S. Messa
Quotidiana Registrata a Cristo Re Martina F. Pubblicata anche su YOUTUBE http://www.youtube.com/user/dalessandrogiacomo Vedi e Ascolta :Agosto 2011
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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-10-21 ad oggi 2011-08-02 Sintesi (Più sotto trovate gli articoli)GIUSTIZIA
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AVVENIRE per l'articolo completo vai al sito internet http://www.avvenire.it2011-08-02 2 agosto 2011 APPALTI G8 Verdini, no della Camera all'uso delle intercettazioni L'Aula della Camera ha accolto a maggioranza la proposta della Giunta di negare l'uso delle intercettazioni che riguardano, nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti G8, il deputato e coordinatore del Pdl, Denis Verdini. La decisione di negare ai magistrati l'uso delle intercettazioni è stata presa con 301 sì, 278 no e tre astenuti.
2011-07-29 29 luglio 2011 POLITICA E GIUSTIZIA Processo lungo al Senato il governo incassa la fiducia ll governo ha incassato al Senato la fiducia sul processo lungo con 160 sì, 139 no. Il provvedimentotorna all' esame della Camera. Il voto è stato preceduto da passaggi molto duri nelle dichiarazioni dell'opposizione. "Il corpo della politica è invasa dalle metastasi per colpa vostra, siete causa dell'antipolitica - ha detto il senatore dell'Idv Luigi Li Gotti - Affondate nella sfiducia del popolo italiano, sarete ricordati come la pagina più buia della Repubblica". La capogruppo Anna Finocchiaro si è rivolta così ai colleghi della maggioranza: "Sarebbe il tempo dei liberi e forti e non dubito che molti di voi sarebbero in grado di esserlo e di esprimere la loro natura di liberi e forti e di dare oggi all'Italia la prova che questo governo è capace di badare adaltro che a un premier braccato che si chiude nelle sue stanze". Secca la replica di Maurizio Gasparri, presidente dei senatori Pdl, che ha fatto riferimento alla vicenda che vede coinvolto Filippo Penati. "Non accettiamo lezioni di moralità da chi non ha titolo per impartirne. Se un regime c'è lo si vada a cercare a Sesto San Giovanni dove di padre in figlio i sindaci alimentano un sistema di illegalità che riguarda la vostra storia". Secondo il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Michele Vietti, il provvedimento va "nella direzione opposta rispetto all'Europa". "Il Csm - ha aggiunto Vietti, parlando con i giornalisti stamani a Torino - ha presentato una risoluzione con le proprie valutazione su tali provvedimenti, che sono molto critiche. Abbiamo valutato di non votarlo su richiesta di alcuni componenti laici per consentire un miglior approfondimento; prendiamo atto che il Governo non ha voluto fare lo stesso". LE POLEMICHE DI GIOVEDI' Sul "processo lungo" il governo pone la fiducia numero quarantotto. E al Senato, come evoca il numero, scoppia la rivolta. I due schieramenti si rinfacciano le colpe. Così svanisce quel clima di concordia registrato due settimane fa per la manovra e chiesto anche in questa occasione dal presidente di Palazzo Madama Renato Schifani. Tutto accade proprio nella mattinata in cui la più alta carica dello Stato, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, torna a sottolineare che "la politica è debole e irrimediabilmente divisa, incapace di scelte coraggiose, coerenti e condivise". Il Colle chiede uno "scatto", una svolta, "non foss’altro per istinto di sopravvivenza nazionale". Infine, il capo dello Stato, denunciando il "punto critico insostenibile" a cui è giunta la questione giustizia (e carceri), punta il dito sui "conflitti fatali tra politica e magistratura". Intanto alla fine di una mattinata concitata la conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama fissa il voto per stamane alle 10. Mentre montano le reazioni alla decisione dell’esecutivo crescono. Nelle quali viene chiamato in causa il neoministro della Giustizia Francesco Nitto Palma, accusato da Pd e Idv di aver esordito male con questa fiducia. La capogruppo dei democratici Anna Finocchiaro gli chiede di andare subito in Parlamento a spiegarne i motivi. Anche nella maggioranza in verità qualche mal di pancia si registra. Tanto che il leader della Lega Umberto Bossi ammette: "Meno fiducie si mettono meglio è". Ma ormai è fatta. All’annuncio della fiducia, dato in aula del ministro per i rapporti con il Parlamento Elio Vito, gli argini si rompono. Il vicepresidente del gruppo Pd Luigi Zanda grida al "regime". Il governo "abusa degli strumenti legali per istituzionalizzare una prassi di fatto antidemocratica", rincara la dose la presidente del partito Rosy Bindi. Tutta colpa dell’ostruzionismo delle opposizioni, sostengono i vertici del Pdl al Senato. Atteggiamento che è pure "tardivo", visto che il ddl era parcheggiato da mesi e nei giorni scorsi la Conferenza dei capigruppo aveva deciso all’unanimità di calendarizzarlo per l’aula prima della pausa estiva. Il vice del gruppo Gaetano Quagliariello rimanda, poi, al mittente l’accusa formulata da Zanda, perché a furia di gridare al lupo, "quando il regime dell’antipolitica arriva veramente si rischia di non accorgersene". Caustico anche il capogruppo del Carroccio Federico Bricolo: "Se porre la fiducia vuol dire regime, cosa dovremmo dire noi sul fatto che voi al governo la mettevate ogni giorno?". Insomma, a motivare l’atto dell’esecutivo sono state le barricate alzate dalle opposizioni, che mercoledì aveva presentato ben 11 pregiudiziali di costituzionalità contro un provvedimento definito "ad personam". Schieramento che ieri non ha digerito la controffensiva. Durissimo il commento del capogruppo dell’Udc Gianpiero D’Alia che parla di "calcio dell’asino" dato al Parlamento da un governo che "dovrebbe dimettersi". Saranno i "delinquenti" a ringraziare per questo provvedimento che "mette a soqquadro il sistema giudiziario italiano", mette agli atti Felice Belisario, presidente dei senatori dell’Idv. Anche i finiani partono all’assalto. Con la presidente della Commissione Giustizia della Camera Giulia Bongiorno, per la quale processo breve e lungo vanno combattuti, perché "inaccettabili" e "ancora una volta ad personam". Gianni Santamaria
2011-07-28 28 luglio 2011 RIFORMA DELLA GIUSTIZIA Fiducia sul "processo lungo" È scontro al Senato Il governo ha posto la fiducia al ddl cosiddetto "allunga processi" in discussione nell'Aula del Senato. È stato il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Elio Vito, ad annunciare che il governo ha posto la fiducia sul disegno di legge. La seduta dell'Aula di Palazzo Madama è stata subito sospesa per consentire la riunione della conferenza dei capigruppo. E tra opposizione e maggioranza si è subito aperto lo scontro.
28 luglio 2011 DIGITALE TERRESTRE Ue conferma: "Mediaset deve rimborsare aiuti per decoder" La Corte ha dunque confermato che i contributi italiani per l'acquisto dei decoder digitali terrestri nel 2004 e 2005 "costituiscono aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune. Le emittenti radiotelevisive che hanno beneficiato indirettamente degli aiuti di Stato sono tenute a rimborsare le somme corrispondenti ai vantaggi in tal modo ottenuti". Con la legge finanziaria del 2004 - si ricorda nel dispositivo - l'Italia ha concesso un contributo pubblico di 150 euro ad ogni utente del servizio di radiodiffusione che acquistasse o noleggiasse un apparecchio per la ricezione, in chiaro, dei segnali televisivi digitali terrestri. Il limite di spesa del contributo è stato fissato a 110 milioni. La legge finanziaria del 2005 ha reiterato tale provvedimento nello stesso limite di spesa di 110 milioni, riducendo tuttavia il contributo per ogni singolo decoder digitale a 70 euro. Il consumatore che avesse però scelto un apparecchio che consentisse esclusivamente la ricezione di segnali satellitari non poteva ottenere il contributo: contro i contributi le emittenti televisive Centro Europa 7 e Sky Italia hanno inoltrato esposti alla Commissione. Con la decisione del 2007, Bruxelles osservava, in effetti, che detti contributi costituivano aiuti di Stato a favore delle emittenti digitali terrestri che offrivano servizi televisivi a pagamento nonchè degli operatori via cavo fornitori di servizi televisivi digitali a pagamento, ordinando il recupero degli aiuti. Mediaset ha allora presentato un ricorso, ma nel giugno del 2001, il Tribunale lo ha respinto, confermando che il contributo costituiva un vantaggio economico a favore delle emittenti terrestri. Oggi anche la successiva impugnazione di Mediaset è stata respinta. Ora "spetterà al giudice nazionale fissare l'importo dell'aiuto da recuperare sulla base delle indicazioni delle modalità di calcolo fornite dalla Commissione".
2011-07-21 20 luglio 2011 LA DECISIONE La Camera ha detto sì all'arresto di Alfonso Papa La Camera ha detto sì all'arresto dell'onorevole del Pdl Alfonso Papa, avanzata dai magistrati che indagano sulla vicenda P4: 319 i sì, 293 i contrari. Il voto è stato a scrutinio segreto, come richiesto da trenta deputati. Papa, intervenendo in un dibattito ad alta tensione, si era detto innocente e del tutto estraneo alle accuse. La Lega ha chiesto di dire sì all'arresto, lasciando però libertà di voto ai propri deputati. Lasciando l'Aula, il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha commentato: "Siamo stati coerenti". Duro il giudizio del capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto: "È stato un voto liberticida, la maggioranza alla Camera si è assunta una grande responsabilità". Chiaro il riferimento alla diversità di vedute sulla questione tra il Pdl e il Carroccio. Quasi contemporaneamente, il Senato ha respinto la richiesta degli arresti domiciliari per Alberto Tedesco (ex Pd, ora iscritto al Gruppo misto) con 151 no e 127 sì. Tedesco è indagato nell'ambito dell'inchiesta sulla sanità pugliese. Poco dopo si è scatenato il parapiglia con spintoni, urla e insulti. Uscendo dall'Aula ci sono stati spintoni tra Domenico Gramazio (Pdl) e il senatore del Pd Paolo Giaretta, sui voti in più che ha registrato il no all'arresto. Giovanni Grasso
20 luglio 2011 TENSIONI NELLA MAGGIORANZA Decreto rifiuti, Governo battuto alla Camera La Camera ha dato il via libera al rinvio del decreto legge sui rifiuti in commissione. In precedenza, con i voti della sola opposizione era passata una parte di una mozione dell'Idv, su cui il ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo si è astenuta contrariamente ai deputati di maggioranza e tutti i ministri. Prestigiacomo si è poi astenuta mentre tutti i membri del governo in aula votavano no. Il testo dell'Idv, su cui comunque il ministro aveva espresso parere favorevole, è passato con 287 no, 296 sì e sei astenuti. Dai banchi di opposizione si è ripetutamente urlato: "Dimissioni, dimissioni". Alla fine il governo è risultato battuto per 296 voti a favore e 287 contrari (sei astenuti) e la mozione dell'Idv è passata. La scena si è ripetuta sulle altre mozioni: anche quando il ministro Prestigiacomo ha reso parere favorevole, maggioranza e membri del governo hanno votato contro. Il Pdl ha ritirato lapropria mozione. In aula è un continuo di conciliaboli tra membri di maggioranza e membri del governo.
20 luglio 2011 INCHIESTA Caso Papa, resta l’incognita Lega Per la richiesta di arresto del deputato del Pdl Alfonso Papa si prevede un finale degno di un film giallo. Questo pomeriggio alle 16 l’aula di Montecitorio dovrà infatti votare se decidere a favore della custodia cautelare per il magistrato napoletano rimasto invischiato nella inchiesta sulla cosiddetta 'P4'. Gli schieramenti sulla carta sembrerebbero favorevoli alla richiesta dei giudici di Napoli. Con la Lega che, dopo ordini e contrordini, si è ieri assestata su una soluzione 'salomonica'. Ovvero il gruppo si pronuncerà ufficialmente per l’arresto di Papa, ma contemporaneamente lascerà libertà di coscienza. Il segretario del Pdl ha fatto sapere che voterà contro: "Sì al partito degli onesti – ha sintetizzato – no alle manette". Ad aumentare la tensione sull’esito finale sarà la richiesta del voto segreto, sul quale da tempo sembra contare sia Papa, sia il Pdl, sia anche la Lega. Le votazioni alla Camera sono sempre palesi, recita il regolamento, a meno che non si tratti di votazioni sulle persone. In questo caso deve essere richiesto alla presidenza esplicitamente, con l’appoggio di 30 deputati. Il Carroccio ha annunciato che non intende ricorrere allo scrutinio segreto, ma con ogni probabilità sarà il gruppo dei 'responsabili' a fare il primo passo. Domenico Scilipoti già si è detto disponibile. E certo, in questo caso, non sarebbe affatto difficile trovare i trenta deputati necessari. Nel segreto dell’urna, potrebbe uscire di tutto. Il Pd è sembrato molto preoccupato da questa evenienza. Anche perché teme che, se Papa verrà 'salvato' contestualmente al pd Tedesco su cui si vota in Senato, l’opinione pubblica griderebbe alla 'combine'. Ed è esattamente quello che il segretario Pierluigi Bersani sta cercando di evitare, convinto strenuamente della necessità di dividere i comportamenti del suo partito da quelli che vengono comunemente indicati come i privilegi della Casta. Il presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere, Pierluigi Castagnetti (Pd), ha provato con una soluzione alternativa: ovvero quella di invitare Papa alle dimissioni spontanee. Un appello ribadito, con motivi opposti, cioè per risparmiare al centrodestra una possibile sconfitta parlamentare, dal leader della Destra Francesco Storace. Il voto segreto finirebbe insomma per provocare polemiche senza fine. Nei corridoi di Montecitorio si spargono notizie mischiate a veleni, difficili da separare. Come quelle che vedrebbero una piccola parte del Pd propensa a votare contro, per bloccare le ingerenze dei magistrati o comunque per garantismo, visto che Papa (si dice) non ha più la possibilità di inquinare le prove e certo non fuggirà all’estero. Allo stesso modo si parla di un drappello di ex An del Pdl pronti a votare a favore per dare un segnale forte a Berlusconi e ad Alfano. Mentre nella Lega si scontrebbero i filo-Maroni (favorevoli all’arresto) e i lealisti ultra bossiani. Giovanni Grasso
20 luglio 2011 MILANO Corruzione, Filippo Penati indagato per l'area Falk di Sesto San Giovanni Il vicepresidente del Consiglio regionale della Lombardia, Filippo Penati (Pd), e altre persone, sono indagati a vario titolo per concussione, corruzione e illecito finanziamento ai partiti nell'ambito di un'inchiesta della Procura di Monza sull'area Falk di Sesto San Giovanni. La Gdf sta effettuando 7 perquisizioni negli uffici del Consiglio regionale della Lombardia e in società e abitazioni di Milano e Sesto San Giovanni. L'inchiesta -- coordinata dai pm Walter Mapelli e Franca Macchia -- è nata con l'invio a Monza di parte della documentazione, per competenza territoriale, dell'indagine della procura di Milano sulla mancata bonifica dell'area di Santa Giulia e le presunte irregolarità fiscali della società Risanamento. Una nota della Gdf spiega che in queste ore sono in corso diverse perquisizioni in abitazioni private, sedi di società ed alcuni uffici del Comune di Sesto San Giovanni. "Secondo l'ipotesi accusatoria -- si legge nel comunicato -- sarebbero state corrisposte, o promesse, somme di denaro per agevolare il rilascio di alcune concessioni o per impostare secondo determinati criteri il Piano di governo del territorio".
20 luglio 2011 MILANO San Raffaele, si lavora per evitare il fallimento Mentre il nuovo management lavora al salvataggio dell’Ospedale San Raffaele, l’inchiesta sulla morte di Mario Cal procede spedita. Questa mattina, a Milano, sarà eseguita l’autopsia dell’ex vicepresidente della Fondazione San Raffaele che si è tolto la vita lunedì sparandosi un colpo di pistola alla testa. La dinamica dell’episodio appare chiara, tuttavia il sostituto procuratore della Repubblica, Maurizio Ascione, ha aperto un’indagine per istigazione al suicidio a carico di ignoti. Un "atto dovuto". Già poche ore dopo il decesso, il pm ha ascoltato i testimoni intervenuti a prestare i primi aiuti a Cal. Tra questi anche il responsabile della sicurezza dell’Ospedale San Raffaele che, per facilitare i soccorsi, ha spostato la pistola infilandola poi in un sacchetto. Ascione non esclude di ascoltare anche i vertici del gruppo - compreso lo stesso fondatore, il 91enne don Luigi Verzè provato dalla morte del suo alter ego - , per ricostruire i motivi di preoccupazione che hanno indotto Cal a spararsi.
Motivi che sarebbero in larga parte riconducibili alla grave situazione debitoria dell’istituto che, però, secondo fonti della procura, non giustificherebbero il suicidio. Cal si sarebbe anche sentito "assediato mediaticamente" e avrebbe meditato a lungo di togliersi la vita. Il magistrato inquirente sta anche analizzando le due lettere lasciate dal dirigente alla moglie e alla segretaria; brevi scritti in cui avrebbe chiesto perdono. Inoltre, il nipote di Cal avrebbe dichiarato al pm che tre giorni fa lo zio si sarebbe informato circa la capacità della Smith & Wesson calibro 38, che Mario Cal deteneva legalmente, di ammazzare una persona. "Non mi ero reso conto delle sue intenzioni", avrebbe spiegato il nipote. Intanto, i riflettori restano puntati sulla situazione contabile della Fondazione. In seguito al suicidio di Cal i pm Luigi Orsi e Laura Pedio hanno acquisito fascicoli e documentazione appartenuta all’ex numero due. I debiti, stimati in oltre 900 milioni di euro, in parte dovrebbero essere ripianati dal nuovo gruppo dirigente. I termini dell’intervento finanziario della nuova compagine, però, non sono stati ancora comunicati ufficialmente nonostante l’avvenuto insediamento nel consiglio di amministrazione. Perciò al vaglio della Procura di Milano c’è l’ipotesi di avanzare un’istanza di fallimento. A questa decisione i magistrati arriverebbero qualora non si giungesse, in tempi strettissimi, a presentare un piano di ristrutturazione e rilancio. Venerdì è prevista la riunione del cda dell’istituto che pochi giorni fa ha visto il passaggio di consegne al management voluto dalla Santa Sede. Mentre lunedì prossimo l’azienda incontrerà i sindacati, "preoccupati " dalle vicende finanziarie della holding sanitaria. Il cda uscente avrebbe dovuto presentare entro ieri al tribunale fallimentare la domanda di concordato, così da evitare l’avvio delle procedure di fallimento. Il cambio dei vertici offre però alla Fondazione ancora qualche giorno di respiro prima di correre in tribunale a fermare il conto alla rovescia. Vito Salinaro e Nello Scavo
2011-07-15 15 luglio 2011 IL CASO P4, la giunta dice sì all'arresto di Papa Bossi duro: "In galera" La Giunta per le Autorizzazioni della Camera ha detto sì all'arresto del deputato del Pdl Alfonso Papa, indagato nella vicenda P4. Ora la palla passa all'Aula, che si esprimerà mercoledì. Intanto Papa ha deciso di autosospendersi dal gruppo Pdl della Camera. E lo ha fatto con una lettera inviata al presidente dei deputati berlusconiani Fabrizio Cicchitto. Alla votazione hanno preso parte Pd, Idv, Fli e Udc. Il Pdl ha lasciato l'Aula della Giunta e la Lega si è astenuta "per ragioni procedurali". Giovedì sera Bossi aveva detto che sarebbe stato meglio votare a favore. La proposta di arrestare Alfonso Papa è passata in Giunta con 10 sì e 3 astenuti. A favore della richiesta del gip di Napoli di arrestare il deputato del Pdl, oltre ai membri dell'opposizione, si è espresso anche il presidente della Giunta Pierluigi Castagnetti. "È stata una pagina nera della democrazia parlamentare - commenta l'ex relatore Francesco Paolo Sisto (Pdl) - è stato violato l'art.18 del regolamento. Io ho formulato una documentata e regolare proposta per dire che non si sarebbe potuto concludere il lavoro in giunta, ma sarebbe stato meglio demandare all'Aula la soluzione della vicenda, a causa della nuova documentazione di 15mila pagine depositata due giorni fa da Papa". Non la pensa così invece il centrista Pierluigi Mantini che parla direttamente di "sabotaggio indecente" da parte della maggioranza. "La Lega oggi - interviene Donatella Ferranti (Pd) - ha di fatto smentito il proprio leader Umberto Bossi. E si è trincerata dietro una astensione motivata da cavilli procedurali, per non uscire allo scoperto". In serata proprio Bossi è tornato sull'argomento. Ai cronisti che gli chiedevano di Alfonso Papa ha risposto con un lapidario "In galera".
2011-07-14 14 luglio 2011 ROMA P4, arresto di Papa in Giunta un altro rinvio Colpo di scena in Giunta per le autorizzazioni della Camera: il relatore Sisto, del Pdl, ha ritirato la proposta di votare contro l'arresto di Alfonso Papa. L'esame slitta a domani. Contraria l'opposizione. La marcia indietro del relatore serve ad evitare una spaccatura della Lega, divisa tra favorevoli e contrari all'arresto. La giunta non presenterà così un parere all'Aula, che deciderà il 20 luglio a scrutinio segreto. Colpo di scena in Giunta per le autorizzazioni della Camera: il relatore Francesco Paolo Sisto ha ritirato la sua proposta di votare contro la richiesta di autorizzazione all'arresto trasmessa dal Gip di Napoli contro Alfonso Papa. La Giunta adesso si è aggiornata per domani alle 12. Non c'é stato dunque nessun voto sul caso del parlamentare coinvolto nell'inchiesta P4. ''Domani in Giunta si votera' comunque perche' verra' messa ai voti una proposta. Chi la presentera'? Potra' farlo chiunque, anche l'opposizione''. Il presidente della Giunta per le Autorizzazioni Pierluigi Castagnetti risponde cosi' a chi gli chiede cosa succedera' nella seduta di domani. ''Non esiste che si decida di non decidere'', precisa Castagnetti. E il riferimento e' alla decisione del relatore Francesco Paolo Sisto di ritirare oggi la proposta presentata nei giorni scorsi di dire 'no' all'arresto di Alfonso Papa. Proposta che si sarebbe dovuta votare prima in Giunta e poi in Aula. ''La maggioranza ritira la proposta del relatore sul caso Papa? Ebbene, ne stiamo per depositare noi una che chiederemo di mettere ai voti domani in Giunta''. Il leader dell'Idv Antonio Di Pietro prende l'iniziativa in Giunta per le Autorizzazioni alla Camera per ''bypassare'' l'atteggiamento ''furbesco e pilatesco'' del Pdl e della Lega che sul caso di Alfonso Papa vorrebbero votare solo in Aula e con il voto segreto. ''Cosi' - aggiunge Di Pietro - presenteremo noi una proposta da mettere domani ai voti in Giunta, nella quale ovviamente diremo 'si' all'arresto di Papa. E ci diciamo sin da ora disponibili a fare noi da relatore al posto di Francesco Paolo Sisto''. "Denunciamo l'atteggiamento truffaldino del Pdl e l'atteggiamento pilatesco della Lega che vuole tirare in lungo per non votare in Giunta e far sapere che loro non hanno il coraggio di consegnare Papa alla magistratura". Così il leader dell'Idv, dopo lo stallo di questa mattina in Giunta per le autorizzazioni sul caso Papa, sottolineando che "ancora una volta questa maggioranza vuole fare del Parlamento il luogo dell'impunità". Pdl e Lega, aggiunge Di Pietro, "sperano così che nel segreto del voto in Aula ognuno poi potrà dire che non è colpa sua se Papa sarà salvato". L'Idv, conclude l'ex pm, "é per mandare Papa, Milanese, e tutti coloro che hanno a che fare con la giustizia, davanti al loro giudice naturale".
13 luglio 2011+ PALERMO Mafia, chiesto processo per il ministro Romano La Procura di Palermo ha depositato questa mattina la richiesta di rinvio a giudizio del ministro per l'agricoltura Saverio Romano, imputato formalmente da oggi di concorso in associazione mafiosa. L'atto, firmato dal Pm Nino Di Matteo e dall'aggiunto Ignazio De Francisci, segue di quattro giorni la decisione del Gip di Palermo di rigettare l'istanza di archiviazione inizialmente presentata dalla Procura e di imporre ai magistrati inquirenti l'imputazione. Ora il Gup dovrà fissare entro due giorni l'udienza preliminare, ma il termine è solo ordinatorio.
2011-07-09 9 luglio 2011 MILANO Lodo Mondadori, Fininvest dovrà pagare 560 milioni alla Cir La Fininvest dovrà pagare. I giudici della Corte d'Appello di Milano hanno condannato la holding del Biscione a risarcire Cir per la vicenda del Lodo Mondadori per 540 milioni circa di euro alla data della sentenza di primo grado dell'ottobre 2009, più gli interessi e le spese decorsi da quel giorno. La cifra quindi arriverebbe intorno ai 560 milioni di euro. Immediate le reazioni. La Cir ha espresso "soddisfazione", sottolineando come le sia stato riconosciuto il diritto "a un congruo risarcimento" per un "danno, enorme già in origine" e che si è poi "notevolmente incrementato" col passare del tempo. Secondo la Cir la sentenza "riguarda una storia imprenditoriale ed è completamente estraneo all'attualità politica", e "conferma ancora una volta che nel 1991 la Mondadori fu sottratta alla Cir mediante la corruzione del giudice Vittorio Metta, organizzata per conto e nell'interesse di Fininvest". Durissima Marina Berlusconi, figlia del premier e presidente Fininvest: "Neppure un euro è dovuto da parte nostra, siamo di fronte ad un esproprio che non trova alcun fondamento nella realtà dei fatti nè nelle regole del diritto". "È una sentenza che sgomenta e lascia senza parole - ha continuato - La Fininvest, che ha sempre operato nella più assoluta correttezza, viene colpita in modo inaudito, strumentale e totalmente ingiusto". Secondo Marina Berlusconi "è una sentenza che rappresenta l'ennesimo scandaloso episodio di una forsennata aggressione che viene portata avanti da anni contro mio padre, con tutti i mezzi e su tutti i fronti, compreso quello imprenditoriale ed economico". Infine, ha annunciato che "anche di fronte ad un quadro così paradossale e inquietante, non ci lasciamo però intimorire. Già in queste ore i nostri legali cominceranno a studiare il ricorso in Cassazione. Siamo certi di essere assolutamente nel giusto, dobbiamo credere che le nostre ragioni verranno alla fine riconosciute". LA CAUSA La causa non è altro che la conseguenza, in sede civile, di un processo penale finito nel 2007 con le condanne definitive, per corruzione in atti giudiziari, del giudice Vittorio Metta e degli avvocati Cesare Previti, Giovanni Acampora e Attilio Pacifico. La Cassazione aveva confermato che la sentenza del 1991 della Corte d'Appello di Roma sfavorevole a Carlo De Benedetti nello scontro con Silvio Berlusconi per assicurarsi il controllo della casa editrice fu 'comprata' corrompendo il giudice Metta con almeno 400 milioni di lire provenienti dai conti esteri di Fininvest. Il premier venne prosciolto per prescrizione in modo irrevocabile nel novembre 2001. Avviato nell'aprile 2004 il procedimento civile il 3 ottobre 2009 ha visto la sentenza di primo grado che stabiliza che la holding di De Benedetti "ha diritto" al risarcimento da parte di Fininvest "del danno patrimoniale da perdita di 'chance'" per "un giudizio imparziale". Risarcimento che aveva quantificato in 749.995.611,93 euro a cui si aggiungono gli interessi legali, le spese del giudizio e, tra l'altro, due milioni di euro per gli onorari.
2011-07-04 Stangata su banche e titoli Interni stampa quest'articolo segnala ad un amico feed 4 luglio 2011 LE MISURE DEL GOVERNO Manovra, stretta sulle pensioni Stangata su banche e titoli Il testo definitivo del decreto Manovra è stato trasmesso al Quirinale intorno alle 12.30. Il provvedimento è composto da 39 articoli e due allegati: il primo articolo riguarda gli stipendi dei politici e l'ultimo il riordino dei giudici tributari. Confermate tutte le misure anticipate nei giorni scorsi, nonostante le polemiche nella maggioranza. Nel testo torna il taglio del 30% di "tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni" presenti in bolletta relativi alle energie rinnovabili. "Allo scopo di ridurre il costo finale dell'energia per i consumatori e le imprese - dice l'articolo 35 - a decorrere dal primo gennaio 2012 tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni, comunque gravanti sulle componenti tariffarie relative alle forniture di energia elettrica e gas naturale, previste da norme di legge o da regolamenti sono ridotti del 30 per cento rispetto a quelli applicabili alla data del 31 dicembre 2010". L'entità degli incentivi, dei benefici e delle agevolazioni sarà rideterminata dal ministero dello Sviluppo su proposta dell'Autorità per l'energia entro 90 giorni. La manovra toglie risorse alla politica: previsto un ulteriore taglio del 10% al finanziamento dei partiti "cumulando così una riduzione complessiva del 30%". Ridimensionati anche gli "aerei blu", previsti solo per le prime cinque cariche dello Stato. Confermato per il biennio 2012-2013 il blocco della rivalutazione delle pensioni "dei trattamenti pensionistici superiore a cinque volte il trattamento minimo di pensione Inps. Per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici comprese tra tre e cinque volte il predetto trattamento minimo Inps l'indice di rivalutazione automatica delle pensioni è applicato nella misura del 45%". Confermato al 2014 l'avvio della misura che aggancia l'età pensionabile alla speranza di vita. La norma precedente faceva cominciare questo processo dal 2015. A partire dal 2011 torna il superbollo: "per le autovetture e per gli autoveicoli per il trasporto promiscuo di persone e cose è dovuta una addizionale erariale della tassa automobilistica, pari ad euro 10 per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a 225 chilowatt, da versare alle entrate del bilancio dello Stato". Stangata Irap per banche e assicurazioni. Per gli istituti di credito e per le altre società finanziarie l'Irap sale al 4,65% mentre per le assicurazioni passa al 5,90%. Salasso anche per i depositi di titoli: il bollo che si applica alle comunicazioni relative al deposito di titoli può salire infatti fino a 380 euro se ha un ammontare complessivo a cinquantamila euro ed è gestito da una banca. L'importo varierà infatti in base al valore del "conto": dai 120 euro annuali per le comunicazioni di intermediari finanziari ai 150 per i conti inferiori ai 50 mila euro relativi a comunicazioni di depositi titoli presso banche, fino ai 380 euro annuali se si supera questa soglia. Fa discutere l'inserimento di una norma che potrebbe sospendere l'esecutività del mega risarcimento di 750 milioni di euro a carico della Fininvest e a favore della Cir di Carlo De Benedetti, se fosse confermato in appello dai giudici di Milano il verdetto di primo grado sul Lodo Mondadori. Si tratta di una modifica a due articoli del codice di procedura civile che obbliga il giudice, a differenza di quanto accadeva sinora, a sospendere l'esecutività della condanna nel caso di risarcimenti superiori ai 20 milioni di euro (10 in primo grado) dietro il pagamento di "idonea cauzione", in attesa che si pronunci in via definitiva la Cassazione. LA PUNTUALIZZAZIONE DEL COLLE In mattinata la stessa presidenza della Repubblica aveva precisato di non aver ancora ricevuto il testo, prendendo le distanze dai mezzi di informazione che l'hanno descritta come già al vaglio del capo dello Stato. "Poiché molti organi di informazione continuano a ripetere che la manovra finanziaria approvata dal governo nella seduta di giovedì scorso sarebbe al vaglio della presidenza della Repubblica già da venerdì, si precisa che a tutt'oggi la Presidenza del Consiglio non ha ancora trasmesso al Quirinale il testo del decreto legge". La puntualizzazione, per quanto affidata ad un comunicato asettico, è apparsa irrituale e ha dato lo spunto alle opposizioni per un nuovo attacco all'esecutivo. Secondo il Pd, per bocca del senatore Francesco Ferrante, "la nota del Quirinale conferma il fatto che sulla manovra il governo alle prese con un work in progress".
4 luglio 2011 TORINO Processo Eternit, l'accusa chiede 20 anni di carcere per due dirigenti Il pubblico ministero di Torino Raffaele Guariniello ha chiesto una condanna a 20 anni di carcere per due ex alti dirigenti della società Eternit Spa nell'ambito del processo per i danni alla salute degli operai nelle lavorazioni dell'amianto, cui è attribuita la morte di quasi 3.000 persone in quattro stabilimenti italiani a partire dagli anni 50. Lo svizzero Stephan Schmidheiny e il belga Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de Marchienne sono imputati per omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro e disastro doloso. L'accusa contesta alla Eternit di non aver adottato le opportune misure di sicurezza pur essendo a conoscenza dei rischi corsi da operai e dalla popolazione. I pm, durante le 50 udienze, hanno sottolineato che si tratta di una "strage che continua ancora oggi". Alcuni periti hanno testimoniato che nella zona di Casale Monferrato il picco delle morti è previsto tra una decina di anni. Le persone morte, operai e residenti nei dintorni delle fabbriche, hanno riportato mesoteliomi pleurici, asbestosi e tumori polmonari insorti a causa della polvere di amianto. L'amianto, allora largamente usato come materiale di coibentazione nell'edilizia anche per una scarsa conoscenza dei relativi rischi, si può ritrovare ancora oggi in molti edifici privati e in alcune strutture pubbliche. Le udienze, nel corso delle quali sono state presentate oltre 2.000 richieste di costituzione di parte civile, hanno avuto un grande seguito e si sono svolte nella maxi aula 1 del Palazzo di Giustizia di Torino con un collegamento video nella maxi aula adiacente.
2011-04-18 18 aprile 2011 GIUSTIZIA E POLITICA Napolitano: "Siamo al limite dell'esasperazione" In una lettera inviata al vice presidente del Csm Michele Vietti e resa nota dal Quirinale, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha annunciato la decisione di dedicare la celebrazione della Giornata delle vittime del terrorismo e delle stragi, prevista il 9 maggio prossimo al Quirinale, "in particolare ai servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la loro lealtà alle istituzioni repubblicane. Tra loro - sottolinea Napolitano -, si collocano in primo luogo i dieci magistrati che, per difendere la legalità democratica, sono caduti per mano delle Brigate Rosse e di altre formazioni terroristiche". "La scelta che oggi annunciamo per il prossimo Giorno della Memoria - afferma Napolitano - costituisce anche una risposta all'ignobile provocazione del manifesto affisso nei giorni scorsi a Milano con la sigla di una cosiddetta "Associazione dalla parte della democrazia", per dichiarata iniziativa di un candidato alle imminenti elezioni comunali nel capoluogo lombardo. Quel manifesto rappresenta, infatti, innanzitutto una intollerabile offesa alla memoria di tutte le vittime delle BR, magistrati e non. Essa indica, inoltre, come nelle contrapposizioni politiche ed elettorali, e in particolare nelle polemiche sull'amministrazione della giustizia, si stia toccando il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazioni. Di qui il mio costante richiamo al senso della misura e della responsabilità da parte di tutti". Dopo mesi di gelo, in cui i due ex alleati non si erano più rivolti la parola, le accuse di Silvio Berlusconi a Gianfranco Fini di aver siglato "un pactum sceleris" con i magistrati alzano immediatamente il livello della tensione. È il premier a fare la prima mossa e nel corso di una manifestazione elettorale a sostegno del sindaco di Milano Letizia Moratti, ribadendo la ferrea volontà di non mollare, di andare avanti, e lanciando l'ennesimo attacco alle "cellule rosse" presenti nella magistratura. Quindi l'affondo contro il presidente della Camera che, a suo dire, in accordo con alcuni giudici avrebbe stoppato ogni provvedimento sulla giustizia. Un'accusa che il leader dei futuristi respinge sdegnato al mittente affidando ad una nota al vetriolo la replica: "L'escalation di quotidiane menzogne di Berlusconi non è più tollerabile", attacca Fini che invita il Cavaliere a provare con i fatti le sue parole accusandolo di "non sapere cosa sia la parola vergogna". Il Cavaliere è un fiume in piena e in 60 minuti torna su quanto detto ieri davanti ai militanti radunati dal ministro del Turismo Michela Brambilla a Roma: "guerra alla "magistratura politicizzata" che insieme all'opposizione "tenta e tenterà ancora l'eversione". Nella schiera dei "nemici" c'è poi posto per l'ex alleato. L'accusa di aver siglato un patto con i giudici il Cavaliere l'aveva già tirata in ballo in modo generico in altre occasioni, questa volta però Berlusconi ne fornisce i dettagli dicendo di "aver saputo tutto da un magistrato" che lo ha "informato dell'accordo" siglato dalla terza carica dello Stato. Parole che scatenano l'ira del leader di Futuro e Libertà: "Lo sfido a dimostrare quel che dice - attacca - faccia il nome del magistrato che glielo avrebbe detto, e fornisca le prove a sostegno delle sue parole: se non risponderà, cosa di cui sono certo, gli italiani avranno la prova che non sa cosa significhi la parola vergogna". Oggi Fini, incontrando in Parlamento una delegazione dell'Associazione magistrati, ha aggiunto di apprezzare la "posizione istituzionale assunta in questi giorni dall'Anm". Ma il presidente della Camera non è l'unico bersaglio. Le accuse del Cavaliere sono a 360 gradi: nella lista ci sono i giornali e i programmi tv come Annozero e Ballaro, che lo "azzannano continuamente". Così come l'opposizione che "cerca di dare una spallata al governo". Ma l'affondo più duro è sempre per i pubblici ministeri, in particolare quelli della Procura di Milano: "Le accuse su cui si basano i miei processi e sostenute dalla cellula rossa dei pm sono assolutamente infondate, l'ho giurato sulla testa dei miei cinque figli e sui miei nipoti", è l'attacco del Cavaliere che rilancia ancora una volta la riforma della giustizia insieme alla riforma della legge sulle intercettazioni (bollate come "una cosa immonda e non degna di uno Stato libero").
L'affondo prosegue poi contro la Corte costituzionale che "da organo di garanzia è diventato un organo politico la cui maggioranza è composta da giudici di sinistra" colpevoli di aver bocciato "il lodo Schifani, il lodo Alfano ed il legittimo impedimento" consentendo che il capo del governo "finisse in pasto ai Pm di sinistra". Ecco perchè Berlusconi non esita a definire "un errore" l'abrogazione dell'immunità parlamentare, forse - dice - "il più grave errore commesso dalle precedenti maggioranze". Avanti dunque con le riforme "quella dell'architettura istituzionale, quella della giustizia e quella tributaria" grazie a una maggioranza "più esile nei numeri, ma più coesa". Con una certezza totale: "Il berlusconismo non è al tramonto". ANM, DA DELEGITTIMAZIONE PERICOLI DEMOCRAZIA La delegittimazione delle magistratura, per gli effetti che può avere nei processi che si celebrano quotidianamente, può portare alla "messa in pericolo seria della democrazia". Lo ha detto il presidente dell'Anm Luca Palamara nel corso di un'intervista al Tg3. Nel pomeriggio il segretario dell'Anm Giuseppe Cascini nel corso della trasmissione In mezz'ora aveva parlato di un "metodo di avvelenare le acque". Quando Berlusconi dice che l'Anm avrebbe firmato accordo con Fini dice una bugia, una grave calunnia. Inviterei presidente del Consiglio a fare nomi e a farci vedere il documento documento di cui parla". "L'attacco alla persona del magistrato che sostiene l'accusa o il magistrato che giudica è un metodo barbaro", aveva aggiunto Casini sottolineando lo "scempio istituzionale" creato dal fatto che si facciano leggi "per determinare effetti su singoli processi".
DI PIETRO, SE OK REFERENDUM NAPOLITANO SCIOLGA CAMERE "Se si vince il referendum, il capo dello Stato dovrebbe sciogliere le Camere". È quanto chiede il leader dell'Idv Antonio Di Pietro intervenendo alla trasmissione tv In mezz'ora. Di Pietro torna ad appellarsi a Napolitano affinché intervenga contro un presidente del Consiglio che attacca "in questo modo un altro potere costituzionale" come quello della magistratura.
18 aprile 2011 MILANO Caso Ruby, la Minetti prende le distanze Nell'ambito dell'inchiesta principale sul cosiddetto caso Ruby, l'avvocato della consigliera regionale lombarda Pdl Nicole Minetti ha presentato ai pm una memoria che di fatto scarica le responsabilità nei confronti degli altri due indagati, il direttore del Tg4 Emilio Fede e l'impresario Lele Mora, soprattutto in relazione all'accusa di prostituzione minorile. Lo hanno riferito oggi fonti giudiziarie. Nell'ambito di questa indagine, che ruota attorno alla giovane marocchina Karima el Mahroug detta Ruby, è stata stralciata la posizione del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il cui processo con rito immediato con l'imputazione di prostituzione minorile è iniziato il 6 aprile davanti al Tribunale di Milano. LA REPLICA DI FEDE "Ho letto una sintesi della memoria difensiva di Nicole Minetti assistita dall'avvocata Daria Pesce - dichiara in una nota il direttore del Tg4 Emilio Fede -. L'unico elemento mancante è che entrambe avrebbero bisogno dell'assistenza di uno psichiatra". Il consigliere regionale del Pdl Nicole Minetti ha depositato oggi, tramite il suo legale, una memoria difensiva nell'ambito del filone di inchiesta appena chiuso sul caso Ruby in cui l'ex igienista dentale di Silvio Berlusconi è indagata insieme a Emilio Fede e a Lele Mora di induzione e favoreggiamento della prostituzione di 32 ragazze maggiorenni e della minorenne Ruby. MINETTI: NON ACCUSO NE' FEDE NE' MORA La consigliere regionale Nicole Minetti, accusata di induzione e sfruttamento della prostituzione nell'ambito dell'inchiesta Ruby, ha negato di avere accusato nella memoria difensiva Emilio Fede e Lele Mora. "Il mio legale Daria Pesce - ha detto - ha presentato una memoria difensiva da cui si evince che non ho portato Ruby ad Arcore. In questa memoria, ci tengo a sottolinearlo, non accuso né Emilio Fede né Lele Mora".
18 aprile 2011 MILANO Manifesti antigiudici Lassini è indagato Roberto Lassini, già sindaco democristiano di Turbigo e presidente dell'associazione "Dalla parte della Democrazia", candidato alle comunali di Milano per il Pdl, e autore dei manifesti "Via le Br dalle procure", è indagato con altre due persone per vilipendio dell'ordine giudiziario dalla Procura milanese in relazione ai manifesti con la scritta "Via le Br dalle procure", attaccati abusivamente nel fine settimana negli spazi destinati alle affissioni elettorali. L'intervista di Lassini di domenica al Giornale è stata acquisita agli atti delle indagini. Le indagini coordinate dai pm Armando Spataro, Grazia Pradella e Ferdinando Pomarici sono ancora in corso e si stanno effettuando accertamenti anche per individuare altri possibili responsabili. Tra gli indagati non ci sarebbero. Il reato contestato ai tre indagati è previsto dall'articolo 290 del Codice penale. Per procedere, la Procura deve chiedere l'autorizzazione al ministero della Giustizia, che verrà inoltrata non appena saranno completati tutti gli accertamenti necessari. Il reato è contestato ai tre indagati "fino al 16 aprile", e le contestazioni riguardano sia il manifesto "Via le Br dalle Procure" che un altro che recitava "Toghe rosse. Ingiustizia per tutti". Il sindaco di Milano, Letizia Moratti, di sponda con il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi, avrebbe avviato un pressing sul coordinatore lombardo del Pdl Mario Mantovani per convincere l'autore dei manifesti anti-pm Roberto Lassini a rinunciare alla sua candidatura nella lista del Pdl alle prossime comunali. A quanto si è appreso nel corso di una riunione politica nella sua abitazione milanese il primo cittadino avrebbe prospettato a Mantovani l'intenzione di firmare una lettera di dissociazione dalla candidatura di Lassini nel caso non ci fosse stato un suo passo indietro dalla corsa elettorale a Milano. A sostenere Letizia Moratti si sarebbe speso in prima persona anche Lupi che avrebbe rinnovato la sua condanna sui manifesti già dichiarata pubblicamente ieri a margine della convention nel capoluogo lombardo con il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Visto che le liste sono già state depositate, l'unica strada percorribile per placare la bufera sarebbe la rinuncia di Lassini alla propria candidatura. Dal canto suo Mantovani ha lasciato la riunione a casa del sindaco Moratti senza rilasciare dichiarazioni ai cronisti. Alle insistenti domande su quanto potrebbe ora succedere, il coordinatore del Pdl si è limitato a dire: "Lo stabiliremo presto". BAGARRE IN CONSIGLIO E sulla vicenda è scoppiata la bagarre in consiglio comunale. Il centrosinistra si è presentato in aula esponendo cartelli con le scritte "Lassini sei la vergogna di Milano", "chi non lo dice è complice", "solidarietà ai magistrati" e con la richiesta: "Non vogliamo Lassini in consiglio comunale". Dov’è il sindaco Moratti che dice che deve ritirare la sua candidatura? Il sindaco chieda chiaramente che la ritiri", ha detto il capogruppo del Pd Pierfrancesco Majorino prendendo la parola in aula, dove si è scatenata la bagarre. Inutili i richiami all’ordine del presidente del consiglio comunale, che ha quindi sospeso la seduta. Parla di equivoco Roberto Lassini, presidente dell'associazione che ha firmato i manifesti con la scritta "Via le Br dalle procure". Ammette che l'espressione "è molto forte", ma precisa che "non ha nessuna intenzione di autosospendersi" e che quindi resta candidato nella lista del Pdl per le prossime comunali di Milano. Lassini dice di non aver ideato lui la frase, ma è il presidente dell'associazione "Dalla parte della democrazia" che firma i manifesti affissi a Milano.
18 aprile 2011 PROCESSO A MILANO Parmalat, tutte assolte le banche Banche straniere e manager assolti al processo Parmalat. I giudici della seconda sezionale penale del Tribunale di Milano, chiamati a decidere sulle accuse di aggiotaggio informativo nel crac della società di Tanzi, hanno così dato ragione alla difesa. Assolte per non avere commesso il fatto o perché il fatto non sussiste le quattro banche estere e i sei funzionari chiamati a processo: le banche per avere violato la legge 231 del 2001, che impone l'adozione di modelli organizzativi per prevenire i reati commessi dai dipendenti, e i funzionari con l'accusa di aver dato false comunicazioni al mercato per "gonfiare" il titolo Parmalat oltre il proprio reale valore di mercato. Dopo il crac, le indagini si chiusero a marzo 2005, mentre il rinvio a giudizio fu chiesto il 13 giugno 2007. Il processo era stato aperto nel gennaio del 2008, mentre l'inchiesta - che a Milano rappresenta il secondo filone sul caso Parmalat - era stata chiusa nel maggio del 2005. Parte civile sono circa 40mila risparmiatori Parmalat, di cui oltre 30mila rappresentati da Carlo Federico Grosso. LE ACCUSE La Procura, al termine della requisitoria il 17 gennaio scorso, aveva chiesto la condanna degli istituti di credito a una sanzione di 900mila euro ciascuno e la confisca di 120 milioni di profitti ritenuti illeciti: in particolare, 14 milioni di euro a Deutsche Bank, 70 milioni di euro a Citigroup, 30 milioni e 705.000 euro a Bank of America e 5,9 milioni di euro a Morgan Stanley . I legali delle banche, nel corso delle arringhe, hanno definito le accuse infondate, proclamando la correttezza dell'operato degli istituti, chiamati a rispondere del reato di aggiotaggio per la responsabilità amministrativa nei confronti delle condotte illecite dei propri funzionari per effetto della legge 231. ASSOLTI ANCHE I MANAGER Il Tribunale ha poi assolto per non aver commesso il fatto o perchè il fatto non sussiste i dirigenti dei quattro istituti: Paolo Botta (Citibank), Giaime Cardi (Credit Suisse), Marco Pracca e Tommaso Zibordi (Deutsche Bank) e Paolo Basso e Carlo Pagliani (Morgan Stanley). Per le persone fisiche la pubblica accusa aveva chiesto condanne che andavano da 1 anno a 1 anno e 4 mesi, tranne che per Cardi per la quale era stato chiesto il non doversi procedere per prescrizione. "NON E' SUCCESSO NIENTE" Dopo la lettura della sentenza che ha mandato assolti le banche e i loro manager imputati a Milano per il crack Parmalat, prima in aula si è sentito un brusio poi è scoppiata la gioia dei legali. Due addirittura, fuori dall'aula, gremita di persone, si sono abbracciati dicendo "Non è successo niente". "Siamo soddisfatti della decisione del Tribunale" ha detto un portavoce di Morgan Stanley. Per Bank of America "ancora una volta è stato confermato che nessuno dei dipendenti di Bank of America fosse a conoscenza della frode di Parmalat che la stessa è stata perpetrata solo da alcuni suoi esponenti con l'assistenza di alcuni revisori contabili". LA SODDISFAZIONE DELLE BANCHE "Per noi è una vittoria, è stato fatto uno sforzo incredibile ma il nostro cliente era totalmente innocente" ha affermato il legale di Deutsche Bank aggiungendo che questi "sono processi che all'inizio hanno avuto una violentissima reazione pubblica, gli imputati hanno rischiato di perdere la carriera ma il periodo lunghissimo ha avuto una visione più razionale". Citi ha parlato di Tribunale "forte e indipendente" ricordando di aver "sempre sostenuto di esser stati defraudati" e tuttavia di aver offerto risarcimenti ai risparmiatori "per ragioni morali". Per Bank of America "ancora una volta è stato confermato che nessuno dei dipendenti della banca fosse a conoscenza della frode di Parmalat e che la stessa è stata perpetrata solo da alcuni suoi esponenti con l'assistenza di alcuni revisori contabili". CODACONS L'assoluzione delle banche estere "è una vergogna, i magistrati italiani scendono in campo contro processi brevi e prescrizioni, appellandosi proprio a cause di valenza sociale come Parmalat e crack vari, e poi, quando si trovano a decidere su tali vicende, danno torto ai cittadini e assolvono le banche che hanno venduto carta straccia". È il commento del presidente Codacons, Carlo Rienzi sulla vicenda. "Invitiamo i risparmiatori - continua Rienzi - a proseguire la battaglia in sede civile, al fine di far valere i propri diritti contro i potentati bancari".
2011-04-15 15 aprile 2011 LA STRATEGIA DEL GOVERNO Il premier suona la carica: adesso le intercettazioni L'aveva già fatto trapelare a poche ore dal voto sulla prescrizione breve: "È solo la prima tappa...". Ieri Silvio Berlusconi ha confermato che la "guerra" continua. "Ora è chiaro a tutti che abbiamo una maggioranza... bene, usiamola!", dice con toni gladiatori ai capigruppo di Pdl, Lega e responsabili convocati a Palazzo Grazioli per un pranzo di lavoro. I fronti da cui ripartire "subito" sono tre: il rilancio del ddl intercettazioni, che Maurizio Paniz dà per approvato già entro l’estate e non nella forma "annacquata" cui si era giunti dopo le mediazioni con i finiani, la riforma costituzionale della giustizia (incardinata l’altroieri a Montecitorio) e la riforma della Carta nella parte che riguarda i poteri dello Stato, il cui iter sarà forse affidato a palazzo Madama. Al tavolo ci sono anche i coordinatori azzurri La Russa e Verdini, il legale del premier Ghedini, il vicepresidente della Camera Lupi. E, soprattutto, il Luciano Sardelli di Iniziativa Responsabile, che all’uscita sarà il più prolifico di indiscrezioni. Una delle quali è molto interessata: "La settimana prossima il premier farà il rimpasto, chiuderà la pratica". Da tempo si parla di tre viceministri e una decina di sottosegretari da inserire in squadra. Ma tra azzurri e leghisti regna la prudenza: la sensazione è che il premier cercherà di tenere a freno la questione fino alle amministrative, perché, dicono in Transatlantico, "gli scontenti si pesano". Ovvero: chi resta senza poltrona potrebbe rivalersi sottraendo voti nelle città-chiave in cui si vota a maggio. L’altra soffiata passata da Sardelli ai cronisti è quella per cui sarebbe imminente il passaggio di sei deputati (due già lo hanno annunciato, sono i libdem Melchiorre e Tanoni) nelle fila della maggioranza, di cui uno proveniente da Fli. Sarebbero i sei dell’opposizione che mercoledì, nell’unica votazione segreta sul processo breve, hanno sostenuto l’esecutivo. La tornata elettorale ruba buona parte del pranzo. Non a caso una delle decisioni prese è quella di organizzare due manifestazioni a ridosso del voto, una a Milano e una a Napoli, entrambe date a rischio dai sondaggi. In tutti e due i casi il premier sarà la star, e la macchina del partito si è già attivata. Poco prima del pranzo di lavoro Berlusconi aveva inoltre ricevuto il presidente calabrese Giuseppe Scopelliti, con il quale ha fatto il quadro delle candidature in regione. Un summit che ha confermato l’investitura di Dorina Bianchi (Udc) come candidato a sindaco di Crotone. La priorità del premier, però, è cavalcare l’onda del voto sulla prescrizione breve. Si dice convinto che su intercettazioni (ieri anche l’ex Idv Scilipoti ha presentato un suo testo, molto restrittivo) e riforma costituzionale della giustizia (quella con doppio Csm e separazione delle carriere) possano convergere altri pezzi delle opposizioni. "Quando parlo di tutelare la privacy ovunque ricevo standing ovation...", confida il Cavaliere. Senza dimenticare che ci sono altre cavalli in scuderia, in particolare la responsabilità civile dei giudici alla Camera e l’"allunga-processi" al Senato (la norma che renderebbe ammissibili tutti i testi chiesti dalla difesa e inutilizzabili come prova le sentenze passate in giudicato in altri procedimenti). Ma per chiudere il cerchio, dice il premier, serve la "riforma dell’assetto istituzionale". Ieri ha dato mandato di aprire il nuovo fronte: "Riequilibrio" (a favore dell’esecutivo) dei poteri tra governo, Parlamento, Colle e Consulta, bicameralismo imperfetto, riduzione dei parlamentari. Una "rivoluzione" che sembra scalzare tre le priorità la riforma fiscale, impantanata, dicono i suoi, dalla carenza di risorse. Marco Iasevoli
14 aprile 2011 VIA LIBERA DELLA CAMERA Processo breve, Napolitano: valuterò prima dell'approvazione Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha intenzione di verificare gli effetti della prescrizione breve prima della sua approvazione finale da parte del Parlamento. Le polemiche continuano. Il Pd annuncia battaglia: "Non gli faremo calendarizzare il processo breve in aula" al Senato, dice la presidente dei senatori del Pd Finocchiaro. Sul fronte del governo, vertice tra il presidente del Consiglio, Berlusconi e i capigruppo della maggioranza per fare il punto sul prosieguo della legislatura. NAPOLITANO,VALUTERO' EFFETTI PRIMA VOTO FINALE Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha intenzione di verificare gli effetti della prescrizione breve prima ancora della sua approvazione finale da parte del Parlamento. A chi gli chiedeva infatti cosa pensasse delle molte preoccupazioni espresse dal Csm e dalle famiglie delle vittime di Viareggio sul fatto che la legge possa fare saltare molti processi, il capo dello Stato - a margine dell'inaugurazione della ristrutturata stazione centrale di Praga - ha detto: "Valuterò i termini di questa questione quando saremo vicini al momento dell'approvazione definitiva in Parlamento". Pensare a un intervento preventivo del Quirinale sulla legge sul processo breve "è del tuttoarbitrario". È quanto fanno sapere fonti della Presidenza della Repubblica, interpellate in merito alle letture che oggi sono state date alla risposta del capo dello Stato Giorgio Napolitano a chi gli chiedeva, a Praga, valutazionisul provvedimento approvato ieri dalla Camera. Negli ambienti del Quirinale si osserva che l'espressione "vicini al momento" significa che il capo dello Stato comincerà a esaminare il testo alla vigilia della decisione che gli toccherà prendere a proposito della promulgazione.Interpretare quindi le sue parole come annuncio di un intervento preventivo, ribadiscono gli ambienti del Quirinale, è del tutto arbitrario. BERLUSCONI, CON IL COLLE CHIARIREMO TUTTO Dobbiamo "chiarire" con il Colle e spiegare bene gli effetti di questo provvedimento. Così Silvio Berlusconi nel corso del vertice a palazzo Grazioli è tornato sulla necessita di avviare un "dialogo" con i capo dello Stato, secondo quanto riferito da alcuni partecipanti, dicendosi convinto che anche il Colle comprenderà le ragioni del provvedimento. "Dopo il bel risultato che abbiamo ottenuto ieri andiamo avanti con la legge sulle intercettazioni perché intorno a questo provvedimento c'é un grande consenso popolare. Le gente non vuole sentirsi spiata". Lo ha detto il premier, a quanto raccontano, nel corso del vertice a palazzo Grazioli con i capigruppo della maggioranza. ANM, AMNISTIA PERMANENTE CHE UCCIDE PROCESSI La legge sulla prescrizione breve approvata ieri dalla Camera"è un'amnistia permanente per numerosi gravi reati, come la corruzione, l'evasione fiscale, la truffa, la truffa ai danni dello Stato, l'appropriazione indebita, l'omicidio e le lesioni colpose, quelli in materia di ambiente e di infortuni sul lavoro". Lo sostiene l'Anm, aggiungendo che il provvedimento "uccide i processi".
L'AULA APPROVA IL PROCESSO BREVE "È andata come dicevo. La maggioranza ha dimostrato coesione, forza... Ora sarà tutto in discesa, andremo avanti come un treno fino al 2013". Montecitorio ha appena detto sì al processo breve e al telefono deputati e ministri gli danno la notizia: 314 contro 296. "Bene, bene, noi siamo forti; i nostri avversari invece sono allo sbando". Ed è già l’ora di guardare avanti. Sprona i suoi: "Ora c’è la riforma della giustizia poi passeremo ad affrontare la questione dell’architettura costituzionale". Non a caso proprio ieri è stata presentata ufficialmente la bozza alle Commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera. "Noi abbiamo dimostrato compattezza, loro invece si sono divisi. La maggioranza è salda, compatta e cresce e presto crescerà ancora. Al contrario dell’opposizione che invece in questi giorni ha fatto l’ennesima figuraccia". Al Senato - con i numeri più favorevoli - si profila, al confronto, una passeggiata. E Berlusconi è fiducioso che il processo breve potrà diventare legge già nella settimana dopo Pasqua. "È una legge che ci mette al passo dell’Europa, altro che legge ad per- sonam". "I numeri ci sono", dice soddisfatto anche Umberto Bossi. "E cresceranno", si dice sempre più convinto, il premier. È il giorno della resa, per le opposizioni. Nella consapevolezza, forse, che ora lo scontro si sposta fuori dall’aula. Subito in piazza, ma in seguito, forse, anche davanti alla Consulta, come lasciano intendere sia Casini che Fassino, e c’è attesa anche sulle valutazioni del Quirinale.
L’immagine plastica della sconfitta parlamentare delle opposizioni si era avuta già nel pomeriggio col doppio colpo sancito dagli esiti delle votazioni. Passava alle 17 l’articolo 3, nell’ultima versione del relatore Maurizio Paniz sulla prescrizione breve. Ma ancor più importante era il segnale che arrivava subito dopo, quando veniva accordato dalla presidenza il voto segreto (chiesto dal Pd) su un emendamento proposto dal-l’Idv riguardante l’inappellabilità delle sentenze relative alla competenza territoriale. Una questione meramente tecnica, che però diventava di fatto un test su eventuali mal di pancia su un versante o sull’altro. Ma, sorpresa, i no - in conformità alle posizioni della maggioranza - salivano nel segreto dell’urna a 316, contro 288. Nella maggioranza contavano una dozzina di voti in libera uscita dalle opposizione in base alle presenze al momento del voto. Partiva la caccia ai franchi tiratori, dalla maggioranza si alludeva chiaramente ai malumori nell’area moderata di Fli che fa capo ad Adolfo Urso. E quando Berlusconi parla della compattezza delle sue fila e dello sbandamento nelle fila altrui si riferisce proprio all’esito di questo voto segreto, di cui era stato tempestivamente informato. Anzi, nel pomeriggio erano trapelati sull’onda di questo episodio auspici anche più roboanti del premier, con un nuovo obiettivo: "Quota 345". Alla fine il voto finale sul provvedimento si avvicina di molto alla fatidica quota di autosufficienza (316) senza ancora raggiungerla. "La maggioranza tiene", si dice però soddisfatto il coordinatore Denis Verdini: "Il Pdl è una macchina da guerra, abbiamo tenuto bene per due giorni e dimostrato coesione" osserva, al termine del voto a Montecitorio, ricordando le assenze. Quanto invece al successo più ampio raggiunto sul voto segreto segnala invece "un sentimento ", sostiene Verdini. Il processo breve, salvo ostacoli successivi, si appresta quindi a diventare legge dello Stato. E Maurizio Gasparri invita il Cavaliere a non disdegnarne l’uso a fini processuali, segnatamente nel caso Mills. "Fossi in lui - dice il capogruppo al Senato del Pdl - lo utilizzerei perché è colpito da un modo fazioso e illegale di esercitare le azioni giudiziarie nei suoi confronti. Il problema qui è non fare lotta politica abusando della funzione di magistrato". E anche nel governo l’aria è più distesa: "La maggioranza è coesa e in grado di proseguire senza timori sulla strada delle riforme ", dice il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini. "Si rassegnino, il governo Berlusconi durerà fino al 2013". "Ora, le riforme", dice Michela Brambilla. Angelo Picariello
2011-04-14 14 aprile 2011 Al di là delle partigianerie, i nodi non saranno sciolti Ma non chiamatelo "processo breve" Alzi la mano chi desidera un processo lungo, estenuante e spesso inconcludente come gran parte di quelli che si celebrano (o si trascinano) per anni nei tribunali italiani. Una legge sul "processo breve", ovvero un provvedimento che riuscisse davvero a garantire l’amministrazione della giustizia in tempi certi e ragionevoli, sarebbe perciò l’uovo di Colombo, oltre che la medicina più indicata per curare il male di cui soffre questo settore. Già, perché se si riuscisse a guardare l’Italia senza le lenti deformanti della partigianeria (ormai vero sport nazionale, al pari del calcio), si vedrebbe un Paese stritolato dalla "questione giudiziaria". Con questa definizione non vanno intese, però, l’urgenza dell’attuale presidente del Consiglio di risolvere i suoi guai con taluni magistrati di Milano e la costanza (non priva di forzature procedurali, né, talvolta, perfino di venature d’astio) con la quale questi ultimi lo incalzano ormai da quasi vent’anni, bensì proprio la lentezza dei processi civili e penali. La stessa che ci procura continue condanne a Strasburgo per "irragionevole durata" delle cause. E che ci vede dietro a diversi Stati in via di sviluppo nella classifica mondiale dei luoghi dove occorre più tempo per recuperare un credito: 1.210 giorni, più di tre anni. Ebbene, ieri, in una Camera dei deputati in tumulto, ha compiuto il giro di boa un disegno di legge d’iniziativa parlamentare che contiene proprio "misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell’articolo 111 della Costituzione e dell’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali". A che cosa servirà, una volta che avrà incassato anche il voto favorevole del Senato ed entrerà in vigore, presumibilmente subito dopo Pasqua? La risposta degli oppositori è: a evitare a Silvio Berlusconi una condanna in primo grado nel processo Mills (comunque destinato a finire nel nulla prima della sentenza definitiva), accorciando di qualche mese i termini della prescrizione grazie a una norma infilata nel testo dal relatore Paniz del Pdl, dopo che la maggioranza aveva accettato, come segnale di distensione e apertura al dialogo sulla più ampia riforma costituzionale della giustizia proposta dal ministro Alfano, di cancellare la norma transitoria che consentiva l’applicazione della legge ai processi in corso, inclusi quelli che vedono imputato il premier. La versione della maggioranza e del governo è, invece, che il provvedimento è necessario in quanto mette al riparo tutti i cittadini dalla eccessiva lunghezza dei processi, dichiarandone l’estinzione qualora non si concludano in tre anni per il primo grado, due anni per l’appello e diciotto mesi per l’eventuale sentenza di legittimità, perché una giustizia che arriva più tardi è comunque una giustizia negata. Entrambe le risposte sono vere. Del resto, l’una non esclude l’altra. Sia la domanda, sia le risposte, tuttavia, non sembrano centrate. Sarebbe meglio chiedersi, infatti, a che cosa non servirà questa legge, per convenzione e sintesi giornalistica definita "sul processo breve". E la risposta è che, purtroppo, non servirà ad abbreviare i tempi dei processi. Come tutti i testi analoghi da cui è stata preceduta (approvati, come la legge Pinto del 2001 o la "ex-Cirielli" del 2005, oppure rimasti allo stadio di proposta, come quella del 2006 firmata anche dall’attuale capogruppo del Pd al Senato Anna Finocchiaro, allora nell’Ulivo, e ancor prima, nel 2004, da cinque suoi compagni di partito nei Ds, tra i quali l’attuale consigliere "laico" del Csm Guido Calvi) potrà soltanto prendere atto, di volta in volta, di un fallimento: quello di uno Stato che non riesce a garantire una sentenza definitiva in tempi ragionevoli. Ma questa è la radiografia del male, non la cura. Danilo Paolini
14 aprile 2011 VIA LIBERA DELLA CAMERA Processo breve, Napolitano: valuterò prima dell'approvazione "Valuterò i termini di questa questione quando saremo vicini al momento dell'approvazione definitiva in Parlamento". Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano rispondendo ad una domanda sui dubbi che circolano in merito alla legge sul processo breve. L'AULA APPROVA IL PROCESSO BREVE "È andata come dicevo. La maggioranza ha dimostrato coesione, forza... Ora sarà tutto in discesa, andremo avanti come un treno fino al 2013". Montecitorio ha appena detto sì al processo breve e al telefono deputati e ministri gli danno la notizia: 314 contro 296. "Bene, bene, noi siamo forti; i nostri avversari invece sono allo sbando". Ed è già l’ora di guardare avanti. Sprona i suoi: "Ora c’è la riforma della giustizia poi passeremo ad affrontare la questione dell’architettura costituzionale". Non a caso proprio ieri è stata presentata ufficialmente la bozza alle Commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera. "Noi abbiamo dimostrato compattezza, loro invece si sono divisi. La maggioranza è salda, compatta e cresce e presto crescerà ancora. Al contrario dell’opposizione che invece in questi giorni ha fatto l’ennesima figuraccia". Al Senato - con i numeri più favorevoli - si profila, al confronto, una passeggiata. E Berlusconi è fiducioso che il processo breve potrà diventare legge già nella settimana dopo Pasqua. "È una legge che ci mette al passo dell’Europa, altro che legge ad per- sonam". "I numeri ci sono", dice soddisfatto anche Umberto Bossi. "E cresceranno", si dice sempre più convinto, il premier. È il giorno della resa, per le opposizioni. Nella consapevolezza, forse, che ora lo scontro si sposta fuori dall’aula. Subito in piazza, ma in seguito, forse, anche davanti alla Consulta, come lasciano intendere sia Casini che Fassino, e c’è attesa anche sulle valutazioni del Quirinale.
L’immagine plastica della sconfitta parlamentare delle opposizioni si era avuta già nel pomeriggio col doppio colpo sancito dagli esiti delle votazioni. Passava alle 17 l’articolo 3, nell’ultima versione del relatore Maurizio Paniz sulla prescrizione breve. Ma ancor più importante era il segnale che arrivava subito dopo, quando veniva accordato dalla presidenza il voto segreto (chiesto dal Pd) su un emendamento proposto dal-l’Idv riguardante l’inappellabilità delle sentenze relative alla competenza territoriale. Una questione meramente tecnica, che però diventava di fatto un test su eventuali mal di pancia su un versante o sull’altro. Ma, sorpresa, i no - in conformità alle posizioni della maggioranza - salivano nel segreto dell’urna a 316, contro 288. Nella maggioranza contavano una dozzina di voti in libera uscita dalle opposizione in base alle presenze al momento del voto. Partiva la caccia ai franchi tiratori, dalla maggioranza si alludeva chiaramente ai malumori nell’area moderata di Fli che fa capo ad Adolfo Urso. E quando Berlusconi parla della compattezza delle sue fila e dello sbandamento nelle fila altrui si riferisce proprio all’esito di questo voto segreto, di cui era stato tempestivamente informato. Anzi, nel pomeriggio erano trapelati sull’onda di questo episodio auspici anche più roboanti del premier, con un nuovo obiettivo: "Quota 345". Alla fine il voto finale sul provvedimento si avvicina di molto alla fatidica quota di autosufficienza (316) senza ancora raggiungerla. "La maggioranza tiene", si dice però soddisfatto il coordinatore Denis Verdini: "Il Pdl è una macchina da guerra, abbiamo tenuto bene per due giorni e dimostrato coesione" osserva, al termine del voto a Montecitorio, ricordando le assenze. Quanto invece al successo più ampio raggiunto sul voto segreto segnala invece "un sentimento ", sostiene Verdini. Il processo breve, salvo ostacoli successivi, si appresta quindi a diventare legge dello Stato. E Maurizio Gasparri invita il Cavaliere a non disdegnarne l’uso a fini processuali, segnatamente nel caso Mills. "Fossi in lui - dice il capogruppo al Senato del Pdl - lo utilizzerei perché è colpito da un modo fazioso e illegale di esercitare le azioni giudiziarie nei suoi confronti. Il problema qui è non fare lotta politica abusando della funzione di magistrato". E anche nel governo l’aria è più distesa: "La maggioranza è coesa e in grado di proseguire senza timori sulla strada delle riforme ", dice il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini. "Si rassegnino, il governo Berlusconi durerà fino al 2013". "Ora, le riforme", dice Michela Brambilla. Angelo Picariello
14 aprile 2011 L'OPPOSIZIONE La rabbia di Bersani: "Passo verso l’abisso"
Barricata doppia contro la riforma licenziata ieri sera tra mille polemiche. Dalle opposizioni parlamentari e dalla magistratura sono arrivate critiche e e perplessità. Non solo sul provvedimento contestato, che il segretario del Pd Pier Luigi Bersani definisce "un passo verso l’abisso" fatto dall’esecutivo "nella coscienza degli italiani". Ma anche sull’ennesima esternazione del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sui giudici 'rossi'. Tanto che il vicepresidente del Csm Michele Vietti sente il dovere di ribadire, durante la riunione mattutina del plenum, che "la magistratura lavora per il Paese e non contro il Paese" e merita "il rispetto e la riconoscenza di ogni cittadino e di ogni istituzione ". Parole inequivocabili a cui fa seguire la notazione sul fatto che "il presidente della Repubblica è costantemente informato dei nostri lavori e anche degli umori diffusi nella magistratura". Anche l’Associazione nazionale magistrati replica a Berlusconi lamentando uno "stillicidio che fa male al Paese". Parola del presidente Luca Palamara. Che, prima del sì definitivo ormai nell’aria, parlando nel pomeriggio a Perugia, annuncia: "Valuteremo iniziative di protesta, ma soprattutto faremo sentire la nostra voce illustrando le ricadute che queste norme avranno sul sistema". Intanto la prescrizione breve "difficilmente potrà reggere a un vaglio di costituzionalità ", assicura il segretario dell’Anm, Giuseppe Cascini. A metà pomeriggio arriva il primo sì alla norma sulla prescrizione breve. Davanti a Montecitorio, il sit-in del 'popolo viola' lo accoglie con urla e boati. Si uniscono i parenti delle vittime della strage di Viareggio e del terremoto de L’Aquila. Tra i dimostranti anche esponenti di Pd, Idv e Fli. Al sottosegretario Daniela Santanchè qualcuno lancia monetine e grida: "Venduta, vergognati!". Scene che si ripetono a sera, all’uscita dei deputati. In particolare, tocca al leader della Lega Umberto Bossi essere apostrofato al grido di "venduto". Clima surriscaldato anche in aula. Dove in risposta a un Antonio Di Pietro scatenato che definisce la maggioranza "asservita, irresponsabile che vende la propria dignità per un piatto di maccheroni", si leva un "mercedes, mercedes" (riferito a passate vicende dell’ex pm). Si sente un clima post- Mani pulite, insomma. "Dopo 20 anni siamo tornati davanti al tribunale di Milano con la gente sul marciapiede", sintetizza il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini. Il quale critica i provvedimenti ad personam, che anche a suo giudizio non supereranno il vaglio di costituzionalità. Tranchant il finiano Benedetto Della Vedova che parla di "Parlamento umiliato". Infine, l’ex ministro della Giustizia Piero Fassino parla di un provvedimento "devastante", perché "ci saranno 15mila processi che non arriveranno alla fine". Gianni Santamaria
2011-04-12 12 aprile 2011 GIUSTIZIA E POLITICA Processo breve, si riparte L'opposizione promette battaglia Riparte dalle 15 di oggi il dibattito nell'Aula della Camera sul processo breve. Il voto è previsto per domani ma l'opposizione, ritenendo il provvedimento una legge ad personam, potrebbe scegliere la linea ostruzionistica già adottata la settimana scorsa. Le critiche di Pd, Udc, Idv e Fli sono rivolte soprattutto alla norma che accorcia i tempi di prescrizione per gli imputati incensurati nei processi di primo grado. Secondo l'opposizione, tra gli effetti del nuovo dispositivo sulla prescrizione ci sarebbe quello di accorciare i tempi del processo Mills in cui è imputato da tempo il premier Silvio Berlusconi. Nella maggioranza si cerca intanto di replicare alle obiezioni migliorando il testo del disegno di legge. Osvaldo Napoli, vicepresidente dei deputati Pdl, illustra una propria iniziativa: "Presenterò un emendamento per evitare che stragi come quella di Viareggio del 2009 subiscano gli effetti della prescrizione breve". La maggioranza, per evitare sorprese al momento del voto o di eventuali problemi procedurali, ha chiesto ai propri deputati la massima presenza in Aula in tutte le fasi della discussione. Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl, ha inviato una lettera a tutti i suoi colleghi: "È indispensabile affrontare i prossimi giorni con coesione politica e attenzione, ma anche con pazienza e serenità, senza cadere nelle provocazioni che facilmente possono emergere nell'ambito di un dibattito così lungo su un provvedimento sul quale si registra un alto livello di contrapposizione politica". Sono intanto smentite le tensioni all'interno del Pdl che potrebbero riversarsi proprio sulle tappe di approvazione del processo breve. Precisa Denis Verdini, tra i coordinatori del Pdl: "È un periodo durissimo, dove la priorità di Berlusconi e di noi tutti è stata quella di mantenere la maggioranza e allargarla". Dai vertici di Pdl e Lega non si prevedono quindi imboscate. Mentre ieri Berlusconi è tornato ad attaccare i giudici dopo aver presenziato a Milano a una udienza del processo Mediaset per frode fiscale che lo vede imputato, Gianfranco Fini ha preso le distanze dal provvedimento. Il presidente di Montecitorio, in visita a Marsala, ha risposto così a una domanda di uno studente sul processo breve: "Se la legge è uguale per tutti, deve essere uguale per tutti davvero. Se alla Camera si sta discutendo di un certo argomento è perché c'è una maggioranza che decide, nel rispetto del regolamento, di trattare un argomento. Ci sono forze di opposizione che non discuterebbero del processo breve ma di altro", ha aggiunto Fini, leader del Fli. Donatella Ferranti, capigruppo del Pd in commissione Giustizia, ha intanto rivolto un appello al ministro guardasigilli Angelino Alfano affinchè "non passi sotto silenzio l'allarme del Consiglio superiore della magistratura sul rischio amnistia, quanto meno dovrebbe chiedere una sospensione dell'esame di un provvedimento che rischia di mettere a repentaglio l'esito di importanti processi: da quelli sul terremoto dell'Aquila, alla strage di Viareggio, ai numerosi scandali economico finanziari, alla corruzione". L'opposizione ricorda anche che il presidente Giorgio Napolitano è più volte intervenuto nelle scorse settimane per sostenere che su riforme importanti come quella della giustizia sarebbe meglio ricercare la massima condivisione del Parlamento evitando forzature o voti di fiducia. L'Idv nell'annunciare battaglia parla addirittura di "un Vietnam parlamentare" che attende Pdl e Lega, mentre per Roberto Rao, Udc, il provvedimento in discussione sulla giustizia "è l'ennesimo scempio, l"ennesima forzatura della maggioranza". Per domani sono in programma un presidio a Montecitorio promosso dal cosiddetto "popolo viola" e una manifestazione al Pantheon con le famiglie delle vittime dei processi che rischiano una conclusione anticipata per prescrizione, come quelli riguardanti il crollo della casa dello studente a L'Aquila nel terremoto di due anni fa e la strage alla stazione di Viareggio.
