S. Messa
Quotidiana Registrata a Cristo Re Martina F. Mese di Novembre 2010 Pubblicata anche su YOUTUBE http://www.youtube.com/user/dalessandrogiacomo Vedi e Ascolta cliccando sul giorno Lu 01. Ma02. Me03. Gv04. Ve05. Sa06. Do07. Lu08. Ma09. Me10. Gv11. Ve12. Sa13. Do14. Lu15. Ma16. Me17. Gv18. Ve19. Sa20. Do21. Lu22. Ma23. Me24. Gv25. Ve26. Sa27. Do28. Lu29. Ma30. Ottobre 2010 Ve01. Sa02. Do03. Lu04. Ma05. Me06. Gv07. Ve08. Sa09. Do10. Lu11. Ma12. Me13. Gv14. Ve15. Sa16. DO17. Lu18. Ma19. Me20. Gi21. Ve22. Sa23. Do24. Lu25. Ma26. Me27. Gv28. Ve29. Sa30. Do31. Settembre 2010 Me 01. Gi02. Ve03. Sa04. Do05. Lu06. Ma07. Me08. Gv09. Ve10. Sa11. Do12. Lu13. Ma14. Me15. Gv16. Ve17. Sa18. Do19. Lu20. Ma21. Me22. Gv23. Ve24. Sa25. Do26. Lu27. Ma28. Me29. Gv30.
FORMAZIONE il FIGLIO dell'UOMO
ONLUS - ASSOCIAZIONE CATTOLICA E-mail: studiotecnicodalessandro@virgilio.it Siti Internet: http://www.cristo-re.eu ; http://www.cristo-re.it; http://www.maria-tv.eu ;http://www.web-italia.eu http://www.engineering-online.eu;http://www.mondoitalia.net ; |
dal 17 Aprile al 24 Aprile 2011
10a SETTIMANA MONDIALE della Diffusione in Rete Internet nel MONDO de " i Quattro VANGELI " della CHIESA CATTOLICA , Matteo, Marco, Luca, Giovanni, testi a lettura affiancata scarica i file clicca sopra Italiano-Latino Italiano-Inglese Italiano-Spagnolo |
Aderite all" ORDINE LAICO dei "CAVALIERI del FIGLIO dell'UOMO" per VIVERE il VANGELO, Diventate CAVALIERI del FIGLIO dell'UOMO vivendo la Vostra VITA in FAMIGLIA e sul LAVORO secondo VIA, VERITA' VITA |
Ingegneria Impianti Industriali Elettrici Antinvendio |
Per. Ind. G. Dalessandro Il mio pensiero e la mia professionalità nei miei Siti Web |
Bella Italia http://www.miglionico web.it Prof.. Labriola |
MILANO D'UOMO |
Foto di MILANO
in sequenza clicca qui sopra |
TARANTO CASTELLO |
Foto di TARANTO clicca qui sopra TA1 - TA2 - TA3 |
Miglionico XV SECOLO Polittico Cima da Conegliano |
cliccasopra MG1. MG2. MG3. MG4. MG5 MG6 MG7 MG8 MG9 MG10 |
ROMA FONT. di TREVI |
.1. .2. .3. .4. .5. .6. .7. | MATERA SASSI | Per vedere altre foto clicca qui sopra |
MARTINA S. MARTINO |
.1. -.2. -.3. .4. -.5. -.6. -.7. -.8. Sulle Strade del VANGELO |
Links: VATICANO LEV Parrocchia Cristo Re Martina http://www.parrocchie.it/ martinafranca/cristore.it CHIESA CATTOLICA Http://www.santiebeati.it http://www.lachiesa.it RADIO MARIA http://www.cismitalia.org/ http://www.usmi.pcn.net http://www.ciisitalia.it http://www.fratiminori lecce.org/node/342 |
Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-05-21 ad oggi 2010-11-01 Sintesi (Più sotto trovate gli articoli)2010-10-01 a palazzo madama: "maggioranza più ampia" Berlusconi: "I finiani saranno leali"Via libera del Senato alla fiducia Il premier ha riletto l'intervento effettuato mercoledì a Montecitorio. Bossi: "Non si va a elezioni anticipate" ROMA - Il nodo politico era legato al voto della Camera. Incassata la fiducia a Montecitorio (con l'appoggio decisivo dei finiani), il governo Berlusconi ottiene uno scontato sì anche dal Senato: 174 i voti a favore e 129 quelli contrari. Presenti 305 senatori, votanti 303, la maggioranza richiesta era di 152. Più che per la prova dei numeri, dunque, il passaggio a Palazzo Madama serve a misurare gli umori della maggioranza. Prima dell'intervento di Silvio Berlusconi in aula, è Umberto Bossi ad allontanare l'ipotesi elezioni anticipate, tornata a circolare dopo il mancato raggiungimento della "quota 316" (senza Fli e Mpa): il leader del Carroccio risponde infatti "no" alle domande dei cronisti sulla possibilità che si vada presto al voto. |
ST
DG Studio TecnicoDalessandro Giacomo 41° Anniversario - SUPPORTO ENGINEERING-ONLINE |
2010-10-01 Cortei, Alemanno rilancia l'idea della tassa "Roma paralizzata, costretto a intervenire""Come volevasi dimostrare" dice il sindaco, che dopo la manifestazione degli operai Fincantieri torna sulla proposta del contributo a carico degli organizzatori, senza però nominarlo. Si dice pronto a prendere provvedimenti unilaterali, già fissato un incontro con il prefetto Cortei, Alemanno rilancia l'idea della tassa "Roma paralizzata , costretto a intervenire" Roma alla prova dei cortei, Alemanno torna sull'idea della tassa, anche se parla genericamente di 'provvedimenti'. L'occasione è la manifestazione degli operai di Fincantieri. "Come volevasi dimostrare - ha dichiarato il sindaco - Roma si è trovata totalmente paralizzata nel traffico a causa del primo grande corteo, per la vertenza Fincantieri, che si è svolto in città. Comprendo il disagio e le proteste dei lavoratori ma siamo di fronte non a una grande manifestazione nazionale ma a quella di dipendenti di una singola impresa". 2010-09-29 Di Pietro: il premier stupra la democrazia. Bossi: la strada ora è stretta Il governo incassa la fiducia: 342 sì, i no 275, su 620 presenti. Ma i finiani risultano determinanti Berlusconi nelle repliche attacca Pd e Udc: mi aspettavo di più da voi. Bersani: "Adesso basta traccheggiare" Bocchino: "È stato un errore tentare la strada dell'autosufficienza" Fli vota sì alla fiducia. "Noi decisivi" Fini: via al nuovo partito. Asse con l'Mpa Il presidente della Camera: "Verificheremo in corso d'opera le iniziative sulla giustizia" Bersani: "È la fiducia del cerino" Il leader Pd: "Da Berlusconi solo promesse, ma gli italiani sono arrabbiati. Si chiude una pagina vecchia" "Questa è una fiducia messa per debolezza, nessuno vuole il cerino in mano: è la fiducia del cerino. "SOLO PROMESSE" - "È la seconda volta che la vediamo qui. La prima fu per l'insediamento del governo, poi più niente: 26 voti di fiducia e 54 decreti. Quella volta disse per venti volte la parola 'crescita' e invece abbiamo avuto il calo più grande della storia del dopoguerra. LA POLEMICA ROMA-LEGA S.p.q.r. dopo le offese di Umberto Bossi, su Radio Padania insulti cantati ai romani Il cantautore Manni suona in diretta brano-turpiloquio e il ministro va in studio per rispondere agli ascoltatori 2010-09-27 Il Papa: "Amare i poveri e seguire Dio" Amare i poveri e seguire la strada che Dio ci indica. Sono le due indicazioni che ha suggerito. Nel Vangelo, "Gesù narra la parabola dell’uomo ricco e del povero Lazzaro. Il primo vive nel lusso e nell’egoismo, e quando muore, finisce all’inferno. Il povero invece, che si ciba degli avanzi della mensa del ricco, alla sua morte viene portato dagli angeli nella dimora eterna di Dio e dei santi". 27 settembre 2010 CEI Bagnasco: "Cambiare si può E bisogna fare presto" I vescovi sono "angustiati per l'Italia" ed esprimono "grande sconcerto e acuta pena per discordie personali che assumendo il contorno di conflitti apparentemente insanabili", e si sono fatte "pretesto per bloccare i pensieri di un'intera nazione, quasi non ci fossero altre preoccupazioni, altri affanni". Sulle riforme l'Italia "sembra tornare sempre al punto di partenza" e il presidente dei vescovi ha riaffermato l'urgenza di avviare il "confronto serio e decisivo, ricerca della mediazione più alta e sollecita possibile. Il Paese povero di risorse prime, deve far conto sull'efficienza del sistema e valorizzazione delle risorse umane". Il federalismo è una riforma "irreversibile" da incardinare in un forte senso di unità e indivisibilità della Nazione" "Il contegno è indivisibile dal ruolo, linguaggio politico che deve essere confacente a civiltà ed educazione". "Trovare la morte per negligenza o inadeguatezza là dove si va per nascere o ricevere cure, è uno spregio intollerabile. "Ai cattolici con doti di mente e di cuore diciamo di buttarsi nell'agone, di investire il loro patrimonio di credibilità, per rendere più credibile tutta la politica". Riforma fiscale, il presidente della Cei ha affermato che "sono in molti a sperare in criteri di maggiore equità" 2010-09-25 Investire milioni e trovare miliardi Sono anni ormai che forze dell'ordine e magistratura colpiscono duramente la criminalità organizzata nei suoi patrimoni. Uno sforzo che rischia di essere vanificato dalla difficoltà di restituire quei beni alla società civile, sottraendoli davvero al controllo delle mafie. L'istituzione dell'Agenzia per i beni confiscati è stato un segno di buona volontà. Ma è inutile creare un organismo, se poi non gli si dà la possibilità di operare con efficacia."Bisogna far funzionare l'agenzia al meglio, dotandola di risorse e personale adeguato", ha invocato ieri il prefetto Mario Morcone, che è stato designato alla guida dell'agenzia dopo aver ben lavorato al dipartimento dell'immigrazione del Viminale. E c'è davvero molto da fare per rendere proficua l'attività di Morcone. Va rinfoltito un organico che oggi è solo di trenta persone; vanno aperte sedi sul territorio, da Palermo a Napoli, fino a Milano; va rafforzato il raccordo con i magistrati in sede locale. Ci sono decine di miliardi da restituire all'economia del paese. Investire alcuni milioni vale certamente la pena. 2010-09-22 Ipotesi "Papa straniero", il Pd si interroga Nel primo pomeriggio si materializza l'ennesimo fronte di discussione interna al Pd: Alessandro Profumo si è dimesso, lascia i vertici di Unicredit. Perché, pur impegnati nelle ultime discussioni interne, pur distratti dal documento dei 75, dai tormenti dei popolari, dal botta e risposta Bersani-Veltroni, molti tra i democratici ci pensavano da stamattina. Tanto spazio dedicato al caso del banchiere ligure e un passaggio sui giornali: "Non si può escludere, vista la giovane età e l'impegno civile del personaggio dimostrato in più occasioni, una discesa nell'agone politico in questo momento di grande confusione morale e istituzionale per l'Italia repubblicana". Così il l'ipotesi "Papa straniero" diviene uno dei maggiori incubi dell'attuale dirigenza del Pd. Così, in Transatlantico, nei capannelli dei deputati "dem", l'ombra del "Papa straniero" è venuta a coincidere in maniera clamorosa con quella di Profumo.2010-09-22 BANCHE Unicredit, il Cda sfiducia Profumo l'ad firma la lettera di dimissioniPrima la voce secondo cui l'ad aveva lascia con una lettera ai consiglieri per evitare di spaccare il consiglio. Poi nuovi rumors: "Ha consultato i legali ed ha deciso di andare avanti". Infine di fronte alla volontà del consiglio il manager lascia. Le deleghe al presidente Rampl Unicredit, il Cda sfiducia Profumo l'ad firma la lettera di dimissioni Alessandro Profumo MILANO - Un duro scontro fra i soci e la decisione di sfiduciare l'amministratore delegato Alessandro Profumo. Si conclude così la lunga giornata di Unicredit. Una giornata segnata da un giallo sulle dimissioni del manager e da una resa dei conti fra i consiglieri di amministrazione schierati con l'amministratore delegato accusato di aver aperto le porte della banca ai libici e chi ha voluto cogliere l'occasione per liberarsi di un personaggio, come ha detto lo stesso ad, "scomodo". Il consiglio ha votato all'unanimità, col solo voto contrario della consigliera indipendente Reichlin, di dare mandato al presidente Dieter Rampl di offrire ad Alessandro Profumo la risoluzione consensuale del rapporto a precise condizioni con le dimissioni contestuali. Se non le accetterà il Cda ha già deliberato la revoca delle deleghe attribuendole al presidente e risolvendo il rapporto con l'ad. A fronte di questa situazione Profumo, poco prima di mezzanotte, ha ceduto al volere del Cda firmando la lettere di dimissioni. Sembra che all'ormai ex amministratore delegato andranno 40 milioni di buonuscita.18 settembre 2010 VERSO LA VERIFICA Berlusconi: avrò i numeri però non faccio acquisti Si fa sempre più in salita, per il premier Silvio Berlusconi, la strada per arrivare a formare in Parlamento una maggioranza numerica tale da poter fare, sulla carta, a meno dei finiani. Anche tra coloro che si sono detti disponibili a votare la fiducia al governo (tra cui il governatore siciliano Lombardo), escludono un appoggio incondizionato.E, trattandosi prevalentemente di deputati meridionali, c’è il rischio concreto di far saltare la mosca al naso di Bossi, che da giorni morde il freno per andare alle elezioni anticipate. Tremonti: "L'eolico? È uno dei più grandi business della corruzione" "Il business dell'eolico è uno degli affari di corruzione più grandi e la quota di maggioranza francamente non appartiene a noi". A dirlo è il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, in uno dei passaggi del suo intervento alla kermesse organizzata dal Pdl a Cortina. La crisi non è finita, siamo in terra incognita, ha detto Tremonti. "Non credo che tutto sia risolto - ha detto Tremonti - non credo che i rischi siano stati eliminati, i signori della speculazione sono ancora a piede libero, in altri paesi ci sono situazioni di crisi potenziale che devono essere considerate seriamente". Bisogna affrontare, ha detto, "una politica di responsabilità".2010-09-17 Sì a Roma capitale, nasce il nuovo ente federale Via libera del consiglio dei ministri al decreto su Roma capitale. Il provvedimento sarà pubblicato domani sulla Gazzetta Ufficiale. L'annuncio è arrivato dal sindaco di Roma, Gianni Alemanno, che ha reso noto come il voto del Consiglio dei ministri sia stato "all'unanimità". Si tratta, ha detto Alemanno, di "un primo passo necessario e importante per fare in modo che la nostra città abbia una governance adeguata, non solo al ruolo di Capitale d'Italia, ma anche al ruolo internazionale della città". Bossi: "Roma capitale? Ora ci vuole quella del Nord" "Roma capitale? Ora ci vuole quella del Nord". Così il leader della Lega, Umberto Bossi, commenta l'approvazione del decreto su 'Roma Capitale" nel Consiglio dei ministri di oggi. Il Senatur scherza e si lascia andare ad una battuta: "Lo abbiamo votato solo perché il sindaco Alemanno è venuto piangendo", chiosa il ministro facendo riferimento alla presenza del sindaco di Roma a Palazzo Chigi dopo la firma del provvedimento. 2010-09-17 Tremonti: se avessimo il nucleare, avremmo un pil diverso Per far crescere l'Italia "dobbiamo essere ambiziosi e rinunciare un po' a posizioni rinunciatarie e fatalistiche". Questa, secondo il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti la premessa per lo sviluppo del nostro paese. Ma, avverte Tremonti, occorre anche essere "molto realistici e seri nel fare il catalogo dei punti di criticità dell'Italia". Tra questi, al primo posto il nucleare: "Noi non abbiamo il nucleare, le altre economie con cui competiamo lo hanno. Se avessimo il nucleare, avremmo un pil diverso, sarebbe più facile crescere come gli altri paesi". 2010-09-17 Berlusconi e il mercato degli onorevoli "Sono stati quasi tutti eletti con noi" Il premier giustifica la ricerca di nuovi voti in Parlamento. L'ultimatum del Pdl ai finiani: o rientrate o completate la scissione. Briguglio: "E' la seconda ipotesi...". Bersani a Veltroni: "So dove portare il partito". Lite Casini-Cuffaro ROMA - "Non è vero che facciamo compravendita, non c'è nessun mercato. Nessuna campagna acquisti". Così Silvio Berlusconi ha aperto il Consiglio dei ministri. Rigettando quindi la tesi secondo cui sarebbe impegnato in una assidua ricerca per allargare la maggioranza. "Quelli dell'Mpa - ha detto il premier - sono stati eletti con noi, così quelli di Noi Sud. E' sbagliato pensare che io voglia comprare in altri partiti". Questo non significa, ha però osservato il Cavaliere, che non ci possa essere un ostegno all'esecutivo da parte di altre forze: "Se ci sono esponenti di altri partiti, tipo quelli dell'Udc, che vogliono sostenere l'esecutivo, lo faranno per scelta libera". 2010-09-13 Ministeri al Nord, altolà dei ministri "Non c'è alcun progetto di spostamento" Dopo la proposta della Lega, arriva la replica di Sacconi, Brunetta e Galan: "Finora non c'è stato presentato mai un disegno di legge sul decentramento. Lo attendiamo e poi valuteremo" ROMA - Il federalismo ancora non c'è, ma già fa litigare i ministri del governo Berlusconi. Ieri era stato Umberto Bossi a pregigurare uno spostamento di alcuni ministeri al nord. Oggi tre colleghi di governo gli lanciano un preciso altolà. "Quando il ministro Bossi presenterà in Consiglio dei ministri un testo sul decentramento dei ministeri, rifletteremo. Lui è il ministro delle Riforme, questa è una riforma che quando la presenterà avrà il nostro parere" dice il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta ,assieme ai colleghi Maurizio Sacconi e Giancarlo Galan.Nucara incontra Berlusconi "Ci sono i numeri per nuovo gruppo" Il segretario del Pri sicuro di costituire il "gruppo dei responsabili". "Siamo in venti, nessuno votava la fiducia all'esecutivo" ROMA - "I numeri ci sono. Arriviamo a 20 deputati senza iniezioni del Pdl: si tratta di gente che fino ad ora non ha votato la fiducia a Berlusconi". Il segretario del Pri Francesco Nucara, dopo l'incontro con Silvio Berlusconi a palazzo Grazioli, annuncia che nascerà il nuovo gruppo a sostegno del governo "o qualche giorno prima o subito dopo il 28 settembre, quando Berlusconi parlerà in Parlamento". 2010-08-07 Processo breve, legge bavaglio, lodo Alfano così il premier vuole 'incastrare' i dissidenti Berlusconi prepara il piano-giustizia di settembre. Nel progetto anche la separazione delle carriere e la riforma del Csm. Tutto si giocherà sulla norma transitoria. I finiani: "Aspetta al varco i nostri 'no' per far saltare il banco.Ma noi a questo gioco non ci prestiamo" 2010-08-05 GOVERNO Il premier studia già la data del voto "E vedrete che Fini dovrà dimettersi" Berlusconi sul presidente-ribelle: se ci riporta alle urne dovrà spiegarlo al Paese. Con i fedelissimi il premier allude ai possibili effetti della querelle sulla casa di Montecarlo È finita. Il vascello fantasma del governo Berlusconi (come lo aveva definito Ezio Mauro meno di un mese fa) naviga ormai alla deriva. Senza un nocchiero, senza una rotta, senza una meta. Neanche più in balia di se stesso, ma piuttosto di una "Cosa" che non ha ancora un nome e un colore, ma che in Parlamento già esiste, e già cambia la geografia politica del Paese. Questo dice il voto della Camera sulla mozione di sfiducia contro il sottosegretario Caliendo: la maggioranza di centrodestra che aveva stravinto le elezioni due anni e mezzo fa non solo non esiste più politicamente, com'era ormai evidente già da qualche mese. 2010-08-05 GOVERNO Bossi: "Al voto con Berlusconi? Vedremo" Casini: "Contro Fini squadrismo intimidatorio" Il leader della Lega sulle fibrillazioni della maggioranza: "Se si va alle elezioni spazziamo via tutti". Il numero uno dell'Udc difende il presidente della Camera dopo le inchieste partite dai giornali vicini a Berlusconi già da qualche mese. 2010-08-04 Camera, Caliendo è salvo ma la maggioranza non c'è più A Montecitorio voto secondo le previsioni: l'asse finiani-Udc-rutelliani tiene di fatto in mano le sorti dell'esecutivo. Arriva anche Chiara Moroni. E nei prossimi mesi si resterà in bilico tra navigazione a vista ed elezioni. Con l'incognita del governo tecnico di MARCO BRACCONI 2010-08-01 Bocchino: "Niente elezioni, se si vota Gianfranco è pronto per i moderati" L'esponente finiano avverte: chiederemo di valutare "preventivamente" i provvedimenti del governo. E su Caliendo: chi sta al governo non fa riunioni con i pregiudicati. Il ritiro della delega sarebbe un gesto di responsabilità 2010-07-30 Berlusconi mette alla porta Fini Verso gruppi parlamentari autonomi L'ex leader di An non lascia la presidenza della Camera e organizza i suoi fedelissimi alla Camera e al Senato. I finiani sarebbero 34 a Montecitorio e 14 a Palazzo Madama, sufficienti a mettere in difficoltà il governo 2010-07-29 LA CRISI Pdl, Berlusconi sceglie la linea dura I finiani verso un nuovo gruppo parlamentare Il vertice si è tenuto a palazzo Grazioli ed è terminato alla due di notte. Respinta al mittente l'offerta del presidente della Camera. Pronto il documento contro i dissidenti: "Non ci sono più le condizioni per stare assieme". Oggi l'ufficio di presidenza dovrebbe ufficializzare l'espulsione. In 20 da Bocchino firmano il modulo per l'adesione a nuovo gruppo. Schifani polemico: legalità non è esclusiva di nessuno MOLTISSIME ALTRE NOTIZIE FINO AL: 2010-07-10 ROMA - Silvio Berlusconi all'attacco su tutela della privacy e libertà di stampa, all'indomani della giornata del silenzio contro il ddl intercettazioni. In un messaggio audio ai Promotori della Libertà, il premier spiega in sostanza che la libertà di stampa "non è un diritto assoluto" e affida un "compito non facile ma importante" ai suoi interlocutori: "Dovete togliere il bavaglio alla verità - è l'appello contenuto nel messaggio audio -, quel bavaglio imposto dalla stampa schierata con la sinistra, pregiudizialmente ostile al governo, che calpesta in modo sistematico il sacrosanto diritto dei cittadini alla privacy come l'uso sereno dei telefoni. Loro invocano la libertà di stampa come se si trattasse di un diritto assoluto che prescinde dai diritti degli altri. In democrazia non esistono diritti assoluti, perché ognuno incontra un limite negli altri diritti. Questo è un principio delle democrazie liberali".Preoccupazione del Dipartimento di giustizia Usa: "Sono essenziali per i pm". Il ministro: intesa con WashingtonMILANO - Pari dignità ai diritti di riservatezza, cronaca e indagini. Così il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha sintetizzato il contenuto del disegno di legge sulle intercettazioni. Un intervento, ha sottolineato, per "ripristinare la verità sugli effettivi contenuti del ddl dato che troppe cose tra quelle che vengono annunciate, dette o temute, non corrispondono al testo in esame al Senato". USA: ESSENZIALI PER INDAGINI - Le prese di posizione contro il provvedimento non sono mancate. Anche gli Stati Uniti si sono espressi in merito, per bocca del sottosegretario al Dipartimento di giustizia Lanny Brauer La Busi: "Rinuncio a condurre il Tg1" Lettera affissa sulla bacheca della redazione: "Non mi riconosco più nella testata". Minzolini: "Non condivido" MILANO - Maria Luisa Busi rinuncia alla conduzione del Tg1. Lo scrive lei stessa in una lettera (LEGGI IL TESTO) che ha affisso nella bacheca della redazione. Tre cartelle e mezzo per spiegare le motivazioni della sua decisione. Uno dei volti più celebri dell'edizione serale del telegiornale di Rai1 afferma di non riconoscersi più nella testata, e dichiara che se un giornalista ha come unico strumento per difendere le sue prerogative professionali quello di togliere la propria firma, un conduttore può solo togliere la sua faccia. Così ha deciso di fare lei, abbandonando la conduzione del Tg1 delle 20. Annozero, Santoro contro tutti Il monologo di Masaniello Se uno amasse davvero il Servizio pubblico dovrebbe cominciare ad astenersi dall’usare il Servizio pubblico per fatti personali, per regolare i propri conti con chi la pensa in maniera diversa, per ergersi a Sentinella Unica della Democrazia. E invece, ancora una volta, Michele Santoro ha aperto "Annozero" con un lunghissimo intervento dedicato alle sue vicende, al suo addio all’azienda. |
Internet, l'informatore, ll Giornalista, la stampa, la TV, la Radio, devono innanzi tutto informare correttamente sul Pensiero dell'Intervistato, Avvenimento, Fatto, pena la decadenza dal Diritto e Libertà di Testimoniare.. Poi si deve esprimere separatamente e distintamente il proprio personale giudizio..
Il Mio Pensiero
(Vedi il "Libro dei Miei Pensieri"html PDF ):2010-10-01
Cortei, Alemanno rilancia l'idea della tassa "Roma paralizzata, costretto a intervenire"Caro Alemanno,
La tasse per Roma tutta l'Italia è stata chiamata a sottoscriverla con il decreto per ROMA CAPITALE.
Per questo a Roma spettano vantaggi e svantaggi, quali sono le giuste e corrette manifestazioni.
Ben diverso sono le devastazione provocate da irresponsabili, ma queste vanno prevenute e represse e non hanno nulla a che spartire con le manifestazione e le giuste e sacrosante proteste.
Ma la tassa no,è un'abuso, eventualmente bisogna vigilare e chi sporca paga.
Per. Ind. Giacomo Dalessandro.
Martina F. 22 settembre 2010
Ma siamo diventati matti, che qualcuno della sinistra possa pensare al "PAPA nero" candidato a Premier per le prossime elezioni politiche indicando Profumo. Sarebbe assurdo e roba dell'altro mondo, demandare ad un manager delle Banche il futuro dell'Italia, allora serebbe meglio conservarci Berlusconi.
Dobbiamo ricostruire una Banca Italiana, e non continuare nella svendita, pensando al Mondo del Lavoro, Lavoratori ed Imprese, che devano avere una loro Banca di Fiducia che non pensi solo alla speculazione finanziaria, ma ad una Finanza per lo sviluppo di Imprese e Lavoro.
Nella quali i lavoratori devono far confluire i loro salari e pensioni e che investa in Scuola, Formazione, Ricerca, Innovazione, Tecnologia, Energia, Acqua, Sanità, Trasporti, Infrastrutture, Telecomunicazione, Abitazioni, Città e Case del Futuro, Sviluppo e Commercio con i Paesi del Mediterrano, dell'Africa, Asia, del Terzo Mondo, Pace e tutto ciò è futuro.
Per. Ind. Giacomo Dalessandro
Martina F. 22 settembre 2010
La Camera ed il Senato sono state in ferie dal 4 Agosto al 7 Settembre con ripresa dei lavori il giorno 8 .
Oltre 1 mese e 4 giorni di ferie, nonostante la bagar politica accentuatasi con l'ultimatum del 2 Luglio di Cicchitto ai Finiani, la successiva violenta campagna di stampa su Fini e la casa di Montecarlo.
Ma il governo ancora alla data odierna non è ancora andato in parlamento a chiarire se ha ancoro oppure no la maggioranza, con una affannosa ricerca di appoggio da esponentio esterni alla maggioranza.
Ancora oggi non si parla di come uscire dalla crisi, né è ancora stato nominato il Ministro dello Sviluppo economico.
Nel frattempo ci sono stati avvenimenti negativi come il ricatto della Fiat, l'annuncio della riduzione di personale di aziende leader, l'aumento del Debito Pubblico, l'aumento della disoccuzazione, la mancata ripresa, le sparate di Bossi per la Capitale del Nord e di esponenti della Lega per lo spostamento di alcuni Ministeri al Nord, la sparatoria dalla Motovedetta Libica, regalata del Governo Italiano) sul peschereccio di Mazara del Vallo in acque internazionali, alla scalata dei Libici alla UNICREDIT e dimissioni del A.D. Profumo.ecc.
Poveri noi cosa ci aspetta ancora.
Per. Ind. Giacomo Dalessandro
Martina F. 2010-09-17
Dopo Roma Capitale Bossi vuole la Capitale del Nord
Quanta pazienza dobbiamo avere a sopportare la pazzia politica di chi dichiara continuamente di volere staccarsi da Roma Ladrona, ed ora coglie la palla al balzo per dire che visto che si è approvato il Decreto su Roma Capitale, ora bisogna pensare anche alla Capitale del Nord.
Fra l'altro non si rende conto che già Milano è stata privilegiata per l'Expo del 2015, voluta dal governo Prodi.
Fra l'altro oggi si dimenticano che doveva essere quella dell'intera Italia, perché solo così sarebbe Universale, altrimenti si rivelerà un fiasco, solo ricco di intrallazzi, gran mercato alla mercè della mafia, alla mercè di disonesti.
L'altro giorno ci fu detto ancora dello spostamento dei Ministeri al Sud per giustificare quelli al Nord.
Perché chi governa non si cura dei rischi che sta procurando all'Italia, alla frattura inevitabile se si persegue su questa strada, al declino economico-sociale conseguente, con trasformazioni delle ricchezze in povertà, impoverimento di salari e pensioni di tutti.
Tutto ciò si fa per l'interessi di poco, contro la volontà di molti.
Per. Ind. Giacomo Dalessandro
Martina F. 2010-09-17
Sono oltre due mesi che il governo va avanti senza sentire il dovere di presentarsi in Parlamento a dimostrare nella conta la congruenza o solidarietà della sua Maggiorana, di quella che aveva con uno stragrande margine di sicurezza, e che si è improvvisamente assottigliata al venir meno del gruppo dei Finiani, messi all'angolo con una assurda strategia, assente di acutezza politica, tesa a chiedere le dimissioni di Fini, che per fortuna per il Governo non sono state ufficializzate in Parlamento, né al Capo dello Stato, altrimenti il Governo sarebbe stato messo in minorazza dal Parlamento, ed avrebbe ufficializzato anche la scarsa conoscenza della Costituzione, di cui il Presidente Napolitano è Convinto difensore, essendone fedele interprete.
Ora la fù maggioranza si sta adoprando in affannosa sotterranea trattativa di parlamentari, per riportare il numero dei sostenitori al 50% +1 , avvallando nei fatti, se ce ne fosse bisogno, il Presidente della Repubblica ad applicare senza indugi la Costituzione, nel caso il Governo sia sfiduciato dal Parlamento, a fine mese o nel periodo successivo.
Da parte mia io sono per un ricorso immediato alle urne per evitare al paese un periodo lungo e travagliato, con scelte economiche sbagliate ed impopolari, quali quelle che questo Governo si appresta ad approvare, in pieno dispregio delle necessità di sviluppo economico sociale culturale del Paese.
Perché la crisi non è finita, e quello che sta avvenendo nella dinamica dello sviluppo, del PIL, del debito pubblico, dell'occupazzione, cassa integrazione, ecc. è drammatico e si aggraverà nei costi sociali ed economici di una gra parte della popolazione,
Per. Ind. Giacomo Dalessandro
Martina F. 2010-07-10
Il Presidente del Consiglio dei Ministri non ha lui il Potere Assoluto !
Il Presidente Berlusconi ha oggi affermato che la Libertà di Stampa non è un diritto assoluto.
Certo Sig. Presidente, va Salvaguardato il Vero Diritto Supremo, ovvero quello della Vita della Persona Umana, della sua Salute Fisica e Mentale, del Lavoro ( della sua durata nel Tempo e della sua Sicurezza ), del Giusto Godimento della Pensione, della possibilità di Formare Famiglia, Avere Figli, del diritto alla Istruzione, Scolarità Superiore, Università, Formazione Tecnica e Professionale, Cultura, all'Espressione Pensiero, della Manifestazione Pacifica, del Godimento dei Diritti Civili, Sociali, Religiosi, della Vivibilità delle Citta, della Protezione dalla Droga, dalla Delinquenza, dalla Corruzione, dalla Concussione, dagli Scippi, dai Furti, dai Danneggiamenti alle Persone, Proprietà e cose, alla Prevenzione degli Incidenti sul Lavoro e Stradali provocati da terzi per Colpa e Dolo, alla Difesa dalla Sopraffazione del Delinquente, del Mafioso, del Corrotto, dal prevalere del Corruzione sulla Onestà, dalla Speculazione sul Lavoro delle Aziende Oneste, dalla negligenza nel Lavoro, difesa del diritto alla Giusta Mercede per il Lavoro Svolto dall'Operaio, al Pagamento della Fattura in tempi certi e brevi per il Lavoro Correttamente Eseguito, nella Difesa dell'Ambiente, nella Libera Concorrenza non sopraffatta dalla Tangente, dalla Concorrenza Sleale, dalle Coperture Mafiose e Politiche, ecc. .
Allora Sig. Presidente, quando nella Privacy ci si nasconde e si agisce per un'azione delittuosa la Società deve intervenire per difendere le Libertà sopra accennate, e lo deve fare con la massima autorità e prontezza, a garanzia dello Stato Democratico, compito che spetta inderogabilmente alla Magistratura, con la sua organizzazione e mezzi che vanno assolutamente potenziati in maniera seria, non a parole vuote come l'ipotetico potenziamento con " Giudici assunti a Progetto " e Cancellieri ad ore, perchè altrimenti è una grandissima fandonia e presa per i fondelli.
Inoltre non ci può essere la prescrizione del reato, complice la lungaggine di processi ai quali non si da assolutamente corso perché si impoverisce l'organizzazione e la si lascia languere, pur essendo nel terzo millennio, quello in cui la prevenzione andrebbe attuata con i massimi sistemi innovativi esistenti, e con il potenziamento ed una vera organizzazione della Magistratura e Forze dell'Oerdine, per rendere veramente Giustizia e dare la Vera Libertà alla Vita dell'UOMO.
Con la Prescrizione dei Processi invece si Garantisce l'Impunità e si Aumenta a dismisura l'Iniquità!
In tutto questo processo la Libertà di Informazione è il vero cardine, pietra d'angolo, che consente di Informare la Collettività di quanto avvine. In assenza prevalgono i poteri occulti, degrado, la corruzione, l'anarchia, l'Ingiustizia.
Pertanto la Libertà di Informazione si che è Assoluta!
Chi Governa o detiene Poteri Forti, così come è privilegiato nel Potere e negli enormi e spropositati ritorni Economici e Sociali, allo stesso modo è soggetto a controllo (anzi dovrebbe esserere parimente spropositatamente soggetto a controllo costante e continuo), ed il suo operato deve essere cristallino nei comportamenti che devono essere conformi a quello che decanta e professa.
Sig. Presidente, Lei è stato democraticamente Eletto per Governare il Paese, ma non ha Lei il Potere Assoluto !
Ella può governare, come qualsiasi Italiano vorrebbe fare, nei limiti della Costituzione Italiana, massimo cardine della Democrazia !
La Costituzione Le assegna unicamente il diritto di Governare, possibilmente saggiamente, non di imporre leggi, eventualmente può proporle.
Ma le Leggi le fa e le approva sempre e solamente il Parlamento Sovrano ( anche i Decreti Leggi di Sua pertinenza ), suo diretto superiore e Giudice, come suo Giudice è anche la Giustizia, alla quale nessuno si può esimere se commette reato.
Ma anche la Giustizia ha un limite, non può reprimere ciò che non è reato.
Ella non è superiore né al Parlamento, né alla Giustizia, né alla Corte Costituzionale, né alla Libertà di Stampa, i quattro poteri dello Stato Italiano ed universali, ciascuno Assoluto nel proprio campo specifico, ma tutti soggetti alla Costituzione, della quale il Presidente della Rapubblica è Custode, Rappresentante del Popolo Italiano !
Per. Ind. Giacomo Dalessandro
Martina F. 2010-07-08
Il comportamento di una Persona che lede la Libertà di un'altra Persona non è libertà ma oppressione, coercizione, sopraffazione, delitto.
Questo comportamento, che ha la valenza di anarchia, va prevenuto perché è prevalente la Garanzia ed il Rispetto della Vita per la Persona oggetto di tali sopraffazioni, dei suoi Beni e Proprietà, dei Beni Colletivi e Sociali.
Pertanto la Giustizia, cui spetta il compito di far rispettare le Leggi e Perseguire chi le infrange, deve adottare tutti i sistemi idonei a prevenire qualsiasi tipo di delittto contro le Persone Cose, Collettività Beni Sociali, ecc.
In questa ottica è giusto limitare la Privacy ogni qualvolta accadono situazioni tali che richiedono la prevenzione, la lotta alla delinquenza, Sopraffazione, corruzione, ecc., tenendo presente che chi commette reati lo fa avvalendosi delle più sofistiche innovazioni per sfuggire ai controlli, e pertanto anche la Giustizia deve fare altrettanto e di più in difesa dei Deboli, Minori, Collettività.
E' giusto registrare e filmare tutto ciò che può condurre a prevenire e sconfiggere la Delinquenza in qualsiasi forma o apersona si nasconda, anche la più illustre in apparenza.
A maggior ragione chi ricopre incarichi politici o rilevanti a livello collettivo deve essere per scelta e per dovere il più trasparente possiblile e coerente con le sue affermazioni pubbliche.
Comunque non è consentito diffonder immagini, informazioni, notizie che non siano attinenti a prevenire o in accertamento ed indagini di reati possibili.
Comunque va data la possibilità in maniera esauriente a colui di cui si informa di dare le sue spiegazioni sul fatto, avvenimento, intercettazione, oggetto della informazione, distinguendo chiaramente fra fonte di informazione, giudizi personali o politici sugli avvenimenti in oggetto.
Per. Ind. Giacomo Dalessandro
Martina F. 2010-01-01
Io non temo le intercettazioni, le teme chi delinque.
E' una balla che con le intercettazioni si lede la libertà individuale e la Privacy.
La libertà di ognuno di noi finisce nel momento in cui tenta di sopraffare la libertà o gli interessi della collettività.
Chi delinque limita la libertà altrui, e la Giustizia al il diritto dovere di perseguire i reati.
Nelle indagini non si devono diffondere comportamenti ed affetti sentimentali, a meno che siano inerenti ad i reati in essere, contrastino con la trasparenza del mandato, con la coerenza delle affermazioni pubbliche, politiche.
Tutti coloro che si mettono in politica o nelle istituzione ed enti pubblici devono avere il pudore ed il dovere, visto i grandissimi privilegi che ricevono, di rinunciare alla loro Privacy per garantire la collettivita sul loro operato.
Il Capo dello Stato ed il Presidente della Camera non hanno mai chiesto di avere priviliegi, come invece chiede la maggioranza di governo.
Per. Ind. Giacomo Dalessandro
Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-05-21 ad oggi 2010-11-01 |
AVVENIRE per l'articolo completo vai al sito internet http://www.avvenire.it2010-11-01 1 novembre 2010 POLEMICHE Caso Ruby, Fini a Berlusconi: se accuse vere, passo indietro Un Paese "fermo" e "dilaniato da mille polemiche", non ultima quella sulla "imbarazzante" vicenda Ruby che, se confermata, costringerebbe Silvio Berlusconi a compiere un "passo indietro". Una suggestione, questa, che Gianfranco Fini adombra domenica con i suoi al termine della kermesse dei circoli romani di Futuro e Libertà. Il presidente della Camera non lo dice pubblicamente, ma già nell'intervento dal palcoscenico del cinema Adriano era stato duro nei confronti del premier. "Sono amareggiato, perché l'Italia merita un biglietto da visita migliore". La terza carica dello Stato precisa di "usare il condizionale". "Ma se quell'intervento c'è stato", sostiene a proposito delle presunte pressioni del premier sulla polizia, e "se è vero che è stato detto che quella signorina era parente di un Capo di Stato", allora secondo Fini verrebbe dimostrata tutta la "disinvoltura" e il "malcostume" di Berlusconi "nell'uso privato di incarico pubblico". E a questo punto il "passo indietro" ipotizzato in privato, diventerebbe auspicabile. Se non addirittura inevitabile. Un giudizio severo, quello di Fini, che si mescola ad una visione a dir poco "drammatica" dell'Italia governata da Berlusconi. "Ha ragione la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, il nostro esecutivo stenta a indicare le linee di ripresa", sostiene il leader di Futuro e Libertà, che parla di "emergenza sociale" e invita gli "amici del Pdl" a smetterla con il dire che la colpa di tutti i problemi è dei giornali, della sinistra o della magistratura. Valutazioni economiche e politiche si mescolano nel ragionamento della terza carica dello Stato. "Possibile - si chiede - che l'Italia non riesca a trovare risorse che, al contrario, saltano fuori quando la Lega batte i pugni sul tavolo per difendere duecento ultrà delle quote latte? Il Pdl al Nord è la fotocopia della Lega e tra la fotocopia e l'originale gli elettori sceglieranno sempre l'originale", prosegue puntando l'indice contro un Parlamento che "ormai lavora due giorni alla settimana perchè non ci sono i soldi con cui dare copertura alle leggi". Poi un nuovo affondo contro il premier, quando Fini indica la road map di Futuro e Libertà, che non gli farà mancare il suo sostegno soltanto se "metterà la testa - dice - sui problemi reali". I paletti sono ormai chiari: "Interdizione sul pacchetto fiscale? No - risponde a chi gli chiede quali sono i paletti del nuovo movimento al governo - perché non è stato presentato. Interdizione sul piano per il Mezzogiorno? Nemmeno, perché non c'è. Interdizioni sulle leggi che servono unicamente al premier? Quella - sottolinea - sì". La risposta è categorica, ma non esclude la volontà dello stesso Fini di affrontare la riforma della giustizia. Cambiano, però, i presupposti da cui partire: all'interesse privato, il leader di Fli contrappone infatti il principio della "legge uguale per tutti", mentre sul Lodo Alfano rivendica la paternità della proposta di introdurlo con una legge costituzionale. LE RICHIESTE DI DIMISSIONI DEL PREMIER: PD, IDV E UDC Le parole di Fini trovano l'apprezzamento del Pd, con il segretario Bersani che definisce "giusto" l'intervento di Fini. "Ora però alle parole - prosegue il leader del Pd - devono seguire i fatti giusti": e dunque Fini "sia coerente e stacchi la spina" al governo. Perché "se digeriamo anche questo non so cosa possa pensare il mondo di noi". A chiedere le dimissioni del premier anche il leader dell'Idv Antonio Di Pietro ("Berlusconi ha davvero toccato il fondo"), mentre per il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa la fine del governo è "inevitabile". "Dal 1994 ad oggi mai i governi guidati da Silvio Berlusconi erano caduti cosi in basso - afferma Cesa - Bisogna al più presto uscire da questa melma e per questo ci appelliamo alle persone più responsabili del centrodestra, perché assumano l'iniziativa di dare vita a una fase politica nuova". LA RISPOSTA DI BERLUSCONI: NO A UN GOVERNO TECNICO Silvio Berlusconi mette in guardia sui rischi di un governo tecnico. Il premier sembra appellarsi al capo dello Stato. "Non credo che il presidente della Repubblica potrebbe mai consentire un rovesciamento del risultato elettorale con al governo chi ha perso le elezioni e all'opposizione chi le ha vinte. Sarebbe un rovesciamento della democrazia". Una democrazia le cui regole, è il ragionamento del premier, non prevedono scorciatoie di sorta. Nessun "passo indietro" dunque da parte del premier che, parlando con i suoi, controreplica al leader di Fli sfidandolo ad assumersi le sue responsabilità, sia sul caso di Montecarlo, che davanti agli elettori: se vuole faccia lui un passo avanti e stacchi la spina, ma alla luce del sole. LA DIFESA DEI MINISTRI GELMINI E FRATTINI Stamani tocca ai ministri dell'Istruzione Mariastella Gelmini, e degli Esteri, Franco Frattini, difendere Silvio Berlusconi, escludendo ipotesi di dimissioni e di conseguente governo tecnico. "Ogni sei mesi ne tirano fuori una del genere, che si dimostra ogni volta basata solo su falsità. si vede che non imparano dagli errori, perché il presidente è sempre uscito rafforzato da questi bagni di fango, come dimostrano le elezioni. se vanno avanti così avremo Berlusconi premier per i prossimi dieci anni", ha detto stamani Gelmini. "Fini ha sbagliato due volte, perché è presidente della Camera e dovrebbe essere imparziale e perché è sembrato un attacco personale", aggiunge Gelmini. Frattini è allineato e definisce "difficile che un siffatto scenario [altro governo magari con un nome indicato da Berlusconi] si realizzi". E sulle parole di Fini dice: "Si convinca che l'instabilità permanente non giova a nessuno". Frattini nega qualunque preoccupazione da parte delle cancellerie straniere. "No, chiedono informazioni sulle possibili elezioni anticipate, sugli strappi di mezza estate della maggioranza. Chiedono conto del continuo stillicidio che riguarda la stabilità di governo, che è un valore per un Paese". CASO RUBY: GLI SVILUPPI DELL'INCHIESTA La questura di Milano ha gestito la vicenda Ruby seguendo "tutte le regole, le norme e le prassi" e, dunque, "non c'è nulla da eccepire" al comportamento degliuomini e delle donne che erano in servizio la notte del 27maggio, quando il premier Silvio Berlusconi telefonò in via Fatebenefratelli interessandosi alla vicenda della giovane marocchina, fermata poco prima con l'accusa di furto. Il ministro dell'Interno Roberto Maroni difende l'operato della polizia, anche se non spiega fino in fondo tutti i punti che ancora restano da chiarire, primo tra tutti il perchè Ruby sia stata affidata al consigliere regionale Nicole Minetti nonostante - come hanno confermato anche oggi fonti giudiziarie - dal tribunale dei minorenni non fosse arrivata l'autorizzazione. Il procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini ha sentito come testimone l'ex questore Vincenzo Indolfi per far luce su quanto accaduto negli uffici di via Fatebenefratelli nella notte tra il 27 e il 28 maggio scorsi, quando Ruby venne trattenuta e poi affidata alla consigliera regionale Nicole Minetti. Quella notte arrivò una telefonata da Palazzo Chigi in cui si sosteneva che la ragazza era nipote del presidente egiziano Mubarak e si segnalava l'arrivo della consigliera regionale Minetti che si era offerta di prendere in affido la giovane.
30 ottobre 2010 IL "CASO RUBY" Risposte attese e stringenti doveri Non ci piace guardare dal buco della serratura. E del personale stato di salute dei nostri politici – come dei dati sensibili di chiunque – ci interessiamo con sommo rispetto e soltanto lo stretto necessario. Ma lo sguardo che riserviamo ai fatti della nostra politica è diretto e attento. E lo stato di salute delle istituzioni repubblicane ci preme moltissimo. Anche in queste ore, nelle quali l’impetuoso sviluppo mediatico del cosiddetto "caso Ruby" sta proponendo questioni vecchie e nuove. A seguito di un’inchiesta giudiziaria milanese, da parte della stampa (non, a quanto risulta, da parte dei magistrati) si torna, infatti, a ipotizzare il coinvolgimento del presidente del Consiglio in situazioni ambigue e spericolate. E a questo proposito ha qualcosa da dire anche chi, come noi, secondo il costante costume giornalistico di Avvenire, non precipita mai valutazioni e giudizi. C’è un punto nodale. Ed è se Silvio Berlusconi, in qualità di primo responsabile del potere esecutivo della Repubblica, abbia operato o no una inconcepibile pressione indebita sulla Questura di Milano per favorire una ragazza minorenne in stato di fermo, inducendo le forze di polizia a violare alcune regole. Il premier nega che questo sia avvenuto, e nelle ultime quarantott’ore i tutori dell’ordine hanno rivendicato ripetutamente di aver fatto tutto secondo "prassi" e "procedure". Mercoledì prossimo il ministro dell’Interno riferirà in Parlamento e non ci attendiamo nulla di meno di una risposta esauriente e definitiva. Ma c’è anche un punto di costume, che è anche di costume pubblico. Al di là delle sovrabbondanti cronache degli ultimi giorni, lo ha posto – a suo modo – lo stesso presidente del Consiglio. "Amo la vita, amo le donne – ha detto ieri a margine di un importantissimo vertice internazionale –. Lavoro moltissimo e, ogni tanto, sento il bisogno di una serata distensiva, di una terapia mentale per pulire il cervello... Fa parte della mia personalità e non c’è nessuno che può farmi cambiare uno stile di vita di cui sono convinto". Noi siamo convinti che l’Italia e gli italiani si aspettino da chi siede al vertice delle istituzioni dello Stato la dimostrazione di sentirsi gravato, oltre che di un indubbio e legittimo potere, di stringenti doveri. Sobrietà personale e decoroso rispetto di ciò che si rappresenta sono quelli minimi. E riguardano il linguaggio tanto quanto lo "stile di vita". Marco Tarquinio
2010-10-30 30 ottobre 2010 CAPRI Marcegaglia: Paese paralizzato La replica di Sacconi: tutt'altro "Il Paese è in preda alla paralisi e l'iniziativa del governo non c'è, in un momento difficilissimo dell'economia". Lo dice la presidente di Confindustria, che chiede alla politica "di riprendere il senso delle istituzioni, uscire dalla paralisi, altrimenti l'Italia non ce la farà". Emma Marcegaglia, chiede alla politica di "ritrovare il senso della dignità delle istituzioni", e di riprendere "l'agenda delle riforme vere per ridare crescita e occupazione al Paese. L'agenda c'è: è quella - ricorda la presidente di Confindustria - che tutte le parti sociali hanno messo a punto e i cui temi principali sono fisco, ammortizzatori sociali e innovazione". Il Paese, ripete Marcegaglia, deve rimettersi in moto, perché "al di là di qualche azione singola di qualche ministro, l'azione del governo non c'è, il Parlamento non legifera più e non riusciamo a eleggere neppure il presidente della Consob. Il Paese, insomma, è in una sorta di paralisi". Secondo Marcegaglia, tuttavia, "Confindustria non dice che la responsabilità è del presidente del Consiglio. Bisogna - chiarisce - che la politica nel suo complesso reagisca" "ELEZIONI IN QUESTO MOMENTO? E' MOLTO COMPLICATO" "Continuo a pensare che andare a votare in questa situazione è molto complicato. Resto dell'idea che non si debba andare alle elezioni, perché ad aprile c'è il piano di crescita e competitività da approvare in Europa. Abbiamo bisogno di serietà e che si facciano le cose per il Paese". Lo ha detto Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, a Capri per il convegno dei giovani industriali. "NON CREDO CHE FIAT VOGLIA LASCIARE L'ITALIA" Rispetto alle ultime denunce dell'amministratore delegato della Fiat, Confindustria è "chiaramente a supporto della Fiat. Quel che sta facendo Marchionne è riportare l'attenzione sui problemi di competitività delle imprese", ha spiegato poi, sottolineando come "il Paese deve andare avanti e trovare soluzioni. Io - ha concluso - sono d'accordo con Marchionne ma è anche vero che ci sono tante imprese che continuano, a ragione, ad investire in Italia. Non pensiamo che la Fiat voglia lasciare l'Italia", ha spiegato Marcegaglia, aggiungendo che quelle poste dall'Ad di Fiat sono questioni che interessano la totalità delle imprese. "RIFORMA FISCALE DA FARE SUBITO" "La riforma fiscale bisogna assolutamente farla". Lo ripete la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, secondo la quale "bisogna tagliare la spesa pubblica, fare la lotta all'evasione e trovare risorse per ridurre le tasse al lavoro e alle imprese". LA REPLICA DEL MINISTRO SACCONI Il ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, replica alle parole del leader di Confindustria Emma Marcegaglia: "Tutto si può forse dire tranne che il governo sia paralizzato. La finanza pubblica è sotto controllo e i collocamenti in corso ne risentono positivamente", sottolinea Sacconi in una nota, ricordando che "la riforma delle pensioni è alle nostre spalle e il decisivo controllo della spesa sanitaria attraverso i costi standard del federalismo fiscale è a portata di mano". "La coesione sociale tiene nonostante la crisi grazie a sindacati responsabili e a ammortizzatori sociali senza precedenti – rimarca il ministro –. È ormai prossima la presentazione di un provvedimento per la crescita e l'occupazione dell'entità di circa sette miliardi totalmente auto-compensato". Nell'elenco dei dossier sul tavolo, Sacconi ricorda: "La riforma dell'università è in dirittura d'arrivo. Il disegno di legge delega sullo Statuto dei lavori andrà a uno dei prossimi Consigli dei ministri. La lotta alla criminalità organizzata continua a segnare risultati come mai in passato".
30 ottobre 2010 IL CASO RUBY Berlusconi: "Nessuna pressione" Le opposizioni: ora dimissioni Giornata ancora densa di polemiche politiche per il presidente del Consiglio, alle prese con il "caso Ruby", la minorenne marocchina che ha parlato di feste ad Arcore e che Silvio Berlusconi sostiene di aver voluto aiutare in un momento difficile. E sabato ha parlato anche Ruby, che si trova a Genova: "Con il premier Berlusconi c'è stata conoscenza e non amicizia. Perché io do molto valore all'amicizia e non posso definire amico chi ho conosciuto solo per una sera". Sul fronte giudiziario, si è appreso che il pm dei minori di Milano Annamaria Fiorillo, che era di turno il 27 maggio scorso quando Ruby venne fermata e portata in Questura, diede disposizione affinché la ragazza venisse collocata in una comunità protetta in attesa dell'intervento del Tribunale per i minorenni. Quella sera il pm Fiorillo, contattato più volte dalla Questura, dispose innanzitutto di compiere accertamenti su chi fosse la ragazza, sprovvista di qualsiasi documento di identità. Documento che, nonostante le ricerche nell'appartamento che la giovane aveva detto di aver condiviso con l'amica che l'ha poi denunciata, non venne trovato. Vennero però prese le impronte di Ruby e si riuscì a risalire ai suoi dati anagrafici e a scoprire anche che il responsabile di una comunità in provincia di Messina dove doveva trovarsi, aveva denunciato la sua scomparsa. Vista la situazione il pm quella notte allora decise che la ragazza dovesse essere protetta e quindi collocata in una comunità. Invece andò in un altro modo: il magistrato più tardi venne avvisato che era arrivata una telefonata con cui si avvertiva che la ragazza era la nipote di Mubarak e che sarebbe arrivato a prenderla un "consigliere ministeriale presso la presidenza del Consiglio dei ministri", è scritto negli atti. Sul fronte politico, l'opposizione ormai chiede a viso aperto le dimissioni del premier: Rosy Bindi, presidente del Partito democratico, dice che "Silvio Berlusconi se ne deve andare via, subito" e che se "non arriveranno delle auspicabili dimissioni", la soluzione andrà "trovata in Parlamento" con uno strumento che il Pd e le altre opposizioni dovranno individuare". E Bersani aggiunge: "Berlusconi non può stare un minuto di più in un ruolo pubblico che ha indecorosamente tradito". Leoluca Orlando, portavoce dell'Italia dei Valori, "sente il dovere di chiedere scusa al presidente egiziano per l'indegno comportamento di un indegno Berlusconi", mentre il leader dell'Idv, Antonio di Pietro, ribadisce che Berlusconi si deve dimettere: "Se non vuole farlo per gli italiani, lo faccia per se stesso, perché ha bisogno di curarsi". Il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa commenta: "Il governo ormai naviga al buio e si occupa di tutto tranne dei problemi degli italiani. In queste condizioni meglio non perdere tempo e aprire una fase politica nuova: per questo chiediamo le dimissioni del governo, nell'interesse del Paese ma anche dello stesso centrodestra, che ha vinto le elezioni e non può che subire un grave danno da una situazione di paralisi di questo tipo. Si abbia il coraggio di staccare la spina, che è meglio per tutti". Difende il premier Daniele Capezzone, portavoce del Pdl, che sostiene che "l'attacco della sinistra contro Silvio Berlusconi sul piano personale, privato e del gossip produce due effetti negativi per il Paese e per la sinistra stessa: da una parte, fomenta l'odio di alcune minoranze; dall'altra, da un punto di vista elettorale e di credibilità politica, si risolve in un boomerang, perché gli italiani vedono la differenza tra un Governo che cerca di concentrarsi sulle questioni concrete e un'opposizione dedita a guardare dal buco della serratura le stanze di Arcore". Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera, sostiene che "lo scandalo autentico della vicenda di Milano, su cui è stato steso un pudico silenzio, è costituito dalla clamorosa violazione del segreto istruttorio". "È troppo chiedere di essere coerenti a tutti quelli che fino a ieri si indignavano contro i liquami della macchina del fango? È troppo chiedere a tutti i magistrati di seguire gli stessi metodi e lo stesso stile adottato dai colleghi di Roma? È troppo chiedere all'opposizione di rinunciare ad alimentare campagne scandalistiche e di concentrarsi sul confronto politico nell'interesse del Paese?", è la richiesta del ministro dei Beni Culturali e coordinatore nazionale del Pdl, Sandro Bondi. Un altro ministro, Stefania Prestigiacomo, rivolge con una nota solidarietà a Berlusconi "per l'ennesimo attacco di fango mediatico che sta subendo". BERLUSCONI: "IO AGGREDITO, DA ME NESSUNA PRESSIONE" Silvio Berlusconi non accusa il colpo. Parla anzi di "balle colossali", di soliti "attacchi della sinistra". E in suo aiuto, sulla vicenda di Ruby rubacuori che lo chiama in causa arrivano, in qualche modo, le versioni dell’allora questore di Milano Vincenzo Indolfi, (che esclude di esser stato costretto a violare la legge dalla telefonata di palazzo Chigi) e della stessa ragazza, che parla di mera assistenza ricevuta dal premier. Resta aperta però l’inchiesta per favoreggiamento della prostituzione, che coinvolge il manager dei vip Lele Mora, il direttore del Tg4 Emilio Fede e forse anche il consigliere regionale del Pdl Nicole Minetti. Proprio la Minetti si era offerta per accogliere, una volta rilasciata dalla questura, la ragazza marocchina. Che fra pochi giorni sarà maggiorenne e potrà richiedere probabilmente un permesso di soggiorno a fini di giustizia, cioè per rispondere in giudizio. Ma la questione insegue il premier negli impegni istituzionali e tiene banco anche a Bruxelles, alla conferenza stampa doopo il Consiglio europeo. "Leggo sorridendo tutte le balle dei giornali - dice - ma non devo chiarire a nessuno. In casa mia entrano solo persone perbene". E la telefonata alla questura per intercedere per la ragazza accusata di furto? "Non ho influenzato nessuno" assicura il premier. Conferma però di aver parlato con "una persona che si è rivolta a me per dare un aiuto a una persona, perché non fosse consegnata alle carceri o a una comunità", e sembra riferirsi proprio alla Minetti, che è stata la sua igienista dentale. "Mi aveva rappresentato un quadro di vita a dir poco tragico, l’ho aiutata. Tutto qui", spiega Berlusconi. E difende a tutto spiano la sua buona fede: "Ogni giorno compio uno sforzo disumano per respingere gli attacchi. So chi c’è dietro. C’è una volontà precisa di aggressione. Ma gli attacchi mi rafforzano". Si sfoga: "Faccio una vita terribile. Lavoro fino alle due e mezzo di notte, mi arrivano i giornali, li leggo e non resto di buonumore. Poi, la mattina alle 7 e mezzo sono in piedi". Quindi, si giustifica così: "Se ogni tanto sento il bisogno di una serata distensiva come terapia mentale, nessuno alla mia età mi farà cambiare stile di vita del quale vado orgoglioso. Sono un ospite unico, direi irripetibile, gioioso e pieno di vita: amo la vita e – ribadisce – le donne". Non trascura neppure il "bunga bunga", ultimo tormentone del gossip politico. "È una vecchia storiella di tanti anni fa che mi ha fatto ridere molto. Anche stavolta mi ha fatto ridere", assicura. Berlusconi aveva già risposto nella notte, rientrando in hotel, a Bruxelles, ai giornalisti che lo braccavano. "Ho solo segnalato che c’era una persona che si proponeva per l’affidamento. Ma la sinistra ha un motto ben preciso "un attacco al giorno leva Berlusconi di torno". Temo che saranno delusi". Ma il Pd è orientato a chiedere le sue dimissioni. Enrico Letta parla di "comportamento disgustoso", e lascia intendere che l’argomento usato sarà, soprattutto la pressione sulla questura: "In nessun Paese occidentale sarebbe concesso a un presidente del Consiglio", dice il vicesegretario del Pd. Antonio Di Pietro fa sapere che l’Idv ha già pronta la mozione di sfiducia, anche se attende ancora la versione dei fatti che il ministro Roberto Maroni ha assicurato che fornirà, mercoledì, alla Camera. L’Udc sceglie invece il profilo basso. "La vita privata – insiste, però, per il Pdl Gaetano Quagliariello – dovrebbe essere considerata tale". Angelo Picariello FAMIGLIA CRISTIANA: PREMIER MALATO, FUORI CONTROLLO. È POLEMICA "Veronica Lario "lo aveva già segnalato": Berlusconi è in "uno stato di malattia, qualcosa di incontrollabile". Ed è "incredibile che un uomo di simile livello non abbia il necessario autocontrollo", come pure "che il suo entourage stia a guardare". È quanto afferma il settimanale "Famiglia Cristiana" in un commento pubblicato ieri sul suo sito internet, secondo cui le testimonianze esistenti a riguardo della vicenda della giovane Ruby, "alcune opinabili ma altre, ahimè, documentate", creano "un duplice ordine di problemi". Il primo di tipo "politico", riguardante la "credibilità, meglio ancora la dignità, dell’uomo che governa il Paese"; l’altro di livello "personale", ovvero "la condizione che già la moglie aveva pubblicamente segnalato". Si tratta, si legge nell’articolo, di "uno stato di malattia, qualcosa di incontrollabile anche perché consentito, anzi incoraggiato, dal potere e da enormi disponibilità di denaro". Immediata e dura la reazione del Popolo della libertà. Il portavoce Daniele Capezzone ha parlato di "insulto", di "violenza verbale" e di "criminalizzazione morale". Mentre secondo uno dei tre coordinatori nazionali del partito, Sandro Bondi, si sono superati "i limiti della correttezza professionale e della rispettosa prudenza", che "impone di non trarre conclusioni abnormi e volgarmente offensive" in base "a notizie già smentite e ritenute infondate".
30 ottobre 2010 IL CASO RUBY Maroni: in questura lavoro regolare È stato fatto tutto assolutamente in modo regolare, come avviene normalmente in questi casi". Così il ministro dell’interno Roberto Maroni è intervenuto sul comportamento della questura di Milano a proposito della minorenne marocchina Ruby. "Ho ricevuto la relazione – ha spiegato Maroni – dalla quale risulta che nessuna censura di nessun tipo può essere mossa al comportamento della questura". È stato Vincenzo Indolfi, questore di Milano ancora per due giorni, a confermare che la notte del 27 maggio arrivò negli uffici di Polizia una telefonata "dalla presidenza del Consiglio. Se non sbaglio – ha precisato – dicevano che era una parente di Mubarak (il presidente egiziano, ndr)". Chi, di preciso, avrebbe fatto la chiamata da Roma? Su questo Indolfi ha preferito non entrare nel merito, così come Maroni:"Non ho niente da aggiungere". Nella relazione inviata al ministro i funzionari di polizia ribadiscono che la notte del 27 maggio sono "state eseguite tutte le ordinarie procedure". Ruby fu portata in questura alle ore 18 in stato di fermo per furto aggravato e poi affidata a Nicole Minetti, consigliere regionale del Pdl in Lombardia, "alle ore 02 del giorno successivo, al termine e nel rispetto dei tempi e procedure previste che non risultano, pertanto, aver subito alcuna influenza". L’affidamento all’ex igienista dentale del premier venne deciso in seguito alla "mancanza di posti presso le comunità della zona, dopo l’autorizzazione del magistrato competente e con il consenso della giovane marocchina". Il documento rivela inoltre che Ruby fu "ripescata" da una pattuglia nei giorni successivi. La minorenne "non essendo stata rintracciata il consigliere Minetti, precedente affidatario, venne accompagnata – spiega ancora la questura – presso una casa famiglia sempre su disposizione dell’autorità giudiziaria". La diciassettenne venne infatti scoperta in giro per Milano in "atteggiamenti non adeguati". Il 30 giugno il Tribunale dei minori ha disposto per la ragazza un programma educativo allo scopo di "contenerla". Le indagini dei pm sul presunto giro di escort, per il quale sono indagati "il manager dei vip" Lele Mora, il direttore del Tg4 Emilio Fede e Nicole Minetti, vertono ora anche sulla telefonata "dalla presidenza del Consiglio". La procura acquisirà i tabulati telefonici della questura per stabilire con esattezza provenienza e orari delle comunicazioni. Gli inquirenti hanno frattanto ottenuto le prime conferme sulla presenza di Ruby ed altre ragazze ad alcune cene nella villa di Berlusconi ad Arcore, ma allo stesso tempo emergono forti contraddizioni nelle prime dichiarazioni della giovanissima marocchina. Nello Scavo
30 ottobre 2010 LA DIFESA La difesa: Silvio mi ha solo aiutato Ringrazia Silvio Berlusconi, si difende dalle accuse di essere una ladra (anzi, il suo sogno dall’età di 12 anni sarebbe quello di vestire la divisa dei Carabinieri), accusa il padre di averla cacciata di casa, perché divenuta cattolica. Quelle uscite sono solo "notizie gonfiate". Parla a ruota libera Ruby (il cui vero nome è Karima) la ragazza 17enne coinvolta nell’inchiesta su un presunto affare di prostituzione minorile che vedrebbe indagati Emilio Fede e l’impresario Lele Mora. Ma che soprattutto getterebbe un’ombra sulle feste private del presidente del Consiglio. Un’intervista telefonica alla giovane di origini nordafricane, che ora si troverebbe in un residence di Genova, è andata in onda ieri sera nel corso della puntata de L’ultima parola, programma di Gianluigi Paragone. A domanda diretta se abbia avuto rapporti sessuali con il Cavaliere, la ragazza nega. E aggiunge di poter "solo ammirarlo, grazie a lui non sono finita sulla strada né a fare lavori indecenti. Mi ha aiutata senza un tornaconto". Poi l’accusa di essere stata "manipolata", rivolta soprattutto ai media: "Non ho detto nulla di quello che è stato scritto sui giornali". E se potesse rivolgersi a Berlusconi gli direbbe un "grazie di cuore, sei un gentiluomo, peccato che la gente non sappia quello che sei veramente". Poi precisa: "Ho parlato con i giudici della mia vita, che non c’entra, non del presidente. Berlusconi l’ho visto solo una volta". Si sente confusa e intimidita la giovane marocchina, che rigetta le accuse di essere una ladra. Si apprende, però, che sarebbe stata indagata per insolvenza fraudolenta dalla procura della Repubblica presso il tribunale dei minori di Genova, perché in due occasioni si sarebbe fatta accompagnare in taxi da Genova a Milano senza pagare le corse. Lei dice di aver rubato una borsa, per necessità, una sola volta a 12 anni, quando era scappata di casa per colpa del padre: la voleva far sposare a un uomo di 49 anni e non accettava la sua conversione dall’islam al cattolicesimo. Il genitore, Mohamed 54 anni, ambulante che vive a Letojanni nel Messinese, ribatte: "Mia figlia è ribelle. L’ultima volta l’ho vista per mezza giornata nel marzo scorso, quando mi chiamò la polizia stradale". Nel paese siciliano molti si ricordano di lei. Anche il parroco, che non sa della sua eventuale conversione, ma dice di non averla mai vista in chiesa. (G.San.)
2010-10-29 29 ottobre 2010 POLITICA E POLEMICHE Ruby, il premier: niente da chiarire L'opposizione all'attacco "Su quanto avviene a casa mia non devo chiarire niente perché da me entrano solo persone chesi comportano bene". Lo ha detto Silvio Berlusconi rispondendo alle domande dei giornalisti sul caso Ruby al termine del Consiglio europeo. La telefonata in Questura? Tutte storie, non ho influenzato nessuno. Il premier conferma di aver inviato Nicole Minetti, l'ex igienista dentale ora consigliere regionale in Lombardia, presso la Questura di Milano per aiutare Ruby, la ragazza marocchina coinvolta nell'inchiesta di Milano. "È stata mandata da me per dare aiuto a una persona che poteva essere consegnata non ad una comuntà o alle carceri che non è una bella cosa, ma data in affidamento. Avendo un quadro di vita tragico, l'ho aiutata", ha detto Berlusconi. Ma, aggiunge in riferimento a quanto scritto oggi da alcuni quotidiani, "non ho regalato auto o altro". E poi: "Amo la vita e le donne, sono orgoglioso del mio stile di vita, nessuno me lo farà cambiare. Gli attacchi mi rafforzano". SPAZZATURA VERA E SPAZZATURA VIRTUALE Il cortocircuito fra spazzatura vera e spazzatura virtuale si materializza nel pieno della delicata trasferta napoletana del presidente del Consiglio impegnato nell’ennesima emergenza rifiuti. "Non mi occupo di spazzatura mediatica", dice Silvio Berlusconi nel corso della conferenza stampa che solo di emergenza rifiuti si sarebbe dovuta occupare, nelle intenzioni di chi l’aveva indetta. Ma i giornalisti incalzano il premier, con al fianco Guido Bertolaso, anche e soprattutto sulla nuova tempesta a sfondo sessuale che lo sfiora. E anche se "Napoli sarà pulita in tre giorni", come promette, rischia di tenere banco per ben più tempo la singolare vicenda di Ruby Rubacuori, nome d’arte a beneficio della Rete di una minorenne marocchina, stabilitasi a Milano e accusata di furto. Una vicenda che vede coinvolti, in base alle indiscrezioni di alcuni quotidiani che ieri però hanno trovato riscontro, il direttore del Tg4 Emilio Fede, che sarebbe indagato, insieme al impresario dei vip Lele Mora. Per Berlusconi, invece, l’accusa sarebbe di aver interceduto per lei, con una telefonata di Palazzo Chigi alla questura per far rilasciare la ragazzina. "Io sono una persona di cuore e quindi mi occupo dei problemi delle persone", dice Berlusconi con una frase che viene letta come una sostanziale ammissione. "Ma della spazzatura mediatica non mi occupo – aggiunge subito, risentito –, la lascio a voi. Facciamo come da Santoro: su domande, insulti e altre sconcezze, da parte mia contraddittorio zero". Ma l’opposizione va all’attacco. Il leader del Pd Pier Luigi Bersani parla di "singolari abitudini del presidente del Consiglio. Se è uno statista – lo sfida –, dimostri senso di responsabilità, stacchi la spina al governo e si dimetta". "Io sono trasparente, anche se mi dipingono come un criminale", lo sfogo, invece, di Berlusconi in privato per come trapela in serata. "Un casino montato sul nulla", dirà poi in modo più colorito in una frase rubata da un fuori onda delle telecamere e trasmessa dal Tg di Enrico Mentana. Dopo la chiamata, la minorenne sarebbe stata rilasciata e proprio su questo punto si incentra tanto l’indagine della Procura milanese, quanto la polemica politica. Non solo, dalle indiscrezioni (per ora non confermate) emergerebbe anche la partecipazione della stessa minorenne di origini marocchine ad altre feste nelle abitazioni del premier. Attacca il vice capogruppo dei senatori del Pd, Luigi Zanda: "A questa ragazza sarebbe poi stato suggerito di spacciarsi per la nipote di Hosni Mubarak. La Questura – ricorda ancora – sarebbe stata indotta a favorirne il rilascio senza nemmeno identificarla a seguito di pressanti sollecitazioni della Presidenza del Consiglio. La stessa minorenne si sarebbe recata alla villa di Arcore usufruendo della scorta dei carabinieri". E promette battaglia, Zanda: "Aspetti incredibili, chiederemo al governo di riferire in Parlamento". Replica Gianfranco Rotondi: "Se i governi si dovessero dimettere a ogni telefonata di raccomandazione, nel mondo trionferebbe l’anarchia". E per il portavoce del Pdl Daniele Capezzone "riprende il lancio di fango". Mentre Fabrizio Cicchitto parla di "barbarie. Le inchieste giornalistiche – dice il capogruppo alla Camera del Pdl – sono tali solo se vengono da una certa parte". Scatenato, invece, Antonio Di Pietro, che definisce il premier "ricattabile, degno di stare all’osteria più che a palazzo Chigi". Viene tirato in ballo anche Roberto Maroni: "Era a conoscenza della telefonata di Palazzo Chigi al questore?", chiede la capogruppo del Pd in commissione Giustizia alla Camera, Donatella Ferranti. E c’è da scommettere che anche la recente destinazione ad altro incarico del questore di Milano, Vincenzo Indolfi, con contemporanea promozione a prefetto, finirà nel turbinìo delle polemiche. Angelo PIcariello "NIPOTE DI MUBARAK". POI IMBARAZZO Compirà 18 anni il 2 novembre la ragazza che ha messo in subbuglio gli uffici della Questura di Milano e persino Palazzo Chigi. La sera del 27 maggio Ruby, questo il nome con cui la giovanissima ama farsi chiamare, fu fermata da una volante in seguito ad una denuncia per furto. In piena notte negli uffici della polizia sarebbe però arrivata una telefonata dalla Presidenza del Consiglio – la notizia non ha trovato smentita – nella quale gli agenti venivano messi in guardia: "Ruby è la nipote del presidente egiziano Mubarak". Poche ore dopo la giovanissima guadagnerà la libertà sebbene assegnata, senza favoristismi e "come vuole la prassi" sottolineano in questura, a un centro di accoglienza. A occuparsi di lei sarebbe stata tra gli altri Nicole Minetti, l’ex igienista dentale del premier, recentemente eletta consigliere regionale del Pdl in Lombardia. Ai giornalisti che gli chiedono notizie, il premier Silvio Berlusconi risponde definendosi "persona di cuore, che aiuta sempre chi ha bisogno di aiuto". Parole che gli investigatori interpretano come una sostanziale conferma dell’interessamento diretto al caso di Ruby. Quando, poche ore dopo il rilascio i poliziotti scoprirono che era falsa l’informazione circa una parentela tra la minorenne ed il presidente egiziano, l’imbarazzo fu inevitabile. Ora, proprio sulla telefonata partita da Roma, i pm di Milano vogliono vederci chiaro. Della faccenda si era allora interessato il questore Vincenzo Indolfi, che nei prossimi giorni passerà le consegne al successore. Il 15 ottobre Indolfi è stato promosso prefetto. L’approfondimento investigativo sulla telefonata arrivata da Palazzo Chigi finirà nel fascicolo che già vede indagati il direttore del Tg4, Emilio Fede, e il "manager dei vip" Lele Mora. Per entrambi l’accusa è di favoreggiamento della prostituzione. L’inchiesta riguarda un giro di accompagnatrici che avrebbero offerto prestazioni sessuali in cambio di denaro e regali. Berlusconi non risulta indagato e la sua posizione, considerata la contraddittorietà delle dichiarazioni fornite da Ruby, si candida a divenire quella di "parte lesa". "Sono amareggiata, la mia verità è stata manipolata", ha detto la 17enne ai cronisti. "Non è giusto rovinarmi in questo modo". La ragazza avrebbe fatto mettere a verbale di non avere mai avuto incontri intimi con il Cavaliere, al quale peraltro avrebbe nascosto la sua vera età, ma di avere assistito ad alcune feste. Inoltre in procura avrebbero raccolto conferme di "aiuti" a Ruby: gioielli, versamenti, doni per un valore di decine di migliaia di euro. A confermare indirettamente la presenza della minorenne nella villa di Arcore è stato Emilio Fede: "Questa Ruby l’ho forse vista un paio di volte, non so chi sia". Secondo alcune ricostruzioni Fede, che si è lamentato per aver appreso dai giornali di essere indagato, avrebbe potuto conoscere Ruby nel 2009 durante un concorso di bellezza in Sicilia. Quanto alle feste nella residenza brianzola del premier, il giornalista Mediaset ha aggiunto che "ci sono state delle cene dove ero invitato, ma nessuna festa con ragazze nude". Stessa nota per il cosiddetto "bunga bunga", il presunto cerimoniale erotico che sarebbe stato descritto da Ruby nel corso di una deposizione. Fede spiega che nella villa di Arcore "chiamavano così il salotto, un salotto con un bar, dove ci si sedeva, si beveva qualcosa, qualche volta c’era la musica". No comment, invece, da Nicole Minetti. "Sì, la conosco – ha detto a proposito di Ruby –,ma non ho davvero nulla da dire a riguardo. Mai ospitata a casa mia, sono rimasta stupita dalla lettura dei giornali. Non mi risulta di essere indagata". Laconico Lele Mora, uscito indenne dalle inchieste su Vallettopoli: "Stavolta – ha esclamato – non rispondo". Nello Scavo
29 ottobre 2010 INTERVENTO Berlusconi: la giustizia, un macigno "Presto un intervento in Parlamento" Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha detto oggi che la giustizia è un un problema grosso come un macigno che pesa sul Paese e che ne parlerà presto in Parlamento. "Il problema giustizia in Italia è un macigno sulla nostra vita democratica. Sto preparando un intervento in Parlamento", ha detto il premier lasciando il Consiglio europeo. Berlusconi ha aggiunto che il suo intervento non sarà a breve, perché prima cercherà di raggiungere un compromesso "con le altre forze politiche", fra cui gli alleati, sulla riforma dell'ordinamento giudiziario. "Se questo non dovesse succedere, allora produrrò un intervento in Parlamento e dirò agli italiani qual è situazione della giustizia in Italia". Negli ultimi due giorni i suoi progetti sulla giustizia sono stati frenati dagli alleati finiani. Prima sul lodo Alfano, il ddl costituzionale sulla sospensione dei processi per il presidente del Consiglio e il capo dello Stato, Futuro e libertà ha presentato un emendamento che limita l'immunità a un solo mandato. Sulla riforma della giustizia, il presidente della Camera Gianfranco Fini ha posto oggi una condizione alla progettata separazione delle carriere, che il pubblico ministero non sia assoggetto all'esecutivo. 29 ottobre 2010 GIUSTIZIA Fini: nel Csm troppo peso ai "non togati" è un rischio L'attuale composizione del Csm è "adeguatamente bilanciata". Lo sostiene il presidente della Camera, Gianfranco Fini, intervenuto questa mattina al teatro Piccinni di Bari al convegno 'Organizzare la giustizià. "Un eccessivo peso ai non togati - sottolinea Fini - esporrebbe l'organo ad una forte dipendenza dal potere politico, con gravi rischi per l'imparzialità dei giudici. Ove codesta riforma fosse attuata si determinerebbe un'alterazione d'equilibrio fra i poteri dello Stato". "La netta separazione delle carriere - sostiene il presidente della Camera, Gianfranco Fini - porta con sé quasi inevitabilmente una riforma del Csm che prevede due Csm o, più precisamente, due sezioni specializzate è, probabilmente, la via da percorrere. Ma sul punto - ribadisce - non si possono accogliere quelle proposte che mirano a rendere preponderanti, nella composizione del Csm, i componenti non togati, di nomina politica". Il presidente Fini cita la teoria della separazione dei poteri risalente a Montesquieu, e osserva che "se le ragioni delle modifiche proposte sono giustificate con il clima di tensione che vede contrapposti, da un lato, la magistratura o parti di essa e, dall'altro, frange pur rilevanti del potere politico, simili soluzioni appaiono ancora più rischiose". In un clima "già oggi così poco disteso - continua ancora l'inquilino di Montecitorio - le interferenze tra potere politico e funzione giurisdizionale sarebbero destinate a intensificarsi e ciò porterebbe inevitabilmente al determinarsi di una spirale di intrecci e cortocircuiti fra politica e giustizia sempre più forti e pericolosi, in particolare per la credibilità per le nostre istituzioni".
29 ottobre 2010 MILANO Clinica Santa Rita, 15 anni all'ex primario Brega Massone Quindici anni e mezzo di carcere. È questa la condanna inflitta in primo grado a Pier Paolo Brega Massone, l'ex primario della chirurgia toracica della Clinica Santa Rita di Milano, principale imputato al processo per gli interventi ritenuti inutili e dannosi effettuati su un'ottantina di pazienti con lo scopo di "gonfiare" i rimborsi da parte del Servizio sanitario nazionale. La sentenza dei giudici della quarta sezione penale del Tribunale è arrivata poco prima della mezzanotte di ieri dopo una camera di consiglio durata quattro giorni. Il collegio, composto da Luisa Balzarotti, Carmen D'Elia e Orsola De Cristofaro, ha inoltre condannato i due aiuti di Brega (anche interdetto in perpetuo dai pubblici uffici), Pietro Fabio Presicci e Marco Pansera, rispettivamente a dieci anni e sei anni e nove mesi di reclusione. A cinque degli altri sei medici finiti alla sbarra, sono state inflitte pene che vanno da un anno e mezzo di carcere per Augusto Vercesi ai 2 anni, 11 mesi e 27 giorni per Giorgio Raponi e Eleonora Bassanino. Unico assolto l'ex anestesista Giuseppe Sala. Le accuse conteste sono lesioni gravi e gravissime per oltre 80 casi e truffa ai danni del Ssn. I giudici nel lungo provvedimento - per leggerlo hanno impiegato almeno tre quarti d'ora - hanno anche stabilito che Brega (ritenuto non responsabile di tre casi) e i suoi due aiuti, dovranno versare come risarcimento - in molti casi in solido con il responsabile civile clinica Santa Rita - cifre che vanno da 50mila agli 80mila euro ad almeno una quarantina di malati che si sono costituiti parte civile. Sono invece di 40mila, 30mila e 20mila euro, le cifre del risarcimento che i tre dovranno pagare alla Regione e alla Asl di Milano. Altri risarcimenti sono stati disposti per l'Ordine dei Medici e le varie associazioni di Consumatori e Medicina Democratica., da parte di tutti e otto le persone condannate. "Sono stato il capro espiatorio", ha commentato l'ex primario, presente in aula, parlando con il suo difensore, l'avvocato Luigi Fornari. Il legale ha già annunciato che impugnerà la sentenza sia in appello e se ce ne sarà bisogno anche in Cassazione. Per l'avvocato Marco Marzari, legale di alcuni pazienti, "è stata una sentenza che ci ha lasciato soddisfatti e che ha dimostrato un Tribunale attento, che ha valutato posizione per posizione". Ad assistere alla lettura del dispositivo, tra avvocati, imputati e loro familiari, e pazienti con i loro parenti, almeno un centinaio di persone, molte delle quali hanno accolto la sentenza con soddisfazione. Per Pier Paolo Brega Massone i due pm avevano chiesto 21 anni di carcere in quanto non ha esitato "a infliggere sofferenza tramite interventi chirurgici inutili" a malati terminali e a pazienti "totalmente incapaci" solo per ottenere "vantaggi professionali ed economici". Insomma si è trattato di una persona, non solo priva della coscienza "di un comune medico", ma con "un'indole particolarmente malvagia" e a cui è mancato "il senso di umana pietà". Stesse parole sono state usate dall'accusa per la sua equipe e in particolare per gli altri due suoi aiuti, Presicci e Pansera: per i due le richieste di condanna erano state rispettivamente di 14 e otto anni di reclusione. La vicenda della casa di cura Santa Rita, battezzata clinica degli "orrori", era venuta a galla nel giugno del 2008 con gli arresti da parte della Guardia di Finanza di 13 medici, tra cui i tre chirurghi, e il titolare della clinica privata Francesco Pipitone. Quest'ultimo insieme ad altri hanno patteggiato la pena, mentre i nove imputati per cui questa sera si è chiuso il processo, sono stati mandati a giudizio con rito immediato. Un procedimento, vista la mole (86 parti lese, un centinaio di faldoni e due udienze in media alla settimana), che si è svolto in tempi rapidi rispetto a quanto accade nelle aule di giustizia.
2010-10-26 26 ottobre 2010 POLITICA E GIUSTIZIA Lodo Alfano, riaperti i termini per i nuovi emendamenti La Commissione Affari costituzionali del Senato ha deciso di riaprire i termini per nuovi emendamenti al lodo Alfano fino a giovedì alle 16. I lavori della Commissione riprenderanno martedì pomeriggio. La Commissione ha anche bocciato la richiesta delle opposizioni di sospendere i lavori della Commissione sul lodo Alfano per 15 giorni. Maurizio Saia, esponente Fli in Commissione Affari costituzionali del Senato, annuncia che, con la riapertura dei termini, ci saranno anche emendamenti Fli in Commissione. Carlo Vizzini, presidente della Commissione, afferma: "Ci prendiamo 48 ore di tempo per consentire una riflessione politica ai gruppi parlamentari. Io non presenterò altri emendamenti. I nodi sono più d'uno. Oggi è bene abbassare la temperatura per consentire lo svolgimento di un dibattito politico sereno". Enzo Bianco, capogruppo Pd in Commissione, rende noto che Pd, Idv e Udc hanno votato compatti a favore della richiesta di un rinvio di 15 giorni della discussione sul lodo Alfano. "Ora la discussione dovrebbe riprendere martedì - dice Bianco - dico "dovrebbe" perché faremo valere tutti gli strumenti che il regolamento del Senato mette a nostra disposizione". I capigruppo di Pd e Udc, Anna Finocchiaro e Gianpiero D'Alia, hanno partecipato ai lavori della Commissione. "La maggioranza - dice Finocchiaro - sta intrecciando la corda con la quale si impiccherà. Alla maggioranza il lodo Alfano non conviene politicamente. Le argomentazioni usate sono false perché il lodo Alfano è solo un vestito su misura per i guai giudiziari di Berlusconi. Non è vero che in Francia c'è una norma simile, perchè a Parigi è solo il presidente della Repubblica a godere dell'immunità. Non è vero neppure che Berlusconi sia eletto dal popolo, perchè il premier è eletto dal Parlamento e perchè sul simbolo della Lega nelle schede elettorali il nome di Berlusconi non c'era". Luigi Li Gotti (Idv) chiede che il governo dica la sua in Commissione. "Oggi - dice Li Gotti - il sottosegretario Casellati ha fatto scena muta. I senatori non possono apprendere la posizione del Governo dai giornali. Il governo deve parlare in Commissione". LA POSIZIONE DI BERLUSCONI L'immunità dai processi per le alte cariche dello Stato è "indispensabile" in Italia per contrastare certa magistratura politicizzata, secondo Silvio Berlusconi che torna a chiedere una Commissione parlamentare d'inchiesta sui giudici. "Ritengo che una legge che sospenda i processi delle più alte cariche dello Stato mentre adempiono alle loro funzioni istituzionali sia opportuna e anzi, vista la magistratura con cui abbiamo a che fare, assolutamente indispensabile", ha dichiarato il premier la settimana scorsa, in un colloquio con Bruno Vespa. Richiesto ieri di eventuali, nuove valutazioni alla luce delle dichiarazioni di Gianfranco Fini contrario alla possibilità che il lodo sia reiterabile, il presidente del Consiglio ha confermato la sua opinione, secondo quanto si legge in una nota che distilla le anticipazioni del libro. "Soltanto con la serenità e la forza d'animo che derivano o dalla consapevolezza di non aver commesso alcun reato sono riuscito a disinteressarmi dei tanti, troppi procedimenti che mi sono stati addossati e che ogni giorno vengono amplificati da giornali e televisioni. Proprio a causa di questi comportamenti dei magistrati politicizzati i nostri parlamentari sono in procinto di chiedere una Commissione parlamentare d'inchiesta. Penso che questa iniziativa sia largamente condivisa e debba far luce su una infinità di processi clamorosi, come quelli, tra i tanti, contro Calogero Mannino". Berlusconi commenta nel libro anche l'invito a comparire ricevuto nei giorni scorsi dalla magistratura romana in uno spezzone dell'inchiesta milanese sui diritti televisivi. "Sono amareggiato soprattutto per Pier Silvio che in Mediaset non si è mai occupato e non si occupa di questioni fiscali. Viene contestata un'evasione inferiore a un milione di euro, quando quell'anno, il 2004, il mio gruppo versò all'erario imposte per 448 milioni. Ci si aspetterebbe il conferimento di una medaglia d'oro in premio", dice. "Mi assicurano che la contestazione sarebbe frutto di una diversa interpretazione delle norme tra i commercialisti e l'Agenzia delle entrate. Proprio per evitare questi casi la riforma fiscale dovrebbe far chiarezza su tanti punti controversi che mettono in difficoltà tanti professionisti e imprenditori". Berlusconi ribadisce infine di aver smesso di occuparsi direttamente degli affari del gruppo Fininvest e Mediaset dal 1994, anno in cui è iniziata la sua avventura politica come presidente del Consiglio.
2010-10-24 23 ottobre 2010 ROMA Lodo Alfano, il Colle: interpretazioni estranee a rilievi Le "conseguenze politiche" annunciate dopo la lettera di Napolitano a Vizzini sul lodo Alfano sono "del tutto estranee" agli "intendimenti del capo dello Stato", volti sempre "a favorire con la massima imparzialità la correttezza e la continuità della vita istituzionale": è quanto si legge in una nota del Quirinale nella quale si sottolinea l'estraneità del presidente da "soggettive interpretazioni e generalizzazioni" della lettera. "Con la lettera inviata al presidente Vizzini - si legge nella nota del Quirinale -, il capo dello Stato ha ritenuto di dover manifestare le sue "profonde perplessità" su un punto specifico - tale da incidere sullo status del presidente della Repubblica - della proposta di legge costituzionale all'esame della prima Commissione del Senato". ' "Le soggettive interpretazioni e le generalizzazioni del contenuto della lettera - si legge ancora - apparse in diversi commenti di stampa, così come le conseguenze politiche che taluni annunciano di volerne trarre, sono del tutto estranee agli intendimenti del presidente della Repubblica, sempre volti a favorire, con la massima imparzialità, la correttezza e la continuità della vita istituzionale'". Il presidente della Commissione parlamentare Antimafia Giuseppe Pisanu nega che ci sia stata una decisa presa di posizione da parte del premier sulla lettera che il capo dello Stato ha inviato al presidente della Commissione Affari Istituzionali del Senato, Carlo Vizzini. "Non mi risulta - ha spiegato oggi a Asolo Pisanu, parlando con i giornalisti - che Berlusconi abbia fatto una dichiarazione ufficiale su un eventuale ritiro del Lodo Alfano". "I capigruppo - ha proseguito - hanno detto di prendere atto dell'indicazione lecita del capo dello Stato annunciando di agire di conseguenza: è una risposta rispettosa". "Il ministro Alfano - ha riferito ancora Pisanu - ha già preso contatto con i vertici istituzionali: è un dialogo ancora alle prime battute, non si può pretendere già di tirare le somme".
23 ottobre 2010 POLITICA Fini: lodo Alfano non deve essere reiterabile "Non credo che il lodo Alfano possa essere reiterabile". Lo ha detto il presidente della Camera Gianfranco Fini, intervenendo ai Dialoghi Asolani in un confronto con Massimo D'Alema. Fini ha anticipato che Fli chiederà delle modifiche. "Se la filosofia è tutelare la funzione quale che sia la persona - ha spiegato Fini - non credo che il lodo Alfano possa essere reiterabile perchè non sarebbe una tutela di una persona per un periodo di tempo, ma un privilegio garantito a una persona".
23 ottobre 2010 ROMA "Norme irragionevoli" Napolitano frena il Lodo Suonano le campane a morte per la costituzionalizzazione del Lodo Alfano, lo scudo giudiziario in discussione al Senato per capo dello Stato e premier? Sì, perché ieri il disegno di legge sul quale si stanno arrovellando maggioranza e opposizione, ha subito due attacchi. Da parte proprio delle due alte cariche che la norma dovrebbe tutelare: Silvio Berlusconi e, soprattutto, Giorgio Napolitano. Il presidente del Consiglio, però, ha fatto una considerazione tutta politica ("Non sono io che ho chiesto il lodo o le leggi ad personam. Sono i miei alleati che se ne fanno promotori a mio favore, ricorrendo agli strumenti legali della democrazia"), peraltro confermando la necessità dello scudo di fronte agli "attacchi eversivi" di "una corrente" della magistratura; mentre un diverso tipo di obiezione, di delicata natura costituzionale, arriva dal Quirinale. Che ha inviato al presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato, Carlo Vizzini - e per conoscenza ai presidenti delle Camere - una lettera, annunciando "profonda perplessità" su alcune questioni che toccano da vicino i poteri e le prerogative del capo dello Stato. Nella lettera a Vizzini, Napolitano premette che è da sempre sua intenzione "rimanere estraneo nel corso dell’esame al merito di decisioni delle Camere, specialmente allorché - come in questo caso - riguardino proposte d’iniziativa parlamentare e di natura costituzionale". Ma, aggiunge, di non poter "fare a meno di rilevare che la decisione assunta dalla Commissione da lei presieduta incide, al di là della mia persona, sullo status complessivo del Presidente della Repubblica riducendone l’indipendenza nell’esercizio delle sue funzioni". La parte che Napolitano contesta riguarda la possibilità che le Camere, a maggioranza semplice, decidano di estendere lo scudo giudiziario a quel premier che traslochi da Palazzo Chigi al Quirinale. Per Napolitano questa norma "contrasta con la normativa vigente risultante dall’articolo 90 della Costituzione e da una costante prassi costituzionale" e "appare viziata da palese irragionevolezza". In sostanza, la Costituzione prevede attualmente l’irresponsabilità del presidente della Repubblica, tranne che per alto tradimento e per attentato alla Costituzione. Napolitano segnala che far decidere alle Camere, per giunta a maggioranza semplice, se il capo dello Stato può essere processato o no per reati di varia natura, ne limiterebbe di molto il ruolo, limitandone la necessaria indipendenza. Il Pdl accusa il colpo e promette modifiche: "Le osservazioni di Napolitano non rimarranno indifferenti per il nostro gruppo parlamentare", dicono in coro Gasparri e Quagliariello. Ma per le opposizioni (Pd, Idv e Udc), a questo punto, sarebbe meglio ritirare l’intero provvedimento. Giovanni Grasso
2010-10-22 21 ottobre 2010 RAITRE Villa ad Antigua, Berlusconi cita Report per diffamazione Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha dato mandato all'avvocato Fabio Lepri di Roma per procedere in sede giurisdizionale, al fine di ottenere l'accertamento della natura offensiva e diffamatoria del servizio diffuso il 17 ottobre scorso su Rai Tre durante la trasmissione Report, sui suoi presunti possedimenti nell'isola caraibica di Antigua, con integrale risarcimento dei danni. Il giudizio, viene spiegato, sarà promosso contro tutti i responsabili dell'illecito, e sarà chiesta anche la pubblicazione della futura sentenza sui principali mezzi di comunicazione. "Se il premier si ritiene diffamato, è un suo diritto intraprendere tutte le azioni che crede: noi ci difenderemo nelle sedi competenti": è il commento a caldo di Milena Gabanelli, conduttrice di Report, alla notizia dell'iniziativa legale di Silvio Berlusconi. "La domanda posta nell'inchiesta - ricorda Gabanelli - era una sola: da chi lui ha acquistato quei terreni. È una risposta che per il momento non ci pare ci sia".
2010-10-21 21 ottobre 2010 ECONOMIA E POLITICA Apre il cantiere del Fisco Tremonti: priorità famiglia Il governo riunisce le parti sociali e mette all’ordine del giorno una "grande riforma" del Fisco dopo 40 anni di "rattoppi". Il veicolo degli interventi sarà una legge delega, mentre riguardo ai contenuti Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti per ora hanno indicato la direzione di marcia su una strada resa stretta dall’obbligo di rigore nei conti pubblici. Semplificazione del sistema normativo, spostamento del peso delle tasse dalle persone alle cose e priorità alla famiglia, le linee guida di una riforma che, ha subito avvertito il ministro dell’Economia, dovrà essere "eurocompatibile" e quindi non potrà essere "coperta dal recupero dell’evasione fiscale". L’evasione va sì contrastata, ha chiarito, ma solo dopo "faremo i conti dei soldi" recuperati, senza "mettere il carro davanti ai bui" perché "questo screditerebbe il nostro Paese". Il tavolo si è riunito ieri pomeriggio al Tesoro, dopo un incontro a quattr’occhi tra il premier e il responsabile dell’Economia. Con loro erano presenti i ministri Maurizio Sacconi e Roberto Calderoli, i leader delle confederazioni sindacali e delle associazioni di impresa. La riforma è "una grande ambizione e una grande responsabilità", ha detto Berlusconi e punta a spostare "il prelievo dalle persone alle cose e dal centro alle periferie". Con un percorso in tre fasi: "la raccolta di dati; una legge delega in Parlamento e infine una serie organica di decreti allegati". Sul fronte della semplificazione ha sottolineato che "ci sono 240 forme di erosione della base imponibile" (cioè di agevolazioni ed esenzioni) che andranno "disboscate per ampliare l’imponibile e tagliare le aliquote". Quanto all’evasione, ha riconosciuto, "quando leggo certe dichiarazioni mi vergogno". Dunque c’è molto da laurà, ha detto in "milanese", annunciando una nuova convocazione del tavolo tra tre-quattro giorni. È stato quindi Tremonti a spiegare che "la priorità della riforma è la famiglia", sulla quale occorre concentrare gli aiuti lasciando così ai nuclei la scelta su "come allocare le risorse". Mentre ha escluso un inasprimento della tassazione sulle rendite finanziarie: "Abbiamo qualche refrattarietà a questa formula strutturale. Tassare i Bot non è la cosa più razionale". Nel cammino della riforma Tremonti si dice comunque "aperto a critiche, alternative e ragionamenti". Disponibilità al confronto arriva dalle parti sociali, che attendono di entrare nel merito delle proposte. "Siamo prontissimi a collaborare", ha commentato il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, ma bisogna dare "qualche segnale in tempi non troppo lunghi" mettendo al centro "lavoro e impresa" e ragionando su "come combattere l’evasione". Per il segretario della Cisl Raffaele Bonanni "si apre una fase importante, siamo molto soddisfatti". L’obiettivo è una riforma che "rifondi il rapporto tra cittadini e Stato" e che "metta al centro la famiglia, il lavoro e gli investimenti". "Noi vigileremo affinché non vada a finire in chiacchiere", ha aggiunto ricordando che "oggi le tasse le pagano soprattutto i lavoratori e i pensionati" e bisogna alleggerire l’Irpef". Ma se si vogliono "fare le cose seriamente", incalza il leader della Cgil Guglielmo Epifani, occorre "fare delle scelte" e cioè "dare a qualcuno e prendere a qualcun altro". "Per ora sono solo parole", ha aggiunto, mentre per ridurre "il carico fiscale su lavoro e occupazione" bisogna "caricare su altre forme di reddito" e "colpire i grandi patrimoni". Il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli frena invece tanto su un maggior prelievo fiscale sui consumi" quanto su un calo delle tasse che "discrimini tra dipendenti e autonomi". Nicola Pini
20 ottobre 2010 FRANCIA Parigi, ancora scontri per la riforma delle pensioni Nuovi scontri tra giovani manifestanti e agenti di polizia si sono verificati a Nanterre, alle porte di Parigi, e a Lione nel quadro delle proteste contro la riforma delle pensioni. A Nanterre è stata incendiata un'auto e danneggiato un veicolo delle forze antisommossa della polizia nel corso di scontri con alcuni giovani. Questi ultimi hanno lanciato fumogeni e oggetti contro le forze dell'ordine che hanno replicato utilizzando lacrimogeni. Gli incidenti sono partiti davanti a un liceo per poi propagarsi nel centro città. Danneggiate inoltre vetrine di negozi in centro e degli arredi urbani. Scene di violenza urbana anche nel centro-città, dove è stato incendiato un camion. I manifestanti contro la riforma delle pensioni in Francia hanno preso di mira il porto di Le Havre, principale terminale nel Paese dello scambio di petrolio. I dimostranti, in sciopero dallo scorso 13 ottobre hanno fermato lo scarico di dieci petroliere, secondo quanto riferiscono alcune fonti, tra cui anche sei vascelli. Il porto di Le Havre scarica circa 50 milioni di tonnellate di petrolio l'anno ed è gestito dalla Compagnie Industrielle Maritime. Dopo la sesta giornata di mobilitazione di ieri, macchiata da episodi di violenza da parte dei "casseurs" alla fine delle manifestazioni, l'agitazione sociale si è trasferita in gran parte al braccio di ferro sulla distribuzione del carburante nel Paese, dove ieri oltre 4mila pompe di benzina erano a secco. Come annunciato ieri pomeriggio dal primo ministro Francois Fillon, il governo si è messo al lavoro per sbloccare i depositi: poco prima delle 4 del mattino le forze dell'ordine hanno sgomberato quelli di Donges (ovest), di Le Mans (nord) e della Rochelle (ovest), senza incidenti. Nel primo caso, tuttavia, la strada di accesso a Donges è stata bloccata nuovamente poco più tardi dai manifestanti e il sito è di nuovo inaccessibile stamattina. In Normandia, a Caen, il deposito di carburante che era stato sbloccato ieri dai gendarmi è stato nuovamente occupato dai militanti del sindacato Cgt, che hanno anche preso il controllo degli oleodotti di Port-de-Bouc, nella regione di Marsiglia. Cinquecento manifestanti hanno poi bloccato lo strategico deposito che rifornisce gli aeroporti di Nizza, Marsiglia, Lione oltre alle basi militari della regione. Il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha affermato in Consiglio dei ministri di aver dato l'ordine di sbloccare "tutti i depositi" di carburante di Francia "per ripristinare al più presto una situazione normale" nel Paese. "Per milioni di cittadini francesi i trasporti sono vitali. Si tratta di una libertà fondamentale. E in questi ultimi giorni molti di loro hanno dovuto affrontare i problemi di rifornimento di carburante che hanno toccato una parte delle stazioni di servizio", ha detto Sarkozy durante il Consiglio dei ministri di oggi. "Ho quindi dato istruzioni - ha affermato - affinché tutti i depositi di carburante siano sbloccati per riportare la situazione al più presto alla normalità". Tre depositi di carburante dell'ovest della Francia, a Donges, a Le Mans e a La Rochelle, sono stati sbloccati durante la notte dopo l'intervento delle forze dell'ordine. Oggi il ministro dell'Interno Brice Hortefeux ha avvertito che nuovi interventi di questo tipo saranno effettuati lungo tutta la giornata di oggi.
2010-10-18 18 Ottobre 2010 PARIGI Pensioni: scioperi e proteste, la Francia verso la paralisi La Francia non si piega alla riforma delle pensioni voluta da Nicolas Sarkozy e la protesta sta paralizzando i trasporti. Alla vigilia del via libera al Senato per la riforma che porta a 62 anni l'età minima e a 67 la massima per andare in pensione, si sono moltiplicate le iniziative sindacali in tutto il Paese e monta la tensione con il governo. Il premier, Francois Fillon, ha avvertito domenica sera che non accetterà che i sindacati blocchino il Paese e ha attivato un'unità di crisi per monitorare la situazione dei rifornimenti. Il governo ha convocato una riunione di emergenza per la crisi carburante a frotne di circa il 20-25% dei distributori del Paese oramia a secco. La situazione si fa di ora in ora più critica. Metà dei treni fermi, centinaia di licei chiusi con scontri tra giovani e polizia, le 'operations escargot' (operazioni lumaca) dei camionisti per bloccare le strade, decine di raffinerie bloccate e oltre 1.500 stazioni di rifornimento con problemi o a secco di carburante; e per domani, nuova giornata di sciopero generale e manifestazioni, si prevede che anche gli aeroporti andranno in tilt. Il blocco delle raffinerie, cominciato venerdì, prosegue nonostante il governo abbia minacciato di riaprirle anche con la forza. I problemi continuano nelle principali raffinerie del Paese e un certo numero di stazioni di servizio già comincia a sentire gli effetti della mancanza di carburante. La mobilitazione degli studenti è stata punteggiata da alcuni incidenti. Davanti alla scuola Joliot-Curie, a Nanterre, c'è stato un vero e proprio confronto tra giovani e polizia. Dopo una mattinata di atti vandalici, con i giovani che rovesciavano auto e bersagliavano pensiline e cabine telefoniche lanciando pietre, la polizia ha risposto con gas lacrimogeni. Incidenti anche a Combs-laVille, a Lagny, a Lille, vicino Rouen. Nei trasporti ferroviari, un TGV su due è bloccato e gli scioperi hanno avuto ripercussioni anche sui collegamenti internazionali, già in ginocchio per la concomitante astensione dal lavoro dei ferrovieri belgi. Alle proteste si sono uniti nelle ultime ore anche i camionisti, che moltiplicano le azioni di blocco della circolazione lungo tutto il Paese, causando numerosi ingorghi. I camionisti francesi bloccano o rendono difficile la circolazione in vari punti strategici del Paese. Le azioni sono particolarmente intense negli accessi alle raffinerie e ai depositi di combustibile. Il blocco principale è su un'autostrada nel nord, vicino a Lille, dove un corteo di 15 veicoli leggeri e due camion circolavano a bassa velocità e hanno provocato una fila di una decina di chilometri. Nella regione di Parigi, rimane bloccata un'autostrada che porta ad est ed è rallentato il traffico su un'altra verso il Sud..
18 ottobre 2010 TV E POLITICA Ville Berlusconi ad Antigua, Report va in onda regolarmente Bufera ieri sul programma di Rai3 Report, prima ancora che andasse in onda in serata. Un servizio sulle ville comprate da Berlusconi nel paradiso fiscale di Antigua, nei Caraibi, da un venditore sconosciuto, era stato anticipato ieri mattina su alcuni giornali. L'avvocato del premier, il parlamentare Pdl Niccolò Ghedini, ha definito "fuorvianti" e "diffamatori" gli articoli sui quotidiani e ha precisato che la vicenda era già stata trattata dai giornali mesi fa e ampiamente chiarita. L'opposizione compatta ha parlato di censura. Report è poi andato in onda regolarmente ieri sera. Ad attaccare il programma, che riporta Milena Gabanelli su Raitre, e Niccolo Ghedini, deputato Pdl ed avvocato del premier che bolla alcuni articoli che anticipano un servizio di Report come ''totalmente fuorvianti e palesemente diffamatori poiche' si basano su assunti gia' dimostratisi insussistenti''. Il tema e' quello delle ''ville di Berlusconi'' e gli ''affari offshore'' ad Antigua, una vicenda che per Ghedini ''è già stata ampiamente trattata dai giornali alcuni mesi or sono e tutte le delucidazioni e i documenti pertinenti erano stati ampiamente offerti''. Ghedini legge una ''evidente strumentalità delle ricostruzioni offerte che saranno perseguite nelle sedi opportune. Sarebbe davvero grave - aveva concluso - se la Rai mandasse in onda un programma con notizie cosi' insussistenti e diffamatorie e senza alcun contraddittorio''. Una richiesta di stop che aveva innescato una giornata di violente polemiche con l'opposizione unita al grido di censura e la maggioranza che, interpretando il pensiero del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, parla di killeraggio mediatico e invoca il contraddittorio per spiegare che in realtà è già tutto chiarito.
2010-10-16 16 ottobre 2010 MANIFESTAZIONE Fiom in piazza, Epifani evoca lo sciopero generale "Dopo la manifesatzione del 27 novembre in assenza di risposte noi continueremo se necessario anche con lo sciopero generale". Lo ha detto il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, al termine del suo intervento dal palco di piazza San Giovanni dove è in corso la manifestazione della Fiom che si è appena conclusa. "Lo sciopero - ha aggiunto - è un grande sacrificio, lo dobbiamo preparare per bene, portando tutto il mondo del lavoro con le giuste proposte". "La Cgil non lascerà sola la Fiom" nelle battaglie per i diritti, "perchè sono nostre battaglie e sono quelle che ci hanno guidato, quelle che ci hanno fatto dire di no quando altri hanno firmato e noi, invece, non abbiamo chinato la testa", ha detto ancora Epifani.
La manifestazione. Metalmeccanici della Fiom in piazza a Roma, dove due corteisono confluiti in piazza San Giovanni, per il comizio finale. Il corteo da piazza della Repubblica si è mosso chiedendo "lavoro". Allerta per la sicurezza, ma Landini e Epifani sottolineano: abbiamo lavorato perchè sia una manifestazione pacifica. Partecipano anche i tre operai della Fiat di Melfi licenziati e reintegrati dal giudice e studenti delle scuole e università romane, contro il precariato. "Il Paese sta rotolando. Il Paese è stato lasciato a sé stesso e dunque serve un cambiamento della politica economica". Sono queste le motivazioni per cui la Cgil e la Fiom sono in piazza oggi per una grande manifestazione nazionale: a dirlo il numero uno del sindacato di Corso Italia, Guglielmo Epifani, prima della partenza del corteo da Piazza della Repubblica. "Siamo in piazza per i diritti, lavoro e occupazione. Ma anche per chiedere un contratto senza deroghe. C'è una situazione sociale molto pesante e una politica economica molto difficile", ha spiegato Epifani. "Aumentano i disoccupati e i casi di crisi aziendale - ha proseguito - e le imprese che approfittano della crisi per ridurre i diritti: serve un impegno vero del governo per la tutela dei diritti dei lavoratori. Questa sarà una grande manifestazione di protesta, una spinta a chiedere un cambiamento profondo". "Qui il problema non è la Fiom o la Cgil, bisogna ricongiungersi ai lavoratori, alla loro condizione" ha inoltre affermato Epifani. Quello di oggi in Piazza S.Giovanni sarà, per il leader della Cgil, l'ultimo comizio prima del passaggio di testimone a Susanna Camusso, attuale vicesegretario generale di Corso d'Italia. "Io sono stato eletto otto anni fa - ha ricordato Epifani -, ho iniziato con lo sciopero generale del 18 ottobre sui diritti, la dignità, l'occupazione e lo sviluppo. Chiudo con l'ultimo comizio, insistendo ancora sui diritti e sull'occupazione. Malgrado tutti gli sforzi e le mobilitazioni, c'è ancora tanta strada da fare per far ripartire gli investimenti e l'occupazione".
16 ottobre 2010 ROMA Calderoli, serve vertice Berlusconi-Fini-Bossi "Serve un nuovo "predellino", un "patto del trampolino" per rilanciare legislatura ed esecutivo. Devono incontrarsi Berlusconi, Bossi e Fini" per risolvere i problemi di maggioranza. Il ministro Roberto Calderoli lancia la Lega nel ruolo di "mediatrice" tra Pdl e Fli per "evitare un voto anticipato che danneggerebbe tutto il paese". "La superficialità regna sovrana. Sono tutte letture dietrologiche". Il ministro della Semplificazione legislativa, Roberto Calderoli commenta così le ipotesi di un "governo tecnico a guida Tremonti con la regia della Lega Nord". "La Lega - spiega Calderoli - non ha interesse per un eventuale governo tecnico perché è impegnata a completare le riforme". Secondo Calderoli le critiche rivolte al ministro dell'Economia Giulio Tremonti e alcuni malumori interni al Pdl son "dovuti al fatto che le manovre di rigore e stabilità come queste ultime creano sempre degli scontenti" ma "é quello che ci viene chiesto a livello internazionale ed europeo". "Certo - conclude l'esponente leghista - è singolare che ora si protesti a proposito di dati relativi al decreto 78 datato luglio 2010...".
