiegato che questa è l'essenza della democrazia: "Demos in arabo vuol dire popolo e crazi vuol dire sedia. Cioè il popolo si vuole sedere sulle sedie". Aristotelico.

Allora, alle "letterine" affittate perché ascoltassero a ottanta euro l'una il sermone maomettano, aveva rivelato: "Sapete che al posto di Gesù crocifissero un suo sosia?". Questa volta, tra i sorridenti inchini e gli ossequiosi salamelecchi dei nostri uomini di governo solitamente ostili, diciamo così, a certi discorsi, è andato oltre: "L'Islam dovrebbe diventare la religione di tutta l'Europa". Lo dicesse l'imam di una sgangherata moschea di periferia sarebbe scaraventato fuori tra strilli di indignazione. Lo dice lui? Spallucce. È la politica, bellezza.

Così è fatto, "Papi" Muammar: adora essere circondato da cammelli, cavalli e puledre. Il tutto con una sobrietà che in quattro decenni di potere è diventata leggendaria. Oddio, diciamo la verità: il Colonnello si muove nel solco di una storia antica. È un secolo che gli italiani dalla Libia si aspettano cose spropositate. Basti ricordare come, per eccitare la fantasia dei lettori prima della conquista, l'inviato de "La Stampa" Giuseppe Bevione scriveva che laggiù c'erano "ulivi più colossali che le querce" e che l'erba medica poteva "essere tagliata 12 volte all'anno" e che i poponi crescevano "a grandezze incredibili, a venti e trenta chili per frutto". Va da sé che, con questi poponi alle spalle, il re beduino della Jamahiriyya non poteva essere da meno.

Il suo piccolo Paese, disse un giorno Igor Man, "gli è sempre andato stretto". Detto fatto, si è sempre mosso alla grande. Come quando si presentò al vertice dell'Unione africana ad Addis Abeba facendosi precedere da 15 lussuosissime auto blu personali fatte sbarcare da aerei giganteschi e scandalizzò tutti con due valigie ("Un regalo del nostro leader ai capi di Stato africani", spiegarono i diplomatici) piene d'oro zecchino. O quando, sceso a Roma con la solita corte di 300 attaché, pretese che gli montassero una tenda di 60 metri quadrati a Villa Pamphilii con 12 poltrone dai piedi dorati, lampade, divanetti, tavoli e "grandi incensieri per profumar l'ambiente". O quando inaugurò un pellegrinaggio attraverso Swaziland, Mozambico, Malawi, Zimbabwe e Kenia presentandosi in Sudafrica con due Boeing 707 in configurazione Vip, un jet più piccolo d'appoggio, un gigantesco Antonov russo con a bordo due autobus di lusso da 46 posti, sessanta auto blindate e 400 guardie del corpo armate fino ai denti di kalashnikov. Più, piccolo dettaglio regal-pastorale, un container frigorifero di agnelli macellati.

Potevano i figli di tanto padre non seguirne l'esempio? No. Ed ecco Hannibal e Moutassem sgommare in Costa Smeralda al volante di una Ferrari a testa fino a far saltare i nervi del giardiniere della spettacolare villa presa in affitto, furibondo per la quotidiana raccolta di cocci delle bottiglie di champagne millesimato buttate dalla finestra. Ecco il conto preteso per via giudiziaria (la famiglia si era dimenticata di pagare) dall'hotel Excelsior di Rapallo per una vacanza di Al Saadi, detto l'Ingegnere: 392 mila euro per sei settimane. Ecco lo stesso Al Saadi, capricciosamente deciso a "giocare al calciatore professionista", affittare Villa Miotti a Tricesimo: 13 mila euro al mese. Spiccioli per un uomo che, volendo farsi insegnare qualche trucco sul palleggio, raccontò Emanuela Audisio su Repubblica, ingaggiò per gli allenamenti un trainer personale esclusivo: Diego Armando Maradona. Costo: 5 milioni di dollari.

Anche queste cose però, diciamo la verità, finiscono per annoiare. Ed è così che il despota tripolino, un bel giorno, ha deciso di commissionare alla Tesco Ts di Torino un'auto disegnata da lui medesimo. Possibile? Parola dei costruttori dei due prototipi: "Durante la realizzazione di questa macchina, l'équipe tecnica di Tesco Ts ha seguito alla lettera le idee del designer, il Leader, per produrre la vettura perfetta secondo la sua visione". E come poteva essere la vettura perfetta, per sua maestà Muammar? Rifiniture in marmo. Un capriccio è un capriccio. Se no che gusto c'è ad essere il leader di una Jamahiriyya Popolare e Socialista?

GIAN ANTONIO STELLA

30 agosto 2010

 

 

 

 

I finiani: "pronti a discutere". Ma il Pdl: "Studiano manovre perché sono deboli"

Legge elettorale, coro di no a D'Alema

Il sistema tedesco non piace nel Pd

Bindi: indietro non si torna; Parisi: da lui c'era da aspettarselo; Bonino: no alle alleanze post-elettorali

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ROMA - Niente voto subito, non con questa legge elettorale. Di più: dovendo ipotizzare una riforma delle regole per l'elezione di deputati e senatori, il modello di riferimento potrebbe essere quello tedesco perché "l'idea malsana e malintesa di bipolarismo che abbiamo cullato e costruito in questi anni ci ha portato a un sistema che fa comodo solo a Berlusconi, che col 38% dei consensi può farsi eleggere al Quirinale, e chiudere i giochi per sempre. Ci rendiamo conto che l'indicazione del premier sulla scheda non esiste in nessun paese del mondo? Ci rendiamo conto che in Italia con questo falso mito maggioritario ormai gli organi di garanzia contano sempre meno?". Il sasso lanciato da Massimo D'Alema con un'intervista a Repubblica fa discutere il centrosinistra dopo che dalle colonne del Corriere della Sera era invece partito un appello bipartisan di 42 politici e studiosi a favore del sistema uninominale. E molte sono le voci critiche che si levano all'interno dello schieramento, soprattutto da parte di chi vede nel bipolarismo una scelta irreversibile.

"Non era necessario essere profeti per prevedere la fine che in pochi giorni avrebbe fatto il ritorno dell'Ulivo - ha commentato l'ulivista doc Arturo Parisi -. Tornato dalle ferie, dopo averci invitati a non fermarci alle sigle, D'Alema ripropone con coerenza la ricetta di sempre. Governo per la legge elettorale col centro, sistema tedesco, per ritornare al bel tempo antico quando Berlusconi non c'era". Così Arturo Parisi, deputato Pd ed ex ministro della Difesa. "Son passati appena tre mesi - ha ricordato - da quando una Assemblea Nazionale del Pd varava con enfasi un documento che indicava come posizione del partito 'un sistema di impianto maggioritario fondato sui collegi uninominali. Dove stia D'Alema lo sanno anche i bambini. Dove siano Bersani, il Pd, e il Nuovo Ulivo è un mistero".

Per Rosy Bindi, presidente dell'assemblea nazionale del Pd, non si può battere il berlusconismo tornando alla politica delle mani libere, come risulterebbe dal sistema elettorale alla tedesca auspicato da Massimo D’Alema."Il Pd deve fare in modo che il tempo dell’agonia del berlusconismo sia utilizzato per fare almeno alcune riforme istituzionali (riduzione del numero dei parlamentari e superamento delbicameralismo perfetto) e una nuova legge elettorale. E in questa fase il primo compito del Pd è quello di essere unito e di salvaguardare in primo luogo, come partito del nuovo Ulivo, il suo profilo plurale. Sulla modifica della legge elettorale sarebbe auspicabile trovare una larga intesa, un accordo con tutti anche con questa maggioranza, vittima anch’essa del parcellum. Ma visto che non e’ possibile, il Pd deve lavorare a costruire una maggioranza partendo da una proposta che sia tra di noi condivisa, che indichi i punti per noi irrinunciabili, pronti comunque alle necessarie mediazioni. Ci siamo trovati d’accordo su un sistema che consenta agli elettori di scegliere: un partito, chi va in Parlamento e la coalizione che deve governare. Questi sono i punti per noi irrinunciabili, in grado di segnare la discontinuita’ vera con la seconda Repubblica, che in realta’ a portato alle estreme conseguenze le degenerazioni della prima".