2011-04-05 5 aprile 2011 CASO RUBY Sì al conflitto di attribuzione Camera, 12 voti di scarto L'Aula della Camera ha approvato la proposta avanzata dalla maggioranza di sollevare davanti alla Corte Costituzionale un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato sul processo Ruby, che si apre domani a Milano. La proposta è passata per 12 voti di scarto. La votazione è avvenuta con il sistema elettronico. I deputati Daniela Melchiorre, Italo Tanoni e Aurelio Misiti, hanno votato insieme alla maggioranza a favore del conflitto di attribuzione. I banchi del governo erano al gran completo: presenti tutti i ministri tranne il presidente del Consiglio. La sua poltrona era occupata dal ministro Michela Vittoria Brambilla, tra i ministri Umberto Bossi e Franco Frattini. I banchi erano talmente che La Russa e Meloni non hanno trovato posto e hanno dovuto accomodarsi ai banchi da deputato. La maggioranza di centodestra sostiene che uno dei due reati contestati al premier, la concussione, sia di natura ministeriale e, pertanto, l'inchiesta dovrebbe ricominciare quasi da zero davanti al Tribunale dei ministri, annullando buona parte degli atti compiuti finora dai pm e dal gup di Milano, che ha rinviato Berlusconi a giudizio immediato. Inoltre, di fronte a un reato di natura ministeriale contestato a uno dei membri del governo, il Parlamento potrebbe negare l'autorizzazione a procedere. La Camera chiede quindi alla Corte costituzionale di avallare questa tesi. L'accusa dice che Berlusconi abbia avuto rapporti sessuali a pagamento con la giovane marocchina Karima el Mahroug, detta Ruby, lo scorso anno, quando era minorenne, e che abbia cercato illegittimamente di ottenerne il rilascio dalla questura di Milano, dove era stata fermata per furto, con l'obiettivo di occultare la sua relazione con la ragazza. La maggioranza alla Camera si è schierata con la tesi che la presunta concussione fosse "ministeriale", perché telefonando in Questura, il premier avrebbe agito nell'esercizio delle sue funzioni di premier; infatti, pensava che la ragazza fosse la nipote dell'ex presidente egiziano Hosni Mubarak -- una tesi considerata ridicola dall'opposizione. Il tribunale di Milano ha detto di non sentirsi vincolato alle tesi della Camera e che il processo andrà avanti. La Corte costituzionale dovrebbe decidere nei prossimi mesi se accogliere il ricorso ed eventualmente poi decidere nel merito entro un anno dalla sollevazione del conflitto.
5 aprile 2011 ROMA Riforma giustizia, Napolitano: "Rispetto divisione dei poteri" Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ricevuto al Quirinale la Giunta esecutiva centrale dell'Associazione Nazionale Magistrati che gli ha espresso preoccupazioni e perplessità sul testo del disegno di legge costituzionale in tema di riforma della giustizia approvato l'11 marzo 2011 dal Consiglio dei Ministri, peraltro non ancora trasmesso al Capo dello Stato per la presentazione alle Camere. Napolitano, nell''auspicare ''un più sereno clima istituzionale, ha ribadito il convincimento che l'autonomia e l'indipendenza della magistratura costituiscono principi inderogabili in rapporto a quella divisione tra i poteri che è parte essenziale dello Stato di diritto''. Il Capo dello Stato ''ha espresso la convinzione che l'apertura di un confronto su proposte di modifica del Titolo IV della Costituzione possa costituire terreno di impegno per tutte le forze politiche e culturali e in particolare per tutte le componenti del mondo della giustizia : ferma restando la necessità che un tale confronto avvenga senza pregiudiziali e con la massima disponibilità all'ascolto e alla considerazione delle diverse impostazioni e proposte''. ''Ci sentiamo rinfrancati, abbiamo colto una grande attenzione da parte del capo dello Stato''. Lo dicono i vertici dell'Associazione Nazionale Magistrati, che oggi sono stati ricevuti dal capo dello Stato al quale hanno espresso tutte le loro preoccupazioni per le riforme che riguardano la giustizia. I principi dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura saranno ''fortemente alterati se si dovesse approvare la riforma costituzionale della giustizia'' hanno fatto presente i vertici dell'Anm nel corso del colloquio con il capo dello Stato. ''Da parte nostra - ha spiegato il presidente dell'Anm, Luca Palamara parlando con i giornalisti alla fine dell'incontro - non c'e' una chiusura corporativa ma la volonta' di mantenere fermi questi principi che sono capisaldi dello stato di diritto e che sono a garanzia dei cittadini''.
4 aprile 2011 PDL "Intercettazioni non più prova di reato", è polemica su proposta di legge Si infiamma improvvisamente il confronto sulle utilizzazioni o meno delle intercettazioni solo a scopo investigativo senza che queste possano mai arrivare sul tavolo del giudice. A dar fuoco alle polveri la proposta del deputato del Pdl Maurizio Bianconi che l'ha presentata "a titolo personale" e che è stata posta all'ordine del giorno della commissione giustizia lo scorso 31 marzo. Il senatore del Pd Giuseppe Lumia definisce quella proposta un "vero e proprio attentato alla libertà di stampa". La proposta di Bianconi, già inserita all'ordine del giorno della Commissione giustizia della Camera, insieme a tante altre, prevede che le intercettazioni vengano declassate da prove di reato e dovrebbero essere distrutte alla fine delle indagini. Questo perché sarebbero ritenute uno strumento utile per scoprire violazioni del codice penale, ma non in grado di far condannare un imputato. Perderebbero quindi quel valore di prova che hanno ora. Nastri registrati e trascrizioni dovrebbero essere impiegati solo allo scopo di trovare altre prove più schiaccianti da portare davanti al giudice. Maurizio Bianconi sottolinea di aver presentato la proposta a titolo "strettamente personale", senza impegnare quindi il Pdl al quale appartiene:"anche per questo ho evitato di chiedere la firma ai miei colleghi.
2011-04-04 4 aprile 2011 MILANO Mediatrade, pm chiedono rinvio a giudizio per Berlusconi I pm Fabio de Pasquale e Sergio Spadaro, al termine del loro intervento durante l'udienza preliminare per il caso Mediatrade, hanno ribadito la richiesta di rinvio a giudizio per il premier e gli altri undici imputati. Manca Silvio Berlusconi a questo nuovo appuntamento in aula dell'udienza preliminare Mediatrade, ultimo capitolo nel più ampio filone processuale sui diritti tv. Il premier, che si è presentato in aula lunedì scorso, questa volta non è potuto essere presente, perché in missione a Tunisi insieme al ministro dell'Interno, Roberto Maroni, nel tentativo di trovare un accordo per fronteggiare l'emergenza profughi. I suoi due legali, gli avvocati-deputati Piero Longo e Niccolò Ghedini, non hanno fatto però valere il legittimo impedimento. E così, l'udienza preliminare Mediatrade va avanti. L'udienza di oggi sarà tutta concentrata sull'intervento che il pm, Fabio De Pasquale, sosterrà davanti al Gup Maria Vicidomini, nel tentativo di convincere il giudice a riviare a giudizio Berlusconi per le ipotesi di appropriazione indebita (reato che - secondo l'ipotesi formulata dall'accusa - il premier avrebbe commesso fino al 2009) e frode fiscale (reato che invece, stando sempre alla ricostruzione degli inquirenti, sarebbe stato commesso fino al 2006). Il premier non è l'unico imputato di questo filone processuale, ancora in fase di udienza preliminare. Insieme a lui, sul banco degli imputati, ci sono altre 11 persone, compresi il figlio Piersilvio e il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri.
2011-03-30 0 marzo 2011 RIFORMA Giustizia, blitz della maggioranza Napolitano: stop a tensioni Dopo gli scontri in Aula che hanno portato alla sospensione della seduta, alla ripresa dei lavori il vicepresidente della Camera Antonio Leone ha annunciato il rinvio a domani alle 10 dell'esame del disegno di legge sul processo breve. La decisione è stata salutata da gli applausi dell'opposizione. Dopo il tentativo di sfondamento del portone di Montecitorio da parte di alcuni manifestanti in sit-in contro il processo breve, è uscito il ministro della Difesa, Ignazio La Russa che è stato oggetto, insieme alla sottosegretaria Daniela Santanchè, del lancio di monetine. "Se lo ha detto mi prenda lui un appuntamento". Così sempre La Russa ha risposto ai cronisti in Transatlantico che gli chiedevano un commento alle parole del presidente della Camera Gianfranco Fini, che uscendo dall'Aula aveva sibiltato "curatelo", riferendosi al titolare della Difesa. In Aula La Russa aveva indirizzato un "Vaffa" a Fini, che lo aveva ripreso nel corso dell'infuocato dibattito. LA MAGGIORANZA ACCELERA La maggioranza accelera sul processo breve ed è scontro con l'opposizione: l'aula della Camera, su richiesta del Pdl appoggiata dalla Lega, ha approvato che si passasse subito all'esame e al voto del processo breve. I deputati dell'opposizione per protesta hanno abbandonato i lavori del Comitato dei nove della commissione Giustizia per protesta contro la decisione della maggioranza "di strozzare i tempi del dibattito" sul processo breve. Nell'emiciclo di Montecitorio c'erano molti ministri, da Frattini ad Alfano, a La Russa, fino a Bossi e Calderoli. Pdl e Lega in aula alla Camera hanno fatto passare per 15 voti l'inversione dell'ordine del giorno che ha fatto slittare l'esame della legge comunitaria e ha anticipato il voto sul ddl sui tempi dei processi. L'emiciclo si è scaldato e il segretario del Pd, Pierluigi Bersani ha tuonato: "Questo è il governo della vergogna, della violenza parlamentare e della furbizia, per salvare uno solo, butta a mare centinaia di processi". Ecco, "ora abbiamo capito a cosa serve il viaggio a Lampedusa. A togliere i riflettori da qua". Di Pietro non c'era perché era a Campobasso, testimone per "l'accusa in un processo a 20 persone tra cui il presidente della Regione". "Vergogna, vergogna" ha gridato in aula l'opposizione, alzata in piedi per applaudire il presidente dei deputati Pd, Dario Franceschini. È stato Gianfranco Fini a riportare l'ordine paventando la possibilità di dover altrimenti sospendere i lavori dell'aula. Critico anche l'Udc. "Purtroppo siamo alle solite. Dopo averci illuso che "la priorità era una riforma della giustizia per gli italiani", ha detto Pierferdinando Casini, ecco un "provvedimento per placare le ossessioni giudiziarie del presidente del Consiglio. È una vergogna". Respinte le richieste delle opposizioni di voto a scrutinio segreto e bocciata la pregiudiziale di costituzionalità, Pdl e Lega hanno fatto scudo a difesa della richiesta e del provvedimento. "L'inversione dell'ordine del giorno ha destato scandalo, se si fosse proceduto da calendario si sarebbe votata la Comunitaria con la responsabilità civile dei magistrati. L'indignazione era comunque programmata", ha replicato alle opposizioni il ministro della Giustizia Angelino Alfano. I deputati dell'opposizione hanno abbandonato la riunione del Comitato dei Nove della Commissione Giustizia per protesta contro la decisione della maggioranza di "strozzare i tempi del dibattito sul testo per la prescrizione breve". "Loro vogliono strozzare al massimo i tempi del dibattito su questo provvedimento - spiega il capogruppo del Pd in Commissione Giustizia della Camera Donatella Ferranti - perché vogliono votare al massimo entro domani il testo. Ma questo è un blitz inaccettabile e noi in Aula daremo battaglia". Il Comitato dei Nove della Commissione Giustizia della Camera ha dato parere negativo all'emendamento presentato dall'opposizione al testo sulla prescrizione breve che prevedeva di dare la possibilità al magistrato di pronunciare sentenza di proscioglimento in caso di tenuità del reato e di lievi conseguenze penali. Per la complessità della materia e per le polemiche che ne sono nate, la maggioranza ha deciso di non inserire questa misura nel provvedimento che dovrebbe essere già da oggi all'esame dell'Aula di Montecitorio. Molto probabilmente questa norma, proposta dal Pd, diventerà oggetto di un provvedimento ad hoc. Dal Comitato dei Nove hanno ricevuto parere positivo solo alcuni emendamenti per lo più proposti dal relatore Maurizio Paniz. Si tratta di proposte di modifica che puntano a cambiare il nome del provvedimento: non ci sarà più il riferimento alla "ragionevole durata dei processi" come elemento essenziale del titolo. Il capo dell'ufficio giudiziario che dovrà fare la segnalazione contro il magistrato "lumaca" dovrà trasmetterla direttamente al Guardasigilli e al Consiglio superiore della magistratura. Non ci sarà più l'obbligo di inoltrarla al Procuratore generale della Corte di Cassazione. Per quanto riguarda la durata del primo grado del processo, fissata nel provvedimento a tre anni, si sta studiando la possibilità di dare più tempo, prima di fare la segnalazione per il ritardo, per procedimenti penali particolarmente complessi. Da Napolitano arriva un nuovo invito a "rimuovere tensioni anche istituzionali che finirebbero per alimentare nell'opinione pubblica e specialmente tra i giovani motivi di disorientamento e sfiducia che è indispensabile scongiurare", proprio sul delicatissimo terreno della giustizia.
30 marzo 2011 PARLAMENTO Caso Ruby, conflitto d'attribuzioni alla Camera il 5 aprile L'aula della Camera voterà martedì 5 aprile sulla richiesta della maggioranza di sollevare il conflitto di attribuzione sul caso Ruby, sempre che per allora sia stato licenziato il disegno di legge sul processo breve. Lo ha stabilito la conferenza dei capigruppo di Montecitorio. L'esame dell'istanza è stato fissato alle 15, con diretta televisiva degli interventi su richiesta del partito democratico. Che il conflitto di attribuzione sul caso Ruby sarebbe andato in aula lo aveva detto il presidente della Camera Gianfranco Fini durante la riunione di mercoledì mattina dell'Ufficio di presidenza. Fini ha aperto la seduta illustrando le decisioni della giunta per le autorizzazioni e della giunta per il regolamento ed elencando alcuni precedenti, per quanto il conflitto di attribuzione sul caso Ruby rappresenti un unicum sia per la richiesta che per la composizione dei due organi chiamati ad esprimersi. Fini ha sottolineato che "quali che siano le conclusioni cui perverrà l'ufficio di presidenza, l'assemblea deve essere comunque chiamata a pronunciarsi su questo secondo le modalità procedurali che la prassi ha consolidato a riguardo". La vicenda del conflitto di attribuzione da parte della Camera sul caso Ruby "presenta aspetti speciali e unici" avrebbe detto il presidente della Camera durante l'Ufficio di presidenza di Montecitorio. Nella sua relazione, Fini ha detto, fra l'altro, che la composizione dell'Ufficio di presidenza vede di fatto la prevalenza numerica delle opposizioni rispetto alla maggioranza, il che costituisce un fatto di "assoluta novità" rispetto ai tre precedenti in materia che ha citato. Peraltro, aggiunge Fini, in quei tre casi non erano state avanzate richieste di sottoporre la questione all'Aula. "Nella presente circostanza - ha puntualizzato Fini - la decisione dell'Ufficio di presidenza in merito all'elevazione o meno del conflitto, a causa della composizione dell'organo, può sottrarsi al criterio della maggioranza politica quale risulta dal complessivo assetto dei rapporti tra i gruppi". Dopo l'intervento di Fini si è aperto un dibattito. La votazione dell'Ufficio di Presidenza sul conflitto di attribuzione è finito in parità: 9 a 9. La questione, dunque, sarà devoluta all'Aula che in assenza di una maggioranza sarà chiamata a deliberare direttamente sulla richiesta avanzata da Cicchitto, Reguzzoni e Sardelli.
2011-03-25 ROMA Giustizia, "Norma su responsabilità è un atto di aggressione" "La modifica della legge sulla responsabilità civile dei magistrati appare talmente assurda e disorganica da potersi spiegare soltanto come atto di aggressione nei confronti della magistratura diretto ad influenzarne la serenità di giudizio". Lo scrive l'Associazione nazionale magistrati in una lunga nota a firma del presidente Luca Palamara, del segretario Giuseppe Cascini e del vice presidente Antonello Ardituro. L'interpretazione della legge e la valutazione del fatto e delle prove rappresentano il cuore dell'attività giudiziaria- sottolineano i vertici del sindacato delle toghe-. Pensare di sottoporre a censura tale attività con la generica e incomprensibile formula della 'manifesta violazione del dirittò è davvero irragionevole, prima ancora che profondamente sbagliato".
"Si pensa forse - proseguono - di sottoporre a giudizio di responsabilità civile il giudice di primo grado ogni volta che una sua decisione venga annullata in sede di appello e il giudice di appello ogni volta che la sua decisione sia annullata dalla Cassazione? E di sottoporre a giudizio di responsabilità i giudici che abbiano seguito un orientamento giurisprudenziale diverso da quello dominante? Si dimentica forse che i maggiori progressi per l'affermazione e la tutela dei diritti fondamentali si sono realizzati grazie a interpretazioni giurisprudenziali prima minoritarie e poi via via consolidate? Si dimentica forse quanto complesso e articolato sia il sistema delle fonti nazionali e sovranazionali e quanto proprio i contrasti di giurisprudenza tra corti nazionali e sovranazionali abbiano contribuito alla crescita e al consolidamento di un sistema di diritti e di garanzie? O forse semplicemente si finge di ignorarlo e si pretende di sostenere una concezione ottocentesca della funzione giudiziaria, antistorica e giacobina, al solo scopo di affermare una pretesa supremazia del potere politico sul potere giudiziario". "Quale giudice, da domani, - conclude l'Anm - sarà nella serenità d'animo di emettere una qualsiasi decisione con il rischio di veder avanzata, anche per ritorsione o pretestuosità, nei suoi confronti un'azione di responsabilità?".
24 marzo 2010 Colpo di mano Responsabilità civile delle toghe Blitz a Montecitorio: in aula lunedì Pronta per andare in aula alla Camera, dopo un doppio passaggio in commissione, la legge comunitaria (che recepisce alcune disposizioni dell’Ue) nasconde nella sue pieghe un’anticipazione della riforma costituzionale della giustizia varata il 10 marzo dal governo. Un’anticipazione non di poco conto, visto che viene introdotta, grazie a un emendamento del leghista Gianluca Pini, una forma anche piuttosto estesa di responsabilità civile del magistrato. Giustificata come la necessità di venire incontro a una richiesta dell’Unione europea in tal senso. Le opposizioni hanno parlato di blitz della maggioranza, accusata di voler far approvare, alla chetichella, in modo surrettizio e senza alcuna discussione, una parte importante della riforma della giustizia. Ma il centrodestra ha tenuto duro. Così ieri, dopo un passaggio in Commissione Giustizia per un parere, la Commissione politiche europee ha approvato, a maggioranza, la legge comunitaria, facendo proprio l’emendamento Pini. L’emendamento sarà leggermente modificato in aula, ha annunciato il relatore, per tenere conto del parere tecnico della Commissione Giustizia: un parere che non ne modifica la sostanza. Il testo, così come è uscito dalle commissioni, prevede che il magistrato possa essere chiamato a rispondere sul piano civile non più per "dolo e colpa grave", così come prevede la legge vigente, ma per una "violazione manifesta del diritto". Una ipotesi, secondo le opposizioni, talmente generica, che allargherebbe in modo abnorme la casistica di ricorsi contro i magistrati, intimidendoli preventivamente o addirittura bloccando i tribunali. L’Udc aveva proposto una formula di mediazione, ma è stata bocciata dalla maggioranza, insieme a un emendamento del Pd. Duri i commenti delle opposizioni. Rocco Buttiglione, presidente dell’Udc parla di norma "inaccettabile nel contenuto e offensiva nella forma: si approfitta della legge comunitaria per finalità del tutto estranee alla natura della legge". Senza contare, aggiunge Roberto Rao, che a pagare dovrà essere lo Stato. La presidente della Commissione Giustizia della Camera Giulia Bongiorno (Fli) spara a zero: "Sarà solo una norma che creerà del caos interpretativo tra i magistrati e avrà il sapore punitivo nei loro confronti". Per Federico Palomba (Idv) si tratta né più e né meno di un "golpe". Mentre, per il Pd, Donatella Ferranti accusa: "l’emendamento Pini avrà effetti estremamente dannosi per l’erario e destabilizzanti per l’intero sistema giustizia. La verità è che pur di intimidire la magistratura e trasformarla in un corpo di burocrati, la maggioranza è disposta a sprecare il denaro pubblico". Mentre Lega e Pdl fanno quadrato (Enrico Costa dice che si tratta "di norme di civiltà, nell’interesse dei cittadini, tese a rispettare con oltre venti anni di ritardo l’esito inequivoco di un referendum in materia"), interviene anche Luca Palamara, segretario dell’Anm. Per lui "è evidente che è cominciata la stagione delle misure punitive" nei confronti dei magistrati. Giovanni Grasso
2011-03-22 22 marzo 2011 ROMA Processo breve, rispunta prescrizione ridotta per incensurati La Commissione giustizia della Camera ha approvato la norma presentata dal relatore Maurizio Paniz al testo sul processo breve che riduce i tempi di prescrizione per gli incensurati. Tutta l'opposizione ha votato contro. La norma, che introduce l'articolo 4-bis nel testo, prevede che per gli incensurati ci siano dei tempi di prescrizione più brevi che per i recidivi. In sostanza si stabilisce che quando si è in presenza di atti interruttivi del processo, come ad esempio un interrogatorio, il tetto massimo della pena aumenti non più di un quarto, ma di un sesto per le persone mai condannate prima il cui processo non sia arrivato alla sentenza di primo grado. Per quanto riguarda quest'ultimo punto, il relatore del provvedimento Maurizio Paniz si è detto disponibile a rivederlo. Lasciando questa previsione della sentenza di primo grado come elemento di differenziazione tra gli incensurati, si rischierebbe, secondo il Pd, di creare una differenza sostanziale "tra incensurati e incensurati". Anche il leader dell'Idv Antonio Di Pietro ha infatti chiesto che questo secondo comma dell'articolo 4-bis venga eliminato. Così la "norma-Paniz" potrà essere fatta valere nei confronti di tutti coloro che non sono ancora stati condannati con sentenza passata in giudicato senza prevedere più il discrimine che abbiano o meno avuto una sentenza di primo grado nei loro confronti. "La maggioranza è davvero spudorata - tuona il capogruppo del Pd in Commissione Giustizia, Donatella Ferranti - perché sembra che stiano approfittando della guerra per accelerare su tutte le norme ad personam che riguardano Berlusconi".
2011-03-14 14 marzo 2011 LOTTA ALLA MALAVITA 'Ndrangheta, 35 arresti in Lombardia Trentacinque arresti nei confronti di altrettanti affiliati alla 'ndrangheta in Lombardia sono in corso in queste ore da parte del nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Milano, dei Carabinieri del Ros, in collaborazione con la Polizia locale. Sequestrati anche beni per due milioni di euro. Le ordinanze di custodia cautelare sono state disposte dal gip Giuseppe Gennari su richiesta della Dda milanese. Gli arrestati sono indagati per associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, minacce, smaltimento illecito di rifiuti e spaccio di sostanze stupefacenti. L'operazione è coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini, insieme ai pm Alessandra Dolci, Paolo Storari e Galileo Proietto. Le indagini hanno permesso anche di ottenere il sequestro di beni per un valore di oltre due milioni di euro.
2011-03-12 12 marzo 2011 POLITICA Giustizia, Berlusconi difende la riforma: non è ad personam "Non è una legge ad personam, non è una riforma per una persona o contro una persona, perché non si applica ai processi in corso e quindi l'opposizione non potrà dire che si applica ai miei processi. E' una riforma per gli italiani, è rispettosa dei principi costituzionali, ha come obiettivo - come ho appena detto e lo ripeto - il giusto processo e una giustizia finalmente giusta nell' interesse dei cittadini". Così il premier Silvio Berlusconi, in un messaggio ai Promotori della Libertà, difende la riforma della giustizia. "Il grande Alexis de Toqueville diceva: 'Tra tutte le dittature la peggiore e' quella dei giudici. Ecco con questa riforma noi cercheremo di evitare che questo ci accada e voi dovete darci una mano per spiegarlo a tutti gli italiani". ''Dal 1994 in poi nelle campagne elettorali ci siamo impegnati a rifondare la giustizia, ma i nostri sforzi sono stati puntualmente vanificati perché Fini e i suoi, giustizialisti e statalisti, si sono messi sempre di traverso, in accordo con le correnti di sinistra della magistratura". "Ora che Fini e i suoi - afferma Berlusconi - non sono più con noi, la maggioranza - anche se più limitata nei numeri - è più coesa e determinata e questo ci consentirà di portare in Parlamento una riforma costituzionale della giustizia assolutamente equilibrata e moderna". Il primo intervento della riforma della giustizia ''sara' la separazione delle carriere tra la magistratura giudicante e l'ordine degli avvocati dell'accusa, che sara' sancita con l'istituzione di due Csm, entrambi presieduti dal capo dello Stato, con un eguale numero di consiglieri togati cioe' di magistrati e di consiglieri laici, cioe' consiglieri nominati dal Parlamento''. Sottolinea il presidente del Consiglio. In questo modo, aggiunge, ''si porra' fine allo strapotere delle correnti politicizzate della magistratura, che hanno trasformato il Consiglio Superiore della Magistratura in una specie di Terza Camera politica sempre pronta a criticare il governo e il Parlamento e ad intervenire addirittura con commenti sulle leggi in discussione alle Camere''. "Cari amici, questa volta indietro non si torna, anche se noi, con lo spirito liberale che ci muove, saremo sicuramente aperti a integrazioni e a miglioramenti che potranno anche esserci suggeriti dai nostri oppositori purché non si snaturi l'impianto complessivo della riforma", sostiene Berlusconi. "Nei prossimi giorni e nelle prossime settimane dovremo rispondere ai numerosi attacchi che la sinistra e le toghe rosse hanno già iniziato a rovesciarci addosso nel tentativo di ostacolare ed evitare questa riforma. Ma sappiamo di avere argomenti molto validi per ribattere ad ogni critica e ripeto, una maggioranza coesa e determinata in Parlamento. Noi siamo un grande partito riformatore che si deve confrontare con una opposizione conservatrice che non fa l'interesse del Paese per fare il male di Berlusconi".
12 marzo 2011 IL DDL COSTITUZIONALE Giustizia, pressing Pdl Opposizioni diffidenti Il confronto sulla giustizia è già una partita a scacchi. La maggioranza "chiama" l’opposizione al tavolo delle trattative, consapevole che a un no secco può replicare con l’accusa di "conservatorismo" e "arroccamento" sulle posizioni dei pm. "Non è una crociata contro i magistrati, la protesta dell’Anm è corporativa", ripete il ministro Angelino Alfano per convincere chi al centro e a sinistra ha un pedigree da riformista. E ai democratici, che più degli altri si sono divisi tra chi esclude nettamente il confronto e chi "accetta la sfida", chiede di "portare le loro idee". Ma Nuovo Polo e Pd, con sfumature diverse, cercano di non farsi stanare, di mantenere un equilibrio tra la necessità-dovere di "vedere le carte" e il rischio di offrire un assist goloso a Berlusconi. Il Cavaliere però non vuole fasi di stallo: ai suoi parlamentari avrebbe ordinato l’"avanti tutta", addirittura auspicando l’approvazione in una delle Camere entro l’estate e la chiusura della partita ad inizio 2012 ("Ce la faremo entro la legislatura", dice più realisticamente il Guardasigilli). In ogni caso, in via dell’Umiltà si dice chiaro e tondo che l’ok delle opposizioni è auspicabile ma non dirimente, e che anzi un eventuale referendum confermativo potrebbe essere un’arma in più nella prossima campagna elettorale. Del dialogo con le altre parti, comunque, si occuperanno Alfano e i "giuristi" del Pdl, perché il premier ha già pronto un altro dossier utile in vista delle amministrative di maggio e della "conquista di Napoli": la riforma fiscale. Il cerino acceso è dunque dall’altra parte della barricata. Gianfranco Fini (in Fli già diversi "moderati" hanno espresso un parere favorevole alla riforma, mentre il vicepresidente Italo Bocchino ha evidenziato, pur senza chiudere il discorso, alcuni "punti oscuri"), in una riflessione generale sulle riforme costituzionali afferma che è "responsabile definire le regole non a colpi di maggioranza ma cercando il dialogo e il confronto". E che tale atteggiamento non è da confondere con "cupidigia di accordo e inciuci". Dunque l’idea di fondo tra i terzopolisti è che al tavolo, pur senza particolari entusiasmi e con la "giusta diffidenza", come dice Pier Ferdinando Casini, occorre sedersi. Magari - e qui è Francesco Rutelli a farlo intendere - mettendo sul tavolo anche provvedimenti più "ordinari" e la rinuncia alle norme ad personam. Oppure, ed è ancora Casini a riprendere il filo, ponendo questioni concrete: come evitare - si chiede il leader dell’Udc - che le leggi ordinarie chiamate a dar corpo alla riforma siano cambiate da ogni maggioranza? Ma è nel Pd che gli abboccamenti del Pdl creano più dibattito. Quella di Bersani somiglia più a una chiusura: "In Aula discuteremo come sempre, ma la riforma costituzionale non è l’urgenza del Paese. È un sasso lanciato nel vuoto - a fini elettorali, fa intendere -, tra una settimana torneremo a parlare di Berlusconi". E rilancia su altri interventi "ordinari" per l’efficienza della macchina giudiziaria. Pur restando nello stesso solco, Anna Finocchiaro è già più disposta a vedere le carte, con un’avvertenza: "Stop a bugie e propaganda", specie sul paragone - a suo dire errato - tra la riforma-Alfano e la bozza-Boato nata dalla Bicamerale guidata da D’Alema nel ’97. E per un’altra voce autorevole, quella di Veltroni, "con la presenza di Berlusconi non può esserci il clima costituzionale". A conti fatti l’unico a sbattere decisamente la porta è Antonio Di Pietro ("è una riforma criminogena", denuncia l’ex pm), e allora il Pdl può rilanciare l’offerta, con un occhio particolare ai centristi: "Ben vengano le disponibilità dell’opposizione, seppure diffidenti", dice Fabrizio Cicchitto. Marco Iasevoli
12 marzo 2011 MILANO Processi al premier: sul calendario pm e tribunale divisi Nove udienze fino a luglio, tutte di lunedì. Berlusconi si era detto disponibile a presenziare solo a inizio settimana, la corte che ieri ha riaperto il processo sul caso Mills lo ha accontentato. Procura e Tribunale di Milano però si dividono sul calendario dei processi a Silvio Berlusconi. I magistrati inquirenti vorrebbero accelerare i tempi per evitare la prescrizione (nel caso Mills è fissata per l’inizio del 2012) e per concludere il più velocemente possibile il giudizio immediato nel Ruby-gate, messo in agenda a partire dal 6 aprile. Il Tribunale, al momento, sembra orientato a venire incontro alla richiesta del premier di processarlo solo al primo giorno della settimana quando, secondo i legali di Berlusconi, il Cavaliere potrebbe partecipare alle udienze non avendo legittimi impedimenti, come le sedute del Consiglio dei ministri. "Il tempo è inesorabile", ha reagito in aula il pm Fabio De Pasquale che, nei giorni scorsi, aveva depositato ai giudici la richiesta di un calendario molto fitto nel procedimento per corruzione in atti giudiziari. Il capo del governo è accusato di aver comprato con 600mila dollari il silenzio del testimone, l’avvocato inglese David Mills, in due processi su fondi neri del gruppo del Biscione. Le udienze cadenzate solo al lunedì permetterebbero però di arrivare solo alla sentenza di primo grado. Il reato si prescriverà all’inizio del 2012 e non ci sarebbe tempo per eventuali ricorsi in Appello e in Cassazione. "Mi sembra che il pm abbia una fretta frenetica, ma noi ci opporremo alle forzature". Così il difensore del Cavaliere, l’avvocato Niccolò Ghedini, ha commentato le richiesta del pm De Pasquale. "Non dipende solo da noi, magari l’Anm annuncia uno sciopero (per la riforma della Giustizia, ndr)", fa eco a Ghedini il collega Piero Longo. Ma in quel caso "bisogna vedere se questo tribunale farà sciopero", taglia corto il presidente della corte Francesca Vitale, che più volte ha dovuto ristabilire la calma tra le parti in udienza. Alla domanda dei cronisti che gli chiedevano se davvero è possibile che si arrivi ad una sentenza definitiva per il caso Mills, il legale del premier risponde annunciando battaglia: "Tecnicamente è possibile, ma se si volessero fare straordinarie forzature noi ci opporremo". Terminata l’udienza, che riprenderà lunedì 21 marzo forse alla presenza di Berlusconi, i legali si sono recati negli uffici della procura per ritirare copia di altri documenti sul caso Ruby. I pm Boccassini-Forno-Sangermano, anche dopo la decisione del gip che ha mandato a processo Berlusconi per concussione e prostituzione minorile (prima udienza 6 aprile), hanno continuato a svolgere, come consente il codice, attività d’indagine integrativa su nuove fonti di prova. Tra queste tutta una serie di ulteriori accertamenti bancari utili a ricostruire il giro di denaro per l’organizzazione delle presunte serate a luci rosse nella villa di Arcore. I pm hanno individuato 6 assegni cambiati in contanti nel dicembre 2010, per un totale di 1,5 milioni di euro. Il denaro proveniva dai conti del premier e finiva nelle mani delle "ospiti fisse" di villa San Martino. Sullo sfondo il giallo della tentata corruzione di una funzionaria dell’anagrafe del Marocco a cui sarebbe stato chiesto di "anticipare" l’anno di nascita di Karima "Ruby" el-Marough, così da dimostrare che fosse già maggiorenne all’epoca degli incontri con Berlusconi. Fonti giudiziarie affermano che la competenza del caso risulta essere della procura di Roma e non di quella di Milano. E a Roma i legali del premier hanno depositato una denuncia "contro chiunque abbia commesso questi fatti", ritenuto "un trappolone" per danneggiare Berlusconi. Nello Scavo
2011-03-10 10 marzo 2011 ROMA Riforma della giustizia Via libera del governo Il Consiglio dei ministri ha dato via libera al disegno di legge costituzionale per la riforma della giustizia. Una riforma che il premier Silvio Berlusconi definisce "epocale", e che a chi lo accusa di volere una legge ad personam replica essere non nel suo ma nell'interesse dei cittadini. Sulla responsabilità dei pm, Berlusconi difende il principio del "chi sbaglia paga": se un giudice sbaglia, il ragionamento, paga come pagano medici o ingegneri che sbagliano interventi o progetti. BERLUSCONI, VIA GIUDIZIARIA USATA PER ELIMINARE GOVERNI Se fosse stata varata prima la riforma della giustizia "non ci sarebbe stata quella situazione che ha portato a cambiamenti di governo, all'annullamento di una classe di governo nel '92-93, all'abbattimento di un governo nel '94, alla caduta di un governo di sinistra nel 2008 per la proposta di riforma della giustizia del ministro Mastella e il tentativo di eliminare per via giudiziaria il governo in carica". Lo sottolinea il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, nel corso di una conferenza stampa a palazzo Chigi. "Zero, assolutamente zero", questa è una riforma "pensata nel '94, da quando sono sceso in campo e una volta ebbi a dire che non avrei lasciato la politica fino a quando non fosse cambiata la giustizia in Italia". Così Berlusconi ha risposto alla domanda di un cronista. TOGHE RESPONSABILI COME DIPENDENTI PUBBLICI "I magistrati sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione dei diritti, al pari degli altri funzionari e dipendenti dello Stato". È quanto prevede la bozza di riforma della giustizia, in 16 articoli, che il Guardasigilli Angelino Alfano ha illustrato al Quirinale. Questo significa che le toghe potranno essere chiamate a rispondere di tasca propria dal cittadino che potrà citare direttamente loro in giudizio e non lo Stato come è ora. Nella bozza si prevede anche, come aggiunta all'articolo 113 della Costituzione (diventa il 113 bis), che "nei casi di ingiusta detenzione o di altra indebita limitazione della libertà personale, la legge regola la responsabilità civile dei magistrati"la quale "si estende allo Stato". DUE CSM PRESIEDUTI DA CAPO DELLO STATO I Csm diventano due: uno per i giudici e uno per i pm. Entrambi presieduti dal capo dello Stato. È questa la novità introdotta nell'ultima versione della bozza della riforma della giustizia. Cade dunque l'ipotesi che a capo del Csm dei magistrati requirenti vada il Ppocuratore generale della Cassazione eletto dal Parlamento in seduta comune su indicazione del Csm. Parte quest'ultima eliminata nelle ultime ore. Del Csm dei giudici farà parte di diritto il primo presidente della Corte di Cassazione. Gli altri componenti saranno per il 50% scelti dai giudici previo sorteggio degli eleggibili (con l'intento di ridurre il peso delle correnti della magistratura associata), per l'altra metà dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università di materie giuridiche ed avvocati dopo 15 anni di esercizio. Il vicepresidente del Csm della magistratura giudicante sarà scelto tra i componenti laici. Durano in carica 4 anni e non sono rieleggibili (in Costituzione ora si prevede che non siano "immediatamente rieleggibili"). La novità dell'ultima ora riguarda il Csm dei pm: sarà anch'esso presieduto dal capo dello Stato e ne farà parte come membro di diritto il procuratore generale della Cassazione, ma salvo cambiamenti dell'ultim'ora, si prevede un ribaltamento dell'attuale proporzione ora a maggioranza "togata". La componente "togata" dovrebbe infatti essere ridotta a un terzo (previo sorteggio degli eleggibili) mentre quella "laica" arriverebbe a due terzi. Modifiche anche all'attuale art.105 della Costituzione: i Consigli superiori - secondo l'ultima versione di bozza - "non possono adottare atti di indirizzo politico né esercitare attività diverse da quelle previste dalla Costituzione". Espunta dalla bozza, invece, l'iniziale previsione secondo cui i Csm avrebbero potuto esprimere parere sui ddl del governo solo su richiesta del ministro della Giustizia.
10 marzo 2011 RIFORMA Giustizia, bozza al Quirinale: "Confronto senza strappi" "Favorire il più possibile un clima condiviso nella riforma della giustizia". Giorgio Napolitano con il ministro Angelino Alfano non va oltre un doveroso, e non certo inaspettato, monito di carattere generale sul provvedimento "epocale" che oggi arriva in Consiglio dei ministri. Tanto epocale che - trapela dal Colle - sarebbe certo stato preferibile un coinvolgimento preventivo con qualche anticipo, sì da poter entrare nel merito, andando oltre la corretta formalità istituzionale. "La discussione avverrà con tutte le garanzie che la Costituzione offre perché condivisione vi sia, in Parlamento, o anche in seguito, davanti al corpo elettorale, per referendum. Ma è fondamentale - ha auspicato fermo il capo dello Stato - che non si adottino nel frattempo con legge ordinaria provvedimenti che appaiano punitivi per la magistratura. Che non impediscano, già in partenza, quel clima di condivisione necessario". Chiaro il monito: sarebbe auspicabile una sospensione della stretta sulle intercettazioni e del testo sul "processo breve". E altrettanto auspicabili provvedimenti per venire incontro alle ristrettezze della giustizia. "Da Napolitano considerazioni di carattere generale, che ho ascoltato e recepito con la dovuta attenzione", dice al termine dell’incontro, Alfano. Un incontro tenutosi, assicura, "in un clima sereno.", aggiunge. Ma più che un colloquio, in realtà, si è trattato di una lunga e approfondita relazione del Guardasigilli, al capo dello Stato che per più di un’ora si è limitato al ruolo di attento interlocutore. Attento anche a non accreditare l’idea di un avallo, o bocciatura, preventivi al testo o a parti di esso. Testo che, anzi, proprio per questo, non è stato neanche formalmente presentato a Napolitano che non avrebbe gradito, a quel punto. "Quale testo?", sgombra il campo Alfano, precisando che quello vero si avrà solo oggi che la riforma arriva in Consiglio dei ministri, tenendo conto, evidentemente, anche delle raccomandazioni, sia pur generiche, del Quirinale. Al lavoro, perciò, con Alfano, nella notte, i legali del premier guidati Niccolo Ghedini, alle ultime limature al testo. Nell’ultima versione prospettata a Napolitano anche un possibile, fondamentale, correttivo dell’ultim’ora, che restituisca la guida unica al presidente della Repubblica del sia pur sdoppiato Consiglio superiore, mentre si era parlato di un Csm dei magistrati della pubblica accusa guidato da un Procuratore generale della Cassazione. Sulla cui - ipotizzata - nomina politica rischiano però di aprirsi profili di discutibile costituzionalità. Nel successivo incontro, in serata, con i deputati di Iniziativa responsabile, Alfano ha tenuto aperte le due ipotesi. "Sarà il Consiglio dei ministri a pronunciarsi definitivamente sulla presidenza unica o sdoppiata dei due Csm", ha spiegato il Guardasigilli. Assi portanti della riforma restano comunque la parità di accusa e difesa da perseguire con la separazione delle carriere e anche la divisione, al pari del Csm, della Corte di disciplina in due sezioni. Confermata anche la modifica che vuole i magistrati "direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione dei diritti, al pari degli altri funzionari e dipendenti dello Stato". Le toghe potranno quindi essere chiamate a rispondere personalmente dei risarcimenti richiesti dal cittadino che potrà citarli in giudizio. Una previsione che comporterebbe un’aggiunta all’articolo 113 della Costituzione (che diventa il 113 bis), in base alla quale "nei casi di ingiusta detenzione o di altra indebita limitazione della libertà personale, la legge regola la responsabilità civile dei magistrati" la quale "si estende allo Stato". Angelo Picariello
2011-03-03 3 marzo 2011 POLITICA E GIUSTIZIA Prescrizione breve per over 65 Polemica sulla proposta del Pdl Il giudice, in presenza di un imputato incensurato o che abbia superato i 65 anni di età è obbligato ad applicare sempre e comunque le attenuanti generiche. Con conseguente riduzione dei tempi di prescrizione del reato. È questa una delle norme contenute nella proposta di legge presentata alla Camera dal deputato del Pdl Luigi Vitali. Le attenuanti, poi, dovranno sempre considerarsi prevalenti rispetto alle aggravanti quando "per effetto della diminuzione della pena il reato risulti estinto per prescrizione". Il giudice (anche se si fosse nella fase delle indagini preliminari) dovrà pronunciare in camera di consiglio una "sentenza inappellabile di non doversi procedere". La proposta di legge, spiega lo stesso Vitali, è in realtà il frutto di un lavoro fatto dai tecnici della giustizia di Forza Italia nel 2001 che ora la maggioranza vuole riproporre. Anche per accelerare i tempi. In 44 articoli, oltre ad introdurre la prescrizione breve, si riforma di fatto buona parte del codice di procedura penale. Tra le novità che il Pdl punta ad inserire nell'ordinamento, anche l'ipotesi che a pronunciarsi su tutti i reati commessi dai magistrati (come ad esempio la violazione del segreto istruttorio) sia sempre la Corte d'Assise visto che ogni collegio può contare su due 'togatì e 6 giudici popolari. E sempre la Corte d'Assise sarà chiamata ad occuparsi di un maggior numero di reati tra cui anche quelli contro la Pubblica Amministrazione. Ma c'è anche un'altra norma destinata a far discutere: quella che rende inutilizzabili tutti gli atti di indagine nel caso in cui il Pm non abbia esercitato l'azione penale o non abbia richiesto l'archiviazione per tempo, cioè senza rispettare il termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice. È questa una misura, commenta l'opposizione, che cancellerebbe di fatto il processo sul caso Ruby. L'iscrizione nel registro degli indagati di Berlusconi, infatti, è avvenuta qualche tempo dopo quella degli altri imputati coinvolti nella vicenda.
2011-02-22 22 febbraio 2011 POLITICA E GIUSTIZIA Immunità, il "no" del Pd Bondi: voi come Di Pietro Muro delle opposizioni contro l’ipotesi di reintrodurre l’immunità parlamentare. Nonostante le aperture di alcuni parlamentari del Pd, la posizione del partito "è assolutamente contraria", ha chiarito il segretario Pier Luigi Bersani. "Noi siamo per ribaltare l’agenda e per dire che è ora di mettere all’ordine del giorno non l’immunità parlamentare, ma regole, onestà, sobrietà". Già in mattinata il capogruppo alla Camera, Dario Franceschini, aveva annunciato un "no senza ambiguità" alla reintroduzione dell’istituto. "Non esiste che per bloccare i processi di Berlusconi – dice – si dia l’immunità a lui e ad altri 944 parlamentari". Si adegua alla decisione del partito Silvio Sircana, cofirmatario del ddl costituzionale in Senato, che qualche giorno fa si era augurato un cammino bipartisan per la reintroduzione dell’immunità: "A me pareva di poter dare un contributo intelligente per dare un senso diverso ad un dibattito che si trascina ormai da troppo tempo – spiega l’ex portavoce di Romano Prodi – ma se il partito decide diversamente non ne faccio una malattia, io sono un parlamentare disciplinato". Non fa invece passi indietro Franca Chiaromonte, senatrice sempre del Pd e prima firmataria del testo. "Non ho nessuna intenzione di ritirarlo", chiarisce. Nel novero dei firmatari, tra l’altro, c’è anche il capogruppo dell’Udc a Palazzo Madama, Gianpiero D’Alia. La linea ufficiale del partito centrista è, però, improntata alla contrarietà. L’altroieri si è espresso il leader Pier Ferdinando Casini per il quale parlare di immunità significa "essere fuori dal mondo". E ieri il segretario Lorenzo Cesa ha ribadito: "Con questo clima di scontro tra presidente del Consiglio e magistratura è impensabile procedere ad una seria riforma della giustizia", spiega. Anche Savino Pezzotta tuona: "Non posso essere complice di un percorso che mira solo a salvaguardare il presidente del Consiglio. Il quale oggi ha un unico dovere: sottoporsi al giudizio come farebbe ogni cittadino normale". Più o meno le parole di Antonio Di Pietro.Ma l’ex pm si lascia anche andare all’evocazione di scenari cupi. La reintroduzione dell’immunità, infatti, "farebbe diventare il Parlamento il luogo più mafioso d’Italia, perché a quel punto i mafiosi verrebbero tutti in Parlamento per le autorizzazioni a non procedere". Altolà anche dai finiani che con Fabio Granata ribadiscono la loro "totale contrarietà" al provvedimento. "Il 90% degli italiani è contrario e il collegamento temporale ai guai di Berlusconi e della cricca è fin troppo evidente", dice il vicepresidente dell’Antimafia. "L’immunità era nella Costituzione", ricorda il Pdl con Fabrizio Cicchitto - si tratta di ripristinarla. La maggioranza andrà quindi avanti su questo tema, ripete Cicchitto e anche la Lega, assicura, "voterà a favore ricordando il nostro impegno sul federalismo fiscale". Critiche al "no" del Pd e, in particolare, di Franceschini vengono dallo stesso Cicchitto ("Bersani respinge ogni possibilità di confronto") e dal coordinatore del Pdl, Sandro Bondi: "È davvero singolare", dice, che "un erede della storia della Dc" si esprima "con lo stesso tono e le stesse parole di un Di Pietro". La posizione dei due dirigenti del Pd "non tiene conto di un dibattito interno ed esterno al loro partito e alle opposizioni, che non può essere liquidato con un no immotivato e stizzoso", reagisce Anna Maria Bernini. "Le opposizioni sono diventate un’autentica fumeria d’oppio da cui escono dichiarazioni allucinate", l’immagine del collega Osvaldo Napoli. Bocche cucite dal Carroccio, impegnato a portare a casa la riforma che più gli sta a cuore, quella federalista. La reintroduzione dell’immunità parlamentare, comunque, non è una novità, frutto dell’ultimo rilancio della maggioranza per la riforma della giustizia. In Parlamento, tra Camera e Senato, giacciono da tempo alcune proposte di legge, tra le quali quella di Giuseppe Calderisi, per reintrodurre con modifica costituzionale la norma cancellata sull’onda emotiva di Tangentopoli, con la legge costituzionale del 29 ottobre del 1993. Gianni Santamaria
2011-02-19 18 febbraio 2011 POLITICA Giustizia, sì alla relazione Alfano Presto Cdm straordinario Approvato all'unanimità la relazione del ministro della Giustizia Angelino Alfano sul ddl che contiene la riforma costituzionale della riforma della giustizia. Le bozze, già pronte dallo scorso novembre, sarebbero state tirate fuori dai cassetti del ministero della Giustizia giovedì. E oggi, nel corso della riunione a palazzo Chigi, si è deciso di varale. La riforma prevede un ddl costituzionale per separare le carriere di giudici e pm, per dividere in due il Csm e per dare più poteri al ministro della Giustizia. Non è escluso che - secondo quanto si è appreso - il governo intenda procedere anche con un ddl sulla responsabilità civile dei magistrati. Un Consiglio dei ministri straordinario sarà convocato nei prossimi giorni per l'approvazione definitiva mentre martedì si riunirà un comitato di ministri e di tecnici per approfondire i contenuti del testo del ddl. La decisione è stata presa dopo il via libera all'unanimità alla relazione del Guardasigilli Alfano.
2011-01-14 14 gennaio 2011 PROCURA DI MILANO Berlusconi indagato per il caso Ruby Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è indagato a Milano per la vicenda Ruby. Lo riferiscono le agenzie di stampa. I reati contestati sono di concussione e prostituzione minorile. La notizia arriva all'indomani della sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato in parte la legge sul legittimo impedimento. Al momento non è giunto nessun commento da Palazzo Chigi né dalla procura. Nell'ambito della stessa indagine, questa mattina sono in corso perquisizioni nell'abitazione e negli uffici del consigliere regionale Nicole Minetti, anche lei indagata, insieme a Lele Mora ed Emilio Fede, nell'inchiesta della procura di Milano. Il premier, quando la vicenda era emersa nei mesi scorsi, aveva respinto oggi sospetto, asserendo di aver semplicemente aiutato una persona bisognosa.
14 gennaio 2011 CORTE COSTITUZIONALE Incrinato il mini-scudo Devono essere i giudici a valutare caso per caso se davvero premier e ministri possono avvalersi del "legittimo impedimento". E non può valere quel meccanismo automatico per cui palazzo Chigi presenta una "autocertificazione" con gli impegni istituzionali "continuativi" e la corte rimanda l’udienza di sei mesi. L’attesa sentenza della Corte costituzionale non boccia in modo integrale la legge, ma ne stronca, dichiarandoli "illegittimi" e in contrasto con gli articoli 3 e 138 della Costituzione, i due punti più discussi. Una soluzione annunciata, frutto di mediazioni, che ha evitato la spaccatura della Consulta: nelle votazioni (secretate) relative ai singoli commi si sono raggiunte maggioranze più ampie del previsto (si sussurra di un 12 a 3 sul documento finale), mentre se si fosse votata l’incostituzionalità tout-court dell’intero provvedimento lo scontro si sarebbe radicalizzato (8 giudici erano dati dalle previsioni contro la legge, 7 a favore). D’altra parte, da quando è parso evidente che la bilancia della Consulta pendeva verso la bocciatura, anche i legali del premier avrebbero aperto spiragli ad una resa onorevole che non cancellasse l’intero "scudo". I "custodi della Carta" si sono pronunciati nel cuore del pomeriggio, mentre fuori il popolo viola e la stampa internazionale assediavano il palazzo. Il comunicato finale è, come nel costume della Corte, stringato e senza commenti. Le motivazioni saranno note a fine mese, le scriverà il relatore Sabino Cassese e le sottoporrà ai colleghi - forse nella camera di consiglio del 24 - per una nuova votazione. Solo dopo la pubblicazione in Gazzetta la sentenza sarà operativa. Proprio Cassese, ieri mattina, ha aperto il confronto proponendo - secondo indiscrezioni - la bocciatura del comma 4 (quello sul rinvio automatico di 6 mesi previa autocertificazione dell’esecutivo) e il salvataggio del primo (che elenca le attività per cui premier e ministri possono chiedere di non partecipare alle udienze), purché fosse salvo il diritto del giudice a non essere mero osservatore. Ad ora di pranzo, però, l’ipotesi più accreditata era la cancellazione totale della norma con un solo voto di scarto. Alla ripresa pomeridiana, lo scatto di reni: si raggiunge un’ampia convergenza anche sulla illegittimità del terzo comma, che come formulato in Aula non permette al giudice - ancora lo stesso nodo - di valutare "in concreto" gli impedimenti addotti. Mentre vengono considerate legittime le altre disposizioni. La temperatura nella Consulta scende, e alla fine alla mediazione si sarebbero opposti solo i giudici dati più vicini al Pdl. Marco Iasevoli
14 gennaio 2011 L'ATTESO VERDETTO Berlusconi: "Almeno non hanno demolito la legge" "Le decisioni della Consulta sono assolutamente ininfluenti, il governo andrà avanti perché l'Italia ha bisogno di tutto tranne che di elezioni anticipate". Lo ha detto il premier Silvio Berlusconi in collegamento con Mattino Cinque. "Devo dire che non mi aspettavo nulla di diverso", ricordo che il legittimo impedimento "non l'ho chiesto io: la sentenza non ha demolito l'impianto della legge, ha riconosciuto che il legittimo impedimento è giusto e necessario per chi svolge attività di governo". Con la decisione della Consulta "sono state "tipizzate"" alcune fattispecie "cioè si è indicato nella legge che per esempio presiedere il Consiglio dei ministri è un impedimento legittimo, così come presiedere una riunione internazionale è legittimo impedimento. E quindi da questo punto di vista la sentenza ha migliorato la situazione precedente". Ha spiegato il premier. Dal gruppo dei "responsabili" nascerà la "terza gamba" della maggioranza che sosterrà l'azione del governo. Lo ha affermato Berlusconi ribadendo che il suo esecutivo non sarà influenzato dalla sentenza della Corte costituzionale sul legittimo impedimento. I RETROSCENA "È vero, l’impianto della legge resta valido... La Consulta non l’ha demolito; anzi ne ha riconosciuto l’efficacia, la validità, potrei aggiungere che ne ha salvaguardato i principi... Ma questo è un mezzo compromesso, nulla di più". Berlusconi sembra ripetere, quasi meccanicamente, la "lezione" di Niccolò Ghedini e di Angelino Alfano. Poi, all’improvviso, interroga i collaboratori più stretti riuniti a Palazzo Grazioli e le valutazioni più politiche prendono il posto di quelle "tecniche": "Così, però, l’ultima parola resta ai giudici... E io fatico a credere che siano davvero capaci di aprire una nuova stagione di leale collaborazione...". E allora? Berlusconi ha già una strategia: "Ogni volta che un giudice eccepirà ricorrerò alla Consulta e solleverò un conflitto di attribuzioni... Sarà una vera guerra di ricorsi". Nelle tre ore immediatamente successive alla sentenza si fatica a capire come calibrare il messaggio e allora la dichiarazione di Sandro Bondi resta ferma sui siti come la linea ufficiale del Pdl. "La Consulta ha stabilito la superiorità dell’ordine giudiziario rispetto a quello democratico... Siamo di fronte al rovesciamento dei cardini non solo della nostra Costituzione, ma dei principi fondamentali di ogni ordine democratico". Berlusconi capisce il senso di quell’atto d’accusa. Almeno in parte lo condivide e a tratti sembra quasi tentato di utilizzarlo questa mattina quando potrebbe essere ospite di Mattino 5. L’appuntamento è fissato, ma il premier è stanco e potrebbe a sorpresa decidere di annullarlo. Perché non vuole più parlare di legittimo impedimento. E perché vuole evitare di farsi guidare dall’istinto e di aprire nuovi fronti con i giudici. A lui interessa il governo. Le riforme. La sua linea è quella della Lega, quella dettata dai capigruppo del carroccio Bricolo e Reguzzoni: "Sapevamo benissimo che la maggioranza dei giudici della Corte ha un atteggiamento ostile nei confronti dei provvedimenti voluti da questo governo. Ma non c’è sentenza della magistratura che può bloccare l’azione dell’esecutivo". Quando è notte Berlusconi continua a parlare attaccato al telefono. "Era chiaro che sarebbe finita così, non mi sono mai aspettato un epilogo diverso...". Ancora una volta i dubbi e i risentimenti verso i pm si alternano all’inevitabile necessità di ritrovare un confronto. "Aspettiamo le motivazioni, ma dico fin da ora che possiamo rimettere mano al legittimo impedimento in Parlamento. Riaprendo il dialogo e garantendo delle migliorie", dice quando prevale l’anima "costruttiva". Ma il Pdl non ci sta, il partito non è sulla linea di Alfano e Ghedini. Pecorella: "Oramai le leggi le scrive la Consulta". Quagliariello: "La democrazia resta limitata". Galan: "È l’ultima conferma della partigianeria della magistratura". Berlusconi legge e torna a pensare ai processi. Qualcuno lo avverte: "Presidente saranno tutti prescritti...". Lui scuote la testa: "Non ho mai voluto che finisse così. Sono innocente e avrei preteso un’assoluzione". Arturo Celletti
2011-01-13 13 gennaio 2011 LEGITTIMO IMPEDIMENTO Scudo al premier, parola alla Consulta
Alla vigilia della sentenza della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento, il premier Silvio Berlusconi ostenta un certo distacco. Dalla Germania, dove ha incontrato la cancelliera Merkel, il Cavaliere ha fatto sapere di non temere contraccolpi per l’attività di governo da un eventuale pronunciamento negativo sullo scudo giudiziario da parte della Consulta. La quale, ieri, ha dato il via libera (tra gli altri) al referendum di iniziativa popolare contro il legittimo impedimento, presentato dall’Italia dei Valori. Per Berlusconi, comunque, "non c’è nessun pericolo per la stabilità di governo qualunque sia l’esito della decisione della Corte costituzionale". Aggiungendo, riguardo al legittimo impedimento: "È una norma che io non ho mai richiesta; è un’iniziativa portata avanti dai gruppi parlamentari. Io sono naturalmente e totalmente indifferente al fatto che ci possa essere un fermo o meno nei processi che considero processi assolutamente ridicoli". Le sue successive parole tradiscono però uno stato d’animo non proprio sereno nei confronti della magistratura: "Ne ho parlato anche con Angela Merkel, la patologia per la nostra democrazia è la presenza di un ordine giudiziario che si è trasformato in un potere giudiziario, esorbitando dal suo alveo costituzionale". Berlusconi, infine, ribadisce che ha intenzione di andare "in tv a spiegare ai cittadini l’anomalia italiana". I suoi fanno capire di essere pronti ad aprire, in caso di verdetto negativo, il fuoco contro la Corte Costituzionale e la magistratura. Le parole del premier, rimbalzate da Berlino a Roma, hanno creato subito un fronte polemico interno. Il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini ha subito chiosato la posizione del premier: "Inutile continuare a dare pareri in libertà che possono suonare come interferenze. La Corte costituzionale ha sempre dato prova di terzietà. Mi auguro – ha aggiunto – che la sentenza possa avallare quella che è la scelta del legislatore, però rispetteremo le decisioni della Consulta, qualsiasi esse siano". Il Pd, con Donatella Ferranti, incalza: "Se Berlusconi veramente non fosse stato interessato al legittimo impedimento avrebbe potuto non usufruirne, mentre i suoi legali lo hanno utilizzato immediatamente". E il vicepresidente dell’Api Pino Pisicchio osserva: "Ricordiamo al premier che si trova a Berlino per un bilaterale italo-tedesco e che alla cancelliera Merkel poco o nulla importa del tormentato rapporto del nostro presidente del Consiglio con la giustizia". Mentre Antonio Di Pietro si dice sicuro che la "resa dei conti giudiziaria" per Berlusconi si avvicina: se non ci penserà la Corte, il legittimo impedimento "sarà spazzato via dal referendum". Giovanni Grasso
11 gennaio 2011 LEGITTIMO IMPEDIMENTO 4 domande per capire LA LEGGE È contro la Costituzione? La Consulta deve esprimersi sulla legittimità costituzionale della legge 51 del 7 aprile 2010, che specifica quando e come il premier e i ministri possono chiedere, in virtù dei loro impegni istituzionali, il rinvio di udienze in cui risultano imputati ("legittimo impedimento"). La norma, che specifica l’estensione all’esecutivo di un istituto già esistente, vale per 18 mesi, in attesa di una legge costituzionale che indichi le prerogative del presidente del Consiglio e della sua squadra "per il sereno svolgimento" delle loro mansioni. I TRE PROCESSI Quali casi sono in bilico? Sono tre i processi al premier congelati in attesa della sentenza, tutti con sede a Milano. Il primo riguarda la presunta corruzione in atti giudiziari del legale David Mills, che in due procedimenti su reati finanziari in Fininvest e finanziamento illecito al Psi avrebbe detto il falso favorendo Berlusconi (Mills, dopo la condanna in secondo grado, ha ottenuto la prescrizione in Cassazione). Nei fascicoli Mediaset e Mediatrade si imputano al premier appropriazione indebita e frode fiscale nell’acquisizione di diritti tv. Intanto, per gli avvicendamenti tra i giudici, i processi rischiano di ripartire da zero. LA SENTENZA Possibile anche un "ni"? La Consulta dirà se il legittimo impedimento ha invaso il terreno della Costituzione oppure no. Ma nel mezzo ci sono altre soluzioni: con una "sentenza interpretativa di rigetto" la Corte affiderebbe ai singoli giudici la valutazione sull’impedimento addotto dal premier. Mentre con una "sentenza additiva di legittimità" la Corte riscriverebbe la norma, cambiando le parti in conflitto con la Carta. Un’altra mediazione porterebbe a considerare "impegni istituzionali" solo quelli formali e non "le attività preparatorie e conseguenti". LE TESI Uno scudo o tutela il Paese? I giudici di Milano pensano che la norma violi sia l’articolo 3 della Carta ("tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge") sia il 138, che illustra il procedimento "speciale" per le leggi costituzionali (il legittimo impedimento è passato invece come legge "ordinaria"). Per i legali del premier invece si tutela il diritto del presidente del Consiglio, costituzionale anch’esso, di governare senza avere bastoni tra le ruote nell’interesse del Paese. Inoltre, la "difesa" ritiene malposte le ordinanze con cui i giudici milanesi si appellano alla Consulta.
2011-01-12 12 gennaio 2011 IN PRIMAVERA ALLE URNE Sì della Consulta a 4 referendum La Consulta ha dichiarato oggi ammissibili quattro referendum e ne ha bocciati due. Il via libera è arrivato al referendum abrogativo della legge sul legittimo impedimento, al referendum che vuole bloccare il ritorno del nucleare in Italia e a due referendum contro la privatizzazione dell'acqua. Inamissibili altri due referendum sulla gestione delle risorse idriche. Il referendum sul legittimo impedimento, la legge che permette al premier Silvio Berlusconi di congelare i suoi processi fino al prossimo ottobre, si dovrebbe tenere, come gli altri, in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno. In realtà tutto dipende dal giudizio che domani i giudici della Corte daranno sulla costituzionalità della legge, in una attesa sentenza sui ricorsi presentati dal tribunale di Milano, davanti al quale Berlusconi è imputato in tre processi. Il referendum, presentato dal leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro, sarà inutile se la Consulta si pronuncerà per l'incostituzionalità del legittimo impedimento, perché in questo caso la legge viene cancellata dall'ordinamento. Si terrà, invece, se i giudici decideranno per la costituzionalità. Esiste anche una terza ipotesi, quella in cui la Consulta faccia cadere solo una parte della legge. In questo caso sarebbe l'ufficio centrale della Corte di Cassazione a decidere se il referendum si terrà o meno. La Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibile anche il referendum, promosso sempre da Antonio Di Pietro, contro la costruzione di nuove centrali nucleari in Italia e a due quesiti su quattro sull'acqua ai privati. I due quesiti ammessi -- presentati dai comitati promotori della campagna "L'acqua non si vende" -- chiedono di abolire la possibilità di dare la gestione dei servizi idrici ai privati. Non ammesso è stato il referendum sull'acqua presentato dall'Idv che chiedeva l'abrogazione parziale delle norme che limitano la gestione pubblica del servizio idrico e il terzo del comitato per l'acqua pubblica su forme e procedure di affidamento delle risorse idriche. A fissare la data dei referendum sarà un decreto del presidente della Repubblica su deliberazione del consiglio dei ministri. Nel caso di scioglimento anticipato delle Camere o di una di esse, i referendum già indetti vengono sospesi. Il referendum è valido se a votare va la metà più uno degli elettori.
2011-01-05 5 gennaio 2011 GIUSTIZIA Tribunali e tagli informatici Alfano: problema risolto "Il problema è stato risolto. Il servizio riprenderà regolarmente da dopodomani e cioè dal sette gennaio, ancora prima della piena ripresa del lavoro negli uffici giudiziari". Lo afferma il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, in merito al problema dell'informatizzazione che aveva sollevato le critiche dell'Anm. "Ho sottoscritto le variazioni di bilancio necessarie per ottenere questo risultato - sottolinea Alfano - in attesa che il ministero dell'Economia, con la sensibilità che ha sempre dimostrato verso l'informatizzazione, assicuri anche il suo sostegno a questo essenziale servizio. Il pericolo era reale e siamo riusciti a scongiurarlo con il contributo di tutti coloro che, in questo frangente così delicato, hanno mostrato spirito di squadra e capacità costruttiva. E per questo, li ringrazio di cuore. In particolare, ringrazio il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, per il sostegno che mi ha offerto anche in questa circostanza". Per Alfano, però, "resta un retrogusto amaro: alcuni esponenti dell'opposizione e taluno della Anm hanno tifato per lo sfascio per potere accusare il ministro della Giustizia e il Governo di averlo creato. Si sono così improvvidamente e intempestivamente esposti, scommettendo sul nostro fallimento. Hanno perso la scommessa ancora una volta perché questo Governo - sul piano dell'efficienza degli uffici - ha fatto tantissimo ed è difficile che qualcuno possa dargli lezioni. Voglio sperare che la Anm, adesso, dia atto della soluzione individuata e della ferma volontà messa in campo per trovarla nel più breve tempo possibile. La prossima settimana - afferma inoltre il Guardasigilli -, assieme al ministro Brunetta col quale abbiamo lavorato con grande spirito di squadra, terremo una conferenza stampa per fare il punto sullo stato della digitalizzazione del sistema giustizia, per comunicare i nuovi obiettivi dell'anno 2011 e per annunciare un piano di razionalizzazione dei costi dei servizi di manutenzione. Ho già inviato una lettera urgente a tutti i vertici degli uffici giudiziari per tranquillizzarli sulla soluzione della grave problematica e per comunicare loro il giorno di ripresa dei servizi di assistenza. Sono convinto che gli organi di informazione daranno alla risoluzione del problema lo stesso risalto che hanno dato al problema stesso".
2010-12-10 10 dicembre 2010 SENTENZE Legittimo impedimento, slitta a gennaio la decisione della Consulta La Corte Costituzionale è orientata a spostare l'udienza e la decisione sulla legge sul legittimo impedimento dal prossimo 14 dicembre a gennaio, per evitare "un eccessivo sovraccarico mediatico in un clima esterno infuocato", dovuto alla coincidenza con la discussione sulla fiducia in parlamento.Lo ha detto il neo presidente della Consulta Ugo De Siervo in una conferenza stampa subito dopo la sua elezione.
2010-11-28 27 novembre 2010 CONGRESSO ANM Alfano: "Non vogliamo sottoporre i Pm al potere esecutivo" È riuscito a strappare anche qualche applauso il ministro della Giustizia Angelino Alfano nel suo intervento al Congresso dell'associazione nazionale magistrati, che è stato però spesso segnato da mormorii della platea. L'applauso è arrivato quando il ministro ha detto che proporrà al Parlamento di rendere stabile la deroga a mandare i magistrati di prima nomina nelle sedi disagiate. I mormorii della platea si sono avuti in più passaggi dell'intervento di Alfano. Innanzitutto, quando il Guardasigilli ha fatto notare che alcune delle riforme più contestate dai magistrati, come ad esempio quello del processo breve e delle intercettazioni, non sono diventate leggi, come invece accaduto alla riforma del processo civile e agli interventi in materia antimafia. E ancora ci sono stati brusii dalla platea, quando il Guardasigilli ha rivendicato di non aver mai dato del "fannullone" a un magistrato, ma anzi di averne in più occasioni elogiato il lavoro difficile. Ancora qualche commento rumoroso c'è stato quando il ministro ha detto di non poter considerare disagiate alcune Procure della sua Sicilia, come Sciacca, per la sua posizione bellissima e anche per l'autostrada che collega l'aeroporto al tribunale. "Non vogliamo sottoporre il Pm al potere esecutivo, né intendiamo arrivare surrettiziamente a questo risultato intervenendo sulla polizia giudiziaria". Alfano ha spiegato che il governo non intende compiere questo passo "perché non abbiamo fiducia nei governi che ci hanno preceduto e che potrebbero succederci. Ed è questa la stessa ragione per cui non intendiamo - ha aggiunto - fare della polizia giudiziaria uno strumento nelle mani dell'esecutivo". Insomma "per via diretta o traversa non intendiamo violare il sacro recinto della giurisdizione, perché non siamo certi che chi verrà dopo di noi non abuserà di quella violazione". I magistrati non hanno comunque applaudito a questo passaggio dell'intervento di Alfano, lo hanno fatto invece quando ha concluso l'intervento.