16 ottobre 2010 ROMA Lettere con minacce di morte al ministro della Giustizia Alfano Due lettere con minacce di morte al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, sono state recapitate nei giorni scorsi presso la sede del dicastero di Via Arenula. Le due missive minatorie conterrebbero riferimenti all'inasprimento del regime di 41 bis (il cosiddetto "carcere duro") nei confronti degli esponenti della criminalità organizzata. In particolare, una di queste lettere, la più lunga, conterrebbe testualmente quanto detto dal Guardasigilli lo scorso settembre in occasione del convegno del Pdl a Cortina, quando affermò che i boss "stanno al carcere duro e quegli ergastoli noi non li intiepidiremo mai e moriranno là, poveri, perchè abbiamo anche sequestrato loro i beni". Dell'arrivo delle due lettere minatorie è stata già informata l'autorità giudiziaria. LA SOLIDARIETÂ DI SCHIFANI "Appresa la notizia delle gravissime minacce di morte al ministro Guardasigilli, il presidente del Senato Renato Schifani, esprime la più profonda e sincera vicinanza e solidarietà all'onorevole Angelino Alfano. Queste intimidazioni confermano la determinazione e l'impegno del ministro della Giustizia che, non solo con parole ma con politiche coraggiose, assieme alla magistratura e alle forze dell'ordine, sta contrastando duramente la mafia, con risultati a tutti evidenti e a sostegno della legalità". Lo afferma il presidente del Senato Renato Schifani.
15 ottobre 2010 POLEMICHE Marcegaglia difende Confindustria "La nostra indipendenza è totale" "L'indipendenza e l'autonomia di Confindustria è totale". Lo ha detto Emma Marcegaglia, presidente degli industriali italiani, nel corso di una conferenza stampa a Prato durante i lavori del convegno nazionale delle Pmi di Confindustria. Ai cronisti che le chiedevano un commento sulla copertina che le ha dedicato il settimanale Panorama, Marcegaglia ha precisato che l'iniziativa di Confindustria non subirà arresti e continuerà come prima nei confronti dell'attività del governo. "La mia missione è di garantire l'autonomia e l'indipendenza di Confindustria - ha sottolineato la Marcegaglia -. Per me questo è un impegno chiaro che ho preso quando sono stata nominata alla guida di Confindustria, e lo porterò fino alla fine". Emma Marcegaglia ha dichiarato poi di aver apprezzato gli applausi che la platea del convegno delle Pmi di Confindustria le ha riservato in segno di solidarietà per gli attacchi che ha ricevuto in queste ultime settimane. "Mi ha fatto veramente piacere il lungo applauso che ho ricevuto segno del grande appoggio della base vera della nostra organizzazione, che sono proprio le piccole e medie imprese". Rinaldo Arpisella, il portavoce di Emma Marcegaglia al centro del servizio pubblicato ieri da Panorama, "tornerà a occuparsi dell'azienda, che è in momento di grande espansione, e ha bisogno del suo lavoro". Lo ha detto la Marcegaglia, spiegando che la decisione è stata presa "di comune accordo con Arpisella". Che lascia quindi l'impegno accanto a Emma Marcegaglia come presidente di Confindustria ma continua a lavorare per il gruppo di famiglia della leader degli industriali.
16 ottobre 2010 POLITICA E GIUSTIZIA Frode fiscale, Berlusconi indagato a Roma Solo tra il 2003 e il 2004 Silvio Berlusconi e il figlio Piersilvio sarebbero riusciti ad accumulare illegalmente 10milioni di euro custoditi in banche di paradisi fiscali. Lo sostiene anche la procura di Roma, che ha ricevuto per competenza territoriale buona parte delle acquisizioni investigative dei pm di Milano. Fonti giudiziarie precisano che sono stati notificati al Cavaliere e al figlio gli inviti a comparire per il prossimo 26 ottobre, ma è probabile che entrambi mancheranno all’appuntamento. Il fascicolo romano è stato aperto dal procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani e dal pm Barbara Sargenti e tra gli indagati oltre ai Berlusconi e ad Agrama, figurano Andrea Goretti, Giorgio Dal Negro e Daniele Lorenzano, all’epoca dei fatti manager e consulenti del gruppo. Secondo i pm Silvio Berlusconi avrebbe concorso nel reato di frode fiscale "in qualità di azionista di riferimento - per il tramite di Fininvest spa - di Mediaset spa (di cui Fininvest possedeva oltre il 50% del capitale sociale nel periodo 2003 e 2004, ndr), a sua volta società controllante al 100% Rti spa, facendo giungere alle società controllate direttive che confermassero il mantenimento delle relazioni d’affari preesistenti con Frank Agrama, nella fittizia intermediazione per l’acquisto dei diritti di sfruttamento di prodotti cinematografici e televisivi". Insieme a Berlusconi padre e figlio, come detto, sono indagati l’uomo d’affari egiziano con passaporto Usa Frank Agrama e alcuni manager del gruppo Fininvest. Il procedimento è frutto di uno stralcio dell’inchiesta milanese sulla compravendita di diritti tv e cinematografici da parte di Mediaset, finito a Roma per competenza territoriale. Nella Capitale risultano infatti registrate alcune aziende del gruppo Mediaset. Attualmente i processi al premier sono sospesi grazie alla legge sul legittimo impedimento, sulla quale la Corte Costituzionale è chiamata a esprimersi il prossimo 14 dicembre. "I diritti cinematografici oggetto dell’inchiesta sono stati acquistati a prezzi di mercato", ha replicato Mediaset con una nota, nella quale si precisa che "si tratta sostanzialmente di una duplicazione per anni diversi del medesimo processo pendente presso il Tribunale di Milano". Gli inquirenti intendono però raccogliere nuove prove. La procura di Roma (condividendo l’impianto accusatorio di Milano) ipotizza che major statunitensi abbiano venduto i diritti dei film a due società residenti in paradisi fiscali, le quali avrebbero a loro volta rivenduto i diritti con una forte maggiorazione di prezzo a Mediaset, per complessivi 470milioni di euro. Lo scopo, secondo gli investigatori, era quello di aggirare il fisco italiano e americano creando fondi neri a disposizione dei Berlusconi. "La documentazione – ha ribadito Niccolo Ghedini, deputato e avvocato del premier – dimostrerà la totale estraneità degli indagati". Vi è poi il capitolo Mediatrade, ancora in fase di udienza preliminare, sospesa il 24 giugno sempre per il ricorso alla Consulta sul legittimo impedimento. Si tratta dell’ultimo filone nato dal procedimento principale sulla compravendita dei diritti tv. In questo caso la procura di Milano ritiene che Berlusconi sia stato il socio occulto di Agrama allo scopo di sottrarre denaro a Fininvest e poi a Mediaset - almeno 35milioni di euro - per indirizzarlo all’estero ai danni di azionisti e frodando al fisco circa 8 milioni. Accusa che in questo caso vede imputato anche il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri. Nello Scavo
15 ottobre 2010 LA GIORNATA MONDIALE La Fao lancia la sfida alla fame Il Papa: garantire l'accesso al cibo Nel 2010 sono 925 milioni le persone che vivono in uno stato cronico di fame e malnutrizione. La cifra si è ridotta rispetto al 2009 ma "il livello rimane inaccettabile e non possiamo rimanere indifferenti". Lo ha detto Jacques Diouf, direttore generale della Fao, aprendo la 30/a Giornata dell'alimentazione, che si celebra sabato, e ricordando che sono 30 i Paesi che si trovano in una situazione di emergenza alimentare, e di questi 21 si trovano in Africa. Il numero ancora così alto delle persone affamate è dovuto anche, ha sottolineato Diouf, al fatto che invece di affrontare le cause strutturali, il mondo ha trascurato di investire in agricoltura. Infatti, ha stigmatizzato Diouf, la quota degli aiuti ufficiali riservati all'agricoltura è scesa dal 19% del 1980 al 6% del 2006. Fra i problemi più gravi, l'instabilità dei mercati e la volatilità dei prezzi, che sono "una vera minaccia per la sicurezza alimentare". Secondo Diouf, la produzione agricola dovrebbe aumentare del 70% per arrivare a sfamare nel 2050 le 9,1 miliardi di persone che abiteranno il pianeta. Ma il futuro non è così buio come sembra: infatti, ha ricordato Diouf, "il pianeta è in grado di potersi nutrire, ma bisogna lavorare per incrementare la produzione agricola attraverso lo sviluppo". Dopo l'intervento di Diouf, il sottosegretario agli Esteri, Vincenzo Scotti, ha sottolineato il problema delle speculazioni sulle materie prime alimentari, problema sul quale bisogna tenere alta la guardia. Alla 30/a Giornata dell'alimentazione è arrivato anche il messaggio del Papa, letto da monsignor Renato Violante, osservatore permanente presso le Nazioni Unite, che nel riportare le parole di Benedetto XVI ha sottolineato la necessità di "promuovere risorse e infrastrutture in una logica di sviluppo basata sulla fraternità", in modo da raggiungere uno dei traguardi "più urgenti per la famiglia umana: la libertà dalla fame". "Per eliminare la fame e la malnutrizione – ha aggiunto il Pontefice – devono essere superati gli ostacoli derivanti da interessi specifici dei Paesi, per fare spazio ad una gratuità feconda, che si manifesta nella cooperazione internazionale come espressione di fraternità autentica". "A persone, popoli e Paesi – ha sottolineato ancora Benedetto XVI – deve essere consentito di raggiungere il proprio sviluppo, approfittando dell’assistenza esterna in conformità alle priorità e ai concetti radicati nelle loro tecniche tradizionali, cultura, patrimonio religioso e nella sapienza tramandata di generazione in generazione all’interno della famiglia". Il tema della Giornata dell’alimentazione di quest’anno, "Uniti contro la fame", sottolinea il Papa, ci ricorda che "tutti, singoli individui, organizzazioni della società civile, Stati e istituzioni internazionali, devono assumere un impegno per attribuire al settore agricolo la giusta importanza". Per ottenere ciò, precisa il Papa, "non basta solo che ci sia cibo a sufficienza, ma anche garantire ogni giorno l’accesso al cibo per tutti". Per il Pontefice, "ciò significa promuovere tutte le risorse e le infrastrutture necessarie per sostenere la produzione e distribuzione in modo tale da garantire pienamente il diritto al cibo". "I Paesi industrializzati – conclude il testo – devono essere consapevoli del fatto che le crescenti esigenze del mondo richiedono livelli coerenti di aiuto" nei confronti di chi soffre la fame o è in situazione di povertà. "Essi non possono semplicemente rimanere chiusi nei confronti gli altri: un atteggiamento del genere non serve a risolvere la crisi".
2010-10-14 14 ottobre 2010 ROMA Legge elettorale, Schifani: se ne occuperà il Senato L'ufficio stampa di Palazzo Madama rende noto che il presidente del Senato, Renato Schifani, ha risposto in data odierna alla lettera inviatagli l'8 ottobre scorso dal presidente della Camera Gianfranco Fini sull'iter dei disegni di legge in materia elettorale. A conclusione dell'istruttoria svolta ed in conformità della prassi costante circa il criterio della priorità temporale, Schifani ha comunicato di ritenere opportuno che l'esame dei disegni di legge in materia elettorale debba proseguire presso la commissione affari costituzionali del Senato. Questa, infatti, si legge in un comunicato di palazzo Madama, fin dal 22 dicembre 2008 ha avviato per prima la trattazione della materia su due disegni di legge di iniziativa popolare sottoscritti da diverse migliaia di cittadini, ed estendendo in seguito l'esame alle numerose proposte di iniziativa parlamentare. Il Presidente Schifani ha poi ricordato come il 2 dicembre dello scorso anno l'Assemblea di Palazzo Madama abbia approvato una mozione della senatrice Finocchiaro ed altri, nella quale si contemplava la materia elettorale tra quelle da includere nel novero delle possibili riforme istituzionali, attualmente all'esame del Senato. Da ultimo, in relazione alle osservazioni avanzate dalla Camera in merito a un riequilibrio dei carichi di lavoro tra le omologhe commissioni affari costituzionali dei due rami del Parlamento, il Schifani ha assicurato il presidente della Camera di aver avuto ampie garanzie dal presidente della commissione affari costituzionali, sulla possibilità di proseguire nell'esame della legge elettorale.
14 Ottobre 2010 SINDACATO Fiom, Maroni: rischio infiltrazioni per manifestazione di sabato a Roma "Elevati rischi di infiltrazioni" di gruppi violenti, "anche stranieri" alla manifestazione organizzata dalla Fiom a Roma sabato prossimo. L'allarme lo lancia il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, nel corso della registrazione di 'Porta a porta', sostenendo che è "un'occasione troppo ghiotta". Il ministro ha spiegato che la grande maggioranza delle persone manifesterà pacificamente, ma c'è il rischio che "gruppetti, staccandosi dal corteo, vadano a spaccare le vetrine: la Fiom sono sicuro che saprà controllare". Ha annunciato quindi che domani incontrerà i vertici del sindacato. Maroni ha poi parlato di "clima non buono" in Italia, con le minacce a sindacalisti e frange di violenti che considerano i riformisti "collaborazionisti, traditori".
14 ottobre 2010 ITALIA- SERBIA Arrestati 19 ultrà a Belgrado Maroni all'attacco Sulla guerriglia degli ultrà serbi a Genova, il ministro dell'interno Roberto Maroni ha ribadito che non c'è "nessuna censura alle forze dell'ordine e all'intelligence italiana", ma quanto è avvenuto è stata "una sottovalutazione dell'intelligence serba". Il ministro ha, inoltre, ricordato che se la Uefa "avesse adottato le misure che noi seguiamo in Italia per le partite di calcio, come la tessera del tifoso, certi episodi sarebbero sicuramente evitati". "Sono stato accusato in modo comico dal sindaco di Genova per quanto avvenuto nella sua città, e nel contempo sono state elogiate le forze dell'ordine: io ci rido su perchè ho le spalle larghe". Lo ha detto il ministro degli Interni Roberto Maroni nella conferenza stampa nelle sede della prefettura di Padova parlando dei fatti nel capoluogo ligure durante l'incontro Italia-Serbia. Maroni ha ribadito di essere sempre presente "per prendere le mie responsabilità". In relazione ai fatti avvenuti a Genova, il ministro ha detto di aver "parlato col capo della polizia, con il prefetto, e li voglio elogiare perchè si è rischiata una strage. Solo grazie al sangue freddo delle forze dell'ordine non ci sono stati nè morti nè feriti. È stato uno spettacolo bruttissimo, ma invece di parlare di cosa si è visto vorrei che si parlasse di cosa non è successo". Il ministro ha confermato che non c'è "nessuna censura alle forze dell'ordine e all'intelligence italiana", ma quanto è avvenuto è stata "una sottovalutazione dell'intelligence serba". Il ministro ha infine ricordato che se la Uefa "avesse adottato le misure che noi seguiamo in Italia per le partite di calcio, come la tessera del tifoso, certi episodi sarebbero sicuramente evitati". Il ministro ha poi fatto la cronistoria dei messaggi intercorsi tra la polizia serba e quella italiana in relazione alla presenza dei tifosi di quel Paese. Maroni ha ricordato che l'8 di ottobre l'intelligence serba aveva mandato un messaggio nel quale si parlava della presenza a Genova di un centinaio di tifosi, divisi in due gruppi, che sarebbero rincasati alla fine dell'incontro. "Una nota del genere - ha spiegato Maroni - ci ha indotto a considerare che le nostre forze di polizia avrebbero potuto gestire la situazione con un certo numero di forze dell'ordine. Se ci avessero invece informati che sarebbero arrivate bande criminali che avrebbero messo a ferro e fuoco lo stadio, avremmo agito in maniera diversa. Per cui, nessun appunto viene fatto al prefetto, al capo della polizia e alle forze dell'ordine". La polizia serba ha arrestato 19 hooligans ritenuti responsabili dei gravi incidenti che martedì hanno fatto saltare la partita di Genova tra Italia e Serbia. Il ministero degli interni, Ivica Dacic, ha fatto sapere che gli arresti sono stati effettuati al confine durante i controlli sui pullman dei tifosi, partiti all'alba di ieri da Marassi dopo ore di scontri tra sostenitori serbi e polizia italiana. Gli incidenti di Genova hanno causato il ferimento di 14 tifosi e due agenti e l'arresto sul posto di 17 persone. "Finora 529 tifosi hanno fatto ritorno in patria - ha affermato Dacic ad una radio nazionale - 169 di loro sono già stati individuati dalla polizia". E' di 45 persone denunciate a piede libero, tra cui 4 cittadini comunitari, 35 decreti di espulsione e 8 arresti il bilancio definitivo della notte di guerriglia all'esterno dello stadio Luigi Ferraris. Gli otto ultrà serbi arrestati, con ipotesi di reato che vanno dalla resistenza a pubblico ufficiale al danneggiamento aggravato, dalla violazione delle norme di ordine pubblico al porto abusivo di oggetti atti a offendere, sono stati tutti trasferiti nelle carceri genovesi di Marassi e Pontedecimo in attesa delle udienze di convalida del fermo che, secondo fonti della questura, potrebbero svolgersi già oggi. "Non mi aspettavo che ci fossero problemi politici con l'Italia. Non credevo che la partita sarebbe stata sospesa e non ho nulla a che vedere col le tigri di Arkan". Lo ha detto stamani Ivan Bogdanov, il capo ultrà serbo "incappucciato" arrestato martedì notte, al suo avvocato di fiducia Gianfranco Pagano durante il colloquio sostenuto nel carcere genovese di Pontedecimo.
14 ottobre 2010 ITALIA- SERBIA Arrestati 19 ultrà a Belgrado Maroni all'attacco Sulla guerriglia degli ultrà serbi a Genova, il ministro dell'interno Roberto Maroni ha ribadito che non c'è "nessuna censura alle forze dell'ordine e all'intelligence italiana", ma quanto è avvenuto è stata "una sottovalutazione dell'intelligence serba". Il ministro ha, inoltre, ricordato che se la Uefa "avesse adottato le misure che noi seguiamo in Italia per le partite di calcio, come la tessera del tifoso, certi episodi sarebbero sicuramente evitati". "Sono stato accusato in modo comico dal sindaco di Genova per quanto avvenuto nella sua città, e nel contempo sono state elogiate le forze dell'ordine: io ci rido su perchè ho le spalle larghe". Lo ha detto il ministro degli Interni Roberto Maroni nella conferenza stampa nelle sede della prefettura di Padova parlando dei fatti nel capoluogo ligure durante l'incontro Italia-Serbia. Maroni ha ribadito di essere sempre presente "per prendere le mie responsabilità". In relazione ai fatti avvenuti a Genova, il ministro ha detto di aver "parlato col capo della polizia, con il prefetto, e li voglio elogiare perchè si è rischiata una strage. Solo grazie al sangue freddo delle forze dell'ordine non ci sono stati nè morti nè feriti. È stato uno spettacolo bruttissimo, ma invece di parlare di cosa si è visto vorrei che si parlasse di cosa non è successo". Il ministro ha confermato che non c'è "nessuna censura alle forze dell'ordine e all'intelligence italiana", ma quanto è avvenuto è stata "una sottovalutazione dell'intelligence serba". Il ministro ha infine ricordato che se la Uefa "avesse adottato le misure che noi seguiamo in Italia per le partite di calcio, come la tessera del tifoso, certi episodi sarebbero sicuramente evitati". Il ministro ha poi fatto la cronistoria dei messaggi intercorsi tra la polizia serba e quella italiana in relazione alla presenza dei tifosi di quel Paese. Maroni ha ricordato che l'8 di ottobre l'intelligence serba aveva mandato un messaggio nel quale si parlava della presenza a Genova di un centinaio di tifosi, divisi in due gruppi, che sarebbero rincasati alla fine dell'incontro. "Una nota del genere - ha spiegato Maroni - ci ha indotto a considerare che le nostre forze di polizia avrebbero potuto gestire la situazione con un certo numero di forze dell'ordine. Se ci avessero invece informati che sarebbero arrivate bande criminali che avrebbero messo a ferro e fuoco lo stadio, avremmo agito in maniera diversa. Per cui, nessun appunto viene fatto al prefetto, al capo della polizia e alle forze dell'ordine". La polizia serba ha arrestato 19 hooligans ritenuti responsabili dei gravi incidenti che martedì hanno fatto saltare la partita di Genova tra Italia e Serbia. Il ministero degli interni, Ivica Dacic, ha fatto sapere che gli arresti sono stati effettuati al confine durante i controlli sui pullman dei tifosi, partiti all'alba di ieri da Marassi dopo ore di scontri tra sostenitori serbi e polizia italiana. Gli incidenti di Genova hanno causato il ferimento di 14 tifosi e due agenti e l'arresto sul posto di 17 persone. "Finora 529 tifosi hanno fatto ritorno in patria - ha affermato Dacic ad una radio nazionale - 169 di loro sono già stati individuati dalla polizia". E' di 45 persone denunciate a piede libero, tra cui 4 cittadini comunitari, 35 decreti di espulsione e 8 arresti il bilancio definitivo della notte di guerriglia all'esterno dello stadio Luigi Ferraris. Gli otto ultrà serbi arrestati, con ipotesi di reato che vanno dalla resistenza a pubblico ufficiale al danneggiamento aggravato, dalla violazione delle norme di ordine pubblico al porto abusivo di oggetti atti a offendere, sono stati tutti trasferiti nelle carceri genovesi di Marassi e Pontedecimo in attesa delle udienze di convalida del fermo che, secondo fonti della questura, potrebbero svolgersi già oggi. "Non mi aspettavo che ci fossero problemi politici con l'Italia. Non credevo che la partita sarebbe stata sospesa e non ho nulla a che vedere col le tigri di Arkan". Lo ha detto stamani Ivan Bogdanov, il capo ultrà serbo "incappucciato" arrestato martedì notte, al suo avvocato di fiducia Gianfranco Pagano durante il colloquio sostenuto nel carcere genovese di Pontedecimo.
2010-10-07 7 ottobre 2010 GOVERNO Federalismo, via libera del Cdm su fisco e sanità Primo via libera in Consiglio dei ministri al decreto legislativo sul federalismo fiscale che aumenterà a regime, ossia dal 2015, l'autonomia impositiva delle Regioni per circa 4,5 miliardi. Durante il percorso parlamentare il governo inserirà altri meccanismi di controllo per fare in modo che la maggiore libertà fiscale dei governatori non si tramuti in un aumento del prelievo complessivo. "Pensiamo a un vincolo. Noi non vogliamo aumentare la pressione fiscale, la vogliamo ridurre", ha detto il ministro dell'Economia Giulio Tremonti. "Chiuso il processo del federalismo fiscale il governo chiederà la delega per la riforma fiscale", ha aggiunto. Rispetto alla bozza illustrata ai governatori fino a martedì scorso, il testo definitivo del decreto prevede che il vero motore del fisco regionale sia la compartecipazione all'Iva e non più all'Irpef. La quota di gettito Iva da devolvere, così come i tempi, sarà definita più avanti ma si aggirerà attorno al 45%, ha detto il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli. Un livello grosso modo identico a quello attuale del 44,7%. La bozza originaria prevedeva, invece, la riduzione della compartecipazione dell'Iva al 25%, compensata da un aumento della compartecipazione dell'Irpef. "Pensavamo che l'ipotesi dell'imposta diretta fosse più politica: se compri una lattina di Coca Cola paghi l'Iva ma non pensi certo alla regione. Ma la richiesta delle regioni è stata l'Iva e così abbiamo abbandonato l'ipotesi delle imposte dirette", ha spiegato Tremonti. Il decreto dovrà ora essere sottoposto alla Conferenza Stato-Regioni e poi andrà all'esame delle competenti commissioni di Camera e Senato. Alla fine tornerà in Consiglio dei ministri per l'approvazione definitiva. Primo dei cinque punti sui quali il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha incassato la fiducia del Parlamento, il decreto entrerà in vigore secondo le attese del governo entro dicembre o al massimo entro inizio marzo prossimo. IL DECRETO SARÀ CORRETTO PER EVITARE RIALZO TASSE Il provvedimento aumenta gradualmente nel tempo l'addizionale regionale sull'Irpef che servirà a compensare la riduzione dei trasferimenti statali. Le regioni potranno aumentare l'Irpef dell'1,4% nel 2013, dell'1,8% nel 2014 e del 3% dal 2015. L'addizionale avrà una parte fissa pari allo 0,9%. Oltre a questo 0,9%, le regioni potranno decidere ulteriori rialzi fino a 0,5% nel 2013, 0,9% dal 2014 e 2,1% dal 2015. In base ai dati raccolti dalla commissione tecnica sul Federalismo fiscale relativi al 2008, un punto percentuale Irpef vale 1,43 miliardi. Dalla maggiorazione oltre lo 0,5% sono eslusi pensionati e lavoratori dipendenti dei primi due scaglioni di reddito, cioé fino a 28.000 euro. Il decreto prevede una clausola di garanzia per assicurare che la leva regionale sull'Irpef non porti all'aumento della pressione fiscale complessiva. L'aumento delle addizionali avverrà infatti di pari passo con una riduzione delle "aliquote Irpef di competenza statale", recita il decreto, che sarà integrato durante l'esame parlamentare con altri meccanismi di garanzia. A partire dal 2014 le Regioni potranno ridurre l'Irap fino ad azzerarla, a patto però che non abbiano aumentato l'addizionale Irpef oltre lo 0,5%. "Non esiste la possibilità di scaricare sulle persone fisiche la pressione fiscale delle imprese", ha detto Calderoli. Il decreto conferma la previsione di un fondo di perequazione tra le Regioni per il finanziamento dei servizi essenziali: sanità, istruzione scolastica, assistenza sociale e trasporto pubblico locale. Le risorse arriveranno dalla compartecipazione al gettito Iva. "Il federalismo unisce e non divide, raddrizza l'albero storto della finanza italiana", ha detto soddisfatto Tremonti. COSTI STANDARD. FAZIO VEDE UNA REGIONE MODELLO AL SUD In campo sanitario, il decreto conferma l'individuazione dei costi standard, basati sui risultati di tre regioni modello (benchmark), scelte dalla Conferenza Stato-Regioni in base a una rosa di cinque regioni virtuose indicate dal ministero della Salute di concerto con il ministero dell'Economia. "È possibile che una delle Regioni sia al Sud", ha detto in conferenza stampa il ministro della Salute Ferruccio Fazio. Ultimo capitolo del decreto è il federalismo provinciale, che farà perno sul trasporto su gomma. Dal 2012 sarà tributo proprio delle province l'imposte sulle assicurazioni Rc auto. L'aliquota, pari al 12,5%, potrà aumentare o diminuire di 2,5 punti percentuali dal 2014. Sempre dal 2012 scatterà, con decreto della presidenza del Consiglio, la compartecipazione delle province alla accisa sulla benzina.
7 ottobre 2010 NAPOLI Marcegaglia, perquisito Il Giornale Indagati il direttore Sallusti e Porro Il direttore del quotidiano Il Giornale Alessandro Sallusti e il vicedirettore Nicola Porro sono indagati nell'ambito dell'inchiesta della procura di Napoli sulle presunte minacce alla presidente della Confindustria Emma Marcegaglia. L'ipotesi formulata dai pm e' di concorso in violenza privata (art. 610 del codice penale).Perquisizioni nella sede de 'Il Giornale' e nelle abitazioni di alcuni giornalisti del quotidiano milanese. I provvedimenti sono stati disposti dalla procura di Napoli nell'ambito di una inchiesta su presunte minacce, attraverso la raccolta di un dossier, nei confronti del presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, dopo che l'imprenditrice aveva formulato critiche nei confronti del Governo in alcune sue dichiarazioni. I decreti di perquisizione, eseguiti dai carabinieri, sono stati emessi dai pm Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock e vistati dal procuratore Giovandomenico Lepore. L'ipotesi di reato formulata dai magistrati e' di concorso in violenza privata. L'indagine sarebbe scaturita da alcune intercettazioni disposte nell'ambito di una diversa inchiesta condotta dai magistrati partenopei. Dalle conversazioni e da un sms sarebbe emersa la presunta intenzione di una campagna di stampa nei confronti della Marcegaglia. Il diritto di critica da parte della stampa è fuori discussione ma il giornalista non può utilizzare i propri scritti "per coartare la volontà altrui" perché in questo caso si configura un reato, quello di violenza privata. E', in sintesi, quanto affermano i pm di Napoli Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock, nelle motivazioni alla base della decisione di perquisire la sede de "Il Giornale". "Il giornalista - osservano i magistrati - non solo ha ovviamente il diritto di scrivere quanto ritiene necessario per far conoscere alla pubblica opinione, ma ha anche il diritto di criticare e di farlo in modo anche duro, pungente e veemente". "Può acquisire - scrivono i pm - notizie e informazioni anche riservate e persino segrete (che anzi secondo il codice deontologico dei giornalisti è addirittura tenuto a pubblicare), potendo preservare anche le proprie fonti; ancora il giornalista, fatti salvi ovviamente gli aspetti deontologici, può essere naturalmente fazioso". "Tuttavia - sottolineano Piscitelli e Woodcock - il giornalista (e nessun altro) non ha diritto di utilizzare i propri scritti e le proprie pubblicazioni, o meglio la prospettazione di propri scritti e proprie pubblicazioni, allo scopo di coartare la volontà altrui". A tale proposito i magistrati affermano che quando ciò accade "si configura il delitto di cui all'art. 610 cp ravvisandosi quello che la Suprema Corte di Cassazione ha definito come lo 'sviamento dello scopo' che connota in termini di ingiustizia il male prospettato: nel senso che per configurarsi il reato di violenza privata (ovvero il reato di estorsione, o quello di minaccia semplice, tutte nella fattispecie accomunato nell'elemento costitutivo della minaccia) non è necessario che il male sia di per sé ingiusto, bastando che risulti tale in relazione allo scopo cui la minaccia servi come mezzo". Dunque "è l'ingiustizia dello scopo che rende ingiusto il mezzo utilizzato e ciò anche quando il mezzo non è in sé e per sé ingiusto". "Ci gioviamo di questa iniziativa per farci un po' di pubblicità". Così il direttore editoriale del Giornale, Vittorio Feltri, ha commentato l'inchiesta della procura di Napoli su presunte minacce alla presidente di Confindustria e le perquisizioni nella sede del quotidiano e nelle abitazioni del direttore responsabile e del vicedirettore. "Non c'é un legame - ha spiegato Feltri - tra l'appartamento dei Tulliani e questa vicenda. Sono contento di queste perquisizioni così si renderanno conto che non abbiamo alcun dossier". "Sono amico della signora Marcegaglia - ha spiegato Feltri - che conosco da anni e che stimo anche se lei due settimane fa ha detto che dovevamo smetterla di occuparci delle case dei Tulliani. Noi gli abbiamo risposto a tono dicendo che la presidente di Confindustria non deve intervenire su queste cose". Alla domanda se è a conoscenza dell'esistenza di un'inchiesta sulla presidente di Confindustria, Feltri ha risposto: "Non so se stanno facendo un'inchiesta sulla Marcegaglia". L'ex direttore del quotidiano di via Negri, da alcune settimane passato al ruolo di direttore editoriale, ha quindi proseguito: "Faccio questo lavoro da quarant'anni e capita a volte che qualcuno mi dia una dritta ma io non so cosa siano i servizi deviati". All'osservazione che giorni fa il Giornale ha pubblicato una notizia secondo la quale i giornalisti del quotidiano sarebbero stati spiati, Feltri ha replicato: "questa è una cosa grave perché chi ce l'ha detto è una fonte attendibile". Prima di salire nel suo ufficio, scherzando e mostrando i polsi come se fossero ammanettati, ha concluso: "hanno perquisito gli uffici di Sallusti e di Porro, se vogliono perquisiscano anche il mio, gli do le chiavi". Il direttore de 'Il Giornale', Alessandro Sallusti, ha dato mandato di querelare il procuratore di Napoli, Giandomenico Lepore, per diffamazione con grave danno alla propria reputazione e immagine, in merito alla dichiarazioni rilasciate dal magistrato al sito del Corriere della Sera. "Nel controllare un numero di telefono - ha detto Lepore al Corriere.it, secondo quanto riferisce Sallusti in una dichiarazione - ci siamo resi conto che i colloqui tra i giornalisti del Giornale Alessandro Sallusti e Nicola Porro con il segretario del presidente degli industriali erano tesi a fare cambiare atteggiamento al presidente degli industriali che aveva rilasciato dichiarazioni dure contro il governo". "Non ho mai fatto - ha detto Sallusti - o ricevuto alcuna telefonata, messaggio o e-mail sull'argomento in questione, non ho mai parlato in vita mia con il presidente Marcegaglia, con il suo assistente Rinaldo Arpisella, del quale ho appreso solo oggi l'esistenza, né con persone riconducibili allo staff del presidente di Confindustria".
7 ottobre 2010 VERTICE Berlusconi: nel 2015 interscambio Italia-Cina a 100 miliardi di dollari "La Cina è vicina" ma non deve far paura all'Italia. Anzi le buone relazioni commerciali vanno incrementate - fino a portare gli scambi a 100 miliardi di dollari in 5 anni - con quella che presto sarà la prima potenza mondiale, scalzando gli Stati Uniti. Parola di Silvio Berlusconi che nel bilaterale di stamani a Roma con il primo ministro Wen Jabao ha lodato la "politica dell'armonia" del governo cinese e la "saggezza" che mostra in tutti i consessi internazionali. Non è chiaro se il riferimento sia anche alla politica sui cambi, argomento del quale i due leader non hanno parlato, secondo una fonte governativa. Berlusconi, che questo pomeriggio parteciperà con Wen anche a uno spettacolo al Teatro dell'Opera, ha apprezzato l'impegno di Wen a garantire alle imprese straniere le stesse condizioni di quelle nazionali "per le pratiche burocratiche, il trattamento fiscale e la partecipazione alle gare d'appalto". Nessun accenno invece al rispetto dei diritti umani da parte della potenza d'Oriente. CINA "SAGGIA" SUI TAVOLI INTERNAZIONALI NONOSTANTE YUAN La Cina è nel mirino della comunità internazionale per la debolezza dello yuan che contribuisce ad alimentare l'export del paese asiatico. Ieri a Bruxelles Wen Jabao ha detto che l'Europa deve smettere di far pressione su Pechino perchè apprezzi lo yuan, dal momento che la valuta cinesa verrà rivalutata gradualmente. Berlusconi, aprendo il suo intervento a Villa Madama per l'inaugurazione dell'anno della cultura cinese in Italia, ha ringraziato Wen sottolinendo come "il suo governo stia dando un impulso straordinario al suo Paese". "Esprimo un apprezzamento ammirato per quanto la Cina sta facendo negli ultimi anni sul piano internazionale, per la politica internazionale portata innanzi con molta saggezza, quella che il primo ministro chiama "politica dell'armonia"", ha aggiunto Berlusconi. "La Cina si presenta sempre a tutti i tavoli con la voglia positiva di sedare contrasti e risolvere situazioni, la voglia di portare un contributo di positività e saggezza. Complimenti", ha detto ancora Berlusconi. CINA PRESTO PRIMA POTENZA MONDIALE "Il Pil cinese supererà il 10% quest'anno, la Cina è il primo esportatore mondiale. I suoi ritmi di sviluppo lasciano intendere che presto sarà la prima economia mondiale", ha detto Berlusconi precisando: "Noi guardiamo sempre con un certo timore alla Cina per la presenza sui mercati e la concorrenza alle imprese" ma va vista piuttosto come un enorme mercato di consumi con i suoi abitanti che superano 1,3 miliardi "è un fenomeno straordinario di cui dobbiamo approfittare". Partendo dagli scambi commerciali. "Mi auguro che la nostra collaborazione contribuisca a centrare il target 100 miliardi di dollari [in 5 anni]. Io credo sia possibile anche superarli", ha detto Berlusconi intervenendo a un forum Italia-Cina a Villa Madama nel corso del quale sono stati siglati 10 accordi commerciali del valore di 2,25 miliardi di euro. Wen, confermando l'impegno, ha detto di aver proposto stamani a Berlusconi di "raddoppiare" gli scambi commerciali al 2015 dagli attuali 40 miliardi di dollari sino a 80 mld. "Berlusconi mi ha detto: prendiamo un obiettivo più ambizioso, 100 miliardi. Io ho condiviso il suggerimento e abbiamo convenuto su 100 mld di dollari". La presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, prendendo la parola al forum, ha detto che si tratta di "un obiettivo complesso ma ci crediamo". Wen si è invece lamentato della scarsità degli investimenti italiani in Cina che ammontano a circa 5 miliardi di dollari a fronte dei 60 mld Usa e dei 50 mdl dell'Unione Europea. "Ho detto a Berlusconi che questi numeri sono ancora pochi e non corrispondono ai reali rapporti commerciali fra Italia e Cina. Spero che le imprese italiane possano camminare in prima fila".
2010-10-06 6 Ottobre 2010 Berlusconi: mai pensato a urne, sarebbe facile governo tecnico Silvio Berlusconi ribadisce di non avere mai pensato alle elezioni che sarebbero "un guaio" e dice che, in caso di dimissioni del suo governo, sarebbe facile formare un governo tecnico e questo non è nelle sue intenzioni. Il presidente del Consiglio lo ha detto nel corso di una conferenza stampa a palazzo Chigi, assieme al ministro dell'Economia Giulio Tremonti, sul programma di governo e sul consiglio dei ministri di domani. "Non ho mai minacciato elezioni, le elezioni sarebbero un grosso guaio, ne sono sempre stato convinto", ha detto Berlusconi. Il premier ha poi aggiunto che, "con 60 posti di governo a disposizione, sarebbe facile formare un governo tecnico [nel caso di dimissioni del mio governo]. Non è questo nelle mie intenzioni". Berlusconi si mostra sicuro di poter andare avanti nella legislatura e dice che i deputati e i senatori legati a Gianfranco Fini "per nulla al mondo farebbero mancare il loro voto a questo governo". "Sono assolutamente sereno, basta parlare con deputati e senatori: non c'è nessuno che ha voglia di andare a casa". Il Capo del governo si mostra quindi sicuro di poter andare avanti nella legislatura e dice che i deputati e i senatori legati a Gianfranco Fini "per nulla al mondo farebbero mancare il loro voto a questo governo". Berlusconi non si scompone neppure quando i cronisti gli fanno notare che si dichiara per il voto anticipato anche la Lega Nord: "Il ministro [delle Riforme e leader della Lega Umberto] Bossi bisogna sempre interpretarlo. Io ho la chiave interpretativa e quindi sono assolutamente tranquillo". 5 PUNTI IN 5 CDM, DOMANI FEDERALISMO, POI GIUSTIZIA Berlusconi ha convocato la conferenza stampa per annunciare l'accelerazione sui cinque punti dell'agenda governativa sui quali ha ottenuto la fiducia del Parlamento. Si comincia subito domani con il varo di un unico decreto legislativo (anziché tre distinti) che introdurrà l'autonomia fiscale delle regioni, i costi standard della sanità e il Federalismo provinciale. "Abbiamo ritenuto che valesse la pena concentrarli in un solo provvedimento. Lo approveremo domattina in Cdm", ha detto Berlusconi. "Il decreto dovrà essere sottoposto alla Conferenza Stato-Regioni, quindi passerà all'esame del Parlamento. Alla fine il decreto tornerà in Cdm per l'approvazione definitiva. Pensiamo possa arrivare all'approvazione definitiva entro dicembre o al massimo il 5 marzo prossimo", ha aggiunto. Berlusconi nega che il Federalismo sia stato posto come primo punto per le pressioni della Lega: "Il Federalismo era programmato come primo anche perché la legge era stata approvata per prima". Il secondo Consiglio dei ministri si occuperà di giustizia. Non sarà la prossima settimana ma quella successiva. "Poi sarà la volta del Cdm sulla sicurezza e sull'immigrazione, del Cdm sul Sud in una città del Mezzogiorno e infine di quello sulla riforma tributaria". Il governo non rinuncia alla riforma fiscale, ma avverte che i tempi sono lunghi. Dice Berlusconi: "La riforma tributaria comincerà con una serie di provvedimenti che si prolungherà nel tempo. Il percorso di riforma non potrà spegnersi in pochi interventi". Le direttrici su cui orientare l'azione dell'esecutivo sono sempre l'introduzione del quoziente familiare e la riduzione dell'Irap. MISURE SVILUPPO? ITALIA NON PUÒ CRESCERE COME ALTRI Rimasto in ombra per buona parte della conferenza stampa, Tremonti viene tirato in ballo quando i cronisti gli chiedono se il governo stia studiando anche misure a sostegno dello sviluppo. Berlusconi non gli dà il tempo di rispondere e subito dice: "Noi non possiamo crescere come gli altri Paesi perché abbiamo sulle spalle eredità pesanti lasciate dai governi precedenti". I fardelli dell'Italia, spiega il premier, sono "il debito pubblico, la rinuncia al nucleare che porta l'energia a costare il 30-50% in più di quanto dovrebbe, l'oppressione burocratica, la carenza di infrastrutture e un sistema della giustizia che ha tempi che sono il doppio e il triplo degli altri paesi". "Questo programma molto stretto di lavoro dovrà essere la risposta alla politica delle chiacchiere, che ha portato uno spettacolo deteriore della politica", dice Berlusconi. "Ho da darvi una comunicazione di servizio: il presidente del Consiglio ha un indice di fiducia calcolato su competenza, credibilità e capacità di ricoprire il proprio ruolo del 60,2% stamattina. Il tutto è testimoniato dal traffico che si ferma quando il presidente del Consiglio arriva dovunque in Italia", dice Berlusconi chiudendo la conferenza stampa.
5 ottobre 2010 FLI Fini: non faremo un partito ma un movimento politico "Non ho in mente un partito. Dobbiamo puntare su un movimento politico di opinione organizzato, che aggrega. Non certo ad una struttura pesante e radicata sul territorio". È quanto ha detto il leader di Fli, Gianfranco Fini, parlando con i suoi nella sede di Farefuturo. "Non voglio più commettere gli errori che ho fatto con Alleanza nazionale. Se partiamo con la logica dei colonnelli e dei soldati, rischiamo di replicare quegli errori". È quanto ha detto Gianfranco Fini ai suoi, parlando nella sede di FareFuturo e avviando il percorso che porterà alla nascita di Fli. "Quella di oggi è una riunione tra le più importanti per avviare il percorso di un partito che viene concepito oggi ma nascerà più avanti. Il comitato promotore siete tutti voi. Però d'ora in poi parliamo di politica: non voglio più gelosie e personalismi, niente falchi e colombe. La barca è di tutti e tutti dobbiamo remare nella stessa direzione".
"Non avviare oggi il percorso che porterà al partito, dopo ciò che è successo, vuol dire rimanere in mezzo al guado" ha spronato i suoi Fini. "C'è effervescenza sul territorio e dobbiamo far nascere il nuovo soggetto politico", ha aggiunto. La prima tappa è quella di Perugia, dove il 6 e 7 novembre è da tempo fissata la convention di Generazione Italia. "Non può più essere un appuntamento solo di Generazione Italia - ha detto chiaramente Fini - ma da oggi si dovrà parlare solo di Futuro e Libertà e raccordare i diversi soggetti che compongono l'arcipelago che ruota intorno a Fli". A Perugia "bisognerà spiegare bene il messaggio e l'identità del partito che nascerà, individuando punti valoriali e programmatici di un ideale manifesto da presentare alla convention". "Serve uno sforzo di elaborazione - ha spronato Fini -e poi dovrà partire una campagna di adesione al manifesto sul territorio, per arrivare quindi, a metà gennaio, ad un altro appuntamento". Fini non ha detto esplicitamente che si tratta della convention di Milano, ma lo ha fatto capire con una battuta: "A me piace giocare in trasferta". Quanto alla struttura, il leader di Fli ha spiegato di avere in mente "non un partito, ma un movimento politico di opinione, che aggrega". "Non una struttura radicata sul territorio e pesante - ha aggiunto - nè una struttura tradizionale con una gerarchia piramidale, ma un movimento, che dovrà autofinanziarsi, e che per ora non prevede incarichi ma tre gruppi di lavoro: uno per reperire risorse, uno per elaborare la bozza di manifesto programmatico, uno per organizzare gli eventi di Perugia e Milano".
2010-10-04 4 ottobre 2010 MILANO "Commissione d'inchiesta sui giudici". È bufera Una commissione di inchiesta sui giudici. L'ha chiesta domenica il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, nei confronti di "certa magistratura" che "usa la giustizia per eliminarmi dalla vita politica". Il premier, dalla festa del Pdl a Milano, non ha usato mezzi termini: in Italia, ha denunciato, "la sovranità è trasferita dal popolo ai pm. Se una legge non piace, loro la impugnano e ricorrono alla Corte Costituzionale formata, lo sappiamo tutti, da 11 giudici di sinistra che sotto la pressione dei pm di sinistra abrogano le leggi". Una presa di posizione che incontra, ancor prima delle accuse dell'opposizione (Di Pietro annuncia querela), il gelo di Futuro e Libertà che con il capogruppo alla Camera, Italo Bocchino, fa sapere che "l'Italia non ha bisogno di vedere il Parlamento impegnato in una Commissione d'inchiesta contro la magistratura, che per Fli è baluardo di legalità e sicurezza. Se Berlusconi ha storture da denunciare le metta nero su bianco e le invii al Csm", scandisce Bocchino, precisando che "la nostra disponibilità parlamentare su questo argomento non c'è, non facendo parte del programma di governo e non avendone discusso in maggioranza". Ma Berlusconi, nel suo discorso al Castello Sforzesco, non ha dubbi che la strada, in questo senso, sia segnata: "C'è un potere dentro la magistratura - ha spiegato - che ci tiene sotto scopa" ed è quindi "nostro diritto e dovere di chiedere una commissione con i poteri dei pm affinché si indaghi su cosa è accaduto in questi anni, anche a difesa dei giudici onesti". Pd e Idv gridano al "golpe" e chiedono l'intervento di Napolitano per il tentativo di delegittimare le istituzioni. Tesi sposata in pieno dall'Anm che nella serata di domenica ha diffuso una nota per "ribadire la forte preoccupazione per i continui attacchi che rischiano di delegittimare un'istituzione dello Stato". Il presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara, ha preso anche le difese del Pm Fabio De Pasquale, già attaccato ieri dal capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri e definito "un famigerato" da Berlusconi: "I magistrati - assicura - non si lasceranno comunque intimidire e continueranno ad applicare la legge secondo i principi della Costituzione". "Non vogliamo fare una riforma contro i giudici ma per i giudici onesti e per i cittadini", aveva detto dal palco Berlusconi. "Nessuno deve temere indagini se non ha nulla da nascondere", gli fanno eco in molti dal Pdl. "I magistrati onesti e capaci non hanno nulla da temere", sottolinea il portavoce del Pdl Daniele Capezzone avvertendo però che i lavori della Commissione "dovranno concentrarsi su quelli politicizzati, e faziosi" che "danneggiano tra l'altro il lavoro dei loro colleghi e l'immagine della giustizia davanti ai cittadini". Quegli stessi Pm che, secondo il premier, tengono "in mano Spatuzza". Parole, queste, che secondo Sonia Alfano (Idv) "sono uno stimolo per attentati ai Pm".
4 ottobre 2010 VISITA A PALERMO Benedetto XVI ai siciliani: "Non abbiate paura" "A Palermo, come anche in tutta la Sicilia, non mancano difficoltà, problemi e preoccupazioni: penso, in particolare, a quanti vivono concretamente la loro esistenza in condizioni di precarietà, a causa della mancanza del lavoro, dell’incertezza per il futuro, della sofferenza fisica e morale" e "a causa della criminalità organizzata. Oggi sono in mezzo a voi per testimoniare la mia vicinanza e il mio ricordo nella preghiera". Lo ha detto, ieri mattina, Benedetto XVI, nella celebrazione eucaristica al Foro Italico di Palermo, dove il Pontefice si è recato in occasione del raduno ecclesiale regionale delle famiglie e dei giovani. Testimoniare la fede. "Sono qui – ha aggiunto - per darvi un forte incoraggiamento a non aver paura di testimoniare con chiarezza i valori umani e cristiani, così profondamente radicati nella fede e nella storia di questo territorio e della sua popolazione". Il Papa ha invitato a conservare il "prezioso tesoro di fede della vostra Chiesa; siano sempre i valori cristiani a guidare le vostre scelte e le vostre azioni!". A fedeli laici ha ripetuto: "Non abbiate timore di vivere e testimoniare la fede nei vari ambiti della società, nelle molteplici situazioni dell’esistenza umana, soprattutto in quelle difficili!". La fede dona "la forza di Dio per essere sempre fiduciosi e coraggiosi, per andare avanti con nuova decisione, per prendere le iniziative necessarie a dare un volto sempre più bello alla vostra terra". Il Pontefice ha anche esortato a non vergognarsi "di dare testimonianza al Signore nostro": "Ci si deve vergognare del male, di ciò che offende Dio, di ciò che offende l’uomo; ci si deve vergognare del male che si arreca alla comunità civile e religiosa con azioni che non amano venire alla luce! La tentazione dello scoraggiamento, della rassegnazione, viene a chi è debole nella fede, a chi confonde il male con il bene, a chi pensa che davanti al male, spesso profondo, non ci sia nulla da fare". "Popolo di Sicilia, guarda con speranza al tuo futuro! Fa’ emergere in tutta la sua luce il bene che vuoi, che cerchi e che hai! Vivi con coraggio i valori del Vangelo per far risplendere la luce del bene! Con la forza di Dio tutto è possibile!", ha sostenuto. La via della santità. "La Sicilia è costellata di santuari mariani, e da questo luogo, mi sento spiritualmente al centro di questa "rete" di devozione, che congiunge tutte le città e tutti i paesi dell’Isola". Così il Papa all’Angelus. La Vergine, è stato l’auspicio, "sostenga le famiglie nell’amore e nell’impegno educativo; renda fecondi i germi di vocazione che Dio semina largamente tra i giovani; infonda coraggio nelle prove, speranza nelle difficoltà, rinnovato slancio nel compiere il bene. La Madonna conforti i malati e tutti i sofferenti, e aiuti le comunità cristiane affinché nessuno in esse sia emarginato o bisognoso". A Maria, modello di vita cristiana, il Pontefice ha chiesto soprattutto di far camminare i siciliani "sulla via della santità". Ha poi ricordato che stamattina, a Parma, è stata proclamata beata Anna Maria Adorni, che, "a motivo della sua costante preghiera, veniva chiamata "Rosario vivente"". Il ricordo di don Puglisi. Nell’incontro con i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i seminaristi nella cattedrale di Palermo, oggi pomeriggio Benedetto XVI ha ricordato che il sacerdote è "portatore di una speranza forte, di una "speranza affidabile" quella di Cristo, con la quale affrontare il presente, anche se spesso faticoso". Non è mancato un pensiero a don Giuseppe Puglisi, ucciso dalla mafia, il quale "aveva un cuore che ardeva di autentica carità pastorale; nel suo zelante ministero ha dato largo spazio all’educazione dei ragazzi e dei giovani, e insieme si è adoperato perché ogni famiglia cristiana vivesse la fondamentale vocazione di prima educatrice della fede dei figli. Lo stesso popolo affidato alle sue cure pastorali ha potuto abbeverarsi alla ricchezza spirituale di questo buon pastore, del quale è in corso la causa di beatificazione". Di qui l’esortazione "a conservare viva memoria della sua feconda testimonianza sacerdotale imitandone l’eroico esempio". Il no alla mafia. L’esempio di Chiara Badano, morta a 19 anni per una malattia incurabile e beatificata il 25 settembre a Roma: lo ha offerto come modello da seguire Benedetto XVI, incontrando i giovani e le famiglie della Sicilia, ieri sera, in Piazza Politeama. Gli ultimi due anni di Chiara sono stati "pieni anche di dolore, ma sempre nell’amore e nella luce", sicuramente per "una grazia di Dio", che è stata, però, "anche preparata e accompagnata dalla collaborazione umana", quella di Chiara stessa, dei suoi genitori e dei suoi amici, ma prima di tutto "i genitori, la famiglia". Il primo messaggio del Pontefice è questo: il rapporto tra i genitori e i figli "è fondamentale" perché è "la fiaccola della fede che si trasmette di generazione in generazione". Anche in Sicilia "ci sono splendide testimonianze di giovani cresciuti come piante belle, rigogliose, dopo essere germogliate nella famiglia, con la grazia del Signore e la collaborazione umana", come la beata Pina Suriano, le venerabili Maria Carmelina Leone e Maria Magno, i servi di Dio Rosario Livatino e Mario Giuseppe Restivo. "Spesso – ha ammesso il Pontefice - la loro azione non fa notizia, perché il male fa più rumore, ma sono la forza, il futuro della Sicilia!". Il Papa ha offerto l’immagine dell’albero "molto significativa per rappresentare l’uomo": "Cari giovani di Sicilia, siate alberi che affondano le loro radici nel "fiume" del bene! Non abbiate paura di contrastare il male! Insieme, sarete come una foresta che cresce, forse silenziosa, ma capace di dare frutto, di portare vita e di rinnovare in modo profondo la vostra terra! Non cedete alle suggestioni della mafia, che è una strada di morte, incompatibile con il Vangelo". Sulla via di ritorno verso l'aeroporto di Palermo, a conclusione della sua visita nel capoluogo siciliano, Benedetto XVI si è fermato lungo l'autostrada nel luogo della strage di Capaci, dove il 23 maggio '92 furono uccisi Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli uomini della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Come un mosaico. La famiglia è "piccola Chiesa", perché "trasmette Dio, trasmette l’amore di Cristo, in forza del sacramento del matrimonio. L’amore divino che ha unito l’uomo e la donna, e che li ha resi genitori, è capace di suscitare nel cuore dei figli il germoglio della fede, cioè la luce del senso profondo della vita". Ma la famiglia, per essere "piccola Chiesa", deve vivere ben inserita nella "grande Chiesa", cioè "nella famiglia di Dio che Cristo è venuto a formare", anche attraverso i movimenti e le associazioni ecclesiali. Pur nella consapevolezza delle difficoltà dei giovani e delle famiglie di oggi, in particolare nel Sud d’Italia, il Pontefice ha ringraziato i presenti in quanto "segno di speranza non solo per la Sicilia, ma per tutta l’Italia. Io vi ho portato una testimonianza di santità, e voi mi offrite la vostra: i volti dei tanti giovani di questa terra che hanno amato Cristo con radicalità evangelica; i vostri stessi volti, come un mosaico! Ecco il dono più grande che abbiamo ricevuto: essere Chiesa, essere in Cristo segno e strumento di unità, di pace, di vera libertà. Nessuno può toglierci questa gioia! Nessuno può toglierci questa forza! Coraggio, cari giovani e famiglie di Sicilia! Siate santi!".
2010-10-02 2 ottobre 2010 IL PREMIER Barzellette finite su Internet scatenano un altro putiferio Prima la barzelletta sugli ebrei avidi di quattrini. Poi quella che prende di mira ancora una volta Rosy Bindi e si conclude con una sonora bestemmia. Due video pubblicati sui siti di Repubblica e dell’Espresso inguaiano Silvio Berlusconi. Lui si giustifica (per la seconda): non è offensiva, non credo qualcuno si sia turbato. Le opposizioni si indignano, Bindi chiede che il Premier si scusi con i cattolici, altri ricordano che i calciatori e i partecipanti ai reality che bestemmiano vengono espulsi. La storiella sull’ebreo che si fa pagare profumatamente per nascondere un amico durante il nazismo, Berlusconi la racconta la sera del suo compleanno, giovedì 29, ai militanti che gli fanno gli auguri quando esce da palazzo Grazioli. Una telecamera amatoriale riprende tutto, e il video finisce sul sito di Repubblica. Proprio all’indomani delle scuse del Cavaliere agli ebrei e a Israele, per rimediare all’uscita antisemita del senatore Ciarrapico. Dopo la barzelletta Berlusconi aggiunge: " Io colleziono una storiella al giorno. E anche una ragazza al giorno". Netta la reazione di Amos Luzzatto, presidente della comunità ebraica di Venezia ed ex responsabile dell’Unione delle comunità ebraiche italiane: "Prima di recuperare antichi stereotipi antisemiti di discutibile gusto – dice – un uomo pubblico farebbe bene a usare cautela. Su questi pregiudizi nei secoli si sono giustificate le peggiori discriminazioni e violenze". "La storia ci insegna – dice Italo Bocchino del Fli – a essere tutti molto più rispettosi verso gli ebrei". La storiella con bestemmia è molto più datata. Berlusconi la racconta a un gruppo di militari prima del G8 a L’Aquila di luglio 2009. L’Espressola mette in rete ora. Dopo che Berlusconi - chiedendo la fiducia in Parlamento - ha preso impegni sui temi della bioetica. Immediata la tempesta di critiche. Berlusconi prova a scusarsi: "È una storiella circolata un anno fa in tutto il Parlamento. Averla raccontata in privato non è né un offesa né un peccato – sostiene – è solo una risata. Il cattivo gusto e la responsabilità sono casomai di chi la pubblicizza. Mi dispiace solo se qualcuno nella sua sensibilità si sia sentito turbato. Ma non ci credo. È soltanto un pretesto per attacchi strumentali e ipocriti". Ma le reazioni sono irrefrenabili. A partire dal Pd. Dice Rosy Bindi: "Prima che a me, deve chiedere scusa a tutti i credenti, alla Chiesa e alla stampa cattolica di cui si è vantato di avere l’attenzione". "È incredibile che una persona capace di simili volgarità possa governare il Paese" attacca Pier Luigi Bersani. Duro anche Walter Veltroni: "Berlusconi che deride gli ebrei e il sentimento religioso è la dimostrazione dell’assoluto degrado civile in cui ha precipitato il Paese". Per Enrico Gasbarra il Cavaliere "in Parlamento si fa paladino dei valori etici, non perde occasione per dichiararsi espressione del mondo cattolico. Poi in privato offende le donne e bestemmia". Anche per Francesco Garofani "la bestemmia rivela che considerazione ha della fede e di come sia solo strumentale e ipocrita il suo continuo appellarsi alla Chiesa". Sarcastico Roberto Zaccaria che ricorda gli attacchi del Pdl per le bestemmie all’Isola dei Famosi in Rai e al Grande Fratello in Mediaset. Provocatorio anche il presidente della provincia di Roma, Nicola Zingaretti: "Se un calciatore bestemmia, viene espulso. E il premier?". Severa anche Paola Binetti dell’Udc: "Il "no" alla bestemmia è un dovere assoluto anche per chi non ha fede, perché non è mai lecito irridere i valori in cui altri credono". E il portavoce dell’Idv, Leoluca Orlando, dice che Berlusconi "è ossessionato da una visione sessista e maschilista del mondo. Un cattolico solo a parole". Dal Pdl qualche voce in difesa. Giovanni Mottola accusa la sinistra di "moralismo di maniera". Per Francesco Casoli "Berlusconi piace agli italiani perché è dotato di ironia". E secondo Osvaldo Napoli "l’antiberlusconismo si nutre di un fanatismo e di un perbenismo che raggelano il sangue". Luca Liverani
2 ottobre 2010 Barzelletta del premier con insopportabile bestemmia Un più alto dovere di sobrietà e di rispetto Ci mancava solo la bestemmia dentro la barzelletta del presidente. Un video – puntuale come una maledizione – ce l’ha servita via internet, mentre un altro video – sempre tramite web – ci ha proposto un Silvio Berlusconi che giochicchia con consunti stereotipi sugli ebrei. Tutto questo ieri, all’indomani della riconfermata fiducia al governo e delle parole pesate e pesanti che il presidente del Consiglio dei ministri aveva pronunciato nelle aule di Camera e Senato, tra l’altro sottolineando la sua ben nota amicizia per Israele e riaffermando l’impegno dell’esecutivo a sviluppare una politica responsabile ed eticamente attenta su tematiche delicatissime, care anche e soprattutto al mondo cattolico. Si potrebbe ragionare all’infinito sullo strano timer che governa il "rilascio" mediatico – come se si trattasse di mangime per pesci o polli – di battute e gaffe "private" (o semi-pubbliche) del premier. E non sarebbe un ragionare strano o inutile. Ma il problema principale stavolta non è il timer. Il problema è il deposito di battute e gaffe (vere o presunte). Il problema è che dal deposito sia affiorata anche un’insopportabile bestemmia (anche se vecchia di mesi e mesi non è, purtroppo, meno tale). C’è una cultura della battuta a ogni costo che ha preso piede e fa brutta la nostra politica. E su questo tanti dovrebbero tornare a riflettere. E farebbero bene a pensarci su davvero anche coloro che bestemmie di vario tipo e barzellette mediocri (tristemente dilaganti tra pseudo-satira e pseudo-cultura) non le sopportano solo quando spuntano sulla bocca di un avversario, meglio se di Silvio Berlusconi. Ma su ogni uomo delle istituzioni, su ogni ministro e a maggior ragione sul capo del governo grava, inesorabile, un più alto dovere di sobrietà e di rispetto. Per ciò che si rappresenta, per i sentimenti dei cittadini e per Colui che non va nominato invano. <+nero>(mt) Marco Tarquinio
1 ottobre 2010 POLITICA E GIUSTIZIA Attacco del premier ai giudici Anm: alimenta tensione "Nella magistratura c’è un’associazione a delinquere che vuole sovvertire il risultato delle elezioni... Che vuole eliminare colui che è stato eletto dagli elettori...". Le parole di Silvio Berlusconi non sono nitide, ma l’obiettivo del suo atto d’accusa è chiaro: ancora una volta sono le toghe politicizzate a finire nel mirino dell’inquilino di Palazzo Chigi. È il 29 settembre. Il premier ha passato il giorno del suo 74° compleanno a Montecitorio per il voto di fiducia sulla verifica per poi rientrare a Palazzo Grazioli. A mezzanotte decide di scendere sotto la sua residenza romana per fermarsi con un gruppo di sostenitori che l’aspettano per fargli gli auguri. Lui parla, molti ascoltano, uno riprende e quel video è da ieri su Repubblica.it. Le immagine sono sfocate. Si vede il premier sorridere. Agitare le mani. Interrogare i presenti. Raccontare che tutti sono contro di lui. Il centro, la sinistra, i giornali... È un comizio che, inevitabilmente, si trasforma in una reprimenda contro un pezzo di magistratura. E che si conclude con una proposta nemmeno nuova: serve una commissione parlamentare d’inchiesta sulle toghe. La polemica è inevitabile. L’Associazione nazionale magistrati non ci sta. "Avevamo scelto di tacere di fronte alle invettive quotidiane del premier, ma l’assurdità delle ultime esternazioni non può restare senza risposta... Così si contribuisce solo ad alimentare un clima di tensione che nuoce al Paese". La risposta è immediata, dura, inevitabile. Bondi non ci sta: è un’intromissione indebita ed anomala. Il sindacato delle toghe però va dritto: "Si trascurano del tutto le reali emergenze del sistema giudiziario". Ora la replica è di Paolo Bonaiuti, il portavoce del premier: vogliamo "dare nuovi fondi alla giustizia per farla uscire dalla terribile palude di 9,5 milioni di cause pendenti tra civili e penali". Non basta. Oramai la polemica è divampata. Futuro e libertà alza la voce. "Le associazioni a delinquere sono quelle che i magistrati combattono. Dobbiamo limitare le storture che ci sono in ogni settore e dare più forza alla magistratura che indaga sulle associazioni a delinquere, quelle vere", avverte Italo Bocchino, il capogruppo a Montecitorio. Parlano magistrati e parlano politici. Per Giancarlo Caselli, il procuratore generale di Torino, Berlusconi usa "argomenti logori" e avverte: "Niente di nuovo sotto il sole, penso che ci siano cose più importante nel nostro Paese". Riavvolgiamo il film. Il j’accuse del premier parte dalle critiche al processo Mills. "È tutta una barzelletta", ripete il capo del governo che mette sotto accusa il pm di Milano, Fabio De Pasquale. "È quello che ha attaccato Craxi e fatto morire Cagliari... E ora visto che il processo sta arrivando alla prescrizione si è inventato la seguente storia: il reato di corruzione non scatta più quando il corruttore dà i soldi al corrotto, ma quando il corrotto comincia a spendere quei soldi". Berlusconi attacca. "C’è un macigno sul nostro sistema democratico, che è costituito da questa organizzazione interna. Ci sarebbe da chiedere una commissione parlamentare che faccia nomi e cognomi e dica se, come credo io, c’è una associazione a delinquere nella magistratura". È un attacco senza fine. Berlusconi non si ferma. "Quando esce una legge che al pm non va, lui la impugna e la porta all’attenzione della Corte Costituzionale e questa la abroga". Il premier allarga l’attacco. Colpisce i ""sagrestani della politica", veri e propri imprenditori della politica", boccia senza appello un bel pezzo d’informazione. "Quando la sera accendo la televisione è una cosa devastante. A parte che adesso è ricominciato AnnoZero... Non c’è alcun contraddittorio". La tensione è alta. Di Pietro suona la carica: "Berlusconi si è reso conto che, nonostante la ventina di leggi ad personam, non riesce a fermare la magistratura. Per questo ha deciso di fare una legge ad hoc al fine di istituire una commissione d’inchiesta volta a punire in Parlamento i magistrati che lo stanno processando". Il Pd lo segue e Rosy Bindi sferra l’affondo: "Berlusconi annuncia una commissione di inchiesta sui magistrati. Noi ne faremo una su di lui e sulla P3". Arturo Celletti
2010-10-01 2 ottobre 2010 CONSIGLIO PERMANENTE Cei: cattolici decisivi per unità e crescita del Paese "Quelli che definiamo ‘valori irrinunciabili’ costituiscono degli aspetti inseparabili gli uni dagli altri e sono a fondamento di una compiuta realizzazione della persona nei suoi rapporti e nelle esigenze della convivenza con gli altri sul piano sociale": lo ha detto stamane il segretario generale della Cei, mons. Mariano Crociata, nella conferenza stampa al termine dei lavori del Consiglio episcopale permanente, rispondendo ad una domanda sui temi della bioetica e delle scelte politiche su federalismo e sud d’Italia. "La difesa di questi valori che riguardano la persona e la vita – ha aggiunto – è apprezzata da chiunque venga. Quanto al federalismo i vescovi hanno costantemente espresso un giudizio non negativo sul processo in corso, ma sottolineando che tale federalismo ha l’esigenza di essere solidale e di salvaguardare l’unità del Paese". Circa "l’attenzione al Sud", mons. Crociata ha poi aggiunto che "tale esigenza deve tenere presente da un lato il valore della solidarietà nazionale e dall’altro la responsabilità delle stesse regioni del sud, che sono chiamate a coinvolgersi e a farsi carico dell’impegno di crescita e sviluppo". "L'‘angustia per la situazione italiana’ espressa dal presidente della Cei cardinale Bagnasco attesta che la Chiesa ha a cuore la situazione del Paese ed esprime e conferma la volontà di reciproca collaborazione con lo Stato per il bene del Paese stesso": ha poi detto il segretario generale della Cei, mons. Mariano Crociata. "La Chiesa vive accanto e con la gente e ne coglie le aspettative orientate a una gestione della cosa pubblica per far fronte a esigenze concrete e reali – ha poi aggiunto – mentre tutti riscontriamo le difficoltà e i drammi, personali e sociali, prodotti dalla crisi economica". Ha poi precisato che "non c’è nessuna competenza da parte nostra sulla fase politica di breve o lungo periodo. Piuttosto registriamo le attese delle persone e delle famiglie, per i problemi quotidiani che tutti siamo chiamati ad affrontare e risolvere. Tutto quanto viene fatto di positivo in questo senso ha il nostro plauso", ha concluso. Sul tema della pedofilia tra il clero ha poi ribadito il numero dei casi all’attenzione della Cei, già riferiti alcuni mesi fa ("un centinaio") e ha affermato che "la risposta propria di ogni conferenza episcopale va rispettata perché rispondente alle diverse situazioni nazionali".
"Non risulta che ci siano flessioni nell’8 per mille che i cittadini scelgono di destinare alla Chiesa cattolica": lo ha detto in conferenza stampa mons. Mariano Crociata, rispondendo a una domanda dei giornalisti. "Questa modalità di sostegno alla Chiesa – ha aggiunto – si conferma una forma apprezzata e condivisa di democrazia fiscale. Da parte nostra confermiamo la fiducia e il rispetto di quanto esprimono i fedeli che sanno valutare la presenza e l’azione della Chiesa all’interno della società italiana". Collegandosi alle domande sulla pedofilia tra il clero, ha poi aggiunto che "gli stessi fedeli comprendono e apprezzano la larga prevalenza di impegno e dedizione dei preti che lavorano con amore al servizio del Vangelo tra la gente". Il segretario generale della Cei ha ricordato la scelta di non aumentare il parametro di remunerazione del clero "come forma di compartecipazione alle difficoltà odierne vissute da molte persone". A proposito del "Prestito della Speranza" per le famiglie colpite dalla crisi, ha precisato che "sono stati abbassati i limiti precedentemente fissati per l’accesso a questa forma di aiuto che, come noto, prevede l’impegno morale alla restituzione". Mons. Crociata ha poi detto che "rimane elevatissima la generosità degli italiani verso le situazioni di difficoltà, come nel caso del terremoto in Abruzzo". "Non solo rinnovo dell’auspicio sulla presenza dei cattolici in politica, ma un impegno concreto da parte dei vescovi per accompagnare tale presenza": è quanto affermato da mons. Mariano Crociata, nella conferenza stampa di questa mattina a Roma. "Il Consiglio permanente ha espresso la decisione di avviare un percorso che vedrà l’impegno dei vescovi nella crescita della coscienza e di un coinvolgimento dei singoli in materia di impegno nel campo politico e sociale", ha poi affermato. Ha quindi parlato del tema dell’Unità d’Italia, ricordando la commemorazione svoltasi lo scorso 20 settembre a Porta Pia, alla presenza del Segretario di Stato cardinale Tarcisio Bertone. Citando come esempio il seminario dello scorso maggio organizzato dal Comitato per le Settimane Sociali e dall’Arcidiocesi di Genova sull’unità nazionale, mons. Crociata ha quindi espresso la sua idea in proposito: "La riflessione storica ha mostrato come la presenza dei cattolici nel nostro Paese sia stata un fattore decisivo e abbia contribuito in modo rilevante alla storia dell’unità nazionale, ben prima della firma del Concordato".
1 ottobre 2010 POLITICA Attacco ai giudici e barzellette Berlusconi: solo una risata "Quella di cui si parla è una storiella circolata un anno fa in tutto il Parlamento. Averla raccontata, in privato, non è né un'offesa né un peccato, è solo una risata". Lo afferma, in una dichiarazione, il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. "Il cattivo gusto e la responsabilità sono casomai di chi la pubblicizza. Mi spiace solo se qualcuno nella sua sensibilità si sia sentito turbato. Ma non ci credo. È soltanto un pretesto per attacchi strumentali e ipocriti", conclude. LE REPLICHE "Queste invettive contribuiscono solo ad alimentare un clima di tensione che nuoce al Paese e si trascurano del tutto le reali emergenze del sistema giudiziario". Lo afferma l'Associazione nazionale magistrati a proposito delle esternazioni del premier sulla giustizia. "Addirittura, oggi, secondo l'on. Berlusconi l'intera magistratura italiana, fino alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sarebbe parte di un'associazione a delinquere diretta a sovvertire l'ordinamento democratico dello Stato. È paradossale - prosegue l'Anm - che una carica dello Stato compia un'opera di delegittimazione e discredito di tale portata nei confronti di un'istituzione che, invece, dovrebbe essere supportata nell'azione di contrasto alle diverse forme di criminalità". "Penso che questa volta il presidente del Consiglio prima che a me debba chiedere scusa a tutti i credenti di questo Paese, alla Chiesa e quella stampa cattolica di cui ieri si è vantato di avere l'attenzione". Lo afferma Rosy Bindi, vicepresidente della Camera dei deputati e presidente dell'Assemblea nazionale del Pd. LA VICENDA All'interno della magistratura "c'è un'associazione a delinquere che vuole sovvertire il risultato delle elezioni" ed "eliminare colui che è stato eletto dagli elettori": per questo serve "una commissisone parlamentare d'inchiesta" sulle toghe. È la sera del 29 settembre, giorno del suo 74esimo compleanno e vigilia del voto di fiducia al Senato e Silvio Berlusconi incontra sotto Palazzo Grazioli un gruppo di sostenitori. Il premier, secondo quanto emerge da un video pubblicato da Repubblica.it, improvvisa un comizio in cui parla di magistratura e politica, polemizza con i "sagrestani" della politica e racconta una barzelletta sugli ebrei. L'affondo del premier inizia con riferimento al processo Mills, che "è tutta una barzelletta". Il pm di Milano, De Pasquale, "che è quello che ha attaccato Craxi e fatto morire Cagliari - continua Berlusconi - visto che il processo sta arrivando alla prescrizione si è inventato la seguente storia: il reato di corruzione c'è quando il corruttore dà i soldi al corrotto. Ma per lui no, si è inventato che c'è il reato di corruzione soltanto quando il corrotto comincia a spendere i soldi. Per cui se il corrotto è uno che risparmia, il reato non è stato consumato... la cosa drammatica e tragica è che tre diversi collegi, primo grado, secondo grado, appello e Cassazione, hanno asseverato questa tesi, dimostrando quindi che c'è un accordo tra i giudici di sinistra che vuol sovvertire il risultato elettorale, e che attraverso questo accordo, questa interpretazione assurda della giustizia, vogliono eliminare colui che è stato eletto... quindi c'è un macigno sul nostro sistema democratico, che è costituito da questa organizzazione interna... ci sarebbe da chiedere una commissione parlamentare che faccia nomi e cognomi e dica se, come credo io, c'è una associazione a delinquere nella magistratura". "Quando esce una legge che al pm non va - prosegue il premier - lui la impugna e la porta all'attenzione della Costituzionale e la Corte la abroga", aggiunge Berlusconi. E allora ditemi: in che mani è la sovranità del Paese? È nelle mani dei pm di sinistra. Io sono disperato, certe volte. Tutte le volte che c'è un processo che mi riguarda mi danno dell'impunito. E invece nessuno, nemmeno uno dei fatti che mi sono contestati nei processi sono fatti veri". Berlusconi attacca poi i "sagrestani della politica", "veri e propri imprenditori della politica", polemizza con Annozero, "trasmissione senza contraddittorio", ironizza sul fatto di avere "una ragazza e una storiella al giorno" e racconta una barzelletta sugli ebrei. La conlusione è un invito ai simpatizzanti a mettersi in lista per le prossime elezioni: "di vecchio basto io - dice - la prossima volta ci vogliono metà donne e metà giovani". A rendere più grave la cosa è la pubblicazione, sempre oggi, di un altro video - questa volta sul sito de L'Espresso, in cui Silvio Berlusconi addirittura racconta una barzelletta su Rosy Bindi, con bestemmia finale. Il video è stato ripreso mentre il premier è in Abruzzo dopo il terremoto e prima del G8 de L'Aquila.
1 ottobre 2010 CONSIGLIO PERMANENTE CEI Il comunicato finale Conferenza Episcopale Italiana CONSIGLIO PERMANENTE Roma, 27-30 settembre 2010 COMUNICATO FINALE L’autorizzazione alla pubblicazione degli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 è la principale decisione assunta dal Consiglio Episcopale Permanente della Conferenza Episcopale Italiana, riunitosi a Roma dal 27 al 30 settembre 2010 sotto la presidenza del Card. Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova. Il testo del documento, che sarà divulgato a fine ottobre e che si articola in cinque capitoli, preceduti da un’introduzione, esprime il rinnovato impegno in campo educativo della Chiesa italiana.Nei corso dei lavori è stato approvato l’ordine del giorno della prossima Assemblea Generale dei Vescovi, che si riunirà ad Assisi dall’8 all’11 novembre 2010. In vista di tale appuntamento, si è disposto l’invio ai Vescovi della prima parte dei materiali della terza edizione italiana del Messale Romano, che saranno esaminati in quella sede.Il Consiglio Permanente si è dichiarato favorevole al rilancio del progetto denominato "Prestito della speranza", finalizzato al sostegno delle famiglie numerose in difficoltà lavorativa: se ne agevoleranno le condizioni di accesso e si cercherà di contenere il tasso di interesse.Un’attenzione specifica è stata posta al rilancio delle offerte liberali per il sostentamento dei sacerdoti, il cui progetto sarà illustrato nel dettaglio in occasione della prossima Assemblea Generale: accanto alle forme tradizionali di raccolta, si intende promuoverne la diffusione nelle parrocchie, ricorrendo anche ai canali di internet e della telefonia mobile. Per il secondo anno consecutivo, il Consiglio Permanente ha deciso di non ritoccare il valore monetario del punto in base al quale si calcola la remunerazione del clero, adeguandolo al tasso di inflazione. È un gesto concreto chiesto a Vescovi e sacerdoti, come segno di solidarietà e condivisione con tanti cittadini che pagano le conseguenze del perdurare della crisi economica.Il rinnovo delle Commissioni Episcopali è stata l’occasione per un approfondito confronto sulle modalità di lavoro di tali organismi, sul loro rapporto con gli uffici della CEI e sulla loro funzione in ordine alla comunione dell’Episcopato italiano. 1. Un cantiere sempre aperto "Le nostre parrocchie sono simili a cantieri che non chiudono mai", ha osservato il Cardinale Presidente nella sua prolusione, riferendosi in primo luogo alle innumerevoli iniziative – "finalizzate sempre all’educazione" – che hanno vivacizzato la stagione estiva appena conclusa (n. 1). Nel dibattito che è seguito all’apprezzata relazione del Card. Bagnasco, i Vescovi si sono soffermati in particolare sul tema dell’evangelizzazione. Hanno ribadito l’importanza di rinnovare l’azione pastorale, valorizzando in special modo le occasioni di incontro ordinario nelle parrocchie, quali la preparazione dei fidanzati e quella dei genitori in occasione della catechesi dei figli o della richiesta dei sacramenti.In particolare, si avverte l’urgenza di declinare la proposta cristiana secondo modalità educative e formative che siano in grado di raggiungere soprattutto le nuove generazioni. Sarà questa la strada sulla quale ci si intende muovere nei prossimi anni, alla luce dei nuovi Orientamenti pastorali. 2. Questione di Dio e questione dell’uomo I Vescovi sono consapevoli che la questione di Dio, strettamente congiunta a quella antropologica e quindi alla domanda sul senso della vita, è il vero problema dell’Occidente. Le stesse forme di degrado morale, che segnano tante manifestazioni del presente, più che la causa, appaiono come la conseguenza dello smarrimento del riferimento decisivo alla propria identità e libertà. Papa Benedetto XVI a più riprese ha dato voce all’esigenza di un nuovo annuncio cristiano, laddove vanno attenuandosi le tracce della tradizionale evangelizzazione. Il Cardinale Presidente, nel riproporne puntualmente il magistero, ha riaffermato un preciso impegno: "Come Chiesa pellegrina in questo Paese ci sentiamo coinvolti a far sì che il cittadino italiano non accantoni la questione-Dio, non la rimuova ritenendola anti-umana, e lasci affiorare la nostalgia che si nasconde in essa" (prolusione, n. 4). Si tratta di passare da una pastorale di conservazione a una di più ampio respiro missionario, che nel ripresentare Dio come "il garante della nostra felicità" sappia intersecare "le dimensioni fondamentali della vita, dal lavoro al tempo libero, dalla mobilità agli affetti" (ibid.). 3. Purificazione e rigore Perché una simile testimonianza diventi efficace, la condizione indispensabile rimane la conversione a Cristo, "vera e fondamentale riforma della Chiesa" (prolusione, n. 2). Il Consiglio Permanente ha condiviso l’amarezza espressa dal Card. Bagnasco a fronte delle "vicende umilianti e dolorose" (ibid.) che negli ultimi mesi hanno interessato la Chiesa, e la sua sofferenza per "quei sacerdoti che si sono macchiati di inqualificabili crimini, con abusi su bambini e ragazzi" (n. 3). Nel ribadire la stima e la riconoscenza per la vita dignitosa e il servizio svolto con tanta abnegazione dalla stragrande maggioranza dei sacerdoti e dei religiosi, i Vescovi hanno confermato l’impegno di proseguire con decisione nella via della purificazione, applicando le puntuali direttive emanate in materia dalla Santa Sede. La vigilanza si traduce, in particolare, in una rinnovata attenzione – fatta di esigente discernimento e rigore – alla formazione dei candidati al sacerdozio, nonché nell’impegno ad accompagnare il clero, senza smettere di additare quale meta con la quale confrontarsi la misura alta della santità. 4. Passione per il Paese Ampia attenzione è stata dedicata alla situazione sociale e politica del Paese, motivo di "angustia", di "grande sconcerto" e di "acuta pena per discordie personali che, divenendo presto pubbliche, sono andate assumendo il contorno di conflitti apparentemente insanabili", nonché per "polemiche inconcludenti", che hanno sostituito la "necessaria dialettica" (prolusione, n. 6). È condivisa la coscienza dell’importanza della presenza nell’arena politica di cattolici formati e appassionati a questa esigente forma di carità, uniti attorno a quei valori che costituiscono il fondamento irrinunciabile della socialità. Tale consapevolezza ha guidato anche la preparazione del Messaggio per la 33ª Giornata nazionale per la2vita (6 febbraio 2011), il cui testo, approvato dal Consiglio Permanente, sarà pubblicato nei prossimi giorni. 5. L’appuntamento di Reggio Calabria Assai significativo sarà in questo campo il contributo della 46ª Settimana Sociale dei cattolici italiani (Reggio Calabria, 14-17 ottobre 2010), finalizzata a tratteggiare "un’agenda di speranza per il futuro del Paese". Il cammino verso questo appuntamento, durato due anni, ha favorito la diffusione capillare e l’approfondimento della dottrina sociale della Chiesa, elemento essenziale della missione ecclesiale, nonché terreno di incontro e di dialogo con chi muove da altre visioni ideologiche e culturali. Ci sono perciò le basi perché il bene comune diventi "la bandiera che nel cuore si serve, la divisa che consente di identificare là dove sono i cattolici e non solo loro" (prolusione, n. 8). Il contributo dei cattolici si esprime anche nel richiamo al federalismo solidale, che esige "condizioni morali e culturali indispensabili" (n. 10), oltre che alla disponibilità ad assumere un maggiore carico di responsabilità a livello locale; nel richiedere una riforma fiscale ispirata criteri a equità, "a vantaggio del soggetto che per tutti – aziende, sindacato, scuole… – è decisivo, cioè la famiglia" (ibid.); nell’aver a cuore soprattutto "il destino dei giovani", convinti che "non si procede ignorando le loro legittime aspettative" (n. 9). 6. Nomine Nel corso dei lavori, il Consiglio Episcopale Permanente ha provveduto alla nomina dei membri delle Commissioni Episcopali, i cui Presidenti erano stati eletti nel corso dell’Assemblea Generale tenuta nel maggio 2010. Di ciascuna Commissione Episcopale fa parte un Vescovo emerito, indicato dalla Presidenza. Le Commissioni Episcopali per il quinquennio 2010-2015 risultano così composte: - Commissione Episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi S.E. Mons. Marcello SEMERARO (Albano), Presidente; S.E. Mons Franco Giulio BRAMBILLA (aus. Milano); S.E. Mons. Giuseppe CAVALLOTTO (Cuneo e Fossano); S.E. Mons. Diego COLETTI (Como); S.E. Mons. Sebastiano DHO (em. Alba); S.E. Mons. Dante LAFRANCONI (Cremona); S.E. Mons. Luciano MONARI (Brescia); S.E. Mons. Luigi NEGRI (San Marino – Montefeltro); S.E. Mons. Ignazio SANNA (Oristano); S.E. Mons. Lucio SORAVITO de FRANCESCHI (Adria – Rovigo). - Commissione Episcopale per la liturgia S.E. Mons. Alceste CATELLA (Casale Monferrato), Presidente; S.E. Mons. Beniamino DEPALMA (Nola); S.E. Mons. Paolo GILLET (già aus. Albano); S.E. Mons. Claudio MANIAGO (aus. Firenze); Dom Mauro MEACCI (Subiaco); S.E. Mons. Salvatore PAPPALARDO (Siracusa); S.E. Mons. Domenico SORRENTINO (Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino); S.E. Mons. Francesco Pio TAMBURRINO (Foggia – Bovino). - Commissione Episcopale per il servizio della carità e la salute S.E. Mons. Giuseppe MERISI (Lodi), Presidente; S.E. Mons. Luigi BRESSAN (Trento); S.E. Mons. Armando DINI (em. Campobasso – Boiano); S.E. Mons. Riccardo FONTANA (Arezzo – Cortona – Sansepolcro); S.E. Mons. Francesco MONTENEGRO (Agrigento); S.E. Mons. Donato NEGRO (Otranto); S.E. Mons. Sergio PINTOR (Ozieri); S.E. Mons. Tommaso VALENTINETTI (Pescara – Penne). - Commissione Episcopale per il clero e la vita consacrata S.E. Mons. Francesco LAMBIASI (Rimini), Presidente; S.E. Mons. Domenico CANCIAN (Città di Castello); S.E. Mons. Oscar CANTONI (Crema); S.E. Mons. Domenico Tarcisio CORTESE (em. Mileto – Nicotera – Tropea); S.E. Mons. Mario DELPINI (aus. Milano); S.E. Mons. Gianfranco Agostino GARDIN (Treviso); S.E. Mons. Francescantonio NOLÈ (Tursi – Lagonegro); S.E. Mons. Filippo STROFALDI (Ischia). - Commissione Episcopale per il laicato S.E. Mons. Domenico SIGALINI (Palestrina), Presidente; S.E. Mons. Armando BRAMBILLA (aus. Roma); S.E. Mons. Pietro BROLLO (em. Udine); S.E. Mons. Domenico CALIANDRO (Nardò – Gallipoli); S.E. Mons. Salvatore GRISTINA (Catania); S.E. Mons. Antonio LANFRANCHI (Modena – Nonantola); S.E. Mons. Gualtiero SIGISMONDI (Foligno); S.E. Mons. Giancarlo VECERRICA (Fabriano – Matelica). - Commissione Episcopale per la famiglia e la vita S.E. Mons. Enrico SOLMI (Parma), Presidente; S.E. Mons. Benvenuto Italo CASTELLANI (Lucca); S.E. Mons. Pietro Maria FRAGNELLI (Castellaneta); S.E. Mons. Mauro PARMEGGIANI (Tivoli); S.E. Mons. Mario RUSSOTTO (Caltanissetta); S.E. Mons. Giulio SANGUINETI (em. Brescia); S.E. Mons. Pietro SANTORO (Avezzano); S.E. Mons. Angelo SPINILLO (Teggiano – Policastro). - Commissione Episcopale per l’evangelizzazione dei popoli e la cooperazione tra le Chiese S.E. Mons. Ambrogio SPREAFICO (Frosinone – Veroli – Ferentino); S.E. Mons. Alfonso BADINI CONFALONIERI (Susa); S.E. Mons. Francesco BESCHI (Bergamo); S.E. Mons. Flavio Roberto CARRARO (em. Verona); S.E. Mons. Giuseppe FIORINI MOROSINI (Locri – Gerace); S.E. Mons. Antonio MATTIAZZO (Padova); S.E. Mons. Michele SECCIA (Teramo – Atri); S.E. Mons. Gianfranco TODISCO (Melfi – Rapolla – Venosa). - Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il dialogo S.E. Mons. Mansueto BIANCHI (Pistoia), Presidente; S.E. Mons. Michele CASTORO (Manfredonia – Vieste – San Giovanni Rotondo); S.E. Mons. Rodolfo CETOLONI (Montepulciano – Chiusi – Pienza); S.E. Mons. Giuseppe CHIARETTI (em. Perugia – Città della Pieve); S.E. Mons. Michele DE ROSA (Cerreto Sannita – Telese – Sant’Agata de’ Goti); S.E. Mons. Bruno FORTE (Chieti – Vasto); S.E. Mons. Karl GOLSER (Bolzano – Bressanone); S.E. Mons. Santo MARCIANÒ (Rossano – Cariati). - Commissione Episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università S.E. Mons. Gianni AMBROSIO (Piacenza – Bobbio), Presidente; S.E. Mons. Piero COCCIA (Pesaro); S.E. Mons. Salvatore DI CRISTINA (Monreale); S.E. Mons. Lorenzo LOPPA (Anagni – Alatri); S.E. Mons. Edoardo MENICHELLI (Ancona – Osimo); S.E. Mons. Michele PENNISI (Piazza Armerina); S.E. Mons. Eugenio RAVIGNANI (em. Trieste); S.E. Mons. Sebastiano SANGUINETTI (Tempio – Ampurias); S.E. Mons. Claudio STAGNI (Faenza – Modigliana); S.E. Mons. Giuseppe ZENTI (Verona). - Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace S.E. Mons. Giancarlo Maria BREGANTINI (Campobasso – Boiano), Presidente; S.E. Mons. Giampaolo CREPALDI (Trieste); S.E. Mons. Domenico Umberto D’AMBROSIO (Lecce); S.E. Mons. Tommaso GHIRELLI (Imola); S.E. Mons. Giovanni GIUDICI (Pavia); S.E. Mons. Andrea Bruno MAZZOCATO (Udine); S.E. Mons. Giuseppe ORLANDONI (Senigallia); S.E. Mons. Giovanni RICCHIUTI (Acerenza); S.E. Mons. Giovanni SANTUCCI (Massa Carrara – Pontremoli); S.E. Mons. Bassiano STAFFIERI (em. La Spezia – Sarzana – Brugnato). - Commissione Episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali S.E. Mons. Claudio GIULIODORI (Macerata – Tolentino – Recanati – Cingoli – Treia), Presidente; S.E. Mons. Roberto BUSTI (Mantova); S.E. Mons. Giovanni D’ERCOLE (aus. L’Aquila); S.E. Mons. Carlo MAZZA (Fidenza); S.E. Mons. Mario MEINI (Fiesole); S.E. Mons. Luciano PACOMIO (Mondovì); S.E. Mons. Giuseppe PETROCCHI (Latina – Terracina – Sezze – Priverno); S.E. Mons. Cosmo Francesco RUPPI (em Lecce); S.E. Mons. Gastone SIMONI (Prato); S.E. Mons. Antonio STAGLIANÒ (Noto). - Commissione Episcopale per le migrazioni S.E. Mons. Bruno SCHETTINO (Capua), Presidente; S.E. Mons. Franco AGOSTINELLI (Grosseto); S.E. Mons. Giuseppe ANDRICH (Belluno – Feltre); S.E. Mons. Lino Bortolo BELOTTI (già aus. Bergamo); S.E. Mons. Guerino DI TORA (aus. Roma); S.E. Mons. Calogero LA PIANA (Messina – Lipari – Santa Lucia del Mela); S.E. Mons. Domenico MOGAVERO (Mazara del Vallo); S.E. Mons. Paolo SCHIAVON (aus. Roma). Il Consiglio Episcopale Permanente ha proceduto anche alle seguenti nomine: - Consiglio per gli affari giuridici S.E. Mons. Carlo Roberto Maria REDAELLI (aus. Milano), Presidente; S.E. Mons. Lorenzo GHIZZONI (aus. Reggio Emilia – Guastalla); S.E. Mons. Filippo IANNONE (Sora – Aquino – Pontecorvo); S.E. Mons. Alberto TANASINI (Chiavari); S.E. Mons. Giuseppe VERSALDI (Alessandria). - Collegio dei revisori dei conti della Conferenza Episcopale Italiana S.E. Mons. Roberto BUSTI (Mantova), Presidente; S.E. Mons. Mauro PARMEGGIANI (Tivoli); Dott. Giuliano GRAZIOSI.- Vescovi membri della Presidenza di Caritas Italiana: S.E. Mons. Riccardo FONTANA (Arezzo – Cortona – Sansepolcro); S.E. Mons. Donato NEGRO (Otranto). - Presidente del Comitato per la valutazione dei progetti di intervento a favore dei beni culturali ecclesiastici S.E. Mons. Simone GIUSTI (Livorno). - Responsabile del Servizio Nazionale per l’edilizia di culto: Mons. Giuseppe RUSSO (Taranto). - Coordinatore nazionale per la pastorale dei cattolici filippini in Italia: Padre Paulino Elmer BUMANGLAG, SVD. - Consulente ecclesiastico della Confederazione italiana consultori familiari di ispirazione cristiana: Don Edoardo ALGERI (Bergamo). - Presidente della Confederazione delle Confraternite delle Diocesi d’Italia: Dott. Francesco ANTONETTI. Ha proceduto altresì alle seguenti conferme: - Presidente nazionale dell’Unione Apostolica del Clero: Mons. Vittorio PERI (Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino). - Presidente dell’Associazione Biblica Italiana: Don Luca MAZZINGHI (Firenze). La Presidenza della CEI, riunitasi lunedì 27 settembre, ha nominato: - il Dott. Carlo BINI, Direttore Generale dell’Istituto Centrale per il sostentamento del clero, membro del Comitato per gli enti e i beni ecclesiastici e del Comitato per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica; - Don Mauro BIANCHI (Piacenza – Bobbio) Assistente Ecclesiastico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – sede di Piacenza. La Presidenza ha dato il benestare alla nomina di Don Valerio BERSANO (Alessandria) a Segretario Nazionale della Pontificia Opera della Propagazione della fede. Roma, 1° ottobre 2010
1 ottobre 2010 POLITICA Attacco ai giudici e barzellette Berlusconi: solo una risata "Quella di cui si parla è una storiella circolata un anno fa in tutto il Parlamento. Averla raccontata, in privato, non è né un'offesa né un peccato, è solo una risata". Lo afferma, in una dichiarazione, il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. "Il cattivo gusto e la responsabilità sono casomai di chi la pubblicizza. Mi spiace solo se qualcuno nella sua sensibilità si sia sentito turbato. Ma non ci credo. È soltanto un pretesto per attacchi strumentali e ipocriti", conclude. LE REPLICHE "Queste invettive contribuiscono solo ad alimentare un clima di tensione che nuoce al Paese e si trascurano del tutto le reali emergenze del sistema giudiziario". Lo afferma l'Associazione nazionale magistrati a proposito delle esternazioni del premier sulla giustizia. "Addirittura, oggi, secondo l'on. Berlusconi l'intera magistratura italiana, fino alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sarebbe parte di un'associazione a delinquere diretta a sovvertire l'ordinamento democratico dello Stato. È paradossale - prosegue l'Anm - che una carica dello Stato compia un'opera di delegittimazione e discredito di tale portata nei confronti di un'istituzione che, invece, dovrebbe essere supportata nell'azione di contrasto alle diverse forme di criminalità". "Penso che questa volta il presidente del Consiglio prima che a me debba chiedere scusa a tutti i credenti di questo Paese, alla Chiesa e quella stampa cattolica di cui ieri si è vantato di avere l'attenzione". Lo afferma Rosy Bindi, vicepresidente della Camera dei deputati e presidente dell'Assemblea nazionale del Pd. LA VICENDA All'interno della magistratura "c'è un'associazione a delinquere che vuole sovvertire il risultato delle elezioni" ed "eliminare colui che è stato eletto dagli elettori": per questo serve "una commissisone parlamentare d'inchiesta" sulle toghe. È la sera del 29 settembre, giorno del suo 74esimo compleanno e vigilia del voto di fiducia al Senato e Silvio Berlusconi incontra sotto Palazzo Grazioli un gruppo di sostenitori. Il premier, secondo quanto emerge da un video pubblicato da Repubblica.it, improvvisa un comizio in cui parla di magistratura e politica, polemizza con i "sagrestani" della politica e racconta una barzelletta sugli ebrei. L'affondo del premier inizia con riferimento al processo Mills, che "è tutta una barzelletta". Il pm di Milano, De Pasquale, "che è quello che ha attaccato Craxi e fatto morire Cagliari - continua Berlusconi - visto che il processo sta arrivando alla prescrizione si è inventato la seguente storia: il reato di corruzione c'è quando il corruttore dà i soldi al corrotto. Ma per lui no, si è inventato che c'è il reato di corruzione soltanto quando il corrotto comincia a spendere i soldi. Per cui se il corrotto è uno che risparmia, il reato non è stato consumato... la cosa drammatica e tragica è che tre diversi collegi, primo grado, secondo grado, appello e Cassazione, hanno asseverato questa tesi, dimostrando quindi che c'è un accordo tra i giudici di sinistra che vuol sovvertire il risultato elettorale, e che attraverso questo accordo, questa interpretazione assurda della giustizia, vogliono eliminare colui che è stato eletto... quindi c'è un macigno sul nostro sistema democratico, che è costituito da questa organizzazione interna... ci sarebbe da chiedere una commissione parlamentare che faccia nomi e cognomi e dica se, come credo io, c'è una associazione a delinquere nella magistratura". "Quando esce una legge che al pm non va - prosegue il premier - lui la impugna e la porta all'attenzione della Costituzionale e la Corte la abroga", aggiunge Berlusconi. E allora ditemi: in che mani è la sovranità del Paese? È nelle mani dei pm di sinistra. Io sono disperato, certe volte. Tutte le volte che c'è un processo che mi riguarda mi danno dell'impunito. E invece nessuno, nemmeno uno dei fatti che mi sono contestati nei processi sono fatti veri". Berlusconi attacca poi i "sagrestani della politica", "veri e propri imprenditori della politica", polemizza con Annozero, "trasmissione senza contraddittorio", ironizza sul fatto di avere "una ragazza e una storiella al giorno" e racconta una barzelletta sugli ebrei. La conlusione è un invito ai simpatizzanti a mettersi in lista per le prossime elezioni: "di vecchio basto io - dice - la prossima volta ci vogliono metà donne e metà giovani". A rendere più grave la cosa è la pubblicazione, sempre oggi, di un altro video - questa volta sul sito de L'Espresso, in cui Silvio Berlusconi addirittura racconta una barzelletta su Rosy Bindi, con bestemmia finale. Il video è stato ripreso mentre il premier è in Abruzzo dopo il terremoto e prima del G8 de L'Aquila.
1 ottobre 2010 POLITICA FINANZIARIA Ecofin, Draghi: prudenza su valutazione agenzie di rating Il presidente del Financial stability board Mario Draghi ha detto stamane, parlando con i ministri finanziari europei, che banche e investitori dovrebbero usare cautela nell'utilizzo dei rating, evitando di usare i giudizi delle agenzie come soli parametri per le loro decisioni. Lo ha detto Axel Weber, banchiere centrale tedesco, riferendo ai giornalisti in conferenza stampa alcune delle riflessioni fatte da Draghi. "C'è stato stamane un importante contributo da parte di Mario Draghi sulle agenzie di rating", ha detto Weber al termine dell'Ecofin. Draghi avrebbe sottolineato che "le istituzioni di credito non dovrebbero utilizzare in modo meccanico i rating", secondo quando riferito dal collega tedesco. "Le banche dovrebbero fare uso dei rating in aggiunta alle loro valutazioni". Draghi avrebbe, poi, sottolineato che gli investitori sono responsabili della gestione dei loro rischi. Separatamente una fonte Ecofin riferisce che Draghi, che è anche governatore della Banca d'Italia, stamattina avrebbe presentato ai ministri europei le proposte che l'Fsb porterà al G20 di Seul riguardo alle agenzie di rating e agli intermediari finanziari di rilevanza sistemica, senza fornire dettagli sul contenuto delle proposte. Secondo questa seconda fonte Draghi avrebbe sottolineato che, "la regolamentazione finanziaria è ora più uniforme che prima della crisi e che la risolutezza mostrata dai regolatori per ottenere una serie concordata di regole ha portato a buoni risultati". "Bisogna continuare così", avrebbe detto il presidente dell'Fsb. Secondo Draghi si sta realizzando una convergenza tra i Paesi sulle regole relative alle agenzie di rating. Secondo quanto riferito nel corso di una conferenza stampa dal governatore della Bundesbank, Axel Weber, il presidente del Financiale stability board, Mario Draghi, nel suo intervento all'Ecofin avrebbe anche sottolineato la necessità per le banche e gli investitori finanziari di non basarsi per le loro valutazioni solo sui giudizi delle agenzie di rating. "Draghi - ha detto Weber - ha dato un importante contributo alla discussione di oggi e ha sottolineato in particolare come le banche non dovrebbero utilizzare in modo meccanico le valutazioni delle agenzie di rating. Ma - ha spiegato Weber -dovrebbero fare uso dei rating in aggiunta alle loro valutazioni".
1 Ottobre 2010 CRONACA L'aggressione a Belpietro La questura diffonde l'identikit "Quell'uomo, camuffato con una pettorina della Guardia di Finanza era appostato tre gradini sotto il mio pianerottolo, l'arma spianata. Quando s'è trovato di fronte l'agente della mia scorta, senza pronunciare una parola non ha esitato a sparargli. Fortuna ha voluto che il grilletto s'inceppasse". Così, Maurizio Belpietro, direttore del quotidiano Libero, racconta l''agguato subito la notte scorsa nel suo condominio. "Ero già entrato in casa - prosegue - ma non avevo ancora chiuso la porta. Appena ho sentito uno sparo, seguito da altri due ho subito capito che stava accadendo qualcosa di grave. Mi sono girato di scatto e ho visto il poliziotto prima ripararsi dietro a un angolo e poi partire all'inseguimento di quel malvivente". Il direttore di Libero ammette che sarebbe stato facilmente vittima di un'aggressione se il caposcorta non avesse incrociato l'aggressore. "Non chiudo mai la porta a chiave ma solo con lo scatto della serratura. E se avesse suonato, vedendo la casacca della Guardia di Finanza dallo spioncino, avrei aperto senza nulla sospettare". Belpietro spiega di essere stato salvato dal caso, poichè il caposcorta ieri sera dopo averlo accompagnato alla porta di casa ha deciso di scendere a piedi dalle scale e non prendendo l'ascensore, così ha intercettato l'uomo al piano di sotto. Il primo identikit dell'aggressore parla di un uomo alto un metro e ottanta circa, corpulento ma molto agile "visto che è riuscito a scendere all'impazzata tutti i piani delle scale, pur inseguito da un poliziotto armato di pistola, senza farsi prendere". "Minacce ne ho ricevute in passato, ma questa era molto più che una minaccia", ha chiosato Belpietro. L'IDENTIKIT DELL'AGGRESSORE La questura di Milano ha realizzato l'identikit del presunto aggressore sulla base della testimonianza del capo della scorta di Belpietro. L'immagine raffigura un uomo di corporatura massiccia, circa 1,80, occhi scuri, pupille dilatate, naso grosso e di probabile cittadinanza italiana. La scheda dell'identikit dell'uomo sorpreso ieri nel condominio di Milano dal caposcorta di Belpietro definisce il presunto aggressore di età apparente attorno ai 40 anni, 1.80 corporatura robusta e altetica, capelli con gel pettinati all'insù, naso grosso alla punta, bocca con labbro superiore carnoso e sporgente, labbro inferiore piccolo e sottile.