"Dalla Lega e dal Pdl ci sarà un muro nei confronti della nostra proposta per l'uninominale - fa notare la radicale Emma Bonino -. D'Alema sostiene invece un altro sistema, quello tedesco, alternativo a quello che proponiamo noi, perchè comporterebbe alleanze post elettorali, così come vogliono anche l'Udc e l'estrema sinistra. Sono posizioni che esistono, ed è quindi giusto che vengano allo scoperto. Ma certo questo è un dibattito politico serio, altro che il cicaleccio al quale abbiamo assistito nelle scorse settimane".

Critico il Pdl, che di cambiare la legge elettorale non ha alcuna intenzione. "E’ evidente che D’Alema cerca di surrogare con la manovra politica e con la modifica della legge elettorale la debolezza politica e sociale del Partito Democratico e della sinistra in genere rispetto all’azione di governo e alla forza del blocco sociale di centrodestra - ha detto Fabrizio Cicchitto -. Si vuole smontare il premio di maggioranza e andare al sistema tedesco per far si che siano i partiti dopo il voto, e non gli elettori con il voto, a stabilire chi deve governare. Su questo piano certamente D’Alema è all’altezza della sua fama".

Dal fronte dei finiani Italo Bocchino fa invece sapere che "la proposta di D'Alema va valutata con attenzione, come ogni proposta. Abbiamo bisogno di una legge elettorale che da una parte garantisca bipolarismo e dall'altra la stabilitá dei governi, che possibilmente faccia scegliere gli eletti agli elettori e faccia dichiarare prima le alleanze. Con questi paletti si può discutere, a partire dalla legge in vigore, aperti a tutte le soluzioni".

Redazione online

30 agosto 2010

 

 

 

 

 

LEGGE ELETTORALE E SISTEMA MAGGIORITARIO

Democrazia "bipolare",

una discussione necessaria

LEGGE ELETTORALE E SISTEMA MAGGIORITARIO

Democrazia "bipolare",

una discussione necessaria

Il sistema elettorale attuale piace a pochissimi, persino fra coloro che se ne sono avvantaggiati. Tutti sappiamo che arriverà prima o poi il giorno in cui verrà sostituito o cambiato. Difficilmente la legge elettorale che porta la firma di Roberto Calderoli e che è in vigore dal 2005 potrà resistere ancora per molti anni.

Al momento, tuttavia, è più facile pensare di cambiarla che riuscirci. Per due ragioni. Perché il nucleo centrale dell’attuale maggioranza di governo (berlusconiani e leghisti) non ha interesse a cambiarla. E perché gli avversari della legge vigente sono divisi, sono in radicale disaccordo fra loro, hanno idee diversissime su cosa mettere al suo posto. Non c’è niente di male in ciò e sarebbe anzi sorprendente il contrario. Le diverse leggi elettorali non sono neutre rispetto alle chance di affermazione delle varie fazioni in campo e dei loro progetti politici. A rischio di semplificare eccessivamente, possiamo dire che il confronto principale è fra coloro che vogliono sbarazzarsi del bipolarismo (la contrapposizione fra due soli schieramenti inaugurata nel 1994) e coloro che vorrebbero rafforzarlo.

I primi pensano a un cambiamento della legge elettorale vigente che faccia saltare il premio di maggioranza (lo chiamerebbero "sistema tedesco" ma la sostanza sarebbe questa). Eliminato il premio, che obbliga a formare coalizioni prima del voto, il bipolarismo verrebbe travolto. Si tornerebbe all’assetto della Prima Repubblica, con le coalizioni di governo che si formano in Parlamento dopo le elezioni. C’è chi pensa che tale assetto favorirebbe la ricostituzione di un grande rassemblement parlamentare "centrista" dotato di una formidabile rendita di posizione: la possibilità di contrattare la formazione dei governi sia con la sinistra che con la destra.

Al momento, è anche l’idea di quella parte del Partito democratico che si immagina perdente in un nuovo scontro elettorale con Berlusconi e per questo affida le proprie fortune politiche future a improbabili scenari di "governi tecnici" e riforma elettorale (il solito "sistema tedesco") che — così essi sperano—colpisca l’attuale premier. C’è poi la posizione di chi difende il bipolarismo, ma pensa anche che la legge elettorale attuale (con le sue liste bloccate) lo assicuri malamente, sacrificando troppo della rappresentatività sull’altare della governabilità. Una governabilità, per giunta, neppure garantita, date le altissime probabilità, dovute ai cattivi marchingegni di questa legge, di maggioranze diverse fra Camera e Senato. Sta qui, mi sembra, il senso che i promotori hanno voluto dare all’appello a favore dell’uninominale maggioritario pubblicato dal Corriere due giorni fa e al quale anche chi scrive ha aderito.

Non è una operazione nostalgia, come indicano la quantità e qualità di consensi e di adesioni che l’iniziativa sta suscitando nel Paese. Non è solo il tentativo di resuscitare un movimento che, grazie alle intuizioni di Marco Pannella (che fondò la Lega per l’Uninominale nel 1986) e di Mario Segni (Movimento per la riforma elettorale, del 1987), portò poi al referendum del 1993 e alla chiusura di una lunga fase storica. È soprattutto il tentativo di tenere viva un’idea di democrazia (maggioritaria, bipolare, tendenzialmente bipartitica) che ai promotori dell’appello pare tuttora più allettante dei disegni concorrenti. E anche per ricordare a tutti che quando, fra qualche mese o qualche anno, verrà messa mano alla legge elettorale, con quella prospettiva si dovrà comunque fare i conti.

Angelo Panebianco

30 agosto 2010

 

 

 

 

"Sì all'uninominale" Arrivano nuove adesioni Stop dalla maggioranza

Gelmini: c'è un'ottima legge. Bossi: non si cambia

"Sì all'uninominale" Arrivano nuove adesioni Stop dalla maggioranza

Gelmini: c'è un'ottima legge. Bossi: non si cambia

ROMA - All'appello per l'uninominale pubblicato dal Corriere si aggiungono le adesioni dell'ex ministro del governo Ciampi, Luigi Spaventa, e di Gilberto Corbellini, docente di Storia alla Sapienza di Roma. Partita come un'iniziativa di personalità politiche bipartisan e di studiosi per modificare l'attuale legge elettorale, ora si estende a livello locale nel tentativo di coinvolgere in maniera diretta la cosiddetta società civile. Uno dei promotori, Franco Corbelli del Movimento diritti civili, fa sapere che già oggi "in Calabria appronteremo dei banchetti per la raccolta di firme per cambiare il Porcellum". L'appello, insomma, suscita interesse ma anche perplessità. Appartiene al primo caso il sondaggio fatto tra i telespettatori di Skytg24, in base al quale l'86% è favorevole a rivedere quel meccanismo.

Perplesso per gli sviluppi del dibattito è il costituzionalista Giovanni Guzzetta che pure ha firmato il testo. Denuncia "l'idea perversa che l'unica alternativa alla legge attuale sia il ritorno al proporzionale. Se questi sono gli obiettivi dei sedicenti difensori della democrazia allora "Porcellum forever". Se si vuole, invece, fare sul serio l'unica strada seria è l'uninominale".