2010-11-17 17 novembre 2010 LOTTA ALLA CRIMINALITÂ Camorra, in manette il boss Iovine Il superlatitante della camorra Mario Iovine è stato arrestato dalla Polizia. Latitante da oltre 14 anni, era inserito nello speciale elenco dei ricercati più pericolosi. Il boss Mario Iovine, detto "O ninno" (il bambino), si nascondeva in un appartamento a Casal di Principe, dove è stato catturato dagli agenti della squadra mobile di Caserta. Iovine è stato arrestato senza che la polizia sparasse un solo colpo di pistola. Si è lasciato ammanettare senza reagire. Si nascondeva a casa di una persona arrestata per favoreggiamento. Altre persone trovate all'interno dell'appartamento sarebbero state arrestate. Iovine si nascondeva in una intercapedine ricavata in una villetta appartenente alla famiglia di Marco Borrata, 43 anni, nella quinta traversa di via Cavour. All'arrivo degli agenti ha tentato di fuggire attraverso il terrazzo, ma è stato bloccato. Il superlatitante era disarmato; nella villetta invece la polizia ha trovato una pistola, regolarmente denunciata, appartenente a Borrata. Iovine viene ritenuto dagli inquirenti della Direzione distrettuale antimafia di Napoli uno dei capi della camorra casalese ancora in libertà: l'altro è Michele Zagaria latitante da oltre 15 anni. Un altro capo dei capi casalesi è in cella da oltre 12 anni ed è Francesco Schiavone detto Sandokan. Un applauso in Aula alla Camera ha accolto la notizia dell'arresto del boss della camorra Antonio Iovine. Un applauso che ha unito maggioranza e opposizione. Tutti i gruppi hanno riconosciuto l'operato delle forze di polizia e il lavoro del ministro dell'Interno, Roberto Maroni. "Oggi è una bellissima giornata per la lotta alla mafia, tra pochi minuti vedrete...". È quanto ha affermato il ministro dell'Interno conversando con i giornalisti a Montecitorio appena pochi minuti prima che arrivasse l'annuncio dell'arresto del boss. Grande soddisfazione per la cattura del boss dei casalesi Antonio Iovine è stata espressa dal procuratore di Napoli Giovandomenico Lepore, che ha elogiato l'operato della polizia. "L'operazione conclusa oggi - ha detto Lepore - dimostra ancora una volta che l'attività delle forze dell'ordine, coordinate dalla Dda di Napoli, produce risultati importanti sul territorio". "Si tratta di una grande operazione condotta dalla squadra mobile di Napoli che dopo tanti anni è riuscita a catturare Iovine. Ora resta ancora da arrestare l'altro boss, Zagaria", ha concluso il procuratore che ha affermato di non poter ancora fornire particolari sull'operazione. "Firmerò subito la richiesta di 41 bis". A riferirlo, parlando in Transatlantico con i cronisti, in merito all'arresto del camorrista Antonio Iovine, è il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che aggiunge: "È un'ulteriore conferma che la squadra Stato vince e l'antimafia giocata batte quella parlata".
2010-11-10 10 novembre 2010 MILANO Caso Ruby: pm dei minori si rivolgerà al Csm Maroni: "Il caso è chiuso" Il Pm dei Minori Anna Maria Fiorillo si rivolgerà al Csm 'in quanto le parole del ministro Maroni che sembrano in accordo con quelle del procuratore Bruti Liberati non corrispondono a quella che è la mia diretta e personale conoscenza del caso". Il Pm si occupò quella notte della vicenda della marocchina Ruby, portata in questura. "Il caso è chiuso": così, secondo quanto si apprende, il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha commentato le dichiarazioni della pm del tribunale dei minorenni di Milano Anna Maria Fiorillo sulla vicenda Ruby. Maroni ha poi sottolineato che la sua posizione "è la stessa del procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati".
2010-10-29 29 ottobre 2010 INTERVENTO Berlusconi: la giustizia, un macigno "Presto un intervento in Parlamento" Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha detto oggi che la giustizia è un un problema grosso come un macigno che pesa sul Paese e che ne parlerà presto in Parlamento. "Il problema giustizia in Italia è un macigno sulla nostra vita democratica. Sto preparando un intervento in Parlamento", ha detto il premier lasciando il Consiglio europeo. Berlusconi ha aggiunto che il suo intervento non sarà a breve, perché prima cercherà di raggiungere un compromesso "con le altre forze politiche", fra cui gli alleati, sulla riforma dell'ordinamento giudiziario. "Se questo non dovesse succedere, allora produrrò un intervento in Parlamento e dirò agli italiani qual è situazione della giustizia in Italia". Negli ultimi due giorni i suoi progetti sulla giustizia sono stati frenati dagli alleati finiani. Prima sul lodo Alfano, il ddl costituzionale sulla sospensione dei processi per il presidente del Consiglio e il capo dello Stato, Futuro e libertà ha presentato un emendamento che limita l'immunità a un solo mandato. Sulla riforma della giustizia, il presidente della Camera Gianfranco Fini ha posto oggi una condizione alla progettata separazione delle carriere, che il pubblico ministero non sia assoggetto all'esecutivo.
29 ottobre 2010 GIUSTIZIA Fini: nel Csm troppo peso ai "non togati" è un rischio L'attuale composizione del Csm è "adeguatamente bilanciata". Lo sostiene il presidente della Camera, Gianfranco Fini, intervenuto questa mattina al teatro Piccinni di Bari al convegno 'Organizzare la giustizià. "Un eccessivo peso ai non togati - sottolinea Fini - esporrebbe l'organo ad una forte dipendenza dal potere politico, con gravi rischi per l'imparzialità dei giudici. Ove codesta riforma fosse attuata si determinerebbe un'alterazione d'equilibrio fra i poteri dello Stato". "La netta separazione delle carriere - sostiene il presidente della Camera, Gianfranco Fini - porta con sé quasi inevitabilmente una riforma del Csm che prevede due Csm o, più precisamente, due sezioni specializzate è, probabilmente, la via da percorrere. Ma sul punto - ribadisce - non si possono accogliere quelle proposte che mirano a rendere preponderanti, nella composizione del Csm, i componenti non togati, di nomina politica". Il presidente Fini cita la teoria della separazione dei poteri risalente a Montesquieu, e osserva che "se le ragioni delle modifiche proposte sono giustificate con il clima di tensione che vede contrapposti, da un lato, la magistratura o parti di essa e, dall'altro, frange pur rilevanti del potere politico, simili soluzioni appaiono ancora più rischiose". In un clima "già oggi così poco disteso - continua ancora l'inquilino di Montecitorio - le interferenze tra potere politico e funzione giurisdizionale sarebbero destinate a intensificarsi e ciò porterebbe inevitabilmente al determinarsi di una spirale di intrecci e cortocircuiti fra politica e giustizia sempre più forti e pericolosi, in particolare per la credibilità per le nostre istituzioni".
2010-10-26 26 ottobre 2010 ROMA Casa di Montecarlo, chiesta l'archiviazione per Fini La Procura di Roma ha chiesto oggi l'archiviazione dell'inchiesta sulla presunta truffa relativa alla vendita di un appartamento di proprietà di Alleanza Nazionale a una società offshore, per cui erano indagati sia l'attuale presidente della Camera Gianfranco Fini sia l'ex tesoriere di An Francesco Pontone. Lo riferiscono fonti giudiziarie. Secondo le fonti, il procuratore capo Giovanni Ferrara e l'aggiunto Pier Filippo Laviani hanno chiesto l'archiviazione, ascoltati testimoni e studiate le carte giunte dal Principato di Monaco, ritenendo che non ci sia stata alcuna frode nella vendita dell'appartamento, precedentemente donato all'ex partito di Fini da una anziana sostenitrice. L'appartamento in questione è occupato attualmente da Giancarlo Tulliani, fratello della compagna di Fini, Elisabetta Tulliani. La notizia che sia Fini sia Pontone fossero stati iscritti sul registro degli indagati non era mai stata diffusa in precedenza. L'inchiesta era nata dalla denuncia di alcuni esponenti del partito La Destra di Francesco Storace.
26 ottobre 2010 POLITICA E GIUSTIZIA Lodo Alfano, riaperti i termini per i nuovi emendamenti La Commissione Affari costituzionali del Senato ha deciso di riaprire i termini per nuovi emendamenti al lodo Alfano fino a giovedì alle 16. I lavori della Commissione riprenderanno martedì pomeriggio. La Commissione ha anche bocciato la richiesta delle opposizioni di sospendere i lavori della Commissione sul lodo Alfano per 15 giorni. Maurizio Saia, esponente Fli in Commissione Affari costituzionali del Senato, annuncia che, con la riapertura dei termini, ci saranno anche emendamenti Fli in Commissione. Carlo Vizzini, presidente della Commissione, afferma: "Ci prendiamo 48 ore di tempo per consentire una riflessione politica ai gruppi parlamentari. Io non presenterò altri emendamenti. I nodi sono più d'uno. Oggi è bene abbassare la temperatura per consentire lo svolgimento di un dibattito politico sereno". Enzo Bianco, capogruppo Pd in Commissione, rende noto che Pd, Idv e Udc hanno votato compatti a favore della richiesta di un rinvio di 15 giorni della discussione sul lodo Alfano. "Ora la discussione dovrebbe riprendere martedì - dice Bianco - dico "dovrebbe" perché faremo valere tutti gli strumenti che il regolamento del Senato mette a nostra disposizione". I capigruppo di Pd e Udc, Anna Finocchiaro e Gianpiero D'Alia, hanno partecipato ai lavori della Commissione. "La maggioranza - dice Finocchiaro - sta intrecciando la corda con la quale si impiccherà. Alla maggioranza il lodo Alfano non conviene politicamente. Le argomentazioni usate sono false perché il lodo Alfano è solo un vestito su misura per i guai giudiziari di Berlusconi. Non è vero che in Francia c'è una norma simile, perchè a Parigi è solo il presidente della Repubblica a godere dell'immunità. Non è vero neppure che Berlusconi sia eletto dal popolo, perchè il premier è eletto dal Parlamento e perchè sul simbolo della Lega nelle schede elettorali il nome di Berlusconi non c'era". Luigi Li Gotti (Idv) chiede che il governo dica la sua in Commissione. "Oggi - dice Li Gotti - il sottosegretario Casellati ha fatto scena muta. I senatori non possono apprendere la posizione del Governo dai giornali. Il governo deve parlare in Commissione". LA POSIZIONE DI BERLUSCONI L'immunità dai processi per le alte cariche dello Stato è "indispensabile" in Italia per contrastare certa magistratura politicizzata, secondo Silvio Berlusconi che torna a chiedere una Commissione parlamentare d'inchiesta sui giudici. "Ritengo che una legge che sospenda i processi delle più alte cariche dello Stato mentre adempiono alle loro funzioni istituzionali sia opportuna e anzi, vista la magistratura con cui abbiamo a che fare, assolutamente indispensabile", ha dichiarato il premier la settimana scorsa, in un colloquio con Bruno Vespa. Richiesto ieri di eventuali, nuove valutazioni alla luce delle dichiarazioni di Gianfranco Fini contrario alla possibilità che il lodo sia reiterabile, il presidente del Consiglio ha confermato la sua opinione, secondo quanto si legge in una nota che distilla le anticipazioni del libro. "Soltanto con la serenità e la forza d'animo che derivano o dalla consapevolezza di non aver commesso alcun reato sono riuscito a disinteressarmi dei tanti, troppi procedimenti che mi sono stati addossati e che ogni giorno vengono amplificati da giornali e televisioni. Proprio a causa di questi comportamenti dei magistrati politicizzati i nostri parlamentari sono in procinto di chiedere una Commissione parlamentare d'inchiesta. Penso che questa iniziativa sia largamente condivisa e debba far luce su una infinità di processi clamorosi, come quelli, tra i tanti, contro Calogero Mannino". Berlusconi commenta nel libro anche l'invito a comparire ricevuto nei giorni scorsi dalla magistratura romana in uno spezzone dell'inchiesta milanese sui diritti televisivi. "Sono amareggiato soprattutto per Pier Silvio che in Mediaset non si è mai occupato e non si occupa di questioni fiscali. Viene contestata un'evasione inferiore a un milione di euro, quando quell'anno, il 2004, il mio gruppo versò all'erario imposte per 448 milioni. Ci si aspetterebbe il conferimento di una medaglia d'oro in premio", dice. "Mi assicurano che la contestazione sarebbe frutto di una diversa interpretazione delle norme tra i commercialisti e l'Agenzia delle entrate. Proprio per evitare questi casi la riforma fiscale dovrebbe far chiarezza su tanti punti controversi che mettono in difficoltà tanti professionisti e imprenditori". Berlusconi ribadisce infine di aver smesso di occuparsi direttamente degli affari del gruppo Fininvest e Mediaset dal 1994, anno in cui è iniziata la sua avventura politica come presidente del Consiglio.
2010-10-24 23 ottobre 2010 ROMA Lodo Alfano, il Colle: interpretazioni estranee a rilievi Le "conseguenze politiche" annunciate dopo la lettera di Napolitano a Vizzini sul lodo Alfano sono "del tutto estranee" agli "intendimenti del capo dello Stato", volti sempre "a favorire con la massima imparzialità la correttezza e la continuità della vita istituzionale": è quanto si legge in una nota del Quirinale nella quale si sottolinea l'estraneità del presidente da "soggettive interpretazioni e generalizzazioni" della lettera. "Con la lettera inviata al presidente Vizzini - si legge nella nota del Quirinale -, il capo dello Stato ha ritenuto di dover manifestare le sue "profonde perplessità" su un punto specifico - tale da incidere sullo status del presidente della Repubblica - della proposta di legge costituzionale all'esame della prima Commissione del Senato". ' "Le soggettive interpretazioni e le generalizzazioni del contenuto della lettera - si legge ancora - apparse in diversi commenti di stampa, così come le conseguenze politiche che taluni annunciano di volerne trarre, sono del tutto estranee agli intendimenti del presidente della Repubblica, sempre volti a favorire, con la massima imparzialità, la correttezza e la continuità della vita istituzionale'". Il presidente della Commissione parlamentare Antimafia Giuseppe Pisanu nega che ci sia stata una decisa presa di posizione da parte del premier sulla lettera che il capo dello Stato ha inviato al presidente della Commissione Affari Istituzionali del Senato, Carlo Vizzini. "Non mi risulta - ha spiegato oggi a Asolo Pisanu, parlando con i giornalisti - che Berlusconi abbia fatto una dichiarazione ufficiale su un eventuale ritiro del Lodo Alfano". "I capigruppo - ha proseguito - hanno detto di prendere atto dell'indicazione lecita del capo dello Stato annunciando di agire di conseguenza: è una risposta rispettosa". "Il ministro Alfano - ha riferito ancora Pisanu - ha già preso contatto con i vertici istituzionali: è un dialogo ancora alle prime battute, non si può pretendere già di tirare le somme".
23 ottobre 2010 POLITICA Fini: lodo Alfano non deve essere reiterabile "Non credo che il lodo Alfano possa essere reiterabile". Lo ha detto il presidente della Camera Gianfranco Fini, intervenendo ai Dialoghi Asolani in un confronto con Massimo D'Alema. Fini ha anticipato che Fli chiederà delle modifiche. "Se la filosofia è tutelare la funzione quale che sia la persona - ha spiegato Fini - non credo che il lodo Alfano possa essere reiterabile perchè non sarebbe una tutela di una persona per un periodo di tempo, ma un privilegio garantito a una persona".
23 ottobre 2010 ROMA "Norme irragionevoli" Napolitano frena il Lodo Suonano le campane a morte per la costituzionalizzazione del Lodo Alfano, lo scudo giudiziario in discussione al Senato per capo dello Stato e premier? Sì, perché ieri il disegno di legge sul quale si stanno arrovellando maggioranza e opposizione, ha subito due attacchi. Da parte proprio delle due alte cariche che la norma dovrebbe tutelare: Silvio Berlusconi e, soprattutto, Giorgio Napolitano. Il presidente del Consiglio, però, ha fatto una considerazione tutta politica ("Non sono io che ho chiesto il lodo o le leggi ad personam. Sono i miei alleati che se ne fanno promotori a mio favore, ricorrendo agli strumenti legali della democrazia"), peraltro confermando la necessità dello scudo di fronte agli "attacchi eversivi" di "una corrente" della magistratura; mentre un diverso tipo di obiezione, di delicata natura costituzionale, arriva dal Quirinale. Che ha inviato al presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato, Carlo Vizzini - e per conoscenza ai presidenti delle Camere - una lettera, annunciando "profonda perplessità" su alcune questioni che toccano da vicino i poteri e le prerogative del capo dello Stato. Nella lettera a Vizzini, Napolitano premette che è da sempre sua intenzione "rimanere estraneo nel corso dell’esame al merito di decisioni delle Camere, specialmente allorché - come in questo caso - riguardino proposte d’iniziativa parlamentare e di natura costituzionale". Ma, aggiunge, di non poter "fare a meno di rilevare che la decisione assunta dalla Commissione da lei presieduta incide, al di là della mia persona, sullo status complessivo del Presidente della Repubblica riducendone l’indipendenza nell’esercizio delle sue funzioni". La parte che Napolitano contesta riguarda la possibilità che le Camere, a maggioranza semplice, decidano di estendere lo scudo giudiziario a quel premier che traslochi da Palazzo Chigi al Quirinale. Per Napolitano questa norma "contrasta con la normativa vigente risultante dall’articolo 90 della Costituzione e da una costante prassi costituzionale" e "appare viziata da palese irragionevolezza". In sostanza, la Costituzione prevede attualmente l’irresponsabilità del presidente della Repubblica, tranne che per alto tradimento e per attentato alla Costituzione. Napolitano segnala che far decidere alle Camere, per giunta a maggioranza semplice, se il capo dello Stato può essere processato o no per reati di varia natura, ne limiterebbe di molto il ruolo, limitandone la necessaria indipendenza. Il Pdl accusa il colpo e promette modifiche: "Le osservazioni di Napolitano non rimarranno indifferenti per il nostro gruppo parlamentare", dicono in coro Gasparri e Quagliariello. Ma per le opposizioni (Pd, Idv e Udc), a questo punto, sarebbe meglio ritirare l’intero provvedimento. Giovanni Grasso
2010-10-22 22 ottobre 2010 MAGGIORANZA ALLA PROVA Giustizia, dai finiani tre no e un sì ad Alfano Giustizia, i finiani fanno ballare la rumba a Berlusconi e al Pdl. Se, infatti, i senatori di Fli continuano diligentemente a votare a favore del Lodo Alfano costituzionalizzato, ieri il vertice del partito ha detto un sonoro "no" a tre delle quattro proposte della maggioranza sulla grande riforma. Tant’è che il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, sta pensando a un "piano B" per garantire al premier che non finirà sotto processo durante la sua permanenza a Palazzo Chigi. Giornata campale, dunque, ieri per la riforma della Giustizia. Con diversi fronti. Intanto, in commissione Affari costituzionali del Senato, non è passato l’emendamento proposto dalle opposizioni, secondo il quale non sarebbe stata possibile reiterare lo "scudo" che la maggioranza vuole introdurre per congelare i processi del presidente della Repubblica e del presidente del Consiglio. Ciò significa che un presidente del Consiglio, che ha avuto il processo sospeso per via del lodo, continuerà a godere di questa forma di immunità se viene rieletto a Palazzo Chigi o se viene "promosso" al Quirinale. La maggioranza ha anche bocciato altre proposte di modifica sempre delle opposizioni, che prevedevano una maggioranza qualificata (quindi, non solo la maggioranza semplice) per le Camere chiamate a inizio legislatura a estendere lo scudo giudiziario per il premier. Il dato tecnico della vicenda non è, a questo stato, particolarmente significativo, dato che le opposizioni hanno in serbo altri emendamenti simili e potranno anche ripresentarli in aula. Il dato politico è che, per ora, l’accordo Pdl-Fli sul lodo Alfano costituzionalizzato tiene, nonostante tutto. Ma la medaglia ha il suo rovescio. Perché Giulia Bongiorno, dopo il vertice di Fli, ha bocciato 3/4 della proposta del Pdl sulla riforma della Giustizia. Ovvero, ha elencato la presidente della commissione Giustizia della Camera, "sì alla separazione del Csm, no a nuove funzioni e nuova composizione della maggioranza laica del Csm; no a nuovi poteri al ministro della Giustizia; no alla collocazione della Polizia giudiziaria non più alle dirette dipendenze della magistratura". Per questo motivo, il ministro Alfano, pur registrando un buon clima politico con Fli, ha parlato di necessità di "vie collaterali". La costituzionalizzazione del Lodo Alfano, infatti, potrebbe non essere sufficiente. L’approvazione di una legge costituzionale è un processo lungo e complicato. E sembra ormai chiaro che, nonostante una certa neutralità di Udc e Mpa, il provvedimento congela-processi non potrà mai raggiungere in Parlamento quei due terzi di voti necessari a evitare il referendum confermativo. Per cui, in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale, che deve deliberare sulla legittimità della legge ordinaria in vigore, nel Pdl si comincia a pensare a una strategia non diversa, ma parallela. Se, come è possibile, la Consulta casserà la legge attuale, Berlusconi si troverebbe esposto a tutti i procedimenti giudiziari. Si fa strada, allora, l’idea di una soluzione ponte, che garantisca lo scudo al premier mentre va avanti la legge costituzionale. L’idea più semplice sarebbe quella di presentare ed approvare in breve tempo una sorta di legge fotocopia del Lodo Alfano attualmente in vigore. Basterebbe qualche accorgimento (per esempio escludere i ministri dallo scudo) e di fatto la nuova disciplina entrerebbe immediatamente in vigore, annullando (almeno per un buon lasso di tempo) gli effetti di un’eventuale sentenza negativa da parte dei giudici costituzionali. Giovanni Grasso
22 ottobre 2010 INTERVISTA ALLA "FRANKFURTER" Berlusconi: il Lodo Alfano? Non l'ho chiesto io "Non ho mai reclamato alcuna forma di tutela. Il mio partito ha presentato un disegno di legge in base al quale durante il mandato vengono sospesi i processi contro il Capo dello Stato e il Presidente del Consiglio; anche i termini di prescrizione vengono sospesi durante il mandato. Una legge del genere esiste in molti Paesi", lo ha detto il premier Silvio Berlusconi rispondendo, in un'intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung. Alla domanda sul fatto che vi sia comunque un "dibattito su leggi 'ad personam' a suo favore", Berlusconi ha sostenuto: "Non sono io che le ho chieste. Sono i miei alleati che se ne fanno promotori a mio favore, ricorrendo agli strumenti legali della democrazia. Per dirlo con parole chiare: sulla nostra democrazia grava un macigno. Nella magistratura abbiamo una corrente che agisce in modo eversivo cercando di procedere contro chi è stato eletto legalmente dal popolo". Altri temi affrontati dal premier nella sua intervista sono la sua ricandidatura alle prossime elezioni. "Il suo ex alleato, il Presidente della Camera Fini, vuole fondare un proprio partito. La maggioranza è traballante. E' possibile che vi siano nuove elezioni. Lei si ricandiderebbe?", chiede il cronista dell'autorevole giornale tedesco. "Mi candiderò comunque", risponde il presidente del Consiglio. "In caso di elezioni - aggiunge -, vedremo se il programma del partito di Fini sarà tale da consentire di renderlo parte integrante della coalizione".
2010-10-21 21 0ttobre 2010 MAGGIORANZA ALLA PROVA Giustizia, Berlusconi accelera: riforma pronta "La riforma della giustizia è praticamente pronta, la prossima settimana la presenteremo in Consiglio dei Ministri". Silvio Berlusconi torna ottimista e rompe il silenzio anche sul più delicato dei cinque punti del programma. Ottimismo per la svolta finiana sul lodo Alfano costituzionale e retroattivo, che in realtà è solo la riconferma della disponibilità da tempo manifestata da Fli sullo scudo giudiziario per il premier, ma è certo un segnale importante. È la stessa sensazione che il ministro Angelino Alfano trasferisce a Berlusconi, nell’incontro pomeridiano, per fare il punto dopo il tour istituzionale del giorno prima a illustrare la riforma della giustizia alle alte cariche. Il Guardasigilli non aveva nascosto, in mattinata, a Catania, la sua soddisfazione per il clima che si registra nella maggioranza. "Futuro e libertà ha tenuto una posizione coerente con ciò che aveva sempre detto: la tutela della serenità dello svolgimento delle funzioni delle alte cariche che è un valore riconosciuto anche dalla Corte costituzionale", dice il ministro della Giustizia, che infatti era stato fra i primi a riconoscere Fli come "terza gamba" della coalizione. Alfano traccia ora la strada che, sullo scudo giudiziario, intende seguire: far leva sul legittimo impedimento, "nelle more che si approvi una legge costituzionale che affermi un principio presente in tanti ordinamenti stranieri", spiega. Certo, il legittimo impedimento, come legge ponte, dovrà superare il vaglio della Corte Costituzionale che deciderà in merito il 14 dicembre. Ma ormai prende corpo nella maggioranza la comune valutazione (o auspicio che dir si voglia) sul fatto che l’inizio dell’iter del lodo costituzionale, con l’approvazione da parte del Senato, possa indurre la Corte a una benevola valutazione sulla norma sotto esame, per dare tempo al Parlamento di completare l’iter. Dal Quirinale trapela intanto, di nuovo, la volontà di tener fuori del tutto il capo dello Stato, da questo dibattito e dalle polemiche annesse dell’opposizione, sebbene lo scudo – oltre al premier – coinvolga anche la presidenza della Repubblica. Altra cosa, naturalmente, è la riforma della Giustizia nel quale il Capo dello Stato si era limitato a raccomandare al Guardasigilli di mantenere, nel progetto, una linea coerente di rispetto delle reciproche prerogative, fra politica e giustizia, evitando scelte che possano ledere il principio costituzionale dell’autonomia della magistratura. La nuova previsione sulla composizione del Csm (50 per cento alle toghe, l’altra metà di nomina parlamentare) sembra proprio dettata da queste preoccupazioni. L’accordo sul testo della riforma, però, anche nella stessa maggioranza, è più vicino, ma non ancora a portata di mano. Angelo Picariello
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CORRIERE della SERA
per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.corriere.it2011-08-02 su Milanese sì della Camera all'uso dei tabulati e all'apertura delle cassette di sicurezza Verdini, negato l'uso delle intercettazioni No dell'Aula alla richiesta dei pm nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti per il G8 NOTIZIE CORRELATE L'affitto di Tremonti e le carte sugli appalti di Fiorenza Sarzanini (28 luglio) Appalti e favori, Sogei nella bufera (23 luglio 2011) Milanese: darò ai pm le mie cassette di sicurezza (19 luglio 2011) Il voto sull'arresto di Milanese? "Lascerei libertà di coscienza" (14 luglio 2011) Lepore: "Tremonti non è indagato" (13 luglio 2011) Denis Verdini Denis Verdini MILANO - I magistrati napoletani potranno usare i tabulati telefonici che fanno capo al deputato del Pdl Marco Milanese e aprire le sue cassette di sicurezza. Lo ha stabilito la Camera approvando la richiesta dei pm partenopei. Negato invece l'uso delle intercettazioni che riguardano, nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti G8, il deputato Pdl Denis Verdini. "QUI SI SPUTTANA LA GENTE" - "Sono due anni che sono massacrato, che vengo travolto da questo tritacarne mediatico e giudiziaro da cui voglio uscire velocemente". E tutto questo avviene "con danni enormi e irreparabile. Io non mi lamento ma i danni non me li ripagherà nessuno", ha detto Denis Verdini in Aula. Il deputato Pdl ha sottolineato la necessità di "rivedere le norme che regolano le intercettazioni per evitare - ha spiegato - quello che è successo a me, travolto da due anni di persecuzione". "Chiedo che qui si rifletta sulla questione delle intercettazioni - ha aggiunto Verdini - perché da troppo tempo si sta sputtanando la gente su queste cose. A me è già avvenuto e nulla di più si può fare rispetto a quello che è stato fatto se non andare ai processi se ve ne sono le condizioni, ma queste cose toccano l'anima, il cuore e le famiglie". "Sono abbastanza forte, nessuno mi distrugge, non ho paura, ho perso molte cose, ma non voglio perdere la mia onorabilità", ha però anche aggiunto il coordinatore del Pdl. "ACCUSE INFAMANTI" - Nell'aula di Montecitorio, poco prima del voto, anche Milanese, ex braccio destro di Giulio Tremonti indagato per corruzione, rivelazione di segreto d'ufficio e associazione per delinquere nell'ambito di una indagine su una società assicurativa, ha preso la parola per ribadire la sua innocenza. "Sono innocente e le accuse contro di me sono false e ipocrite", ha detto mentre tutti i deputati di maggioranza e opposizione lo ascoltavano in assoluto silenzio. "Quando ho preso posto per la prima volta in quest'aula - ha assicurato Milanese - mai e poi mai mi sarei immaginato di dovermi, un giorno, difendere da accuse così infamanti". Marco Milanese Marco Milanese "ATTACCO AL SISTEMA DEI PARTITI" - Rivolgendosi all'opposizione e in particolare al leader Pd Pier Luigi Bersani, Milanese ha anche aggiunto: "Chiedetevi perché sono state mosse queste accuse contro di me: dovete interessarvi di questo. È vostro dovere farlo in un momento in cui è evidente l'attacco mosso da più parti al sistema dei partiti, sui quali si regge la nostra democrazia: non farlo e non intervenire per sapere cosa c'è dietro questa macchina del fango, sarà per tutti noi imperdonabile". Pronta la replica del segretario dei democratici. "Da più parti si tende a mettere tutti nel mucchio e questa è l'ispirazione che sta dietro le parole di Milanese. Noi non rivendichiamo una differenza genetica ma politica sì", ha detto Bersani. Subito dopo il voto della Camera con il quale la procura di Napoli è stata autorizzata all'apertura delle cassette di sicurezza e all'acquisizione dei tabulati telefonici, il deputato ha chiesto formalmente al pm, tramite il suo legale, di disporre anche l'acquisizione dei tabulati di tutti i telefoni riconducibili al gruppo Viscione dal 2009 a tutto il 2010. "Vi è infatti agli atti qualcosa più di un sospetto - ha detto il legale - che Viscione potesse avere notizie riservate da altri soggetti piuttosto che dall'onorevole Milanese". LE INDAGINI - Oltre che a Napoli, Milanese è anche indagato a Roma per una vicenda di presunte tangenti. Nell'ambito delle inchieste, il deputato del Pdl ha detto ai magistrati di avere preso in affitto una casa nel centro di Roma e di averla messa a disposizione di Tremonti, il quale dava a Milanese mille euro a settimana in contanti come contributo per l'affitto. La rivelazione e le accuse che investono il suo ex consigliere politico hanno indebolito il ministro, in un momento in cui l'Italia è sotto la pressione dei mercati finanziari. TREMONTI SOPIATO, PARLA DE GENNARO - Quanto alla questione di Giulio Tremonti spiato, Gianni De Gennaro ha spiegato che i servizi segreti non hanno informazioni e non ne sanno nulla. Il direttore del Dipartimento informazioni e sicurezza avrebbe risposto così ai membri del Copasir in relazione alla vicenda sollevata dallo stesso titolare dell'Economia nei giorni scorsi, quando ha rivelato di aver deciso di andare ad abitare in un'abitazione affittata da Milanese perché si sentiva "spiato, controllato e pedinato". Redazione online 02 agosto 2011 17:25
La ricostruzione L'imprenditore e "Farfallino" Così è partita l'inchiesta Dalle aree dismesse alla Milano-Serravalle e ai conti all'estero NOTIZIE CORRELATE Il network delle mazzette "Occhio ai signori di Milano" (1 agosto 2011) Il "sistema Sesto" dalle lire agli euro Versamenti effettuati fino al 2007 (1 agosto 2011) "Un miliardo di lire a Penati". Spunta il foglio dei pagamenti (31 luglio 2011) Filippo Penati (Imagoeconomica) Filippo Penati (Imagoeconomica) MILANO - Due grandi accusatori e un principale accusato. Gli accusatori: l'imprenditore di 59 anni Piero Di Caterina, proprietario di 15 aziende tra le quali la Caronte attiva nel trasporto pubblico, e il costruttore di 81 anni Giuseppe Pasini. L'accusato: Filippo Penati, 58 anni, politico ex di tanti incarichi. Sindaco (1994-2001) di Sesto San Giovanni e presidente della Provincia di Milano (2004-2009), già capo della segreteria politica del leader del Partito democratico Pier Luigi Bersani, Penati si è dimesso dalla vicepresidenza del Consiglio regionale. Perché? È coinvolto nell'inchiesta di due pm della Procura di Monza, Walter Mapelli e Franca Macchia. Lavorano su un presunto giro di tangenti relative all'ex Falck e all'ex Marelli. Ramo acciaierie la prima e metalmeccanico la seconda, hanno contribuito a dare a Sesto San Giovanni il soprannome di Stalingrado d'Italia. Il sistema delle mazzette ha al centro i piani di riconversione di questi spazi chilometrici. Penati, indagato per corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti, si dice innocente. Avrebbe incassato 2,94 milioni di euro per favorire imprenditori interessati alle riqualificazioni. Dalla Falck alle banche in Svizzera Basata su Sesto San Giovanni, la geografia di questa storia ha altre ramificazioni: prende l'asfalto della Milano-Serravalle (società che gestisce 180 chilometri di autostrade e tangenziali, con sede ad Assago), il Consorzio cooperative costruzioni di Bologna e le corsie del San Raffaele (l'ospedale di Milano 2 fondato da don Luigi Verzé, amico di Silvio Berlusconi). Ma le ramificazioni portano anche all'estero. Svizzera. Lussemburgo. Le sedi dei conti alimentati dalle tangenti. Così come emerso dagli interrogatori di Pasini e Di Caterina, e con un riscontro materiale: tracce di movimenti di denaro. Pasini, alias "farfallino" per il papillon presenza fissa al colletto, nel 2007 candidato per il centrodestra alle elezioni comunali di Sesto, di una cosa è certo. "Ho pagato 4 miliardi di lire in due tranche a Di Caterina all'estero perché così mi era stato chiesto da Penati in relazione all'approvazione del piano regolatore dell'area Falck". Interessato a rilevare le antiche acciaierie, Pasini, prosegue nel racconto ai pm, andò a chiedere a Penati della possibilità - in caso di acquisto dell'area - di "arrivare a una licenza". Bene, "Penati disse che avrei dovuto dare qualcosa al partito. Disse che a prendere accordi con me sarebbe venuto Di Caterina". Pasini spiegò di aver versato due miliardi di lire trasferendoli in Canton Ticino con mediatore l'indagato Giordano Vimercati, 61 anni, noto come "cardinale Richelieu", a lungo braccio destro di Penati, e di essersi girato un bonifico di due miliardi di lire in Lussemburgo su una banca coi soldi in un secondo tempo ritirati da Di Caterina. Il quale più volte si è lamentato per mancati introiti, per intoppi nel flusso delle tangenti. Pur conservando ricevute, cedolini, pagine con somme elencate. La contabilità del "Sistema Sesto". Ora sotto l'esame degli investigatori. I debiti milionari e Tangentopoli La Procura ha in mano anche una lettera. Del 2008. Di Caterina la scrisse a Penati e Bruno Binasco, arrestato sotto Tangentopoli per aver finanziato in maniera illecita il Pci. Premesso che "dal 1999 ho versato a vario titolo notevoli somme di denaro a Penati che ha promesso di restituire", ecco, di quel denaro l'imprenditore non è mai tornato in possesso. Il 66enne Binasco, principale collaboratore dell'imprenditore Marcellino Gavio, morto nel 2009, è amministratore della Milano-Serravalle. Nel mirino degli inquirenti c'è una triangolazione di denaro fra Di Caterina, Penati e Binasco. Triangolazione avente come base l'acquisizione, da parte di Binasco, di un immobile di Di Caterina a un prezzo più alto in maniera tale da estinguere un debito per conto di Penati. Penati e Binasco si conoscevano da prima. Nel 2005 la Provincia di Milano presieduta da Penati acquisì dal Gruppo Gavio-Binasco il 15% della Milano-Serravalle. Il prezzo? 8,9 euro per azione. Ogni azione era in precedenza costata 2,9 euro. L'operazione venne censurata dalla Corte dei Conti. La perizia chiesta dalla Procura ha giudicato il prezzo "congruo". Bonifiche, ospedali, sigle misteriose Nel luglio d'un anno fa Pasini iniziò a parlare e lasciarsi andare con Guardia di Finanza e Procura. Gli investigatori avevano appena perquisito Di Caterina. Cosa cercavano? False fatture con Luigi Zunino, l'immobiliarista interessato a comprare l'ex Falck e nei guai per le bonifiche ambientali nel quartiere fantasma di Santa Giulia. Anche Di Caterina cominciò a sfogarsi. Ma per quale motivo, lui e Pasini, farlo in forte ritardo? Perché "cantare" anni e anni dopo? Le prime tangenti sono datate tra la fine degli anni 90 e il 2001. Peraltro coinvolgendo, e da subito, le Cooperative di costruzioni. A suo dire, Pasini si sarebbe visto imporre un dazio da Omar Degli Esposti per avviare il cantiere: tirar dentro nel progetto due professionisti vicini alle Cooperative. Degli Esposti, 63 anni, direttore dei lavori del colosso delle costruzioni afferma il contrario. "Pasini? Gli faceva comodo il nostro nome". Degli Esposti è indagato. La Procura ha indagato un'altra persona del mondo del centrosinistra. L'architetto Renato Sarno. Il 65enne Sarno, ex dirigente del Comune di Sesto, ha disegnato per don Verzé il "San Raffaele Quo Vadis", l'ospedale "del benessere" che il nuovo Cda dell'ospedale schiacciato da un miliardo di euro ha messo fra le priorità degli investimenti da tagliare. Nell'ufficio di Sarno, durante le perquisizioni, è spuntato il file in formato Pdf dal titolo "Documento finanziamento sig. Penati". Fu Sarno l'intermediario di quella triangolazione con Di Caterina e Binasco. In mezzo ad altro materiale, nell'ufficio dell'architetto c'erano le cartellette "H.S.R. San Raffaele" e "Serravalle". Misteri, veleni. Forse semplicemente nuovi indizi. Andrea Galli agalli@corriere.it 02 agosto 2011 11:15© RIPRODUZIONE RISERVATA
su Milanese sì della Camera all'uso dei tabulati e all'apertura delle cassette di sicurezza Verdini, negato l'uso delle intercettazioni No dell'Aula alla richiesta dei pm nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti per il G8 NOTIZIE CORRELATE L'affitto di Tremonti e le carte sugli appalti di Fiorenza Sarzanini (28 luglio) Appalti e favori, Sogei nella bufera (23 luglio 2011) Milanese: darò ai pm le mie cassette di sicurezza (19 luglio 2011) Il voto sull'arresto di Milanese? "Lascerei libertà di coscienza" (14 luglio 2011) Lepore: "Tremonti non è indagato" (13 luglio 2011) Denis Verdini Denis Verdini MILANO - I magistrati napoletani potranno usare i tabulati telefonici che fanno capo al deputato del Pdl Marco Milanese e aprire le sue cassette di sicurezza. Lo ha stabilito la Camera approvando la richiesta dei pm partenopei. Negato invece l'uso delle intercettazioni che riguardano, nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti G8, il deputato Pdl Denis Verdini. "QUI SI SPUTTANA LA GENTE" - "Sono due anni che sono massacrato, che vengo travolto da questo tritacarne mediatico e giudiziaro da cui voglio uscire velocemente". E tutto questo avviene "con danni enormi e irreparabile. Io non mi lamento ma i danni non me li ripagherà nessuno", ha detto Denis Verdini in Aula. Il deputato Pdl ha sottolineato la necessità di "rivedere le norme che regolano le intercettazioni per evitare - ha spiegato - quello che è successo a me, travolto da due anni di persecuzione". "Chiedo che qui si rifletta sulla questione delle intercettazioni - ha aggiunto Verdini - perché da troppo tempo si sta sputtanando la gente su queste cose. A me è già avvenuto e nulla di più si può fare rispetto a quello che è stato fatto se non andare ai processi se ve ne sono le condizioni, ma queste cose toccano l'anima, il cuore e le famiglie". "Sono abbastanza forte, nessuno mi distrugge, non ho paura, ho perso molte cose, ma non voglio perdere la mia onorabilità", ha però anche aggiunto il coordinatore del Pdl. "ACCUSE INFAMANTI" - Nell'aula di Montecitorio, poco prima del voto, anche Milanese, ex braccio destro di Giulio Tremonti indagato per corruzione, rivelazione di segreto d'ufficio e associazione per delinquere nell'ambito di una indagine su una società assicurativa, ha preso la parola per ribadire la sua innocenza. "Sono innocente e le accuse contro di me sono false e ipocrite", ha detto mentre tutti i deputati di maggioranza e opposizione lo ascoltavano in assoluto silenzio. "Quando ho preso posto per la prima volta in quest'aula - ha assicurato Milanese - mai e poi mai mi sarei immaginato di dovermi, un giorno, difendere da accuse così infamanti". Marco Milanese Marco Milanese "ATTACCO AL SISTEMA DEI PARTITI" - Rivolgendosi all'opposizione e in particolare al leader Pd Pier Luigi Bersani, Milanese ha anche aggiunto: "Chiedetevi perché sono state mosse queste accuse contro di me: dovete interessarvi di questo. È vostro dovere farlo in un momento in cui è evidente l'attacco mosso da più parti al sistema dei partiti, sui quali si regge la nostra democrazia: non farlo e non intervenire per sapere cosa c'è dietro questa macchina del fango, sarà per tutti noi imperdonabile". Pronta la replica del segretario dei democratici. "Da più parti si tende a mettere tutti nel mucchio e questa è l'ispirazione che sta dietro le parole di Milanese. Noi non rivendichiamo una differenza genetica ma politica sì", ha detto Bersani. Subito dopo il voto della Camera con il quale la procura di Napoli è stata autorizzata all'apertura delle cassette di sicurezza e all'acquisizione dei tabulati telefonici, il deputato ha chiesto formalmente al pm, tramite il suo legale, di disporre anche l'acquisizione dei tabulati di tutti i telefoni riconducibili al gruppo Viscione dal 2009 a tutto il 2010. "Vi è infatti agli atti qualcosa più di un sospetto - ha detto il legale - che Viscione potesse avere notizie riservate da altri soggetti piuttosto che dall'onorevole Milanese". LE INDAGINI - Oltre che a Napoli, Milanese è anche indagato a Roma per una vicenda di presunte tangenti. Nell'ambito delle inchieste, il deputato del Pdl ha detto ai magistrati di avere preso in affitto una casa nel centro di Roma e di averla messa a disposizione di Tremonti, il quale dava a Milanese mille euro a settimana in contanti come contributo per l'affitto. La rivelazione e le accuse che investono il suo ex consigliere politico hanno indebolito il ministro, in un momento in cui l'Italia è sotto la pressione dei mercati finanziari. TREMONTI SPIATO, PARLA DE GENNARO - Quanto alla questione di Giulio Tremonti spiato, Gianni De Gennaro ha spiegato che i servizi segreti non hanno informazioni e non ne sanno nulla. Il direttore del Dipartimento informazioni e sicurezza avrebbe risposto così ai membri del Copasir in relazione alla vicenda sollevata dallo stesso titolare dell'Economia nei giorni scorsi, quando ha rivelato di aver deciso di andare ad abitare in un'abitazione affittata da Milanese perché si sentiva "spiato, controllato e pedinato". Proprio sulle parole di Tremonti, il Copasir ascolterà a settembre il comandante generale della Guardia di Finanza, il generale Nino Di Paolo. L'audizione, in programma da tempo, sarà l'occasione per approfondire il senso di queste affermazioni, oggetto anche di un'indagine della magistratura romana. Redazione online 02 agosto 2011 18:36
La ricostruzione L'imprenditore e "Farfallino" Così è partita l'inchiesta Dalle aree dismesse alla Milano-Serravalle e ai conti all'estero NOTIZIE CORRELATE Il network delle mazzette "Occhio ai signori di Milano" (1 agosto 2011) Il "sistema Sesto" dalle lire agli euro Versamenti effettuati fino al 2007 (1 agosto 2011) "Un miliardo di lire a Penati". Spunta il foglio dei pagamenti (31 luglio 2011) Filippo Penati (Imagoeconomica) Filippo Penati (Imagoeconomica) MILANO - Due grandi accusatori e un principale accusato. Gli accusatori: l'imprenditore di 59 anni Piero Di Caterina, proprietario di 15 aziende tra le quali la Caronte attiva nel trasporto pubblico, e il costruttore di 81 anni Giuseppe Pasini. L'accusato: Filippo Penati, 58 anni, politico ex di tanti incarichi. Sindaco (1994-2001) di Sesto San Giovanni e presidente della Provincia di Milano (2004-2009), già capo della segreteria politica del leader del Partito democratico Pier Luigi Bersani, Penati si è dimesso dalla vicepresidenza del Consiglio regionale. Perché? È coinvolto nell'inchiesta di due pm della Procura di Monza, Walter Mapelli e Franca Macchia. Lavorano su un presunto giro di tangenti relative all'ex Falck e all'ex Marelli. Ramo acciaierie la prima e metalmeccanico la seconda, hanno contribuito a dare a Sesto San Giovanni il soprannome di Stalingrado d'Italia. Il sistema delle mazzette ha al centro i piani di riconversione di questi spazi chilometrici. Penati, indagato per corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti, si dice innocente. Avrebbe incassato 2,94 milioni di euro per favorire imprenditori interessati alle riqualificazioni. Dalla Falck alle banche in Svizzera Basata su Sesto San Giovanni, la geografia di questa storia ha altre ramificazioni: prende l'asfalto della Milano-Serravalle (società che gestisce 180 chilometri di autostrade e tangenziali, con sede ad Assago), il Consorzio cooperative costruzioni di Bologna e le corsie del San Raffaele (l'ospedale di Milano 2 fondato da don Luigi Verzé, amico di Silvio Berlusconi). Ma le ramificazioni portano anche all'estero. Svizzera. Lussemburgo. Le sedi dei conti alimentati dalle tangenti. Così come emerso dagli interrogatori di Pasini e Di Caterina, e con un riscontro materiale: tracce di movimenti di denaro. Pasini, alias "farfallino" per il papillon presenza fissa al colletto, nel 2007 candidato per il centrodestra alle elezioni comunali di Sesto, di una cosa è certo. "Ho pagato 4 miliardi di lire in due tranche a Di Caterina all'estero perché così mi era stato chiesto da Penati in relazione all'approvazione del piano regolatore dell'area Falck". Interessato a rilevare le antiche acciaierie, Pasini, prosegue nel racconto ai pm, andò a chiedere a Penati della possibilità - in caso di acquisto dell'area - di "arrivare a una licenza". Bene, "Penati disse che avrei dovuto dare qualcosa al partito. Disse che a prendere accordi con me sarebbe venuto Di Caterina". Pasini spiegò di aver versato due miliardi di lire trasferendoli in Canton Ticino con mediatore l'indagato Giordano Vimercati, 61 anni, noto come "cardinale Richelieu", a lungo braccio destro di Penati, e di essersi girato un bonifico di due miliardi di lire in Lussemburgo su una banca coi soldi in un secondo tempo ritirati da Di Caterina. Il quale più volte si è lamentato per mancati introiti, per intoppi nel flusso delle tangenti. Pur conservando ricevute, cedolini, pagine con somme elencate. La contabilità del "Sistema Sesto". Ora sotto l'esame degli investigatori. I debiti milionari e Tangentopoli La Procura ha in mano anche una lettera. Del 2008. Di Caterina la scrisse a Penati e Bruno Binasco, arrestato sotto Tangentopoli per aver finanziato in maniera illecita il Pci. Premesso che "dal 1999 ho versato a vario titolo notevoli somme di denaro a Penati che ha promesso di restituire", ecco, di quel denaro l'imprenditore non è mai tornato in possesso. Il 66enne Binasco, principale collaboratore dell'imprenditore Marcellino Gavio, morto nel 2009, è amministratore della Milano-Serravalle. Nel mirino degli inquirenti c'è una triangolazione di denaro fra Di Caterina, Penati e Binasco. Triangolazione avente come base l'acquisizione, da parte di Binasco, di un immobile di Di Caterina a un prezzo più alto in maniera tale da estinguere un debito per conto di Penati. Penati e Binasco si conoscevano da prima. Nel 2005 la Provincia di Milano presieduta da Penati acquisì dal Gruppo Gavio-Binasco il 15% della Milano-Serravalle. Il prezzo? 8,9 euro per azione. Ogni azione era in precedenza costata 2,9 euro. L'operazione venne censurata dalla Corte dei Conti. La perizia chiesta dalla Procura ha giudicato il prezzo "congruo". Bonifiche, ospedali, sigle misteriose Nel luglio d'un anno fa Pasini iniziò a parlare e lasciarsi andare con Guardia di Finanza e Procura. Gli investigatori avevano appena perquisito Di Caterina. Cosa cercavano? False fatture con Luigi Zunino, l'immobiliarista interessato a comprare l'ex Falck e nei guai per le bonifiche ambientali nel quartiere fantasma di Santa Giulia. Anche Di Caterina cominciò a sfogarsi. Ma per quale motivo, lui e Pasini, farlo in forte ritardo? Perché "cantare" anni e anni dopo? Le prime tangenti sono datate tra la fine degli anni 90 e il 2001. Peraltro coinvolgendo, e da subito, le Cooperative di costruzioni. A suo dire, Pasini si sarebbe visto imporre un dazio da Omar Degli Esposti per avviare il cantiere: tirar dentro nel progetto due professionisti vicini alle Cooperative. Degli Esposti, 63 anni, direttore dei lavori del colosso delle costruzioni afferma il contrario. "Pasini? Gli faceva comodo il nostro nome". Degli Esposti è indagato. La Procura ha indagato un'altra persona del mondo del centrosinistra. L'architetto Renato Sarno. Il 65enne Sarno, ex dirigente del Comune di Sesto, ha disegnato per don Verzé il "San Raffaele Quo Vadis", l'ospedale "del benessere" che il nuovo Cda dell'ospedale schiacciato da un miliardo di euro ha messo fra le priorità degli investimenti da tagliare. Nell'ufficio di Sarno, durante le perquisizioni, è spuntato il file in formato Pdf dal titolo "Documento finanziamento sig. Penati". Fu Sarno l'intermediario di quella triangolazione con Di Caterina e Binasco. In mezzo ad altro materiale, nell'ufficio dell'architetto c'erano le cartellette "H.S.R. San Raffaele" e "Serravalle". Misteri, veleni. Forse semplicemente nuovi indizi. Andrea Galli agalli@corriere.it 02 agosto 2011 11:15
URBANISTICA Piano casa Regione, è scontro tra Polverini e ministro Galan "È incostituzionale". La replica della presidente del Lazio: "Gesto inaccettabile, ho chiamato Berlusconi" Renata Polverini (Imagoecomica) Renata Polverini (Imagoecomica) ROMA - Scontro tra la presidente della Regione Lazio Polverini e il ministro dei Beni culturali Galan. Oggetto il piano casa appena approvato dalla Regione Lazio. "Ci sono evidenti casi di incostituzionalità nel Piano Casa della Regione Lazio", ha detto il ministro dei Beni culturali Giancarlo Galan, in occasione della firma del protocollo d'intesa del patrimonio immobiliare di interesse culturale della Rai. GALAN: DI FATTO E' UN CONDONO - "Di fatto - ha commentato il ministro - fanno un condono in aree vincolate, ma il condono è una materia nazionale. Il ruolo di qualsiasi ministro dei Beni culturali - ha proseguito Galan - è quello di tutelare il patrimonio culturale, questa legge tende a svilirlo e ad indebolirlo. È esattamente l'opposto di quello che ci vuole per il nostro Paese". Il ministro ha citato, come paragone, il piano della Regione Veneto, di cui è stato governatore. "Il Veneto ha dato un buon esempio: le leggi si possono fare ma bene, senza provvedimenti incostituzionali e senza svilire il patrimonio artistico e monumentale dell'Italia. Su 162 chilometri di litorale laziale sono state avanzati 45 permessi per realizzare nuovi porti. E vogliamo ridurre così le difese dello Stato? - chiede il ministro - Io sono dalla parte della difesa delle coste e del Paese". Il ministro Galan (Jpeg) Il ministro Galan (Jpeg) POLVERINI: "GRAVE GESTO" - Dura la replica della presidente della Regione. "Ho già chiamato il presidente Berlusconi ed il coordinatore del suo partito", ha detto il governatore del Lazio Renata Polverini. "Il ministro Galan ha commesso un gesto dal punto di vista dei rapporti istituzionali assolutamente sgarbato e direi addirittura inaccettabile perché entra a gamba tesa in quella che è la prerogativa legislativa del consiglio regionale e della sua autonomia, parlando di cose che non conosce, perchèé se sono quelle che ho appena letto, non sono assolutamente previste nel piano. Il ministro Galan - ha aggiunto il presidente della Regione Lazio - ha fatto il presidente della Regione Veneto, ha difeso il suo territorio, io lo sto facendo altrettanto. Quindi non consento a nessuno, nemmeno ad un esponente del governo, di entrare in questo modo nella autonomia della regione e del consiglio regionale. Fatto ancora più grave, poi, è che l’intevento del ministro è arrivato mentre il provvedimento è in fase di approvazione". ALEMANNO: SOLIDALE CON RENATA - Interviene il sindaco di Roma per esprimere la sua solidarietà alla Polverini. "Il piano casa della Regione è in queste ore in discussione e credo che sia necessario aspettare e leggere il testo definitivo nella sua interezza prima di esprimere giudizi. In ogni caso, al Consiglio Regionale è affidata la competenza di adottare e licenziare un provvedimento così importante per tutti i cittadini come la legge sulla casa e sono sicuro che la Governatrice Polverini ha lavorato con serietà e competenza. A lei va la mia piena solidarietà per una polemica che, al momento attuale, non può essere giustificata", ha dichiarato Gianni Alemanno. 02 agosto 2011 17:09
L'assessore Granelli: sui parcheggi per disabili stiamo studiando un sistema a microchip Truffa dei pass, i mille invalidi fantasma In aumento le segnalazioni di abusi. Autorizzazioni rivendute o intestate a parenti defunti NOTIZIE CORRELATE I guai per i veri invalidi: "Gomme tagliate perché ho una bimba disabile" (30 giugno 2011) (Fotogramma) (Fotogramma) MILANO - Qualcuno li guarda da lassù mentre imboccano una corsia riservata e parcheggiano gratuitamente nel centro storico. Falsi invalidi nel nome del padre. Disabili su carta intestata e scaduta. Sono 968 i fantasmi su quattroruote, automobilisti che custodiscono il ricordo e conservano il pass d'un parente deceduto, ne sfruttano illegalmente i diritti e sfuggono ai controlli incrociati di Comune, Anagrafe, Asl e polizia locale: "È un comportamento odioso, inqualificabile, uno schiaffo a chi convive realmente con un handicap" denuncia Franco Bomprezzi, già portavoce dell'associazione Ledha e consulente della giunta Pisapia per la tutela delle fasce deboli. L'ultima frontiera degli sciacalli è stata appena valicata. Dieci persone hanno celebrato il funerale del congiunto e si sono precipitate alla centrale di piazza Beccaria, appena prima che gli agenti certificassero il decesso e aggiornassero il database, per ottenere il duplicato del contrassegno e il suo "trasferimento" su un'altra vettura di famiglia. Potevano? No. Era un raggiro. Sono stati denunciati per truffa. Dalle cronache giudiziarie emergono a ondate inchieste sull'utilizzo indebito dei lasciapassare nel traffico. Nell'ufficio Procedure sanzionatorie di via Friuli, secondo l'accusa della Procura, operava una cellula di agenti infedeli e spregiudicati. Sono stati i vigili urbani "puliti" a incastrare i colleghi "corrotti": diciassette ghisa gestivano - tra l'altro - un traffico di documenti clandestini direttamente dal Comando di Zona 2, avevano definito un tariffario, messo in coda i clienti, accontentato gli amici. Cento euro e la pratica era sbrigata. L'indagine è praticamente chiusa. I reati contestati sono pesantissimi. Corruzione e peculato. Gli automobilisti-truffatori s'infilano nelle maglie larghe dei controlli e nella rete delle competenze per vagolare sui confini del lecito. C'è chi denuncia d'aver smarrito il tagliando per ottenerne una copia (beccato), chi pretende un contrassegno per un parente di 99 anni o un malato talmente grave da potersi muovere solo in ambulanza, chi clona o fotocopia il cartoncino con una stampante a colori (presi), chi li ruba (226 certificati risultano "sottratti al proprietario" e altri sono 301 "scomparsi"), chi li rivende (dovrà rispondere del reato di ricettazione) e chi, più banalmente, utilizza la tessera in assenza del titolare disabile sul lato passeggero. Il perché è presto detto: il "bonus" invalidi libera le corsie preferenziali di autobus, tram e taxi (un passaggio su tre è "abusivo"), spalanca le zone a traffico limitato e l'area ecopass, consente di posteggiare gratuitamente nei posteggi a pagamento (strisce blu). Il neoassessore alla Polizia locale, Marco Granelli, ha ordinato agli agenti di insistere con le verifiche e bastonare i trasgressori: "Per i parcheggi riservati ai portatori di handicap stiamo invece studiando un sistema di microchip che identifichi la vettura sui 4.077 stalli personalizzati e lanci immediatamente l'allerta in caso di infrazione". In Comune sono registrati 21.229 pass auto per disabili. Il sistema elettronico del ticket antismog ha consentito, negli ultimi tre anni e mezzo, di ripulire almeno in parte gli elenchi e identificare centinaia di furbi: i contrassegni intestati a persone decedute sono progressivamente scesi dai 3.320 del 2009, ai 1.467 dell'anno dopo, fino ai 968 attuali. Ogni permesso è a termine. Ci sono quelli per invalidità permanente (durano generalmente cinque anni e sono rinnovabili) e quelli per invalidità temporanea (si va da una gamba rotta a patologie gravissime). Il problema è recuperarli alla scadenza. Il Comune spedisce una lettera a casa degli assegnatari "per segnalare la necessità di rinnovo o l'eventuale restituzione". Risposte? Poche. E dunque sospette. Per questo sono necessari gli screening periodici attraverso la Consulta per la disabilità, gli uffici anagrafici e la polizia locale: "Il settore Mobilità - spiegano dall'assessorato di Pierfrancesco Maran - aggiorna ogni quindici giorni il file con le targhe delle auto associate ai pass e depenna i tagliandi intestati ai deceduti, così la polizia può riconoscere e multare un veicolo parcheggiato abusivamente". Se vengono letti dalle telecamere antitraffico, i pass irregolari finiscono invece automaticamente cancellati dalla lista. E i fantasmi mitragliati di sanzioni telematiche. Armando Stella 02 agosto 2011 11:06
la strage alla stazione di bologna 31 anni fa: 85 morti e 200 feriti 2 Agosto, piazza strapiena Bolognesi: "Governo inqualificabile" Il presidente dell'associazione familiari delle vittime contro Berlusconi: "Ci feriscono attacchi alla magistratura da chi è stato iscritto alla P2". Napolitano: "Il ricordo previene rigurgiti di intolleranza" Il corteo a Bologna Il corteo a Bologna [NOTIZIE CORRELATE] -Giovanardi: "Basta menzogne". E dal Pdl romano: "Comizio di insulti" -2 Agosto, polemiche per l'assenza del governo (1/8) BOLOGNA - Non c’è, eppure è protagonista. Da Roma, come annunciato, non è arrivato nessun ministro per la commemorazione della strage alla stazione di Bologna. "Quest’anno come l’anno scorso, il governo non ha inviato alcun rappresentante istituzionale, è inqualificabile", ha detto dal palco di piazza Medaglie d’oro Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime: "La strategia sembra quella del silenzio, la volontà quella di far dimenticare". Poco dopo, dallo stesso palco, Virginio Merola: il governo "può non avere risposte, ma non si può mancare di rispetto", ha commentato il sindaco. Governo assente e criticato. Eppure la rappresentanza del mondo politico, quando ricorre il 31esimo anniversario della strage del 2 Agosto, è stata ridotta al minimo rispetto agli altri anni. Pochi i big di partito, assenti tutti i segretari nazionali. Parlamentari pochissimi. Si è visto Walter Vitali, ex sindaco sotto le Due Torri. David Sassoli, europarlamentare del Pd, ha spiegato: "Molti sono in parlamento, oggi è una giornata importante". Anche il governatore Vasco Errani ha lasciato presto la piazza per un impegno istituzionale improrogabile. E alla fine è toccato al sindaco Virginio Merola farsi carico della questione: "Mi scuso a nome dei parlamentari, che oggi sono impegnati a Roma". Due Agosto, Bologna ricorda Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti DAL PALCO - Ma se Merola scusa il parlamento, per il governo non ammette giustificazioni: "È vero che negli anni scorsi i fischi hanno colpito esponenti del governo", ma bisogna trovare il "coraggio e la responsabilità" per il "rispetto delle 85 vittime e dei 200 feriti" della strage. "È miope non avere l’intelligenza del cuore per vedere come questo giorno sia sentito da noi bolognesi", dice ancora riprendendo il Piccolo principe, affiancato questa volta alla Bibbia: "C’è un tempo per ogni cosa, come dice la Bibbia, arriverà il tempo della verità e della giustizia". E dopo aver ricordato il suo 2 Agosto di 31 anni fa, quando lavorava alle poste di via Bovi Campeggi, il sindaco ha proseguito: "Questa piazza dimostra ancora una volta quanto la memoria sia viva tra noi e quanto la solidarietà sia ben radicata. Qui siamo sempre in tanti a ripetere le due parole: verità e giustizia". BOLOGNESI - Poco prima, sul palco, Paolo Bolognesi ha pressato il governo sull’impegno, preso e mai mantenuto, di aprire gli armadi sulle stragi. Ha accusato poi Berlusconi: "Chi è stato iscritto alla P2 - ha tuonato Bolognesi - non dovrebbe dare giudizi sulla magistratura, accusandola di eversione". Ha lamentato trattamenti di favore per Fioravanti, Mambro e Ciavardini. E si è rivolto poi contro il sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Accusato prima della "squallida vicenda della parentopoli romana", che ha visto una "pattuglia di estremisti neofascisti raccomandati, piazzati da Alemanno nelle municipalizzate". Bolognesi ha criticato anche Alemanno per non aver "sentito l’esigenza di commemorare" il giudice Mario Amato a 30 anni dalla sua scomparsa, mentre ha intitolato a estremisti di destra. Spia, per Bolognesi, di un clima in cui "Fioravanti e i suoi sodali si sentono protetti e spalleggiati, coccolati da un clima a loro favorevole anche a livello istituzionale". LA GIORNATA - Se la politica si è fatta vedere poco, i cittadini hanno invece risposto in tanti, affollando via Indipendenza attraversata dal corteo che da piazza Nettuno si è diretto in stazione, dove il piazzale era pieno fino a viale Pietramellara. "2 agosto 1980: stazione di Bologna 85 morti 200 feriti" recitava lo striscione in testa, dietro i gonfaloni delle città, i familiari delle vittime, i sindaci in fascia tricolore e tante associazioni e semplici cittadini. Corteo silenzioso scandito dagli applausi fino a piazza Medaglie d’oro: "Mai più", un urlo forte e deciso, ma con il timbro delicato delle voci dei bambini e dei ragazzi, arrivava dall’aiuola di fronte alla stazione. A farlo i ragazzi della scuola di Pace di Monte Sole. Dal Palco Marco, 14 anni, e Farhana, 11, hanno letto i versi scritti per l’occasione da Roberto Roversi. Intervallati dai "mai più". Poi un minuto di silenzio, interrotto dai tre fischi del treno e dal lungo applauso. Ore 10.25. I ragazzi della scuola di Pace hanno lasciato andare in cielo 85 palloncini bianchi. 2 Agosto, immagini di una strage I primi scatti della tragedia I primi scatti della tragedia I primi scatti della tragedia I primi scatti della tragedia I primi scatti della tragedia I primi scatti della tragedia I primi scatti della tragedia INTERVENTI - "Il ricordo di quella strage è scolpito nella coscienza della Nazione e sollecita ogni giorno l’impegno civile dell’intera collettività nel prevenire qualsiasi rigurgito di intolleranza e di violenza", ha scritto il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ribadendo l’importanza della commemorazione per "l’ulteriore accertamento della verità storica e processuale". Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha ribadito "l'impegno costante di istituzioni e società civile a fare piena luce su una stagione di folle violenza terroristica", ricordando che "lo Stato ha il dovere di non lasciare mai soli i parenti delle vittime". Il presidente del Senato, Renato Schifani, ha ringraziato i familiari delle vittime per la "lotta all’oblio nel nome della verità". A Bologna c’era la figlia di Aldo Moro, Agnese. C’era la nipote del giudice Amato. Il sindaco di Bari, Michele Emiliano: "Abbiamo condiviso con questa città un dolore immenso, sproporzionato, incomprensibile. Abbiamo sottoscritto un gemellaggio che è per il futuro, senza dimenticare cosa è avvenuto il 2 agosto del 1980". Per il prefetto Angelo Tranfaglia "non mancherà l’impegno delle istituzioni, in primo luogo di governo e magistratura, e dobbiamo avere fiducia che anche a distanza di anni si possa dare finalmente ai familiari, alla città di Bologna e alla nazione una verità più completa". E l’eco delle proteste arriva anche a Montecitorio. Dai banchi di Udc, Pd e Idv si contesta l’assenza del governo: "Speriamo che ripari con un segnale di attenzione", dice la pd Sandra Zampa. Renato Benedetto 02 agosto 2011 2011-07-30 Le carte - Il ministro lasciò la foresteria della caserma già nel 2004 "Complotto" e conti della casa Il titolare del Tesoro sarà risentito I pm vogliono chiarimenti sulla presunta opera di "spionaggio". Milanese: mi disse che veniva spiato NOTIZIE CORRELATE Quello che il ministro ancora non ha detto S. Romano Tremonti: non ho bisogno di rubare (29 luglio 2011) Quello che Tremonti non ha detto di S. Romano (28 luglio 2011) Tangenti, accuse ad altri 5 politici. C'è Brancher. Il nome di Matteoli F.Sarzanini (29 luglio 2011) Giulio Tremoni e Marco Milanese (foto Imagoeconomica) Giulio Tremoni e Marco Milanese (foto Imagoeconomica) ROMA - Per due volte il ministro Giulio Tremonti è stato interrogato dai magistrati di Napoli, ma non ha mai raccontato di essere stato seguito o controllato. Né risulta che abbia mai presentato una denuncia su quello che ha invece rivelato ieri per giustificare la sua scelta di trasferirsi, due anni fa, nell'appartamento affittato dal suo consigliere politico, il parlamentare Pdl Marco Milanese: "Prima ero in caserma ma non mi sentivo più tranquillo. Nel mio lavoro ero spiato, controllato, pedinato. Per questo ho accettato l'offerta di Milanese". E dunque dovrà essere nuovamente ascoltato, soprattutto per chiarire diverse circostanze che al momento non trovano riscontro. Una su tutte: secondo quanto filtra dal comando generale della Guardia di finanza, il ministro ha lasciato l'alloggio in caserma - la foresteria di via Sicilia a Roma - nel luglio del 2004. Vale a dire, quasi cinque anni prima del trasloco dal suo collaboratore. Milanese e il "piano" Nell'indagine su Milanese - accusato di associazione a delinquere, corruzione e rivelazioni di segreto - il filone legato al ruolo del titolare dell'Economia torna dunque in primo piano. Anche perché rimangono discordanti le versioni su chi abbia effettivamente pagato il canone di quella casa, e questo ha già portato a una nuova contestazione di corruzione per lo stesso Milanese in concorso con Angelo Proietti (il costruttore che la ristrutturò e in cambio avrebbe ottenuto appalti dalla Sogei) e con l'ex presidente della Società generale informatica Sandro Trevisanato. Bisogna dunque tornare al 16 dicembre scorso, quando Tremonti viene convocato per la prima volta dal pubblico ministero Vincenzo Piscitelli. Risponde a tre domande sul ruolo di Milanese, ma nulla dice su possibili minacce o pressioni. Ne avevano invece riferito i giornali agli inizi di giugno e il 13 dello stesso mese, davanti ai pubblici ministeri Henry John Woodcock e Francesco Curcio che chiedono chiarimenti, Milanese afferma: "Ho visto il ministro Tremonti qualche giorno fa e mi ha detto che ha avuto uno sfogo con il presidente del Consiglio Berlusconi perché aveva saputo che lui, il ministro, era seguito o comunque negli ambienti politici si dice che stanno attuando il "metodo Boffo" anche nei suoi confronti, anche utilizzando le intercettazioni fatte nei miei confronti per le mie vicissitudini giudiziarie. E che quindi si utilizzi i miei problemi giudiziari per contrastare l' ascesa politica del ministro Tremonti. Lui mi ha ribadito che ha riferito a Berlusconi che stanno cercando "cose" per metterlo in difficoltà da un punto di vista politico. Ho capito che faceva riferimento anche alla Guardia di finanza e al generale Adinolfi come partecipanti al piano ordito nei suoi confronti". I conti per la casa Quanto basta perché i magistrati decidano di ascoltare la versione del diretto interessato, convocato alla Procura di Napoli quattro giorni dopo. Tremonti racconta la sua lite con Berlusconi, conferma di avergli "manifestato refrattarietà a campagne di stampa tipo quella "Boffo"" spiega che "quando dissi a Berlusconi "chiedi conferma ad Adinolfi" si trattava di uno sfogo non avendo io gli elementi per valutare i comportamenti di Adinolfi sotto il profilo deontologico". Ma non cita alcun episodio specifico che lo riguardi. A che cosa si riferisce dunque adesso, quando parla di caserme, pedinamenti e spiate? La scelta del ministro di effettuare una denuncia pubblica segue di qualche giorno la consegna della memoria difensiva di Milanese a Montecitorio. Nel documento, scritto con gli avvocati Franco Coppi e Bruno Larosa, il parlamentare afferma che Tremonti gli ha versato 1.000 euro a settimana in contanti per pagare l'affitto (che ammontava a 8.000 euro mensili) per un totale di 75.000 euro. Sino ad allora il ministro aveva dichiarato semplicemente di essere stato "ospite". A quanto risulta dagli atti processuali, per almeno due anni nessuno dei due avrebbe versato neanche un centesimo all'Ente proprietario del lussuoso appartamento. Lo scomputo dei lavori Il 28 giugno scorso viene interrogato da Piscitelli Alfredo Lorenzoni, il segretario generale del Pio Sodalizio dei Piceni, che afferma: "Milanese ha stipulato il contratto nel febbraio 2009 per l'appartamento di via di Campo Marzio che necessitava di lavori di circa 250/260 mila euro e concordammo l'esecuzione a suo carico per una cifra di 200 mila euro dal cui ammontare andava mensilmente scomputato il canone d'affitto". Il resto lo aggiunge il costruttore Proietti, che si incaricò dei lavori: "Fui io a far avere a Milanese un piccolo appartamento del Pio sodalizio dei Piceni e poi lui prese anche quello di via di Campo Marzio. Poiché doveva essere ristrutturato fissai il costo dei lavori in 200 mila euro e quella cifra riuscii a fargliela scalare dal canone. In realtà la ristrutturazione mi costò circa 50 mila euro, ma la feci a titolo gratuito". Dunque, se è vero che Tremonti ha versato 4.000 euro al mese, quei soldi potrebbero essere rimasti nella disponibilità di Milanese. Fiorenza Sarzanini 30 luglio 2011 10:35
2011-07-29 Hanno votato contro Pd, Idv, Udc, Mpa, Api e Fli Processo lungo, sì del Senato alla fiducia Allarme di Csm e Anm: "È inaccettabile" Il governo incassa il via libera. Il provvedimento torna alla Camera. Nitto Palma: nessun effetto deflagrante NOTIZIE CORRELATE LA SCHEDA: Cosa prevedono le nuove norme sul "processo lungo" Governo, fiducia all'allunga-processi (28 luglio 2011) Ministeri al Nord, scontro Lega-Napolitano. Berlusconi media (28 luglio 2011) Francesco Nitto Palma (Ansa) Francesco Nitto Palma (Ansa) ROMA - Il Senato ha approvato la fiducia al cosiddetto "processo lungo". Il ddl prevede l'inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo. Ma a creare scontro in aula sono state alcune norme introdotte a iter legislativo già avviato. In particolare, viene previsto che il difensore dell'imputato "ha la facoltà davanti al giudice di interrogare o fare interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico". Una prerogativa, questa, che viene vista come funzionale ad estendere i tempi di giudizio offrendo dunque maggiori possibilità di arrivare a prescrizione. Di qui la definizione di "processo lungo" (GUARDA le novità introdotte dal provvedimento). Secondo le opposizioni, di tale norma finirebbe col beneficiare in particolare Silvio Berlusconi nei processi che lo riguardano. Il governo incassa dunque 160 sì, mentre i no sono stati 139. Hanno votato contro Pd, Idv, Udc, Mpa, Api e Fli. A favore, Pdl, Lega e Coesione Nazionale. Il partito guidato da Antonio Di Pietro ha protestato in Aula con i deputati a reggere cartelli con la scritta: "Ladri di giustizia". Il provvedimento passa all'esame della Camera per l'approvazione definitiva. Venerdì è stato anche il giorno di esordio del neo ministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma. "Il processo lungo appena passato al Senato? Si dicono tante inesattezze" ha detto il neoministro commentando le polemiche. "Sul processo lungo c'è stata tanta discussione mediatica e tante inesattezze, ma non avrà nessun effetto deflagrante". Senato, la prima di Nitto Palma Senato, la prima di Nitto Palma Senato, la prima di Nitto Palma Senato, la prima di Nitto Palma Senato, la prima di Nitto Palma Senato, la prima di Nitto Palma Senato, la prima di Nitto Palma Senato, la prima di Nitto Palma CSM E ANM - Sul voto di fiducia, c'è l'allarme del Csm: il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Michele Vietti, considera che con il provvedimento sul cosiddetto "processo lungo" si vada "nella direzione opposta rispetto all'Europa". L'organo di autotutela dei magistrati, ha aggiunto Vietti, parlando con i giornalisti stamani a Torino, "ha presentato una risoluzione con le proprie valutazione su tali provvedimenti, che sono molto critiche. Abbiamo valutato di non votarlo su richiesta di alcuni componenti laici per consentire un miglior approfondimento; prendiamo atto che il governo non ha voluto fare lo stesso". Entrando nel merito, Vietti ha precisato che "le posizioni del Csm nei confronti dei provvedimenti sono molto critiche sotto il profilo delle sue ricadute sulla durata dei processi". "Siamo tutti impegnati in modo prioritario ad accelerarli - ha aggiunto - anche per tenere il passo con l'Europa. Questi provvedimenti - ha concluso - vanno esattamente nella direzione opposta". Assai critica anche l'Associazione nazionale dei magistrati. "La giustizia è una cosa seria - ha detto il presidente Luca Palamara -, ma purtroppo nell'ultimo periodo rischia di essere ridicolizzata: processo lungo, processo breve, la verità è che si vuole impedire di portare il processo a sentenza. È un favore ai criminali e si nega la giustizia alle vittime. È inaccettabile". LE REAZIONI- Non si sono fatte attendere le reazioni dei politici: "Dopo la sconfitta delle elezioni amministrative e del referendum il governo continua a emanare leggi ad personam con un'arroganza incredibile", spiega il senatore Svp Oskar Peterlini, spiegando il suo no alla fiducia. Mentre il capogruppo del Pd Anna Finocchiaro ironizza sull'assenza del premier: "All'assenza dall'approvazione della manovra qui al Senato si rispose dicendo che il presidente Berlusconi era scivolato su una saponetta. Mi chiedo se stamattina, vista la sua assenza, si sia strozzato con il dentifricio". Durante il dibattito, poco prima del voto, l'Italia dei Valori ha deciso per un blitz. Tutti i senatori hanno tirato fuori cartelli per protestare contro la norma. Ma il Pdl non ci sta e difende il provvedimento. "Abbiamo diritto di batterci per portare avanti un provvedimento in cui crediamo", aggiunge Maurizio Gasparri. Anche la Lega segue l'alleato. Sergio Mazzatorta: "Durante l'iter alla Camera quell'unico articolo è stato modificato aggiungendo altri 5 articoli che, secondo l'Anm, avrebbero generato problemi di carattere processuale. Abbiamo qui accolto quei rilievi. Questo testo garantisce la certezza della pena dell'ergastolo". Redazione online 29 luglio 2011 19:35