1 ottobre 2010 CAMBIARE SI DEVE Effetto crisi: più poveri nell'Italia dei ricchi Siamo sempre più poveri. Ma non è una notizia; quella vera è che lo è diventato chi, in passato non si sarebbe mai immaginato di doversi rivolgere un giorno, allo sportello della Caritas per chiedere una borsa pasto o sussidi economici per pagare la bolletta della luce in scadenza. Il nono rapporto sulla povertà, realizzato da Caritas Ambrosiana e presentato ieri a Milano nell’ambito del convegno "Dalla crisi nuove sfide per il territorio" parla chiaro: nel 2009 gli italiani che si sono rivolti agli sportelli della Caritas sono aumentati del 15,7%. Sono invece diminuiti gli stranieri clandestini (-3,7% ) "forse perchè spaventati d’incorrere in denunce da non trovare il coraggio nemmeno di chiedere aiuto alla Caritas" osservano i ricercatori dell’Osservatorio diocesano che hanno redatto il rapporto. Sono aumentati, quindi, gli operai, gli impiegati, gli insegnanti, i liberi professionisti ma anche i dirigenti della Brianza e delle province industriali lombarde che hanno perso il lavoro e si ritrovano dall’oggi al domani senza finanze per poter pagare la rata del mutuo accesa solo pochi anni fa. "La crisi ha ridisegnato la mappa della povertà. Ha trasformato famiglie modeste ma che avevano sempre goduto di una certa stabilità in soggetti vulnerabili e sospinto i poveri cronici sulle soglie della miseria" spiega il direttore di Caritas ambrosiana, don Roberto Davanzo, sfogliando il rapporto annuale secondo il quale nel 2009 sono stati 17.283 i poveri che si sono presentati nei 56 centri di ascolto della diocesi ambrosiana, con un aumento del 9% rispetto al 2008. Ma, oltre all’analisi quantitativa, l’indagine evidenzia anche le caratteristiche sociologiche di chi si è rivolto agli sportelli per accedere ai Fondo famiglia lavoro, il fondo istituito dall’arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi per le famiglie che perdono lavoro. "I vulnerabili – ha spiegato il sociologo Aldo Bonomi, che si è occupato della ricerca - non sono marginali in sè. Lo diventano, o rischiano di diventarlo, nella crisi, per la perdita dell’occupazione e l’assenza di ammortizzatori sociali per ampie fasce di lavoratori. Dalle storie del Fondo emergono una nuova questione operaia e sociale, una condizione migrante, una difficoltà degli ammortizzatori che ci interrogano sui ritardi della modernizzazione del nostro welfare". Un welfare, quindi, secondo gli studiosi dell’osservatorio, che ha funzionato in passato, ben occupandosi di pensionati e lavoratori ma che oggi risulta "vecchio" e non al passo con i tempi e la crisi economica che stiamo vivendo. "Le istituzioni si occupano della crisi finanziaria e non si preoccupano della povertà" ha aggiunto l’economista Alberto Berrini, secondo cui ci vorranno ben otto anni perchè le imprese ritrovino il livello della produzione perduta. "La crisi ha confermato e purtroppo drammaticamente esplicitato ciò che già si sapeva: l’inadeguatezza del sistema italiano di chi perde protezione – conclude l’economista – Un welfare, che oggi non è in grado di sostenere le fasce più colpite dalla crisi: quelle dei precari, degli artigiani e dei liberi professionisti". "La crisi ha colpito persone che non sono tutelate e di fronte a questo stato di cose non è possibile che la risposta possa venire solo da noi" aggiunge il direttore di Caritas, Davanzo, che lancia anche un monito: "la politica deve battere un colpo". Per questo Caritas presenterà in modo più dettagliato (lo aveva già fatto a marzo) entro l’anno la richiesta a regione Lombardia di introdurre il "reddito minimo garantito". Una forma di sostegno estesa a coloro che oggi non possono godere di alcun aiuto pubblico. Una protezione sociale, già presente in tutti i Paesi dell’Europa a 15 tranne che Grecia e Italia. Daniela Fassini
2010-09-29 29 settembre 2010 IL GIORNO DELLA CONTA Il governo ha la fiducia: 342 sì, 275 no e 3 astenuti L'aula della Camera ha votato stasera la fiducia al governo con 342 voti a favore, 275 contrari e tre astenuti. Lo ha detto la vicepresidente della Camera, Rosy Bindi, aggiungendo che i presenti erano 620 e i votanti sono stati 617. Senza i voti di Mpa e Fli il governo non avrebbe superato la soglia di 316 voti che garantisce la maggioranza assoluta. I no alla fiducia alla Camera sono stati complessivamente 275. Attesi quelli di Pd, Idv, Udc, Api, del repubblicano La Malfa, del liberale Guzzanti e di Nicco dell'Union valdotaine. Contro anche i Liberaldemocratici Melchiorre, Tanoni e Grassano, che in un primo momento erano stati indicati come possibili sostenitori del governo. Due voti in dissenso rispetto al gruppo anche nel Fli: Mirko Tremaglia e Fabio Granata hanno pronunciato il loro no durante la chiama. Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, aveva lasciato Montecitorio prima che venisse annunciato l'esito del voto di fiducia al governo. Il premier è rientrato nella sua residenza romana, a Palazzo Grazioli. LA REPLICA DI BERLUSCONI "Ho seguito con attenzione" il dibattito e "ringrazio tutti i deputati per il contributo costruttivo dato, di cui faremo certamente tesoro: ho ascoltato anche le critiche dell'opposizione che mi sembra siano state però ispirate dalla volontà di negare sempre e comunque quanto è stato fatto dal nostro governo, persino di quanto è stato riconosciuto" da enti internazionali come il Fondo monetario internazionale. E' la premessa con la quale il premier Silvio Berlusconi, alle 16.30, ha iniziato la sua replica al dibattito seguito al suo discorso programmatico di questa mattina. "A differenza del passato per noi mantenere le promesse è un impegno morale. Tra le numerose critiche mi ha colpito quella sul finanziamento futuro sugli armonizzatori sociale, ovvero di un governo che promette senza mantenere la parola. È una critica infondata perché nel piano triennale è indicato come saranno finanziati gli ammortizzatori nei prossimi tre anni", ha aggiunto il premier. "Nonostante la forte tempesta economica abbiamo tenuto dritta la barra e messo in sicurezza i conti pubblici, abbiamo garantito la coesione sociale, il tutto senza mettere mani in tasca agli italiani". "È veramente paradossale che quando qualche parlamentare passi in un altro partito, questo sia eticamente valido e plausibile e quando invece qualche altro decide di votare questo governo si possa vendere tutto questo come calcio mercato. È inaccettabile e paradossale", afferma Berlusconi. "Il presidente del Consiglio - prosegue - si è permesso di telefonare solo a una parlamentare che partiva per la Russia. All'interno dell'Udc si è determinata una scissione di alcuni parlamentari che non si sono riconosciuti nella linea del partito e sono andati da un notaio a costituire un nuovo gruppo. Questi parlamentari, se daranno il loro voto - conclude - non avranno un premio né un posto da sottosegretari". Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha concluso la sua replica alla Camera ponendo la fiducia sul suo discorso programmatico. "Sono certo che nessuno nella maggioranza verrà meno all'impegno d'onore che hanno con gli elettori e che oggi confermeranno con la fiducia. Mi aspettavo e mi aspetto invee qualcosa di più dall'opposizione: partiti come l'Udc e il Pd hanno il dovere politico e morale di dare una risposta all'altezza della situazione attuale. Se non lo fanno, se si limitano solo agli slogan, ai tatticismi. Se prevale la tattica e non la responsabilità nazionale, verranno meno al compito di un'opposizione democratica. È necessaria una franchezza nell'interesse del Paese, avere o un sì o un no e pertanto a nome del governo che pongo la questione di fiducia", ha affermato il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, a Montecitorio, motivando la sua richiesta. Subito dopo sono iniziate le dichiarazioni di voto. Durissime le parole di Antonio Di Pietro, che per due volte è stato richiamato all'ordine dal presidente della Camera Gianfranco Fini ha richiamato all'ordine. "Lei - ha detto Di Pietro - non è un presidente del Consiglio, ma uno stupratore della democrazia". Una frase subito ripresa da Fini che ha chiesto di utilizzare "un linguaggio consono a quest'Aula". Il presidente della Camera ha precisato che non è in discussione la libertà di parola ma che "non sono accette ingiurie". Subito dopo hanno preso la parola Pier Ferdinando Casini e Pierluigi Bersani. Casini ha detto che il governo si "prepara a tirare a campare". "Noi abbiamo assunto un impegno d'onore con gli elettori". E questo, spiega Casini "ci porta a confermare i 36 voti già espressi in precedenza e a dire no alla 37ma fiducia" al governo. Bersani, dal canto suo, ha accusato Berlusconi di "essere passato dal sogno alle favole, favole raccontate per 15 anni e disperse in mille bolle di sapone". Infine il capogruppo di Fli Italo Bocchino, insieme con il deputato dell'Mpa, Carmelo Lomonte, ha presentato a firma congiunta una delle quattro mozioni che saranno messe ai voti. "La Camera, ascoltate le dichiarazioni del presidente del Consiglio, le approva", si legge nella risoluzione, identica a quella firmata dal capogruppo del Pdl, Fabrizio Cicchitto e a quella della Lega, Marco Reguzzoni, a cui si è aggiunta successivamente quella presentata da Noi Sud. DIMISSIONI DI VIESPOLI "Mi sono dimesso da sottosegretario". Lo dice Pasquale Viespoli. Il senatore spiega che "per correttezza e per rispettare gli impegni e le scadenze, ho atteso la conclusione dell'iter del collegato lavoro". La sua nomina a capogruppo di Fli a Palazzo Madama è stata decisa in una riunione ieri sera. Viespoli ha accettato l'incarico e si è dimesso, come aveva già preannunciato, da sottosegretario al ministero del Lavoro. Il senatore Giuseppe Valditara è stato eletto vice presidente del gruppo; il senatore Giuseppe Menardi è il responsabile dell'amministrazione e del personale; il senatore Maurizio Saia è responsabile dei rapporti con l'Aula. I CINQUE PUNTI DEL PROGRAMMA: IL DISCORSO DI BERLUSCONI ALLA CAMERA "Oggi voglio rivolgermi a tutto il Parlamento, in particolare a tutti i moderati e i riformatori: è un invito anche alle forze più responsabili dell'opposizione affiché valutino il nostro programma senza pregiudizi". È con questo appello che il premier Silvio Berlusconi ha concluso il suo atteso intervento alla Camera dopo aver illustrato il programma in cinque punti con cui vuole arrivare alla fine della legislatura. "Non possiamo rischiare un periodo di instabilità, serve uno sforzo comune perché questo non accada", dice il premier. Il programma presentato alla Camera prevede un'accelerazione sulla giustizia, con la separazione delle carriere, un rilancio della riforma istituzionale per dare più poteri all'esecutivo, la promessa di interventi strutturali per il Sud, una graduale diminuzione delle tasse. Poi alcuni temi di interesse per i centristi: quoziente familiare, impegno sulla bioetica, libertà di educazione. Il punto di partenza è che il governo "non ha alternative", perché "il risultato delle elezioni non può essere alterato con decisioni e logiche estranee". Dunque no a governissimi o similari. Ma nemmeno sono possibili "compromessi al ribasso". "Ciascuno deve fare la sua parte, con senso di responsabilità e praticando il rispetto dell'avversario al posto della faziosità", dice il premier. Berlusconi parla stando attento a non polemizzare troppo con i finiani, ma senza nemmeno dare loro il riconoscimento formale di "terza gamba della maggioranza". Il Cavaliere si chiede perché sia nato il gruppo di Futuro e Libertà, visto che il governo "ha lavorato sodo raggiungendo risultati positivi"; dice allora di aver provato "amarezza" per le "critiche aprioristiche" che sono venute negli ultimi mesi. Ma riconosce che sui punti non previsti dal programma elettorale "è necessario e legittimo discutere all'interno della maggioranza". La sua amarezza, spiega, nasce dal fatto di aver sempre voluto "unire i moderati in una grande forza politica". Quello che implicitamente rimprovera a Fini è proprio l'aver messo in crisi questo progetto. Tuttavia, avverte, "i passi indietro di questi mesi non hanno intaccato la validità del progetto". La prima parte del suo intervento è dedicata a un resoconto dell'attività di governo. Poi, arrivano i 5 punti. FEDERALISMO Il federalismo fiscale, dice Berlusconi "non prevede una divaricazione tra Nord e Sud, anzi sarà una cerniera per il paese" Il federalismo "non comporta maggiori spese né un maggior aggravio della pressione fiscale complessiva". Il presidente del Consiglio ha aggiunto che il federalismo fiscale, sarà ispirato al principio di sussidiarietà, sarà un vantaggio per il Sud e non comporterà maggiori costi per lo Stato. FISCO Berlusconi promette che "entro la fine della legislatura" il governo varerà "norme per una graduale riduzione del carico fiscale sulle famiglie, il lavoro e la ricerca" . Resta poi "fondamentale", dice ancora il premier, l'obiettivo del quoziente familiare specie per le famiglie monoreddito. Il premier parla anche di misure di "sostegno alla libertà di educazione". GIUSTIZIA "La riforma della giustizia è una priorità per il paese", sostiene il presidente del consiglio. E promette quindi "una riforma complessiva che renda affettiva la partità di accusa e difesa". Sarà necessario anche "un intervento sulla struttura del Csm con una riforma costituzionale che preveda due organi, uno per la magistratura inquirente, l'altro per la magistratura giudicante, con conseguente rafforzamento della separazione delle carriere". Altra misura promessa da magistratura un giro di vite sulla "responsabilità dei magistrati che sbagliano". L'eccessiva durata dei procesi è "una piaga". Il governo presenterà un piano straordinario per lo smaltimento delle cause civili pendenti. Berlusconi richiama anche il lodo Alfano costituzionale, che è all'esame del Parlamento. Conclusione programmatica: " dobbiamo ristabilire il primato della politica sulla giustizia". SICUREZZA Berlusconi conferma l'impegno nella lotta alla criminalità e nel contrasto all'immigrazione clandestina. Gli sbarchi sono diminuiti dell'88per cento: erano 29mila nel 2008-2009 , sono diventati 3500 nell'ultimo anno. MEZZOGIORNO Berlusconi promette un grande impegno per il Sud. Nel 2013, dice, sarà completata la Salerno - Reggio Calabria (l'opposizione non ci crede e lo sommerge di grida). Entro dicembre sarà completato il progetto del Ponte sullo stretto "che i governi di sinistra avevano ritirato in cinque minuti". In arrivo anche un miglioramento del sistema ferroviario del Mezzogiorno "con l'acquisto di nuovi treni tutti da immettere al Sud". Fuori dai cinque punti, il rilancio sulle riforme istituzionali: "Bisogna rafforzare il potere dell'esecutivo, superare il bicameralismo perfetto, ridurre il numero dei parlamentari. Su questo c'è la possibilità che si possa arrivare all'approvazione delle riforme entro la fine della legislatura". L'AGENDA BIOETICA "La centralità della persona e la difesa dei valori della vita rappresentano un fondamentale asse di orientamento dell'azione di governo e crediamo che sia arrivato momento" per lavorare alla "attuazione dell'agenda bioetica e della vita, perché non c'è mai un vero sviluppo economico senza sviluppo demografico".
29 settembre 2010 LA PROVOCAZIONE LEGHIESTA Offese a Roma, Bossi insiste E Berlusconi lo rimprovera Assuma un comportamento consono alla sua posizione di ministro della Repubblica. Le affermazioni di Umberto Bossi, ribadite ieri e offensive nei confronti di Roma e dei romani, hanno costretto Silvio Berlusconi a criticare il Senatur, richiamandolo pubblicamente, a causa della protesta del sindaco della capitale Gianni Alemanno. Intanto il Pd insiste sulla decisione di presentare alla Camera una mozione di sfiducia individuale. L’obiettivo dei democratici è costringere ogni singolo deputato di maggioranza a prendere posizione sul ministro leghista (i voti di fiducia sono sempre per chiamata). Come primo risultato ha ottenuto, oltre alla scontata adesione dell’Idv, anche quella dell’Udc, annunciata ieri da Casini, e dell’Api. L’intento di Berlusconi è invece di frenare il malcontento nel suo stesso partito, dove molti non sono più disposti a sottostare alle intemperanze verbali del leader leghista. Allo stesso tempo al premier serviva di dare un segnale di sicurezza all’esterno, in prospettiva della richiesta di fiducia di oggi alla Camera, per dire che lui non è succube della Lega. Così il capo del governo ieri mattina ha telefonato ad Alemanno per scusarsi, per confermare gli impegni su Roma Capitale, anche se non è stato detto apertamente, e "per sdrammatizzare le polemiche". Ha spiegato di aver avuto un colloquio con Bossi, nel quale gli è stato garantito che con "Sono Porci Questi Romani" avrebbe voluto fare "una battuta". Infine ha sottolineato di aver "raccomandato" al ministro "di tenere un comportamento sempre e doverosamente istituzionale". Alemanno si è detto soddisfatto per le garanzie fornite, sottolineando però che il dibattito parlamentare di oggi ha consigliato il premier a non sbilanciarsi. Anche perché Bossi, al contrario di quanto riferito da Berlusconi e da alcuni leghisti, che come Cota hanno insistito nel parlare di "battuta", ha ribadito la sua posizione a Radio Padania, raccogliendo applausi e incitazioni a proseguire sulla strada inaugurata anni fa col famoso "Roma ladrona". Prima anche lui ha detto che era "una battuta", che nei suoi confronti è stata montata una polemica montata ad arte da "sepolcri imbiancati". Poi, però, ha insistito sul concetto che a Roma "se possono ci portano via anche i marciapiedi", ma "il popolo non ne può più di questo ladrocinio... non ha più intenzione di farsi depredare... Noi pretendiamo di essere rispettati". Quindi ha proseguito con la consueta e non velata minaccia dell’insurrezione popolare: "Prima dobbiamo portare a casa, democraticamente, quello che riusciamo, poi, se ci sarà la "sparata" popolare, indipendentemente da me... non so". Dicevamo del Pd. Dopo un vertice Bersani-Letta-Franceschini, lo stesso capogruppo alla Camera ha definito la telefonata ad Alemanno "la solita ipocrisia" del premier nei confronti dell’alleato di governo. "Berlusconi non pensi di cavarsela liquidando le parole di Bossi come una simpatica battuta", ha detto il capogruppo alla Camera. Lo stesso Franceschini è il promotore della mozione di sfiducia individuale nei confronti di Bossi, alla quale è subito arrivato il sostegno di tutte le opposizioni, Udc e Api compresi. Non è escluso il voto favorevole anche dei deputati di Mpa e ci sono esponenti finiani, come Roberto Menia, che sarebbero disposti a votarla. "Mi sembra difficile fare una cosa diversa. Molti nel Pdl saranno in imbarazzo", è stato il commento di Pier Ferdinando Casini. Secondo Savino Pezzotta dell’Udc "Bossi vuole il voto anticipato". Analogo il giudizio di Enrico Letta: "Bossi è già in campagna elettorale". Nella mozione si sostiene che le affermazioni di Bossi "sono incompatibili con la carica di ministro della Repubblica e con l’articolo 54 della Costituzione". Già domani, in conferenza dei capigruppo, il Pd dovrebbe chiedere di calendarizzarla. Roberto I. Zanini 2010-09-28 28 settembre 2010 ROMA Domani il premier alla Camera "Chiederemo la fiducia" "Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha convocato per domattina il Consiglio dei ministri per porre la questione di fiducia" alla Camera dopo il suo intervento. Lo ha riferito il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Paolo Bonaiuti. In questa fase si deve fare una scelta di chiarezza che supera la necessità di avere ampi numeri in Parlamento. Con questo ragionamento, riferito da alcuni presenti alla riunione a Palazzo Grazioli, il premier Silvio Berlusconi ha motivato la decisione di porre la fiducia sul dibattito di domani. 5 UDC ESCONO E APRONO A PDL Fra le novità della mattinata, in una situzione dove ogni voto parlamentare può essere determinante, si segnala l'uscita di cinque deputati Udc dal partito di Pierferdinando Casini per costituire un gruppo autonomo che domani potrebbe sostenere Berlusconi. Tranfughi anche due deputati dell'Api, partito guidato da Francesco Rutelli. Dura la reazione del segretario del Pd, Pierluigi Bersani, secondo il quale queste "manovre" profilano gli estremi del reato di corruzione. Alla richiesta di un commento sui transfughi dell'Udc, Bersani ha detto in una intervista trasmessa da Youdem tv: "Quella è una scelta politica che può preludere all'ipotesi di un governo Berlusconi-Bossi-Cuffaro. Poi forse sono in corso anche altre manovre [...]: se uno promette a un deputato una rinomina ma, se non fosse possibile, promette uno stipendio questa secondo me è corruzione, è roba da magistratura". Bersani ha aggiunto che domani il Pd chiederà al governo di prendere atto che l'impasse politica in corso è irreversibile e che deve andarsene aprendo la crisi di governo.
28 settembre 2010 ISTAT Crisi, il Nord-Ovest è più penalizzato Il Nord-Ovest ha pagato la crisi nel 2009 più delle altre zone d'Italia. È quanto emerge dallo studio Principali aggregati dei conti economici regionali a cura dell'Istat. Lo scorso anno infatti il Pil si è ridotto del 6% nel Nord-Ovest, del 5,6% nel Nord-Est, del 3,9% nel Centro e del 4,3% nel Mezzogiorno, a fronte di un valore nazionale pari a -5%. Il Pil per abitante ai prezzi di mercato, misurato dal rapporto tra Pil nominale e numero medio di residenti nell'anno, segna una flessione del 3,7% a livello nazionale. Il calo è più contenuto nel Mezzogiorno (-2,7%) e nel Centro (-2,9%), mentre è più marcato nel Nord-Ovest (-4,6%) e nel Nord-Est (-4,5%). Diversa è la fotografia della spesa delle famiglie italiane che si è ridotta dell'1,9% nel 2009 rispetto al 2008. Il calo maggiore si è registrato al Mezzogiorno con un -2,8% seguito dal Centro -2,1%, dal Nord-Ovest -1,7% e dal Centro-Nord -1,6%. Meglio di tutti fa il Nord-Est -1%. La Confesercenti intanto indica nel "posto di lavoro" la grande priorità degli italiani. Dal quarto rapporto su Gli Italiani e la crisi promosso da Confesercenti-Ispo emerge che il 61% degli italianai si dichiara molto o abbastanza preoccupato a causa della crisi. In particolare, cresce anche il numero di coloro che si dicono molto allarmati (dal 28 al 31%). Una sensazione di ansia che tormenta soprattutto imprenditori, dirigenti e liberi professionisti ma anche i lavoratori dipendenti dalle basse qualifiche. Paradossalmente però sono i diplomati e laureati a dormire sonni meno tranquilli di coloro che hanno conseguito solo la licenza elementare o media. E naturalmente in prima fila fra coloro che mostrano preoccupazione ci sono i giovani fra i 18 e i 34 anni, mentre finisce pari il confronto fra uomini e donne. Analizzando il dato per aree geografiche, secondo il rapporto la preoccupazione sale di ben 11 punti nel Nord-Est (dal 21% di maggio al 32% di settembre 2010) mentre ad esempio nel Sud sale solo di un punto (dal 36 al 37%). Per il presidente della Confesercenti Marco Venturi dunque servono cinque mosse per rilanciare lo sviluppo: taglio coraggioso delle spese, meno pressione fiscale, investire in infrastrutture, autonomia energetica, lotta alla criminalità. "Il calo di fiducia non è il solo segnale negativo - sottolinea Venturi - in quanto ad esso si aggiunge il fatto che la gran parte degli italiani non crede che la crescita nel 2011 sarà significativa e vigorosa". Ecco perchè, dice il presidente di Confesercenti, "si deve elevare la qualità del confronto politico e sociale se non vogliamo sprecare altri preziosi mesi".
28 settembre 2010 CHIESA E SOCIETÀ Bagnasco: il bene comune, bussola per il Paese Pur "angustiati" per l’Italia, "nazione generosa e impegnata" che però "non riesce ad amarsi compiutamente", i vescovi lanciano un messaggio di speranza al Paese. "Cambiare si può". Ma "bisogna far presto", riscoprendo "la bellezza del bene comune" ed attuando le riforme (compresa quella del federalismo) con occhio attento alla solidarietà, all’unità nazionale e ai "valori costitutivi della civiltà: vita, famiglia, libertà religiosa e libertà educativa". Ad interpretare il comune sentire dell’episcopato italiano è stato ieri il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, nella prolusione con cui nel pomeriggio ha aperto i lavori del Consiglio permanente. Le 11 cartelle del discorso, che come di consueto Avvenire pubblica integralmente, contengono uno sguardo a tutto tondo sulle maggiori questioni ecclesiali e sociali dell’attualità. E naturalmente non poteva mancare l’esame della situazione socio-politica del Belpaese, per la quale il porporato non ha nascosto la preoccupazione propria e dei suoi confratelli. "Anche a noi – ha ricordato, infatti –, è capitato di vivere nell’ultimo periodo momenti di grande sconcerto e di acuta pena per discordie personali che, diventando presto pubbliche, sono andate assumendo il contorno di conflitti apparentemente insanabili; e questi sono diventati a loro volta pretesto per bloccare i pensieri di un’intera Nazione, quasi non ci fossero altre preoccupazioni, altri affanni". Di qui l’invito del cardinale a porre fine al malcostume della "denigrazione vicendevole" o della "polemica inconcludente", per mettere mano invece alle necessarie riforme. "Il Paese non può attardarsi – ha sottolineato Bagnasco –. Povero di risorse prime, più di altri deve far conto sull’efficienza del sistema e su una sempre più marcata valorizzazione delle risorse umane". Dunque è necessario "deporre realmente i personalismi, che mai hanno a che fare con il bene comune, e di mettere in campo un supplemento di reciproca lealtà e una dose massiccia di buon senso per raggiungere il risultato non di individui, gruppi o categorie, ma del Paese". Ecco, dunque, il messaggio di speranza, "cambiare si può". Unito tuttavia al pressante appello a "far presto". "Bisogna comprendere – ha messo in guardia il presidente della Cei – che se si ritardano le decisioni vitali, se non si accoglie integralmente la vita, se si rinviano senza giusto motivo scadenze di ordinamento, se si contribuisce ad apparati ridondanti, se si lasciano in vigore norme non solo superate ma dannose, se si eludono con malizia i sistemi di controllo, se si falcidia con mezzi impropri il concorrente, se non si pagano le tasse, se si disprezza il merito, si è nel torto, si cade nell’ingiustizia". Al contrario "lo scopo di ogni partecipazione politica è proprio la giustizia". E perciò "occorre superare la logica del favoritismo, della non trasparenza, del tornaconto". In sostanza, ha sottolineato Bagnasco, "l’Italia, nel suo complesso, ha bisogno di riscoprire la bellezza del bene comune, perseguito nell’azione politica come nella vita quotidiana dei cittadini". E in questo compito devono distinguersi specialmente i credenti. Perciò il cardinale ha ribadito il suo "sogno ad occhi aperti": quello di "una nuova generazione di italiani e di cattolici che sentono la cosa pubblica come fatto importante e decisivo" e che "credono fermamente nella politica come forma di carità autentica perché volta a segnare il destino di tutti". Di bene comune si parlerà alle prossime Settimane sociali di Reggio Calabria. E Bagnasco ha auspicato che sia proprio il bene comune "la divisa che consente di identificare là dove i cattolici, ma non solo loro". Sulla scia di Benedetto XVI, infatti, il cardinale ha ricordato che "la ragione è capace di distinguere ciò che è bene fare". E che "i valori non negoziabili non sono tali in ragione di una pregiudiziale cattolica". Vita, famiglia, libertà religiosa e libertà educativa, infatti, "sono i valori primi e costitutivi della civiltà". Il presidente della Cei si è quindi soffermato sulla questione del federalismo. "Gestire un Paese come il nostro in chiave federalista – ha fatto notare – presuppone una diffusa capacità di selezionare con rigore gli obiettivi, scadenzarli, argomentare le scelte, e saper dire dei no anche a chi si conosce. Riuscire a rispettare i vincoli di bilancio, rimanendo attenti alle implicanze umanistiche connesse con l’amministrazione politica, diventerà un’attitudine inderogabile, che presuppone sì un’abilità tecnico-gestionale, non però questa soltanto. Diversamente prevarranno le spinte ad un contrattualismo esasperato e ad una demagogia variamente declinata". "La riforma non deraglierà se potrà incardinarsi in un forte senso di unità e indivisibilità della Nazione: il tricolore è ben radicato nel cuore del nostro popolo". Ciò vale anche per la riforma fiscale: "Se non si combinano insieme federalismo e sussidiarietà, ma anche sviluppo e unità nazionale, col superamento di entrambe le sindromi, del vittimismo da una parte e dell’elargizione dall’altra, la sfida difficilmente si potrà vincere". La Chiesa, da parte sua, farà il possibile per sostenere il federalismo solidale e per evitare l’acuirsi del solco che divide in due il Paese. Numerosi altri temi hanno trovato posto nell’ampia prolusione di Bagnasco. Scuola, casi di malasanità ("uno spregio intollerabile"), condizione delle carceri, violenza sulle donne ("comportamenti irragionevoli e talora bestiali"), crisi e lavoro. Sul piano ecclesiale il porporato ha messo in rilievo il grande ruolo sociale della parrocchie, ha ricordato il sacrificio di monsignor Luigi Padovese, ha fatto proprie le parole di condanna del Papa sui casi di pedofilia sacerdotale e messo in guardia l’intero corpo ecclesiale da "atteggiamenti negativi" quali "egoismo, vanità, orgoglio, attaccamento al denaro, divisioni". Ma soprattutto, prendendo spunto dalla recente costituzione del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione, ha affermato: "È la questione di Dio il problema dell’Occidente". Per questo, ha detto, "ci sentiamo coinvolti a far sì che il cittadino italiano non accantoni la questione-Dio, non la rimuova ritenendola anti-umana". La Chiesa, ha concluso, deve avere un "più ampio respiro missionario". Mimmo Muolo
2010-09-27 27 settembre 2010 ANGELUS Il Papa: "Amare i poveri e seguire Dio" Amare i poveri e seguire la strada che Dio ci indica. Sono le due indicazioni che ha suggerito, ieri mattina, Benedetto XVI, commentando il Vangelo domenicale, prima di recitare l’Angelus a Castel Gandolfo. Nel Vangelo, "Gesù narra la parabola dell’uomo ricco e del povero Lazzaro. Il primo vive nel lusso e nell’egoismo, e quando muore, finisce all’inferno. Il povero invece, che si ciba degli avanzi della mensa del ricco, alla sua morte viene portato dagli angeli nella dimora eterna di Dio e dei santi". "Beati voi poveri – aveva proclamato il Signore ai suoi discepoli – perché vostro è il regno di Dio", ha ricordato il Papa, che ha sottolineato, però, che "il messaggio della parabola va oltre: ricorda che, mentre siamo in questo mondo, dobbiamo ascoltare il Signore che ci parla mediante le sacre Scritture e vivere secondo la sua volontà, altrimenti, dopo la morte, sarà troppo tardi per ravvedersi". Dunque, ha evidenziato il Pontefice, "questa parabola ci dice due cose: la prima è che Dio ama i poveri e li solleva dalla loro umiliazione; la seconda è che il nostro destino eterno è condizionato dal nostro atteggiamento, sta a noi seguire la strada che Dio ci ha mostrato per giungere alla vita, e questa strada è l’amore, non inteso come sentimento, ma come servizio agli altri, nella carità di Cristo". Prima dell’Angelus, Benedetto XVI ha portato due esempi da seguire: Chiara "Luce" Badano e san Vincenzo de’ Paoli, patrono delle organizzazioni caritative cattoliche.
27 settembre 2010 CONSIGLIO PERMANENTE CEI Bagnasco: "Cambiare si può E bisogna fare presto" I vescovi sono "angustiati per l'Italia" ed esprimono "grande sconcerto e acuta pena per discordie personali che, diventando presto pubbliche, sono andate assumendo il contorno di conflitti apparentemente insanabili", e si sono fatte "pretesto per bloccare i pensieri di un'intera nazione, quasi non ci fossero altre preoccupazioni, altri affanni". Così il presidente della Conferenza episcopale, cardinale Angelo Bagnasco, è intervenuto oggi, aprendo a Roma i lavori del Consiglio permanente della Cei. "Siamo angustiati per l'Italia", ha ripetuto Bagnasco, "Nazione generosa e impegnata, che però non riesce ad amarsi compiutamente, facendo fruttare al meglio sforzi e ingegno; che non si porta a compimento, in particolare in ciò che è pubblico ed è comune". CONFRONTO SERIO SULLE RIFORME Sulle riforme l'Italia "sembra tornare sempre al punto di partenza" e il presidente dei vescovi ha riaffermato l'urgenza di avviare il "confronto serio e decisivo, quello che non è perdita di tempo, ma ricerca della mediazione più alta e sollecita possibile. Il Paese non può attardarsi: povero di risorse prime, più di altri deve far conto sull'efficienza del sistema e su una sempre più marcata valorizzazione delle risorse umane". FEDERALISMO, RIFORMA IRREVERSIBILE Il federalismo è una riforma "irreversibile" ma "non deraglierà" solo se "potrà incardinarsi in un forte senso di unità e indivisibilità della Nazione", basato su "un patto nazionale che ci vincoli moralmente e a un tempo liberi le energie migliori". CONTEGNO INDIVISIBILE DAL RUOLO "Il contegno è indivisibile dal ruolo: quando si ha responsabilità di parola pubblica si può essere penetranti senza sfiorare il sopruso o scivolare nella contesa violenta". E fa "malinconia l'illusione di risultare spiritosi o più incisivi quando a patire le conseguenze è tutto un costume generale". Il presidente del vescovi italiani si appella così a un linguaggio politico che deve essere "confacente a civiltà ed educazione". GLI EPISODI DOLOROSI IN AMBITO SANITARIO "Trovare la morte per negligenza o inadeguatezza là dove si va per nascere o ricevere cure, è uno spregio intollerabile. diversi sono stati gli episodi dolorosi in ambito sanitario, con vittime innocenti e famiglie disperate". Un passaggio, quello sulla sanità, che il presidente dei vescovi italiani associa al tema delle morti sul lavoro. "I dati sono in via di diminuzione ma ogni singolo caso è di troppo, insopportabile per la coscienza del Paese", ha sottolineato Bagnasco, puntando il dito sui "subappalti": è "in particolare" in questo segmento che "va condotta la disanima in grado di condurre definitivamente fuori dall'emergenza". I CATTOLICI IN POLITICA "Ai cattolici con doti di mente e di cuore diciamo di buttarsi nell'agone, di investire il loro patrimonio di credibilità, per rendere più credibile tutta la politica". FISCO PIU' EQUO Per quanto riguarda la riforma fiscale, il presidente della Cei ha affermato che "sono in molti a sperare in criteri di maggiore equità" soprattutto nei confronti della famiglia, e che "si provveda così ad arrestarne l'impoverimento in atto da tempo". Bagnasco cita statistiche secondo le quali le coppie italiane "desiderano in media 2,2 figli, mentre ne nascono solo 1,4". Per realizzare il loro sogno "le misure economiche, messe o non messe a sostegno della famiglia, sono un fattore decisivo".
27 settembre 2010 Prolusione Rinnovare la pastorale in senso missionario Venerati e cari Confratelli, ci ritroviamo all’inizio del nuovo anno pastorale per continuare, nell’amicizia e nella comunione fraterna, l’opera di discernimento e di indirizzo che è – per statuto – affidata a questo Organismo. Il Consiglio Permanente, per una consistente parte, è oggi rinnovato in seguito all’avvicendamento dei Presidenti delle Commissioni Episcopali, verificatosi in occasione dell’Assemblea del maggio scorso. Ho la gioia dunque di porgere il più cordiale benvenuto, in particolare, ai nuovi componenti: con il loro apporto, cercheremo insieme di far fronte ai compiti che sono a tutti noi riservati. Ad un tempo, rinnoviamo il grazie ai Confratelli che nel precedente quinquennio hanno, con perizia e passione, arricchito il lavoro di questo organismo, e ora – ne siamo certi – continueranno ad esserci vicini con i loro consigli e la loro esperienza. 1. Ci sentiamo in profonda sintonia con le comunità cristiane che costellano il territorio del nostro Paese e vivono queste settimane in grande fermento per l’avvio del nuovo anno pastorale. La parrocchia, quale "luogo" di generazione e di esperienza della fede – in osmosi, per quanto è possibile, con la famiglia e in aiuto della stessa – ha compiti che la inducono a "osare" continuamente, ad essere pronta a ricominciare da capo con chiunque incontri sui sentieri della vita. Ognuno, infatti, ha diritto ad imbattersi con la comunità cristiana, così da esserne interpellato e poterla vivere: per questo essa si sforza di rinnovarsi "dal di dentro", attenta e sollecita al pensiero di Cristo, attingendo al mistero della sua presenza eucaristica, cercando con sapienza di recuperare il senso dei vari gesti qualificanti la vita cristiana, a partire dal segno della croce (cfr Benedetto XVI, All’Angelus, 30 maggio 2010). Il nostro è un tempo infatti in cui conviene non dare nulla per scontato. Con ragionevole flessibilità, ed entro una certa misura, la comunità parrocchiale modula le proprie proposte in considerazione dei ritmi variegati della società di oggi. Anche attraverso una "pastorale occasionale", si fa attenta al "frammento" e, chinandosi su ogni "germoglio", gli fa spazio e ne difende la vitalità. Per la verità, le nostre parrocchie – in generale – sono simili a cantieri che non chiudono mai. Quasi tutte si propongono anche nel tempo estivo; saremmo tentati di dire che in questa estate – ancor più che in passato – le case parrocchiali, le strutture di soggiorno specialmente montano, gli oratori e patronati, con il proprio corredo di strutture per lo sport e il gioco, si sono riempiti come non mai. E questo grazie a programmazioni finalizzate sempre all’educazione, in cui la presenza di animatori, spesso adulti e genitori, è preziosa garanzia di arricchenti scambi fra le generazioni. La Chiesa mette a servizio il patrimonio educativo che le è proprio e accompagna i giovani a sperimentare se stessi, la loro energia di vita, senza eludere i propri disagi e le proprie inquietudini. Pure a livello di adulti e di famiglie si vanno – da anni – sperimentando formule di incontro estivo in cui si fondono insieme esigenze diverse, dal riposo alla ricarica religiosa e formativa, con importanti risultati in ordine al confronto delle esperienze e a una riflessione meglio ragionata. C’è da dire poi che le comunità cristiane incastonate nelle località di turismo, e sono davvero molte, hanno da tempo imparato a farsi interpreti non solo di momenti spirituali e liturgici particolarmente curati, ma anche di una domanda di vacanze culturali che una fetta sempre più rilevante di popolazione esprime.
2. Ma il nostro sguardo si allarga subito alla dimensione della Chiesa universale, la quale negli ultimi mesi – com’è noto – è stata interessata dall’emergere di vicende umilianti e dolorose. Proprio in questo frangente, però, abbiamo sperimentato la grazia che Pietro è per la Chiesa. Ancora una volta, con il suo temperamento mite e quasi schivo, e in forza della sua energia spirituale come dell’attitudine intellettuale ad andare al centro delle questioni, Benedetto XVI si è portato innanzi a tutti, e in una visione dinamica della fede ha indicato nel Signore Gesù colui che "cammina avanti a noi, ci precede, ci mostra la strada" (Omelia ai Membri della Pontificia Commissione Biblica, 15 aprile 2010); ha ricordato che solo "nella grande prospettiva della vita eterna il Cristianesimo rivela tutto il suo senso" (ib). Come a dire: i problemi possono anche attanagliarci il cuore e causare sofferenze acute, ma il dolore deve aprirci ad una nuova adesione, ad un "sì" più intenso alla volontà del nostro Maestro e Signore. Ci ricorda che ogni evento chiama ad una incessante conversione. È il punto che sta a cuore al Papa: "Dobbiamo ri-imparare proprio questo essenziale: la conversione" (Ai giornalisti durante il volo verso il Portogallo, 11 maggio 2010). Cioè, la metànoia. Questa è "la vera e fondamentale risposta che la Chiesa deve esprimere, che noi, che ogni singolo, dobbiamo dare in questa situazione" (ib). Occorre dunque "riconoscere quanto è sbagliato nella nostra vita, aprirsi al perdono, prepararsi al perdono, lasciarsi trasformare. Il dolore della penitenza, cioè della purificazione, della trasformazione, questo dolore è grazia, perché è rinnovamento" (Omelia cit.). Si trova indicata qui, con il pàthos che essa esige, la vera fondamentale riforma della Chiesa, quella che si pone – e l’hanno insegnato tutti i veri riformatori – come requisito-base di qualsiasi vero rinnovamento ecclesiale. Il che, per Benedetto XVI, deve anzitutto concepirsi non nel confronto con il mondo, ma in rapporto a Cristo. È Lui il vero parametro, non altri e non altro. Parlando della figura di santa Ildegarda, e criticando la pretesa dei càtari, il Papa appena qualche settimana fa ha ripetuto un concetto a lui molto caro: "Un vero rinnovamento della comunità ecclesiale non si ottiene tanto con il cambiamento delle strutture, quanto con un sincero spirito di penitenza e un cammino operoso di conversione (…) Questo è un messaggio che non dovremmo mai dimenticare" (Udienza generale, 8 settembre 2010). È questo essenziale cammino di riforma, che il Papa indica e percorre davanti a tutti; che ognuno – pastori e popolo – deve abbracciare in modo netto, con rinnovata decisione e fiducia, e senza mai trascurare che "la zizzania esiste anche in seno alla Chiesa e tra coloro che il Signore ha accolto al suo servizio in modo particolare. Ma la luce di Dio non è tramontata, il grano buono non è stato soffocato dalla semina del male" (Messaggio per l’Apertura del 2° Kirchentag ecumenico tedesco, 10 maggio 2010). Il viaggio che il Santo Padre ha compiuto nel Regno Unito si è realmente rivelato un "evento storico" (Benedetto XVI, All’Udienza generale, 22 settembre 2010). Infatti, ha messo in evidenza – stavolta forse più che in altre occasioni – che la "partita" su Dio resta nella coscienza occidentale del tutto aperta. E se è vero che non ci dev’essere spazio per illusioni, non ce ne può essere neppure per pessimismi illogici e precipitosi. Il Papa stesso, tracciando un primo bilancio, ha confidato che il viaggio confermava una sua "profonda convinzione", ossia che "le antiche nazioni dell’Europa hanno un’anima cristiana, che costituisce un tutt’uno col "genio" e la storia dei rispettivi popoli" (ib). Considerando che con i suoi discorsi egli ha inteso rivolgersi all’"intero Occidente, dialogando con le ragioni di questa civiltà" (ib), ritengo che potrebbe essere utile riprendere – in una prossima circostanza, al di là dunque di quanto riusciremo a fare in questo Consiglio Permanente – alcuni nuclei tematici della visita e far sì che parlino alla nostra vita e alla missione delle nostre comunità. 3. Le prove – sappiamo – non abbandonano la Chiesa. In taluni momenti e in certi luoghi poi, queste prove assumono il carattere di vere e proprie persecuzioni, benché il termine, con il destino misterioso che esso evoca, vada usato con la opportuna prudenza. Anche oggi tuttavia il Vangelo si trova ad affrontare il martirio, esattamente come il Signore Gesù aveva preannunciato ai suoi discepoli (cfr Mt 10, 16-33). Un esito che finisce per riguardare soggetti con vocazione diversa: sacerdoti, religiose, e anche vescovi. Inevitabile per noi fare qui commossa memoria del confratello Luigi Padovese, vescovo francescano e amministratore apostolico dell’Anatolia. Ma il martirio non è, in questo tempo, risparmiato ai semplici cristiani, presenti in zone particolarmente critiche (come il Pakistan o certe regioni dell’India, o l’Iraq, la Nigeria, la Somalia), e neppure – paradossalmente – ai volontari che operano nelle trincee del mondo. Recentemente è successo a otto medici occidentali, caduti insieme a un loro collaboratore locale in un’imboscata talebana in Afghanistan. Fatti passare dapprima come spie, sono stati poi accusati di proselitismo, quando avevano semplicemente tra le loro cose la Bibbia. Sempre più spesso si deve prendere atto che neppure l’impegno professionale, profuso a servizio di popolazioni tra le più neglette, riesce a fare scudo. L’intolleranza religiosa assume allora la forma della cristianofobia. Uccidere appare l’unico modo per restare impermeabili al linguaggio dell’altruismo, che spaventa i violenti e inevitabilmente li eccita (cfr Benedetto XVI, All’Udienza generale, 7 luglio 2010). Simili testimonianze, spesso bagnate dal sangue, ci obbligano a verificare la nostra esistenza, a raddrizzarla mettendola meglio in asse con il Signore Gesù. Vorremmo sperare che il mondo libero ed evoluto non continui a sottovalutare questa emergenza, ritenendola in fondo marginale o irrilevante. Ci sono peraltro Paesi, come il nostro, che si stanno attivando affinché dagli Organismi internazionali venga messo definitivamente al bando questo genere di intollerabili discriminazioni. Dal canto suo, il Santo Padre - mentre fa appello ai "responsabili delle Nazioni Unite affinché garantiscano in modo reale, senza distinzioni e ovunque, la professione pubblica e comunitaria delle convinzioni religiose di ognuno" (Discorso alla Riunione delle Opere in Aiuto alle Chiese Orientali, 25 giugno 2010) - indica proprio nella "libertà religiosa" la "via per la pace" su cui riflettere in occasione della Giornata mondiale del 1° gennaio 2011. In ogni caso, non accettando la sottovalutazione dei travagli e delle tribolazioni che, nei suoi figli più esposti, la Chiesa affronta in varie parti del mondo, meriterà ricordare che il vero pericolo viene da chi, insieme al corpo, uccide anche l’anima (cfr Mt 10,28). E che cosa la uccide, se non la malizia che alberga nel cuore dell’uomo (cfr Mc 7,15)? "Il danno maggiore – diceva il Papa nella solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo (Omelia, 29 giugno 2010) – la Chiesa lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità, intaccando l’integrità del Corpo mistico, indebolendo la sua capacità di profezia, appannando la bellezza del suo volto". Il "non praevalebunt", che sta nella promessa finale di Cristo (cfr Mt 16,18), non può garantirci a riguardo degli "atteggiamenti negativi" dai quali talora ci lasciamo contagiare: egoismo, vanità, orgoglio, attaccamento al denaro, divisioni…– perché garantisce la realtà della Chiesa che vive la sua unione con Cristo (cfr. Omelia cit.). Come non pensare anche a quei sacerdoti che si sono macchiati di inqualificabili crimini, con abusi su bambini e ragazzi, segnando con ciò in maniera profonda le loro giovani esistenze? Dal Papa, pellegrino in terra inglese, sono ripetutamente venute parole nuove e dure di condanna per i responsabili di questi atti. Al centro delle sue preoccupazioni tuttavia, egli ha posto le vittime, le cui "immense sofferenze causate dall’abuso […], specialmente nella Chiesa e da parte dei suoi ministri", ha inteso collegare al mistero della sofferenza di Cristo (cfr Omelia nella Cattedrale di Westminster, 18 settembre 2010). Il suo parlare sincero e disarmato, che nulla nasconde anche di ciò che è fortemente amaro; il suo rivelarsi realmente determinato a rimuovere dal costume ecclesiale un delitto angosciante; il suo umile metter mano alle regole, per renderle più cogenti, com’è accaduto con le nuove norme "De gravioribus delictis", senza tuttavia mistificare i dati di una condizione – quella del pedofilo – esistenzialmente tragica… sono alcune delle vibrazioni che il Papa è riuscito a trasmettere, e che in una congiuntura particolarmente critica gli hanno procurato un raggio di interlocuzione per nulla scontato. È ciò, d’altra parte, che lo rende sempre più caro al popolo cristiano e spinge anche impensabili osservatori ad apprezzarne il messaggio, secondo un profilo meno angusto. Le sue parole – verso i responsabili e verso le vittime – sono anche le nostre, mentre come Vescovi, sempre alla luce delle direttive della Santa Sede, continuiamo quell’opera di più esigente discernimento e di rigorosa formazione dei candidati al sacerdozio, di accompagnamento del nostro clero, di decisa vigilanza, di intervento, di sostegno umano e cristiano per tutti. 4. Nel cuore dell’estate, veniva dato l’annuncio dell’istituzione di un nuovo Organismo della Curia romana – il Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione - "con il compito precipuo di promuovere una rinnovata evangelizzazione nei Paesi dove è già risuonato il primo annuncio della fede e […] si stanno vivendo una progressiva secolarizzazione della fede e una sorta di "eclissi del senso di Dio"" (Benedetto XVI, Omelia cit). Nonostante alcune consuete e preconcette interpretazioni, l’iniziativa introduce un movimento nuovo, e per certi versi ardito, rispetto ad una visione rassegnata dei problemi: ricorda e conferma la chiave di impegno specificamente missionario, da cui non possono ritenersi esenti i Paesi di antica tradizione cristiana. È vero – chi lo può contestare? – che oggi bisogna fare i conti con un certo indifferentismo religioso, ma Dio non cessa di venire incontro all’uomo, anzi, non può non farlo: è questa la sua "incapacità"! È sempre Lui che, per primo, viene a cercare l’uomo che sembra non soffrire della sua mancanza, che vive in culture a volte eccentriche e non di rado frastornanti. Ma il suo braccio non si è accorciato: Dio è Dio sempre, anche in questo tempo. Non siamo noi a doverci esibire in numeri acrobatici, è Lui a compiere il miracolo. La Chiesa semmai deve sforzarsi di essere la sua trasparenza, deve offrire il proprio innamoramento per Dio come il suo unico tesoro. In ragione di ciò, è chiamata a tessere, attraverso il filo dell’amicizia e della com-passione, relazioni sincere e personali con l’uomo d’oggi, il quale avverte, forse ancora in modo confuso, una nuova marginalità di sé nell’universo delle galassie, e dunque è attraversato da nuove insicurezze, nascoste talora dietro scostanti arroganze. Ebbene, l’iniziativa avanzata dal Papa ha subito assunto un valore simbolico non poco eloquente. Da una parte, è approdo coerente con il cammino post-conciliare della Chiesa, in cui porta a fusione una serie di intuizioni tra le più vigili e acute degli ultimi quarant’anni; dall’altra, è vettore di nuova creatività, in grado di rilanciare in avanti la volontà di rispondere alla secolarizzazione. È la "questione Dio" il problema dell’Occidente. Il nostro Papa – fin dal solenne inizio del suo pontificato, e poi a più riprese nei Discorsi natalizi alla Curia Romana, quindi negli interventi sviluppati nel corso dell’Anno Paolino, e specialmente in occasione della Lettera del 7 luglio 2007, indirizzata ai Vescovi di tutto il mondo – ha in vario modo sottoposto alla comunità ecclesiale l’esigenza di un nuovo annuncio cristiano proprio là dove le tracce della prima evangelizzazione vanno attenuandosi. Dunque, si tratta di un’iniziativa organica alla Chiesa e congeniale al pontificato. Essa potrebbe riverberarsi in modo particolare nella comunità ecclesiale italiana, dove da quattro decenni si va declinando l’imperativo dell’evangelizzazione, con la volontà di tradurre i dettami del Concilio Vaticano II, e dove già quattro convocazioni ecclesiali hanno ri-modulato in modo inequivocabile i sentieri verso la missione. Noi sentiamo come vero che "l’uomo del terzo millennio desidera una vita autentica e piena, ha bisogno di verità, di libertà profonda, di amore gratuito" (Benedetto XVI, Omelia in San Paolo fuori le Mura, 28 giugno 2010). Dio "non è il concorrente della nostra esistenza, ma il garante" della nostra felicità (Benedetto XVI, Messaggio cit.), e per questo il suo appello interseca le dimensioni fondamentali della vita, dal lavoro al tempo libero, dalla mobilità agli affetti, sfidandole continuamente con significati inediti, come si è visto nel Convegno Ecclesiale di Verona (ottobre 2006). Più che incapsularla dentro a definizioni fredde e a programmi rigidi, la missione deve veicolare un’incandescenza. Come Chiesa pellegrina in questo Paese, ci sentiamo coinvolti a far sì che il cittadino italiano non accantoni la questione-Dio, non la rimuova ritenendola anti-umana, e lasci affiorare la nostalgia che si nasconde in essa. Per questa ragione, bisogna rivisitare l’intera attività pastorale ordinaria, assegnandole "un più ampio respiro missionario" (Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata Missionaria 2010) e bisogna rivolgerci distintamente ai giovani e ai giovani adulti. Essendo importante, a tale scopo, identificare e far circolare – perché siano conosciuti e possano stimolare altri – i tentativi di nuova evangelizzazione messi in campo in varie Chiese locali, e con interlocutori diversi. Bisogna provare a dar vita, magari su scala interparrocchiale o cittadina, a esperienze artistiche o confronti strutturati, in cui le persone "possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio", magari "anche senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero" (Benedetto XVI, Discorso alla Curia Romana, 21 dicembre 2009). Il Papa ha prospettato anche un nome evocativo per simili esperienze: "il cortile dei gentili", e si ha notizia che qualcosa in Europa stia per essere sperimentato. Le diramazioni che il nostro Progetto culturale ha sviluppato nell’ambito delle diocesi potrebbero rendere fattibile qualche traduzione anche da noi, facendo continuamente attenzione di ricorrere sempre al codice dell’amicizia amabile e discreta. 5. Esperienze, ne siamo consapevoli, che diventano possibili là dove c’è l’apporto di sacerdoti preparati, in grado di operare insieme al laicato più intraprendente. Sul profilo di questi essenziali nostri collaboratori abbiamo riflettuto a lungo nei mesi scorsi, in occasione dell’Anno Sacerdotale, indetto per i centocinquant’anni dalla morte del Santo Curato d’Ars, figura tra le più emblematiche del cattolicesimo di antico retaggio cristiano. Si è trattato di un’iniziativa provvidenziale che, affacciandosi nel momento più delicato, ci ha aiutato ad identificare la giusta prospettiva per questioni, come la pedofilia, di recente evidenziatasi in modo traumatico. È stato realmente un tempo di grazia che ha toccato le Chiese locali e i singoli presbitèri, e ha spesso coinvolto anche le comunità e il laicato, al punto che non avrei esitazione a dire che il sacerdote oggi è più capito e amato. Certo abbiamo sofferto e ancora soffriamo, ma sappiamo che, con la grazia di Dio, la sofferenza non è mai inutile. Per questo motivo, il 28 maggio scorso, abbiamo indirizzato – a nome dei confratelli Vescovi – una Lettera a tutti i sacerdoti d’Italia, con la quale intendevamo soprattutto ringraziarli per esserci, e dire loro che siamo fieri dei nostri preti. In nulla infatti è sminuita la nostra stima e la nostra considerazione. Semmai, come Vescovi, ci siamo interrogati su come possiamo ancor meglio tradurre il nostro legame sacramentale e affettivo con loro, e come dare maggior efficacia alle relazioni interne al nostro presbiterio. Anche per questo le figure di Pastori santi restano per noi riferimenti vivi e vitali e non a caso Benedetto XVI ha indicato san Giuseppe Cafasso come icona per il dopo Anno Sacerdotale (cfr Udienza generale, 30 giugno 2010). Il sacerdozio comporta un continuo e costoso lavorìo interiore, al fine di perdere se stessi per ritrovarsi. Di più: il sacerdote deve arrivare all’identificazione di sé con l’"io" di Cristo: per questo "vivere l’Eucaristia nel suo senso originario, nella sua vera profondità" è l’epicentro e l’evento fontale, è la "scuola di vita, è la sicura protezione contro ogni tentazione di clericalismo" (cfr Benedetto XVI, Colloquio con i Sacerdoti, 10 giugno 2010). E in ragione del nostro essere attratti e "tirati fuori" da Lui, il celibato è da intendersi come un andare "verso il mondo della risurrezione, verso la novità di Cristo, verso la nuova e vera vita" (ib). È la condizione affinché, a nostra volta, abbiamo a "tirare" gli altri, compreso il nostro tempo, verso il vero presente, la realizzazione plenaria, la gioia senza ombre. Per questo osiamo dire che l’Anno Sacerdotale ci ha confermati in un ideale sempre più bello e luminoso del sacerdozio. Ci ha aiutato a capire meglio perché dobbiamo fidarci della Chiesa e ad essere, ad un tempo, critici verso il mondo, critici – ben inteso – secondo il criterio della fede (ib). 6. Nel nostro animo di sacerdoti, siamo angustiati per l’Italia. È anche il nostro Paese, vi sono radicate le nostre Chiese, ci vivono i nostri fedeli, da secoli vi risuona il Vangelo, con il quale saremmo pronti a dare la nostra stessa vita (cfr 1Ts 2,8). Anche a noi è capitato di vivere, nell’ultimo periodo, momenti di grande sconcerto e di acuta pena per discordie personali che, diventando presto pubbliche, sono andate assumendo il contorno di conflitti apparentemente insanabili; e questi sono diventati a loro volta pretesto per bloccare i pensieri di un’intera Nazione, quasi non ci fossero altre preoccupazioni, altri affanni. Siamo angustiati per l’Italia. Non per un’idea o l’altra – comunque astratte – dell’Italia, ma per l’Italia concreta, fatta di persone e comunità, ricca di risorse umane, avvezze a lavorare senza il timore della fatica, capaci di intraprendere e di creare, di applicarsi senza tregua, con fantasia e dedizione. Nazione generosa e impegnata, che però non riesce ad amarsi compiutamente, facendo fruttare al meglio sforzi e ingegno; che non si porta a compimento, in particolare in ciò che è pubblico ed è comune. Anche l’innegabile influsso di una corrente di drammatizzazione mediatica, che sembra dedita alla rappresentazione di un Paese ciclicamente depresso, finisce per condizionare l’umore generale e la considerazione di sé. Dovremmo invece essere stabilmente capaci della giusta auto-stima, senza cesure o catastrofismi, esattamente così come si è ogni giorno dedicati al lavoro che dà sostentamento alla propria famiglia. La verità delle situazioni non si sottomette a semplificazioni unilaterali, e spesso richiede un processo complesso e discreto, mentre in troppi si accontentano di piccole porzioni di verità, reali ma limitate, assolutizzate e urlate. A momenti, sembriamo appassionarci al disconoscimento reciproco, alla denigrazione vicendevole, e a quella divisione astiosa che agli osservatori appare l’anticamera dell’implosione, al punto da declassare i problemi reali e le urgenze obiettive del Paese. Alla necessaria dialettica si sostituisce la polemica inconcludente, spingendosi fino sull’orlo del peggio. Poi, alla vista dell’esito estremo, si raddrizza il tiro, ci si riprende; si tira un respiro di sollievo per scampato pericolo, finendo tuttavia – altro guaio – per tenere uno sguardo affezionato a quello che in precedenza era stato il campo di battaglia. Si preferisce indugiare con gli occhi tra le macerie, cercare finti trofei, per tornare a riprendere quanto prima la guerriglia, piuttosto che allungare lo sguardo in avanti, disciplinatamente orientato sugli obiettivi comuni, per i quali è richiesta una dedizione persistente e convergente. 7. Nonostante alcuni risultati nel tempo, la nostra amata Italia sembra, su alcuni fronti, tornare sempre al punto di partenza: istruisce i problemi, comincia a metter mano alle soluzioni, ma non riesce a restare concentrata sull’opera fino a concluderla. Da decenni si parla di riforme, le si scandisce, e – tuttavia – quando saranno varate? Quando si arriverà al confronto serio e decisivo, quello che non è perdita di tempo, ma ricerca della mediazione più alta e sollecita possibile? Il Paese non può attardarsi: povero di risorse prime, più di altri deve far conto sull’efficienza del sistema e su una sempre più marcata valorizzazione delle risorse umane. Bisogna, per questo, avviare meccanismi di coinvolgimento e di partecipazione non fittizi. Qui, qualche interessante segnale c’è, seppure molte restano ancora le resistenze. Le sfide derivanti dalla globalizzazione impongono una quota di flessibilità e adattabilità che non può essere artificiosamente ostacolata, ma neppure strumentalmente usata per indebolire la dignità di chi lavora. Se partecipazione si vuole, ed è sempre più necessaria, occorre che vi siano i requisiti perché ogni parte in causa esprima il meglio – non il peggio – di sé. È il momento di deporre realmente i personalismi, che mai hanno a che fare con il bene comune, e di mettere in campo un supplemento di reciproca lealtà e una dose massiccia di buon senso per raggiungere il risultato non di individui, gruppi o categorie, ma del Paese. La fiducia che i cittadini esprimono verso chi li rappresenta è un onore e una responsabilità che non ammette sconti di nessun tipo. Cambiare si può. Le famiglie reagiscono, le persone crescono, e anche la collettività può farlo nella misura in cui comprende che l’esito di progresso diventa pane condiviso. E bisogna far presto! Il nostro vigoroso invito a rilevare la moralità intrinseca ai processi di innovazione non nasconde alcun conformismo. Lo facciamo non per un’idea esorbitante del nostro ruolo, ma per il comandamento che impone anche a noi di amare Dio sopra ogni cosa, e insieme – ma è solo l’altra faccia della medaglia – di difendere chi è indifeso, sia che si veda sia che non si veda ancora. Bisogna comprendere che se si ritardano le decisioni vitali, se non si accoglie integralmente la vita, se si rinviano senza giusto motivo scadenze di ordinamento, se si contribuisce ad apparati ridondanti, se si lasciano in vigore norme non solo superate ma dannose, se si eludono con malizia i sistemi di controllo, se si falcidia con mezzi impropri il concorrente, se non si pagano le tasse, se si disprezza il merito… si è nel torto, si cade nell’ingiustizia. Ma lo scopo di ogni partecipazione politica è proprio la giustizia, e per questo occorre produrre lo sforzo necessario – cui la Chiesa non mancherà moralmente di contribuire – per superare la logica del favoritismo, della non trasparenza, del tornaconto. A tutela della società ci sono le forze dell’ordine, ma è vile scaricare su di loro ciò che meglio si risolve attraverso relazioni sociali vigili e coscienziose. Quando le risorse si fanno più misurate, anche gli sprechi e il lusso ostentato diventano meno tollerabili. In qualunque campo, quando si ricoprono incarichi di visibilità, il contegno è indivisibile dal ruolo. Quando si ha responsabilità di scrittura o di parola pubblica, si può essere penetranti senza sfiorare il sopruso o scivolare nella contesa violenta. Il linguaggio in uso nella scena pubblica deve essere confacente a civiltà ed educazione. Fa malinconia l’illusione di risultare spiritosi o più "incisivi", quando a patire le conseguenze è tutto un costume generale. Svuotare le parole, o renderle equivalenti quando non lo sono, è – a modo suo – un furto. Come Vescovi, sentiamo di dover esprimere stima e incoraggiare quanti si battono con abnegazione in politica; facciamo pressione perché si sappiano coinvolgere i giovani, pur se ciò significa circoscrivere ambizioni di chi già vi opera. Ai cattolici con doti di mente e di cuore diciamo di buttarsi nell’agone, di investire il loro patrimonio di credibilità, per rendere più credibile tutta la politica. Lasciamo volentieri ai competenti il compito di definire i modi di ingaggio e le regole proprie della convivenza. A noi tocca però segnalare come una "città" la si costruisca tutti insieme, dall’alto e dal basso, in una sfida che non scova alibi nella diserzione altrui. Le maturazioni generali hanno bisogno di avanguardie: ognuno deve interrogarsi se è chiamato a un simile compito. 8. Volendo tuttavia indicare con un concetto sintetico ciò che è essenziale ad ogni "città", dobbiamo per forza evocare il bene comune, fulcro dinamico di questa visione, fondamentale baricentro di una comunità che voglia essere equilibrata. In una recente occasione mi ero permesso di confidare un "sogno", di quelli che si fanno ad occhi aperti: ossia che, senza disconoscere quanto di positivo già c’è, e magari con la cooperazione scaturente dalle esperienze presenti sul campo, possa sorgere una generazione nuova di italiani e di cattolici che sentono la cosa pubblica come fatto importante e decisivo, che credono fermamente nella politica come forma di carità autentica perché volta a segnare il destino di tutti (cfr Prolusione al Consiglio Permanente, 25 gennaio 2010). Torneremo anche in seguito su questo tema. Fin d’ora vorrei però dire quello che è il cuore, il motore di quanto andiamo ad auspicare: l’ideale cioè del bene comune (cfr Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 7). L’Italia, nel suo complesso, ha bisogno di riscoprire la bellezza del bene comune perseguito nell’azione politica come nella vita quotidiana dei cittadini. Ha bisogno di una leva di italiani, e di cattolici, che senza presunzioni aderiscono al discrimine del bene comune, danno lucentezza alla sua plausibilità, così che aiuti ad individuare le soluzioni che meritano di essere perseguite. Alla luce di questo ideale, e nella data "realtà storica i cristiani, agendo come singoli cittadini, o in forma associata, costituiscono una forza benefica e pacifica di cambiamento profondo, favorendo lo sviluppo delle potenzialità interne alla realtà stessa" (Benedetto XVI, Omelia per il Bicentenario della nascita di Leone XIII, Carpineto Romano, 5 settembre 2010). Si profila così la figura di un protagonismo costruttivo per quanti credenti, ma anche non-credenti, intendono fare la propria parte nella vita nazionale come nei municipi, nelle istituzioni sociali come nella vivace realtà civile, nella realtà del non profit come nelle associazioni culturali, oltre che naturalmente nel campo dei doveri propri del singolo: ovunque ci si collochi, la ricerca del bene comune concreto diventa una sorta di bussola, l’indice per misurare urgenze e priorità. Non a caso esso facilita, di volta in volta, l’individuazione del punto di arrivo potenzialmente più ragionevole (cfr Benedetto XVI, Discorso alle Autorità civili in Westminster Hall, 17 settembre 2010). Ricorrente è, nella nostra cultura pubblica, un certo interrogarsi sui cattolici: dove sono, come si pongono, cosa fanno. Anche nell’ultima estate queste domande sono ritornate. Risposte, magari interessanti, suonano spesso unilaterali, condizionate fatalmente dal punto di osservazione. Ebbene, vorremmo che fosse il bene comune la bandiera che nel cuore si serve, la divisa che consente di identificare là dove sono i cattolici, ma – ripeto – non solo loro. Non dimentichiamo, infatti, che "la ragione è capace" di distinguere "ciò che è bene fare e ciò che è bene non fare per il conseguimento di quella felicità che sta a cuore a ciascuno, e che impone anche una responsabilità verso gli altri" (Benedetto XVI, All’Udienza generale, 5 agosto 2010). È proprio l’esperienza condotta dal di dentro delle cose, in nome della ragione e quindi della morale naturale, che diventa il giudizio più evidente sul relativismo secondo cui non ci sarebbero riferimenti etici da privilegiare né alcuna gerarchia di valore. Parlando di questo tema, il Santo Padre si chiedeva se non fosse proprio qui il punto dov’è agganciata la spiegazione dei "valori non negoziabili". Che tali sono non in ragione di una pregiudiziale cattolica, che vizierebbe la comprensione oggettiva dei fatti della vita. La Chiesa, in realtà, nel suggerire valutazioni per la ricerca biomedica o sulle formazioni sociali e familiari, attinge al patrimonio comune dell’umanità, ricordando la linea di confine oltre la quale l’umanesimo si fa apparente, e il progresso si rivela essere un regresso, non rispettando i valori primi e costitutivi della civiltà: vita, famiglia, libertà religiosa e libertà educativa. Beni che sono il fondamento che garantisce ogni altro necessario valore, declinato sul versante della giustizia e della solidarietà sociale, che da sempre è nel cuore del Vangelo e della Chiesa. Quale solidarietà, ad esempio, se si rifiuta o si sopprime la vita, specialmente la più debole? È nella morale naturale che le istituzioni internazionali possono trovare un "terreno solido e duraturo" per elaborare e perfezionare la dottrina dei diritti; infatti "come potrebbe esserci un dialogo fecondo tra le culture senza valori comuni, diritti e principi stabili, universali, intesi allo stesso modo da tutti?" (Benedetto XVI, Discorso al Consiglio d’Europa, 8 settembre 2010). Il dogmatismo quale imputazione, in pratica, non regge. In una fase politica nella quale si comincia a ragionare di agenda bioetica come "rastrello" ancora schematico di un’antropologia completa da portare al confronto tra le forze politiche, e dove i cattolici variamente dislocati sono chiamati a giocare un ruolo convergente e propulsivo, non sarà male avere in serbo queste prospettive provenienti anche di recente dal Magistero. Dai responsabili nazionali dell’associazionismo cattolico sono venute, nell’ultimo periodo, indicazioni confortanti in questo senso. Confidiamo che la prossima Settimana Sociale, in programma a Reggio Calabria dal 14 al 17 ottobre, non farà mancare, dalla visuale che le è propria, un apporto di sviluppo coerente. La presenza peraltro in terra calabra di una considerevole compagine ecclesiale, rappresentativa del Paese, è fin d’ora segno della stima che tutti abbiamo verso una regione in cui si va esprimendo un’importante reazione al fenomeno malavitoso. I magistrati e le forze dell’ordine, sotto tiro proprio per la progressiva efficacia della loro azione, sappiano che la Chiesa è con loro contro la violenza oscura che uccide la speranza. Le comunità di Calabria, come di tutto il Meridione, devono sentirsi sostenute dalla solidarietà e dall’ammirazione delle Chiese sorelle, impegnate a loro volta nel far fronte ad una propagazione del fenomeno malavitoso della quale non è più lecito ormai dubitare. 9. Una parola mi permetto di dire su alcune questioni aperte, e che hanno un chiaro rilievo antropologico. Sul versante della crisi economica, innegabile è la percezione di una più marcata fragilità, benché talune fasce di popolazione sembrino non essere state toccate dalla crisi. Da queste pure è ragionevole attendersi standard di vita consoni alla condizione generale, e una sensibilità verso le indubbie esigenze di solidarietà. Alle banche presenti nel nostro territorio sentiamo di dover chiedere che, anche sfidando un apparente paradosso, adottino criteri del massimo favore razionalmente possibile nel valutare le richieste di finanziamento avanzate dalle imprese. L’impatto sociale della crisi, per come essa si sta evolvendo, dipende ora in buona misura da un loro più sensibile interessamento. Ci auguriamo, altresì, che il diritto dei lavoratori disoccupati, in mobilità o licenziati, sia tenuto nel debito conto e il loro potenziale possa essere quanto prima reintegrato. La disponibilità delle parti a dialogare costruttivamente esiste, e non mancano in questo campo segnali concreti. È fondamentale che, nel frattempo, non siano ritirati dallo Stato gli ammortizzatori sociali. Deve in particolare stare a cuore a tutti il destino dei giovani: non si procede ignorando le loro legittime aspettative. La nostra agricoltura ha bisogno di alcuni interventi che la rinforzino, facendola tornare un settore che attrae vocazioni, non le espelle: che il territorio sia lavorato, e da esso si ricavino prodotti di qualità, è interesse generale. Qui si situa la domanda di tracciabilità dei prodotti, attraverso filiere limpide e plausibili, possibilmente più corte. La scuola vive settimane importanti: uniamo la nostra voce a quella dei Vescovi che già si sono rivolti ai diversi attori scolastici, augurando una stagione fervida di impegno, così che i risultati superino i problemi. Non mancano, per l’università come per le scuole superiori, novità importanti che meriterà sperimentare, cogliendone tutte le possibili virtualità. Decisiva ci appare una concorde insistenza sulla qualità della scuola, attorno a cui preparazione personale dei docenti, riconoscimento della specifica professionalità, sistema di valutazione e adeguate risorse convergono quali fattori interdipendenti. Su tutto, però, è la dignità della scuola-istituzione che va salvata per ciò che, a cascata, ne deriva. Ci sono potenzialità inespresse che vanno sprigionate, al fine di realizzare una concreta libertà di educazione da parte delle famiglie, garanzia a sua volta di autentica qualità, consolidando in una logica anti-sprechi la rete di scuole e tradizioni educative di cui è ricco il nostro territorio. Lo stesso problema dei cosiddetti "precari" andrà risolto su vie di giustizia e solidarietà, prendendo tutti coscienza che meditate regole di sistema devono nel futuro impedire il riprodursi di situazioni problematiche e dolorose. Diversi sono stati gli episodi dolorosi in ambito sanitario, con vittime innocenti e famiglie disperate. Trovare la morte per negligenza o inadeguatezza là dove si va per nascere o ricevere cure, è uno spregio non tollerabile, che offusca la dedizione di tanti professionisti. I morti sul lavoro sembrano in via di diminuzione, ma ogni singolo caso è di troppo, insopportabile per la coscienza del Paese. In particolare, è nei subappalti che va condotta la disamina in grado di condurre definitivamente fuori dall’emergenza. La condizione delle carceri è stata e resta un fardello pesante non solo per noi – sacerdoti e Vescovi – che le visitiamo, e per coloro che quotidianamente vi operano, ma per tutti. Da tempo si parla di un "piano carceri", intanto però ogni cittadino, anche colpevole, conserva la dignità su cui far conto per il riscatto. Ci sono imprenditori illuminati che, insieme all’autorità carceraria, stanno sperimentando formule interessanti di lavoro all’interno e di commercializzazione esterna per quanto prodotto in carcere. È una via di speranza, poiché include prospettive di riabilitazione e di concreto reinserimento. La violenza sulle donne è drammatico fenomeno che porta a mettere sotto accusa in genere l’uomo, spesso giovane, che si fa attore di comportamenti irragionevoli e talora bestiali. C’entra qui l’educazione, ma anche l’auto-educazione che ciascuno deve acquisire per sapersi controllare, stabilendo con ogni persona rapporti di pari dignità. Anche altri gruppi sociali sono stati, purtroppo, presi di mira da gesti assurdamente violenti e discriminatori, qualche volta anche a sfondo razzista. La questione, poi, dell’ospitalità che va offerta ai Rom si è di recente imposta a livello europeo, il più idoneo ad evitare soluzioni che umilino il senso di responsabilità del continente. Sono scenari diversi di quella frontiera educativa che oggi attraversa ogni comunità, eludere la quale significa arrendersi non in una singola controversia, ma alla sfida trasversale e decisiva circa il nostro futuro. 10. Il federalismo è l’importante riforma in via di definizione, delicata sotto diversi profili, anche perché irreversibile. Bisogna non nascondersi che col federalismo cresce lo spessore delle responsabilità da esercitare localmente. Gestire un Paese come il nostro in chiave federalista presuppone una diffusa capacità di selezionare con rigore gli obiettivi, scadenzarli, argomentare le scelte, e saper dire dei no anche a chi si conosce. Riuscire a rispettare i vincoli di bilancio, rimanendo attenti alle implicanze umanistiche connesse con l’amministrazione politica, diventerà un’attitudine inderogabile, che presuppone sì un’abilità tecnico-gestionale, non però questa soltanto. Diversamente prevarranno le spinte ad un contrattualismo esasperato e ad una demagogia variamente declinata. È il momento insomma di sviluppare quel confronto ampio che è richiesto dal salto culturale senza il quale non si dà riforma. E questa potrà prendere positivamente forma in una logica di lealtà reciproca, in verticale e in orizzontale, estranea alle forme del ricatto come alla catena dei risarcimenti interminabili. Meglio che tra le pieghe non si annidino equivoci o ipocrisie che nel nuovo assetto non mancherebbero di appesantire il passo comune. La riforma non deraglierà se potrà incardinarsi in un forte senso di unità e indivisibilità della Nazione: il tricolore è ben radicato nel cuore del nostro popolo. È poi una consapevolezza acquisita che si debba procedere con una concomitante riforma fiscale. Se non si combinano insieme federalismo e sussidiarietà, ma anche sviluppo e unità nazionale, col superamento di entrambe le sindromi, del vittimismo da una parte e dell’elargizione dall’altra, la sfida difficilmente si potrà vincere. La Chiesa, con la sua capillarità e la rete delle sue istituzioni, intende fare per intero la propria parte, come in altri momenti cruciali, perché si realizzi un federalismo solidale. Preferiamo ricordare in partenza che ci sono condizioni morali e culturali indispensabili, non perché si nutrano riserve sull’ipotesi in sé, ma perché l’esperienza fa edotti su virtù e debolezze. Se ciascuna parte non si sforzerà di percepire le fondate preoccupazioni degli altri, e non sarà disposta a farsene ragionevolmente carico, non riusciremo a stringere un nuovo, necessario patto nazionale che ci vincoli moralmente e ad un tempo liberi le energie migliori. Nel centocinquantesimo dell’Unità d’Italia nulla di meno serve, come già ci permettevamo di annotare in una precedente occasione. Le celebrazioni, che nel frattempo si vanno succedendo, ci rendono ancor più persuasi che l’unità politica e istituzionale include un’unità interiore e spirituale che merita di essere perseguita come contributo vitale offerto a tutto il Paese. Il rinforzato profilo istituzionale assegnato a "Roma capitale" non può certo eludere la domanda di esemplarità, inclusiva di una vocazione unica rispetto alla coscienza del mondo. Si accennava in precedenza alla riforma fiscale che presto sarà in cantiere. Sono in molti a sperare in criteri di maggiore equità, in un disegno di Stato né astratto né anonimo. Va da sé che, in una democrazia anche economica, chi più possiede più deve contribuire. Per il bene concreto dell’Italia, ci auguriamo sia finalmente l’occasione per centrare una riforma a vantaggio del soggetto che per tutti – aziende, sindacati, scuola… – è decisivo, cioè la famiglia, e si provveda così ad arrestarne l’impoverimento in atto da tempo, e che rischia di simboleggiare il suo declino culturale. I dati demografici possono illudere solamente coloro che vogliono illudersi. Di recente non sono mancate, come non mancheranno domani, le provocazioni che inducono a un certo risveglio. Con queste riforme lo Stato dirà ai cittadini come pensa di proiettarsi in avanti. È pur vero che nella decisione di avere figli entrano in gioco motivazioni varie e complesse di tipo culturale, e tuttavia, se dobbiamo dar credito alle statistiche, già oggi le coppie desiderano in media 2,2 figli, mentre ne nascono solo 1,4. Il che dimostra ciò che peraltro è eloquente anche dall’esperienza di Paesi prossimi al nostro: le misure economiche, messe o non messe a sostegno della famiglia, sono un fattore decisivo. Assegnare alla famiglia ciò che le serve, e non illudersi che questa farà ad oltranza scelte eroiche o – a seconda dei punti di vista – autolesionistiche, non può da alcuno essere ragionevolmente scambiato per un’opzione ideologica. La Chiesa è impegnata per promuovere anche culturalmente l’istituto familiare e per questo fortemente sconsiglia "iniziative legislative che implichino una rivalutazione di modelli alternativi della vita di coppia e della famiglia" (Benedetto XVI, Discorso al nuovo Ambasciatore di Germania, 13 settembre 2010). Venerati Confratelli, termino sapendo che, oltre le cose dette, il nostro sguardo è costantemente aperto sul mondo, le sue ferite, le sue emergenze. La planimetria della fame starebbe, secondo alcuni, un po’ regredendo, ma questo paradossalmente ci ricorda che la tragedia è estirpabile. Non a caso, il dimezzamento entro il 2015 delle vittime per fame figura tra gli obiettivi che il mondo progredito si è dato, e ora bisogna saper mantenere, anche da parte del nostro Paese, evitando che si aggiungano ulteriori squilibri e ritardi. Ci sono poi gli esiti di disastri naturali, come le recenti alluvioni in Pakistan che, pur non suscitando particolare commozione nell’opinione pubblica, attendono non di meno la solidarietà dell’Occidente, come delle Chiese. In questo ambito, peraltro, non si può non convergere con chi auspica il sorgere di un centro mondiale di allerta per le catastrofi naturali, che possa aiutare i popoli a contenere i rischi di catastrofe. Nel corso dei nostri lavori daremo il via libera alla pubblicazione degli Orientamenti pastorali per il decennio, già approvati dall’Assemblea Generale di maggio: ho preferito non trattare della sfida educativa in un punto a sé per sottolineare l’ importanza di questo atto collegiale, e anche perché di tale sfida – ce ne siamo resi conto – abbiamo in modo diretto o indiretto fin qui parlato. Nella nostra visione, non c’è traguardo personale o comunitario che non abbia una corrispondente implicanza educativa. Sentiamo vicine le nostre Chiese: è con trepidazione che ci vedono ogni volta partire per gli impegni che hanno luogo fuori diocesi. In realtà, noi da loro non ci stacchiamo mai e mai cessiamo, attraverso modalità diverse, di essere con loro. Per la Chiesa che è in Italia, e dunque anche sul lavoro che ci attende in questi giorni, invochiamo l’assistenza dello Spirito Santo, attraverso l’intercessione di Maria, Mediatrice di ogni grazia, e dei Santi nostri Patro Angelo Card. Bagnasco
27 settembre 2010 CASA DI MONTECARLO I pm di Roma: "Nessuna intenzione di convocare Giancarlo Tulliani" "Nessuna intenzione di convocare Giancarlo Tulliani". È quanto ribadiscono gli inquirenti della procura di Roma che stanno indagando sulla vendita dell'appartamento di Montecarlo appartenuto ad Alleanza Nazionale. I pubblici ministeri capitolini ribadiscono che l'inchiesta punta ad accertare il prezzo della vendita dell'immobile di boulevard Princesse Charlotte e che "nulla è cambiato" dopo le affermazioni fatte venerdì scorso dal ministro della giustizia di Santa Lucia e il videomessaggio del presidente della Camera, Gianfranco Fini. Ad oggi non sono ancora giunti in procura i documenti richiesti, con un supplemento di rogatoria, alle autorità monegasche ma gli inquirenti sottolineano come le verifiche andranno avanti sino a quando non sarà definito il valore immobiliare dell'appartamento. I documenti oggetto istanza potrebbero essere utili a chiarire il prezzo di vendita da parte di An e quello di acquisto della società off-shore Printemps Ltd.
27 settembre 2010 POLEMIICHE Pdl-finiani: prove di dialogo per salvare legislatura "Vediamo se ci sono le condizioni per andare avanti. Per procedere però non basta superare la prova del 29 e del 30 settembre. Occorre superare la fase della guerriglia". Lo dice il capogruppo del Pdl, Fabrizio Cicchitto. "Gli squadristi mediatici che hanno messo in crisi anche il Pdl - aggiunge - dovranno interrompere il lancio dei loro missili e allo stesso tempo dovremo trovare un'intesa politico programmatica per fare le riforme, solo così la legislatura potrà arrivare alla naturale conclusione". Missili che Gianfranco Fini non ha lanciato invece: "Lo stesso Fini, nel suo intervento, ha smentito i suoi pasdaran. Dopo giorni e giorni durante i quali quelli usavano i vocaboli "patacca" e "bufala" riferiti alla vicenda della casa di Montecarlo, e attaccavano i servizi, lui non ha ripetuto quelle parole. Anzi, ha legato alla soluzione della vicenda la sua permanenza alla presidenza della Camera". "È indispensabile che non ci si trovi davanti a un fuoco di dichiarazioni perchè è del tutto evidente che nessuno regge a questo bombardamento mediatico. Se riprende il gioco al massacro si va a finire male, indipendentemente dal caso del signor Tulliani" dice Cicchitto secondo cui "occorre che oltre a una cessazione dell'attività dei pasdaran si realizzi un'intesa politico-programmatica in Parlamento". Quanto all'intervento del premier Berlusconi in Parlamento, Cicchitto spiega che "non è stato ancora deciso" se si metterà la fiducia. LE REAZIONI AL VIDEOMESSAGGIO Chi ha sentito Gianfranco Fini lo descrive come "liberato", "sereno", dopo aver messo un punto alla vicenda Tulliani e fatto l'ennesimo appello ad azzerare veleni e polemiche per il bene pubblico. Diversi finiani parlano di "rottura clamorosa" con il cognato Giancarlo Tulliani nel drammatico confronto di venerdì notte (lasciando capire che ancora oggi sarebbe inesatto definire quella di Fini come una tranquilla domenica di quiete familiare) e chiedono che adesso si parli solo di politica. In una atmosfera di sospensione, si cerca perciò di decriptare i messaggi che arrivano dall'altra parte in risposta all'apertura di Fini. Nel silenzio ufficiale di Berlusconi, le posizioni di diverso segno lasciano l'amaro in bocca a quelli che, tra i 'futuristi', non avrebbero voluto l'ennesima apertura al dialogo. In diversi hanno perciò chiesto di potersi confrontare, ed il capogruppo Italo Bocchino convocherà, probabilmente per dopodomani, una assemblea del gruppo alla presenza di Gianfranco Fini. "Per prima cosa - spiega un dirigente finiano - dovremo capire se Berlusconi accetta o meno che la risoluzione della maggioranza sia pensata, scritta e condivisa da Futuro e Libertà". Una questione di non poco conto, perché sarebbe l'accettazione esplicita, e finora mai avvenuta, della componente finiana come "terza gamba" della maggioranza. Le colombe finiane sperano in tale esito, i meno moderati fanno invece chiaramente intendere che in caso contrario sarebbe difficile per i "futuristi" votare sic et simpliciter la risoluzione (sempre ammesso che il premier non scelga all'ultimo la via della fiducia). "Noi abbiamo dato l'ennesima dimostrazione di non voler rompere il patto con gli elettori, anche a fronte delle operazioni di killeraggio che hanno tentato di distruggere Fini e che chiaramente dovranno comunque fermarsi - spiega un "futurista" assai vicino a Fini -. Ma non ci si può chiedere di portare acqua ad una maggioranza dalla quale si vuole tenerci fuori: la prova che si cerca veramente un clima diverso saranno le firme dei capigruppo, tre o due, in calce alla risoluzione". Di tutto si discuterà nell'assemblea e c'é chi, tra i più oltranzisti, si spinge ad immaginare un'uscita dei finiani dal governo nel giro di 20 giorni, se le cose dovessero prendere una brutta piega. "Sentiamo cosa dirà Berlusconi, prima di decidere", continua a frenare chi di una tale ipotesi non vuole neppure sentir parlare. È un fatto che Fini debba considerare, nelle sue scelte, di avere tra i suoi alcuni fedelissimi (i Ronchi, Menia, Moffa, Viespoli, Bonfiglio) che sono entrati in Fli soprattutto per il rapporto di fiducia con lui, ma che osteggeranno fino all'ultimo la rottura con il governo. Un passo falso potrebbe spingere questa pattuglia tra le braccia del premier, che non fa mistero di contare sui ripensamenti di chi ha scelto Futuro e Liberta. I "futuristi", intanto, accelerano sulla nascita del partito, che dovrebbe essere delineato entro fine ottobre (annunciandone modi e tempi il 6 e 7 novembre alla convention di Generazione Italia a Perugia) e vedere la luce forse a gennaio. Quanto al web-messaggio di Fini, i più ne hanno trovato giusti fino in fondo i toni. "Un intervento sofferto, autentico, umano, ma di stampo anglosassone, perché lui ha garantito che lascerà la Presidenza della Camera se fosse dimostrato che il cognato gli ha mentito - sintetizza Italo Bocchino, capogruppo Fli - ma al tempo stesso ha fatto capire agli italiani che è una persona onesta, che in 27 anni di politica e 20 alla guida di un partito non ha mai ricevuto neppure un semplice avviso di garanzia". Ma altri esponenti di Fli avrebbero gradito una presa di distanza ancora più decisa di Fini dal signor Giancarlo Tulliani. E, in definitiva, anche da Silvio Berlusconi. Nel frattempo, da Vicenza, l'avvocato Ellero continua a seminare indizi sull'identità del "vero proprietario" della casa di Montecarlo: risiederebbe in Svizzera, probabilmente nel cantone Ticino. Secondo il legale, Tulliani potrebbe aver fatto da mediatore con l'acquirente, dal quale si sarebbe fatto affittare l'appartamento dopo aver pagato i lavori di ristrutturazione. Ma l'unico che potrebbe sciogliere il mistero é Giancarlo Tulliani, che però continua a tacere.
27 settembre 2010 ROMA Montezemolo attacca la Lega: "Bossi è corresponsabile" "Umberto Bossi è molto abile a lanciare proclami e provocazioni" ma la sua Padania resta "immaginaria"; la verità è che lui, e l'attuale governo, hanno fatto molto poco, per lo più "chiacchiere". Queste pesanti accuse sono arrivate al Carroccio dal sito di Italiafutura, l'associazione molto vicina a Luca Cordero di Montezemolo. Italia Futura vede nel leader della Lega il corresponsabile "in questi sedici anni delle non scelte chehanno portato il paese ad impoverirsi materialmente e civilmente" e lo contrappone all'operosità degli industriali. Scrive il sito dell'associazione di Montezemolo: "Ha ragione Bossi: in Italia,e in particolare nella sua Padania immaginaria, la chiacchiera va per la maggiore e delle parole a vanvera di una classe politica screditata gli italiani ne hanno piene le tasche. In particolare quelli che lavorano e producono (e al convegno di Genova della Confindustria ce n'erano tanti). Quegli italiani che, a differenza di Bossi, tengono in piedi il paese con i fatti e non con le parole". L'affondo di Montezemolo ha scatenato la reazione compatta della Lega e della maggioranza: segno evidente che le critiche colgono nel segno.
"Dov'è la novità? La novità - ha ribattuto il ministro della Difesa e coordinatore del Pdl Ignazio La Russa - ci sarà quando Montezemolo si candiderà e si misurerà con i voti. Così vedremo quanti consensi è in grado di raccogliere". Più caustico il leghista Roberto Castelli, secondo cui l'ex presidente di Confindustria "fa parte di quella categoria di imprenditori che hanno fatto ottimi affari con i governi di centrosinistra. Evidentemente con noi non riesce a rifarli". Per Maurizio Lupi (Pdl), vicepresidente della Camera, è solo una questioni di voti :"Prima di dare lezioni, vada a farsi votare dai cittadini. Probabilmente non prenderebbe neppure tutti i voti dei tifosi della Ferrari". Stesso menù da Osvaldo Napoli, anche lui Pdl:"Mai una volta che questi signori con l'indice perennemente alzato abbiano scelto di sporcarsi le mani confrontandosi con gli elettori. Sfido Montezemolo a raccogliere metà dei consensi della Lega di Umberto Bossi".
Da palazzo Madama incalza un fedelissimo del "senatur", Piergiorgio Stiffoni:"La gente ne ha piene le scatole? Certamente, dei pseudo industriali, di un sindacato come la Confindustria e dello stesso Montezemolo, il re nudo. Il nostro popolo leghista è il motore del cambiamento contro chi vuole unPaese morto". L'intervento di Montezemolo, come altri precedenti, sembra orientato a mettere un piede in politica per saggiare il terreno e circoscrivere il campo di atterraggio. Come dire: mai alleato di Bossi e di chi ci va a braccetto.
2010-09-25 25 settembre 2010 VIDEOMESSAGGIO Fini: "Se la casa è di Tulliani lascio presidenza Camera" "La politica sta offrendo uno spettacolo deprimente". Lo afferma il presidente della Camera Gianfranco Fini in un videomessaggio. "Se Tulliani è proprietario della casa a Montecarlo ascio la presidenza della Camera, continua l'ex leader di An, ma non so chi è il proprietario. "Sono stato espulso dal Pdl dopo un'ossessiva campagna nei miei confronti". Lo afferma il presidente della Camera Gianfranco Fini in un videomessaggio. "A differenza di altri io non strillo contro la magistratura", prosegue Fini. 'Chi alimenta gioco al massacro si fermi pensando lo spettacolo che stiamo dando al Paese''. Lo ha detto il presidente della Camera Gianfranco Fini nel videomessaggio al sito di Generazione Italia. ''Gli italiani si attendono che la legislatura continui per affrontare i problemi che sono tanti e per rendere migliore la loro vita. Mi auguro che tutti a partire dal presidente del Consiglio siano dello stesso avviso, se cosi' non sara' gli italiani sapranno giudicare e per quel che mi riguarda io ho la coscienza a posto''. Lo afferma il presidente della Camera Gianfranco Fini nel corso del video messaggio. "Non sapevo che la casa di An di Montecarlo fosse affittata a Giancarlo Tulliani. Quando l'ho saputo mi sono preso un'arrabbiatura a dir poco colossale". Lo ha detto Gianfranco Fini nel video registrato per i siti internet. "Su questa vicenda - ha aggiunto il presidente della Camera - la procura di Roma ha aperto un'inchiesta. Io attendo con fiducia l'esito delle indagini. ''Di pagine oscure in questa vicenda ce ne sono state anche troppe''. Dice il presidente della Camera nel suo videomessaggio. ''C'e' stata una campagna di illazioni e calunnie condotta dai giornali di centrodestra''.
25 settembre 2010 VIDEOMESSAGGIO Fini: la politica sta offrendo spettacolo deprimente Ecco il testo del videomessaggio del presidente della Camera, Gianfranco Fini: "Purtroppo da qualche tempo lo spettacolo offerto dalla politica è semplicemente deprimente. Da settimane non si parla dei tanti problemi degli italiani, ma quasi unicamente della furibonda lotta interna al centrodestra. Da quando il 29 luglio sono stato di fatto espulso dal Popolo della libertà con accuse risibili, tra cui spicca quella di essere in combutta con le Procure per far cadere il governo Berlusconi, è partita una ossessiva campagna politico giornalistica per costringermi alle dimissioni da presidente della Camera, essendo a tutti noto che non è possibile alcuna forma di sfiducia parlamentare. Evidentemente a qualcuno dà fastidio che da destra si parli di cultura della legalità, di legge uguale per tutti, di garantismo che non può essere impunità, di riforma della giustizia per i cittadini e non per risolvere problemi personali. In 27 anni di Parlamento e 20 alla guida del mio partito non sono mai stato sfiorato da sospetti di illeciti e non ho mai ricevuto nemmeno un semplice avviso di garanzia. Credo di essere tra i pochi, se non l'unico, visto le tante bufere giudiziarie che hanno investito la politica in questi anni". Fini continua: "È evidente che se fossi stato coinvolto in un bello scandalo mi sarebbe stato più difficile chiedere alla politica di darsi un codice etico e sarebbe stato più credibile chiedere le mie dimissioni. Così deve averla pensata qualcuno, ad esempio chi auspicava il metodo Boffo nei miei confronti, oppure chi mi consigliava dalle colonne del giornale della famiglia Berlusconi di rientrare nei ranghi se non volevo che spuntasse qualche dossier - testuale - anche su di me, "perchè oggi tocca al premier, domani potrebbe toccare al presidente della Camera". Profezia o minaccia? Puntualmente, dopo un pò, è scoppiato l'affare Montecarlo. So di dovere agli italiani, e non solo a chi mi ha sempre dato fiducia, la massima chiarezza e trasparenza al riguardo". Fini elenca: "I fatti: An, nel tempo, ha ereditato una serie di immobili. Tra questi, nel 1999, la famosa casa di Montecarlo, che non è una reggia anche se sta in un Principato, 50-55 metri quadrati, valore stimato circa 230mila euro. Essendo in condizioni quasi fatiscenti e del tutto inutilizzabile per l'attività del Partito, l'11 luglio 2008 è stata venduta alla Società Printemps, segnalatami da Giancarlo Tulliani. L'atto è stato firmato dal segretario amministrativo, senatore Pontone da me delegato, un autentico galantuomo che per 20 anni ha gestito impeccabilmente il patrimonio del partito, e dai signori Izelaar e Walfenzao. Il prezzo della vendita, 300mila euro, è stato oggetto di buona parte del tormentone estivo. Dai miei uffici fu considerato adeguato perchè superava del 30 per cento il valore stimato dalla società immobiliare monegasca che amministra l'intero condominio. Si poteva spuntare un prezzo più alto? È possibile. È stata una leggerezza? Forse. In ogni caso, poichè la Procura di Roma ha doverosamente aperto una indagine contro ignoti, a seguito di una denunzia di due avversari politici e poiché, a differenza di altri, non strillo contro la magistratura, attendo con fiducia l'esito delle indagini. Come ho già avuto modo di chiarire, solo dopo la vendita ho saputo che in quella casa viveva il signor Giancarlo Tulliani. Il fatto mi ha provocato un'arrabbiatura colossale, anche se egli mi ha detto che pagava un regolare contratto d'affitto e che aveva sostenuto le spese di ristrutturazione. Non potevo certo costringerlo ad andarsene, ma certo gliel'ho chiesto e con toni tutt'altro che garbati. Spero lo faccia, se non fosse altro che per restituire un pò di serenità alla mia famiglia. È stato scritto: ma perchè venderla ad una società off shore, cioè residente a Santa Lucia, un cosiddetto paradiso fiscale? Obiezione sensata, ma a Montecarlo le off shore sono la regola e non l'eccezione. E sia ben chiaro, personalmente non ho né denaro, né barche né ville intestate a società off shore, a differenza di altri che hanno usato, e usano, queste società per meglio tutelare i loro patrimoni familiari o aziendali e per pagare meno tasse". Fini afferma ancora: "Ho sbagliato? Con il senno di poi mi devo rimproverare una certa ingenuità. Ma, sia ben chiaro: non è stato commesso alcun tipo di reato, non è stato arrecato alcun danno a nessuno. E, sia ancor più chiaro, in questa vicenda non è coinvolta l'amministrazione della cosa pubblica o il denaro del contribuente. Non ci sono appalti o tangenti, non c'è corruzione né concussione. Tutto qui? Per quel che ne so tutto qui. Certo anche io mi chiedo, e ne ho pieno diritto visto il putiferio che mi è stato scatenato addosso, chi è il vero proprietario della casa di Montecarlo? È Giancarlo Tulliani, come tanti pensano? Non lo so. Gliel'ho chiesto con insistenza: egli ha sempre negato con forza, pubblicamente e in privato. Restano i dubbi? Certamente, anche a me. E se dovesse emergere con certezza che Tulliani è il proprietario e che la mia buona fede è stata tradita, non esiterei a lasciare la presidenza della Camera. Non per personali responsabilità - che non ci sono - bensì perchè la mia etica pubblica me lo imporrebbe". Fini conclude: "Ma, detto con amarezza tutto questo, torniamo alle cose serie. La libertà di informazione è il caposaldo di una società aperta e democratica. Ma proprio per questo, giornali e televisioni non possono diventare strumenti di parte, usati non per dare notizie e fornire commenti, ma per colpire a qualunque costo l'avversario politico. Quando si scivola su questa china, le notizie non sono più il fine ma il mezzo, il manganello. E quando le notizie non ci sono, le si inventano a proprio uso e consumo. Così, con le insinuazioni, con le calunnie, con i dossier, con la politica ridotta ad una lotta senza esclusione di colpi per eliminare l'avversario si distrugge la democrazia. Si mette a repentaglio il futuro della libertà. Chi ha irresponsabilmente alimentato questo gioco al massacro si fermi, fermiamoci tutti prima che sia troppo tardi. Fermiamoci pensando al futuro del Paese. Riprendiamo il confronto: duro, come è giusto che sia, ma civile e corretto. Gli italiani si attendano che la legislatura continui per affrontare i problemi e rendere migliore la loro vita. Mi auguro che tutti, a partire dal presidente del Consiglio, siano dello stesso avviso. Se così non sarà gli italiani sapranno giudicare. E per quel che mi riguarda ho certamente la coscienza a posto". Fini sostiene: "Di certo, in questa brutta storia di pagine oscure ce ne sono tante, troppe. Un affare privato è diventato un affare di Stato per la ossessiva campagna politico-mediatica di delegittimazione della mia persona: la campagna si è avvalsa di illazioni, insinuazioni, calunnie propalate da giornali di centrodestra e alimentate da personaggi torbidi e squalificati. Non penso ai nostri servizi di intelligence, la cui lealtà istituzionale è fuori discussione, al pari della stima che nutro nei confronti del sottosegretario Letta e del prefetto De Gennaro. Penso alla trama da film giallo di terz'ordine che ha visto spuntare su siti dominicani la lettera di un Ministro di Santa Lucia, diffusa da un giornalista ecuadoregno, rilanciata in Italia da un sito di gossip a seguito delle improbabili segnalazioni di attenti lettori. Penso a faccendieri professionisti, a spasso nel Centro America da settimane (a proposito, chi paga le spese?) per trovare la prova regina della mia presunta colpa. Penso alla lettera che riservatamente, salvo finire in mondovisione, il Ministro della Giustizia di Santa Lucia ha scritto al suo Premier perchè preoccupato del buon nome del Paese per la presenza di società off shore coinvolte non in traffici d'armi, di droga, di valuta, ma di una pericolosissima compravendita di un piccolo appartamento a Montecarlo".
25 Settembre 2010 VIDEOMASSAGGIO Berlusconi: "Basta con il teatrino Questo è il governo del fare" "Gli italiani hanno oggi un estremo bisogno di valori positivi, di valori etici e morali, hanno bisogno di ritrovare la fiducia nello Stato". È quanto si legge nel videomessaggio di Silvio Berlusconi al sito dei promotori della libertà. "Il messaggio - ha aggiunto il premier - che il lavoro straordinario dei nostri soldati in Afghanistan lancia agli italiani racchiude tutto questo e merita di essere conosciuto e considerato, merita di ricevere il plauso di tutto il Paese". "Care amiche e cari amici Promotori della libertà, in questi giorni l'immagine che dà di sè la politica è davvero un disastro, è molto peggio del teatrino di sempre, del teatrino delle chiacchiere, degli insulti, delle falsità". Comincia così il messaggio audio di Silvio Berlusconi all'associazione di Michela Vittoria Brambilla. "Meglio lasciar perdere. Fuori da questo teatrino, il nostro governo invece, il 'governo del farè, ha continuato a lavorare in silenzio su cose concrete, nell'interesse di tutti gli italiani", e dunque ecco che "la missione che affido oggi a voi e a tutti i militanti della Giovane Italia è di informare gli italiani, attraverso i gazebo e le iniziative sul territorio, su un aspetto particolare del nostro lavoro: sul ruolo dell'Italia e dei nostri soldati nelle missioni militari internazionali di pace. Un ruolo e un impegno che il nostro governo ha sempre considerato imprescindibile". "Il compito più impegnativo che stiamo svolgendo - ricorda il presidente del Consiglio - è di pacificare una vasta area dell'Afghanistan. È una missione non facile, che ci è costata il sacrificio di 30 nostri soldati, che sono degli autentici eroi del nostro tempo. A tutti i caduti e alle loro famiglie, che assistiamo in tutti i modi, confermiamo ancora una volta la nostra vicinanza e la nostra riconoscenza". Perchè, avverte allargando lo sguardo, "gli italiani hanno oggi un estremo bisogno di valori positivi, di valori etici e morali, hanno bisogno di ritrovare la fiducia nello Stato". Berlusconi sottolinea che "il lavoro svolto dai nostri soldati riscuote l'apprezzamento unanime delle istituzioni internazionali che lavorano per la pace e per la sicurezza nel mondo, come mi ha confermato il Segretario Generale dell'Alleanza Atlantica, Anders Rasmussen, che ho incontrato pochi giorni fa a Palazzo Chigi. Anche l'ex ambasciatore americano a Roma, Ronald Spogli, ha fatto un pubblico elogio della politica estera dell'Italia degli ultimi anni e ha affermato che grazie alle nostre missioni militari, prima in Kosovo e in Libano, e poi in Iraq e in Afghanistan, il nostro Paese non è più un 'peso piumà nello scacchiere internazionale, bensì un Paese protagonista, un Paese leader. Ringrazio l'ambasciatore Spogli, che ha detto una verità molto semplice, e ci ha riconosciuto un ruolo che purtroppo - lamenta - la stampa italiana non vuol tenere in considerazione neppure come ipotesi, tanta e tale è la sua avversione pregiudiziale verso l'azione del nostro governo".
25 settembre 2010 POLEMICHE La casa di Montecarlo agita la politica Oggi Gianfranco Fini dirà la sua verità. "Dirò che la casa non è di Tulliani, che quel documento si basa su affermazioni false", preannuncia la sua strategia difensiva. Il presidente della Camera interverrà oggi con un videomessaggio sui siti "amici" di Generazione Italia e del Secolo d’Italia, che peraltro per tutta la mattinata sono andati in tilt. Intanto il ministro della Giustizia di Santa Lucia, Rudolph Francis, ha detto di avere un documento che comproverebbe come dietro le società off-shore che hanno acquistato l’appartamento di Montecarlo ci sarebbe proprio Giancarlo Tulliani. Tra un colpo di scena e l'altro, arriva anche una dichiarazione dell'avvocato vicentino Renato Ellero, ex senatore della Lega Nord, che ha rivelato che "la casa di Montecarlo è di un mio cliente e non di Giancarlo Tulliani". Il legale spiega che "non è mio cliente l'onorevole Fini, né Elisabetta Tulliani, né il fratello Giancarlo. Posso dire - aggiunge Ellero - che il mio cliente non risiede in Italia", spiega il legale.
25 Settembre 2010 VIDEOMASSAGGIO Berlusconi: "Basta con il teatrino Questo è il governo del fare" "Gli italiani hanno oggi un estremo bisogno di valori positivi, di valori etici e morali, hanno bisogno di ritrovare la fiducia nello Stato". È quanto si legge nel videomessaggio di Silvio Berlusconi al sito dei promotori della libertà. "Il messaggio - ha aggiunto il premier - che il lavoro straordinario dei nostri soldati in Afghanistan lancia agli italiani racchiude tutto questo e merita di essere conosciuto e considerato, merita di ricevere il plauso di tutto il Paese". "Care amiche e cari amici Promotori della libertà, in questi giorni l'immagine che dà di sè la politica è davvero un disastro, è molto peggio del teatrino di sempre, del teatrino delle chiacchiere, degli insulti, delle falsità". Comincia così il messaggio audio di Silvio Berlusconi all'associazione di Michela Vittoria Brambilla. "Meglio lasciar perdere. Fuori da questo teatrino, il nostro governo invece, il 'governo del farè, ha continuato a lavorare in silenzio su cose concrete, nell'interesse di tutti gli italiani", e dunque ecco che "la missione che affido oggi a voi e a tutti i militanti della Giovane Italia è di informare gli italiani, attraverso i gazebo e le iniziative sul territorio, su un aspetto particolare del nostro lavoro: sul ruolo dell'Italia e dei nostri soldati nelle missioni militari internazionali di pace. Un ruolo e un impegno che il nostro governo ha sempre considerato imprescindibile". "Il compito più impegnativo che stiamo svolgendo - ricorda il presidente del Consiglio - è di pacificare una vasta area dell'Afghanistan. È una missione non facile, che ci è costata il sacrificio di 30 nostri soldati, che sono degli autentici eroi del nostro tempo. A tutti i caduti e alle loro famiglie, che assistiamo in tutti i modi, confermiamo ancora una volta la nostra vicinanza e la nostra riconoscenza". Perchè, avverte allargando lo sguardo, "gli italiani hanno oggi un estremo bisogno di valori positivi, di valori etici e morali, hanno bisogno di ritrovare la fiducia nello Stato". Berlusconi sottolinea che "il lavoro svolto dai nostri soldati riscuote l'apprezzamento unanime delle istituzioni internazionali che lavorano per la pace e per la sicurezza nel mondo, come mi ha confermato il Segretario Generale dell'Alleanza Atlantica, Anders Rasmussen, che ho incontrato pochi giorni fa a Palazzo Chigi. Anche l'ex ambasciatore americano a Roma, Ronald Spogli, ha fatto un pubblico elogio della politica estera dell'Italia degli ultimi anni e ha affermato che grazie alle nostre missioni militari, prima in Kosovo e in Libano, e poi in Iraq e in Afghanistan, il nostro Paese non è più un 'peso piumà nello scacchiere internazionale, bensì un Paese protagonista, un Paese leader. Ringrazio l'ambasciatore Spogli, che ha detto una verità molto semplice, e ci ha riconosciuto un ruolo che purtroppo - lamenta - la stampa italiana non vuol tenere in considerazione neppure come ipotesi, tanta e tale è la sua avversione pregiudiziale verso l'azione del nostro governo".
2010-09-24 24 settembre 2010 POLEMICHE Fini: "Domani in un video dirò la mia verità" "Domani in un video dirò la mia verità" annuncia Gianfranco Fini. E la vicenda Tulliani intanto si arricchisce di un nuovo tassello. La lettera del governo dell'isola Saint Lucia nelle Antille, che dimostrerebbe che la società offshore proprietaria dell'immobile (che faceva parte del patrimonio di An) farebbe capo proprio allo stesso Tulliani (fratello della compagna di Fini), "è vera e per nuovi chiarimenti bisogna aspettare lunedì". Almeno a sentire lo stesso ministro di Giustizia di Saint Lucia, Lorenzo Rudolph Francis, che il quotidiano Il Fatto è riuscito a contattare. Per il capogruppo di Fli Italo Bocchino quello che dice il ministro di Santa Lucia al Fatto Quotidiano "non cambia il giudizio sull'operazione di dossieraggio e sul fatto che si tratti di una patacca e questo sarà chiarito in maniera incontrovertibile". Perché "innanzitutto la lettera è equivoca perchè non c'è scritto chi è il proprietario della Timara, e poi a questo punto il governo di Santa Lucia se ha la documentazione perchè non la rende nota?". Ieri sera le parole di Bocchino in diretta ad Annozero hanno aperto un nuovo durissimo scontro tra governo e finiani. Il finiano ha dato fuoco alle polveri di un conflitto che ruota intorno alla casa di Montecarlo. Uno scontro che vede contrapposti il presidente della Camera e i media vicini al premier e che da ieri si è arricchito di nuovi elementi. Oggi, Bocchino torna all'attacco. E dopo aver puntato il dito contro presunti servizi segreti deviati, precisa: "Non abbiamo alcun dubbio sui vertici dei servizi, che sono straordinari, e sull'istituzione. Però c'è sempre stato qualche pezzetto deviato che fa il doppio lavoro. Qui qualcuno ci ha messo la manina. Abbiamo individuato qualche percorso". Replicano il legale del premier, Niccolò Ghedini, e il capogruppo Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, che parlano di "indecente montatura" ai danni del Cavaliere. E Antonio Di Pietro non ha dubbi: ricattatore" e "ricattato", ovvero - a suo giudizio - Berlusconi e Fini, devono "andare a casa al più presto".
24 settembre 2010 CONFINDUSTRIA Marcegaglia: serve reale politica di crescita L'Italia oggi "ha un problema serio di crescita" e se dunque "il rigore nei conti pubblici non è una opzione ma un must", allo stesso tempo "bisogna fare una reale politica di crescita". A ribadirlo è la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, intervenendo alla seconda Assise di Confindustria Toscana a Viareggio (Lu), all'interno dei cantieri navali Azimut Benetti. "Il Paese si concentri su questo tema della crescita", ha ribadito la Marcegaglia che chiede "da tempo" alla politica, e ora "con una certa stanchezza", "risposte chiare e forti". I punti sottolineati dalla Confindustria riguardano lo snellimento della burocrazia e il taglio dei costi improduttivi ("nelle nostre imprese nella crisi abbiamo tagliato tutti i costi"); il taglio delle tasse (l'auspicio è che il tavolo per le tasse porti a "ridurre la pressione fiscale su chi tiene in piedi questo Paese, imprese e lavoratori", con la disponibilità a ragionare sulle rendite finanziarie); le infrastrutture ("sulle opere strategiche i fondi ci siano, e se non ci sono bisogna dirlo, basta bugie"); l'energia; il mercato (perchè il Paese mostra una "allergia al mercato" e anche questo governo "sta facendo una politica assolutamente contraria al mercato"); il merito, la ricerca e la formazione e in questo senso l'auspicio è che la Riforma Gelmini passi "intatta" alla Camera. Un analogo impegno per la crescita la numero uno di Confindustria lo chiede all'Europa: "Si sta discutendo di un nuovo Patto di Stabilità per la crescita, questo vorrà dire una ancora maggiore sorveglianza sui conti pubblici, e noi saremo un sorvegliato speciale per il nostro debito, ma anche una maggiore sorveglianza sulle politiche di crescita. Serve più Europa ma anche l'Europa deve cambiare" e deve "tornare a valorizzare la propria industria".
24 settembre 2010 IL CASO MONTECARLO Esplode la guerra dei dossier Scontro aperto tra Pdl e finiani Palazzo Chigi, servizi segreti e Guardia di Finanza smentiscono i finiani, Bocchino e Briguglio in testa, che hanno parlato di "falsi dossier" fabbricati contro il presidente della Camera e hanno chiamato in causa l’attività dell’intelligence. L’accusa più pesante, quella di "totale irresponsabilità" nella diffusione di certe "illazioni, voci e congetture", si legge nella nota ufficiale diffusa nella tarda mattinata di ieri dalla Presidenza del Consiglio. Poche righe durissime, dove si definiscono le affermazioni di Futuro e Libertà "assolutamente diffamatorie e destituite di ogni fondamento", messe in circolazione "solo per ragioni di polemica politica". Poco prima, anche il Dis (il dipartimento governativo che vigila sull’operato dei servizi segreti, come spieghiamo qui a fianco) e le Fiamme Gialle, avevano escluso ogni loro coinvolgimento nelle indagini sull’appartamento di Rue Princesse Charlotte 14 a Montecarlo, avuto in eredità da Alleanza nazionale da una ricca nobildonna e dopo qualche anno finito in affitto a Giancarlo Tulliani, fratello della compagna di Gianfranco Fini, dopo essere stato venduto in sequenza a due misteriose società off-shore con sede nel paradiso fiscale di Santa Lucia, isola dei Caraibi. Quelle società sarebbero dello stesso Tulliani, secondo un documento attribuito al ministro della Giustizia di Santa Lucia, pubblicato con grande evidenza dai giornali più vicini a Berlusconi. Ma per i fedelissimi del presidente della Camera quel foglio è "una patacca" confezionata ad arte, forse utilizzando in maniera distorta apparati di sicurezza dello Stato, come appunto i servizi e la Finanza. Intanto, malgrado tutte le smentite a livello ufficiale, il caso approderà al Copasir, il Comitato parlamentare di controllo sull’attività delle agenzie di intelligence. È stato il presidente dello stesso organismo bicamerale, Massimo D’Alema (Pd), ad annunciarlo in un’intervista pubblicata oggi da l’Unità: "Nessuno chiama in causa i servizi segreti come tali, in quanto strutture", ha spiegato D’Alema, ma va accertato "se possa esserci da parte di singoli, di gruppi che operano al di fuori di ambiti istituzionali, una collaborazione a queste attività vergognose", tenendo sempre presente "che il Copasir non è una commissione di inchiesta, non ne ha i poteri". Tuttavia, ha proseguito l’ex-presidente del Consiglio, "ciò che abbiamo fatto e faremo è sollecitare costantemente chi ha la responsabilità di coordinare i servizi, il Dis, a esercitare i propri compiti istituzionali che comportano la vigilanza sull’operato degli apparati di intelligence, affinché sia eliminato anche solo il sospetto di attività al di fuori delle leggi". Danilo Paolini
24 SETTEMBRE 2010 IL CASO MONTECARLO "Dossier creato ad arte da uomo legato al premier" "Il dossier è stato prodotto ad arte da persona molto vicina a Berlusconi che ha girato per il Sudamerica, di cui al momento opportuno saprete il nome". È Italo Bocchino a suonare la carica per Gianfranco Fini, in mattinata, al margine della conferenza stampa in cui annuncia l’arrivo dal Pdl di Giampiero Catone a bilanciare l’uscita dal gruppo di Souad Sbai. Parte la grande controffensiva, il giorno dopo il titolone de Il Giornale su quella che doveva essere la "prova regina", per incastrare il presidente della Camera sull’ormai nota vicenda della casa di Montecarlo. Una giornata vissuta tutta sul filo dell’attesa. In realtà a quell’ora Bocchino il nome lo aveva già, ma per tutto il pomeriggio si chiudeva con un gruppo di fedelissimi alla ricerca di indizi e riscontri, promettendo la rivelazione per la sera, all’esordio stagionale di Annozero. Poi il nome trapelava, prima, dal sito di Repubblica: è quello di Valter Lavitola, editore e direttore dell’Avanti ed ex candidato di Forza Italia alle europee, che sarebbe stato anche visto con Silvio Berlusconi nella recente visita in Brasile. Sarebbe lui (che però già fa sapere di star meditando di sporgere querela e di stare a sua volta svolgendo un’inchiesta per il suo giornale sulle società off-shore, ma "i colleghi dominicani mi hanno fregato") ad aver materialmente confezionato, assicura Bocchino, il documento patacca. Tale risulterebbe essere anche secondo quanto pubblicava, in un’incalzante escalation di eventi, Il Fatto, divulgando una dichiarazione della stamperia dello Stato di Santa Lucia: "Il documento Tulliani non è nostro". "Abbiamo le prove che la società off shore che ha ceduto la casa a Giancarlo Tulliani non è di sua proprietà", assicurava Bocchino da Santoro. Lo stesso Lavitola parla però di "una bufala" costruita nei suoi confronti, "all’inizio mi sono messo a ridere", aggiunge. L’offensiva di Fli ricompatta il gruppo su posizioni più oltranziste. Chi ha parlato con Fini ieri lo descriveva amareggiato, ma anche determinato. "Non sopporto che si metta in discussione la mia onestà con metodi illegali, vogliono tagliarci le gambe, la verità è che hanno paura di noi", ragionava ieri con i suoi. "Abbiamo anche messo a disposizione Giulia Bongiorno, per studiare come stoppare i processi, e lui – si sfogava ieri il presidente della Camera, parlando con una "colomba" – schiera il giornale di famiglia per provare a incastrare me con i falsi dossier".