Gaetano Quagliariello (Pdl) obietta che "parlare in astratto di legge elettorale è un vecchio vizio italiano, perché è del tutto evidente che i meccanismi di scelta degli eletti seguono le riforme istituzionali. L'appello a favore dell'uninominale, a mio giudizio, è un grimaldello per favorire la restaurazione. Temo il vero scopo sia quello di togliere agli elettori il potere di indicare la coalizione che dovrà governare il Paese e quindi il premier che la deve guidare, il rischio è che si torni al passato con i cittadini che non contano più visto che gli accordi si fanno dopo il voto".

Il no del ministro Mariastella Gelmini è ancora più netto. Definisce quella attuale "un'ottima legge che garantisce la stabilità politica". Non è vero, argomenta, che un ritorno al sistema invocato dai firmatari "garantirebbe la governabilità perché proprio quel meccanismo contribuì negli anni Novanta a realizzare due ribaltoni". Non solo. Secondo la Gelmini "non è neppure vero che restituirebbe la scelta ai cittadini: non prendiamoci in giro con l'uninominale vengono creati collegi di serie A, B e C e le segreterie di partito piazzano i propri candidati di punta in collegi blindati".

Concetti che riprende Fabrizio Cicchitto (Pdl) attaccando "le mistificazioni dell'opposizione: a proposito delle preferenze riesumeremo le mille polemiche fatte a loro riguardo negli anni Novanta, a partire dai privilegi di chi aveva i soldi, al voto di scambio, all'azione della criminalità organizzata". Sintetizza Umberto Bossi: "Ci mancherebbe altro che cambiassimo la legge elettorale. Il Pd non vince le elezioni non per la legge elettorale, ma perché la gente non lo vuole".

Lorenzo Fuccaro

30 agosto 2010

 

 

 

 

 

La lettera Il leader dell'Api

Rutelli: sulle riforme nascerà un nuovo polo

La lettera Il leader dell'Api

Rutelli: sulle riforme nascerà un nuovo polo

Moltissimi italiani sono delusi, arrabbiati con la politica. Un'estate di polemiche avvelenate - anziché di soluzioni per la crescita economica e il lavoro - li ha allontanati ancora di più. Alle radici di questa crisi c'è il fallimento del bipolarismo all'italiana. Erano annunciati due poli "europei": un centrodestra liberale, un centrosinistra riformatore. Si è invece radicalizzata una partigianeria esasperata e inconcludente. È una verità abbagliante: in questi 17 anni, non ce l'ha fatta il centrosinistra e non ce l'ha fatta il centrodestra, nonostante dieci anni di governo (l'ultimo, con la maggioranza più larga in 60 anni di Repubblica). Ne scrivo in prima persona: dopo sette anni come sindaco eletto della Capitale, ho guidato la Margherita (un partito "a due cifre") cercando di contribuire a un profilo democratico-riformista nel centrosinistra. Nel 2001, in alternativa a Berlusconi, avevo raccolto oltre 16 milioni di voti (pur senza Rifondazione comunista, radicali, Di Pietro), per poi costruire, assieme a Fassino, alleanze vincenti - nelle amministrative, suppletive, regionali - fino al 2006 e al governo Prodi. Ma il nostro governo perse fiducia nel Paese, prima che in Parlamento, anche per le pretese della sinistra più radicale, un corto circuito con il mondo cattolico, la mancanza di coesione interna. Da qui l'estremo tentativo, con la nascita del Pd, di formare una visione e un progetto innovativi e credibili. Tentativo non riuscito, e certificato dalle ripetute sconfitte elettorali, Roma inclusa, che hanno accresciuto la divaricazione tra democratico-liberali e sinistra giustizialista e movimentista. Non ho lasciato il Pd con avversione, né alla ricerca di posizioni personali (cui, al contrario, ho rinunciato), ma per la certezza che ogni nuova battaglia in questa guerra di neo Guelfi e Ghibellini porterebbe il Paese più in basso. Non più lontano. Del resto, se non si voterà in autunno è proprio perché il primo partito sarebbe quello del rifiuto, dell'astensione. Ma è ancora possibile unire le forze responsabili, anziché ri-precipitarsi in conflitti frustranti in cui tutti perdono (e crescono solo le forze irresponsabili)? Ecco quattro punti di risposta.

1. Il confronto che interessa gli italiani è sull'economia. Si stanno sottovalutando i pericoli dell'autunno. La forte crescita delle "scommesse" sull'instabilità italiana (i Credit Default Swaps). Il desiderio tedesco di accrescere la pressione europea sul nostro debito. Le criticità competitive e dell'occupazione (si discetta sulle inevitabili scelte di Marchionne, ma neppure si nomina, da mesi, il ministro dello Sviluppo economico!). Si promettono mirabilie federaliste, ma intanto si moltiplicano i centri di spesa e salgono, in regimi di monopolio, le tariffe locali. Difficilmente le forze responsabili potrebbero sottrarsi dal concorrere a un programma nazionale per la crescita nei prossimi anni. Senza confondere opposizioni e maggioranza. Noi l'abbiamo dimostrato votando l'unica riforma votabile di questa legislatura; quella sull'università (che ora attende le risorse per funzionare).

2. Ho proposto alcune settimane fa una convergenza per riforme essenziali sulla giustizia civile e penale. Ma il governo non ha risposto, inchiodato com'è su leggi e leggine ad hoc. Queste ci troveranno contrari.

3. La linea di Bersani propone un'alleanza di sinistra con Vendola e Idv e possibili accordi istituzionali più larghi. Questo non scioglie il problema della coerenza dei programmi; ma pone un punto di chiarezza politica, con cui misurarsi in modo costruttivo.

4. Un nuovo Polo politico nascerà. Nascerà su un coraggioso programma di governo (penso a molte misure di tagli della spesa pubblica pro crescita di Cameron-Clegg o alle scelte pro innovazione, formazione, ricerca della Merkel). Noi abbiamo costituito l'Alleanza per l'Italia per unire le forze con chi condivida un'agenda di cambiamento e buongoverno. Nella Festa nel Borgo di Labro (Rieti, 2-5 settembre), avanzeremo una precisa proposta. Per questo nuovo Polo che faccia le riforme, e per rispondere a milioni di italiani delusi.

Francesco Rutelli

30 agosto 2010

 

 

 

L'appello

"Battaglia per l'uninominale:

potere di scelta ai cittadini"

Quarantadue politici e studiosi in campo per la riforma elettorale

L'appello

"Battaglia per l'uninominale:

potere di scelta ai cittadini"

Quarantadue politici e studiosi in campo per la riforma elettorale

Per ottenere finalmente anche nel nostro Paese quella stabilità e certezza delle leggi elettorali che gli standard democratici internazionali raccomandano e in qualche misura esigono,

per approdare a una riforma elettorale effettiva, durevole e orientata nel senso del collegio uninominale indicato in modo nettissimo dagli italiani a grande maggioranza nel referendum del 1993, poi in larga parte disatteso dal legislatore,

per adottare finalmente anche in Italia un sistema elettorale ispirato ai modelli sperimentati ormai da secoli in regimi civili - quali quelli anglosassoni - che si sono rivelati tra i più fecondi sul piano della democrazia, della sicurezza e del benessere dei propri cittadini,

per dare agli elettori la piena libertà, l'effettivo pieno potere e la piena responsabilità di scegliere il governo e gli eletti, assicurando un rapporto personale efficace dell'eletto con chi lo elegge,

per promuovere in questo modo, al tempo stesso, l'autonomia della società civile e la laicità dello Stato, intesa come metodo indispensabile di cooperazione per il bene comune tra persone di fedi o ideologie diverse,

per ridurre il costo delle campagne elettorali e tagliare il costo - divenuto insostenibile - delle rendite che gli apparati dei partiti si assegnano quando si consente loro di assumere la funzione di tramite tra i cittadini e i parlamentari,

ti invitiamo ad aderire al

Comitato per l'Uninominale

(www.uninominale.it)