2011-07-28 il massimo organismo giuridico dell'ue conferma una precedente sentenza La Corte di giustizia dà torto a Mediaset: "Gli incentivi ai decoder aiuti di Stato" Dovrà restituire circa 220 milioni di euro e i vantaggi economici derivanti dall'aumento di share NOTIZIE CORRELATE Serviva davvero passare al digitale terrestre? Tv digitale: troppi disagi Il digitale: il grande business La corte di giustizia Ue ribadisce la sentenza sui decoder per il digitaele terrestre La corte di giustizia Ue ribadisce la sentenza sui decoder per il digitaele terrestre MILANO - Altra tegola su Mediaset, alle prese anche con la crisi di Endemol. La Corte di giustizia dell'Unione europea ha ribadito che Mediaset dovrà rimborsare lo Stato per gli aiuti erogati negli anni scorsi per l'acquisto dei decoder. La Corte ha quindi respinto il ricorso presentato dall'azienda televisiva dopo la sentenza dell'anno scorso. E ha perciò confermato che i contributi italiani per l'acquisto dei decoder digitali terrestri nel 2004 e 2005 "costituiscono aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune. Le emittenti radiotelevisive che hanno beneficiato indirettamente degli aiuti di Stato sono tenute a rimborsare le somme corrispondenti ai vantaggi in tal modo ottenuti". Mediaset dovrà rimborsare non solo i 220 milioni di euro del contributo dello Stato, ma anche i vantaggi economici conseguenti all'aumento dello share causato dall'operazione. LA SENTENZA UE - Con la legge finanziaria del 2004 - si ricorda nel dispositivo - l'Italia ha concesso un contributo pubblico di 150 euro ad ogni utente del servizio di radiodiffusione che acquistasse o noleggiasse un apparecchio per la ricezione, in chiaro, dei segnali televisivi digitali terrestri. Il limite di spesa del contributo è stato fissato a 110 milioni. La legge finanziaria del 2005 ha reiterato tale provvedimento nello stesso limite di spesa di 110 milioni, riducendo tuttavia il contributo per ogni singolo decoder digitale a 70 euro. Il consumatore che avesse però scelto un apparecchio che consentisse esclusivamente la ricezione di segnali satellitari non poteva ottenere il contributo: contro i contributi le emittenti televisive Centro Europa 7 e Sky Italia hanno inoltrato esposti alla Commissione. Con la decisione del 2007, Bruxelles osservava, in effetti, che detti contributi costituivano aiuti di Stato a favore delle emittenti digitali terrestri che offrivano servizi televisivi a pagamento nonché degli operatori via cavo fornitori di servizi televisivi digitali a pagamento, ordinando il recupero degli aiuti. Mediaset ha allora presentato un ricorso ma, nel giugno del 2010, il Tribunale lo ha respinto, confermando che il contributo costituiva un vantaggio economico a favore delle emittenti terrestri. Giovedì anche la successiva impugnazione di Mediaset è stata respinta. Ora "spetterà al giudice nazionale fissare l'importo dell'aiuto da recuperare sulla base delle indicazioni delle modalità di calcolo fornite dalla Commissione". Redazione online 28 luglio 2011 15:57
la replica all'editoriale di sergio romano domani sul corriere della sera Tremonti e le richieste di dimissioni "Mi sono già dimesso da inquilino" Una battuta del ministro sulla casa romana e sulle dichiarazioni del suo ex consigliere, Marco Milanese MILANO - "Dimissioni? Mi sono già dimesso da inquilino". Il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, replica con una battuta a chi ipotizza le sue dimissioni per le vicende legate all'inchiesta sul suo ex consigliere Marco Milanese che ha dichiarato di aver ricevuto mille euro alla settimana in contanti dal ministro per l'uso della sua casa nel centro di Roma. Alla conferenza stampa alla Cassa Depositi e Prestiti, il ministro ha aggiunto che risponderà "domani sul Corriere della Sera all'ambasciatore Sergio Romano" che nell'editoriale pubblicato oggi sul Corriere gli ha chiesto di spiegare la sua posizione. Redazione online 28 luglio 2011 17:31
UN CHIARIMENTO NECESSARIO Quel che Tremonti non ha detto I pagamenti in nero sono il male oscuro dell'economia nazionale. Quanti italiani possono affermare di non avere mai ceduto alla tentazione, magari per spese modeste e cose di poco conto? Quanti possono lanciare la prima pietra senza peccare d'ipocrisia? Ma la colpa è molto più grave se attribuita a persone che hanno l'obbligo istituzionale di esigere correttezza fiscale, di fissare le regole e di punire coloro che non le osservano. Temo che il caso del ministro dell'Economia, se i sospetti delle scorse ore sui pagamenti effettuati per l'affitto del suo appartamento romano avessero qualche fondamento, apparterrebbe a questa categoria. Giulio Tremonti è stato in questi anni il custode dei conti pubblici, il cane mastino della finanza nazionale. Ha esercitato le sue funzioni con un rigore e una tenacia che hanno suscitato l'approvazione di Bruxelles e contribuito alla credibilità dell'Italia nelle maggiori istituzioni internazionali. Alcuni colleghi di governo lo accusano di averlo fatto con criteri automatici (i "tagli lineari") che non tengono alcun conto delle differenze che certamente esistono fra i diversi contribuenti e i diversi organi pubblici colpiti dalla stretta fiscale. Ma chiunque abbia la benché minima familiarità con le abitudini politiche nazionali sa che cosa accade quando un progetto di legge finanziaria diventa materia di negoziati estenuanti e di ritocchi progressivi. Può darsi che Tremonti abbia messo nell'operazione alcuni tratti del suo "cattivo carattere" e una certa dose di narcisismo intellettuale. Ma nessun osservatore in buona fede può dimenticare quali sarebbero in questo momento le condizioni della finanza italiana sui mercati internazionali se la sua volontà non avesse prevalso. Il suo stile, tuttavia, gli ha creato nemici a cui non spiacerà sostenere, nei prossimi giorni, che anche il cerbero dei conti pubblici ha il suo tallone d'Achille. Il caso del ministro che paga in nero per un appartamento forse addirittura al centro di un'imbrogliata vicenda di favori e appalti rischia di diventare l'arma preferita dei suoi avversari. Qualcuno potrebbe persino sostenere che Tremonti è il nostro Murdoch. Se il magnate della stampa anglo-americana pretende di censurare i governi dall'alto della sua cattedra, ma compra le notizie corrompendo la polizia e intercettando le telefonate della gente, che cosa dire di un ministro dell'Economia e delle Finanze che pretende di tassare i suoi connazionali, ma accorda a se stesso un trattamento di favore? Tremonti dovrebbe rompere la spirale dei sospetti e parlare con franchezza ai suoi connazionali. Non deve permettere che questa infelice vicenda diventi l'ennesimo scandalo della vita pubblica nazionale e contribuisca ad accrescere la sfiducia del Paese per la sua classe politica. Ci dica che cosa è realmente accaduto e, se ha commesso un errore di giudizio o un peccato di distrazione, non tema di scusarsi pubblicamente. Lo faccia per se stesso e nell'interesse di un Paese che, soprattutto in questo momento, ha bisogno di un ministro dell'Economia serio e credibile. Sergio Romano 28 luglio 2011 10:40
un favore dopo l'ottenimento degli appalti Sogei. E un occhio di riguardo dalle Entrate L'affitto di Tremonti e le carte sugli appalti Le rivelazioni di Di Lernia: "La casa abitata dal ministro in via Campo Marzio era pagata dal costruttore Proietti" NOTIZIE CORRELATE Appalti e favori, Sogei nella bufera (23 luglio 2011) Milanese: darò ai pm le mie cassette di sicurezza (19 luglio 2011) Il voto sull'arresto di Milanese? "Lascerei libertà di coscienza" (14 luglio 2011) Lepore: "Tremonti non è indagato" (13 luglio 2011) Il ministro Giulio Tremonti e il deputato Pdl Marco Milanese (Ansa) Il ministro Giulio Tremonti e il deputato Pdl Marco Milanese (Ansa) ROMA - L'affitto dell'appartamento di via di Campo Marzio, occupato fino a qualche settimana fa dal ministro Giulio Tremonti, sarebbe sempre stato pagato da Angelo Proietti, il titolare della società Edil Ars che lo aveva ristrutturato gratuitamente e aveva ottenuto appalti dalla Sogei. I soldi sarebbero stati consegnati a Marco Milanese, il parlamentare pdl ex consigliere politico dello stesso ministro, accusato di associazione a delinquere, corruzione e violazione di segreto. A raccontarlo ai magistrati di Roma è Tommaso Di Lernia, l'imprenditore arrestato con l'accusa di aver pagato il leasing della barca di Milanese con un sovrapprezzo di oltre 200 mila euro in cambio di "commesse" dell'Enav. E poi dichiara che Tremonti - che al momento non risulta indagato - avrebbe ceduto al "ricatto" del consulente di Finmeccanica Lorenzo Cola, che chiese e ottenne la conferma di Pierfrancesco Guarguaglini alla presidenza della holding. Rivelazioni clamorose che i magistrati stanno adesso verificando, tenendo conto che Di Lernia sostiene pure di aver evitato una verifica fiscale grazie "all'intervento di Milanese su Befera", il direttore dell'Agenzia delle Entrate. Il canone della casa È l'11 luglio scorso. Nel carcere di Regina Coeli, dove è detenuto proprio per l'inchiesta sulla barca pagata a Milanese, Di Lernia - dopo aver ricostruito i passaggi dei versamenti - afferma: "Parallelamente sentii parlare di questo Milanese da Guido Pugliesi (amministratore delegato di Enav, ndr ) che da una parte era stanco delle pressioni e dei richiami che Milanese gli aveva fatto per Fabrizio Testa da nominare a Tecno Sky, ma che mi chiedeva anche di far lavorare un certo Angelo Proietti ai subappalti di Palermo che Cola aveva già deciso fossero affidati a Electron di Finmeccanica e a me. Presi tempo con Pugliesi e ne parlai con Cola il quale mi disse che Proietti era il soggetto che Milanese gli aveva descritto come "il tipo che mi dà 10.000 euro al mese per pagare l'affitto a Tremonti. Mi disse di dire a Pugliesi che lo avrebbe fatto chiamare da Milanese e avrebbero instaurato un rapporto amicale e comunque a Proietti in un immediato futuro Selex gli avrebbe dato lavori a Milano". Il 7 luglio scorso, dopo aver annunciato che avrebbe lasciato la casa "per ovvi motivi di opportunità", Tremonti ha spiegato di aver "accettato l'offerta fattami dall'onorevole Milanese per l'utilizzo temporaneo di parte dell'immobile nella sua piena disponibilità e utilizzo", lasciando intendere di essere stato ospite. Versione diversa da quella contenuta nel memoriale scritto con i suoi legali Franco Coppi e Bruno Larosa e consegnato a Montecitorio due giorni fa da Milanese che nel documento afferma: "Il ministro ha corrisposto, quale partecipazione all'affitto dell'immobile, a partire dalla seconda metà del 2008, la somma mensile di circa 4.000 euro. Settimanalmente e in contanti mi ha corrisposto circa 75.000 euro complessivi". Adesso sarà il pubblico ministero Paolo Ielo a dover effettuare ulteriori accertamenti per stabilire chi davvero abbia pagato quella casa, anche tenendo conto che Proietti è stato iscritto nel registro degli indagati per corruzione insieme a Milanese e all'ex presidente di Sogei Sandro Trevisanato, proprio perché avrebbe ottenuto l'assegnazione degli appalti a trattativa privata in cambio di soldi e favori. Il blitz dal ministro Il secondo capitolo affrontato da Di Lernia riguarda Finmeccanica. Dichiara nel verbale: "Nel giugno 2010 Cola mi chiamò e mi disse "sono dispiaciuto per aver fatto fare l'acquisto della barca a quel verme" alludendo a Milanese perché disse che il tizio (Milanese, ndr ) stava sostenendo la candidatura di Flavio Cattaneo a Finmeccanica invece di Guarguaglini, in più aveva saputo che aveva fatto estorsioni a persone di Napoli facendo l'inverso di quanto promesso e che Tremonti non rispondeva alle chiamate telefoniche di Guarguaglini. Lo stesso Cola mi diceva che questa storia non la mandava proprio giù e avrebbe da lì a poco organizzato un blitz dal ministro mostrandogli l'evidenza e la portata delle porcate commesse da lui e dai suoi consiglieri e che di sicuro avrebbe cambiato idea sui vertici di Finmeccanica. Dopo poco tempo Massimo De Cesare (il socio anche lui arrestato per la vicenda della barca, ndr ) mi riferisce che Milanese, per tramite di Fabrizio Testa, volle dirmi che Guarguaglini sarebbe stato riconfermato e da lì a qualche giorno Tremonti gli avrebbe telefonato. Infatti Cola mi disse che il blitz era andato a buon segno". Anche su questo i magistrati stanno effettuando verifiche soprattutto tenendo conto che Cola, indicato come il vero "braccio destro" di Guarguaglini, collabora da tempo con il pubblico ministero Ielo e ha già svelato il "sistema" che avrebbe consentito di emettere fatture false in favore delle aziende del Gruppo Finmeccanica ed Enav per creare "fondi neri" e così pagare tangenti a politici e manager. La "verifica" annullata Di Lernia sostiene di aver incontrato successivamente Proietti nell'ufficio di Pugliesi che lo invitava a chiudere la storia della barca. E spiega: "Dissi a Proietti che avevo bisogno di un favore da Milanese e lui mi diede appuntamento nel suo ufficio il giorno dopo. Lo vidi due giorni dopo portando con me tutto un incartamento riguardante un accertamento dell'Agenzia delle Entrate sulla mia società "Print Sistem" riferito al 2005. Gli dissi che non volevo favoritismi ma solo una buona parola ai fini di una verifica fiscale "serena" poiché avevo denunciato la stessa Agenzia per altre vicende e avevo paura di un accanimento nei confronti della società che amministro. Tre giorni dopo Proietti mi diede appuntamento a piazza del Parlamento e mi disse di stare tranquillo perché Milanese aveva parlato con Befera e mi assicurava nessun accanimento". È possibile che si decida di acquisire gli atti presso l'Agenzia delle Entrate proprio per stabilire quale fosse la reale portata della verifica e se Milanese abbia effettuato un intervento sul direttore che, a questo punto, potrebbe anche essere ascoltato come testimone. Il pranzo e le nomine Del resto l'influenza del consigliere politico del ministro sui dirigenti degli Enti che fanno capo al Tesoro è già emersa negli accertamenti su Sogei. Durante i controlli, i magistrati hanno scoperto che l'avvocato Luigi Fischetti - il legale che a metà di dicembre scorso ospitò l'ormai famoso pranzo con il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo - è stato nominato componente dell'Organismo di Vigilanza di Sogei, nonostante fosse il difensore del costruttore Proietti assegnatario di numerosi appalti. Un'incompatibilità che lui dice di aver "superato lasciando le riunioni quando si parlava del mio cliente, come dimostrano i verbali", ma su questa circostanza sono tuttora in corso riscontri. Ieri il capo della Procura di Roma ha chiesto ai colleghi napoletani la trasmissione degli atti che riguardano il pranzo a quattro: oltre a Capaldo e Fischetti, Milanese e Tremonti. Un "incontro conviviale" l'ha definito il deputato del Pdl, ma la procura generale presso la Corte d'appello della Capitale ha avviato un'istruttoria per verificare eventuali profili disciplinari: all'epoca Capaldo era infatti l'aggiunto titolare dell'inchiesta su Finmeccanica e alcuni indagati avevano già verbalizzato accuse contro Milanese. "Non sapevo che Milanese era invitato", ha sostenuto lo stesso Capaldo ma questo potrebbe non essere sufficiente ad evitargli il procedimento e le ulteriori verifiche avviate anche dalla procura di Perugia. La scorsa settimana il capo dell'ufficio umbro ha incontrato i colleghi di Napoli, che però negano di aver già affrontato con lui questa vicenda. Fiorenza Sarzanini 28 luglio 2011 11:52
Non passa la richiesta dei pm sull'utilizzo delle intercettazioni di Denis Verdini Arresto di Milanese, la Camera rinvia Bossi: "Tremonti non si deve dimettere" "La sua è stata una stupidaggine, resti al suo posto". La decisione sul collaboratore del ministro slitta a settembre NOTIZIE CORRELATE L'affitto di Tremonti e le carte sugli appalti (28 luglio 2011) Il deputato Pdl, Marco Milanese (Ansa) Il deputato Pdl, Marco Milanese (Ansa) ROMA - La Giunta per le Autorizzazioni di Montecitorio ha dato all'unanimità il proprio benestare alla richiesta dei pm di Napoli di aprire le cassette di sicurezza sequestrate al deputato del Pdl Marco Milanese e all'utilizzo dei tabulati telefonici per ricostruire i suoi rapporti con la Guardia di finanza. Ma a maggioranza - con i voti di Pdl, Lega e Udc - ha deciso di acquisire nuovi documenti relativi alla richiesta di arresto del parlamentare azzurro, già stretto collaboratore del ministro dell'Economia giulio Tremonti, rinviando la decisione finale a dopo la pausa estiva. La giunta infatti ha anche deciso una proroga che dovrà essere "sciolta" entro il 16 settembre. Entro quella data la giunta dovrà indicare per l'Aula la sua scelta a favore o contro l'arresto del deputato. Sulla questione delle cassette di sicurezza e sui tabulati l'Aula della Camera potrebbe invece votare già martedì prossimo. La decisione spetta ora alla conferenza dei capigruppo della Camera. La decisione di rinviare a dopo l'estate il pronunciamento sull'arresto è stata contestata dal Pd, secondo cui ci sarebbero stati i necessari tempi di discussione e votazione per liquidare la questione prima della pausa estiva. "TREMONTI? NON DEVE LASCIARE" - Intanto, mentre da più parti di ipotizza un possibile passo indietro esattamente come fece Claudio Scajola, a difendere Giulio Tremonti è sceso in campo il leader della Lega, Umberto Bossi. Il Senatùr ha detto di non volere entrare nel merito della vicenda, ma ha sottolineato che "Tremonti è uno che sicuramente controlla sempre che non gli crolli il soffitto sulla testa e non si è accorto di una buccia di banana". E visto che si tratta di "una stupidaggine" e di "una superficialità" e "non di un fatto grave", per il capo leghista l'idea di dimissioni del ministro, da sempre anello di congiunzione tra il Carroccio e il resto del centrodestra, non deve neppure essere presa in considerazione. Alla domanda dei cronisti su come si comporterà la Lega in merito alla autorizzazione all'arresto di Marco Milanese, Bossi ha glissato: "Ci penseremo il 15 settembre". IL NO PER VERDINI - La Giunta per le autorizzazioni, nella stessa seduta, ha poi detto no, a maggioranza, all'acquisizione delle intercettazioni di Denis Verdini chiamato in causa nell'inchiesta del G8. Verdini, anche ieri in giunta, si era espresso a favore dell'acquisizione della documentazione telefonica che lo riguarda. MILANESE AL CONTRATTACCO - Milanese, dal canto suo, ha annunciato che denuncerà per calunnia l'imprenditore Tommaso di Lernia, per alcune dichiarazioni rese ai magistrati romani e pubblicate oggi da alcuni quotidiani, tra cui il Corriere della Sera. Una nota dei legali Franco Coppi e Bruno Larosa spiega che Milanese, "a seguito delle odierne notizie giornalistiche relative alle dichiarazione del Di Lernia, smentisce categoricamente ogni sua affermazione e informa di aver dato mandato di presentare una denuncia per calunnia affinché l'autorità giudiziaria finalmente smascheri la macchinazione messa in atto nei suoi confronti da gente senza scrupoli e non si limiti a raccogliere dichiarazioni calunniose spesso tra loro contrastanti ed inconciliabili". Di Lernia - in carcere con l'accusa di corruzione nell'ambito di un'inchiesta su alcuni appalti Enav - ha detto ai magistrati romani che l'affitto della casa in cui abitava Tremonti quando si trovava a Roma, e nella disponibilità di Milanese, sarebbe stato pagato dall'imprenditore Angelo Proietti che in cambio avrebbe ricevuto subappalti. Redazione Online 28 luglio 2011 16:36
"L'indagato si è limitato a negare l'attendibilità delle affermazioni" Papa resta in carcere: "Non convince la tesi del complotto di Bisignani" Le motivazioni del gip nel respingere la domanda di scarcerazione/arresti domiciliari del deputato Pdl NOTIZIE CORRELATE Il gip: "C'è ancora pericolo di fuga, Papa non può uscire dal carcere" (27 luglio 2011) Alfonso Papa alla Camera (Ansa) Alfonso Papa alla Camera (Ansa) MILANO - Non convince la tesi sostenuta da Alfonso Papa di un complotto ordito da Luigi Bisignani ai suoi danni. È la convinzione del giudice per le indagini preliminari, Luigi Giordano, nel provvedimento con cui respinge l'istanza di scarcerazione o di concessione degli arresti domiciliari nei confronti di Papa. Iil gip scrive che "l'indagato si è limitato a negare l'attendibilità delle affermazioni raccolte dai pm senza indicarne convincenti ragioni o significativi motivi di astio e di rancore che possono averle determinate, se non alludere a un intervento di Bisignani. Non si è compreso in altri termini", scrive Giordano, "per quale motivo Bisignani" e altre quattordici persone "avrebbero reso dichiarazioni accusatorie nei confronti di Papa. Né è stata indicata quale fosse la causa di una tale azione da parte di Bisignani o quale credibile vantaggio costui intendesse conseguire riferendo spontaneamente ai pm le condotte di Papa". Il gip, inoltre, ha negato la revoca della misura cautelare per Papa sostenendo che non vi sono elementi per "ritenere diminuito il pericolo di inquinamento probatorio" e che non si può ritenere "che sia attenuato o scemato il pericolo di reiterazione dei reati". "DICHIRAZIONI INVEROSIMILI" - Il gip si sofferma sull'uso da parte di Papa di un telefono intestato a una donna del tutto estranea. "Il parlamentare ha reso dichiarazioni inverosimili. Si è limitato a dire di non sapere che una scheda mobile deve essere intestata a una persona, salvo poi lamentarsi che sarebbe stato intercettato sull'utenza registrata alla propria persona: dunque è ben conscio della differenza tra l'utilizzo del telefono intestato alla sua persona e quello di utenze intestate a terzi". Secondo il gip, Papa "non ha spiegato perché un parlamentare, che gode delle prerogative assicurate dall'art. 68 della Costituzione, abbia bisogno di telefoni intestati a persone ignare correndo in tal modo il rischio di essere intercettato". Redazione online 28 luglio 2011 16:31
di pietro: "serve una mobilitazione, vogliono allungare decine di migliaia di processi" Governo, fiducia sull'allunga-processi Napolitano: "Politica troppo divisa" L'esecutivo si blinda sul ddl, l'opposizione: "Inaccettabile, il governo si assume una responsabilità grave" NOTIZIE CORRELATE Napolitano: sui ministeri al Nord dubbi e rilievi Berlusconi teme per la tregua con la Lega Una veduta della Camera dei deputati Una veduta della Camera dei deputati MILANO - Mentre il Colle invita all'unità, in un'Italia sotto attacco speculativo dei mercati (giovedì mattina ha avuto buon esito l'asta per i btp decennali, ma cresce a dismisura il differenziale di rendimento tra i nostri titoli di stato e quelli tedeschi) il governo ha posto la fiducia sul disegno di legge del processo lungo che è stato fissato per venerdì alle ore 10. Lo ha annunciato il ministro per i Rapporti con il Parlamento Elio Vito al Senato al termine della discussione generale sul provvedimento. La seduta è stata immediatamente sospesa per consentire la riunione della Conferenza dei capigruppo di palazzo Madama. Il voto blindato da fiducia non consente all'opposizione la presentazione di emendamenti, limitando al minimo la corrente dialettica parlamentare. L'OPPOSIZIONE - Immediata la levata di scudi del Pd. "Se il governo si assume la grave responsabilità di mettere la fiducia su un provvedimento di natura parlamentare come quello sul processo lungo, è necessario che il neoministro della Giustizia Nitto Palma venga subito in Senato a spiegare il motivo. Una decisione del genere, assolutamente ingiustificata non si spiega se non con la necessità di salvare il presidente del Consiglio da uno dei suoi tanti processi. È una cosa inaccettabile. E tutto questo avviene nel silenzio più totale e nel totale asservimento della Lega ai bisogni del premier", dice la presidente dei senatori del Pd, Anna Finocchiaro. E continua: "In una situazione del Paese gravissima, testimoniata anche oggi dalle notizie sulla Borsa in cui servirebbe un clima politico positivo e costruttivo, ci troviamo invece di fronte a un governo e una maggioranza di irresponsabili che, per gli interessi di un premier disperato, ancora una volta umiliano il Parlamento, la giustizia, il nostro Paese". Il leader di Italia dei valori, Antonio Di Pietro, chiama "subito alla mobilitazione di massa contro il governo". "Se il buongiorno si vede dal mattino - ha affermato Di Pietro - siamo proprio messi male, visto che nel suo primo giorno da ministro Nitto Palma si è reso complice di azioni a tutela della criminalità e non della giustizia. Infatti, oggi, con la fiducia posta al ddl sul processo lungo, peraltro d'iniziativa parlamentare e su cui il governo avrebbe fatto meglio a non metterci becco, l`esecutivo e la maggioranza dimostrano che per risolvere i problemi del ben noto imputato sono disposti ad allungare, fino all`inverosimile, decine di migliaia di procedimenti per non farli arrivare a sentenza". IL MONITO DEL QUIRINALE - "La politica oggi appare debole, irrimediabilmente divisa e incapace di scelte coraggiose, coerenti e condivise". Lo ha detto il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, al convegno sulla Giustizia a palazzo Giustiniani, sottolineando la necessità di "uno scatto e di una svolta non foss'altro per un istinto di sopravvivenza nazionale". E sulla giustizia Napolitano ha detto di voler "mettere a fuoco il punto critico insostenibile cui è giunta la questione deviata da conflitti fatali tra politica e magistratura". LA LETTERA DEL COLLE - "Berlusconi ci ha parlato di questa lettera che gli ha inviato Giorgio Napolitano, che ci darà. L'ha posta alla nostra attenzione e ne discuteremo". Lo ha detto il ministro dell'Agricoltura Francesco Saverio Romano, dopo il Consiglio dei ministri. Secondo quanto riferiscono fonti di governo, però, sarebbe stato Gianni Letta a informare i ministri del'intenzione di distribuire la lettera per riflettere sulle parole del capo dello Stato. Di certo c'è che la riflessione in consiglio dei ministri promessa ieri dal premier a Giorgio Napolitano non c'è stata, essendo solo stata annunciata l'intenzione di distribuire la missiva per avviare poi una riflessione. Il 'quandò è ancora da stabilire. Redazione online 28 luglio 2011 16:30
Alfano in giornata aveva rassegnato le dimissioni: "Mi occuperò solo del partito" E' Nitto Palma il nuovo Guardasigilli Pd: "Auguri, ma fermi il processo lungo" Napolitano ha firmato per l'avvicendamento al ministero della Giustizia. La Bernini alle Politiche comunitarie NOTIZIE CORRELATE Napolitano e il nuovo Guardasigilli. "Non sono pronti, hanno altri problemi" (22 luglio 2011) Nitto Palma, Pdl, è il nuovo ministro della giustizia in sostituzione di Angelino Alfano (Imagoeconomica) Nitto Palma, Pdl, è il nuovo ministro della giustizia in sostituzione di Angelino Alfano (Imagoeconomica) MILANO - E' Francesco Nitto Palma il nuovo ministro della Giustizia. Il presidente Giorgio Napolitano, dopo una mezz'ora di colloquio con il premier Berlusconi al Quirinale, ha firmato il decreto per l'avvicendamento alla guida del ministero di via Arenula, dopo che in giornata c'era stata la formalizzazione delle proprie dimissioni dall'incarico di governo da parte di Angelino Alfano, neo segretario politico del Pdl. La nomina a ministro fa decadere quella a sottosegretario all'Interno, sino ad oggi ricoperta. Nella stessa occasione Anna Maria Bernini è stata nominata nuovo ministro delle Politiche comunitarie. I due neoministri giureranno giovedì pomeriggio al Quirinale. "FERMI IL PROCESSO LUNGO" - Al neo ministro ha inviato le proprie congratulazioni anche quello che una volta si sarebbe definito il suo "ministro ombra", ovvero il responsabile Giustizia del Pd, Andrea Orlando. Che nel passaggio di testimone spera di vedere anche un cambiamento di linea, in particolare sulla legge del cosiddetto "processo lungo" in discussione al Senato. "Mi auguro che il primo atto del ministro sia quello di fermare questa legge obbrobriosa - ha sottolineato Orlando -. Si tratta dell'ennesima legge ad personam a favore di Silvio Berlusconi. La giustizia italiana ha invece bisogno di interventi urgenti e strutturali nella sua organizzazione. Spero per questo che il cambio alla guida del dicastero implichi un radicale cambio di agenda che accantonasse fantasmagoriche riforme epocali e affronti le vere emergenze del sistema giudiziario italiano: le condizioni del sistema carcerario, il funzionamento della giustizia civile, l'organizzazione e le risorse per uffici giudiziari sul territorio". Non nutre però molte speranze, da questo punto di vista, Massimo Donadi dell'Idv: "Con la nomina a ministro della Giustizia di Nitto Palma, che negli anni passati lasciò traccia di sè in Parlamento solo per essersi reso promotore di alcune norme ad personam a tutela di Cesare Previti, possiamo dire che, per quanto riguarda la giustizia, il centrodestra continua a percorrere la solita strada. Con lui o con Alfano non cambia nulla a Via Arenula. Una nomina in assoluta coerenza con chi lo ha preceduto". "BASTA SCONTRI POLITICA-MAGISTRATURA" - Dal canto suo, Nitto Palma, nelle prime dichiarazioni alle agenzie di stampa ha detto che "il tempo dello scontro tra politica e magistratura deve cessare" e che "nell'ambito delle proprie responsabilità ognuno di noi deve farsi carico dell'enorme problema della giustizia e quindi deve affrontare le necessarie riforme". Alla domanda se aderirà alla richiesta dell'opposizione di cambiare la linea portata avanti fino ad oggi dal suo predecessore Angelino Alfano, il neo ministro ha risposto: "Ho troppi anni e troppa esperienza, sia da magistrato che da politico, per cadere nel gioco propagandistico dell'opposizione. Considero l'operato di Angelino Alfano di indiscusso livello e sono onorato nel succedergli come Guardasigilli. Nessuno pensi di essere più bravo, più etico e più onesto di altri. La propaganda politica è cosa diversa dal corretto confronto sulle norme e sulla loro sintonia costituzionale, ovvero sulla loro finalizzazione ad attuare i principi sul giusto processo". LA LETTERA - Il Pdl nel frattempo ha reso nota la lettera con cui Alfano ha rassegnato le proprie dimissioni dall'incarico nel governo, ritenuto non sovrapponibile a quello di guida del partito. "Carissimo Presidente - si legge nella lettera -, a ragione dell'incarico di Segretario politico del Pdl, di recente conferitomi, rassegno le mie dimissioni dalla carica di Ministro della Giustizia, in considerazione della specificità e dei compiti che allo stesso sono riconosciuti dalla nostra Carta Costituzionale e che mi fanno ritenere tale funzione di Governo incompatibile con un così rilevante incarico politico". Redazione online 27 luglio 2011(ultima modifica: 28 luglio 2011 08:44)
L'INCHIESTA Lele Mora, Fede indagato per concorso in bancarotta Il direttore avrebbe trattenuto la metà del prestito di Berlusconi per evitare il fallimento della società di Mora NOTIZIE CORRELATE Bancarotta fraudolenta, arrestato Mora: "Soldi in Svizzera, poteva fuggire" (20 giugno 2011) Il prestito a Lele Mora. La mediazione di Fede: "Io ne tengo un terzo", di L. Ferrarella (18 gennaio 2011) Fede: "Me ne andrò dal Tg4 quando se ne andrà Berlusconi" (21 giugno 2011) Emilio Fede (Emblema) Emilio Fede (Emblema) MILANO - Emilio Fede è stato iscritto nel registro degli indagati per il reato di concorso in bancarotta di Lele Mora. I due, insieme a Nicole Minetti, sono accusati anche di induzione e favoreggiamento alla prostituzione nel caso di Karima "Ruby" El Mahroug. Il direttore del Tg4 nei giorni scorsi ha ricevuto un invito a comparire ed è stato sentito dai pubblici ministeri, Massimiliano Carducci ed Eugenio Fusco. LA VICENDA - Emilio Fede è stato coinvolto nell’inchiesta perché avrebbe trattenuto parte dei 2.950.000 euro che Silvio Berlusconi aveva prestato a Mora nel 2010 per ripianare i suoi debiti ed evitare il crack. Le versioni di Fede e Mora non solo divergono, ma sono state ritenute dagli investigatori del tutto contrastanti. Secondo quanto trapela, Fede avrebbe dichiarato di aver preso 400 mila euro in restituzione di un precedente prestito. Mora invece nel corso di due diversi interrogatori, l’ultimo dei quali si è tenuto oggi, avrebbe sostenuto che il direttore ha trattenuto per sé poco meno della metà del totale del prestito, erogato in tre diverse tranche. In ogni caso, i pm contestano a Fede di aver sottratto parte dei soldi proprio nel gennaio 2010, durante i 30 giorni concessi dal giudice fallimentare a Mora per trovare una soluzione utile a evitare il crack, dopo che il fascicolo sulla LM Management era stato trasmesso da Bergamo a Milano. Lo proverebbe una scrittura privata agli atti dell’inchiesta. Proprio il 19 gennaio, infatti, Mora aveva ricevuto assegni per 950 mila euro, viene ricostruito nell’ordinanza di arresto a suo carico. Avrebbe poi ricevuto due assegni per un totale di 1 milione il 18 marzo e ancora 1 milione il 19 ottobre. Le versioni di Fede e Mora divergono inoltre sul fatto che Berlusconi avrebbe promesso a Mora un ulteriore prestito, perché l’agente temeva di finire in carcere come poi è accaduto. Fede avrebbe negato che questo sia accaduto. Per accertare dove stia la verità, la procura ha disposto ulteriori accertamenti che si aggiungono alla documentazione acquisita tramite rogatoria a Lugano. Redazione online 28 luglio 2011 16:00
I verbali deLl'inchiesta di Monza "Penati mi disse di versare al partito" Il costruttore Pasini: Di Caterina suo amico, raccoglieva tangenti per lui NOTIZIE CORRELATE Inchiesta ex Falck, la procura di Monza chiede le carte del caso Serravalle (27 luglio 2011) Penati: "Non ho conti all'estero. I miei accusatori? Tutti indagati" (26 luglio 2011) Penati lascia tutte le cariche nel Pd. "Innocente, faccio due passi indietro" (25 luglio 2011) Di Caterina: "Soldi anche al partito di Penati" Consiglio regionale, passo indietro di Penati. "Ma sono innocente" Pasini, il grande accusatore: chi ha sbagliato ora paghi (21 luglio 2011) Protagonisti e comprimari, vent'anni di politica giocata sull'area ex Falck (21 luglio 2011) Penati: "Sono sereno, non ho nulla da temere" (20 luglio 2011) Ex Falck, Filippo Penati indagato per corruzione e concussione (20 luglio 2011) MILANO - "Quello di cui sono assolutamente certo - scandisce ai pm il costruttore Giuseppe Pasini - è che ho pagato 4 miliardi di lire in due tranche a Di Caterina all'estero perché così mi era stato chiesto da Penati in relazione all'approvazione del piano regolatore dell'area Falck di Sesto". Pur coperti da una pioggia di omissis, ecco gli interrogatori di Pasini e dell'imprenditore del trasporto urbano Piero Di Caterina, dai quali è nata tutta l'inchiesta sull'ex sindaco ds di Sesto San Giovanni e dimessosi vicepresidente pd del consiglio regionale lombardo Filippo Penati. Filippo Penati (Fotogramma/Grosso) Filippo Penati (Fotogramma/Grosso) Pasini, nel 2007 candidato del centrodestra a Sesto, nel 2000 era il costruttore che stava per acquistare dai Falck l'area delle ex acciaierie. "Io - ricorda ai pm - sono andato a chiedere a Penati se, nel caso avessi comprato l'area Falck, era possibile arrivare a una licenza. Penati mi disse che avrei dovuto dare qualcosa al partito ovvero a qualcuno. A tal fine ho incontrato Penati in Comune nel 2000", il quale "mi disse che l'operazione mi sarebbe costata 20 miliardi di lire in tranche di 4 miliardi l'una. Mi disse anche che a prendere accordi con me sarebbe venuto Di Caterina" che, "all'epoca molto amico dell'amministrazione e in particolare di Penati, aveva il compito di portare a casa dei quattrini". Per chi? "Penati non mi disse che i soldi servivano per qualche personaggio politico più in alto, ma ho immaginato che questo potesse essere perché tutti erano interessati all'operazione". Sul pagamento dei 4 miliardi, Pasini spiega di aver fatto a se stesso (conto "Pinocchio") un bonifico in Lussemburgo su Banca Intesa: "Ho ritirato in contanti 2 miliardi che la banca mi aveva già preparato in una valigetta". Soldi dati a Di Caterina, "non ricordo se venne e ritirò personalmente o se su indicazione versai su un conto a lui riconducibile". Sei mesi dopo Pasini dice di aver pagato gli altri 2 miliardi, "veicolati sulla Svizzera perché ho un ricordo di un viaggio fatto in macchina con mio figlio Luca per andare a Chiasso o a Lugano". Poi "ci sono state altre occasioni in cui, su richiesta di Penati, ho consegnato somme in contanti in Italia a Giordano Vimercati (in seguito capo di gabinetto di Penati presidente della Provincia di Milano), approssimativamente equivalenti a 500.000 euro tra fine anni 90 e inizi del 2000, dazione che potrebbe riferirsi all'area Marelli". Per la quale, a suo dire, c'era già stata una tangente: "Penati mi disse che era "indispensabile" fare una uscita verso via Adriano, la qual cosa avrebbe necessariamente comportato l'acquisto da parte mia del terreno di proprietà di Di Caterina", che "in cambio volle la cessione di un mio terreno più una somma": con il risultato che "all'esito di questa trattativa ho pagato a Di Caterina circa 1 miliardo e 250 milioni di lire. Capii chiaramente che il prezzo non era trattabile. All'epoca capii che Di Caterina avrebbe dato una parte della somma a Penati e tale circostanza mi è stata confermata da Di Caterina in successivi incontri nei quali mi ha riferito di avere consegnato importi di denaro a Penati. Sostanzialmente Di Caterina in quegli anni faceva da "collettore" soprattutto per Penati con il quale aveva un rapporto molto stretto. Quando indico Di Caterina come collettore di tangenti, mi riferisco al fatto che era la persona più vicina ai componenti il consiglio comunale", e "quindi chi voleva avvicinare questi politici contattava Di Caterina". Minetti, Penati, Rizzi: indagati in consiglio regionale Minetti, Penati, Rizzi: indagati in consiglio regionale Minetti, Penati, Rizzi: indagati in consiglio regionale Minetti, Penati, Rizzi: indagati in consiglio regionale Minetti, Penati, Rizzi: indagati in consiglio regionale Minetti, Penati, Rizzi: indagati in consiglio regionale Minetti, Penati, Rizzi: indagati in consiglio regionale Minetti, Penati, Rizzi: indagati in consiglio regionale E Di Caterina che dice? "Tra me e Penati c'era un rapporto confidenziale per cui era più naturale chiedere il denaro a me. Ho portato - dice ai pm - copie di buste nelle quali avevo riposto contanti provenienti dalla mia attività di trasporto estero su estero, sulle quali sono annotati i pagamenti per contanti fatti a Penati e Vimercati", oltre "ad altri soggetti ma sempre su loro richiesta". La somma, "da fine 1997 al 2002 e qualcosa nel 2003", è "pari a lire 2 milioni 235.000 euro". La particolarità è però che Di Caterina spiega di aver avuto in parte, e di attendere in altra parte, alcune restituzioni di quei versamenti secondo compensazioni su più tavoli d'affari: "Quando ho prestato i soldi a Penati eravamo già in trattative per il piano Marelli e io ero sicuro che le somme che gli anticipavo mi sarebbero state restituite dalle tangenti che Pasini doveva pagare a Penati e che erano di importi rilevanti. Ero sicuro in quanto era scontato che Pasini avrebbe pagato una tangente a Penati per l'operazione, e del resto la cosa mi fu anche detta più volte dallo stesso Penati e da Vimercati, e cioè che i soldi sarebbero rientrati". Complicato, ma redditizio per Di Caterina: "Io avevo notevoli vantaggi da questa operazione in quanto Penati e Vimercati mi proteggevano da Atm, mi hanno fatto entrare nel consorzio Trasporti, e mi hanno consentito di partecipare a operazioni per me lucrose". Su un conto che apre il 29 febbraio 2001 in Lussemburgo, Di Caterina conferma che "da Pasini ho ricevuto due versamenti il 22 marzo 2001 per un totale attualizzato di 1 milione e 104mila euro che ho scudato nel 2003: tale importo corrisponde alla somma che Penati doveva restituirmi per dazioni di denaro fatte a lui fino al 1997". I pm cercano di capire: "Ma quando lei ha versato il denaro a Penati, l'ha fatto nella convinzione che si trattava di prestiti, o di pagamenti in cambio di favori che comunque le sarebbero ritornati in affari, e di cui adesso chiede la restituzione non essendo andate nei termini sperati alcune operazioni?" Di Caterina risponde: "Si è trattato di pagamenti in cambio di favori nel modo in cui lei li ha descritti nella domanda, e quindi ora io attendo la restituzione". Luigi Ferrarella (lferrarella@corriere.it) Giuseppe Guastella (gguastella@corriere.it) 28 luglio 2011 12:35
i casi penati, pronzato, tedesco Il Pd e le inchieste, l'ira di Bersani "La macchina del fango non ci fa paura" Il segretario dei democratici: "Partono le querele. Allo studio una class action di tutti gli iscritti" MILANO - Pier Luigi Bersani non ci sta. Le critiche che i giornali muovono al Pd, travolto e "turbato" dalle vicende di Tedesco, Penati e Pronzato, fanno andare su tutte le furie il segretario dei democratici. Che promette battaglia. Se la prende con le "macchine del fango che iniziano a girare" il numero uno del Partito democratico. E avverte: "Se sperano di intimorirci si sbagliano di grosso. Le critiche le accettiamo - sottolinea Bersani - le aggressioni no, le calunnie no, il fango no. Da oggi iniziano a partire le querele e le richieste di danni. Sto facendo studiare la possibilità di fare una class action" da parte di tutti gli iscritti al Pd. Il leader difende il suo partito, dice che il Pd "è totalmente estraneo a tutte le vicende di cronaca di cui si parla" e assicura: "Il turbamento non ci farà chiudere la bocca". I democratici, osserva Bersani, "si stanno muovendo su quattro principi: il rispetto assoluto della magistratura, il principio per cui, onorevoli o meno, tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, quello per cui chi è investito di una funzione pubblica, quando è indagato, fa un passo indietro per non imbarazzare il partito, al netto della presunzione di innocenza. E infine chiediamo che si faccia una legge sulla trasparenza dei partiti". PDL - Le repliche della maggioranza alle parole del segretario Pd non si fanno attendere. "Bersani invoca come molti la macchina del fango che colpirebbe il Pd. Ma ci dovrebbe parlare della macchina dei soldi che invece sembra avere alimentato uomini e ambienti della sinistra" attacca il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri. Per il portavoce del Pdl Daniele Capezzone se Bersani vuole essere intellettualmente onesto e non ipocrita, "deve ripudiare anni e anni di giustizialismo selvaggio, nel quale il suo partito si è letteralmente crogiolato". "ERRORI" - In una conferenza stampa alla Camera, il numero uno dei democratici ha ammesso che nella gestione della vicenda dell'arrivo del senatore Tedesco a Palazzo Madama ci sono stati errori da parte del Pd. All'epoca, l'attuale segretario non aveva nessuna responsabilità, "anche se questa cosa viene attribuita a me", ha voluto puntualizzare l'interessato. Ai democratici però, secondo Bersani, va comunque riconosciuta una cosa: quella cioè di aver chiesto alla Camera e al Senato l'arresto di Papa e Tedesco. "Questa cosa non può passare in cavalleria. Siamo stati coerenti. Lo si riconosca". INVITO ALLA LEGA - Da Bersani è arrivato anche un invito alla Lega. "Non è più tempo di guerre guerreggiate tra maggioranza e opposizione - ha detto -, è tempo di prendere decisioni di fondo. Chi nella destra comincia a percepire l'insostenibilità della cosa, la Lega o altri, crei le condizioni per andare al Quirinale". LETTERA AL FATTO - In una lettera al Fatto Quotidiano il numero uno del Pd ha affrontato il caso Penati, suo ex braccio destro coinvolto nell'inchiesta sulle presunte tangenti a Sesto San Giovanni e sui rapporti con l'imprenditore Marcellino Gavio. "Non dovrebbe essere troppo disagevole considerare quali siano le persone che davvero ho motivato e promosso in lunghi anni di vita amministrativa. Ho la presunzione di credere che verrebbe riconosciuto che si tratta di gente in gamba e di gente sicuramente perbene", ha scritto Bersani. E ha spiegato: "Il ministro delle Attività produttive conosce tutti i principali imprenditori italiani. Li conosce, non li sceglie. Gavio, segnalandomi la preoccupazione per un contenzioso aperto con la Provincia di Milano, mi disse di non conoscere il presidente appena insediato e mi chiese di favorire un incontro con Penati. Così feci, via telefono". Il leader democratico ha chiesto poi di mettere la vicenda Pronzato "nelle giuste dimensioni". "Ho saputo dai giornali che Pronzato era un mio uomo. Non è mai stato mio consigliere alle Attività produttive", ha scritto Bersani. "Lo trovai 11 anni fa al ministero dei Trasporti come consigliere ministeriale, lo confermai assieme agli altri consiglieri per il solo anno in cui fui ministro. Divenne consigliere Enac parecchi anni dopo". "Quella del doppio incarico è una cosa inopportuna", ha aggiunto. "Non nego dunque di aver ricavato insegnamenti dalla vicenda, ma vorrei che fosse messa nelle giuste dimensioni". Redazione online 27 luglio 2011 16:24
2011-07-25
Il parlamentare per cui Palazzo Madama ha negato l'autorizzazione ai domiciliari Tedesco: addio al Pd, non al Senato "M'hanno trattato peggio di una colf" "Non vedono l'ora che me ne vada, li accontenterò scrivendo una lettera di dimissioni a Bersani" Alberto Tedesco Alberto Tedesco MILANO - Alberto Tedesco non lascerà Palazzo Madama ma dirà addio al Pd. In una intervista a La Stampa, il parlamentare, per il quale la settimana scorsa il Senato ha negato l'autorizzazione agli arresti domiciliari, ha spiegato di volere abbandonare i democratici. "Dal Pd - accusa Tedesco - non mi hanno neanche chiamato come si farebbe con una colf che si licenzia, mi hanno chiesto le dimissioni a mezzo stampa", ma siccome "non vedono l'ora che me ne vada, li accontenterò tra qualche ora scrivendo una lettera di dimissioni al segretario". CRITICHE A BINDI, VELTRONI E LETTA - Il senatore risponde poi a Rosy Bindi, spiegando che "polemizza" con lei perché è il presidente del partito: "Dice che non vuole vedere turbato il partito da un ex socialista, questo la dice lunga sulla cultura garantista della signorina Bindi. Se si è socialisti si è delinquenti per definizione". Perchè, aggiunge, "non chiedono le dimissioni anche a Penati? A un ex comunista si consente di dimostrare che è innocente...". Tedesco, infine, se la prende anche con chi, come Veltroni ed Enrico Letta, hanno chiesto un suo passo indietro: "Se c'è qualcuno che ha fatto del male al Pd e al Paese col suo rilancio dipietrista è Veltroni". E su Letta: "Non sa scegliere i dirigenti" e "ha portato in Parlamento uno come Boccia che non riesce nemmeno a far eleggere un consigliere comunale nel suo comune...". Redazione online 25 luglio 2011 13:20
per il caso FIN.MA.VI Cecchi Gori arrestato per bancarotta torna in manette il produttore fallito Il noto imprenditore aveva già subito 4 mesi di detenzione, tra carcere e domiciliari, nel 2008 Cecchi Gori durante l'arresto del 2008 (foto Ansa) Cecchi Gori durante l'arresto del 2008 (foto Ansa) ROMA - Arrestato per bancarotta Vittorio Cecchi Gori. Il produttore è finito in manette lunedì, nella Capitale, con l'accusa di bancarotta fraudolenta. Finanzieri del Comando provinciale delle Fiamme Gialle di Roma hanno eseguito nei suoi confronti un'ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari. Già nel 2008, Cecchi Gori - coinvolto in una lunga inchiesta sul fallimento di due delle sue società - era stato arrestato, quindi aveva trascorso 4 mesi tra carcere e arresti domiciliari. Con l' intermezzo di un ricovero per motivi di salute e del successivo intervento in una clinica. CRAC E LIBERTA' - Nell'ottobre dello stesso anno aveva riottenuto la libertà. Il precedente ordine di custodia cautelare in carcere per Vittorio Cecchi Gori era scattato il 3 giugno 2008 per il fallimento della Safin Cinematografica: un crac da 24 milioni di euro che gli era costato una prima accusa di bancarotta. Poi, però, il gip Guicla Mulliri, su istanza degli avvocati Massimo Biffa e Antonio Fiorella, aveva deciso che non sussistevano più i presupposti della detenzione preventiva e aveva revocato i "domiciliari", l' ultima misura a cui era stato sottoposto l' imprenditore. Il processo per il fallimento della Safin, che gestiva le sale cinematografiche, tra cui il cinema Adriano a Roma, era poi iniziato il 5 dicembre 2008. Cecchi Gori quando era ai domiciliari nella sua casa tre anni fa (foto Ansa) Cecchi Gori quando era ai domiciliari nella sua casa tre anni fa (foto Ansa) LA CASSAFORTE DEL GRUPPO - Parallelamente, un altro procedimento coinvolgeva il produttore: quello per il fallimento della Fin.Ma.Vi, considerata la "cassaforte" del gruppo Cecchi Gori. Ed è in questo ambito che è maturato il nuovo arresto: lo ha disposto il Tribunale capitolino, su richiesta dei sostituti procuratori Stefano Fava e Lina Cusano, coordinati dal procuratore aggiunto Nello Rossi. L'imprenditore cinematografico è indagato per bancarotta nell'inchiesta riguardante il fallimento della Fin.Ma.Vi. e di altre società del gruppo Cecchi Gori. PASSIVO DA 600 MILIONI - Nel corso delle investigazioni era emerso che Cecchi Gori aveva distratto i beni del patrimonio sociale della Fin.Ma.Vi. spa, causando un passivo fallimentare di circa 600 milioni di euro "attraverso strumentali operazioni di finanziamento a favore di altre società a lui riconducibili, tra cui due società statunitensi" (la Cecchi Gori Pictures e la Cecchi Gori Usa). Proprio queste due società americane, nel marzo del 2011 hanno vinto una causa legale intentata negli Stati Uniti nei confronti della Hollywood Gang Production del produttore italo-americano Gianni Nunnari. Il giudice della California ha pertanto ordinato alla società di Nunnari di corrispondere alle due società americane di Cecchi Gori la somma di circa 14 milioni di dollari, immediatamente sottoposta a sequestro dal Tribunale di Roma, al fine di metterla a disposizione della procedura fallimentare per la soddisfazione dei creditori della Fin.Ma.Vi. Redazione online 25 luglio 2011 13:53
Italia Nostra invoca la demolizione Puglia, quando l'ecomostro è di proprietà della Regione Angolo suggestivo del Gargano con vincoli paesaggistici deturpato dal Centro direzionale per il turismo Benvenuti nell’ex California d’Europa: terra di sprechi faraonici e scempi ambientali approvati dallo Stato e finanziati con denaro pubblico. Nelle carte istituzionali si scrive "sviluppo integrato del turismo". Invece nella realtà si legge e si traduce abusivismo edilizio a tutto spiano di aree "protette". Se chiedi a Nichi Vendola del centro pilota, la narrazione latita: infatti il governatore non risponde alle domande del cronista; eppure era stato informato già nel 2006. L'ecomostro del Gargano L'ecomostro del Gargano L'ecomostro del Gargano L'ecomostro del Gargano L'ecomostro del Gargano L'ecomostro del Gargano L'ecomostro del Gargano L'ecomostro del Gargano ECOMOSTRI - La Puglia pullula di ecomostri privati, ma anche pubblici. Il caso dimenticato sonnecchia a Baia Campi, addirittura nel Parco nazionale del Gargano, a qualche chilometro da Vieste: 60 mila metri cubi di cemento abusivo di proprietà della Regione, in riva al mare Adriatico. Un bunker cementizio che ha fatto tabula rasa di pini d’Aleppo e ulivi, firmato dall’architetto Paolo Portoghesi. Il reato di alterazione di bellezze naturali era stato acclarato definitivamente dalla Cassazione nel 1996 respingendo il ricorso dell’ex assessore Alberto Tedesco (attuale senatore agli arresti domiciliari per gli scandali sanitari). ICI NON VERSATA - Non si tratta della speculazione del solito palazzinaro, ma di un complesso immobiliare ideato e posseduto dalla Regione Puglia. Da anni il falansterio, arredato di tutto punto, è completamente abbandonato. Addirittura, il presidente Vendola non ha mai versato l’Ici. E così il Comune di Vieste ha cominciato a reclamare il dovuto: 528.969,75 euro. E la Commissione tributaria di Foggia, con sentenza numero 197 dell’8 ottobre 2007 e sentenza numero 22 del 25 gennaio 2010 ha sanzionato, tanto per iniziare, il pagamento degli arretrati. MAI UTILIZZATO - Il mastodontico complesso non è mai stato utilizzato: tutto sommato è preda dei vandali. Entrare, trafugare o distruggere arredi e suppellettili - compresi, telefoni, computer e condizionatori d’aria - è scontato. L’opera era stata cofinanziata dal Fondo europeo sviluppo regionale. In soldoni: 50 miliardi di lire in appalto all’Italscavi spa con sede a Campobasso e in subappalto alle imprese Icamar e Trisciuglio di Foggia. Costo iniziale: 40 miliardi ottenuti con finanziamento statale e altri dieci dalla Cee. Altri 4 miliardi di lire sono stati erogati e spesi dalla Regione nel 1994 per arredare il faraonico complesso destinato ad accogliere un albergo di 370 posti letto dotato di varie attività connesse: bar, ristorante, sala congressi, vasca relax, campi da tennis, centro interaziendale per la produzione di 15 mila pasti precotti al giorno, lavanderia, sala giochi, discoteca, scuola di perfezionamento alberghiero, nonché gli uffici e tutti i servizi annessi alle tre attività. E perfino la piscina olimpionica - unica in tutta la Capitanata - arrugginisce. LA VICENDA - La vicenda ebbe inizio nel 1983, quando la Regione Puglia decise di promuovere una richiesta di finanziamento Fio (Fondi investimento occupazione) per un "progetto di sviluppo integrato del turismo". L’affare consisteva nell’edificazione di due enormi agglomerati in calcestruzzo, denominati centri pilota. Il Cipe non ammise a finanziamento la prima richiesta, in quanto la localizzazione delle strutture risultava generica. La giunta regionale pugliese (Dc, Psi, Psdi) non si arrese, quindi con atto deliberativo 3876 del 30 aprile 1984 e 9537 del 5 novembre 1984 riformulò la richiesta, specificando il luogo d’intervento. La motivazione? Il solito miraggio: la creazione di "2.500 nuovi posti di lavoro". L’adunanza del consiglio regionale il 20 dicembre 1984 - relatore per la IV commissione, l’onorevole democristiano Cosimo Franco Di Giuseppe - deliberò "a maggioranza di voti, con l’astensione del gruppo Pci e del Msi, di approvare la localizzazione dei centri turistici direzionali (deliberazione di giunta regionale 10025 del 19 novembre 1984 )". Per la "montagna del sole" venne indicata Baia Campi, un tratto di costa incontaminato. La Snam, proprietaria del suolo, si impegnava a cedere il terreno alla Regione a titolo gratuito, a patto di gestire per un paio d’anni la struttura. In seguito la delibera regionale 11846 del 27 dicembre 1985 sancirà il pagamento all’Eni di 1,5 miliardi di lire. VINCOLI - L’area era sottoposta a vincolo idrogeologico dal 1923, paesaggistico e forestale dal 1971 (decreto ministeriale del 16 novembre 1971, ai sensi della legge 1497 del 1939). Nel 1986 l’architetto Portoghesi elaborò il progetto. La giunta regionale, committente dell’opera, rilasciò a se stessa il 31 luglio 1986 (delibera 6817) il nulla osta paesaggistico. Il sovrintendente locale ai Beni culturali e ambientali, l’architetto Riccardo Mola, il 7 ottobre dello stesso anno, esprimeva "parere negativo". I lavori di sbancamento in variante al secondo Piano di fabbricazione, ebbero inizio a giugno del 1988 e terminarono otto anni dopo con due varianti in corso d’opera. L’11 gennaio 1990 scese in campo Italia Nostra con un esposto alla Procura della Repubblica di Foggia. In seguito, il 19 ottobre, il gip A. Paggetta, su richiesta del pm Roberto Gentile, disponeva il sequestro del cantiere, revocato il 14 novembre 1990 dal Tribunale della libertà. Il 20 luglio 1994 il pretore di Vieste, Silvana Clemente, riconosceva "il reato di alterazione di bellezze naturali di cui all’articolo 734". Infatti, si legge nel dispositivo della sentenza "la costruzione del Centro turistico direzionale, in zona Baia Campi di Vieste, è stata ritenuta la causa di notevole deturpamento delle caratteristiche dell’area e del suo equilibrio paesaggistico con la condanna penale dei componenti della giunta regionale della Regione Puglia e del rappresentante legale della società concessionaria dei lavori e con l’ulteriore condanna dei medesimi al risarcimento del danno ambientale a favore della provincia di Foggia e dell’Associazione Italia Nostra". In soldoni, appena 9 milioni di lire a testa. EPILOGO - Sono dunque stati riconosciuti responsabili in concorso di deturpazione di bellezze naturali in un luogo soggetto a speciale protezione, Giuseppe Affatato, Roberto Paolucci, Giuseppe Martellotta, Michele Bellomo, Corradino Marzo, Cesare Lia, Girolamo Pugliese e Alberto Tedesco, componenti la giunta regionale dell’epoca; e infine Antonio Uliano, rappresentante legale della società Italscavi. Nella vicenda erano pure coinvolti l’ex amministratore regionale Giuseppe Colasanto, nel frattempo deceduto, e gli assessori regionali Franco Di Giuseppe (Dc) e Franco Borgia (Psi) la cui posizione era stata stralciata perché eletti in Parlamento. Epilogo: la Corte d’appello di Bari ha dichiarato la prescrizione della condanna e la Cassazione ha confermato l’estinzione del reato ribadendo comunque "l’irreversibile distruzione del paesaggio". DEMOLIZIONE - Italia Nostra chiede il ripristino dello stato dei luoghi, vale a dire la demolizione del bubbone. E dire che nel 1988 i parlamentari Cederna, Ceruti, Boato, Savoldi, Bassi, Faccio, Tamino e Codillà interrogavano invano i ministri per il Turismo, l’Ambiente e le Partecipazioni statali: "Nel Comune di Vieste, in località Baia Campi, una delle ultime baie ancora non edificate del Gargano, è prevista la costruzione di una non meglio precisata "Università del turismo" di cui non è chiara la finalità, i finanziamenti, l’organizzazione e il valore legale… Se il governo non ritenga necessario intervenire per prevenire un’operazione che ha tutte le caratteristiche della più smaccata speculazione edilizia, con la scusa dell’opera pubblica si vomiterà sulla costa un’altra valanga di metri cubi di cemento". Detto e fatto. Gianni Lannes 24 luglio 2011(ultima modifica: 25 luglio 2011 10:18)
per il caso FIN.MA.VI Cecchi Gori arrestato per bancarotta torna in manette il produttore fallito Il noto imprenditore aveva già subito 4 mesi di detenzione, tra carcere e domiciliari, nel 2008 Cecchi Gori durante l'arresto del 2008 (foto Ansa) Cecchi Gori durante l'arresto del 2008 (foto Ansa) ROMA - Arrestato per bancarotta Vittorio Cecchi Gori. Il produttore è finito in manette lunedì, nella Capitale, con l'accusa di bancarotta fraudolenta. Finanzieri del Comando provinciale delle Fiamme Gialle di Roma hanno eseguito nei suoi confronti un'ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari. Già nel 2008, Cecchi Gori - coinvolto in una lunga inchiesta sul fallimento di due delle sue società - era stato arrestato, quindi aveva trascorso 4 mesi tra carcere e arresti domiciliari. Con l' intermezzo di un ricovero per motivi di salute e del successivo intervento in una clinica. CRAC E LIBERTA' - Nell'ottobre dello stesso anno aveva riottenuto la libertà. Il precedente ordine di custodia cautelare in carcere per Vittorio Cecchi Gori era scattato il 3 giugno 2008 per il fallimento della Safin Cinematografica: un crac da 24 milioni di euro che gli era costato una prima accusa di bancarotta. Poi, però, il gip Guicla Mulliri, su istanza degli avvocati Massimo Biffa e Antonio Fiorella, aveva deciso che non sussistevano più i presupposti della detenzione preventiva e aveva revocato i "domiciliari", l' ultima misura a cui era stato sottoposto l' imprenditore. Il processo per il fallimento della Safin, che gestiva le sale cinematografiche, tra cui il cinema Adriano a Roma, era poi iniziato il 5 dicembre 2008. Cecchi Gori quando era ai domiciliari nella sua casa tre anni fa (foto Ansa) Cecchi Gori quando era ai domiciliari nella sua casa tre anni fa (foto Ansa) LA CASSAFORTE DEL GRUPPO - Parallelamente, un altro procedimento coinvolgeva il produttore: quello per il fallimento della Fin.Ma.Vi, considerata la "cassaforte" del gruppo Cecchi Gori. Ed è in questo ambito che è maturato il nuovo arresto: lo ha disposto il Tribunale capitolino, su richiesta dei sostituti procuratori Stefano Fava e Lina Cusano, coordinati dal procuratore aggiunto Nello Rossi. L'imprenditore cinematografico è indagato per bancarotta nell'inchiesta riguardante il fallimento della Fin.Ma.Vi. e di altre società del gruppo Cecchi Gori. PASSIVO DA 600 MILIONI - Nel corso delle investigazioni era emerso che Cecchi Gori aveva distratto i beni del patrimonio sociale della Fin.Ma.Vi. spa, causando un passivo fallimentare di circa 600 milioni di euro "attraverso strumentali operazioni di finanziamento a favore di altre società a lui riconducibili, tra cui due società statunitensi" (la Cecchi Gori Pictures e la Cecchi Gori Usa). Proprio queste due società americane, nel marzo del 2011 hanno vinto una causa legale intentata negli Stati Uniti nei confronti della Hollywood Gang Production del produttore italo-americano Gianni Nunnari. Il giudice della California ha pertanto ordinato alla società di Nunnari di corrispondere alle due società americane di Cecchi Gori la somma di circa 14 milioni di dollari, immediatamente sottoposta a sequestro dal Tribunale di Roma, al fine di metterla a disposizione della procedura fallimentare per la soddisfazione dei creditori della Fin.Ma.Vi. Redazione online 25 luglio 2011 13:53
Il parlamentare per cui Palazzo Madama ha negato l'autorizzazione ai domiciliari Tedesco: addio al Pd, non al Senato "M'hanno trattato peggio di una colf" "Non vedono l'ora che me ne vada, li accontenterò scrivendo una lettera di dimissioni a Bersani" Alberto Tedesco Alberto Tedesco MILANO - Alberto Tedesco non lascerà Palazzo Madama ma dirà addio al Pd. In una intervista a La Stampa, il parlamentare, per il quale la settimana scorsa il Senato ha negato l'autorizzazione agli arresti domiciliari, ha spiegato di volere abbandonare i democratici. "Dal Pd - accusa Tedesco - non mi hanno neanche chiamato come si farebbe con una colf che si licenzia, mi hanno chiesto le dimissioni a mezzo stampa", ma siccome "non vedono l'ora che me ne vada, li accontenterò tra qualche ora scrivendo una lettera di dimissioni al segretario". CRITICHE A BINDI, VELTRONI E LETTA - Il senatore risponde poi a Rosy Bindi, spiegando che "polemizza" con lei perché è il presidente del partito: "Dice che non vuole vedere turbato il partito da un ex socialista, questo la dice lunga sulla cultura garantista della signorina Bindi. Se si è socialisti si è delinquenti per definizione". Perchè, aggiunge, "non chiedono le dimissioni anche a Penati? A un ex comunista si consente di dimostrare che è innocente...". Tedesco, infine, se la prende anche con chi, come Veltroni ed Enrico Letta, hanno chiesto un suo passo indietro: "Se c'è qualcuno che ha fatto del male al Pd e al Paese col suo rilancio dipietrista è Veltroni". E su Letta: "Non sa scegliere i dirigenti" e "ha portato in Parlamento uno come Boccia che non riesce nemmeno a far eleggere un consigliere comunale nel suo comune...". Redazione online 25 luglio 2011 13:20
2011-07-22 IL CASO dell'area ex falck di sesto san giovanni "Soldi anche al partito di Penati" L'imprenditore Di Caterina accusa il dirigente Pd: "Spremuto come un limone" NOTIZIE CORRELATE Consiglio regionale, passo indietro di Penati. "Ma sono innocente" Pasini, il grande accusatore: chi ha sbagliato ora paghi (21 luglio 2011) Protagonisti e comprimari, vent'anni di politica giocata sull'area ex Falck (21 luglio 2011) Ex Falck, Filippo Penati indagato per corruzione e concussione (20 luglio 2011) Penati: "Sono sereno, non ho nulla da temere" Nuova Risanamento, addio all’area Falck (11 giu 2010) Filippo Penati Filippo Penati MILANO - Non c'è soltanto il costruttore, consigliere comunale ed ex candidato sindaco del centrodestra Giuseppe Pasini ad accusare il big del Pd lombardo Filippo Penati di avergli chiesto 20 miliardi di lire nel 2000-2001 per il via libera ai progetti urbanistici di Pasini sull'area ex Falck, e di essere poi stato destinatario di più di cinque miliardi tramite due intermediari che sono stati pagati in Lussemburgo (Piero Di Caterina) e in Svizzera (Giordano Vimercati): a parlare con i pm, infatti, è proprio anche Di Caterina, imprenditore del trasporto pubblico con la sua "Caronte". "Spremuto come limone" Pasini raccontava che Di Caterina era stato il collettore indicatogli da Penati per le erogazioni pretese (a suo dire) dall'allora sindaco ds di Sesto San Giovanni, ieri autosospesosi da vicepresidente del Consiglio regionale lombardo dopo essere stato indagato l'altro ieri dai pm monzesi Walter Mapelli e Franca Macchia per le ipotesi di concussione, corruzione e finanziamento illecito ai partiti. E affermava di aver dato in contanti a Di Caterina due miliardi di vecchie lire in Lussemburgo. E Di Caterina? Conferma che è vero. Nei mesi scorsi ha reso anche lui molti interrogatori, inquadrando questa ricezione di soldi in una sorta di compensazione tra favori alla politica e recriminazioni imprenditoriali, ai quali ricollega tutta una serie di finanziamenti che afferma di aver fatto nella seconda metà degli anni 90 e fino al 2000 per le esigenze del partito di Penati, in alcuni periodi anche cento milioni di lire al mese. Come quelli di Pasini, anche i suoi verbali sono "segretati" ed è dunque arduo definirne i contenuti esatti. Ma il senso lo si afferra anche solo dalla scarna risposta di Di Caterina a chi ieri lo ha interpellato: "Sono stato spremuto come un limone. Non se ne poteva più di questo convivere gomito a gomito con i dinieghi immotivati, con i ritardi, con gli ostacoli della politica e della dirigenza dell'alta amministrazione. Adesso ho grande fiducia nei magistrati". Il conto estero "Pinocchio" Che davvero Pasini abbia pagato Di Caterina, ai suoi occhi fiduciario di Penati, è del resto provato da un documento acquisito dalla rogatoria in Lussemburgo (facilitata da Pasini) presso la banca alla quale bonificò a se stesso 4 miliardi di lire nel 2001. Parte di essi rimbalzarono in Svizzera e, a detta di Pasini, furono poi consegnati in contanti in strada a Chiasso a Giordano Vimercati, in seguito capo di gabinetto del Penati presidente della Provincia di Milano e anche rappresentante designato dalla Provincia in molte società partecipate (come la Serravalle). L'altra parte della provvista di denaro, invece, ebbe la destinazione dettata appunto dall'istruzione data da Pasini alla banca il 16 marzo 2001 e ora in mano agli inquirenti: "A debito del conto Pinocchio, vogliate mettere a disposizione per contanti L. 2.500.000 a favore di Di Caterina Piero. Alla sua presenza, attendere mia conferma telefonica". Consulenti imposti e coop Il monte-tangenti svelato da Pasini, intanto, sale ancora e si attesta sugli 8 miliardi di lire. Ai 4 o 4,5 miliardi per l'area ex Falck consegnati in Lussemburgo e Svizzera, e ai 1.250 milioni di lire per l'area ex Ercole Marelli (anch'essa di Pasini) "mascherati" dietro il saldo negativo di una permuta tra terreni con Di Caterina, il costruttore aggiunge un'altra tangente che colloca prima, nel 2000, addirittura al momento di comprare dai Falck l'area dove sorgevano le acciaierie. A suo dire, gli sarebbe stato fatto capire che l'acquisto dell'area gli sarebbe stato consentito o comunque facilitato dalla politica se avesse ingaggiato come consulenti due professionisti asseritamente vicini alle coop rosse emiliane, indicati in Francesco Agnello e Giampaolo Salami, ai quali Pasini paga compensi per 2 miliardi e 400 milioni di lire e che ora sono anch'essi indagati per l'ipotesi di concussione. Luigi Ferrarella lferrarella@corriere.it Giuseppe Guastella gguastella@corriere.it 22 luglio 2011 15:10
la nota: "desidero ribadire la mia totale estraneità ai fatti" Consiglio regionale, passo indietro di Penati. "Ma sono innocente" L'autosospensione dalla vicepresidenza "per rispetto dell'istituzione" durante le indagini sull'area Falck NOTIZIE CORRELATE Pasini, il grande accusatore: chi ha sbagliato ora paghi (21 luglio 2011) Protagonisti e comprimari, vent'anni di politica giocata sull'area ex Falck (21 luglio 2011) Ex Falck, Filippo Penati indagato per corruzione e concussione (20 luglio 2011) Penati: "Sono sereno, non ho nulla da temere" Nuova Risanamento, addio all’area Falck (11 giu 2010) Filippo Penati (Fotogramma) Filippo Penati (Fotogramma) MILANO - Una lettera di Filippo Penati al presidente del Consiglio regionale, Davide Boni, e al presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, per ribadire la "totale estraneità ai fatti" e per annunciare l'autosospensione dalla vice presidenza del consiglio regionale "per rispetto dell'istituzione". "A seguito del mio coinvolgimento nella vicenda giudiziaria relativa all'area Falck di Sesto San Giovanni - ha scritto Penati - desidero ribadire la mia totale estraneità ai fatti. In merito anche alle notizie apparse sulla stampa voglio precisare che non ho mai chiesto e ricevuto denaro da imprenditori. Voglio altresì ribadire la mia assoluta fiducia nell'operato della magistratura. Per profondo rispetto dell'istituzione nella quale sono stato eletto e per evitare ogni imbarazzo al Consiglio - ha proseguito l'ex presidente della Provincia di Milano - mi autosospendo dall'esercizio e dalle prerogative di vicepresidente, certo che tutto verrà completamente chiarito e confido a breve. Da subito - ha spiegato - rinuncio alle prerogative connesse alla vicepresidenza, non parteciperò più all'ufficio di presidenza e già dal prossimo consiglio siederò tra i banchi dei consiglieri di minoranza. Sono certo di interpretare anche i sentimenti di chi mi ha eletto nel voler garantire in queste circostanze il massimo rispetto delle istituzioni". Redazione online 21 luglio 2011 18:03
2011-07-21 la nota: "desidero ribadire la mia totale estraneità ai fatti" Consiglio regionale, passo indietro di Penati. "Ma sono innocente" L'autosospensione dalla vicepresidenza "per rispetto dell'istituzione" durante le indagini sull'area Falck NOTIZIE CORRELATE Pasini, il grande accusatore: chi ha sbagliato ora paghi (21 luglio 2011) Protagonisti e comprimari, vent'anni di politica giocata sull'area ex Falck (21 luglio 2011) Ex Falck, Filippo Penati indagato per corruzione e concussione (20 luglio 2011) Penati: "Sono sereno, non ho nulla da temere" Nuova Risanamento, addio all’area Falck (11 giu 2010) Filippo Penati (Fotogramma) Filippo Penati (Fotogramma) MILANO - Una lettera di Filippo Penati al presidente del Consiglio regionale, Davide Boni, e al presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, per ribadire la "totale estraneità ai fatti" e per annunciare l'autosospensione dalla vice presidenza del consiglio regionale "per rispetto dell'istituzione". "A seguito del mio coinvolgimento nella vicenda giudiziaria relativa all'area Falck di Sesto San Giovanni - ha scritto Penati - desidero ribadire la mia totale estraneità ai fatti. In merito anche alle notizie apparse sulla stampa voglio precisare che non ho mai chiesto e ricevuto denaro da imprenditori. Voglio altresì ribadire la mia assoluta fiducia nell'operato della magistratura. Per profondo rispetto dell'istituzione nella quale sono stato eletto e per evitare ogni imbarazzo al Consiglio - ha proseguito l'ex presidente della Provincia di Milano - mi autosospendo dall'esercizio e dalle prerogative di vicepresidente, certo che tutto verrà completamente chiarito e confido a breve. Da subito - ha spiegato - rinuncio alle prerogative connesse alla vicepresidenza, non parteciperò più all'ufficio di presidenza e già dal prossimo consiglio siederò tra i banchi dei consiglieri di minoranza. Sono certo di interpretare anche i sentimenti di chi mi ha eletto nel voler garantire in queste circostanze il massimo rispetto delle istituzioni". Redazione online 21 luglio 2011 18:03
SESTO SAN GIOVANNI - L'ex proprietario dei vecchi forni della ex falck Pasini, il grande accusatore: chi ha sbagliato ora paghi "Episodi rimasti troppo a lungo sotto la cenere, sepolti dalla polvere di una città immobile" NOTIZIE CORRELATE Protagonisti e comprimari, vent'anni di politica giocata sull'area ex Falck Ex Falck, Filippo Penati indagato per corruzione e concussione (20 luglio 2011) Penati: "Sono sereno, non ho nulla da temere" Nuova Risanamento, addio all’area Falck (11 giu 2010) Sesto, "la città infinita" che cambia per sopravvivere di E. Segantini (Archivio - 19/02/2011) Giuseppe Pasini (Fotogramma) Giuseppe Pasini (Fotogramma) MILANO - "Se qualcuno ha sbagliato è giusto che paghi". La gola profonda ha la voce increspata: "Sono fatti incresciosi. Episodi rimasti a lungo sotto la cenere, sepolti dalla polvere di una città immobile. In realtà, posso dire? Non sono sorpreso, me l'aspettavo". Meglio: sapeva e stava solo aspettando. Giuseppe Pasini si è presentato in Procura un anno fa e ha denunciato d'essere "vittima di soprusi". Era lui il proprietario dei vecchi forni tra il 2001 e il 2002, gli anni delle presunte mazzette Falck, del Piano regolatore di Filippo Penati e delle bonifiche impastoiate tra Roma e l'Europa. Ottant'anni. Magnate di provincia. Moderato, Forza Italia e Pdl. Occhi verdi e barba bianca. Il papillon come cifra di stile. Tempra veneta a Sesto la rossa. Passioni: il mattone, la politica e il pallone. "Le voci giravano da un pezzo - racconta -. Biglietti, bisbigli. L'indagine viene fuori perché la Finanza s'è finalmente data da fare". Pasini è il grande accusatore: "Sono stato ascoltato dai magistrati, sì. Tutto si chiarirà. Io, magari, ci scriverò un libro".