E Bocchino, prima di dedicarsi per intero alla sua personale inchiesta sul caso, annunciava che di fronte "all’escalation mediatica contro Fini a base di falsità, non si seguiranno le vie brevi per il lodo Alfano ma quelle regolamentari". Intanto la proposta del presidente del Copasir Massimo D’Alema di accertare se ci sia stato, davvero, sulla vicenda, l’intervento dei servizi deviati trova un ampio consenso. "Bene D’Alema, gli confermiamo sostegno", dice il finiano Carmelo Briguglio. "Ineccepibile", concorda il capogruppo alla Camera del Pdl Fabrizio Cicchitto. Ma si mostra sconcertata dal "clima torbido" anche un esponente dell’ala moderata finiana, quella che si stava dedicando alla ricucitura, come il capogruppo dei senatori, Pasquale Viespoli. "È come se qualcuno – dice scoraggiato – avesse un interesse a interrompere il filo del dialogo all’interno della maggioranza proprio quando questo filo si era riannodato". Angelo Picariello
2010-09-23 23 settembre 2010 ROMA Palazzo Chigi e la casa di An: "Diffamatorio chi parla di dossieraggio" La presidenza del Consiglio, in una nota, denuncia la "totale irresponsabilità" di chi diffonde voci su "dossieraggi": è quanto si legge in una nota di Palazzo Chigi, a proposito della vicenda della casa di An a Montecarlo. "Le illazioni, le voci e le congetture apparse quest'oggi su alcuni quotidiani in relazione ad una presunta attività di dossieraggio - sostiene la nota - sono assolutamente false, diffamatorie e destituite di ogni fondamento. I Servizì nelle loro diverse articolazioni e la Guardia di Finanza hanno già provveduto a smentire, non avendo mai svolto alcuna attività, né diretta nè indiretta, né in Italia nè all'estero, in relazione a queste voci. Di fronte alla gravità di queste insinuazioni la Presidenza del Consiglio non può non denunciare la totale irresponsabilità di chi diffonde voci siffatte solo per ragioni di polemica politica, ben sapendo che esse non hanno il minimo fondamento".
23 settembre 2010 VERSO LA VERIFICA Fli: stop al confronto "Su Fini dossier falsi" Basta, è stata l’ultima "porcheria": d’ora in poi "elmetto in testa" e nessun riguardo per Pdl e Lega. È guerra dichiarata, stavolta. Per legittima difesa, dicono in coro quelli di Futuro e Libertà. Altro che Lodo Alfano costituzionale, altro che processo breve, altro che intesa per le presidenze delle commissioni. Non si negozia più. "Non c’è dubbio che voteremo la fiducia al governo", se dovesse essere posta – ha precisato il capogruppo finiano a Montecitorio Italo Bocchino – ma "non c’è alcuna ragione per metterci a trattare su documenti condivisi, perché la controparte fa operazioni con dossier falsi contro il presidente della Camera". Berlusconi, dunque, non si aspetti concessioni in tema di riforme giudiziarie. E, soprattutto – è stato spiegato – i suoi "non cerchino di farci saltare i nervi per ridarci il cerino in mano". La conseguenza potrebbe essere un’offensiva, da parte di Fli, sul fronte del conflitto d’interessi del Cavaliere. Gianfranco Fini è furibondo, all’indomani della pubblicazione della notizia (diffusa da giornali dominicani e rilanciata con grande evidenza in Italia dai quotidiani più vicini al presidente del Consiglio) secondo cui le società <+corsivo>off-shore<+tondo> che acquistarono l’ormai famosa casa di Alleanza Nazionale a Montecarlo sarebbero riconducibili a Giancarlo Tulliani, il fratello della sua compagna Elisabetta nonché inquilino dell’appartamento in questione. La certificazione è contenuta in un documento attribuito al ministro della Giustizia dell’isola caraibica di Santa Lucia (il cui ex-primo ministro sarebbe un vecchio amico di Berlusconi), domicilio di entrambe le società di cui sopra. Tulliani, tramite i suoi avvocati, smentisce. Fini s’indigna: "Quel documento è una porcata, un falso", si sarebbe sfogato il numero uno della Camera (il suo portavoce ha poi smentito il virgolettato, ma non la sostanza) con i fedelissimi ieri mattina, prima di presiedere l’Aula sul caso Cosentino. E prima di andare a inaugurare una caserma dei Carabinieri a Bellegra, nei pressi di Roma, dove ha tenuto a sottolineare che "deve valere sempre il principio per il quale chi sbaglia deve pagare". Più o meno a quell’ora i parlamentari "futuristi" si sono riuniti a pranzo e Bocchino ha delineato la nuova strategia. E stavolta, alle rivendicazioni dei "falchi", le "colombe" hanno avuto poco da obiettare. Del resto, hanno ragionato tutti insieme, "il dossieraggio contro Fini va avanti da agosto e questa escalation, a pochi giorni dal discorso del premier alla Camera, è quanto meno sospetta". Il pezzo di carta su Tulliani "è una patacca, lo capiscono anche i bambini", ha dichiarato Bocchino, abbandonando la cautela del primo mattino, quando aveva osservato: "Se davvero quella casa è di Tulliani, Fini dovrebbe dare una risposta". Carmelo Briguglio, componente del Comitato di controllo sui servizi segreti (Copasir), ha colto l’occasione per rilanciare la sua tesi di un coinvolgimento nella vicenda "di pezzi di servizi deviati". Ancora più esplicito è stato Enzo Raisi, accusando alcuni organi d’informazione di "avere rapporti con i servizi segreti". Lungo tutta l’estate, gli "ambasciatori" di Futuro e Libertà presso il Pdl avevano messo in chiaro che la fine del "cannoneggiamento" mediatico contro l’ex-leader di An era il presupposto per qualsiasi tentativo di riavvicinamento. E negli ultimi tempi erano stati fatti timidi progressi sul Lodo Alfano costituzionale, che consentirebbe al capo del governo di mettersi al riparo dai processi penali. Adesso si torna al muro contro muro, "chi ci sta ci sta, gli altri se ne vadano pure", è stato sottolineato nel corso del pranzo di ieri. E, per il momento, anziché defezioni si registra un nuovo ingresso: oggi Giampiero Catone, fin qui deputato del Pdl, annuncerà la sua adesione a Fli. Danilo Paolini
23 settembre 2010 VERSO LA VERIFICA Berlusconi: "Non accetto ricatti Metà finiani con me" "È tutto vero: oggi il voto su Cosentino ha sancito la disfatta di Fini, oggi Futuro e libertà ha dimostrato di essere in buona parte con me, ma...". Silvio Berlusconi non riesce a sorridere. E, sottovoce, ammette: "Non vorrei che la nostra fosse una vittoria di Pirro". È uno sfogo amaro. Legato a una crescente consapevolezza: il momento della verità non sarà il 29 settembre, non sarà sul voto sui 5 punti programmatici; sarà, invece, nelle settimane che verranno quando dovrà dimostrare di poter governare nonostante lo strappo dell’ex capo di An. Sono ore di riflessione. Berlusconi ha chiare tutte le difficoltà. Sa che il Pdl ha perso 9 punti. Sa che il centrodestra senza l’apporto dei finiani sarebbe in minoranza in cinque commissioni (anche Esteri e Lavoro). E soprattutto sa che il presidente della Camera ha un unico vero obiettivo: logorarlo, riorganizzarsi e prepararsi a sferrare l’attacco finale. È un momento complicato e il premier non lo nasconde. "Lo scontro si sta radicalizzando, andare avanti sarà complicato", continua a ripete nelle telefonate più private. E, senza nessun entusiasmo, confessa: "Non possiamo non prepararci al voto. Non possiamo mettere in conto anche questa eventualità". Berlusconi non vuole la crisi. Non vuole il voto. Capisce, però, che è una "eventualità reale" e si muove per scongiurarla. Sono tanti i segnali che si accavallano. Uno: il 29 non attaccherà Fini, parlerà al Parlamento e alla Nazione, volerà alto e "chiamerà" i moderati di tutti gli schieramenti. Due: il 30 non ci sarà un voto di fiducia perchè la strategia del premier è evitare radicalizzazioni per dare modo a "settori responsabili" delle opposizioni di astenersi o non partecipare al voto. C’è però la mina Montecarlo. Fini annuncia lo stop a ogni confronto. Berlusconi a caldo, reagisce stizzito: "Non accetto ricatti. Fini non può pensare di usare la giustizia per fini politici". Le "colombe" di Palazzo Grazioli lo frenano. E raccontano un altro Berlusconi. Che su Montecarlo non da giudizi su Fini e che anzi ripete "di non essere un garantista a corrente alternata". Ma tante cose sono ancora da capire. Perchè martedì il premier ha pranzato con Vittorio Feltri? E perchè ieri ha ricevuto l’editore di Libero Antonio Angelucci? Per frenarli o per invitarli a continuare a picchiare duro? Si aspetta di capire, ma in uno scontro istituzionale sempre più aspro e nei palazzi della politica si ripete che anche il Quirinale vorrebbe capire prima di tornare schierarsi a difesa di Fini che cosa c’è di vero dietro l’affaire Montecarlo. È una giornata dove i contatti si accavallano. Berlusconi sente anche i vertici della Lega e Maroni sembra dire in chiaro quello che il premier ripete solo privatamente. "Non mi unisco a chi dice che oggi il problema è risolto, perchè i giochi si vedono mercoledì e giovedì quando ci sarà il voto palese". Una pausa precede l’avvertimento che conta: "So quanto conta nella lotta alla mafia avere una maggioranza solida con i provvedimenti presi che vengono sostenuti". Quindi – va avanti il ministro dell’Interno – "anche da un punto di vista dell’efficacia, non è indifferente avere un governo solido o appeso a un filo... Lo dico anche da un punto di vista istituzionale, un governo debole diventa inefficace". Le conclusioni sono inevitabili: "Senza una maggioranza solida e stabile io dico che è più responsabile andare subito al voto". Eppure anche la Lega vuole credere al miracolo. A un governo capace di terminare la legislatura. Ed è per questo che Maroni preme: "Chi vota il discorso di Berlusconi vota il programma per i prossimi tre anni. Chiunque sottoscriva le parole del premier non potrà dire di aver cambiato poi idea". Si prova a guardare avanti con fiducia. Ma in serata c’è chi racconta al premier uno degli ultimi sfoghi privati del presidente della Camera. "Non si può andare avanti così. E il problema non è il Pdl, è solo Berlusconi. È lui l’anomalia della politica, è lui il male del Paese". Parole durissime. Berlusconi ascolta. Sorride amaro. E si chiude la bocca. Arturo Celletti
23 settembre 2010 LA CONTA No all’uso delle intercettazioni per Cosentino I conti tornano per la maggioranza, che nel segreto dell’urna si ritrova tale, a dispetto dell’aritmetica. Nonostante infatti la defezione del gruppo dei finiani, (che avevano annunciato, con le opposizioni, voto favorevole) la Camera ha negato l’uso delle intercettazioni a carico dell’ex sottosegretario Pdl, Nicola Cosentino (che ha conservato però l’incarico di segretario regionale del Pdl) con 308 voti favorevoli e 285 contrari. Esulta, il diretto interessato, che parla di "voto politico, al di là delle previsioni", e poi rivolge un appello alla pubblica accusa: "Mandatemi a giudizio, dimostrerò nel processo la mia estraneità". Nel Pdl è un coro di esultanze, anche in vista del dibattito in aula sui famosi 5 punti, fissato per il 29 settembre. Per il capogruppo Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto "il giustizialismo è andato incontro ad una chiara sconfitta". Mentre, per il capogruppo dei senatori Maurizio Gasparri, "la maggioranza ha ampi numeri col voto palese e con quello segreto". Ottimista anche il leader della Lega, Umberto Bossi, già proiettato sul voto del 29: "So già che ce la facciamo", dice. Nel fronte degli sconfitti, invece, si fanno analisi diverse. Per Pierluigi Bersani si tratta di un "voto inaccettabile e indecoroso. Il centrodestra – sostiene il segretario del Pd – cerca la sua sopravvivenza difendendo un deputato su cui pesano gravissime accuse. E la Lega – rimarca – per l’ennesima volta è stata determinante nel sostenere decisioni vergognose dal lato della moralità pubblica". Ancora più duro Antonio Di Pietro: "Un Parlamento che non permette ai magistrati di accertare se un proprio componente sia una persona per bene o un affiliato alla camorra viola la Costituzione e non ha più alcun titolo morale per rappresentare i cittadini", tuona il leader di IdV. Il gruppo finiano si trova nel mezzo del fuoco incrociato. Gaetano Quagliariello, per il Pdl, evidenzia come con questo voto Fli "accresce le distanze dalla maggioranza, non riuscendo peraltro a farsi seguire da tutti gli appartenenti dello stesso, per quanto il voto segreto consente di comprendere". E, mancando la controprova, sui voti mancanti (almeno 12, pur considerando ancora nella maggioranza l’Mpa di Lombardo) c’è il palleggio di responsabilità: "I franchi tiratori – ipotizza Italo Bocchino, capogruppo di Fli – possono trovarsi ovunque, ma io ritengo che provengano soprattuto dalle file del centrosinistra". Replica secco il capogruppo vicario del Pd Michele Ventura: "Non so come faccia Bocchino ad essere sicuro di aver convinto i suoi molti dubbiosi e ad accusare il centrosinistra. Io – taglia corto – non farò altrettanto". Nell’Udc, altra indiziata per i voti mancanti, hanno un alibi di ferro i dissidenti siciliani, che a quell’ora tenevano una conferenza stampa. "La votazione su Cosentino conferma che la governabilità del Paese può essere garantita solo dal Movimento per le Autonomie e da Fli", dice Aurelio Misiti, portavoce dell’Mpa. Ma così facendo associa, di fatto, la posizione del movimento di Lombardo al gruppo di Fini. Aumentando, di fatto, di 4 unità il conto dei franchi tiratori. A. Pic.
23 settembre 2010 LA PARTITA DEL CREDITO Senza Profumo Unicredit affonda in Borsa: -4% La questione libica? Solo un pretesto. Sembra questa la chiave di lettura che emerge il giorno dopo la resa dei conti in Unicredit. A provocare il terremoto che ha scalzato dalla poltrona di Ad Alessandro Profumo e affondato il titolo in Borsa (-4% a 1,823 euro), sarebbe stato solo apparentemente la presunta "scalata" dei soci libici. L’aumento delle quote degli ultimi mesi della Banca centrale della Libia (4,98%) e del fondo Lia (2,59%) ha rappresentato solo la congiuntura favorevole per voltare pagina. Il vero motivo della "cacciata" di Profumo sarebbe invece il "Bancone", la fusione per incorporazione in Unicredit di tutti gli istituti del gruppo, per rendere la banca più moderna ed efficiente. Una rivoluzione su cui Profumo si è scommesso fino in fondo, minacciando anche le dimissioni mesi fa. Il progetto è passato a fatica e l’Ad ha tenuto. Ma la resa dei conti era evidentemente solo rimandata. "Il bancone – ci rivela un’autorevole fonte – non è stata digerita dalle Fondazioni e da molti azionisti. E il presidente Dieter Rampl avrebbe tessuto la tela". Nelle ultime settimane infatti il banchiere tedesco – che ha ricevuto martedì le deleghe operative dal Cda per assicurare funzionalità all’istituto e individuare quanto prima un successore – avrebbe raccolto gli umori di alcuni soci, da Allianz a Mediobanca, passando ovviamente per le Fondazioni, soprattutto Cariverona e Crt che più di tutte avevano sollevato il caso. Motivazioni generali. Ma anche personali per Rampl, che con Profumo non ha mai avuto un grande feeling, non avendogli forse mai perdonato di aver "conquistato" Hvb. Vecchi rancori e un progetto troppo "moderno" per una banca cresciuta in maniera enorme unendo i territori, senza però riuscire a liberarsi dalle logiche territoriali. La risposta a queste indiscrezioni e retroscena la darà il tempo. Forse basteranno le prossime settimane a schiarire quello che martedì sembrava un incomprensibile giallo: lo "zar" assediato, costretto a lasciare dopo 13 anni. Con un perché "esterno" troppo debole. I libici si sono chiamati subito fuori. L’ambasciatore libico in Italia, Hafed Gaddur, lo ha detto senza peli sulla lingua: "Non siamo stati noi la causa dei conflitti interni ai grandi azionisti. La nostra presenza negli assetti societari della banca è stata solo un pretesto". Un "pretesto", la stessa parola usata dal finanziere tunisino Tarak Ben Ammar. Resta sul campo così il disagio sul "bancone", che dovrebbe scattare operativamente il 1° novembre. Sarà così? Il deputy Ceo più vicino a Profumo, Roberto Nicastro ("È stato un maestro per me"), assicura: "Il progetto di banca unica prosegue con la massima velocità e accelerazione perché un progetto altamente strategico". Lo ha confermato anche il presidente Dieter Rampl, ieri sera, in una lettera in inglese inviata ai dipendenti: "La squadra di vertice è unita più che mai e determinata a portare avanti tutte le iniziative in corso, incluse priorità come One4C", ovvero il bancone. E sull’uscita di Profumo: "La decisione di far rassegnare le dimissioni a Profumo non è stata di una persona ma del board. È stata il risultato di differenti vedute riguardo alla governance". A Profumo è andato il grazie del Cda per aver "trasformato da banca puramente domestica in uno dei principale gruppi europei" e una liquidazione di 38 milioni (oltre a due che andranno in beneficenza e a 1,5 per un patto di non concorrenza che lo "blocca" per un anno da altri incarichi). Al banchiere la solidarietà e la stima dei colleghi, ieri tutti a Milano per l’esecutivo dell’Abi. Ma se Profumo esce di scena e si concede una passeggiata per il centro, a Milano, senza rilasciare dichiarazioni, la macchina di Unicredit non può permettersi di fermarsi: continua il confronto sugli esuberi; confermato il comitato strategico, oggi pomeriggio, così come il comitato remunerazioni e quello nomine, in vista del Cda del 30 settembre già in agenda da tempo a Varsavia. Per quella data Rampl è difficile che possa presentarsi con il successore. Il nome non c’è ancora. "Stiamo cercando il candidato giusto in banca e fuori", ha detto Rampl. La spallata a Profumo è arrivata infatti senza una alternativa. Anche questo strano per un colosso come Unicredit. Ma se martedì è stata trovata una "soluzione istituzionale" – come l’ha definita il presidente della Fondazione Banco di Sicilia, Giovanni Puglisi – per il futuro serve una scelta forte che riesca a tenere il confronto con Profumo, l’Arrogance per due volte "banchiere europeo dell’anno". Voltare pagina non sarà facile. Giuseppe Matarazzo
23 settembre 2010 Unicredit, l’incertezza e il rischio Nessuna nostalgia Ma si archivi la guerra delle Signorie In un Paese normale non si lascerebbe il primo gruppo bancario privo del proprio amministratore delegato per un periodo che potrebbe superare i tre mesi, con il rischio concreto che questa <+corsivo>vacatio<+tondo> apra ulteriormente le porte al capitale straniero. In un Paese normale si sarebbe provveduto a designare immediatamente un successore del timoniere congedato. E probabilmente si sarebbe provveduto a un’operazione così delicata come quella che coinvolge Unicredit – terza banca europea, diecimila filiali in ventidue Paesi del mondo – con modalità meno traumatiche di quelle che hanno visto l’uscita di scena (generosamente remunerata) di Alessandro Profumo. Ma le anomalie italiane non si esauriscono nello psicodramma di Piazza Cordusio. Pensiamo ai segnali che la defenestrazione dell’ad di Unicredit – per la quale non abbiamo motivo di biasimo né di compiacimento – fornisce ai mercati: quella di un’Italia che perde la bussola di una delle sue eccellenze e, segnatamente, dell’istituto di credito più internazionale d’Europa. Per di più il nostro è un Paese che, in questo delicatissimo frangente, non è in condizione di "schierare" né il presidente della Consob né il ministro per lo Sviluppo economico: segnali decisamente non confortanti per chi guarda con motivata apprensione alla proiezione d’immagine e alla tenuta del sistema economico e finanziario nazionale. Non bastasse, dietro il brusco congedo di Profumo s’individua facilmente una tesa partita politica. Non è infatti la quota in possesso della Libia o degli Emirati il motivo del licenziamento dell’amministratore delegato, bensì una guerra che qualcuno ha appropriatamente definito <+corsivo>per banche<+tondo>, a indicare quel mosaico di fondazioni e di piccoli soci che compongono l’ossatura di Unicredit. Piccoli e grandi elettori che a Profumo hanno dedicato applausi e lodi e perdonato scivolate d’ala e gesti "politici" fino a quando il manager garantiva comunque cospicui dividendi, ma che hanno alzato sopracciglio e voce nel momento in cui le scelte – e magari anche gli errori, le omissioni, le impennate – dell’amministratore hanno eroso i loro particolari utili e bilanci. Il risultato è una guerra che ricorda da vicino le esasperate rivalità fra Signorie nell’Italia dei secoli di mezzo, e la concreta prospettiva che si finisca per spalancare – come accadde a Ludovico il Moro con Carlo VIII – le porte a un sovrano straniero. Proprio la sgargiante ostilità reciproca delle tante tessere del mosaico Unicredit, finisce per far risaltare la tutta politica entrata in scena di coloro che stanno dietro ai piccoli e grandi feudi "federati" nella prima banca italiana. Ci sono – o s’intravedono – tutti o quasi, dal Pdl al Pd. E in particolare c’è la Lega Nord. Che non lascia i suoi tradizionali stendardi, ma alza più di tutte la bandiera dell’"italianità" dell’istituto, in principio sventolando il pericolo della crescita delle quote libiche e da ultimo – quando a Profumo è stato formalmente fatto pagare il prezzo di aver favorito l’apertura agli uomini (e ai soldi) di Tripoli – concentrando allarme ed esternazioni sul "rischio" del bastone del comando in mano ai soci tedeschi. Non si può, poi, non notare la inconsueta e corposa frizione pubblica (e a difficoltà minimizzata) tra il giustamente allarmato e impegnato superministro dell’Economia Giulio Tremonti e gli uomini di Umberto Bossi. Nonché quelle, appena dissimulate, tra big leghisti. Vi è in tutto ciò un sapore di antico e di già veduto: quasi da Prima Repubblica. C’è, però, anche una debolezza nuova della politica, che una crisi di tal fatta in un orizzonte d’incertezze non avrebbe dovuto permettere e permettersi. Il tempo dei "garanti" e dei grandi "manovratori" è un ricordo già lontano e ancora oggi, per diversi e seri motivi, non gradito a tutti. Ma qualche sospiro nostalgico s’ode lo stesso. Noi, che non abbiamo di queste nostalgie, vorremmo solo augurarci la fine della guerra delle Signorie. E statisti sereni e vigili. Giorgio Ferrari
23 settembre 2010 SCENARI La Lega cambia fronte: ora difendiamoci dai tedeschi Nessuno ha voglia di passare per il mandante politico della cacciata di Alessandro Profumo. La vicenda è stata gestita troppo male per essere difesa. "Lo hanno mandato via come si farebbe con il presidente della bocciofila. Non c’è un sostituto, non c’è una strategia. È stata una cosa da dilettanti" commenta, con Avvenire, Guido Crosetto, del Pdl, che per anni ha tenuto i legami del centrodestra con il mondo delle banche. No, nessuno festeggia pubblicamente per un simile allontanamento di un manager "che ha fatto un lavoro importante", come dice una "dispiaciuta" Emma Marcegaglia, numero uno degli industriali. Considerato che quasi tutti gli indici sono puntati contro la Lega – come è ovvio, data la sua vicinanza alle Fondazioni che hanno sfiduciato l’amministratore delegato di Unicredit – il Carroccio fa di tutto per ridimensionare l’importanza del suo ruolo in questa partita. "Noi non c’entriamo" assicura Giancarlo Giorgetti, il presidente leghista della Commissione Bilancio della Camera, la sfiducia a Profumo "è stata una scelta aziendale, nella quale nulla ha influito la Lega" ribadisce Maurizio Fugatti, capogruppo leghista in Commissione Finanze. Chi però ha assistito all’arrivo di Giulio Tremonti in Transatlantico, ieri mattina, parla di un ministro dell’Economia tutt’altro che allegro. Nelle ricostruzioni dell’agitata serata del lunedì di Unicredit il ministro è indicato come quello che ha voluto difendere Profumo dall’attacco della Lega, ma senza successo. Si parla di un rapporto incrinato tra Tremonti e il Carroccio. Ma "sono cose fantasiose" chiarisce Umberto Bossi. "Eravamo a cena insieme, ieri. A litigare..." scherza poco dopo lo stesso Tremonti. Tra i due il rapporto è "fraterno" e "al massimo il ministro ce l’ha con qualche leghista "minore" che ha voluto fare un’inutile prova di forza" spiegano dagli ambienti del Pdl. Retroscena (ufficialmente) smontato. Sbiadisce anche l’immagine di una Lega soddisfatta. Perché al Carroccio non piacciono i fondi libici, ma nemmeno i banchieri tedeschi. "Avevo paura che la Germania potesse mettere le mani sulla banca – racconta Bossi – ma poi ho visto che non hanno i numeri". Ha voglia di parlare, il leader leghista. Si lamenta degli amministratori di Unicredit, che non hanno trovato un sostituto prima di allontanare Profumo, e spera in un "minimo di azioni intelligente da parte delle Fondazioni" con Giuseppe Guzzetti – presidente dell’Acri e della Fondazione Cariplo – che dovrebbe "riorganizzare la difesa" dall’assalto di Dieter Rampl e degli altri bavaresi. Un’altra versione dei fatti accusa il premier Silvio Berlusconi di avere organizzato il licenziamento di Profumo per liberare la strada verso la fusione Mediobanca-Generali a Cesare Geronzi, il presidente della compagnia triestina. Lo ha scritto Repubblica e da Palazzo Chigi una nota ufficiale definisce "assolutamente fantomatica" questa storia. Se qualcuno ha motivi per festeggiare la "decapitazione" di Piazza Cordusio lo sta nascondendo molto bene. "C’è malumore, nel Pdl e nel governo, perché questo è solo un problema in più. Se poi sono stati gli uomini di Bossi, beh, non hanno fatto altre che fare confusione" insistono fonti della maggioranza. Scontente anche di vedere un Pd che può andare all’attacco con facilità su tutta questa storia. "La confusione della Lega su Unicredit è totale e fa danni, innanzitutto ai territori che vorrebbe difendere – ha commentato ieri il responsabile economico Stefano Fassina –. Tosi si vanta di aver buttato giù Profumo, in realtà ha assecondato un’operazione di altri". Pietro Saccò
2010-09-22 22 settembre 2010 VERSO LA VERIFICA Caso Cosentino, la Camera nega uso intercettazioni Con 308 voti la Camera, approvando la proposta della Giunta delle Autorizzazioni, ha detto no all'uso delle intercettazioni telefoniche che chiamano in causa Nicola Cosentino. I favorevoli sono stati 285, nessun astenuto. Il voto, su richiesta del Pdl, è stato segreto. La votazione è rimasta aperta per parecchio tempo per consentire a Domenico Desiano, proclamato deputato proprio stamattina in sostituzione di Marcello Taglialatela, di votare: il suo meccanismo di voto, infatti, non funzionava, per cui è stato costretto a spostarsi al banco della commissione. Alla votazione hanno partecipato tra gli altri il leader del Pd Pier Luigi Bersani e i ministri Bossi, Tremonti ed Alfano. La Procura di Napoli aveva chiesto di poter usare le intercettazioni nell'inchiesta giudiziaria che vede indagato Cosentino per "concorso esterno in associazione camorristica". Il pronunciamento della Camera è anche un banco di prova per la maggioranza di governo, a pochi giorni dal discorso che Silvio Berlusconi terrà sia a Montecitorio sia a Palazzo Madama (ieri si è appreso che il premier parlerà il 29 settembre e non il 28 com'era stato programmato in precedenza).
22 settembre 2010 ABRUZZO L'Aquila, Cialente si dimette da vice commissario della ricostruzione Il sindaco dell'Aquila Massimo Cialente ha annunciato oggi di essersi dimesso da vice commissario alla ricostruzione post-terremoto in Abruzzo. "Il sindaco dell'Aquila, Massimo Cialente, ha rassegnato le dimissioni da vice commissario vicario alla ricostruzione, con delega all'assistenza alla popolazione", si legge in una nota, in cui si precisa che le dimissioni sono contenute in una lettera inviata al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e al commissario alla ricostruzione e presidente della Regione Abruzzo, Gianni Chiodi. "Rimetto l'incarico... Questa mia decisione, peraltro sofferta, ... è dettata dal fatto che, in seguito alla nomina del nuovo vice commissario (Antonio Cicchetti, ndr), vedo un preoccupante accentuarsi dello stato di confusione, peraltro ripetutamente da me segnalato, e difficoltà nella governance di gestione dell'emergenza e del processo di ricostruzione", scrive Cialente, segnalando inoltre la "preoccupante commistione di ruoli politico-istituzionali e tecnici". La controversa nomina di Cicchetti a vice commissario è stata ufficializzata questo mese: un atto che ha acuito le tensioni tra il governo e Cialente, che da tempo chiede una legge organica per il dopo-sisma abruzzese e che lo scorso 7 luglio ha partecipato al corteo di terremotati aquilani che ha sfilato per le vie della capitale arrivando sotto Palazzo Grazioli, residenza romana di Berlusconi, e in occasione del quale si sono registrati dei tafferugli. Nel terremoto del 6 aprile 2009 persero la vita quasi 300 persone. Berlusconi ha sempre presentato la gestione dell'emergenza come un fiore all'occhiello del suo governo.
22 settembre 2010 INCHIESTA Abruzzo, in manette l'assessore regionale alla Sanità L'assessore alla Sanità della Regione Abruzzo, Lamberto Venturoni (Pdl), è stato arrestato questa mattina a Teramo dalla squadra mobile di Pescara guidata da Nicola Zupo. Il provvedimento è stato emesso dalla Procura di Pescara a seguito di un'inchiesta sui rifiuti scattata nel 2008. Con Venturoni, arrestato anche il noto imprenditore Di Zio, proprietario della De.co, azienda del settore rifiuti. Nell'inchiesta che ha portato all'arresto dell'assessore alla Sanità risultano indagati anche i senatori del Pdl Paolo Tancredi e Fabrizio Di Stefano. Nell'ambito dell'inchiesta sono indagate complessivamente 15 persone con l'accusa di corruzione e associazione a delinquere.
22 settembre 2010 ECONOMIA E FINANZA Unicredit scivola in Borsa Il titolo cede il 4% Avvicinandosi alla chiusura in Piazza Affari si rafforza la corrente di vendite su Unicredit: il titolo cede il 4% a 1,823 euro. Di poco sopra la norma gli scambi: al momento sono passate di mano 615 milioni di azioni, contro una media quotidiana dell'ultimo mese di Borsa di 509 milioni di "pezzi". Il giorno dopo l'uscita di scena di Alessandro Profumo, la vicenda Unicredit investe ora la politica. A schierarsi contro il "rischio Germania" dopo le polemiche sui libici, è partito lancia in resta il leader del Carroccio Umberto Bossi che dopo aver smentito le voci su una lite con Tremonti ("Sono cose fantasiose"), sottolinea: "Avevo paura che la Germania potesse mettere le mani sulla banca, ma poi ho visto che non hanno i numeri". Il leader leghista disapprova le dimissioni "al buio" di Alessandro Profumo ("Bisognava prima trovare un sostituto"), e guarda a Giuseppe Guzzetti, presidente Acri e Fondazione Cariplo, come cavaliere bianco che "riorganizzi la difesa". "Se c'è un minimo di azione intelligente da parte delle Fondazioni i tedeschi non ce la possono fare". Un occhio anche alle "banche territoriali" che "faranno una difesa adeguata". A smentire la lite lo stesso Tremonti, che scherza con i giornalisti sullo stesso argomento: "Eravamo a cena insieme ieri a litigare...". In difesa di Profumo si schiera il sindaco di Roma Gianni Alemanno: "Mi dispiace molto e oggi gli farò una telefonata perchè indubbiamente Profumo ha rappresentato uno modo di fare banca significativo, attento al sociale e alle diverse necessità dell'economia nazionale". Rassicurazioni sul futuro dell'istituto che ha affidato le deleghe di Ad e l'incarico per la ricerca di un sostituto al presidente Rampl, arrivano dal vice Ad Roberto Nicastro: "La Banca unica - ha detto - prosegue con la massima velocità e accelerazione, è un progetto altamente strategico per il gruppo". I banchieri intanto tessono le lodi del manager "sfiduciato" e allontanato con una buona uscita di 38 milioni. "Personalmente mi spiace molto, umanamente, per Alessandro e per il nostro settore che perde un grandissimo professionista", commenta l'ad di Intesa Sanpaolo Corrado Passera. Il sistema bancario italiano ha perso "un validissimo rappresentante" gli fa eco Giuseppe Mussari, presidente dell'Abi, associazione che riunisce gli istituti di credito nazionale e che ha aperto a Milano la riunione del comitato esecutivo dell'associazione tributando a Profumo un lungo applauso. Anche Luca di Montezemolo rende omaggio ad Alessandro Profumo: "Posso solo ripetere - ha detto il presidente della Ferrari a margine di un convegno a Reggio Emilia - che ha fatto un lavoro straordinario che ha portato Unicredit a essere una delle banche più importanti d'Europa, vicina alle imprese e che ha reso un servizio importante all'immagine dell'Italia". Lo stesso presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, esprime la sua "grande stima" nei confronti di Alessandro Profumo, ma preferisce non entrare nel merito delle decisioni prese dal Consiglio di amministrazione di Unicredit perchè "ritengo che la politica - dice - debba arrestarsi sulla soglia delle decisioni che autonomamente sono state prese dal Cda". Il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, poi, si è detta dispiaciuta per le dimissioni e auspica che si scelga in tempi brevi una persona "all'altezza". Dietro le dimissioni di Alessandro Profumo c'è stata invece una "resa dei conti interna" e la presenza degli investitori libici negli assetti societari è stata usata come "pretesto", per l'ambasciatore di Tripoli a Roma, Hafed Gaddur.
22 settembre 2010 ECONOMIA E FINANZA E la partita in banca spacca anche la politica "Se ti trovi dalla sera alla mattina qualcuno in casa e nessuno ti ha avvisato...". Flavio Tosi, con tutta la forza di Cariverona, aspetta tre secondi prima di affondare il colpo. "... Beh, è più o meno quello che è successo in Unicredit". Quel paragone spiega. Fa capire. Alessandro Profumo paragonato a un custode infedele? Tosi insiste: "Far entrare Gheddafi ed i libici vuol dire far entrare dei soci che potrebbero non fare gli interessi di Verona e del Veneto... Ora Bankitalia e Consob fermino la scalata libica". Quell’affondo non passa inosservato. Bruno Tabacci, uno dei parlamentari più informati sulle manovre bancarie, non ci sta. Non accetta la sfida della Lega e alza la voce. "È un’operazione di una volgarità senza precedenti. È il sistema dei furbastri padani". Furbastri? Tabacci annuisce: "Vogliono far credere che il problema sia Gheddafi, ma la verità è un’altra: gli uomini della Lega pretendono che i soldi di Unicredit finiscano dove dicono loro". Le notizie si accavallano e nulla sembra chiaro. E, intanto, Filippo Penati, il capo della segreteria di Bersani, prova a spiegare la posizione del Pd: "Ci sono voluti vent’anni per sottrarre le banche alla politica... Ora con la Lega ritorniamo al passato con gli interessi dei partiti che corrompono e inquinano tutto". È una partita complicata. Scivolosa. Berlusconi però questa volta la guarda con assoluta attenzione. Consapevole che appena si aprirà un confronto vero sulla successione non farà l’errore che ha fatto negli anni passati. Non delegherà. Non lascerà ad altri la trattativa. Oggi – ripetono sottovoce ai piani alti di Palazzo Grazioli – il premier ha capito che cosa volesse dire D’Alema quando sottolineava l’importanza di poter contare su una banca amica. Oggi molti l’hanno sentito ripetere che un banchiere vale molto più di un ministro. E allora quando rimbalza fino a Palazzo Grazioli l’ipotesi che un prodiano di ferro come il supermanager Claudio Costamagna potrebbe prendere il posto di Profumo nessuno nasconde assoluta preoccupazione. Anche se dal fronte Lega è il presidente della Commissione Bilancio della Camera, Giancarlo Giorgetti, ad abbandonare la sua proverbiale riservatezza e a farsi sentire: "Non è la politica, né sono i partiti che decidono la rimozione di un amministratore o le nuove nomine". Già, ma gli attacchi "targati" Carroccio? Giorgetti non si scompone e spiega: "È corretto che la politica parli sulle scelte strategiche. È giusto fare credito alle Pmi o fare entrare i capitali libici? Su questi temi la politica deve dire la sua". C’è una partita che si gioca in superficie e una sotterranea. Quest’ultima appare piena di interrogativi? È vero che Tremonti ha provato fino all’ultimo a difendere Profumo e che invece Berlusconi e Letta hanno sferrato l’attacco finale anche per limitare il raggio d’azione del ministro dell’Economia? Ed è vero che sulla vicenda Unicredit l’asse Tremonti-Lega non ha funzionato come sempre? Si aspetta di capire e, intanto, nel centrosinistra qualcuno arriva a ipotizzare per Profumo un futuro in politica. Di Pietro è però gelido: "È bene che ognuno faccia il proprio mestiere. Di ragionieri che hanno gestito il potere delle lobby il Paese ne può fare a meno". C’è scetticismo. Anche nel Pd. "Stimo Profumo, ma prendere come leader uno che è stato appena cacciato, è un’idea ben singolare di politica", avverte Fioroni che come tanti ricorda che il candidato c’è e si chiama Bersani. Sul versante Pdl Guido Crosetto, per anni responsabile dei rapporti con il mondo bancario, guarda attento. "Più che un futuro in politica per Profumo vorrei un presente da banchiere. Ognuno deve fare le cose che sa fare... Certo una cosa va detta: Profumo è bravo e sfiduciarlo all’improvviso senza nemmeno avere in mente che cosa possa avvenire dopo di lui mi sembra un atto di pura incoscienza". Parole dure che precedono l’ultimo messaggio: "Quello che sta succedendo in Unicredit è surreale. Parliamo della prima banca italiana, della terza europea. Il governo dovrà capire che cosa è successo. E dovrà chiedere chiarimenti". Ma forse il governo conosce già bene i contorni della partita. Arturo Celletti
21 settembre 2010 PALERMO Sicilia, nasce (tra le polemiche) il Lombardo IV Il nuovo governo Lombardo nascerà dalle macerie delle coalizioni che avevano affrontato la sfida elettorale appena due anni fa. A Palermo oggi è atteso l’annuncio della nuova giunta regionale, la quarta sotto la guida del leader del Mpa, infarcita di tecnici, di pezzi del centrosinistra, di fuoriusciti dal vecchio Pdl e da una parte dell’Udc. Una maggioranza trasversale governerà una Regione che si riconferma ancora una volta laboratorio politico dai risultati imprevedibili. Ad appoggiare Lombardo, in questo momento, oltre al Mpa, sono il Pd, anche se il dibattito interno al partito è ancora in corso, i finiani (Fli), i rutellini (Api) e i deputati dell’Udc fedeli a Casini, guidati da Giampiero D’Alia. All’opposizione siederanno gli esponenti centristi vicini a Cuffaro, Romano e Mannino, l’intero Pdl, quello ufficiale e il cosiddetto Pdl-Sicilia, fondato l’anno scorso dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianfranco Micciché. L’ultimo colpo di scena, in ordine di tempo, lo suggella proprio Micciché, fondatore di Forza Italia in Sicilia e principale nuovo alleato di Lombardo fino a poche settimane fa, smarcatosi dopo l’avvio delle trattative del governatore col Pd. "Lombardo ha scelto di fare un governo folle con tecnici mentre la Sicilia sta morendo di fame" accusa Micciché in un’affollata conferenza stampa. Giudica quello di Lombardo "un vero ribaltone" e rilancia: "Faremo il nuovo partito del Sud seguendo lo schema della Lega: abbiamo già accordi in Campania e Puglia. Nel giro di un anno convocheremo l’assemblea costituente del partito". Ma sull’appoggio al nuovo governo ora il Partito democratico, col quale era avvenuto l’abbraccio durante la Festa del Pd a Palermo, prende tempo. L’esecutivo ha deciso di aggiornare il dibattito al prossimo week-end in occasione della direzione regionale del partito. Al momento le posizioni restano congelate con l’asse Lumia-Cracolici-Genovese che spinge per suggellare l’accordo con il governatore, il segretario Lupo che conferma l’apertura al dialogo ma si mantiene prudente, e Bianco, Burtone e Barbagallo che si confermano oppositori irriducibili. Il divorzio di Lombardo con il Pdl è maturato quando il partito di Berlusconi non ha votato la riforma della sanità, la rottura con l’Udc quando il governo decise di abolire l’Agenzia regionale rifiuti e acque e rifare la riforma dei rifiuti. In queste ore si stanno limando gli ultimi dettagli nella composizione della giunta. L’ultimo nodo riguarda la permanenza della pattuglia del Pdl che fa riferimento a Dore Misuraca. Sulla composizione della giunta, ci sono ormai pochi dubbi. Sicuramente resteranno i tecnici Gaetano Armao, Caterina Chinnici, Massimo Russo, Pier Carmelo Russo, Marco Venturi e Mario Centorrino, ma anche il finiano Nino Strano. Le altre caselle dovranno soddisfare gli appetiti dei nuovi commensali. Alessandra Turrisi
21 settembre 2010 Antiriciclaggio Pm romani indagano lo Ior Gotti Tedeschi: questo mi umilia, io lavoro per la trasparenza "Da quando sono stato nominato alla presidenza dello Ior mi sono sforzato, insieme al direttore generale, dottor Paolo Cipriani, di affrontare i problemi per i quali oggi vengo indagato, dedicandomi a tempo pieno alla risoluzione degli stessi". Lo ha detto il presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi raggiunto telefonicamente dall'agenzia di stampa Adnkronos. "Mi sento profondamente umiliato - ha continuato - per quanto sta accadendo e non intendo aggiungere null'altro". Oggi il presidente Gotti Tedeschi, insieme con il direttore generale Paolo Cipriani, è stato iscritto al registro degli indagato dalla Procura di Roma per la presunta violazione di un decreto del 2007 sulla prevenzione del riciclaggio. Mentre la Guardia di Finanza ha sequestrato, in via preventiva, 23 milioni di euro dello Ior depositati su un conto del Credito Artigiano Spa. La Segreteria di Stato vaticana ha sottolineato in una nota che "i dati informativi necessari sono già disponibili presso l’ufficio competente della Banca d’Italia", e che "operazioni analoghe hanno luogo correntemente con altri istituti di credito italiani". Quanto poi alle somme poste sotto sequestro, da Oltretevere si è rimarcato che si tratta semplicemente "di operazioni di giroconto per tesoreria presso istituti di credito non italiani il cui destinatario è il medesimo Ior".
21 settembre 2010 IOR Nota della Segreteria di Stato: perplessi e meravigliati, massima fiducia nei vertici "È nota la chiara volontà, più volte manifestata da parte delle autorità della Santa Sede, di piena trasparenza per quanto riguarda le operazioni finanziarie dell’Istituto per le Opere di Religione (Ior). Ciò richiede che siano messe in atto tutte le procedure finalizzate a prevenire terrorismo e riciclaggio di capitali. Per questo le autorità dello Ior da tempo si stanno adoperando nei necessari contatti e incontri, sia con la Banca d’Italia sia con gli organismi internazionali competenti – Organisation for Economic Co-operation and Development (Oecd) e Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale contro il riciclaggio di capitali (Gafi) – per l’inserimento della Santa Sede nella cosiddetta White List. La Santa Sede manifesta perciò perplessità e meraviglia per l’iniziativa della Procura di Roma, tenendo conto che i dati informativi necessari sono già disponibili presso l’ufficio competente della Banca d’Italia, e operazioni analoghe hanno luogo correntemente con altri istituti di credito italiani. Quanto poi agli importi citati si fa presente che si tratta di operazioni di giroconto per tesoreria presso istituti di credito non italiani il cui destinatario è il medesimo Ior. La Santa Sede tiene perciò a esprimere la massima fiducia nel presidente e nel direttore generale dello Ior".
21 settembre 2010 L'AZIONE DEI PM ROMANI NEI CONFRONTI DELLO IOR Drammatizzazione offensiva e inspiegabile Procedure e cautele studiate per combattere riciclaggio di denaro e movimenti di risorse destinate ad armare il terrorismo sono state attivate ieri dalla magistratura romana nei confronti dei vertici dell’Istituto per le Opere di Religione (Ior), con l’iscrizione nel registro degli indagati dei vertici della "banca" vaticana e con il sequestro di 23 milioni di euro. Un evento mozzafiato, che ha suscitato legittima perplessità e motivate preoccupazioni. In primo luogo, per il manifesto, stridente e inconciliabile contrasto tra ciò che la Chiesa cattolica e le sue istituzioni sono e fanno e le realtà (e le immagini) evocate da concetti come riciclaggio e terrorismo. Ma non secondariamente perché – come ha pacatamente e prontamente sottolineato la Segreteria di Stato della Santa Sede – tutto ciò è maturato sebbene i "dati informativi" sulle operazioni di tesoreria relative a quella somma complessiva fossero già stati messi a disposizione della Banca d’Italia. C’è, poi, di più. Sulla base dei limpidi intendimenti della Santa Sede, e secondo la linea condotta con rigore e passione proprio dal presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi, è infatti in pieno svolgimento l’attività per adeguare definitivamente l’Istituto vaticano a quegli standard che consentono agli Stati di essere inseriti nella famosa White List. Ecco spiegati l’incredulità e lo sconcerto per quanto accaduto ieri. Ecco spiegato il senso di "profonda umiliazione" provato, e sobriamente manifestato, dal presidente Gotti Tedeschi. Sono sentimenti che agitano e toccano – in queste ore, in singolare coincidenza con ben altri eventi – ogni osservatore sereno dei fatti. E che accompagnano, per quanto ci riguarda, un civile allarme e insistenti e gravi interrogativi sull’inspiegabile e offensiva drammatizzazione decisa da taluni magistrati romani. Mt
21 settembre 2010 ROMA Napolitano inaugura l'anno: la scuola deve cambiare La scuola italiana deve cambiare, con il più ampio consenso possibile, per mettersi alla pari con il livello di istruzione di altri Paesi concorrenti dell'Italia nella competizione globale. È quanto avverte il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, inaugurando il nuovo anno scolastico - alla presenza del ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini - nel cortile d'onore del Quirinale. "Sia chiaro - scandisce il capo dello Stato - di cambiamento c'era e c'è bisogno. D'altronde - osserva - sulle direttrici di massima degli interventi necessari si è da tempo evidenziato un consenso ampio, al di là delle divisioni di parte". Il Capo dello Stato dà atto che "negli ultimi decenni abbiamo conseguito notevoli passi avanti anche in termini di percentuale di diplomati e di laureati e questo ci ha consentito di avvicinarci alla media dei Paesi sviluppati. Tuttavia, anche se stiamo correndo più in fretta di altri, non abbiamo raggiunto i Paesi più avanzati. Dunque - non si nasconde Napolitano - siamo rimasti ancora indietro, rispetto a una risorsa cruciale per affrontare una dura competizione globale". Napolitano non manca di esortare a investire di più, nella scuola e nella formazione dei suoi docenti, nonostante il perpetuarsi della crisi economica. "Nel portare avanti l'impegno comune categorico per la riduzione del debito pubblico - sottolinea infatti il presidente della Repubblica - bisogna riconoscere la priorità della ricerca e dell'istruzione nella ripartizione delle risorse pubbliche disponibili. Riformare con giudizio si deve; occorre sanare squilibri, disparità, disuguaglianze che si presentano anche nell'istruzione che, al contrario, dovrebbe proprio servire a colmare le disuguaglianze". Ecco allora che "se vogliamo che la scuola funzioni come un efficace motore di uguaglianza e come un fattore di crescita, bisogna che si irrobustisca e, per farlo, occorre partire da diagnosi adeguate", afferma significativamente il capo dello Stato. In particolare, "per elevare la qualità dell'insegnamento occorre motivare gli insegnanti -esorta Napolitano- richiedere che abbiano un'adeguata formazione ma anche offrire loro validi strumenti formativi e di riqualificazione: su tutto questo, è necessario investire. Nel passato non lo si è fatto abbastanza e si sono prodotte situazioni pesanti. Occorre, dunque, qualificare e riqualificare coloro che aspirano ad una assunzione a tempo indeterminato".
21 settembre 2010 VERSO AL VERIFICA Berlusconi: i numeri ci sono, ma niente guerre con i finiani Nel fortino di Palazzo Chigi spira una ventata di ottimismo. Il premier Berlusconi, che ieri ha cenato con gli imprenditori della moda, deve avere avuto assicurazioni molto precise sulla lealtà dei finiani al governo. E ha così metabolizzato il fallimento dell’operazione affidata al segretario del Pri Nucara di costituire in Parlamento un gruppo di "responsabili", in numero tale da poter fare a meno, sulla carta, dell’appoggio di Futuro e Libertà. Inoltre, qualcosa si muove sul fronte degli ex dc. Il sottosegretario agli Esteri Enzo Scotti (eletto con l’Mpa e poi distanziatosi da Raffaele Lombardo) sta lavorando sotto traccia per vedere se è possibile costituire una formazione comune con gli udc critici con la linea di opposizione di Casini e Cesa. Una strada considerata percorribile da Calogero Mannino, esponente di spicco dell’Udc siciliana, che ieri è arrivato a vagheggiare la formazione di un nuovo partito. Anche se il ministro della Difesa La Russa avverte: "Noi non tiriamo per la giacchetta l’Udc. In quel partito c’è un dibattito aperto, se prevarrà la tesi che il governo deve proseguire nei suoi impegni ne saremo lieti. Il nostro obbiettivo è fare un appello agli eletti nel Pdl o agli alleati del Pdl, in questo caso non è una campagna acquisti ma un ritorno". Comunque vada, il ministro degli Esteri Frattini ostenta sicurezza sui numeri e sul futuro del governo: "Arriveremo ai 316 deputati necessari anche senza finiani, anche se – aggiunge – sono certo che tutti i parlamentari di Fli voteranno a favore delle dichiarazioni del presidente del Consiglio, perché hanno garantito lealtà sulla sostanza". Conferma Paolo Bonaiuti, sottosegretario e portavoce del premier, replicando a Casini che ha messo in dubbio la possibilità dell’autosufficienza: "Non faccio il mago come l’amico Casini che si è lanciato in questa difficile professione. Ma dico, come ha fatto il presidente Berlusconi, che la situazione è tranquilla e sotto controllo. Sappiamo che la gente ci chiede di governare e andare avanti perché i due anni di governo sono stati molto fruttuosi e positivi e hanno dato grandi risultati". Che la situazione dei rapporti con i finiani sia migliorata, lo conferma Italo Bocchino, che saluta con favore le parole spese dal ministro Alfano nei giorni scorsi: "Ammettere l’esistenza di una terza gamba guidata da Gianfranco Fini costituisce un passo avanti per il centrodestra e per la legislatura". In casa centrista, Ferdinando Adornato stigmatizza il tentativo di sfilare qualche parlamentare al proprio gruppo: "C’è in atto una campagna acquisti che non ha niente a che vedere con la politica delle alleanze ma che anzi è l’esatto contrario. Berlusconi si limita ad applicare "la seduzione del potere"nei confronti di alcune anime. L’Udc non accetta le lusinghe. Noi continuiamo a pensare che serve un governo di responsabilità nazionale". Giovanni Grasso
21 settembre 2010 PD Bersani prova a ricucire: "Con Walter chiariremo" Nel vespaio che agita il Partito democratico, dopo la raccolta delle 75 firme sotto al documento critico di Walter Veltroni, resta imperturbabile Pierluigi Bersani. Il segretario democratico non dà a vedere alcun fastidio per quello che il suo ex avversario Dario Franceschini considera un colpo basso dell’ex sindaco di Roma. Il leader democratico attende "le discussioni nelle sedi" appropriate, come "la direzione di giovedì", per dire la sua. Meglio ancora, l’Assemblea nazionale. E a sdrammatizzare con lui, il vicesegretario Enrico Letta. Ma dopo l’iniziativa veltroniana, a largo del Nazareno molte cose sono cambiate. E una prima dimostrazione arriverà dai due incontri previsti per oggi e domani degli ex popolari e della minoranza interna di Area democratica. A Bersani, dunque, bastano "le parole chiarificatrici" di Veltroni di ieri, che nega la volontà di presentarsi a eventuali primarie, "rispetto ad una vicenda che ha provocato anche sconcerto nel nostro partito". Il leader piddì vorrebbe evitare di "fare congressi tutti i giorni". Ma, confida, "io credo che la nostra situazione si chiarirà, dopo di che io, Veltroni, il partito tutto dobbiamo scendere in campo per esporre all’Italia la nostra idea di alternativa". Serafico, dunque, il segretario democratico dice di non temere neppure le primarie: "Il nostro statuto parla di primarie di coalizione, ma al primo posto viene l’alleanza politica e il patto per il programma. Poi ci possono essere candidati diversi ma la strada deve essere questa". Intanto, però, la confusione regna sovrana. Se lo scopo di Fioroni e Gentiloni e dell’area centrista che ha sposato l’iniziativa veltroniana è quella di dare un appiglio agli elettori moderati che vedono nel Pd di oggi una forte impronta diessina, gli ex popolari rimasti fedeli a Bersani non ci stanno. Oggi l’incontro per fare il punto, che forse i veltroniani ex-ppi diserteranno: Castagnetti e Marini non intendono infatti rinunciare a discutere, come volevano Fioroni e Gentiloni, con i critici di Veltroni. Ma ancora più forte è la richiesta di far saltare il vertice di Area democratica. Il leader Dario Franceschini è "amareggiato", perché questo è il momento di "stringersi a Bersani". Tanto che all’annuncio di una delegazione per un ultimo tentativo di mediazione di Ad, l’ex segretario replica: "L’ufficio di Veltroni è a due passi dal mio...". Al suo predecessore rinfaccia la promessa di "non fare agli altri quello che hanno fatto a me". E ai veltroniani che chiedono di revocare il vertice di domani, il leader di Ad non concede aperture. Piuttosto spiega di volere un "confronto nella chiarezza". I 75 non intendono "accantonare il documento". Ma Franceschini dice di non aver "posto pregiudiziali". "Ma che senso ha l’incontro, dopo che Franceschini ha dichiarato di voler stare con Bersani?", si chiede Stefano Ceccanti. Roberta D’Angelo
21 settembre 2010 PALERMO Sicilia, nasce (tra le polemiche) il Lombardo IV Il nuovo governo Lombardo nascerà dalle macerie delle coalizioni che avevano affrontato la sfida elettorale appena due anni fa. A Palermo oggi è atteso l’annuncio della nuova giunta regionale, la quarta sotto la guida del leader del Mpa, infarcita di tecnici, di pezzi del centrosinistra, di fuoriusciti dal vecchio Pdl e da una parte dell’Udc. Una maggioranza trasversale governerà una Regione che si riconferma ancora una volta laboratorio politico dai risultati imprevedibili. Ad appoggiare Lombardo, in questo momento, oltre al Mpa, sono il Pd, anche se il dibattito interno al partito è ancora in corso, i finiani (Fli), i rutellini (Api) e i deputati dell’Udc fedeli a Casini, guidati da Giampiero D’Alia. All’opposizione siederanno gli esponenti centristi vicini a Cuffaro, Romano e Mannino, l’intero Pdl, quello ufficiale e il cosiddetto Pdl-Sicilia, fondato l’anno scorso dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianfranco Micciché. L’ultimo colpo di scena, in ordine di tempo, lo suggella proprio Micciché, fondatore di Forza Italia in Sicilia e principale nuovo alleato di Lombardo fino a poche settimane fa, smarcatosi dopo l’avvio delle trattative del governatore col Pd. "Lombardo ha scelto di fare un governo folle con tecnici mentre la Sicilia sta morendo di fame" accusa Micciché in un’affollata conferenza stampa. Giudica quello di Lombardo "un vero ribaltone" e rilancia: "Faremo il nuovo partito del Sud seguendo lo schema della Lega: abbiamo già accordi in Campania e Puglia. Nel giro di un anno convocheremo l’assemblea costituente del partito". Ma sull’appoggio al nuovo governo ora il Partito democratico, col quale era avvenuto l’abbraccio durante la Festa del Pd a Palermo, prende tempo. L’esecutivo ha deciso di aggiornare il dibattito al prossimo week-end in occasione della direzione regionale del partito. Al momento le posizioni restano congelate con l’asse Lumia-Cracolici-Genovese che spinge per suggellare l’accordo con il governatore, il segretario Lupo che conferma l’apertura al dialogo ma si mantiene prudente, e Bianco, Burtone e Barbagallo che si confermano oppositori irriducibili. Il divorzio di Lombardo con il Pdl è maturato quando il partito di Berlusconi non ha votato la riforma della sanità, la rottura con l’Udc quando il governo decise di abolire l’Agenzia regionale rifiuti e acque e rifare la riforma dei rifiuti. In queste ore si stanno limando gli ultimi dettagli nella composizione della giunta. L’ultimo nodo riguarda la permanenza della pattuglia del Pdl che fa riferimento a Dore Misuraca. Sulla composizione della giunta, ci sono ormai pochi dubbi. Sicuramente resteranno i tecnici Gaetano Armao, Caterina Chinnici, Massimo Russo, Pier Carmelo Russo, Marco Venturi e Mario Centorrino, ma anche il finiano Nino Strano. Le altre caselle dovranno soddisfare gli appetiti dei nuovi commensali. Alessandra Turrisi
2010-09-20 20 settembre 2010 LA GUERRA DEI NUMERI Berlusconi: "Avanti fino a 2013" A nove giorni dal discorso programmatico che terrà in Parlamento, Silvio Berlusconi alterna ottimismo, appelli e moniti. Da un lato invita le persone responsabili che siedono nei banchi delle opposizioni a sostenere il governo e le riforme. Dall'altro mette in guardia chi progetta giochi di palazzo per sostituire l'attuale Esecutivo sulle conseguenze che ciò avrebbe in termini di consensi elettorali. Infine, rassicura tutti sul fatto che la legislatura terminerà nel 2013. La situazione in Parlamento, afferma in collegamento con una manifestazione di Noi Sud, uno dei gruppi parlamentari che dovrebbero contribuire all'allargamento della maggioranza, è "sotto controllo". Poco dopo, in collegamento con la kermesse del Pdl veneto a Cortina, precisa meglio il suo pensiero. Ricorda innanzitutto che la "moralità" introdotta in politica con la sua discesa in campo lo "obbliga a realizzare il programma". Parla delle sfide che il governo ha davanti a sé: dalla necessità di "completare le riforme", a quella di "superare gli ultimi strascichi della crisi". Ma è sulla partita che si giocherà il 28 a Montecitorio (al Senato i numeri gli danno più sicurezza) che il premier concentra il cuore del suo intervento. "Tra pochi giorni presenteremo i cinque ormai famosi punti", è la sua premessa. Un "grande patto di legislatura", aggiunge con quello che suona come un primo monito, "che tutti i parlamentari della maggioranza saranno tenuti a rispettare e sottoscrivere solennemente". Ciò non solo in rispetto al "mandato elettorale", ma anche per il bene del Paese. Segue l'appello alle opposizioni. "A tal proposito rivolgeremo l'invito anche alle forze più responsabili dell'opposizione affinché possano valutare il nostro programma di riforme e mettano da parte i loro pregiudizi sterili". E aggiunge, "anche dalla minoranza si può concorrere a fare l'interesse" dell'Italia. Un appello che non deve stupire perché segue quello di altri esponenti del Pdl sempre dal palco di Cortina: Maurizio Sacconi prima, Gaetano Quagliariello poi. Casini. Il premier Silvio Berlusconi "dovrebbe fare il ministro delle Attività Produttive prima del 28 settembre". Lo ha detto il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini parlando a Skytg24. "Lo sfido - ha aggiunto - a fare prima del 28 anche il rimpasto così sarà immune da ogni accusa di campagna acquisti". "Berlusconi, rimpasto o no, sottosegretariati o no, non otterrà 316 voti il 28 settembre". Lo ha detto il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini in un'intervista a SkyTg24. "Vediamo - ha aggiunto - se ho ragione". In ogni caso, secondo Casini il premier "continuerà a governare", ma la sua "campagna acquisti" di questo periodo di fatto avrà legittimato, in caso di crisi, "un tentativo serio di fare governi senza di lui". Maroni. "Se c'é una maggioranza convinta e solida si può andare avanti, altrimenti dubito che si possa continuare navigando a vista". Lo ha detto il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, parlando della situazione politica attuale a margine dell'inaugurazione di un asilo nido realizzato in una villa sequestrata alla criminalità organizzata a Lonate Ceppino (Varese). "Guardiamo al prossimo discorso di Berlusconi alle Camere con grande interesse perché sarà un po' uno spartiacque - ha aggiunto Maroni -. Le cose che siamo riusciti a realizzare non credo saremmo riusciti a farle con una maggioranza raccogliticcia, quindi anche dal punto di vista istituzionale sono interessato a capire che cosa succede".
2010-09-18 18 settembre 2010 POLITICA Berlusconi: gruppo di Fini operazione dissennata "Quando sono andato a Bruxelles, i capi di Stato mi hanno guardato con un punto interrogativo chiedendomi se ero ancora il capo del governo o non contavo più niente. Questo è il risultato della dissennata operazione di fine luglio". Lo ha detto il premier Silvio Berlusconi, nel corso del suo intervento dalla festa de La Destra di Storace, in corso a Taormina. Il presidente del Consiglio ha preso posizione contro quello che nel suo intervento ha definito un "teatrino" di cui assolutamente non c'era bisogno con il Paese alle prese con la crisi economica. E pur evitando i nomi - ma facendo espliciti riferimenti temporali che non lasciano dubbi di interpretazione - ha attaccato l'operazione che ha portato alla nascita di Futuro e Libertà e alla frattura definitiva con Gianfranco Fini. Il capo del governo si è detto fiducioso sull'esistenza di una maggioranza che gli consenta di portare avanti la legislatura e ha tenuto a precisare che "non stiamo facendo operazioni di calciomercato con nessuno" ma che nonostante questo lui confidi nell'ingresso di altri esponenti moderati nell'area favorevole all'esecutivo. I quali si sarebbero fatti avanti spontaneamente per dare manforte al suo governo: "Sono stato cercato, senza fare alcuna pressione da parte mia, da molti parlamentari siciliani che dissentono dalla linea del loro partito che avendo un elettorato moderato e cattolico vuole invece allearsi con la sinistra - ha spiegato Berlusconi -. Sono loro che pensano ad una nuova formazione politica per dare nuovamente una solida maggioranza al governo". Davanti alla platea di Taormina il premier ha fatto anche una promessa: prima delle elezioni, che si terranno "tra tre anni" ci potrebbero essere "uomini della Destra nel governo". Alle elezioni del 2008 la Destra si era presentata slegata dal Pdl e con un proprio candidato premier, Daniela Santanché, oggi sottosegretario. La promessa del premier è dunque l'ulteriore conferma del rafforzamento del legame con Storace dopo le divisioni del passato. "Contro di voi ci fu un veto doloroso, doloroso anche per me - ha detto il Cavaliere dal palco -. Fu una delle poche battaglie che non riuscii a vincere e il veto non riuscimmo a superarlo". Lo stesso Storace, nel corso della convention, non ha risparmiato critiche e frecciatine a Gianfranco Fini: "Una volta per avere notizia bastava citare Almirante, oggi per avere un fischio basta citare Fini".
18 settembre 2010 VERSO LA VERIFICA Berlusconi: avrò i numeri però non faccio acquisti Si fa sempre più in salita, per il premier Silvio Berlusconi, la strada per arrivare a formare in Parlamento una maggioranza numerica tale da poter fare, sulla carta, a meno dei finiani. Anche tra coloro che si sono detti disponibili a votare la fiducia al governo (tra cui il governatore siciliano Lombardo), escludono un appoggio incondizionato.E, trattandosi prevalentemente di deputati meridionali, c’è il rischio concreto di far saltare la mosca al naso di Bossi, che da giorni morde il freno per andare alle elezioni anticipate. Brutte notizie anche dai deputati siciliani ribelli dell’Udc, che pur contestando la linea del segretario, affermano di voler rimanere nel gruppo, attenendosi alle indicazioni del partito sulla fiducia. Tutto questo, insomma, consiglia a Berlusconi e ai suoi una certa prudenza e un certo tatto. Specialmente nei riguardi dell’Udc, sulla quale il premier conta per l’approvazione eventuale del Lodo Alfano costituzionalizzato. E, forse, per qualcosa in più. Così ieri, in Consiglio dei ministri, il Cavaliere ha ufficialmente messo la parola fine alla campagna acquisti. Negando, anzi, che questa fosse mai iniziata. Il tentativo di sfilargli qualche deputato ha fatto irritare molto il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini. Che ha posto come precondizione al dialogo proprio la fine della campagna acquisti. Berlusconi ieri ha spiegato: "Non è vero che facciamo compravendita, non c’è nessun mercato. Nessuna campagna acquisti", ha detto il premier ai suoi ministri. Argomentando: "Quelli dell’Mpa sono stati eletti con noi, così quelli di Noi Sud. È sbagliato pensare che io voglia comprare in altri partiti". Diverso, però, sarebbe il caso di singoli parlamentari o interi gruppi che al momento della fiducia decidessero di appoggiare il governo: "Se ci sono esponenti di altri partiti, tipo quelli dell’Udc, che vogliono sostenere l’esecutivo, lo faranno per scelta libera. Niente di diverso, niente di più". Sandro Bondi ha successivamente esplicitato l’invito ai centristi: "Ci sarebbero oggi le condizioni politiche per una ricomposizione dell’area moderata del Paese, considerando che esiste un area politica di centro, rappresentata dall’Udc, autonoma ma non ostile ad un confronto sui contenuti". Ma il Pdl non può nemmeno trascurare il dialogo con i finiani. Così Fabrizio Cicchitto rivolge loro un appello a tornare nella casa madre; altrimenti, afferma il capogruppo del Pdl alla Camera, dovrebbero rompere gli indugi e formare un nuovo partito. Italo Bocchino replica a stretto giro di posta: "Cicchitto dimentica che esiste un editto che dichiara Fini incompatibile con il Pdl". Dunque, "siamo tutti incompatibili e le conseguenze verranno tratte a tempo debito". Giovanni Grasso
18 settembre 2010 Dibattito nel pd Veltroni arriva a quota 75 "Ma voglio soltanto unire" Per dare credito alle spiegazioni concilianti di Walter Veltroni, il documento sottoscritto da 75 parlamentari arriva attenuato nei toni. Scompare il riferimento alla mancanza della bussola nella guida di Bersani, e nella versione definitiva non si parla più di "Movimento", anche se il movimento resta dentro il partito, che da ieri ha di fatto una corrente in più: quella dei "farisei", secondo la definizione data da Franco Marini, che questa volta con la sua mediazione non è riuscito a frenare l’esodo di Beppe Fioroni e 25 ex popolari ormai seguaci dell’ex segretario. Dunque il Pd si riposiziona, Area democratica resta nelle mani di Franceschini con la fetta più grande della minoranza interna. Fuoriescono 7 ex rutelliani e una quarantina di veltroniani doc oltre agli uomini di Fioroni. E per Rosy Bindi la minoranza "è lacerata" oltre al fatto che il partito dà nuovamente l’idea di "essere nella bufera". Ma nel giorno in cui si ufficializza il ritorno di Veltroni sulla scena democratica, Marco Minniti e Giorgio Tonini che hanno disegnato le linee guida del documento, rifiutano l’immagine catastrofica. "Non c’è nessuna intenzione di fare qualcosa di alternativo o che sia fuori al partito. Si parla di un movimento di opinione, di idee che vuole essere un contributo al dibattito interno", spiegano. "È un documento fatto solo per unire", conferma quindi lo stesso Veltroni, per il quale "il fatto positivo è che si discute per il Pd". Meno positivo sarebbe, aggiunge, "sottovalutare in questo momento l’esigenza di stare uniti attorno a un progetto di rilancio". L’ex segretario è ampiamente soddisfatto della cifra raggiunta. Mentre Bersani non dà apparentemente peso alla scissione della minoranza interna. "Per me la bussola è rimboccarsi le maniche – insiste, replicando comunque alle critiche dure di Veltroni – , andare avanti, fare le nostre discussioni nelle sedi giuste". E soprattutto "tutti insieme abbiamo un compito rilevantissimo: parlare di questo Paese, dare una mano, per quanto possiamo, per tirarlo fuori dai guai e tenere alta la battaglia politica". Neanche i franceschiniani però si fanno intimidire dalla nuova truppa. "Noi andiamo avanti", commenta Marina Sereni. Di fatto, la discussione è aperta e sarà sul tavolo della direzione del 23, ma prima ancora dell’incontro di Area democratica mercoledì prossimo. Si tratta di mettere a confronto le diverse strategie di alleanze e di ricerca di candidati premier, dopo il passo indietro di Veltroni, non in nome di Bersani, ma di un "papa straniero". E nel dibattito sempre più ampio, si fa sentire anche Arturo Parisi, già ideatore dell’Ulivo insieme a Prodi che, dalla Cina, pare sia davvero sconfortato dell’andamento della sua creatura. Tanto per restare in tema di strade inconciliabili, nel Lazio, dove il partito non si è ricomposto dalla sconfitta delle regionali di aprile, Bersani risolve la questione commissariando il partito, da ieri nelle mani di Vannino Chiti. Tra le proteste di ex popolari e Area democratica. Roberta D’Angelo
18 settembre 2010 ISTITUZIONI E RIFORME Uno "Statuto speciale" per Roma A dare la notizia, appena uscito da Palazzo Chigi, è proprio l’inquilino del Campidoglio. Il sindaco Gianni Alemanno esce dopo l’approvazione compatta, ministri Bossi e Calderoli compresi, del decreto su Roma Capitale, che sarà pubblicato oggi stesso sulla Gazzetta Ufficiale. "È il primo passo necessario e importante – dice euforico Alemanno – per dare alla nostra città una governance adeguata al suo ruolo di capitale d’Italia e al suo valore internazionale". Forse per compensare il via libera della Lega, Umberto Bossi non può esimersi da una battuta dedicata allo zoccolo duro leghista: "Ora ci vuole quella del Nord", dice il senatùr. "Lo abbiamo votato – ironizza – solo perché il sindaco Alemanno è venuto piangendo". E i governatori leghisti gli fanno da sponda: il veneto Luca Zaia spera "che sia l’ultima volta che sentiamo di queste operazioni" e definisce "Roma vorace", il piemontese Roberto Cota come contropartita chiede "un ministero a Torino". "No, non piangevo – replica Alemanno – anzi ero molto contento. Ma Bossi scherza sempre un po’ troppo". E sul leader del Carroccio piovono critiche. Non solo di Bersani e dei finiani, ma anche dei ministri La Russa, Ronchi e Meloni. Il processo comunque non è concluso. Il primo passaggio sarà l’approvazione del codice delle autonomie, spiega il sindaco che chiede correzioni in corsa "sul numero dei consiglieri: impensabile che una città di 2,8 milioni di abitanti abbia lo stesso numero di consiglieri di una di 200 mila". Oggi sono 60, il decreto li ridurrebbe a 48. Poi ci sarà il confronto col governatore del Lazio Renata Polverini e il ministro Roberto Calderoli per l’attribuzione dei poteri alla Capitale. Alemanno ringrazia "anche l’opposizione e in particolare il Pd che ha appoggiato il processo". Tra le principali novità, i tetti massimi di 15 municipi (ora sono 19) e di 12 assessorati, l’incompatibilità tra ruolo di consigliere e assessore, la procedura d’urgenza per l’attività dell’assemblea capitolina su alcuni provvedimenti, il monitoraggio del livello dei servizi da affidare a terzi, gli strumenti di partecipazione e consultazione anche permanente con i cittadini. "Subito dopo l’approvazione - racconta ancora Alemanno - il sottosegretario Gianni Letta mi ha detto che i ministri della Lega avevano votato contro. Poi mi ha rivelato che c’era stata l’unanimità. Ho ringraziato tutti e ho abbracciato Calderoli, determinante in questo processo". Bossi però, non riesce a non dire la sua. E diversi ministri non gradiscono l’uscita. Giorgia Meloni definisce "poco eleganti le battute di Bossi". Andrea Ronchi parla di "umorismo" ma gli ricorda che "come sancisce la Costituzione, la capitale d’Italia è una, Roma". "Le capitali al Nord ci sono già – taglia corto Ignazio La Russa – e sono i capoluoghi di Regioni. E naturalmente Milano, che dagli anni ’60 chiamiamo capitale economica. Ma la Capitale politica, simbolo dell’unità nazionale è Roma". Più netti i finiani del Fli. Dice Fabio Granata: "Come la Padania non esiste, così Roma è l’unica capitale. Quella di Bossi è storia e geografia creativa". "Sarebbe straordinario – ironizza Carmelo Briguglio – un Paese con due capitali". Più netto il segretario del Pd Pier Luigi Bersani: "Basta slogan, la gente pensa al lavoro, non a queste cosucce. Da un lato la propaganda, che parla di "un fatto epocale", dall’altra si preoccupano di smontarle dicendo "l’abbiamo fatto perché il sindaco piagnucolava". Recuperino un po’ di serietà politica".
2010-09-17
17 settembre 2010 DELITTO MEDIATICO Tariffe agevolate. Arriva un altro stop Resta uno spiraglio, ma il delitto mediatico rischia di compiersi. Le speranze si sono riaccese a cavallo tra la fine di luglio e Ferragosto, quando dalla Presidenza del Consiglio è venuta la copertura politica a un decreto che doveva rendere operativo entro il 15 settembre l’accordo di fine luglio sulle tariffe di spedizione postale dei giornali concluso da editori e Poste. Ma ieri, dopo voci pessimistiche che si susseguivano da almeno 24 ore, ha fatto calare il gelo una nota interna che esprime il parere della Ragioneria generale dello Stato sullo schema di decreto. Parere negativo per mancanza di fondi di copertura. A meno che, dicono i tecnici, la Presidenza del Consiglio non recuperi le risorse necessarie prima di emanarlo. Insomma, la palla torna nel campo di Paolo Bonaiuti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’editoria. La porta, insomma, non è ancora chiusa. Vale la pena di riepilogare per sommi capi una vicenda complessa, ma che può avere esiti drammatici per il sistema informativo nazionale. Che inizia nella notte tra il 30 e il 31 marzo scorso, quando un decreto sospende la proroga delle agevolazioni postali previste dalla legge sull’editoria. Morale: le tariffe di colpo aumentano del 120% senza che gli editori possano rivedere gli abbonamenti già conclusi con i lettori per il 2010. Da allora molti periodici, tra i quali i settimanali diocesani, le testate del terzo settore, le voci dei territori, le riviste missionarie hanno sospeso le pubblicazioni. E i quotidiani nazionali versano in forte difficoltà. Alla fine di luglio una svolta: viene siglato un accordo tariffario tra Poste italiane e le associazioni degli editori considerato il male minore sulle spedizioni postali dei giornali. L’intesa contiene in sostanza l’aumento al 38% fino al primo settembre 2011. Da quella data è previsto che scatti un ulteriore rincaro del 17%. Ai primi di agosto Bonaiuti riceve le parti sociali e concede il via libera politico alla firma del decreto per rendere operativo l’accordo entro metà settembre. A quel punto sul cammino del decreto calano però nuovi ostacoli tecnici e giuridici posti dal Ministero dell’Economia, quali l’impossibilità di finanziare l’industria editoriale per evitare ricorsi della Ue per aiuti di Stato e, soprattutto, di pagare Poste Italiane che dal 2011 diventerà per direttiva europea gestore e non monopolista del servizio. La mediazione con il Ministero di Tremonti nei giorni precedenti l’Assunta viene curata da Gianni Letta che disinnesca la mina assicurando una soluzione a costo zero per il bilancio dello Stato e di quello autonomo di Palazzo Chigi. Dopo le vacanze, i tecnici della Ragioneria fanno il punto a inizio settembre sulla bozza di decreto. E vedono che per i primi tre mesi del 2010, quando erano in vigore le agevolazioni, lo Stato ha pagato 55 milioni di euro. L’esaurimento dei fondi ha portato alla sospensione. Ora, se il decreto è a costo zero – è il ragionamento – la compensazione della differenza tra tariffa agevolata e tariffa piena ricade sulle Poste. Le quali, però, finché resta in vigore la legge 353 del 2003, possono chiedere i rimborsi allo Stato. Diritto che, secondo i tecnici, non è limitabile per decreto. Da qui l’invito a trovare i fondi prima di emanare il decreto che cambia le tariffe postali. Diversa la situazione delle organizzazioni senza scopo di lucro. In questo caso i fondi che compensano la stampa del terzo settore ammontano a 30 milioni e il governo ha già firmato il decreto. Ma secondo la Ragioneria il Ministero delle Finanze deve attendere fino a novembre, quando ci sarà la sicurezza della copertura. Peccato che le campagne di raccolta fondi a mezzo stampa di organizzazioni caritative e ong partano proprio in questo periodo, e la solidarietà ora rischia grosso. A meno che lo spiraglio finalmente si allarghi. Paolo Lambruschi
16 settembre 2010 IL DIBATTITO A SINISTRA Veltroni: "Il Pd è un partito senza bussola" Si intitola Innovazione e riformismo: un Pd grande e aperto per un'alternativa al berlusconismo il documento nato dalle posizioni di Walter Veltroni e definito dagli uomini dell'ex segretario, con gli ex Ppi di Giuseppe Fioroni e gli ex Margherita di Paolo Gentiloni. L'analisi contenuta nel testo non è tenera nei confronti del Pd attuale descritto come un partito "senza bussola" che "fatica a stare sopra il 25 per cento, in piena crisi politica del centrodestra". Per tutto questo - è uno dei passaggi chiave - si sottolinea l'esigenza di dare vita non a una corrente, ma a un movimento che deve coinvolgere "forze interne ed esterne al partito, tornando ad appassionare energie che si sono allontanate e rischiano di disperdersi" e anche "settori della società italiana che la crisi politica e culturale del centrodestra ha rimesso in moto". La premessa di tutto è il "fallimento del berlusconismo", in piena crisi "politica e culturale", che rende "ancora più necessaria e urgente", "realistica e praticabile", la "prospettiva costitutiva del Partito democratico". Di fronte a questa crisi non bisogna "arroccarsi in difesa" o peccare di "mancanza di coraggio". Ma piuttosto ci vuole una "alternativa credibile", è "il momento di uscire allo scoperto e di avanzare proposte coraggiose e innovative". Non vanno bene, per essere espliciti, i progetti "neo frontista" e "neo centrista": sono frutto di "una visione angusta e rinunciataria". Serve invece, si legge sempre nel documento, puntare su un "allargamento dell'area dei propri consensi" con "un programma riformista", "un progetto innovativo per il Paese", "una classe dirigente fortemente rinnovata". Non serve la "riedizione regressiva del compromesso storico" o una "tardiva adesione alla socialdemocrazia". Serve, in uno slogan, la "vocazione maggioritaria" del Pd.
16 settembre 2010 VERSO LA VERIFICA Giustizia, Berlusconi e Fini ricominciano a parlarsi Segnali di fumo tra Pdl e finiani. E il terreno scelto per un primo confronto, in vista del voto sulle dichiarazioni del presidente del Consiglio a fine mese, è quello della giustizia. O, meglio, dello scudo giudiziario per il premier. Un provvedimento sulla cui adozione Gianfranco Fini si è sempre detto favorevole e lo ha ribadito nel discorso di Mirabello. Purché non si tratti, hanno di continuo spiegato i suoi, di una norma troppo sfacciatamente ad personam; o che comporti la cancellazione di migliaia di processi, come poteva accadere con il cosiddetto processo breve. Ieri, seduti sui divanetti di Montecitorio Vittorio Ghedini e Giulia Bongiorno, i "plenipotenziari" per la giustizia di Berlusconi e Fini, hanno intrecciato un fitto dialogo durato quasi un’ora. E nel pomeriggio Ghedini ha accompagnato il ministro della Giustizia Alfano a far visita a Berlusconi a Palazzo Grazioli. Sul tavolo del premier sono state di nuovo confrontate le diverse ipotesi: dalla costituzionalizzazione del Lodo Alfano, considerata da molti giuristi la via maestra, ma che ha lunghi tempi di approvazione; fino all’idea di un finiano doc come Giuseppe Consolo, che – con legge ordinaria – propone di introdurre una sorta di autorizzazione a procedere da parte delle Camere nei confronti dei ministri. Sullo sfondo la decisione che la Corte Costituzionale dovrà prendere, a metà dicembre, sulla costituzionalità della legge sul legittimo impedimento, che ha permesso al premier di sottrarsi temporaneamente a tre processi penali. E che se fosse dichiarata contraria alla Carta, riporterebbe Berlusconi nelle aule del tribunale e nel frullatore mediatico, interno e internazionale. Con il rischio di una condanna. Prospettiva che il Cavaliere vuole evitare a tutti i costi. La delicata ricerca di una via d’uscita dall’impasse giudiziario allora è fortemente intrecciata alle vicende politiche e alla ricerca di tregua nell’area che sostiene il governo. Tramontata o quasi l’idea della costituzione di un nuovo gruppo lealista (e la possibilità per Berlusconi di ottenere i numeri per una maggioranza senza i finiani), al Pdl non è rimasto che inghiottire la pillola amara e scendere a più miti consigli con gli uomini del presidente della Camera. Non è un caso, dunque, che nelle trattative più o meno ufficiali il Pdl è pronto a mettere sul piatto della bilancia una riconferma dei presidenti delle commissioni in quota Fli, magari sostituendo la Bongiorno con Consolo. Di certo, i falchi dell’una e dell’altra parte hanno fatto tacere i cannoni da qualche giorno. E Berlusconi e Fini hanno smesso di attaccarsi in pubblico. "Il clima è più sereno", ha confidato il presidente della Camera ai suoi, raccomandando loro di votare senza esitazione i cinque punti programmatici di Berlusconi, sui quali il premier sembra orientato a chiedere il voto sia alla Camera che al Senato. Mentre il presidente del Consiglio ostenta un grande ottimismo sulla tenuta del governo e sulla durata della legislatura: "Non ho nessun dubbio. Arriverò al 2013".
16 settembre 2010 MILANO Problemi al finestrino, atterraggio d'emergenza per l'aereo di Berlusconi Un problema tecnico ha costretto il volo di Stato diretto a Bruxelles con a bordo Silvio Berlusconi ad un atterraggio di emergenza allo scalo di Milano Linate. L'aereo è atterrato regolarmente ed attualmente si sta cercando un velivolo sostitutivo per far raggiungere la capitale belga al presidente del Consiglio.Il problema, riguardante un finestrino del cockpit, è stato rilevato mentre l'aereo era in volo nell'aria di Zurigo. Da qui la decisione di un atterraggio di emergenza a Linate senza comunque alcun problema per i passeggeri. "È tutto tranquillo", ha spiegato il vicesegretario alla presidenza del Consiglio, Paolo Bonaiuti, che era a bordo insieme al premier. "Ora si attende un altro aereo per proseguire il viaggio fino a Bruxelles", ha concluso.
2010-09-15 15 settembre 2010 SALERNO Napolitano ai ragazzi: "Più risorse alla scuola" l presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha richiamato l'attenzione sull'importanza dello spessore morale e culturale dei politici, mezzo principale per trovare soluzioni condivise e non dettate da interessi personali. "Bisogna ricostruire un clima di rilancio culturale e morale della politica. La politica è ricerca delle soluzioni, ma ci deve anche essere spessore culturale e moralità", ha detto il presidente partecipando alla cerimonia conclusiva per il quarantennale del Giffoni Film Festival in provincia di Salerno. "Quando si coopera tra persone diverse, con storie diverse, l'essenziale è capire quali sono i problemi e trovare gli interessi comuni. Si tratta di scegliere gli obiettivi da raggiungere e raggiungerli insieme". Il presidente Napolitano, rispondendo alle domande della giovane giuria del Giffoni, ha detto che il bene comune non è un obiettivo irrealizzabile ma difficile da raggiungere a causa dello "spirito di partigianeria" e dell'egoismo. "Non si tratta di fare un miracolo, è tutto realizzabile basta spogliarsi dello spirito di partigianeria e talvolta anche di qualche egoismo e meschinità", ha spiegato Napolitano. La cultura rimane quindi uno strumento preferenziale in politica e in generale nella società contemporanea. "Abbiamo bisogno di più risorse per la scuola e abbiamo bisogno di attività formativa e impegno". Napolitano, consapevole dell'importanza dei tagli della spesa pubblica, prende però le parti della scuola pubblica sottolineando la necessità di altre risorse, persone e fondi. Il presidente ha affermato che "servono risorse ma serve anche l'impegno di insegnanti e studenti" e che i tagli non possono essere imposti "in modo indifferenziato". Ieri il presidente aveva espresso da Salerno l'importanza di risanare i conti pubblici ma contemporaneamente la necessità di promuovere la crescita, superando le tensioni politiche e apprezzando l'impegno mostrato nei giorni scorsi dal premier Silvio Berlusconi a proseguire la legislatura. Napolitano ha più volte auspicato un dialogo più ampio e puntuale sul tema della scuola, considerato dal presidente la culla della rettitudine personale e della coesione sociale.
CENTROSINISTRA Bersani all'attacco di Berlusconi "Uno scandalo la campagna acquisti" Il leader democratico: "Il governo dovrebbe passare la mano". Berlusconi: "Arriveremo al 2013". Tensione nel Pd. Veltroni: "Contro di me ingiustizie e vigliaccherie. No a gruppo autonomo dal Pd, ma la cosa peggiore è che non si vedano le difficoltà". Il governatore siciliano Lombardo incontra il presidente della Camera: "Raggiunta intesa". Ma le difficoltà nell'isola restano. Voto di fiducia anche al Senato. Rai, finiani contro Masi Bersani all'attacco di Berlusconi "Uno scandalo la campagna acquisti" ROMA - Quella di Berlusconi è una "compravendita" scandalosa. Al contrario, il governo dovrebbe rendersi conto che non può governare e passare la mano. Così Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, sulla situazione politica sempre più incerta e confusa. Proprio mentre il premier continua a professare ottimismo: "Arriveremo al 2013" dice in un'intervista al quotidiano francese Le Figaro. Meglio col Milan. "E' scandalosa questa compravendita che finora ha dato risultati piuttosto scarsi: spero per i milanisti che quella dei calciatori sia più fortunata di quella in Parlamento". Con questa battuta Bersani ribadisce le proprie critiche alla strategia della maggioranza per ottenere la fiducia grazie all'arrivo di deputati. Secondo il capo del Pd "resta il problema di fondo, cioè dare l'idea che si è veramente in grado di governare. Invece - argomenta il segretario del Pd - vanno in Parlamento con un documento di cinque punti, tutti d'accordo e poi si ricomincia". Il leader democratico ritiene che all'Italia servano "governi capaci di governare, se non lo sono passino la mano, perchè stiamo vivendo la crisi più acuta dal Dopoguerra ad oggi ed i problemi sono tantissimi, ma non riusciamo a parlarne: serve un sussulto di dignità". A questo proposito cita anche le parole pronunciate oggi da Emma Marcegaglia 1: "Spero che questa frase rappresenti una presa di coscienza della situazione, non solo una battuta, perchè qui in questi due anni non c'è stato solo il governo a negare le evidenze". Veltroni prepara il documento. Nel Pad però non si placa la discussione interna. "Niente gruppi autonomi, ma nessuna voglia di dichiarare cessate le ostilità. All'indomani della riunione del coordinamento del Pd Walter Veltroni insiste. E rilancia quel documento con il quale intende puntare il dito contro chi ha smarrito lo "spirito originario" del Pd (leggi Bersani) per perdersi dietro ad una politica delle alleanze. Un affondo che l'ex segretario cerca di mitigare a parole: "E' un documento politico che va accolto positivamente. Ho contribuito a fondare il Pd e ci tengo che sia forte perchè solo un Pd forte può costruire alleanze per l'alternativa". Per poi aggiungere: "La cosa peggiore è che non si vedano le difficoltà perchè così si accrescono". Un testo, giura, che ha come unico scopo quello di aiutare il Pd: "Per fortuna oltre ad un'unità operativa nel partito ci sono tante culture politiche che si esprimono anche con documenti. Il mio è un documento politico, come ce ne sono tanti e deve essere accolto positivamente". Niente gruppi autonomi, per ora ("ma figuriamoci, ho contributo a fondare questo partito"), ma un disagio che è sempre più visibile. Basta leggere l'intervista che l'ex segretario ha dato al settimanale Gioia per capire lo stato d'animo di Veltroni: "Mi sento dentro e fuori dai giochi della politica e ho registrato ingiustizie e vigliaccherie. Fossi stato più giovane ne avrei sofferto". Una lunga rievocazione del suo addio al partito dopo il voto del 2008. E una nuova missione: "Quello che intendo fare, e lo farò, è tenere viva l'idea del Pd così com'è nato. Senza richiedere ruoli". Ancora incerti i tempi di presentazione del documento. Ieri i veltroniani non l'hanno portato davanti al coordinamento. Oggi Veltroni prende tempo: "Non c'è fretta e non c'è nulla di polemico nè di quelle cose che si sono viste nel passato". Parole che, però, non fugano le nubi di un nuovo scontro interno ai democratici. E mercoledì prossimo è stata convocata l'Assemblea dei parlamentari aderenti ad Area democratica, alla vigilia della Direzione del partito. E lì si saprà se la scommessa di Veltroni ha avuto successo. Nel frattempo Dario Franceschini si sfila: 'Il documento e' un grande errore, dovete ritiralo e comunque io non lo firmerò". Incontro Fini-Lombardo. Mentre il cosidetto gruppo "salva governo" alla Camera perde i pezzi, il leader dell'Mpa e governatore siciliano Raffaele Lombardo vede Gianfranco Fini. I due si sono incontrati in mattinata e hanno parlato del governo tecnico in Sicilia (sostenuto dai finiani) e della rinnovata intesa politica a livello nazionale. Il governatore Lombardo, infatti, che si appresta a varare un nuovo esecutivo regionale, sembra insistere sull'intesa con Fini. E questo nonostante l'incontro dei giorni scorsi con Berlusconi e il corteggiamento dei deputati dell'Mpa da parte del Cavaliere. "Questa mattina ho incontrato Fini e l'Udc. Sono interessati a continuare, nel primo caso, e a riprendere, nel secondo caso, un'esperienza all'interno del governo regionale. Sono disponibili ad entrare" sintetizza Lombardo. Ma, nonostante le parole del governatore, non tutto sempre definito. "L'Udc in Sicilia è rappresentata dal sottoscritto ed io non lo ho incontrato" dice Saverio Romano, segretario regionale centrista. E anche i finiani restano cauti: "Al momento non persistono le condizioni per procedere ad una nuova composizione del governo regionale rimangono forti perplessità sul programma e sulla natura della nuova giunta" taglia corto Pippo Scalia, di Fli. Berlusconi andrà anche al Senato. Il governo illustrerà i 5 punti per il rilancio della sua azione anche al Senato nella settimana dal 27 settembre al 2 ottobre. Seguirà dibattito e ci sarà anche un voto. Pdl. Sull'ipotesi di un 'sottogruppo' dei finiani moderati disposti a sottoscrivere un documento di fedeltà al premier il finiano Carmelo Briguglio non ha dubbi: "lo escluderei. Ormai chi è rimasto con Fini dopo tutti i tentativi che ci sono stati al tempo della formazione dei gruppi, del voto sulla mozione Caliendo,e che ha resistito fin qui a pressioni enormi non se ne va più. Aggiungo che proprio i finiani moderati come Menia, Viespoli e Moffa sono quelli più legati a Fini anche da un forte legame personale". Sempre sul fronte finiano va registrato l'affondo di Flavia Perina, deputata di FlI e direttore del Secolo d'Italia, dopo aver letto la lettera inviata dal dg Mauro Masi ai direttori di rete e di testata: "Una Rai in cui solo Minzolini può fare ciò che vuole e gli altri, di dritto o di rovescio, devono fare ciò che vuole Masi". (15 settembre 2010)
2010-09-14 14 settembre 2010 POLITICA Dubbi sulla formazione del nuovo gruppo Proprio quando Giorgio Napolitano apprezza, non senza rilievi polemici sulle polemiche agostane, l'impegno di Silvio Berlusconi per evitare elezioni anticipate, il progetto del nuovo gruppo alla Camera, tassello fondamentale per la solidità della maggioranza, registra l'arrivo di nubi improvvise tra chi dice apertamente no e chi si trincera dietro diplomatici ni. Si chiama fuori l'Udc Romano, l'Svp si conferma fuori dai blocchi, mentre sono i Liberaldemocratici a far osservare che, a loro, nessuno ha chiesto, ad ora, di entrare nel gruppo la cui istituzione è stata affidata a Francesco Nucara. E dal leader Pri prende le distanze anche Noi Sud. Dopo lo strappo con i finiani, ora la maggioranza segue la strada del bilanciamento con il gruppo di "responsabilità istituzionale" sulla cui nascita sembra però fondata la cautela di Francesco Nucara. "La mia battaglia è nell'Udc", precisa oggi l'influente Udc siciliano Saverio Romano, descritto sino a ieri con le valigie in mano. "Siamo e restiamo fuori dai blocchi", dicono dall'Svp. "Il presidente Berlusconi non ci ha chiesto di entrare in alcun gruppo", dicono i Liberaldemocratici. Dichiarazioni che oggi sembrano alzare l'asticella dei 20 deputati indispensabili per costituire un gruppo autonomo alla Camera. La Lega, in più, non nasconde perplessità sull'operazione. "Se c'è una maggioranza solida, coesa e compatta si può lavorare bene, se c'e una maggioranza che ogni giorno deve cercare i voti in Parlamento, si lavora male", osserva Roberto Maroni.
14 settembre 2010 SALERNO Napolitano: "Contro di me polemiche non garbate" "Il fatto che negli ultimi giorni si sia manifestata crescente fiducia nella possibile prosecuzione dell'attività governativa e parlamentare segna per me, sia chiaro, un'evoluzione auspicabile e costruttiva". Lo dice il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, parlando a Salerno durante l'incontro con le autorità locali in occasione della visita alla città. È "una polemica allusiva e non sempre garbata" quella che per settimane ha avuto come oggetto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. È lo stesso Capo dello Stato a spiegarlo durante il suo intervento: "avevo a metà agosto suggerito alla riflessione di tutte le forze politiche precisamente l'interrogativo su quali potessero essere le conseguenze per il Paese del precipitare della situazione verso un vuoto politico e verso un durissimo scontro elettorale. "Questa doveva essere, come sempre è stata, la preoccupazione del presidente della Repubblica, per il quale attenzione ai problemi e agli interessi generali del paese e garanzia di continuità della vita istituzionale fanno un tutt'uno", ha spiegato Napolitano: "Si sono invece succeduti per settimane, ogni giorno, interventi orientati in tutt'altro senso, in allusiva polemica (allusiva e non sempre garbata) nei miei confronti".
2010-09-13 13 settembre 2010 POLITICA Nucara: ci sono i numeri per costituire gruppo "Ci sono i numeri" per costituire alla Camera il gruppo parlamentare di "responsabilità nazionale". Ne ha dato notizia il segretario Pri, Francesco Nucara, dopo un incontro con il premier, Silvio Berlusconi. Proprio a Nucara era stato affidato il compito di trovare i componenti del nuovo gruppo parlamentare, almeno 20 deputati, che dovrebbe consolidare la maggioranza in vista della fase finale della legislatura. La costituzione del gruppo è prevista in vista delle comunicazione che Berlusconi terrà in Parlamento a fine mese. Dato come capogruppo in pectore della formazione, Nucara ha sottolineato che Berlusconi non gli ha offerto nulla: "Sono suo amico da 10 anni, non mi deve nient’altro, io gli devo tutto". Secondo il segretario del Pri, l’obiettivo della quota venti - indispensabile per la costituzione del gruppo autonomo a Montecitorio - si può raggiungere senza "aiutini" da parte del Pdl, ovvero deputati eletti nel partito del premier che si sposterebbero nella nuova formazione per consentire di raggiungere la soglia di aderenti. "I numeri ci sono, mi pare che raggiungiamo la ventina senza iniezioni dal Pdl - ha sottolineato Nucara -. È gente che non ha già votato la fiducia, tranne me, Pionati e quelli di Scotti". Di più Nucara non vuole dire su chi siano i deputati "papabili" né da che area vengano, né tantomeno se qualcuno arriverà dalle fila di Futuro e Libertà. Ci sarebbero però i cinque deputati del movimento NoiSud del citato sottosegretario agli Esteri, Enzo Scotti; i tre Liberlademocratici Melchiorre, Tanoni e Grassano; i due Repubblicani Popolari Nucara. Nei giorni passati si erano fatti poi i nomi dei tre esponenti delle minoranze linguistiche, i due della Svp e uno dell'Union valdotaine, che in sede locale ha già stretto accordi con il Pdl. Smentite di interessamento erano venute da un gruppo di parlamentari siciliani dell'Udc: Mario Tassone, Calogero Mannino, Lorenzo Ria, Giuseppe Drago e Michele Pisacane. Mentre i cinque deputati dell'Mpa del governatore della Sicilia Lombardo avevano promesso voto favorevole al governo, pur annunciando di voler mantenere la propria autonomia, allo stesso modo dei 35 finiani di Futuro e libertà. Attualmente i voti di Pdl (237) e Lega (59) assommano a 296 e proprio 20 sarebbe il numero necessario per raggiungere una maggioranza "autosufficiente" di 316. Il segretario del Pri ha precisato che tale gruppo potrebbe nascere "o qualche giorno prima o subito dopo" le dichiarazioni che il premier terrà in Aula il 28 settembre.
13 settembre 2010 POLITICA Berlusconi: il governo andrà avanti Silvio Berlusconi ostenta sicurezza sulla situazione politica e sulla navigazione del suo governo intervenendo ieri alla Festa dell'associazione Atreju dei giovani del Pdl a Roma: "Non credo che i parlamentari che hanno aderito alla nuova formazione che fa capo a Fini vogliano venir meno all'impegno preso con gli elettori. Ciascuno di loro sarà leale anche al simbolo del Pdl su cui è scritto il nome di Berlusconi". Riferendosi poi al discorso programmatico che pronuncerà il prossimo 28 settembre alle Camere, il premier usa l'ironia: "Ce la facciamo sicuramente. Speriamo di fare meglio del Milan e della Roma. Dobbiamo andare avanti e farlo con grande determinazione". E aggiunge: "Andrò in Parlamento per verificare se ci sarà la maggioranza sui cinque punti programmatici che ho proposto. Non solo ci sarà maggioranza, ma ci sarà una grande maggioranza. Andremo alle elezioni tra tre anni". Sul tema dell'allargamento della maggioranza in direzione dell'Udc, il presidente del Consiglio si dice convinto che "i centristi prima o poi dovranno decidere con chi stare" (con una nota in serata, precisa: "Il mio discorso sui centristi non riguardava in modo specifico Casini e l'Udc, ma si riferiva in generale alla posizione centrista in quanto tale"). Sulle inchieste della magistratura relative a una possibile nuova Tangentopoli, il premier afferma perentorio: "I giornali di sinistra hanno messo in giro l'idea che ci sia una nuova Tangentopoli, ma non c'è nessuna Tangentopoli. Non ci sono mascalzoni nel nostro partito". E alla domanda del ministro Giorgia Meloni sull'opportunità di inserire nello statuto del Pdl una norma che preveda la non candidabilità per chi ha avuto problemi con la giustizia, Berlusconi si dice d'accordo a una condizione: "Ma il giudizio finale spetta al nostro partito e non a certa magistratura". Pier Ferdinando Casini, concludendo la Festa nazionale dell'Udc a Chianciano, replica a Berlusconi: "Senza le dimissioni del governo, la politica dell'aggiungi un posto a tavola non interessa a noi nè al polo che stiamo costruendo. Il presidente del Consiglio si dimetta e dopo si può aprire una nuova stagione politica. Poichè riteniamo che i fatti ci abbiano dato ragione, Berlusconi ne prenda atto: passi dal delirio di autosufficienza al riconoscimento che non ha più una maggioranza e si dimetta". Il leader dell'Udc conferma la linea del suo partito: "Noi sulle buone leggi convergiamo, le cattive le contrastiamo, come abbiamo fatto fino a oggi. Abbiamo proposto un governo di responsabilità nazionale ma non siamo ai saldi di fine stagione, non basta che Berlusconi in Parlamento faccia un bel discorso dicendo cose generiche per dire che c'è stata la svolta". Pier Luigi Bersani chiude la Festa nazionale del Pd a Torino rilanciando le proposte del principale partito di opposizione: "Siamo una forza di governo che si trova momentaneamente all'opposizione". Il leader del Pd parla della necessità di "un grande risveglio italiano" e sulle polemiche relative all'idea di costruire un Nuovo Ulivo chiarisce: "Non si tratta di ripetere l'esperienza dell'Unione con decisioni che si prendevano la sera e non erano più valide la mattina". Quanto alle previsioni sulle possibili evoluzioni del quadro politico, Bersani torna a dirsi favorevole a un "governo di transizione": "La crisi la si deve affrontare in Parlamento, la maggioranza non c'è più. Occorre un governo che in breve termine porti a soluzione la riforma elettorale dando di nuovo ruolo agli elettori e guardi a un bipolarismo ragionevole. Non ci meritiamo quello che stiamo vivendo". Da Venezia, dove si chiudeva la Festa dei popoli padani, Umberto Bossi ribadisce che la Lega non insiste più nel chiedere le elezioni anticipate e sul federalismo annuncia: "Preparatevi a festeggiare perchè per il federalismo è questione di ore". Annota il ministro Roberto Calderoli: "Un governo per arrivare a mangiare il panettone non serve a nessuno. Noi vogliamo un governo per portare a casa le riforme. Siamo stati leali con Berlusconi e lui lo è stato con noi". Roberto Maroni, ministro degli Interni, è pragmatico sull'esito del discorso che il presidente del Consiglio terrà a Montecitorio il prossimo 28 settembre: "Se ci saranno i 316 voti di fiducia, Berlusconi andrà avanti. Se no, si deve dimettere".
2010-09-11 11 settembre 2010 POLITICA Fini: voto al discorso di Berlusconi Letta: il premier si dimetta Sulle dichiarazioni che il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi terrà in Parlamento alla fine di settembre "ci deve essere un voto". Lo afferma il presidente della Camera Gianfranco Fini a margine della riunione del G8 dei presidenti delle Camere ad Ottawa. "Non ha senso fare il discorso senza un voto. Se no - spiega, conversando con i cronisti - il presidente del Consiglio che cosa cerca a fare il sostegno di 316 deputati?". Intanto Enrico Letta, vicesegretario del Pd, ha chiesto le dimissioni del premier: "Quello di Berlusconi è il vero governicchio. Noi lo invitiamo a dimettersi, ad andare da Napolitano e a finirla con questi show all'estero che fanno un danno pesante all'Italia". "Da tre mesi non c'è un atto di governo che venga assunto. Dai più semplici come la nomina di un ministro per lo Sviluppo economico o del presidente della Consob ai più complessi. Intanto sta andando a ramengo, per esempio, la privatizzazione della Tirrenia", ha continuato Letta. "Da 15 anni - ha detto Letta - la politica va avanti come uno show in cui ci deve essere un colpo di scena al giorno, divertente ma staccata dalla realtà, come X Factor o il Grande Fratello. Non si può andare avanti così".
11 settembre 2010 LA TELEFONATA Berlusconi: "A questo governo non c'è alternativa" "Non faremo mai rimanere l'Italia sospesa tra le elezioni anticipate e l'ipotesi di un governicchio tecnico". Lo afferma il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, nel corso di un collegamento telefonico alla Scuola di formazione del Pdl a Gubbio. "Siamo sempre stati lontani dai giochi della politica politicante e da questo teatrino insulso e assurdo - spiega il premier -. Abbiamo lavorato anche ad agosto. La sinistra e gli antiberlusconiani non avranno mai la soddisfazione di vedere il nostro concorso nel precipitare l'Italia in una crisi politica con il paese sospeso tra le elezioni anticipate da una parte e l'ennesimo governicchio tecnico dall'altro". "Siamo ambiziosi, vogliamo passare alla storia come il governo migliore", ha poi aggiunto Berlusconi per poi ribadire che "Siamo diversi, siamo la forza per fare gli interessi della gente. A questo governo -ha detto il premier - non c'e alternativa. Abbiamo dovere di andare avanti e governare". "Siamo consapevoli della forza e delle nostre responsabilità perche il Pdl è il pilastro della democrazia e del Paese. Per questo valutiamo con raziocinio gli accadimenti reali e dobbiamo distinguerli dalle chiacchiere e dalle fantasie giornali. Dobbiamo tener conto del mandato degli italiani e agire con senso responsabilità. In questo periodo di crisi italia ha avuto fortuna di avere governo del fare che ha avviato riforme importanti e coraggiose, che ha avviato la strada cambiamento". "Abbiamo il dovere di andare avanti e dobbiamo realizzare tutte le cose che gli italiani si aspettano da noi. Abbiamo già programmato gli obiettivi per la fine della legislatura a partire dai cinque punti programmatici". Passando poi a parlare di economia, Berlusconi ha poi sottolineato che "abbiamo 56 miliardi di titoli da collocare nel mese di settembre. Noi non ci dimentichiamo che corriamo il rischio di una sfiducia anche parziale sui mercati. Con la manovra di luglio abbiamo rassicurato i mercati, sarebbe un delitto compromettere tutto quello che di positivo che abbiamo fatto. Possiamo andare orgogliosi del nostro bilancio"
11 settembre 2010 POLITICA E GIUSTIZIA Berlusconi scaccia le urne e attacca i pm "Ogni interruzione anticipata della legislatura è un evento traumatico e deve trovare motivazioni in circostanze gravi e irreversibili". Renato Schifani scandisce così il suo no al voto anticipato. Lo spiega. Lo motiva. "Dobbiamo onorare il patto stipulato con gli italiani... Senza riforme il Paese si siede e invecchia". Nella saletta ovattata dell’hotel di Gubbio che da nove anni ospita la scuola di formazione politica voluta da Sandro Bondi si ascolta in silenzio il presidente del Senato. "Il Paese ci chiede lavoro e meno pressione fiscale...Il Paese ha bisogno di vedere la propria terra liberata dalla criminalità... L’attuazione del federalismo può aiutare a crescere...". Passano due ore e dalla Russia rimbalzano le parole di Silvio Berlusconi (qui è attesa per questa mattina la sua telefonata) che, inevitabilmente, si accavallano con quelle dell’inquilino di Palazzo Madama. Schifani "regala" l’equazione che fa titolo: voto anticipato uguale trauma. Berlusconi, però, esclude questa possibilità. "Il mio governo andrà avanti per i tre anni della legislatura" . È la rassicurazione scandita dal premier nel suo intervento al World Political Forum. Un intervento anche per sgombrare il campo dai dubbi sulla situazione politica italiana. Fini? "Sono piccole questioni di professionisti della politica che vogliono avere la loro aziendina... Certo, sono cose che non toccano la governabilità". Il premier si muove come al solito su più fronti. Ed ecco il nuovo atto d’accusa contro le toghe politicizzate. "Nel mio Paese la magistratura ha raggiunto un potere che non ha limiti... Ancora una volta ha messo sotto accusa i protagonisti della vita politica con accuse assolutamente inventate mettendo a rischio la governabilità del Paese". Una pausa precede l’ultimo affondo. "C’?è una situazione di oppressione del cittadino che non può essere accettata". Mosca e Gubbio si intrecciano. Berlusconi attacca Fini, Schifani è ovviamente più prudente. "Per regolamento e Costituzione il presidente della Camera non è affatto sfiduciabile. E poi esercita il suo ruolo con autorevolezza, imparzialità e professionalità", ripete davanti ai taccuini. Qualche ora dopo tocca a Bondi e la musica cambia. "Fini è come Bertinotti perché un ruolo politico così accentuato non è compatibile con la presidenza della Camera. Lo dicevo allora e lo dico oggi: sono coerente, non cambio idea". Tante le frasi, tanti i ragionamenti. Tutti qui insistono sulla necessità di far durare la legislatura. Franco Frattini usa un immagine efficace e un racconto inedito. "Berlusconi il 25 agosto ha passato due ore a convincere Bossi e Bossi ha capito: anche il piccolo imprenditore padano vuole stabilità e davanti all’ipotesi voto prende il forcone e ti rincorre". I grandi temi si accavallano e la giustizia resta certamente uno di questi. Il premier sfida ancora le toghe e il Guardasigilli prova a gettare acqua sul fuoco cambiando i termini dell’atto d’accusa. "Non occorre scandalizzarsi... Le norme costituzionali in materia di giustizia vanno modificate. D’Alema ci aveva provato 12 anni fa con la Bicamerale... Il malato giustizia fino ad oggi non è guarito". Poi un chiarimento anche su Fini. "In Aula a fine settembre Berlusconi non parlerà del presidente della Camera". Tutti scommettono su un governo che va avanti. O forse tutti vogliono esorcizzare il fantasma del voto. "Questa legislatura deve completarsi", ripete Maurizio Sacconi. "Se il governo cade vincono i fannulloni, la Fiom, il partito della spesa pubblica, l’egoismo, la miopia", chiude Renato Brunetta. Arturo Celletti
11 settembre 2010 A Yaroslav il duetto con Medvedev. E D'Alema insorge "La Russia si è incamminata sulla strada della democrazia". Un concetto che Silvio Berlusconi ha ribadito più volte intervenendo al Forum mondiale sulla democrazia che si è tenuto a Yaroslavl, lasciandosi andare a osservazioni che sono state criticate da molti osservatori, compreso l’ex ministro degli Esteri Massimo D’Alema, che, seduto in prima fila è stato visto scuotere la testa in segno di diniego, soprattutto per le frasi di Berlusconi sulla situazione della politica e della giustizia in Italia. Berlusconi è comunque andato avanti, elogiando Vladimir Putin e Dmitry Medvedev, ai quali si è rivolto come a grandi amici, con i quali "ho rapporti molto positivi" e "condivido molte posizioni". Con Putin, ha detto, "ho avuto lunghe conversazioni e non sono mai stato colto dal dubbio che in lui ci fosse una volontà meno che democratica". Anzi, Putin e Medvedev devono essere considerati dal popolo russo un vero e proprio "dono del Signore". Berlusconi non ha poi mancato di tornare su un tradizionale cavallo di battaglia, recuperando, in tono di "amarcord", dal G7 di Napoli del 1994, passando per il G8 del 2001, il suo "personale contributo" per superare la guerra fredda e ricucire lo strappo fra Russia e Occidente: in particolare "i rapporti diffidenti con l’amministrazione Bush". "Caro Dmitry – ha aggiunto rivolgendosi a Medvedev – ti ricordi quando ti ho preso per mano con Obama, vi ho fatto fare la fotografia e dissi "dovete andare d’accordo". Poi avete firmato lo Start2?". Medvedev ha sorriso e ringraziato. Non ha però mancato di porre un freno all’entusiasmo di Berlusconi, chiarendo al mondo intero, che il concetto di democrazia parlamentare non è affatto applicabile alla Federazione russa: "Sarebbe una catastrofe". Dicevamo di D’Alema. In margine all’intervento di Berlusconi, l’ex esponente del Pci, ha definito "grave e vergognoso che un capo di governo si esprima all’estero sul carattere democratico dei partiti del suo Paese". Il riferimento è alla frase in cui il premier ha detto di essere "intervenuto per evitare che l’Italia cadesse nelle mani dei comunisti, che erano antidemocratici". Critiche "gravi" anche alla magistratura, "raccontando bugie sui suoi processi" ed è "vergognoso che abbia lanciato frecciate ai suoi alleati. Non c’è Paese civile dove accadano queste cose". E a sera Bersani parla di "schiaffo all’Italia". (R.Zan.)