Pietro Ichino, giuslavorista nell'Università di Milano, senatore P d; Mario Baldassarri, economista, senatore Fl i; Alfredo Biondi , avvocato, già vicepresidente della Camera; Antonio Bonfiglio, sottosegretario di Stato alle Politiche agricole e foresta li, Pdl; Emma Bonino, vicepresidente del Senat o; Marco Cappato, segretario dell'Associazione Luca Coscio ni; Stefano Ceccanti, costituzionalista nell'Università "La Sapienza" di Roma, senatore Pd; Umberto Croppi, assessore alla Cultura del Comune di Rom a; Sergio D'Elia, segretario di Nessuno tocchi Cain o; Franco Debenedetti, economista, opinionist a; Benedetto Della Vedova, deputato Fli; Stefano De Luca, segretario del Partito Liberale Italiano; Michele De Lucia, tesoriere di Radicali italia ni; Giuseppe Di Federico, processualista nell'Università di Bologn a; Salvo Fleres, senatore Pd l; Jas Gawronski, giornalista, parlamentare europeo Ppe; Roberto Giachetti, deputato Pd; Maria Ida Germontani, senatrice Fli; Domenico Gramazio, senatore Pdl; Giovanni Guzzetta, professore di Istituzioni di diritto pubblico nell'Università di Tor Vergata, Roma; Ignazio Marino, chirurgo, senatore Pd; Antonio Martino, economista, deputato Pdl; Enrico Morando, senatore Pd; Magda Negri, senatrice Pd; Francesco Nucara, segretario del Partito Repubblicano Italiano , deputato Gruppo Misto; Federico Orlando, politico e giornalista, condirettore di Europa; Tullio Padovani, penalista, Scuola Superiore di Studi Universitari "Sant'Anna" di Pisa; Angelo Panebianco, politologo nell'Università di Bologna, saggista e opinionista; Marco Pannella, Partito radicale transnazionale; Gianfranco Pasquino, politologo nell'Università di Bologna; Mario Patrono, professore di diritto pubblico e comunitario nell'Università "La Sapienza" di Roma; Mario Pepe, deputato Pdl; Stefano Rolando, economista nell'Università Iulm di Milano; Nicola Rossi, economista nell'Università di Tor Vergata - Roma, senatore Pd; Michele Salvati, economista nell'Università di Milano, opinionista; Carlo Scognamiglio, economista, già presidente del Senato; Mario Staderini, segretario di Radicali italiani; Sergio Stanzani, già senatore, presidente del Partito radicale transnazionale; Marco Taradash, consigliere regionale della Toscana, Pdl; Giorgio Tonini, senatore Pd; Silvio Viale, medico, direzione Associazione Luca Coscioni; Valerio Zanone, già segretario del Partito liberale italiano

28 agosto 2010

 

 

 

 

 

2010-08-30

LEGGE ELETTORALE E SISTEMA MAGGIORITARIO

Democrazia "bipolare",

una discussione necessaria

LEGGE ELETTORALE E SISTEMA MAGGIORITARIO

Democrazia "bipolare",

una discussione necessaria

Il sistema elettorale attuale piace a pochissimi, persino fra coloro che se ne sono avvantaggiati. Tutti sappiamo che arriverà prima o poi il giorno in cui verrà sostituito o cambiato. Difficilmente la legge elettorale che porta la firma di Roberto Calderoli e che è in vigore dal 2005 potrà resistere ancora per molti anni.

Al momento, tuttavia, è più facile pensare di cambiarla che riuscirci. Per due ragioni. Perché il nucleo centrale dell’attuale maggioranza di governo (berlusconiani e leghisti) non ha interesse a cambiarla. E perché gli avversari della legge vigente sono divisi, sono in radicale disaccordo fra loro, hanno idee diversissime su cosa mettere al suo posto. Non c’è niente di male in ciò e sarebbe anzi sorprendente il contrario. Le diverse leggi elettorali non sono neutre rispetto alle chance di affermazione delle varie fazioni in campo e dei loro progetti politici. A rischio di semplificare eccessivamente, possiamo dire che il confronto principale è fra coloro che vogliono sbarazzarsi del bipolarismo (la contrapposizione fra due soli schieramenti inaugurata nel 1994) e coloro che vorrebbero rafforzarlo.

I primi pensano a un cambiamento della legge elettorale vigente che faccia saltare il premio di maggioranza (lo chiamerebbero "sistema tedesco" ma la sostanza sarebbe questa). Eliminato il premio, che obbliga a formare coalizioni prima del voto, il bipolarismo verrebbe travolto. Si tornerebbe all’assetto della Prima Repubblica, con le coalizioni di governo che si formano in Parlamento dopo le elezioni. C’è chi pensa che tale assetto favorirebbe la ricostituzione di un grande rassemblement parlamentare "centrista" dotato di una formidabile rendita di posizione: la possibilità di contrattare la formazione dei governi sia con la sinistra che con la destra.

Al momento, è anche l’idea di quella parte del Partito democratico che si immagina perdente in un nuovo scontro elettorale con Berlusconi e per questo affida le proprie fortune politiche future a improbabili scenari di "governi tecnici" e riforma elettorale (il solito "sistema tedesco") che — così essi sperano—colpisca l’attuale premier. C’è poi la posizione di chi difende il bipolarismo, ma pensa anche che la legge elettorale attuale (con le sue liste bloccate) lo assicuri malamente, sacrificando troppo della rappresentatività sull’altare della governabilità. Una governabilità, per giunta, neppure garantita, date le altissime probabilità, dovute ai cattivi marchingegni di questa legge, di maggioranze diverse fra Camera e Senato. Sta qui, mi sembra, il senso che i promotori hanno voluto dare all’appello a favore dell’uninominale maggioritario pubblicato dal Corriere due giorni fa e al quale anche chi scrive ha aderito.

Non è una operazione nostalgia, come indicano la quantità e qualità di consensi e di adesioni che l’iniziativa sta suscitando nel Paese. Non è solo il tentativo di resuscitare un movimento che, grazie alle intuizioni di Marco Pannella (che fondò la Lega per l’Uninominale nel 1986) e di Mario Segni (Movimento per la riforma elettorale, del 1987), portò poi al referendum del 1993 e alla chiusura di una lunga fase storica. È soprattutto il tentativo di tenere viva un’idea di democrazia (maggioritaria, bipolare, tendenzialmente bipartitica) che ai promotori dell’appello pare tuttora più allettante dei disegni concorrenti. E anche per ricordare a tutti che quando, fra qualche mese o qualche anno, verrà messa mano alla legge elettorale, con quella prospettiva si dovrà comunque fare i conti.