Clicca per ingrandire l'immagine Il prologo è storia d'emigranti. Pasini lascia il mito di Hemingway e Fossalta di Piave nel 1951, ha frequentato solo le scuole di base, ha 21 anni e due fratelli muratori. Lui è la mente. I tre si trasferiscono a Sesto e si sporcano le mani. C'è terra per crescere. I Pasini fanno il salto nell'era Penati. Le banche danno una sponda. Palazzi, torri, il Grand Hotel nella cinquecentesca Villa Torretta (gioiello del patrimonio di famiglia), quartieri residenziali sulle fabbriche da demolire, la Breda e la Marelli. La storia di Sesto ripiega su appartamenti, uffici e sale congressi. Nel 2000 Pasini si accorda con Alberto Falck, scuce quasi 400 miliardi di lire e si compra capannoni e veleni sepolti. I "problemi" iniziano subito dopo. L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni È il biennio finito sotto inchiesta, 2001-2002. Il sindaco Penati ha disegnato e lasciato al successore Giorgio Oldrini la bozza del nuovo Piano regolatore, documento strategico per lo sviluppo urbanistico e i margini di guadagno. Pasini, si legge nelle cronache dell'epoca, è furibondo: "Il Piano mi impedisce di realizzare progetti di qualità!". Profetico. Tramonta il progetto dell'architetto Botta, sfumano l'insediamento di Rai, Intesa e Sky. Nel 2005, stremato, Pasini cede la Falck a Risanamento. Incassa 88 milioni di euro. Di più ne ha persi. Qualcosa, forse, ha regalato. Non pensava finisse così. Pasini è uomo noto, il tycoon di Sesto. Ha sempre denunciato d'essere stato fregato "dagli sciacalli della finanza". In questi anni ha fatto altro - vicepresidente della Pro Sesto, sfidante del "Cubano" alla carica di sindaco, consigliere d'opposizione - ma non ha mai dimenticato i "responsabili" dei guai suoi e del "disastro" attorno: "Sesto è una città bloccata - attacca -. Una città di pensionati e immigrati. Non l'ha capito nessuno, non l'hanno mai capito le banche: qui si vive di lavoro!". E di tangenti miliardarie, pare. "Sono tanti soldi, eh, lo so". Son tanti sì, soprattutto adesso. Le voci più informate dicono che non sia un periodo buono per Pasini. Oracle ha traslocato, gli ha tolto un affitto. E il mercato tira poco, annaspa, boccheggia. Son tempi duri. L'altra sera, in consiglio comunale, Pasini ha incrociato Davide Bizzi. Immaginate la stretta di mano: l'ex padrone e l'attuale proprietario delle aree Falck. "Bisogna creare posti di lavoro per i giovani...", ha sorriso Pasini. "L'importante è cominciare - ha replicato Bizzi -. Il resto si vedrà strada facendo". Sulla strada è crollata una frana. Armando Stella 21 luglio 2011 14:37
La storia Protagonisti e comprimari, vent'anni di politica giocata sull'area ex Falck Giordano Vimercati, Pietro Di Caterina, Giuseppe Pasini, Pasqualino Di Leva NOTIZIE CORRELATE Protagonisti e comprimari, vent'anni di politica giocata sull'area ex Falck Ex Falck, Filippo Penati indagato per corruzione e concussione (20 luglio 2011) Penati: "Sono sereno, non ho nulla da temere" Nuova Risanamento, addio all’area Falck (11 giu 2010) Sesto, "la città infinita" che cambia per sopravvivere di E. Segantini (Archivio - 19/02/2011) Bisogna far caso alle carriere. Politiche e imprenditoriali. Più o meno intrecciate. Quelle che sbocciano, si affermano e prosperano su quella che sembrava una sola onda in ascesa, da metà degli Anni Novanta in poi. Carriere di uomini che oggi, quindici anni dopo, si ritrovano tutti insieme di nuovo, con i propri nomi in colonna nell'elenco degli indagati. Protagonisti dell'epoca penatiana delle origini, quella che coincide con la dismissione industriale e il nuovo boom edilizio delle "riqualificazioni". In quell'epoca di rinascita del mattone sulla ruggine delle fabbriche, affonda le radici la carriera politica di Filippo Penati, sindaco di Sesto San Giovanni dal '94 al 2001. Appena un passo dietro Penati, si dipana l'ascesa dell'uomo che ne sarà storico braccio destro, colui che per via del carattere burbero e del barbone folto negli ambienti della politica locale sarà soprannominato "Rasputin": Giordano Vimercati. È stato presidente del Consorzio trasporti pubblici di Sesto, poi del Consorzio di recupero degli energetici (Core), infine capo di gabinetto con Penati in Provincia. Al settore trasporti incrocia un altro imprenditore oggi indagato, l'uomo che per la sua azienda di bus ha puntato scelto il nome "Caronte": Pietro Di Caterina, storicamente legato a Penati e Vimercati. La sua impresa ha conosciuto un lungo momento d'oro, che sempre dalla metà anni Novanta s'è prolungato per un buon decennio. Negli ultimi tempi Di Caterina ha differenziato gli affari, con investimenti nell'edilizia, e la sua "Caronte" è entrata in conflitto con l'Atm sull'assegnazione di alcune linee.
Clicca per ingrandire l'immagine Ambiente chiuso, sistemi di potere stabili, sono anni in cui l'antica teoria del "collateralismo" arriva a una sorta di estremo compimento. Politica ed economia viaggiano sotto braccio, una grande rete dove tutto si tiene e a cui la deindustrializzazione consegna l'area industriale dismessa più grande d'Europa, l'ex Falck. Un nome si impone, Giuseppe Pasini, con una qualche ironica deferenza detto "farfallino" per il vezzo del papillon che non abbandona mai. Ex muratore come i fratelli, poi fonda un'aziendina edile, nell'epoca penatiana si consacra immobiliarista e, con il sostegno delle banche, è il primo acquirente della ex Falck. In passato grande sostenitore di Penati, alla fine si è candidato sindaco contro Oldrini e, oggi, è il grande accusatore nel sistema di tangenti ipotizzato dai magistrati. L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni Una storia che annovera un altro protagonista, Pasqualino Di Leva, personaggio di lunghissimo corso politico a Sesto, memoria storica del Comune, intelligente e acuto, tifoso del Napoli. Oggi anche lui indagato, come uno degli architetti più influenti della città, Marco Magni: qualche anno fa, i due furono al centro di un dossier anonimo recapitato a tutti i consiglieri comunali, nel quale si indicava un supposto conflitto di interessi perché proprio la figlia di Di Leva lavorava nello studio di Magni. Così le carriere di questi uomini sono scivolate negli anni insieme alla storia di Sesto. Dalla fabbrica al cantiere, da "Stalingrado d'Italia" a "Cementograd" (come dicono i più critici). Gianni Santucci 21 luglio 2011 14:35
per 400 milioni Nuova Risanamento, addio all’area Falck Verso la cessione a Bizzi-Honua e a Intesa-Unicredit MILANO — Oggi il consiglio di Risanamento dovrebbe dare l’ok al primo atto della Nuova Risanamento guidata da Claudio Calabi. E cioè sulla vendita dell’area ex Falck di Sesto San Giovanni. Un’operazione che rientra nel piano di ristrutturazione ma i tempi potrebbero essere di gran lunga anticipati rispetto al calendario previsto, che la colloca entro il 2012. Secondo le indiscrezioni che circolano dal mese di marzo, già confermate in termini generali dalla società, che ha sempre parlato di "manifestazione d’interesse" senza però un commento sugli ipotetici protagonisti indicati dai rumor, acquirente dovrebbe essere una cordata guidata dall’immobiliarista Davide Bizzi e da un partner austriaco: questi ultimi dovrebbero controllare in modo paritetico una newco che acquisirà il 55% dell’area. La parte restante del capitale sarà invece sottoscritta dal gruppo coreano Honua, dalla Ccc e da tre delle banche italiane che partecipano agli accordi di ristrutturazione, considerati idonei dal tribunale di Milano, attraverso l’aumento di capitale e il prestito convertendo: Intesa Sanpaolo, Unicredit e Bpm. Bizzi è interessato direttamente all’aspetto immobiliare, e cioè al piano di sviluppo da 1,5 milioni di metri quadrati firmato da Renzo Piano. Un tempo collaboratore di Ernesto Preatoni, Bizzi è stato protagonista con il socio Paolo Dini (fondatore della Paul&Shark) dell’operazione Quinta Strada, e cioè del grattacielo da 57 piani finanziato in pool da Unicredit, Banco Popolare, Meliorbanca, Interbanca e Bpm. Con la sua Bizzi & partners sviluppa poi progetti in varie aree del mondo, da Bordighera a Cancun, da Tallin a Riga. Ma il partner con i mezzi finanziari più consistenti dovrebbe essere il gruppo Honua di Seul, partecipato da grandi compagnie di assicurazioni coreane come Dongbu e Kumho e che è stato in affari con Bizzi proprio rilevando il grattacielo di New York per affittarlo alla catena alberghiera Setai. Il controvalore della vendita dell’area Falck, in un primo tempo indicato sui 480 milioni, potrebbe aggirarsi sui 400-440 milioni. Per Risanamento si tratterebbe dunque di un passo importante, e la Borsa ha accolto le indiscrezioni con un balzo del titolo di quasi il 12% a 0,38 euro, valore che resta ancora al di sotto di quanto stabilito (0,45) per la sottoscrizione dell’aumento da parte delle banche creditrici. L’addio all’area Falck era peraltro già stata tentato dallo stesso Luigi Zunino, con la ristrutturazione estromesso dal gruppo immobiliare. A fine 2008 tutto sembrava già concluso: il fondo di Dubai Limitless era indicato acquirente sicuro a 475 milioni. Poi il progetto è velocemente tramontato. Calabi ha avviato il negoziato con Bizzi (che a sua volta ha "chiamato" Honua) poco dopo il suo arrivo in Risanamento. E oggi, a meno che il board non ritenga ci sia bisogno di qualche approfondimento, dovrebbe arrivare l’ok. Sergio Bocconi 11 giugno 2010(ultima modifica: 20 luglio 2011 09:55)
Pdl e Responsabili pronti a chiedere il voto segreto. Vertice a Palazzo Grazioli Papa, in Aula il voto sull'arresto Il Pd: "Scambio Pdl-Lega per salvarlo" In mattinata la maggioranza ha votato contro il governo sull'emergenza rifiuti. "Una mossa per ingraziarsi Bossi" NOTIZIE CORRELATE E il senatore Tedesco: "Dico sì al voto palese sulla richiesta del mio arresto" (20 luglio 2011) Decreto rifiuti, governo battuto due volte (20 luglio 2011) Sì all'arresto di Papa, la Lega si astiene Berlusconi: pericoloso dare l'ok in Aula (15 luglio 2011) Alfonso Papa: il deputato del Pdl ha iniziato la sua giornata con una messa (Ansa) Alfonso Papa: il deputato del Pdl ha iniziato la sua giornata con una messa (Ansa) ROMA - Voto segreto o voto palese. E' sul tipo di votazione che verrà adottata sulla richiesta di arresto avanzata dalla procura di Napoli che si gioca il futuro dell'on Alfonso Papa. Ed è sull'esito del voto che scaturirà dal segreto dell'urna che si gioca il braccio di ferro tra la maggioranza e l'opposizione, ma anche tra le forze stesse della coalizione di governo dopo che la giunta per le autorizzazioni aveva nei giorni scorsi espresso parere favorevole. In mattinata la maggioranza era arrivata a votare contro la posizione espressa dall'esecutivo su alcune mozioni relative all'emergenza rifiuti, con evidente disappunto del ministro Stefania Prestigiacomo, andando incontro alle posizioni della Lega, fortemente critica su ulteriori aiuti esterni per la risoluzione dell'emergenza smaltimento a Napoli. E questo, per il Pd, è un chiaro segnale di voto di scambio: il Pdl avrebbe fatto dietrofront sui rifiuti per garantirsi la benevolenza del Carroccio nel voto di questo pomeriggio da cui dipenderà l'arresto di Papa. Ma, appunto, affinché i leghisti possano esprimersi contro il provvedimento restrittivo è necessario che la votazione avvenga a scrutinio segreto, visto che l'ultima posizione ufficiale adottata dal partito di Bossi è quella di un sì all'arresto, posizione che avrebbe anche il consenso di gran parte dell'elettorato leghista. IL VOTO SEGRETO - Il capogruppo del Pdl, Fabrizio Cicchitto, ha respinto con sdegno l'ipotesi dello scambio: "Sui rifiuti è emersa semplicemente una valutazione diversa all'interno della maggioranza derivante da interessi territoriali diversi che sono assolutamente rispettabili". E al leader dei deputati democratici Dario Franceschini, che aveva denunciato in aula l'ipotesi di una trattativa sottobanco, ha replicato definendo la posizione del Pd "una cinica partita strumentale" e precisando che "sull'autorizzazione all'arresto rivendichiamo il voto segreto perchè è giusto che sulla libertà di una persona ogni deputato sia messo di fronte alla propria coscienza". A dare manforte al Pdl ci sarà sicuramente il gruppo di Popolo e Territorio: "Saremo noi a chiedere il voto segreto per Alfonso Papa - ha detto il capogruppo Silvano Moffa -. Siamo disponibili a farlo perchè io ritengo che sia non solo opportuno, ma necessario". Il Pd, dal canto suo, ha deciso di chiedere il voto palese e per bocca dell'on. Daniele Marantelli ha invitato la Lega a fare altrettanto: "Altrimenti - ha sottolineato - sarà evidente che gli spadoni esibiti orgogliosamente a Pontida, appena giungono a Roma, si afflosciano per mantenere un sistema di potere che sta producendo gravi danni a tutto il Paese". "ASPETTIAMO TUTTI" - Dal canto suo il diretto interessato, avvicinato dai cronisti, ha ostentato tranquillità: "Aspettiamo tutti" il voto ha detto all'Ansa Alfonso Papa. La sua giornata è iniziata con una messa, nella stessa chiesa, quella dei santi Claudio e Andrea in piazza San Silvestro, in cui si era raccolto in preghiera, nelle ore dell'inchiesta che lo avrebbe costretto a lasciare, il governatore di Bankitalia Antonio Fazio. Ma Papa non sembra farsi impressionare dalla coincidenza: "Se uno è cristiano non è superstizioso". VERTICE DA BERLUSCONI - Intanto, il premier Silvio Berlusconi, che nei giorni scorsi ha lavorato di diplomazia cercando di convincere Bossi a salvare il deputato pdl, ha convocato a Palazzo Grazioli il segretario del partito Angelino Alfano e i coordinatori nazionali e regionali del Pdl. Secondo quanto riferito da uno dei presenti, Berlusconi ha introdotto la riunione elencando un piano di riforme da realizzare nei prossimi 20 mesi, cioè nella parte restante della legislatura fino al 2013, per recuperare consensi nel Paese ed ha citato un sondaggio che vedrebbe il Pdl al 28%, con il Pd al 26%. Nelle ultime due settimane Berlusconi non ha mai rilasciato dichiarazioni in pubblico, salvo una breve nota letta ai cronisti dopo il voto di fiducia alla Camera venerdì scorso. Non è ancora chiaro se Berlusconi si presenterà in Aula per il voto sulla richiesta di arresto. Al. S. 20 luglio 2011 16:14
L'INCHIESTA DELLA PROCURA DI NAPOLI P4, la Finanza perquisisce la sede Eni Indagini sul contratto di Luda Spornyk, amica di Papa Il deputato Alfonso Papa (Pdl) alla Camera (Ansa) Il deputato Alfonso Papa (Pdl) alla Camera (Ansa) ROMA - La Guardia di Finanza negli uffici dell'Eni a Roma. L'inchiesta sulla cosiddetta P4 investe la grande società energetica italiana. I pubblici ministeri di Napoli Francesco Curcio e Henry John Woodcock, che hanno messo sotto indagine il giro di rapporti, frequentazioni e consulenze che ruotava attorno al lobbista Luigi Bisignani e all'ex magistrato e deputato Pdl Alfono Papa, hanno dato incarico ai militari delle Fiamme Gialle di acquisire una lunga serie di documenti. Mentre Bisignani, è il principale indagato, è agli arresti domiciliari, per Papa i pm di Napoli hanno chiesto alla Camera l'autorizzazione all'arresto: l'aula di Montecitorio deciderà nel pomeriggio di mercoledì. IL CONTRATTO DI LAVORO DELLA SPORNYK - Gli inquirenti stanno approfondendo la natura del rapporto di lavoro instaurato tra l'Eni e Ludmyla Spornyk, una donna dell'est che - secondo le testimonianze raccolte dagli inquirenti - Papa, tramite Bisignani, avrebbe fatto assumere. Alla stessa Spornik, conosciuta anche come Luda, Papa - avrebbe pagato soggiorni in alberghi prestigiosi (dal De Russie a Roma al Mareblu di Ischia, al Principe di Savoia di Milano) ed avrebbe regalato crociere e oggetti di valore. Circostanze tutte avvalorate dalle ammissioni della stessa donna, ascoltata alcuni mesi fa dagli inquirenti. La Guardia di Finanza avrebbe chiesto all'Eni anche copia degli atti relativi agli incarichi professionali affidati dall'azienda a Tiziana Rodà, avvocato, moglie di Alfonso Papa. 20 luglio 2011 12:51
E' indagato dalla Procura di Bari. "Un parallelo con il caso Papa? Boiate..." Tedesco: "Votate il sì al mio arresto" Il senatore del Pd chiederà che il Senato adotti il voto palese sul provvedimento restrittivo che lo riguarda NOTIZIE CORRELATE Caso Papa, voto in Aula tra le polemiche (20 luglio 2011) Alberto Tedesco (Imagoeconomica) Alberto Tedesco (Imagoeconomica) ROMA - Il senatore Alberto Tedesco chiederà che il Senato si esprima con voto palese a favore del suo arresto ai domiciliari, nell'intervento che pronuncerà in aula questo pomeriggio in occasione del dibattito sulla richiesta del gip di Bari nel quadro dell'inchiesta sulla sanità pugliese. "Chiederò che non si intralci il lavoro della magistratura e che si arrivi rapidamente a processo in modo che mi sia consentito di difendermi", ha spiegato il senatore, che fa parte del gruppo misto dopo essersi autosospeso dal Pd, intrattenendosi in Transatlantico con i cronisti. "Così la procura di Bari non avrà alibi", ha affermato il senatore, che si dice convinto che l'opinione pubblica non avrebbe capito le distinzioni sul 'fumus persecutionis' e, sull'iter processuale, esprime l'auspicio che dopo il voto odierno "non siano frapposti altri indugi alla conclusione dell'indagine". "TRANQUILLO E SERENO" - Tedesco si è definito "tranquillo e sereno". "Chiederò - ha preannunciato - che non si voti segretamente. È giusto che tutti i senatori si assumano la responsabilità di quel che pensano, soprattutto per evitare strumentalizzazioni". Lo stesso senatore ha spiegato che voterà anche lui 'sì' al proprio arresto in caso di voto palese mentre si asterrà qualora, invece, Palazzo Madama optasse per lo scrutinio segreto. Quanto al rischio che il voto a suo carico si intrecci con la vicenda del voto su Alfonso Papa che si svolgerà in parallelo alla Camera dei deputati, il senatore Tedesco si è limitato a definire le indiscrezioni in tal senso "boiate...". Redazione Online 20 luglio 2011 15:54
EMERGENZA NAPOLI Decreto rifiuti, governo battuto due volte Passano le mozioni presentate dall'Idv e dall'Api Il ministro Prestigiacomo aveva dato parere favorevole ROMA - Il governo va sotto due volte sull'emergenza rifiuti a Napoli. La maggioranza vota contro due mozioni dell'Idv e dell'Api, e perde clamorosamente. Anche perché vota contro il parere espresso in merito dal ministro all'Ambiente Stefania Prestigiacomo, chiaramente infastidita per quanto accaduto. Il testo dell'Italia dei Valori è passato con 287 no, 296 sì e sei astenuti. Pdl e Popolo e territorio (gli ex "responsabili"), hanno subito dopo deciso di ritirare le loro mozioni in tema di rifiuti che avrebbero dovuto essere votate. E la cosa ha provocato altra confusione. Dopo qualche momento di tensione, è stata la stessa Prestigiacomo a minimizzare sostenendo che c'è stata sì una confusione sui voti ma che è colpa della fibrillazione della giornata. Ma, ai suoi più vicini collaboratori, Prestigiacomo ha confidato il timore che ci sia qualcuno nel centrodestra che vuole giocare a fare "scaricabarile". LA PRESTIGIACOMO NON ACCUSA IL COLPO - "No, non mi sento sconfessata", ha commentato il ministro dell'Ambiente. "Oggi è una giornata di particolare confusione ed è evidente che ci sono stati voti pasticciati, di cui mi rammarico, ma non mi sento sconfessata perchè non posso certo cambiare idea sul parere ad una mozione che chiede che i soldi per la Campania siano spesi con trasparenza" ha detto il ministro. Ma un suo collega, che preferisce restare anonimo, spiega che c'era stato in precedenza un confronto sulla questione con la Prestigiacomo, che si sarebbe "impuntata, insistendo sulla sua posizione". Il risultato è stato che "in aula c'è stato un pasticcio, un qui pro quo". Sulle sorti, invece, del dl rifiuti che era osteggiato dalla Lega e che con il voto di oggi torna all'esame della Commissione Ambiente della Camera, sono praticamente tutti d'accordo: "muore lì" anche perché, dicono diversi esponenti del governo, "con l'ordinanza del Consiglio di Stato, il problema è risolto". LA BRAMBILLA RIMPROVERATA - Ma la tensione del Pdl viene confermata anche da un altro episodio, una ramanzina dai toni decisi, rivolta dal capogruppo del Pdl Cicchitto al ministro Brambilla, accusata di avere un "livello di presenza bassissimo" e aggiungendo di aver "chiamato tutti i sottosegretari...". La Brambilla, visibilmente innervosita per un rimprovero cominciato in aula e proseguito nel Transatlantico, è stata avvicinata da Denis Verdini con cui si è allontanata. NUOVO PROVVEDIMENTO - E spunta l'ipotesi di un nuovo provvedimento anche per evitare di lasciare "margini di ambiguità legislativa" dopo l'ordinanza del Consiglio di Stato. A dirlo è il presidente dei deputati della Lega Marco Reguzzoni. STALLO - Il decreto legge, che prevede il trasferimento della spazzatura campana verso le altre Regioni, martedì ha spaccato la maggioranza. In particolare, la Lega chiedeva che l'ultima parola fosse data ai governatori del nord. L'ipotesi di un ritiro del provvedimento, vista la situazione di "stallo" che si è creata, era nell'aria. Redazione online 20 luglio 2011 16:26
EMERGENZA NAPOLI Decreto rifiuti, governo battuto due volte Passano le mozioni presentate dall'Idv e dall'Api Il ministro Prestigiacomo aveva dato parere favorevole ROMA - Il governo va sotto due volte sull'emergenza rifiuti a Napoli. La maggioranza vota contro due mozioni dell'Idv e dell'Api, e perde clamorosamente. Anche perché vota contro il parere espresso in merito dal ministro all'Ambiente Stefania Prestigiacomo, chiaramente infastidita per quanto accaduto. Il testo dell'Italia dei Valori è passato con 287 no, 296 sì e sei astenuti. Pdl e Popolo e territorio (gli ex "responsabili"), hanno subito dopo deciso di ritirare le loro mozioni in tema di rifiuti che avrebbero dovuto essere votate. E la cosa ha provocato altra confusione. Dopo qualche momento di tensione, è stata la stessa Prestigiacomo a minimizzare sostenendo che c'è stata sì una confusione sui voti ma che è colpa della fibrillazione della giornata. Ma, ai suoi più vicini collaboratori, Prestigiacomo ha confidato il timore che ci sia qualcuno nel centrodestra che vuole giocare a fare "scaricabarile". LA PRESTIGIACOMO NON ACCUSA IL COLPO - "No, non mi sento sconfessata", ha commentato il ministro dell'Ambiente. "Oggi è una giornata di particolare confusione ed è evidente che ci sono stati voti pasticciati, di cui mi rammarico, ma non mi sento sconfessata perchè non posso certo cambiare idea sul parere ad una mozione che chiede che i soldi per la Campania siano spesi con trasparenza" ha detto il ministro. Ma un suo collega, che preferisce restare anonimo, spiega che c'era stato in precedenza un confronto sulla questione con la Prestigiacomo, che si sarebbe "impuntata, insistendo sulla sua posizione". Il risultato è stato che "in aula c'è stato un pasticcio, un qui pro quo". Sulle sorti, invece, del dl rifiuti che era osteggiato dalla Lega e che con il voto di oggi torna all'esame della Commissione Ambiente della Camera, sono praticamente tutti d'accordo: "muore lì" anche perché, dicono diversi esponenti del governo, "con l'ordinanza del Consiglio di Stato, il problema è risolto". LA BRAMBILLA RIMPROVERATA - Ma la tensione del Pdl viene confermata anche da un altro episodio, una ramanzina dai toni decisi, rivolta dal capogruppo del Pdl Cicchitto al ministro Brambilla, accusata di avere un "livello di presenza bassissimo" e aggiungendo di aver "chiamato tutti i sottosegretari...". La Brambilla, visibilmente innervosita per un rimprovero cominciato in aula e proseguito nel Transatlantico, è stata avvicinata da Denis Verdini con cui si è allontanata. NUOVO PROVVEDIMENTO - E spunta l'ipotesi di un nuovo provvedimento anche per evitare di lasciare "margini di ambiguità legislativa" dopo l'ordinanza del Consiglio di Stato. A dirlo è il presidente dei deputati della Lega Marco Reguzzoni. STALLO - Il decreto legge, che prevede il trasferimento della spazzatura campana verso le altre Regioni, martedì ha spaccato la maggioranza. In particolare, la Lega chiedeva che l'ultima parola fosse data ai governatori del nord. L'ipotesi di un ritiro del provvedimento, vista la situazione di "stallo" che si è creata, era nell'aria. Redazione online 20 luglio 2011 16:26
Le accuse si riferiscono all'area ex industriale Falck di sesto san giovanni Penati indagato: "Sono sereno, non ho nulla da temere" Il Pd: "Fiducia nella magistratura". La Lega: "Non parlino più di questione morale". L'Idv: dimissioni NOTIZIE CORRELATE Ex Falck, Filippo Penati indagato per corruzione e concussione MILANO - Il vicepresidente del Consiglio regionale Filippo Penati, indagato dalla Procura di Monza per concussione e corruzionein relazione alle aree ex Falck di Sesto di Giovanni, "si è messo a disposizione della procura di Monza, nutre assoluta fiducia nella magistratura ed è certo che all’esito dell’indagine la sua posizione verrà totalmente chiarita in senso a lui favorevole". "Sono sereno - afferma Penati in una nota -. Ringrazio il mio partito per il sostegno che mi ha immediatamente manifestato. Non ho nulla da temere sono certo che tutto verrà chiarito" OLDRINI: ABBIAMO FIDUCIA - La notizia dell'indagine su Penati non poteva mancare di suscitare reazioni da parte del mondo politico. Tra i primi a manifestare sgomento l'attuale sindaco di Sesto San Giovanni, Giorgio Oldrini (Pd). "Abbiamo appreso con grande dolore - scrive in una nota - che sono in corso due inchieste che riguardano la nostra città, quella su vicende che sarebbero avvenute tra il 2001 e il 2002 per quanto riguarda le aree ex Falck e che avrebbero portato all'invio di un avviso di garanzia all'ex sindaco Filippo Penati, e altre che riguardano l'avviso di garanzia inviato all'assessore Pasqualino Di Leva per vicende legate a concessioni edilizie negli anni 2004-2008". "Le notizie che abbiamo in questo momento sono del tutto frammentarie e imprecise - aggiunge Oldrini -. Ribadiamo comunque la nostra fiducia nell'operato della magistratura e ci auguriamo che tutti possano rapidamente dimostrare la loro assoluta estraneità ai fatti". PD: FIDUCIA NELLA MAGISTRATURA - "La magistratura faccia il suo mestiere per accertare questa vicenda. Credo che alla fine sarà in condizione di verificare che sono cose senza fondamento", ha dichiarato il leader del Pd Pier Luigi Bersani. Anche il capogruppo del Pd in Consiglio regionale, Luca Gaffuri, esprime "piena fiducia nell'operato della magistratura" e si augura che "nei tempi più brevi possibili possa dimostrare la piena innocenza di Penati". Quanto all'ipotesi che al vicepresidente venga chiesto un passo indietro Gaffuri frena: "In questo momento abbiamo solo informazioni di stampa, dobbiamo prima approfondire e incontrare Penati". "Come sempre abbiamo fatto confermiamo piena fiducia nella magistratura e pieno rispetto del suo lavoro. Siamo altresì fiduciosi che Filippo Penati, che ha ben amministrato in questi anni sul territorio, possa dimostrare la sua estraneitá ai fatti oggetto dell'indagine". Sulla stessa linea il segretario regionale lombardo del Pd, Maurizio Martina. LEGA: "BASTA CON LA QUESTIONE MORALE" - "D'ora in poi il Partito democratico non potrà più parlare di questione morale, soprattutto a Sesto San Giovanni", attacca il segretario provinciale e deputato della Lega Nord Marco Rondini. "Se noi utilizzassimo lo stesso criterio applicato dal Pd in molti altri casi analoghi, ossia quello di giudicare le persone prima che i processi vengano celebrati - afferma il parlamentare milanese - dovremmo chiedere a Penati di fare un passo indietro e dimettersi da consigliere regionale. Ci auguriamo invece che la magistratura svolga il suo lavoro in tempi rapidi e altrettanto velocemente accerti la verità ed concluda l'inchiesta sulle aree ex Falck". Il deputato leghista inoltre sottolinea che il centrosinistra governa Sesto da sessant'anni ma "non è stato in grado di riqualificare le ex Falck e restituirle ai cittadini. Non è riuscita a farlo per mancanza di capacità e forse, per altro. Ma questo altro, eventualmente, sarà la magistratura a doverlo accertare". Sempre per la Lega Davide Boni, presidente del Consiglio lombardo, è più garantista: "Spero che il vicepresidente Penati possa chiarire la sua posizione. Siamo ancora in un fase di indagine e, come ho sempre detto, siamo tutti innocenti fino a prova contraria". Boni ha comunque sottolineato "l'assoluta tranquillità dell'ente regionale perché le indagini non riguardano la Regione né Penati come vicepresidente del Consiglio". IDV: DIMISSIONI - Gabriele Sola, vicecapogruppo dell'Italia dei Valori in consiglio regionale, chiede invece a Penati di "lasciare l'incarico di vice presidente del Consiglio regionale lombardo". "Oggi più che mai - ha detto Sola - è importante che la politica dia segnali forti di etica, trasparenza e senso di responsabilità. Per questo è totalmente inopportuno che il Consiglio regionale della Lombardia sia rappresentato, in uno dei ruoli di maggior responsabilità, da una persona indagata per reati gravi come corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti". Sola ha comunque aggiunto che "non è né tempo né il caso di lasciarsi andare a giudizi prematuri; bisogna rispettare la presunzione di innocenza e il lavoro della Procura di Monza. Tuttavia - ha concluso l'esponente dell'Idv - chiediamo serenamente a Penati un passo indietro". PDL: GARANTISMO VERSO TUTTI - Il presidente della Provincia, Guido Podestà, commenta: "Il garantismo impresso nel mio Dna, come in quello del Pdl, mi porta, del resto, a considerare la presunzione d’innocenza una prerogativa di tutti i cittadini che non può procedere a giorni alterni e a secondo del colore politico delle persone oggetto di indagini. Attendo, quindi, che le autorità inquirenti completino il loro lavoro, certo che vi sarà per ognuno la possibilità di fare chiarezza sul proprio operato". Sulla stessa linea Daniele Capezzone, portavoce Pdl. "La presunzione di innocenza deve valere per tutti, amici o avversari che siano". "Sarebbe bene - spiega Capezzone - che la lotta politica, pur nelle sue comprensibili asprezze, non dimenticasse la presunzione di non colpevolezza che è scolpita nella nostra Costituzione, e non avesse atteggiamenti differenziati a seconda del fatto che un'indagine riguardi un esponente del proprio schieramento o di quello avversario. La sinistra ha da sempre avuto un atteggiamento opposto: garantisti con gli amici, giustizialisti con gli avversari. Per noi vale invece la regola del garantismo verso tutti, che è naturale complemento di una difesa rigorosa della legalità" Redazione online 20 luglio 2011 16:09
VOTO UNANIME DEL PLENUM Processi lunghi e troppo lenti, il Csm boccia il Tribunale di Roma Palazzo Marescialli contro il piano organizzativo 2009-2011 di piazza Clodio: al calo consistente di produttività non si è posto rimedio NOTIZIE CORRELATE Tribunale , via i computer torna la biro verbali di 700 udienze compilati a mano (5 mag 09) ROMA - Processi penali pendenti aumentati del 22% negli ultimi anni e sempre più lunghi; e una pendenza "gravissima" anche nel settore civile, per lo meno davanti alla prima sezione. Eppure di fronte a questa situazione non sono state compiute dal tribunale di Roma "scelte credibili", cioè accompagnate da un'analisi sull'efficacia del loro impatto. Interni del tribunale di Roma (Proto) Interni del tribunale di Roma (Proto) "PIANO NON CONVINCENTE" - È per questa ragione che il plenum del Csm all'unanimità ha bocciato il piano organizzativo per il triennio 2009-2011 del tribunale più grande d'Europa. Non è stato predisposto "un organico, documentato e razionale programma di analisi dei flussi e delle pendenze, che deve essere accompagnato da rilevazioni statistiche attendibili", è la lamentela di fondo di Palazzo dei marescialli che giudica perciò "non convincenti" le scelte compiute dal piano. "Alla gravità della situazione" riscontrata nel settore che si occupa dei dibattimenti collegiali penali, e segnata oltre che dall'incremento dalla "manifesta difficoltà nella conduzione di processi a elevata complessità", "non si è fatto fronte", rimprovera tra l'altro il Csm, con l'aumento dei magistrati addetti e delle udienze. E al "calo consistente" della produttività della sezione gip-gup (l'indice di smaltimento è passato in due anni dal 103% all'83%) non si è posto rimedio "con adeguata sollecitudine". "FORTI CRITICITA'" - In particolare, si fa riferimento a una forte criticità "sia nel settore civile sia nel settore penale a seguito di procedimenti pendenti da oltre 3 anni". Alcune sezioni civili, soprattutto la I sezione che si occupa di diritto della famiglia e diritti della personalità, risultano di aver subito un incremento del carico di lavoro del 35%. I processi penali a trattazione collegiale hanno subito un incremento del 22%. Problemi anche per la sede distaccata di Ostia soprattutto per la grave situazione di 'sofferenzà del settore civile. "Non risulta predisposto un organico, documentato e razionale programma di analisi dei flussi e delle pendenze - scrive il Csm - e deve essere accompagnato da rilevazioni statistiche attendibili". "CARENZE IN ORGANICO" - "Da tali carenze di analisi - si legge ancora nella delibera del Csm - discendono effetti negativi con riferimento alla determinazione dell'organico non solo dei magistrati destinati ai due settori (civile e penale e all'interno di questo tra magistrati addetti al dipartimento e magistrati in servizio all'ufficio gip), ma anche tra magistrati in servizio nella sede centrale e assegnati alla sezione distaccata. Le medesime carenze non consentono di effettuare una valutazione ragionata delle effettive esigenze di ciascun settore. Le scelte operate, a volte anche radicali, non risultato pertanto convincenti in quanto non corredate da una analisi circa l'efficacia del loro impatto". Redazione online 20 luglio 2011 14:50
2011-07-15 INCHIESTA P4 Sì all'arresto di Papa, la Lega si astiene Berlusconi: pericoloso dare l'ok in Aula La Giunta della Camera dà il via libera. I deputati Pdl abbandonano i lavori. Bossi: "In galera" NOTIZIE CORRELATE Bossi:"Li teniamo sulle spine" (14 luglio) Il Pdl voleva il rinvio (14 luglio) Voto in aula il 20: Idv annuncia battaglia per il 15 (14 luglio) Alfonso Papa Alfonso Papa MILANO - Sì all'arresto del deputato Alfonso Papa, coinvolto nell'inchiesta sulla cosiddetta P4. Il via libera è arrivato dalla Giunta per le autorizzazioni della Camera, chiamata ad esprimersi sulla richiesta dei pm di Napoli, con i soli voti dell'opposizione. La Lega si è astenuta, mentre i deputati del Pdl e dei Responsabili hanno abbandonato i lavori per protesta. Silvio Berlusconi non è intervenuto in prima persona, ma ha parlato con i suoi della vicenda di Papa. "Bisogna salvarlo" avrebbe detto il premier ai membri del suo partito, dopo aver incontrato a Montecitorio il deputato del Pdl. "Sono contrario ai processi in aula. La carcerazione preventiva per un parlamentare sarebbe un gravissimo precedente che non deve verificarsi" avrebbe aggiunto il Cavaliere, esprimendo la propria contrarietà all'arresto del deputato e invitando in deputati a votare contro in Aula. "Noi siamo un partito garantista, non mandiamo in galera un deputato. Sarebbe un precedente pericoloso che aprirebbe la strada anche all'arresto di Milanese" avrebbe anche aggiunto il presidente del Consiglio. Di segno opposto le dichiarazioni di Umberto Bossi. "In galera" ha risposto il leader della Lega ai giornalisti sulla richiesta di arresto per il deputato Pdl Alfonso Papa che mercoledì sarà votata alla Camera. Il numero uno del Carroccio poco prima aveva risposto in modo colorito a Gabriele Cimadoro dell'Idv, che si era congratulato col Senatùr per l'atteggiamentro tenuto dalla Lega su Papa. Invitato a confermare anche in Aula questa linea, Bossi aveva infatti risposto: "Non siamo mica dei "barbun" come voi...". Traduzione: niente scherzi, in Aula la Lega voterà sì all'arresto. PROPOSTA DI MINORANZA - In Giunta, il relatore Francesco Paolo Sisto aveva chiesto un nuovo rinvio del voto per questioni procedurali (e per rinviare la questione all'Aula), ma il presidente della Giunta Pierluigi Castagnetti ha messo ai voti la proposta di minoranza dell'esponente dell'Idv Federico Palomba. La proposta è passata quindi con 9 voti a favore (Pd, Terzo Polo e Idv) e due astenuti. Mentre il resto della maggioranza (7 Pdl, 1 responsabile e 1 del Misto) hanno abbandonato i lavori. Il parere favorevole all'arresto passerà ora al vaglio della Camera che voterà sulla questione mercoledì 20 alle 16. Il voto può essere a scrutinio segreto. "NESSUNA FORZATURA" - "Non ho fatto forzature. Ho rispettato il regolamento, il mio compito è portare in Aula una proposta e non potevo non svolgere questo compito". Lo ha detto il presidente della Giunta per le autorizzazioni della Camera, Pierluigi Castagnetti che ha partecipato al voto. Gianfranco Fini ha difeso la sua decisione : "Il comportamento di Castagnetti è stato ineccepibile". "SONO SERENO E FIDUCIOSO" - L'interessato si dice sereno. Dopo aver evitato il commento a caldo sulla votazione, Alfono Papa ha preferito mostrarsi tranquillo e fiducioso con i cronisti che lo hanno incontrato alla Camera, in attesa del voto sulla manovra finanziaria. "Ho grande serenità - ha dichiarato Papa -. Io sono impegnato in una battaglia di verità rispetto alla quale non è l'ipotesi del carcere che mi fa paura". Per poi concludere: "Io- ha detto- confido nella giustizia e sono sicuro che la verità verrà a galla. La mia coscienza è assolutamente pulita e sereno". ASTENSIONE LEGA - Il partito di Bossi aveva annunciato il voto favorevole all'arresto del deputato del Pdl, ma alla fine i suoi rappresentanti in Giunta si sono astenuti. "L'astensione di oggi non è preclusiva, in aula mercoledì voteremo come ci ha indicato Bossi". Così il deputato leghista, Luca Rodolfo Paolini, uscendo dalla seduta della giunta. "Siamo rimasti al nostro posto - spiega Paolini - e abbiamo deciso di non votare perché quella presentata non era la relazione ufficiale. C'è stato un errore procedurale - conclude - questo non cambia il nostro indirizzo di voto". Da parte sua Maroni ha preferito evitare ogni dichiarazione. "Non posso rispondere" ha risposto il ministro dell'Interno al cronista che gli chiedeva un commento sul fatto. "PALETTO CHIARO DELL'IDV" - Il leader di Idv Antonio Di Pietro rivendica il risultato ottenuto. "Italia dei valori ha messo un paletto chiaro - ha spiegato a Montecitorio Di Pietro -. Oggi c'è la richiesta di arresto su uno, domani su un altro e chissà su quanti altri ancora... C'è una nuova Tangentopoli che richiede l'intervento dell'autorità giudiziaria". Di Pietro se l'è presa anche con la maggioranza: "È ora di dire basta ai giochetti delle tre carte della maggioranza", con Pdl e Lega pronti a "rinviare per non decidere mai e impedire alla magistratura di indagare". Redazione online 15 luglio 2011 19:19
IN PM DI MILANO mesi fa haNNO comunque acquisito alcune carte dell'inchiesta napoletana "Nessun legame tra P4 e Mediolanum" Il procuratore Bruti Liberati e l'indgine sulla presunta soffiata su una verifica fiscale alla banca NOTIZIE CORRELATE Scambio di mail rivela la "soffiata" a Mediolanum di F. Sarzanini (15 luglio 2011) MILANO - "Non c'è alcun collegamento con l'indagine sulla P4 ma c'è un'indagine per una fuga di notizie con un'ipotesi di reato specifica". Il procuratore capo della Repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati, fa così chiarezza sull'inchiesta relativa a una presunta soffiata su una verifica fiscale a banca Mediolanum, che è stata aperta per rivelazione di segreto d'ufficio a carico di ignoti. La Procura di Milano mesi fa ha comunque acquisito alcune carte dell'inchiesta napoletana che riguarderebbero, appunto, la presunta soffiata. E c'è anche da dire che i pm Francesco Curcio e Henry John Woodcock sarebbero convinti che la "fonte" della soffiata su Mediolanum sia il capo di Stato maggiore Michele Adinolfi, coinvolto nell'inchiesta sulla P4. Bruti Liberati ha spiegato che l'inchiesta milanese, che nulla ha a che vedere con quella sulla P4, dovrà stabilire se è stato rivelato un segreto d'ufficio, se c'è stato davvero un preavviso a Banca Mediolanum e se questo preavviso è stato dato da una persona tenuta al segreto istruttorio, cioè da un pubblico ufficiale. Il procuratore ha poi ripetuto: "Noi non ci occupiamo della P4. A Milano - ha ricordato - ci siamo occupati della P2 e con una certa efficacia". "NESSUN PREAVVISO" - In un comunicato Banca Mediolanum fa sapere dal canto suo di "non aver mai ricevuto alcun "preavviso"" di imminenti ispezioni fiscali. "PIENA FIDUCIA NELLA GDF" - "Abbiamo piena fiducia nella Guardia di Finanza di Milano" ha detto anche Bruti Liberati, spiegando che l'inchiesta sulla presunta fuga di notizie relativa ad una verifica fiscale a Mediolanum è stata affidata al Nucleo di Polizia Tributaria della Gdf del capoluogo lombardo. "L'indagine - si legge in un comunicato del procuratore - affidata al procuratore aggiunto Alfredo Robledo, è stata delegata al Nucleo Polizia Tributaria di Milano della Guardia di Finanza, lo stesso che ebbe ad effettuare a suo tempo la verifica, segnalando già nel marzo scorso alcune criticità". A marzo, infatti, il comandante del Nucleo di Polizia Tributaria, Vincenzo Tomei, firmò un'informativa e la inviò alla Procura di Milano per segnalare che durante la verifica fiscale, ordinata nell'ambito di un'altra indagine del pm Carlo Nocerino, era stata rinvenuta una mail scambiata tra due funzionari di Mediolanum dalla quale sarebbe emerso che erano stati preavvisati dell'ispezione. Redazione online 15 luglio 2011 18:00
inchiesta p4 P4, Bisignani resta ai domiciliari Lo ha stabilito il tribunale del Riesame, confermando la misura cautelare emessa dal gip L'auto con a bordo Luigi Bisignani lascia l'ufficio del Gip il 20 giugno 2011 a Napoli (Ansa) L'auto con a bordo Luigi Bisignani lascia l'ufficio del Gip il 20 giugno 2011 a Napoli (Ansa) MILANO - Il tribunale del Riesame di Napoli ha confermato la misura cautelare degli arresti domiciliari emessa dal gip nei confronti di Luigi Bisignani, l'ex giornalista diventato uomo d'affari, principale indagato nell'ambito dell'inchiesta sulla cosiddetta P4. La decisione è giunta dopo molte ore di camera di consiglio. "NON ALZIAMO POLVERONI" - Immediato il commento del procuratore del capoluogo partenopeo, Giovandomenico Lepore. "La decisione del Riesame e quella della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dimostrano ancora una volta che la Procura di Napoli non alza polveroni, ma mette insieme fatti" ha dichiarato Lepore. Il procuratore fa anche un riferimento ad Alfonso Papa, ex pm e attuale deputato del Pdl, per il quale è stato chiesto l'arresto. "È interessante mettere in risalto - ha detto - che i reati per cui i giudici hanno confermato le misure cautelari sono addebitati anche a Papa a titolo di concorso". Per il capo dei pm napoletani "quella della P4 è una tragedia italiana e personale, ma l'ipotesi accusatoria ha trovato conferma e la decisione dei giudici dimostra che le critiche che ci sono state mosse erano del tutto infondate". Redazione online 15 luglio 2011 19:28
2011-07-14 lo scrive in una lettera indirizzata a Pisanu Il ministro Romano all'antimafia "Ascoltatemi, non sono colluso" Il ministro delle politiche agricole: "Io non ci sto". E l'Idv vuole sfiduciarlo NOTIZIE CORRELATE Romano: "Io vittima di una vendetta politica per aver appoggiato il governo" (14 luglio 2011) Mafia, chiesto processo per Romano. Il ministro: "Non mi dimetto" (13 luglio 2011) Il ministro delle Politiche agricole Saverio Romano (Ansa) Il ministro delle Politiche agricole Saverio Romano (Ansa) MILANO - " In questa rappresentazione tragica, qualcuno vuole assegnarmi la parte del colluso con la Mafia, io non sono d'accordo! Per quanto sopra, Le chiedo di convocarmi presso la Commissione che Ella presiede per una Audizione". Il ministro Saverio Romano leader di Pid lo scrive in una lettera indirizzata al presidente della Commissione antimafia Beppe Pisanu, a proposito della richiesta di rinvio a giudizio a suo carico. L'Idv sta pensando ad una mozione di sfiducia. MOZIONE SFIDUCIA - "L'Idv vuole far votare una mozione di sfiducia nei miei confronti? Lo facciano se hanno i numeri..." chiede Romano a proposito dell'annuncio di Antonio Di Pietro di una mozione di sfiducia individuale nei suoi confronti da far votare nell'aula della Camera. "Non dipende certo da me se viene inserita in calendario- spiega il titolare dell'Agricoltura- ma se viene concretizzata spero che lo si faccia il prima possibile. Ma serve il 10 per cento dell'assemblea, quindi...". INGROIA - "Spesso gli imputati si difendono come credono. Provare a buttarla in politica è un metodo per difendersi, che non sempre paga" ha detto il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, commentando le affermazioni del ministro, che si è definito "vittima di una vendetta politica". LE ACCUSE - Per i pm che hanno firmato la richiesta di rinvio a giudizio, il ministro Romano avrebbe nel tempo sostenuto Cosa nostra e avuto rapporti diretti o mediati con diversi elementi di spicco dell'associazione mafiosa. "Nella sua veste di esponente politico di spicco, prima della Dc e poi del Ccd e Cdu e, dopo il 13 maggio 2001, di parlamentare nazionale - scrivono i magistrati - Romano avrebbe consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno ed al rafforzamento dell'associazione mafiosa, intrattenendo, anche alla fine dell'acquisizione del sostegno elettorale, rapporti diretti o mediati con numerosi esponenti di spicco dell'organizzazione tra i quali Angelo Siino, Giuseppe Guttadauro, Domenico Miceli, Antonino Mandalà e Francesco Campanella". Secondo i pm, inoltre, il ministro avrebbe "messo a disposizione di Cosa nostra il proprio ruolo, contribuendo alla realizzazione del programma criminoso dell'organizzazione tendente all'acquisizione di poteri di influenza sull'operato di organismi politici e amministrativi". In particolare, nella richiesta di rinvio a giudizio i pm fanno cenno all'interessamento di Romano a candidare, su input del boss Guttadauro, Mimmo Miceli, poi condannato per mafia, alle regionali del 2001. Redazione online 14 luglio 2011 15:42
INCHIESTA P4 - LA Lega: "Arresto? Valuteremo" Papa, nessun voto sul suo arresto Riunita la Giunta per le autorizzazioni per la Camera ma il relatore ritira la proposta di dire "no" NOTIZIE CORRELATE "Soffiata" a Mediolanum. La procura apre una nuova inchiesta (14 luglio 2011) Il documento - Ecco il conto di hotel e massaggi pagato al deputato papa (14 luglio 2011) Alfonso Papa (Ansa) Alfonso Papa (Ansa) MILANO - Nessun voto su Alfonso Papa, il parlamentare del Pdl coinvolto nell'inchiesta sulla P4. Con un colpo di scena in Giunta per le autorizzazioni della Camera, il relatore Francesco Paolo Sisto (Pdl) ha ritirato la sua proposta di votare contro la richiesta di autorizzazione all'arresto trasmessa nei confronti del deputato dal Gip di Napoli. La Giunta si è così aggiornata per venerdì alle 12. STRATEGIA - Fino alle prime ore di giovedì mattina, si pensava che i deputati del Pdl avrebbero chiesto in Giunta di rinviare l'esame del voto. Il problema infatti, per il Pdl, è scongiurare le divisioni della Lega su questo fronte. L'obiettivo, sarebbe invece di rimandare all'aula di Montecitorio, chiamata ad esprimersi il 20 luglio su Alfonso Papa, la decisione finale con voto segreto. CASTAGNETTI - "Quando durante la riunione io ho stretto chiedendo di passare al voto, è stato tolto l'oggetto del voto , cioè la proposta avanzata dal relatore di non dare l'autorizzazione" ricostruisce il presidente della Giunta, Pierluigi Castagnetti. "Allora - prosegue - ho chiesto se ci fosse un'altra proposta ma nell'immediato nessuno era in grado di formularla e l'onorevole Palomba dell'Idv ha dato la sua disponibilità a presentarne una domani (venerdì, ndr)". Dunque "domani voteremo sicuramente"ma "la giunta potrebbe prendere atto che non è in grado di esprimere un parere". LEGA - Marco Reguzzoni punta il dito contro "fantasiose ricostruzioni giornalistiche" sulla posizione della Lega Nord, sulla richiesta di arresto di Alfonso Papa e sulle altre richieste di autorizzazione in corso di esame precisando che "non esistono divisioni di pensiero all'interno del Gruppo della Lega". Reguzzoni ribadisce invece che la Lega voterà "a favore di ogni richiesta inerente l'acquisizione di materiale, tabulati telefonici e quant'altro possa agevolare nell'accertamento della verità, muovendoci, come sempre abbiamo fatto, nella totale trasparenza". Sulle richieste di arresto "bisognerà valutare tenendo conto delle accuse caso per caso". Redazione online 14 luglio 2011 14:42
2011-07-10 Il retroscena | Il capo del governo: è una rapina a mano armata Berlusconi: così finanzierò la campagna del Pd La rassicurazione del premier ai suoi: danno sostenibile Silvio Berlusconi Silvio Berlusconi ROMA - "Finirà che pagherò io la prossima campagna elettorale del Pd...". Brucia più di tutto che il creditore che può escutere la fideiussione prestata dalle sue aziende sia la Cir di Carlo De Benedetti, il nemico di una vita, nemico imprenditoriale e politico, un signore che "ha la tessera numero 1 del Pd". Brucia per il Cavaliere una decisione attesa da giorni, sulla quale non si era fatto illusioni ("figuriamoci se i giudici di Milano mi daranno ragione", diceva nelle ultime ore), ma che da ieri è nero su bianco su una sentenza esecutiva. Berlusconi ieri meditava sulla botta ricevuta in Sardegna, nella sua villa affacciata sul golfo di Marinella, negandosi alla maggior parte delle persone che lo chiamavano. C'era per i figli, che ha provveduto lui stesso a rassicurare, per gli amministratori delle sue aziende, che hanno ragionato con lui sul danno che ne potrebbe derivare per gli investimenti futuri, e per pochissimi altri. Per il resto il silenzio ufficiale nel quale si è chiuso il presidente del Consiglio rappresentava la cifra di una passaggio comunque drammatico: Berlusconi ha rassicurato tutti, ieri e negli ultimi giorni, sulla sostenibilità del danno economico che il pagamento della condanna comporterebbe per le sue imprese; utili non distribuiti e liquidità pregresse dovrebbero comunque consentire di affrontare l'esborso; ma non c'è dubbio che resterebbe comunque il segno di una botta finanziaria e politica non indifferente. Il segno di quella che considera una "sentenza farsa", "una rapina a mano armata", secondo alcune delle definizioni che ha usato lui stesso, era ieri ben rappresentato nel fuoco di dichiarazioni che provenivano dal Pdl: esternazioni che paragonavano il giudizio civile di secondo grado ora a un "esproprio proletario" ora a un "ricatto politico" gravido di conseguenze sulla stessa legislatura. Oggi il Cavaliere dirà la sua ufficialmente, collegandosi in mattinata con la festa della Libertà di Mirabello, e c'è da immaginarsi che non sarà tenero con dei giudici che secondo il suo avvocato Ghedini hanno formulato una sentenza "del tutto illogica". Di certo il premier considera inaudita la condanna, ancor di più la quantificazione del danno (circa il doppio del valore delle quote che la Fininvest possiede in Mondadori), incredibile poi quel passaggio della sentenza in cui la sua corresponsabilità nella vicenda corruttiva alla base del giudizio viene desunta con una "presunzione" probatoria. E se c'è da attendersi che il suo intervento di oggi sarà molto duro, c'è anche da aspettarsi che verrà ribadita la voglia di non mollare, anzi quel particolare ragionamento per cui se non ci fossero gli attacchi giudiziari e ora anche patrimoniali una certa voglia di lasciare la scena verrebbe assecondata. "Nemmeno in Unione Sovietica si poteva ipotizzare una dinamica simile, un trasferimento coatto di denaro, ancorché per via giudiziaria, dal capo del governo al capo ideale dell'opposizione, all'editore del giornale dei magistrati...", riassumevano ieri nel governo, dando una lettura meramente politica della sentenza emessa dai giudici civili. Il Cavaliere e i legali delle sue aziende faranno di tutto per non pagare, almeno oggi, quanto deciso dai giudici. Sembra scontato che verrà chiesta una sospensione dell'esecutività della sentenza, per gravi danni incombenti sulle imprese berlusconiane. E qualcuno non esclude che una norma "utile" possa ricomparire nei prossimi giorni nella manovra o in altro provvedimento parlamentare, anche se al momento indiscrezioni di questo tipo sembrano in realtà poco fondate. Marco Galluzzo 10 luglio 2011 09:49
Il lungo duello Quel duro giudizio sul Cavaliere E tornano le ombre dei conti esteri I soldi al giudice Metta e la sentenza su Previti Meglio sborsare 560 milioni che 750. Ma, quasi quasi, conveniva non risparmiare (come padrone di Fininvest) i 190 scontatigli dalla Corte d'Appello, piuttosto che farsi stampare l'etichetta (come premier) di corruttore di giudice. Luigi De Ruggiero, presidente della seconda sezione civile della Corte d'Appello di Milano Luigi De Ruggiero, presidente della seconda sezione civile della Corte d'Appello di Milano Costa infatti caro al premier, in reputazione, il risparmio economico di un quarto dei 750 milioni inflitti alla sua Fininvest nel 2009 dal giudice Mesiano come risarcimento alla Cir: in 283 pagine la sentenza civile d'Appello, che gli fa lo sconto, è molto più incisiva e stringente nell'indicarlo "corresponsabile" della medesima "corruzione" costata nel 2007 all'avvocato Cesare Previti e al giudice Vittorio Metta condanne penali definitive, e invece sfociata per Berlusconi nel 2001 nella prescrizione. E sancisce che il controllo della prima casa editrice del Paese è in mano a chi 20 anni fa si avvantaggiò della compravendita di una sentenza: l'annullamento in Corte d'Appello civile a Roma il 24 gennaio 1991 del "lodo Mondadori", cioè della decisione di un collegio arbitrale di tre giuristi scelti dalle parti per dirimere l'interpretazione (controversa nella contesa con Berlusconi per il controllo dell'azienda editoriale) degli accordi con la famiglia Formenton, erede delle quote del genero di Arnoldo Mondadori. Quel lodo arbitrale era stato favorevole a De Benedetti, ma il suo annullamento spianò la strada a Berlusconi, giacché pose la Cir nella condizione di trattare da una posizione molto più debole il compromesso con Fininvest: transazione mediata dall'allora imprenditore andreottiano e oggi parlamentare pdl Giuseppe Ciarrapico, e infine culminata nella spartizione tra libri, settimanali (tra cui Panorama) e un conguaglio di 365 miliardi di lire a Berlusconi, e invece Espresso, Repubblica e i quotidiani locali a De Benedetti. Nel penale un'altalena di 7 processi tra il 1996 e il 2007 ha infine stabilito in via definitiva che in cambio dell'annullamento del lodo arbitrale Previti, nell'interesse dell'azienda di Berlusconi, insieme ai legali Attilio Pacifico e Giovanni Acampora fece pervenire al giudice Metta 400 milioni di lire in contanti, provenienti dai 2 milioni e 732.868 dollari (3 miliardi di lire) che appena 20 giorni dopo la sentenza di Metta i conti esteri Fininvest All Iberian e Ferrido avevano bonificato il 14 febbraio 1991 al conto svizzero Mercier di Previti. Le sentenze definitive il 13 luglio 2007 inflissero al giudice Metta 2 anni e 9 mesi (in continuazione con altri 6 anni per la corruzione nel processo Imi-Sir), e 18 mesi a Previti (in aggiunta ai 6 anni di Imi-Sir). L'unico a non subire conseguenze penali fu proprio Berlusconi, che nel 2001 aveva visto Previti e Metta rinviati a giudizio dalla Corte d'Appello su ricorso dei pm contro l'iniziale proscioglimento di tutti, mentre egli era stato l'unico a giovarsi delle attenuanti generiche che ne avevano determinato la prescrizione. Ma ieri i giudici civili, paradossalmente proprio accogliendo la tesi di Fininvest che non voleva essere schiacciata sotto il peso della condanna penale di Previti maturata in processi nei quali la società non era presente, rifanno "un autonomo giudizio sulla sussistenza della vicenda corruttiva e sulle responsabilità". Anche del premier, sul cui conto valorizzano "la provenienza di 2.732.868 dollari bonificati a Previti (in vista delle già dimostrate finalità corruttive) dai conti All Iberian e Ferrido dei quali è accertata l'appartenenza a Fininvest", e "la posizione di vertice in Fininvest". Va bene tutto, ragionano i giudici, ma "è fuori da ogni plausibile logica che nel febbraio 1991 una qualsiasi persona fisica abbia versato 3 miliardi di lire di Fininvest a Previti, in mancanza di una obbligazione debitoria nei suoi confronti, perché li gestisse nell'interesse della medesima Fininvest anche e soprattutto a fini corruttivi, tenendo all'oscuro il proprietario della società pagatrice e beneficiaria. E' ovvio che nessun gestore o collaboratore, neppure al più alto livello, avrebbe mai assunto su di sé la responsabilità ed il rischio in mancanza di un'univoca direttiva del dominus", a meno non si voglia credere ad "audaci corruttori che in autonomia sottraggono 3 miliardi a Fininvest per consumare una corruzione "clandestina" rispetto allo stesso soggetto pagatore e beneficiario dell'illecito": una tangente "per immedesimazione organica". Invece nel "mondo della normalità è certo, essendo il contrario addirittura irreale, che il dominus della società abbia promosso o consentito la condotta criminosa, realizzata con denaro suo ed a suo illecito profitto attraverso esecutori materiali a lui strettamente legati". Già 10 anni fa in sede penale "in base al materiale probatorio disponibile non è emersa l'evidente innocenza dell'imputato", e "il proscioglimento fu disposto solo a seguito della concessione delle attenuanti generiche". Benché dal 1992 il privato corruttore e il magistrato corrotto rischiassero la stessa pena, la giurisprudenza riteneva che per l'ipotetico "corruttore privato" (Berlusconi) non potessero valere le stesse pene del "corrotto magistrato" (Metta) fra il 26 aprile 1990 e il 7 febbraio 1992, cioè nel periodo nel quale le norme sulla corruzione dei magistrati non lo prevedevano espressamente. La contestazione a Berlusconi (400 milioni nel 1991 a Metta) cadeva proprio in questo vuoto normativo, e così prevalse la tesi che per il "privato" Berlusconi le pene teoricamente applicabili fossero quelle non della "corruzione in atti giudiziari", ma della "corruzione semplice", più basse ed esposte alla prescrizione. Qui infatti entrarono in gioco le attenuanti generiche, negate a Previti e Metta, ma nel 2001 concesse al premier nel presupposto avesse agito "nell'ambito di un'attività imprenditoriale le cui zone d'ombra non possono condurre a una preconcetta valutazione ostativa" ora che le sue "attuali condizioni individuali e sociali" sono di "oggettivo rilievo": quelle attenuanti ebbero l'effetto di dimezzare i termini massimi da 15 anni a 7 anni e mezzo, facendo appunto scattare il proscioglimento per prescrizione ridatata al 14 ottobre 1999. E per i giudici civili ciò "comporta necessariamente la seguente progressione logica: la Corte, che in sede penale prosciolse Berlusconi, doveva aver messo in relazione un fatto storico costituente reato attribuito all'imputato" Berlusconi (la corruzione del giudice Metta) "con le valutazioni di concessione delle attenuanti generiche. Il primo elemento è logicamente precedente al secondo. E, per svolgere l'operazione logica, non si può che postulare la sussistenza del reato come ascritto all'imputato". Luigi Ferrarella 10 luglio 2011 09:52
In manette l'imprenditore Tommaso di Lernia. ai domiciliari Massimo De Cesare (Eurotec) Appalti Enav, arrestati due imprenditori Indagato Milanese: è accusato di finanziamento illecito ai partiti NOTIZIE CORRELATE Gip: paga la casa a Tremonti. Il ministro: solo ospite, vado via (8 luglio 2011) Marco Milanese (Imagoeconomica) Marco Milanese (Imagoeconomica) MILANO - Il gip di Roma ha emesso due provvedimenti di custodia cautelare, uno in carcere nei confronti dell'imprenditore Tommaso di Lernia, già finito in manette per corruzione e fatturazione di operazioni inesistenti nell'inchiesta sugli appalti dell'Enav, e uno ai domiciliari per Massimo De Cesare, amministratore delegato di Eurotec. Nell'inchiesta è indagato anche Marco Milanese, il deputato del Pdl, ex consigliere politico del ministro Giulio Tremonti, del quale giovedì la magistratura di Napoli ha richiesto l'arresto. Per lui l'accusa è di finanziamento illecito ai partiti. L'IMBARCAZIONE - I provvedimenti riguardano il filone di indagine relativo alla vendita a Eurotec, società che si occupa della costruzione di opere civili, di una barca da 15 metri acquistata in leasing (per una cifra che si avvicina ai 20 mila euro al mese) da Milanese. In base a quanto ricostruito dalla Procura di Roma la vendita dell'imbarcazione "Mochi Craft" ad un prezzo maggiorato rispetto al suo valore, sarebbe stata la contropartita richiesta da Milanese in cambio della nomina, decisa dal cda di Enav su suo input, dell'ex consigliere di amministrazione dell'Ente nazionale di assistenza al volo, Fabrizio Testa, a presidente di Technosky, società controllata di Enav. Al fine di ottenere la nomina, Testa si sarebbe rivolto a Lorenzo Cola, l'ex consulente del presidente di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini, che avrebbe coinvolto Di Lernia per risolvere il problema della vendita dell'imbarcazione. A questo punto Di Lernia contatta De Cesare che avrebbe proceduto all'acquisto della barca pagandola circa 1,9 milioni di euro contro un valore stimato di 1,4 milioni. A Milanese sarebbero andati 224 mila euro. (fonte Ansa)
08 luglio 2011(ultima modifica: 10 luglio 2011 16:44)
per concorso in associazione mafiosa a carico del titolare delle Politiche agricole Mafia, il gip chiede l'imputazione coatta del ministro Romano Non ha accolto la richiesta di archiviazione, presentata dalla procura Francesco Saverio Romano (Imagoeconomica) Francesco Saverio Romano (Imagoeconomica) PALERMO - Il gip Giuliano Castiglia non ha accolto la richiesta di archiviazione, presentata dalla procura, dell'indagine per concorso in associazione mafiosa a carico del ministro delle Politiche agricole Saverio Romano, e ha avanzato richiesta di imputazione coatta (cioè quando non archivia, ndr). A questo punto i pm entro dieci giorni dovranno formulare la richiesta di rinvio a giudizio. "ADDOLORATO E SCONCERTATO" - "Questo procedimento mi ha visto indagato quasi ininterrottamente per otto anni anche se l'indagine era tecnicamente spirata nel novembre del 2007. Questi semplici ma inconfutabili dati dimostrano il corto circuito tra le istituzioni e dentro le istituzioni". Lo dice il ministro Saverio Romano, commentando la decisione del gip di Palermo. "Il fallimento del sistema giudiziario - prosegue - vive nella interminabile condizione che si riserva al cittadino Saverio Romano in un periodo di tempo che nella sua enorme dimensione rappresenta già una sanzione insopportabile anche se l'epilogo sarà quello da me auspicato". Per Romano "sarebbe di contro parimenti fallimentare un sistema della giustizia che ha lasciato operare per così tanto tempo un uomo politico che potrebbe aver commesso l'infamante reato di concorso con Cosa Nostra. Purtroppo ormai da quasi 20 anni il nostro Paese assiste ad uno spettacolare conflitto che in questi ultimi mesi all'approssimarsi della riforma giudiziaria si è acuito". "Sono addolorato e sconcertato - conclude - con questo provvedimento non viene chiesta solo la formulazione dell'imputazione per il sottoscritto ma vengono messe in discussione le conclusioni alle quali dopo lunghissimi approfondimenti era pervenuta la Procura di Palermo. Difenderò in ogni sede il mio nome, per me, per i miei familiari e per la comunità politica che rappresento". Redazione online 08 luglio 2011(ultima modifica: 10 luglio 2011 16:43)
2011-07-09 IL RISARCIMENTO SARà LIQUIDATO NEI PROSSIMI GIORNI Lodo Mondadori, l'Appello conferma la condanna a Berlusconi (con lo sconto) Un quarto secco in meno, da 750 a 560 milioni di euro come risarcimento alla Cir di Carlo De Benedetti NOTIZIE CORRELATE IL DOCUMENTO: La parte della sentenza che riguarda la posizione di Silvio Berlusconi I giudici: "Berlusconi corresponsabile nella corruzione" Marina Berlusconi: "Sgomenti e senza parole. Faremo ricorso, siamo nel giusto" Scheda 1 - La cronologia del processo Scheda 2 - Fininvest, la holding del Cavaliere Spunta la norma sul Lodo Mondadori (4 luglio 2011) Berlusconi: "Dove trovo i soldi, se condannato?" (15 giugno 2011) MILANO - Maxisconto dei giudici a Silvio Berlusconi sul "lodo Mondadori": un quarto secco in meno, da 750 a 560 milioni di euro. Ma per il premier questo risparmio di 190 milioni è l’unica buona notizia: anche la seconda Corte d’Appello civile di Milano, infatti, condanna la società del presidente del Consiglio e dei suoi figli a pagare alla Cir complessivamente 560 milioni (tra capitale, interessi legali dall’ottobre 2009 e spese legali) come risarcimento a Carlo De Benedetti per i danni causati all’editore di "Repubblica" dalla corruzione giudiziaria che nel 1991 inquinò la fine del braccio di ferro tra Berlusconi e De Benedetti per il controllo della prima casa editrice italiana, la Mondadori. LA SOMMA - L’entità della somma si compone del risarcimento vero e proprio, quantificato in 540 milioni di euro; degli interessi legali del 2,5% a partire dalla data della sentenza di primo grado emessa dal giudice Raimondo Mesiano, cioè dall’ottobre 2009; e delle spese legali fissate in 8 milioni di euro. A determinare gran parte della riduzione del risarcimento è stato l’esito della consulenza tecnica d’ufficio che nel marzo 2010 la Corte d’Appello aveva affidato ai professori Luigi Guatri, Maria Martellini e Giorgio Pellicelli per verificare "se fra giugno 1990 e aprile 1991e siano intervenute variazioni dei valori delle società e delle aziende oggetto di scambio tra le parti": quesito al quale i tre consulenti hanno risposto calcolando una riduzione del valore delle aziende attorno al 18,8%. I TEMPI- Nella giustizia civile le sentenze sono immediatamente esecutive già dopo il primo grado, ma nel dicembre 2009 gli avvocati delle due parti (Giuseppe Lombardi, Giorgio De Nova, Achille Saletti e Fabio Lepri per Fininvest, Elisabetta Rubini e Vincenzo Ruoppo per Cir) raggiunsero un’intesa per "congelare" il versamento a fronte di due condizioni: una maxifidejussione di 800 milioni prestata da un pool di quattro banche alla Fininvest in favore della Cir, e l’impegno della Corte d’Appello a definire in tempi rapidi la causa di secondo grado iniziata il 24 febbraio 2010. Questo significa che ora la Cir — appena nel giro di qualche giorno avrà in mano le copie "registrate" della sentenza firmata dai giudici Luigi De Ruggiero (presidente), Walter Saresella (relatore) e Giovambattista Rollero — avrà titolo per escutere la fidejussione in Banca Intesa Sanpaolo (capofila del pool con Unicredit, Monte dei Paschi di Siena e Popolare di Sondrio) e così incassare immediatamente i 560 milioni di euro sanciti dai giudici d’Appello. Proprio quello che voleva scongiurare il codicillo infilato di soppiatto dopo il Consiglio dei Ministri nel testo della Legge Finanziaria, ritirato dopo le polemiche ma nel contempo rivendicato come "sacrosanto" dal premier e ora destinato (secondo quanto dichiarato da Berlusconi e da membri della sua maggioranza) a poter essere resuscitato sotto forma di emendamento nel corso dell’iter parlamentare della manovra contabile. Berlusconi Berlusconi LA VICENDA- L’odierna causa civile, foriera dei 560 milioni di euro di risarcimento alla Cir, è diretta conseguenza dei processi penali scaturiti dall’inchiesta avviata nel 1996 dai pm Ilda Boccassini e Gherardo Colombo. I dibattimenti hanno già stabilito in via definitiva che l’avvocato Fininvest Cesare Previti, nell’interesse dell’azienda di Berlusconi, insieme ai legali Attilio Pacifico e Giovanni Acampora fecero pervenire al giudice Vittorio Metta 400 milioni di lire in contanti, parte dei 3 miliardi che 20 giorni dopo la sentenza di Metta i conti esteri Fininvest "All Iberian" e "Ferrido" avevano bonificato il 14 febbraio 1991 al conto estero "Mercier" di Previti. Per cosa? In cambio della compravendita di un verdetto, l’annullamento in Corte d’Appello civile a Roma del "lodo Mondadori", e cioè della decisione di un collegio arbitrale di tre giuristi scelti dalle parti per dirimere la controversa interpretazione degli accordi con la famiglia Formenton erede delle quote del genero di Arnoldo Mondadori, decisione che inizialmente era stata favorevole a De Benedetti nella contesa con Berlusconi per il controllo della casa editrice Mondadori. Quell’annullamento in Appello spianò la strada a Berlusconi perché pose la Cir nella condizione di trattare da una posizione molto più debole il compromesso con Fininvest: una transazione mediata dall’allora imprenditore andreottiano e oggi parlamentare pdl Giuseppe Ciarrapico, e infine sfociata nella spartizione del gruppo editoriale con i libri, i settimanali (tra cui "Panorama") e un conguaglio di 365 miliardi di lire a Berlusconi, e invece "l’Espresso", "Repubblica" e i quotidiani locali "Finegil" a De Benedetti. I processi penali si sono conclusi il 13 luglio 2007 in Cassazione con la condanna per corruzione del giudice Metta a 2 anni e 9 mesi (in continuazione con altri 6 anni già inflittigli per l’altro processo Imi-Sir), dell’avvocato Previti a 1 anno e mezzo (in aggiunta ai 6 anni di Imi-Sir), e dei legali Pacifico e Acampora a 1 anno e mezzo in continuazione con le precedenti condanne per Imi-Sir rispettivamente a 6 anni e a 3 anni e 8 mesi. L’unico a non subire conseguenze penali è stato proprio Silvio Berlusconi, il quale, seppure indagato per il medesimo reato costato poi la condanna a Previti, ottenne nel 2001 la prescrizione grazie al fatto che nella fase del rinvio a giudizio i giudici concessero, esclusivamente a lui, le attenuanti generiche. Luigi Ferrarella lferrarella@corriere.it 09 luglio 2011 19:50