11 settembre 2010 Diktat della Lega: decentramento e no all'Udc Lui è lì sul palco. Con il figlio Renzo, che gli tiene la mano, dopo "l’arrampicata" alla sorgente del Po. In sottofondo: "Bossi, Bossi, Bossi...", con Mario Borghezio a fare da capo coro. Poi il silenzio. E lui, il senatur, calmo, che dice: "La Lega Nord darà la fiducia a Berlusconi. Noi abbiamo rispettato i patti con Berlusconi. Lui pure con noi. Noi non siamo come Fini". Una dichiarazione quella di Umberto Bossi, il capo (perché qui per il popolo padano, in almeno 3000 ieri a Pian del Re, per l’ormai abituale appuntamento con "l’ampolla con l’acqua del Po", Bossi è solo il "capo", ndr.), che fa subito scattare l’applauso dei militanti. E alcuni di loro, che avevano esposto uno striscione "cristallino": "Elezioni subito", pensano bene, dopo le sue parole, di toglierlo. Ma la garanzia non è gratis. Due le condizioni che vengono poste sul tavolo. La prima la dice ancora Bossi: "Dopo il federalismo inizierà subito la battaglia per il decentramento dei ministeri". Perché per il senatur "mica tutto può stare a Roma". E non è finita. Sul come "andare avanti", prima del discorso di Bossi sul Monviso, mette il "carico da 11" pure il ministro alla Semplificazione normativa Roberto Calderoli, che chiarisce la seconda condizione. "La paura non fa 90, ma 320 (il numero sufficiente di deputati per avere la maggioranza alla camera, ndr.)", chiosa Calderoli, che però va subito al dunque. "Gli amici più leali di Berlusconi sono la Lega Nord e Umberto Bossi. La maggioranza però deve essere chiara, non di giornata. La definizione Legione straniera (il cosiddetto gruppo di responsabilità, ndr.) non mi piace perché non deve essere figlia di una campagna acquisti, ma di una adesione ai punti del programma riformatore che abbiamo presentato. Ovviamente è escluso l’Udc". E l’idea di un governo tecnico? "Noi non ci stiamo – chiude Calderoli –. Vorrà dire che il Nord andrà da solo". Un altro filo conduttore della giornata è stato quello del passaggio di consegne, dai padri ai figli, del patrimonio politico, culturale e identitario della Lega. Un tema utile, forse, per sopire i rumors che segnalano battaglie interne fra le correnti e per rilanciare l’idea di granitica compattezza. "La Lega è forte e libererà il Nord – ha detto Bossi –. Il Federalismo va avanti ed è già arrivato quello demaniale, il tutto grazie alla premiata ditta Calderoli-Bossi. Quando andremo in pensione, poi ci saranno i nostri figli". O i nuovi dirigenti come quelli presenti ieri alla kermesse: il governatore del Piemonte Roberto Cota e Giancarlo Giorgetti, segretario della Lega Lombarda, tanto per fare due nomi. Un passaggio di consegne che si è visto già anche fra i 3000 militanti presenti. Quelli di lungo corso con le vecchie camicie della Guardia nazionale padana, alcuni giovani invece con la Lacoste, ovviamente di colore verde, ma tutti uniti nel riconoscere ancora Bossi, come "capo". Davide Re
2010-09-10 10 settembre 2010 POLITICA Berlusconi: avanti tutta la legislatura Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, indebolito dallo strappo con l'ex alleato Gianfranco Fini, ha detto che il suo governo supererà le tensioni all'interno della maggioranza e porterà a termine le riforme necessarie nei prossimi tre anni di legislatura. Intervenendo nella città russa di Yaroslavl a un forum sulla democrazia, il premier, coinvolto in due processi per corruzione, falso in bilancio e frode fiscale, ha anche accusato la magistratura di attentare alla governabilità del paese facendo intendere di considerare prioritario uno scudo giudiziario per chi guida l'esecutivo. "Il mio governo andrà avanti tranquillo nelle grandi riforme che ci attendono ancora per i tre anni della legislatura", ha detto Berlusconi che a fine mese parlerà alla Camera sulla situazione del Paese dopo che 34 deputati e 10 senatori leali a Fini sono usciti dal Pdl privandolo di una maggioranza certa. "Sono piccole questioni di professionisti della politica che vogliono avere la loro aziendina politica per poter contare nella politica ma che non toccano la governabilità", ha aggiunto Berlusconi cercando di minimizzare le critiche di Fini alla politica della maggioranza. Nelle scorse settimane il premier ha minacciato più volte il ritorno alle urne per fare pressione su Fini e seguaci, il cui nuovo movimento ha bisogno di tempo per organizzarsi sul territorio e potrebbe registrare risultati molto scarsi in caso di un ritorno immediato alle urne. Il presidente della Camera ed ex cofondatore del Pdl ha accusato Berlusconi di gestire il partito come un monarca e minacciato di non far passare leggi che proteggano interessi personali. Ma nel desiderio di rimandare il confronto con gli elettori, Fini ha anche assicurato che voterà la fiducia a Berlusconi per tutta la legislatura e di essere favorevole a una legge che sospenda i processi per tutto il mandato del capo del governo. Il cosiddetto scudo giudiziario è un obiettivo da tempo perseguito da Berlusconi convinto che dei magistrati politicizzati vogliano ribaltare l'esito delle urne con le loro inchieste. Anche oggi a Yaroslavl Berlusconi ha parlato di "oppressione giudiziaria". "Nel mio Paese la magistratura ha assunto un potere senza limiti mentre deve essere un ordine dello stato e non un potere dello Stato", ha detto Berlusconi ricordando di essere già stato "rispedito a casa" da palazzo Chigi nel 1994 in seguito a "una falsa accusa". "La magistratura ha ritenuto di poter ancora svolgere una sua opera mettendo sotto accusa, con accuse inventate i protagonisti della politica e mettendo a rischio la governabilità del Paese". Il cosiddetto lodo Alfano che garantiva la sospensione dei processi per premier e ministri è stato giudicato incostituzionale dalla Corte Costituzionale lo scorso autunno e il 14 dicembre la Consulta valuterà anche la costituzionalità della legge sul legittimo impedimento, che attualmente consente ai membri del governo di non partecipare alle udienze giudiziarie. Nella sua gestione dei rapporti con Fini, tuttavia, Berlusconi deve tenere conto della posizione dell'alleato Lega Nord, i cui consensi sono in forte crescita nella parte più ricca del Paese e che spinge, invece, per il voto convinta di poter rafforzare la sua influenza sul futuro esecutivo. E anche al progetto federalista caro al Carroccio ha accennato Berlusconi dalla città russa sul Volga quando ha affrontato il tema dell'"oppressione fiscale" e di uno Stato troppo invasivo che deve devolvere molti dei propri compiti agli enti locali. Ma da Yaroslavl il Cavaliere ha rilanciato anche il suo cavallo di battaglia personale al quale secondo i sondaggisti deve gran parte del suo successo quello della riduzione delle tasse. "Io da liberale integrale ho sempre pensato che è importante che il cittadino senta come giuste le imposte chieste per i servizi che riceve", ha detto Berlusconi ribadendo che lo Stato può chiedere fino a un terzo dei guadagni. "Se è il 50% o più ti sembra che sia un furto o anche una rapina".
10 settembre 2010 CRISI Fini: durata legislatura non è in discussione "Non c'è nulla che possa mettere seriamente in discussione la durata della legislatura e quindi il mantenimento da parte dell'Italia degli impegni assunti a livello internazionale": lo ha detto il presidente della Camera Gianfranco Fini alla speaker del congresso Usa Nancy Pelosi, che ha incontrato in un faccia a faccia di 45 minuti a margine della riunione dei presidenti delle Camere del G8. Fini ha spiegato che, durante la cena ufficiale, i presidenti dei Parlamenti del G8 gli hanno chiesto informazioni sulla situazione politica italiana. "In particolare - spiega Fini - quelli con cui ho rapporti più frequenti come il tedesco Norbert Lammert, il francese Bernard Accoyer e, ovviamente, la presidente Pelosi, volevano sapere che sta succedendo riferendosi anche alle dinamiche interne. Ho spiegato che in Italia abbiano dinamiche politiche interne come quelle degli altri Paesi europei o americani. In ogni caso, ho puntualizzato che l'Italia mantiene gli impegni, che la legislatura va avanti e che non c'è nessun motivo per pensare a qualsiasi altro trauma".
2010-09-09 9 settembre 2010 LO STOP DEL PREMIER "Un dovere governare Avanti per il Paese" "No al voto. Garantiamo il governo del fare". Dall’ufficio di presidenza del Pdl arriva il no di Silvio Berlusconi all’accelerazione della Lega verso le elezioni. "Ho il dovere di governare, ed è una responsabilità che tutti hanno il dovere di condividere", spiega il premier ai suoi. "Dobbiamo mantenere le promesse che abbiamo fatto agli italiani", rimarca ancora. Nelle parole di Berlusconi, Bossi - al di là dei toni usati, che qualche imbarazzo istituzionale l’hanno creato - non è però descritto come l’alleato che minaccia tradimenti, ma semmai come quello che richiama tutti a una serietà di comportamenti, che dovrà essere mantenuta da tutti. "Se poi ci sarà qualcuno che si assumerà la responsabilità di far cadere il governo allora significa che ora sta bluffando...", ragiona il premier, che ora è costretto a fare i conti con il mezzo ultimatum di Bossi: entro 15 giorni si deve capire. "Si va avanti tranquilli", in Parlamento "ci sono i numeri". Ha ribadito il premier rispondendo a chi gli chiedeva se il governo vosse in condizione di andare avanti sul programma dopo lo strappo con Fini, all'uscita dalla residenza romana dell'ambasciatore israeliano Gideon Meir doveaveva festeggiato il Rosh Hashanah, il capodanno ebraico Berlusconi dà quindi credito, con parole prudenti e costruttive, al lavoro di Franco Frattini e Gianni Letta per prevenire incidenti con Napolitano e, certo, non nasconde un certo fastidio per le uscite di Bossi: "Cercherò di convincerlo, ora non servono le elezioni ma governare". Ma l’attrito con il senatur (che alcuni, in realtà leggono solo come un espediente tattico, quasi un gioco delle parti), non lo porta a disdire del tutto l’accordo del vertice di Arcore, che includeva l’intenzione di recarsi al Quirinale. Ieri, però, correggeva il tiro, frenando Bossi: "Non è necessario", diceva, lasciando aperta l’ipotesi di non coinvolgere il Colle. Perché in realtà, assicura chi ha parlato con il Cavaliere ieri, in questa navigazione a vista di fine estate, il premier continua a giocarsi la tripla e di strategie ne restano almeno tre in campo. Quella dell’oggi dà credito ("ma non ancora per molto, avete visto che Bossi preme...", spiegava Berlusconi a telefono a un mediatore) all’ipotesi benigna sullo scontro con il presidente della Camera, che ieri con la sua iscrizione al gruppo di Fli ha effettuato una scelta solo in apparenza scontata: in realtà ha voluto mostrarsi del tutto d’accordo con sé stesso, quasi a tagliarsi i ponti dietro. L’ipotesi "uno" poggia sulla speranza di un sereno andamento dei lavori parlamentari, anche se al momento il Cavaliere neanche prende in considerazione l’idea di un accordo diretto, e legittimante, con lo sfidante Fini. Ma intanto, in segreto, assicura chi ha parlato con lui, Berlusconi continua a coltivare (ipotesi "due") l’idea di una "legione straniera" da arruolare, formata da deputati in uscita dai finiani o dall’Udc, purché il numero (una decina) consenta l’autosufficienza perduta alla Camera. L’ipotesi "tre", invece, è quella che Bossi ora porta avanti da solo, ma potrebbe diventare anche la sua, se Fini pensasse di rendere impossibile la vita al governo. Perché, in tal caso, sarebbe lo stesso Berlusconi a cercare il big bang mediatico su cui innescare una crisi di governo che porti dritto alle urne. Il premier si è dato tempo fino al termine del mese, quando (probabilmente il 28) si presenterà alla Camera per le "comunicazioni del governo sulla situazione politica". E in quell’occasione, chiarisce Maurizio Gasparri, "verrà posta la fiducia sul discorso del premier. Difficile andare oltre settembre, ma qualcuno, intorno a Berlusconi, si cimentava lo stesso, ieri. In caso di elezioni, infatti, il Cavaliere non si nasconde i rischi che correrebbe al Senato. E allora fra gli scenari ipotizzati ci sarebbe anche la staffetta, per la prossima legislatura anticipata, con Giulio Tremonti, che potrebbe essere in grado di fare maggioranza a Palazzo Madama, aprendo al terzo polo. E per Berlusconi, nell’accordo, ci potrebbe essere lo "spostamento" al Quirinale. Fantapolitica, o, se volete, impressioni di settembre. Angelo Picariello
8 settembre 2010 NUOVO BLITZ A TORINO Bonanni cacciato dal palco Ancora violenti alla festa del Pd Grida, striscioni, lanci di finte banconote e alla fine pure un lacrimogeno che arriva sul palco della festa torinese del Pd e sfiora l’ospite di turno, il segretario della Cisl Raffaele Bonanni. È la terza contestazione, dopo quelle a Franco Marini e al presidente del Senato Renato Schifani, ed è la più violenta. Si arriva alla bagarre tra polizia e manifestanti, in cui due agenti restano contusi. E non mancano le polemiche sulla sicurezza. Il sindacalista parla in piazza Castello, nel cuore della città della Fiat, nel giorno delle accuse di cedimenti sul contratto dei metalmeccanici. O meglio cerca di parlare. L’incontro è iniziato da pochi minuti. Bonanni sta articolando la risposta a una domanda del giornalista Giuliano Giubilei, quando inizia la replica di un film già visto. Una cinquantina di persone lo interrompono al grido di "vergogna" e "buffone". Lanciano facsimile di pezzi da 50 euro con la sua foto e la scritta "Il denaro è un buon servo e un cattivo padrone". Su uno striscione campeggia "Marchionne comanda. Bonanni ubbidisce". Alla fine salgono pure sul palco. Al vicesegretario del Pd Enrico Letta tocca il ruolo che sabato scorso era toccato a Piero Fassino. Fronteggia il manipolo con il dito puntato ripetendo all’infinito "Siete antidemocratici". E anche "voi con noi non c’entrate". Non c’entreranno, ma sono entrati. E dicono di parlare a nome degli operai di Mirafiori, anche se poi le forze dell’ordine li identificano in esponenti di centri sociali e antagonisti, precari, studenti e pure qualche operaio. Viene identificata e denunciata la persona che ha tirato il fumogeno. È una studentessa che frequenta il centro sociale Askatasuna (libertà in basco, parola che fa parte della sigla Eta). Il suo razzo ha sfiorato la giacca del leader Cisl che è stato subito allontanato. "Solo per un caso questo attacco non si è trasformato in un dramma", commenta Letta. Visibilmente scosso, Bonanni rassicura sulle sue condizioni: "Sto bene ma sono turbato per una contestazione così violenta. Spero che ora tutti riflettano e abbassino i toni". Squilla il telefonino. È il segretario del Pd Pier Luigi Bersani. È il primo di una lunga serie di chiamate e di attestati di solidarietà che arrivano dal mondo politico e del lavoro. "Un atto squadrista", dichiara Bersani. Il gesto viene condannato anche dai presidenti delle Camere, Renato Schifani e Gianfranco Fini. Dalla Confindustria, da Natale Forlani, portavoce del Forum elle persone e delle Associazioni di ispirazione cattolica nel mondo del lavoro, da Carlo Costalli (Mcl). Uno dei rappresentanti del collettivo che ha dato vita alla contestazione cerca di motivarla così: "Riteniamo inaccettabile invitare alla Festa del Pd un personaggio come Bonanni, uno dei principali artefici della cancellazione del contratto nazionale dei metalmeccanici". Ma dal mondo sindacale il coro di condanna è unanime. La Cisl assicura: "non ci faremo intimidire". Il segretario della Uil Luigi Angeletti ricorda che "dialogo e confronto sono l’unica cifra delle relazioni sociali". Anche Cgil e Fiom si dissociano. Per Guglielmo Epifani la contestazione è "inaccettabile sotto ogni punto di vista". Il leader dei metalmeccanici Maurizio Landini, infine, la definisce "inaccettabile". SACCONI ACCUSA: "VIOLENZA POLITICA". È SCONTRO L’aggressione "verbale e fisica" a Raffaele Bonanni è "gravissima" in sé ma anche perché "può rappresentare il ritorno di una stagione di violenza politica" che l’Italia ha già conosciuto. È amaro il commento del ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. La nebbia del fumogeno lanciato ieri a Torino contro il segretario della Cisl si addensa sul già non roseo orizzonte di questo autunno che molti prevedono caldo. Oltre a esprimere al sindacalista la solidarietà, che arriva da molti altri esponenti dell’esecutivo e di tutte le forze politiche, Sacconi chiede al Pd di riflettere sulla "scelta di non riconoscere alcun avversario a sinistra nonostante il radicalismo intollerabile di molti esponenti". Dura la replica di Maurizio Migliavacca, coordinatore della segreteria dei democratici: "Si vergogni e si astenga dalle insultanti stupidaggini con cui cerca di infangarci". Il Pd è da sempre contro la violenza e in questo caso l’ha anch’esso subita insieme a Bonanni, rilancia. Ma il sindaco di Torino Sergio Chiamparino prende sul serio la sfida e dichiara: "Occorre stare attenti ai tentativi di offrire sponde ai centro sociali". Dei quali il primo cittadino si dichiara nemico: "Basta guardare sui loro blog per capire che io sono sempre stato molto chiaro". A Bonanni vanno le "scuse" del Pd. Un pericolo di radicalizzazione dello scontro c’è. E, di conseguenza, "c’è chi cerca un autunno violento", assicura Daniele Capezzone, portavoce del Pdl. Il capogruppo al Senato Maurizio Gasparri invita a non sottovalutare la gravità dei fatti e chiama in causa il Pd che non può "limitarsi alle postume parole di condanna". E ribadito con forza dal leghista Roberto Calderoli: "Ma è una festa quella del Pd o è un mattatoio?". Qualche dubbio sull’organizzazione comincia a serpeggiare anche in casa Pd. "Evidentemente qualcosa non funziona", ammette laconico Enrico Farinone. "Non possiamo essere un partito che ospita i fischi", aggiunge Marco Follini. Il punto è non fare alleanze con "simili soggetti e dire no a una festa che si trasforma in un’arena di tifoserie avverse", taglia corto Giuseppe Fioroni. Ma quando si tocca il lavoro è così: la polemica si fa subito incandescente. E viene subito in mente la litania dei troppi sindacalisti e giuslavoristi morti ammazzati: da Guido Rossa a Marco Biagi a Massimo D’Antona. O gambizzati, come Gino Giugni. E c’è un filo - meno sanguinoso, ma comunque violento - che lega le tre contestazioni alla festa torinese del Pd. Lo spiega ancora Sacconi: prima un ex presidente del Senato ed ex segretario Cisl (Franco Marini), poi il numero uno di Palazzo Madama in carica (Renato Schifani), infine l’attuale leader del sindacato di via Po. Lo stesso Marini, oggi senatore Pd, condanna l’accaduto e ricorda che "dalla crisi si può uscire solo con coraggiose proposte riformiste". Un altro esperto di lavoro del Pd, l’ex ministro Tiziano Treu, condanna l’operato di "quanti percorrono la strada della violenza". Manifestazioni di questo genere, dice un altro ex titolare di via Veneto, Cesare Damiano, "non possono essere considerate normali forme di espressione critica, perché si tratta di vere e proprie aggressioni preordinate". Condanne arrivano da tutte le opposizioni. Antonio Di Pietro, che ha velatamente appoggiato i contestatori di Schifani, distingue tra il diritto a farsi sentire e l’esercizio della violenza, comportamento che "non giova né alla democrazia, né alla buona causa di chi si oppone alla voce del padrone", sottolinea il leader dell’Idv. Occorre recuperare "la civiltà del dialogo", aggiunge Nichi Vendola (Sinistra e libertà). Infine, Lorenzo Cesa condanna il "comportamento tipico di certo estremismo violento già condannato dalla storia". Gianni Santamaria
9 settembre 2010 CORRUZIONE Francia, scandalo Bettencourt Perquisita la sede del Ump La "brigade financiere", una sorta di guardia di finanza francese, ha perquisito mercoledì i locali della sede dell'Ump, il partito del presidente Nicolas Sarkozy, a Parigi, nell'ambito dell'inchiesta sulle presunte tangenti dell'ereditiera L'Oreal, Lilian Bettencourt, ai politici. È la prima volta che la sede del partito del presidente viene perquisita. L'informazione, confermata da Xavier Bertrand, segretario generale del partito, è stata diffusa dalla rivista Paris Match. Secondo Paris-Match, in particolare la perquisizione è legata a uno dei tanti aspetti dello scandalo Bettencourt, la concessione della Legione d'onore a Patrice de Maistre, il gestore della fortuna della miliardaria. Gli inquirenti sospettano che l'onoreficienza possa essere il frutto di pressioni dell'attuale ministro del Lavoro Eric Woerth, più volte citato nell'inchiesta e presunto amico di de Maistre. "Gli inquirenti - scrive Paris Match - sono stati accolti mercoledì nel pomeriggio da Eric Cesari, direttore generale del partito di maggioranza, presente sul posto".
2010-09-08 8 settembre 2010 POLITICA E PROGRAMMI Bossi: dimissioni o possibile sfiducia Lega Il premier, Silvio Berlusconi, sarà presente in Aula a Montecitorio nell'ultima settimana di settembre. Lo ha annunciato il Pdl nel corso della conferenza dei capigruppo alla Camera. La presenza di Berlusconi è con ogni probabilità legata alla discussione sui cinque punti sui quali il governo intende avere la riconferma della fiducia per l'ultima parte della legislatura. Ma Umberto Bossi non ha dubbi: "La vera via d'uscita sono le elezioni. Solo Berlusconi decide: se vuole può fare un passo indietro e dimettersi per andare al voto". E la Lega potrebbe anche non votare la fiducia? "Certo - sottolinea il 'senatur' - se c'è una dimissione o un voto contrario si va al voto". Bossi è tornato poi a parlare della possibilità che il Paese venga retto da un governo tecnico e ha ribadito il suo no. "Perchè non voglio un governo tecnico? - chiede provocatoriamente - Ci sono già in giro dei cornuti. Siamo noi che abbiamo vinto le elezioni". Per quanto riguarda il futuro della maggioranza poi, il leader del Carroccio ha annunciato che fra tre o quattro giorni incontrerà, assieme a Silvio Berlusconi, il presidente Napolitano. Secca la replica del capo dello Stato: "Gli incontri li prevedo quando mi vengono richiesti: fino a questo momento non ho ricevuto nessuna richiesta di incontro". Il leader del Carroccio è tornato poi a parlare delle elezioni che, secondo le sue intenzioni, si svolgeranno "il prima possibile, anche se non dipende solo da me". Bossi ribadisce la posizione della Lega che vuole il voto e dice "no a qualsiasi governo tecnico", impossibile, dice "contro me e Berlusconi". "Non riescono a fare un governo tecnico contro me e Berlusconi, e i milioni di persone che sono con noi. Non hanno il coraggio di fare un governo tecnico contro il Paese". Secondo il senatur, poi, "sia la sinistra che Fini e i finiani hanno una paura enorme delle elezioni". Poche ore più tardi, la risposta di Berlusconi. "Serve senso di responsabilità: dobbiamo andare avanti per il bene del Paese". Lo ha detto il premier Silvio Berlusconi, secondo quanto riferito da alcuni presenti, nel corso dell'Ufficio di Presidenza del Pdl a Palazzo Grazioli. Il presidente del Consiglio ha sottolineato che bisogna continuare a lavorare per la stabilità del Paese. CICCHITTO: SFIDUCIA A FINI Nel corso della riunione il capogruppo Pdl, Fabrizio Cicchitto, ha attaccato Fini, sostenendo che la sovrapposizione di ruoli tra Futuro e libertà e presidenza della Camera, priva "Fini dei requisiti per una collocazione super partes". Secca la replica di Fini: "Ne prendo atto, ma non è una questione relativa a compiti e funzioni della capigruppo, per questo non considero necessario dare alcuna risposta in questa sede". Per il vicacapogruppo vicario Fli alla Camera, Benedetto Della Vedova: "Bossi sembrerebbe pronto a sacrificare il federalismo fiscale per una cinquantina di parlamentari in più". Sulla stessa lunghezza d'onda Davide Zoggia, responsabile enti locali del Pd: "La Lega vuole il voto per nascondere naufragio del federalismo. L'ansia di Bossi di andare alle urne nasce dalla paura del fallimento delle promesse fatte: sa benissimo che la riforma federale non sarà mai attuata dal governo Berlusconi e ha rinunciato a questo obiettivo tradendo le aspettative".
8 settembre 2010 LA REPLICA Fini: "Io, presidente fino a fine mandato" L'intervista è finita. Enrico Mentana saluta il presidente della Camera e Gianfranco Fini aggiunge sornione: "Per ora e per tutta la legislatura". Il colloquio finisce come è iniziato. Con un po’ di spirito in più in coda, quando - mentre gli addetti di studio tolgono i microfoni all’ospite - il conduttore del Tg delle 20 di La7 dice che molti vorrebbero vedere in altra sede quella scena: qualcuno che toglie la sedia al numero uno di Montecitorio. Nella sua prima intervista da luglio, quando è scoppiato il dissidio che ha portato al discorso di Mirabello, Fini è pacato e sicuro. Si dice "prontissimo" ad affrontare eventuali elezioni. Anche se non "a cuor leggero". E in quel caso, aveva detto poco prima il fedelissimo Adolfo Urso, Futuro e libertà andrà per conto suo, "lanciando la sfida all’interno del centrodestra". Regolamento alla mano, Fini spiega che non è possibile presentare mozioni di sfiducia nei suoi confronti, né si può dimostrare che sia venuto meno ai doveri istituzionali sanciti dall’articolo 8 (un altro conto sono i giudizi politici espressi in altre sedi). "Faccio una previsione: il presidente Berlusconi e il ministro Bossi non saliranno al Colle per chiedere la mie dimissioni, perché se lo facessero dimostrerebbero al mondo di essere degli analfabeti dal punto di vista della conoscenza del diritto costituzionale e del diritto parlamentare", attacca. Il "trasloco" ipotizzato da Bossi indica che la maggioranza concepisce la Camera come "dependance" del governo. Lanciato il guanto di sfida al Cavaliere e al senatùr, che appena l’altroieri hanno annunciato la salita al Colle per chiedere la sua testa, Fini negli oltre venti minuti di intervista fa una sorta di riassunto della performance di un’ora e mezzo alla festa di Mirabello. Nelle critiche alla "concezione proprietaria" del partito, da cui si considera espulso. Ma pure nell’offerta di continuare. Torna, quindi, a rilanciare il patto di legislatura. Dice no a elezioni immediate, che sarebbero "irresponsabili". E promette sostegno ai punti "sacrosanti" del programma. "I deputati di Futuro e libertà sono pronti a discutere con Forza Italia allargata, perché il Pdl non c’è più, e con la Lega come tradurre in concreto i punti del programma". Primo fra tutti il quoziente familiare, la diminuzione delle tasse alle famiglie monoreddito. Ma se ci fosse la crisi di governo? "La parola passa al Capo dello Stato, non ad altri". E la posizione di Fli al Quirinale?, incalza il giornalista. "Vogliamo che la legislatura vada avanti". Leggi: governo istituzionale. Con i "colonnelli" si è forse fatto "scappare la frizione", stuzzica Mentana prima di lanciare un po’ di amarcord con un servizio sui "ragazzi di via Milano", il gruppo di giornalisti del Secolo d’Italia in cui con Fini comparivano Gasparri (oggi capogruppo Pdl), Storace (leader de La Destra), Moffa (in Fli). Macché "avevo il freno a mano tirato", ironizza l’ex. Per poi ribadire che "il concetto di tradimento non appartiene al lessico della politica". Il tempo stringe, ma più che all’orologio si guarda al calendario. E alla cartina della Costa Azzurra. "Domani è l’8 settembre", provoca il direttore. Già ma "quella fu una tragedia, gli 8 settembre di oggi sono farse", cita Fini. E l’interlocutore non può fare a meno di notare che la frase è di Marx. Capita a fagiolo, perché il conduttore squaderna su uno schermo una prima pagina de "il Giornale" di un anno fa esatto, che chiedeva: "Dove vuole arrivare il compagno Fini?". Non è, però, la proprietà dei mezzi di produzione a entrare pian piano in scena, bensì quella dell’appartamento monegasco. La terza carica dello Stato sostiene di non avere nulla da nascondere, di non essere mai stato a Montecarlo, di non essere stato lui a informare il cognato dell’esistenza della casa, ma che questi si è proposto come mediatore nella vendita (prima di esserne inquilino) venendone a conoscenza nello Stato rivierasco. Infine, di avere fiducia nella magistratura. "Dopodiché chi per più di un mese ha denigrato, insinuato e calunniato, ne risponderà in tribunale". Gianni Santamaria
8 settembre 2010 IL MONITO DEL COLLE Napolitano: "Improprio tirarmi in ballo" Il Quirinale si tiene a debita distanza dalle fibrillazioni nella maggioranza, senza farsi coinvolgere in iniziative volte a ottenere le dimissioni di Gianfranco Fini dalla presidenza della Camera. Il comunicato dell’altra notte, dopo il vertice di Arcore, nel quale si annunciava che "Berlusconi e Bossi nei prossimi giorni chiederanno di incontrare il presidente della Repubblica per rappresentargli la grave situazione" non aveva turbato il sonno a Napolitano. Bastavano 12 ore, d’altronde, per confermare che non ce ne n’era motivo. Era il ministro degli Esteri Franco Frattini – da tempo legato da un ottimo rapporto istituzionale col Presidente –, ieri mattina, al Quirinale, a margine dell’incontro con la Presidente finlandese Tarja Halonen, a spiegargli che quel comunicato era stato male interpretato, anche per l’intento della Lega di accelerare verso il voto. Napolitano ha quindi ribadito a Frattini che "non c’è per ora nessun appiglio costituzionale, o di prassi, per poter intervenire", essendo peraltro in discussione non il comportamento di Fini a Montecitorio, ma le sue posizione politiche: "Ma io non intervengo, né ho strumenti per farlo, in quella che è e resta una dialettica interna alla maggioranza", ha spiegato il presidente. "Solo nel caso di una crisi che si aprisse in Parlamento sarei chiamato valutare la nuova situazione. Prima non ha senso parlare di elezioni". E anche Gianni Letta si è adoperato, al telefono, per smorzare sul nascere possibili incidenti col Quirinale. D’altronde su Fini Napolitano si era già espresso qualche settimana fa ricordando che "nessun contrasto politico deve investire impropriamente la vita delle istituzioni", auspicando anche che "cessi una campagna gravemente destabilizzante volta a delegittimare il presidente di un ramo del Parlamento". A Frattini non restava che andare a Palazzo Grazioli a riferire a Berlusconi. Per il resto una giornata tutto sommato "ordinaria", per Napolitano, scandita da interventi a sostegno dell’Anm e dell’impegno dei magistrati contro la ’ndrangheta e in aiuto di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna condannata a morte per lapidazione in Iran. E conclusa dal ricevimento serale con la delegazione finlandese. Nessuna "unità di crisi" allertata, insomma, e anche la precisazione della mattinata ("Nessuna richiesta di incontro è arrivata") apparsa come una replica piccata del Quirinale al documento di Arcore, in realtà era solo una garbata precisazione del portavoce Pasquale Cascella, di fronte alle domande, a quell’ora insistenti, sull’evolversi della situazione. Non è tutto a posto, naturalmente. Berlusconi continua a sperare che la moral suasion del Quirinale possa contribuire a rimuovere quella che, con Fini che resta a presidente della Camera, resta per lui un’anomalia. Ma sa bene che, non da oggi, per Napolitano l’anomalia vera è la mancata nomina dopo 4 mesi di un ministro impegnato a tempo pieno nella lotta alla crisi. E non è un mistero anche che la nomina che si andava profilando con la promozione a ministro di Paolo Romani non fosse molto gradita al Colle, per la sua provenienza dal mondo delle Comunicazioni e i rischi conseguenti di conflitti d’interesse. E dunque anche il rinvio della nomina, con la crescita nel frattempo di nomi alternativi (la bolognese Anna Maria Bernini e soprattutto il sottosegretario all’Economia Luigi Casero, che sembra ora favorito) può essere letta come un ulteriore tassello della situazione meno tesa fra Palazzo Chigi e Quirinale. Ed allora forse aveva visto giusto un uomo delle istituzioni come Nicola Mancino che di primo pomeriggio, al Pantheon, faceva le sue riflessioni: "Il Capo dello Stato? Forse sarebbe stato più giusto chiedere una visita, senza farglielo sapere dai giornali". E da ex ne aveva anche per il ministro dell’Interno Maroni: "Sollecitare le elezioni dal Viminale, non è, quella sì, una mancanza di stile istituzionale?". Angelo Picariello
8 settembre 2010 SCONTRO Fumogeni e fischi, Bonanni contestato a Torino Dopo le contestazioni al presidente del Senato Renato Schifani oggi è la volta del segretario della Cisl Raffaele Bonanni ad essere contestato alla festa del Pd in piazza Castello a Torino. Alcuni dei contestatori sono saliti sul palco e sono stati lanciati anche alcuni fumogeni. Bonanni, invitato ad un dibattito, è stato contestato con fischi e urla da un folto gruppo di persone, tra cui pare, alcuni esponenti dei centri sociali. Raffaele Bonanni, è stato raggiunto sul palco della festa nazionale del Pd da un fumogeno lanciato da alcuni contestatori. Il fumogeno ha colpito di striscio Bonanni danneggiandogli il giubbotto, senza procurargli ferite. Immediatamente il sindacalista è stato allontanato dal palco. Un coro di "vergogna vergogna" e una pioggia di facsimile di banconote da 50 euro sul palco hanno accolto l'arrivo di Bonanni alla Festa nazionale del Pd a Torino, dove Raffaele Bonanni avrebbe dovuto partecipare ad un dibattito con Enrico Letta. Bonanni è stato contestato appena è apparso sul palco con una salve di fischi e non ha potuto cominciare il suo intervento. Il momento più alto della tensione quando sul palco sono stati lanciati anche alcuni fumogeni: è stato a quel momento che alcuni esponenti sindacali che erano con il leader della Cisl lo hanno protetto e accompagnato lontano dal palco. I facsimile da 50 euro recavano la scritta "Il denaro è un buon servo e un cattivo padrone". I contestatori del segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni alla Festa del Pd di Torino, hanno esposto uno striscione che diceva: 'Marchionne comanda, Bonanni obbedisce". Uno dei contestatori ha detto che il gruppo che ha fischiato Bonanni era composto da operai "anche di Mirafiori", da precari e da studenti. Ma secondo le forze dell'ordine si tratterebbe di esponenti dell'area antagonista. La polizia è intervenuta ma non ci sono stati tafferugli. SACCONI: ATTO GRAVISSIMO "L'aggressione verbale e fisica nei confronti del segretario generale della Cisl costituisce un atto gravissimo non solo in sè, ma anche perchè può rappresentare il ritorno di una stagione di violenza politica nel Paese che ha conosciuto ben quarant'anni di ricorrente terrorismo ideologizzato". È il commento del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Maurizio Sacconi. "Gli stessi omicidi sono stati sempre preceduti dalla pubblica individuazione di un obiettivo, con preferenza per i riformisti in quanto mediatori capaci di prevenire e risolvere il conflitto - aggiunge il ministro -. Si interroghi peraltro il Partito democratico, nella cui festa si sono verificati ricorrenti episodi di intolleranza nei confronti di molti altri ospiti, tra i quali la seconda carica dello Stato e il suo predecessore Franco Marini, già Segretario della Cisl. Rifletta, in particolare, sulla sua scelta di non riconoscere alcun avversario a sinistra nonostante il radicalismo intollerabile di molti esponenti". A Bonanni, conclude, "do tutta la solidarietà del Governo e l'impegno a contrastare con la massima determinazione ogni forma di violenza politica, perchè c'è un filo rosso che inesorabilmente conduce, se non spezzato, alle espressioni più gravi che abbiamo già conosciuto".
8 settembre 2010 METALMECCANICI Federmeccanica disdetta il contratto dal 2012 Federmeccanica raccoglie l’appello di Sergio Marchionne e dà il benservito al contratto nazionale del 2008, l’ultimo firmato anche della Fiom Cgil e che scade tra poco più di un anno, nel gennaio 2012. Il direttivo degli imprenditori meccanici, che apre anche a regole su misura per il comparto dell’auto, ha comunicato ieri pomeriggio la disdetta dell’accordo "in via meramente cautelativa e alla scopo di garantire la migliore tutela delle aziende", precisa l’associazione, "a fronte delle minacciate azioni giudiziarie della Fiom". La mossa del vertice dell’industria metalmeccanica, duramente contestata ieri dalla stessa Fiom che parla di decisione "grave e irresponsabile", era attesa. Dopo che le tute blu Cgil hanno bocciato l’accordo siglato dagli altri sindacati a Pomigliano, e dopo che la stessa Fiat ha chiesto nuove regole in tempi brevi che permettano di "blindare" l’intesa raggiunta in Campania, la disdetta del vecchio accordo è diventata un passaggio obbligato e allo stesso tempo simbolico. Da un lato dovrebbe tagliare le unghie a chi volesse, vedi appunto la Fiom, ricorrere alla magistratura per contestare le deroghe al contratto nazionale contenute nelle intese locali. Dall’altro rende esplicito e definitivo il cambio di stagione inaugurato con la firma del nuovo modello contrattuale nel 2009. Sulla base di quell’intesa interconfederale, che non è stata firmata dalla Cgil, alla fine dello scorso anno Fim, Uilm hanno siglato (senza la Fiom) un nuovo contratto con Federmeccanica che prevede la possibilità di derogare, in casi particolari, alle regole nazionali. In sostanza oggi sono due i contratti formalmente vigenti: il primo è quello unitario disdettato ieri da Federmeccanica, il secondo quello "separato" che scade a fine del 2012 e già prevede l’istituto della deroga. Per questo ieri Fim e Uil hanno minimizzato e giudicato con un certo fastidio la mossa degli industriali, che rischia a loro avviso di dare maggiore visibilità alle posizioni dei metalmeccanici Cgil. Secondo il segretario della Fim Cisl Giuseppe Farina si tratta di un "fatto scontato e irrilevante" senza nessuna ricaduta sui lavoratori, in quanto il contratto 2008 "è già stato superato e migliorato da quello del 2009". Per la Uilm la decisione è "ininfluente". Posizione simile a quella del ministro del Lavoro Maurizio Sacconi che auspicando "l’ulteriore evoluzione delle relazioni industriali" anche in casa della Cgil, sottolinea che la disdetta "non ha alcuna valenza sostanziale per i lavoratori". All’opposto il segretario della Fiom, Maurizio Landini, definisce la decisione "uno strappo alle regole democratiche, in quanto si pensa di concordare con sindacati minoritari la cancellazione del contratto 2008, firmato da tutti e approvato con referendum". Mentre l’intesa del 2009, accusa, "non è mai stata sottoposta a verifica democratica". La federazione Cgil annuncia una mobilitazione: verrà decisa oggi dal comitato centrale. Federmeccanica chiede poi ai sindacati un tavolo di confronto per "definire norme specifiche per il comparto auto", scelta che può servire a Fiat per allargare a tutta la "Fabbrica Italia" intese simili a quella di Pomigliano. Ma il presidente Pier Luigi Ceccardi precisa che la svolta decisa ieri dagli imprenditori "è arrivata per rispondere alle esigenze delle industrie metalmeccaniche" e non sulla spinta della Fiat. "Essere più competitivi riguarda tutte le oltre 12mila imprese associate", ha aggiunto respingendo l’accusa di un’associazione "orientata" dal Lingotto. Il 15 settembre è previsto il primo incontro sul tema delle deroghe con i sindacati che hanno firmato l’ultimo contratto, dunque senza Fiom. Dagli imprenditori arriva tuttavia l’auspicio a una maggiore unità sindacale e la richiesta urgente di una "regolamentazione condivisa del sistema di rappresentanza" alla quale partecipi anche la Cgil. Secondo Ceccardi vanno "cambiate le relazioni sindacali, le aziende non sono governabili se cinque persone che scioperano fanno chiudere uno stabilimento di 500. Questa non è democrazia ma prevaricazione". Nicola Pini
2010-09-07 7 settembre 2010 LO STRAPPO Berlusconi e Bossi insistono: "Fini deve dimettersi" Berlusconi e Bossi insistono per le dimissioni di Fini dalla presidenza della Camera, ma per il momento - a quanto si apprende da ambienti del Quirinale - nessuna richiesta di un incontro da parte di rappresentanti dell'esecutivo è stata inviata al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Il presidente del Consiglio e il 'senatur' in una nota congiunta hanno giudicato "inaccettabili" i contenuti dell'intervento di Fini a Mirabello: "Le sue parole sono la chiara dimostrazione che svolge un ruolo di parte ostile alle forze di maggioranza e al governo, del tutto incompatibile con il ruolo super partes di presidente della Camera". Il leader del Carroccio ribadisce che bisognerebbe andare alle urne, "perchè stare nel pantano non si sta bene". Daniele Capezzone, portavoce Pdl, osserva: "Spero che nessuno sottovaluti la gravità - direi storica - di quel che sta accadendo. Mai nessuno aveva tentato di usare la terza carica dello Stato come uno sgabello da cui tenere comizi 'contro', come una leva attraverso la quale cercare di scardinare l'assetto politico scelto dagli elettori. È quello che sta facendo Gianfranco Fini". Duro il commento del capogruppo di Futuro e libertà alla Camera, Italo Bocchino: "La decisione di chiedere formalmente le dimissioni del presidente della Camera è politicamente inaccettabile e grave sotto il profilo istituzionale, violando il principio costituzionale della separazione tra poteri. La richiesta di Berlusconi e Bossi è strumentale, irrituale e irricevibile ed è gravissima sotto il profilo istituzionale, considerato che la terzietà riguarda il ruolo e non la personalità politica, riguarda la conduzione del ramo parlamentare presieduto e non la libera espressione dei propri convincimenti politici". Dall'opposizione il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, dice: "Bossi e Berlusconi non hanno a disposizione le istituzioni. Questo, se ritengono di essere dentro un quadro costituzionale, quando invece ci sarà la costituzione di Arcore potremo ragionare diversamente". Il presidente Idv, Antonio Di Pietro, sottolinea: "Vogliamo che Silvio Berlusconi salga al Colle per rassegnare il proprio mandato e andare a votare al più presto, perchè il Paese si deve liberare non del presidente della Camera, ma del presidente del Consiglio". Il segretario Udc, Lorenzo Cesa, commenta: "Constatiamo con grande preoccupazione che questo non è più il governo Berlusconi, ma il governo Bossi a cui aderisce Berlusconi". Il leader radicale, Marco Pannella, chiede che Napolitano si esprima con un messaggio alle Camere.
LA PROPOSTA DI PISANU Silvio Berlusconi "guidi un governo di solidarietà nazionale". Questa l'opinione di Beppe Pisanu, come. Il presidente dell'Antimafia sta svolgendo un ruolo di pontiere nella convulsa fase politica che attraversano maggioranza e governo e lancia un appello al premier, "per il bene del Paese" e davanti a "una crisi economica devastante", perchè promuova un esecutivo di solidarietà nazionale allargato a tutte le forze politiche che ci vogliono stare. Pisanu è certo che il Pd non si tirerebbe indietro. Altrimenti restrerebbe la via del voto anticipato "deleterio e una vera sciagura per il Paese".
7 settembre 2010 ORRORE A POLLICA Sindaco ucciso, l'inchiesta passa alla Dda di Salerno A 24 ore dalla brutale esecuzione del sindaco di Pollica (Salerno), Angelo Vassallo, prosegue il lavoro degli inquirenti impegnati ieri fino a tarda sera nell'esame dei riscontri dal luogo del delitto e delle carte sequestrate negli uffici della vittima. Oggi dovrebbero essere ascoltati alcuni amici e parenti cui il sindaco, riconosciuto come un paladino della legalità, avrebbe confidato di recente le sue preoccupazioni. Il fratello di Angelo, Claudio Vassallo, ha detto in una intervista che la vittima "due, tre giorni prima di essere ammazzato mi aveva detto che esponenti delle forze dell'ordine erano in combutta con personaggi poco raccomandabili. Ci sono delle lettere scritte – ha aggiunto il fratello – sia al comando provinciale che a quello generale di Roma senza nessuna risposta. Lo hanno lasciato solo e abbandonato". Intanto il paese si mobilita. Stasera fiaccolata ad Acciaroli. Sarà effettuata, come disposto dal gip del tribunale di Vallo della Lucania (Salerno), domani mattina, nell'obitorio dell'ospedale del centro cilentano l'autopsia sul cadavere di Angelo Vassallo. Il medico legale incaricato, il dottor Maiese, dovrà accertare quanti proiettili esplosi da una pistola calibro 9x21 hanno raggiunto la vittima. A quanto si è appreso già domani sera la salma dovrebbe essere restituita ai familiari. A questo punto si dovrà decidere il giorno dei funerali che potrebbero essere celebrati già giovedì prossimo. L'inchiesta, intanto, passa alla Dda di Salerno. "Ci sono elementi che suggeriscono un coinvolgimento della Dda. È stata una decisione congiunta", è quanto ha dichiarato il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Vallo della Lucania, Giancarlo Grippo, alla sua uscita dal Palazzo di giustizia di Salerno, dove si è tenuto un vertice tra investigatori e magistrati inquirenti. LA CRONACA Puzza di Casalesi. Troppa violenza e troppi colpi, nove, per bruciare la vita di Angelo Vassallo, sindaco di Pollica, e presidente dei sindaci della comunità del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, inchiodato per sempre al sedile della sua auto domenica sera, a duecento metri da casa. Qualcuno sussurra che hanno ucciso una speranza per la Campania: "Sindaco, tutto il paese è morto con te – si legge sui manifestini con cui sono stati tappezzati muri e negozi –. Ma il segno che hai lasciato continuerà a vivere nel nostro cuore". L’ha trovato il fratello, dopo che la moglie l’aveva chiamato perché il marito non rientrava. Neppure l’avevano fatto scendere dall’auto. Massacrato al posto di guida con la pioggia di proiettili d’una calibro nove esplosi a bruciapelo, la testa riversa sulla destra e tanto sangue come ce ne fosse stata una fontana. Adesso c’è un mazzo di fiori lasciato da qualcuno. "Troppi colpi esplosi – ha detto il Procuratore della repubblica di Vallo della Lucania, Alfredo Greco – e troppi per un territorio dove non si è mai registrata una mentalità violenta". E c’è puzza di Casalesi perché Vassallo viene raccontato come uno tosto, ecologista convinto e convinto sindaco antidroga. Capace di prendere a schiaffi personalmente i ragazzini che vedeva trafficare con la roba (dicendo loro "qui non si spaccia"). Capace, con la sua giunta, di non rilasciare concessioni edilizie da anni e di far demolire un bagno abusivo sulla spiaggia. Ma questa zona è un gioiellino famoso dappertutto per il suo mare, l’accoglienza e la pulizia (cinque "Vele blu" da Legambiente e mezzo mondo che viene qui a villeggiare o in barca). Sei frazioni in tutto per duemilacinquecento residenti, che d’estate diventano a ventimila persone pur senza grandi strutture ricettive. Un pezzettino di paradiso ancora tutto da costruire, cementificare, sfruttare e dove magari riciclare anche un bel po’. Un bel bocconcino per i boss di Casal di Principe, specie le nuove leve, i più giovani: quelli che davanti alle mattanze non arricciano certo il naso, anzi. Quelli dei quali da qualche anno qui si cominciano a intravedere le ombre e non soltanto. Tuttavia è troppo presto per chiudere il cerchio: "Le modalità dell’agguato ci fanno dire che c’è un cinquanta per cento di possibilità che sia di stampo camorristico, ma in questa fase non escludiamo nessuna pista", ha ragionevolmente detto ancora il Procuratore Greco. Al quale Vassallo negli ultimi mesi aveva confidato alcune preoccupazioni… "Mi chiedeva consigli – glissa il magistrato – ma non mi ha rivelato nulla di particolare. Lasciateci lavorare, non sarebbe serio ora dire di più". Eppure la tranquillità di questo sindaco forse non era più la stessa: secondo Carla Ripoli, ex-vicesindaco di Pollica e adesso assessore, "negli ultimi mesi era preoccupato. S’era incupito, non era più lo stesso, come se qualcosa lo tormentasse". Un altro magistrato è molto amico di Vassallo e frequenta questa da zona da mezzo secolo: Raffaele Marino, molti anni da pm anticamorra a Napoli e oggi Procuratore aggiunto a Torre Annunziata. Nelle sue parole può esserci la chiave di lettura di questa esecuzione: "In Cilento è in atto, grazie alle speculazioni, una trasformazione urbanistica e sociale. La situazione ideale per i clan della camorra, con i quali forse Vassallo si è scontrato. C’è in vista un importante appalto per il porto, chissà che non si tratti di quello. Ma i boss sono interessati anche alla costruzione di nuovi alberghi". Questo delitto, insomma, potrebbe essere stato deciso lontano da qui. Però gli investigatori si muovono a tutto campo e stanno esaminando i documenti e il computer del sindaco, la sua vita privata o gli atti amministrativi del Comune. Stamane probabilmente dovrebbe esserci l’autopsia sul corpo di Angelo Vassallo e, se arriverà il via libera dalla Procura, giovedì i funerali. In piazza, al porto e nelle stradine intanto è come se il paese avesse preso uno schiaffo in pieno volto, come fosse tramortito. Negozi chiusi per lutto, un mazzo di fiori su una panchina e quei manifestini. "Fino a venti anni fa, vivevamo di stenti, con quel poco che la pesca ci offriva – racconta un ex-pescatore, oggi imprenditore –. Oggi siamo gli abitanti felici di un luogo molto simile al paradiso terrestre. Grazie a lui, era un grand’uomo". E gli ultimi bagliori d’estate affogano nell’odore della morte. Pino Ciociola
7 settembre 2010 LA DENUNCIA Così il Cilento è entrato nelle mire dei clan Il Cilento per anni ha fatto e continua a fare gola alla camorra. Gli appetiti della malavita organizzata erano diventati tangibili, soprattutto con le costruzioni abusive. Il simbolo di questi tentativi mai sopiti resta il Castelsandra, l’hotel del clan camorristico Nuvoletta, aggrappato su in alto alla frazione di San Marco di Castellabate che, dopo anni di aspre polemiche tra suoi fautori e oppositori, resta ancora intatto. Il Comune di Castellabate ha anche pubblicato il bando di gara per la sua demolizione, per un importo di 418.776,25 euro. La ditta che si aggiudicherà i lavori, che dovranno essere ultimati entro 150 giorni dalla consegna, dovrà demolire la parte abusiva, e provvedere al rimboschimento dell’area. La parte abusiva verrà demolita, e l’area recuperata architettonicamente. Resterà da vedere, però, cosa rimarrà dei cinque piani che contengono ben 125 camere, una discoteca (famosa negli anni ’80), due piscine, quattro campi da tennis, spogliatoi e terrazzamenti. Oltre ad amministratori locali e forze dell’ordine, sentinelle anticamorra sono state anche le associazioni ambientaliste. Il presidente di Legambiente Campania, Michele Buonomo, per esempio, ricorda che da tempo erano state denunciate infiltrazioni criminali nel territorio cilentano. "Con il sindaco Vassallo – afferma – abbiamo lavorato per oltre un decennio e ogni anno abbiamo premiato il suo impegno con le cinque vele, il massimo riconoscimento di Legambiente alle località che si distinguono per tutela dell’ambiente e l’offerta turistica di qualità. Il suo costante e attento lavoro ha reso nel tempo la piccola realtà di Pollica un gioiello di buona amministrazione e un caso esemplare riconosciuto e apprezzato da cittadini e turisti. Con Vassallo abbiamo condiviso le tante iniziative virtuose, le buone pratiche del suo Comune e battaglie come quella per il Parco del Cilento e contro gli abusi edilizi. Ci mancherà la sua serena determinazione e la sua voglia di lavorare per un Cilento più pulito e più civile". E proprio Amilcare Troiano, presidente dell’Ente Parco "auspica che la magistratura e le forze dell’ordine individuino, il più presto possibile, i criminali assassini che hanno stroncato la vita di un uomo che ha dedicato la sua esistenza al bene e alla tutela del nostro territorio". Più prudente sulla "pista camorristica" sembra essere il presidente della Provincia di Salerno, Edmondo Cirielli, tenente colonnello dei carabinieri in aspettativa: "Bisogna aspettare l’esito delle indagini. L’agguato è abbastanza anomalo. La camorra non è più quella degli anni ’80 e ’90. Ci sono altre zone più appetibili, come l’Agro nocerino sarnese e la Piana del Sele. È vero che il Cilento è diventato più accessibile, ma ci possono essere esponenti della criminalità organizzata e non veri e propri clan". Maurizio Carucci
7 settembre 2010 IN PRIMA LINEA Quei primi cittadini paladini di legalità Sindaci della legalità nel mirino delle mafie. Sindaci che amano e difendono la loro terra. Spesso da soli. E come tali a rischio. Proprio come Angelo Vassallo. "È un risultato che ci rende orgogliosi. Spesso si parla della Campania in maniera non lusinghiera. Noi siamo l’esempio vivente che l’impegno, l’organizzazione e le idee possono rendere questa regione la più bella d’Italia. Oggi siamo un modello per tanti comuni italiani che ci guardano con rispetto e ammirazione". Era giustamente contento e orgoglioso lo scorso 11 giugno. Il suo paese Pollica, gioiello del Cilento, dopo dodici anni di top ten era stato riconosciuto da Legambiente come il miglior comune marino d’Italia. Acque pulite e servizi efficienti. Difesa dell’ambiente e della propria storia. Lotta per la legalità e idee innovative. "Venga a vedere se davvero meritiamo questo riconoscimento", ci aveva detto. Invitandoci, lui "sindaco-pescatore", ad assaggiare le alici che aveva portato per festeggiare il premio. Buone davvero. Come, a detta di tanti, era la sua amministrazione. Dalla raccolta differenziata dei rifiuti (al 71%), alle iniziative contro l’evasione fiscale, dai sequestri e abbattimenti degli abusi edilizi (anche noti ristoranti e alberghi) all’accessibilità delle spiagge ai disabili, dai defibrillatori in ogni lido alla promozione assieme a Slow food dei prodotti tipici (quelle deliziose alici che ci invitava ad assaggiare...). Si può morire per tutto questo? Evidentemente si può morire di buona amministrazione. Di amore per la propria terra. Da soli, di notte, secondo il più classico stile camorrista. Forse troppo soli, se, come sembra, lo stesso Vassallo aveva espresso in queste settimane le sue preoccupazioni. In realtà il sindaco-pescatore non è l’unico caso positivo nel nostro tanto bistratto Sud. Sono diversi i primi cittadini dei comuni "ricicloni" che anche nella Campania della perenne emergenza riescono ad avere le strade pulite e che proprio nella provincia di Salerno raggiungono livelli da regioni del Nord. Sindaci che non guardando in faccia a nessuno, in Calabria come in Sicilia e in Campania, ordinano e eseguono gli abbattimenti delle case abusive. Senza colore politico, anzi di tutti i colori politici. Perché la buona amministrazione, la lotta alla criminalità e al malaffare, soprattutto nelle zone più difficili, davvero non ha colore. Sindaci-sceriffo, sono spesso chiamati. Piuttosto sindaci della legalità. Alcune volte criticati per eccessi di protagonismo (anche Vassallo, quando fece approvare multe salatissime per chi lasciava le cicche per terra), molto più spesso isolati. Quasi trent’anni fa, l’11 dicembre 1980, proprio in provincia di Salerno, veniva ucciso con decine di colpi di lupara Marcello Torre, sindaco democristiano di Pagani, che si era opposto apertamente alle infiltrazioni camorristiche nella ricostruzione. A decidere la sua morte fu la camorra di serie A, quella di Raffaele Cutolo. Stessa sorte di Vassallo? Nell’ultima Relazione della Procura nazionale antimafia si legge, a proposito del Cilento, che "deve ancora ritenersi che quel contesto tradizionalmente "silente" possa - così come è avvenuto nel passato - agevolare una politica di reimpiego di significativi proventi finanziari (vieppiù derivanti dal commercio delle droghe e dai grandi altri mercati criminali controllati dalla camorra) soprattutto nel campo dell’industria turistica". Ci sarebbero importanti e delicate inchieste in corso. Affari nel silenzio, grazie a complicità locali. Contro questo combatteva il sindaco di Pollica. Per questo lo hanno ucciso? Lo dovranno scoprire al più presto le indagini della magistratura. Soprattutto per dare coraggio agli altri sindaci della legalità, e ai cittadini del Sud che li sostengono. Ripiombare nella paura sarebbe il migliore regalo alle mafie. Antonio Maria Mira
7 settembre 2010 IRAN Napolitano: la condanna di Sakineh "atto lesivo dei principi di libertà" La condanna a morte per lapidazione di Mohammadi-Ashtiani Sakineh è "un atto altamente lesivo dei principi libertà e difesa della vita", ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano rispondendo a una domanda dei giornalisti, al Quirinale, dopo il colloquio con la presidente finlandese Tarja Halonen. L'Italia, ha aggiunto, è impegnata in modo "molto netto e non solo con posizioni di principio" per evitare che si giunga a eseguire la condanna. Napolitano ha aggiunto che il ministro degli Esteri, Franco Frattini, (presente all'incontro del Capo dello Stato con i giornalisti) ieri gli ha riferito di aver avuto assicurazioni dall'Iran che nessuna decisione è stata ancora presa. "C'è l'impegno forte del governo, delle istituzioni, c'è un'iniziativa dell'opinione pubblica che continua a essere intensa" per salvare la vita di questa donna iraniana, ha concluso Napolitano. La Halonen ha dato atto all'Italia di essere "molto attiva in questa campagna in modo esemplare" e ha espresso la sua forte preoccupazione per la sorte di Sakineh. "Seguiamo - ha concluso - gli sviluppi in Iran, un Paese stupendo con una storia fantastica. Peccato che con questi atti si esclude dalla Comunità internazionale".
7 settembre 2010 BRUXELLES Ue, Barroso: entro l'autunno tasse su attività finanziarie La Commissione europea presenterà proposte concrete per tassare le attività finanziarie entro l'autunno: lo ha detto il presidente dell'esecutivo europeo, Josè Manuel Barroso, durante il suo primo discorso sullo stato dell'Unione. "Difendo" l'idea di tassare le attività finanziarie, ha specificato Barroso davanti agli eurodeputati parlando del dopo crisì e aggiungendo: "Proporremo anche di bandire le vendite allo scoperto". Per Barroso quanto si sta facendo farà sì che l'Unione monetaria sia "accompagnata da una vera unione economica". "La crescita economica sarà quest'anno superiore alle previsioni iniziali - ha detto ancora il presidente della Commissione - ma incertezze e rischi restano e il lavoro da fare non è finito". In Europa non c'è posto per il razzismo e la xenofobia. Ha aggiunto il presidente della Commissione europea. "Su questioni così delicate - ha poi aggiunto Barroso accompagnato dagli applausi degli europarlamentari - tutti dobbiamo agire con sensibilità e non risvegliare i fantasmi del passato". "Esorto i leader ad agire compatti", ha affermato Barroso a conclusione del suo discorso davanti alla sessione plenaria dell'Europarlamento. "L'Europa - ha aggiunto Barroso rivolto ai capi di governo nazionali - ha bisogno del vostro impegno". Nei circa 40 minuti del suo discorso Barroso ha parlato di obiettivi economici e politici, della necessità di "difendere l'area di libertà, sicurezza e giustizia" e della necessità di una "politica estera e di difesa comune".
7 settembre 2010 GROSSETO La salma del maestro Manzi "sfrattata" dal cimitero Ha insegnato a leggere e a scrivere a milioni di italiani che non avevano avuto l’opportunità di frequentare la scuola, ma per lui non sembra esserci più posto nel cimitero di Pitigliano, cittadina in provincia di Grosseto con poco più di 4mila abitanti. Un’ordinanza del sindaco Dino Seccarecci, prevede infatti che il 13 settembre la salma di Alberto Manzi, il "maestro" del programma televisivo di culto degli anni ’60 "Non è mai troppo tardi", sia esumata dalla tomba di famiglia e trasferita in un loculo. Stessa sorte per altri tredici defunti. "Sono indignata", dichiara la vedova del maestro Manzi, Sonia Boni, che spiega le proprie ragioni nella lettera pubblicata a lato. "Senza nemmeno avvisarmi – prosegue – l’amministrazione "sfratta" mio marito dal cimitero, dimostrando assoluta mancanza di sensibilità e di rispetto per la memoria di un uomo che, anche da sindaco, ha sempre cercato di fare il bene di Pitigliano e della sua gente. La cosa mi fa male ma non mi stupisce di certo, visto che, in tredici anni dalla sua morte, il Comune non ha mai fatto nulla per onorarlo. Mi sarebbe bastato che, almeno nel giorno dell’anniversario della scomparsa, i bambini delle scuole portassero un fiore sulla sua tomba. E, invece, niente. Adesso, quest’ultimo affronto mi fa seriamente pensare di portarlo via da Pitigliano. Anzi, me lo fanno portare via". La signora Sonia vorrebbe che la propria indignazione fosse fatta propria dai tanti che hanno conosciuto il marito, anche soltanto attraverso lo schermo televisivo. Intanto, tra le tante iniziative che riguardano la figura del maestro Manzi, c’è anche una fiction televisiva in due puntate, che dovrebbe andare in onda su Rai Uno in prima serata. Il titolo provvisorio è, appunto, "Non è mai troppo tardi" e il film, prodotto dalla BiBi Tv srl di Angelo Barbagallo, è in preparazione sotto la regia di Giacomo Campiotti. Oltre a raccontare la parentesi televisiva di Manzi, il film si sofferma anche sulla sua lunga esperienza di insegnante presso il carcere minorile San Michele di Roma. E chissà che non sia aggiunta una postilla su questo spiacevole episodio del trasferimento della salma. Un fatto che, però, il sindaco di Pitigliano racconta in altro modo. "Ho soltanto applicato la legge – dice Seccarecci – che impone di sistemare nei loculi i defunti da oltre dieci anni. Detto questo, aggiungo che nessuno, il 13 settembre, andrà a riesumare il maestro Manzi, né alcuno degli altri tredici defunti inseriti nella stessa ordinanza. Come sindaco non potevo comportarmi diversamente e, avendone conosciuto bene la modestia, non credo che il maestro avrebbe apprezzato un trattamento di favore nei suoi confronti". Il sindaco aggiunge che, nei prossimi giorni, si metterà in contatto con la signora Boni per "decidere insieme quale sistemazione più idonea dare a questo grandissimo personaggio". A Pitigliano c’è già un parco pubblico intitolato al maestro Manzi, ma adesso il sindaco sta pensando anche a un monumento. Ipotesi che, però, almeno per il momento, non sembra incontrare il favore della famiglia. La vedova, infatti, pare più che mai decisa a troncare il rapporto con Pitigliano. "Su questo non so nulla ma mi auguro che non si arrivi a tanto – conclude Seccarecci –. In ogni caso, io sono tranquillo e sereno e, ripeto, nei prossimi giorni contatterò la famiglia per cercare, insieme, la soluzione più idonea, rispettosa della legge e della memoria di questo grande personaggio". Paolo Ferrario
7 settembre 2010 PERUGIA L'oasi di San Francesco? "Un parco fotovoltaico" Se l’anno prossimo ripassasse "tra Cannaio e Bevagno", per stare al racconto dei Fioretti, San Francesco rischierebbe di non vedere più "alquanti arbori" né una "quasi infinita moltitudine di uccelli", ma una distesa di silicio amorfo monocristallino. Tre ettari di pannelli solari: tanti la Sun Project di Perugia intende installarne a Piandarca, sui prati in cui il Santo tenne la celebre predica a colombe, cornacchie e monachine. Di quell’episodio restano un’edicola e una pietra commemorativa, ma nessuno ha mai pensato di porre un vincolo che difendesse la memoria storica della "predica agli uccelli" e il sentimento religioso di migliaia di pellegrini che ogni anno fanno tappa in questi luoghi carichi di spiritualità e di cultura. Tra questi devoti, per mala sorte degli imprenditori, c’è anche il presidente della Provincia di Perugia, Marco Vinicio Guasticchi, che di autorizzare il progetto non ne vuole proprio sapere. Ieri, anzi, ha chiesto al Soprintendente ai beni architettonici e al paesaggio umbro di porre un vincolo su tutti i luoghi francescani. La risposta è attesa prima del 14 settembre, quando la Conferenza dei servizi (presieduta da Guasticchi) dovrà decidere se autorizzare o meno il progetto. "Il rispetto della tradizione religiosa è tutt’uno con il rispetto del territorio, la memoria francescana fa parte delle nostre radici e non la si vende", taglia corto il presidente perugino, ben consapevole di avere dalla sua parte tutta l’Umbria che vede in Francesco di Assisi, con il suo messaggio di pace e amore per il Creato, un Santo "trasversale" e un testimone delle radici storiche e culturali di questa terra. La trasversalità del patrono d’Italia imbarazza il Pd perugino. Il sindaco di Cannara, il comune nei cui confini si trova il terreno francescano, sostiene da tempo il progetto e con Guasticchi è guerra aperta. Ex popolare lui ed ex diessina lei, vicino a Fioroni il primo e bersaniana di ferro la seconda, devoto a San Francesco il presidente che ha introdotto il presepe nel Natale della Provincia e tiene un crocifisso di San Damiano sulla scrivania, conquistata – la sindachessa – dal sol dell’avvenire (che nel caso specifico sembra più redditizio che ecologico). Anche a non voler considerare che l’intervento snaturerebbe il paesaggio francescano e turberebbe il raccoglimento dei pellegrini, è chiaro infatti che 4.312 pannelli – tanti ne vorrebbe installare la società – avranno un impatto devastante su questo territorio. Basta alzare lo sguardo, Assisi è lassù, oltre i campi di grano: per i turisti che affollano la basilica sarà un pugno nell’occhio, non ci sarà mai siepe abbastanza alta per dissimulare una valle di specchi, fanno notare in Provincia. Le autorità religiose hanno già fatto sentire la loro voce: monsignor Domenico Sorrentino, ha chiesto al sindaco "una ulteriore riflessione circa la collocazione dell’impianto". Il vescovo di Assisi, Nocera Umbra e Gualdo Tadino chiede un ripensamento al sindaco e insieme a quella del presule sul tavolo della Petrini arriva una lettera della ministra regionale dell’Ordine francescano secolare. Maria Blasucci Ciri smonta la tesi secondo cui il fotovoltaico permetterà di valorizzare l’area: la ministra ricorda un incontro, promosso dal parroco di Cannara e al quale ha partecipato anche il primo cittadino, nel corso del quale sarebbe stata raggiunta un’intesa sulla promozione di Piandarca e del tugurio, il luogo in cui il Santo avrebbe ideato il Terz’Ordine Secolare. Di esplicita "contrarietà" al parco solare parla quindi la Blasucci Ciri, la quale ricorda come Piandarca sia una tappa obbligata della processione che si tiene per la quinta domenica dopo Pasqua. Conclusione: "Mi rendo conto che oggi si tende a far prevalere l’interesse economico ma ci sono valori universali di grande spessore storico, culturale e religioso, che è doveroso difendere". Più soft ma non meno chiaro il messaggio di Sorrentino: "Sono in diversi a pensare che, per lo sviluppo della zona, anche sotto il profilo economico, sarebbe forse più appropriata una promozione collegata con il flusso turistico-religioso". Un pensiero condiviso dal custode del Sacro Convento di Assisi, padre Giuseppe Genovese, che esprime "perplessità e contrarietà" e – celiando sulla triste prospettiva che un domani si possa confondere la predica agli uccelli con la "predica ai pannelli" – ricorda come persino Giotto si sia ispirato al paesaggio assediato dal progetto. Dello stesso tono i telegrammi giunti ieri alla Provincia di Perugia dall’Ordine francescano secolare di Farneto, di Stroncone, di Spello, di Santa Maria degli Angeli… Dalle reazioni emerge anche il disagio di vedere insidiata la memoria di Francesco, santo "ecologico", proprio da un progetto "verde": "La Comunità Francescana del Sacro Convento – scrive il Custode – valuta favorevolmente ogni sforzo che si sta compiendo nel nostro tempo per la ricerca e la realizzazione di fonti alternative di energia ma non può accettare che gli strumenti tecnologici che la producano vengano a deturpare ambienti che da secoli rappresentano la bellezza del creato, così tanto amato e cantato da San Francesco". Anche monsignor Sorrentino definisce "apprezzabile l’energia prodotta da impianti fotovoltaici" e Maria Blasucci Ciri precisa che il no corale al parco solare "non significa contrarietà al fotovoltaico". L’apparente paradosso, in verità, è solo questione di fatturato: se il progetto fosse approvato entro il 31 dicembre, Fratello Sole renderebbe alla Sun Project 110.000 euro all’anno (valore dell’energia prodotta dall’impianto) più 550.000 di contributi pubblici. Moltiplicato per vent’anni, significherebbe più dei 3,5 milioni di euro che costa il parco fotovoltaico, chiavi in mano. Se però la Conferenza dei servizi non autorizzasse il progetto entro fine anno, salterebbe il contributo in conto energia e (forse) l’intero business Piandarca. Paolo Viana
2010-09-06 6 settembre 2010 LO STRAPPO Fini: "Il Pdl non c'è più. Nuovo patto di legislatura" "Non si può rientrare in un partito che non c'é più. Si va avanti senza farsi intimidire". Lo dice Gianfranco Fini liquidando, di fatto, il Pdl. "Il Pdl, così come l'avevamo concepito, è finito il 29 di luglio. E non perché - aggiunge - qualcuno se ne è andato, ma perche è venuto meno all'interno il confronto di idee che è il sale delle democrazia". Oggi dunque "non c'é più il Pdl" ma "c'é il partito del predellino". "Qualche colonnello ha cambiato generale - dice - ed è forse già pronto a cambiarlo di nuovo". "Si va avanti - dice il presidente della Camera dal palco di Mirabello - senza ribaltoni o ribaltini, senza cambi di campo. E senza atteggiamenti che possano dare in alcun modo agli elettori la sensazione che noi si abbia raccolto voti nel centrodestra per poi portarli da qualche altra parte". Ma si va avanti, avverte Fini, "convinti della necessità di onorare quel patto con gli elettori, ma fino in fondo, senza magari aggiungerci qualche parte che nel programma non c'era e che invece diventa un'emergenza". "La sovranità popolare - dice Fini sottolineando che la sua proposta sarà considerata alla stregua di un capo di imputazione contro di lui - significa che le elettrici e gli elettori devono avere il diritto di scegliere i propri parlamentari, perché è vergognoso che ci sia una lista prendere o lasciare". "E faccio mea culpa - aggiunge - perché ho contribuito anch'io" ad approvarla. Le proposte. Serve un nuovo patto tra capitale e lavoro per rilanciare l'economia italiana. E' la ricetta di Gianfranco Fini contro la crisi, secondo il quale serve una "grande assise del mondo del lavoro". "Il governo ha operato bene per fermare la crisi - premette il presidente della Camera dal palco di Mirabello - ma oggi dobbiamo far ripartire l'economia, non ci possiamo compiacere che i conti pubblici tengono"". Dunque "credo che occorra il coraggio politico di dar vita a quelle riforme che erano nel programma originale del popolo delle libertà e che sono state dimenticate. E' arrivato il momento di dar vita a riforme che portino ad un nuovo patto tra capitale e lavoro perché è indispensabile mettere i produttori di ricchezza dalla stessa parte della barricata dei lavoratori". "Nessuno, nessuno troverà mai una mia dichiarazione o una dichiarazione di qualcuno di Fli, contrarie al Lodo Alfano o al legittimo impedimento, perché noi siamo convintissimi del fatto che occorre risolvere una questione: quella del diritto che Berlusconi ha di governare senza che ci sia l'interferenza o il tentativo da parte di segmenti iper-politicizzati di metterlo fuori gioco. Ma bisogna rovesciare l'approccio alla questione, bisogna finirla di affidare a quel simpatico "Dottor Stranamore" che è l'onorevole Ghedini il compito di trovare una soluzione con il risultato che la soluzione non si trova mai il problema finisce per incancrenirsi ancor più" . E' un passaggio dell'intervento del presidente della Camera, Gianfranco Fini, dal palco di Mirabello. "Non ci vogliono leggi ad personam, ma leggi che tutelano il capo del governo, non la cancellazione dei processi, ma la loro sospensione", ha aggiunto Fini. "La proposta che noi facciamo, la fanno anche altri, aprirebbe in Parlamento un grande dibattito: la proposta che noi facciamo è quella di "intervenire sul cosiddetto quoziente familiare". E' un passaggio dell'intervento di Gianfranco Fini dal palco di Mirabello: "Parliamo di tutto ciò anche con l'opposizione". "Se nell'ambito di cinque punti si deve ridurre carico fiscale, la proposta che noi facciamo è: interveniamo sul quoziente familiare per far sì che chi ha figli, anziani e disabili a carico abbia un peso fiscale minore", puntualizza Fini. Serve un patto legislatura ma basta acquiescenza da parte del Pdl verso la Lega Nord, "é nell'interesse anche di Berlusconi". Ha affermato Fini. "Vogliamo capire come costruire un patto di legislatura". Ha detto il presidente della Camera. "Confidiamo nel senso di responsabilità di tutti". "Il federalismo è possibile solo se sarà fatto nell'interesse di tutta l'Italia, non soltanto nella parte più sviluppata del Paese. Bossi sa che è possibile realizzare il federalismo, ma solo se nell'interesse generale" e se non è "a scapito del Mezzogiorno". E' un passaggio dell'intervento del presidente della Camera. "Bossi - ha detto Fini - è un leader popolare, abbiamo polemizzato tante volte, solo chi non conosce la storia oltre che la geografia può pensare che la Padania esista davvero. Ma capisce che quella bandiera che alzato per primo, fra lo scetticismo e l'ironia, quella del federalismo oggi può essere bandiera che determinerebbe il compimento di una missione storica. Quel federalismo è possibile solo se è nell'interesse di tutta Italia non solo in quella della parte più progredita. Nella commissione bicamerale che dovrà verificare i decreti attuativi del federalismo fiscale dovremmo discutere e non lasciare la discussione all'asse Tremonti-Calderoli" La riforma del federalismo fiscale in questo senso deve servire, secondo Fini "per celebrare i 150 anni dell'Unità d'Italia". A Silvio Berlusconi "siamo tutti grati per quel che ha fatto soprattutto quando, nel '94, ha contrastato la gioiosa macchina da guerra; ma la gratitudine non puo' significare che ogni volta che si critica o si esprime opinioni diverse, ci si debba sentire accusati di lesa maestà. Non ci può essere diritto di lesa maestà perché non c'é un popolo di sudditi". "Berlusconi ha tanti meriti, ma anche qualche difetto: in primo luogo di non aver ben compreso che in una democrazia liberale non può esserci l'eresia, perché non c'é l'ortodossia. Gli siamo tutti grati per quello che ha fatto, ma la gratitudine - ha puntualizzato Fini - non può significare che ogni volta che si esprime una critica ci si sente accusati di lesa maestà: non c'é un popolo di sudditi, ma di cittadini che vogliono partecipare attivamente". "Non ho mai contestato la leadership di Berlusconi - ha detto poi - ma lui ha l'attitudine a confondere la leadership con il ruolo che nelle aziende hanno i proprietari: il Pdl non può essere derubricato a contorno di un leader". Il premier Berlusconi non confonda la leadership con la proprietà. Lo ha affermato il presidente della Camera Gianfranco Fini nel suo intervento a Mirabello sottolineando che la "gratitudine" non può significare l'impossibilità di fare critiche a cui si risponde con "gesti di stizza e fastidio". "Ma vi pare possibile che nonostante il "ghe pensi mi" si debba attendere ancora di conoscere il nome del ministro dello Sviluppo economico? Ma in quale altro Paese" avverrebbe una cosa del genere? E' un ministero importante "non uno strapuntino". E' un passaggio dell'intervento del presidente della Camera, Gianfranco Fini, dal palco di Mirabello. "La mia espulsione del Pdl è stata un atto illiberale e autoritario" degno del "peggior stalinismo". Ha detto Fini nel corso del suo intervento. Non c'e stata alcuna fuoriuscita, nessuna scissione, nessun atteggiamento volto a demolire al Pdl: c'é stata di fatto la mia estromissione dal partito che avevo contribuito a creare, un atto che forse è stato ispirato, da chi lo ha scritto, libro nero del comunismo. Solo nelle pagine del peggior stalinismo - ha ammonito Fini - si può essere messi alla porta senza nessun tipo di contraddittorio, con il tentativo di annullare ogni tipo di diversità". E' stato uno "spettacolo poco decoroso quello con cui è stato accolto un personaggio che non può insegnare nulla né nel rispetto della donne né nella dignità della persona umana. Da ex ministro degli Esteri conosco le ragioni della "real politik", ma non può portare a una sorta di genuflessione nei confronti di chi può ergersi a maestro o punto di riferimento". E' un passaggio dell'intervento del presidente della Camera in cui si fa un implicito riferimento alla visita di Muammar Gheddafi a Roma. "Il garantismo è un principio sacrosanto, ma mai e poi mai può essere considerato una sorta di immunità permanente". La campagna estiva di alcuni giornali del centrodestra "é stata il tentativo di dar vita ad un'autentica lapidazione di tipo islamico contro la mia famiglia". Ha affermato il presidente della Fini. "Attendiamo fiduciosi e sereni che siano i magistrati a chiarire quante calunnie e diffamazioni" vi siano state in questa vicenda, ha tra l'altro detto Fini. Aggiungendo: Questi giornali sono "il biglietto da visita del partito dell'amore. Immaginiamo cosa scriverebbero se diventassero un po' meno amichevoli". "Si va avanti senza farci intimidire da quello che è stato il "metodo Boffo" messo in campo da alcuni giornali che dovrebbero essere, pensate un po', il biglietto d'amore del partito dell'amore; noi non ci facciamo intimidire perché di intimidazioni ne abbiamo vissute ben altre. Non ci facciamo intimidire da campagne paranoiche e patetiche". Le reazioni. "Se cade la maggioranza si va al voto e il Ministero dell'Interno è pronto a organizzare le elezioni in pochi giorni". Lo ha detto il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, dal palco della feste della Lega Nord a Torino. "Il Ministero è pronto - ha aggiunto - se si dovesse andare a votare in due giorni organizziamo le elezioni, anche per domenica prossima". "La situazione è difficile, perché è come se Fini avesse detto "non voglio accordi con la Lega". Anzi, peggio: "io ce l'ho con il nord". Se Berlusconi dava retta a me si andava a elezioni e non c'erano Fini ne Casini né la sinistra che scompariva". Lo ha detto Umberto Bossi, segretario della Lega Nord e ministro delle Riforme, a una festa del Carroccio in Valcuvia. Dal palco Bossi ha ribadito che adesso "per Berlusconi la strada è molto stretta: se tutti i giorni deve andare a chiedere i voti a Fini e a Casini per far passare una legge non dura molto". Oggi il leader del Carroccio vedrà Silvio Berlusconi. "L'unica questione di vero dissenso con Fini è che noi da due anni dicevamo che il Pdl era un Forza Italia allargato. Allora lui era salito sul predellino. Oggi fa un'analisi in gran parte condivisibile. Condivido che resti col centrodestra per eludere il pericolo di elezioni anticipate", ha detto Pierferdinando Casini commentando il discorso di Gianfranco Fini a Mirabello. E ha aggiunto: "Nel '94 ho appoggiato Berlusconi e vedevo le anomalie, ma speravo che si sarebbe costituita nel tempo un'armonia istituzionale. Mi sono sbagliato, l'ho detto più volte. Fini ha pensato che questo partito potesse dare risposte agli italiani". "È chiaro che nella maggioranza c'è una crisi esplicita. Berlusconi ora venga in Parlamento a dirci se ha o meno una maggioranza; non si può far finta di nulla perchè da oggi nulla è più come prima", così Piero Fassino del Pd commenta l'intervento di Gianfranco Fini a Mirabello. "Il discorso di Fini - spiega Fassino - è stato chiaro, esplicito e molto duro. Ha detto che il Pdl non esiste più. Se non c'è la maggioranza, si apra la crisi".
6 settembre 2010 FORUM ABROSETTI Tremonti: "L'Italia non è in emergenza e non ha bisogno di guardare la Germania" L'Italia non è in emergenza e non ha bisogno di guardare all'esempio tedesco per rinnovarsi e sciogliere i nodi che ne frenano lo sviluppo. Lo ha sostenuto il ministro dell'Economia e delle Finanze Giulio Tremonti chiudendo ieri nel suo intervento a una platea di imprenditori, economisti e politici riuniti a Cernobbio per il workshop Ambrosetti. Separatamente, in una video-intervista con il Financial Times registrata sabato, prima del discorso del presidente della Camera Gianfranco Fini sulle sorti della coalizione di governo, e resa disponibile sul sito del quotidiano ieri pomeriggio, il ministro dell'Economia ha detto che "anche se ci fossero elezioni, questa maggioranza vincerebbe la politica economica di questo governo". Parlando alla platea di Cernobbio ieri, Tremonti ha difeso l'operato del governo guidato da Silvio Berlusconi dalle sollecitazioni giunte negli ultimi giorni da Confindustria, dal presidente della Repubblica, come da diversi economisti. Il ministro ha sottolineato che la nomina o meno di un responsabile del dicastero dello Sviluppo economico è solo uno dei tasselli della politica di sviluppo di un paese, che va elaborata e discussa con la più ampia base possibile di protagonisti della società. Tremonti ha, poi, rimancato l'importanza della riforma del Patto di stabilità, che introdurrà una sessione di bilancio europea, e ha affermato che, nonostante i diversi accenti, tutti i paesi della zona euro sono diventati consapevoli, dopo la crisi, della necessità di una politica di bilancio più responsabile. "Per Italia non c'è un'emergenza, ma l'esigenza di cambiare, e di redigere un programma di riforma", ha detto ieri il ministro dopo aver escluso, sabato, la necessità di varare misure di bilancio aggiuntive in autunno. "C'è la necessità di definire quale sia il bene comune per questo paese nei prossimi dieci anni... e io assumo che il governo duri dieci anni". Con tono deciso il responsabile dell'Economia ha rispedito al mittente molti dei suggerimenti giunti da autorità ed economisti in questi giorni per rinvigorire la crescita del paese, dopo aver sottolineato sabato le peculiarità del tessuto economico dell'Italia fatto in maggioranza da imprese di piccole dimensioni. "Dire che bisogna fare come la Germania mi sembra roba da bambini", ha detto Tremonti dopo che, nei giorni scorsi l'esempio tedesco su sviluppo, politica di bilancio e relazioni tra capitale e lavoro era stato suggerito dal suo predecessore all'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, dal governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, e oggi anche dal presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia. "Questo è un paese curioso: ad agosto i politici vanno in vacanza in agosto e gli altri si mettono a fare politica", ha detto ironico il ministro. "Conosciamo tutti i problemi di competitivi del paese, abbiamo ben chiaro quello che si deve fare", ha rintuzzato. A questo proposito il ministro ha elencato, tra i nodi da sciogliere, le piccole dimensioni delle imprese italiane - nani che faticano a dialogare con i giganti - l'eccessiva burocrazia, la scarsa crescita - "dobbiamo avere anche noi il nucleare" - i rapporti tra capitale e lavoro da rinnovare. "Il ministro dello Sviluppo economico? Certo che è necessario, ma anche se c'è un ministro... il documento di programmazione lo deve discutere tutto il parlamento, il governo", e tutti i protagonisti della vita del paese, ha detto Tremonti. Nella video-intervista al Financial Times registrata sabato il ministro, parlando delle sorti del governo Berlusconi, ha detto: "Noi abbiamo un enorme sostegno popolare nel Paese e quindi la politica di consolidamento fiscale proseguirà perchè lo vogliono i cittadini e noi rappresentiamo la maggioranza".
2010-09-04 4 settembre 2010 POLITICA Berlusconi: processo breve fuori dai "cinque punti" Il governo è intenzionato a chiedere la fiducia sui cinque punti programmatici che alla ripresa dell'attività politica il premier presenterà al parlamento. A confermarlo è stato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in un messaggio ai Promotori della Libertà. "Abbiamo elaborato le priorità e gli interventi concreti sui quali il Parlamento dovrà pronunciarsi nelle prossime settimane, a cominciare dai cinque punti programmatici nei quali abbiamo sintetizzato le riforme che sono appunto prioritarie e che intendiamo realizzare entro questa legislatura e cioè: la riforma tributaria, il federalismo fiscale, la sicurezza, l'immigrazione, il rilancio del Sud e la riforma della giustizia", ha elencato. "Dunque alla riaperture delle Camere, ci impegneremo affinchè sia votata la fiducia su questi cinque punti e non ci lasceremo distrarre dai giochi di Palazzo che purtroppo sono ancora in corso", ha aggiunto. MOZIONE GIUSTIZIA "Nella mozione sulla giustizia che porteremo all'approvazione del Parlamento – ha poi specificato Silvio Berlusconi – per quanto mi riguarda non dovrebbe esserci il cosiddetto processo breve, che dovrebbe invece essere finalmente un processo per tutti di ragionevole durata e cioè di una durata massima di sei anni e mezzo, molto di più di quel che durano i processi nelle vere democrazie. Ma siccome quando si tratta di giustizia e di processi non c'è una norma che non tocchi, non riguardi uno dei tanti processi o meglio delle tante aggressioni che mi sono state rivolte in questi anni per tentare di sovvertire il voto degli italiani, anche se questa norma è giusta e anzi assolutamente doverosa, la sinistra e i suoi giornali la fanno diventare uno scandalo e la mettono al centro di una campagna ancora e sempre contro di me. Allora io voglio rassicurare ancora una volta la sinistra". "E quindi, per favore, la piantassero di fare tanto baccano e pensassero piuttosto al loro vuoto di idee, di programmi e di leader".
FEDELTA' Se i parlamentari che hanno aderito a Fli dimostreranno "lealtà e senso di responsabilità", decidendo di restare nel Pdl, potranno contare sul loro inserimento nelle liste elettorali del partito. Lo afferma il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi nel suo audiomessaggio ai Promotori della Libertà. "Non c'è bisogno di ripeterlo - dice il premier - ma con l'occasione voglio ricordarlo ancora una volta: tutti i nostri parlamentari che, avendo prima deciso di fare parte di un nuovo gruppo, dovessero per senso di responsabilità e per lealtà nei confronti degli elettori che li hanno votati, decidere di restare nel gruppo del Pdl, tutti, nessuno escluso, potranno contare sulla nostra amicizia, sulla nostra solidarietà e lealtà, anche nel momento della formazione delle liste elettorali".
Home Page Avvenire > Interni > Fini: in politica non ci sono nemici ma avversari Interni * * stampa quest'articolo segnala ad un amico feed 4 settembre 2010 ALLA FESTA DELL'API Fini: in politica non ci sono nemici ma avversari La prima uscita pubblica di Gianfranco Fini dopo il silenzio della pausa estiva è avvenuta alla festa dell'Api di Francesco Rutelli. Il presidente della Camera è stato accolto da applausi in una platea gremita ma all'inizio del suo intervento c'è stata anche qualche contestazione isolata. L'intervento dal palco, comunque, è stato applaudito ben sei volte nonostante la platea fosse sostanzialmente di militanti di centrosinistra. NEMICI - AVVERSARI "È indispensabile nei momenti convulsi, dove sembra perdersi la bussola del comune agire, avere ben chiaro che nel 2010 non ci può essere la categoria del nemico che evoca logiche distruttive ma solo quella dell'avversario", è stato un passaggio del suo intervento. PROPAGANDA - POLITICA "La propaganda è un momento dell'impegno politico ma la politica è confronto di idee. Se prevale la propaganda, se ci si arrabatta in una fase convulsa e poco edificante, è naturale che un impegno alto e nobile in politica finisce per essere minoritaria ma anche se minoritario è essenziale perchè è l'unico antidoto possibile per fermare la crisi di fiducia verso le istituzioni". RISPETTO PER LE ISTITUZIONI "Ci vuole il reciproco rispetto per le idee di tutti e soprattutto per le istituzioni. Sono certo di esprimere l'opinione dei 630 deputati quando esprimo la solidarietà al presidente del Senato, Renato Schifani, che oggi è stato oggetto di una intollerabile contestazione per impedirgli di parlare. Il rispetto delle istituzioni - ha aggiunto il presidente della Camera - è l'abc della politica".
4 settembre 2010 CRISI Tremonti: "Emergenza finita" Ma in Ue restano incognite "Siamo ancora in terra incognita. Non parliamo dell'Italia ma di altri Paesi. Serve prudenza e una visione realistica": così il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, risponde ai cronisti che, a margine del workshop Ambrosetti a Cernobbio, gli chiedono se l'emergenza crisi è superata. "Lunedì e martedì a Bruxelles è convocato un Ecofin straordinario, di nome e di fatto. Serve per scrivere il nuovo Patto di Stabilità e di Crescita. Un atto che marcherà la fine delle politiche national oriented, e con questo il principio di una vera e nuova politica economica europea comune, coordinata e collettiva, non più eclettica ed estemporanea, diversa stato per Stato", ha spiegato Tremonti. In sintesi, secondo il ministro, con il nuovo Patto vi sarà "una fondamentale devoluzione di potere, insieme 'dal basso verso l'altò e 'dal diviso all'unitò. "Le linee fondamentali comuni su cui si svilupperà la politica europea - ha precisato Tremonti - sono marcate da due sigle: SCP e NRP. 'Stability and convergence program' e 'National Reform Program'. Le due politiche fondamentali della nuova Europa: stabilità delle finanze pubbliche, competitività del blocco continentale". Per quanto riguarda l'Italia "il nostro Programma di Stabilità contiene la manovra di luglio ed è stato giàapprovato in Europa. Su questa base possiamo assumere che il nostro 'SCP' è stato già impostato. Il problema che abbiamo è sull'altra politica, quella marcata dalla sigla 'NRP'. È su questa che dobbiamo e possiamo concentrarci. In una prospettiva temporale non istantanea, ma neppure lunghissima: da qui a gennaio-aprile del 2011", ha continuato il ministro. Rivolgendosi all'opposizione, poi, Tremonti ha spiegato che "fuori dalla lotta politica e fuori dalla dialettica di parte, idee e proposte certo dovranno essere alla fine sintetizzate, ma prima dovranno essere sul più vasto catalogo possibile e nel più ampio dibattito possibile. E in questo il ruolo dell'opposizione potrà e dovrà essere positivo e costruttivo".
4 settembre 2010 CERNOBIO Napolitano: "All'Europa servono nuovi leader con coraggio" Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano crede e spera che potrà nascere una nuova generazione di leader, ma per questo servirà l'impulso di un'opinione pubblica competente. Parlando in collegamento video al workshop Ambrosetti, il capo dello Stato ha detto che "una nuova generazione di leader potrà nascere, lo credo e lo spero. Ma non succederà per miracolo, bensì attraverso una vasta mobilitazione della società civile e della società politica, un impulso di opinione pubblica informata e competente". Dal canto suo Napolitano a questi nuovi leader potrà "solo trasmettere - ha aggiunto - con passione il testimone". "Soltanto parlando con la sua voce e portando avanti una politica estera e di sicurezza comune, e il Trattato di Lisbona finalmente entrato in vigore ce ne offre gli strumenti, l'Europa può contare nella politica internazionale". Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. "È giunto per tutti - ha spiegato - il momento di riconoscere che nessuno Stato europeo, nemmeno i più forti e i più ricchi di tradizioni storiche, persino imperiali, nemmeno i più ricchi ed economicamente avanzati, nessuno potrà con le sue sole forze contare come nel passato se non contribuendo a costruire un'Europa più unita, efficiente e dinamica". "Capisco - ha aggiunto - che si tratta di una verità sgradevole per alcuni o che sembra in questo momento contraddire gli sforzi che sta compiendo e i risultati che stanno raggiungendo alcuni Stati come, è inutile dirlo, la Germania". Prendendo ad esempio proprio la Germania Napolitano ha proseguito: "Una cosa è mettersi d'impegno per dare il meglio di sè, facendo ordine in casa propria e mettendosi coraggiosamente nella competizione globale. Una cosa è offrire a tutta Europa gli esempi più efficaci e le pratiche migliori, altra sarebbe pensare di poter risolvere i propri problemi e fare i conti con il resto del mondo che cambia, allontanandosi dal contesto e dal comune impegno europeo".
"Per questo - ha concluso Napolitano - ho particolarmente apprezzato nell'incontro del luglio scorso a Roma il neoeletto presidente federale tedesco che ha ribadito l'impegno a contrastare una tendenza di rinazionalizzazione delle politiche in seno all'Unione. Bisogna essere tutti conseguenti a questo impegno e occorre un nuovo supplemento di volontà politica europea".
4 settembre 2010 L'INCHIESTA Anemone, spunta nuova lista con 100 nomi Ristrutturazioni nelle abitazioni e negli uffici di clienti potenti e operazioni bancarie sospette: dopo una recente segnalazione di Bankitalia, esce una nuova lista di circa cento nomi nell'inchiesta della procura diPerugia sui Grandi eventi. La lista, di cui oggi danno notizia numerosi quotidiani, è emersa, grazie alle indagini della Guardia di Finanza, dal computer di Stefano Gazzani, il commercialista di fiducia di Diego Anemone. Tra i nomi, quello di Pasquale de Lise, all'epoca dei fatti presidente del Tar del Lazio e oggi alla guida del Consiglio di Stato, al quale sarebbero stati versati 250 mila euro da un famoso avvocato. Il giudice replica al Messaggero: "Cado dalle nuvole, ma quell'anno comprai una casa e ne vendetti un'altra". La maggior parte dei nomi era contenuta già nella cosiddetta prima lista Anemone ma c'è anche un Berlusconi, senza altri riferimenti e specifiche, e i quotidiani sottolineano come si stia cercando di stabilire se si tratti di Paolo, il fratello del premier che attraverso una delle sue aziende si occupò dei lavori alla Maddalena in vista del vertice del G8.
4 settembre 2010 ALLA FESTA DEL PD Schifani contestato a Torino L'altolà di Napolitano "Non amo la politica della barbarie, dello scontro e del gossip personale. Ho sempre privilegiato una politica di confronto e di progetto. È stata una estate velenosa piena di invettive e negatività, che non hanno migliorato il quadro politico. Auspico fortemente che alla ripresa si possa ripartire con un piede di maggiore responsabilità". Lo ha detto il presidente del Senato Renato Schifani a Torino alla festa nazionale del Pd, mentre nei suoi confronti era in corso una rumorosa contestazione da parte di una ventina di aderenti al Movimento cinque stelle - Grillo. IL RAMMARICO DI BERSANI Più tardi il segretario del Partito Democratico, Pier Luigi Bersani, ha telefonato al presidente del Senato "per esprimere solidarietà e profondo rammarico per quello che è avvenuto oggi a Torino, stigmatizzando la gazzarra indecente che ha disturbato il dibattito". "Il dibattito politico, anche il più aspro - afferma Bersani - deve segnare un confine netto con la prepotenza e la prevaricazione. Le nostre feste vivono come luoghi aperti di incontro e di discussione politica. Così le abbiamo volute, così sono e saranno. Qualcuno si levi dalla testa di poterci intimorire o farci derogare da questa scelta". LE PAROLE DI NAPOLITANO "Il tentativo di impedire con intimidatorie gazzarre il libero svolgimento di manifestazioni e discorsi politici è un segno dell'allarmante degenerazione che caratterizza i comportamenti di gruppi sia pur minoritari incapaci di rispettare il principio del libero e democratico confronto e di riconoscere nel Parlamento e nella stessa magistratura le istituzioni cui è affidata nel sistema democratico ogni chiarificazione e ricerca di verità". Lo ha detto il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, avuta notizia degli incidenti verificatisi alla festa del Pd di Torino. "Perciò - sottolinea il capo dello stato - deploro vivamente l'episodio verificatosi oggi a Torino ai danni del Presidente del Senato e ogni forma di contestazione aggressiva sia verso figure di particolare responsabilità istituzionale sia verso qualsiasi esponente politico nell'esercizio della sua inconfutabile libertà di parola e di opinione". IL DISCORSO DI SCHIFANI "Mi auguro che per la governabilità del Paese non si torni a votare. Il Paese ha bisogno di una guida e di un governabilità che attui il progetto voluto due anni fa". È quanto ha affermato il presidente del Senato Renato Schifani dal palco della festa del Pd a Torino aggiungendo che "un'interruzione traumatica della legislatura è un danno per la convivenza civile e per l'economia del Paese. Auspico fortemente che la maggioranza voluta dagli elettori possa trovare una sua coesione per attuare il programma. Vi sono state forti tensioni e ritengo che sia complessa la ricomoposizione all'interno del Pdl ma non impossibile. Quindi occorre prevalga il senso di responsabilità e che lavorino le colombe e non i falchi". Nel caso ciò non sarà possibile, ha detto Schifani, "tutto va nelle mani del capo dello Stato che è garante della costituzione. Lo è sempre stato e ha dimostrato di esserlo in maniera impeccabile in ogni momento della vita del nostro Paese. Ha grande senso dello Stato e senso di responsabilità e saprà fare le scelte migliori nel caso in cui la maggioranza dovesse andare in crisi. È rispettoso della costituzione reale a cui tutti ci dobbiamo inchinare".
2010-09-03 3 Settembre 2010 DOPO LE POLEMICHE Berlusconi: tra una settimana il nome del ministro dello Sviluppo Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi dice in una nota che la prossima settimana sottoporrà al capo dello Stato il nome del nuovo ministro per lo Sviluppo economico. È quanto scrive il presidente del Consiglio in risposta alle polemiche di queste ore sulla successione di Claudio Scajola, che si dimise il 4 maggio scorso. Più volte negli ultimi mesi Berlusconi ha annunciato che avrebbe indicato un successore di Scajola per il ministero, del quale ha assunto l'interim. "La settimana prossima sottoporrò al capo dello Stato il nome di un nuovo ministro dello Sviluppo", scrive il capo del governo nella frase finale della lunga nota. In precedenza scrive: "Vedo che da più parti si chiede la nomina di un nuovo ministro per lo Sviluppo, sostenendo che sino ad ora ci sarebbe stato un vuoto in questa funzione. Mi permetto di garantire che il mio interim non è stato un vuoto, ma 'un pieno', un vero e proprio pieno di decisioni e di provvedimenti e che il dicastero di Via Vittorio Veneto è stato ed è nelle mani di una delle istituzioni più autorevoli del Paese, quella del presidente del Consiglio". Berlusconi ricorda che "sono state assunte molteplici decisioni organizzative, [...] si è operato incessantemente a supporto di imprese, [...] con una decisione e con una concretezza mai viste prima, come credo, nella storia del ministero". Poi il premier aggiunge: "Sono stati più di 300 i provvedimenti che hanno recato la mia firma" ed in una successiva nota dettaglia i provvedimenti presi. Nella seconda nota Berlusconi affronta poi punto per punto le critiche sollevate dalla stampa sulla politica industriale del governo di questi mesi. "Per quanto riguarda i tagli effettuati dal ministro Tremonti (più correttamente deliberati dal governo su proposta del Ministero dell'Economia e delle Finanze), questi non hanno riguardato solo il Ministero dello Sviluppo Economico, ma hanno interessato tutte le amministrazioni pubbliche", dice la nota a proposito delle riduzioni di spesa previste in manovra, che hanno colpito pesantemente lo Sviluppo economico. Una battuta infine al contestato capitolo delle nomine: "In merito alle nomine, le stesse vengono effettuate nel rispetto dell'iter previsto dalla normativa vigente e, dunque, il potere decisionale del Ministro dell'Economia e delle Finanze è circoscritto ai casi in cui esso è previsto ed è esercitato nel rispetto della normativa medesima".
3 settembre 2010 L'APPELLO DEL COLLE "Lotta alla mafia, istituzioni sostengano la magistratura" "Rafforzare, specialmente nei giovani, la cultura della legalità e il senso della democrazia" e "rinnovare un convergente e deciso sostegno delle istituzioni repubblicane e della società civile all'attività di contrasto delle organizzazioni criminali svolta dalla magistratura e dalle forze dell'ordine, al fine di contenerne la capacità di controllo del territorio e di infiltrazione nella economia, nazionale e internazionale". È il duplice appello che rivolge il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel messaggio inviato al prefetto di Palermo Giuseppe Caruso, in occasione del 28° anniversario dell'uccisione del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell'agente Domenico Russo. Il Capo dello Stato, rinnovando ai familiari delle vittime "i sentimenti di vicinanza e gratitudine di tutti gli italiani" e la sua "personale e solidale partecipazione", ricorda che il generale Dalla Chiesa "servitore dello Stato di grande rigore civile e morale, da alto ufficiale e da prefetto della Repubblica pose costante impegno nell'azione di contrasto al terrorismo e alla mafia, adottando metodi investigativi atti a fronteggiare efficacemente l'espandersi di fenomeni criminali che andavano segnando tragicamente il nostro Paese". Napolitano sottolinea che "le sue capacità, il suo coraggio e la sua determinazione lo resero punto di riferimento della comunità nazionale, ma anche obiettivo della delinquenza mafiosa, che ne eseguì l'omicidio con modalità spietate nell'intento di provocare un diffuso stato di intimidazione".Dal Quirinale, si osserva che "la sua morte contribuì, invece, a far crescere un ancora più ampio e diffuso moto di indignata e consapevole difesa di quei valori di giustizia, democrazia e libertà per i quali egli si era battuto anche a costo della vita"
3 settembre 2010 RIPRESA ECONOMICA Draghi: la ripresa mondiale resterà in Europa La ripresa mondiale "resterà con noi" e quella europea, che vede un divario fra il Nord e il Sud e del Vecchio Continente, si sta diffondendo anche fra i paesi meno veloci a ripartire. Lo ha detto il governatore della Banca d'Italia e presidente del Financial Stability Board Mario Draghi. Secondo Draghi "ci sono maggiori probabilità che questa ripresa non ci abbandoni". E per l'Europa - dove "la crescita è più marcata al Nord che al Sud" - l'impressione è di una ripresa "con basi più ampie e con segnali positivi sia sul fronte de consumi che degli investimenti". Alcuni rischi - ha spiegato tuttavia Draghi che in Corea del Sud partecipa ad una conferenza organizzata dal Financial Stability Forum - restano in piedi. Gli elementi di rischiosità sono legati soprattutto alla rimozione delle misure di stimolo economico e alla fragilità dei mercati finanziari. La crescita, in particolare, è sostenuta soprattutto dal commercio mondiale e per l'Europa l'export è un elemento trainante. "Ci sono ancora mercati fragili", ha proseguito il governatore, ma sul fronte europeo un elemento positivo è dato dalla bassa inflazione, "le cui aspettative sono ancorate al livello più basso degli ultimi cinque anni".