Angelo Panebianco

30 agosto 2010

 

 

 

"Sì all'uninominale" Arrivano nuove adesioni Stop dalla maggioranza

Gelmini: c'è un'ottima legge. Bossi: non si cambia

"Sì all'uninominale" Arrivano nuove adesioni Stop dalla maggioranza

Gelmini: c'è un'ottima legge. Bossi: non si cambia

ROMA - All'appello per l'uninominale pubblicato dal Corriere si aggiungono le adesioni dell'ex ministro del governo Ciampi, Luigi Spaventa, e di Gilberto Corbellini, docente di Storia alla Sapienza di Roma. Partita come un'iniziativa di personalità politiche bipartisan e di studiosi per modificare l'attuale legge elettorale, ora si estende a livello locale nel tentativo di coinvolgere in maniera diretta la cosiddetta società civile. Uno dei promotori, Franco Corbelli del Movimento diritti civili, fa sapere che già oggi "in Calabria appronteremo dei banchetti per la raccolta di firme per cambiare il Porcellum". L'appello, insomma, suscita interesse ma anche perplessità. Appartiene al primo caso il sondaggio fatto tra i telespettatori di Skytg24, in base al quale l'86% è favorevole a rivedere quel meccanismo.

Perplesso per gli sviluppi del dibattito è il costituzionalista Giovanni Guzzetta che pure ha firmato il testo. Denuncia "l'idea perversa che l'unica alternativa alla legge attuale sia il ritorno al proporzionale. Se questi sono gli obiettivi dei sedicenti difensori della democrazia allora "Porcellum forever". Se si vuole, invece, fare sul serio l'unica strada seria è l'uninominale".

Gaetano Quagliariello (Pdl) obietta che "parlare in astratto di legge elettorale è un vecchio vizio italiano, perché è del tutto evidente che i meccanismi di scelta degli eletti seguono le riforme istituzionali. L'appello a favore dell'uninominale, a mio giudizio, è un grimaldello per favorire la restaurazione. Temo il vero scopo sia quello di togliere agli elettori il potere di indicare la coalizione che dovrà governare il Paese e quindi il premier che la deve guidare, il rischio è che si torni al passato con i cittadini che non contano più visto che gli accordi si fanno dopo il voto".

Il no del ministro Mariastella Gelmini è ancora più netto. Definisce quella attuale "un'ottima legge che garantisce la stabilità politica". Non è vero, argomenta, che un ritorno al sistema invocato dai firmatari "garantirebbe la governabilità perché proprio quel meccanismo contribuì negli anni Novanta a realizzare due ribaltoni". Non solo. Secondo la Gelmini "non è neppure vero che restituirebbe la scelta ai cittadini: non prendiamoci in giro con l'uninominale vengono creati collegi di serie A, B e C e le segreterie di partito piazzano i propri candidati di punta in collegi blindati".

Concetti che riprende Fabrizio Cicchitto (Pdl) attaccando "le mistificazioni dell'opposizione: a proposito delle preferenze riesumeremo le mille polemiche fatte a loro riguardo negli anni Novanta, a partire dai privilegi di chi aveva i soldi, al voto di scambio, all'azione della criminalità organizzata". Sintetizza Umberto Bossi: "Ci mancherebbe altro che cambiassimo la legge elettorale. Il Pd non vince le elezioni non per la legge elettorale, ma perché la gente non lo vuole".

Lorenzo Fuccaro

30 agosto 2010

 

 

 

La lettera Il leader dell'Api

Rutelli: sulle riforme nascerà un nuovo polo

La lettera Il leader dell'Api

Rutelli: sulle riforme nascerà un nuovo polo

Moltissimi italiani sono delusi, arrabbiati con la politica. Un'estate di polemiche avvelenate - anziché di soluzioni per la crescita economica e il lavoro - li ha allontanati ancora di più. Alle radici di questa crisi c'è il fallimento del bipolarismo all'italiana. Erano annunciati due poli "europei": un centrodestra liberale, un centrosinistra riformatore. Si è invece radicalizzata una partigianeria esasperata e inconcludente. È una verità abbagliante: in questi 17 anni, non ce l'ha fatta il centrosinistra e non ce l'ha fatta il centrodestra, nonostante dieci anni di governo (l'ultimo, con la maggioranza più larga in 60 anni di Repubblica). Ne scrivo in prima persona: dopo sette anni come sindaco eletto della Capitale, ho guidato la Margherita (un partito "a due cifre") cercando di contribuire a un profilo democratico-riformista nel centrosinistra. Nel 2001, in alternativa a Berlusconi, avevo raccolto oltre 16 milioni di voti (pur senza Rifondazione comunista, radicali, Di Pietro), per poi costruire, assieme a Fassino, alleanze vincenti - nelle amministrative, suppletive, regionali - fino al 2006 e al governo Prodi. Ma il nostro governo perse fiducia nel Paese, prima che in Parlamento, anche per le pretese della sinistra più radicale, un corto circuito con il mondo cattolico, la mancanza di coesione interna. Da qui l'estremo tentativo, con la nascita del Pd, di formare una visione e un progetto innovativi e credibili. Tentativo non riuscito, e certificato dalle ripetute sconfitte elettorali, Roma inclusa, che hanno accresciuto la divaricazione tra democratico-liberali e sinistra giustizialista e movimentista. Non ho lasciato il Pd con avversione, né alla ricerca di posizioni personali (cui, al contrario, ho rinunciato), ma per la certezza che ogni nuova battaglia in questa guerra di neo Guelfi e Ghibellini porterebbe il Paese più in basso. Non più lontano. Del resto, se non si voterà in autunno è proprio perché il primo partito sarebbe quello del rifiuto, dell'astensione. Ma è ancora possibile unire le forze responsabili, anziché ri-precipitarsi in conflitti frustranti in cui tutti perdono (e crescono solo le forze irresponsabili)? Ecco quattro punti di risposta.

1. Il confronto che interessa gli italiani è sull'economia. Si stanno sottovalutando i pericoli dell'autunno. La forte crescita delle "scommesse" sull'instabilità italiana (i Credit Default Swaps). Il desiderio tedesco di accrescere la pressione europea sul nostro debito. Le criticità competitive e dell'occupazione (si discetta sulle inevitabili scelte di Marchionne, ma neppure si nomina, da mesi, il ministro dello Sviluppo economico!). Si promettono mirabilie federaliste, ma intanto si moltiplicano i centri di spesa e salgono, in regimi di monopolio, le tariffe locali. Difficilmente le forze responsabili potrebbero sottrarsi dal concorrere a un programma nazionale per la crescita nei prossimi anni. Senza confondere opposizioni e maggioranza. Noi l'abbiamo dimostrato votando l'unica riforma votabile di questa legislatura; quella sull'università (che ora attende le risorse per funzionare).

2. Ho proposto alcune settimane fa una convergenza per riforme essenziali sulla giustizia civile e penale. Ma il governo non ha risposto, inchiodato com'è su leggi e leggine ad hoc. Queste ci troveranno contrari.

3. La linea di Bersani propone un'alleanza di sinistra con Vendola e Idv e possibili accordi istituzionali più larghi. Questo non scioglie il problema della coerenza dei programmi; ma pone un punto di chiarezza politica, con cui misurarsi in modo costruttivo.

4. Un nuovo Polo politico nascerà. Nascerà su un coraggioso programma di governo (penso a molte misure di tagli della spesa pubblica pro crescita di Cameron-Clegg o alle scelte pro innovazione, formazione, ricerca della Merkel). Noi abbiamo costituito l'Alleanza per l'Italia per unire le forze con chi condivida un'agenda di cambiamento e buongoverno. Nella Festa nel Borgo di Labro (Rieti, 2-5 settembre), avanzeremo una precisa proposta. Per questo nuovo Polo che faccia le riforme, e per rispondere a milioni di italiani delusi.