LE REAZIONI - Di pietro: le sentenze si rispettano. Ghedini: la cassazione annullerà Alfano: "Premier è sereno, Pdl con lui" Il gruppo Cir: non è una sentenza politica Marina Berlusconi: forsennata aggressione dei giudici, faremo ricorso. Il Pd: dichiarazioni eversive NOTIZIE CORRELATE Lodo Mondadori, l'Appello conferma la condanna a Berlusconi (con lo sconto) Carlo De Benedetti e Marina Berlusconi (Photoviews) Carlo De Benedetti e Marina Berlusconi (Photoviews) MILANO - "È una sentenza che sgomenta e lascia senza parole": lo afferma il presidente di Fininvest Marina Berlusconi, nella lunga dichiarazione dopo la sentenza del Lodo Mondadori. "È una sentenza che rappresenta l'ennesimo scandaloso episodio di una forsennata aggressione che viene portata avanti da anni contro mio padre - scrive ancora Marina Berlusconi - con tutti i mezzi e su tutti i fronti, compreso quello imprenditoriale ed economico". Dopo aver parlato di "attacco" da parte della magistratura milanese in particolare e del gruppo editoriale De Benedetti, il presidente Fininvest afferma che il risarcimento da 560 milioni di euro è "una somma spropositata", "addirittura doppia rispetto al valore della nostra partecipazione in Mondadori". "Neppure un euro è dovuto da parte nostra, siamo di fronte ad un esproprio che non trova alcun fondamento nella realtà dei fatti né nelle regole del diritto. Già in queste ore i nostri legali cominceranno a studiare il ricorso in Cassazione", conclude Marina Berlusconi. ALFANO: PREMIER SERENO - "Siamo certi che questo episodio non toglierà al Premier la serenità necessaria per governare, come ha sempre fatto, nell'interesse esclusivo dell'Italia e degli italiani". Lo ha detto il ministro della Giustizia e segretario del Pdl, Angelino Alfano commentando la sentenza sul Lodo Mondadori "Il Pdl è al fianco del presidente Silvio Berlusconi con determinazione e con affetto - ha aggiunto - e sottolinea che si tratta di una decisione che, per essere definitiva, dovrà certamente avere il vaglio di altri giudici". CIR: LA POLITICA NON C'ENTRA - La Cir, in una nota diffusa dai legali Vincenzo Roppo ed Elisabetta Rubini, esprime "soddisfazione" per la condanna che "conferma ancora una volta che nel 1991 la Mondadori fu sottratta alla Cir mediante la corruzione del giudice Vittorio Metta, organizzata per conto e nell’interesse di Fininvest". "Con particolare soddisfazione - si legge ancora nella nota - si registra il passaggio della sentenza dove si riconosce che, corrompendo il giudice Metta, Fininvest tolse a Cir non la semplice chance di vincere nel 1991 la causa sul controllo del gruppo Mondadori -Espresso, ma la privò senz’altro di una vittoria che senza la corruzione giudiziaria sarebbe stata certa". La nota sottolinea inoltre che "il contenzioso giudiziario sul Lodo Mondadori, relativo a fatti avvenuti oltre venti anni fa, riguarda una storia imprenditoriale ed è completamente estraneo all’attualità politica". SACCONI: MODERATI UNITI CONTRO L'AGGRESSIONE - Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi sostiene la tesi dell'"aggressione" di Marina Berlusconi. E indica, come unica riposta, la linea dell'"unità dei moderati" proposta dal neo-segretario Alfano . "Nel momento in cui massima è l'intensità dell'aggressione mediatico-giudiziaria nei confronti del governo e del presidente del Consiglio, come evidenzia la stessa sentenza Mondadori, altrettanto e ancor di più intensa può e deve essere la risposta politica a coloro che vogliono commissariare l'Italia nel nome di interessi particolari. E questa risposta è il dichiarato disegno dell'unità dei moderati e dei riformisti nel segno del popolarismo europeo che il nuovo segretario politico del Pdl, Alfano, ha indicato come il cuore del suo mandato". Il ministro lo fa sapere in una nota, in cui aggiunge che "è quindi particolarmente significativa l'adesione di tre dei fondatori del Fli, Ronchi, Urso e Scalia, a questo progetto in coerenza con il loro percorso politico". PD: DICHIARAZIONI EVERSIVE - Ettore Rosato, esponente dell'Ufficio di presidenza del Gruppo del Pd alla Camera, commenta le dichiarazioni di Marina Berlusconi: "Era scontata la discesa in campo, con toni isterici, degli esponenti del Pdl a difesa dell'azienda del loro capo, anche se non è affatto giustificata perché le sentenze si rispettano. Preoccupano molto, invece, le dichiarazioni della stessa famiglia Berlusconi che sfiorano l'eversione e si pongono pericolosamente fuori dalla legalità". DI PIETRO: SENTENZE SI RISPETTANO - "Le sentenze si rispettano e i danni si risarciscono. E se è vero, com'è vero, che Berlusconi è stato condannato in appello per danni causati a un altro gruppo imprenditoriale, significa che lui ci ha guadagnato illecitamente e l'altro ci ha rimesso. È inutile che Berlusconi e i suoi tentino di buttarla in politica, qui siamo solo di fronte a comportamenti truffaldini gravissimi". Lo afferma in una nota il leader dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro. BINDI: CHIUDERE QUESTO VENTENNIO - "È una sentenza che come tutte le sentenze esecutive deve essere rispettata. Ho visto che faranno ricorso in Cassazione. Auguri, intanto dovranno comportarsi come tutti i normali cittadini. E da questa sentenza abbiamo capito chiaramente che quella norma messa in Finanziaria non era per tutti gli italiani, ma era per un italiano, guarda caso sempre lo stesso", ha detto la presidente del Pd Rosy Bindi. Per Bindi "è arrivato il tempo di chiudere questo ventennio" ed "è l'ora che l'Italia sia liberata da questa maggioranza, da questo presidente del Consiglio, da questo Governo". CAPEZZONE: CLIMA DA PIAZZALE LORETO - "Credo che occorra togliersi le appartenenze politiche e di partito. Le sentenze vanno rispettate, ma questa a me pare enorme, abnorme. Rischia di essere una mazzata per un'azienda che dà posti di lavoro a moltissimi italiani". Lo ha detto il portavoce del Pdl Daniele Capezzone. "C'è da troppo tempo, contro Silvio Berlusconi, un clima da Piazzale Loreto, con forsennati attacchi politici e personali", aggiunge Capezzone. GHEDINI: CASSAZIONE ANNULLERA' - "La Corte d'Appello di Milano ha emesso una sentenza contro ogni logica processuale e fattuale, addirittura ampiamente al di là delle stesse risultanze contabili che erano già di per sé erronee in eccesso, e addirittura superiore al valore reale della quota Mondadori posseduta da Fininvest". Lo dichiara il parlamentare del Pdl e legale del premier, Niccolò Ghedini. "È la riprova, se ve ne fosse stato bisogno, che a Milano è impossibile, quando vi è anche indirettamente coinvolto il presidente Berlusconi, celebrare un processo che veda la applicazione delle regole del diritto. E se la Corte d'Appello non sospenderà l'esecutività della sentenza, tale prova sarà ancora più evidente. Comunque la Corte di Cassazione non potrà che annullare questa incredibile sentenza". BONDI: GIUSTIZIA VIOLENTA - "Di fronte alla sentenza Mondadori l'unica cosa che si può dire è che a questo punto solo degli osservatori neutrali, rappresentanti di istituzioni internazionali, sarebbero in grado di verificare le modalità anomale e violente, più simili a Paesi totalitari che a democrazie civili, in cui si esercita l'amministrazione della giustizia in Italia", è il commento dell'ex ministro Sandro Bondi. STRACQUADANIO: SENTENZA COMPRATA - "La sentenza di oggi è l'ennesimo atto di una trama criminale di natura politico-giudiziaria ordita contro la discesa in campo di Silvio Berlusconi. È evidente a tutti che lo scopo di un manipolo di magistrati felloni e golpisti - che si annida nel palazzo di giustizia di Milano e gode di complicità a tutti i livelli politici, imprenditoriali e istituzionali - è il massacro politico, imprenditoriale e fisico del presidente del Consiglio". Lo dichiara - in una nota - Giorgio Stracquadanio, deputato del Pdl. La vicenda, per Stracquadanio, "dimostra che il vero modo con cui si comprano sentenze favorevoli a un gruppo di potere è quello di assecondare, con un sapiente uso dei mezzi di comunicazione di massa, il disegno politico della magistratura militante". Redazione online 09 luglio 2011 19:48
LA SCHEDA [Esplora il significato del termine: la scheda Lodo Mondadori, le tappe della vicenda Il processo iniziato il 4 ottobre 2001, imputati Previti, Pacifico, Metta e Acampora NOTIZIE CORRELATE Lodo Mondadori, l’Appello conferma la condanna a Berlusconi (con lo sconto) Ecco le tappe principali della vicenda giudiziaria per il Lodo Mondadori, i cui risvolti civili il 3 ottobre del 2009 hanno portato il giudice Raimondo Mesiano del Tribunale di Milano a condannare la Fininvest a versare, per danno patrimoniale, un risarcimento di 750 milioni di euro a Cir. Oggi la seconda sezione civile della Corte d’Appello ha condannato Fininvest a pagare 540 milioni più spese ed interessi per un totale di circa 560 milioni. 4 ottobre 2001 - Davanti ai giudici della quarta sezione del Tribunale di Milano, presidente Paolo Carfì, comincia il processo per il Lodo Mondadori. Imputati per corruzione in atti giudiziari sono Cesare Previti, Attilio Pacifico, Vittorio Metta e Giovanni Acampora. Qualche mese prima i giudici della quinta sezione della Corte d’Appello di Milano ritengono che nei confronti di Silvio Berlusconi è ipotizzabile il reato di corruzione semplice. Reato che, grazie alla concessione delle attenuanti generiche, viene dichiarato prescritto. 28 gennaio 2002 - il processo Imi-Sir, cominciato nel 2000, viene riunito con quello sul Lodo Mondadori. 29 aprile 2003 - Il Tribunale condanna a 13 anni Vittorio Metta, a 11 anni Cesare Previti e Attilio Pacifico, a 8 anni e 6 mesi Renato Squillante, a 6 anni Felice Rovelli, a 5 anni e 6 mesi Giovanni Acampora, 4 anni e 6 mesi Primarosa Battistella. Assolto Filippo Verde. 7 gennaio 2005 - Comincia a Milano, davanti alla seconda Corte d’appello, presieduta da Roberto Pallini, il processo di secondo grado per i casi Imi-Sir e Lodo Mondadori. 23 maggio 2005 - I giudici confermano la condanna di Cesare Previti per la sola vicenda Imi-Sir, assolvendolo per quella Lodo Mondadori. Previti e Attilio Pacifico hanno avuto una riduzione della condanna da undici a sette anni. Riduzioni delle pene per gli altri imputati: Vittorio Metta da 13 a 6 anni, Renato Squillante da 8 anni e 6 mesi a 5 anni, Felice Rovelli da 6 a 3 anni, Primarosa Battistella da 4 anni e 6 mesi a 2 anni. Per la vicenda Lodo Mondadori l’avvocato Giovanni Acampora, Metta, Pacifico e Previti sono stati assolti "perchè il fatto non sussiste". 4 maggio 2006 - Per il caso Imi/Sir, la Cassazione riduce a 6 anni la condanna per Previti e Pacifico, conferma la condanna a 6 anni per Metta, riduce la pena per Acampora a 3 anni e 8 mesi, annulla senza rinvio la condanna per Squillante e Battistella e considera prescritta l’accusa per Felice Rovelli. Per il Lodo Mondadori, la Suprema Corte accoglie il ricorso della Procura Generale di Milano e della parte civile Cir, contro le assoluzioni del maggio 2005. 18 dicembre 2006 - Davanti alla terza sezione della Corte d’appello di Milano, comincia il nuovo processo di secondo grado per il Lodo Mondadori. 23 febbraio 2007 - I giudici condannano Previti, Acampora e Pacifico ad un anno e 6 mesi, Metta a due anni e 9 mesi. 13 luglio 2007 - Le condanne del processo bis di secondo grado vengono confermate dalla Cassazione che ha così cristallizzato l’ipotesi delle indagini avviate nel 1996 dalla Procura di Milano: la sentenza del 1991 della Corte d’ Appello di Roma sfavorevole a De Benedetti fu in realtà comprata corrompendo il giudice estensore Vittorio Metta con 400 milioni provenienti da Fininvest. La somma, questa l’accusa, faceva parte dei 3 miliardi di lire che il 14 febbraio 1991, 20 giorni dopo la sentenza di Metta, dai conti esteri Fininvest "All Iberian" e "Ferrido" vennero bonificati sul conto svizzero "Mercier" di Previti, e che poi vennero movimentati da Acampora e Pacifico per fare arrivare, appunto, i 400 milioni a Metta. 3 ottobre 2009 - La prima sezione del Tribunale di Milano ha dichiarato che la Cir ha diritto al risarcimento di 750 milioni da parte di Fininvest per il danno patrimoniale da ’perdita di chancè subito nella vicenda per la "battaglia di Segrate". Il provvedimento civile è arrivato alla luce dalla condanna penale definitiva per corruzione in atti giudiziari di Metta, Previti, Acampora e Pacifico. 9 luglio 2011 - La seconda sezione civile della Corte d’Appello di Milano ha confermato la condanna di primo grado alla Fininvest riducendo però il risarcimento dovuto alla Cir a circa 560 milioni di euro compresi spese ed interessi. (fonte: Ansa) 09 luglio 2011 10:15] la scheda Lodo Mondadori, le tappe della vicenda Il processo iniziato il 4 ottobre 2001, imputati Previti, Pacifico, Metta e Acampora NOTIZIE CORRELATE Lodo Mondadori, l'Appello conferma la condanna a Berlusconi (con lo sconto) Ecco le tappe principali della vicenda giudiziaria per il Lodo Mondadori, i cui risvolti civili il 3 ottobre del 2009 hanno portato il giudice Raimondo Mesiano del Tribunale di Milano a condannare la Fininvest a versare, per danno patrimoniale, un risarcimento di 750 milioni di euro a Cir. Oggi la seconda sezione civile della Corte d'Appello ha condannato Fininvest a pagare 540 milioni più spese ed interessi per un totale di circa 560 milioni. 4 ottobre 2001 - Davanti ai giudici della quarta sezione del Tribunale di Milano, presidente Paolo Carfì, comincia il processo per il Lodo Mondadori. Imputati per corruzione in atti giudiziari sono Cesare Previti, Attilio Pacifico, Vittorio Metta e Giovanni Acampora. Qualche mese prima i giudici della quinta sezione della Corte d'Appello di Milano ritengono che nei confronti di Silvio Berlusconi è ipotizzabile il reato di corruzione semplice. Reato che, grazie alla concessione delle attenuanti generiche, viene dichiarato prescritto. 28 gennaio 2002 - il processo Imi-Sir, cominciato nel 2000, viene riunito con quello sul Lodo Mondadori. 29 aprile 2003 - Il Tribunale condanna a 13 anni Vittorio Metta, a 11 anni Cesare Previti e Attilio Pacifico, a 8 anni e 6 mesi Renato Squillante, a 6 anni Felice Rovelli, a 5 anni e 6 mesi Giovanni Acampora, 4 anni e 6 mesi Primarosa Battistella. Assolto Filippo Verde. 7 gennaio 2005 - Comincia a Milano, davanti alla seconda Corte d'appello, presieduta da Roberto Pallini, il processo di secondo grado per i casi Imi-Sir e Lodo Mondadori. 23 maggio 2005 - I giudici confermano la condanna di Cesare Previti per la sola vicenda Imi-Sir, assolvendolo per quella Lodo Mondadori. Previti e Attilio Pacifico hanno avuto una riduzione della condanna da undici a sette anni. Riduzioni delle pene per gli altri imputati: Vittorio Metta da 13 a 6 anni, Renato Squillante da 8 anni e 6 mesi a 5 anni, Felice Rovelli da 6 a 3 anni, Primarosa Battistella da 4 anni e 6 mesi a 2 anni. Per la vicenda Lodo Mondadori l'avvocato Giovanni Acampora, Metta, Pacifico e Previti sono stati assolti "perchè il fatto non sussiste". 4 maggio 2006 - Per il caso Imi/Sir, la Cassazione riduce a 6 anni la condanna per Previti e Pacifico, conferma la condanna a 6 anni per Metta, riduce la pena per Acampora a 3 anni e 8 mesi, annulla senza rinvio la condanna per Squillante e Battistella e considera prescritta l'accusa per Felice Rovelli. Per il Lodo Mondadori, la Suprema Corte accoglie il ricorso della Procura Generale di Milano e della parte civile Cir, contro le assoluzioni del maggio 2005. 18 dicembre 2006 - Davanti alla terza sezione della Corte d'appello di Milano, comincia il nuovo processo di secondo grado per il Lodo Mondadori. 23 febbraio 2007 - I giudici condannano Previti, Acampora e Pacifico ad un anno e 6 mesi, Metta a due anni e 9 mesi. 13 luglio 2007 - Le condanne del processo bis di secondo grado vengono confermate dalla Cassazione che ha così cristallizzato l'ipotesi delle indagini avviate nel 1996 dalla Procura di Milano: la sentenza del 1991 della Corte d' Appello di Roma sfavorevole a De Benedetti fu in realtà comprata corrompendo il giudice estensore Vittorio Metta con 400 milioni provenienti da Fininvest. La somma, questa l'accusa, faceva parte dei 3 miliardi di lire che il 14 febbraio 1991, 20 giorni dopo la sentenza di Metta, dai conti esteri Fininvest "All Iberian" e "Ferrido" vennero bonificati sul conto svizzero "Mercier" di Previti, e che poi vennero movimentati da Acampora e Pacifico per fare arrivare, appunto, i 400 milioni a Metta. 3 ottobre 2009 - La prima sezione del Tribunale di Milano ha dichiarato che la Cir ha diritto al risarcimento di 750 milioni da parte di Fininvest per il danno patrimoniale da 'perdita di chancè subito nella vicenda per la "battaglia di Segrate". Il provvedimento civile è arrivato alla luce dalla condanna penale definitiva per corruzione in atti giudiziari di Metta, Previti, Acampora e Pacifico. 9 luglio 2011 - La seconda sezione civile della Corte d'Appello di Milano ha confermato la condanna di primo grado alla Fininvest riducendo però il risarcimento dovuto alla Cir a circa 560 milioni di euro compresi spese ed interessi. (fonte: Ansa) 09 luglio 2011 10:15
la scheda Fininvest, la holding del Cavaliere Conti, partecipazioni e struttura di controllo della finanziaria con un patrimonio di 2,5 miliardi NOTIZIE CORRELATE Lodo Mondadori, l'Appello conferma la condanna a Berlusconi (con lo sconto) Fininvest è la holding che raggruppa le proprietà della famiglia Berlusconi, ha un patrimonio di 2,5 miliardi e ha registrato utili nel 2010 per 87,1 milioni decidendo però di non versare alcun dividendo ai soci. Solo l'anno prima aveva distribuito cedole per 200 milioni di euro e così la decisione è stata collegata dagli osservatori all'imminente decisione sul Lodo Mondadori: anche dieci giorni fa, approvando i dati di bilancio, la finanziaria aveva però ribadito la convinzione che non ci fosse proprio alcun danno da risarcire, decidendo di non accantonare alcuna cifra per la vicenda. L'intero gruppo che fa capo a Fininvest conta su ricavi per ben 5,8 miliardi e utili per 160,1 milioni. A fine anno aveva un indebitamento netto di 1,3 miliardi. La holding controlla il 39% di Mediaset, il 50% di Mondadori, il 36% di Mediolanum, oltre al Milan (100%) e al Teatro Manzoni (100%). Fa capo alla finanziaria anche la quota del 2% di Mediobanca, il "salotto buono" della finanza milanese: l'1% è conferito al patto di sindacato, e per la famiglia partecipa il presidente Fininvest Marina Berlusconi, consigliere anche dell'istituto di Piazzetta Cuccia. Fininvest ha poi una quasi il 24% di Molmed, lo spin off quotato del San Raffaele attivo nella ricerca oncologica, e il 2,06% di Aedes. La famiglia Berlusconi controlla Fininvest tramite otto finanziarie, denominate tutte Holding Italiana, ma con diversa numerazione. Inizialmente queste "scatole" erano ben 22, ridotte a otto dopo l'ultimo riassetto del 2004. Il controllo fa sempre capo a Berlusconi con il 63% del capitale (tramite la Holding Italiana Prima, Seconda, Terza e Ottava). I figli del primo matrimonio Marina (è anche presidente Mondadori) e Piersilvio (vice presidente Mediaset) hanno una quota del 7,65% a testa (rispettivamente attraverso le holding Quarta e Quinta). Nell'estate del 2005 anche i figli di secondo letto, Barbara, Eleonora e Luigi, hanno ricevuto una quota del patrimonio e hanno attualmente il 21,4% di Fininvest (attraverso la holding Quattordicesima). Tra le vicende famigliari, resta intanto ancora aperta la causa di separazione tra Berlusconi e Veronica Lario, e con essa ogni eventuale impatto sul patrimonio di famiglia. Nella vicenda del Lodo Mondadori, Fininvest ha ottenuto di congelare il risarcimento alla Cir di Carlo De Benedetti, almeno fino all'esito del processo d'appello, presentando nel dicembre 2009 una fideiussione per 806 milioni di euro garantita da Intesa Sanpaolo e controgarantita da Unicredit, Mps e Popolare di Sondrio. Tecnicamente la fideiussione scadeva in aprile ma nel frattempo è stata rinnovata in attesa della sentenza. Nel bilancio 2009 Fininvest spiegava di non aver presentato alcuna garanzia o pegno per la fideiussione, "anche in considerazione del valore del patrimonio netto contabile della capogruppo, del valore economico dello stesso ed infine del merito di credito conosciuto". (fonte: Ansa) 09 luglio 2011 10:18
Le carte / I verbali e i documenti La spartizione dei posti in Finmeccanica Ecco le liste con i nomi di politici e manager NAPOLI - Manager sponsorizzati dai politici che così si spartiscono i posti nei consigli di amministrazione delle aziende di Stato. Foglietti con le indicazioni da eseguire consegnati, alla vigilia delle nomine, da ministri e parlamentari per accaparrarsi almeno una poltrona nelle società controllate da Finmeccanica. Sono le carte dell'inchiesta condotta dal pubblico ministero Vincenzo Piscitelli sulla presunta corruzione di Marco Milanese - deputato pdl ed ex consigliere del ministro Giulio Tremonti - a svelare i retroscena della divisione tra partiti che consente anche il controllo degli appalti. E a rivelare quanto forte fosse l'influenza dello stesso Milanese e cospicua la contropartita che sarebbe riuscito a ottenere dai suoi "protetti": auto di lusso, gioielli, soldi in contanti, ma anche splendide ville in Costa Azzurra. Un "tesoro" che comprende pure conti all'estero. I "consiglieri" della Lega e di La Russa È l'esame dei computer del responsabile delle relazioni esterne di Finmeccanica Lorenzo Borgogni - indagato per corruzione in un'altra indagine - a far emergere le trattative per la designazione di alcuni consiglieri. Ci sono schemi, appunti, anche alcune mail ritenute "interessanti" dagli investigatori. Durante la perquisizione nel suo ufficio è stato trovato un foglietto con una lista di politici scritti a penna: "Giorgetti, Milanese, Romani (Guerrera), Fortunato (Mef), Galli, Squillace x La Russa". Per saperne di più Piscitelli convoca Barbara Corbo, la segretaria di Borgogni. E l'11 marzo scorso la donna chiarisce: "Il file trovato nel mio computer denominato "Membri esterni controllate giu10 x Milanese.doc" tratto dalla cartella C:Borgogni 2010 e 2011, è un documento che ho redatto io recependo le indicazioni e le informazioni del dottor Borgogni... La denominazione "Lega" che compare accanto ai nomi Maffini, Ghilardelli, Belli e Vescovi, presenti nello stesso file, presumo sia riferibile al partito politico. Il nominativo La Russa che compare accanto ai nomi di Plinio, Politi e Gatti presumo sia quello dell'attuale ministro della Difesa ma tali circostanze potranno essere confermate solo da Borgogni". Il giorno dopo l'alto dirigente di Finmeccanica viene interrogato. E conferma: "Per le nomine di terzo livello dove gli emolumenti sono molto bassi, concordo con l'ad delle società controllanti quelle dove effettuare le nomine all'interno dei curricula che arrivano o dal mondo della politica soprattutto del territorio dove sono insediate le società o dai consiglieri di amministrazione di Finmeccanica. Naturalmente le nomine di questi sette consiglieri, benché provengano formalmente dal ministero del Tesoro, sono il prodotto di una mediazione politica all'interno delle componenti della maggioranza di governo, dove il tavolo di compensazione è a Palazzo Chigi e dove confluiscono le richieste dei ministeri di riferimenti come Difesa e Sviluppo Economico con i quali Finmeccanica ha rapporti. Per le nomine di primo livello in previsione della scadenza io preparo un prospetto e lo mando ai tre ministeri, a Palazzo Chigi e ai consiglieri espressione della politica". Le indicazioni di Scajola e Giovanardi Borgogni si sofferma poi su chi è ancora in carica. E afferma: "Per quanto riguarda gli ultimi tre anni, Squillace è espressione del ministro La Russa, il consigliere Galli della Lega, mentre per lo Sviluppo Economico (Scajola) il riferimento è stato il consigliere Alberti, anche se formalmente espressione dell'azionista Mediobanca. Per quanto riguarda il Tesoro la lista la consegnavo a Milanese. Naturalmente da ciascuna parte ci sono state richieste per il maggior numero di persone e per il 2010 c'è stato un tavolo di compensazione e di coordinamento dove erano presenti Letta, Milanese, Giorgetti per la Lega e io che avevo ricevuto due, tre nomi da La Russa che non poteva partecipare. In questa riunione si decise poi quale parte politica doveva presentare i curricula e per quale società (per esempio la Lega a mezzo Giorgetti chiese che un posto fosse senz'altro riservato a quel partito in Ansaldo Energia riservandosi di farmi avere un curriculum forse già datomi nell'occasione) e così via... Ricordo per esempio che il nominativo di Adolfo Vittorio per Elsag Datamat me lo diede Letta per conto di Giovanardi che poi mi chiamò in prima persona... Ricordo che il nominativo di Marchese (Guido, arrestato due giorni fa, ndr ) fu proposto da Milanese nelle caselle che spettavano al Tesoro, per la presidenza del Cs di Oto Melara e per il cda di Ansaldo Energia dove fu registrata l'incompatibilità ai sensi del codice civile. Quando sorse il problema rilevammo che era stato nominato anche l'anno precedente, sempre su indicazione del Tesoro, nel Cs di Ansaldo Breda". Tra le nomine finite nell'indagine anche quella di Giovanni Alpeggiani in rappresentanza del ministro della Salute Ferruccio Fazio nel cda del policlinico San Matteo di Pavia. Si tratta di uno dei soci di Milanese in alcuni investimenti immobiliari in Costa Azzurra, ma nel suo interrogatorio nega che a proporlo sia stato il parlamentare. "Sono stato designato - afferma - dopo che in prima battuta era stato designato Paolo Cirino Pomicino, ma poiché quella prima scelta sollevò un vespaio di critiche, il ministro designò me. Non ne ho mai parlato con Milanese e credo che neanche lo sappia". Le ville in Francia, i conti esteri, le carte "gold" È Sergio Fracchia a rivelare al pm Piscitelli gli affari immobiliari del parlamentare sui quali si concentra adesso l'indagine soprattutto per accertare l'origine del denaro utilizzato per gli acquisti: "Ho lavorato come venditore di immobili su "Antenna3", una Tv libera lombarda, e il legale di questa società era l'avvocato Maria Taddeo. Diventammo amici anche con il marito di allora Marco Milanese. Divennero anche miei clienti comprando una casa a Cap Martin nel 96/97. Questa casa è stata poi venduta, sempre attraverso di me, e ne hanno comprata un'altra più grande con una camera in più, sempre a Cap Martin. Anche questa seconda casa è stata poi venduta, sempre mio tramite. Qualche anno dopo mi hanno chiesto un investimento più consistente e hanno comprato, nell'anno 2006/2007, una villetta a Cannes, ricorrendo ad un mutuo, pagandola poco sopra il milione di euro. Inoltre, devo precisare che nella mia attività ci sono molte persone che vogliono investire nel settore immobiliare ma non hanno la disponibilità sufficiente per comprare un intero immobile. Per venire incontro a questa esigenza, si costituiscono delle società immobiliari, sempre di diritto francese, e si vendono le quote di partecipazione per importi che possono oscillare da 50.000 a 150.000 euro massimo. Milanese, oltre le villette di cui ho parlato, nel 2007/2008, se ben ricordo, in occasione dell'acquisto dell'ultima villetta, aveva comprato quote in due di queste società, una era "Rivarma Srl" e l'altra "Castello Srl". Se ben ricordo per quanto riguarda la prima Milanese aveva pagato tra 135.000/160.000 euro circa, per la seconda tra i 40.000/50.000 euro. Per quello che è noto a me, Milanese conserva ancora una partecipazione in una terza società francese per 15.000 euro". La perizia contabile svela invece la movimentazione bancaria di Milanese e della sua fidanzata Manuela Bravi, portavoce del ministro Giulio Tremonti. E nelle conclusioni il consulente Luigi Mancini scrive: "Milanese, oltre ad avere avuto vari "corrispondenti" esteri, è sicuramente titolare di un conto bancario estero presso il Crédit Agricole, agenzie di Draguignan. Sarebbe necessario acquisirne la relativa documentazione essendovi transitati moltissimi bonifici disposti sia dal conto acceso presso il banco di Napoli, sia dal conto presso il Credito Artigiano. Un ulteriore approfondimento meriterebbe il rapporto di debito intercorso con American Express sul conto accesso presso il banco di Napoli. Nei 57 mesi esaminati la somma complessiva è ammontata a 448.637 euro con una media mensile di circa 8.000 euro e con una punta di spesa di circa 23.000 euro in un solo mese!". Fiorenza Sarzanini 09 luglio 2011 09:33
la richiesta d'arresto per milanese, deputato pdl ed ex consigliere di tremonti La barca, le auto, gli orologi "Ci penso io, ricompensami" L'imprenditore Viscione: era esoso, ma mi portava le intercettazioni ROMA - "E quindi, se lei dovesse fare un conto delle somme che ha dato?", domanda il magistrato. "In tutto una milionata, non sono preciso... sulle novecentocinquanta, un milione e cinquanta. Con esclusione della barca e dei regali che tra l'altro, soprattutto nella prima ondata, sono stati numerosi e molto costosi. Tipo un paio di gioielli, un paio di orecchini da sette carati di brillanti, che io sono stato costretto a regalargli, perché erano stati prenotati da lui in un negozio di Capri". Uno "scapocchione fortunato" Il 19 dicembre scorso l'imprenditore Paolo Viscione, arrestato per truffa e altri reati, decide di denunciare pagamenti e regalie al deputato del Pdl ed ex ufficiale della Finanza Marco Milanese, strettissimo collaboratore del ministro dell'Economia Giulio Tremonti. Gioielli, orologi, macchine e soldi per essere protetto dalle indagini delle Procure e delle Fiamme gialle, spiega. E il giudice, che vuole arrestare Milanese anche per il reato di associazione a delinquere commesso proprio insieme a Viscione, ritiene il suo racconto "intrinsecamente credibile, non essendovi motivi per dubitare della scelta collaborativa". Vengono dallo stesso paese, Viscione e Milanese, Cervinara in provincia di Avellino: "Siamo compaesani, ma lui è un ragazzo di cinquant'anni, io ne ho circa settanta, quindi le lascio immaginare in che considerazione veniva preso questo ragazzo, che in effetti sapeva di essere uno "scapocchione" per il padre che io conoscevo, e che a tutti i costi l'ha voluto inserire. Ha avuto un bel successo, perché la fortuna l'ha accompagnato...". Un "ragazzo" che dalla posizione raggiunta, fianco a fianco con il ministro dell'Economia, intorno al 2004 si è ripresentato a Viscione: "Ha cominciato a portarmi notizie e a intimorirmi sulle posizioni mie che sembravano preoccupanti rispetto a indagini da parte della magistratura... Mi venne a dire che ci stava un problema su Napoli... Chiaramente la cosa mi ha impressionato molto, perché già si parlava di associazione a delinquere finalizzata a reati finanziari". Insieme al problema, Milanese offriva la soluzione. Non gratuitamente, però: "Dice "qua ci penso io, ci penso io, ci penso io"... Insomma, c'è stata una richiesta di danaro a cui ho dato soddisfazione... Poi abbiamo cominciato a parlare del leasing di un'automobile, una Aston Martin che gli abbiamo preso usata; si è arrabbiato perché era usata e abbiamo cambiato la macchina". "Vicende gravi e miserabili" Il Sorpasso di P. Battista Negli Usa con la Ferilli e De Sica Intorno al 2009 c'è quella che Viscione chiama "la seconda ondata", quando Milanese gli si ripresenta in un ristorante della capitale: "Mi incontra... "guarda che hai due indagini in corso, una del dottor Piscitelli di Napoli, l'altra ce l'ha la dottoressa non so chi di Roma"". Le promesse sono sempre le stesse: "Non ti preoccupare, ci penso io... E siamo arrivati al febbraio che lui mi dice "sei intercettato, non si può parlare più"". Anche stavolta, in cambio dell'avviso il deputato pretende un corrispettivo. "Fa delle richieste esosissime, io le adempio gradualmente", confessa Viscione che poi fa qualche conto: "Come soldi gli ho dato quattro e cinquanta (450.000 euro, ndr), che avrei dovuto dargliene seicento... Tutti in cash, prelevati dalle banche". A prenderli e portarli andava un uomo di fiducia dell'imprenditore, "cento, cento, cento alla volta". In un'occasione Milanese gli avrebbe portato le trascrizioni delle conversazioni registrate, "mi ha fatto leggere proprio i testi delle intercettazioni", ma già prima - a sentire l'imprenditore - il deputato aveva aumentato le sue pretese. Per esempio un viaggio negli Stati Uniti per le vacanze natalizie del 2009: "Questo è volgarissimo, perché si è fatto disdire dieci volte il viaggio, perché doveva partire con la Ferilli, con De Sica... dovevano stare tutti allo stesso piano e si doveva trovare lo stesso albergo...". Il particolare è riscontrato, secondo il giudice, dalle dichiarazioni di Flavio Cattaneo, fidanzato dell'attrice Sabrina Ferilli, e della fidanzata di Milanese, Manuela Bravi, portavoce del ministro Tremonti. E il viaggio negli Stati Uniti risulta saldato da una delle società di Viscione. Ecco la casa che Milanese pagava a Tremonti Rcd La barca, la Ferrari, gli orologi L'imprenditore pagava e trovava altri che pagavano, riferisce ai magistrati. Come quando Milanese voleva vendere una barca, e lui gli trovò l'acquirente: Fabrizio Testa, poi nominato nel Consiglio di amministrazione dell'Enav e al vertice di una società controllata dall'ente. È Viscione a convincerlo: "Lo faccio portare da me e gli dico... ti compri la barca, la fai comprare da qualcuno e quello ti farà il piacere sicuramente... Cosi è stato... Fabrizio Testa, inquisito nello scandalo famoso delle fatture false Enav... Non lo voleva Matteoli, non lo voleva Alemanno, Tremonti l'ha fatto nominare...". Le indagini hanno accertato che "la barca è stata pagata a un prezzo molto superiore a quello effettivo di mercato" da una società che poi "ha quasi contestualmente versato somme alla Fondazione Casa della Libertà, chiara articolazione di natura politica". Tra le regalie a cui Viscione si sentiva costretto e alle quali ha deciso di ribellarsi, c'è pure una Ferrari Scaglietti, presa e data a Milanese usando la Aston Martin in permuta "più assegni miei, di portafoglio": E ci sono "gli orologi, adesso ma anche prima, ci stanno gli orecchini alla moglie...". Gli investigatori hanno rintracciato il venditore di orologi, che conosce anche Milanese, il quale ha ricordato gli acquisti di Viscione per il Natale 2009: "Comprò tre orologi di prestigio, un "Frank Muller" da donna con brillantini e forma a cuoricino e due "Patek Philippe", mod. 5055 con cinturino in pelle e mod. 5035, entrambi da uomo, dal valore complessivo di mercato di circa 50.000 euro... Gli orologi erano destinati a un nostro cliente, il dottor Marco Milanese, che venne personalmente a sceglierli e a ritirarli". Disse che uno era per Tremonti, ma il ministro ha detto ai magistrati di non averlo mai ricevuto. Le nomine pagate In cambio di denaro e altre utilità, l'accusa ritiene che Milanese abbia "promesso prima e assicurato poi l'attribuzione di nomine ed incarichi in diverse società controllate dal ministero, ricevendo come corrispettivo somme di denaro e altre utilità". È successo con le due persone messe ieri agli arresti domiciliari: Guido Marchese, "ricevendo dallo stesso la somma di 100.000 euro", con Barbieri Carlo, attraverso "lo stesso modus operandi". A queste conclusioni il giudice è arrivato attraverso conferme autorevoli: il direttore centrale delle relazioni esterne di Finmeccanica, Lorenzo Borgogni, e l'amministratore delegato delle Ferrovie Mauro Moretti. Il primo "confermava quanto già reso evidente dagli atti acquisiti, e cioè che il nominativo del Marchese gli era stato fornito da Marco Milanese"; il secondo, "pur dichiarando di non ricordare chi gli avesse sottoposto, per raccomandarlo, il nominativo di Barbieri Carlo, confermava però che la sua nomina era stata certamente a lui proposta dall'esterno della società. Precisava, inoltre, che delle nomine per conto del ministero dell'Economia si era sempre occupato il Milanese". Giovanni Bianconi 08 luglio 2011 15:31
In manette l'imprenditore Tommaso di Lernia. ai domiciliari Massimo De Cesare (Eurotec) Appalti Enav, arrestati due imprenditori Indagato Milanese: è accusato di finanziamento illecito ai partiti NOTIZIE CORRELATE Gip: paga la casa a Tremonti. Il ministro: solo ospite, vado via (8 luglio 2011) Marco Milanese (Imagoeconomica) Marco Milanese (Imagoeconomica) MILANO - Il gip di Roma ha emesso due provvedimenti di custodia cautelare, uno in carcere nei confronti dell'imprenditore Tommaso di Lernia, già finito in manette per corruzione e fatturazione di operazioni inesistenti nell'inchiesta sugli appalti dell'Enav, e uno ai domiciliari per Massimo De Cesare, amministratore delegato di Eurotec. Nell'inchiesta è indagato anche Marco Milanese, il deputato del Pdl, ex consigliere politico del ministro Giulio Tremonti, del quale giovedì la magistratura di Napoli ha richiesto l'arresto. Per lui l'accusa è di finanziamento illecito ai partiti. L'IMBARCAZIONE - I provvedimenti riguardano il filone di indagine relativo alla vendita a Eurotec, società che si occupa della costruzione di opere civili, di una barca da 15 metri acquistata in leasing (per una cifra che si avvicina ai 20 mila euro al mese) da Milanese. In base a quanto ricostruito dalla Procura di Roma la vendita dell'imbarcazione "Mochi Craft" ad un prezzo maggiorato rispetto al suo valore, sarebbe stata la contropartita richiesta da Milanese in cambio della nomina, decisa dal cda di Enav su suo input, dell'ex consigliere di amministrazione dell'Ente nazionale di assistenza al volo, Fabrizio Testa, a presidente di Technosky, società controllata di Enav. Al fine di ottenere la nomina, Testa si sarebbe rivolto a Lorenzo Cola, l'ex consulente del presidente di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini, che avrebbe coinvolto Di Lernia per risolvere il problema della vendita dell'imbarcazione. A questo punto Di Lernia contatta De Cesare che avrebbe proceduto all'acquisto della barca pagandola circa 1,9 milioni di euro contro un valore stimato di 1,4 milioni. A Milanese sarebbero andati 224 mila euro. (fonte Ansa) 08 luglio 2011 19:18
per concorso in associazione mafiosa a carico del titolare delle Politiche agricole Mafia, il gip chiede l'imputazione coatta del ministro Romano Non ha accolto la richiesta di archiviazione, presentata dalla procura Francesco Saverio Romano (Imagoeconomica) Francesco Saverio Romano (Imagoeconomica) PALERMO - Il gip Giuliano Castiglia non ha accolto la richiesta di archiviazione, presentata dalla procura, dell'indagine per concorso in associazione mafiosa a carico del ministro delle Politiche agricole Saverio Romano, e ha avanzato richiesta di imputazione coatta (cioè quando non archivia, ndr). A questo punto i pm entro dieci giorni dovranno formulare la richiesta di rinvio a giudizio. "ADDOLORATO E SCONCERTATO" - "Questo procedimento mi ha visto indagato quasi ininterrottamente per otto anni anche se l'indagine era tecnicamente spirata nel novembre del 2007. Questi semplici ma inconfutabili dati dimostrano il corto circuito tra le istituzioni e dentro le istituzioni". Lo dice il ministro Saverio Romano, commentando la decisione del gip di Palermo. "Il fallimento del sistema giudiziario - prosegue - vive nella interminabile condizione che si riserva al cittadino Saverio Romano in un periodo di tempo che nella sua enorme dimensione rappresenta già una sanzione insopportabile anche se l'epilogo sarà quello da me auspicato". Per Romano "sarebbe di contro parimenti fallimentare un sistema della giustizia che ha lasciato operare per così tanto tempo un uomo politico che potrebbe aver commesso l'infamante reato di concorso con Cosa Nostra. Purtroppo ormai da quasi 20 anni il nostro Paese assiste ad uno spettacolare conflitto che in questi ultimi mesi all'approssimarsi della riforma giudiziaria si è acuito". "Sono addolorato e sconcertato - conclude - con questo provvedimento non viene chiesta solo la formulazione dell'imputazione per il sottoscritto ma vengono messe in discussione le conclusioni alle quali dopo lunghissimi approfondimenti era pervenuta la Procura di Palermo. Difenderò in ogni sede il mio nome, per me, per i miei familiari e per la comunità politica che rappresento". Redazione online 08 luglio 2011(ultima modifica: 09 luglio 2011 11:33)
2011-07-04 MANOVRA, IL TESTO ARRIVA AL QUIRINALE. Giallo sui tagli alle rinnovabili Spunta la norma sul Lodo Mondadori Possibile blocco del risarcimento da 750 milioni dovuto da Fininvest. Confermata la stretta sulle pensioni MILANO - Il testo definitivo della manovra, "Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria", è stato trasmesso al Quirinale. Non senza punti controversi e relative polemiche. Primo tra tutti, il capitolo sulle "norme risarcimenti", che potrebbe interessare direttamente la sentenza sul Lodo Mondadori e provocare la sospensione del pagamento dei 750 milioni di euro dovuti dalla Fininvest alla Cir di Carlo De Benedetti. LODO MONDADORI - Anche se fosse confermato in appello dai giudici di Milano (la sentenza dovrebbe arrivare sabato 9 luglio), il verdetto di primo grado sul Lodo Mondadori potrebbe infatti vedere sospesa la sua esecutività da una norma inserita nella manovra. Più in dettaglio, si tratta di una modifica a due articoli del codice di procedura civile (il 283 e il 373) che obbliga il giudice (che finora ne aveva solo la facoltà) a sospendere l'esecutività della condanna nel caso di risarcimenti superiori ai 20 milioni di euro (10 in primo grado) dietro il pagamento di "idonea cauzione", in attesa che si pronunci in via definitiva la Cassazione. "Una disposizione palesemente immorale e incostituzionale" attacca il leader dell'Idv Antonio Di Pietro. "Scandalosa in una finanziaria che prefigura lacrime e sangue per il Paese" aggiunge la capogruppo democratica nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti. Una norma incostituzionale sostiene anche il presidente dell'associazione nazionale magistrati, Luca Palamara, secondo il quale: "Se dovesse essere confermata si tratterebbe di una norma che nulla ha a che vedere con il tema dell'efficienza del processo civile, che determinerebbe una iniqua disparità di trattamento e che sarebbe, quindi, incostituzionale". IL DECRETO - Il testo finale del decreto, dove viene confermata la stretta sulla pensioni, è composto da 39 articoli e da due allegati. Si apre con gli stipendi dei politici e si chiude sul riordino dei giudici tributari. I provvedimenti saranno spiegati martedì in una conferenza stampa del ministro dell'Economia Giulio Tremonti alla quale partecipano anche i ministri Brunetta, Calderoli, Romani e Sacconi. PENSIONI - Confermato per il biennio 2012-2013 il blocco della rivalutazione delle pensioni "dei trattamenti pensionistici superiore a cinque volte il trattamento minimo di pensione Inps". "Per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici comprese tra tre e cinque volte il predetto trattamento minimo Inps l'indice di rivalutazione automatica delle pensioni è applicato nella misura del 45%". ENERGIE RINNOVABILI - Il taglio del 30% di "tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni" presenti in bolletta torna nel testo del decreto secondo le indiscrezioni battute dalle agenzie. Ma il ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo smentisce: "Non mi risulta" e il ministro dello Sviluppo Paolo Romani precisa in una nota: "Nessun taglio". Allo scopo di ridurre il costo finale dell'energia per i consumatori e le imprese, recitava invece l'articolo 35 dell'ultima bozza circolata, "a decorrere dal primo gennaio 2012 tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni, comunque gravanti sulle componenti tariffarie relative alle forniture di energia elettrica e gas naturale, previste da norme di legge o da regolamenti sono ridotti del 30 per cento rispetto a quelli applicabili alla data del 31 dicembre 2010". L'entità degli incentivi, dei benefici e delle agevolazioni sarà rideterminata dal ministero dello Sviluppo su proposta dell'Autorità per l'energia entro 90 giorni. Sul "giallo" del testo inviato al Quirinale, l'opposizione va all'attacco: "Nonostante le smentite dei ministri Romani e Prestigiacomo, il testo contiene tagli - dice il senatore del Pd Salvatore Tomaselli -. Con questa misura, ancora una volta, il governo cede al populismo della Lega, danneggiando il settore delle rinnovabili con l'ennesimo colpo di mannaia dopo quanto avvenuto nelle settimane passate con il forte ridimensionamento degli incentivi al fotovoltaico". RISPARMIATORI - Il bollo che si applica alle comunicazioni relative al deposito di titoli può salire infatti fino a 380 euro se ha un ammontare complessivo a cinquantamila euro ed è gestito da una banca. L'importo varierà infatti in base al valore del "conto": dai 120 euro annuali per le comunicazioni di intermediari finanziari ai 150 per i conti inferiori ai 50 mila euro relativi a comunicazioni di depositi titoli presso banche, fino ai 380 euro annuali se si supera questa soglia SUPERBOLLO - A partire dal 2011, "per le autovetture e per gli autoveicoli per il trasporto promiscuo di persone e cose è dovuta una addizionale erariale della tassa automobilistica, pari ad euro 10 per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a 225 chilowatt, da versare alle entrate del bilancio dello Stato". BANCHE E FINANZIARIE- Banche, assicurazioni e società finanziarie, dovrebbero vedersi imporre un'addizionale sull'Irap pari a 0,75 punti percentuali (aliquota in crescita dal 3,9 al 4,65%) al posto della tassazione separata al 35% sugli utili da trading bancario. VOLI DI STATO - I voli di Stato saranno limitati soltanto alle cinque massime cariche dello Stato, ossia al Presidente della Repubblica, ai Presidenti di Camera e Senato, al Presidente del Consiglio e al Presidente della Corte Costituzionale. Nell'articolo, si sancisce che le eccezioni a questa regola "devono essere specificatamente autorizzate, soprattutto con riferimento agli impegni internazionali e rese pubbliche sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri, salvi i casi di segreto per ragioni di Stato". LA POLEMICA- Resta l'eco delle polemiche che hanno accompagnato il giallo dell'invio del decreto legge a Giorgio Napolitano. Domenica 3 luglio una nota della Presidenza della Repubblica aveva smentito le notizie diffuse dalla stampa. "Poiché molti organi di informazione continuano a ripetere che la manovra finanziaria approvata dal governo nella seduta di giovedì scorso sarebbe al vaglio della Presidenza della Repubblica già da venerdì - si leggeva nella nota - si precisa che a tutt'oggi (domenica, ndr) la Presidenza del Consiglio non ha ancora trasmesso al Quirinale il testo del decreto legge". E infatti fonti dell'esecutivo hanno poi spiegato che il testo non era stato ancora trasmesso, a ridosso del fine settimana, ma che sarebbe giunto al Colle per la firma già da lunedì. Redazione online 04 luglio 2011 22:20
ROMA Cirio, condannati Cragnotti e Geronzi Nove e quattro anni di carcere per il crac da 1.125 milioni Sergio Cragnotti e Cesare Geronzi (LaPresse) Sergio Cragnotti e Cesare Geronzi (LaPresse) MILANO - Condanna per Sergio Cragnotti e Cesare Geronzi. Nove e quattro anni di carcere, rispettivamente, per il crac da 1.125 milioni di euro del gruppo agroalimentare Cirio. Lo hanno deciso i giudici della prima sezione penale del tribunale di Roma, dopo una lunga camera di consiglio. Le richieste dei pubblici ministeri erano state più severe: quindici anni per l'ex patron della Lazio e sei per l'ex presidente della Banca di Roma. RISARCIMENTO - I giudici hanno riconosciuto colpevoli anche i figli di Cragnotti, Andrea (condannato a 4 anni), Elisabetta e Massimo (a 3) e il genero di Cragnotti, Filippo Fucile (4 anni e 6 mesi). La vicenda - per la quale gli imputati sono 35, più la società Dianthus Spa - riguarda fatti risalenti al 2003, quando il fallimento del gruppo Cirio, allora guidato da Cragnotti, fece andare in default obbligazioni per 1.125 milioni di euro. Il processo era cominciato il 14 marzo 2008. Trentacinque gli imputati, accusati a vario titolo di bancarotta fraudolenta, preferenziale e distrattiva, oltre che di truffa. I colpevoli, insieme con Unicredit - quale responsabile civile - dovranno versare un risarcimento di 200 milioni di euro in via provvisionale all'amministrazione straordinaria del gruppo agroalimentare, oltre che le spese legali sostenute dalle migliaia di parti civili che si sono costituite. ASSOLUZIONI - Nell'ambito del processo, è stato assolto l'ex amministratore delegato della Banca Popolare di Lodi, Gianpiero Fiorani. Così come Flora Pizzichemi, la moglie di Sergio Cragnotti. Per entrambi, i pm avevano chiesto sei anni. REAZIONI - "Resto tranquillo perché continuo a ritenere di avere agito correttamente, nell'ambito delle responsabilità statutarie, esercitando il compito proprio, naturale del banchiere, senza commettere alcun illecito - commenta con l'Ansa Geronzi -. Diversamente, in casi della specie, la funzione di ogni banchiere resterebbe paralizzata". "Per questa ragione e per la fiducia che nutro nella magistratura - aggiunge - confido che in sede di appello l'ulteriore, ponderata riflessione consentirà di fare piena chiarezza e di riconoscere l'assoluta non colpevolezza del mio comportamento"."Non si è mai soddisfatti di fronte ad una sentenza di condanna, che genera sempre sofferenze - reagisce invece l'avvocato Nicola Madia, difensore dell'amministrazione straordinaria di Cirio - . Mi consola soltanto sapere che un popolo di risparmiatori (circa 35 mila, ndr) che hanno visto andare in fumo i loro risparmi possano ricevere indietro parte di quanto perduto". Redazione online 04 luglio 2011 22:29
LA STRAGE DI CASAL MONFERRATO Processo Eternit: "20 anni ai manager" La richiesta del pm per Schmidheiny e de Marchienne Il pm Raffaele Guariniello Il pm Raffaele Guariniello TORINO - "Vent'anni ai top manager dell'Eternit". Il processo sulla strage di operai nello stabilimento di Casal Monferrato è arrivato al momento delle arringhe finali. Il pubblico ministero di Torino Raffaele Guariniello ha chiesto la condanna del proprietario e presidente della multinazionale dell'amianto e del suo principale collaboratore, ovvero Stephan Schmidheiny, miliardario svizzero di 64 anni, e Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de Marchienne, barone belga di 89 anni. Il processo, giunto alla cinquantesima udienza, è per disastro ambientale doloso (per l'inquinamento e la dispersione delle fibre-killer) e omissione volontaria di cautele nei luoghi di lavoro. Nell'Eternit di Casale hanno perso la vita almeno 1600 operai. Pertanto, l'accusa ha chiesto anche tre pene accessorie: l'interdizione perpetua dai pubblici uffici, l'incapacità di trattare con la pubblica amministrazione per tre anni e l'interdizione temporanea dalla direzione di imprese per dieci anni. LA PENA RICHIESTA - La pena richiesta dal pm Guariniello per i due alti dirigenti della Eternit è di 12 anni, ma è stata accresciuta a 20 in quanto il reato è stato continuato. "E continua ancora oggi", ha precisato il magistrato. "La tragedia - ha continuato - si è consumata sotto un'unica regia senza che mai nessun tribunale abbia chiamato i veri responsabili a rispondere. Abbiamo accertato, infatti, che gli imputati non si sono limitati ad accettare il rischio che il disastro si verificasse e continuasse a verificarsi, ma lo hanno accettato e continuano ad accettarlo ancora oggi". Redazione online 04 luglio 2011 14:56
2011-05-01 Mafia - La perizia e il documento da cui è stata presa la parola "De Gennaro" Ciancimino, tesoro in Romania "Vale almeno 300 milioni" Società del settore rifiuti. Ecco le carte che accusano il figlio Mafia - La perizia e il documento da cui è stata presa la parola "De Gennaro" Ciancimino, tesoro in Romania "Vale almeno 300 milioni" Società del settore rifiuti. Ecco le carte che accusano il figlio ROMA - C'è il mistero del documento contraffatto per tirare in ballo il prefetto De Gennaro, che Massimo Ciancimino non ha ancora saputo svelare. C'è il mistero dei candelotti di dinamite nascosti in casa, sul quale non ha dato una versione convincente tanto da finire sotto inchiesta anche per il possesso di esplosivo. E c'è il mistero del tesoro di suo padre - "don Vito", l'ex sindaco mafioso di Palermo - che lo Stato sta ancora cercando di individuare e recuperare. Una vicenda, quest'ultima, che l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata definisce "di particolare complessità". Nella relazione sull'attività svolta nel 2010, redatta dal prefetto Mario Morcone prima di mettersi in aspettativa da direttore dell'Agenzia per candidarsi a sindaco di Napoli, un paragrafo è dedicato proprio al "sequestro in danno di Massimo Ciancimino", condannato in appello a tre anni e quattro mesi di carcere per riciclaggio. Finora è stata individuata una piccola parte del tesoro se, come è scritto nella relazione, "la vicenda giudiziaria, che si sviluppa secondo le indicazioni del presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, riguarda valori che oscillano tra i 300 e i 500 milioni di euro", distribuiti in "investimenti finanziari e beni intestati e persone fisiche e di compendi aziendali". Una cifra rilevantissima nascosta, secondo l'Agenzia, dentro i confini nazionali ma soprattutto all'estero, in Romania. "Una parte di quote societarie e di beni - si legge nel rapporto - è stata individuata in Italia, mentre l'asset di maggior valore economico, attraverso la Sirco Spa, società holding oggi svuotata, e l'Agenda 21 s.a., società di diritto romeno, risulterebbe controllare un enorme volume di affari che investe il ciclo dei rifiuti: dalle discariche presenti in Romania (ivi compresa una considerata tra le più grandi d'Europa, 150 ettari di estensione per 40 metri di profondità), alle società di selezione e trasformazione, a quello di smaltimento di fanghi tossici". Il lavoro di chi deve individuare e tentare di intestare allo Stato quei beni non è finito: "L'amministratore finanziario nominato dal tribunale di Palermo e un ufficiale in servizio presso l'Agenzia nazionale stanno operando, anche direttamente in quel Paese, per il recupero del patrimonio, investendo la nostra ambasciata e il magistrato italiano di collegamento presente a Bucarest". Allo stesso modo non sono terminate - ma anzi sono solo all'inizio, per individuare l'eventuale suggeritore o "puparo" che ne gestisce le mosse - le indagini sugli ultimi guai giudiziari che hanno investito Ciancimino jr. La perizia della polizia scientifica che ha provocato l'arresto ordinato dalla Procura di Palermo è stata trasmessa ai magistrati di Caltanissetta che pure procedono contro il figlio di "don Vito" per il reato di calunnia, sempre ai danni del prefetto De Gennaro, in relazione ad altre sue affermazioni. Quella relazione dimostra come il nome "De Gennaro" sia stato estratto da un altro foglio manoscritto da Vito Ciancimino e applicato su quello in cui erano indicati i nomi dei funzionari dello Stato componenti il presunto "quarto livello" collegato - secondo ciò che Massimo ha attribuito al padre, morto nel 2002 - all'associazione mafiosa. A proposito di scambio di documenti tra gli uffici inquirenti che lavorano su fatti evidentemente collegati (non solo l'ipotizzata calunnia a De Gennaro, ma anche il movente delle stragi e la presunta trattativa tra Stato e mafia) nella riunione romana dell'altro giorno il procuratore nazionale antimafia Grasso ha emesso una direttiva per la trasmissione di atti processuali da una Procura all'altra. Un modo per evitare le incomprensioni e le tensioni che hanno provocato l'avvio di accertamenti da parte del Consiglio superiore della magistratura e del procuratore generale della Cassazione. Giovanni Bianconi 30 aprile 2011
LA STRAGE A MILANO: CONDANNATI MINISTERO E INPS Sopravvisse a Piazza Fontana: risarcito Dopo 42 anni accolto il ricorso di un cassiere della Banca Nazionale dell'Agricoltura: riceverà 500mila euro LA STRAGE A MILANO: CONDANNATI MINISTERO E INPS Sopravvisse a Piazza Fontana: risarcito Dopo 42 anni accolto il ricorso di un cassiere della Banca Nazionale dell'Agricoltura: riceverà 500mila euro L'atrio della Banca nazionale dell'Agricoltura devastata dalla strage L'atrio della Banca nazionale dell'Agricoltura devastata dalla strage MILANO - Ben 42 anni dopo la strage di piazza Fontana, un sopravvissuto all'esplosione dovrà essere risarcito. Il giudice del lavoro del tribunale di Imperia, Enrica Drago, ha infatti accolto il ricorso di Roberto Antonucci Prina, 71 anni, all'epoca dell'attentato cassiere della Banca Nazionale dell'Agricoltura di Milano. L'uomo, che soffre di disturbi post trauma e di stress cronico, come accertato dalle perizie presentate al tribunale, dovrà ricevere oltre 500 mila euro. RISARCIMENTO - Il giudice del lavoro di Imperia, dopo l'anziano superstite alla strage vive, ha infatti condannato il ministero dell'Interno a pagare al ricorrente 162 mila euro, oltre a un vitalizio mensile. Condannata anche l'Inps, che dovrà versare all'ex cassiere oltre 355 mila euro. A Prina, difeso dagli avvocati Emilio Varaldo e Vincenzo Marino, sati riconosciuti i benefici sanciti dalla legge per le vittime delle stragi. Quindi, potrà anche farsi curare a spese dello Stato. 30 aprile 2011
2011-04-26 l'avvocatura dello Stato nel ricorso per mancato riconoscimento legittimo impedimento Processo Mediaset: "Poteri del premier lesi dai giudici di Milano" Il governo ha sollevato conflitto di attribuzione alla Corte Costituzionale * NOTIZIE CORRELATE * Processo Mediaset, il governo solleverà il conflitto di poteri (20 aprile 2011) l'avvocatura dello Stato nel ricorso per mancato riconoscimento legittimo impedimento Processo Mediaset: "Poteri del premier lesi dai giudici di Milano" Il governo ha sollevato conflitto di attribuzione alla Corte Costituzionale Manifestazione pro-Berlusconi lo scorso 11 aprile davanti al tribunale di Milano (Image) Manifestazione pro-Berlusconi lo scorso 11 aprile davanti al tribunale di Milano (Image) MILANO - Il tribunale di Milano del processo Mediaset, in cui il premier Berlusconi è imputato di frode fiscale, il 1° marzo 2010 si è "arrogato un inammissibile potere di sindacato delle ragioni politiche sottese al rinvio di una riunione del Consiglio dei ministri". Rifiutando di considerare quel Consiglio dei ministri come legittimo impedimento del premier a presentarsi in udienza, i giudici di Milano hanno quindi leso le "esclusive attribuzioni costituzionali" del presidente del Consiglio e del governo. È quanto scrive l'avvocatura dello Stato nel ricorso di 20 pagine - di cui l'Ansa è in possesso - con cui il governo ha sollevato conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale. LESI POTERI PREMIER - Il ricorso - a firma degli avvocati dello Stato Michele Dipace e Maurizio Borgo - chiede alla Consulta di annullare la decisione con cui i giudici della prima sezione del Tribunale di Milano, presieduti da Edoardo D'Avossa, hanno rigettato la richiesta di rinvio dell'udienza per legittimo impedimento del premier. Il Consiglio dei ministri era stato fatto slittare dal 24 febbraio al 1° marzo 2010 in una data successiva a quella in cui era già stata stabilita l'udienza Mediaset (atre tre udienze erano precedentemente saltate). I giudici di Milano rifiutarono di considerare quella riunione a Palazzo Chigi come legittimo impedimento in quanto - scrissero nell'ordinanza - nulla era stato dedotto sulla "inderogabile necessità della sovrapposizione dei due impegni". Il Tribunale di Milano - scrive l'avvocatura dello Stato - "ha sostanzialmente disconosciuto la rilevanza, quale legittimo impedimento, dell'attribuzione del presidente del Consiglio dei ministri di presiedere la riunione del Consiglio dei ministri (funzione di rango costituzionale), non valutando, in concreto, tale funzione (ora riconosciuta anche dalla Corte quale evento puntuale di legittimo impedimento) in rapporto all'interesse del processo ma arrivando a richiedere addirittura la prova della necessità di fissare la data del Consiglio dei ministri in coincidenza con il giorno di udienza, ledendo, in tal modo, le esclusive attribuzioni costituzionali" del premier. RICORSO - Per quanto riguarda il caso in questione, il Consiglio dei ministri - si fa notare nel ricorso - era stato fatto slittare dal 24 febbraio al 1° di marzo per la "necessità di procedere a una compiuta stesura" del ddl anti-corruzione "che ha comportato una complessa elaborazione". Di fronte alle "esigenze sopraggiunte che imponevano lo spostamento" del Cdm, lo "spirito di leale collaborazione tra le istituzioni" richiamato dalla stessa Corte Costituzionale "è stato del tutto disatteso" da parte dei giudici di Milano che "hanno privilegiato esclusivamente l'esercizio del potere giudiziario, senza tenere in debito conto la posizione processuale dell'organo costituzionale, quale è il presidente del Consiglio dei ministri, e il diritto-dovere di svolgere le proprie funzioni costituzionali". Di più: secondo l'avvocatura dello Stato, "senza la convocazione, partecipazione e direzione del Consiglio dei ministri, lo stesso Consiglio non può svolgersi e, pertanto, non può essere esercitata" da parte del premier l'attività di "direzione della politica generale del governo", oltre che quella di "unità di indirizzo politico e amministrativo". (fonte: Ansa) 26 aprile 2011
i giudici non ritennero legittimo impedimento l'assenza di Berlusconi impegnato in cdm Processo Mediaset, il governo solleverà il conflitto di poteri Annunciato il ricorso alla Consulta contro la decisione dei giudici di Milano del primo marzo del 2010 i giudici non ritennero legittimo impedimento l'assenza di Berlusconi impegnato in cdm Processo Mediaset, il governo solleverà il conflitto di poteri Annunciato il ricorso alla Consulta contro la decisione dei giudici di Milano del primo marzo del 2010 Il premier Berlusconi parla all'uscita del palazzo di Giustizia di Milano l'11 aprile 2011 (Ansa) Il premier Berlusconi parla all'uscita del palazzo di Giustizia di Milano l'11 aprile 2011 (Ansa) MILANO - Il primo marzo del 2010 i giudici milanesi del processo Mediaset, in cui Silvio Berlusconi è imputato per frode fiscale, non ritennero legittimo impedimento l'assenza del premier in udienza, nonostante quel giorno il Cavaliere fosse impegnato a presiedere a Roma il Consiglio dei ministri. Ora, a più di un anno di distanza, la presidenza del Consiglio ha intenzione di sollevare conflitto di attribuzioni dinanzi alla Corte costituzionale per chiedere l'annullamento di quella decisione dei giudici. Il governo ha dato mandato all'Avvocatura generale dello Stato di presentare il conflitto, il cui testo è in via di definizione e che sarà prossimamente depositato alla Consulta. ESIGENZE - Il Consiglio dei ministri del primo marzo 2010 era stato fissato inusualmente di lunedì, in una data successiva a quella in cui era già stata stabilita l'udienza Mediaset (altre tre udienze erano precedentemente saltate). I giudici della prima sezione del Tribunale di Milano, presieduti da Edoardo D'Avossa, rifiutarono di considerare quel Cdm come legittimo impedimento del premier in quanto - scrissero nell'ordinanza - "nulla è stato dedotto" riguardo la necessità e l'inderogabilità della riunione a Palazzo Chigi. Quel giorno il Consiglio dei ministri varò il ddl sull'anticorruzione (messo però a punto nella sua stesura definitiva diverse settimane dopo e poi arenatosi al Senato). La decisione dei giudici di Milano fu considerata dal premier un atto di aperta ostilità, venne stigmatizzata dal ministro della Giustizia Angelino Alfano durante il Cdm e fece dire agli avvocati-parlamentari del premier, Niccolò Ghedini e Piero Longo, che ricorrevano gli estremi per sollevare un conflitto davanti alla Corte costituzionale. Ma il ricorso non venne presentato perché nel giro di un mese, in aprile, entrò in vigore la legge-ponte che integrava i casi di legittimo impedimento di premier e ministri, e grazie alla quale il premier poteva rimanere lontano dalle aule di giustizia per i successivi 18 mesi. L'esigenza di proporre il conflitto sarebbe tornata di attualità dopo che, lo scorso gennaio, la Consulta ha bocciato in molti punti la legge sul legittimo impedimento. L'Avvocatura generale dello Stato starebbe preparando il testo del conflitto per lamentare la lesione del principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato. Il governo chiederà pertanto l'annullamento dell'ordinanza con cui i giudici del processo Mediaset non concessero il legittimo impedimento a Berlusconi. In quella circostanza, Ghedini non solo si disse certo dell'accoglimento di un eventuale conflitto, ma fece notare che "anche la Cassazione non potrà che annullare questo processo e il suo prosieguo". Redazione online 20 aprile 2011(ultima modifica: 21 aprile 2011)
2011-04-18 Vietti: "Riflettiamo tutti". E Fini: "Basta scimitarra permamente sulla giustizia" "Giustizia, pericolose esasperazioni" Napolitano: "Serve senso della misura e responsabilità". I manifesti di Milano sono una "ignobile provocazione" * NOTIZIE CORRELATE * Fini: "Magistratura, pilastro per la salvaguardia istituzionale" (18 aprile 2011) * "I manifesti? Responsabilità mia" Bufera sul candidato al Comune (17 aprile 2011) * Indagine sui manifesti anti-giudici (17 aprile 2011) * "Via le Br dalle procure": è bufera sui manifesti a favore del premier (15 aprile 2011) Vietti: "Riflettiamo tutti". E Fini: "Basta scimitarra permamente sulla giustizia" "Giustizia, pericolose esasperazioni" Napolitano: "Serve senso della misura e responsabilità". I manifesti di Milano sono una "ignobile provocazione" Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (Ansa)" Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (Ansa)" MILANO - "Nelle contrapposizioni politiche ed elettorali, e in particolare nelle polemiche sull'amministrazione della giustizia, si sta toccando il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazioni. Di qui il mio costante richiamo al senso della misura e della responsabilità da parte di tutti". È quanto afferma il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in una lettera inviata al vice-presidente del Csm Michele Vietti". "PROVOCAZIONE IGNOBILE" - Napolitano definisce inoltre "provocazione ignobile" i manifesti affissi nei giorni scorsi a Milano che accostano le toghe meneghine alle Brigate Rosse. Si tratta, secondo il capo dello Stato, di una "intollerabile offesa alla memoria di tutte le vittime delle Br, magistrati e non". Nella sua lettera quale il Presidente annuncia che il Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo che si celebrerà il 9 maggio al Quirinale sarà quest'anno dedicato "ai servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la loro lealtà alle istituzioni repubblicane". "RIFLETTIAMO TUTTI" - "Il capo dello Stato fa una considerazione finale su cui tutti dobbiamo riflettere, il Csm, gli operatori della giustizia e gli operatori della politica - ha poi commentato lo stesso Vietti in serata, intervenendo a Otto e mezzo, su La7 -: là dove ci dice che il conflitto politico ed elettorale, facendo riferimento alla scadenza delle prossime amministrative, ha ormai raggiunto un limite oltre il quale siamo di fronte a un pericoloso rischio di esasperazioni e degenerazioni". L'INTERVENTO DI FINI - Sulle parole di Napolitano è intervenuto anche il presidente della Camera Gianfranco Fini (che già aveva parlato di giustizia a margine di un incontro con il segretario dell'Anm Luca Palamara) secondo cui il capo dello Stato "ha interpretato ancora una volta il sentimento di tutti gli italiani". Per Fini "è evidente che la giustizia va riformata, mi auguro che il dibattito rientri nell'alveo della normalità: c'è un testo, si discuta". Il leader di Futuro e Libertà ha però chiesto che "si eviti di imbracciare la scimitarra permanente" perchè‚ "così si toglie qualsiasi tipo di credibilità alla democrazia italiana". Secondo Fini, "in nessun Paese una carica istituzionale può impunemente dire le cose che ha detto ieri il presidente del Consiglio, non si può dire eversivo, parlare di cellule delle Br, non si può andare oltre, pena l'imbarbarimento". Ironizzando sul patto con la magistratura denunciato da Berlusconi, Fini ha spiegato che "il patto segreto è presunto, l'evidente vaneggiamento è sotto gli occhi di tutti". Redazione Online 18 aprile 2011