3 settembre 2010 POLITICA Linea dura del premier: chi non è con noi è fuori Il barometro della giornata lo dà la folla che, alle 7 della sera, accoglie Berlusconi che lascia palazzo Grazioli urlando (non tutti, ma più di qualcuno) "presidente, caccia Fini". Ormai all’antivigilia dell’attesissimo discorso di Gianfranco Fini a Mirabello, il presidente del Consiglio sceglie una linea drastica. Resa esplicita anche dalla decisione di non rinviare il "processo" ai tre finiani affidato ai probiviri (vedi a fianco). Fino a sabato non è più tempo di mediazioni o d’ipotesi di tregua. Quanto potrà avvenire alla festa di "Futuro e libertà" viene ritenuto non risolutivo, in casa Pdl. E la possibilità concreta di riallacciare il dialogo è praticamente ridotta al lumicino, se non tramontata del tutto. È questo il bollettino della giornata che filtra dalla residenza romana del premier. "Chi sta con noi sta con noi – sono state le parole del Cavaliere, dette anche alla presenza del coordinatore Denis Verdini – e chi non sta con noi, a partire dal processo breve, è fuori". Ma nel Pdl cresce il fermento, testimoniato dalla riunione tenuta, nello studio del sindaco di Roma, Gianni Alemanno, da un gruppo di ex An fedeli a Berlusconi: c’erano La Russa, Gasparri, Matteoli e Meloni. E monta anche una certa insofferenza per le ultime uscite del presidente Napolitano, dal nodo del ministero dello Sviluppo alla giustizia. Quest’ultimo resta il capitolo-chiave e Berlusconi non a caso ha inviato il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, a illustrare al capo dello Stato possibili modifiche al processo breve. Mentre a illustrare il sentimento della base ci pensa Filippo Berselli, presidente della commissione Giustizia al Senato: "Nessuno discute le prerogative del capo dello Stato, però queste non possono in nessun modo interferire con le prerogative del Parlamento". È una linea dura cementata dai collaboratori ricevuti ieri: due "falchi" come Ignazio La Russa e Daniela Santanchè, in aggiunta al vertice di due ore che ha visto presenti pure i ministri Alfano e Brambilla. La convinzione del premier resta che ce la farà ad andare avanti senza compromessi particolari, ma anche senza correre il rischio di finire al voto anticipato. Un’eventualità che - si pensa nel Pdl - certo non prenderà corpo per la nascita del nuovo partito finiano, che Berlusconi e i vertici del Pdl non si aspettano. Il premier pensa che Fini domenica non "strapperà", che punterà a non rompere ma a logorare, perché "il tempo serve a lui più che a noi". E che, alla ripresa dei lavori parlamentari, la maggioranza avrà lo stesso i numeri per portare avanti l’azione di governo. Come massimo, Berlusconi si attende che il presidente della Camera insisterà nel sostenere che è stato cacciato, ma a questa accusa il Pdl risponde che c’è, nero su bianco, il documento della direzione di aprile a far capire agli elettori come sono andate le cose. Quel testo fu approvato con 157 voti a favore e appena 12 contrari. E fu allora che costoro si sono messi fuori dal Pdl, non li ha cacciati Berlusconi. Eugenio Fatigante
3 Settembre 2010 POLITICA Bersani "spara" su Berlusconi: "Fa regredire la politica alla fogna" Volano parole grosse. Si scalda Pierluigi Bersani, per il quale il "berlusconismo" fa "regredire la politica alla fogna". Il Pd si prepara alla campagna d’autunno, e se con l’alleato Di Pietro l’attrito resta forte, ma si continua a camminare insieme, i democratici cercano di trasformare la sponda dell’Udc in qualcosa di più solido. Così Massimo D’Alema inizia una corte serrata a Pier Ferdinando Casini, che, ammette il presidente del Copasir, "potrebbe essere un alleato" alle prossime elezioni. Ma per ora l’amore è a senso unico, e anzi il leader udc conferma che se si andasse a votare oggi, correrebbe ancora da solo. Lo stesso Casini, però, tesse la sua tela con l’Api di Rutelli, mentre si scalda ai nastri per la campagna d’ottobre contro il premier e la sua legge per il processo breve. L’autunno, insomma, si preannuncia caldo come l’estate. Questa volta, infatti, lo stesso Bersani arriva a usare termini forti, che urtano la suscettibilità degli avversari. "Se un uomo politico come Bersani giunge ad esprimersi con tali sorprendenti parole vuol dire che il Pd ha cessato di esistere politicamente", replica il coordinatore pdl Bondi, mentre per Cicchitto "la politica diventa una fogna quando un segretario di partito parla in questo modo". Ma il rischio che si corre, va oltre il segretario del Pd, è "un deterioramento ulteriore della politica". Perciò contro il processo breve, la battaglia sarà dura: "Berlusconi sta cercando di salvare il suo processo cercando di evitare che saltino altre decine di migliaia di processi". Ma, insiste Bersani, "non abbiamo ancora la Costituzione di Arcore e abbiamo sempre la nostra Costituzione che non è facile da aggirare". La proposta democratica, allora, deve essere quella di "alleanze credibili. Dobbiamo realizzare una "nuova riscossa italiana". Su questo progetto e sulle idee e le proposte lavoreremo nelle prossime settimane. Per l’autunno proporremo una mobilitazione straordinaria". E sul processo breve Bersani avrà dalla sua tutti i partiti di minoranza. Ma spera di andare oltre. "In Parlamento – continua – faremo un’opposizione drastica e forte e chiederemo coerenza a quelle forze del centrodestra che fin qui hanno avuto da ridire, e che pensano che il processo breve sia una sorta di amnistia per Berlusconi". Casini, a conferma, non è da meno: "Non è una cosa che si può fare. È un’indecenza". Nessuno pensa a un’alleanza con Fini, precisa D’Alema. "Fini è un uomo di destra ma siccome in nome della legalità critica Berlusconi, mi interessa come interlocutore e non per fare un’alleanza insieme", spiega l’ex premier ds, che chiede al presidente della Camera di "spiegare le sue ragioni che io credo siano quelle di una destra diversa, democratica con il senso dello Stato. Quanto alle alleanze, per D’Alema "in caso di elezioni dobbiamo cercare di vincerle e abbiamo la possibilità di vincerle" con il nuovo Ulivo indicato da Bersani: "Un cantiere su cui tutti lavoreremo". Se poi Di Pietro insiste nel non volere alleato Casini, D’Alema ricorda che quello "che ha detto Di Pietro è già stato smentito dal suo stesso partito". L’obiettivo di sconfiggere Berlusconi non va offuscato e "il precedente del Piemonte insegna". Il Pd non è l’unico a lavorare al cantiere. Casini continua a parlare di "intesa con l’Api. C’è – dice – una grande condivisione su tante cose, sulla maggioranza dei temi". Ma di più l’ex presidente della Camera non si sbilancia. Piuttosto conferma che "non ho mai avuto la tentazione di entrare nella maggioranza". Mentre "se si votasse tra due mesi noi non dobbiamo avere paura di testimoniare un’idea scomoda. Un’alleanza politica si salda sui principi, non è solo trovare un nome per vincere". Se poi "ci sarà un’evoluzione di Pd e Pdl vedremo, si creeranno condizioni diverse". Roberta D’Angelo Giornale in edicola Supplementi * Luoghi dell'infinito * Noi genitori e figli * Popotus * Non profit Segnala Articolo Nome Destinatario * E-mail Destinatario * * Nome Mittente * Commenti
2010-09-02 2 settembre 2010 IL RICHIAMO DEL COLLE Napolitano: serve una seria politica industriale "È venuto il momento che l'Italia si dia una seria politica industriale nel quadro europeo, secondo le grandi coordinate dell'integrazione europea". È il monito lanciato dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, oggi in occasione dell'inaugurazione a Mestre della nuova piazzetta dedicata a Gianni Pellicani, suo grande amico e compagno di partito scomparso quattro anni fa. Per il capo dello Stato infatti "abbiamo bisogno di questo per l'occupazione e per i giovani che oggi sono per noi il motivo principale di preoccupazione" perchè "attorno alla questione dell'occupazione giovanile si stringono i nodi dell'economia. E oggi -prosegue il capo dello Stato- c'è una nuova categoria di giovani che non sono impegnati nè in processi formativi nè in processi occupazioni nè in processi di addestramento al lavoro". Così, per Napolitano, non c'è dubbio "dobbiamo dare delle risposte su tutti questi terreni tenendo però conto dei limiti stretti in cui si muove l'azione pubblica e tendendo conto delle risorse del bilancio dello Stato, punto ineludibile questo per governo e opposizione". "LA VER A PRIORITA' E' LA CRISI" A leggere i giornali, pare si vada verso una situazione politica "più benigna", ma governo e Parlamento dovrebbero impegnarsi per fronteggiare innanzitutto la crisi economica. Da Venezia, dove ha preso parte a iniziative culturali legate alla Mostra del Cinema, il presidente Giorgio Napolitano non ha mancato di rivolgere alle forze politiche un pressante appello a pensare alle vere priorità del Paese e degli Italiani. Che riguardano i problemi dell’economia e dell’occupazione. Una questione centrale, sulla quale la politica "dovrà per forza impegnarsi". Anche di fronte a segnali contraddittori sullo sviluppo europeo, dove ci sono gli ottimi risultati tedeschi, che però "purtroppo non fanno tendenza". C’è stata la manovra, incalza il presidente della Repubblica, ma "poi c’è la finanziaria, e poi bisogna verificare soprattutto qual è l’andamento della congiuntura sul piano mondiale, europeo e nazionale". L’invito di Napolitano è sembrato a molti commentatori un auspicio a rimodulare le priorità programmatiche del governo, dopo la richiesta del premier Berlusconi di far approvare immediatamente il cosiddetto processo breve. Ma il capo dello Stato si è tenuto prudentemente fuori dalle dispute che hanno animato le vacanze estive. E a un giornalista che gli ha chiesto come avesse vissuto questo mese "politicamente infernale", ha risposto placido che lui cerca di "non sentirsi mai all’inferno". Certo, fa sapere il presidente, sui giornali "c’è una grande molteplicità di idee, di ipotesi su cosa succederà" al governo e alla legislatura. "Attualmente – continua Napolitano – non c’è che da leggere, cercando di non confondersi quotidianamente troppo le idee. Vi sono tremila punti interrogativi che, poi, a un dato momento, si scioglieranno. Si va verso un’evoluzione più benigna". Ma, per quello che riguarda i suoi compiti istituzionali, il presidente precisa: "Non faccio previsioni. Quando accade qualcosa che coinvolga le mie decisioni, allora rifletto e adotto e motivo le decisioni". Un modo anche per ribadire ai giornalisti che lo tempestano di domande che su provvedimenti discussi come il processo breve non ci saranno forme di trattativa preventiva con il governo, così come si è vociferato sui giornali. Se e quando il testo verrà approvato dal Parlamento e arriverà al Quirinale per la firma, sembra dire il presidente, allora farò le mie considerazioni. E il precedente è quello della legge sulle intercettazioni telefoniche e ambientali, finita poi su un binario morto: "Su queste cose – spiega ancora Napolitano – ho già detto tante volte, mentre si discuteva della legge sulle intercettazioni: sapete che fine ha fatto quella legge? Siete informati...". Stesso metodo per lo statuto della Regione Veneto, in discussione in questi giorni, che ha provocato dure polemiche tra il governatore leghista Luca Zaia e le opposizioni di centrosinistra per via di alcuni riferimenti (e diritti) riservati in via preferenziale ai cittadini veneti, che i critici considerano contrari alla Costituzione e allo Stato unitario: "Non ne so nulla– risponde Giorgio Napolitano – quando l’avrò letto reagirò". (Giovanni Grasso)
2 settembre 2010 LA RESA DEI CONTI Intesa sul processo breve, il premier ci crede meno Basta con le mediazioni tra falchi e colombe. Le antenne di Silvio Berlusconi e di Umberto Bossi sono già sintonizzate su domenica. In attesa di quello che dirà Gianfranco Fini a Mirabello. Senza troppe illusioni: saranno parole dure. Ma "tutto il resto non ha la minima importanza", dice il presidente del Consiglio ai tanti interlocutori incontrati ieri a Palazzo Grazioli. "Aspettiamo di vedere cosa dice Fini", afferma laconico il leader della Lega al termine dell’ultimo round, al quale hanno partecipato il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, Roberto Calderoli e Roberto Cota, i due ambasciatori leghisti in terra finiana. Nubi nerissime si addensano sul cammino del processo breve. La linea del premier è: "Avanti, senza ulteriori mediazioni". Si incarica di ribadirla Ignazio La Russa. Il ddl "è già stato votato al Senato e pensiamo di votarlo così anche alla Camera", assicura il ministro della Difesa e coordinatore del Pdl. "Poi la Camera, il ministro di Giustizia possono anche valutare diversamente. L’unica cosa certa – ha aggiunto con un affondo ai finiani – è che nessuno ci può imporre trattative, soprattutto all’interno di una maggioranza che si è già impegnata". Secca la replica del capogruppo di Futuro e Libertà Italo Bocchino: "La Camera non è notaio del Senato. Il testo non può essere votato a scatola chiusa e non accettiamo un aut-aut di questo tipo". Si aggiunge la voce di Fabio Granata che parla di "amnistia mascherata". Pure l’Udc, con Pierluigi Mantini, ribadisce il suo no. "Abbiamo suggerito la via della garanzia del sereno svolgimento della funzione del premier tramite riforma costituzionale. Altri trucchi o espedienti sono impraticabili". Le posizioni tra Pdl e Fli, dunque, restano lontane. Forse, insanabili. Se sarà rottura, si vedrà. Intanto ieri è stato un vorticare di incontri nella residenza romana del premier. Mentre alle 18 arrivavano gli ultimi ospiti, usciva il ministro della Giustizia Angelino Alfano, l’uomo che ha in mano il pur sottilissimo filo del dialogo. "Non possiamo avere un pregiudizio, vediamo prima le modifiche che ci proporrà", fa sapere un finiano moderato, Silvano Moffa. Forse non sarà un caso che, prima del Guardasigilli, il presidente del Consiglio abbia incontrato il senatore Mario Baldassarri, una "colomba" tra gli uomini del presidente della Camera. Il quale conferma che il processo breve è "il" nodo da sciogliere (pur avendo puntato nel colloquio ai temi economici). "Se uno vuol colpire un passero, non deve usare il cannone". Come a dire che per tutelare il premier non si possono bloccare migliaia di processi. La linea emersa già la scorsa notte dal vertice a casa del premier prevedeva, comunque, di poter modificare la norma transitoria, modulando i termini della prescrizione per avere proprio un minore impatto sul numero di processi in corso destinati a estinguersi. Il tutto garantendo uno "scudo" al premier. Perché, spiega il presidente dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto, "la situazione è paradossale". "Contro Berlusconi dal 1994 è in atto una durissima offensiva giudiziaria ad opera di settori politicizzati della magistratura", e perciò si blocca ogni proposta sulla giustizia anche se punta a "ridurre a 6 o 8 anni i tempi della durata del processo, che sarebbero già abbastanza lunghi". Gianni Santamaria
2 Settembre 2010 POLITICA Bersani "spara" su Berlusconi: "Fa regredire la politica alla fogna" "Al di là delle denunce di un Governo che si denuncia da solo, francamente, abbiamo visto in questo agosto terrificante come il secondo tempo del Berlusconismo possa far regredire la politica alla fogna. Questo è il rischio che abbiamo davanti: un deterioramento ulteriore della politica, del tessuto civile e del senso civico, della fiducia, della speranza mentre il paese sta scivolando ed è da tempo che scivola". Lo ha detto il segretario del Pd Pierluigi Bersani stamane nel suo discorso di inaugurazione della nuova sede a Firenze del Partito democratico regionale e metropolitano. "Noi credibilmente - ha aggiunto Bersani - con un quadro di alleanze, con proposte politiche, dobbiamo realizzare il progetto 'nuova riscossa italianà. Su questo progetto e sulle idee e le proposte lavoreremo nelle prossime settimane. Per l'autunno proporremo una mobilitazione straordinaria per presentare le nostre proposte". Non si è fatta attendere la risposta del Pdl. Ha parlato dapprima Fabrizio Cicchitto, capogruppo Pdl alla Camera, affermando che "la politica diventa una fogna quando c'è uno come Bersani che, essendo segretario del Partito democratico, parla in questo modo. Evidentemente al peggio non c'è mai limite". E' poi intervenuto il portavoce del Pdl, daniele Capezzone, che ha affermato: "Oggi è una giornata nera per la democrazia italiana. Lo dico con dolore: quando Bersani si abbandona a un simile insulto ('fognà) contro il partito votato dalla maggioranza degli elettori, non offende tanto e solo noi, ma proprio gli italiani". "Come può definirsi 'democratico' - ha proseguito - un partito che insulta una forza legittimamente votata dai cittadini? Mi auguro che Bersani non solo si scusi (con gli italiani, prim'ancora che con noi), ma soprattutto si renda conto della gravità inaudita dell'atto che ha scelto di compiere".
2 settembre 2010 I CREDENTI IN POLITICA Miano: "Unità dei cattolici sui problemi della gente" Impegno educativo e Settimane Sociali. Senza tralasciare alcuni importanti appuntamenti associativi, tra i quali un incontro con il Papa. È questo l’orizzonte sul quale l’Azione Cattolica Italiana lavorerà in questo periodo di ripresa delle attività dopo la pausa estiva. Ieri se ne è parlato nella riunione di presidenza, al termine della quale il presidente nazionale, Franco Miano ha espresso ad Avvenire l’auspicio che l’agenda di speranza messa a punto in vista delle Settimane Sociali, diventi patrimonio condiviso del Paese, non solo all’interno del mondo cattolico. Presidente Miano, che autunno sarà per l’Ac? Un autunno di grande impegno. I temi su cui stiamo lavorando sono gli stessi che più stanno a cuore alla Chiesa italiana. Impegno educativo e Settimane Sociali. Inoltre stiamo organizzando due appuntamenti particolarmente significativi per la vita della nostra associazione. Anzitutto l’atteso incontro dei ragazzi e dei giovani di Ac con il Papa, previsto per il 30 ottobre. Lo slogan sarà "C’è di più" e vuole ribadire l’impegno appassionato dell’Azione Cattolica per le nuove generazioni, all’inizio del decennio dell’educazione. E ad Ancona, dal 10 al 12 settembre, si terrà il convegno dei presidenti diocesani, primo passo del nostro anno assembleare che si chiuderà a maggio con l’Assemblea generale. A proposito di educazione e temi sociali, qual è l’agenda delle priorità del Paese secondo l’Ac? Prima di tutto la questione della vita. Penso ad esempio all’insistenza con cui il cardinale Bagnasco ha parlato dell’inverno demografico. Penso alla famiglia, senza la quale la società si sgretola, come ricordava il presidente della Cei. E penso alla questione del lavoro, che significa dare risposte per la vita delle persone. In sostanza penso all’idea del bene comune, che nella nostra ottica parte dalla centralità della persona, della comunità, delle relazioni. Noi vogliamo contribuire affinché il bene comune si traduca in provvedimenti concreti e ci sia una vita bella, buona e degna per tutti. Il mondo e l’associazionismo cattolico sono uniti su questi temi? Il mondo cattolico è molto più unito di come i media lo rappresentano. E sono d’accordo con quanto sosteneva Giorgio Vittadini nell’intervista ad Avvenire di qualche giorno fa. C’è oggi un di più di impegno nella direzione della comunione ecclesiale. E questa comunione, nella vita delle associazioni, dei gruppi, dei movimenti, sta diventando sempre più il pilastro fondamentale su cui le diversità legittime diventano ricchezza e non elementi di divisione. In questi anni c’è stato un cammino positivo da questo punto di vista, che ha favorito l’incontro prima di tutto l’incontro sulle cose che contano. Eppure c’è chi continua a tirare la giacca ai cattolici, volendoli portare ora da una parte ora dall’altra? Quale deve essere a suo avviso il posto dei cattolici in politica? Ritengo che il rapporto tra gruppi movimenti e associazioni cattolici e la politica debba avere come punti di riferimento anzitutto il Vangelo, la Dottrina sociale della Chiesa e il Magistero. Queste sono anche le bussole dell’Ac, che mette al centro la persona, la famiglia, il lavoro, l’attenzione al territorio e tanto impegno concreto. Una politica che mette al cento la persona è una politica che sfida la corruzione, una politica in cui l’elemento della moralità è ineludibile e la dimensione della legalità è imprescindibile. E tutto questo non è di destra o di sinistra. Ma si pone semplicemente a servizio dell’uomo. Quindi, dopo la stagione dell’unità politica e quella che è seguita alla sua conclusione, quale stagione lei auspicherebbe ora per l’impegno dei cattolici in politica? Il cardinale Bagnasco, anche nei giorni scorsi, ha ripetuto il suo appello affinché sorga una nuova classe politica cristiana nei fatti più che nelle parole. Il modo migliore per rispondere all’appello del presidente della Cei credo sia quello di mantenere uno stretto legame fra le comunità e i singoli cattolici impegnati in politica, al fine di incoraggiare una presenza coerente con i principi professati. Ma a tal fine è necessario un cambiamento di mentalità nelle nostre Chiese: e cioè non ritenere la dimensione sociale e politica come marginale o destinata a pochi specialisti, ma considerare la formazione a questi aspetti essenziale come per tutti gli altri momenti del cammino cristiano. La stessa Azione Cattolica è anche un itinerario di educazione all’impegno sociale e politico perché di fatto è un luogo concreto di esercizio della socialità, della corresponsabilità e della democrazia. Che cosa è lecito attendersi da questo punto di vista dalla Settimana Sociale di Reggio Calabria? Mi attendo che il grande sforzo fatto nella fase preparatoria intorno al concetto di bene comune venga tradotto in proposte concrete. Scuola, università, lavoro, impresa, famiglia, vita, tutti i temi dell’Agenda di speranza, sono di vitale importanza per il Paese. Dobbiamo dare il nostro contributo. Inoltre, compito della comunità ecclesiale è anche di non lasciare soli coloro che sono impegnati direttamente in politica, cercando momenti di confronto e di dialogo. Spero, dunque, che a partire da Reggio Calabria in ogni Chiesa locale maturino queste convinzioni, per costruire insieme un futuro migliore. Mimmo Muolo
2 settembre 2010 PIANETA GIUSTIZIA Giudici e pm sì, ma "precari" Quando il tribunale è a cottimo Entri in un’aula di giustizia dove si sta svolgendo un’udienza per omicidio colposo legato a un incidente stradale e l’accusa è sostenuta da un pubblico ministero "a cottimo". Ancora: sei alle prese con una causa civile in cui possono esserci in ballo decine di migliaia di euro e il giudice che è chiamato a decidere è un "lavoratore a termine" che anno dopo anno attende il rinnovo dell’incarico. Basta aggirarsi fra i tribunali della Penisola per imbattersi in giudici e pubblici ministeri a gettone che chiedono condanne, scrivono sentenze o stabiliscono pene. Magistrati, sì. Ma precari. Che, in ogni caso, amministrano un terzo della giustizia italiana e sono più di 3400. La legge li chiama magistrati onorari di tribunale ("mot"). Loro si definiscono giudici "a tempo determinato" e "in attesa di condono" perché la loro categoria è in perenne ricerca di un assetto definitivo. Non hanno uno stipendio e neppure le ferie, ma soltanto un "rimborso": 98 euro lordi per ogni udienza. Un compenso che si riduce a 72 euro una volta pagate le imposte e i contributi previdenziali e che non tiene conto della mole di lavoro: si guadagna sempre la stessa somma anche se in una giornata i fascicoli da studiare o da discutere arrivano fino a trenta. Eppure, quando i mot decidono di scioperare, la macchina della giustizia si ferma. Del resto lo dicono le cifre: a fronte di 2059 togati in servizio nelle procure, sono 1613 i "temporanei" che vestono i panni dei pm e che prendono il nome di vice procuratori onorari; e rispetto ai 6317 giudici di carriera, gli onorari che presiedono le udienze sono 1798. Certo, la loro competenza ha limiti precisi: l’attività si svolge soltanto nei tribunali monocratici o davanti al giudice di pace. Niente corte d’assise o d’appello. Ma si stima che le procure indirizzino due terzi delle cause ai vice procuratori onorari, mentre un quarto dei procedimenti penali e un altro quarto di quelli civili è deciso da un magistrato precario. "E poi ci sono gli oltre 2500 giudici di pace che coprono un’altra parte rivelante del contenzioso e che sono anch’essi magistrati onorari – spiega il presidente di Federmot, Paolo Valerio, l’associazione che raccoglie più della metà dei magistrati onorari di tribunale –. Se si sommano le due categorie, viene superata la fatidica soglia del cinquanta per cento nel riparto delle cause con i magistrati di ruolo". A differenza dei togati, però, i mot non entrano in aula dopo un concorso. Il loro reclutamento avviene per titoli e il requisito minimo è quello della laurea in giurisprudenza. Così gli onorari sono soprattutto giovani avvocati o praticanti che per un paio di giorni alla settimana diventano pm o giudici e per il resto del tempo lavorano in uno studio legale. Ecco spiegata la ragione dell’elevato numero di domande che l’ultimo bando si è portato dietro: quasi 37mila per le nuove nomine di giudici onorari e oltre 27mila per i futuri vice procuratori. Comunque il quadro è in evoluzione. "Negli ultimi anni – spiega Valerio – il fenomeno che si sta riscontrando è quello di un maggiore radicamento alla funzione giurisdizionale da parte di professionisti che in origine facevano altro e che col tempo si sono trovati gravati da una crescita di attività giudiziaria delegata con la conseguenza di avere dovuto liberare spazio nella giornata lavorativa. In quest’ottica una categoria originariamente di forte estrazione forense si è riconvertita". Da qui la richiesta di una riforma che stabilizzi gli onorari. Perché giudici e pm "a cottimo" possono durare in carica al massimo sei anni. Anche se le deroghe sono ormai all’ordine del giorno. Ad esempio il presidente di Federmot è vice procuratore onorario a Roma da più di dieci anni. "Ogni volta le proroghe sono conferite in vista di una riforma che ancora non c’è stata – afferma Valerio –. Come onorari non chiediamo di essere assimilati ai magistrati di carriera. La nostre funzioni restano di supporto. Ma rivendichiamo un minimo di certezze economiche per chi svolge questa attività in maniera esclusiva abolendo l’attuale meccanismo della temporaneità del rapporto di servizio". Il riordino della categoria è stato ribadito nell’ultima "Relazione sull’amministrazione della giustizia in Italia" che il ministro Angelino Alfano ha illustrato lo scorso gennaio al Parlamento. Il progetto del governo si muove lungo tre direttrici: la creazione di uno statuto unico della magistratura onoraria; la rideterminazione delle funzioni dei giudici onorari; e la riorganizzazione dell’ufficio del giudice di pace. "L’intervento – ha spiegato il ministro – è finalizzato anche a contenere la durata del processo entro il termine di ragionevole durata imposto dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, attraverso una migliore organizzazione e gestione delle risorse disponibili". Giacomo Gambassi
2 settembre 2010 I 3.500 magistrati onorari Quei precari in toga fanno giustizia Che in Italia i processi non siano "brevi" lo sanno tutti. Basta chiedere a uno qualsiasi dei milioni di cittadini alle prese con una giustizia troppo spesso sorda e impenetrabile, la cui arcaicità non sembra essere scalfita dagli annunci d’innovazione tecnologica od organizzativa che si succedono di anno in anno. Ancora più velocemente, di mese in mese, si rincorrono le condanne della Corte di Strasburgo per i diritti dell’uomo (organismo del Consiglio d’Europa) nei confronti del nostro Paese per l’"irragionevole durata" dei procedimenti giudiziari civili e penali. Perciò l’intenzione espressa dal governo di snellire i tempi processuali sarebbe da considerare semplicemente doverosa, oltre che ragionevole. Le polemiche, si sa, scaturiscono per lo più dalla norma transitoria (contenuta appunto nel testo sul cosiddetto "processo breve", approvato all’inizio dell’anno dal Senato e da allora fermo alla Camera) che prevede l’applicazione ai processi già in corso, tra i quali ve ne sono un paio che riguardano il presidente del Consiglio. Non è un particolare di poco conto, certo. Ma a voler prescindere da questo (del resto, una proposta simile fu presentata nel 2004 dai Democratici di sinistra) e a voler guardare soltanto alla potenziale efficacia della riforma in questione, c’è da chiedersi se sia sufficiente porre un limite di tempo per assicurare ai cittadini una giustizia che, oltre a essere (relativamente) "breve", sia anche "giusta". È questo, infatti, uno dei principali doveri dello Stato. La risposta non può che essere negativa, in assenza di altri interventi "strutturali", in grado di raddrizzare finalmente i tortuosi e accidentati sentieri che, oggi, il fascicolo di una causa o di un’indagine deve percorrere prima di tagliare il traguardo della sentenza. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano, qualche giorno fa, ha assicurato che troverà le risorse economiche necessarie per riorganizzare il lavoro di procure e tribunali per realizzare nei fatti il "processo breve" o "di ragionevole durata", come sarebbe più corretto dire. Speriamo. Ma servirebbe, in ogni caso, uno scatto ulteriore: bisognerebbe sgravare la bilancia della Giustizia (che, per definizione, dovrebbe essere certa, solida) dal peso della precarietà. Già, perché precari in toga sono i circa 3.500 magistrati onorari di tribunale che ogni giorno, insieme ai giudici di pace, contribuiscono a smaltire in larga parte l’enorme contenzioso di questo nostro Paese, bello, litigioso e cavilloso. Il 98 per cento dei processi penali di primo grado davanti ai giudici monocratici viene celebrato grazie a loro. Anche nelle sedi disagiate, dove le toghe ordinarie, tutelate dal Csm e dall’Anm, non vogliono andare. Per le toghe onorarie, invece, tutele zero, come spieghiamo all’interno del giornale. Lavorano a cottimo: una settantina di euro netti per ogni udienza tenuta. L’attività fuori dall’aula (lo studio dei fascicoli, la scrittura delle sentenze) non viene retribuita, così come i periodi di malattia, di maternità, di ferie. I contributi previdenziali li mette da parte solo chi se li può pagare. L’incarico è a tempo, salvo proroghe. Intanto della riforma organica della magistratura onoraria e dei giudici di pace, annunciata a novembre dello scorso anno e poi oggetto di aggiustamenti (sulla carta) nel corso di incontri tra Alfano, il sottosegretario Caliendo e le organizzazioni di categoria, si sono perse le tracce. Ma senza di loro sarebbe la paralisi definitiva, altro che processo breve... Una giustizia "a tempo determinato", ingiusta con una parte non marginale di coloro che sono chiamati ad amministrarla, fatica a essere credibile agli occhi del cittadino. Danilo Paolini 2010-08-31 31 agosto 2010 POLITICA Processo breve e legge elettorale infiammano il dibattito politico Confronto politico sempre serrato sui temi di una nuova legge elettorale e sul cosiddetto processo breve. Il ministro per la Semplificazione normativa, Roberto Calderoli, non ha dubbi: ""Escludo che ci sia una maggioranza in Parlamento per rivedere la mia legge" e poi chiosa: "La legge elettorale, oltre alla rappresentatività democratica, deve garantire l'imprevedibilità" e il 'porcellum' "ha fatto vincere una volta la sinistra e un'altra la destra. Non favorisce nessuno a priori, a differenza di altre proposte che vedo girare in questi giorni". Per Daniele Capezzone, portavoce Pdl: "È ormai evidente un fatto: la sinistra, l'opposizione e, in particolare, il Pd non ha nè proposte nè un progetto. L'unico collante disponibile resta l'antiberlusconismo, una ostilità tenace, livorosa, già ripetutamente bocciata dal Paese. Una sinistra così non è un'alternativa credibile". Per il processo breve si insiste dalle fila del Pdl: "Il merito del governo Berlusconi è anche quello di volere ridimensionare cifre incivili, che tengono vite e imprese appese decenni in attesa della sentenza e che per questo ci hanno fatto condannare dall'Europa", sostiene il capogruppo alla Camera, Fabrizio Cicchitto. Gli fa eco il portavoce nazionale vicario del partito, Anna Maria Bernini: si tratta di "una delle priorità più evidenti e avvertite dalla gente per tagliare l'ingessatura di processi infiniti, che danneggiano la vita di persone e imprese". Netto il no di Antonio Di Pietro: il termine "processo breve è una truffa mediatica" e il provvedimento proposto dalla maggioranza "non abbrevia il processo, ma i termini dell'impunità e Berlusconi fa politica per assicurarsi l'impunità". Per il leader Idv "in Parlamento sarà la cartina di tornasole del comportamento di tutti: della maggioranza, dell'opposizione e della finta o neo-opposizione interna al centrodestra". Sul fronte della legge elettorale dall'opposizione Michele Ventura, vicepresidente vicario dei deputati del Pd, ammonisce: "Il centrodestra è in difficoltà vera e trascina nella sua crisi l'intero Paese. Il Pd dev'essere la forza trainante dell'alternativa. Noi vogliamo cancellare il 'porcellum', dare agli italiani la possibilità di scegliere chi li rappresenta, dare al Paese un esecutivo stabile e che possa governare sulla base di un programma condiviso". Contro la cosiddetta 'legge porcatà anche il capogruppo Idv alla Camera, Massimo Donadi: "Pdl e Lega difendono la casta. In Parlamento devono sedere gli eletti, non più i nominati". Francesco Rutelli, leader di Alleanza per l'Italia, dice: "Tutto è meno peggio del porcellum, una legge che esiste solo in Italia". Angelo Picariello
31 agosto 2010 IL RAIS A ROMA Gheddafi lascia l'Italia con una coda di polemiche Muammar Gheddafi ha lasciato l'Italia dopo una visita di 48 ore carica di polemiche. L'aereo del leader libico, che indossava una camicia sahariana marrone, è ripartito da Ciampino poco prima delle 13. Il soggiorno a Roma per i festeggiamenti per il secondo anniversario del Trattato di amicizia italo-libico era iniziato domenica con una lezione di Islam a 500 ragazze di un'agenzia di hostess e si è concluso intorno alla mezzanotte di ieri con la cena con oltre 800 invitati. Durante il discorso tenuto in serata, Gheddafi ha chiesto all'Europa "almeno 5 miliardi di euro all’anno per fermare l’immigrazione clandestina". "Abbiamo letto i resoconti della stampa - ha detto il portavoce della vice presidente della Commissione Ue Viviane Reding - ma noi non commentiamo le dichiarazioni di mister Gheddafi". Il portavoce ha comunque ricordato come, "il dialogo resta lo strumento principale per migliorare la cooperazione con le autorità libiche, in particolare per quel che riguarda la situazione degli immigrati irregolari". PER FERMARE I CLANDESTINI, 5 MILIARDI DI EURO ALL'ANNO Le polemiche non hanno senso: "Tutti dovrebbero rallegrarsi" della nuova amicizia fra Italia e Libia, "è stata chiusa una ferita ed è iniziata una vita nuova". Anche sul criticato rapporto con Gheddafi, Silvio Berlusconi non accetta recriminazioni e tira dritto. Malgrado il "rilancio-minaccia" del Colonnello che avvisa l’Europa intera: "Un domani, davanti a milioni di immigrati che avanzano, potrebbe diventare Africa", e allora ecco che servono "almeno 5 miliardi di euro all’anno per fermare l’immigrazione clandestina". Non ha scalfito Berlusconi nemmeno il Gheddafi-show impazzato in questo fine agosto romano (e che, si mormora, ha causato qualche imbarazzo persino dentro il governo). Più delle precedenti 3 visite fatte nel 2009, questa volta il leader della "Gran Giamahiria Araba" non si è fatto mancare nulla (sotto il segno dell’eccesso, se non del puro kitsch) nel suo soggiorno nella capitale: lezioni coraniche quasi esclusivamente per ragazze di bella presenza (reclutate da un’agenzia di hostess e pagate 100-150 euro a testa) e scorta di amazzoni, cavalli berberi e incontri ufficiali, passeggiate serali a piazza Navona con munifiche mance e persino il giallo della tenda (bianca stavolta) dove il Colonnello soggiorna, montata solo 24 ore dopo l’arrivo nel giardino della residenza dell’ambasciatore libico. Il clou è stato la cena offerta da Silvio Berlusconi, accompagnato da 6 ministri, per l’Iftar, cioè per la fine del Ramadan, ieri sera nella caserma dei Carabinieri "Salvo d’Acquisto", a Tor di Quinto, alla presenza di 800 ospiti, soprattutto big dell’economia e della finanza. E qui, dopo il silenzio delle ore precedenti, ci sono stati i discorsi ufficiali dei due leader. Con Berlusconi che, davanti a una visita che celebrava i due anni (Bengasi 2008) dalla firma del Trattato di amicizia e di cooperazione fra i due Stati, dopo le polemiche del periodo coloniale, con il Colonnello al suo fianco, ha affermato che il Trattato "porterà vantaggi per tutti" e "chi non lo capisce appartiene al passato ed è prigioniero di schemi superati". Poi la parola è passata, per oltre 40 minuti, a Gheddafi che (in tunica bianca, nel pomeriggio ne aveva una marrone), dopo aver salutato "il grande coraggio del mio grande amico Berlusconi", ha sfoggiato la sua oratoria ringraziando l’Italia per la condanna del colonialismo, l’ha indicata come degna di un seggio permanente al Consiglio di sicurezza dell’Onu e ha manifestato l’auspicio "che il Mar Mediterraneo sia un mare di pace". Ma per divenirlo realmente bisogna appunto affrontare la questione-immigrazione. D’altronde nella due giorni romana l’ha fatta da padrone il business di quella che è stata ribattezzata la Berlusconi-Gheddafi Spa: in appena 24 mesi il giro d’affari fra i due Paesi è bruscamente salito a qualche decina di miliardi di euro (si dice 40). I due si erano incontrati già nel pomeriggio, per 30 minuti sotto la tenda. Poi, sempre insieme si erano spostati alla vicina Accademia libica, dove hanno disertato un convegno storico ma hanno scoperto una targa e inaugurato una mostra fotografica sulla storia della Libia. Durante la quale, ha poi rivelato Gheddafi, il nostro premier "ha pianto" vedendo orrori che, ha aggiunto il Cavaliere,"tutti dovrebbero vedere" .Orrori commessi da "Mussolini, Graziani e Balbo" che "noi condanniamo", ha precisato Gheddafi. Il rapporto economico procede bene: si parla di ulteriori aperture del mercato libico alle imprese tricolori. "L’incontro è andato bene – ha detto il ministro degli Esteri, Franco Frattini –, abbiamo parlato anche di economia e di come uscire dalla crisi". Fra i dossier esaminati c’è quello di Finmeccanica che dovrà fornire un complesso sistema satellitare per il controllo della frontiera sud della Libia. Si sarebbe poi parlato del coinvolgimento di aziende italiane per la rete ferroviaria ed elettrica (8 miliardi di lavori nei prossimi anni), oltre che per la metro di Tripoli. Di affari si è continuato a parlare intorno ai tavoli imbanditi. Per la cena con spettacolo (c’è stato anche il Carosello dei Carabinieri), sono arrivati nomi di spicco: il direttore generale di Confindustria Galli, il presidente di Finmeccanica Guarguaglini, l’ad dell’Eni Scaroni e quello di Unicredit Profumo, il presidente dell’Enel Piero Gnudi, il presidente di Impregilo (e della banca Bpm) Ponzellini e, per la Fiat, il capo delle relazioni istituzionali, Auci. In mattinata la "Guida della Rivoluzione" aveva tenuto la sua seconda lezione (dopo quella di domenica) di Corano. Solo duecento hostess, stavolta: una decina con indosso il tradizionale velo islamico, una portava appesa al collo una foto del Colonnello. Per le altre, camicetta bianca e gonna nera. L’attenzione di Gheddafi si sarebbe concentrata sul ruolo della donna. Le ragazze hanno riferito che il Colonnello ha spiegato che in Libia i lavori pesanti sono praticati solo dagli uomini. In Occidente invece, ha detto il colonnello, "le donne guidano i treni e lavorano nelle miniere, in Libia non sarebbe possibile". E domenica sera Gheddafi si era concesso una breve passeggiata nel centro di Roma, comprando alcuni anelli da ambulanti tunisini ai quali ha dato 300 euro. (Eugenio Fatigante)
31 agosto 2010 IL RAIS A ROMA "Gheddafi e Islam? Va preso sul serio" Attenzione al Colonnello di Tripoli in visita a Roma. La tenda beduina, le amazzoni che gli fanno da guardia del corpo, le belle ragazze che vuole indottrinare, tutto questo fa parte del solito teatrino di cui ama circondarsi il leader libico. Ma non è solo folklore. "Lo spettacolo sarà anche un po’ ridicolo ma quel che ha detto Gheddafi a proposito di una futura Europa musulmana va preso terribilmente sul serio". È l’opinione di Samir Khalil Samir, islamologo di fama internazionale. Gesuita di origini egiziane, padre Samir è docente al Pontificio Istituto Orientale di Roma, alla Cattolica di Milano e all’università di Beirut, impegnato nel dialogo interreligioso e consulente del Vaticano. E sul presidente della Jiamahiria ha un giudizio molto chiaro. Gheddafi arriva a Roma e dice che l’islam, prima o poi, sarà la religione d’Europa. Se uno andasse a Tripoli e invitasse i cittadini libici ad abbracciare il cristianesimo cosa succederebbe? Scoppierebbe il finimondo ed il malcapitato predicatore verrebbe immediatamente arrestato e condannato per il reato di proselitismo. In Libia, così come in ogni altro Paese islamico, non ci puoi neanche metter piede se sei sospettato di voler esercitare un’attività missionaria. Ma quel che è vietato ai cristiani è un dovere per i musulmani. Non soltanto per i singoli credenti ma anche per gli Stati. Ogni Paese musulmano ha un ufficio per la "Dawa", il termine arabo che indica il proselitismo. La Libia ad esempio ha un ufficio incaricato della "Dawa" per tutto il continente africano. Gheddafi ne ha idelamente aperto uno anche per l’Europa. Qualcuno la considera una buffonata, qualche altro una provocazione. Lei come la vede? Iniziamo col dire che Gheddafi è abituato a tenere simili discorsi. L’ultima volta l’ha fatto davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 23 settembre dello scorso anno. Lui sa bene che, a differenza dei leader degli altri Paesi islamici che non lo degnano di grande considerazione e lo trattano alla stregua di un giullare, i popoli musulmani lo ammirano perchè predica il Corano a tutto il mondo. E devo dire che, dal punto di vista della religione islamica, il suo discorso non fa una grinza. Nei suoi incontri romani ha affermato che l’islam è l’ultima religione rivelata e che per questo ha cancellato il giudaismo e il cristianesimo. Nessun musulmano lo può contraddire. Ma ha pure aggiunto che l’Europa è destinata a diventare islamica. Va preso sul serio?Diciamo che si tratta di una previsione non certo campata in aria. Ed io starei attento a liquidarla come una boutade di poco conto. Guardiamo ai fatti. Gli europei hanno un tasso di natalità molto basso, in media l’1,38%, vale a dire la metà di quello degli immigrati di provenienza extracomunitaria, in gran parte musulmani. I demografi prevedono che entro il 2050 un quarto della popolazione europea sarà islamica. Se il trend non cambia l’Europa un giorno si ritroverà abitata in maggioranza da musulmani. E di fatto, se la Turchia entrerà nella Ue, ciò significherà che un grosso pezzo del mondo islamico, almeno a livello sociologico, farà parte dell’Europa. C’è poi il fattore culturale: nel nostro continente diminuisce progressivamente la pratica cristiana, dilaga l’indifferentismo religioso ed il cristianesimo viene spesso deriso e osteggiato mentre l’islam diventa sempre più propagandistico e intollerante. Mentre noi, permettendo a Gheddafi di tenere il suo discorso a Roma, abbiamo dato una bella dimostrazione di tolleranza... È così, e lo dico senza alcuna ironia. Anche se mi permetto di notare che Roma non è Hyde Park ma la capitale del cattolicesimo. Io penso che dobbiamo fare i conti con la provocazione lanciata da Gheddafi. Dobbiamo svegliarci: qual è l’Europa che vogliamo? Ha un valore e un’influenza solo economica? Forse è proprio per questo che Gheddafi a Roma può dire quel che vuole sull’islam: la Libia è un importante partner economico dell’Italia, meglio non contrariarla... Capisco queste considerazioni, ma dobbiamo agire con coerenza. Non possiamo riempirci continuamente la bocca di belle parole sui diritti umani quando ci rivolgiamo all’interno dell’Europa, e poi far finta di niente con un capo di Stato straniero che è al potere da 41 anni e spesso ha mostrato disprezzo per i dirtti fondamentali della persona umana. Lo ha dimostrato anche recentemente con centinaia di eritrei rinchiusi nei campi di detenzione. Lui non parla solo di affari, si atteggia a predicatore dell’islam. Qualcuno gli faccia notare che per noi gli affari non sono tutto. Luigi Geninazzi
31 agosto 2010 IL RAIS A ROMA Opposizioni contro. E il Pdl si divide Il ghibli causato dalla visita del colonnello Gheddafi si insinua non solo nei rapporti tra maggioranza e opposizioni. Ma squaderna le ante già ben fessurate dei rapporti tra Silvio Berlusconi e finiani. L’Italia dei valori prende l’immagine simbolo della visita alla lettera e alla tenda installata nel giardino dell’ambasciata di Tripoli a Roma ne contrappone una "della legalità" davanti alla sede di rappresentanza della Gran Jamahiria. Le Forze dell’ordine la fanno, però, spostare e i dipietristi replicano più tardi davanti alla caserma dove si esibiscono i cavalli berberi. Folklore chiama folklore, si dirà. Però a far indignare gran parte dei politici - oltre allo stile del rais libico e ai suoi sermoni sull’islam - sono anche i silenzi sul tema dell’immigrazione e dei diritti umani. Tutte questioni che vengono sollevate non solo da Pd, Udc, Idv e sigle della sinistra. Ma anche dallo schieramento di centrodestra. A partire da esponenti di Futuro e libertà come Souad Sbai, che invita a scindere il lato economico da quello degli "atti gratuiti di folklore presuntuoso, pretestuoso e umiliante verso la cultura millenaria occidentale". O Carmelo Briguglio che parla di "inopportune esternazioni" che rischiano di provocare dissidi con Stati Uniti e Vaticano. Considerazioni condivise da alcuni esponenti del Pdl. Da Isabella Bertolini ("inutile provocazione") a Enrico La Loggia, che si chiede quando il leader islamico "farà un appello per la libertà di culto nei paesi islamici". Anche il sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi ritiene che all’amico Gheddafi vadano "dette parole di verità" e che in questo caso abbia mancato di rispetto agli italiani, in maggioranza cattolici. Altra cosa i successi, sottolineati dalla Craxi e da Mario Valducci: sbocchi per le nostre aziende e contrasto all’immigrazione clandestina. Terreni sui quali sempre duro è lo scontro con le opposizioni. Per il segretario del Pd Pier Luigi Bersani il problema - che ci tiene "fuori dai Paesi che contano" - non è tanto il "teatrino" di Gheddafi quanto quello "della politica estera di Berlusconi, dove tutto è concepito nel rapporto tra amici". Di nominare Putin e Lukaschenko (autocrate bielorusso) si incarica il senatore Luigi Zanda, per il quale non si riesce a distinguere dove finiscano gli interessi del Paese e inizino quelli del premier. Gheddafi fa "la star in casa nostra perché Berlusconi tutela l’ennesimo conflitto di interessi", rincara la dose Antonio Di Pietro. Tranchant Ferdinando Adornato (Udc): tutte le democrazie sono al bivio tra affari e diritti umani. Lui non crede "che nel trattato di cooperazione tra Italia e Libia questo secondo aspetto sia stato rispettato". Dura replica del ministro degli Esteri Franco Frattini: "Gente che non conosce affatto né la politica estera, né gli interessi dell’Italia. Da questa opposizione non ci aspettiamo niente". Il senatore Pd Roberto Di Giovan Paolo, poi, mette sul tavolo il tema dell’immigrazione, dei respingimenti e in particolare delle "condizioni di vita degli stranieri nei centri di permanenza di Tripoli". Anche l’auspicio di un’Europa islamica è visto come una "provocazione" dal numero due del partito, Enrico Letta, che sfida Governo e Lega. Così come l’udc Rocco Buttiglione che giudica il silenzio del primo "allucinente". Savino Pezzotta si dice "offeso e indignato dall’ipocrisia" e dall’"indifferenza" di chi si è proclamato in passato paladino delle radici cristiane o della laicità. Dal Carroccio poche voci. Il sindaco di Verona Matteo Tosi elogia Gheddafi ("animale politico eccezionale"). Massimo Polledri, invece, gli chiede reciprocità. Mentre Claudio Morganti gli intima di "predicare a casa sua". E la Padania a tutta pagina oggi titola "L’Europa sia cristiana", indicando il "rischio Turchia". Colorito, come sempre, Mario Borghezio, per il quale quella del libico è la filosofia del "mercante di tappeti". Che con il vento si sa volano meglio. Gianni Santamaria
31 agosto 2010 POLITICA E GIUSTIZIA Sul processo breve guerra di nervi Pdl-Fli Processo breve, lunga gestazione. Numeri alla mano non dovrebbe bastare il secondo passaggio alla Camera, dove il gruppo dei finiani è decisivo. Il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi, uno dei deputati più ascoltati da Silvio Berlusconi, ammette che l’argomento non fa parte del programma di governo, "ma – avverte – è un punto fondamentale perché i processi non possono durare un’eternità". E aggiunge: basta con i tira e molla, "ognuno si dovrà assumere le responsabilità. Arriverà un momento in cui si dovrà votare la fiducia e si voterà su tutti e 5 i punti". Prendere o lasciare, insomma. Per la Lega Roberto Maroni resta però "ottimista", e si dice convinto che, sulla gisutizia, queste "sono cose che si dicono durante la trattativa". Ma Italo Bocchino, che è il capogruppo di Fli a Montecitorio, avverte a nome di Gianfranco Fini qul è la trattativa: "La Camera non è l’ufficio notarile del Senato", dice. Pasquale Viespoli, capogruppo di Fli al Senato, e capofila delle "colombe", aveva definito il testo approvato a Palazzo Madama "una buona base di discussione". Il testo va cambiato (anche se con con un eufemismo dice "approfondito"), e per due ragioni: "Servono mezzi, risorse e strumenti perché una cosa è dire "facciamo i processi in tempi più brevi" e una cosa è farli". L’altra ragione risiede nella norma transitoria sui processi in corso. "Siamo favorevoli a uno scudo per Berlusconi, vittima di un’aggressione, ma non a fare venire meno, dalla sera alla mattina, 4-500mila processi". Ma per il il capogruppo alla Camera del Pdl Fabrizio Cicchitto "sollevare questioni di lana caprina non aiuta il buon esito dei rapporti che invece vanno chiariti in modo definitivo". "Berlusconi passa dal Lodo Alfano al processo breve perché vuole una norma che lo tuteli anche quando non sarà più presidente del Consiglio", attacca il capogruppo del Pd Dario Franceschini. Ma, a ingarbugliare ulteriormente le cose, c’è anche del rischio, di cui si parla, di una possibile bocciatura della Consulta del legittimo impedimento, il che – senza la norma transitoria inserita nel testo del processo breve e finita al centro delle polemiche – lascerebbe le alte cariche senza più alcuno scudo nei processi in corso. "Dai finiani ci aspettiamo coerenza", ribadisce il segretario del Pd Pierluigi Bersani. Da Palazzo Chigi, invece, trapela un Berlusconi che dagli uomini di Fini si aspetta "chiarezza". E la formazione del presidente della Camera, che ancora non è partito, si ritrova ad essere vero e proprio ago della bilancia, posta l’indisponibilità dell’Udc (confermata da Pier Ferdinando Casini) che sul processo breve ha già votato contro, al Senato. Inutile girarci intorno, allora, il tema diventa la possibile apposizione della questione di fiducia. Ma anche su questo Fini (che in questi giorni di ferie si è visto più volte con la presidente della Commissione Giustizia Giulia Bongiorno) studia le contromosse. "I nostri – spiega il deputato Aldo Di Biagio – sono rilievi di buon senso. Noi potremmo anche ridurli al minimo, e non credo che avranno il coraggio di aprire la crisi solo sulla norma transitoria per i processi in corso. Come lo andrebbero a spiegare agli italiani?". Angelo Picariello
30 agosto 2010 LA VISITA E LE POLEMICHE Gheddafi: "In Libia, donne più rispettate che in Europa" Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha lasciato poco dopo le 19 la residenza dell'ambasciatore libico a Roma, dove insieme al leader africano Muammar Gheddafi ha inaugurato l'Accademia libica a Roma. Il premier che ha tenuto un colloquio privato con Gheddafi di circa mezz'ora, nel quale si è discusso di politica internazionale ed economia, era accompagnato dal ministro degli Esteri, Franco Frattini, e dai sottosegretari alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta e Paolo Bonaiuti. FESTEGGIAMENTI E POLEMICHE Festeggiamenti e polemiche nella visita di Muammar Gheddafi a Roma. Dopo lo show domenicale con le hostess e l'invito all'Europa a convertirsi all'Islam, il leader libico stamattina ha tenuto un secondo incontro all'Accademia libica con le ragazze dell'agenzia Hostessweb (stavolta però 200 e non più 500) durante il quale, secondo quanto riferito da una delle ragazze, Gheddafi ha evidenziato che "in Libia la donna è più rispettata che in Occidente e negli Stati Uniti" Nel pomeriggio Gheddafi ha scoperto una targa all'Accademia insieme al premier Silvio Berlusconi in cui si auspica che l'istituto sia "un continuo ponte culturale e civile tra i due Paesi". Berlusconi e Gheddafi si sono poi recati nei locali dell'Accademia dove era allestita una mostra fotografica che rappresenta il primo evento dell'attività dell'Accademia libica a Roma. Nel successivo colloquio, a cui ha partecipato anche il ministro degli Esteri Franco Frattini, si è parlato della presenza delle imprese italiane in LIbia, di Medio Oriente, Africa e crisi internazionale. In serata, si tengono i festeggiamenti per l'anniversario del Trattato di amicizia, con lo spettacolo di 30 cavalli berberi e il carosello dei Carabinieri nella caserma Salvo D'Acquisto. Seguirà l'Iftar - il pasto che spezza il digiuno imposto ai musulmani dal mese di Ramadan - offerto al leader libico e agli altri 800 invitati. Fra questi, ci saranno nomi di spicco del mondo dell'industria e della finanza italiana. Tra i partecipanti sono previsti il direttore generale di Confindustria Paolo Galli, il presidente e amministratore delegato di Finmeccanica Pier Francesco Guarguaglini, l'amministratore delegato dell'Eni Paolo Scaroni e il numero due Claudio Descalzi, il presidente dell'Enel Piero Gnudi, l'amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo, il presidente di Impregilo Massimo Ponzellini e l'ad del gruppo Alberto Rubegni. "ITALIA RIDOTTA A DISNEYLAND" Dopo le critiche arrivate dall'opposizione e da ambienti cattolici alle uscite di Gheddafi, liquidate come "folklore" da Berlusconi, è scesa in campo FareFuturo. La fondazione vicina a Gianfranco Fini ha parlato di un'Italia ridotta "a Disneyland di Gheddafi". La sezione italiana di Amnesty International ha scritto una lettera a Berlusconi per ricordare le "gravi violazioni" dei diritti umani in Libia e per chiedere che questo tema sia messo al centro dei colloqui e dei rapporti bilaterali. Anche il sottosegretario agli Esteri, Stefania Craxi, ha espresso "perplessità" per alcuni atteggiamenti di Gheddafi e lo ha invitato a non mancare di rispetto "ai cittadini italiani, in grande maggioranza cattolici". Ma per il fratello ed ex collega, Bobo Craxi, si tratta di "polemiche un pò esagerate" e "agitate da chi preferisce i marines armati alle letture del Corano in periodo di Ramadan, o magari canticchiare Tripoli, bel suol d'amore". "È inimmaginabile per qualsiasi paese europeo guidato dalla destra offrirsi per costruire un palcoscenico a Gheddafi e per far sfilare 500 ragazze a pagamento mandate da un'agenzia per far finta di essersi convertite all'Islam. C'è di mezzo la dignità di un paese e la dignità delle donne italiane". Lo ha dichiarato Dario Franceschini, capogruppo del Pd alla Camera, alla Festa nazionale del partito a Torino.
2010-08-30 30 agosto 2010 GENOVA Bagnasco: "Trascurare la famiglia significa sgretolare la società" "Trascurare la famiglia, ad esempio nelle sue esigenze economiche, significa sgretolare la società stessa": lo ha ribadito l'arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, nell'omelia domenica pronunciata al santuario della Madonna della Guardia durante le celebrazioni per il 520/mo anniversario dell'apparizione della Vergine a un contadino. "Per contro - ha proseguito l'alto prelato - mettere in atto delle politiche adeguate ai reali bisogni della famiglia perché possa avere dei figli, significa guardare lontano, assicurare un corpo sociale equilibrato. Non si finirà mai di insistere perché le misure siano sempre più aderenti ed efficaci alla reltà della famiglia grembo della vita". L'arcivescovo di Genova ha anche osservato che se "l'Italia non gode di buona salute sul piano della natalità", "la Liguria si trova nelle primissime posizioni in quella che è una vera corsa verso la morte". "Per la verità - ha proseguito - i segni di una ripresa esistono anche da noi, e non solo grazie agli immigrati. Ma l'inversione di tendenza non è ancora decisa". "Il mondo - ha detto il cardinale Bagnasco - può guardare con fiducia al futuro finché un uomo e una donna uniranno le loro vite per sempre nel vincolo del matrimonio". "La famiglia fondata sul matrimonio, e in modo tutto speciale nel sacramento, è una prova che Dio continua ad amare il mondo, che ha fiducia nell'uomo, che esiste il futuro, che l'amore e la speranza sono più forti del male".
30 Agosto 2010 GOVERNO Processo breve, Pdl in pressing L'Udc: "Così non la votiamo" Pressing di Silvio Berlusconi sui finiani: al centro, questa volta, le misure per il processo breve, che il Pdl pretende siano approvate rapidamente e in via definitiva dalla Camera. A Futuro e Libertà, che chiede di aprire un confronto proprio su questo tema, non resta quindi che votare a scatola chiusa. Insistere, spiega il vicepresidente dei deputati del partito del premier Osvaldo Napoli, "vuol dire sbarrare alla legislatura". Il tema della giustizia con il provvedimento sul processo breve si conferma quindi il primo scoglio da superare per la prosecuzione della legislatura.
Ma i finiani in queste settimane non hanno certo nascosto di avere dubbi proprio su questo fronte e c'è chi come Carmelo Briguglio già annuncia di essere pronto a "votare no se il testo non cambia". Certo a ora si tratta di una posizione personale ma è anche vero, dice, che "questo provvedimento non pare compatibile con la linea di rigoroso rispetto della legalità che ha intrapreso il presidente Fini". D'altro canto anche altri, a partire dal capogruppo di Fli a Montecitorio Italo Bocchino, mostrano più di qualche perplessità: il nodo è rappresentato dalla norma transitoria, che rischia di essere "un'amnistia mascherata". Un timore, quest'ultimo che, sono convinti sempre i finiani, sarebbe condiviso da Napolitano. "Non sapevo - ironizza il deputato del Pdl Amedeo Laboccetta - che l'onorevole Bocchino fosse diventato il nuovo portavoce del Quirinale". Ma a tirare in ballo il Colle è anche il presidente dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri che ricorda come nel 2006 il Pd, di cui Napolitano era un esponente, "propose un'ampia amnistia a causa della quale si rischia di celebrare molti processi che poi non porteranno a condanne". Quindi, aggiunge, "sicuramente il presidente Napolitano ricorderà quelle scelte e saprà valutare con equilibrio le decisioni del Parlamento di oggi". In realtà, la situazione è in divenire e dunque, si fa notare in ambienti parlamentari, il Colle per ora non può che aspettare e vedere cosa accade non potendo in nessun modo intervenire fino a quando, a confronto terminato, ci sarà un testo da vagliare.
Per Fabrizio Cicchitto è evidente comunque che non si può sommare alla "situazione assai contraddittoria a livello di partiti e di gruppi una linea ambigua" sui problemi di contenuto all'interno dei 5 punti programmatici (tra cui ci sono giustizia e processo breve). Sarebbe un comportamento, preannuncia, "inaccettabile" che porterebbe "solo a disastri". Mentre la maggioranza continua a "contarsi", le opposizioni intanto si schierano compatte contro il processo breve. Il Pd e l'Italia dei Valori assicurano che in Parlamento sarà battaglia durissima, convinti che il processo breve sia l'ennesima dimostrazione che "al centrodestra interessano solo - afferma il capo della segretaria dei Democratici Filippo Penati - i problemi personali del Presidente del consiglio, delle sue aziende e dei suoi amici". E dice no anche l'Udc che pure ribadisce la disponibilità a pensare ad una tutela delle alte cariche. "Cancellare centinaia di processi per farne finire uno o due - spiega il leader centrista Pier Ferdinando Casini dalle colonne del "Corriere" - sarebbe però una follia".
2010-08-27 28 agosto 2010 IL J'ACCUSE DEL LEADER PD "Il governo non arriverà a fine legislatura" "Questo governo non finirà la legislatura. Non lo dico solo adesso; è da un anno che lo ripeto". Pierluigi Bersani arriva in veste di ospite di lusso e collaudato, ma fuori programma quest’anno, al Meeting. Secca, dall’altro lato della Fiera, arriva la replica di Roberto Calderoli, che invece nel programma di quest’anno c’era: "Bersani non ne azzecca una, e se tanto mi da tanto questa è la migliore garanzia che arriveremo a fine legislatura", ironizza il ministro della Semplificazione. E, prima di intervenire all’incontro sulla mostra del Buon governo del pittore Ambrogio Lorenzetti, infierisce ancora sul segretario del Pd: "Forse ha sbagliato festa, visto che non l’avevano invitato". No, non ha sbagliato (anche se alle 19 e 30 è atteso nella vicina Ravenna, alla festa democratica) e d’altronde l’arrivo di Bersani era annunciato da giorni a Rimini nei tam tam. "Io vengo qui da sempre", ricorda subito. Appena arrivato, intorno alle 17 e 30, per lui un breve incontro nel salottino riservato agli ospiti, dieci minuti poi a chiacchierare con il presidente della Compagnia delle Opere Bernard Scholz nel suo stand, poi un’immersione nei padiglioni della Fiera in compagnia dell’imprenditore turistico padovano Graziano Debellini, scortato a distanza da un paio di volontari, niente a che vedere con le tradizionali catene umane dei volontari in maglietta rossa, in grado di tener lontana la ressa dei giornalisti. E invece la scorta a Bersani, al Meeting, quest’anno, la fanno proprio i cronisti, con lui che non si sottrae certo a taccuini e microfoni. "Non so mettere appuntamenti - risponde, sulla durata del governo -, ma già adesso si vede il profondo disfacimento della maggioranza. E la mia analisi prescinde da quest’agosto vergognoso". Gli chiedono allora degli scenari possibili, all’orizzonte. "Non so, in caso di crisi decide il Quirinale", premette. Ma serve: "un’altra Italia che riprenda la spinta e la fiducia di poter crescere per lasciarsi alle spalle Berlusconi". E sulle possibili alleanze "non ho sentito dei no - dice -, ho sentito semmai un sacco di sì: così tanti che non me li aspettavo neanche io. E da tutti i lati", avverte. Non si fa attendere la replica di Palazzo Chigi, affidata a Paolo Bonaiuti: "Bersani è sceso a Rimini direttamente dalla Luna e ha detto che vuole subito una bella ammucchiata di vecchia politica per un’altra Italia, ovviamente senza Berlusconi voluto dalla maggioranza degli italiani... non poteva restare un altro po’ sulla Luna?", controbatte il portavoce del premier. Ma Bersani insiste, spera anche nel ruolo di Gianfranco Fini: "Non mi aspetto particolari risposte, ma si può discutere con lui di temi costituzionali che definiscono le regole del gioco", spiega. Parla di "riscossa civica" si dice soddisfatto del sì arrivato da Prodi al "nuovo Ulivo". E anche dell’attenzione di Casini: "Ha capito il senso della mia proposta". Accoglienza cordiale, per lui dalla gente del Meeting che ben lo conosce, qualche freddezza, a tratti lo scorta anche il deputato Maurizio Lupi, ma quando si rifanno sotto i giornalisti il vicepresidente della Camera, fa più di un passo indietro, come a non essere coinvolto negli attacchi politici che il segretario del Pd invia. A un certo punto, Bersani, si fionda fiducioso nella mostra sul lavoro possibile in tempi di crisi, ma l’illusione di essersi infilato nella ridotta "laburista" del Meeting dura poco, fin quando gli rivelano che a spiegargli la mostra è Andrea Lupi, uno studente di economia, che - vedi combinazione - è proprio il figlio del vicepresidente della Camera. Difficile fare proseliti, insomma, ma lui ci prova lo stesso: "Come fai a frequentare quel signore lì", dice indicando il papà, che da lontano sorride. Piccoli miracoli del Meeting. Angelo Picariello
28 agosto 2010 LA PROPOSTA DI MARCHIONNE "Il patto sociale? Subito Ma con fisco e riforme" Pronti per il nuovo Patto sociale proposto da Sergio Marchionne? La Cisl è nata pronta. Lo chiediamo da tempo: un nuovo patto si deve fare. È interesse dei lavoratori, è una necessità per il Paese. Il discorso, però, va allargato ben oltre il tema delle nuove relazioni industriali". Il leader della Cisl Raffaele Bonanni non solo accetta la sfida lanciata ieri dall’amministratore delegato della Fiat, ma rilancia alzando la posta in gioco. Segretario, il nuovo patto sociale è solo uno scambio tra certezza dell’occupazione e maggiore flessibilità o c’è dell’altro? Dobbiamo partire dalla necessità di superare la cultura del conflitto e dell’antagonismo nel lavoro per rafforzare il nostro sistema produttivo, far crescere le aziende e i salari. La globalizzazione ha cambiato profondamente il sistema economico e non possiamo far finta di nulla. Il benessere complessivo del Paese è sfidato: non c’è redistribuzione senza produzione della ricchezza, non c’è solidarietà senza capacità di far fruttare i talenti. E non ci sono diritti scolpiti nella pietra, immutabili, che possono garantire le persone, se si manca di essere produttivi e competitivi. Proprio per questo, però, si possono e si devono cambiare i rapporti tra capitale e lavoro nelle imprese. Il nostro orizzonte ideale rimane quello, storico, di un sistema pienamente partecipativo. Intanto, però, registro con estrema soddisfazione che concetti come la bilateralità e il collegamento dei salari agli utili d’impresa siano ormai entrati nella riflessione comune e addirittura "sponsorizzati" da parte del governo. Quale ruolo possono giocare il governo e le forze politiche? Anzitutto l’esecutivo deve governare. E poi, maggioranza e opposizione, sono chiamati a fornire indirizzi chiari di contrasto alla crisi. Occorre incidere su quei fattori di sistema che frenano la nostra competitività, sono piombo nelle ali dell’impresa e nei portafogli dei lavoratori. Penso ad esempio al peso dell’apparato amministrativo, pletorico, che non si è avuto il coraggio di intaccare, come dimostra la questione della mancata abolizione delle Province. E, ancora, alla necessità di privatizzare le municipalizzate, liberalizzare i servizi, abolendo i monopoli di fatto, investire nelle infrastrutture necessarie. Ma soprattutto c’è da affrontare il nodo decisivo del fisco. I tempi sono incerti, che cosa chiedete? Occorre accelerare per ridurre le imposte su lavoratori e pensionati, sulle famiglie, ma anche sulle imprese. Perché, dobbiamo riconoscerlo, non è possibile che le aziende italiane paghino il doppio delle tasse rispetto ai loro concorrenti in Europa, non nei Paesi in via di sviluppo. Vanno premiati i comportamenti virtuosi, come quelli delle imprese che investono soldi veri nella ricerca e nello sviluppo delle attività. Poi dobbiamo riequilibrare il prelievo, spostandolo dai redditi dei lavoratori ai consumi: chi ha di più, consuma di più e deve pagare più imposte. L’intera operazione si finanzia con una lotta senza quartiere all’evasione fiscale. Grazie alle pressioni esercitate da Cisl, Uil e imprese, sono state introdotte le norme sulle tracciabilità dei pagamenti e il nuovo redditometro. E a settembre proporremo una nuova iniziativa unitaria tra sindacato e imprese. Si riparla di una legge sulla rappresentanza sindacale: la Cisl è d’accordo? Abbiamo già dato la nostra disponibilità a stringere un accordo con le altre parti sociali per regolare definitivamente questa materia. Poi se ritiene il Parlamento potrà recepire quell’intesa come un avviso comune e trasformarla in legge. La Cgil, però, non deve farsi condizionare dalla Fiom, tentando di invertire questo percorso. C’è chi paventa che la Fiat alla fine esca dal contratto nazionale dei metalmeccanici, mirando a cancellarlo. Non sarà questo l’epilogo. Le esigenze delle Fiat, e delle altre imprese, possono essere affrontate e risolte gestendo in maniera flessibile i contratti e se necessario concordando deroghe. Ma la cornice di garanzia del contratto nazionale resterà valida. E questa è la linea sulla quale ci stiamo confrontando con Confindustria. Francesco Riccardi
2010-08-26 26 agosto 2010 INTERVENTO Berlusconi: "No ad alleanze dalle prospettive incerte" Il governo andrà avanti con la sua "politica del fare" senza farsi distrarre dalle chiacchiere estive e dovrà ottenere la fiducia parlamentare sui 5 punti del programma da parte di "tutti" gli eletti nelle liste Pdl. Il giorno dopo il vertice con il leader della Lega Umberto Bossi - che ha raffreddato l'ipotesi di voto anticipato ma anche di un allargamento della maggioranza all'Udc - il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, detta la linea con un messaggio ai Promotori della Libertà. "Al di là dei dibattiti politici estivi, dobbiamo tenere un punto fermo: le innovazioni che abbiamo introdotto nella politica restano, non perché lo diciamo noi, ma perché questa è una conquista della gente e la gente giustamente non accetterebbe mai di tornare indietro. Andiamo avanti, quindi, sulla strada della novità e della semplificazione, su quella realizzazione concreta delle promesse elettorali che resta l'unico punto di aggancio vero nei confronti dei nostri elettori", sollecita i propri supporter il premier. E dichiara: "I cinque punti che il Popolo della Libertà e il Governo intendono portare con priorità in settembre dinnanzi alle due Camere, confermando tutto il programma approvato dagli elettori, sono la continuazione concreta di una politica tutta tesa ai fatti: su quei punti e per quei punti sono stati eletti tutti i rappresentanti del Popolo della libertà che su quei punti e per quei punti saranno chiamati ad impegnarsi per portare a termine una legislatura fruttuosa e feconda di risultati positivi. Sono sicuro che questo debba avvenire ed avverrà. Tutto il resto sono soltanto chiacchiere, chiacchiere e basta". Il premier si schiera anche contro ipotesi di "ammucchiate fuori del tempo". "È vero che siamo in estate, ma agli italiani alcune idee chiare e precise non vengono certo offuscate dai calori estivi... Il ritorno della vecchia politica perciò è il tentativo di riaprire un teatrino che ormai non trova più spettatori", scrive Berlusconi. E retoricamente domanda: "Come si può pensare, nell'anno di grazia 2010, a resuscitare alleanze dal collante incerto, dai programmi ancora più incerti, dalle prospettive addirittura incertissime?". Stamani il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, ha auspicato la creazione di un nuovo Ulivo di centrosinistra e la costituzione di una alleanza democratica in funzione antiberlusconiana per quando si tornerà alle urne. Due giorni fa l'ex leader Pd aveva invece respinto la possibilità di "sante alleanze".
26 agosto 2010 LA RIPRESA SOTTO LA LENTE Tremonti: "Ora riparta il cantiere delle riforme" È il momento "di riaprire il cantiere delle riforme e delle cose da fare". Di "tornare a ragionare sulla riforma fiscale, con l’obiettivo di semplificare le aliquote e mettere in campo agevolazioni per famiglia, lavoro e ricerca". Giulio Tremonti arriva in forma al Meeting e rilancia le otto priorità per agganciare la ripresa e mettersi al passo degli altri. Ma sulla riforma fiscale, e sui tre settori da agevolare che prospetta, indica con forza la priorità della tenuta dei conti, invitando a diffidare da chi prospetta soluzioni del tipo "oggi da bere per tutti, al bar, e poi non si sa chi paga". Insomma, par di capire, il quoziente familiare è nel programma, e del resto già lo era: "Avevamo cominciato questo impegno, poi è arrivata la crisi greca e la nostra attenzione è stata distolta". Adesso occorre "studiare e fare i giusti calcoli, perché – avverte – è il politico che firma l’assegno, ma se è scoperto sono le famiglie che lo pagano". Tremonti comunque rivendica che "siamo orgogliosi e convinti della politica che con il governo abbiamo fatto". Il titolare di via XX settembre annuncia poi che potrebbero essere le Poste il luogo per una sperimentazione della "politica di combinazione tra capitale e lavoro con una remunerazione calcolata sugli utili delle imprese". Inoltre Tremonti – in un riferimento indiretto colto dalla platea al caso-Fiat di Melfi – afferma che "una certa quantità di diritti e regole è un lusso che non ci possiamo più permettere: il rischio è avere i diritti perfetti ma poi la fabbrica va da un’altra parte". E il mondo economico appare sollevato dell’esito del vertice del Lago Maggiore, che sembra allontanare la prospettiva del voto. "Sono soddisfatta", dice Emma Marcegaglia appena concluso il suo intervento, alle 17 e lo stesso dirà un’ora dopo al ministro dell’Economia in un breve colloquio alla Fiera di Rimini. "La nostra posizione è molto chiara – ribadisce Marcegaglia – il governo deve governare e portare avanti il programma". Di più: "Se non vengono portate avanti le riforme – rimarca – sarebbe un tradimento della gente seria che nel nostro Paese vuol fare le cose". E avverte: "Alla politica chiediamo concretezza. Non ci interessano cognati, appartamenti e amanti, ma lavoro e occupazione. Compostezza del comportamento, nello stile e nel linguaggio", aveva attaccato nel suo intervento. Poi, nel pomeriggio le notizie più rassicuranti dal Lago Maggiore; gli industriali però hanno chiaro che la legislatura resta a rischio: "Ma non si può accettare di vivacchiare, si devono fare delle scelte: l’economia ha bisogno di crescere". Ma se in mattinata Roberto Maroni era andato all’attacco dei "poteri forti" che avevano attaccato la classe dirigente, da Passera a Montezemolo ("la leggo come un’autocritica visto che anche loro sono classe dirigente"), ieri al Meeting, dal mondo economico sono arrivati solo incoraggiamenti al governo, come ribadito dal presidente delle Assicurazioni Generali Cesare Geronzi: "Il governo ha il dovere di andare avanti", dice Geronzi. Sulla stessa linea anche l’amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni: "L’Italia ha retto bene. Ora vada avanti". Angelo Picariello
26 agosto 2010 FACCIA A FACCIA Berlusconi convince Bossi: si va avanti "Umberto, capisci, non si possono buttare due anni di lavoro". Berlusconi guarda dritto negli occhi Bossi. E a bassa voce gli ripete che votare ora sarebbe un "errore imperdonabile". Non c’è tensione nella villa del Cavaliere sul lago Maggiore. Il premier parla, il gruppo di comando della Lega ascolta in silenzio. Duecento minuti più tardi Umberto Bossi lascia il vertice e tutto è meno confuso. "Si va avanti così ma senza l’Udc nella maggioranza", ripete il Senatur davanti a taccuini e telecamere. È in quelle dieci parole (le uniche ufficiali) il senso della giornata politica. Eppure dietro i cancelli di villa Campari c’è un’altra novità che prende forza. C’è Berlusconi che ammette tutti i rischi legati a un voto anticipato senza Fini. Che spiega a Bossi che in tre regioni (Sicilia, Puglia, Campania) Fli potrebbe arrivare all’otto per cento e a quel punto addio maggioranza al Senato. Che torna a ripetere di non capire il muro contro Casini: "Umberto, l’Udc rimane all’opposizione, ma certamente ammetterai anche te che le loro posizioni non sono quelle di Bersani, di Di Pietro. C’è già una convergenza su alcuni temi molto significativi... Bisogna ragionare...". Bossi scuote la testa, Berlusconi allora lo incalza: "Se cade il governo chi si prende la responsabilità?". Per qualche istante c’è silenzio. Non parla nessuno. Non parla Ghedini, non parla Verdini e non parlano gli uomini del Carroccio. Poi Calderoli azzarda: "Con Fini parliamo noi". Questa è la novità inattesa: sarà la Lega a mediare. A far ragionare Fini in vista del voto sul documento programmatico previsto alla riapertura delle Camere a settembre. Sarà Calderoli (o magari lo stesso Bossi) a sedersi davanti al presidente della Camera per capire se questa legislatura arriverà fino in fondo con il sostegno leale dei finiani. Insomma si va avanti. Nonostante l’avvertimento sussurrato da Maroni: "Credo ci sia in corso una operazione per far fuori Berlusconi". Nonostante i dubbi della Lega su un voto che loro avrebbero preferito già in autunno. Berlusconi però dice no e allora si va avanti. Senza l’Udc. Perchè l’Udc - per dirla con Cesa - non ha nessuna intenzione di far aggiungere un posto al tavolo della maggioranza. E perché anche Berlusconi capisce che è prematuro ipotizzare un ritorno dei centristi nell’area di governo. Oggi è, infatti, la stagione delle convergenze programmatiche, ripete il Cavaliere che poi confessa il suo obiettivo: abbiamo davanti tanti mesi per diluire le incomprensioni tra Lega e Udc e per immaginare una riedizione della Casa della Libertà. È iniziato il percorso della verifica vera. E la palla è nelle mani della Lega. Si muoveranno per capire in tempi brevissimi (ora Berlusconi è deciso a votare il documento programmatico prima possibile) la posizione di Fini e dei suoi sui temi dell’attualità politica: la giustizia e il federalismo su tutti. È una svolta e a fine giornata il premier, di nuovo a villa san Martino ad Arcore, sembra sereno. "Ha prevalso la ragionevolezza: Umberto ha capito, ora aspetto Fini. Perché è ancora possibile chiudere la legislatura con nuovi risultati". E una conferma del nuovo clima si agita, a tarda sera, dietro le parole di Calderoli: "È stato un agosto allucinante sotto l’aspetto del dibattito politico... Pensare che tutta la vita del presidente della Camera ruoti attorno a Montecarlo credo sia un brutto modo di fare politica". È un primo segnale, ma la missione della Lega è già partita. Arturo Celletti
26 agosto 2010 UNA NUOVA FASE IN QUESTA LEGISLATURA L'ora delle priorità e della responsabilità L'incontro tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi ha prodotto la decisione di andare avanti con il governo, per verificare se, pur nelle angustie determinate dalle rotture all’interno del Popolo della libertà, sia possibile realizzare i punti del programma ridefiniti recentemente. Si tratta di una scelta pressoché obbligata, perché il mandato elettorale, al quale Bossi e Berlusconi si appellano costantemente, non conferisce solo il diritto, ma anche il dovere di governare, almeno finché ne sussistono le condizioni. Il punto politico principale ora diventa la capacità del centrodestra di assicurarsi un sostegno parlamentare sufficiente, il che implica un atteggiamento di apertura e di dialogo che superi le pretese (rivelatisi spesso illusorie) di autosufficienza del passato. Non si tratta in tutta evidenza di allargare qui e ora la compagine di governo a forze come l’Udc di Casini o l’Api di Rutelli – che peraltro non lo hanno mai chiesto e hanno anzi ricordato sempre il ruolo di opposizione loro assegnato dagli elettori – ma di cercare consenso o neutralità su singoli provvedimenti in quell’area dell’opposizione. L’Unione di centro e l’Alleanza per l’Italia considerano, infatti, prioritario l’interesse del Paese e non la "cacciata di Berlusconi", come dicono invece Antonio Di Pietro e Pierluigi Bersani. E la situazione del Paese, come aveva sottolineato il presidente della Repubblica, sarebbe messa a rischio da un vuoto di potere mentre continuano crisi economica e turbolenze dei mercati internazionali e ci sono da affrontare temi urgenti, compresa una ridefinizione delle relazioni industriali che eviti l’incancrenirsi di situazioni di muro contro muro come quella che si sta verificando alla Fiat di Melfi. Nei temi programmatici che saranno sottoposti alla verifica parlamentare c’è materia per cercare nuove convergenze. Il carattere concreto del federalismo, che Roberto Calderoli ha assicurato avrà caratteri coesivi e lo scopo di evitare inaccetabili processi di disgregazione, può essere articolato in modo da superare le diffidenze, non infondate, di chi ancora ne teme una deriva antiunitaria. La riforma fiscale, che ovviamente dovrà essere calibrata con intelligenza e tempismo, può aprire finalmente uno spazio per la ridefinizione del carico fiscale basato sulla famiglia e non sul solo reddito individuale. Queste due tematiche, il federalismo solidale e la promozione della famiglia, sarebbero un’attuazione di punti programmatici presentati agli elettori, non un cedimento a diktat interni o a richieste esterne alla maggioranza, ma una sottolineatura di aspetti sui quali si può ottenere un consenso più ampio. Certe insistenze, soprattutto della Lega ma anche di settori mediatici berlusconiani, che puntavano a elezioni immediate e quasi "punitive", sembra siano state superate, almeno per ora, dalla consapevolezza della responsabilità che grava su chi ha il compito di governare. Si tratterà ora di vedere se le assicurazioni di lealtà al governo dei seguaci di Gianfranco Fini, che considerano una loro vittoria la rinuncia al ricorso immediato alle urne, si concretizzeranno in un comportamento parlamentare conseguente, oppure se si tradurranno in una sorta di guerriglia che renderebbe accidentato fino alla paralisi il percorso della legislatura. I due leader del centrodestra hanno lasciato aperta la prospettiva della governabilità, anche se forse un po’ a malincuore. Ma non dipende solo da loro se questo stretto sentiero si potrà davvero percorrere. Sergio Soave
26 Agosto 2010 BERGAMO Tessera del tifoso, assalto degli ultrà contro Maroni Erano circa 500, nei dintorni della 'Berghem fest' di Alzano lombardo, nel Bergamasco, per dire 'no' alla tessera del tifoso, voluta dal ministro dell'Interno Roberto Maroni che alla kermesse leghista parlava con i colleghi Roberto Calderoli e Giulio Tremonti. E gli ultrà dell'Atalanta, che ha una tifoseria notoriamente calda, questo 'no' l'hanno detto nel peggiore dei modi: tafferugli, agenti feriti da lancio di oggetti, auto date alle fiamme. Dal palco su cui stavano parlando il ministro si è avuta la percezione di quanto stava succedendo, quando si sono sentiti gli slogan e lo scoppio dei petardi: "Questi non sono i tifosi, io con i violenti non parlo - ha detto il titolare del Viminale-. Parlo con i tifosi veri". Ha rincarato la dose il ministro della Semplificaziione Calderoli, che pure è bergamasco e atalantino: "Quando sento fuochi d'artificio o peti dietro provo fastidio. Sono atalantino e ho passione per gli ultras, per il loro entusiasmo, ma non posso accettare che l'immagine di Bergamo sia svenduta da 200 imbecilli che prima dell'inizio della partita vanno ad attaccare la polizia e i tifosi esterni". E la Polizia proprio in quegli istanti era attaccata, nelle strade vicine all'area della festa, solo che gli "imbecilli" erano più del doppio e si erano dati appuntamento in paese. È successo che verso le 22, infatti, circa 500 tifosi si sono presentati nei pressi dei cancelli per manifestare contro la tessera del tifoso. Una mezz'ora più tardi, una settantina di ultrà sono riusciti ad aggirare il servizio d'ordine e sono arrivati fino al retro del palco, da dove hanno lanciato i petardi e i fumogeni. Nel frattempo, gli agenti sono riusciti a tenere il grosso del gruppo lontano dalla festa. A prezzo, però, di tafferugli, in cui un paio di agenti sono rimasti feriti dal lancio di oggetti, fortunatamente in modo non grave, mentre gli ultras hanno dato alle fiamme un'auto dei carabinieri, una della polizia locale e altre tre automobili. Alcuni dei responsabili dei tafferugli, almeno cinque, sono stati subito identificati dalle forze dell'ordine, fermati e portati in questura. IL QUESTORE: "ASSALTO ALLA POLIZIA" "Non ci sono stati scontri di piazza, sia ben chiaro, ma un attacco dei tifosi alle forze dell'ordine": così il questore di Bergamo, Matteo Turillo, ha commentato gli incidenti di ieri sera a Alzano Lombardo, dove i tifosi dell'Atalanta hanno tentato di interrompere un comizio con il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, per protestare contro la tessera del tifoso. Il questore ha spiegato che l'attacco è stato fatto perchè gli agenti cercavano di "impedire loro l'accesso alla struttura, dove si trovavano anche donne e bambini". "Tutto è stato talmente blindato - ha aggiunto - che non sono arrivati". Hanno comunque tirato bombe carta, fumogeni e incendiate alcune auto. Il questore ha spiegato che non ci sono feriti tra i civili, ma è rimasto ferito un agente della Digos da una bomba carta. Turillo non ha confermato che al momento ci siano dei fermi. "Io - ha sottolineato - do solo notizie certe. Noi stiamo operando".
2010-08-25 25 agosto 2010 IL GIORNO DEL VERTICE "Non è tempo di urne Bossi lo dovrà capire" A metà pomeriggio Roberto Calderoli esce a passi svelti da via Bellerio, la roccaforte milanese del Carroccio, saluta i giornalisti e sfreccia via in auto. Dentro il quartier generale della Lega a Milano, Umberto Bossi ha appena finito di ripetere la linea: voto subito e stop ai tentativi di dialogo del premier con l’Udc. Alla stessa ora Silvio Berlusconi passa da una telefonata all’altra e, con la testa al vertice di oggi con il gruppo di comando della Lega (ci sarà anche Tremonti) a villa Campari, la residenza del Cavaliere sul lago Maggiore, mette a punto l’offensiva: "Non è questo il momento di votare. C’è un governo che ha fatto, che può ancora fare e interrompere la legislatura sarebbe un errore imperdonabile... Bossi non la pensa così? Bossi dovrà capire". È la vigilia di un vertice complicato e forse decisivo. Ci sarà il ministro degli Interni, Roberto Maroni e anche il governatore del Piemonte, Roberto Cota, che proprio ieri è tornato ad attaccare l’Udc rea di "mettere i bastoni tra le ruote". Lo ha fatto, accusa, nell’esperienza di governo dal 2001 al 2006, lo ha fatto contrastandolo alle Regionali e non votando il federalismo. "La nostra gente non capirebbe", taglia corto Cota. Ecco la linea: bloccare i tentativi del premier di riavvicinare i centristi al governo in previsione di un uscita definitiva dei finiani. Anche se Adolfo Urso ha smentito l’intenzione di fra nascere un partito. La Lega usa i toni duri. Ma l’Udc replica senza fare sconti. "Basta fango, Bossi prendeva tangenti", tuona Rocco Buttiglione. Poi è Lorenzo Cesa, il segretario dell’Udc, a spiegare che "è fin troppo chiaro che la crisi della maggioranza, da noi ampiamente prevista, è un problema tutto interno alla maggioranza stessa". La tensione è alta e il lavoro diplomatico del premier complicatissimo. Ci prova il vicepresidente della Camera, Maurizio Lupi, che invita la Lega a non chiudere al dialogo con un’"opposizione costruttiva". Ma la Padania, il quotidiano della Lega, mette in fila le foto di otto esponenti dell’Udc, da Casini a Cesa, fino a De Mita e a Carra, e le accompagna con un interrogativo: "Comprereste un’auto usata da uno di loro?". In un riquadro c’è poi una "lettera aperta" con la scritta: "Non vogliamo Casini. Firmato: i padani". La polemica corre sul filo del Nord. In Lombardia tra il leghista Andrea Gibelli ("nessun dialogo è possibile") e Savino Pezzotta ("si dia una calmata, non abbiamo mai chiesto nulla"). E in Veneto, che sembra trasformarsi in un film di guardie e ladri. Con il centrista Antonio De Poli che attacca prendendo a prestito la famosa battuta di De Niro-Al Capone ne Gli Intoccabili: Bossi è "solo chiacchere e distintivo". E ne riceve una risposta da Chicago Anni Trenta da Giampaolo Vallardi: "In Veneto la Lega è il primo partito. Al Capone-De Poli se lo chiede il perché?". Gianni Santamaria
25 agosto 2010 RIMINI Al Meeting la difesa della vita e l'Africa della speranza La sentenza della Corte federale statunitense che lunedì ha bloccato i finanziamenti pubblici alla ricerca sulle cellule staminali embrionali "è la novità più radicale di questi ultimi anni su questo delicato tema". Carter Snead, esperto della consulta bioetica dell’amministrazione Bush, e docente di diritto alla Notre Dame University, abbandona per un’istante il discorso scritto per il Meeting, per commentare la novità che arriva dagli Usa. Si parla di tutela della vita, e il professor Snead descrive la svolta che "tragicamente" si è registrata, con Obama, sulla prevenzione dell’aborto (in particolare sull’obiezione di coscienza) e sui finanziamenti alla ricerca sulle staminali embrionali, "sostenuta fra l’altro da una campagna comunicativa che profila come alla portata obiettivi scientifici invece del tutto illusori". Ma ora, con questa sentenza, "Obama - si dice sicuro - ha le mani legate, può solo sperare in un ribaltamento interpretativo dalla Corte Suprema di Appello, o promuovere una nuova legge del Congresso, ma con i numeri che si profilano per il voto di novembre anche quella soluzione sarà difficile". E dunque dagli Usa arriva un segnale inatteso, in controtendenza, a quell’idea che si va affermando nella biologia moderna "di spiegare l’origine della vita in termini meccanici o chimici", come la definisce John Milbank, docente di religione politica ed etica alla Notthingham University. Spiegazioni che pretenderebbero di tenere fuori la fede, "mentre è più realistico immaginare un’origine trascendente della vita, come la Bibbia ci insegna". Solo così, spiega Milbank, "l’essere umano ha la possibilità di dilatarsi, attraverso la dimensione del cuore", dice in chiaro riferimento al tema del Meeting di quest’anno. ""Perché, abbandonando l’umanesimo cristiano si perde l’idea stessa della vita, per andare verso la nullità, verso la ricerca del piacere corporale, e la ricerca assoluta del libero arbitrio". Qualcosa di simile è avvenuto in Italia sul caso di Eluana Englaro, sottolinea il professor Andrea Simoncini, docente di diritto costituzionale a Firenze, nella duplice veste di moderatore e relatore ("per effetto della crisi economica", ironizza sul doppio ingaggio). "Quello è stato un bivio fondamentale, in grado di segnare un’epoca, un caso del quale ci siamo già dimenticati", rimarca Simoncini. "Ha affermato un principio per cui la vera libertà è libertà dal bisogno, è capacità di intendere e di volere. Come se a un bambino, che palesemente non ha tale capacità, fosse possibile negare l’alimentazione". La soluzione, per Simoncini, quando una persona non è più in grado di provvedere a sé stessa dovrebbe essere allora la nomina di un tutore, "e questo sono state per 14 anni le suore di Lecco, per lei". Mentre, è sempre il giurista che parla, "la pena di morte non può essere inflitta in Italia da nessun tribunale, nemmeno più da quello militare". Angelo Picariello
25 agosto 2010 L'ILLEGALITA' CHE CRESCE Sempre più debiti, l'usura soffoca il sud Il mercato dell’usura non conosce crisi e continua a fare proseliti, soprattutto al Sud. A farne le spese sono soprattutto le famiglie meridionali con alle spalle una piccola attività economica, sempre più indebitate e ormai facile bersaglio per chi propone prestiti a tassi altissimi. Il quadro di degrado e illegalità emerge dai dati diffusi dalla Consulta nazionale antiusura, secondo cui sono circa 2,5 milioni le famiglie a rischio in tutta Italia: l’indebitamento medio ha superato quota 16mila euro, con un aumento di 863 euro nel 2009 rispetto al 2008. Non solo: nel 2010, stando alla fotografia scattata ieri da Contribuenti.it, l’associazione dei contribuenti italiani, il sovraindebitamento delle famiglie nel Mezzogiorno è cresciuto del 156% rispetto a un anno fa, mentre il ricorso all’usura è salito del 117%. In particolare, nelle regioni meridionali, Campania in testa, "sono a rischio usura 681mila famiglie e 716mila piccoli imprenditori – ha spiegato il presidente di Contribuenti.it, Vittorio Carlomagno –. Il debito medio delle famiglie ha raggiunto la cifra di 31.200 euro, mentre quello dei piccoli imprenditori è a 49.300 euro". Ma come si entra nel vorticoso giro di ricatti e minacce che, con inquietante facilità, sconvolge per sempre la vita di centinaia di migliaia di persone? Per il sociologo Maurizio Fiasco, attento osservatore del fenomeno, "il dramma nasce quando il patrimonio della famiglia finisce per coincidere col patrimonio dell’impresa familiare". Una sovrapposizione che, in periodi di congiuntura economica negativa, porta con sé conseguenze pesantissime: il bilancio in passivo dell’esercizio commerciale o della bottega artigianale di cui si è titolari si scarica sulle finanze familiari. Debiti su debiti, insomma, cui neppure la richiesta di finanziamenti alle banche riesce a far fronte, se si pensa che al Sud l’importo medio annuo di un fido accordato ad aziende individuali è di soli 12mila euro, contro i 60-70mila concessi a un’impresa del Centro e Nord Italia. "Attenzione – aggiunge Fiasco, che a fine anno presenterà un rapporto ad hoc sulla materia –. Il modello di illegalità si sta lentamente replicando al Nord, soprattutto nei distretti industriali. Da Treviso a Sassuolo, fino a Prato, laddove le imprese finiscono per delocalizzare, i primi soggetti a farne le spese sono proprio le ditte familiari. Che pagano dazio e devono chiudere". Il punto è che, mentre il titolare di un’azienda economica può denunciare il suo strozzino e accedere ai benefici del fondo nazionale, non altrettanto è riconosciuto al capofamiglia che compie un passo analogo. "È un’evidente disparità che numerosi costituzionalisti hanno rappresentato in un elaborato scritto inviato alle Camere e, a tutt’oggi, rimasto senza alcuna risposta" denuncia monsignor Alberto D’Urso, segretario nazionale della Consulta, che invece plaude al recente provvedimento che impone la sospensione delle rate del mutuo casa per quelle famiglie che sono incorse in gravi difficoltà economiche. L’altro dramma nascosto, colpevolmente passato sotto silenzio, riguarda il mondo delle scommesse, che da sempre illude e ipnotizza milioni di famiglie. Dal Superenalotto ai giochi sportivi, sono sempre di più "le famiglie monoreddito costrette a richiedere prestiti" spiega l’associazione contribuenti.it. Ancora più dura la Consulta antiusura, che parla di messaggio devastante. "Lo sperpero di denaro pubblico – spiega monsignor D’Urso – smentisce il significato etico dell’impegno degli investigatori antiusura" che pure è cresciuto negli ultimi mesi, come testimonia l’attività di contrasto avviata dalla Guardia di Finanza, con perquisizioni e indagini in aumento in tutta Italia. Diego Motta
2010-08-24 24 agosto 2010 IL PIANO SEGRETO Sul quoziente familiare il premier "tenta" Casini "Bossi è così. Usa quei toni nelle sue valli, davanti alla sua gente... Gli serve urlare contro l’Udc ma, se vuole la verità, quest’anno mi è sembrato addirittura più spento del solito". Maurizio Gasparri sorride e va avanti con un solo obiettivo: rassicurare i centristi. Spiegare a Casini che non c’è e non ci sarà un veto della Lega. "Gli uomini del Carroccio non mangiano i bambini. Forse sono un po’ rozzi, forse usano toni sbagliati; ma sui temi che contano sono seri, leali, affidabili. Guardiamo i fatti, riflettiamo sulle scelte della Lega sui temi etici, sulla famiglia... C’è una convergenza anche con l’Udc che deve far pensare". Il capogruppo parla però dando l’impressione di non fare i conti con il veto di Bossi. È stato il Senatur a dire "con Casini mai". È stato lui a ventilare le dimissioni di Giulio Tremonti (e dal ministro non sono arrivate smentite) qualora la maggioranza avesse aperto le porte a Casini. Gasparri sospira e invita ad attendere facendo capire che qualcosa di rilevante succederà. "Berlusconi, nelle prossime ore, parlerà con la Lega. E quando arriverà il momento delle scelte la Lega sarà attenta a quello che dice Berlusconi". È volutamente enigmatico Gasparri. Ma tutto è vero: c’è un appuntamento già fissato, e c’è una trattativa segretissima che va avanti lontano dai taccuini e dalle telecamere. Berlusconi vedrà Bossi domani e gli farà un discorso franco. Gli spiegherà che ha parlato con Casini. Che sul federalismo l’Udc è pronta a ragionare. E che è ora di smetterla con i veti e gli ultimatum. Gli ricorderà che i centristi sono alleati nel Ppe. Poi sarà pragmatico: "Al Senato senza Fini rischiamo... È ora di salvare la legislatura, di salvare le riforme, di costruire le condizione per un ritorno a casa di Pier". Questa è solo la prima parte della trattativa. Berlusconi spiegherà sia a Bossi che a Tremonti che la mano tesa verso i centristi deve essere sostenuta con i fatti, con le scelte. E se Casini chiede il quoziente familiare, Tremonti – ripete il Cavaliere – "dovrà superare le sue vecchie rigidità e trovare le risorse necessarie. Perché è una scelta in cui credo e perché è su questo tema ristabiliamo i contatti con l’Udc". È partito il pressing su Bossi. Osvaldo Napoli, in vacanza a Miami, avverte: "Basta veti, la politica non è blocco, non è chiusura. L’Udc è nel Ppe al fianco del Pdl e la Lega non può alzare i ponti". Anche Altero Matteoli, il potente ministro alle Infrastrutture, apre le porte del governo e della maggioranza ai centristi: "Sarebbe un ritorno a casa... Non sarebbe un’alleanza spuria, ma una ricomposizione". È un coro. Ma è ancora una volta Gasparri a mettere in fila i pro e i contro di un nuovo patto Pdl-Udc. È lui a spiegare che per Casini c’è una sola strada: riavvicinarsi al Pdl. "Che fa un terzo polo con Fini dopo quello che ha combinato e ha detto Fini sui temi cari al mondo cattolico?". Gasparri va avanti e boccia anche l’ipotesi di un patto con Bersani. "Lo spazio che ci poteva essere qualche mese fa non c’è più. Se il Pd dicesse "ecco c’è Casini" immediatamente Vendola e l’Idv sferrerebbero l’attacco. E gli porterebbero via un mare di voti". C’è solo una strada. Che conviene alla Lega che troverebbe un nuovo interlocutore sul federalismo. E a Casini che – ripete sottovoce il presidente dei senatori del Pdl – "rientrerebbe nel Pdl da protagonista assoluto. Sì con noi lui giocherebbe la Champion league, potrebbe aspirare a qualsiasi ruolo, potrebbe...". Gasparri si ferma. Poi avverte. "Non andiamo avanti, altrimenti la Lega...". Questa è solo una battuta ma la fase della competizione è cominciata. Isabella Bertolini, una vita sul territorio, avverte il Cavaliere: "In Toscana la Lega ha preso quattro consiglieri regionali senza avere un partito. Attento Silvio che se si vota oggi, la Lega fa il pieno anche nelle regioni rosse. Hanno governatori che tirano, amministratori capaci...". E poi c’è il patto con Tremonti. Chi conosce Berlusconi racconta di una crescente diffidenza del premier verso il suo ministro dell’Economia. Chi partecipa ai vertici che contano confida un retroscena che fa capire. "Giulio ti sei già messo la camicia verde?". Nei prossimi giorni sarà tutto meno confuso. Si capirà l’effetto dell’offensiva del premier su Bossi. E si capirà se l’ottimismo di Gasparri troverà un fondamento nelle cose. "Con l’Udc siamo destinati ad incontrarci. In alcune regioni abbiamo vinto insieme e insieme governiamo anche diverse città del Centro-Sud. Credo che non si debba avere fretta in certe cose. Contano i contenuti. La Lega teme un freno su alcune riforme. Se ci fosse la possibilità di rendere compatibili gli obiettivi politici, il disegno andrebbe assolutamente perseguito". Parole chiare. Quasi una conferma a quella trattativa segreta su federalismo e quoziente familiare. Ma Bossi insiste. "L’unica possibilità sono le urne. E tutti questi qua – dice con chiaro riferimento a Casini e a Fini – li polverizzeremo...". E ancora: "Non si può andare avanti così, non si può per ogni cosa che si fa pagare un dazio troppo alto". Parole chiare che rendono più complicata la "mission" del Cavaliere e più teso l’oramai vicino "faccia a faccia". Arturo Celletti
24 agosto 2010 ECUMENISMO Erdö: "Cristiani divisi? Provo un dolore fisico" L’idea di farli avvicinare era stata di Charlie, il responsabile del servizio d’ordine del Meeting, pressato dai fotografi in cerca dello scatto "storico". Imprevisto o meno, l’abbraccio tra il cardinale Peter Erdö – presidente del Ccee, il Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa – e il metropolita Filaret c’è stato e ha scatenato una cascata di applausi nell’aula più grande della fiera, gremita dai visitatori del Meeting. Poco prima, il primate d’Ungheria aveva detto che "le questioni dogmatiche che ancora dividono cattolici e ortodossi sono talmente poche che provoca dolore il fatto che non ci sia ancora una piena comunione". E l’esarca patriarcale di tutta la Bielorussia, di rimando, ha dichiarato ai giornalisti che "il 2011 per un incontro tra il Papa e il patriarca Kirill è una data davvero molto vicina, ma ostacoli di principio io non ne vedo". Se è vero che, per stare al titolo del Meeting, il cuore fa desiderare grandi cose, ieri il desiderio più grande si è materializzato nell’amicizia di due uomini dell’Est, uniti nelle fede e divisi dalle chiese. Divisioni che per l’arcivescovo di Budapest sono solo o soprattutto dogmatiche - "sui temi pastorali, ad esempio sulla vita e sulla famiglia abbiamo le stesse posizioni" - e anche sotto questo profilo ("che compete alla Santa Sede" ha precisato il cardinale) il dialogo interconfessionale è ad un passo dal concludersi, al punto che la sua incompiutezza provoca, appunto, "dolore". Conferma Filaret, metropolita di Minsk e Sluzk: "Siamo ormai da tempo in dialogo e a volte in questo percorso ci sono momenti di slancio a volte una caduta di tensione" ma ora Roma e Mosca "si stanno parlando del futuro della chiesa e dio voglia che quest’atmosfera continui". Erdö e Filaret si sono confrontati per un’ora sulla fede in Europa, partendo dalla domanda di Dostoevskij: "Un uomo colto, un europeo dei nostri giorni, può credere, credere proprio alla divinità del figlio di Dio, Gesù Cristo?". Filaret ha insistito sul tema del cuore come "campo di battaglia tra il diavolo e Dio" e individuando questa lotta perenne anche "nei processi di sviluppo dei sistemi democratici in Europa e nel mondo", mentre Erdö ha esaminato la figura dell’intellettuale europeo, il quale non può prescindere dall’eredità cristiana nella sua ricerca di risposte. Linguaggi che sembrano far dimenticare gli errori del passato quando, ha commentato Filaret, "parlava sottovoce delle proprie falsità", sottacendo "contraddizioni che gridano al cielo". Paolo Viana
23 agosto 2010 RIMINI Il ministro Sacconi al Meeting: l'agenda etica presto in Parlamento "Presenterò al Parlamento l’agenda etica che abbiamo predisposto e sono convinto che su di essa si potrà registrare una maggioranza più ampia di quella del governo": Maurizio Sacconi rilancia da Rimini le priorità su inizio e fine vita, ricerca e disabilità, e si dice convinto che esse troveranno spazio dell’agenda dell’esecutivo "per i prossimi tre anni" (dice, fiducioso sulla tenuta della legislatura), che possono anzi, essere un terreno fertile per aprire a una maggioranza più ampia, "checché ne dica Della Vedova", aggiunge, riferendosi alle fughe in avanti del deputato finiano su coppie di fatto e Legge 40, il quale poi, a dire il vero, aveva chiarito di parlare a titolo personale. Il ministro del Welfare interviene all’incontro del Meeting dedicato all’esperienza del dono. Ma non è il suo, un modo per parlare d’altro. Anzi. Le proposte di "biopolitica" fanno parte integrante di quell’"antropologia positiva" di cui Sacconi parla come concezione integralmente "etica" della politica. Perché con la crisi cambia tutto, è finita anche, ad esempio, l’idea di "impunità del debito sovrano", dice ancora il ministro, alludendo alla vecchia illusione che "tanto paga Pantalone". Ne discende, prosegue il ragionamento del ministro, anche una nuova concezione del bene comune, che, "come voi mi insegnate non dipende dallo Stato, ma dal cuore della persona". Un’"antropologia positiva", insiste, che richiede anche "posizioni inequivoche sul valore della vita", ma che è alla base anche della doppia direttrice del federalismo e del nuovo Welfare, in chiave di sussidiarietà, come si dice, verticale (decentramento), e orizzontale, intesa come più spazio alla persona, alla famiglia, all’associazionismo. Perché, ricorda Sacconi, "il concetto di gratuità, la cultura del dono, non possono più essere confinati nella sfera privata, ma hanno che vedere direttamente con la democrazia, con la concezione stessa della politica". Un concetto su cui si era soffermato, prima di lui, anche il pro-rettore dell’Università Cattolica Luigi Campiglio: "Il dono - ha detto - non può essere associato solo al concetto di pietà, ma significa anche solidarietà, in definitiva comunità", senza la quale una nazione non tiene. Campiglio ha molto fatto riferimento all’esperienza americana, nella quale "si stima che oltre il 2 per cento del Pil sia reinvestito in gratuità, nonostante la crisi". Anzi, proprio l’enorme allargamento dell’area del bisogno apre ora spazi nuovi alla generosità intesa non più come slancio individuale, ma come autonoma risposta, strutturata nell’ambito della società, da parte di chi ha di più, a vantaggio di chi non ha nemmeno il necessario per vivere o per far fronte a uno stato di disagio. Per cui il dono si conferma, ricorda Campiglio, come un "elemento costitutivo della società americana", e ricorda l’esperienza recente di 40 miliardari americani che si sono messi insieme per devolvere a cause benefiche una considerevole parte del loro patrimonio. Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione per il Sud, si è invece soffermato nel suo appassionato e molto applaudito intervento, su una serie di iniziative dell’associazionismo nel Mezzogiorno, che ha potuto conoscere nel suo nuovo incarico (dall’orchestra sinfonica degli scugnizzi del Rione Sanità di Napoli, alle iniziative contro la dispersione scolastica "che strappano ad uno ad uno i giovani alla criminalità"), "e che andrebbero conosciute di più, per vincere i tanti stereotipi sul Sud senza speranza", auspica Borgomeo. Fra i temi rilanciati da Sacconi anche il 5 per mille, come strumento di sostegno all’associazionismo da utilizzare però correttamente. Una misura apprezzata anche da Carlo Costalli, presidente dell’Mcl. Angelo Picariello
24 agosto 2010 IL PIANO SEGRETO Sul quoziente familiare il premier "tenta" Casini "Bossi è così. Usa quei toni nelle sue valli, davanti alla sua gente... Gli serve urlare contro l’Udc ma, se vuole la verità, quest’anno mi è sembrato addirittura più spento del solito". Maurizio Gasparri sorride e va avanti con un solo obiettivo: rassicurare i centristi. Spiegare a Casini che non c’è e non ci sarà un veto della Lega. "Gli uomini del Carroccio non mangiano i bambini. Forse sono un po’ rozzi, forse usano toni sbagliati; ma sui temi che contano sono seri, leali, affidabili. Guardiamo i fatti, riflettiamo sulle scelte della Lega sui temi etici, sulla famiglia... C’è una convergenza anche con l’Udc che deve far pensare". Il capogruppo parla però dando l’impressione di non fare i conti con il veto di Bossi. È stato il Senatur a dire "con Casini mai". È stato lui a ventilare le dimissioni di Giulio Tremonti (e dal ministro non sono arrivate smentite) qualora la maggioranza avesse aperto le porte a Casini. Gasparri sospira e invita ad attendere facendo capire che qualcosa di rilevante succederà. "Berlusconi, nelle prossime ore, parlerà con la Lega. E quando arriverà il momento delle scelte la Lega sarà attenta a quello che dice Berlusconi". È volutamente enigmatico Gasparri. Ma tutto è vero: c’è un appuntamento già fissato, e c’è una trattativa segretissima che va avanti lontano dai taccuini e dalle telecamere. Berlusconi vedrà Bossi domani e gli farà un discorso franco. Gli spiegherà che ha parlato con Casini. Che sul federalismo l’Udc è pronta a ragionare. E che è ora di smetterla con i veti e gli ultimatum. Gli ricorderà che i centristi sono alleati nel Ppe. Poi sarà pragmatico: "Al Senato senza Fini rischiamo... È ora di salvare la legislatura, di salvare le riforme, di costruire le condizione per un ritorno a casa di Pier". Questa è solo la prima parte della trattativa. Berlusconi spiegherà sia a Bossi che a Tremonti che la mano tesa verso i centristi deve essere sostenuta con i fatti, con le scelte. E se Casini chiede il quoziente familiare, Tremonti – ripete il Cavaliere – "dovrà superare le sue vecchie rigidità e trovare le risorse necessarie. Perché è una scelta in cui credo e perché è su questo tema ristabiliamo i contatti con l’Udc". È partito il pressing su Bossi. Osvaldo Napoli, in vacanza a Miami, avverte: "Basta veti, la politica non è blocco, non è chiusura. L’Udc è nel Ppe al fianco del Pdl e la Lega non può alzare i ponti". Anche Altero Matteoli, il potente ministro alle Infrastrutture, apre le porte del governo e della maggioranza ai centristi: "Sarebbe un ritorno a casa... Non sarebbe un’alleanza spuria, ma una ricomposizione". È un coro. Ma è ancora una volta Gasparri a mettere in fila i pro e i contro di un nuovo patto Pdl-Udc. È lui a spiegare che per Casini c’è una sola strada: riavvicinarsi al Pdl. "Che fa un terzo polo con Fini dopo quello che ha combinato e ha detto Fini sui temi cari al mondo cattolico?". Gasparri va avanti e boccia anche l’ipotesi di un patto con Bersani. "Lo spazio che ci poteva essere qualche mese fa non c’è più. Se il Pd dicesse "ecco c’è Casini" immediatamente Vendola e l’Idv sferrerebbero l’attacco. E gli porterebbero via un mare di voti". C’è solo una strada. Che conviene alla Lega che troverebbe un nuovo interlocutore sul federalismo. E a Casini che – ripete sottovoce il presidente dei senatori del Pdl – "rientrerebbe nel Pdl da protagonista assoluto. Sì con noi lui giocherebbe la Champion league, potrebbe aspirare a qualsiasi ruolo, potrebbe...". Gasparri si ferma. Poi avverte. "Non andiamo avanti, altrimenti la Lega...". Questa è solo una battuta ma la fase della competizione è cominciata. Isabella Bertolini, una vita sul territorio, avverte il Cavaliere: "In Toscana la Lega ha preso quattro consiglieri regionali senza avere un partito. Attento Silvio che se si vota oggi, la Lega fa il pieno anche nelle regioni rosse. Hanno governatori che tirano, amministratori capaci...". E poi c’è il patto con Tremonti. Chi conosce Berlusconi racconta di una crescente diffidenza del premier verso il suo ministro dell’Economia. Chi partecipa ai vertici che contano confida un retroscena che fa capire. "Giulio ti sei già messo la camicia verde?". Nei prossimi giorni sarà tutto meno confuso. Si capirà l’effetto dell’offensiva del premier su Bossi. E si capirà se l’ottimismo di Gasparri troverà un fondamento nelle cose. "Con l’Udc siamo destinati ad incontrarci. In alcune regioni abbiamo vinto insieme e insieme governiamo anche diverse città del Centro-Sud. Credo che non si debba avere fretta in certe cose. Contano i contenuti. La Lega teme un freno su alcune riforme. Se ci fosse la possibilità di rendere compatibili gli obiettivi politici, il disegno andrebbe assolutamente perseguito". Parole chiare. Quasi una conferma a quella trattativa segreta su federalismo e quoziente familiare. Ma Bossi insiste. "L’unica possibilità sono le urne. E tutti questi qua – dice con chiaro riferimento a Casini e a Fini – li polverizzeremo...". E ancora: "Non si può andare avanti così, non si può per ogni cosa che si fa pagare un dazio troppo alto". Parole chiare che rendono più complicata la "mission" del Cavaliere e più teso l’oramai vicino "faccia a faccia". Arturo Celletti
24 agosto 2010 ECUMENISMO Erdö: "Cristiani divisi? Provo un dolore fisico" L’idea di farli avvicinare era stata di Charlie, il responsabile del servizio d’ordine del Meeting, pressato dai fotografi in cerca dello scatto "storico". Imprevisto o meno, l’abbraccio tra il cardinale Peter Erdö – presidente del Ccee, il Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa – e il metropolita Filaret c’è stato e ha scatenato una cascata di applausi nell’aula più grande della fiera, gremita dai visitatori del Meeting. Poco prima, il primate d’Ungheria aveva detto che "le questioni dogmatiche che ancora dividono cattolici e ortodossi sono talmente poche che provoca dolore il fatto che non ci sia ancora una piena comunione". E l’esarca patriarcale di tutta la Bielorussia, di rimando, ha dichiarato ai giornalisti che "il 2011 per un incontro tra il Papa e il patriarca Kirill è una data davvero molto vicina, ma ostacoli di principio io non ne vedo". Se è vero che, per stare al titolo del Meeting, il cuore fa desiderare grandi cose, ieri il desiderio più grande si è materializzato nell’amicizia di due uomini dell’Est, uniti nelle fede e divisi dalle chiese. Divisioni che per l’arcivescovo di Budapest sono solo o soprattutto dogmatiche - "sui temi pastorali, ad esempio sulla vita e sulla famiglia abbiamo le stesse posizioni" - e anche sotto questo profilo ("che compete alla Santa Sede" ha precisato il cardinale) il dialogo interconfessionale è ad un passo dal concludersi, al punto che la sua incompiutezza provoca, appunto, "dolore". Conferma Filaret, metropolita di Minsk e Sluzk: "Siamo ormai da tempo in dialogo e a volte in questo percorso ci sono momenti di slancio a volte una caduta di tensione" ma ora Roma e Mosca "si stanno parlando del futuro della chiesa e dio voglia che quest’atmosfera continui". Erdö e Filaret si sono confrontati per un’ora sulla fede in Europa, partendo dalla domanda di Dostoevskij: "Un uomo colto, un europeo dei nostri giorni, può credere, credere proprio alla divinità del figlio di Dio, Gesù Cristo?". Filaret ha insistito sul tema del cuore come "campo di battaglia tra il diavolo e Dio" e individuando questa lotta perenne anche "nei processi di sviluppo dei sistemi democratici in Europa e nel mondo", mentre Erdö ha esaminato la figura dell’intellettuale europeo, il quale non può prescindere dall’eredità cristiana nella sua ricerca di risposte. Linguaggi che sembrano far dimenticare gli errori del passato quando, ha commentato Filaret, "parlava sottovoce delle proprie falsità", sottacendo "contraddizioni che gridano al cielo". Paolo Viana
2010-08-23 23 agosto 2010 COALIZIONE E VERIFICA Berlusconi mobilita il Pdl "Tenersi pronti anche al voto" Non ha messaggi diretti da inoltrare a Gianfranco Fini. Quantomeno, è questa la risposta che fornisce a domanda specifica. Ma in realtà Silvio Berlusconi continua eccome a rivolgersi duramente, senza più alcuna remora, al presidente della Camera e ai suoi fedelissimi. L'ha fatto pure ieri, con il consueto intervento audio affidato ai Promotori della Libertà. E verosimilmente ripeterà di continuo la linea impostata venerdì scorso, durante il vertice Pdl convocato per definire i cinque punti programmatici, da portare in aula alla ripresa, su cui verrà posto il voto di fiducia. Lo schema, infatti, non dovrebbe cambiare almeno per due settimane, finchè l'ex leader di An, domenica 5 settembre a Mirabello, a chiusura della kermesse nazionale di Futuro e Libertà, non scioglierà il quesito chiave: i finiani fonderanno davvero un nuovo partito? In attesa della risposta, si ripropone il muro contro muro. Da una parte, il Cavaliere insiste sulla inemendabilità del documento programmatico, secondo l'opzione "prendere o lasciare", dall'altra gli uomini della terza carica dello Stato denunciano come irricevibile l'aut-aut berlusconiano. Sullo sfondo, sempre più nitida, l'ipotesi di un ritorno anticipato alle urne. "Dobbiamo essere pronti a qualsiasi evenienza, come quella ad esempio di elezioni entro poco tempo", spiega il premier ai militanti capitanati dal ministro Brambilla. Scenario da extrema ratio, che Umberto Bossi invece auspica ormai pubblicamente e a gran voce: "Andremo al voto e li polverizzeremo tutti questi qua". D'altronde, "non si può andare avanti così, con il rischio che, per ogni cosa che si fa, si debba pagare un dazio troppo alto". Quindi, "se si rompe la coalizione" non ci sono alternative. Per il Senatur si tornerebbe al cospetto degli elettori, ma senza l'alleanza con l'Udc di Pier Ferdinando Casini - sul "niet" dice di aver ricevuto garanzie dal presidente del Consiglio - ma anche senza l'appoggio di un eventuale partito finiano ("Noi abbiamo le nostre idee, non ci interessa, per un voto in più, non riuscire a combinare più niente"). Sulla questione, Casini, rivolgendosi al leader del Carroccio, chiarisce: "Non corriamo alcun rischio di trovarci assieme". Poi rilancia: "Il Partito della Nazione è il nuovo soggetto politico che punta ad unire i moderati" e che "nasce per riconciliare l'Italia, perchè questo è un Paese che si sta drammaticamente rompendo". Berlusconi sul nodo interno al Pdl, ribadisce: "Dopo che alcuni nostri parlamentari, i cosiddetti finiani, hanno deciso di costituire un gruppo autonomo in Parlamento, che è un'iniziativa paradossale se si considera che sono stati tutti eletti sotto il simbolo del Popolo della libertà - con la scritta "Berlusconi presidente" - è diventato necessario verificare la coesione e la tenuta della maggioranza che sostiene il nostro governo". Ecco perchè "qualora venissero meno anche su uno solo dei cinque punti, che sono parte integrante del programma di governo, non accetteremmo mai di farci logorare in un tirare a campare in discussioni continuative così come rifiuteremmo anche la prospettiva di dover negoziare al ribasso". Per capirci: "Sarebbe un atto fortemente antidemocratico, addirittura offensivo della sovranità popolare, partecipare a dei nuovi giochi di palazzo per tentare di cambiare, di sovvertire il risultato elettorale e portare al governo chi le elezioni invece le ha perse. La strada maestra non può essere che quella di ritornare davanti al giudizio del popolo che è sovrano. Chi dice il contrario, invocando magari dei formalismi costituzionali sa bene, benissimo, di dire una falsità". Non si fa attendere la replica dei finiani. Italo Bocchino non crede che si possa ricucire lo strappo, tanto da intravedere "all'orizzonte la nascita di un nuovo partito politico". Scenario su cui però non tutti i finiani sembrano propendere. "Espellere Fini dal partito che ha fondato e volere impedire a lui e a chi si riconosce nelle sue posizioni di esercitare il proprio mandato in un altro soggetto politico o gruppo parlamentare - sottolinea Carmelo Briguglio - equivale a un attentato ai loro diritti politici e costituzionali. Berlusconi prenda atto invece della nuova situazione e la affronti con senso politico, abbandonando la linea degli inutili anatemi".