Francesco Rutelli

30 agosto 2010

 

 

 

 

2010-08-29

INTERVISTA

Casini: non voteremo quel testo

Al Paese non serve un'amnistia

Il leader udc: non entriamo in un governo dove l'unico che conta è Tremonti

INTERVISTA

Casini: non voteremo quel testo

Al Paese non serve un'amnistia

Il leader udc: non entriamo in un governo dove l'unico che conta è Tremonti

Il leader udc Casini

Il leader udc Casini

"Dove eravamo rimasti? Al predellino, quando ci venne spiegato che i moderati fuori dal Pdl non avrebbero avuto diritto di cittadinanza? Al bipartitismo, quando Veltroni e Berlusconi ci additarono come sbocco della transizione italiana la terra promessa di due partiti unici? Invece tutto è andato nella direzione da noi denunciata. Il goffo tentativo di ridurre la politica italiana al bipartitismo ha posto sul piedistallo due grandi vincitori: non il Pd e il Pdl, ma Di Pietro e la Lega".

Presidente Casini, è la sua estate. Tutti la cercano. Berlusconi la voleva al governo. Bersani la vuole nell'Alleanza democratica.

"È l'estate in cui si tocca con mano quel che diciamo da tempo: la Lega è diventata l'arbitro della politica italiana. Per fortuna Berlusconi ha impedito le elezioni anticipate, e ha fatto bene. Il voto in autunno sarebbe stato non solo un'ammissione di responsabilità da parte del Pdl, costretto a interrompere la legislatura dopo due anni come Prodi, nonostante i cento deputati di maggioranza. Berlusconi ha capito che sarebbe stato la vittima designata. Avrebbe trainato la coalizione alla vittoria alla Camera, impallando il Senato. A quel punto la Lega e una parte della sinistra avrebbero fatto nascere il governo Tremonti".

Tutto questo non toglie che prima o poi lei dovrà scegliere in quale alleanza entrare.

"Tutto questo dimostra che la gente comincia a riflettere sulle nostre idee, a lungo considerate minoritarie. È sempre brutto far la parte di chi l'aveva detto. Eppure è proprio così: noi l'avevamo detto. Due anni fa, abbiamo preso i nostri stracci e abbiamo condotto una corsa disperata, fuori dal Pdl. Ora ci chiedono di entrare al governo? Ma in questo governo l'unico che conta è Tremonti. C'è un problema di squilibrio istituzionale, con il ministero dell'Economia che ha inglobato cinque o sei ministeri della Prima Repubblica, da ultimo le Attività produttive, ormai ridotte a un simulacro. E c'è un problema di squilibrio politico: Tremonti è il garante della Lega al governo".

È proprio quel "simulacro di ministero" che vi ha offerto Berlusconi.

"Al governo non si va per soddisfare vanità. Grazie a Dio, le mie vanità me le sono tolte tutte, e continuo a soddisfarle. Al governo si va per incidere politicamente. E oggi ci sarebbe consentita solo la parte del parente povero. Aggiungere un posto a tavola non servirebbe né a chi lo mette, né a chi lo riceve".

Ma è Bossi che non vi vuole. Dice che state in mezzo per intercettare le poltrone.

"Bossi ha passato l'estate a insultarmi. Io preferisco replicare con i ragionamenti. È vero il contrario. Noi, alla faccia della "logica democristiana", siamo l'unico partito all'opposizione da due legislature. Prima con Prodi, ora con Berlusconi. Il partito della nazione non nasce per aggiungersi agli uni o agli altri. Nasce ponendo una domanda: è possibile essere protagonisti in politica nel nome della dignità e della responsabilità? Perché Fioroni e Pisanu devono stare in due partiti diversi? Quale linea, quali valori, quale programma li divide, se non l'idea che alimentano gli uni e gli altri alternativamente per cui da una parte c'è il regno del bene e dall'altra il regno del male? Il partito della nazione nasce perché l'Italia si sta disgregando. E in un Paese disgregato le grandi scelte di modernizzazione non si fanno, perché costano. Prendiamo il nucleare. Noi siamo favorevoli. Ma com'è possibile pensare di poterlo fare senza un accordo bipartisan? Che succede se tra qualche anno c'è una nuova maggioranza a cui il nucleare non sta bene? Si torna indietro? Questi sono temi su cui non si può scherzare".

Per un accordo vasto ci vorrebbe un nuovo governo.

"Il governo di responsabilità nazionale che noi abbiamo evocato non è il governo di tutti contro Berlusconi e Lega. Non è la vendetta contro chi ha vinto le elezioni. Ma non è nemmeno il governo di prima, con Casini al posto di Fini. Sarebbe umiliante. Vedo che provano a blandirci sbandierando i valori, l'identità cristiana. Ma a noi non interessa questo esibizionismo valoriale, usato o per compiacere le gerarchie ecclesiastiche o per innestarvi sopra operazioni politiche. Noi difendiamo i valori, e proprio per questo non ci piace il mercimonio".

A cosa si riferisce?

"Vedo che i temi della bioetica vengono affrontati a volte con una logica emergenziale, come nel caso di Eluana, in cui si voleva fare una legge in 24 ore, e poi vengono trascurati per mesi, per poi essere rispolverati strumentalmente al fine di costruire un'alleanza politica. Ma sui temi etici non si costruiscono né alleanze, né steccati".

Ma lei con chi lo vuol fare il partito della nazione?

"Il partito della nazione è un processo. Non ho la bacchetta magica, non fondo partiti a tavolino come Berlusconi. È chiaro che ci sono interlocutori naturali, come Rutelli. Spero poi che dalla società civile qualcosa si muova. Ma non entro nel gossip dei nomi. Anche perché molti esponenti della società civile vorrebbero entrare in campo a partita finita, quando si gusta la vittoria. Se si votasse domani mattina, questo partito avrebbe la necessità di candidarsi autonomamente; e allora tanti entusiasmi si appannerebbero. Cesa ha detto: noi azzeriamo l'Udc. Io dico: leviamo il mio nome dal simbolo, facciamo un grande concorso di idee per un simbolo nuovo. Più di così, cosa dobbiamo fare? Saranno i fatti a far maturare il resto".

Per Fini ci sarebbe spazio?

"Come presidente della Camera, Fini si sta comportando bene. Sul suo futuro politico, deve decidere lui. Non è in stato di minorità. Per ora, non si capisce se i finiani rientrano nel Pdl o fanno un partito. Senza sapere queste cose, come faccio a fare una proposta a Fini? Deve dire lui quel che vuol fare, agli italiani prima che a me. Certo, oggi vengono a galla le contraddizioni iniziali di un progetto politico in cui molti si sono fatti imbarcare senza crederci fino in fondo. Però sapevamo tutti com'è Berlusconi...".

Com'è Berlusconi?

"Io ho un rapporto di simpatia con lui. Tutto si può dire salvo che sia uno che non è scoperto nelle sue modalità politiche. E il modo in cui ha fatto il Pdl era indicativo di come l'avrebbe guidato. Paradossalmente, è più facile trattare con Berlusconi dall'esterno, come fa Bossi, che non nello stesso partito. Infatti non c'è giorno che non manifestino il loro disagio Rotondi e altri ex dc, che per mesi mi hanno svillaneggiato spiegandomi che fuori dal Pdl sarei stato irrilevante".

Ma lei potrebbe mai tornare con Berlusconi?