Scherza Palamara: "Abbiamo siglato il patto scellerato..." Fini: "Magistratura, pilastro per la salvaguardia istituzionale" L'incontro con l'Anm dopo le dichiarazioni di Berlusconi. Il Pdl: "Il leader di Fli parla come Di Pietro" * NOTIZIE CORRELATE * Napolitano: "Sulla giustizia pericolose esasperazioni". "Ignobili provocazioni i manifesti di Milano" (18aprile 2011) Scherza Palamara: "Abbiamo siglato il patto scellerato..." Fini: "Magistratura, pilastro per la salvaguardia istituzionale" L'incontro con l'Anm dopo le dichiarazioni di Berlusconi. Il Pdl: "Il leader di Fli parla come Di Pietro" Il presidente dell'Anm, Luca Palamara (Ansa) Il presidente dell'Anm, Luca Palamara (Ansa) MILANO - "Abbiamo siglato il patto". Il presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara, scherza con i giornalisti al termine dell'incontro con Gianfranco Fini, alludendo alle dichiarazioni di Silvio Berlusconi, che domenica aveva detto che era venuto a conoscenza di "un patto scellerato" tra l'Anm e il presidente della Camera. "MAGISTRATURA PILASTRO" - "Nell'architettura costituzionale voluta dai padri costituenti, la magistratura, non solo quella ordinaria, rappresenta il vero pilastro a salvaguardia del principio di legalità e a difesa di tutti i cittadini", ha detto Fini incontrando a Montecitorio i vertici dell'Anm. "Con riferimento alle polemiche politico-istituzionali di queste ultime settimane, esprimo vivo apprezzamento per la posizione istituzionale assunta dall'Anm. Il rispetto reciproco tra le istituzioni è la premessa indispensabile per la salvaguardia dello stato di diritto e per la leale collaborazione tra poteri dello Stato". Palamara scherza sul "patto scellerato" ALLARME PER FIBRILLAZIONE ISTITUZIONI - "Quanto sta accadendo non è un problema di rapporto tra Berlusconi e i magistrati, ma di fibrillazione delle istituzioni", ha aggiunto Palamara esprimendo forte preoccupazione. "È un problema del Paese, dei cittadini, delle istituzioni a partire dal ministro della Giustizia. Ci sono situazioni che rischiano di aumentare le nostre preoccupazioni: le elezioni amministrative, le vicende giudiziarie in corso che riguardano il premier. Le riforme in corso, per questi motivi, rischiano di essere disomogenee e rischiano di affossare il sistema giustizia. È un momento di assoluta gravità che genera forte stato di preoccupazione dentro la magistratura, che non vuole essere trascinata su un terreno di scontro: non siamo un soggetto politico". L'incontro con Fini si inquadra negli incontri istituzionali che l'Anm ha aperto con la visita al capo dello Stato e proseguito con il presidente del Senato Schifani proprio per sottolineare "la gravità del momento" e la "forte preoccupazione della magistratura anche per le riforme", ha chiarito il segretario dell'Anm, Giuseppe Cascini, che ha aggiunto che gli incontri proseguiranno con i rappresentanti dei gruppi parlamentari. LA CRITICA DEL PDL - Immediata la reazione del Pdl alla visita di Fini all'Anm: "Gianfranco Fini può raccontare quello che vuole. Ma un fatto politico è evidente: da mesi, ha scelto di infilarsi politicamente nel fronte giustizialista che va dai diepietristi alla sinistra. E per capirlo non occorrono carte segrete: è sufficiente sentire parlare Fini, parla come Di Pietro" ha detto il portavoce del Pdl, Daniele Capezzone. Redazione online 18 aprile 2011
I magistrati vittime del terrorismo EMILIO ALESSANDRINI sostituto procuratore della Repubblica a Milano, ucciso a Milano da Prima Linea il 29 gennaio 1979. Aveva 36 anni MARIO AMATO sostituto procuratore della Repubblica a Roma, ucciso a Roma il 23 giugno 1980 dai Nar. Aveva 42 anni FEDELE CALVOSA procuratore della Repubblica di Frosinone, ucciso a Patrica (Fr) dalle Formazioni comuniste combattenti l’8 novembre 1978. Aveva 59 anni FRANCESCO COCO procuratore generale presso la Corte d’Appello di Genova, ucciso a Genova dalle Brigate Rosse l’8 giugno 1976. Aveva 67 anni GUIDO GALLI giudice istruttore a Milano, ucciso a Milano da Prima linea il 19 marzo 1980. Aveva 47 anni NICOLA GIACUMBI procuratore della repubblica di Salerno, ucciso a salerno il 16 marzo 1980. Aveva 51 anni GIROLAMO MINERVINI direttore generale degli istituti di prevenzione e pensa, ucciso a Roma dalle Brigate rosse il 18 marzo 1980. Aveva 61 anni VITTORIO OCCORSIO sostituto procuratore della Repubblica a Roma, ucciso a Roma da Ordine nuovo il 10 luglio 1976. Aveva 47 anni RICCARDO PALMA capo dell’ufficio VIII della Direzione generale degli istituti di prevenzione e pena, ucciso a Roma dalle Brigate rosse il 14 febbraio 1978 . Aveva 62 anni GIROLAMO TARTAGLIONE direttore generale degli affari penali presso il ministero della Giustizia, ucciso a Roma dalle Brigate rosse il 10 ottobre 1978. Aveva 67 anni
2011-04-17 intervento al teatro Nuovo per Letizia Moratti. L'Anm: "Grave calunnia, faccia i nomi "Le amministrative test per il governo" E sul patto Fini-giudici è scontro Nuovo attacco ai magistrati, poi un lapsus: "C'erano sempre i miei giudici pagati da me". Fli: "Cabaret" * NOTIZIE CORRELATE * Berlusconi: " I processi? Bazzecole, vado tutelato" (16 aprile 2011) intervento al teatro Nuovo per Letizia Moratti. L'Anm: "Grave calunnia, faccia i nomi "Le amministrative test per il governo" E sul patto Fini-giudici è scontro Nuovo attacco ai magistrati, poi un lapsus: "C'erano sempre i miei giudici pagati da me". Fli: "Cabaret" Silvio Berlusconi al teatro Nuovo Silvio Berlusconi al teatro Nuovo MILANO - "Sono elezioni cittadine ma sono forse di più elezioni nazionali" ha detto il presidente del consiglio Silvio Berlusconi parlando alla convention per Letizia Moratti. Aprendo il suo intervento al Teatro Nuovo ha detto: "Il berlusconismo non è al tramonto, a Milano supereremo i 53 mila voti delle ultime elezioni". "Noi abbiamo introdotto una nuova moralità in politica che è quella di mantenere gli impegni assunti con gli elettori. Una nuova moralità della politica che non significa solo non rubare". Il presidente del Consiglio ha ricordato la sua vita in città e anche gli anni durante la guerra in cui era emigrato in Svizzera. Proprio lì ha detto che mamma Rosa gli faceva cantare quasi come un inno nazionale "Nustalgia de Milan". "La conoscete?" - ha detto - intonandone le prime parole e facendole cantare a tutti. Berlusconi rilancia le riforme della giustizia, dell'architettura istituzionale e tributaria. Il premier ha ribadito che queste riforme sono possibili anche grazie all'uscita di Fini dalla maggioranza, accusando il leader di Fli di essere in combutta con le procure che tramano contro di lui. FINI E I GIUDICI - Durante l'intervento dal palco si è rivolto ai giudici: "Avviso ai naviganti della Procura: la riforma della giustizia la faremo anche se faranno fuori Berlusconi, perché avremo sempre la maggioranza nel Paese". "Ma anche questa volta - ha subito aggiunto - ci scommetto non ce la faranno a farmi fuori". Poi ha confermato anche oggi che la riforma della giustizia "non solo è indispensabile ma urgente". Lo aveva già detto in passato e lo ha ripetuto: fra Gianfranco Fini e la magistratura c'è stato un patto, anzi e quello che ha chiamato patto "sceleris". "Voi mi proteggete, perseguite Berlusconi - ha spiegato il premier - è finche sarò presidente della Camera non passerà nessuna riforma che non mi piace". Secondo il premier il patto prevede che una volta fatto fuori Berlusconi l'idea di Fini era quella di fare le riforme che convinceranno "la magistratura o non far nessun riforma". REAZIONI INDIGNATE: ANM, DI PIETRO, FINI - Pronta la reazione dei magistrati, di Antonio Di Pietro e di Gianfranco Fini. "Quando Berlusconi dice che l'Anm avrebbe firmato un accordo con Fini dice una bugia, una grave calunnia. Inviterei presidente del Consiglio a fare nomi e a farci vedere il documento di cui parla", è il commento del segretario dell'Anm Giuseppe Cascini, che nel corso della trasmissione "In mezz'ora" ha parlato di un "metodo di avvelenare le acque". Ha definito inoltre uno "scempio istituzionale" il fatto che si facciano leggi "per determinare effetti su singoli processi". "Un fatto gravissimo, andrò a denunciarlo", ha detto Antonio Di Pietro, anche lui ospite in trasmissione. "Su Fini, Berlusconi ha detto cose gravissime. Io non credo che sia avvenuto un fatto del genere ma la magistratura deve indagare perché o è una calunnia o è un fatto vero. Bisogna accertare la verità", ha detto il leader Idv. Durissimo anche il presidente della Camera Gianfranco Fini: "L'escalation di quotidiane menzogne di Berlusconi non è più tollerabile. Anche oggi, e per l'ennesima volta, il presidente del Consiglio ha detto di avere le prove di un patto scellerato che avrei sottoscritto con la magistratura per impedire le riforme della giustizia. Lo sfido a dimostrare quel che dice: dica il nome del magistrato che glielo avrebbe detto, e fornisca le prove a sostegno delle sue parole: se non risponderà, cosa di cui sono certo, gli italiani avranno la prova che non sa cosa significhi la parola vergogna". IMMUNITA' PARLAMENTARE - "Le accuse su cui si basano i miei processi e sostenute dalla cellula rossa dei pm sono assolutamente infondate", ha aggiunto ancora il premier. "L'ho giurato sulla testa dei miei cinque figli e dei miei amatissimi nipoti". Berlusconi è tornato a difendere le leggi che permettono al presidente del Consiglio di difendersi dal punto di vista legale una volta che ha finito di "occuparsi a tempo pieno degli interessi del Paese". Ha criticato il fatto che queste leggi siano state bocciate da "questa Corte costituzionale". "Il presidente - ha detto fra gli applausi - è stato dato in pasto ai pm della sinistra, soprattutto a quelli della Procura di Milano". "Una decina di volte su 26 - ha aggiunto - sono stato assolto con formula pienissima, le altre archiviato perché per fortuna la maggioranza dei giudici compie con onestà il proprio dovere". E conclude: "L'abrogazione dell'immunità parlamentare è stato un errore gravissimo". "Forse - ha aggiunto - è stato l'errore più grave delle precedenti maggioranze". LAPSUS - Poi il lapsus mentre parlava di giustizia e ricordava che per 30 anni da imprenditore non è stato accusato di nulla: "E poi - ha aggiunto - sono diventato peggio di Al Capone". Ha parlato delle oltre 2.100 udienze che lo hanno riguardato "a cui qualche volta - ha spiegato - ho partecipato. E dove c'erano sempre i miei giudici pagati ovviamente da me". Percepito il lieve imbarazzo del pubblico si è corretto dicendo "i miei avvocati. Adesso diranno - ha aggiunto - che c'è stato un lapsus freudiano di Berlusconi". GIORNALI E TV - Poi parte all'attacco di giornali e trasmissioni radio e tv che - dice - lo "azzannano" in continuazione. Il premier, dal palco del teatro Nuovo di Milano, se la prende con il "teatrino della politica" che favorisce questa situazione. E porta un esempio citando il caso di Angelo Rizzoli per parlare di "ciò che sono capaci di fare alcuni pm della procura di Milano". "Non possiamo più sopportarlo - ha aggiunto - e non lo sopporteremo. Cambieremo la situazione è approveremo la riforma costituzionale per la giustizia in Italia" LA SINISTRA- "La sinistra ha tentato, tenta e tenterà una nuova eversione cercando di dare una spallata al governo eletto dagli italiani come hanno tentato di fare con la diaspore di Fini cercando di farci perdere la maggioranza contro il voto degli italiani. Ci hanno provato il 14 dicembre, gli è andata male, ma per fortuna alcuni deputati che venivano dalla società civili dopo aver conosciuto i sistemi comunisti hanno deciso di dare alla terza gamba della maggioranza dandoci una nuova maggioranza più esile nei numeri ma più coesa". Poi ha attaccato un nemico storico: "Ho evitato che il signor De Benedetti, tessera numero uno del Pd, mettesse le mani sulla Mondadori". Dopo ha usato l'ironia per ripetere che serve la riforma costituzionale perché adesso il potere è diviso fra Camere, Consulta e Presidente della Repubblica. "Quando dicono che sono l'uomo più potente d'Italia - ha spiegato il presidente del Consiglio - dicono una bugia, a meno che non si riferiscono ad altre potenze... tutto ciò che vi passa per la mente corrisponde al vero". FAMIGLIA - Berlusconi, che è capolista del Pdl alle Comunali, è arrivato al teatro Nuovo tra gli applausi della platea mentre risuonava la canzone "Meno male che Silvio c'e". "Amo tantissimo la famiglia, nonostante quel che dice Bersani, talmente tanto che ne ho due", aggiungendo che le sue due famiglie gli hanno "dato grandi soddisfazioni: ho cinque figli uno più bravo dell'altro e anche cinque nipoti. Ne mancano sei e poi è la squadra del Milan". Oppure, altra battuta e barzelletta, sui cugini dell'Inter: "A me piace molto Mourinho. Mi piace molto - ha aggiunto - quando dice "tituli ziru"". Berlusconi ha parlato a lungo nel suo intervento del Milan e dell'Inter. TELEFONINO - Il presidente è un fiume in piena e tra ricordi e attacchi non sono mancate altre battute: "A Milano non ci sono più i negozi di una volta, non c'è più quello dove si compravano le meringhe per la mamma, ora c'è un negozio della Tim ma io non ci vado perché al presidente del Consiglio è vietato avere il telefonino perché sono controllato da tutte le procure d'Italia. Sono tornato a scrivere le lettere d'amore". Aggiungendo: "Le intercettazioni sono immonde, non sono daStato libero. I cittadini sono controllati, per questo va fatta la riforma". APPLAUSI E CONTESTAZIONI - "Eversivo, eversivo", "Silvio, Silvio": mentre Silvio Berlusconi lasciava il teatro sono partiti i cori di opposte fazioni, dei suoi fan e di contestatori. "Basta impunità, basta leggi su misura", era uno dei cartelli che hanno sventolato diverse persone che chiedevano a Berlusconi di farsi processare elencando i nomi di giudici uccisi come Alessandrini e Bachelet. Dall'altro lato, invece hanno inneggiato al premier i suoi fan che agli altri hanno gridato di "andare a lavorare". Silvio Berlusconi è subito salito in macchina e se ne è andato. VALDITARA (FLI) - "Splendido intervento da cabaret, credo che il pubblico si sia molto divertito, peccato non abbiano fatto pagare il biglietto. Così avrebbero potuto contribuire alle spese elettorali milionarie del candidato Moratti. Non è con il cabaret che si risolvono i problemi di Milano e del Paese", afferma Giuseppe Valditara, senatore di Fli e coordinatore regionale della Lombardia. Redazione online 17 aprile 2011
Il coordinatore milanese del partito: "SOLO Una provocazione" "I manifesti? Responsabilità mia" Autosospeso dalla lista della Moratti Roberto Lassini, ex sindaco di Turbigo, rivela di essere l'autore della scritta "Fuori le Br dalle procure" * NOTIZIE CORRELATE * Indagine sui manifesti anti-giudici (17 aprile 2011) * "Via le Br dalle procure": è bufera sui manifesti a favore del premier (15 aprile 2011) * Manifesti pro Berlusconi, giallo su autori (24 febbraio 2011) Il coordinatore milanese del partito: "SOLO Una provocazione" "I manifesti? Responsabilità mia" Autosospeso dalla lista della Moratti Roberto Lassini, ex sindaco di Turbigo, rivela di essere l'autore della scritta "Fuori le Br dalle procure" I manifesti contestati (Newpress) I manifesti contestati (Newpress) MILANO - "Quei manifesti sulla giustizia non volevano essere offensivi verso i magistrati, né mancare di rispetto alle istituzioni. Sono stati una provocazione". Intervistato dal Giornale sulla vicenda dei manifesti con la scritta "Fuori le Br dalle procure" apparsi a Milano, Roberto Lassini spiega: "Non è mia la paternità ma sono il presidente onorario" dell' associazione "Dalla parte della democrazia" che li ha fatti realizzare e "allora eccomi - dice - ci metto la faccia". Lassini spiega che l'associazione è "regolarmente registrata": "L'abbiamo creata - aggiunge - apposta per dar manforte a Silvio Berlusconi" mentre, sul contenuto dei manifesti, osserva: "Credo che i militanti abbiano fatto una sintesi dell'espressione" del premier che ha parlato di brigatismo giudiziario. MORATTI E LA SOSPENSIONE - Lassini è anche nella lista del Pdl per il consiglio comunale di Milano. Che succederà ora? Ieri il coordinatore lombardo del Pdl, Mario Mantovani, aveva confermato che Roberto Lassini resterà nella lista, lasciando agli elettori il giudizio. Ma dopo la "confessione" è arrivata anche la "sconfessione", ovvero la comunicazione ufficiale da parte della stessa candidata sindaco, Letizia Moratti, della sua autosospensione. "Ho già stigmatizzato quanto accaduto - ha la Moratti - le istituzioni vanno tutte rispettate, so che si è autosospeso". LA STORIA - Lassini racconta poi la sua storia. Accusato di tentata concussione, "sono stato in carcere da innocente e ho perso tutto. In cella 42 giorni a San Vittore e poi 5 anni e mezzo per la sentenza di proscioglimento: risarcito con 5 mila euro" non sufficienti nemmeno per "le spese legali". Racconta anche che "la procura nemmeno fece appello. Nel frattempo però mi dimisi da sindaco" di Turbigo, in provincia di Milano; e poi si chiede: "Quanti sono i casi come il mio? Noi siamo stati dimissionati da Tangentopoli!". Lassini spiega quindi il senso del suo invito alla mobilitazione: "È il sistema giustizia che non funziona. La nostra associazione è nata per sostenere il premier nella battaglia per la riforma". Manifesti pro Berlusconi Manifesti pro Berlusconi Manifesti pro Berlusconi Manifesti pro Berlusconi Manifesti pro Berlusconi Manifesti pro Berlusconi Manifesti pro Berlusconi Manifesti pro Berlusconi Roberto Lassini (Ansa) Roberto Lassini (Ansa) MANTOVANI - "Sceglieranno i milanesi - ha detto Mantovani - arrivato alla convention del Pdl al Teatro Nuovo di Milano dove è atteso l'arrivo di Silvio Berlusconi - se sia opportuno o meno votare e far eleggere Roberto Lassini. La sua mi sembra una provocazione forse eccessiva, ma leggendo le sue parole sul Giornale di questa mattina ho apprezzato il suo rispetto per la buona magistratura". "Noi condanniamo la lotta armata - ha aggiunto Mantovani - ma la lotta a colpi di avvisi di garanzia e di manette che certa magistratura utilizza non è certo da esaltare". Il coordinatore lombardo del Pdl, Mario Mantovani, ha confermato che Roberto Lassini resterà nella lista del partito per le prossime elezioni comunali di Milano, lasciando agli elettori il giudizio. Redazione online 17 aprile 2011
i cartelloni sono firmati dall'"Associazione dalla parte della democrazia" Manifesti anti giudici, aperta indagine La Procura ha aperto un fascicolo per vilipendio dell'ordine giudiziario: sequestri e perquisizioni * NOTIZIE CORRELATE * "Via le Br dalle procure": è bufera sui manifesti a favore del premier (15 aprile 2011) * Manifesti pro Berlusconi, giallo su autori (24 febbraio 2011) i cartelloni sono firmati dall'"Associazione dalla parte della democrazia" Manifesti anti giudici, aperta indagine La Procura ha aperto un fascicolo per vilipendio dell'ordine giudiziario: sequestri e perquisizioni I manifesti contestati (Newpress) I manifesti contestati (Newpress) MILANO - La procura di Milano ha aperto un fascicolo per vilipendio dell'ordine giudiziario. Sotto accusa i manifesti firmati "Associazione dalla parte della democrazia", l'ultimo dei quali affisso sui muri del capoluogo lombardo nei giorni scorsi recitava "Fuori le Br dalla Procura". Le perquisizioni eseguite oggi dalla Digos, sono state effettuate nelle sedi delle società che distribuiscono e curano l'affissione dei manifesti a Milano. Gli investigatori hanno sentito quattro persone e se tecnicamente al momento non ci sono degli indagati, è molto probabile che arrivino presto delle denunce. Gli elementi frutto del lavoro degli agenti sono ora al vaglio dei magistrati meneghini. SEQUESTRI E PERQUISIZIONI - Copie dei manifesti contestati sono stati sequestrati dalla Digos di Milano nell'ambito degli accertamenti disposti dalla procura della Repubblica di Milano. La Digos ha effettuato numerose perquisizioni e sono state sentite varie persone in qualità di testi informati sui fatti per risalire ai committenti dei manifesti diffusi dall'"Associazione dalla parte della democrazia". Nel corso delle perquisizioni, secondo quanto si è appreso, anche in alcuni locali ritenuti di pertinenza della stessa associazione (che non ha sede legale né sito Internet), sono stati sequestrati numerosi manifesti tra cui appunto quelli con la scritta "Via le Br dalle procure". Gli elementi raccolti dalla Digos sono ora al vaglio della procura della Repubblica di Milano. Redazione online 16 aprile 2011(ultima modifica: 17 aprile 2011)
l'omelia dell'arcivescovo per la domenica delle Palme in Duomo Tettamanzi: giorni paradossali, ingiusti non vogliono essere giudicati Il cardinale fa riferimenti all'attualità: la guerra, gli attacchi alla magistratura, l'immigrazione l'omelia dell'arcivescovo per la domenica delle Palme in Duomo Tettamanzi: giorni paradossali, ingiusti non vogliono essere giudicati Il cardinale fa riferimenti all'attualità: la guerra, gli attacchi alla magistratura, l'immigrazione L'arcivescovo Tettamanzi (Fotogramma) L'arcivescovo Tettamanzi (Fotogramma) MILANO - Quelli che stiamo vivendo oggi, secondo l'arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, sono "giorni strani. I più dotti potrebbero dirli giorni paradossali". Nella sua omelia per la celebrazione della Domenica delle Palme in Duomo, il cardinale ha ricordato le profezie di Zaccaria e poi, in poche battute, ha tracciato un quadro dei "paradossi" attuali della nostra società. Battute in cui è facile cogliere riferimenti a personaggi politici di primo piano della scena italiana. "Ad esempio, per stare all’attualità: perché ci sono uomini che fanno la guerra, ma non vogliono si definiscano come "guerra" le loro decisioni, le scelte e le azioni violente? Perché molti agiscono con ingiustizia, ma non vogliono che la giustizia giudichi le loro azioni? E ancora: perché tanti vivono arricchendosi sulle spalle dei paesi poveri, ma poi si rifiutano di accogliere coloro che fuggono dalla miseria e vengono da noi chiedendo di condividere un benessere costruito proprio sulla loro povertà?". L'APPELLLO AI CRISTIANI - Tettamanzi ha quindi tratto le sue conclusioni invitando i fedeli a un esame di coscienza: "Come sono, quindi, i giorni che oggi viviamo? Possiamo rispondere nel modo più semplice, ma non per questo meno provocatorio per ciascuno di noi, interrogandoci con coraggio sul criterio che ispira nel vissuto quotidiano i nostri pensieri, i sentimenti, i gesti". L'arcivescoco ha invitato a un atteggiamento di "attenzione, disponibilità e servizio agli altri e al loro bene", opposto a quello di "dominio superbo, subdolo, violento" che sembra predominare nella società. "Siamo allora chiamati a interrogarci sull'unica vera potenza che può realmente arricchire e fare grande la nostra vita, intessuta da tanti piccoli gesti: la vera potenza sta nell'umiltà, nel dono di sé, nello spirito di servizio, nella disponibilità piena a venerare la dignità di ogni nostro fratello e sorella in ogni età e condizione di vita", ha concluso l'arcivescovo di Milano. Redazione online 17 aprile 2011
2011-04-15 Giulia Bongiorno "Dalla maggioranza provvedimenti da Far West" "Intese tra Fli e Pd? Niente panico Destra e sinistra categorie superate" Di giustizia mi intendo più di Berlusconi, ma non mi ha mai ascoltato. Parlava dei suoi processi Giulia Bongiorno "Dalla maggioranza provvedimenti da Far West" "Intese tra Fli e Pd? Niente panico Destra e sinistra categorie superate" Di giustizia mi intendo più di Berlusconi, ma non mi ha mai ascoltato. Parlava dei suoi processi Giulia Bongiorno Giulia Bongiorno C'è un neonato, Ian, che dorme con gli emendamenti al processo breve sotto il materasso. Dice la madre che "il pediatra mi ha detto di farlo riposare in posizione inclinata, e così...". La madre è Giulia Bongiorno, presidente della Commissione Giustizia della Camera, molto vicina a Fini. In silenzio da mesi, e non solo per la maternità. "Ora è stato il turno del processo breve, ma in precedenza la commissione Giustizia è stata occupata quasi a tempo pieno da provvedimenti analoghi. Cambia il nome, la sostanza è la stessa: si tratta sempre di provvedimenti Far West, una definizione che mi sembra rispecchi il modo in cui Berlusconi, sentendosi perseguitato dalla magistratura, si fa confezionare delle norme per farsi giustizia da sé". Lei non lo considera perseguitato? "Da avvocato, posso dire che la quasi totalità degli imputati è convinta di essere vittima di complotti giudiziari e quindi l'istinto di molti è scagliarsi contro la magistratura o eludere i processi. Faticosamente, si cerca di spiegargli che esistono procedure attraverso cui si accerta una responsabilità penale e che queste procedure devono essere rispettate; altrimenti si crea un sistema di giustizia fai-da-te inaccettabile e pericoloso. In questo senso, il premier non costituisce un'eccezione. L'unica, rischiosa differenza sta nel fatto che lui possiede gli strumenti per tentare davvero di farsi giustizia da sé. Ed è chiaro che se un leader, che dovrebbe essere anche un modello, organizza manifestazioni contro i giudici davanti ai tribunali o cerca di eludere i processi con le norme che fa produrre in Parlamento, gli imputati si sentono legittimati, o persino incoraggiati, a emularlo. Stiamo attenti al Far West". Qual è il rischio? "Che si produca una vera e propria degenerazione etica e sociale. Ricordiamoci di Andreotti, che quando fu condannato per omicidio a 24 anni dichiarò: "Credo ancora nella giustizia". Senza dubbio esistono magistrati politicizzati, e persino magistrati corrotti. Esistono anche errori giudiziari commessi in buona fede. Ma queste storture devono essere corrette con le riforme: è inconcepibile inveire contro la magistratura in blocco o costringere il Parlamento a occuparsi di norme mostruose, con uno spaventoso dispendio di tempo, energia e risorse". Com'è trattare sulla giustizia con Berlusconi? "Quando ne ho avuto occasione, ho notato che Berlusconi parla, non ascolta. Me ne sono stupita: è evidente che di giustizia mi intendo più di lui; credevo gli interessasse conoscere la mia opinione. Sbagliavo. Io parlavo di sistema giustizia e lui portava il discorso sui suoi processi. Ritiene che il suo status di imputato lo abbia trasformato in un esperto di giustizia. Sarebbe come rompersi più volte una gamba facendo alpinismo estremo e sentirsi poi non solo legittimati a riformare la sanità, ma anche in possesso delle credenziali per farlo; oltre che perseguitati dai medici. E non va dimenticato che il tempo destinato a queste leggi è stato sottratto ad altre mai fatte e che invece avrebbero dovuto avere priorità assoluta: quelle per rendere più efficace il sistema". Berlusconi ha annunciato una "riforma epocale" della giustizia. "Non ci sarà mai: perché non credo che il premier abbia a cuore il buon funzionamento della giustizia. Non vedrà la luce nemmeno la riforma sulla separazione delle carriere e del Csm: dopo mille proclami siamo ancora a semplici enunciazioni di princìpi. Al contrario, si continuerà a produrre leggine Far West". Il processo breve passerà al vaglio della Consulta? O è incostituzionale? "Non mi azzardo a fare previsioni, ma il testo è sicuramente caratterizzato da irragionevolezza. Essere incensurati significa non avere sentenze definitive. Quindi, teoricamente, beneficia della prescrizione breve anche chi ha decine di processi a carico, ma è finora riuscito a sfuggire a una condanna; grazie alla fortuna o ai suoi avvocati. Vedo qualche problema anche con la Convenzione Onu sulla corruzione, perché questo tipo di reati saranno certamente toccati dalla prescrizione breve. La Convenzione Onu invita i Paesi aderenti a fissare "un lungo termine di prescrizione": l'opposto di quello che accadrà in Italia". Futuro e Libertà ha davvero un futuro? O si sta sgretolando? "Senza dubbio ci sono stati momenti difficili, ma se mi guardo attorno non vedo gruppi senza problemi...". Dicevate di voler cambiare la politica, siete nel mezzo di una lite interna. "Resto convinta che l'unico modo per riconciliare i cittadini con la politica sia cambiare. Cambiare radicalmente. E in quest'ottica di rinnovamento credo che le donne saprebbero riconquistare la fiducia delle gente comune. Purtroppo rimangono confinate ai margini delle istituzioni. Da sempre sono costrette a lottare più degli uomini per affermarsi: tutto questo è ingiusto, faticoso, sbagliato, ma ha avuto il pregio di affinare le loro capacità. Dare più spazio alle donne sarebbe anche una possibilità di riscatto dall'umiliazione che il premier ha inflitto a tutte noi - e a tutti gli uomini che credono nella parità e nel rispetto - con parole e comportamenti dai quali traspare un maschilismo radicato e insultante". Lei crede ancora nella leadership di Fini? E al Terzo polo? Sarà mai possibile un accordo con il Pd? "Certo mi trovo più a mio agio con alcuni del Terzo polo che con altri in cui mi sono imbattuta quando sono entrata in An. So che l'ipotesi di un accordo con il Pd getta nel panico parecchi. Personalmente, reputo superate le categorie destra e sinistra e quindi per me i no pregiudiziali sono incomprensibili. Sulla legalità, io dovrei essere etichettata come di destra; ma se parliamo di procreazione assistita, in confronto a me Enrico Letta è un chierichetto". Aldo Cazzullo 15 aprile 2011
IL CAPO DELLO STATO Processo breve, i dubbi di Napolitano: "Valuterò gli effetti prima del voto finale" Poi il Quirinale precisa: arbitrario pensare a intervento preventivo. Berlusconi: Alfano sul Colle a spiegare tutto * NOTIZIE CORRELATE * Processo breve, sì tra le proteste (13 aprile) * Berlusconi: dopo di me Alfano (13 aprile) IL CAPO DELLO STATO Processo breve, i dubbi di Napolitano: "Valuterò gli effetti prima del voto finale" Poi il Quirinale precisa: arbitrario pensare a intervento preventivo. Berlusconi: Alfano sul Colle a spiegare tutto Giorgio Napolitano Giorgio Napolitano MILANO - Giorgio Napolitano interviene sul processo breve all'indomani dell'approvazione alla Camera del provvedimento che accorcia i tempi della prescrizione per gli incensurati e che ora passa all'esame del Senato. Il capo dello Stato ha intenzione di verificare gli effetti del ddl, prima ancora della sua approvazione finale da parte del Parlamento. A chi gli chiedeva infatti cosa pensasse delle molte preoccupazioni espresse dal Csm e dalle famiglie delle vittime di Viareggio sul fatto che la legge possa fare saltare molti processi, l'inquilino del Quirinale - a margine dell'inaugurazione della ristrutturata stazione centrale di Praga - ha detto: "Valuterò i termini di questa questione quando saremo vicini al momento dell'approvazione definitiva in Parlamento". Successivamente, ambienti del Quirinale hanno tenuto a diffondere un'"interpretazione autentica" delle parole del Capo dello Stato: l'espressione "vicini al momento" significa che il capo dello Stato comincerà ad esaminare il testo alla vigilia della decisione che gli toccherà prendere a proposito della promulgazione. Le stesse fonti aggiungono che interpretare le parole del presidente Napolitano come annuncio di un intervento preventivo è del tutto arbitrario. Il disegno di legge nel frattempo è stato trasmesso giovedì mattina dalla presidenza della Camera alla presidenza del Senato. Ora dovrà essere assegnato alla commissione Giustizia di Palazzo Madama. Relatore del provvedimento sarà il senatore del Pdl Giuseppe Valentino. ALFANO - Il ministro della Giustizia Alfano andrà al Quirinale ad illustrare al capo dello Stato i contenuti del ddl sul processo breve. Lo ha detto Luciano Sardelli, capogruppo dei Responsabili alla Camera, parlando con i cronisti al termine di un incontro avuto con Silvio Berlusconi a palazzo Grazioli. "Alfano andrà dal presidente dopo tutte le false notizie che sono state diffuse sul processo breve, come quella su Viareggio, processo per il quale la prescrizione arriverà dopo 30 anni", ha detto Sardelli rispondendo alla domanda se nel corso della riunione si fossero analizzate le dichiarazioni di Napolitano di oggi da Praga. IL PDL ATTACCA LA BINDI - Intanto in due lettere al presidente della Camera, Gianfranco Fini, il Pdl ha espresso "indignazione" e "imbarazzo" per i giudizi "personali e offensivi" che il vicepresidente di turno, Rosy Bindi ha espresso nei confronti del capogruppo del Pdl a Montecitorio, Fabrizio Cicchitto. Il fatto: subito dopo l'approvazione del processo breve, in chiusura dei lavori, Bindi è stata criticata dai deputati della maggioranza perché poco prima dal suo banco di deputato aveva gridato "P2, P2" all'indirizzo di Cicchitto. Lei, mentre presiedeva, ha subito spiegato di aver chiesto di poter essere sostituita, ma comunque ha rivendicato la sua accusa: "Ho ritenuto giusto gridare la verità perché credo che in questa Aula nessuno può permettersi di strumentalizzare le parole di Aldo Moro. Quelle parole ("Non ci faremo processare nelle piazze", usate da Cicchitto in dichiarazione di voto, ndr) furono pronunciate qui e furono pronunciate da una persona che aveva la dignità per farlo. Il martirio di Aldo Moro è la prova della sua dignità. Nessuno se ne può appropriare in maniera strumentale e indegna e tanto meno se nel 1980 era iscritto alla P2". Redazione online 14 aprile 2011(ultima modifica: 15 aprile 2011)
2011-04-14 Il Cavaliere e Gheddafi: "Prima di dire sì agli alleati ho pensato alle dimissioni" Berlusconi alla stampa straniera: "Non mi ricandido, Alfano premier" Il Wsj e il Guardian dopo la cena coi corrispondenti esteri. Ma Bonaiuti: "Un ragionamento enfatizzato" Il Cavaliere e Gheddafi: "Prima di dire sì agli alleati ho pensato alle dimissioni" Berlusconi alla stampa straniera: "Non mi ricandido, Alfano premier" Il Wsj e il Guardian dopo la cena coi corrispondenti esteri. Ma Bonaiuti: "Un ragionamento enfatizzato" Angelino Alfano e Silvio Berlusconi (Ansa) Angelino Alfano e Silvio Berlusconi (Ansa) MILANO - Silvio Berlusconi non ha intenzione di ricandidarsi alla guida del governo, al termine del suo attuale mandato. Questo almeno sarebbe emerso nel corso della cena di martedì sera con la stampa estera. Il presidente del Consiglio, riportano sul loro sito l'autorevole Wall Street Journal (il cui corrispondente a Roma ha partecipato all'incontro) ha indicato come suo successore alla guida del Pdl e quindi alla premiership per il centrodestra l'attuale ministro della Giustizia Angelino Alfano. Le dichiarazioni rilasciate dal capo del governo sono state "enfatizzate", hanno voluto però precisare il portavoce del premier Paolo Bonaiuti e il coordinatore del Pdl Denis Verdini. "Penso che sia uno stato d'animo del presidente", ha affermato Verdini, "sono cose che ha detto, non dico che non le ha dette, ma gli viene data un'enfasi che le fa sembrare cose certissime; sono cose che ha detto spesso "se fosse per me...". Noi ora siamo sommersi di fax e telefonate al partito, il cui senso è "Silvio resisti"". Secondo Bonaiuti "è bene circoscrivere queste dichiarazioni, rese nel corso di una cena, di una chiacchierata libera, ma non sono cose da dare in modo così apodittico, non c'è nulla di deciso". IL LEGAME CON GHEDDAFI - Nel corso della cena, il Cavaliere si è soffermato sulle prossime elezioni politiche: "Se ci sarà bisogno di me come padre nobile, sono disponibile. Potrei essere capolista del Pdl, ma non voglio un ruolo operativo", ha puntualizzato. Berlusconi poi ha anche citato il suo legame "personale" con il colonnello libico Muammar Gheddafi, svelando di aver preso in considerazione l'idea delle dimissioni nei giorni precedenti alla decisione di partecipare assieme agli alleati alle operazioni in Libia. "Con tutte le difficoltà personali che questa decisione rappresentava per me, ho pensato fosse mio dovere dimettermi. Ma tutti mi hanno chiesto di non farlo e così sono rimasto al mio posto", ha spiegato Berlusconi. Redazione online 13 aprile 2011(ultima modifica: 14 aprile 2011)
Processo Breve Pagina Oscura Processo Breve Pagina Oscura Compatto e pronto a una serie di forzature, il governo ha vinto la guerra parlamentare del "processo breve". E un'opposizione salda solo a parole l'ha persa malamente. Ma i riflessi sull'opinione pubblica di quanto è avvenuto andranno misurati nel tempo, e a freddo. Si fatica a ritenere che rappresentino gli umori profondi del Paese sia i deputati che hanno permesso a Silvio Berlusconi questa affermazione; sia quelli che l'hanno contrastata; sia chi protestava fuori dal Parlamento al grido di "mafiosi" e "vergogna". L'unico dato vistoso è che il presidente del Consiglio ha politicizzato il conflitto, ottenendo il risultato che voleva. Attraverso la Camera intendeva impartire una lezione all'odiata Procura di Milano. E adesso forse riuscirà a uscire indenne da uno dei processi più insidiosi, quello Mills in cui è accusato di corruzione in atti giudiziari. Ma il provvedimento approvato ieri sera dovrà superare una serie di severe verifiche istituzionali. Proprio perché segnato da una logica quasi disperata, si lascia dietro un alone di perplessità e di veleni; e un altro cumulo di macerie nei rapporti fra centrodestra e magistratura. È indubbio, tuttavia, che gli avversari di un Berlusconi debole riemergono per l'ennesima volta più logorati di lui. Lo scrutinio segreto chiesto nel pomeriggio dal centrosinistra nella speranza di fare affiorare una maggioranza sommersa favorevole alla crisi, è stato un boomerang imbarazzante. Ha rivelato l'esistenza di una "minoranza silenziosa" pronta a sostenere il governo nelle pieghe di un'ostilità in apparenza così aggressiva e irriducibile da ricorrere all'ostruzionismo. La vera sconfitta di chi non voleva il "processo breve" è questa: aver dovuto registrare che i cosiddetti franchi tiratori, quelli che colpiscono a tradimento, non si annidano nelle file di Pdl e Lega, ma nelle proprie. I 316 "sì" sono stati due più di quelli ottenuti nella votazione finale; e sei più di quelli a disposizione del centrodestra. Dunque contano e, soprattutto, pesano. Dicono che l'onda lunga della sconfitta degli avversari del premier, il 14 dicembre scorso, continua a produrre effetti. Puntella ulteriormente un governo che pure è in affanno sul piano internazionale per l'emergenza dell'immigrazione; e un Berlusconi inseguito tuttora da rivelazioni imbarazzanti sulla sua vita privata. Attraverso canali oscuri ma inesorabili, si ingrossa un "partito del galleggiamento" destinato a frustrare quanti sognano velleitarie spallate. È probabile che al Senato il percorso del provvedimento sia meno tormentato. Il governo ne sembra così convinto che dedicherà le prossime settimane a depotenziare i referendum di giugno su giustizia e nucleare. D'altronde, la strategia del conflitto permanente premia ancora una volta Berlusconi: un elemento sul quale riflettere. Ma le incognite che si allungano su alcuni processi a rischio di prescrizione non possono essere sottovalutate, né sacrificate sull'altare di una stabilità fine a se stessa. Non è stata una giornata memorabile: non, almeno, nel senso positivo del termine. Una pagina oscura, tra le tante. Massimo Franco 14 aprile 2011
2011-04-13 BERSANI: "Il governo nella coscienza degli italiani ha fatto un passo verso l'abisso" Processo breve , via libera alla Camera Berlusconi: "Noi compatti, gli altri no" Maggioranza a quota 314. Il testo va al Senato. Bossi: i numeri ci sono. Senatùr contestato a piazza Montecitorio * NOTIZIE CORRELATE * Processo breve, lite finale sugli interventi Alfano: a rischio solo lo 0,2% dei processi (12 aprile 2011) * LA SCHEDA - Processo e prescrizione breve: cosa cambierà con le nuove norme BERSANI: "Il governo nella coscienza degli italiani ha fatto un passo verso l'abisso" Processo breve , via libera alla Camera Berlusconi: "Noi compatti, gli altri no" Maggioranza a quota 314. Il testo va al Senato. Bossi: i numeri ci sono. Senatùr contestato a piazza Montecitorio I cartelli di protesta dell'Idv dopo l'approvazione del ddl I cartelli di protesta dell'Idv dopo l'approvazione del ddl MILANO - La Camera approva il testo sul processo breve e Silvio Berlusconi rinsalda la sua maggioranza. Le "Disposizioni in materia di spese di giustizia, danno erariale, prescrizione e durata del processo", il nuovo nome dato al provvedimento all'ultimo minuto grazie a un emendamento del relatore Maurizio Paniz, passa a Montecitorio con 314 voti a favore e 296 contrari su 610 votanti. Soddisfatto il premier. Finalmente una legge che mette l'Italia al passo con l'Europa, avrebbe argomentato con i diversi deputati che lo hanno chiamato per informalo dell'approvazione della legge sulla cosiddetta "prescrizione breve". La soddisfazione del capo del governo è chiaramente legata anche alla tenuta della maggioranza che in questi due giorni ha dato prova, a detta del premier, di una reale compattezza: è stata l'opposizione - ha confidato ai suoi - a fare una pessima figura. Tra l'altro - ha proseguito nel ragionamento - i voti in più che ha ottenuto la maggioranza dimostrano che quota 330 è un obiettivo concreto. Dello stesso avviso Umberto Bossi: "Questo voto ci dice che i numeri ci sono. Non arriviamo a 330? Sempre meglio di niente" ha commentato il leader della Lega, dopo il voto finale. E alla domanda sul timore di scarcerazioni per effetto della legge, il Senatùr ha aggiunto: "Sono tutti giochi di prestigio della sinistra che ha fatto questa battaglia alla morte". PROTESTANO IDV E POPOLO VIOLA - L'opposizione ha votato con la Costituzione in mano il suo "no" al testo sulla prescrizione breve. Al momento del voto infatti, i deputati del Pd e IdV, in piedi hanno esposto il testo della Carta. A voto concluso poi i deputati dipietristi hanno innalzato dei cartelli con scritte "Rogo Thyssen, nessuna giustizia"; "Crac Parmalat, nessuna giustizia"; "Santa Rita, nessuna giustizia". "Il governo nella coscienza degli italiani ha fatto un passo verso l'abisso - ha detto il segretario del Pd Pier Luigi Bersani -. Ora sta a noi far comprendere la vergogna di questo provvedimento che dimostra l'assoluto disprezzo verso i problemi veri del paese". E mentre andava in scena anche l'ultimo atto per l'approvazione alla Camera , in piazza Montecitorio infuriava la protesta del popolo viola e dei familiari delle vittime di Viareggio e L'Aquila. "Così ci negate la giustizia" è stato per tutto il pomeriggio lo slogan dei manifestanti. L'onda lunga del dissenso finisce per travolgere la deputata Daniela Santanchè, che viene apostrofata dai manifestanti con parole dure ed invitata a dimettersi. Anche Bossi è stato contestato: "Venduto, venduto" gli ha gridato la folla dopo il voto in Aula. GLI ARTICOLI 3 E 4 - L'articolo 3 del testo approvato, modificato da un emendamento del relatore Paniz riduce i tempi della prescrizione per gli incensurati passando da un quarto a un sesto della pena edittale. Si applica ai processi che non sono ancora giunti a sentenza di primo grado. Non riguarda i reati di grave allarme sociale: terrorismo e mafia, ad esempio. Contro questa norma hanno tuonato le opposizioni, sostenendo che è l'ennesima legge ad personam applicabile al processo Mills, in cui è imputato il premier. In Aula passa anche l'articolo l'articolo 4, quello sulla "durata ragionevole del processo" e sull'"obbligo di segnalazione" L'articolo, anche questo riformulato dal relatore Paniz, prevede che il capo dell'ufficio giudiziario segnalerà al ministro della Giustizia e al Csm le toghe che "sforano" i tempi del processo stabiliti dalla legge: tre anni in primo grado, due anni in appello, e un anno e 6 mesi in Cassazione, per quanto riguarda i reati con la pena massima di 10 anni. SCRUTINIO SEGRETO - In Aula la maggioranza ha superato anche la prova del voto segreto chiesto e concesso su un emendamento dell'Idv, ottenendo 316 preferenze, e dunque sei voti in più rispetto alla quota massima di 310 ottenuta durante le votazioni a scrutinio palese. Il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto ha parlato di "opposizione ridicolizzata". "Sui miei deputati metto non una mano sul fuoco, ma tutte e due" ha replicato Dario Franceschini, capogruppo del Pd. "Sono in sei - ha aggiunto - ad aver votato con la maggioranza. Sui deputati del Pd non ho dubbi. Chi sia stato lo si capisce, ma io non sono sleale da attribuire ad altri questo voto". ATTACCHI A FINI - Dopo la seduta notturna di martedì, polemiche e ostruzionismo hanno tenuto banco anche durante la seduta di mercoledì mattina. Il Pd, con Roberto Giachetti, ha duramente attaccato il presidente della Camera Gianfranco Fini definendolo "il peggiore presidente per l'opposizione" per via delle sue decisioni sui tempi a disposizione della minoranza. Subito dopo l'attacco di Giachetti, è intervenuto Pier Ferdinando Casini a difesa del leader di Montecitorio: "Inaccettabile". "Giachetti ha esagerato ma il suo giudizio era rivolto su un punto specifico dei lavori dell'aula. Non si è trattato di un giudizio complessivo sulla persona e sul modo con il quale il presidente Fini sta conducendo i lavori" ha detto poi il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. In serata poi le scuse dello stesso Giachetti al presidente della Camera. APPELLO CEI - In queste ultime ore di schermaglie alla Camera, dai vescovi italiani è arrivato intanto l'appello una "maggiore serenità". "Al di sopra di tutto ci deve essere il desiderio e la meta concreta del bene comune - ha spiegato il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei - che è fatto di tanti aspetti che devono essere affrontati in un clima di maggiore serenità. Altrimenti - ha concluso il cardinale - non si va da nessuna parte". Redazione online 13 aprile 2011
LA NOTA Un sì a tutti i costi per "sterilizzare" i processi del premier Il Pdl è convinto che il Quirinale non si opporrà. Ma nessuno può dirlo Il centrodestra si prepara a consegnare a Silvio Berlusconi il primo "sì" parlamentare al cosiddetto "processo breve". La Camera dei deputati potrebbe approvarlo stasera, nonostante l'ostruzionismo tentato ieri dal Pd. Una maggioranza mobilitata allo spasimo sa che, una volta passata a Montecitorio, al Senato la legge dovrebbe avere vita meno difficile. Ma la logica è quella di un provvedimento avulso dalle esigenze di riforma della giustizia. Il Pdl risponde con una forzatura a quella che considera un'altra forzatura, attribuita alla Procura di Milano. Per il governo si tratta di riaffermare il primato nei confronti della magistratura: con in palio la possibilità di proteggere il premier dai processi. Su questo, Pdl e Lega ostentano una compattezza che resiste a ogni pressione. Significa che la maggioranza è pronta a sfidare l'impopolarità. Il fatto che oggi si riunisca il Cdm in un intermezzo delle votazioni conferma la determinazione ad arrivare al risultato. Un personaggio defilato come il sottosegretario Gianni Letta prevede "una settimana incandescente". E fa capire che Palazzo Chigi ha chiare le incognite dell'operazione; e che nella cerchia berlusconiana si spera di chiudere la fase più acuta con l'approvazione del Parlamento. In realtà, i passaggi successivi appaiono altrettanto incerti. Il governo è convinto che Giorgio Napolitano non avrà obiezioni nei confronti della legge. Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, invece, ritiene che Berlusconi tenga "il Paese in ostaggio". In realtà, nessuno può fare previsioni né in un senso né nell'altro. Finora l'atteggiamento presidenziale è stato guardingo. Si può solo dare per certo che gli scambi d'accuse di queste ore sono l'opposto dell'invito del Quirinale a tenere i nervi saldi: anche nei rapporti con l'Europa. Viste le premesse, tuttavia, lo scontro era inevitabile. Rappresenta un'anteprima del panorama di macerie politiche che "il processo breve" porterà con sé; e che verranno additate con intenti opposti all'opinione pubblica. Per il governo, l'accusa più insidiosa è quella di Antonio Di Pietro, di far saltare alcuni processi. Il Guardasigilli, Angelino Alfano, spiega che "sarebbe a rischio solo lo 0,2% dei procedimenti penali". "Se l'impatto è così modesto, perché state bloccando il Parlamento?", lo rimbecca il leader centrista, Pier Ferdinando Casini. L'ultima istantanea è quella dell'Anm che taccia di irresponsabilità il premier per gli "appelli alla piazza" contro i magistrati. Stancamente, dopo una seduta notturna col brivido del voto segreto, forse oggi si chiude il primo capitolo di una vicenda assai poco esaltante. Massimo Franco 13 aprile 2011
IL TELEGRAMMA Napolitano: "L'equilibrio dei poteri è un'eredità preziosa della Costituzione" Messaggio del capo dello Stato a un convegno di Torino IL TELEGRAMMA Napolitano: "L'equilibrio dei poteri è un'eredità preziosa della Costituzione" Messaggio del capo dello Stato a un convegno di Torino MILANO - "Pur in una realtà certamente molto diversa da quella del 1948, la grande attenzione posta dalla nostra Carta al bilanciamento dei poteri e alla presenza nel corpo sociale e istituzionale di formazioni intermedie costituisce un'eredità preziosa, frutto di lungimiranza politica e di capacità di riflessione sulla complessità degli equilibri sociali". Lo scrive il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in un messaggio inviato in occasione della manifestazione Biennale Democrazia dal titolo "Tutti. Molti. Pochi", in programma a Torino. CONTRAPPESI - Il tema alla base della Biennale Democrazia "riflette una viva preoccupazione circa le insidie che la concentrazione dei poteri comporta per la vita democratica", aggiunge Napolitano nel telegramma letto dal sindaco di Torino, Sergio Chiamparino nell'intervento prima della lectio magistralis di Mario Draghi. "Nulla - ha scritto Napolitano - potrebbe essere più lontano dall'idea di una democrazia temperata e funzionante dell'idea di un corpo sociale distinto, in grado di esprimersi solo elettoralmente, cui corrispondano ristrette oligarchie dotate di poteri economici e sociali senza contrappesi resi più insidiosi dagli effetti del progresso tecnologico". 13 aprile 2011
"Ci portò Fede, fu scioccante". Segue la descrizione più esplicita del bunga bunga Feste di Arcore, spuntano due nuove testimoni Chiara e Ambra, 19enni piemontesi: "Avances dal premier, rifiutammo il gioco della statuetta" * NOTIZIE CORRELATE * Il papà di Ruby: "Non riesco più a lavorare, provo tanta vergogna" (12 aprile 2011) * "Sesso in cambio di agevolazioni" Arrestato l'ex prefetto Carlo Ferrigno (11 aprile 2011) * VIDEO - Berlusconi "Soldi a Ruby per non prostituirsi" (11 aprile 2011) "Ci portò Fede, fu scioccante". Segue la descrizione più esplicita del bunga bunga Feste di Arcore, spuntano due nuove testimoni Chiara e Ambra, 19enni piemontesi: "Avances dal premier, rifiutammo il gioco della statuetta" Chiara Danese, 19 anni Chiara Danese, 19 anni MILANO - "I complimenti del presidente Berlusconi furono talmente intensi che Fede, non so se come battuta o meno, gli disse: "Eh, mangia nel piatto tuo che io mangio nel piatto mio(...)". Forse nelle sue intenzioni io dovevo essere destinata a lui e Ambra a Berlusconi". Il quale, "dopo l'ultima barzelletta sconcia si fece portare una statuetta di Priapo" (personaggio della mitologia classica simbolo dell'esuberanza sessuale) "e la fece girare tra le ragazze", chiedendo loro "un gioco sconcio al quale né io né Ambra ci prestammo". Proprio mentre l'altro ieri al 1° piano del Tribunale il presidente del Consiglio arringa i cronisti sulle "elegantissime cene" di Arcore, al 5° piano della Procura due ragazze piemontesi di 19 anni, Chiara Danese e Ambra Battilana, consegnano invece ai pm la descrizione più diretta ed esplicita dei bunga bunga del premier mai fatta nell'inchiesta Ruby. Più ancora della compagna di scuola di Minetti, sinora la teste più neutra. Ambra Battilana, 19 anni Ambra Battilana, 19 anni Per la prima volta, infatti, in almeno due ragazze si rompe il cordone di negazioni opposte dalle 32 giovani qualificate dai pm nel capo d'imputazione di Lele Mora, Emilio Fede e Minetti come prostitute convogliate dal terzetto ad Arcore. E il racconto è sorprendente anche per la genesi: non lo scoprono i pm, bensì lo portano le due ragazze, confermando negli interrogatori di lunedì le memorie del 4 aprile, benché riguardanti la notte del 22-23 agosto 2010, e stilate dopo aver consultato un avvocato che dicono di ignorare sia deputata dell'Idv di Di Pietro, Patrizia Bugnano. L'innesco, stando al racconto delle 19enni provenienti dalle selezioni di Miss Italia e con agente quel Daniele Salemi già emerso in contatto con Mora, è dato sia dalle maldicenze alimentate in piccoli paesi dai loro nomi "equiparati sui giornali alle escort", sia da un "effetto boomerang" di Berlusconi: "Uno degli elementi che mi hanno spinto a prendere questa decisione - esordisce Chiara davanti ai pm Forno e Sangermano - è la posizione che ha pubblicamente assunto il presidente Berlusconi, il quale in più occasioni ha definito "cene eleganti" le serate che per quanto mi risulta avevano tutt'altra natura, e per di più ha difeso alcune ragazze del suo "giro" che avevano avuto atteggiamenti sconvenienti, mentre non ha ritenuto di spendere una parola a favore nostra che ci eravamo comportate in tutt'altro modo". Chiara e Ambra spiegano di essere state presentate nell'agosto 2010 da Salemi a Fede, "che subito si mostrò entusiasta di noi, disse "vanno benissimo", non ci richiese l'effettuazione di alcuna prova ma si mostrò deciso a sceglierci come "meteorine" a 5.000 euro a settimana". Seguono ristorante con Fede, battute a doppio senso, "esame del fondoschiena", promessa di risentirsi. E in effetti la sera del 22 agosto, senza prima saperlo, con Salemi e poi con Fede finiscono ad Arcore. La cena "con una quindicina di persone" (da tempo individuate dai pm con i tabulati) è animata dalle "barzellette sconce del premier", alle quali "Fede con piccole gomitate ci spingeva a ridere nel coro" di "tutti i presenti che scoppiavano a ridere in maniera eccessiva e forzata". Parte il gioco della statuetta di Priapo, del quale qui si edulcora la descrizione al pari del prosieguo: "Le ragazze si dimenavano, ballavano, cantavano "meno male che Silvio c'è", si facevano baciare i seni dal presidente, lo toccavano nelle parti intime, e poi facevano lo stesso con Fede. Eravamo scioccate, in una situazione più grande di noi. A un certo punto Berlusconi, visibilmente contento, disse "allora siete pronte per il bunga bunga?", e tutte le ragazze in coro hanno urlato "Siiii!"". Mentre il gruppo si sposta e sale su una scala, "Berlusconi dietro di noi ci poggiò le mani sui glutei", non un aiuto (dice Ambra) ma "un palpeggiamento sul sedere, e reiterato". Arrivate nel centro benessere sempre più perplesse ("Ma che dobbiamo fare, disse la mia amica, dobbiamo darla?"), Chiara vede "le ragazze ballare in maniera piuttosto volgare" con "vestiti da infermiera molto corti, da crocerossina", "i seni molto scoperti", "anche un frustino", e "avvicinandosi a Berlusconi lo toccavano e si facevano toccare nelle parti intime", una "ballava mentre Berlusconi la baciava sul seno". Chiara e Ambra dicono di essere rimaste paralizzate, "mentre Fede e Berlusconi incitavano le altre ragazze a coinvolgerci in questo "gioco" con parole quali "dai spogliatele... spogliatevi... ballate"". E quando spiegano di volersene andare, "Fede risponde: "Se volete andare via, va bene, ma non pensate di poter fare le meteorine o Miss Italia". Berlusconi, che sedeva accanto, annuiva senza dire una parola". In auto, Fede di colpo cambia e esalta il "nostro non essere come le altre: brave, avete superato una prova". E l'sms "grazie per la fantastica serata!" dal telefonino di Chiara a Fede? "In realtà lo mandò Salemi, per assicurarmi la selezione a Miss Italia, quando ancora non gli avevamo raccontato la serata". Luigi Ferrarella, Giuseppe Guastella 13 aprile 2011
in una nota dopo il DEPOSITATE delle TESTIMONIANZE DI ALTRE DUE RAGAZZE "Le nuove testimoni?Inconsistenti" E Fede: "Querelo Ambra e Chiara" Piero Longo e Niccolò Ghedini: "La genesi delle dichiarazioni e i tempi appaiono davvero indicativi" * NOTIZIE CORRELATE * Arcore, spuntano 2 nuove testimoni (13 aprile 2011) in una nota dopo il DEPOSITATE delle TESTIMONIANZE DI ALTRE DUE RAGAZZE "Le nuove testimoni?Inconsistenti" E Fede: "Querelo Ambra e Chiara" Piero Longo e Niccolò Ghedini: "La genesi delle dichiarazioni e i tempi appaiono davvero indicativi" MILANO - "Le nuove dichiarazioni apparse anche quest'oggi su alcuni giornali in relazione alle serate in Arcore, sono destituite di ogni fondamento e contrastano con numerosissime indicazioni di segno completamente opposto". È quanto dichiarano in una nota i parlamentari e legali del premier Piero Longo e Niccolò Ghedini che sottolineano i loro dubbi sul timing delle novità emerse sui quotidiani oggi: "La genesi delle dichiarazioni e i tempi appaiono davvero indicativi e ne dimostrano l'assoluta inconsistenza". Si tratta delle dichiarazioni di due diciannovenni, Chiara Danese e Ambra Battilana, sentite lunedì dai pm. Le due ragazze saranno querelate dal direttore del Tg4 Emilio fede, chiamato in causa dalle loro dichiarazioni che i legali del giornalista definiscono "assolutamente false e gravemente denigratorie dello stesso Fede, oltre che delle altre persone citate dalle stesse". Feste Arcore, le due nuove testimoni Feste Arcore, le due nuove testimoni Feste Arcore, le due nuove testimoni Feste Arcore, le due nuove testimoni Feste Arcore, le due nuove testimoni PROROGA 20 GIORNI PER MINETTI-FEDE-MORA - Queste deposizioni si inseriscono nell'ambito dell'altro filone d'indagine sul caso Ruby. I pm milanesi che indagano sul caso Ruby hanno concesso un'altra proroga di 20 giorni a Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti, indagati per induzione e favoreggiamento della prostituzione anche minorile, per decidere se farsi interrogare o meno, dopo la chiusura dell'inchiesta a loro carico avvenuta nelle scorse settimane. Il termine per decidere se farsi interrogare o meno, o per presentare memorie difensive, sarebbe scaduto infatti domani, ma ieri a metà pomeriggio i legali dei tre indagati hanno ricevuto un avviso di deposito di nuovi atti integrativi di indagine. In particolare, gli avvocati hanno ricevuto l'avviso di deposito delle due testimonianze di due ragazze, Chiara Danese e Ambra Battilana, sentite lunedì dai pm. Le testimonianze delle due giovani che parlano di una serata ad Arcore con il premier e descrivono il "bunga-bunga" sono riportate sul Corriere della Sera. Da giovedì, dunque, scatteranno altri 20 giorni per i tre indagati che se vorranno potranno farsi interrogare. È più probabile però che vengano presentate memorie difensive. Da quanto si è saputo, inoltre, i pm sarebbero ancora impegnati nella stesura di altri atti integrativi di indagine che potrebbero essere depositati ai legali nei prossimi giorni. Per la procura le testimonianze delle due ragazze torinesi sono "rilevanti per il contesto", ma non integrano alcuna nuova contestazione, cioè "non dicono nulla di nuovo". L'AVVOCATO DELLE RAGAZZE - "Ci tengo alla mia professionalità e il mio partito, l'Idv, non sapeva niente di Ambra Battilana e Chiara Danese, hanno appreso tutto dai giornali"dice la senatrice dell'Idv, Patrizia Bugnano, che è l'avvocato di Ambra Battilana, la ragazza che insieme a Chiara Danese ha deposto davanti ai pm di Milano sulle serate ad Arcore. "Io innanzitutto - precisa la senatrice raggiunta telefonicamente a Bruxelles - sono avvocato, sono in Senato da poco e nella mia professione la politica non c'entra niente. Sono le due ragazze che sono venute a riferire del loro disagio dopo che sono state ad Arcore". Redazione online 13 aprile 2011
L'intercettazione depositata tra gli atti di uno dei filoni d'inchiesta sul caso Ruby Fede: "Chiara è troppo timida, lasciala" La telefonata del direttore del Tg4 ad Ambra: la tua amica non va bene "per fare quel che bisogna fare" * NOTIZIE CORRELATE * Feste di Arcore, spuntano due nuove testimoni (13 aprile 2011) L'intercettazione depositata tra gli atti di uno dei filoni d'inchiesta sul caso Ruby Fede: "Chiara è troppo timida, lasciala" La telefonata del direttore del Tg4 ad Ambra: la tua amica non va bene "per fare quel che bisogna fare" Emilio Fede, direttore del Tg4 (Ansa) Emilio Fede, direttore del Tg4 (Ansa) MILANO - "Chiara mi sembra di un altro mondo lasciala perdere". Emilio Fede, al telefono con Ambra Battilana, il 24 agosto scorso, dopo la serata ad Arcore a cui hanno partecipato la stessa giovane e la sua amica Chiara Danese, e al centro delle nuove testimonianze rese lunedì scorso ai pm milanesi, commenta l'atteggiamento della Danese "troppo" timida "per fare quello che c'è bisogno di fare". È quanto si legge in una intercettazione depositata tra gli atti del filone d'inchiesta che vede indagati il direttore del Tg4, Lele Mora e Nicole Minetti. TROPPO TIMIDA - Fede e la ex miss Piemonte, due giorni dopo la festa a Villa San Martino del 22 agosto scorso, commentano al cellulare. Fede: "Chiamami eh? perchè almeno con te si parla". Ambra: "Eh lo so". Fede: "Chiara mi sembra di un altro mondo lasciala perdere". Ambra: "Eh ma è molto timida". E il direttore: "Eh, troppo, troppo... Troppo per fare quello che c'è bisogno di fare ... capito?". Ambra: "E' vero è vero bisogna vedere un po' la situazione... perchè è piccoli... (si interrompe)". Fede: "Allora chiamami va bene?". E la Battilana: "cioè ha la mia età... ok perfetto, ciao, ciao". GIOVANE ETA' - Secondo gli investigatori, Fede "fiuta l'attaccabilità della ragazza, consistente nella sua giovane età e nella sua scarsa capacità di 'adattamento' a contesti evidentemente suscettibili di arrecare turbamento a soggetti non avvezzi e ne accenna (...) ad Ambra (giungendo finanche a definirla 'pericolosa')". Come scrivono gli inquirenti inoltre, "appare altamente probabile, in ciò considerando il complesso degli elementi sinora acquisisti e la consistenza della piattaforma indiziaria, che le figure della Danese Chiara Andrea e della Battilana Ambra, possano essere state indotte all'attuazione di condotte di meretricio". (Fonte: Ansa) 13 aprile 2011
L'intercettazione depositata tra gli atti di uno dei filoni d'inchiesta sul caso Ruby Fede: "Chiara è troppo timida, lasciala" La telefonata del direttore del Tg4 ad Ambra: la tua amica non va bene "per fare quel che bisogna fare" * NOTIZIE CORRELATE * Feste di Arcore, spuntano due nuove testimoni (13 aprile 2011) L'intercettazione depositata tra gli atti di uno dei filoni d'inchiesta sul caso Ruby Fede: "Chiara è troppo timida, lasciala" La telefonata del direttore del Tg4 ad Ambra: la tua amica non va bene "per fare quel che bisogna fare" Emilio Fede, direttore del Tg4 (Ansa) Emilio Fede, direttore del Tg4 (Ansa) MILANO - "Chiara mi sembra di un altro mondo lasciala perdere". Emilio Fede, al telefono con Ambra Battilana, il 24 agosto scorso, dopo la serata ad Arcore a cui hanno partecipato la stessa giovane e la sua amica Chiara Danese, e al centro delle nuove testimonianze rese lunedì scorso ai pm milanesi, commenta l'atteggiamento della Danese "troppo" timida "per fare quello che c'è bisogno di fare". È quanto si legge in una intercettazione depositata tra gli atti del filone d'inchiesta che vede indagati il direttore del Tg4, Lele Mora e Nicole Minetti. TROPPO TIMIDA - Fede e la ex miss Piemonte, due giorni dopo la festa a Villa San Martino del 22 agosto scorso, commentano al cellulare. Fede: "Chiamami eh? perchè almeno con te si parla". Ambra: "Eh lo so". Fede: "Chiara mi sembra di un altro mondo lasciala perdere". Ambra: "Eh ma è molto timida". E il direttore: "Eh, troppo, troppo... Troppo per fare quello che c'è bisogno di fare ... capito?". Ambra: "E' vero è vero bisogna vedere un po' la situazione... perchè è piccoli... (si interrompe)". Fede: "Allora chiamami va bene?". E la Battilana: "cioè ha la mia età... ok perfetto, ciao, ciao". GIOVANE ETA' - Secondo gli investigatori, Fede "fiuta l'attaccabilità della ragazza, consistente nella sua giovane età e nella sua scarsa capacità di 'adattamento' a contesti evidentemente suscettibili di arrecare turbamento a soggetti non avvezzi e ne accenna (...) ad Ambra (giungendo finanche a definirla 'pericolosa')". Come scrivono gli inquirenti inoltre, "appare altamente probabile, in ciò considerando il complesso degli elementi sinora acquisisti e la consistenza della piattaforma indiziaria, che le figure della Danese Chiara Andrea e della Battilana Ambra, possano essere state indotte all'attuazione di condotte di meretricio". (Fonte: Ansa) 13 aprile 2011
2011-04-12 Il presidente dei deputati del Pdl: "Non sarà un 25 luglio, ma nella vita non si può mai dire" Il processo breve torna in Aula Cicchitto: "Non temiamo imboscate" Martedì l'esame, mercoledì il voto. Fini: "Se la legge è uguale per tutti, lo sia davvero" Il presidente dei deputati del Pdl: "Non sarà un 25 luglio, ma nella vita non si può mai dire" Il processo breve torna in Aula Cicchitto: "Non temiamo imboscate" Martedì l'esame, mercoledì il voto. Fini: "Se la legge è uguale per tutti, lo sia davvero" Gianfranco Fini Gianfranco Fini MILANO - L'appuntamento è fissato per martedì alle 15: in Aula riprende l'esame del processo breve e la votazione finale è fissata per l'indomani. Il Pdl non teme "brutte sorprese", come spiega Fabrizio Cicchitto. "Nella vita - ammette il presidente dei deputati - non si può mai dire, però, secondo me, ci stanno tutti i termini per un voto positivo da parte della maggioranza. Mi sembra che ci sia una tendenza al romanzo storico". Il partito del premier Silvio Berlusconi dunque non ha paura di ipotetiche imboscate. "Quella del 25 luglio - taglia corto Cicchitto - è una bella battuta, ma non mi sembra che ci sia un Consiglio nazionale alle porte". Il presidente del gruppo ha anche scritto una lettera a tutti i suoi deputati: "È indispensabile affrontare i prossimi giorni con coesione politica e attenzione, ma anche con pazienza e serenità, senza cadere nelle provocazioni che facilmente possono emergere nell'ambito di un dibattito così lungo su un provvedimento sul quale si registra un alto livello di contrapposizione politica". "SARA' UN VIETNAM PARLAMENTARE" - L'opposizione resta sul piede di guerra, con L'Italia dei valori che mette in guardia la maggioranza: "Sarà un Vietnam parlamentare senza sconti. Faremo tutto ciò che è democraticamente consentito per impedire la più grossa amnistia della storia repubblicana" annuncia il portavoce dei dipietristi Leoluca Orlando, spiegando che il partito di Antonio Di Pietro parteciperà mercoledì in piazza Montecitorio al sit in di protesta contro il processo breve promosso dai familiari delle vittime di Viareggio e del crollo della Casa dello studente a L'Aquila. "DIBATTITO NEL RISPETTO DEL REGOLAMENTO" - Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, assicura dal canto suo che il dibattito a Montecitorio si sta svolgendo e si svolgerà nel rispetto del regolamento. "Stiamo discutendo di prescrizione breve e non di altro perché c'è una maggioranza e c'è un regolamento parlamentare. Quest'ultimo devo rispettarlo pur avendo una mia idea personale" spiega rispondendo alle domande di alcuni studenti dell'istituto superiore agrario di Marsala (Trapani). "Ci sono forze di opposizione che non discuterebbero del processo breve ma di altro" aggiunge. "In Italia - ci tiene a precisare Fini - è rarissimo che si parli di ciò che unisce, la politica è un derby: è sempre colpa degli altri quando si perde. La politica non può essere uno scontro perenne tra fazioni ma deve avere dei principi unificanti, ovvero quelli della Costituzione. Intendo dire che se la legge è uguale per tutti - è la conclusione del leader Fli -, la legge deve essere uguale per tutti per davvero. Io sono il presidente della Camera, ma ho anche una mia idea politica". Redazione online 11 aprile 2011
2011-04-11 Il presidente dei deputati del Pdl: "Non sarà un 25 luglio, ma nella vita non si può mai dire" Il processo breve torna in Aula Cicchitto: "Non temiamo imboscate" Martedì l'esame, mercoledì il voto. Fini: "Se la legge è uguale per tutti, lo sia davvero" Il presidente dei deputati del Pdl: "Non sarà un 25 luglio, ma nella vita non si può mai dire" Il processo breve torna in Aula Cicchitto: "Non temiamo imboscate" Martedì l'esame, mercoledì il voto. Fini: "Se la legge è uguale per tutti, lo sia davvero" Gianfranco Fini Gianfranco Fini MILANO - L'appuntamento è fissato per martedì alle 15: in Aula riprende l'esame del processo breve e la votazione finale è fissata per l'indomani. Il Pdl non teme "brutte sorprese", come spiega Fabrizio Cicchitto. "Nella vita - ammette il presidente dei deputati - non si può mai dire, però, secondo me, ci stanno tutti i termini per un voto positivo da parte della maggioranza. Mi sembra che ci sia una tendenza al romanzo storico". Il partito del premier Silvio Berlusconi dunque non ha paura di ipotetiche imboscate. "Quella del 25 luglio - taglia corto Cicchitto - è una bella battuta, ma non mi sembra che ci sia un Consiglio nazionale alle porte". L'opposizione resta sul piede di guerra, con L'Italia dei valori che mette in guardia la maggioranza: "Sarà un Vietnam parlamentare senza sconti. Faremo tutto ciò che è democraticamente consentito per impedire la più grossa amnistia della storia repubblicana" annuncia il portavoce dei dipietristi Leoluca Orlando, spiegando che il partito di Antonio Di Pietro parteciperà mercoledì in piazza Montecitorio al sit in di protesta contro il processo breve promosso dai familiari delle vittime di Viareggio e del crollo della Casa dello studente a L'Aquila. "DIBATTITO NEL RISPETTO DEL REGOLAMENTO" - Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, assicura dal canto suo che il dibattito a Montecitorio si sta svolgendo e si svolgerà nel rispetto del regolamento. "Stiamo discutendo di prescrizione breve e non di altro perché c'è una maggioranza e c'è un regolamento parlamentare. Quest'ultimo devo rispettarlo pur avendo una mia idea personale" spiega rispondendo alle domande di alcuni studenti dell'istituto superiore agrario di Marsala (Trapani). "Ci sono forze di opposizione che non discuterebbero del processo breve ma di altro" aggiunge. "In Italia - ci tiene a precisare Fini - è rarissimo che si parli di ciò che unisce, la politica è un derby: è sempre colpa degli altri quando si perde. La politica non può essere uno scontro perenne tra fazioni ma deve avere dei principi unificanti, ovvero quelli della Costituzione. Intendo dire che se la legge è uguale per tutti - è la conclusione del leader Fli -, la legge deve essere uguale per tutti per davvero. Io sono il presidente della Camera, ma ho anche una mia idea politica". Redazione online 11 aprile 2011