21 agosto 2010 Grave il rischio di decadenza Ma non è questa la "politica" da insegnare ai giovani Ogni giorno che passa si diffonde l’impressione che stia maturando una crisi, quasi una decadenza, del governo della cosa pubblica, che genera sfiducia e smarrimento, che può investire le istituzioni, e allontana i giovani da un impegno che resta prezioso per il futuro del Paese. Non mi riferisco agli scandali veri o presunti che esplodono periodicamente a ritmo crescente, e colpiscono trasversalmente ora uno ora l’altro personaggio politico, senza alcuna distinzione. Anzi, proprio l’uso che si fa degli scandali, e un certo tipo di giornalismo, sono tra le cause di questa decadenza. Non so se tutti ne siano consapevoli, ma da almeno due anni (le radici sono più lontane) diversi quotidiani dedicano per settimane cinque, dieci, tredici pagine ossessivamente allo "scandalo del giorno". Si può immaginare l’effetto deprimente, avvilente, che ciò provoca sui lettori: alcuni possono veder soddisfatti i propri istinti meno elevati, ma poi tutti restano con un sapore amaro nell’animo. Qui, dunque, vorrei concentrarmi su altro. Sul fatto che la politica, e i suoi massimi protagonisti, senza eccezioni di schieramento, sembrano a volte abdicare a princìpi connaturati alla gestione della res pubblica, alla ricerca del bene comune, e preferiscono perseguire i propri obiettivi per vie traverse, cercando di sfruttare gli scandali, aspettando i passi falsi dell’antagonista, senza proporre al Paese idee e programmi veri, senza parlare ai giovani delle loro speranze e aspettative. È quasi palpabile la sensazione che partiti e gruppi politici, invece di elaborare strategie convincenti, vadano alla ricerca di alleanze improbabili, effimere, quasi naif, per raggiungere obiettivi contingenti, o per tentare il colpo grosso di vincere alle elezioni magari riuscendo a sfruttare qualche errore dell’avversario. Ma così si corre il rischio di scivolare verso l’"insignificanza" della politica, quando qualche suo protagonista sembra non credere neanche lui a ciò dice, alle strategie che propone, ritenendole talmente provvisorie da poterle cambiare o rovesciare il giorno dopo se la convenienza lo suggerisce. La politica cessa di essere l’arte del governo della società, dell’orientamento dei grandi movimenti popolari, e rischia di divenire il luogo del tatticismo più esasperato che però allontana chi ne nutre una concezione più nobile, e attira chi sa muoversi nelle cose piccole, fingendo che siano grandi. Credere che dopo anni di scandalismo si possa tornare alla nobiltà della politica è pura illusione, perché si sarà sedimentato un metodo cui non si rinuncerà facilmente. Un altro elemento che viene dimenticato è che la personalizzazione della politica viene spesso criticata, ma poi esercita una attrazione fatale su tutti, influenza trasversalmente partiti e organizzazione. Nascono mille fondazioni, in un proliferare che provoca quasi un simpatico disincanto, si esaltano le primarie senza pensare che possono costituire anche un formidabile veicolo di personalismi, all’improvviso personaggi più o meno importanti, con incerto seguito reale, si propongono di sostituire i capi dei maggiori partiti. Nulla di tutto ciò costituisce un peccato mortale, ma tutte insieme queste cose riflettono una crisi della politica che non ha la capacità di rigenerarsi e si avviluppa in continue contorsioni. Di questo passo, potrebbe arrivare un momento in cui la politica abbandonerà ogni idealità, divorerà se stessa, non avrà nulla da dire a chi vuole capire, scegliere, impegnarsi per qualcosa di grande, e sarebbe un brutto momento. Infine, una domanda che ci dovremmo porre tutti riguarda soprattutto i giovani. Quando per mesi, e anni, la vita pubblica è corrosa dalla contesa scandalistica qual è l’effetto che produce sulle nuove generazioni? I giovani non riusciranno a imparare neanche l’alfabeto più semplice della politica, non vedranno crescere dentro di sé il rispetto per le istituzioni, certamente non troveranno nella nostra storia le radici di un presente così povero e avvilente. Semplicemente si adageranno su ciò che vedono, si convinceranno che se domina una specie di guerra di tutti contro tutti è bene abituarsi alle sue leggi, che sono utili a destra, al centro e a sinistra. Il danno sarà a quel punto molto serio, e la decadenza si farà più acuta. Se, in tempo di vacanze, si riuscisse a riflettere sulle conseguenze più negative che i fatti di questi giorni possono provocare, ne deriverebbe un po’ di bene, per il domani ma anche per l’oggi. Carlo Cardia
23 Agosto 2010 RIMINI Il ministro Sacconi al Meeting: su bioetica governo in maggioranza Sui temi della bioetica e "della biopolitica, il governo ha una posizione, ed è convinto che su quelle posizioni c'è una maggioranza parlamentare anche più ampia di quella che usualmente lo sostiene": lo ha detto questa mattina il ministro del Welfare Maurizio Sacconi a margine del Meeting di Rimini. Sacconi ha ribadito di non "avere mai parlato di verifica di governo sulla biopolitica. Ho sempre e solo detto che la biopolitica è oggettivamente all'ordine del giorno e che, piaccia o non piaccia bisognerà trovarsi di fronte a problemi come la pillola dei cinque giorni dopo, l'aborto farmacologico, il rapporto tra vita e morte e tra ricerca ed etica. Su tutti questi temi – ha puntualizzato il ministro – il governo ha una posizione ed è convinto che su di essa c'è una maggioranza parlamentare anche più ampia di quella che usualmente sostiene il governo". Il ministro è intervenuto anche su temi economici: Sacconi ha confermato di condividere la proposta del leader della Cisl Raffaele Bonanni per una partecipazione dei lavoratori agli utili di Fiat. "Parlare di meno Stato e più società - osserva il ministro del Welfare al Meeting di Cl - significa parlare di Pomigliano, di un grande investimento che si realizza non con un incentivo pubblico ma con quanto è realizzato dalla disponibilità dei lavoratori ad una maggiore produttività. A mio avviso, questi lavoratori acquisiscono il titolo a condividere un domani i risultati delle loro fatiche non solo in termini di salario fisso contrattuale, ma anche di salario collegato ai risultati dell'attività aziendale" Domenica, l'intervento di Corrado Passera Un monito alla politica: l'Italia ha "forze enormi" per reagire, "può essere un modello", ma rischia disoccupazione e povertà. È necessario "mettere il tema della crescita economica, e di cosa bisogna fare per crescere, al primo posto dell'agenda politica". Così il banchiere Corrado Passera invita il mondo politico "ad aver coraggio, innovare, cambiare". A pensare "alto". E in una fase della vita politica del Paese in cui gli occhi sono puntati su chi potrebbe scendere in campo, anche dal mondo degli affari, chiarisce: sono parole che nascono da "una indignazione propositiva", è un ruolo di stimolo che "non va in nessun modo letto in maniera politica e partitica". Sono comunque parole nette quelle che il consigliere delegato di Intesa Sanpaolo lancia parlando alla platea del Meeting di Rimini. Corrado Passera chiarisce che non vuole entrare nel dibattito di stretta attualità sull'opportunità o meno di elezioni anticipate. Ma avverte: se si dovesse andare al voto la politica deve presentarsi al Paese con "una visione di sistema", con "scelte e proposte serie e concrete su temi come lo sviluppo e l'occupazione. E non sulle miserie di questo periodo". Ma "solo il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, dovrà e potrà valutare, al momento giusto, se si deve andare alle elezioni". Il Paese deve reagire, ha la forza per farlo: "Spesso ci dimentichiamo quante forze abbiamo e possiamo mettere in campo, forze enormi". Dopo aver retto la crisi e fatto riforme "meglio di altri", e con i conti pubblici in ordine, dice Passera, dobbiamo "convincerci che ci sono cose che possiamo fare per crescere di più": come su scuola e istruzione; investimenti per le infrastrutture trovando risorse da lotta agli sprechi e soldi non spesi; difficoltà per le imprese come sul fronte di sicurezza e corruzione. E sulla Giustizia, con "riforme forti e rispettose della Costituzione". In Italia "c'è più un problema di processo decisionale imballato che non di risorse. Un problema di coraggio politico, di intelligenza organizzativa. Serve un ripensamento su come funziona il Paese". Quella di Passera è una chiamata ad assumersi responsabilità rivolta "a tutta la classe dirigente". Ma bisogna anche "dividere, nel mondo della politica, chi si prende delle responsabilità e fa delle scelte e chi invece dice di attendere". Sul tema della crescita "ci giochiamo tantissimo: non possiamo non crescere o crescere poco, perchè con questo livello di crescita non si crea occupazione. Ed il lavoro è il tema numero uno". Ma "dobbiamo crescere anche perchè c'è povertà, anche da noi". Il paese ha bisogno di "disponibilità ad innovare, disponibilità a cambiare, il coraggio di pensare alla grande. Responsabilità prima di tutto della politica ma anche dell'intera classe dirigente. Quindi, di tutti noi".
2010-08-21 20 agosto 2010 COALIZIONE E VERIFICA Berlusconi: sul programma non tratteremo "Non accetteremo un voto sul 95% della mozione che conterrà i cinque punti programmatici, non intendiamo trattare sul 5% relativo alla giustizia. Prendere o lasciare". È stato questo il ragionamento svolto dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, nel corso del vertice di questa mattina a Palazzo Grazioli secondo quanto riferito da diversi partecipanti. Nel pomeriggio, è stato Paolo Bonnaiuti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, a ribadire il pensiero del presidente del Consiglio: "I cinque punti presentati ieri dal presidente Berlusconi indicano le linee di azione del Governo per i prossimi tre anni, in sintonia con le richieste degli elettori". GASPARRI: "IL PROCESSO BREVE È UNA PRIORITA'" Il processo breve torna al centro del dibattito politico. A rilanciare l'argomento, il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri che, uscendo da Palazzo Grazioli dove questa mattina si è svolto un nuovo vertice del Pdl. "Il processo breve è una nostra priorità, è già stato approvato dal Senato ed è un punto del nostro programma", ha detto Gasparri che ha poi aggiunto: "Sono convinto che ci sarà un'ampia maggioranza sul documento programmatico approvato nel vertice di ieri. Se c'è qualcuno che volesse derogare a questo fatto, l'unica alternativa è il voto". Una presa di posizione cha ha provocato l'immediata reazione dei finiani. Per Italo Bocchino, capogruppo FLI alla Camera, il provvedimento sul processo breve "non fa parte del programma del governo, nè credo che sia una priorità del paese in questo momento", tuttavia Futuro e Libertà "è pronta a discutere nel merito". "Siamo pronti a discutere dei contenuti - spiega Bocchino- anche se quel provvedimento non fa parte del programma di governo nè credo sia una priorità del Paese in questo momento. Non accettiamo aut-aut - aggiunge Bocchino replicando a Cicchitto - ma se se ne deve discutere ne discuteremo nel merito. Innanzi tutto vediamo qual è l'obiettivo di quel provvedimento e su quali e su quanti processi queste norme interverranno". "Mi sembra la riproposizione del programma di governo. La richiesta della fiducia rappresenta il riconoscimento politico della nostra forza parlamentare della quale non si può non tener conto", è il commento di Fabio Granata, Vicepresidente della Commissione nazionale Antimafia , il quale aggiunge: "Sul documento discuteremo e decideremo con l'indicazione decisiva del Presidente Fini. Restano fortissime perplessità su processo breve e doppio CSM. Si dovrà discutere anche sul punto relativo ai respingimenti e sulla materia concreta dei decreti attuativi il federalismo fiscale e sulle politiche di sostegno al Sud". Per Granata "non è più una questione di falchi e colombe, ne va del futuro della destra legalitaria e repubblicana e dell'Italia". LA SFIDA DI BERLUSCONI: MAGGIORANZA AMPIA O SI VA AL VOTO Avanti spediti su cinque punti del programma, oppure meglio il voto, "anche a dicembre senza perdere altro tempo, che sarebbe negativo per il Paese". Silvio Berlusconi si presenta davanti a giornalisti, a Palazzo Grazioli, munito delle 10 pagine di documento appena approvato dallo stato maggiore del Pdl, dopo quasi sei ore di riunione. Oltre a federalismo, fisco, Sud e giustizia, c’è anche la sicurezza chiesta da Ignazio La Russa a nome degli ex An rimasti nel Pdl. Il premier rimanda però ai capigruppo la stesura definitiva dei testi, e dunque non siamo ancora alla resa dei conti. Immediata filtra la reazione di Gianfranco Fini che ha seguito l’intervento del premier in diretta su Sky da Ansedonia. "Queste sono per il momento lodevoli intenzioni che meritano la massima attenzione e molte delle quali erano già da me auspicate (ad esempio sul Sud e il fisco) però – commentava ieri sera al telefono con i suoi colonnelli – tutto dipenderà da come saranno tradotte nei singoli provvedimenti". I margini per la tregua, insomma, ci sono ancora, ma la vera resa dei conti sembra rinviata di una ventina di giorni, alla ripresa dei lavori delle Camere. Ed è un Berlusconi determinato sulla road map dei "prossimi tre anni di legislatura", dice ancora fiducioso sulla tenuta della maggioranza: "Sono convinto che la fiducia su questo documento otterrà una maggioranza non risicata", risponde a chi gli chiede dei numeri alla Camera. Ma attacca duramente, se i numeri non ci saranno più, l’ipotesi di un governo tecnico, perché "non c’è nessuna teoria giuridico-politica che possa giustificare un governo di chi è uscito sconfitto dalla competizione elettorale". E, dopo aver rimarcato che gli eletti della maggioranza si sono tutti presentati su quel programma e con quella coalizione, avverte: "Siamo pronti alle elezioni, nel caso in cui il riscontro sulla fiducia in Parlamento decretasse che non c’è più la maggioranza". E assicura che "se si votasse a breve, stando ai focus sugli elettori – visto che sondaggi non sono possibili in tempi di vacanza –, la maggioranza Pdl e Lega, con altri partiti che si aggiungerebbero, avrebbe oltre il 50 per cento dei consensi". E infatti oggi si dedicherà a un nuovo vertice organizzativo con i club e i circoli della Libertà. Visibilmente stanco, ma sereno, dopo la lunga giornata di lavoro di un agosto quasi tutto "lavorato", si sincera con i cronisti se almeno loro le vacanze le hanno fatte o se l’essere lì possa aver comportato, per loro, un brusco rientro dalle ferie. Ma evita accuratamente ogni spunto polemico, senza però sottrarsi alle domandi sulla scottante attualità, fatta anche di martellanti inchieste sulla casa di Montecarlo, che vedono come capofila proprio i giornali a lui più vicini. Nega che possa esserci una sua autorizzazione o condivisione: "Posso assicurare – assicura – che non ci sono mai state da parte mia o dei miei collaboratori delle incentivazioni rispetto a questa campagna: noi siamo sempre dispiaciuti quando si passa da un’attività politica normale a un’attività politica che conosce scandali o campagne giornalistiche che portano dei turbamenti nei rapporti politici e personali". E, sempre rispondendo alle indiscrezioni di questi giorni, nega di aver mai ordito una sorta di campagna acquisti dei finiani: "Non abbiamo organizzato nessuna azione di conquista, e posso assicurare di non aver telefonato a nessuno", sostiene il premier. Insomma una verifica che dovrà avvenire alla luce del sole, nelle aule parlamentari. "Ma non accetteremo – avverte – che sui punti riguardanti il programma sottoscritto con gli elettori ci possano essere trattative, come in passato". Ma è proprio sui punti extra-programma che i finiani potrebbero riaprire le ostilità: "Il documento è condivisibile al 95 per cento" dice Italo Bocchino, capogruppo di Futuro e Libertà, alla Camera dove, mettendosi di traverso, il gruppo di Fli sarebbe (senza defezioni) in grado di far mancare i numeri alla maggioranza. Niente da dire, dunque, su riforma del Csm e carriere separate, ma del processo breve (che non è nel programma, e dovrà approdare in seconda lettura proprio a Montecitorio) se ne dovrà riparlare. "Se non ci saranno modifiche potremmo rivotarlo", concede però il coordinatore di Fli Sulvano Moffa. Ma è sul metodo che Fini non vuole cedere: "Basta aut aut, dovranno rispettarci e parlare con noi", avverte da Ansedonia e detta la linea ai suoi.
21 agosto 2010 IMMIGRAZIONE ED ESPULSIONI Caso rom, Migrantes: l'Europa chiede inclusione I rimpatri in atto in questi giorni dei rom dalla Francia alla Romania sono illegittimi. È quanto ha detto alla Radio Vaticana monsignor Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes della Conferenza episcopale italiana, commentando i provvedimenti presi dal governo di Nicolas Sarkozy. "Occorrerebbe verificare -ha detto l'esponente della Chiesa italiana- se questi rimpatri sono legittimi e da quanto è stato detto dalla Commissione europea, sono illegittimi perchè riguardano sostanzialmente persone che hanno il diritto di movimento in Europa e d'insediamento. Questi rimpatri, vanno a toccare soprattutto una popolazione, la popolazione rom indistintamente, senza invece, valutare con attenzione quali sono i problemi". Intanto, dall'Italia, il ministro dell'interno Roberto Maroni dice che bisogna arrivare alla possibilità di espellere anche i cittadino comunitari e plaude all'iniziativa di Sarkozy e paventa la possibilità di "espellere anche i cittadini comunitari" che violano la direttiva che fissa i requisiti per chi vive in un altro Paese membro dell'Ue (reddito minimo, dimora adeguata e non essere a carico del sistema sociale del Paese che lo ospita). Monsignor Perego sottolinea poi come in Italia sia "necessario costruire nuovi percorsi che portino alla cittadinanza anche per le minoranza non riconosciute come sono quelle dei rom" e come sia necessario "un nuovo percorso di cittadinanza che premi soprattutto i bambini che nascono in Italia, o che sono già nati in Italia in modo che possano diventare cittadini al momento della nascita, che premi soprattutto la partecipazione al voto e in particolare amministrativo; che sia sempre più una legge che aiuti da subito l'integrazione, la partecipazione e la responsabilità"
21 Agosto 2010 TOLLERANZA ZERO Rom, Parigi tira dritto altri 130 in Romania Senza il minimo accenno a segni di debolezza di fronte alle accuse e alle polemiche, le autorità francesi hanno continuato ieri nel loro programma di rimpatrio di cittadini rom. Dopo i primi 75 imbarcati giovedì su voli diretti a Bucarest da Parigi e da Lione, ieri sono stati 130 i rom partiti dalla capitale francese con destinazione la città romena di Timisoara. I rom sono stati trasportati all’aeroporto su tre pullman scortati dalla polizia e non hanno potuto rilasciare dichiarazioni alla stampa. La prosecuzione dei "rientri volontari" era stata annunciata poco prima dal ministro dell’Immigrazione Eric Besson (che però aveva parlato di 139 partenti). Besson ha spiegato che altri 160 rimpatri sono previsti per giovedì prossimo e che alla fine del mese i rom rimpatriati dalla Francia dall’inizio dell’anno, con una trentina di voli, raggiungeranno quota 850. "Lo smantellamento dei campi abusivi ad agosto ha portato all’accelerazione di questo processo che era stato già avviato", ha spiegato il ministro. In base alla formula del cosiddetto "rientro volontario", i rom partiti dalla Francia stanno ricevendo un sussidio statale di 300 euro a persona per gli adulti e di 100 euro per i bambini. Il rimpatrio è sì su base volontaria, ma a chi rifiuta l’offerta arriverà comunque un ordine di lasciare il Paese entro un mese e senza compensi. Anche se i rom di Bulgaria e Romania sono cittadini dell’Unione Europea, Parigi si è riservata fino al 2014 il diritto di escludere i cittadini dei nuovi membri dell’Ue dal mercato del lavoro e di espellerli entro tre mesi dal loro arrivo. Ma le critiche contro la politica del presidente Nicolas Sarkozy non mancano. Giovedì sul quotidiano Liberation Robert Kushen, direttore del Centro europeo per i diritti dei rom, sosteneva con amarezza che il governo francese "strumentalizza i rom per mostrare il pugno duro sulle questioni dell’ordine pubblico". Opposizione e Ong denunciano il clima di razzismo e di xenofobia nei confronti della popolazione rom, diventata il "capo espiatorio" dell’esecutivo. Per il deputato socialista Arnoud Montebourg, che ha invitato i ministri ad "essere umani", il governo sta instaurando "una sorta di razzismo ufficiale". Parigi però non demorde, anzi rincara la dose. "I bambini non devono servire da alibi", è la posizione del segretario di Stato alla Famiglia Nadine Morano, interpellata dalla radio Europe 1. "Quando si vedono persone sedute in strada – ha proseguito – che si servono di bambini, alcuni dei quali sono sotto effetto di farmaci per essere un po’ drogati o addormentati, che chiedono la carità, non si può accettare un simile comportamento". Da parte sua l’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti, ha ribadito ieri a Radio Vaticana che occorre "tener presenti le regole dell’Unione Europea, che proibisce, per esempio, espulsioni collettive e che dice che se non c’è un grave pericolo per la sicurezza non ci può essere espulsione". In materia di immigrazione, ha però chiosato il ministro Besson, Parigi non deve "prendere lezioni da nessuno". "La Francia – ha sottolineato Besson – è il Paese europeo più rispettoso dei diritti degli immigrati, soprattutto di quelli irregolari o, per essere più modesti, uno dei Paesi più rispettosi". Paolo M. Alfieri
12 agosto 2010 NELLE TASCHE DEGLI ITALIANI Cgia, in Italia più tasse e meno welfare Su ciascun italiano grava un peso tributario annuo, fatto di sole tasse, imposte e tributi, pari 7.359 euro, mentre in Germania la quota pro capite tocca i 6.919 euro. Tra i principali Paesi dell'area euro, solo la Francia sta peggio di noi. Ma si tratta di una situazione relativa, perchè i transalpini versano una media di 7.438 euro di tasse allo Stato ma vengono "ricompensati" con una spesa sociale pro capite pari a 10.776 euro. È quanto sostiene il Centro studi della Cgia di Mestre, sulla base delle tasse pagate nel 2009. Sempre in termini di spesa sociale i tedeschi ricevono, invece, 9.171 euro pro capite l'anno, mentre agli italiani tra spese per la sanità, l'istruzione e la protezione sociale vanno appena 8.023 euro: vale a dire 2.753 euro in meno della Francia e 1.148 euro in meno della Germania. Se si analizza invece il saldo, vale a dire la differenza pro capite tra quanto ricevuto in termini di spesa e quanto versato in termini di tasse, quello francese è positivo e pari a 3.339 euro. Anche il differenziale tedesco registra una valore positivo, pari a 2.251 euro. In Italia, invece, si segna un saldo di 664 euro pro capite. "La situazione è fortemente sconfortante - commenta il segretario della Cgia di Mestre Giuseppe Bortolussi - perchè dimostra ancora una volta come, pur in presenza di un peso tributario tanto elevato, in Italia non vengano destinate risorse adeguate per la casa, per aiutare le famiglie indigenti, i giovani, i disabili e chi vive ai margini della società. È evidente a tutti - prosegue - che le tasse così elevate nel nostro Paese sono la conseguenza di una spesa pubblica eccessiva". A chi poi sostiene che probabilmente le tasse sono alte per colpa degli evasori fiscali, la risposta di Bortolussi è secca: "È innegabile che il problema dell'evasione fiscale pesi sull'Italia. Ma allora sarebbe anche opportuno studiare una strategia efficace - propone - affinchè venga fatta emergere l'economica sommersa e si faccia pagare chi è completamente sconosciuto al fisco". Dagli Artigiani di Mestre arriva infine la sollecitazione "ad abbassare le imposte, combattere l'evasione fiscale e tagliare le intollerabili inefficienze presenti nella Pubblica amministrazione così come stanno facendo in tutti gli altri Paesi europei". 2010-08-20 20 agosto 2010 ROMA Berlusconi: "Fiducia a settembre oppure andiamo al voto" Silvio Berlusconi conferma l'azione del governo su tutta la linea e lo fa al termine di un vertice di quasi sei ore con lo stato maggiore del Pdl. E lo fa durante una conferenza stampa in cui esordisce parlando della crisi della maggioranza: "Non è giustificabile che governi chi è stato sconfitto". Nelle elezioni del 2008, ha aggiunto Berlusconi "anche grazie alla legge elettorale, si è realizzata la novità assoluta che gli elettori scelgono il primo ministro, l'alleanza e il programma di governo. Questa è una novita che non può essere cancellata, nel rispetto del popolo sovrano". Federalismo fiscale, ddl intrcettazioni e riforma della giustizia sono alcuni punti del programma su cui il governo chiederà la fiducia alle Camere. Ma sul documento, ha aggiunto il premier, "Serve una maggioranza non risicata". In caso contrario il Pdl è "pronto" a elezioni anticipate, anche "entro dicembre". "Certamente entro dicembre se non ci fosse la fiducia sui punti del programma - ha spiegato il premier dopo aver elencato i cinque punti che saranno messi al vaglio della fiducia dei finiani alla riapertura dei lavori - ogni passo in più sarebbe tempo perso". I PUNTI DEL PROGRAMMA Tra i vari temi che sono stati dibattuti durante la riunione dei capigruppo del Pdl non poteva mancare la riforma del federalismo fiscale che, assicura il premier, "non comporterà assolutamente maggiori costi" e per quanto riguarda "la pressione fiscale è destinata progressivamente a dimuinire". Il premier ha poi affrontato il nodo della giustizia e dei rapporti con la magistratura sottolineando che "non si può indulgere di fronte al tentativo che minoranze militanti della magistratura, ispirate da teoremi politici, cerchino di porre in atto fin dal '94, di abbattere il governo legittimo". "Si rende necessario anche per via costituzionale una riforma della disciplina dei magistrati e un intervento sul Csm con una riforma costituzionale" allo scopo di avere "due organismi separati per la magistratura". Inoltre, ha aggiunto Berlusconi: "Attueremo una riforma complessiva della giustizia per processi più brevi". E si dovrà procedere al più presto all'approvazione definitiva del ddl sulle intercettazioni. Il premier ha poi ribadito che il governo approverà una legge "a tutela delle alte cariche istituzionali, già ora al Senato e che verrà approvata in tempi celeri anche alla Camera" mentre sul tema dell'immigrazione, il governo intende proseguire con la politica dei respingimenti. FINI E I FINIANI "Non c'è mai stata da parte mia nessuna incitazione su questa campagna". Lo ha specificato il premier Silvio Berlusconi con riferimento alla campagna mediatica sul dossier della casa di Montecarlo contro Gianfranco Fini. "Sono sempre dispiaciuto - ha concluso Berlusconi - quando avvengono queste cose". Parlando poi dei rapporti con i finiani che hanno formato il gruppo "Futuro e libertà", Berlusconi ha precisato che "noi non dobbiamo conquistare nessuno (il riferimento è ai finiani "moderati", ndr) Sono rimasti nel Pdl e non crediamo di dover conquistare nessuno di loro, e io personalmente, ma credo nessuno dei dirigenti del partito, abbia fatto nessuna telefonata". Ma su un punto il premier è stato categorico: "Non permetteremo alcuna trattativa sui punti del programma come avvenuto in passato. Abbiamo dato prova di grande senso di responsabilità, dando la priorità all'approvazione della manovra. Poi - ha concluso Berlusconi - siamo stati costretti a intervenire con quel documento approvato a stragrande maggioranza dall'ufficio di presidenza".
20 agosto 2010 FEDE E SOCIETA' Progetto culturale Cei "sguardo sull'Italia" Una piazza aperta su cui si affacciano il campanile e il palazzo pubblico, le case e i portici. Dall’agorà dei Greci a quella del Comune, la piazza ha sempre rappresentato il cuore della città, il posto in cui si dialoga, ci si confronta, si interloquisce: il luogo in cui si rispettano le identità nella consapevolezza della propria. Da questa immagine nasce la filosofia del Progetto culturale e di conseguenza il logo del Servizio nazionale della Cei. Nel villaggio globale, in un mondo dove Internet e le nuove tecnologie "linkano" le persone, le mettono in contatto, la piazza del progetto culturale rappresenta lo spazio virtuale ma anche reale dove confrontarsi e riconoscersi attorno alle idee e ai problemi è importante così come pensare più a fondo e alla luce della fede le questioni fondamentali della cultura. "È il luogo dove comunicare tutto questo agli altri, nella convinzione che la comunità nasce anche dalla comunicazione" spiegano dal Servizio nazionale per il progetto culturale. È nel 1994 che il cardinale Camillo Ruini, nella sua prolusione al Consiglio permanente della Cei, fa per la prima volta un accenno a un "progetto culturale": cultura "come terreno di incontro tra la missione propria della Chiesa e le esigenze più urgenti della nazione". Nel 1995 il Convegno ecclesiale di Palermo registra un consenso generale intorno al progetto e un anno dopo, nel 1996 tre seminari di studio promossi dalla Cei e l’Assemblea Generale dei vescovi italiani delineano le motivazioni e i contenuti del progetto culturale. I tre seminari sono dedicati rispettivamente a "Chiesa e cattolicesimo in Italia dopo il Concilio", a "La comunicazione sociale oggi, le sue prospettive e l’impegno della Chiesa", ad "Antropologia cristiana e culture contemporanee". Nel 1997 viene pubblicato dalla presidenza della Cei il documento fondativo Progetto culturale orientato in senso cristiano. Una prima proposta di lavoro. Per quanto riguarda le grandi aree tematiche, ha cercato di individuarne tre su cui focalizzare la riflessione, e verso cui orientare le attività di ricerca: libertà personale e sociale in campo etico; identità nazionale, identità locali e identità cristiana; interpretazione del reale: scienze e altri saperi. Non mancano poi i temi emergenti su cui il progetto culturale ha concentrato l’attenzione come nel caso dell’antropologia e della trasmissione della fede, i nodi riguardanti la spiritualità, le tematiche della famiglia e della vita, scuola ed educazione, responsabilità verso il creato. Al riguardo durante gli anni molto utili sono stati il Forum del progetto culturale, i seminari di studio, le iniziative a sostegno della ricerca realizzate da esperti delle più diverse discipline, nella comune prospettiva di un’antropologia ispirata al Vangelo. "Nel significato e nella centralità dell’evento di Gesù Cristo – spiegano dal Servizio nazionale per il progetto culturale –. In Cristo, infatti, ci è data un’interpretazione di Dio e dell’uomo, e quindi implicitamente di tutta la realtà, che è così pregnante e dinamica da potersi incarnare nelle più diverse situazioni e contesti storici, mantenendo al contempo la sua specifica fisionomia, i suoi elementi essenziali e i suoi contenuti di fondo". Vincenzo Grienti
20 agosto 2010 LOTTA E GOVERNO Bossi: si voti a dicembre Berlusconi: extrema ratio "Fine novembre... Magari i primi di dicembre... Vedremo con il presidente, ma una soluzione si trova". All’improvviso Umberto Bossi accelera deciso e arriva a ipotizzare una data per un eventuale voto anticipato. Poi, senza cambiare tono di voce motiva la scelta. "Così non è possibile andare avanti. Ormai la macchina sta correndo verso le elezioni". Si ferma ancora, il Senatur. Riflette due, tre secondi prima di dettare l’ultimo messaggio. Destinatario il presidente della Camera. "... Serve qualche gesto importante che la blocchi. Le dimissioni di Fini sarebbero un gesto importante per fermare questa corsa". A poche ore dal vertice del Pdl fissato per questa mattina a Palazzo Grazioli per mettere a punto un documento programmatico di fine legislatura la sortita di Bossi sembra comunque una mossa tattica. Perchè – ripetono sottovoce nell’entourage del Cavaliere – "se vuoi la pace devi preparare la guerra". Già, Berlusconi vuole la pace. O meglio non vuole il voto anticipato. E nelle ore passate nella residenza sarda di Porto Rotondo ripete ai pochi collaboratori di cui si fida in maniera assoluta il suo vero pensiero: "La prospettiva del voto non mi spaventa, ma nemmeno mi rallegra. Anzi, il voto anticipato è una sconfitta. Perchè questa esperienza di governo ha dato e poteva ancora dare risultati importanti". Si ferma qualche istante il premier e chiude quel ragionamento con poche ulteriori parole. "È un vero peccato interromperla". È una partita di poker. Berlusconi capisce fino in fondo le insidie che si agitano dietro quell’idea di presentarsi alle Camere e chiedere la fiducia sul documento che dovrebbe essere messo a punto nella maratona di oggi (ma si potrebbe andare avanti anche fino a sabato). Il premier mette in fila tutte le variabili. Ma si rende anche conto che è il momento di mostrare fermezza. E allora sul tema più controverso, quello della giustizia (al vertice oltre a coordinatori, capigruppo e vice dovrebbe partecipare anche il ministro Guardasigilli, Alfano), non ci sarà nessuna concessione. Perchè "è il momento di andare dritti sul Lodo Alfano costituzionale, sul processo breve e sulla riforma del processo penale". Le prossime ore aiuteranno a capire. Ma l’offensiva sul voto del capo della Lega fa discutere. "Sono d’accordo con Bossi: meglio elezioni a novembre piuttosto che trasformare il governo del fare in una sorta di esecutivo di transizione", ripete Gianfranco Rotondi che chiosa: "Un quadro così sfibrato non ce l’aveva nemmeno Prodi". Sarà ma il premier è convinto che la legislatura può arrivare fino in fondo. "Magari allargando la maggioranza. Magari riportando nel Pdl i finiani moderati", ripete il capo del governo che con la testa già al vertice romano ripete la linea: "Il voto deve essere solo l’extrema ratio". Arturo Cellett
20 agosto 2010 LOTTA E GOVERNO Pd-Idv: prima sia crisi alle Camere Alla accelerazione elettorale di Umberto Bossi il Pd replica chiedendo una certificazione di fronte alle Camere della dissoluzione dell’esecutivo. "Bossi può chiedere le elezioni, prima però il presidente del Consiglio si deve presentare in Parlamento ed ufficializzare la crisi ammettendo che non è più in grado di governare", è l’intimazione che arriva dal capo della segreteria politica di Pier Luigi Bersani, Filippo Penati. All’unisono il capogruppo di Idv alla Camera, Massimo Donadi, dichiara: "Prima il premier venga in aula a formalizzare la crisi, altrimenti è fantapolitica". E il presidente dei senatori dell’Udc, Gianpiero D’Alia ribadisce, chiamando in causa la Costituzione, che "se Berlusconi dovesse rassegnare le dimissioni, il Capo dello Stato dovrà provvedere a verificare se ci sarà ancora una maggioranza in Parlamento e se le forze politiche potranno andare avanti". Quasi ad assicurare che il Pd non teme elezioni, il portavoce di Bersani, Stefano Di Traglia, smentisce decisamente quanto affermato dal capo della Lega, cioè che il suo leader si sarebbe recato dal premier per dirgli "mica vorrai andare al voto?". "Bossi è in confusione, arriva a inventarsi delle favole", ribatte Di Traglia. Addirittura tutta la "maggioranza o il residuo di maggioranza rimasto", secondo Pierluigi Castagnetti sarebbe "in stato confusionale" con Bossi che spinge e Berlusconi che frena. L’impressione dell’ex segretario del Ppi è "che non sappiano come uscire dall’impasse: da un lato non riescono ricomporre condizione numerica, forte e coesa", dall’altro si rendono conto che il "ricorso alle elezioni non è così semplice, perché la Costituzione impone al presidente Napolitano di rispettare le procedure assolutamente vincolanti". Ma il bersaglio principale del Pd è il leader della Lega. "Bossi ha indicato anche la data delle elezioni: siamo all’assurdo, se un giorno salirà al Quirinale, potrà togliersi questa soddisfazione, per ora ha altri doveri di fronte agli italiani", rimarca Francesco Boccia. Se il "Carroccio" ha inserito la quinta per raggiungere la consultazione popolare, Penati interpreta la mossa come il riconoscimento davanti agli italiani che "il centrodestra ha fallito e che la guerra scoppiata al suo interno ha distrutto la fiducia". Il vertice di oggi? "Solo una riunione politica", ne minimizza la portata istituzionale Michele Ventura. I quattro punti programmatici? "Altrettanti fallimenti del governo", sostiene Davide Zoggia. Pier Luigi Fornari
20 agosto 2010 IL PAESE CHE SOFFRE Nuove povertà Il triplice rischio In Italia ci sono oltre due milioni e mezzo di famiglie che non possono spendere più di 900 euro al mese - è il cosiddetto indice di "povertà relativa" - e addirittura un milione e 162mila classificate secondo gli indici della "povertà assoluta". Si tratta cioè di persone che hanno a disposizione meno di 680 euro al Nord e meno di 512 al Sud. Insomma, tra "quasi" poveri e poveri conclamati, siamo al di sopra dei 10 milioni di persone. Secondo quanto riferisce l’ultimo dossier Istat questa cifra negli ultimi anni risulta in lieve, ma costante aumento. Ma esistono situazioni, circostanze, difficoltà che aprono la strada alle nuove povertà? Sulla base delle statistiche abbiamo individuato tre casi; malattia, momento della pensione e separazione. E raccontiamo altrettante storie. Raffaellina d'inverno si scalda con la carbonella La porta della cucina di Raffaelina è sempre aperta e chiunque vi si può affacciare in qualsiasi momento per un saluto che la fa felice. La cucina è il cuore della sua casa - piano rialzato in uno stabile dall’intonaco scrostato - a destra c’è la camera con il lettone, a sinistra il piccolo bagno e un ingresso che sembra un ripostiglio e davanti un pianerottolo come un corridoio. Raffaelina mostra i ninnoli e le foto che tiene in ogni angolo, sull’armadio e sulle pareti e ad ognuno corrisponde un ricordo. E sono tanti. Lucida anche se, come dice lei, qualche volta si appanna e la memoria va e viene, Raffaelina Percoco, napoletana di 83 anni, vive con la pensione di artigiano: "530 euro al mese che non ti fanno comparire e a stento campare", osserva. "Quando mia sorella Sisina se n’è andata per la malattia, faranno sedici anni a gennaio, io sono rimasta sola e le cose moderne non le capisco". Nelle "cose moderne" Raffaelina include l’euro, con un prima e un dopo. "Adesso la pensione vale la metà e la spesa costa il doppio", riflette. Questo per lei significa mangiare una volta al giorno - solo il primo oppure solo il secondo, una mela, ma la domenica il pranzo si completa con un bicchiere di vino. Ha rinunciato al gas di città perché costa troppo: per cucinare usa la bombola, ma più spesso, specie in estate, la fornacella - il barbecue dei poveri - per l’acqua calda ha uno scaldino elettrico che accende solo quando le serve, per riscaldarsi d’inverno c’è il braciere con la carbonella che brucia dal mattino. "Così stanno le cose e i soldi quelli sono. Ogni mese ci vogliono di pigione 150 euro, poi c’è la luce, l’acqua e il telefono. Pure la carbonella è aumentata e bisogna stare accorti a non sciuparla. Qualcosa nel frigorifero ci deve stare e qualche soldo da parte per il funerale e il cimitero lo devi tenere. Le cose si fanno vecchie come i cristiani e bisogna aggiustarle o comprarle nuove e alla fine uno deve pregare di non cadere malato", elenca con un sospiro. Rimette una ciocca di capelli dietro l’orecchio - "da questo lato ci sento ancora un poco, da quell’altro non sento nemmeno le campane di mezzogiorno" precisa - si accomoda meglio sulla seggiolina e ricomincia a raccontare: "Per 40 anni ho fatto la sarta. Tutto me lo sono guadagnato con la fatica mia", dice alzando un po’ la voce e allargando le braccia per includere nella stretta anche l’ultimo cassetto e il suo contenuto. "Sacrificio e pazienza sono pane quotidiano", riprende. "Però io – aggiunge con orgoglio – pago l’abbonamento alla televisione". Con le chiacchiere il suo unico passatempo. Ha moglie e figli in cura: "Un Comune ci "adotti"" "Cercasi Comune disposto ad aiutare famiglia in difficoltà, in cambio si offre un marito e padre tuttofare". Il suo messaggio in bottiglia, Mario l’ha lanciato nel mare di Internet e adesso attende, fiducioso una risposta. A 55 anni si è reso conto di non farcela più da solo a tenere testa a una situazione sempre più complicata. E ora tende la mano. Fino a 5 anni fa, la vita di Mario Riboldi, di sua moglie Caterina e della loro figlia adolescente, era uguale a quella di tante altre famiglie. Lavoro, studio, vacanze scandivano i diversi periodi dell’anno. La svolta, in negativo, è arrivata con la diagnosi di sclerosi multipla per la moglie, una malattia degenerativa che, in appena cinque anni, ha molto prostrato una donna attiva, un’artista impegnata nella produzione di racconti per bambini. Come se non bastasse, poco dopo, alla bambina viene diagnosticata una malattia neurologica che la costringe a frequenti ricoveri in ospedale. "Ho chiesto aiuto al mio Comune di residenza, senza però mai ottenere una risposta positiva – denuncia Mario, che da 12 anni abita ad Alassio (Savona), dove, in passato, è stato promotore di numerosi eventi culturali –. Anche l’Azienda sanitaria, a cui avevo sollecitato l’invio, a domicilio, di un infermiere, mi ha dato una risposta negativa, dicendo di non avere personale a disposizione. Così, per curare le mie donne, sono stato costretto a lasciare il lavoro e adesso mi arrangio come posso". Attualmente, la situazione della famiglia Riboldi è la seguente. Ogni mese in casa entrano tra i 500 e i 600 euro, 250 dei quali come pensione di invalidità di Caterina e il resto dai lavoretti quotidiani che Mario riesce a raccattare, ma ne escono più di 200 in medicine, senza contare le spese d’affitto e per la casa. Anche questa, tra l’altro, sta diventando un problema. "Abitiamo in collina – spiega Mario – e per arrivare alla nostra casa si deve percorrere una mulattiera a gradoni di oltre 200 metri. Una fatica che mia moglie non è più in grado di sopportare. Per questa ragione, ho da tempo fatto domanda al Comune di un alloggio popolare più adatto alle nostre condizioni, ma non ho mai ottenuto risposta". Mario non cerca una reggia, gli basterebbe una casa dove poter accudire al meglio Caterina e la figlia malate. Così ha pensato di chiedere asilo a qualche Comune della zona, con un appello in Internet. "Se qualche amministrazione crede di poter fare qualcosa di concreto per noi si faccia avanti – sollecita Mario –. In cambio mi offro come factotum. So fare di tutto: dal giardiniere, al custode all’imbianchino. Non chiedo la carità, ma una casa adatta e un lavoro onesto per poter sostenere la mia famiglia". Franco arriva a fine mese solo grazie alla solidarietà Una mattina ti svegli e non hai più niente. Il tuo matrimonio è andato in pezzi e tu, senza quasi avere il tempo di realizzare la nuova situazione, ti ritrovi in mezzo a una strada. È quello che è successo a Franco (il nome è di fantasia ma la storia è drammaticamente vera), che dopo la separazione dalla moglie, ha dovuto "reinventarsi una vita". Per prima cosa è tornato a vivere con gli anziani genitori, perchè non si poteva certo permettere una casa tutta sua. Con uno stipendio di 2mila euro al mese - che fino a poco tempo prima gli consentiva di vivere più che dignitosamente ma che adesso era diventato troppo stretto - doveva mantenersi e versarne più di due terzi (circa 1.300 euro al mese) come assegno di mantenimento all’ex-coniuge. Inoltre, così era stato stabilito nella sentenza di separazione, doveva coprire anche il 50% delle spese straordinarie per il figlio di tre anni. Che, tra l’altro, Franco riesce a incontrare tra mille difficoltà. "Per fortuna c’erano i miei genitori, altrimenti non avrei davvero saputo dove sbattere la testa", ricorda l’uomo, riaprendo una ferita mai rimarginata, anche perchè, a undici anni di distanza dai fatti, ancora oggi è costretto a versare questa cifra, rivalutata secondo l’inflazione. E questo, nonostante viva in affitto a 900 euro al mese, con la nuova compagna, che non lavora e una bimba di nemmeno tre anni. "Siccome spesse volte non riuscivo materialmente a versare quanto richiesto dal giudice – aggiunge Franco – chiesi la revisione dell’assegno di mantenimento. Per tutta risposta, il giudice non solo me l’ha confermato ma ha pure costretto l’azienda per la quale lavoro a trattenermelo direttamente dallo stipendio. Così, adesso in busta paga, quando mi va bene, trovo 5-600 euro al mese. Riusciamo a campare soltanto grazie al premio di produzione che l’azienda mi riconosce e alla tredicesima". Anche queste entrate, però, sono adesso a rischio, perchè la società, che non naviga in buone acque, ha varato una drastica politica di riduzione dei costi e, tra le prime voce da tagliare, ci sono proprio i premi e i benefit ai quadri, tra i quali c’è anche Franco, che adesso teme anche di perdere il lavoro. "Non ho vergogna a dire – conclude l’uomo, che ha imparato a rivoltare i colli delle camicie e a rammendare i calzini – che, spesse volte, riusciamo ad arrivare alla fine del mese soltanto grazie al pacco del Banco alimentare. Inoltre, quando è nata la bambina, il Movimento per la vita ci ha fornito il materiale necessario al suo accudimento, che altrimenti non avremmo saputo come recuperare". <+firmacoda>Paolo Ferrario Valeria Chianese e Paolo Ferrario
2010-08-19 19 agosto 2010 LA RESA DEI CONTI Fini: "Danneggia il Paese chi attacca le istituzioni" "Chi spara sulle istituzioni non fa altro che danneggiare il Paese". Gianfranco Fini e Gianni Letta si appartano per una ventina di minuti, dopo aver reso omaggio alla camera ardente per Francesco Cossiga. Il presidente della Camera assicura che, da parte sua, intende essere leale, ma in un clima del genere di inchieste e aggressioni a mezzo stampa tutto di fa più difficile. E difficile, davvero, è l’ennesima mediazione che chiede al sottosegretario alla presidenza. Una mission impossible persino per uno come lui. Se margini d’intesa ancora ci sono, insomma, questi si spostano, in Parlamento. Il tempo dei mediatori si è esaurito, lascia intendere Letta. Così, a tarda sera, dallo staff del presidente della Camera decidono di far uscire quel messaggio che, altrimenti, sarebbe rimasto nel chiuso del faccia a faccia. Una risposta, da Fini, anche alle indiscrezioni filtrate da Porto Rotondo, dove il premier aveva ragionato con i suoi, sulla strategia da tenere con i finiani dissidenti: "Un conto è la fedeltà, personale, a Gianfranco Fini, un conto è la rottura del patto con gli elettori, sono convinto su questa strada lo seguirebbero in pochi, in pochissimi". Silvio Berlusconi, insomma, prova a svuotare il gruppo del presidente della Camera alla ripresa dei lavori parlamentari: "Bisogna convincere uno ad uno i finiani moderati. E se ognuno di voi parla con uno di loro, siamo già a cavallo". L’offensiva rimbalza anche sulle agenzie di stampa. E Fini si sfoga con i suoi: "Se Berlusconi pensa di dividerci si sbaglia di grosso. Non ce la farà mai". Si naviga a vista, insomma, mentre il premier prepara il vertice di domani: ci sarà tutto lo stato maggiore del Pdl ma senza i ministri. I temi sul tavolo sono noti, ma la giustizia sarà centrale. Berlusconi pensa a uno scudo con le alte cariche, la cosa si presenta però piena di incognite, non essendo percorribile la via della modifica costituzionale e non essendo facile convincere i finiani su un percorso che provi di nuovo (dopo la bocciatura del Lodo Alfano) a intervenire con legge ordinaria. Il premier pensa a un percorso a tappe forzate, che preveda un passaggio alla Camera, con un suo intervento in aula e voto di fiducia, e poi "chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori". Fabrizio Cicchitto, coordinatore del gruppo di lavoro, però, resta fiducioso: "Vogliamo costruire, non rompere", dice. L’altro giocatore di poker non è da meno. Fini incarica i capigruppo (il "duro" Bocchino e il "moderato" Viespoli) di uscire con una nota congiunta: "Siamo tutti moderati, ma non smemorati, visto che ci sono state espulsioni senza contradditorio", ricordano. Angelo Picariello
2010-08-18 18 agosto 2010 POLITICA E BIOETICA Sui valori non negoziabili cresce il fronte bipartisan Ripartire dai valori non negoziabili sembra questo in un momento di stallo della politica, non solo per la interruzione estiva, una indicazione che accomuna parlamentari di diverse forse politiche. Il vicepresidente dei senatori del Pdl Gaetano Quagliariello, assicura che dopo la rottura con Gianfranco Fini, il suo partito "avrà la possibilità di qualificarsi con ancora più per la coerenza sui temi bioetici". Comunque l’esponente del centrodestra auspica che l’attuale passaggio politico "sia l’occasione di un confronto con quelle forze come i cattolici e i moderati del Pd, come l’Udc, che su queste tematiche dovrebbero trovarsi accanto al governo e la sua agenda. Spero, perciò, che anche nella differenziazione dei ruoli si trovino ragioni per andare avanti insieme e magari per approfondire dei rapporti". "Non è più possibile immaginare una politica che si muova come se l’unico criterio antropologico di riferimento fosse l’homo oeconomicus", osserva la udc Paola Binetti constatando che "le posizioni di molti finiani sui temi etici sono scarsamente condivisibili", per cui ben vengano "gli interventi di molti cattolici del Pd a sostegno di questi valori". Secondo la Binetti l’apertura dell’Unione di Centro ad "una nuova realtà politica, un’area di responsabilità nazionale, va in questa direzione: creare un luogo d’incontro rivolto in primo luogo, ma non solo, a tutti i cattolici che hanno voglia di ricominciare a far politica partendo proprio da questi valori essenziali". Secondo l’ex presidente di Scienza&Vita "il cambiamento politico che è nell’aria", può avere senso "se genera schieramenti con un forte collante di valori etici condivisi". Marco Calgaro di Api esprime consenso con le posizioni assunte dal ministro Sacconi in materia di bioetica, ma in campo di politica familiare registra che "né il centrosinistra né il centrodestra sono stati capaci di attuare misure significative per i genitori con figli", né quoziente familiare, né deduzioni consistenti. "Per noi il bipolarismo ha fallito – argomenta Calgaro – perché nei partiti c’è tutto ed il contrario di tutto. Auspichiamo la formazione di un terzo polo, ma non per ripetere lo stesso errore, quindi una condizione ineludibile è la elaborazione di un programma chiaro e coeso anche sotto il profilo antropologico". Laura Molteni della Lega considera la proposta di legge sul fine vita uscita dalla commissione Affari sociali della Camera una proposta "equilibrata, rispettosa dei principi costituzionali, della vita e delle persone disabili, che si oppone sia a qualsiasi deriva eutanasica, sia all’accanimento terapeutico". "Sui valori non è possibile negoziare – evidenzia un altro leghista, Massimo Polledri – anche Bossi in questo campo ha tracciato una linea, rilevando che il cambiamento ci può essere in economia, ma non nella concezione della famiglia. È una questione di diritto naturale. Anche Roberto Calderoli ha detto che la Ru486 attacca la salute delle donne, una posizione difesa anche dai governatori Luca Zaia e Roberto Cota". Pier Luigi Fornari
18 agosto 2010 POLITICA E BIOETICA Fioroni: "Libertà di coscienza sui temi sensibili" "In uno scenario di basso impero, di lotta per bande, che non risparmiano neppure incursioni contro il presidente della Repubblica, avviare una riflessione di alto profilo sullo Stato sociale e sulla bioetica è un modo per tornare a parlare di politica con la "p" maiuscola". Dalla opposta sponda del Pd, Beppe Fioroni, responsabile Welfare, commenta così i contenuti della intervista ad Avvenire di domenica scorsa del ministro Maurizio Sacconi, pur rinviando a una verifica più concreta delle posizioni in merito. "Riprendere a occuparsi dei problemi del Paese – evidenzia l’ex ministro della Pubblica Istruzione – è la maniera migliore per onorare la figura di Francesco Cossiga che ha sempre privilegiato gli interessi dello Stato rispetto a quelli di parte". Nel caso di Sacconi, lei sembra interessato più alle posizioni del parlamentare che a quelle del ministro... Sì. Perché l’agenda bioetica aperta più volte dall’esecutivo non ha mai trovato un prosieguo in un reale confronto parlamentare. E se le Camere affronteranno quei temi, cosa accadrà? Se saranno dibattuti senza politicizzazioni o polemiche elettorali, è certo che una riflessione basata sulla libertà di coscienza porterà molto probabilmente quelli che hanno un comune sentire a trovare delle convergenze. Comunque mi sembra che la novità rilevante di questi giorni sia un’altra. Quale? La libertà di coscienza è tornata ad essere tema di attualità. Sembrava un una sorta di escamotage politico, un problema esclusivo dei cattolici del centrosinistra, adottato ad esempio per votare a favore della legge sulla procreazione medicalmente assistita, invece diviene oggi decisivo ribadire che sui temi dell’inizio e del fine vita, per la loro stessa natura non si può essere un obbligati a seguire la linea prevalente del partito. La Costituzione non prevede vincolo di mandato per i parlamentari, figuriamoci se può esserci su questi temi. Ma di concreto cosa c’è di nuovo? Sui temi etici, all’interno della maggioranza – così viene ancora definito il rapporto tra Pdl, Lega e Fli – noto posizioni divergenti del raggruppamento di Fini, e non solo in quella forza politica. Costato anche che in un ipotetico terzo polo su questi temi ci sono profonde divergenze tra i parlamentari che sostengono il presidente della Camera e il partito di Pier Ferdinando Casini. Tutto ciò segna anche un passo in avanti, perché il lavoro legislativo viene riconsegnato alla maturità e responsabilità del politico nel richiamo ai valori della dignità umana ineludibili in questo campo. E su un altro punto messo a tema da Sacconi quello del Welfare? È necessario attuare il principio di sussidiarietà. Siamo di fronte a un cambiamento radicale: lo Stato sociale che un tempo aveva il compito di redistribuire tra i più svantaggiati quello che sovrabbondava nella crescita economica è colpito da una crisi di lunga durata e non c’è nessuna eccedenza da dividere. Quindi diviene vitale che il Welfare stesso sia un fattore di crescita. Può esserlo eliminando le diseguaglianze e puntando sulla sussidiarietà. In che modo? Occorre investire nella famiglia che si rivela sempre più una risorsa per la comunità nazionale soprattutto nella cura dei disabili e dei non autosufficienti. Non bisogna dimenticare poi che il 48% dei bambini della scuole materne fruisce del servizio di qualità offerto dagli istituti paritari cattolici. Pier Luigi Fornari
18 Agosto 2010 I CONTI DEL PAESE Federalismo: per le Regioni una miscela di Iva e di Irap Compleanno con federalismo. È quello che si celebrerà oggi a Lorenzago di Cadore dove, come negli ultimi anni, Giulio Tremonti festeggerà il compleanno (sono 63) assieme al tandem leghista formato da Umberto Bossi e Roberto Calderoli. Già ieri sera il leader lumbard si è trasferito dalla "sua" Ponte di Legno. Brindisi e torta per il ministro dell’Economia sono d’obbligo. Ma le pratiche di governo incombono. Fra le montagne del Cadore potrebbe decidersi come saranno finanziate le Regioni nell’era post-federalista: l’ipotesi che filtra è che sia loro destinato un mix di Iva e Irap (quest’ultima, che già oggi va alle Regioni, "cambierà, ma non dico come", ha detto ieri Calderoli a Calalzo), più incerto è invece se destinare una quota di Irpef. Già il giorno di Ferragosto il ministro della Semplificazione ha portato a Bossi gli ultimi due decreti attuativi della delega sul federalismo, quelli che riguardano appunto le Regioni e le Province. Noncuranti delle avvisaglie di crisi che offuscano il futuro della maggioranza, dunque, i leghisti e il loro "tutore" Tremonti procedono come niente fosse sulla strada della riforma federalista. È un ottimismo contagiato, dalla Sardegna, dal premier Berlusconi che confida ai suoi di ritenere possibile, dopo gli ultimi dati, che la crescita dell’economia possa anche arrivare quest’anno "fino all’1,2-1,5%", contro quell’1,1% indicato nelle ultime stime governative. Alla vigilia dell’incontro odierno, è stato Calderoli a fare il punto della situazione, in attesa della ripresa parlamentare di metà settembre. "I Comuni hanno capito – ha spiegato – che dall’emersione degli "immobili-fantasma" e dalla cedolare secca sugli affitti trarranno lo strumento per superare quello che perdono con la manovra". Adesso bisogna completare quel progetto: "Abbiamo cercato di accelerare il cammino dei decreti legislativi e abbiamo rispettato i tempi per i Comuni – ha proseguito il ministro –, ora dobbiamo rispettarli anche per le Province e per le Regioni anche perché rappresentano uno strumento rispetto alle situazioni di difficoltà che vengono dalla crisi". Per i principali tributi si attende pertanto un sostanziale ridisegno. Calderoli ha osservato al riguardo che l’Iva "è una tassa "fredda", oggi stabilita dall’Istat, in futuro potrebbero incassarla direttamente i territori". Mentre l’Irap "è l’odioso balzello inventato dai comunisti" e che "continua a essere odioso e comunista". Infine una rassicurazione per chi continua ad accusare la Lega di nutrire propositi divisori del Paese: "Abbiamo scelto il federalismo anziché la secessione", ha chiuso Calderoli. A "guastare" la festa di compleanno del ministro Tremonti interviene però, a nome del Pd, il responsabile economico Stefano Fassina. "Sarebbe utile – ha dichiarato – che Bossi e il ministro dell’Economia si decidessero a inquadrare gli interventi per l’autonomia fiscale degli enti territoriale in un disegno coerente di riforma fiscale generale, per ridurre le tasse sui lavoratori e le piccole imprese. Altrimenti, per le Regioni si ripeterà lo sgangherato e penalizzante intervento realizzato per i Comuni". Eugenio Fatigante
2010-08-17 17 agosto 2010 LE ISTITUZIONI E LA CRISI Napolitano: tradisco la Carta? Chiedano l'impeachment Ferragosto di fuoco per il Colle. Dopo le polemiche scatenate nei giorni scorsi dall’intervista all’Unità, domenica Giorgio Napolitano ha letto con disappunto un’intervista a il Giornale, in cui il vicepresidente dei deputati Pdl Maurizio Bianconi lo accusava di stare "tradendo la Costituzione". Se è così, si avvii la procedura di "impeachment", ribatte in modo piccato il Quirinale. Il concetto viene espresso in una durissima nota nella quale si definiscono quelle affermazioni "avventate e gravi", e si invita il parlamentare, "essendo questa materia regolata dalla stessa Carta (di cui l’onorevole Bianconi è di certo attento conoscitore)", - "se egli fosse convinto delle sue ragioni" - a esercitare il "dovere di assumere iniziative ai sensi dell’articolo 90 e relative norme di attuazione". È l’articolo che regola la messa sotto accusa del Capo dello Stato. Altrimenti quelle di Bianconi "resteranno solo gratuite insinuazioni e indebite pressioni, al pari di altre interpretazioni arbitrarie delle posizioni del presidente della Repubblica e di conseguenti processi alle intenzioni". Proprio le tre parole finali spiegano gli strali presidenziali. Le parole di Bianconi sono, infatti, solo il cerino che fa esplodere il barile caricato a benzina in questi giorni di reazioni veementi alle parole del Colle. Nell’intervista al quotidiano fondato da Antonio Gramsci auspicava che non ci fosse "vuoto politico" e invitava a non "delegittimare" il presidente di un ramo del Parlamento (trasparente richiamo agli attacchi del Pdl verso Fini). Con seguito sul Corriere della sera: non esistono governi tecnici ma solo politici. E spetta a lui verificare se ne sussistono le condizioni in Parlamento. Tutt’altra musica rispetto a quella suonata dal Pdl con il coro "o Berlusconi o il voto". Ieri ancora Fabrizio Cicchitto - che pure smorzava i toni della polemica di Bianconi e garantiva "massimo rispetto" al Colle - indicava l’obiettivo di proseguire con il governo, ottenendo il sostegno del Parlamento su quattro punti qualificanti. In caso contrario "riteniamo che si debba andare al voto e non si debba dar vita a governi tecnici o di transizione". Linea ribadita anche da un esponente del governo come Altero Matteoli. All’attacco, invece, i finiani e le opposizioni. "Accusare in via preventiva il presidente della Repubblica di voler favorire governi alternativi a quello in carica è un tentativo di intimorire", sottolinea Italo Bocchino (Fli). Accuse di puntare allo sfascio istituzionale arrivano da Pd e Idv. I "continui attacchi" del Pdl a Napolitano sono "inaccettabili e devono finire", sottolinea Anna Finocchiaro, presidente dei senatori democratici. Lorenzo Cesa (Udc) invita Berlusconi a "far tacere le voci irresponsabili che si levano dal suo partito". Un invito ai moderati del Pdl a "prendere le distanze da comportamenti del genere" arriva anche da Giuseppe Fioroni (Pd). Gianni Santamaria
17 agosto 2010 L'altro editoriale E adesso si fermino le cannonate d'agosto Non esiste autentico rispetto della volontà dei cittadini-elettori senza profondo e consapevole rispetto per i ruoli e le funzioni di garanzia assegnati alle Istituzioni repubblicane. Questo è il saggio equilibrio democratico che i padri costituenti seppero costruire all’indomani della dittatura e della guerra e che poi – in particolare negli anni di quella troppo lunga transizione che continuiamo a chiamare Seconda Repubblica – nessuna evoluzione-manomissione è riuscita a cancellare. I poteri istituzionali non sono, naturalmente, uno "strumento" affidato all’arbitraria discrezionalità del detentore di turno sulle cui spalle grava, anzi, il dovere di un esemplare esercizio del rigore e della responsabilità, ma proprio per questo non possono e non devono essere neanche trasformati nel bersaglio di smodate campagne di pressione, di sulfuree intemerate accusatorie e di continui tentativi di delegittimazione. Purtroppo – dopo l’uscita dei finiani dal partito di maggioranza relativa e il conseguente e definitivo conclamarsi della crisi del bipartitismo forzoso Pdl-Pd – è, invece, questa l’irrespirabile aria nella quale siamo immersi. E il polverone sta facendo perdere lucidità a più di un politico (anche di opposizione, ma soprattutto di maggioranza). È di questo passo, però, che davvero si rischia di "tradire" la Costituzione, mortificando il Paese e le sue giuste attese. Inevitabile e appropriata nella sua misurata fermezza è apparsa, perciò, la reazione giunta ieri dal Quirinale nei confronti di chi – un deputato del Pdl – era addirittura arrivato ad accusare il presidente Napolitano di "tradimento" costituzionale per aver dato voce a preoccupazioni ampiamente sentite, richiamato i suoi propri doveri e ricordato in modo severo e appassionato quelli dell’intera classe dirigente verso la comunità nazionale. Non sappiamo ancora se la crisi politica nella quale siamo indubitabilmente immersi sfocerà in una crisi di governo e di legislatura proprio nel momento in cui di più servirebbe una salda e chiara capacità di direzione per affrontare passaggi cruciali nella difficile risalita della china della crisi economica. Ma sappiamo che alle crisi politica ed economica (certe e da risolvere) nonché alla crisi di governo (possibile e non auspicabile), non si può assolutamente aggiungere anche una quarta crisi, di natura istituzionale. Chi ha responsabilità politica smetta, dunque, di farsi usare nell’irresponsabile gioco delle cannonate d’agosto che ha cultori scriteriati e recidivi. Sembrano fuochi d’artificio, ma fanno a pezzi ciò che vale Marco Tarquinio
17 agosto 2010 LE ISTITUZIONI E LA CRISI "Ma guai a negare la volontà popolare" "Non perdiamo tempo in discussione astratte. Non ci sarà nessun atto estremo di incoerenza dei finiani e dunque non ci sarà nessun dibattito su un eventuale esecutivo tecnico. Ma comunque un altro punto mi appare fermo: Giorgio Napolitano non farebbe mai nascere governi che non siano rispettosi della volontà popolare". Maurizio Gasparri, presidente dei senatori del Pdl, sospira e sorride: "Non c’è nessuno spazio. Nessuno. Sarebbe come ipotizzare che ad agosto a Roma la temperatura possa salire fino a 52 gradi". Sarà ma il capo dello Stato in un’intervista a l’Unità... Tutti ci siamo meravigliati sul perché di quell’intervista, poi abbiamo capito: era un atto di cortesia, soltanto un atto di cortesia. Napolitano è un credibile garante delle regole democratiche e del principio di sovranità popolare. Ha letto la nota del Colle contro l’intervista dell’onorevole Bianconi? L’inquilino del Quirinale dice basta a pressioni indebite... Francamente non ho capito quella nota e non vorrei che fosse stata solo un pretesto... La verità, comunque, è una sola: tutta la maggioranza rispetta il capo dello Stato, ma tutta la maggioranza sa che in caso di crisi c’è una sola strada possibile. C’è il ritorno alle urne perché siamo in una Repubblica che si fonda sul voto dei cittadini. Proviamo a valutare la variabile impossibile, a immaginare che si faccia un tentativo per un governo istituzionale. Sarebbe una sciagurata forzatura contro il principio della sovranità popolare. Un principio che vale anche per il capo dello Stato che è stato eletto da un Parlamento eletto dai cittadini. Insisto: se si dovesse tentare... La nostra protesta in Parlamento sarebbe decisa e totale: regolamenti alla mano non permetteremmo che si muova nulla. Ma non finirebbe così. Anche nel Paese ci sarebbe un’inevitabile sollevazione. Una protesta composta, ma ferma. La gente che ha votato Pdl non potrebbe mai accettare una sottrazione del suo potere di decisione. È una minaccia? E perché minaccia? Io non contesto il diritto degli altri di andare al governo, contesto il diritto di andarci senza passare dalle elezioni. E di fronte a questa eventualità il Paese avrebbe tutto il diritto di farsi sentire. O forse qualcuno immagina una limitazione dei nostri diritti? Sarebbe grave, assurdo: questi sono diritti costituzionali. E poi... E poi? E poi ci siamo lamentati per anni dell’instabilità, per anni abbiamo denunciato i limiti dei governi balneari e ora che abbiamo conquistato una democrazia dove il peso dei cittadini è maggiore... Il vero problema è che la Costituzione non ha ancora registrato il cambiamento. A questo punto vede il rischio di una crisi istituzionale? A luglio andai a fare visita al capo dello Stato. Fu un incontro di mezz’ora, l’occasione per fare il punto. Alla fine informai Napolitano che sul Csm avremmo fatto il nome di Annibale Marini. Una novità su cui non avevo ancora informato Berlusconi. Perché questo episodio? Per spiegare che noi del Colle ci fidiamo. E che quel rapporto di fiducia non si è incrinato nemmeno quando Napolitano è entrato nel dibattito politico dando giudizi di merito su leggi che erano in discussione in Parlamento. Le intercettazioni? Già ed è per questo che dico: l’intervista di ferragosto di Bianconi non andava sopravvalutata. Bianconi è un uomo di partito come era un uomo di partito l’attuale capo dello Stato quando il Pci aggrediva Giovanni Leone e Francesco Cossiga. Vado a memoria, ma non ricordo voci dissonanti. Nemmeno quella di Giorgio Napolitano. Arturo Celletti
2010-08-16 16 agosto 2010 CRISI DELLA POLITICA Napolitano: tradisco la Carta? Chiedano l'impeachment Giorgio Napolitano risponde alle critiche del Pdl, e in una nota pone un aut aut: se il Pdl crede che io tradisca la Costituzione chieda l'impeachment, altrimenti ponga fine a indebite pressioni. Questo, in sintesi, il tono della nota divulgata oggi dal Quirinale con cui il presidente della Repubblica difende il proprio operato. A scatenare il dibattito, un'intervista al vicepresidente dei deputati Pdl, Maurizio Bianconi, pubblicata il 15 agosto su "Il Giornale". La nota del Quirinale parla di "affermazioni avventate e gravi" nelle quali si sostiene che "il Presidente Napolitano "sta tradendo la Costituzione"". "Essendo questa materia regolata dalla stessa Carta (di cui l'on. Bianconi è di certo attento conoscitore), se egli fosse convinto delle sue ragioni avrebbe il dovere di assumere iniziative ai sensi dell'articolo 90 e relative norme di attuazione. Altrimenti le sue resteranno solo gratuite insinuazioni e indebite pressioni, al pari di altre interpretazioni arbitrarie delle posizioni del Presidente della Repubblica e di conseguenti processi alle intenzioni", prosegue la nota. Dopo il divorzio politico tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, che ha tolto al governo una maggioranza certa alla Camera, dalla coalizione di governo si sono levate più voci a favore di un ritorno anticipato alle urne e contro governi tecnici sostenuti da maggioranze diverse da quella uscita vincitrice dalle elezioni del 2008. In un'intervista concessa a "L'Unità" la settimana scorsa, Napolitano aveva espresso il timore che l'economia italiana possa risentire negativamente del vuoto politico che si creerebbe in caso di elezioni anticipate. E a proposito di eventuali governi di transizione ha osservato che nessun governo è tecnico ma politico perchè votato da Parlamento. Il presidente della Repubblica ha anche sollecitato la fine degli attacchi al presidente della Camera, accusato, tra l'altro, da Il Giornale del fratello di Berlusconi di aver mentito sulla vendita di una casa a Montecarlo, ex proprietà di Alleanza nazionale, di cui risulta ora affittuario il cognato Giancarlo Tulliani. Napolitano aveva parlato di una "campagna gravemente destabilizzante sul piano istituzionale" e "volta a delegittimare il Presidente di una ramo del parlamento e la stessa funzione essenziale che egli è chiamato ad assolvere per la continuità dell'attività legislativa". In una nota, il Pd chiede al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi e al centrodestra di sconfessare Bianconi "per le insensate parole espresse nei confronti del capo dello Stato" paventando il rischio di "uno scontro istituzionale gravissimo i cui esiti saranno certamente nefasti per il nostro Paese". Il portavoce del Pdl, Daniele Capezzone, replica che "nessuno dubita della correttezza passata, presente e futura del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano" ma precisa che "non sarebbe accettabile l'idea di governi cosiddetti "tecnici" o "istituzionali" che dovessero ribaltare o comunque mettere tra parentesi gli esiti elettorali del 2008, peraltro confermati nel 2009 e nel 2010". In serata lo stesso Bianconi ha replicato a Napolitano. L'esponente del Pdl ammette che le parole "tradire" e "tradimento" sono frutto "dello sbrigativo linguaggio giornalistico", ma aggiunge che la sostanza del concetto da lui espresso non cambia: "La nuova prassi costituzionale non consente la costituzione di governi che godono di una maggioranza parlamentare ma non popolare".
16 agosto 2010 POLITICA IN FERMENTO Berlusconi prepara il vertice del Pdl Silvio Berlusconi ha deciso di passare qualche giorno in Sardegna attorniato da figli e nipoti nella residenza di Villa Certosa, dove è arrivato alla vigilia di Ferragosto. Poche le uscite pubbliche, come l'altra sera a Porto Rotondo quando ha rassicurato alcuni sostenitori e il deputato del Pdl Osvaldo Napoli dicendo che "a settembre tutto andrà a posto". Chi ha avuto modo di parlare con il presidente del Consiglio, riferisce che Berlusconi è convinto dell'impossibilità di un accordo politico con Gianfranco Fini. Da qui la decisione di provare a dividere i finiani in modo che qualcuno di loro possa tornare sui propri passi e dare al governo i numeri per continuare il suo cammino. Di tutto questo si discuterà in un vertice del Pdl convocato a Roma venerdì 20 agosto a cui parteciperanno anche tutti i ministri del partito. Berlusconi dovrebbe proporre in quella sede di evitare incontri ufficiali con i finiani. L'alternativa resta quella di preparare un documento programmatico con il quale il premier ha intenzione di presentarsi in Parlamento alla riapertura delle Camere. L'obiettivo è chiedere una rinnovata fiducia su precisi punti programmatici (giustizia, federalismo, fisco, Sud). Se Berlusconi non fosse confortato dai numeri, il Pdl chiederebbe ufficialmente le elezioni anticipate. L'alternativa conferma della maggioranza o scioglimento delle Camere non convince il Pd. Nicola Latorre, vicepresidente dei senatori democratici, ribadisce che ciò che può accadere in caso di crisi di governo "lo decide il Parlamento e solo il Parlamento". L'ipotesi di un "governo tecnico" che si poggiasse su un'altra maggioranza subirebbe però la netta opposizione di Pdl e Lega che hanno minacciato in tale eventualità di mobilitare i loro militanti. Un governo tecnico sarebbe un ribaltone e violerebbe la Costituzione, hanno ribadito ieri a Palermo - dove hanno presieduto il Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica - i ministri Angelino Alfano e Roberto Maroni. "Qualsiasi ipotesi secondo cui chi ha vinto le elezioni fa l'opposizione e chi le ha perse fa il governo viola l'articolo 1 della Costituzione", ha detto il guardasigilli. E Maroni ha confermato che ha a suo parere "le elezioni si possono fare in qualunque momento dell'anno". Da Alfano è venuta la conferma della strategia a cui sta lavorando Berlusconi: "Alla ripresa, sottoporremo alla maggioranza alcuni punti programmatici in base ai quali si verificherà se esiste o meno una maggioranza in grado di governare". Il ministro degli Interni si è detto intanto d'accordo con quanto dichiarato da Pier Ferdinando Casini, leader dell'Udc: "Non può nascere un governo contro una parte del Paese. La Lega non è disponibile a un governo diverso da quello esistente". IL BILANCIO DELLA LOTTA ALLA MALAVITA Maroni ha pure illustrato i risultati raggiunti dal governo Berlusconi contro mafia e criminalità: "Sono stati catturati otto mafiosi al giorno e un superlatitante al mese. Tra il maggio 2008 e il 31 luglio 2010 sono stati 6.433 i mafiosi catturati. E sono stati sottratti alle cosche 32.799 beni per 15 miliardi di euro". "Per la prima volta - ha sottolineato il ministro degli Interni - abbiamo organizzato fuori Roma la tradizionale riunione del Comitato per la sicurezza pubblica e la scelta di Palermo ha un valore simbolico per evidenziare l'importanza che il governo annette alla lotta alla criminalità organizzata e per illustrare i risultati assolutamente lusinghieri raggiunti in questi due ultimi anni". Maroni ha aggiunto che "ammonta a 2,2 miliardi di euro la consistenza del Fondo unico giustizia alimentato dai depositi bancari e postali sequestrati alla criminalità organizzata, ci auguriamo che entro fine anno queste risorse vengano distribuite ai ministeri di Interno e Giustizia per compensare i tagli determinati dalla manovra finanziaria". Il ministro degli Interni ha illustrato anche i risultati raggiunti contro l'immigrazione clandestina: "Dal primo agosto 2009 al 31 luglio di quest'anno sono sbarcate in Italia 3.499 persone, con un calo dell'88% rispetto alle 29mila del periodo 1 agosto 2008-31 luglio 2009. L'accordo con la Libia funziona molto bene ed intendiamo applicare intese simili anche con altri paesi come la Turchia". Sul tema della lotta alla mafia c'è da registrare una dichiarazione di Umberto Bossi: "Ho dato la concessione per aprire una sede della Lega in Calabria e due giorni dopo c'era uno della 'ndrangheta. Si infiltrano da tutte le parti, anche in politica ma non nella Lega. Io li tengo fuori dalla porta". Il leader del Carroccio, concludendo la tradizionale festa leghista di Ferragosto a Ponte di Legno, ha ribadito il no a governi tecnici: "Sono come l'anguria: verdi fuori e rossi dentro".
2010-08-14 14 agosto 2010 INCHIESTA P3 Bankitalia: irregolarità nella banca guidata da Verdini Gravi carenze degli organi aziendali, con accentramento dei poteri nelle mani dell'allora presidente Denis Verdini, coordinatore nazionale del Pdl; potenziale conflitto di interesse dello stesso Verdini con la Banca per affidamenti per oltre 60 milioni di euro; impieghi spesso a rischio, concentrati su grandi clienti, in contrasto con gli obiettivi mutualistici dell'istituto. Sono queste le linee essenziali della delibera 553 del 20 luglio scorso della Banca d'Italia, che porta la firma del Governatore Mario Draghi inviata al ministro dell'Economia Giulio Tremonti e alla segreteria del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (Cicr), con la quale è stata proposta, e poi disposta con decreto del 27 luglio dello stesso Tremonti, l'amministrazione straordinaria del Credito cooperativo fiorentino (Ccf), la banca finita anche nell'inchiesta sulla cosiddetta P3. La Banca d'Italia ha anche evidenziato scarsa istruttoria per finanziamenti talvolta con finalità sospette; e tardiva applicazione delle norme antiriciclaggio. Ciononostante, il patrimonio del Credito fiorentino è risultato ancora sufficiente, anche se con l'eccedenza in progressiva erosione. Gli accertamenti ispettivi condotti dal 25 febbraio al 21 maggio scorsi hanno evidenziato un esecutivo della banca "scarsamente autorevole" e un collegio sindacale "privo di sufficiente indipendenza". Il governo societario è risultato "totalmente accentrato" nelle mani del presidente Denis Verdini. Indagato in diverse sedi giudiziarie in relazioni a ipotesi di corruzione e riciclaggio, Verdini, sempre secondo Bankitalia, "ha omesso di fornire piena informativa, ai sensi dell'articolo 2391 del Codice civile, circa la sussistenza di propri interessi potenzialmente in conflitto con quelli della banca, per affidamenti complessivamente ammontanti a euro 60,5 milioni", riconducibili ad iniziative editoriali e immobiliari. Sono diverse le anomalie e le irregolarità rilevate dagli 007 della Vigilanza. Sono stati giudicati "inadeguati" l'esame preventivo e la successiva gestione dei finanziamenti (uno dei quali ad una società facente capo a Verdini) accordati per preliminari di acquisto di immobili o di partecipazioni, la cui compravendita non è stata poi perfezionata. Inoltre - secondo gli ispettori - sono stati accordati fidi, per quasi sei milioni di euro, non assistiti da garanzia, a soggetti legati da rapporti di lavoro o di affari con la Bpt (riconducibile al gruppo Fusi-Bartolomei) per finanziare un'operazione sospetta di acquisto di appartamenti da una società controllata dalla stessa Bpt. Infine, sono stati concessi finanziamenti ad alcune cooperative edilizie, di fatto utilizzati, attraverso articolati trasferimenti finanziari, per favorire il rientro di una società affidata dall'istituto fiorentino e in stato di difficoltà. Per quanto esistesse una elaborazione trimestrale in materia antiriciclaggio, al Credito fiorentino le procedure corrette - secondo Bankitalia - sono state di fatto avviate "solo agli inizi del 2010. Prive di approfondimento - scrive l'Istituto di Vigilanza - sono rimaste talune operazioni volte ad effettuare, con modalità anomale e in assenza di registrazioni nell'Archivio Unico Informatico, il trasferimento di un importo di 500mila euro in favore di due clienti classificati a sofferenza", uno dei quali sottoposto aindagini per riciclaggio. Inoltre, "solo nel corso degli accertamenti ispettivi" e in seguito all'avvio di indagini giudiziarie, il Credito cooperativo fiorentino "ha provveduto a segnalare i versamenti per complessivi 800mila euro in favore di una delle società editoriali riconducibili al dott. Verdini, effettuati nel periodo giugno-dicembre 2009 da soggetti non conosciuti, interessati in iniziative economiche di dimensioni modeste o da tempo cessate". Verdini, interrogato dai pm di Roma e durante una conferenza stampa, ha sostenuto che quel versamento di 800mila euro rientrava in un'operazione da 2,6 milioni di aumento di capitale del Giornale della Toscana. Nonostante dall'ispezione sia emerso "un grave deterioramento della qualità del portafoglio crediti", il patrimonio del Credito cooperativo fiorentino è risultato "ancora sufficiente a garantire i requisiti prudenziali minimi", anche se si registra una "progressiva erosione dell'eccedenza, dovuta alle perdite registrate sugli impieghi e alla costante crescita dell'attivo a rischio". Tale eccedenza è stata valutata dagli ispettori di Bankitalia di "soli 2,9 milioni di euro". Non la situazione patrimoniale, dunque, ha indotto Bankitalia a chiedere il commissariamento del Credito cooperativo fiorentino, ma la gravità delle violazioni normative e delle irregolarità, che hanno determinato un "progressivo deterioramento dei profili tecnici della banca, compromettendone la capacità reddituale e riducendone i margini patrimoniali, a fronte dei livelli crescenti di rischiosità dell'attività condotta". LA DIFESA DI VERDINI "In merito alle notizie di agenzia sulle contestazioni di Bankitalia dopo l'ispezione al Ccf", scrive l'ex presidente del Credito cooperativo fiorentino, "rilevo che si tratta dell'inizio di un provvedimento amministrativo al quale risponderò puntualmente e adeguatamente nei termini previsti dalla legge". Dopo aver negato l'esistenza di un "potenziale conflitto di interessi", Verdini sottolinea come nella "delibera degli ispettori non vi sia traccia alcuna delle infamanti ipotesi uscite sulla stampa nei mesi scorsi, tese a individuare nel Ccf un crocevia di tangenti e di malaffare". "Come ho già spiegato ai magistrati - conclude il coordinatore del Pdl -, da tempo non ho rapporti in società operative con l'imprenditore Riccardo Fusi, e i crediti erogati alla Btp sono sempre stati pienamente garantiti. Respingo dunque con fermezza sia le contestazioni sul conflitto d'interessi che quelle relative ad inesistenti operazioni anomale".
14 agosto 2010 LOTTA ALLA MAFIA Confiscati beni per 800 milioni al "re" della sanità siciliana I carabinieri del comando provinciale di Palermo hanno notificato all'ex manager della sanità privata Michele Aiello un provvedimento di confisca dei beni del valore di 800 milioni di euro. L'imprenditore sconta una condanna a 15 anni e sei mesi per associazione mafiosa, corruzione continuata e truffa aggravata. La misura patrimoniale, già resa nota la scorsa settimana e oggi comunicata ad Aiello, è stata disposta dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo. Aiello, coinvolto nella stessa inchiesta che ha portato alla condanna per favoreggiamento aggravato dell'ex governatore siciliano Salvatore Cuffaro, è ritenuto strettamente legato al boss Bernardo Provenzano. Secondo gli inquirenti, avrebbe potuto contare in tutto l'arco della sua attività imprenditoriale, nata nel settore edile e poi ampliatasi in quello della sanità, su una sostanziale situazione di monopolio assicurata dall'appoggio dei vertici di Cosa nostra, che avrebbe anche investito ingenti somme di denaro nelle sue aziende. Il provvedimento, nato dagli accertamenti patrimoniali del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo, riguarda il polo oncologico di eccellenza "Villa Santa Teresa", a Bagheria (Pa); otto imprese edili e sei imprese del settore sanitario. Sequestrate poi la società che gestisce la squadra di calcio di Bagheria (Pa); la "Servizi & Sistemi s.r.l.", operante nel settore informatico; due stabilimenti industriali di circa 6.000 metri quadrati; un impianto di calcestruzzi; quattro edifici adibiti ad uffici; 14 appartamenti a Bagheria e tre ville ad Aspra, Santa Flavia e Ficarazzi (Pa). E ancora il provvedimento riguarda 22 magazzini; 22 terreni edificabili, 24 auto; 22 veicoli industriali; 2 imbarcazioni da diporto; 145 rapporti bancari per 250 milioni di euro in contanti e due polizze vita. I giudici hanno anche disposto, a carico del manager, l'applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per due anni e sei mesi. I beni, sino ad oggi in amministrazione giudiziaria, sono stati messi a disposizione dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, che ne stabilirà la destinazione. Sono circa 400 i lavoratori che operano nelle imprese sanitarie, edili e amministrative di Aiello.
14 agosto 2010 IL PALAZZO E IL PAESE Pdl, gelo con il Colle: "Pronti alla piazza" Forte è stato l’impatto sull’attuale stallo politico delle interviste - di segno in parte diverso - rilasciate dal capo dello Stato Giorgio Napolitano e dal presidente del Senato Renato Schifani. La prima che frena chi vuole correre alle urne dimenticando che - Carta alla mano - occorre prima passare per il Quirinale. La seconda che si appella alla "costituzione materiale" e avverte: "O Berlusconi o voto". Letti i giornali, le truppe si dispongono sul campo di battaglia. Il Pdl sostiene al gran completo la tesi della seconda carica dello Stato, e con Fabrizio Cicchitto fa balenare - due volte lungo la giornata - il ricorso alla piazza: "I governi tecnici sono manovre di Palazzo, Pdl e Lega non possono essere messi all’opposizione, nel caso sarebbe legittimo sviluppare le più incisive manifestazioni politiche, in Parlamento e nel Paese". Il Pd, con il segretario Bersani in prima linea, si pone a difesa del Colle: "Berlusconi dovrà rispettare la Costituzione, le loro minacce non impressionano nessuno". Poi, al termine di una giornata già calda, irrompe nel dibattito anche Umberto Bossi: "Andare alle elezioni è naturale quando il governo non funziona più, un "vuoto di governo" – dice riferendosi alle parole del presidente – può essere anche un esecutivo spaccato che non riesce a combinare niente". D’altra parte, prosegue, "è impossibile andare avanti con questo caos nella maggioranza", e al Quirinale preoccupato di possibili ripercussioni economiche fa notare che "questo è il momento meno pericoloso per andare alle urne". Infine la chiosa: "Napolitano non farebbe mai nulla contro la volontà popolare". Dalla parte del Colle ci sono i finiani, soprattutto per quella porzione d’intervista in cui invita a interrompere l’attacco al presidente della Camera. Ma l’asse lungo pro-Quirinale che va da Fini alla sinistra si interrompe con i distinguo di Di Pietro: "Ha detto una cosa giusta, ma la sua è un’entrata a gamba tesa" (l’ex pm, con la sua uscita, ha indispettito non poco i moderati del Pd). Previdibile "l’ampia condivisione" di Lorenzo Cesa, segretario Udc: i centristi sollecitano da tempo un esecutivo di "responsabilità nazionale". Nel complesso, il Pdl non cede alla tentazione dello scontro frontale con il Colle, ma nota su nota elogia "il realismo, la moderazione, la saggezza" di Schifani. Prendono la parola i ministri Frattini - che aveva già anticipato le idee del presidente del Senato -, Brunetta, Alfano, Sacconi, Rotondi. C’è chi come il coordinatore Sandro Bondi e Maurizio Gasparri mostra più diplomazia, ma il finale è sempre lo stesso: "Meglio il voto che la paralisi". Intervengono Quagliariello, Capezzone, Lupi, e il punto è chiaro: ormai c’è una "prassi democratica" che impone di lasciare la parola ai cittadini, a meno che i finiani non restino nell’attuale governo. Di esecutivi tecnici neanche a parlarne. Non mancano accenti più polemici con il Quirinale, specie quando si mette a confronto lo "scudo" concesso a Fini con il silenzio sugli attacchi al premier, oppure facendo notare la "sede" dell’intervista, il quotidiano l’Unità. L’idea di scavalcare il capo dello Stato invocando le urne scatena il Pd: "È un pensiero para-costituzionale – attacca Bersani –. Per loro il consenso è come un plebiscito, la Carta un involucro formale". Il segretario stigmatizza le parole di Schifani e l’uscita di Cicchitto sulla "piazza", poi punta dritto al cavaliere: "La Costituzione di Arcore ancora non c’è, volente o nolente rispetterà quella su cui ha giurato". Parole simili vengono da Rosy Bindi, Marino, Fassino e dagli uomini vicini a Letta. Marco Iasevoli
2010-08-13 13 Agosto 2010 POLITICA Pdl, nuovo scontro con i finiani "Meglio il voto che la paralisi" E durata meno di ventiquattro ore la flebile tregua tra il Popolo della Libertà e i parlamentari vicini a Gianfranco Fini. Ad alimentare lo scontro ci pensano il Giornale di Vittorio Feltri, gli editoriali di FareFuturo (fondazione presieduta dall'ex leader di An) ma anche le parole del Capo dello Stato Giorgio Napolitano e del presidente del Senato Renato Schifani. La divisione è netta. Gli esponenti di Futuro e Libertà citano l'intervista del Capo dello Stato sull'Unità così come la preoccupazione di Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, per invitare gli ex colleghi di partito ad abbassare i toni dello scontro: "Tutti dovrebbero riflettere sulle parole del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano", dicono all'unisono Italo Bocchino, Silvano Moffa e Pasquale Viespoli che puntano il dito contro alcuni ex colleghi di partito colpevoli di voler sabotare la maggioranza attraverso gli attacchi al presidente della Camera e di portare il paese verso una crisi al buio: "Poichè ad alimentare questa irresponsabile campagna sono alcuni esponenti del Pdl e del governo oltre che il continuo delirio calunniatorio del giornale della famiglia Berlusconi è facile capire chi gioca allo sfascio". Il monito di Napolitano scatena qualche reazione anche nelle file del Pdl che guardano al voto anticipato, se non come ad un'opportunità, almeno come al male minore: meglio le urne - è la parola d'ordine di oggi - che la paralisi. Maurizio Gasparri, capogruppo del Popolo della Libertà al Senato apprezza "il tono misurato" del presidente della Repubblica, ma ci tiene a fare una precisazione: "il Quirinale sa che chi ha vinto le elezioni non può essere messo all'opposizione con giochi di Palazzo. Quindi o va avanti il governo Berlusconi o si vota. Su questo non ci sono dubbi". Insomma, la strategia del Popolo della Libertà è chiara. Come ripetuto dal premier già diverse volte: se a settembre si verifica che il governo non ha più i numeri per andare avanti, l'unica alternativa solo le elezioni anticipate. Da Arcore dove il Cavaliere si trova da quasi una settimana (domani sarà in Sardegna per trascorrere il ferragosto) l'intervista di Giorgio Napolitano non è certo passata inosservata. Ufficialmente il premier non parla lasciando che a fare le dovute puntualizzazioni siano i suoi fedelissimi. Tant'è che Fabrizio Cicchitto non manca di sottolineare come l'intervista del Capo dello Stato sia "su un giornale di partito". In più il capogruppo del Pdl alla Camera di fronte all'ipotesi di governi tecnici avverte: "Qualora decollassero operazioni di questo tipo, sarebbe legittimo sviluppare le più incisive manifestazioni politiche, in Parlamento e nel Paese". Insomma: Pdl e Lega non andranno all'opposizione, ma semmai in piazza. Pochi commenti alle parole del presidente della Repubblica, è dunque la linea, mentre coro unanime di consensi all'intervista del presidente del Senato Renato Schifani. La seconda carica dello Stato invita a mettere fine "al conflitto politico-istituzionale" e sugli scenari in caso di fine anticipata della legislatura è chiaro: se l'esecutivo non è in grado di andare avanti l'unica alternativa sono le urne. No secco dunque ad un governo tecnico "retto peraltro da chi ha perso le elezioni". Parole, quelle di Schifani, che il Pdl gira agli esponenti di Fli: "Mi auguro che gli amici finiani accettino senza remore questa strada che è l'unica che i cittadini si aspettano da noi", dice Maurizio Lupi. Plaude anche il ministro della Giustizia Angelino Alfano augurandosi "la maggioranza possa ricompattarsi ritrovando lo spirito e le ragioni che ci portarono alla vittoria elettorale del 2008". L'intervista della seconda carica dello Stato però non piace al Finiano Carmelo Briguglio che bolla Schifani come "un politico di parte. In un momento così delicato - attacca ancora - avrebbe fatto meglio a chiudersi in un dignitoso silenzio
13 Agosto 2010 CENTROSINISTRA INQUIETO Pd: "Pronti alle elezioni" Ma resta il nodo primarie Il fragile filo che tiene ancora legati Pdl e finiani costringe l’opposizione a frenare su scenari e prospettive. L’opzione fondamentale resta - con distinguo circa la mission, la durata e la guida - un governo di transizione per cambiare la legge elettorale. Ma l’ombra del voto continua ad alimentare nel Pd il dibattito sui soliti nodi: primarie o meno, il profilo del leader, l’ampiezza della coalizione. Ieri, gli interventi autorevoli di Piero Fassino e Rosy Bindi hanno stoppato nuovamente la candidatura a premier di Nichi Vendola: "È figlia dell’impazienza", spegne il fuoco l’ex segretario dei Ds in un’intervista a l’Espresso. "Non può essere lui a fare una sintesi tra le diverse componenti del centrosinistra", conferma il presidente dei democratici in una festa a Siena. Quanto all’esecutivo-ponte, resta a denti stretti il "si" di Antonio Di Pietro, che anche ieri ha ribadito di crederci poco ("sono disposto ad andare a votare subito, è l’unico modo per liberarsi del modello piduista che è al governo"), e per di più condiziona l’accordo a richieste (mettere mano al pluralismo informativo e al conflitto d’interesse) che potrebbero arenare il progetto. Al centro, invece, l’Udc e l’Api Rutelli respingono le "forzature" e il "terrorismo" sul voto anticipato, rilanciando gli appelli ad unire le forze. Fassino e Bindi danno al loro ragionamento lo stesso input: "Non abbiamo paura del voto, anche se fosse a ottobre". Una precisazione dovuta, date le ricostruzioni dei giornali che mostrano un Pd preoccupato dalle urne. Tuttavia, prosegue l’ex segretario, "sarebbe più ragionevole andarci con una nuova legge elettorale". Il punto è che l’elettorato di sinistra è "impaziente" e non ne può più di "vedere Berlusconi ancora lì", e allora nascono "candidature come quella di Vendola". Il rischio è che il governatore pugliese venga accolto come un salvatore della Patria, ma senza un progetto. Per questo il Pd ha proposto un governo di transizione - "non un ribaltone" - che può essere condiviso da Idv, Udc, magari anche dai finiani, e che "può essere anche più allargato". Nessuna pregiudiziale, eccetto che sul capo dell’esecutivo: "Non può essere Berlusconi". Da Siena, Bindi aggiunge giusto un altro elemento: "In caso di voto, da statuto, il candidato del Pd è il segretario Bersani, ma se faremo una coalizione decideremo con le primarie". Ma leader che catturano le simpatie delle sinistre come Vendola e Di Pietro non sono la soluzione migliore se il fine è di "creare un fronte delle opposizioni compatto". Se non è Vendola il possibile candidato a premier tanto meno può esserlo, per i democratici, un altro nome forte dell’Idv, l’ex pm Luigi De Magistris, che ha avanzato la propria disponibilità nel caso l’ex pm di Mani pulite rinunciasse a correre. Ipotesi che fa rabbrividire Giorgio Merlo ("già immagino lo slogan: "Più carcere per tutti""), ma che invece non dispiace alla sinistra radicale, che con Claudio Fava, segretario di Sel e sponsor del governatore pugliese, reclama "primarie vere". Fuori dal coro l’ex ministro della Difesa Arturo Parisi, che indica un’unica priorità: portare la crisi nelle mani di Napolitano. Al centro, c’è chi come Ferdinando Adornato (Udc) non rinuncia al bersaglio grosso: "Un Pd che rompesse con Di Pietro sarebbe una grossa novità". Il suo collega, Maurizio Ronconi, reagisce a chi, minacciando il ritorno alle urne, "surroga la potestà del Parlamento". Sulla stessa lunghezza d’onda Pino Pisicchio (Api): "Basta con questo terrorismo, siamo seri e cambiamo il porcellum". Marco Iasevoli
2010-08-12 12 agosto 2010 LA POLITICA IN FERMENTO Italia Futura: voto inutile, ricompattare maggioranza L'associazione Italia Futura, che fa capo all'ex presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo, ha detto oggi che i leader del centrodestra devono smettere di litigare e completare la legislatura, perché andare ora ad elezioni anticipate sarebbe da irresponsabili. In un articolo comparso sul suo sito Internet (www.italiafutura.it), il think tank non risparmia le critiche al premier Berlusconi, perché non sarebbe stato capace di riformare le istituzioni in dieci anni di governo e sembra ora "elettrizzato" dalla prospettiva di un successo elettorale anzitempo, mentre l'economia è ancora instabile. Montezemolo è visto come un possibile futuro antagonista politico di Berlusconi, capace di coagulare buona parte del centrosinistra e i "poteri forti" dell'economia contro di lui in una prossima competizione elettorale. Ma l'ex presidente del gruppo Fiat non è mai sceso apertamente nell'arena politica e l'articolo odierno sembra indicare che non voglia farlo ora. "Andare alle elezioni, tanto più con questa indecorosa legge elettorale, non risolverà alcun problema. Perderemmo solo altri sei mesi", si legge nell'articolo di Italia Futura. "Berlusconi, (Gianfranco) Fini e (Umberto) Bossi hanno il dovere di chiudere lo scontro istituzionale che non è degno di un Paese civile, di ricompattare la maggioranza sulla base di un programma elettorale anche minimo, di riforme essenziali per i cittadini e di completare la legislatura". "Se, al contrario, sceglieranno la via della rottura e delle elezioni, venendo meno agli impegni presi con gli italiani, saranno pienamente responsabili delle conseguenze, imprevedibili e potenzialmente gravissime, che un'ennesima stagione di scontri e di veleni potrà avere", tanto più che siamo "dinanzi a uno scenario economico ancora fortemente instabile". Per Italia Futura, Berlusconi porta comunque una parte della responsabilità di quella che definisce "una lunga e improduttiva stagione politica", contrassegnata da una transazione infinita e da nodi irrisolti che bloccano la crescita. "Il fallimento della Seconda repubblica è certificato dalle parole di Berlusconi, che dopo quasi dieci anni da presidente del Consiglio si dichiara impossibilitato a governare per colpa delle istituzioni che non è stato capace di riformare". "Paradossalmente, la prospettiva delle elezioni sembra elettrizzare proprio chi dovrebbe viverle come una sconfitta e invece spera che i 600mila promotori della libertà e i milioni di leghisti pronti a mobilitarsi possano far dimenticare che la più ampia maggioranza della storia repubblicana si sia sciolta come neve al sole", dice Italia Futura.
11 agosto 2010 INPS Falsi invalidi e pensione defunti Scoperte truffe per 100 milioni Ammontano ad almeno 100 milioni di euro le somme indebitamente pagate dall'Inps nel 2010 per effetto di quelle truffe organizzate ai suoi danni, e oggetto di una indagine della magistratura. L'attività investigativa svolta da autorità giudiziaria e forze dell'ordine nei primi sette mesi dell'anno, con l'attiva collaborazione dell'Istituto, ha portato ad indagare 5.245 persone e denunciarne 976, mentre 135 sono stati gli arresti, 42 le condanne e 32 le richieste di condanna da parte dei pubblici ministeri. Lo riferisce in una nota l'Inps evidenziando che la maggior parte delle truffe è messa in campo da falsi invalidi, falsi braccianti agricoli, persone che riscuotono pensioni di persone defunte e imprenditori che assumono fittiziamente lavoratori. "L'azione di contrasto contro chi tenta di truffare l'Inps e quindi lo Stato sarà sempre più determinata - dichiara il presidente dell'Inps Antonio Mastrapasqua - e infatti nel mese di settembre costituiremo una nuova unità antitruffe presso la Direzione generale dell'Istituto per coordinare le operazioni su tutto il territorio nazionale". Le truffe ai danni dell'Inps - riferisce l'Istituto di previdenza nel comunicato - hanno per protagonisti principalmente falsi invalidi (55 arrestati, 470 indagati, 2 denunciati e 4 per i quali è stata richiesta la condanna, per oltre 11 milioni di euro indebitamente pagati), falsi braccianti agricoli (48 arrestati, 4.415 indagati, 945 denunciati, 41 condannati e 28 per i quali è stata richiesta la condanna, per oltre 25 milioni di euro indebitamente pagati per indennità di disoccupazione, maternità e malattia), persone che riscuotono prestazioni di defunti, imprenditori che assumono fittiziamente lavoratori per consentire loro di ottenere prestazioni a sostegno del reddito. "Anche l'ultima truffa ai danni dell'Inps venuta alla luce nei primi giorni di agosto, che ha visto una ventina di studi legali della Capitale finire nel mirino della Procura della Repubblica - prosegue il presidente Antonio Mastrapasqua - conferma come l'Istituto, attraverso la stretta collaborazione con l'autorità giudiziaria, voglia svolgere in maniera sempre più efficace il proprio ruolo di baluardo a difesa della legalità. Le situazioni anomale, scoperte dal personale nello svolgimento della propria attività, vengono immediatamente denunciate nel tentativo di sventare le truffe, che rappresentano un danno non solo per l'Inps, ma per l'intera collettività". Mastrapasqua spiega anche che "sul fronte dell'invalidità civile, una novità è prevista dalla legge 122/2010. I medici che attestano falsamente uno stato di malattia o handicap che dia luogo al pagamento di una pensione di invalidità, ferme restando le responsabilità penali e disciplinari, sono obbligati a risarcire il danno corrispondente al valore della prestazione indebitamente erogata. Una segnalazione obbligatoria automatica verrà inviata dall'Istituto anche alla Corte dei Conti. Questa nuova disciplina - conclude il presidente dell'Inps - favorirà ulteriormente il virtuoso scambio tra l'Inps e la magistratura penale, civile e amministrativa". 2010-08-10 10 agosto 2010 GENOVA Bagnasco: "Nei poveri il faro della Chiesa" Il capo del vescovi italiani, cardinale Angelo Bagnasco, fa appello alla "dimensione etica della vita personale e sociale". Nella sua omelia per la solennità di San Lorenzo, l'arcivescovo di Genova ha sottolineato come secondo la Chiesa "alla radice di tanti mali e di tante povertà" vi sia il "sottosviluppo morale" di cui parla Benedetto XVI nella "Caritas in veritate". Per questo, ha aggiunto, essa "non cessa di servire il mondo, nella persona amata dei poveri e nella figura delle istituzioni che presiedono il bene comune, anche con il richiamo alla dimensione etica della vita personale e sociale". "La Chiesa - ha detto ancora il presidente della Cei - non è mai stata un'agenzia di pronto soccorso, ma la famiglia dei credenti in Cristo" e "promuove l'uomo nella sua integralità di anima e di corpo, di individuo e di società, crea civiltà e cultura". Per questo, ha proseguito il porporato, ogni gesto di carità "è annuncio della fede perchè il pane sia possibilmente accompagnato dalla speranza". La Chiesa, ha concluso, "sa che è Dio il vero garante del bene e del pieno sviluppo dell'uomo, per questo non si stanca di annunciarlo pur in mezzo a difficoltà e prove vecchie e nuove".
10 agosto 2010 ILTESTO INTEGRALE "I tesori della Chiesa" Carissimi Fratelli e Sorelle nel Signore Siamo qui per la festa di San Lorenzo al quale è dedicata da secoli la Basilica Cattedrale di Genova. Ogni anno, continuando l’antica tradizione, celebriamo la Santa Eucaristia per ringraziare il Signore di questo Diacono, santo e martire. Egli non cedette agli ordini iniqui dell’imperatore Valeriano che, nel terzo secolo, confiscò i beni della Chiesa pena la morte. Lorenzo allora, come si legge in sant’Ambrogio, consegnò tutto ai poveri, li radunò e li presentò all’imperatore dicendo: "Ecco i tesori della Chiesa". L’episodio è rappresentato in modo mirabile nell’affresco del presbiterio a ricordo perenne della persecuzione di questo giovane, che si concluse con la tortura sul fuoco e la decapitazione. La mentalità del mondo non sempre riesce a comprendere che i beni la Chiesa non sono per sé ma per la vita della comunità e, soprattutto, per i poveri e i bisognosi. E’ sempre così! Non dobbiamo dimenticare che la grande parte del patrimonio della Chiesa è di tipo artistico, storico e culturale: come tale è a disposizione di tutta l’umanità come universale tesoro di bellezza e di fede. La più grande apologia della fede cristiana, la dimostrazione più convincente della sua verità, contro ogni negazione, sono da un lato i Santi, e dall’altro la bellezza che la fede ha generato. Dovremmo, noi moderni, entrare di più nel mondo del bello creato dalla fede, lasciarci maggiormente prendere dal fascino dell’arte cristiana, perché il nostro spirito sia purificato dalle brutture e dalle oscurità interiori, e così intravvedere la luce di Dio. La cultura contemporanea a volte fa difficoltà a generare bellezza: il bello solleva l’anima, riconduce a migliori pensieri, purifica i sentimenti, provoca domande, riporta alla nostra origine, anticipa il Cielo. Ma i beni della Chiesa sono soprattutto dedicati alla vita della comunità cristiana, alle opere educative e pastorali, ai poveri e ai bisognosi. Anche nel contesto attuale, per le note ragioni, la presenza e l’opera di sostegno delle comunità ecclesiali sono capillari ed evidenti, aperti a tutti senza distinzioni. Creano quella rete di solidarietà e di pronto intervento destinata a rispondere a bisogni urgenti e concreti, puntando sempre, per quanto possibile, ad accompagnare verso la soluzione radicale dei problemi e verso l’autonomia delle persone: "Tutta la Chiesa – scrive il Santo Padre - in tutto il essere e il suo agire, quando annuncia, celebra e opera nella carità, è tesa a promuovere lo sviluppo integrale dell’uomo" (Caritas in veritate, 11). La Chiesa non è mai stata un’agenzia di pronto soccorso, ma la famiglia dei credenti in Cristo: ha il compito di annunciare la Speranza, il Signore Gesù, Colui che salva l’uomo dal male più grave, il peccato, e dalla povertà più triste, quella della mancanza di Dio. Senza Dio, infatti, l’uomo non sa dove andare e non comprende se stesso e il suo destino. E proprio perché annuncia la salvezza radicale e apre alla vita piena e vera - quella del cielo - la Chiesa promuove l’uomo nella sua integralità di anima e di corpo, di individuo e di società: crea civiltà e cultura. Come San Lorenzo, la mano della Chiesa si apre aprendo anche il cuore. Ogni gesto di carità evangelica, infatti, non sarebbe tale se non fosse accompagnato dall’amore che nasce dal cuore di Gesù ed abbraccia tutti specialmente i più deboli e bisognosi. La carità è frutto della fede che scalda il cuore, affina l’attenzione al bisogno, rende più generosi nel dare, aumenta la gioia; ma nello stesso tempo, è segno e annuncio della fede perché il pane sia possibilmente accompagnato dalla speranza. Per questo, la Chiesa in tutti i tempi non si mai limitata ad aiutare coloro che si trovano nell’ indigenza - quasi samaritana della storia - ma, fedele al suo mandato, si è fatta portatrice di verità, la verità di Dio rivelato in Cristo e la verità piena dell’uomo. Ella sa che è Dio il vero garante del bene e del pieno sviluppo dell’uomo, per questo non si stanca di annunciarlo pur in mezzo a difficoltà e prove vecchie e nuove. Solo Dio è la misura vera della dignità, misura che, non derivando da nessuna autorità umana, non può essere diminuita o offesa da nessun potere. Ella sa che alla radice di tanti mali e di tante povertà vi è il "sottosviluppo morale" come afferma Benedetto XVI (Caritas in veritate, 29); e per questo non cessa di servire il mondo, nella persona amata dei poveri e nella figura delle istituzioni che presiedono il bene comune, anche con il richiamo alla dimensione etica della vita personale e sociale. Il nostro San Lorenzo, con le poche parole riportate dalle cronache – "Ecco i tesori della Chiesa" – indica all’imperatore Valeriano non solo una realtà umana che attende soccorso e giustizia, ma rivela altresì un nuovo modo di pensare e quindi di agire: ricorda che esiste un codice morale che nasce dallo spirito e dalla natura stessa di ogni uomo; ricorda la distinzione tra il bene e il male, e che questa non dipende dall’arbitrio di nessuno; ricorda che tutti un giorno risponderemo ad una Istanza superiore e assoluta che è Dio; ricorda che esistono dei valori per i quali vale la pena non solo di vivere ma anche di morire. Così come ha fatto lui! E noi oggi qui lo preghiamo perché possiamo seguirlo dietro a Cristo. cardinale Angelo Bagnasco
2010-08-06 6 agosto 2010 IL RISCHIO DEL VOTO Appello di Bersani al centrosinistra Berlusconi rilancia sul programma Il leader Pd Pierluigi Bersani guarda già oltre l'attuale governo e lancia un appello al centrosinistra: "Non si tratta solo di mandare a casa un governo. Dobbiamo superare una fase lunga 16 anni, non due. Dobbiamo liberarci di Berlusconi". Bersani spiega che la posta in gioco, davanti alla crisi della maggioranza che si era unita intorno a Berlusconi, è la democrazia e invita tutte le forze di opposizione a evitare "veti reciproci". Un appello che viene accolto positivamente da Nichi Vendola, ma bocciato come "violento" dal ministro Angelino Alfano, dalle cui parole nasce un lungo botta e risposta con il Pd. LA CONTROFFENSIVA DEL CAVALIERE C'è chi la chiama sfida, chi ne parla come di un rilancio. Fatto sta che la parola elezioni ora entra tra le subordinate, mentre all'ordine del giorno dell'impegno di Silvio Berlusconi c'è la stesura di un programma di legislatura in quattro punti su cui chiedere la fiducia in autunno. Nel caso la fiducia non ci fosse, allora sì, si andrebbe alle urne. Un segnale che da Futuro e libertà si giudica comunque positivo. Berlusconi nelle lunghe riunioni di ieri, avrebbe infatti deciso di procedere a una sorta di "predellino parlamentare", cioè di verificare sul campo se esiste ancora una maggioranza. Dunque in Consiglio dei ministri, dove sono presenti anche esponenti finiani, verrebbero scritti i punti fondamentali del programma che il governo intende portare avanti: economia e fisco, giustizia, Sud e federalismo. Su questi temi Berlusconi si presenterà alle Camere per chiedere un voto di fiducia. Da Futuro e libertà si tratta di un fatto "molto positivo". "È positivo che ci sia una pausa di riflessione e che a settembre si tornerà a parlare di politica e di programma. Ora le elezioni sono decisamente più lontane" afferma il viceministro di Fli Adolfo Urso. "I quattro capitoli indicati - prosegue Urso - sono nel programma, bisogna vedere come verranno declinati e attualizzati alla luce dei cambiamenti indotti dalla crisi economica". Comunque Urso assicura che "su questi punti siamo pronti al confronto" e "sono ottimista che si troverà una base programmatica comune". Per Urso "se però non ci dovesse essere accordo, almeno sarà chiaro agli italiani su cosa ci dividiamo e che il disaccordo riguarda fatti concreti e no personalismi perchè la questione è tutta politica". Il capogruppo Pdl Fabrizio Cicchitto spiega: "A settembre Berlusconi presenterà una piattaforma fondata su pochi punti: su di essa ci auguriamo che venga raccolta una maggioranza che rinnova la fiducia al governo, oppure a quel punto non ci potrà essere alternativa se non le elezioni". E intanto il premier ai giornalisti annuncia che le sue vacanze si limiteranno a "qualche giorno di riposo ad Arcore".