"C'è un doppio Berlusconi. C'è quello che a inizio legislatura pronuncia un discorso che valorizza il ruolo dell'opposizione, e concorre con il centrosinistra e con i togati a eleggere Vietti al Csm. E c'è il Berlusconi vittima del delirio di autosufficienza. Per fortuna ora ha capito la manovra di aggiramento che era in corso contro di lui. Maroni ha parlato di un'operazione per far fuori Berlusconi. Ha ragione, ma non erano certo Di Pietro e Bersani i manovratori; e Maroni dovrebbe saperne qualcosa di più di quel che fa finta di non sapere. Se a Berlusconi è servito brandire lo spauracchio dell'Udc per evitare la congiura, mi fa piacere per lui. Ma non basta dire che siamo insieme nel Ppe per fare un'alleanza. Il giorno in cui Berlusconi andasse alle urne, finita la legislatura, su percorso di decoro politico-istituzionale, si può discutere con lui. Ma se Berlusconi andasse al voto anticipato lanciando un appello al superamento della Costituzione, guidando una coalizione in cui conta solo la Lega e gli altri fanno tappezzeria, gridando contro i poteri forti, il capo dello Stato, la magistratura e la Corte costituzionale, è ovvio che noi non potremmo mai starci".

E il processo breve, glielo votate?

"Com'è uscito dal Senato, no. Noi siamo stati il partito che più di ogni altro si è fatto carico della specificità del ruolo di Berlusconi come presidente del Consiglio. Il legittimo impedimento l'abbiamo costruito noi, perché ci pareva importante far finire la stagione in cui Berlusconi e la magistratura erano avvolti in una contesa ormai patologica. Se vogliamo pensare a una tutela per le alte cariche, siamo disponibili. Ma cancellare centinaia di processi per farne finire uno o due sarebbe una follia. Di tutto il Paese sente il bisogno, tranne che di un'amnistia".

Aldo Cazzullo

29 agosto 2010

 

 

 

Nord e Sud, un'unità che va ritrovata

Il commento

Nord e Sud, un'unità che va ritrovata

Ernesto Galli della Loggia

Una questione domina su tutte le altre della politica italiana e in vario modo le riassume tutte: il problema dell'unità nazionale, ovvero il problema di come tenere ancora insieme il Nord e il Sud del Paese.

È chiaro, per chi sa vedere, che siamo ad uno di quei momenti in cui la politica è chiamata a fare i conti con una vera e propria svolta storica: la fine della prima Repubblica ha significato molto di più di ciò che allora ci è sembrato. Ha significato anche la fine degli equilibri economico-sociali (e della relativa ideologia) che avevano reso possibile e accompagnato la secolare industrializzazione-modernizzazione italiana. Con ciò è giunto ad un suo punto critico anche il secolare patto nazionale la cui forma, risalente al vecchio Statuto Albertino, la Costituzione del '48 aveva, sì, profondamente innovato, ma in un certo senso ripreso e confermato.

Il compito che sta ora davanti al Paese è quello di rifondare questo patto. Di rifondare l'unità italiana rinsaldando l'unione tra le due parti decisive della Penisola, il Sud e il Nord. Chi saprà farlo - è facile prevederlo - s'installerà al centro del sistema politico divenendo la forza egemone per un lungo tempo avvenire. Il partito o lo schieramento che vorrà provarci, che aspirerà al ruolo di partito nazionale, dovrà però guardarsi innanzi tutto da un pericolo mortale: quello di apparire (e/o di essere) un partito "sudista" (è il pericolo di cui invece non sembra accorgersi l'Udc, che così perde ogni credibilità "nazionale" cui pure dice tanto di aspirare, dopo che si è proclamata espressamente Partito della nazione). Incorre in tale pericolo qualunque posizione - come quella del partito di Casini, appunto - la quale, lungi dal capire il fondamento reale del "nordismo" (lo chiamo così per brevità) attribuisce invece a Bossi e alla pura e semplice esistenza della Lega l'origine dei problemi; rifiutandosi cioè di riconoscerne e soprattutto capirne la loro sostanza e portata reali. Quasi che, se non ci fossero né Bossi né la Lega, il Nord non creerebbe più fastidi e tutto andrebbe a posto.

Non è così. La protesta del Nord si fa forte dell'esistenza di problemi reali (inefficienza dell'amministrazione centrale, scarsità d'investimenti infrastrutturali, livello altissimo della fiscalità, a cui si può aggiungere la meridionalizzazione degli apparati statali): problemi che tra l'altro per una parte significativa non sono specifici del Nord, bensì generali dello Stato italiano, anche se al Nord se ne sente di più il peso. E sta proprio qui, direi, la differenza decisiva con il "sudismo", con la protesta che negli ultimi tempi il Mezzogiorno ha a sua volta mostrato di voler mettere in campo come rivalsa antinordista all'insegna del rivendicazionismo risarcitorio per il proprio mancato sviluppo.

Infatti, almeno nella sua vulgata di massa, quella del Sud si presenta come una protesta che non tiene assolutamente conto, non fa menzione neppure, di quello che pure tutti gli osservatori imparziali hanno indicato da decenni come tra i principali, o forse il principale ostacolo di qualunque possibile sviluppo del Mezzogiorno. Vale a dire la paurosa, talvolta miserabile pochezza delle classi dirigenti politiche meridionali, specie locali, protagoniste di malgoverno e di sperperi inauditi, ma che continuano a stare al loro posto perché votate dai propri elettori.

Accade così, che mentre la protesta "nordista" ha corrisposto alla nascita e all'affermazione in loco di una nuova classe politica (quella della Lega), quasi del tutto diversa dal passato e assai polemica verso di esso, comunque la si voglia giudicare; viceversa la protesta "sudista", proprio per questo suo dato di partenza di irrealtà, è disponibile ad ogni uso e già oggi viene inalberata dai più variegati spezzoni e reduci di tutte le formazioni politiche meridionali degli ultimi decenni mentre palesemente si candida a diventare il refugium peccatorum di tutti i trasformismi e gli opportunismi politici che prosperano a sud del Garigliano. In tal modo privando di ogni dignità politica e di ogni futuro le sue pur esistenti ragioni, e condannandosi a rappresentare esclusivamente l'ennesima chiacchiera da comizio.

Un partito che oggi volesse avere una funzione davvero nazionale dovrebbe dunque partire da qui. Dal capire senza esitazione le fondate ragioni del Nord e cercare di combinarle con quelle del Sud. Che ci sono, ma non sono presentabili all'opinione pubblica del Paese con qualche possibilità di successo fintanto che non le si strappa dalle mani di chi finora ha governato il Mezzogiorno, da destra e da sinistra, da Napoli a Palermo, nel modo sciagurato che sappiamo.

29 agosto 2010

 

 

 

E sul caso della Fiat di Melfi: "Seguire le parole di Napolitano"

"Politica cristiana? Sì, ma nei fatti"

Il monito del presidente dei vescovi italiani: le parole non bastano, ogni credente sia coerente sempre con la fede

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Il card. Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi italiani (Eidon)

Il card. Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi italiani (Eidon)

GENOVA - "Una nuova classe politica, cristiana nei fatti non nelle parole, è un richiamo da sempre. Fa parte della fede di ogni credente essere in modo intelligente coerente con la propria fede e presente nelle diverse responsabilità sociali, civili e politiche". Lo ha dichiarato stamani l'arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, a margine del 520/mo anniversario dall'apparizione della Madonna della Guardia, avvenuta il 29 agosto del 1490. "È indubbio - ha indicato il cardinale Bagnasco - che anche il mondo politico abbia bisogno sempre di presenze qualificate e coerenti; sia quelle che ci sono in questo momento, come quelle di ieri e come quelle di domani. Presenze qualificate affinchè la storia proceda".