6 agosto 2010 Il voto di mercoledì e il ritorno di antiche fenomenologie politiche Fatti inediti in Parlamento (più qualcosa da Prima Repubblica) La votazione con la quale la Camera ha respinto mercoledì pomeriggio la "mozione di sfiducia" contro il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo ha portato novità nella pur variegata tradizione parlamentare italiana. La prima novità, infatti, consiste nell’oggetto della votazione, che solo fra virgolette può essere qualificata come una mozione di sfiducia. Quest’ultimo tipo di atto parlamentare, infatti, ha come destinatario di norma il Governo, verso il quale può essere diretto, su iniziativa di un decimo dei componenti di una delle due Camere, per obbligarlo a rassegnare le dimissioni. Dagli anni Ottanta, però, si sono diffuse nella prassi parlamentare delle mozioni di sfiducia "contro singoli ministri", che alla Camera sono poi state disciplinate giuridicamente dall’art. 115 del Regolamento, mentre al Senato la disciplina è rimasta allo stato di prassi, ed è retta da una decisione di Cossiga, all’epoca presidente dell’Assemblea di Palazzo Madama. La mozione di sfiducia individuale viene così assimilata a quella "generale" (contro il Governo) e, analogamente a questa, è idonea a obbligare il ministro sfiduciato a dimettersi. La sua ragione di esistenza è duplice: da un lato far valere la responsabilità politica del ministro, senza coinvolgere l’intero Governo; dall’altro operare come sostituto funzionale del potere di revoca dei ministri da parte del presidente del Consiglio (non previsto nella nostra Costituzione). Nel primo caso la mozione è strumento dell’opposizione, nel secondo della maggioranza: per questo solo il secondo tipo di mozione ha qualche chance di successo e di questo tipo è l’unica sinora approvata, quella contro il ministro della Giustizia Filippo Mancuso nel 1995. Tutte le altre mozioni di sfiducia contro ministri sono state sempre respinte. Contro i sottosegretari è più problematico immaginare mozioni di sfiducia, anche perché per loro è ammessa nella prassi la revoca (effettivamente disposta, sinora, in tre casi: Pappalardo, governo Ciampi; Giorgianni, I governo Prodi; Sgarbi, II governo Berlusconi). Nel caso di Caliendo (come nell’unico precedente, lo scorso mese contro Cosentino, con voto saltato per le dimissioni del sottosegretario destinatario), la mozione è uno strumento dell’opposizione, non della maggioranza. Essa è configurata come impegno al Governo "ad invitare (...) a rassegnare le dimissioni da sottosegretario". E avrebbe avuto possibilità di successo solo se fosse stata sostenuta dalla stessa maggioranza. Qui sta la seconda particolarità dell’atipico voto di mercoledì. In esso, per la prima volta nella storia delle votazioni "fiduciarie" di epoca repubblicana, un gruppo parlamentare che compone la maggioranza di governo (e che esprime un ministro, un viceministro e alcuni sottosegretari) si è formalmente dissociato (mediante l’astensione) rispetto alla permanenza in carica di un membro del Governo stesso. Pur con tutte le precisazioni che si sono viste, pertanto, il voto di due giorni fa, nonostante il suo risultato favorevole al Governo, è un altro segno dell’anomalia parlamentare che si è delineata con la formazione dei gruppi di "Futuro e Libertà. Per l’Italia". La posizione dei finiani è difficilmente classificabile: forse è qualcosa a metà fra l’"appoggio esterno" noto alla prassi politica anteriore al 1992, la politica craxiana delle "mani libere" e l’andreottiano "governo della non-sfiducia" nel 1977-78. Una fenomenologia da Prima Repubblica che non annuncia tempi tranquilli. Marco Olivetti
6 agosto 2010 MAGGIORANZE VARIABILI "Le urne? Un bluff" Fli e Udc in sintonia Legittimo impedimento. Processo breve. Riforma della giustizia e separazione della carriere. Cittadinanza agli immigrati. Federalismo. E ancora: quote latte, anti-corruzione. È quasi un programma alternativo, su cui sono pronti a convergere di nuovo, alla ripresa di settembre, quelli del cosiddetto correntone nato intorno all’astensione sul caso Caliendo. Nasce un coordinamento dei gruppi di Fli, Udc, Mpa e Api. D’ora in poi, di fronte a temi non concordati nella maggioranza con l’alleato finiano, sarà pronto a votare in modo difforme, e anche a mettere in minoranza il governo. Silvio Berlusconi ha già detto ai suoi, in tal caso, di tenersi pronti al voto anticipato. "Lo dice ma non lo farà", scommette con i suoi, in queste ore, Gianfranco Fini. "Non fa i conti con le prerogative del Quirinale e del Parlamento. E comunque dovrebbe sapere che, andando alle elezioni, oggi le perderebbe, al Senato. In ogni caso – continua a ripetere – dobbiamo tenerci pronti". Ma soprattutto gli uomini di Fini sono convinti che in caso di forzatura verrebbero allo scoperto anche al Senato altri dissidenti del Pdl in posizione di attesa, e la maggioranza potrebbe andar sotto anche a Palazzo Madama. A settembre ne vedremo delle belle", promette Fabio Granata, che preannuncia in tempi brevi "un rigorosissimo ddl anti-corruzione". E su temi come questi (come anche sulla proposta di cittadinanza breve Granata-Sarubbi) nel Pdl converge, al Senato, anche Giuseppe Pisanu, cosicché diventano più labili i margini, per Pdl e Lega, e non solo alla Camera. "Berlusconi o si dimette o governa, ma i governi vengono fatti o disfatti in Parlamento", avverte anche Pier Ferdinando Casini, convinto che il Quirinale non sia disponibile ad assecondare l’eventuale accelerazione verso il voto. "Se invece capisce la novità politica della nascita dell’area di responsabilità nazionale, si misuri con essa". "Un’iniziativa che rivoluziona la legislatura", la definisce Bruno Tabacci, di Alleanza per l’Italia. "Berlusconi – prevede – proverà a tirare la corda, dobbiamo prepararci allo scontro, anche elettorale. Anche se – precisa subito, anche lui – le elezioni non sono nella disponibilità del premier". Così l’"area di responsabilità" si prepara a due diversi scenari. O aggiungere, su singoli temi, i suoi voti a quelli della maggioranza, se questa scegliesse "equilibri più avanzati", come si diceva un tempo, sui temi controversi. Ma è anche pronta a aggregare proprio su di essi, e magari su una nuova legge elettorale, un governo di segno diverso. Con o senza il Pdl. E i segnali che arrivano dal Pd guardano già al dopo: "Dobbiamo offrire la candidatura a premier a Casini, è l’unico modo che abbiamo per battere Berlusconi", dice la dalemiana Livia Turco. E Francesco Rutelli, che assicura di non avere problemi a stare al fianco di Fini ("Mi sentirei più a disagio con l’Idv", dice) invita il Pd a fare la stessa scelta. Angelo Picariello
2010-08-05 5 agosto 2010 DOPO IL VOTO Caliendo salvo, ma al governo mancano i numeri La mozione di sfiducia non passa e il sottosegretario Caliendo si salva. L’ultima votazione alla Camera prima della sosta estiva dura tanto, sembra non finire mai. Alla fine, il tabellone elettronico di Montecitorio dà, per la prima volta, la rappresentazione plastica del mutato quadro politico. La maggioranza (Pdl più Lega), privata dell’apporto dei finiani, si arresta significativamente sotto quota 300 (a 299), quindi al di sotto del quorum di 316 valido se tutti fossero presenti. D’ora in poi la sopravvivenza del governo Berlusconi si giocherà sul filo dei numeri: pur tenendo conto degli 8 assenti (dei quali 2 in missione: Pecorella e Antonione) ieri nella maggioranza, si arriva infatti a quota 307, quindi un soffio in più dei 304 voti rappresentati dal fronte teorico composto dai 229 delle opposizioni - Pd più Idv - sommati ai 75 che si sono astenuti (e che, in futuro, potrebbero anche votare contro). Per non dire che, fra i 299 che hanno respinto la mozione, sono confluiti i due voti di Ronchi e Urso, i finiani al governo. Con le certezze dei numeri che vengono un po’ meno, la maggioranza si aggrappa alla retorica dei simboli e del leader assoluto. Così, quando Silvio Berlusconi entra nell’aula di Montecitorio, alla fine dell’intervento del suo capogruppo Cicchitto e senza mai incrociare lo sguardo di Fini, i banchi del Pdl esplodono nel grido "Silvio, Silvio". Il Cavaliere si alza e saluta con la mano destra mentre i leghisti, per non essere da meno, intonano "Bossi, Bossi". È l’immagine di chiusura della giornata che segna comunque il debutto di un ipotetico terzo polo, o asse che dir si voglia. Una giornata aperta dalla difesa totale di Caliendo fatta in aula dal suo ministro, Angelino Alfano che, entrando nel merito delle indagini (e questo dopo gli verrà rinfacciato da Franceschini, capogruppo del Pd), sostiene che "la P3 è probabilmente il frutto di una costruzione dei pm" e che "stiamo difendendo dei principi", come la presunzione d’innocenza. Il clou era atteso per le dichiarazioni di voto. Dopo Di Pietro che ha attaccato gli astenuti, il silenzio assoluto è sceso al turno di Benedetto Della Vedova, primo intervento in aula di un membro Fli. Che ha motivato l’astensione del nuovo gruppo addebitando a Caliendo "una grave imprudenza", ma "non la responsabilità di essere venuto gravemente meno ai suoi doveri", e invitando però il sottosegretario (oltre che Berlusconi) a "valutare una sospensione delle sue deleghe". L’asse degli astenuti è stato poi completato da Pier Ferdinando Casini. Il leader dell’Udc ha citato Sant’Agostino e ha chiuso ammonendo (lo stesso farà Franceschini) chi pensa al voto anticipato che questo potrebbe dare "sorprese ben maggiori". Il leghista Marco Reguzzoni gli ha ricordato però che "noi non siamo figli dei salotti, siamo gente che nasce dal prato di Pontida". E alla stessa Lega si è appellato Franceschini: per ricordare che la politica, come spesso succede in Europa, "non può attendere l’accertamento delle responsabilità" e che il governo ha "demolito il rispetto dell’etica pubblica". Poi il voto. Solo il primo di quel "Vietnam" che ora attende Berlusconi alla ripresa. Eugenio Faticante
5 agosto 2010 Il nuovo quadro politico Adesso è chiaro: non esistono soluzioni di forza Il clima che ha contraddistinto il dibattito parlamentare sulla richiesta di dimissioni del sottosegretario Giacomo Caliendo, infine respinta da una maggioranza che non sarebbe stata tale senza l’astensione dei centristi dell’Udc e dell’Api ai quali si sono aggiunti i voti – in libera uscita dal centrodestra – dei seguaci di Gianfranco Fini e del lombardiano Mpa, segnala una situazione di aspra tensione, sia all’interno della maggioranza di governo, sia tra le opposizioni. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha accusato i finiani di aver abbandonato una posizione di principio garantista per modesti calcoli politici, Antonio Di Pietro si è scagliato contro gli astenuti accusandoli di vigliaccheria ricevendo una replica assai ferma da Pier Ferdinando Casini. Formalmente la coalizione di governo raccolta intorno a Silvio Berlusconi e scelta con chiarezza dagli elettori poco più di due anni fa sussiste tuttora, Benedetto Della Vedova, intervenendo per i finiani ha addirittura sostenuto la tesi un po’ surreale che "la maggioranza è solida". In realtà, i sostenitori del governo Berlusconi sono meno di 300 in una Camera di 630 membri. Il che significa comunque una settantina di deputati in più di quelli dell’opposizione "senza se e senza ma" proclamata dall’Italia dei valori e dal Partito democratico (nel quale però non mancano distinzioni, persino a proposito del contenuto della nuova legge elettorale sulla quale si dovrebbe fondare l’agognato "esecutivo di transizione"). E al Senato la supremazia di Pdl e Lega resta chiara. La situazione è assai ingarbugliata. Nessuno ha in mano il bandolo della matassa, né per garantire in un modo o nell’altro il proseguimento della legislatura, né per sancirne la conclusione anticipata col ricorso alle urne. Questo non significa che non esistano soluzioni possibili, ma che non esistono soluzioni di forza. E dal Quirinale questo scenario appare particolarmente chiaro. I compiti delle vacanze che i responsabili politici dovranno svolgere si presentano davvero piuttosto ardui. Tutti, per ora, insistono nel proclamare, come in un’indimenticabile poesia di Eugenio Montale, "ciò che non siamo, ciò che non vogliamo". Per passare a spiegare che cosa invece pensano che si possa fare, che è poi il compito della politica, sarebbe necessario un bagno di umiltà e una ricerca di comprensione delle ragioni altrui, operazione ostica ma indispensabile. Il federalismo fiscale, la giustizia, la stessa legge elettorale, oltre – ovviamente – il controllo della spesa pubblica e il sostegno all’economia e al lavoro, sono problemi che richiedono soluzioni meditate, che superino i confini di un’autosufficienza della maggioranza che non è più scontata. Se si cesserà di puntare alla distruzione dell’avversario, obiettivo peraltro mancato già tante volte – sia da chi annuncia invano da 16 anni la fine del berlusconismo, sia da chi pensa che l’alternativa alla propria parte sia solo un illiberale salto nel buio – forse si potranno esaminare le questioni di merito in modo meno pregiudiziale, puntando a trovare soluzioni e compromessi che vadano al di là di steccati ormai piuttosto malconci. E forse si potrà individuare il percorso più utile per attraversare quest’ennesimo guado. Soltanto se i leader di partito e di schieramento passeranno le prossime settimane a pensare a come render conto al Paese delle loro scelte, invece di organizzare "rese dei conti" all’interno di una classe politica arroccata, risentita e lontana dalla gente, si creeranno le condizioni per confronti e dialoghi costruttivi. Se invece si sceglierà di animare ancora di più le contrapposte tifoserie che si sono viste all’opera ieri a Montecitorio, si darà tristemente spettacolo e si deluderanno le attese vere della gente. Gli italiani meritano decisamente di più e di meglio. Sergio Soave
5 agosto 2010 LA MOZIONE DI SFIDUCIA Berlusconi: ora dico votiamo in autunno "Inumeri sono chiari. E io non voglio e non posso fare finta di nulla. Devo ammettere la realtà: questo governo non è più autosufficiente". E già buio quando Silvio Berlusconi fotografa con i collaboratori più stretti la nuova situazione dopo lo strappo con Gianfranco Fini. Ripete quattro parole il premier: "Non siamo più autosufficienti". Le spiega: "Il punto non è non essere arrivati a quota 316. Quello è successo altre volte, anzi succede quasi sempre. Ma la novità su cui sarebbe sciocco non riflettere è un’altra: le astensioni e i voti contro Caliendo superano quelli a favore". Due cifre: 304 contro 299. Berlusconi le ripete quasi meccanicamente, poi arriva al punto: "Il voto oggi è nettamente più vicino. E io sono pronto a rilanciare la sfida e a spiegare al Paese i motivi". Sono ore complicate. Gianni Letta prova a frenare il Cavaliere, ma la scelta questa volta sembra davvero presa. E allora tocca al sottosegretario chiamare Stromboli per avvertire il capo dello Stato partito per l’isola siciliana proprio alla vigilia del voto su Caliendo. L’accelerazione sembra netta. E anche Bossi che a caldo aveva commentato l’esito della mozione escludendo un voto ravvicinato ("Questo è il segnale che resistiamo"), ora dopo ora, prende coscienza della nuova realtà e avverte: "Siamo pronti ad andare ad elezioni con Berlusconi. Quel giorno la Lega non solo vince; stravince". Tutti capiscono che continuare così sarà complicatissimo. E tutti parlano di elezioni in autunno senza nemmeno usare il condizionale. "Eravamo il Paese più stabile in Europa qualcuno vuole farci tornare all’instabilità di prima": così il premier si sfoga in serata a cena con i suoi deputati. "Avevamo una maggioranza straordinaria, un governo compatto e una squadra di giovani ministri motivati da grande idealismo, un esecutivo che ha risposto con grande efficacia alle emergenze. Non c’era nessuna possibilità che un mandato così largo degli elettori fosse messo in discussione. E invece è successo ciò che è successo e anche domani leggeremo sui giornali internazionali descrizioni di un’Italia tornata inaffidabile". Berlusconi sfoglia l’agenda. Si ferma sui primi giorni di ottobre: "Sciogliere qui e così votare entro novembre". Il premier pensa alla campagna elettorale, tutta giocata per spiegare i responsabili della crisi. "Io avevo una maggioranza ampia e Gianfranco Fini l’ha devastata...Mi ha logorato per mesi dall’interno e ora vuole continuare a farlo dall’esterno. La scelta di puntare su Bocchino capogruppo è un segnale che davvero non posso sottovalutare". È un’analisi impietosa. Berlusconi racconta di possibili difficoltà nel gestire, numeri alla mano, commissioni importanti. E svela un particolare: il federalismo non è a rischio; anche se non chiudiamo ora chiuderemo una volta rivinte le elezioni. C’è solo il voto. Berlusconi esclude governi tecnici, istituzionali, di transizione. E sottovoce ammette di confidare nel capo dello Stato. "C’è una sola strada. Perché non posso restare in mezzo al guado: devo muovermi subito. Devo farlo ora che sono forte. Senza dargli tempo per riorganizzarsi". aRTURO c
5 agosto 2010 CORRENTONE Fini: "Dovranno fare i conti con noi" "Tu saprai fare i conti pubblici, ma in Parlamento li so fare meglio io". Alla buvette Pier Ferdinando Casini si aggira come un vincitore. I conti gli danno ragione: con i suoi 37 voti su 38, l’Udc si conferma primo azionista di quello che non sarà un terzo polo e neppure un correntone, ma certo qualcosa di nuovo è, se non si parla d’altro da due giorni. Un cartello parlamentare che, numeri alla mano, se su singoli punti decidesse di votare contro sarebbe in grado di ribaltare gli equilibri di Montecitorio, conteggiando anche i 7 astenuti rutelliani e i 5 dell’Mpa di Lombardo. Riferiscono di un Gianfranco Fini raggiante: "Quello che ha detto la Moroni dinostra che non era una battaglia fra giustizialisti e garantisti". E ripeteva ai suoi: "Siamo leali, ma da oggi è chiaro che si dovrà discutere anche con noi". Su quali temi lo chiarisce, esemplificando, Fabio Granata: "Su giustizia, legalità e federalismo, siamo determinati a far valere le nostre ragini". Nell’Udc si sfila dal voto il solo Enzo Carra, al pari di Buno Tabacci, già in vacanza, dell’Api di Francesco Rutelli. E c’entra probabilmente la durezza di Tangentopoli vissuta in prima persona da entrambi. Ma anche dal fronte dei finiani si canta vittoria. Poco importa se all’autorizzazione concessa al ministro Ronchi e al vice-ministro Urso a votare contro (assenti perché in missione gli altri due sottosegretari Menia e Buonfiglio) si siano aggiunte le assenze dall’aula di Consolo, Angeli, Divella e Tremaglia, con gli ultimi due – fanno notare – che erano malati. Anche se l’aplomb anglossasone di Benedetto Della Vedova, prova a smorzare: "Questo non è un terzo polo, non è un nuovo partito". Ma un colpo lo assesta al governo, parlando di "grave imprudenza" e di "eccessiva confidenza con personaggi che non meritavano nè ascolto nè credito", invitando Caliendo a "valutare serenamente se una sospensione delle deleghe fino al chiarimento definitivo", giustificando così la differenziazione dalla maggioranza dei 25 astenuti finiani presenti in aula, e col problema di dove sedersi, per il momento. Ma il sassolino dalla scarpa se lo toglie anche Casini, rispedendo al mittente l’accusa di trasformismo del Pdl: "Non possiamo avere lezioni da chi in privato e in pubblico ha provato a chiederci atti di trasformismo, che noi abbiamo rifiutato". Con Fini è più di una mano tesa: "Ci sono novità – dice Casini – come la nascita di un nuovo gruppo, che possono cambiare il corso della legislatura". E avverte, parafrasando Sant’Agostino: "Meglio zoppicare sulla strada giusta che correre su quella sbagliata". Angelo Picariello
2010-08-04 4 agosto 2010 VOTO Caliendo, Camera respinge la sfiducia con 299 voti La Camera ha bocciato la mozione sulle dimissioni del sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo indagato per la violazione della legge Anselmi sulle società segrete. I voti contro sono stati 299, quelli a favore 229, gli astenuti 75. Il Pdl e la Lega Nord avevano annunciato voto contrario, Pd e Idv voto favorevole. Si erano espressi a favore dell'astensione oltre a Udc, Api ed Mpa anche il nuovo gruppo Futuro e libertà a cui hanno aderito 33 deputati fedeli al presidente della Camera Gianfranco Fini in rotta con il Pdl. Il ministro per l'attuazione per il Federalismo, Umberto Bossi, ha commentato la bocciatura della mozione di sfiducia nei confronti del sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, dicendo che "questo è il segnale che resistiamo. Adesso non si va al voto". Giacomo Caliendo non nasconde la propria soddisfazione subito dopo il voto della Camera che respinge la mozione di sfiducia nei suoi confronti. E non rinuncia a mettere in chiaro alcune cose: "Di Pietro ha riferito fatti non veri, che ho già dimosrtato essere inesistenti. Quanto a Franceschini - dice il sottosegretario alla Giustizia - non ha detto nulla di comportameni illeciti o scorretti. Io rispondo alla mia coscienza, se fosse scoperto un mio comportamento illecito, o solo scorretto, farei le valutazioni del caso. Nulla dei fatti che mi vengono contestati è vero". E a Pier Ferdinando Casini, che ha parlato di una questione di decenza nello scegliere le frequentazioni, Caliendo replica: "Non ho frequentato altra gente tranne Lombardi, che era incensurato". L'INTERVENTO DI ALFANO. La discussione sulla mozione contro il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo comincia a Montecitorio in un'aula semideserta. Vuoti i banchi del governo. "Noi difendiamo Caliendo, difendendo con lui un principio, quello della non colpevolezza, e un valore scritto nella Costituzione, quello della legalità. E consapevoli che oggi alcuni tra i colleghi, molti lo faranno per disciplina di partito, non voteranno secondo la propria coscienza ma piegheranno all'utilità parlamentare di un giorno, al tatticismo parlamentare di un giorno, un alto e nobile principio". La requisitoria in Aula di Angelino Alfano ha diversi destinatari, tutti non esplicitati ma facili da mettere a fuoco. Si parla di quanti erano nel Pdl fino all'altro ieri e ora si asterranno, venendo meno, fa capire l'esponente Pdl, alla difesa del garantismo. Ma si parla anche di chi aggancia una richiesta di dimissioni all'iscrizione nel registro degli indagati. Il ministro della Giustizia spiega di non voler entrare nel merito ma smonta il lavoro delle toghe, derubrica la P3 a "costruzione di taluni pm" e stavolta rende chiaro il destinatario dell'ammonimento sulle conseguenze politiche del voto sulla sfiducia a Caliendo. È ai banchi del Pd che Alfano si rivelge per ricordare che questo legame indagato-dimissioni "in futuro vi tornerà indietro". Alfano prende la parola spiegando che Caliendo "deve continuare a svolgere il suo lavoro, perchè lo consideriamo un uomo del governo che mai si è sottratto ai doveri del proprio ufficio e che mai ha agito contrariamente ad essi". Il Guardasigilli osserva che "in questa vicenda tutto è noto, tutto è stato pubblicato sui giornali e ciò che non è noto e non è chiaro è esattamente ciò che in violazione dei doveri del proprio ufficio, della legge, di codici anche rigorosi di natura etica, il sottosegretario Caliendo avrebbe fatto". "Non si può trarre spunto da un'indagine per presentare una mozione di sfiducia e, quando ci si rende, conto che diventa troppo debole, eccepire l'argomento dell'a prescindere. No, voi avete presentato la mozione di sfiducia perchè c'era questa indagine e se oggi dite che la volete a prescindere è perchè virendete conto che la mozione è strumentale e debole. Altrimenti insistereste sull'indagine".
4 agosto 2010 LA GIORNATA DELLA VERITÀ Caliendo, oggi la sfiducia Asse Fini-Casini-Rutelli
Alle otto della sera Silvio Berlusconi tira le somme della giornata che ha registrato le prove tecniche di una sorta di "terzo polo", sulle mozioni di sfiducia (del Pd e dell’Idv) al sottosegretario Caliendo che saranno votate oggi alle 17 alla Camera. E lo fa aprendo già un fronte, quello dei deputati finiani che sono membri del governo (cioè Ronchi e Urso), nella nuova pattuglia dei trentatré, che ieri intanto hanno avviato un dialogo con Casini, Rutelli e l’Mpa di Lombardo: "Passi per l’astensione dei deputati "semplici", ma da parte dei membri di governo sarebbe un atto per me intollerabile... Chi si astiene dovrà prendersi le sue responsabilità", dice il premier, chiuso a palazzo Grazioli con il ministro Alfano, il deputato-avvocato Ghedini e il protagonista di questo "passaggio-chiave" della maggioranza, Caliendo appunto. È un fronte che, quand’è sera, costringe Fini a precisare: "Non siamo traditori, restiamo leali. Chi è al governo voti contro". La tensione è alle stelle, quella in corso attorno al sottosegretario alla Giustizia rimasto implicato nell’inchiesta sulla cosiddetta P3 è anche una "guerra di nervi". Il diktat del Cavaliere rimbalza direttamente sulle spalle dei due interessati: Andrea Ronchi, titolare delle Politiche comunitarie, e Adolfo Urso, vice-ministro allo Sviluppo economico. Quest’ultimo, prima della cena di "Futuro e libertà" conferma l’imbarazzo di queste ore: "Valuterò solo domani (oggi per chi legge, ndr), si limita a dire, prima dell’"ordine" serale di Fini. Sono ore di febbrili contatti, riunioni volanti, sollecitazioni continue. Seguite alla breve riunione che, all’ora di pranzo, ha segnato la giornata: con i centristi dell’Udc a fare da padroni di casa nella sede del loro gruppo, i finiani (ce n’erano 4: Bocchino, Conte, Moffa e Della Vedova) si sono visti anche con esponenti dei gruppi dell’Api di Rutelli e del Movimento per l’Autonomia. Una manciata di minuti per sancire una linea di condotta comune da tenere oggi: tutti si asterranno, ma ciascuno dentro il proprio gruppo. Qualcuno si azzarda a parlare di nascente "terzo polo". Ma i diretti protagonisti non gradiscono e preferiscono parlare di "convergenza" o di una più altisonante "area di responsabilità", per ricorrere alle espressioni usate da Della Vedova e da Lorenzo Cesa, segretario dell’Udc. È una definizione rigettata con forza pure da Bocchino: "Nel sistema bipolare il terzo polo non esiste. È come giocare a tennis e sedersi sulla rete". Per tutta la giornata nel tam tam del "Palazzo" è rimbalzata la voce secondo cui Berlusconi sarebbe pronto a spingersi fino alla crisi se la maggioranza non dovesse raggiungere quota 316. In sostanza il presidente del Consiglio, si ragiona in ambienti del Pdl, non sarebbe disposto a farsi rosolare a fuoco lento, ma preferirebbe chiudere subito la partita piuttosto che sottoporsi a uno stillicidio quotidiano. Da qui gli attacchi sferrati dai "fedelissimi" del Cavaliere. Per il capogruppo alla Camera, Fabrizio Cicchitto, se la mozione passasse sarebbe "una resa al giustizialismo" e la decisione dei finiani "l’avvio di una manovra politica". Eugenio Fatigante
4 agosto 2010 LO STRAPPO Bersani apre a Tremonti: lui premier meglio del voto Parla Pierluigi Bersani. Lo scenario in movimento in vista del voto di oggi va studiato e ristudiato. Il terzo polo riunito per la prima volta è lì a testimoniare cambiamenti in atto e il leader del Pd continua a chiedere un dopo-Berlusconi. Per l’esattezza un governo tecnico, più volte evocato. Da qui a passare all’ipotesi Tremonti è un soffio. Da giorni si vocifera di un lavorio infaticabile di Massimo D’Alema, convinto che il ministro dell’Economia porterebbe con sé anche la Lega di Bossi. Il leader del Pd non lo nomina ma fa capire che si tratterebbe di una soluzione "più sensata di un confronto elettorale con un meccanismo come questo". Anche Silvio Berlusconi, nel suo studio, sta valutando il nuovo corso e viene aggiornato in continuazione. Il premier legge i desideri dell’avversario e riflette con i suoi fedelissimi: se questa è la manovra del Pd, il Pdl può dormire sonni tranquilli. Uno, perché il capo del governo ha piena fiducia in Tremonti. Due, perché è certo che Bossi non lo tradirà. Tre, perché relega l’operazione in quella "politica politicante" fine a sé stessa, così lontana dalla gente, che avrebbe portato, dice, il centrosinistra alla sconfitta e che non darà spazio al terzo polo di Fini e Casini. Il capo dell’esecutivo fa i conti dei voti che mancheranno oggi sulla mozione per Caliendo e tenta fino all’ultimo di frenare l’emorragia. Ma di fronte alla strategia del Pd ostenta sicurezza e si sente saldamente in sella. Bersani non lo vede affatto così. Ma, ragiona, "se il predellino gli è franato sotto ai piedi, non può dare le colpe a Fini". Poi però frena sul nome del possibile capo di un governo tecnico. "Il nostro mestiere non è quello del Capo dello Stato, non spetta a me decidere. Certo però che non può traghettare quello che ci ha portato fin qui". Il segretario del pd, dunque, non nomina Tremonti, anche se gli viene attribuita l’ipotesi del ministro come successore, nel contesto del ragionamento. "Bersani non ha mai fatto nomi", precisa il suo portavoce Di Traglia. Anzi, il segretario democratico si mostra scettico su una possibile collaborazione da parte leghista, sebbene si dica pronto a "discutere" con il Carroccio su diverse riforme. Ma l’uscita allo scoperto dell’ipotesi di un governo-Tremonti porta un certo scombussolamento nei corridoi e dall’Udc il leader Casini pare sollevato della smentita bersaniana: "Ha fatto bene Bersani a smentire quella finta indicazione". Piuttosto, continua il leader Udc, il governo tecnico non sarà transitorio, ma dovrà fare diverse cose per il Paese. Per questo la nascita del terzo polo rappresenta una novità di rilievo. Ne conviene il Pd che guarda al nuovo scenario con curiosità e interesse. Bersani, però, precisa subito che se si va avanti, "in un assetto bipolare che ormai è entrato profondamente nel Paese" anche il terzo polo dovrebbe decidere dove collocarsi. E questo è anche il monito a quanti nel Pd guardano con un interesse maggiore alla nascita di un soggetto che va a inserirsi al centro tra Pdl e Pd. Sebbene proprio gli ex popolari smentiscano di esserne attratti: "Se lo fossimo stati – spiega Fioroni – il passaggio lo avremmo già fatto. Questo è un dato positivo ma bisogna che diventi un interlocutore anche per tornare a governare". Roberta D’Angelo
4 agosto 2010 Futuro e libertà Fini boccia il terzo polo: "Non è il mio progetto" "Nessuno è autorizzato a parlare di terzo polo, non è il mio progetto. Oggi è solo avvenuto un processo politico importante fra diverse componenti di maggioranza e opposizione". Gianfranco Fini apre la riunione con i suoi alla cena di Farefuturo, con un obiettivo ben chiaro in testa: tenere unita la truppa de deputati e senatori che l’hanno seguito, sminando il terreno dalle pressioni esercitate sul fronte moderato dei suoi deputati, sul caso Caliendo. Nel pomeriggio era girato uno strano messaggio: "Attenzione, se domani i finiani si astengono sulla sfiducia a Caliendo con Rutelli, Casini e Lombardo, se Berlusconi si ritrova anche con un solo voto meno dei 316 della maggioranza, sale al Quirinale". L’sms, fatto girare dai fratelli-coltelli ex An rischiava di riaprire i giochi. A quell’ora erano già accesi i fornelli dell’imminente cena nella quale, ieri sera, il presidente della Camera ha riunito i suoi alla fondazione Farefuturo. E proprio al momento di buttare la pasta, ecco, in tema, la rassicurazione di Francesco Divella (che nel pomeriggio aveva preannunciato il suo personale no alla sfiducia) che si sarebbe allineato anche lui alle posizioni degli altri, orientati verso l’astensione. Ma non era più pacifico che fosse questa la via per far sì che la differenziazione della nuova formazione, sul caso Caliendo, non diventasse rottura, crisi. Nel Pdl non tutti erano disposti a far passare liscia ai finiani: "Ci aspettano fango e minacce di voto, evitiamo pretesti". La pressione era diventata insidiosa, in serata, verso il ministro e viceministro di osservanza finiana. Nella cena, ieri, veniva anche valutata l’ipotesi di far uscire Andrea Ronchi e Adolfo Urso, per toglierli dall’imbarazzo. Ma poi Fini cedeva e dettava la linea: "Votino no, per non essere tacciati di contraddizione". E la spiegava così: "Caliendo non è Cosentino, è una mozione strumentale, questa. Restiamo uniti, troviamo una sintesi, non serve a nessuno dare l’idea di dividerci fra falci e colombe". "Se i parlamentari del gruppo Fli dovessero astenersi, il presidente del Consiglio un minuto dopo dovrebbe salire al Quirinale per illustrare la situazione", aveva detto l’ex An Mario Landolfi. E un senatore ex finiano, poi rimasto nel Pdl, come il sottosegretario Andrea Augello arrivava alla stessa conclusione: "Non mi pare che si possa far finta di niente in tal caso". Ma il presidente della Repubblica nel pomeriggio era già partito per Stromboli. Nessun cambiamento nella tabella di marcia delle ferie del Presidente, in ossequio alla linea che il Quirinale ha ribadito in questi giorni, che lo vuole fuori da quella che continua a considerare dialettica interna alla maggioranza. E alla fine potrebbe andare proprio così: polemiche forti, ma la maggioranza tiene. Per ora. Angelo Picariello
4 agosto 2010 INTERVISTA Gasparri mette in mora i ministri finiani: "Vadano via se non votano come noi" Passi per l’astensione dei finiani che sono soltanto deputati, una scelta comunque "singolare". Ma quelli che ricoprono incarichi di governo, come il ministro Ronchi o il viceministro Urso, devono schierarsi con il sottosegretario oppure dimettersi. Non usa mezze misure, il capogruppo del Pdl al Senato Maurizio Gasparri. Non ci sono alternative? Una soltanto: andare da Berlusconi a chiedere la testa di Caliendo. Come potrebbero, del resto, non votare contro le mozioni presentate dalle opposizioni e poi restare al governo insieme a una persona che non ritengono degna di fiducia? Mi sembra un ragionamento da scuola elementare. Così come lo era prevedere il "non voto" del gruppo di Fli. Perché? Perché era il solo modo per coprire la confusione che regna tra loro: alcuni vorrebbero esprimersi contro la sfiducia, altri vorrebbero mandare a casa Caliendo... Era una scelta obbligata, per non lasciare emergere le spaccature che in quel gruppo ci saranno su qualsiasi questione, dall’immigrazione ai temi bioetici. Anche se stanno cercando di farla passare come una strategia politica di convergenza con l’Udc e con altri. Un’operazione comunque ambigua e singolare: il primo atto di un gruppo neonato, che si dice a sostegno del governo, è quello di mettersi d’accordo con gruppi di opposizione. La legalità è un’esigenza che va oltre le logiche di maggioranza, dicono i finiani. È un tema sul quale non mi sento di prendere lezioni da nessuno: mi sono battuto per l’inasprimento del 41-bis e le sto parlando dopo che, qui al Senato, abbiamo appena approvato il codice antimafia. Quanto al merito della vicenda, ancora non ho capito perché Caliendo dovrebbe lasciare l’incarico e all’ex-vicepresidente del Csm Nicola Mancino nessuno ha chiesto dei suoi incontri con membri della cosiddetta cricca, i quali gli hanno chiesto di votare Marra alla presidenza della corte d’appello di Milano. Cosa che poi è avvenuta, sono sicuro per libero convincimento. Però Caliendo è finito nel mirino solo per aver partecipato a un convegno. Quando ci fu la richiesta di arresto per Bocchino, io andai a difenderlo in tv, non ne chiesi le dimissioni. In ogni caso, oggi il governo dovrebbe salvarsi. Ma il Pdl è ora un partito con due distinti gruppi parlamentari alla Camera e due al Senato. Non è meglio andare alle elezioni che sopravvivere tre anni così? Stiamo parlando dei destini del Paese, perciò serve cautela e, mi creda, ne stiamo usando in quantità industriale. Perciò, aspettiamo di vedere se davvero, come hanno detto, sosterranno lealmente l’esecutivo. Non è questione di emendamenti o di singole norme, sui quali è fisiologico discutere. Ma se ci fosse una strisciante opposizione da parte loro, come molte dichiarazioni lasciano pensare, allora il voto anticipato sarebbe l’epilogo di questa azione corrosiva. In contraddizione con il mandato conferito dagli elettori. Lei ha appena incontrato La Russa e Alemanno. Avete discusso del patrimonio di An e dell’ormai famosa villa di Montecarlo? No, abbiamo parlato di politica. Ma poco fa ho parlato con alcuni esponenti del comitato di vigilanza di An e mi hanno detto che quella casa fu venduta a 300mila euro a una società con sede in un paradiso fiscale. Roba strana per un partito... Sono molto rammaricato, ho letto che era stato offerto un milione e mezzo. Danilo Paolini
4 agosto 2010 CONCORSO IN CORRUZIONE G8, processo a Balducci e soci fissato al 19 ottobre È stato fissato, a Roma, per il 19 ottobre prossimo il processo per i presunti illeciti legati agli appalti per la Scuola dei marescialli dei Carabinieri di Firenze. Lo ha deciso il gip Barbara Liso. Con il rito immediato saranno giudicati Angelo Balducci, ex presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici, Fabio De Santis, già presidente del Consiglio Lavori pubblici della Toscana, Francesco Maria De Vito Piscicelli e Riccardo Fusi, imprenditori. Tutti sono accusati di concorso in corruzione. A sollecitare il dibattimento sono stati il procuratore aggiunto Alberto Caperna ed i sostituti Ilaria Calò e Roberto Felici. Nel procedimento al vaglio della Procura di Roma rimangono tuttora indagati, sempre per concorso in corruzione, il coordinatore del Pdl, Denis Verdini, e l'imprenditore Roberto Bartolomei, mentre un settimo indagato, l'avvocato Guido Cerruti, è morto recentemente. Nel chiedere il giudizio immediato per Balducci, De Santis e Piscicelli, la procura di Roma ha sostanzialmente rinnovato l'iniziativa già adottata dalla magistratura fiorentina prima che la Cassazione decretasse la competenza romana a procedere. Gli inquirenti della capitale hanno inoltre ritenuto di estendere la richiesta anche a Fusi, in virtù delle prove acquisite nei suoi confronti. Una delle questioni che sarà sollevata il 19 ottobre riguarderà la posizione di Piscicelli, l'imprenditore che rideva al telefono dopo il terremoto in Abruzzo pensando alla ricostruzione, il quale, per gli stessi fatti per cui è imputato a Roma, ha già chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato a Firenze. L'udienza è fissata per il 21 settembre davanti al Gup Anna Favi. MONDIALI DI NUOTO: A GIUDIZIO IN 32 Per i presunti abusi edilizi che avrebbero scandito la realizzazione degli impianti sportivi, piscine e altre strutture, in occasione dei mondiali di nuoto del 2009, la Procura di Roma ha citato a giudizio 33 persone.Tra queste Angelo Balducci, già presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, tuttora detenuto per la vicenda degli appalti G8, Claudio Rinaldi ex commissario straordinario per i mondiali di nuoto, Giovanni Malagò all'epoca presidente del comitato organizzatore dei mondiali. Il processo comincerà il 5 aprile 2011. Abusivismo edilizio il reato contestato dai Pm, Sergio Colaiocco e Delia Cardia. Tra gli imputati figurano Simone Rossetti, gestore del Salaria sport village, il centro di benessere citato in alcune intercettazioni sul caso G8 riguardanti la posizione di Guido Bertolaso, e l'architetto Angelo Zampolini, già direttore dei lavori del Salaria sport village nonchè uno dei principali indagati nella più ampia inchiesta nei cosiddetti "grandi eventi" finita al vaglio della Procura di Perugia in seguito al coinvolgimento dell'ex procuratore aggiunto di Roma Achille Toro. Copia degli atti dell'inchiesta dei Pm romani sono stati trasmessi alla Procura regionale della Corte dei conti come dalla stessa richiesta del 9 luglio scorso. Nell'ambito dell'indagine di Piazzale Clodio sono finiti sotto sequestro una decina di strutture, circoli ed impianti sportivi, oggetto di lavori in occasione della competizione sportiva del 2009.
2010-08-03 Home Page Avvenire > Interni > Su Caliendo domani il voto Astensione di Fli, Udc, Mpa e Api Interni * * stampa quest'articolo segnala ad un amico feed 3 luglio 2010 DOPO LO STRAPPO Su Caliendo domani il voto Astensione di Fli, Udc, Mpa e Api I finiani, Udc, Mpa e Api hanno deciso al termine di un incontro alla Camera di proporre ai rispettivi gruppi di votare per l'astensione sulla mozione di sfiducia al sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, che verrà discussa domani in Aula. "Abbiamo riscontrato un'area di sensibilità istituzionale con gli amici dell'Udc, dell'Mpa e dell'Api", ha dichiarato il deputato finiano Della Vedova al termine dell'incontro a Montecitorio sulla posizione da adottare domani alla mozione di sfiducia nei confronti del sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo. "Un'area di sensibilità - sottolinea però Della Vedova - che non contrasta con la lealtà che confermiamo al mandato elettorale". I DUBBI DEI FINIANI "Attenzione. Se domani i finiani si astengono sulla sfiducia a Caliendo con Rutelli Casini e Lombardo, se Berlusconi si ritrova anche con un solo voto meno dei 316 della maggioranza, sale al Quirinale". A un certo punto del pomeriggio, circolano sms di questo tipo tra le truppe di "Futuro e Liberta". E lo spettro di una spaccatura nel neonato gruppo Fli alla Camera si concretizza in conciliaboli e riunioni dei fedelissimi al Presidente della Camera, che però non hanno gradito la pubblica esternazione del fronte Fli-Udc-Api-Mpa, fronte vasto schierato per l'astensione. Ci sono i perplessi e quelli pronti addirittura a votare contro la sfiducia e ragionano a lungo (tra gli altri Moffa, Menia, Consolo, Proietti, Bellotti, Napoli, il reggente Giorgio Conte) su come dimostrare alla prima prova dei fatti che il sostegno al governo c'è, così come la volontà di non costituire terzi poli e nuove maggioranze. Una mina che Gianfranco Fini dovrà disinnescare stasera - alla cena con i neonati gruppi alla Fondazione Farefuturo - dove si discuterà della linea astensionistica annunciata e si deciderà il nuovo capogruppo a Montecitorio (in pole position Italo Bocchino). È in questa sede che Fini dovrà dimostrare di avere con sè gruppi compatti per non consentire al premier di poter sostenere che il governo è andato sotto per il mancato sostegno dei finiani, che pure hanno annunciato di volerlo sostenere e di volersi mantenere fedeli alla maggioranza che li ha eletti. Intanto, all'ora di pranzo nella sede della Fondazione di Gianni Alemanno "Nuova Italia", in una riunione dei fedelissimi del sindaco di Roma, di Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa ed Altero Matteoli, si è a lungo discusso della necessità per Berlusconi di non farsi condizionare da Fini, fin da questo primo delicato passaggio parlamentare. Del resto, il premier anche ieri lo ha detto nella cena con i senatori: "La via è stretta, non voglio farmi rosolare: al primo incidente si va al voto". "SENZA LA LEGA NON SI VA DA NESSUNA PARTE" Maroni aggiunge: "Senza la Lega non si va da nessuna parte, anche perchè al Senato un qualsiasi altro Governo non potrebbe mai prendere la fiducia. È inutile fare ragionamenti tortuosi. Se il Governo viene sfiduciato, il presidente del Consiglio va al Quirinale a dimettersi. Il capo dello Stato affida un incarico per la verifica di rito ed il verificatore accerterà che non c'è una maggioranza in Parlamento. E la strada delle urne è aperta". E se, invece, si dovesse trovare una maggioranza diversa in Parlamento? "Non esiste - replica Maroni - una maggioranza diversa da quella che hanno voluto gli elettori. È irrealizzabile. Poteva accadere nella Prima Repubblica. Oggi no. Non c'è spazio per giochi di questo genere e senza la Lega non si va da nessuna parte. Se sfiduciano il Governo si va soltanto da una parte: alle urne".
3 agosto 2010 IL J'ACCUSE DEL MINISTRO "Leader del centrodestra? Fini non ha più un futuro" "Erano mesi che il linguaggio di Fini era incomprensibile al popolo di centrodestra. Le sue uscite sui temi etici, la sua sortita sulla cittadinanza breve per gli extracomunitari... Ma c’è stato un momento in cui nessuno ha capito il presidente della Camera...". Franco Frattini esita qualche istante prima di spiegare e scandire l’atto d’accusa. "...Quando ha gridato "chi è indagato deve lasciare il governo"... Parole incomprensibili a una destra moderna che crede nelle garanzie e non accetta questo giustizialismo alla Di Pietro". Il ministro degli Esteri, parola dopo parola, diventa sempre più esplicito. "Fini non è più visto come un leader del centrodestra. E, in prospettiva, non sarà più uno dei leader naturali alla successione". Siamo alla Farnesina, nell’appartamento del capo della diplomazia italiana. Si parla di attualità politica. Di un voto che nessuno vuole, di un governo di transizione che non esiste e che il Quirinale "non avallerebbe mai". Ma soprattutto si parla di Gianfranco Fini. C’è una domanda netta che precede una risposta altrettanto netta. Ministro cosa pensa della vicenda della casa di Montecarlo? "È stato fatto un lavoro di giornalismo d’inchiesta. E quello che è venuto fuori merita risposte. Fini non può dire "la questione non esiste", risponderemo in sede legale. Non può dire "è solo fango". Il fango vero è stato riversato per anni contro il presidente del Consiglio. Preoccupato per la mozione su Caliendo? Un voto contrario dei "finiani" vorrebbe dire la fine di una storia. E di una legislatura. È così: si andrebbe, inevitabilmente al voto anticipato. E le strade di Fini e Berlusconi si separerebbero per sempre? Ora bisogna governare, ma al primo accordo che fallisce si va a votare perchè il logoramento è l’unica cosa che non può essere accettata. Ma voglio essere ancora più chiaro: se davvero si dovesse andare al voto per colpa di Fini faremo la campagna elettorale contro di lui. Si spieghi La gente ci chiede stabilità e lui? Lo inseguirebbero con i forconi. E costringerebbero il Pdl a spiegare le ragioni per cui cadiamo. E questa ragione avrebbe dei nomi e dei cognomi. Lei sembra escludere lo scenario del governo di transizione... Io conosco il capo dello Stato, so che cosa pensa... Voi credete che potrebbe mai avallare un ribaltone? O magari dire sì a un pateracchio... Siamo seri, Giorgio Napolitano non è mica Oscar Luigi Scalfaro. Eppure girano voci. E nomi: che dice di Tremonti? Giulio è l’ultima persona al mondo che potrebbe prestarsi a una cosa del genere e certi retroscena fanno ridere me e credo anche lui. E poi guardiamo i fatti: il governo tecnico è l’esatto contrario di quello che vogliono Bossi e Berlusconi. Non crede che basti? Ma dico un’ultima cosa: la storia spazza via quelle formazioni politiche che si prestano a giochi di Palazzo e l’esperienza di Lamberto Dini dovrebbe essere ricordata da tutti. I finiani insistono: serve un nuovo patto di legislatura Non capisco. Il programma è e resta questo. Non si possono aggiungere nuovi capitoli o toglierne altri. E allora se qualcuno immagina un patto per cambiare l’accordo di programma dico no. Pensate se seguendo l’idea dell’aggiornamento si dicesse: lavoriamo alla cittadinanza breve per gli extracomuunitari... E non voglio andare avanti. Torniamo a Fini. C’è l’eventualità che dia vita a un raggruppamento con Casini e Rutelli? Provi a fare un giro nei blog legati al mondo della destra. Legga che cosa scrive quel mondo sullo strappo di Fini. E immagini come quel mondo giudicherebbe un accordo con Rutelli che è stato il capo dei radicali. Insomma Fini è in un vicolo cieco? Sicuramente non ha altre opzione che non quella del centrodestra. E allora ha una sola possibilità: dimostrare concretamente di essere ancora una risorsa. E cominci con azioni parlamentari e politiche prive di ambiguità. Arturo Celletti
3 agosto 2010 LA CRISI DEL CENTRODESTRA Berlusconi: "Al primo incidente si va al voto" Silvio Berlusconi avverte: "La via è stretta, al primo incidente si va al voto". Il premier al ricevimento con i senatori del Pdl non fa alcun cenno diretto alla calendarizzazione immediata della mozione di sfiduciacontro il sottosegretario Caliendo, ma fissa i paletti per i corretti rapporti con il presidente della Camera Gianfranco Fini ed i suoi nuovi gruppi parlamentari. Berlusconi non attacca l'ex alleato anche perchè riconosce la lealtà dei finiani che, sostiene, "fanno parte del governo e non lo faranno cadere". "Voteranno all'interno del programma della maggioranza", assicura. Secondo il premier, d'altronde, l'ex leader di An non ha interesse ad arrivare al voto perchè "ha solo il 1,5%" dei consensi. Circa ipotetiche campagne acquisti in Parlamento, il Cavaliere spiega: "Io non ho fatto telefonate". Anzi "sono stato contattato da cinque finiani", dice ai senatori Berlusconi. Al ricevimento erano presenti anche Pasquale Villari e Deodato Scanderebech che sostituirà Michele Vietti al Senato essendo stato eletto nelle liste dell'Udc. L'attenzione del premier è tutta per "l'architettura dello Stato che non ci lascia tranquilli": per questo Berlusconi vuole "le riforme istituzionali" in modo da "non essere imprigionato". Limitazioni istituzionali che - a suo dire - gli impediscono di governare e riformare l'Italia. Il presidente della Repubblica è stato votato dal centrosinistra, la Corte Costituzionale è al 90% formata da membri di sinistra e lo staff del Quirinale controlla anche gli aggettivi delle leggi che gli sottoponiamo per cui ciò che entra come un cavallo purosangue esce come un ippopotamo ed in comune hanno solo "l'ippo" (riferendosi al nome greco di cavallo, ndr). Il premier, in base al racconto di diversi presenti, si sarebbe detto preoccupato per le conseguenze democratiche di tutto questo. Frasi poi smentite da Palazzo Chigi con una nota. Berlusconi non ha comunque intenzione di aprire un nuovo fronte con Napolitano ma punta sull'esigenza di concludere regolarmente la legislatura: "Io voglio andare avanti", dice più volte durante la cena, e per questo - aggiunge - "lavorerò durante le vacanze per il rinnovo del partito e sui temi della campagna elettorale da qui a tre anni, se non servirà prima".
3 agosto 2010 INCHIESTA LOGGIA P3 e giudici, Formigoni interrogato a Roma Due ore e mezza. Nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta "Loggia P3", tanto è durata l’audizione del presidente della Lombardia Roberto Formigoni, alla Procura di Roma, davanti al procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e al sostituto Rodolfo Sabelli. "Sono stato audito come testimone – ha detto il governatore della Lombardia – e sono rimasto testimone. Mi sono state rivolte domande su fatti di cui potessi essere a conoscenza. Non è mia intenzione rompere il segreto istruttorio". Successivamente però, la portavoce di Formigoni, ha aggiustato il tiro. "Il presidente della Lombardia – ha detto – non ha mai affermato "sono ancora testimone" o "rimango testimone". Alla domanda di un giornalista che ha chiesto se fosse in Procura in tale veste ha risposto: "Assolutamente sì. Sono stato audito in qualità di testimone. Non intendo rompere il segreto istruttorio"". Formigoni, poi, salendo in macchina, ha raccontato ancora la portavoce, con la mano ha fatto il gesto "roger" (pollice alzato) ai fotografi e alle telecamere. Tuttavia, ora i magistrati starebbero valutando le dichiarazioni di Formigoni, confrontandole con quelle di due suoi stretti collaboratori: Paolo Alli e Mauro Villa, quest’ultimo citato nelle carte processuali con lo pseudonimo "Willy". Durante il colloquio con i magistrati Formigoni, infatti, dovrebbe aver fornito spiegazioni in merito alle presunte pressioni che alcuni membri della P3, tra cui l’ex giudice tributario Pasquale Lombardi e l’imprenditore campano Arcangelo Martino, avrebbero esercitato sulla Corte di Appello di Milano, diretta a suo tempo da Alfonso Marra, per fare accogliere un ricorso elettorale della lista "Per la Lombardia" che faceva capo a Formigoni esclusa dalle ultime elezioni regionali. Il governatore lombardo dovrebbe avere anche spiegato le presunte pressioni esercitate successivamente da alcuni esponenti della P3 per ottenere un’ispezione ministeriale a carico del collegio che respinse il ricorso in questione. Intanto, dopo che negli scorsi giorni sono stati interrogati, in quanto indagati, personaggi di punta del Pdl come il coordinatore nazionale Denis Verdini, il senatore Marcello Dell’Utri e il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, i magistrati stanno mettendo a punto il calendario dei prossimi interrogatori. Dopo Formigoni, sono già convocati negli uffici della Procura romana, per audizioni come testimoni, il capo dell’ispettorato del ministero della Giustizia Arcibaldo Miller, l’ex avvocato generale della Cassazione Antonio Martone e l’ex presidente della Corte di Cassazione Vincenzo Carbone. Sulla vicenda si muove anche il Parlamento. Ieri trenta parlamentari, 21 del Partito Democratico e 9 Radicali, hanno presentato sia alla Camera che al Senato un’interrogazione per chiedere conto al governo di quanto successo con l’affaire "P3-lista elettorale Formigoni". Davide Re
3 agosto 2010 INCHIESTA P3, Miller: nessuna pressione su istituzioni "Non ho mai esercitato pressioni sulle istituzioni". Lo ha detto il capo dell'ispettorato del dicastero della Giustizia, Arcibaldo Miller, ai pm romani che stamani lo hanno sentito come testimone nell'ambito dell'inchiesta sulla P3. Nelle carte processuali il nome del capo degli ispettori ministeriali viene indicato a proposito dei tentativi di avvicinamento ai giudici della Consulta in vista dell'esame del ricorso del Lodo Alfano e alla ventilata ispezione, mai disposta, alla Corte di Appello di Milano.
3 agosto 2010 POLITICA Bersani: meglio Tremonti che votare con questa legge Il segretario del Pd Pierluigi Bersani ritiene "più sensato" un governo di transizione a guida dell'attuale ministro dell'Economia Giulio Tremonti che tornare alle urne con l'attuale legge elettorale. Alla domanda dei giornalisti a Montecitorio su che cosa pensi il Pd di un eventuale governo del presidente a guida Tremonti, Bersani ha detto di ritenere questa "una evenienza più sensata di un confronto elettorale con un meccanismo come questo vigente". "Sono valutazioni che spettano al presidente della Repubblica. Il nostro mestiere non è quello del Capo dello Stato. Certo però non può traghettare quello che ci ha portato fin qui", ha aggiunto riferendosi al premier Silvio Berlusconi.
3 luglio 2010 MAFIA Grasso: "Rischio attentati di mafia in momenti di tensioni politiche" È stato "violato il codice etico Antimafia" perchè "alcuni partiti e alcuni candidati alla Presidenza delle Regioni non hanno vigilato come era richiesto e doveroso". Lo sostiene il vicepresidente della commissione Antimafia Fabio Grranata che annuncia: "Alla ripresa riferiremo alle Camere". "Nonostante la condivisione teorica al codice etico promosso dalla commissione Antimafia, sia tra le candidature che tra gli eletti - spiega il finiano - ci sono infiltrazioni e zone d'ombra. Nonstante la carente collaborazione delle Prefetture stiamo ricomponendo il quadro e riferiremo alle Camere. La politica rompa ogni ambiguità nella lotta alla mafia". Il Procuratore Nazionale Antimafia Piero Grasso non è "sorpreso" dalla denuncia del vicepresidente della Commissione Antimafia Fabio Granata sulla violazione (da parte di alcuni partiti e candidati alla presidenza delle regioni) del codice etico". Grasso comunque sottolinea che questi "sono problemi politici e che quindi giustamente se ne occupa la politica". "Già nel 1991 - ricorda l'alto magistrato - un fatto del genere era stato accertato dall'allora Commissione Antimafia presieduta da Gerardo Chiaromonte. Io - afferma Grasso - all'epoca ero consulente della commissione e il fenomeno delle infiltrazioni mafiose si registrò in varie zone, soprattutto del sud". Il procuratore Grasso, poi ritorna sul rischio che la mafia, come successe negli anni '92-'93 con gli attentati di Firenze, Capaci e via d'Amelio, possa approfittare delle tensioni politiche per dar vita a una nuova stagione terroristica-mafiosa. "La mia - precisa il procuratore nazionale antimafia - è stata soltanto una valutazione rispetto al passato. Allo stato, però, non ci sono elementi in tal senso. Anzi, secondo le dichiarazioni di alcuni collaboratori, il super latitante Matteo Messina Denaro sarebbe contrario alla ripresa di questa strategia. È chiaro, però, che a queste dichiarazioni servono riscontri. Quindi, lo ripeto, la mia è un'analisi che si basa sulla storia del passato e speriamo che nel futuro non accada". Infine sul ruolo che Messina Denaro avrebbe sulla mafia, Piero Grasso conclude: "ha una grande autorevolezza, sicuramente viene consultato, ma da qui ad affermare che sia diventato il capo dei capi....".
3 agosto 2010 LOTTA ALLA MAFIA Approvato dal Senato il nuovo Codice antimafia Con 279 voti a favore, un astenuto e nessun contrario l'Aula del Senato ha approvato definitivamente il disegno di legge con il "Codice antimafia". Sull'approvazione definitiva del ddl con il piano straordinario contro le mafie, il Presidente del Senato, Renato Schifani, aggiunge in aula: "Voglio ringraziare tutti i senatori, ma in particolare i gruppi di opposizione, che hanno fatto prevalere l'esigenza di far entrare immediatamente in vigore un testo contenente norme così rilevanti". "Mi compiaccio - ha aggiunto ancora Schifani - che abbiano accolto il mio invito, dimostrando come, di fronte all'esigenza di battere la criminalità organizzata, ancora una volta il Parlamento sa essere unito". il presidente del Senato ha poi ricordato che in due anni il Parlamento ha approvato norme di contrasto senza precedenti: dal sequestro dei patrimoni, al 41 bis, al codice antimafia, "votando tutti questi provvedimenti all'unanimità e dimostrando che la legalità non è esclusiva di qualcuno ma è patrimonio di tutti. Lo dobbiamo ai cittadini italiani ma lo dobbiamo soprattutto alle vittime della mafia che hanno pagato con la vita il contrasto alla criminalità organizzata". Sull'approvazione del Codice antimafia è intervenuto anche il ministro della Giustizia, Angelino Alfano: "Oggi è un grande giorno per la lotta alla mafia. Si completa, infatti, il percorso avviato a Reggio Calabria, quando il Consiglio dei Ministri ha varato il "Piano straordinario contro le mafie", ha approvato il decreto relativo all'Agenzia per i beni confiscati e presentato il testo che, oggi, giunge all'approvazione del Senato" "Il Parlamento - continua il Guardasigilli - ha così definitivamente delegato il Governo a redigere il codice antimafia nel quale, per la prima volta nel nostro ordinamento, la legislazione di contrasto alla mafia verrà riunita in un unico testo normativo". Si tratta, ha aggiunto il Guardasigilli, di un codice antimafia che non ha precedenti nella nostra storia: "Fino ad oggi la legislazione antimafia ed in materia di misure di prevenzione è stata frammentaria e disordinata. Il codice darà finalmente ordine e maggiore efficacia alle leggi e fornirà, ai magistrati ed alle Forze dell'ordine, strumenti più incisivi ed armi più affilate". Soddisfatto anche il ministro dell'Interno, Roberto Maroni che ha ribadito la propria convinzione sulla possibilità "di sconfiggere la criminalità organizzata entro i prossimi tre anni". Il ministro, intervenuto a conclusione delle votazioni del ddl sul Codice antimafia, ha ringraziato tutte le forze politiche per il voto compatto sul provvedimento, approvato senza modifiche e divenuto legge dello Stato.
2 agosto 2010 TRENT'ANNI DOPO Strage di Bologna, Napolitano: colmare lacune e ambiguità "La trasmissione della memoria di quel tragico fatto e di tutti quelli che in quegli anni hanno insanguinato l'Italia non costituisce solo un doveroso omaggio alle vittime di allora, ma impegna anche i magistrati e tutte le istituzioni a contribuire con ogni ulteriore possibile sforzo a colmare persistenti lacune e ambiguità sulle trame e le complicità sottese a quel terribile episodio". È quanto ha scritto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel messaggio all'associazione dei famigliari delle vittime della strage di Bologna in occasione del trentesimo anniversario. La giornata dedicata alla memoria delle 85 vittime della strage del 2 agosto 1980 si aperta con lo storico striscione "Bologna non dimentica". Il corteo è partito da Piazza del Nettuno; a sfilare per il centro fino alla stazione c'è anche Agnese Moro, la figlia di Aldo ucciso dalle Brigate Rosse. Ai cronisti che le chiedevano un commento sull'assenza, per la prima volta in 30 anni, di un rappresentante del Governo alla commemorazione, Agnese Moro ha risposto: "Penso che qui c'è chi ha a cuore il popolo italiano". La figlia di Moro ha sulla maglia la gerbera bianca, simbolo dei parenti delle 85 vittime della strage. Una battuta sull'assenza del Governo anche da parte del presidente dell'associazione dei familiari delle vittime, Paolo Bolognesi: "Chi non c'è ha perso un'occasione. Voglio guardare a chi c'è, non a chi non c'è". In rappresentanza dell'Esecutivo c'è il Prefetto di Bologna Angelo Tranfaglia: "I fischi non ci dovrebbero essere mai. Mi auguro che questa sia una giornata tutta tesa a questo obiettivo", ha detto, alludendo alle contestazioni che negli anni hanno accolto i ministri sul palco nel piazzale della stazione. In corteo anche 85 persone con al collo di ciascuna un cartello con il nome di una delle 85 vittime. "Volevamo rendere concrete le vittime e farle camminare con le loro gambe", ha spiegato l'esecutivo di Sel. Sono decorsi trenta anni da quel terribile 2 agosto 1980, quando il devastante attentato alla stazione centrale di Bologna provocò 85 morti e oltre 200 feriti. "A essi e ai loro famigliari - conclude Napolitano - va il mio pensiero commosso e partecipe. La vita di inermi cittadini fu quel giorno spezzata dalla violenza di ciechi disegni terroristici ed eversivi. La definizione delle loro matrici così come la individuazione dei loro ispiratori hanno dato luogo a una tormentata vicenda di investigazioni e processi non ancora esaurita". "Non ci muove l'odio ma il senso di dignità perchè senza esigenza di memoria e pretesa di giustizia non vi è vita collettiva che abbia un senso e un valore", è un passaggio del discorso letto da Paolo Bolognesi, presidente dell'Associazione dei famigliari delle vittime. "Nel rivedicare i nostri diritti abbiamo evitato di sentirci e farci sentire vittime, ci siamo sempre comportati come cittadini che chiedono cose a loro dovute. La nostra è stata ed è una lunga battaglia: contro il tempo che passa; contro i silenzi e le menzogne; contro i tentativi di delegittimazione ancora in corso; contro chi pensa di difendere i carnefici e non le vittime; contro chi vuole farci dimenticare, abbassare la testa", ha aggiunto Bolognesi. Il presidente dll'associazione dei familiari delle vittime ha poi contestato duramente l'ipotesi di reiterare il segreto di Stato dopo 30 anni: "È una vergogna, sembra fatta non per tutelare la sicurezza dello Stato ma per rendere impossibile colpire i mandanti e gli ispiratori politici". Secondo Bolognesi, "l'ostacolo principale alla verità, allo smascheramento dei mandanti, è l'apposizione anche in modo non ufficiale del segreto di Stato in tutti i processi di terrorismo e stragi" e per questo i familiari delle vittime chiedono che "passati 30 anni dall'evento tutti i documenti ad esso relativi e i nominativi in esso contenuti, in possesso dei servizi segreti, della polizia e dei carabinieri vengano catalogati e resi pubblici, senza distinguere tra documenti d'archivio e quelli d'archivio corrente". IL MESSAGGIO DI SCHIFANI "Accertare la verità dei fatti e individuare i responsabili di quel drammatico e atroce attentato deve continuare ad essere una priorità, perchè non soltanto i familiare delle vittime, ma la Nazione tutta ha il diritto di sapere le ragioni di un gesto così efferato, affinchè fatti così gravi non abbiano più a ripetersi". È quanto si legge nel messaggio del presidente del Senato Renato Schifani al presidente del Comitato di Solidarietà alle Vittime delle Stragi, Annamaria Cancellieri, nella ricorrenza del trentesimo anniversario della strage di Bologna. Scrive Schifani: "Sono passati trent'anni da quel sabato 2 agosto 1980, giorno tragico e drammatico della storia recente del nostro Paese in cui persero la vita 85 persone e 200 rimasero ferite. A tutti loro va oggi il mio pensiero commosso e al Comitato di Solidarietà alle Vittime, all'Associazione Familiari, presieduta da Paolo Bolognesi, e a quanti hanno operato in questi anni per tenere sempre viva l'attenzione su quella terribile strage attraverso un'opera costante di ricerca della verità e di trasmissione della memoria il più sentito ringraziamento". "Nel rinnovare la mia vicinanza alle famiglie colpite e alla città di Bologna tutta - conclude Schifani - rivolgo un sincero saluto a Lei e a quanti ogni giorno si battono per l'affermazione della verità e della giustizia". E QUELLO DI FINI Il ricordo della strage di Bologna contribuisca "a riaffermare i valori di libertà e di legalità che sono alla base della nostra democrazia, contro ogni forma di fanatismo politico, di odio ideologico e di violenza terroristica". Lo scrive il presidente della Camera, Gianfranco Fini, esprimendo "profonda vicinanza" al Commissario straordinario di Bologna, Annamaria Cancellieri, e al presidente dell'Associazione vittime della stazione di Bologna, Paolo Bolognesi. "In occasione del trentesimo anniversario della strage alla stazione di Bologna - scrive il presidente Fini - desidero unirmi idealmente a voi, oggi riuniti per commemorare le 85 vittime innocenti che persero la vita in quella immane tragedia, rinnovando la solidarietà mia personale e dell'intera Camera dei deputati ai loro familiari, così duramente segnati nei propri affetti". "Il barbaro attentato del 2 agosto 1980 che sconvolse la città di Bologna - prosegue la terza carica dello Stato - violando il suo animo generoso, costituisce una delle pagine più terribili della storia del nostro Paese e uno degli esempi più efferati di un disumano disegno destabilizzante, che con la sua criminale azione terroristica si abbattè sull'Italia e su Bologna, producendo tanti lutti e tante indicibili sofferenze". Il presidente Fini formula inoltre formula "l'auspicio che venga finalmente accertata, in tutti i suoi aspetti, la verità sulla strage, facendo piena luce su una trama terroristica che ha tentato di scardinare il nostro sistema democratico e rendendo un doveroso servigio alla città, agli italiani e al nostro Paese".
2010-08-02
2 agosto 2010 TRENT'ANNI DOPO Strage di Bologna, Napolitano: colmare lacune e ambiguità "La trasmissione della memoria di quel tragico fatto e di tutti quelli che in quegli anni hanno insanguinato l'Italia non costituisce solo un doveroso omaggio alle vittime di allora, ma impegna anche i magistrati e tutte le istituzioni a contribuire con ogni ulteriore possibile sforzo a colmare persistenti lacune e ambiguità sulle trame e le complicità sottese a quel terribile episodio". È quanto ha scritto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel messaggio all'associazione dei famigliari delle vittime della strage di Bologna in occasione del trentesimo anniversario. La giornata dedicata alla memoria delle 85 vittime della strage del 2 agosto 1980 si aperta con lo storico striscione "Bologna non dimentica". Il corteo è partito da Piazza del Nettuno; a sfilare per il centro fino alla stazione c'è anche Agnese Moro, la figlia di Aldo ucciso dalle Brigate Rosse. Ai cronisti che le chiedevano un commento sull'assenza, per la prima volta in 30 anni, di un rappresentante del Governo alla commemorazione, Agnese Moro ha risposto: "Penso che qui c'è chi ha a cuore il popolo italiano". La figlia di Moro ha sulla maglia la gerbera bianca, simbolo dei parenti delle 85 vittime della strage. Una battuta sull'assenza del Governo anche da parte del presidente dell'associazione dei familiari delle vittime, Paolo Bolognesi: "Chi non c'è ha perso un'occasione. Voglio guardare a chi c'è, non a chi non c'è". In rappresentanza dell'Esecutivo c'è il Prefetto di Bologna Angelo Tranfaglia: "I fischi non ci dovrebbero essere mai. Mi auguro che questa sia una giornata tutta tesa a questo obiettivo", ha detto, alludendo alle contestazioni che negli anni hanno accolto i ministri sul palco nel piazzale della stazione. In corteo anche 85 persone con al collo di ciascuna un cartello con il nome di una delle 85 vittime. "Volevamo rendere concrete le vittime e farle camminare con le loro gambe", ha spiegato l'esecutivo di Sel. Sono decorsi trenta anni da quel terribile 2 agosto 1980, quando il devastante attentato alla stazione centrale di Bologna provocò 85 morti e oltre 200 feriti. "A essi e ai loro famigliari - conclude Napolitano - va il mio pensiero commosso e partecipe. La vita di inermi cittadini fu quel giorno spezzata dalla violenza di ciechi disegni terroristici ed eversivi. La definizione delle loro matrici così come la individuazione dei loro ispiratori hanno dato luogo a una tormentata vicenda di investigazioni e processi non ancora esaurita". "Non ci muove l'odio ma il senso di dignità perchè senza esigenza di memoria e pretesa di giustizia non vi è vita collettiva che abbia un senso e un valore", è un passaggio del discorso letto da Paolo Bolognesi, presidente dell'Associazione dei famigliari delle vittime. "Nel rivedicare i nostri diritti abbiamo evitato di sentirci e farci sentire vittime, ci siamo sempre comportati come cittadini che chiedono cose a loro dovute. La nostra è stata ed è una lunga battaglia: contro il tempo che passa; contro i silenzi e le menzogne; contro i tentativi di delegittimazione ancora in corso; contro chi pensa di difendere i carnefici e non le vittime; contro chi vuole farci dimenticare, abbassare la testa", ha aggiunto Bolognesi. Il presidente dll'associazione dei familiari delle vittime ha poi contestato duramente l'ipotesi di reiterare il segreto di Stato dopo 30 anni: "È una vergogna, sembra fatta non per tutelare la sicurezza dello Stato ma per rendere impossibile colpire i mandanti e gli ispiratori politici". Secondo Bolognesi, "l'ostacolo principale alla verità, allo smascheramento dei mandanti, è l'apposizione anche in modo non ufficiale del segreto di Stato in tutti i processi di terrorismo e stragi" e per questo i familiari delle vittime chiedono che "passati 30 anni dall'evento tutti i documenti ad esso relativi e i nominativi in esso contenuti, in possesso dei servizi segreti, della polizia e dei carabinieri vengano catalogati e resi pubblici, senza distinguere tra documenti d'archivio e quelli d'archivio corrente". IL MESSAGGIO DI SCHIFANI "Accertare la verità dei fatti e individuare i responsabili di quel drammatico e atroce attentato deve continuare ad essere una priorità, perchè non soltanto i familiare delle vittime, ma la Nazione tutta ha il diritto di sapere le ragioni di un gesto così efferato, affinchè fatti così gravi non abbiano più a ripetersi". È quanto si legge nel messaggio del presidente del Senato Renato Schifani al presidente del Comitato di Solidarietà alle Vittime delle Stragi, Annamaria Cancellieri, nella ricorrenza del trentesimo anniversario della strage di Bologna. Scrive Schifani: "Sono passati trent'anni da quel sabato 2 agosto 1980, giorno tragico e drammatico della storia recente del nostro Paese in cui persero la vita 85 persone e 200 rimasero ferite. A tutti loro va oggi il mio pensiero commosso e al Comitato di Solidarietà alle Vittime, all'Associazione Familiari, presieduta da Paolo Bolognesi, e a quanti hanno operato in questi anni per tenere sempre viva l'attenzione su quella terribile strage attraverso un'opera costante di ricerca della verità e di trasmissione della memoria il più sentito ringraziamento". "Nel rinnovare la mia vicinanza alle famiglie colpite e alla città di Bologna tutta - conclude Schifani - rivolgo un sincero saluto a Lei e a quanti ogni giorno si battono per l'affermazione della verità e della giustizia". E QUELLO DI FINI Il ricordo della strage di Bologna contribuisca "a riaffermare i valori di libertà e di legalità che sono alla base della nostra democrazia, contro ogni forma di fanatismo politico, di odio ideologico e di violenza terroristica". Lo scrive il presidente della Camera, Gianfranco Fini, esprimendo "profonda vicinanza" al Commissario straordinario di Bologna, Annamaria Cancellieri, e al presidente dell'Associazione vittime della stazione di Bologna, Paolo Bolognesi. "In occasione del trentesimo anniversario della strage alla stazione di Bologna - scrive il presidente Fini - desidero unirmi idealmente a voi, oggi riuniti per commemorare le 85 vittime innocenti che persero la vita in quella immane tragedia, rinnovando la solidarietà mia personale e dell'intera Camera dei deputati ai loro familiari, così duramente segnati nei propri affetti". "Il barbaro attentato del 2 agosto 1980 che sconvolse la città di Bologna - prosegue la terza carica dello Stato - violando il suo animo generoso, costituisce una delle pagine più terribili della storia del nostro Paese e uno degli esempi più efferati di un disumano disegno destabilizzante, che con la sua criminale azione terroristica si abbattè sull'Italia e su Bologna, producendo tanti lutti e tante indicibili sofferenze". Il presidente Fini formula inoltre formula "l'auspicio che venga finalmente accertata, in tutti i suoi aspetti, la verità sulla strage, facendo piena luce su una trama terroristica che ha tentato di scardinare il nostro sistema democratico e rendendo un doveroso servigio alla città, agli italiani e al nostro Paese". Giornale in edicola Supplementi
1 agosto 2010 POLITICA E MAGISTRATURA Csm, Michele Vietti è il nuovo vicepresidente Michele Vietti è il nuovo vicepresidente del Csm, prende il posto di Nicola Mancino. L'ex presidente vicario dell'Udc alla Camera è stato eletto stamane a Palazzo dei Marescialli. Presente il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che ha presieduto la seduta ma che, come di consueto, non ha votato. Vietti ha avuto 24 voti su 26 votanti. Due le schede bianche. "Con la sua elezione lei è divenuto il presidente di tutti". Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano rivolgendosi a Vietti, eletto praticamente all'unanimità dal plenum. "Ciascun componente del Consiglio - ha proseguito Napolitano rivolgendosi sempre a Vietti - potrà sentirsi da lei rappresentato, ascoltato e garantito nell'esercizio delle sue funzioni". "Alla sua competenza e saggezza - è ancora l'invito del presidente della Repubblica - è demandato il compito di armonizzare le diverse, libere voci e di stabilire con il capo dello Stato un valido raccordo istituzionale. Sono certo che al pari del suo predecessore, il senatore Nicola Mancino, saprà prestarmi prezioso e costante ausilio". IL DISCORSO DI VIETTI "C'è l'esigenza di riguadagnare prestigio e consenso" del Consiglio Superiore della Magistratura "scosso anche da recenti scandali". È quanto ha sottolineato il nuovo vicepresidente del Csm Michele Vietti nel suo discorso di insediamento. "Ciò andrà fatto ponendo particolare attenzione - ha detto Vietti - alle regole deontologiche che devono valere non solo per i magistrati, ma anche per i componenti del Csm, cercando di recuperare uno stile di rigore e serietà". Secondo Vietti, va recuperato un "bene prezioso", come "credibilità, imparzialità e terzietà della magistratura". Vietti, ha poi concluso il proprio discorso augurandosi che la sua elezione sia un segnale di unità per tutto il Consiglio: "Grazie a chi mi ha votato e chi no, credo che questo consenso non sia basato sulla qualità dei candidati ma voglia essere un segnale di unità che rappresenti un sintomo di autorevolezza e forza nei rapporti interni ed esterni al Consiglio". IL PROFILO DEL NUOVO VICEPRESIDENTE Piemontese, 56 anni, avvocato, ex sottosegretario alla Giustizia, Michele Giuseppe Vietti, esponente dell'Udc, rivestirà per i prossimi quattro anni il ruolo di vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Nato a Lanzo Torinese il 10 febbraio 1954, si è laureato in Giurisprudenza all'Università di Torino nel 1977. Dal 1978 al 1987 ha collaborato presso la prima Cattedra di Diritto Civile della Facoltà di Giurisprudenza dello stesso Ateneo. Dal 1983 al 1989 è stato vicepretore a Rivarolo Canavese. La sua attività politica è iniziata con l'incarico di consigliere comunale a Torino dal 1990 al 1997. Nel 1996 Vietti si candidò alla Camera nel collegio di Chivasso: sostenuto dal centrodestra ma non dalla Lega Nord, ottenne il 34,6% dei consensi. Per il neo-vicepresidente dell'organo di autogoverno della magistratura, non è la prima volta a Palazzo dei Marescialli: dal 1998 al 2001, infatti, è stato uno dei membri laici del Csm. Nel maggio 2001 è stato eletto alla Camera dei deputati nel collegio n.17- Piemonte 1 (Lanzo, Rivarolo, Cuorgnè) ed è stato deputato della XII legislatura quando ha presieduto il Comitato Pareri della Prima Commissione (Affari Costituzionali) della Camera ed ha fatto parte della Giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizio. Vietti ha anche presieduto la Commissione ministeriale per la riforma del diritto societario, la Commissione ministeriale per la riforma del diritto delle professioni intellettuali, nonchè il gruppo di lavoro per la riforma del diritto fallimentare, per la tutela degli acquirenti di immobili e per l'unificazione degli albi dei commercialisti. Dal 2002 ha aderito all'Unione Democratici Cristiani e Democratici di Centro (Udc). Ha ricoperto incarichi governativi come sottosegretario al ministero della Giustizia (secondo Governo Berlusconi) e sottosegretario al ministero dell'Economia e delle Finanze (terzo Governo Berlusconi). Nel 2006 è stato eletto deputato nella circoscrizione I (Piemonte 1) e nell'anno successivo è stato nominato vicesegretario nazionale del suo partito. Nel 2008 Vietti è stato di nuovo eletto alla Camera, dove ha ricevuto l'incarico di presidente vicario del gruppo parlamentare Udc.
2010-07-31 31 luglio 2010 IL TRAVAGLIO DEL PDL Il giorno dopo lo strappo Berlusconi cerca sponde È l'ennesimo "day after", nella maggioranza. Quello in cui, dopo il proclama delle "mani libere" di Gianfranco Fini, si ragiona di possibili scenari senza escludere la crisi di governo. E mentre il Cavaliere vanta di aver portato a casa ben quattro provvedimenti "contro tante chiacchiere", iniziano a registrarsi smentite e controsmentite sulla "campagna acquisti" del premier per rinforzare governo e maggioranza dopo la costituzione del nuovo gruppo finiano "Futuro e Liberta". Ci sono deputati dell'Udc e dell'Api di Francesco Rutelli ma anche del gruppo misto - avrebbe detto stanotte durante una cena con le deputate il premier - pronti a sostenerci, vanno intercettati. Ma dai diretti interessati la replica è gelida. "Nessuno pensi di spendere il nome di un movimento politico che è nato in modo coraggioso nuotando controcorrente per operazioni balneari. Detto in cinque parole, non c'è trippa per gatti", fa sapere chi è vicino al leader dell'Api, Francesco Rutelli. "Io sono coniugato stabilmente e non cerco fidanzamenti", ribatte Pier Ferdinando Casini. "Sono sicuro che nessuno dei miei passerà con Silvio, siamo blindati - aggiunge il leader Udc - semmai sono gli altri a bussare alla nostra porta". "Sono una persona seria, rispetto gli impegni presi con gli elettori che mi hanno collocato all'opposizione - dice ancora Casini - Ho chiesto alla luce del sole nelle cene private come in Parlamento a Berlusconi di aprire una fase nuova. Serve all'Italia un governo di responsabilità nazionale che affronti il capitolo delle grandi riforme perchè così si campicchia e noi non possiamo permettercelo". Di fatto, però, parlare di crisi di governo e persino di elezioni anticipate ormai non è un tabù neppure per i ministri stessi. "Se un'eventuale violazione del patto con gli elettori da parte di qualcuno dovesse impedire al governo di andare avanti - afferma ad esempio il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli - Berlusconi ed il centrodestra vincerebbero le inevitabili elezioni". Intanto, a Palazzo Grazioli il premier incontra tra gli altri l'ex finanana Anna Maria Bernini (che dovrebbe diventare vice ministro dello Sviluppo nel cdm di mercoledì). Per evitare incidenti - riferiscono le deputate che lo hanno visto a cena ieri sera a Tor Crescenza - è lo stesso Cavaliere ad invitare ministri e sottosegretari ad essere più presenti in Parlamento quando si vota, a chiedere maggiore compattezza in Aula ed un maggior monitoraggio delle presenze. I numeri traballano, insomma, e voto di sfiducia sul sottosegretario Giacomo Caliendo, processo breve, Lodo Alfano, riforma della giustizia e federalismo saranno i primi banchi di prova. Ma il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto avverte i finiani: "Vedremo ora come si comporteranno in Parlamento questi nuovi gruppi nati da parlamentari eletti con la maggioranza. Di certo nè il presidente del Consiglio nè il Pdl sono disponibili a farsi cuocere a fuoco lento, facendosi condizionare di volta in volta su ogni provvedimento. Se così fosse, si dovrebbe subito tornare a votare". Dopo il proclama delle "mani libere" di Gianfranco Fini si smarca anche Raffaele Lombardo, leader del Movimento per le Autonomie. "Quasi nulla del programma per il Sud è stato realizzato - dice -. Da ora in poi vogliamo vedere cosa portiamo a casa. Se è nulla, non vedo perchè dobbiamo votare contro gli interessi degli elettori". Il premier - rientrato a Milano dopo una giornata di lavoro a Roma ed intenzionato a trascorrere l'estate riorganizzando il partito - rivendica di avere fatto "contro tante chiacchiere", quattro provvedimenti in sette giorni, rafforzando "il profilo riformatore del Governo contro tante chiacchiere". Nuovo codice della strada, riforma del cinema e della università, ma soprattutto la manovra "che ha messo al riparo l'Italia dalle conseguenze più gravi della crisi economica e ha posto le condizioni dello sviluppo". "Frottole" per l'Idv, per la quale invece "governo e maggioranza sono al capolinea".
31 luglio 2010 Quadro politico terremotato Non avventure ma ritrovate virtù La rottura del Popolo della libertà è un terremoto politico del quale è difficile per ora valutare appieno le conseguenze, che comunque saranno rilevanti, sul governo, sul sistema dei partiti, sulle relazioni tra di loro. Formalmente il governo e la maggioranza restano com’erano. I membri dell’esecutivo che hanno scelto di seguire Gianfranco Fini non si dimetteranno, com’era apparso in un primo momento, il che significa che l’appoggio di quest’area al governo non sarà, almeno tecnicamente, un appoggio "esterno". Non sarà però un appoggio automatico (come per la verità già non era, da molti mesi) e potrà mancare o addirittura diventare opposizione su alcuni temi cruciali, dalla giustizia al federalismo. Questa situazione spingerà, con ogni probabilità, l’esecutivo a cercare intese parziali con gruppi di opposizione, come quella che si è realizzato soprattutto con l’Udc per l’elezione dei membri laici del Consiglio superiore della magistratura, o a valorizzare apporti non contrattati ma assai utili, come quelli venuti dalla Svp e dall’Api rutelliana sulla riforma dell’università. Anche per questa via si sta disgregando il progetto di un sistema politico bipartitico, mentre si attenua anche la concezione del bipolarismo basata sull’autosufficienza, spesso esibita con una certa arroganza verbale poi smentita dai numerosi scivoloni parlamentari della maggioranza. La maggioranza di centrodestra appare oggi esplicitamente friabile, mentre le opposizioni divergono sulla soluzione da dare a un’eventuale crisi formale del governo. Il rischio maggiore è quello di una situazione di paralisi, che può essere superato solo da un clima di effettivo confronto sul merito delle scelte, che oggi nessuno può pensare di poter imporre senza una discussione e una ricerca effettiva di sintesi. Anche per quel che riguarda la struttura dei partiti pare tramontata la fase delle pure aggregazioni elettorali, tenute insieme da vincoli di pur legittima convenienza, ma prive di un effettivo radicamento organizzato. Il Popolo della libertà non potrà più essere una formazione "intermittente" perché dovrà fronteggiare – sia al centro sia sul territorio – una concorrenza che i finiani si propongono di rendere più agguerrita, così come il Partito democratico dovrà gestire in modo meno superficiale (e con nessun altezzoso sinistrismo) le differenze (e le sintesi) di cultura politica al proprio interno se vorrà reggere la concorrenza centrista, da una parte, e quella vendoliana o dipietrista dall’altra. Un sistema politico che costruiva solo l’alleanza elettorale per il rinnovo del Parlamento, per poi trascurare le relazioni politiche sulle questioni di merito, è arrivato insomma al capolinea, dimostrando la sua fragilità in modo davvero clamoroso. Pur nel rispetto delle funzioni attribuite dall’elettorato a maggioranza e minoranze, si può aprire una fase nella quale l’ascolto reciproco diventa la regola e non l’eccezione, seppure non per un ricupero di virtù ma in condizioni di necessità. In fondo è quello che, già in fasi apparentemente meno drammatiche, il Quirinale consigliava con tenacia e che la Chiesa italiana auspicava con sincera e motivata preoccupazione. Ora questa via virtuosa appare come l’unica alternativa – che richiede umiltà e responsabilità, soprattutto a chi ha la guida dell’esecutivo – alla paralisi di un governo senza maggioranza sicura o ad avventure ribaltoniste altrettanto pericolose. Sergio Soave
31 luglio 2010 IL TRAVAGLIO NEL PDL "Ha iniettato il virus della disgregazione" "I numeri ci sono". È il mantra di Berlusconi da quando il dado con Fini è tratto. Lo dice a se stesso, lo dice agli stati maggiori del partito, radunati in serata per tracciare i molteplici scenari che si profilano con la nascita di "Futuro e libertà". E se non ci fossero? "Io dico che ci sono, ma se non ci fossero non ci sarà nessun governo istituzionale, nessun ribaltone. Anche Bossi è d’accordo con me". Ma non è su questa ipotesi che il premier vuole lavorare ora. Anzi, ritiene che il divorzio l’abbia alleggerito, che "il governo resta saldo, anzi oggi ha un’unità ancora maggiore", e che può lavorare sulle grandi riforme (giustizia, fisco, istituzioni). E poi ci sono i dati confortanti dei sondaggi che illustra ai vertici del Pdl a Palazzo Grazioli: in un’eventuale elezione Fini, se si presentasse da solo oggi, raccoglierebbe dall’1% al 3%. Dunque le sue chance non sono affatto invidiabili. Ma c’è comunque il problema di spiegare alla gente, che non sempre capisce, il perché della rottura. La colpa è stata loro, dei finiani "che hanno portato il virus della disgregazione". È per questo che "il Pdl ha ha perso la fiducia nel ruolo di garanzia del presidente della Camera". Dunque deve fare i bagagli da Montecitorio. C’è l’esempio autorevole di Pertini nel 1969. Dopo il fallimento della riunificazione tra Psi e Psdi, rimise il mandato. Ma tutti i gruppi parlamentari glielo riconsegnano. Fiammate contro l’ex leader di An. Seguite, però, da dichiarazioni concilianti per spegnere le fibrillazioni nel governo e nel Parlamento post-scissione. Punto primo, i ministri finiani restano nell’esecutivo perché "hanno lavorato bene". Punto secondo, rinunciare al discorso previsto in Senato sulla giustizia. Di tutto c’è bisogno tranne che di esporsi a nuove mitragliate dei fuoriusciti, dell’opposizione, dei media. A palazzo Grazioli, sorpreso dal fitto temporale estivo, ci sono i tre coordinatori nazionali, Denis Verdini, Sandro Bondi e Ignazio La Russa. C’è il portavoce Paolo Bonaiuti, il ministro degli Esteri Franco Frattini, i capigruppo di Camera e Senato Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri, e il suo vice, Gaetano Quagliariello. "Le prossime settimane – promette – saranno di lavoro, le userò per rilanciare le priorità programmatiche e il partito. Fate anche voi altrettanto". È quanto aveva detto nel pomeriggio, con un audiomessaggio, ai "promotori della libertà" della fedelissima Michela Brambilla. Quelli che rappresentano la base elettorale alla quale il premier vorrebbe parlare sempre più senza filtri: la scelta della rottura è stata difficile "ma ormai inevitabile". L’ufficio di presidenza di giovedì sera dimostra, poi, che è stato il partito ad esprimersi, e non lui solo. Poi indica le colpe dei finiani: mentre il governo affrontava "con successo scelte difficilissime, alcuni eletti del Pdl, sempre sostenuti purtroppo dall’onorevole Fini, hanno lavorato in modo sistematico per svuotare, rallentare, bloccare il nostro lavoro. Peggio, hanno offerto una sponda ai nostri nemici", ad opposizione, magistrati rossi e stampa giustizialista. Bocchino e sodali avrebbero dunque dimostrato di essere "lontanissimi dalla nostra cultura liberale", e avrebbero cercato di "riportare in vita i metodi peggiori della Prima Repubblica". Ma è sempre alla poltrona di Montecitorio che il cavaliere punta con decisione, quasi con ostinazione: "Loro hanno detto che nessun presidente della Camera ha dato mai le dimissioni. Non è vero". Cita l’episodio di Pertini, "un grande uomo", e aggiunge: "Spero che possa insegnare a qualcuno il modo in cui ci si debba comportare". Poi di nuovo quel mantra per rassicurare il popolo azzurro: "Abbiamo i numeri per andare avanti". E ripropone alla base del partito quella "operazione verità" che ritiene necessaria per ripulire l’immagine del Pdl segnata da inchieste, polemiche e divisioni. Marco Iasevoli
31 luglio 2010 IL TRAVAGLIO DEL PDL Napolitano: salvaguardare la continuità istituzionale È metà pomeriggio quando Pier Luigi Bersani sale i gradini del Colle. Con lui i vertici parlamentari del Pd. Hanno chiesto udienza al Capo dello Stato per ribadirgli che lo scontro furibondo scoppiato tra i due leader del Pdl - ma anche tra governo e presidente della Camera - deve essere discusso in Parlamento. Ma lo scenario che hanno in mente è chiaro: crisi e governo di transizione. Giorgio Napolitano li ascolta ed esprime loro preoccupazione per gli eventi. E poche ore dopo invia una nota nella quale richiama la "necessità di salvaguardare la continuità della vita istituzionale, nell’interesse generale del Paese". Le istituzioni siano lasciate al riparo dagli scontri. Il Colle stesso, puntualizza la nota, giudica "doveroso restare estraneo al merito di discussioni e decisioni interne ai partiti". Insomma, il Capo dello Stato non vuole farsi tirare dentro il gorgo di uno scontro, che per il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini "non ha precedenti nella storia della Repubblica". La situazione nata dallo strappo finiano è ancora dagli esiti imprevedibili. Ma per il Pd la "frattura" è insanabile ed è il momento di dare la spallata parlamentare all’esecutivo. Subito alla Camera inizia l’ostruzionismo sui decreti Tirrenia ed energia. La discussione ferve fuori e dentro l’aula. Bersani riunisce i suoi nella sala del Mappamondo. Intervengono tutti i leader, da Walter Veltroni a Massimo D’Alema. In particolare al centro c’è il tentativo berlusconiano di rimuovere Fini dal più alto scranno di Montecitorio. "Un potere non suo", puntualizzano sia il segretario, sia il capogruppo alla Camera Dario Franceschini. Tutti si sono detti contrari a un voto anticipato, sposando la tesi dell’appoggio a un governo di transizione. D’Alema è convinto che Berlusconi possa, invece, giocare la carta delle urne. Per elezioni anticipate è anche L’Italia dei valori. Mentre Casini torna a proporre un governo di responsabilità nazionale. Il leader centrista vede confermate le sue perplessità originarie sul bipolarismo e sulla nascita del Pdl. Ma non maramaldeggia. A Berlusconi e Fini ricorda che "si sono presentati insieme", e dunque "insieme dovrebbero chiedere scusa agli italiani". Poi rigetta l’ipotesi che possa aver successo una campagna acquisti verso i suoi parlamentari. E ribadisce di non voler dare alcun puntello al governo. "Fare da tappabuchi sarebbe umiliante". Comunque, per l’Udc la nascita del nuovo gruppo non significa automaticamente che non esiste più una maggioranza. Cosa su cui Pd e Idv la pensano diversamente. E, infatti, nel corso dei lavori parlamentari, un attimo dopo che è stata formalizzata la nascita di "Futuro e libertà per l’Italia", chiedono che si proceda a una verifica della maggioranza, perché a loro dire alla Camera non c’è più. Lo si vedrà nei numerosi passaggi delicati che attendono il Governo.
31 luglio 2010 IL NUOVO CSM P3, Napolitano: trame inquietanti che allarmano "Nessuno è più di me consapevole dell'importanza decisiva dell'affermazione e del consolidamento di rigorose regole deontologiche per i magistrati e per gli stessi componenti del Consiglio". Lo ha detto il presidente della Repubblica. Giorgio Napolitano, parlando alla cerimonia di saluto dei nuovi componenti del Csm al Quirinale. "A ciò - ha proseguito - si potrà dedicare con la necessaria ponderazione il nuovo Csm anche alla luce di vicende recenti, di ampia risonanza nell'opinione pubblica, e di indagini giudiziarie in corso, di fenomeni di corruzione e di trame inquinanti che turbano e allarmano, apparendo essi, tra l'altro, legati all'operare, come ho di recente detto, di "squallide consorterie", delle quali tuttavia spetterà alla magistratura accertare l'effettiva fisionomia e rilevanza penale" Già nella risoluzione adottata dal Csm il 20 gennaio di quest'anno si è mostrata consapevolezza della percezione da parte dell'opinione pubblica che, "alcune scelte consiliari siano in qualche misura condizionate da logiche diverse, che possono talvolta affermarsi, "pratiche spartitorie" rispondenti ad "interessi lobbistici, logiche trasversali, rapporti amicali o simpatie e collegamenti politici"". Lo ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, durante il discorso di saluto dei nuovi componenti del Csm e sottolineando che "bisogna alzare la guardia nei confronti di simili deviazioni e di altre che finiscono per colpire fatalmente quel bene prezioso che è costituito dalla credibilità morale e dall'imparzialità e dalla tezietà del magistrato" Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel ricordare la sua attività come presidente del Csm, sottolinea la volontà di "interpretare questo suo ruolo" con "fedeltà convinta e attiva al principio costituzionale dell'autonomia e indipendenza della magistratura: con iniziative e posizioni che pongano l'altissima funzione dell'indagare e del giudicare al riparo da una spirale fatale di recriminazioni e di scontri sul piano politico e perseguano in tutti i sensi un corretto equilibrio istituzionale". "Un equilibrio - ha aggiunto - di cui dovranno farsi carico anche riforme in materia di giustizia che tendessero a rimodularlo". "Sugli annunci di tali riforme - dice il presidente della Repubblica - così come sulle ipotesi che possono liberamente prospettarsi, non ho nulla da dire. Attendo di conoscere testi di proposte da discutere in Parlamento per fare ciò che mi compete".
2010-07-30 30 luglio 2010 CENTRODESTRA IN CRISI Berlusconi sfiducia Fini La cornetta si abbassa e Silvio Berlusconi ripete, quasi meccanicamente, le ultime parole di quella telefonata che si è appena chiusa. Con una sola premessa, il nome dell’interlocutore: "Era Fedele Confalonieri. È d’accordo con me. Sì, anche lui è convinto che non ci sia altra strada che la rottura". Non c’è più tempo per evitare lo strappo. Per scongiurare la separazione. Il premier lo ripete in tutte le conversazioni più private. Con le stesse parole e con gli stessi toni. "Per mesi Fini ha devastato il suo governo, la sua maggioranza, il suo partito. Ora è tardi per fermarsi. Ora c’è un documento che sancisce, con parole chiare, l’incompatibilità politica". Ripete quella parola Berlusconi. Quasi la sillaba: in-com-pa-ti-bi-li-tà. Passano le ore e a metà pomeriggio Sandro Bondi stringe la penna e scrive il documento. C’è la censura politica a Gianfranco Fini. C’è l’apertura di procedimento disciplinare verso Italo Bocchino, Fabio Granata e Carmelo Briguglio che prevede il loro deferimento al Collegio dei probiviri per valutarne la sospensione dal Pdl se non addirittura l’espulsione. Si passa da un vertice a un’altro. A tarda sera Berlusconi, in piedi davanti ai 37 membri dell’ufficio di presidenza, conferma la fine della storia: "Non posso accettare una lenta consunzione. Legalità e garantismo sono principi di fondo del Pdl e se non sono principi comuni abbiamo il dovere di prendere strade diverse". C’è rumore a Palazzo Grazioli. I finiani presenti dicono no, ma la linea è decisa: "L’ufficio di Presidenza considera le posizioni dell’onorevole Fini assolutamente incompatibili con i principi ispiratori del Popolo della Libertà, con gli impegni assunti con gli elettori e con l’attività politica". È la fine. Berlusconi ha chiare le mosse di Fini. Sa che è pronto per dare vita a nuovi gruppi parlamentari ma sembra comunque sereno, determinato. E deciso a fare totale chiarezza. Anche in prospettiva. Perchè "quando si tornerà a votare noi e loro non saremo mai più alleati". Sono ore di tensione, ma anche di chiarezza. A tarda sera Berlusconi parla davanti alle telecamere e la linea è ancora più dura. "Viene meno la fiducia nel ruolo di garanzia del presidente della Camera", ripete il premier. È l’attacco finale. Quello più duro. I cronisti vogliono capire e la domanda è una sola: Fini dovrà lasciare la guida dell’assemblea di Montecitorio? Berlusconi ora passa la parola a deputati e senatori: "Lasciamo che siano loro ad assumere iniziative a riguardo". Berlusconi scandisce uno dopo l’altro i suoi no. No a Fini e alla sua "opposizione permanente". No a chi per mesi ha costruito "un partito nel partito". Il premier alza la voce: "Non sono più disposto a pagare il prezzo della divisione. Non sopporto più che i giocatori litighino negli spogliatoi". E allora via anche i ministri finiani? Ora il Cavaliere è meno drastico di quanto lo fosse stato negli sfoghi più privati. "Questa decisione sarà assunta nella sede del governo ma per quanto mi riguarda non ho nessuna difficoltà a continuare una collaborazione con validi ministri", spiega. Si vogliono strappare a Fini uomini di governo e uomini di partito. Ma è inevitabile riflettere sui numeri. Sui 34 deputati pronti a dare vita a un nuovo gruppo parlamentare. Berlusconi capisce i rischi, intravede i pericoli di una fase di instabilità e il fantasma di un governo istituzionale magari a guida Tremonti, ma ora non confessa le paure. "Abbiamo una maggioranza salda, il governo non è a rischio", ripete prima di lasciare Palazzo Grazioli e di scandire l’ultima accusa contro Fini: "Mai prima d’ora è avvenuto che il presidente della Camera assumesse un ruolo così sfacciatamente politico e annullasse la propria imparzialità istituzionale". Arturo Celletti
30 luglio 2010 CENTRODESTRA IN CRISI "Gruppi autonomi, ci sono i numeri" "Un segnale di tregua lo abbiamo mandato, ora la decisione non sta più nelle nostre mani: ma basta, nel documento del Pdl, una sola parola critica sull’operato politico e istituzionale di Fini e noi siamo pronti a fare i gruppi autonomi. Berlusconi ha promesso fuochi di artificio? Vedremo chi ne farà di più grandi". Un finiano della prima ora riassume così un caldo pomeriggio di attesa, aspettando di leggere il proclama che metterà al bando la minoranza legata al presidente della Camera. Un documento non votato dai finiani (Ronchi, Urso e Viespoli) presenti al "processo" di Palazzo Grazioli, i quali hanno chiesto, in extremis, 24 ore di tempo. Ma quella della pattuglia legata al presidente della Camera non è stata un’attesa inerte. Tutt’altro. In continuo contatto con il leader e tra di loro, con l’elmetto in testa e con il coltello fra i denti, i finiani si son dati un gran da fare. Per convincere i riottosi ad aderire ai nuovi gruppi di Camera e Senato (per i quali hanno già raggiunto il quorum necessario, rispettivamente di 20 deputati e 10 senatori), per allargare il gruppo ad altri parlamentari (si è guardato attentamente all’interno del gruppo misto e nell’Mpa di Lombardo, sostenuto in Sicilia dai finiani, ma Italo Bocchino avrebbe telefonato personalmente a molti parlamentari del Pdl) e, soprattutto, per disegnare gli scenari futuri. Alle durissime parole di Berlusconi, Fini ha deciso di non replicare, se non per ricordare che "il premier non può disporre della presidenza della Camera. Non può fare nulla. Io non mi dimetto". E questa mattina replicherà, con i fatti, dando il via all’immediata costituzione nei due rami del Parlamento dei gruppi autonomi. Sul tavolo di Fini ieri c’erano già le firme di 34 deputati. E ieri sera gli aderenti hanno fatto partire le lettere di addio al gruppo del Pdl. Al Senato si conta di superare agilmente la quota di dieci, grazie anche alla convergenza del presidente dell’Antimafia Beppe Pisanu, da mesi in netta polemica con le scelte del Cavaliere. Un personaggio chiave, anche per il futuro, visto che da tempo si è ritagliato il ruolo di pontiere (e paciere) tra Casini e Fini. Gruppi autonomi, dunque, ma con quale posizione rispetto al governo? L’idea sarebbe quella di continuare ad appoggiare il governo, senza provocarne la crisi. Fini con i suoi ha ragionato così: "Il governo attuale è un governo di coalizione: Berlusconi sul programma fa trattative continue con la Lega. Adesso, la trattativa la dovrà fare pure con noi". Calano le azioni, invece, dell’ipotesi del ritiro della sparuta delegazione finiana al governo e conseguente l’appoggio esterno. Una mossa che avrebbe anche potuto comportare un rimpasto nell’esecutivo, creando un bel problema a Berlusconi. Ma a Montecitorio si ricorda che Andreotti sostituì in un pomeriggio i cinque ministri della sinistra dc, dimissionari contro la Legge Mammì, senza colpo ferire. Ma la guerra sarà condotta anche su altri fronti e senza esclusione di colpi. Contro l’espulsione, Fini è pronto a ricorrere alla magistratura ordinaria. Lo statuto del partito, fanno sapere a Montecitorio, è stato depositato da un notaio e non prevede la possibilità di mettere fuori uno dei due cofondatori. Fini sembra che abbia indicato ai suoi pronti alla battaglia un solo limite invalicabile: quello del rispetto della volontà del corpo elettorale. Che, in soldoni, significa niente ribaltoni, nessun passaggio di campo, nessuna alleanza con i partiti dell’opposizione. E, in definitiva, nessuna mossa per provocare la caduta di Berlusconi. Giovanni Grasso
30 luglio 2010 OPPOSIZIONI Bersani: "È crisi, premier in Parlamento" "Questa è una crisi di governo. Berlusconi venga in Parlamento". Non ha mezze misure il segretario del Pd Pierluigi Bersani nel commentare il duro comunicato emesso da Palazzo Grazioli sul caso Fini. E, poco prima, scherzando ma non troppo con i suoi deputati a Montecitorio per un saluto prima delle ferie, aveva brindato al "nuovo governo che verrà". E aveva attaccato i dirigenti del Pdl per il processo intentato ai finiani: "Strano partito quello di Berlusconi – aveva detto – dove si processano gli innocenti". Intanto, il capogruppo alla Camera del Pd Dario Franceschini fa quadrato attorno a Fini per l’attacco mossogli dal Cavaliere sul suo ruolo istituzionale di presidente della Camera. "Il presidente del Consiglio – attacca Franceschini – non dispone della presidenza della Camera come fosse una sua proprietà. Un’altra volta si tratta di rispettare la Costituzione: noi non abbiamo votato Fini, ma dal momento in cui è stato eletto è il presidente di tutta la Camera, anche dell’opposizione". Il Pd, dunque, si prepara a dare battaglia. E guarda con una certa soddisfazione a quella che ormai considera un governo e una maggioranza ormai in affanno. Ieri c’è stato anche il rinvio sine die del contrastato provvedimento sulle intercettazioni, che le opposizioni considerano anche come una loro vittoria. Ma ora la nuova trincea si sposta a Montecitorio: se Berlusconi non verrà in aula a riferire sugli ultimi, gravi avvenimenti, il Pd è pronto a bloccare i lavori con pratiche ostruzionistiche. Per questa mattina, alle nove, è stata convocata l’assemblea del gruppo, alla quale prenderà parte il segretario. Commenta ancora Dario Franceschini: "All’inizio della legislatura sarebbe stato molto difficile immaginare quello che sta accadendo in questi giorni, ma la maggioranza è esplosa". E il suo vice, Alessandro Malan chiosa: "Questo governo e questa maggioranza sono alle corde: ministri che si devono dimettere, cofondatori pronti a fondare un altro partito o un altro gruppo parlamentare, uffici di presidenza riuniti per espellere. Questo Paese ha bisogno di essere governato, a cominciare dalla vicenda Fiat, e Berlusconi non ce la fa più. È il momento di aprire una nuova fase".
30 luglio 2010 Centrodestra in crisi Ultimo addio al vagheggiato approdo al bipartitismo Comunque andrà a finire la vicenda dello spinoso divorzio tra Berlusconi e Fini, sembra oggi difficile non cantare il Requiem per i sogni di bipartitismo all’italiana. Il nostro instabile sistema, con l’accelerazione sul Pd voluta da Veltroni e la rapida contromossa di Berlusconi con la fondazione del Pdl, sembrava destinato, più nelle intenzioni che nei fatti, a evolvere rapidamente verso una forma di quasi-bipartitismo. Le questioni irrisolte nel più grande partito di opposizione e, soprattutto, la crisi tra i due leader del centrodestra (crisi che è personale, ma anche programmatica e politica) dimostrano che quell’operazione speculare di semplificazione del quadro politico era stata fatta frettolosamente, lasciando molti nodi aggrovigliati. Già questo era possibile intuirlo il giorno dopo il risultato elettorale, che sanciva la presenza scomoda e determinante, in ciascuno dei due campi, della Lega Nord e dell’Idv di Antonio Di Pietro. E che manteneva intatto il consenso ai centristi di Casini. Rispetto a quella momento, molte cose sono successe, scompaginando ulteriormente il quadro politico. C’è stata, nel Pd, la scissione dei rutelliani, mentre alcuni democratici di area moderata sono andati a ingrossare le file dell’Udc. E un esponente della sinistra radicale, come Nichi Vendola, si è imposto alla primarie pugliesi, contro la volontà dei vertici del Pd. La Lega, alle regionali, è cresciuta a scapito dell’alleato maggiore. E continua a capitalizzare le difficoltà altrui (dissimulando le proprie). Ora arriva anche la spaccatura del Pdl, con la creazione di un soggetto finiano. La realtà, a dispetto di una legge elettorale fortemente penalizzante per i partiti minori, consegna una fotografia molto frammentata. E apre una stagione di forte instabilità a livello parlamentare. Ci vorrebbe la sfera di cristallo per capire, oggi, come si concluderà la legislatura. Se Berlusconi arriverà alla fine potendo contare sulla sua maggioranza blindata, magari con qualche colpo d’ala e d’ingegno. Se dovrà invece acconciarsi a contrattare di volta in volta il consenso dei finiani. Se si dimetterà, provando ad arrivare alle elezioni, schivando il rischio per lui letale del governo istituzionale. Le variabili non mancano. L’unica certezza in tanta nebbia è che la complessità italiana (che per qualcuno è frammentazione, per altri pluralismo) ha rotto la fragile camicia di forza che le era stata imposta ed è tornata prepotentemente a bussare al portone principale della politica. Con essa bisognerà pur fare i conti. Giovanni Grasso
30 luglio 2010 GIUSTIZIA E POLITICA Csm al traguardo, plauso del Colle Il Consiglio superiore della magistratura è completato. Dopo il lungo braccio di ferro sui nomi, il Parlamento, riunito a Montecitorio in seduta comune, ha eletto gli otto membri laici dell’organo di autogoverno della magistratura. Appena in tempo per domani, 31 luglio, scadenza naturale del |