POLITICHE PER LA FAMIGLIA - "Trascurare la famiglia, ad esempio nelle sue esigenze economiche, significa sgretolare la società stessa" ha poi detto il cardinale. "Per contro - ha proseguito l'alto prelato - mettere in atto delle politiche adeguate ai reali bisogni della famiglia perchè possa avere dei figli, significa guardare lontano, assicurare un corpo sociale equilibrato. Non si finirà mai di insistere perchè le misure siano sempre più aderenti ed efficaci alla reltà della famiglia grembo della vita". "Il mondo - ha commentato Bagnasco mentre parlava della denatalità - può guardare con fiducia al futuro finchè un uomo e una donna uniranno le loro vite per sempre nel vincolo del matrimonio. La famiglia fondata sul matrimonio, e in modo tutto speciale nel sacramento, è una prova che Dio continua ad amare il mondo, che ha fiducia nell'uomo, che esiste il futuro, che l'amore e la speranza sono più forti del male".

IL CASO MELFI - Bagnasco ha parlato anche del caso della fiat di Melfi e dei tre operai licenziati e poi reintegrati: "Da un parte l'auspicio che tutti facciamo è che si risolva la vertenza Fiat nel modo migliore per tutti - ha detto l'alto prelato -, dall'altra parte le parole che il Capo dello Stato ha detto mi pare siano proprio una linea di azione valida per tutti". Napolitano aveva richiamato al rispetto della sentenza dei giudici. "Il lavoro è fondamentale per costruirsi una famiglia" ha aggiunto affrontando il tema della disoccupazione. E nello specifico dell'episodi di Melfi ha detto di sperare "che attraverso un dialogo insistente e intelligente si possa arrivare a una soluzione definitiva ed equa per tutti".

Redazione online

29 agosto 2010

 

 

 

2010-08-28

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Luca Palamara, presidente dell'Anm (Lapresse)

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ROMA - "È grave e non più tollerabile che in un momento nel quale la giustizia è al collasso e si verificano allarmanti episodi di violenza e minacce si continui a perdere tempo con disegni di legge come quello sul processo breve che nulla ha a che vedere con l'esigenza di affrontare le vere priorità del sistema giustizia e con l'urgenza di contrastare più efficacemente la criminalità organizzata". Il presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara, risponde così al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che in un'intervista al Corriere della Sera aveva parlato della necessità di arrivare ad un rapida approvazione del testo sul processo breve.

I NODI SECONDO L'ANM - "Il governo - sottolinea Palamara - non può non farsi carico delle reali emergenze che oggi sono rappresentate dalla corruzione, dalla criminalità organizzata, dalla situazione carceraria, dalla carenza di mezzi e risorse, dalla necessità di informatizzare e snellire le procedure. L'Anm, che rappresenta la quasi totalità dei magistrati italiani, piaccia o non piaccia al ministro Alfano, è stata, è e sarà interlocutore ineludibile di ogni governo e, nell'interesse di tutti i cittadini, continuerà a formulare proposte serie, concrete e precise". "Se è vero - conclude il presidente dell'Anm - che il ministro Alfano vuole parlare direttamente con i capi degli uffici giudiziari, non si faccia sfuggire l'occasione di partecipare all'assemblea convocata a Reggio Calabria per il prossimo 7 settembre per sapere da loro se effettivamente la priorità è costituita dal processo breve o, invece, dalle drammatiche situazioni in cui quegli stessi uffici si trovano".

Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano (Ansa)

Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano (Ansa)

LA REPLICA DEL MINISTRO - "Evidentemente all'Anm stanno bene le lungaggini della giustizia italiana e vogliono che nulla cambi - ha poi replicato lo stesso ministro Angelino Alfano -. Evidentemente all'Anm sta bene l'infinita durata dei processi italiani. Evidentemente l'Anm sa dire solo no e non formula proposte in grado di fare uscire la giustizia dallo stato di paralisi". "La criminalità - ha detto ancora il Guardasigilli - noi l'abbiamo combattuta e la combattiamo con le nostre leggi e nelle sedi di trincea; e per coprire i vuoti di organico, proprio nelle sedi di trincea, abbiamo approvato all'unanimità, in Parlamento, due decreti, mentre la Anm difendeva evidentemente i privilegi corporativi della casta".

L'ATTACCO DELL'IDV - Dura la reazione dell'Italia dei Valori all'annuncio di Alfano: "Ora il ministro Alfano promette risorse straordinarie per la Giustizia in cambio dell'approvazione del cosiddetto processo breve, ossia la cancellazione di centomila processi - fa notare il capogruppo dell'Idv in commisisone Giustizia, il senatore Luigi Li Gotti -. Tutto pur di salvare Berlusconi assicurandogli la prescrizione dei suoi processi". E ancora: "Il "pupo" Alfano agisce per il "puparo" Berlusconi con i soldi degli italiani. La Giustizia è ridotta a un mercato, le istituzioni toccano il fondo: è semplicemente una vergogna. Le vittime dei reati, la sicurezza, le sentenze, il lavoro di anni di indagini e di dibattimento: tutto al macero". Ancor più netto il giudizio di Antonio Di Pietro: "Alfano o ci fa o è ignorante. In entrambi i casi non merita di fare il ministro della Giustizia. Infatti il processo breve che vuole Berlusconi, il suo datore di lavoro, stabilisce una riduzione dei tempi entro cui fare il processo e non prevede alcunchè per permettere agli operatori del diritto di lavorare con gli strumenti adeguati e le risorse necessarie. Insomma è una proposta truffaldina in quanto non abbrevia i tempi, ma concede solo un'immunità in breve tempo. E questo è noto anche ai finiani che si fregiano della bandiera della legalità, ma al Senato hanno dato voto favorevole alla proposta di legge. Adesso li aspettiamo alla prova dei fatti, con il voto alla Camera".

"MA L'ANM NON E' UN PARTITO" - Al Pdl non è però piaciuta la presa di posizione dell'associazione che rappresenta le toghe: "Cambiano le stagioni, ma resta un'anomalia tutta italiana - è il commento del portavoce Daniele Capezzone -. L'Anm continua ad esprimersi, in questo caso attaccando ingiustamente il ministro Alfano, come se fosse un partito politico, come se toccasse all'Anm stessa definire cosa governo e Parlamento possono o non possono, debbono o non debbono fare". "Ma la riforma della giustizia si farà e andrà avanti - aggiunge - e non sarà bloccata nè dettata dall'ala più militante e politicizzata della magistratura".

LE APERTURE DEI FINIANI - Dal fronte dei finiani, che più volte hanno espresso critiche al provvedimento, arrivano segnali di apertura. Il viceministro Adolfo Urso si dimostra possibilista confermando, l'appoggio di Futuro e Libertà ai cinque punti del programma che la maggioranza porterà al voto del Parlamento. Quanto al processo breve "vedremo i testi - ha detto all'Ansa - e come verrà applicato, senza che vi sia impatto sui processi". In un'intervista al Giornale, Silvano Moffa ha invece fatto notare che "la Corte dei diritti dell’uomo ha condannato ripetutamente il nostro paese per i processi lumaca". "Ma - ha aggiunto - bisogna creare le condizioni perché i processi si possano fare". Più soldi alla magistratura? ha chiesto l’intervistatore. "Esatto - è stata la replica di Moffa -. Quello che bisogna evitare è lo spacchettamento dei provvedimenti. Il processo breve sciolto dal resto verrebbe percepito come una legge ad personam". E il capogruppo Italo Bocchino: "Furono Berlusconi e Fini insieme a valutare che fosse meglio fermarsi sul processo breve a causa delle perplessità venute dal Quirinale. Noi siamo disponibili a discutere, ma il ministro Alfano ci spieghi come intende superar le perplessità emerse allora". Perplessità sull'interpretazione che ne avrebbe dato il Quirinale e che furono alla base dello stop del provvedimento alla Camera, dopo il via libera del Senato.

Redazione online

28 agosto 2010

 

 

 

 

Il Guardasigilli: alla ripresa quel