2011-04-08 Il crac - I termini scadono, la sentenza attesa per il 18 aprile servirà a pochi danneggiati L'ultima beffa del caso Parmalat La prescrizione blocca i risarcimenti Processo ai banchieri per aggiotaggio, a rischio 80 mila risparmiatori Il crac - I termini scadono, la sentenza attesa per il 18 aprile servirà a pochi danneggiati L'ultima beffa del caso Parmalat La prescrizione blocca i risarcimenti Processo ai banchieri per aggiotaggio, a rischio 80 mila risparmiatori Calisto Tanzi Calisto Tanzi MILANO - Dicembre del 2003: dopo un rocambolesco e ancora oscuro viaggio di Calisto Tanzi in Ecuador per la Parmalat non ci sono più speranze. Per il manager scattano le manette. Per la multinazionale si arriva allo spaventoso crac da 14 miliardi e si apre il paracadute della Marzano Bis, l'amministrazione straordinaria. Per oltre 120 mila obbligazionisti del re del latte Uht e delle carte false inizia una dolorosa Via Crucis. Aprile del 2011, il 18 per l'esattezza, tra pochissimi giorni: le banche potrebbero non pagare e per 80 mila di quei risparmiatori si potrebbe chiudere l'ultima finestra per sperare nei rimborsi. La questione è complessa: il 18 è attesa la sentenza di primo grado nel processo per aggiotaggio presso il Tribunale di Milano contro le banche Citigroup, Bank of America, Deutsche Bank e Morgan Stanley e i cinque manager degli istituti esteri. Le date sono importanti: perché nel caso di aggiotaggio la prescrizione del reato per le persone fisiche scatta dopo sette anni e mezzo. Cioè tra poche settimane. Dunque c'è il rischio di una beffa per chi seguiva il processo speranzoso sulla strade della giustizia. La verità è che per i manager che - secondo l'accusa sostenuta dai magistrati Eugenio Fusco, Carlo Nocerino e Francesco Greco - sono coinvolti nelle vicende del crac, anche se si dovesse arrivare a una sentenza di colpevolezza di primo grado, seppure molto importante, sarebbe penalmente una vittoria di Pirro. Con l'appello, per Carlo Pagliani, Paolo Basso (Morgan Stanley), Marco Pracca, Tommaso Zibordi (Deutsche Bank) e Paolo Botta (di Citi) scatterebbe senz'altro la prescrizione del reato. Il punto è che l'aggiotaggio è un reato puntuale: se c'è stato deve essere stato compiuto un giorno preciso. Sull'argomento c'è un'ampia manualistica. E inoltre con le nuove norme non sarebbe comunque possibile tentare di dimostrare che si tratterebbe di reiterazione del reato. Già la Chiaruttini nella sua famosa analisi all'inizio del primo processo aveva adombrato il rischio prescrizione. Non che i giudici non se ne siano resi conto: dallo scorso gennaio il processo ha subito un'accelerazione proprio per evitare il rischio di arrivare alla prescrizione addirittura prima della sentenza. Va detto onestamente che il processo principale, quello per le responsabilità del crac vero e proprio, è quello di Parma. Un avvocato di una delle banche considera l'appuntamento milanese una "scheggia". Anche perché la stessa persona sottolinea come la maggior parte dei risparmiatori che si sono costituiti parte civile nel processo (32 mila rappresentati dall'avvocato Carlo Federico Grosso e circa 8 mila rappresentati dalle associazioni dei consumatori) abbiano già sottoscritto degli accordi con le banche nel processo. Ma sembra un punto di vista di parte. Perché da un punto di vista mediatico e di partecipazione emotiva, al processo sono in molti che attendono di vedere cosa succederà agli istituti di credito tra gli ex creditori di Tanzi. Basterebbe una passeggiata nella blogosfera. La posizione delle banche estere è comunque diversa perché in un'affollata aula del Tribunale meneghino, lo scorso gennaio, Fusco ha chiesto in base alla legge 231 - non aver predisposto delle strutture atte a evitare che i propri dipendenti si possano rendere responsabili di comportamenti contro il mercato - di procedere contro le banche confiscando parallelamente la cifra monstre di 120 milioni. Contro la 231 non c'è prescrizione. Ma in ogni caso la Cassazione ha già chiarito che non è possibile costituirsi parte civile contro le società per le responsabilità amministrative. Dunque, in soldoni, da un'eventuale sentenza di colpevolezza delle banche come persone giuridiche non arriverà nulla ai risparmiatori. L'unica speranza era la sentenza contro le persone fisiche che avrebbe permesso ai risparmiatori di chiedere di fronte al giudice civile il risarcimento del danno subito. Ma gli unici che potrebbero trarne vantaggio a questo punto sono 1.200 parti civili che non hanno firmato per vari motivi gli accordi con le banche. Per loro, in caso di sentenza favorevole, potrebbe aprirsi qualche spiraglio. Per tutti gli altri, se ancora hanno le azioni che hanno ricevuto sulla base del concordato in cambio dei Tanzi-bond, non resta che sperare in una ripresa del titolo Parmalat in Borsa nella contesa in corso tra Italia e Francia. Massimo Sideri 08 aprile 2011
2011-04-05 LA SCHEDA Come funziona il conflitto di attribuzione Se la Consulta dovesse riconoscere il ricorso fondato il giudizio penale verrebbe travolto * NOTIZIE CORRELATE * Fini a Porta a Porta"Sul caso Ruby non voto" (3 marzo 2011) * Caso Ruby, Fini vuole chiarimenti. "Si muova la giunta per il regolamento" (2 marzo 2011) * Conflitto di attribuzione: come funziona (1 marzo 2011) LA SCHEDA Come funziona il conflitto di attribuzione Se la Consulta dovesse riconoscere il ricorso fondato il giudizio penale verrebbe travolto (Imagoeconomica) (Imagoeconomica) MILANO - La Camera ha deciso con una maggioranza di 12 voti di sollevare davanti alla corte Costituzionale un conflitto di attribuzione nei confronti dei magistrati di Milano, nel tentativo di togliere loro il processo a Silvio Berlusconi per il caso Ruby, che si apre mercoledì. La maggioranza di centrodestra sostiene che uno dei due reati contestati al premier, la concussione, sia di natura ministeriale e, pertanto, l'inchiesta dovrebbe ricominciare quasi da zero davanti al tribunale dei Ministri, annullando buona parte degli atti compiuti finora dai pm e dal gup di Milano, che ha rinviato Berlusconi a giudizio immediato. Inoltre, di fronte ad un reato di natura ministeriale contestato ad uno dei membri del governo, il Parlamento potrebbe negare l'autorizzazione a procedere. La Camera chiede quindi alla Corte Costituzionale di avallare questa tesi. L'ACCUSA - L'accusa dice che Berlusconi abbia avuto rapporti sessuali a pagamento con la giovane marocchina Karima el Mahroug, detta Ruby, lo scorso anno, quando era minorenne, e che abbia cercato illegittimamente di ottenerne il rilascio dalla questura di Milano, dove era stata fermata per furto, con l'obiettivo di occultare la sua relazione con la ragazza. La maggioranza alla Camera si è schierata con la tesi che la presunta concussione fosse "ministeriale", perché telefonando in questura, il premier avrebbe agito nell'esercizio delle sue funzioni di premier; infatti, pensava che la ragazza fosse la nipote dell'ex presidente egiziano Hosni Mubarak - una tesi considerata ridicola dall'opposizione. Il tribunale di Milano ha detto di non sentirsi vincolato alle tesi della Camera e che il processo andrà avanti. La Corte costituzionale dovrebbe decidere nei prossimi mesi se accogliere il ricorso ed eventualmente poi decidere nel merito entro un anno dalla sollevazione del conflitto. Ma come funziona il conflitto? LA LEGGE - La legge costituzionale 1 del 1989 attribuisce alla Camera il potere di dare l'autorizzazione a procedere di fronte a reati ministeriali, commessi da ministri e presidente del Consiglio, secondo quanto disciplinato dall'articolo 96 della Costituzione. Nel caso in cui, dunque, la Camera ritenesse lesa questa sua prerogativa, la Camera può sollevare il conflitto di attribuzione tra poteri davanti alla Corte Costituzionale. I passaggi parlamentari previsti chiamano rispettivamente in causa Ufficio di presidenza, Giunta per le autorizzazioni e quindi voto dell'assemblea. Sul caso Ruby che vede il presidente del Consiglio a processo mercoledì, si è dunque aperta la prospettiva di un conflitto davanti alla Corte Costituzionale, paventata fin dall'inizio dal Pdl, posta la competenza del Tribunale dei ministri "rivendicata" da subito da parte della maggioranza, che in tal modo si era già espressa negando l'autorizzazione alla perquisizione chiesta dai pm di Milano. I TEMPI - Ad ogni modo, non si sospende da subito il procedimento ormai avviato davanti ai magistrati. L'ipotesi di sospensiva del procedimento, infatti, nella legge del 1953 che regola il funzionamento della Corte Costituzionale, viene disciplinata dall'articoli 35 e 40 e riguarda il giudizio di legittimità costituzionale delle leggi sollevato in via principale ed il conflitto fra enti e non fra poteri dello Stato: "L'esecuzione degli atti che hanno dato luogo al conflitto di attribuzione fra Stato e Regione ovvero fra Regioni - si legge nell'articolo 40 - può essere in pendenza del giudizio, sospesa per gravi ragioni, con ordinanza motivata, dalla Corte". LE FASI - Sollevato il conflitto di attribuzione, il giudizio della Consulta si articola invece in due fasi. In una prima fase i giudici costituzionali sono chiamati a conoscere il ricorso del ricorrente, in camera di consiglio e senza contraddittorio. Se giudicano ammissibile il ricorso, la Corte dispone la notificazione alle parti che ha individuato e dà un termine al ricorrente perché ridepositi il ricorso notificato. Per le notifiche in genere il termine è di 60 giorni, 30 o 15 in alcuni casi più urgenti. La Corte dà quindi un termine giorni anche alla parte resistente per decidere di costituirsi in giudizio. Dal momento, dunque dell'eventuale dichiarazione di ammissibilità passerebbero alcuni mesi per giungere alla trattazione nel merito del conflitto sollevato. GLI EFFETTI - Se la Consulta dovesse riconoscere il ricorso fondato, il giudizio penale verrebbe travolto e il procedimento ripartirebbe secondo la legge costituzionale, che prevede l'autorizzazione a procedere in caso di reato ministeriale Redazione online 05 aprile 2011
in piazza pd e popolo viola. Di Pietro: "Le proteste potrebbero trasformarsi in rivolta" Caso Ruby, la maggioranza tiene L'Aula approva la richiesta di sollevare il conflitto di attribuzione contro i magistrati di Milano * NOTIZIE CORRELATE * Prescrizione breve, il governo va sotto. Fini colpito, Alfano litiga con Di Pietro (31 marzo 2011) in piazza pd e popolo viola. Di Pietro: "Le proteste potrebbero trasformarsi in rivolta" Caso Ruby, la maggioranza tiene L'Aula approva la richiesta di sollevare il conflitto di attribuzione contro i magistrati di Milano MILANO - Sul caso Ruby la maggioranza tiene. La Camera ha infatti approvato, con dodici voti di scarto, la richiesta avanzata dal Pdl di sollevare davanti alla Corte Costituzionale un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. L'obiettivo è quello di trasferire il processo al Tribunale dei ministri, dal momento che uno dei reati contestati al premier Silvio Berlusconi, la concussione sarebbe di natura ministeriale (l'altro reato è prostituzione minorile). PROCESSO BREVE E OSTRUZIONISMO - Dopo la votazione sul caso Ruby e una piccola interruzione, la seduta è ricominciata con l'esame della proposte di legge sul sostegno e la valorizzazione dei piccoli Comuni. L'Italia dei Valori ha iniziato un'azione ostruzionistica per far slittare il più avanti possibile l'inizio dell'esame del testo sul processo breve. I deputati di dipietristi hanno fatto interventi a raffica sugli emendamenti al testo. LA VOTAZIONE - Per la votazione sul caso Ruby, i banchi del governo erano al gran completo. Presenti tutti i ministri, tranne il presidente del Consiglio: nella poltrona da lui abitualmente occupata si è seduta Michela Vittoria Brambilla, tra Umberto Bossi e Franco Frattini. I banchi erano tanto pieni che Ignazio La Russa e Giorgia Meloni non hanno trovato posto e hanno dovuto accomodarsi sui banchi dei deputati. Con la maggioranza hanno votato anche i deputati liberaldemocratici Daniela Melchiorre e Italo Tanoni. I NUMERI - Sui numeri in Aula è però bagarre. Il capogruppo Pd Dario Franceschini ha apostrofato la votazione come "un'altra pagina davvero vergognosa", mettendo poi l'accento sui dodic voti di vantaggio della maggioranza. "I 330 Berlusconi se li è sognati di notte. Sono arrivati a 314: i 330 sono un miraggio del premier e come tutti gli altri si allontana", ha detto Franceschini. "Dodici voti di maggioranza bastano" ha tagliato corto il leader della Lega Umberto Bossi. E anche il coordinatore del Pdl, Denis Verdini, ha mostrato soddisfazione per l'esito del voto alla Camera. "La maggioranza cresce e continuerà a crescere" ha detto. Secondo i calcoli fatti nel Pdl, infatti, con i due nuovi "ingressi" (Melchiorre e Tanoni), i voti a favore del governo dovrebbero essere 323: in realtà, però, si continua a conteggiare tra le fila della maggioranza Antonio Gaglione, che, sempre assente nelle ultime votazioni, non si è mai schierato ufficialmente a favore del governo. Quanto al voto su Ruby, sempre secondo fonti Pdl, alla maggioranza sarebbero mancati i voti di 7 assenti. IN PIAZZA PD E POPOLO VIOLA - In concomitanza con l'inizio dei lavori alla Camera ha preso il via il presidio organizzato da Popolo Viola e Articolo 21 contro il disegno di legge del governo sulla giustizia e in particolare contro il processo breve che sarà in discussione alla Camera. Piazza Montecitorio è blindata e un centinaio di persone manifesta dietro le transenne a una cinquantina di metri dall'ingresso principale di Montecitorio. Il Pd ha deciso di organizzare una propria manifestazione al Pantheon, a partire dalle ore 18, alla quale parteciperà il segretario Pier Luigi Bersani. BERLUSCONI - Assente a Montecitorio il premier ha riunito a Palazzo Grazioli i capigruppo della maggioranza, prima della votazione in Aula. "Contro di me è in atto un vero brigatismo giudiziario", avrebbe detto Berlusconi commentando la pubblicazione delle intercettazioni a suo carico contenute negli atti di accusa dei pm nel processo Ruby. "Ve lo ripeto ancora una volta - avrebbe aggiunto il presidente del Consiglio - io non ho fatto nulla". DI PIETRO - A Montecitorio erano arrivati alla spicciolata prima del voto i deputati, con Antonio Di Pietro che si è fermato a parlare con la gente in piazza. "Prima che si passi dalla manifestazione alla rivolta vera e propria - ha detto il leader Idv -, invito i cittadini a dare seguito a un referendum politico che metta con le spalle al muro il presidente del Consiglio e indichi, al presidente della Repubblica, la dicotomia ormai esistente tra una maggioranza numerica in parlamento e una maggioranza politica che non c'è più". Redazione online 05 aprile 2011
POLITICA E MAGISTRATURA Montecitorio blindata: il popolo viola contro il conflitto di attribuzione L'aula approva il provvedimento sul caso Ruby. Fuori, mobilitazione delle opposizioni. Alle 18 Bersani al Pantheon, dalle 20 "notte bianca per la democrazia" * NOTIZIE CORRELATE * Caso Ruby, la maggioranza tiene per 12 voti * "Vaffa" a Fini, censura per la La Russa "Troppo poco" POLITICA E MAGISTRATURA Montecitorio blindata: il popolo viola contro il conflitto di attribuzione L'aula approva il provvedimento sul caso Ruby. Fuori, mobilitazione delle opposizioni. Alle 18 Bersani al Pantheon, dalle 20 "notte bianca per la democrazia" La protesta viola a Montecitorio (Eidon) La protesta viola a Montecitorio (Eidon) ROMA - "Blindata". Mentre in parlamento si discuteva il caso Ruby, piazza Montecitorio era già sorvegliata speciale. Tesserini e documenti chiesti anche ai parlamentari che entravano in aula, in uno dei giorni più "caldi" delle settimane in cui si discute di giustizia e conflitti di attribuzione con la magistratura in merito al rinvio a giudizio del premier Berlusconi. Dopo la bagarre di mercoledì scorso e le accuse del ministro la Russa, "il popolo viola" è in sit in da giorni. Il gruppo è stato definito da esponenti Pdl "intimidatorio, offensivo, violento" e le polemiche erano già calde prima di cominciare la discussione nel transatlantico. SMS E FAX POI IL VOTO - Fin dalla mattina la maggioranza aveva attivato una mobilitazione: sms e fax inviati a tutti i parlamentari per far approvare la mozione sul conflitto di attribuzione, che alla fine è passata per 12 voti di vantaggio. All'ordine del giorno, oltre al il voto sul caso Ruby, l'ipotesi ventilata dalla maggioranza di votare già in settimana il processo breve che contiene la prescrizione "più corta" per gli incensurati. La protesta Pd (Eidon) La protesta Pd (Eidon) TRICOLORE DI 60 METRI - A manifestare in piazza Montecitorio insieme al popolo viola ci sono le opposizioni, dall'Idv al Pd, a Rifondazione a Futuro e Libertà. Mentre in aula si dibatteva, i viola hanno srotolato in piazza un tricolore lungo circa 60 metri, lo stesso utilizzato nella firmata della Costituzione. Tra gli slogan gridati in piazza "Silvio Berlusconi deve morire". Antonio Di Pietro che si è unito alla folla, mentre in mattinata aveva usato toni accesi dicendo che "le proteste potrebbero trasformarsi in rivolta", ha stemperato le parole invitando ad andare a votare il referendum del 12 e 13 giugno sul legittimo impedimento: "per far capire a Berlusconi che la maggioranza degli italiani sulla giustizia non è con lui". LA GIORNATA DI PROTESTE - Nel programma dei "viola" si andrà avanti con altre manifestazioni nella "notte bianca per la democrazia" a partire dalle 20 (fino alle 24) in piazza Santi Apostoli. Il Pd, inoltre, manifesterà alle 18 a poche centinaia di metri da Montecitorio, a piazza del Pantheon. Redazione online 05 aprile 2011
il presidente della repubblica riceve i vertici dell'anm. E attende il testo della riforma Napolitano alle toghe: "Autonomia inderogabile" "Confronto senza pregiudiziali sulla riforma, ma sia rispettata la divisione dei poteri dello Stato" il presidente della repubblica riceve i vertici dell'anm. E attende il testo della riforma Napolitano alle toghe: "Autonomia inderogabile" "Confronto senza pregiudiziali sulla riforma, ma sia rispettata la divisione dei poteri dello Stato" Il capo dello Stato Il capo dello Stato MILANO - "Ci sentiamo rinfrancati". Sono soddisfatti i vertici dell'Associazione nazionale dei magistrati al termine dell'incontro con Giorgio Napolitano, nel corso del quale il sindacato delle toghe ha espresso le sue preoccupazioni sulla riforma della giustizia annunciata dal governo Berlusconi. Il capo dello Stato, è spiegato in una nota diffusa dal Quirinale dopo l'incontro, ha ribadito la convinzione che "l'autonomia e l'indipendenza della magistratura costituiscono principi inderogabili in rapporto a quella divisione tra i poteri che è parte essenziale dello Stato di diritto". Auspicando un "più sereno clima istituzionale", Napolitano ha anche affrontato più specificatamente il tema della riforma della giustizia, sottolineando la necessità di un "confronto senza pregiudiziali" tra tutte le forze politiche e culturali e in particolare tra tutte le componenti del mondo della giustizia. POTERI E GARANZIE - Per Napolitano è fondamentale che la riforma della giustizia rispetti poteri e garanzie. Il capo dello Stato "ha riaffermato la legittimità di interventi di revisione di norme della seconda parte della Costituzione che possano condurre a una rimodulazione degli equilibri tra le istituzioni quali furono disegnati nella Carta del 1948". Ma questa rimodulazione, si legge in un passaggio del messaggio del Quirinale, "in tanto può risultare convincente in quanto comunque rispettosa della distinzione tra i poteri e delle funzioni di garanzia". BOSSI: "E' GIUSTO" - Un richiamo, quello di Napolitano, che trova la condivisione del leader della Lega Nord, Umberto Bossi. "È giusto" ha detto il Senatùr ai giornalisti che alla Camera gli chiedevano un giudizio sull'appello del presidente della Repubblica al rispetto della divisione e dell'equilibrio dei poteri. IL TESTO NON ANCORA AL COLLE - Nella nota del Quirinale è anche detto per inciso che il testo del disegno di legge costituzionale in tema di riforma della giustizia approvato l'11 marzo 2011 dal Consiglio dei ministri non è stato ancora trasmesso al capo dello Stato per la presentazione alle Camere. A stretto giro, arriva la risposta da fonti del ministero della Giustizia secondo le quali il testo è stato inviato lunedì sera a Palazzo Chigi seguendo la procedura ordinaria e sarà entro oggi nella disponibilità del Presidente della Repubblica. Il ddl, varato nel corso della riunione del consiglio dei ministri del 10 marzo scorso, è stato quindi licenziato martedì mattina da Palazzo Chigi con la sua relazione di accompagnamento e - sottolineano le stesse fonti - inviato al Quirinale, dove sta seguendo il regolare iter. "GRANDE ATTENZIONE" - "Abbiamo colto una grande attenzione da parte del capo dello Stato" hanno detto i leader del sindacato delle toghe che all'inquilino del Quirinale hanno espresso tutte le loro preoccupazioni "sia in riferimento all'annunciata riforma costituzionale della giustizia, che in riferimento ai progetti di legge ordinaria come per la responsabilità civile dei giudici e la prescrizione breve". Quello che le toghe temono principalmente è che i principi dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura possano risultare "fortemente alterati" nel caso in cui si dovesse approvare la riforma costituzionale della giustizia". Una preoccupazione che i magistrati hanno espresso a Napolitano nel corso dell'incontro. "Da parte nostra - ha spiegato il presidente dell'Anm, Luca Palamara parlando con i giornalisti alla fine della riunione - non c'è una chiusura corporativa ma la volontà di mantenere fermi questi principi che sono capisaldi dello stato di diritto e che sono a garanzia dei cittadini". LA PROTESTA - Quanto all'ipotesi di uno sciopero delle toghe contro le riforme della giustizia alle quali lavora il governo Berlusconi, Palamara ha spiegato che "la magistratura non vuole essere trascinata sul terreno dello scontro. Stiamo seguendo - ha detto Palamara - un percorso istituzionale presentando le nostre posizioni ai principali organi istituzionali. E per le nostre decisioni ci sono sedi prestabilite, cioè il Comitato direttivo centrale a cui riferiremo l'esito degli incontri". Redazione online 05 aprile 2011
2011-04-03 il premier è intervenuto via telefono all'assemblea di "Rete Italia" a Riva del Garda Berlusconi: "Noi impotenti di fronte al potere pervasivo dei giudici" Il premier: "Avanti così con la nuova maggioranza. Domani sarò a Tunisi" il premier è intervenuto via telefono all'assemblea di "Rete Italia" a Riva del Garda Berlusconi: "Noi impotenti di fronte al potere pervasivo dei giudici" Il premier: "Avanti così con la nuova maggioranza. Domani sarò a Tunisi" (Fotogramma) (Fotogramma) RIVA DEL GARDA (Trento) - " Oggi in Italia la politica è debole, a volte impotente. Noi siamo diventati dei capri espiatori, dei parafulmini della società. I poteri che contano, dall'economia alla finanza a quello pervasivo della giustizia, che in Italia è diventato un vero e proprio contropotere. Ma non gode della legittimità popolare". Così il premier Silvio Berlusconi, intervenendo via telefono all'assemblea di "Rete Italia" a Riva del Garda, associazione vicina al presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni. "Ecco perché sono necessarie le riforme - aggiunge il premier - a partire dalla giustizia per garantire un corretto equilibrio tra i poteri dello Stato". RIVOLUZIONE - "Potremmo completare la rivoluzione necessaria per garantire un futuro di libertà e giustizia al paese" ha sottolineato il presidente del Consiglio alla platea. "Andiamo avanti con la nuova maggioranza", ha aggiunto spiegando che "sono finiti i veti di Fini e Casini" e quindi è possibile "il varo della riforma dell'architettura istituzionale, della giustizia e delle tasse". "In due anni - ha concluso - riusciremo a modernizzare il paese". "La politica non può vivere senza fede, ideali profondi. E non può sussistere se questa non si trasforma in competenze" ha spiegato citando Paolo VI e don Luigi Giussani. LAMPEDUSA - Entro domenica sera a Lampedusa dovrebbero rimanere 2.500 immigrati, grazie agli "ultimi imbarchi"ha detto poi parlando del problema immigrazione. Berlusconi ha ricordato le "condizioni del mare che hanno reso impossibile l'imbarco" degli immigrati per alcuni giorni: "Andrò a Tunisi a vedere se un governo non forte e non eletto riuscirà a imporsi e evitare nuove partenze". FORMIGONI - Dopo che Nichi Vendola ha definito la Lombardia come la regione più mafiosa d'Italia, il presidente della Regione, Roberto Formigoni, ha incassato la solidarietà del premier Silvio Berlusconi. "È una cosa paradossale che ti diano del mafioso - ha osservato -. È quasi normale se penso a quello che dicono di me". Berlusconi ha sottolineato che la Lombardia è la "regione meglio amministrata dell'Italia, ha la sanità migliore ed è il nostro fiore all'occhiello in Europa". E poi ha rivendicato il fatto che è stato trovato il "miglior modo" per battere la 'ndrangheta "con la confisca dei beni, il carcere duro e in Lombardia con un'amministrazione trasparente e con i conti a posto". Redazione online 03 aprile 2011
il premier: "completeremo la legislatura siamo vicini a 330 deputati" Alfano: "Faremo passare la riforma della giustizia nelle piazze" L'opposizione si ribella, lui replica: "Non si può strumentalizzare tutto e sempre" il premier: "completeremo la legislatura siamo vicini a 330 deputati" Alfano: "Faremo passare la riforma della giustizia nelle piazze" L'opposizione si ribella, lui replica: "Non si può strumentalizzare tutto e sempre" MILANO - "Ci batteremo per far passare la riforma della giustizia nelle piazze". Il ministro Angelino Alfano parla di giustizia al convegno di Rete Italia a Riva del Garda: "Sarà necessario l'impegno di un grande partito come il nostro, guidato da Berlusconi". Immediate le reazioni di alcuni esponenti dell'opposizione. Il pd Andrea Orlando: "Evidentemente al ministro Alfano non giova la frequentazione con il suo collega La Russa. Così oggi si produce in un equivoco richiamo alla piazza". E un altro Orlando (Leoluca) dell'Italia dei valori: "È chiaro che con questa riforma vogliono punire i magistrati, come ha minacciato di fare Berlusconi, ed eliminare la loro autonomia sancita dalla Costituzione. Alfano stia sicuro che saranno i cittadini a scendere in piazza, ma lo faranno per mandare a casa lui e i suoi colleghi di questo indegno governo". CONTROREPLICA - "Ma dai, non si può strumentalizzare tutto e sempre": così ha ribattuto Alfano. "È chiaro che faremo assemblea di partiti, comizi e trasmissioni televisive - dice il ministro -. Mi pare questa la forma più alta della democrazia; o forse vogliono metterci il bavaglio senza farci parlare della riforma costituzionale della giustizia?". Pier Luigi Bersani (Scudieri) Pier Luigi Bersani (Scudieri) BERSANI - Riforma sulla cui possibilità di realizzazione hamolti dubbi il segretario del Pd Pier Luigi Bersani che, al termine del seminario dei Democratici sul partito, è tornato a ipotizzare un prossimo approdo alle urne. "Berlusconi potrà comprare uno o due parlamentari", ha detto Bersani, "ma tutti vedono che non c'è il governo, da mesi non fanno nulla. Berlusconi confonde la governabilità con la sua sopravvivenza. Qualsiasi cosa è meglio di questa situazione, compreso il voto anticipato". IPOTESI ELETTORALE - Rispetto a chi anche nel Pd, come Walter Veltroni ipotizza soluzioni diverse dal voto anticipato come il governo di transizione, Bersani sostiene che "non siamo preclusi a niente". "Noto solo che dopo la nostra proposta di governo di transizione - sostiene Bersani - sono arrivati i responsabili che hanno in mano la situazione. Per questo, per non stare dove siamo l'ipotesi è solo quella delle elezioni anticipate che sono meglio di questa situazione". AMMINISTRATIVE - Bersani è poi intervenuto sulla questione delle elezioni amministrative "Siccome c'è da vincere, si vincerà con più gusto. È da un po' che lo dico che si vince a Milano: l'ho detto dal primo momento e lo confermo. E aggiungo che vinceremo con più gusto". Berlusconi si dice convinto di arrivare a quota 330 deputati, replica : "Potrà comprarne uno o due, ma tutti vediamo che non c'è un governo. Da mesi non combinano nulla. Berlusconi confonde la governabilità con la sua sopravvivenza". BERLUSCONI - In precedenza infatti il premier si era detto sicuro di arrivare in breve tempo a quota 330 deputati " "Completeremo la legislatura. È ormai un fatto acquisito che siamo vicini al traguardo dei 330 deputati e la maggioranza è in grado di approvare le riforme che abbiamo in programma. In Parlamento bisogna trovare il modo di andare avanti: l'opposizione può dire quello che vuole, cioè menzogne e falsità, ma non dobbiamo dare loro importanza, non dobbiamo cadere in provocazioni". Il premier si era detto anche sicuro che il centrodestra vincerà le prossime amministrative: "Vinceremo anche le prossime amministrative" averva sottolineato Berlusconi. Redazione online 02 aprile 2011(ultima modifica: 03 aprile 2011)
2011-04-01 La russa sarà sanzionato dall'ufficio di presidenza per gli insulti a Fini Prescrizione breve, il governo va sotto Fini colpito, Alfano litiga con Di Pietro Giornale lanciato verso il presidente della Camera. Il Pdl: "Si dimetta". Il Pd. "Indecorosi". Il testo slitta a martedì * NOTIZIE CORRELATE * Prescrizione breve, subito in discussione L'opposizione insorge, scontro a Montecitorio (30 marzo 2011) * Monetine contro il processo breve. In Aula finisce con scontro Fini -La Russa (30 marzo 2011) * Passa il voto che inverte l'ordine del giorno dei lavori a Montecitorio (22 marzo 2011) * Processo breve, depositato il nuovo testo Saranno segnalati i magistrati "lenti" (16 marzo 2011) La russa sarà sanzionato dall'ufficio di presidenza per gli insulti a Fini Prescrizione breve, il governo va sotto Fini colpito, Alfano litiga con Di Pietro Giornale lanciato verso il presidente della Camera. Il Pdl: "Si dimetta". Il Pd. "Indecorosi". Il testo slitta a martedì Il ministro La Russa durante il suo intervento di mercoledì alla Camera (Ansa) Il ministro La Russa durante il suo intervento di mercoledì alla Camera (Ansa) ROMA - Il giorno dopo la bagarre fuori e dentro Montecitorio, per la decisione della maggioranza di imporre un'inversione dell'ordine dei lavori anticipando la discussione sulla cosiddetta prescrizione breve, il testo che prevede la riduzione dei tempi di giudizio e di cui potrebbe beneficiare anche Silvio Berlusconi per il caso Mills - di qui le accuse di ennesima legge ad persona - è approdato in Aula per il dibattito. La maggioranza avrebbe voluto chiudere in fretta la questione, ma le tensione degli ultimi giorni e la nuova bagarre esplosa all'interno dell'emiciclo hanno indotto il Pdl a chiedere che la discussione del testo sia rinviata a martedì. Ma questo l'epilogo di una mattinata convulsa e ad altissima tensione. IL CASO LA RUSSA - L'inizio dei lavori era stato fissato per le dieci, per dare modo all'ufficio di presidenza della Camera di valutare l'episodio del battibecco tra Ignazio La Russa e il presidente Gianfranco Fini, preceduto dalle polemiche tra lo stesso La Russa e i rappresentanti dell'opposizione, che ha di fatto determinato l'interruzione della seduta e l'aggiornamento a oggi. E' stato proprio Fini a chiedere ai questori di esaminare "la genesi di quanto accaduto", in particolare per determinare se c'è stata oppure no una mancanza di rispetto da parte del ministro nei confronti della presidenza rappresentata da un "vaffa" espresso a gesti (e forse non solo a giudicare dal labiale) da La Russa. Una sanzione nei confronti del ministro viene data per scontata da molti, anche se non esistono precedenti del genere. Per questo motivo l'ufficio di presidenza ha rimandato ogni decisione nell'attesa che esprima un parere anche la Giunta per il regolamento, appositamente convocata per le 16. Il collegio dei questori della Camera ha comunque ritenuto di esprimere "ferma deplorazione" per il comportamento del ministro. Maggioranza sotto, nuova bagarre MALUMORI NEL PDL - La Russa, in ogni caso, ieri in serata, aveva telefonato a Fini per un chiarimento a voce e per esprimere le sue scuse, pur ritenendo di non avere commesso alcuno sgarbo verso la presidenza. Al di là di un intervento sanzionatorio formale nei suoi confronti, nei corridoi di Montecitorio la querelle con Fini e l'intervento "muscolare" con cui prendendo la parola dai banchi del governo aveva rivendicato il suo faccia-a-faccia con i manifestanti in piazza Colonna ("Figuriamoci se mi sono lasciato intimidire, sono andato loro incontro a testa alta mentre voi - rivolto all'opposizione, ndr - sareste scappati come conigli!") sono stati oggetto di critiche da una parte dei deputati del Pdl, in particolare da quelli che fanno capo all'ex ministro Claudio Scajola che hanno stigmatizzato pubblicamente il suo comportamento. Ancora oggi Scajola ha parlato di "spettacolo indegno" in riferimento a quanto accaduto mercoledì. Processo breve, bagarre in Aula Processo breve, bagarre in Aula Processo breve, bagarre in Aula Processo breve, bagarre in Aula Processo breve, bagarre in Aula Processo breve, bagarre in Aula Processo breve, bagarre in Aula Processo breve, bagarre in Aula VERBALE CONTESTATO - La discussione oggi avrebbe dovuto entrare nel vivo e per questo erano attese scintille. E alla fine sono arrivate. Anzi, all'inizio, già all'avvio della seduta con la mancata approvazione del processo verbale della seduta di mercoledì. Il no al resoconto della giornata è arrivato mediante voto elettronico. La cosa non è così usuale, perchè solitamente si approva senza troppi dibattiti e per alzata di mano. Ma le opposizioni, Pd, Udc e Idv, hanno contestato che nel processo verbale non ci fosse esplicito riferimento all'episodio che ha visto protagonista il ministro La Russa. La votazione ha visto un pareggio e dunque il processo è stato respinto. Diversi esponenti del governo erano arrivati di corsa per votare - e per questo era stato sospeso il Consiglio dei ministri in corso a Palazzo Chigi - ma i loro voti non sono comunque bastati. La seduta è poi stata sospesa e i capigruppo hanno deciso che riprenderà solo dopo che il verbale sarà integrato della parte mancante e, di conseguenza, sottoposto a nuova votazione. LA STIZZA DI ALFANO - Quanto accaduto, seppure su un aspetto secondario come l'approvazione di un verbale, dà il segno della tensione in corso. Va tra l'altro registrato il gesto di stizza del ministro della Giustizia, Angelino Alfano: alla chiusura del voto sul processo verbale Alfano, secondo quanto riferito dal leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, ha infatti gettato la sua tessera della Camera contro i banchi dell'Italia dei Valori. "È stato un gesto irresponsabile, immorale, illegittimo da parte del portantino di Berlusconi", ha detto Di Pietro davanti alle telecamere e mostrando tra le mani la tessera di Alfano. "Lo denuncerò al presidente della Camera" aggiunge l'ex pm stigmatizzando "lo spregio e il disprezzo del ministro nei confronti del Parlamento". Disprezzo tale che, conclude Di Pietro, "mi fa chiedere le immediate dimissioni del ministro". Esponenti della maggioranza hanno invece criticato Fini - e chiesto che sia lui a dimettersi - sia per avere concesso il voto sui verbali (ma il presidente ha fatto notare che era impossibile non farlo essendo stato chiesto da tutte le opposizioni) sia per non avere voluto attendere l'arrivo di altri ministri a dar manforte alla maggioranza. Quattro di loro, secondo la maggioranza, erano già in aula e quindi sarebbe bastata un'attesa di pochi altri minuti e per questo Pdl e Lega sono tornati invocare un nuovo presidente, considerando Fini non più "super partes". La deputata disabile: "Io, offesa" "SPETTACOLO INDECOROSO" - Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, ha fatto invece notare che "è stata una votazione lunghissima" e che "il Parlamento non può aspettare i comodi dei ministri" e Dario Franceschini ha parlato di "spettacolo indecoroso" da parte del governo che interrompe un consiglio dei ministri per consentire ai suoi esponenti di votare un verbale. Sulla stessa linea Futuro e Libertà: "In quale democrazia occidentale i ministri di un governo riunito lasciano precipitosamente la riunione per votare sul processo verbale della Camera di appartenenza in soccorso della maggioranza - si chiede il vicecapogruppo, Carmelo Briguglio -? Parliamo di ministri di un Paese impegnato in un'azione militare o meglio, se vogliamo usare un'immagine cruda ma che rende, ministri di un Paese in guerra a pochi chilometri dalle sue coste. Che spettacolo". GIORNALE IN TESTA A FINI - E non solo: a rimarcare il nervosismo della giornata c'è il fatto che il presidente della Camera è stato colpito alla testa da un giornale che gli è stato lanciato da un a deputata del Pdl mentre usciva dal'Aula della Camera dopo la bocciatura del processo verbale. Il giornale, hanno riferito i presenti, ha colpito il presidente della Camera, che poi, fuori dall'emiciclo, ha avuto uno scambio di battute con un altro deputato del Pdl, Pietro Franzoso. Fini sembra tuttavia aver completamente sorvolato sull'episodio, di certo non ne ha poi fatto cenno. LA DEPUTATA DISABILE - Altro episodio che rientra perfettamente nel clima di scontro che si respira a Montecitorio: la deputata del Pd, Ileana Argentin, disabile e in carrozzella, ha denunciato che un deputato si è avvicinato al proprio assistente "dicendogli che non deve permettersi di applaudire. Ma lei, signor presidente, sa che io non posso usare le mani. Se desidero applaudire lo faccio come credo e quando credo e se non lo posso fare con le mie mani lo faccio con le mani di chiunque". Dai banchi dell'opposizione si sono levate urla e grida di "vergogna, vergogna". Subito dopo il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha invitato il deputato che si era rivolto all'Argentin a chiedere scusa. Dai banchi della Lega si è alzato Massimo Polledri, che si è scusato, giustificandosi di "non aver capito". Il "vaffa" di La Russa ANCORA IN PIAZZA - Anche oggi ci saranno mobilitazioni del "popolo viola" all'esterno di Montecitorio, in concomitanza con la discussione del testo sul processo e della prescrizione breve. "Staremo lì fino a che il dibattito si svolgerà alla Camera - ha annunciato Gianfranco Mascia, uno dei coordinatori -. Poi ci sposteremo al Senato. In questo momento, decisivo per le regole democratiche del nostro Paese, è fondamentale che ciascuno faccia la sua parte". Non solo: è allo studio una mobilitazione nazionale che unisca partiti, movimenti e società civile che potrebbe essere convocata per il 16 aprile. Redazione Online 31 marzo 2011
2011-03-30 Passa il voto che inverte l'ordine del giorno dei lavori a Montecitorio. Discussione giovedì Prescrizione breve, subito in discussione L'opposizione insorge, scontro in Aula Tensione tra i banchi, parole grosse tra Fini e La Russa. Casini: "Vergogna". Il Pd insorge: "Sit-in di protesta" * NOTIZIE CORRELATE * Monetine contro il processo breve. In Aula finisce con scontro Fini -La Russa (30 marzo 2011) * Passa il voto che inverte l'ordine del giorno dei lavori a Montecitorio (22 marzo 2011) * Processo breve, depositato il nuovo testo Saranno segnalati i magistrati "lenti" (16 marzo 2011) Passa il voto che inverte l'ordine del giorno dei lavori a Montecitorio. Discussione giovedì Prescrizione breve, subito in discussione L'opposizione insorge, scontro in Aula Tensione tra i banchi, parole grosse tra Fini e La Russa. Casini: "Vergogna". Il Pd insorge: "Sit-in di protesta" Il momento della bagarre in aula e del battibecco tra Fini e La Russa (Ansa) Il momento della bagarre in aula e del battibecco tra Fini e La Russa (Ansa) ROMA - L'Aula della Camera ha dato il via libera alla richiesta della maggioranza di invertire l'ordine del giorno per discutere subito il ddl sul processo breve, che contiene la norma sulla prescrizione breve per gli incensurati. Se approvata in via definitiva la norma avrebbe un effetto quasi immediato sul processo Mills, dove Berlusconi è imputato in primo grado per corruzione in atti giudiziari. La prescrizione del reato dovrebbe intervenire tra gennaio e febbraio del 2012. La norma taglierebbe di circa otto mesi i tempi di prescrizione, per cui il processo potrebbe finire all'inizio dell'estate, sempre che non arrivi prima a sentenza. La discussione è stata in ogni caso rinviata a giovedì, dopo che in aula era scoppiata la bagarre, con tanto di battibecco e scambio di maleparole tra il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, e il presidente della Camera, Gianfranco Fini. Le agenzie di stampa parlano di un "vaffa" lanciato dal ministro all'indirizzo del numero uno di Montecitorio, ma la circostanza è stata in un secondo tempo smentita da La Russa, che ha poi ridimensionato tutto parlando non di un'accusa verbale ma di un semplice gesto con la mano indirizzato ad alcuni settori dell'Aula e non al suo presidente. DISCUSSIONE RINVIATA - Qualcosa, tuttavia, tra i due è successo: la seduta è infatti stata sospesa e alla ripresa sullo scranno più alto non sedeva più Fini ma il vicepresidente Antonio Leone il quale ha annunciato che il presidente della Camera ha chiesto ai questori di verificare "la genesi di quanto accaduto". Della questione si occuperà l'Ufficio di presidenza, convocato giovedì mattina alle 9. La seduta dell'aula è stata quindi definitivamente sospesa. L'esame del provvedimento sul processo breve riprenderà alle 10. Annuncio che è stato accolto da un applauso e un vero e proprio boato dai banchi dell'opposizione. In serata, poi, La Russa ha telefonato a Fini per scusarsi dopo gli incidenti in Aula. "Berlusconi si è comprato il salvacondotto" RIVOLTA DELL'OPPOSIZIONE - I deputati dell'opposizione avevano abbandonato la riunione del Comitato dei Nove della commissione Giustizia per protesta contro la decisione della maggioranza di "strozzare i tempi del dibattito sul testo". "Loro vogliono strozzare al massimo i tempi del dibattito su questo provvedimento - spiega il capogruppo del Pd in Commissione Giustizia della Camera Donatella Ferranti - perché vogliono votare al massimo entro giovedì il testo. Ma questo è un blitz inaccettabile e noi in Aula daremo battaglia". Il Pd ha anche indetto un sit in di protesta davanti a Montecitorio alle 18 di mercoledì. Al sit in interverranno i dirigenti del partito, guidati dal segretario Pierluigi Bersani. L'ORDINE DEI LAVORI - Gianfranco Fini aveva in precedenza replicato al Pd, che protestava per l'inversione dell'ordine dei lavori. Il presidente della Camera ha spiegato che ci sono deliberazioni della Giunta del regolamento che fin dal 1998 precisano che le richieste di inversione di ordine del giorno, così come le richieste di rinvio in commissione di un ddl, "non incidono" sul provvedimento in discussione ma sulla "procedura" dell'esame. Processo breve subito, bagarre in aula La decisione di far votare l'aula, ha aggiunto Fini, "spetta al presidente della Camera che chiama l'assemblea a pronunciarsi". Le richieste di inversione dell'odg, quindi, "non possono essere contestate" e non sono "connesse ad alcuna conseguenza definitiva sul merito". CASINI E ALFANO - "Altro che riforma epocale della giustizia - ha commentato il capogruppo dell'Udc, Pier Ferdinando Casini -. Siamo alle solite. Il governo e il ministro Alfano, dopo averci illuso e illuso gli italiani che erano pronti a fare una riforma per i cittadini, ecco spuntare il solito provvedimento che serve solo a placare le ossessioni giudiziarie del presidente del Consiglio". Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha però respinto le polemiche dell'opposizione. "L'inversione dell'ordine del giorno ha destato scandalo, se si fosse proceduto da calendario si sarebbe votata la Comunitaria con la responsabilità civile dei magistrati", ha ricordato il ministro rispondendo ai cronisti in Transatlantico. "L'indignazione era comunque programmata", ha aggiunto. Redazione Online 30 marzo 2011
CONTESTAZIONE DAVANTI A MONTECITORIO, BAGARRE IN AULA Monetine contro il processo breve Insulti e lo scontro Fini-La Russa Il ministro reagisce ai richiami durante l'intervento di Franceschini. La risposta: "Non le permetto di offendere la Presidenza della Camera". E la seduta è sospesa * NOTIZIE CORRELATE * Prescrizione breve, subito in discussione L'opposizione lascia la Commissione (30 marzo 2011) CONTESTAZIONE DAVANTI A MONTECITORIO, BAGARRE IN AULA Monetine contro il processo breve Insulti e lo scontro Fini-La Russa Il ministro reagisce ai richiami durante l'intervento di Franceschini. La risposta: "Non le permetto di offendere la Presidenza della Camera". E la seduta è sospesa Proteste contro Berlusconi all'esterno dell'aula di Montecitorio Proteste contro Berlusconi all'esterno dell'aula di Montecitorio MILANO - Monetine e contestazioni fuori. Tensione e insulti in aula. Il processo breve "debutta" a Montecitorio in una giornata che diventa difficile e si chiude con la seduta sospesa perché il presidente della Camera, Fini si è sentito offeso dalle parole (o dal gesto, o da entrambi) usate nei suoi confrontidal ministro della Difesa Ignazio La Russa. Il "fuori" e il "dentro" sono legati non soltanto dall'argomento in discussione, ma anche proprio dall'episodio finale della sospensione della seduta, poiché proprio le parole di La Russa sui contestatori e la replica di Franceschini sono state la miccia che ha acceso gli animi. LA CONTESTAZIONE - Un centinaio di manifestanti è arrivato ad un passo del portone della Camera dei deputati. I manifestanti, che avevano in evidenza le insegne del "popolo viola", molto agguerriti al sit in promosso dal Pd contro il processo breve hanno preso di mira, tra gli altri, Ignazio La Russa che proprio in quel momento stava passando per la piazza. "Venduto, ladri, fascisti", hanno gridato al ministro della Difesa. Il coordinatore del Pdl ha mantenuto la calma ed è entrato nel portone principale della Camera protetto dalla scorta. I manifestanti sono poi passati al portone principale di Montecitorio per impedire l'ingresso ai parlamentari. Ha superato il "blocco" la sottosegretario Daniela Santanché, grazie all'aiuto delle forze dell'ordine che hanno formato un cordone di sicurezza per circondare il palazzo e proteggere l'ingresso principale. Ma, non appena i manifestanti si sono accorti del passaggio dell'esponente Pdl, sono scattati i cori. Al grido di "ladri, mafiosi, andatevene", e ancora "vergogna, imputati impuniti". Epiteti poi sono piovuti sulla deputata. La contestazione è proseguita con il lancio di monetine, che hanno colpito pure alcuni giornalisti. A tentare di placare la tensione è arrivata Rosy Bindi. Intanto, i commessi e i responsabili sicurezza della Camera chiamavano le forze dell'ordine rafforzare il presidio davanti a Montecitorio: "La situazione sta precipitando", affermava un commesso. IL "VAFFA" - La tensione della piazza contagia l'Aula, dove il ministro La Russa interviene duramente contro la contestazione "a due metri dal portone della Camera" e riferisce di aver riconosciuto il capofila della contestazione, accusando l'opposizione di essere "complice dei contestatori e ancora più violenta". A quel punto il capogruppo Dario Franceschini prende la parola contro La Russa e la sua ricostruzione dei fatti, accusandolo di aver voluto provocare i manifestanti. Il ministro della Difesa, dai banche del governo, gli fa segno di tacere e si mette ad applaudire in maniera ostentata l'intervento del capogruppo Pd. "Bravo, bravo, bravo" gli urla. Il presidente della Camera, Fini, lo richiama una prima volta ad "avere un atteggiamento rispettoso verso l'assemblea". Una prima volta La Russa si volta verso Fini allargando le braccia e continuando la sua "replica" a Franceschini. Al secondo richiamo di Fini, La Russa, di spalle, risponde con un "vaffa" secondo i testimoni più vicini, comunque con un gesto visibile anche ai presenti più lontani. La Russa ha poi smentito il "vaffa...". E può darsi che non sia stato un "vaffa" perché soltanto chi era vicino può aver sentito ciò che ha detto. E' certo però che Fini ha sentito benissimo e l'ha considerato un insulto visto che sospende la seduta con queste parole: "Onorevole ministro non le consento di offendere la Presidenza". E uscendo dall'aula, ma qui tornano a essere determinanti i testimoni diretti, Fini avrebbe sibilato: "Fatelo curare". In Aula continuano per un po' urla e tumulti, mentre l'esame del testo sul processo breve slitta a giovedì. TERZO POLO: LA RUSSA SI DIMETTA - Poco dopo arriva la richiesta di dimissioni del ministro La Russa da parte del Terzo Polo: "Un ministro della Repubblica che, in un momento così delicato della vita del Paese, prima offende l'assemblea di Montecitorio con atteggiamenti arroganti e provocatori, e poi lancia un gravissimo insulto al presidente della Camera, cioè alla terza carica dello Stato, si rende responsabile di una violenta contrapposizione istituzionale che il suo ruolo non gli consente. A questo punto chiediamo a La Russa di dimettersi". Redazione online 30 marzo 2011
PARITà IN UFFICIO DI PRESIDENZA, LA PAROLA PASSA A MONTECITORIO Caso Ruby, la Camera voterà il 5 aprile Il Pd ha richiesto la diretta televisiva per la decisione sul conflitto di attribuzione * NOTIZIE CORRELATE * Caso Ruby: giunta Camera dà a ok a voto in Aula su conflitto di attribuzione (23 marzo 2011) * Fini a Porta a Porta"Sul caso Ruby non voto" (3 marzo 2011) * Conflitto di attribuzione: come funziona (1 marzo 2011) PARITà IN UFFICIO DI PRESIDENZA, LA PAROLA PASSA A MONTECITORIO Caso Ruby, la Camera voterà il 5 aprile Il Pd ha richiesto la diretta televisiva per la decisione sul conflitto di attribuzione Gianfranco Fini (Fotogramma) Gianfranco Fini (Fotogramma) MILANO - L'aula della Camera voterà sulla richiesta di conflitto di attribuzione sul caso Ruby martedì 5 aprile alle ore 15: lo ha stabilito la conferenza dei capi gruppo di Montecitorio. Il Pd ha richiesto la diretta televisiva. Fini, in precedenza, aveva detto "che doveva essere l'aula di Montecitorio a deliberare direttamente sulla richiesta, avanzata dai capigruppo della maggioranza, di elevare conflitto di attribuzione nei confronti della Procura della Repubblica e del gip di Milano sul caso Ruby". L'ufficio di presidenza convocato si era concluso infatti con un voto di parità e, in mancanza di un'espressione di parere, il giudizio dell'assemblea diventa così obbligatorio. "ASPETTI SPECIALI E UNICI" - "Ora è ancor più necessario che sia l'aula ad esprimersi" avrebbe sottolineato il presidente della Camera, al termine dell'ufficio di presidenza. Già prima del voto, Fini aveva comunque sottolineato la necessità che fosse l'assemblea a pronunciarsi sulla questione secondo le modalità procedurali che la prassi ha consolidato a riguardo. Per il leader di Fli e presidente della Camera infatti la vicenda del conflitto di attribuzione da parte della Camera sul caso Ruby "presenta aspetti speciali ed unici". Nella sua relazione, Fini aveva detto, fra l'altro, che la composizione dell'ufficio di presidenza vede di fatto la prevalenza numerica delle opposizioni rispetto alla maggioranza, il che costituisce un fatto di "assoluta novità" rispetto ai tre precedenti in materia che ha citato. Peraltro, aveva aggiunto Fini, in quei tre casi non erano state avanzate richieste di sottoporre la questione all'Aula. "Nella presente circostanza- ha voluto puntualizzare il presidente della Camera- la decisione dell'Ufficio di presidenza in merito all'elevazione o meno del conflitto, a causa della composizione dell'organo, può sottrarsi al criterio della maggioranza politica quale risulta dal complessivo assetto dei rapporti tra i gruppi". Fini, dopo aver ribadito che la richiesta di sollevare conflitto di attribuzione si collega alla deliberazione dell'assemblea di Montecitorio che il 3 febbraio scorso ha detto "no" alla richiesta di perquisizione domiciliare avanzata dai pm milanesi, aveva anche messo l'accento sul fatto che la richiesta è prospettata come strumento per assicurare, in sede di contenzioso costituzionale, una tutela effettiva alla volontà manifestata dall'assemblea ed ha sottolineato che "nei precedenti casi non si riscontrava" questo collegamento con una decisione dell'aula sulla stessa materia. Redazione online 30 marzo 2011
2011-03-25 apezzone: "Parlano da partito politico". Ma il Pd: grave attacco per tutelare il premier Le toghe: "Aggrediti dal governo" L'Anm attacca la riforma: "La prescrizione viola la Costituzione. Leggi piegate a interessi particolari" Capezzone: "Parlano da partito politico". Ma il Pd: grave attacco per tutelare il premier Le toghe: "Aggrediti dal governo" L'Anm attacca la riforma: "La prescrizione viola la Costituzione. Leggi piegate a interessi particolari" MILANO- "Nel giro di pochi giorni la maggioranza di governo ha dimostrato quale era il vero obiettivo dell'annunciata riforma epocale della giustizia". Non hanno mezzi termini, Luca Palamara, Antonello Ardituro e Giuseppe Cascini, rispettivamente presidente, vicepresidente e segretario generale dell'Associazione nazionale magistrati. E in una nota congiunta, sparano, punto per punto, sulla riforma della giustizia. Per i vertici dell'Anm "la modifica della legge sulla responsabilità civile dei magistrati appare talmente assurda e disorganica da potersi spiegare soltanto come atto di aggressione nei confronti della magistratura diretto ad influenzarne la serenità di giudizio". I TEMPI DELLA PRESCRIZIONE - I vertici dell'associazione puntano il dito anche sulla riduzione dei tempi di prescrizione: "Il principio costituzionale della ragionevole durata del processo è un principio fondamentale cui l'ordinamento deve tendere con ogni mezzo, ma la riduzione dei termini di prescrizione nulla ha a che vedere con quel principio e rischia solo di determinare l'impunitá per autori di gravi delitti". Per i magistrati l'attività legislativa risulterebbe piegata a interessi particolari: "Risolvere situazioni legate a singole vicende processuali, direttamente con una norma sulla prescrizione dichiaratamente destinata ad incidere sullo svolgimento di un processo in corso, e indirettamente con una modifica della legge sulla responsabilità civile dei magistrati punitiva e intimidatoria. Non era mai successo che l'attivitá legislativa venisse piegata in maniera così esplicita ad interessi particolari". Per i vertici dell'Anm, "gli unici processi che potranno essere portati a termine" con questa norma "saranno quelli nei confronti dei recidivi, mentre gli incensurati avranno ottime probabilità di restare tali per sempre". E tanto per essere ancora chiari: "E' impensabile che il processo per una truffa di milioni di euro nei confronti di un incensurato si estingua, mentre debba proseguire quello per una truffa da cinque euro commessa da una persona già condannata, magari anni prima, per altro reato". LE REAZIONI - Immediate le reazioni della politica, a partire dal portavoce del Pdl, Daniele Capezzone, che liquida la protesta come "un'anomalia tutta italiana". "L'Anm continua ad esprimersi come se fosse un partito politico - sottolinea l'esponente pidiellino - , come se toccasse all'Anm definire cosa governo e Parlamento possono o non possono, debbono o non debbono fare. Questo è un chiaro vulnus rispetto alla sovranità popolare, rispetto agli elettori, che votano i parlamentari e scelgono le maggioranze, e possono cambiare gli uni e le altre alla successiva tornata elettorale. Ma la riforma della giustizia si farà e andrà avanti, e non sará bloccata nè dettata da una parte della magistratura". Sul fronte opposto, Giuseppe Lumia, membro Pd della Commissione Antimafia, ritiene che "il governo e la maggioranza vogliono sovvertire l'equilibrio istituzionale che assegna alla magistratura piena autonomia e indipendenza rispetto alla politica. Si tratta di un grave attacco, compiuto per garantire al presidente del Consiglio e alle cricche di potere impunità e privilegi". "Quindici giorni fa discutevamo di riforme epocali e costituzionali sulla giustizia - è invece il commento di Pier Luigi Bersani, segretario del Pd -. Io allora feci una facile previsione, che dopo due settimane ci saremmo ritrovati sulle leggi ad personam e sugli attacchi alla magistratura. Così è oggi. Fra l'altro con norme assolutamente assurde". Redazione online 25 marzo 2011
2011-03-22 Tutta l'opposizione ha votato contro. Pd e Terzo Polo lasciano i lavori Processo breve, ridotti i tempi di prescrizione per gli incensurati La Commissione giustizia della Camera ha approvato la norma presentata dal relatore Paniz * NOTIZIE CORRELATE * Processo breve, depositato il nuovo testo. Saranno segnalati i magistrati "lenti" (16 marzo 2011) Tutta l'opposizione ha votato contro. Pd e Terzo Polo lasciano i lavori Processo breve, ridotti i tempi di prescrizione per gli incensurati La Commissione giustizia della Camera ha approvato la norma presentata dal relatore Paniz Maurizio Paniz (archivio Corriere) Maurizio Paniz (archivio Corriere) ROMA - La Commissione giustizia della Camera ha approvato la norma presentata dal relatore Maurizio Paniz al testo sul processo breve che riduce i tempi di prescrizione per gli incensurati. Una mossa che potrebbe accorciare di circa 8 mesi la vita del processo Mills al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Tutta l'opposizione ha votato contro. PD E TERZO POLO SULL'AVENTINO - I deputati dell'Udc, Fli e del Pd hanno abbandonato i lavori della Commissione durante l'esame del testo. "Prendiamo atto - ha dichiarato il capogruppo del Pd Donatella Ferranti - che non c'è più alcuna possibilità di costruire migliorando il testo insieme. Pertanto abbandoniamo i lavori". Analogo il commento di Lorenzo Ria (Udc) secondo il quale la maggioranza sta andando avanti da sola senza ascoltare i contributi dell'opposizione". Il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, invece, resta e vota contro: "Siamo riusciti a ridurre moltissimo la portata della norma - spiega - pertanto restiamo e votiamo contro". BERLUSCONI - Conclusi i lavori della commissione dalla prossima settimana il disegno di legge andrà al voto in aula alla Camera, dopodiché dovrà tornare al Senato per l'approvazione definitiva. L'emendamento prevede tempi più brevi per l'estinzione del reato, se l'imputato è arrivato al processo incensurato, come Berlusconi. Ora il tempo di prescrizione è di norma pari alla pena massima prevista per il reato più un quarto per via delle interruzioni. La proposta prevede di ridurre da un quarto a un sesto questo aumento automatico della prescrizione, ma soltanto per gli incensurati e per i processi di primo grado. Se approvata in via definitiva la norma avrebbe un effetto quasi immediato sul processo Mills, dove Berlusconi è imputato in primo grado per corruzione in atti giudiziari. La prescrizione del reato dovrebbe intervenire tra gennaio e febbraio del 2012. La norma taglierebbe di circa otto mesi i tempi di prescrizione, per cui il processo potrebbe finire all'inizio dell'estate, sempre che non arrivi prima a sentenza. Redazione online 22 marzo 2011
2011-03-19 Giappone Fukushima, a breve l'energia elettrica Tokyo, tracce di radioattivià nell'acqua Livelli "superiori ai limiti legali" riscontrati nel latte e nella verdura prodotto vicino alla centrale nucleare Giappone Fukushima, a breve l'energia elettrica Tokyo, tracce di radioattivià nell'acqua Livelli "superiori ai limiti legali" riscontrati nel latte e nella verdura prodotto vicino alla centrale nucleare MILANO - Nell'area della centrale nucleare giapponese disastrata di Fukushima il livello di radioattività rilevato nell'aria è "stabile", ma "significativamente più elevato" del normale. Lo dice l'Aiea, l'agenzia Onu per l'energia atomica, precisando che i livelli non impediscono tuttavia il lavoro dei tecnici che stanno combattendo la crisi. I tecnici sono riusciti a connettere un cavo ad uno dei reattori della centrale di Fukushima 1 danneggiata, ma l'elettricità ancora deve essere ripristinata, secondo la Tokyo Electric Power, la società che gestisce la centrale. In mattinata era stato annunciato che a breve sarebbe stata ripristinata l'elettricità all'interno del sito danneggiato dal terremoto, un passo importante per cercare di far funzionare le pompe di raffreddamento dell'impianto. L'energia elettrica dovrebbe essere ripristinata in giornata per i reattori 1, 2, 5 e 6 e domenica per i reattori 3 e 4. Intanto le autopompe speciali dei vigili del fuoco di Tokyo hanno ripreso a sparare acqua sul reattore numero 3. Solo nella giornata di venerdì sull'impianto nucleare sono state gettate 50 tonnellate di acqua marina. Il governo giapponese ha detto che parti dei sistemi di raffreddamento dei reattori 2 e 6 della centrale nucleare di Fukushima Daiichi sono funzionanti. L'agenzia per la sicurezza nucleare e industriale ha confermato che un generatore diesel di emergenza ha ripreso a funzionare al reattore 6 e una pompa di raffreddamento al reattore 5 è in grado di funzionare. L'agenzia ha detto inoltre che i livelli di radiazioni al cancello occidentale della centrale nucleare, che si trova a circa un chilometro dal reattore numero 3, ha fatto registrare la lettura piuttosto alta di 830.8 microsievert all'ora alle 8.10 di questa mattina (00.10 ora italiana). Ma il livello è diminuito fino a 364.5 microsievert all'ora alle 9. La notizia si apprende dall'emittente televisiva giapponese Nhk World. Migliaia di corpi non identificati RADIOATTIVITA' - Nonostante i continui tentativi di rassicurazioni da parte del governo giapponese, tracce di iodio radioattivo sono state trovate nell'acqua di rubinetto a Tokyo e in altre aree limitrofe. Lo riferisce l'agenzia Kyodo. Livelli di radioattività "superiori ai limiti legali" sono stati riscontrati nel latte prodotto nei pressi della centrale nucleare di Fukushima e negli spinaci coltivati nella vicina prefettura di Ibaraki. Circa un quinto di quello di una Tac sarebbe quello trovato negli spinaci. Lo ha comunicato il portavoce del governo Yukio Edano precisando che, sebbene i livelli superino i limiti permessi dal governo, i prodotti "non pongono immediato pericolo alla salute". Il portavoce Edano ha aggiunto che le autorità stanno cercando di individuare in quali luoghi del Giappone siano state inviate le ultime partite dei due prodotti impegnandosi a bloccarle nel caso i risultati dei nuovi test fossero uguali ai primi. VOLI - Nessuna restrizione per i collegamenti aerei da e per il Giappone. Lo sottolinea la Iata, l'associazione internazionale del trasporto aereo, che, in una nota, accoglie con favore la decisione dell'Icao (l'organizzazione internazionale dell'aviazioni civile), dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica, l'Organizzazione mondiale della Sanitá, l'Organizzazione marittima internazionale e l'Organizzazione meteorologica mondiale di confermare la normale operatività nei maggiori aeroporti giapponesi, inclusi i due scali di Tokyo Haneda e Narita. ASSESTAMENTO - Una nuova scossa di assestamento, di magnitudo 6,1 gradi della scala Richter, è stata avertita alle 18.30 locali, con epicentro vicino a Ibaraki. La scossa non ha danneggiato le strutture nucleari di Ibarak. Potrebbe invece causare variazioni del livello del mare, avverte la stessa fonte sull'agenzia Kyoso, ma non tali da causare nuovi danni. In tanto si registrano le variazioni ala suolo terreste causate dalla scossa di magnitudo 9 dell'11 marzo. Secondo i dati forniti dall'Autorità di informazione geospaziale giapponese a Tsukuba ha causato uno spostamento di 5,3 metri della penisola di Oshika, nella prefettura di Miyagi. La stessa striscia di terra è scesa di 1,2 metri. La penisola situata sulla costa Pacifica si è spostata in direzione est-sudest, verso l'epicentro della scossa. Spostamenti di fasce di territorio sono stati registrati in molte zone, dalla regione nordorientale di Tohoku a quella di Kantu. A Yamada, nella prefettura di Iwate, si è registrato uno spostamento di 25 centimetri verso est. Redazione online 19 marzo 2011
2011-03-16 GLI EMENDAMENTI Processo breve, depositato il nuovo testo Saranno segnalati i magistrati "lenti" Il relatore di maggioranza, Paniz: saranno diversificati i tempi di prescrizione per incensurati e recidivi GLI EMENDAMENTI Processo breve, depositato il nuovo testo Saranno segnalati i magistrati "lenti" Il relatore di maggioranza, Paniz: saranno diversificati i tempi di prescrizione per incensurati e recidivi Maurizio Paniz (Ansa) Maurizio Paniz (Ansa) ROMA - Il relatore del testo sul processo breve Maurizio Paniz ha presentato nella serata di mercoledì alla commissione Giustizia della Camera un emendamento che di fatto riscrive completamente il progetto di legge. La novità più importante della riscrittura dell'articolo 5 del provvedimento riguarda l'obbligo di segnalazione al ministro della Giustizia e al procuratore generale della Cassazione, da parte dei capi dell'ufficio giudiziario, del magistrato che non ha concluso il processo nei tempi stabiliti dalla legge. Cambiano poi i tempi di prescrizione che vengono differenziati per incensurati e recidivi: "Non è giusto che un incensurato sia trattato come un recidivo". LA NUOVA PRESCRIZIONE - Attualmente il tempo della prescrizione è pari alla pena massima prevista per un reato e per effetto delle interruzioni questo tetto massimo viene aumentato di un quarto. Il reato di corruzione in atti giudiziari, ad esempio, che prevede una pena massima di 8 anni con l'aumento di un quarto si prescrive in 10 anni. Con l'emendamento di Paniz di questa sera, per gli incensurati accusati ad esempio di corruzione in atti giudiziari, il reato si prescriverebbe in 9 anni e 4 mesi. Dunque, il processo Mills, che vede coinvolto Silvio Berlusconi, secondo i calcoli che si fanno nella maggioranza, sarebbe prescritto. Paniz però sostiene che la norma del processo breve non possa essere applicabile ai processi in corso. Tesi questa smentita dal capogruppo dell'Idv in commissione Giustizia del Senato Luigi Li Gotti: "Chi dice una cosa del genere - commenta - è quanto meno un ignorante visto che la prescrizione è una norma cosiddetta sostanziale di diritto penale e non di procedura. E quindi, per regola generale codicistica, all'imputato si applica sempre, nella successione di legge nel tempo, quella più favorevole. E dato che non è credibile che si tratti di ignoranza, questa non può che essere malafede". Redazione Online 16 marzo 2011
2011-03-14 Sequestrati beni per 2 milioni di euro 'Ndrangheta: 35 arresti in Lombardia Accuse di associazione per delinquere, estorsione, spaccio di droga, minacce e smaltimento illecito di rifiuti * NOTIZIE CORRELATE * Allarme della Dia: "La 'ndrangheta ha colonizzato la Lombardia" (9 marzo 2011) * "A 13 politici milanesi i voti delle cosche" (11 marzo 2011) Sequestrati beni per 2 milioni di euro 'Ndrangheta: 35 arresti in Lombardia Accuse di associazione per delinquere, estorsione, spaccio di droga, minacce e smaltimento illecito di rifiuti MILANO - Sono 35 gli arresti di presunti affiliati alla 'ndrangheta effettuati lunedì mattina in Lombardia da parte del nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Milano, dei Carabinieri del Ros, in collaborazione con la Polizia locale. Sequestrati beni per 2 milioni di euro. Gli arrestati sono indagati per associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, minacce, smaltimento illecito di rifiuti e spaccio di sostanze stupefacenti. L'operazione è coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini, insieme ai pm Alessandra Dolci, Paolo Storari e Galileo Proietto. ALLARME - Questa operazione giunge a quattro giorni di distanza dall'allarme lanciato nella relazione annuale della Direzione nazionale antimafia per la "penetrazione con il modello della colonizzazione" delle cosche calabresi di 'ndrangheta in Lombardia. LE ATTIVITÀ - Non c'è solo la "classica" e diffusissima infiltrazione nel settore del movimento terra nei cantieri edili di Milano, ma anche la gestione della "security" in molti, notissimi, locali notturni, l'estorsione agli esercizi pubblici che sorgono nelle stazioni della metropolitana, l'attività di "pizzo" ai chioschi dei "porchettari", il controllo dei posteggi fuori dalle discoteche più celebri, gestione di cooperative appaltatrici dei servizi di trasporto in Tnt e persino una "tassa" imposta a chi intendeva spacciare in alcune piazze della città. È l'inquietante quadro, l'ennesimo, che emerge dall'operazione, denominata "Redux - Caposaldo". Delle 35 ordinanze di custodia in carcere richieste dalla Dda di Milano e disposte dal gip Giuseppe Gennari, ben 14 contestano l'associazione per delinquere di stampo mafioso e sono indirizzate a personaggi di primo piano della 'ndrangheta "milanese". Oltre al boss Giuseppe "Pepé" Flachi, suo figlio Davide ed Emanuele Flachi (ritenuti legati ai Pesce di Reggio Calabria, e da decenni imperanti dalla Comasina a Quarto Oggiaro, dalla Bovisa ad Affori fino a Bruzzano), per il 416 bis sono scattate le manette anche ai polsi di Paolo Martino, considerato "diretta espressione" della famiglia reggina dei De Stefano, e di Giuseppe Romeo e Francesco Gligora considerati punti di riferimento delle cosche di Africo in Lombardia. Redazione online 14 marzo 2011
interventi telefonici: "Io coraggioso e temerario, forse anche eroico e matto" Berlusconi: "I pm cittadini come gli altri" Processo breve, da Alfano una svolta Il premier e la responsabilità dei magistrati: "Se sbagliano devono pagare". Il ministro: "Proporrò il ritiro della norma transitoria sul processo breve" interventi telefonici: "Io coraggioso e temerario, forse anche eroico e matto" Berlusconi: "I pm cittadini come gli altri" Processo breve, da Alfano una svolta Il premier e la responsabilità dei magistrati: "Se sbagliano devono pagare". Il ministro: "Proporrò il ritiro della norma transitoria sul processo breve" MILANO - "L'autonomia dell'azione penale secondo la legge significa solo che anche i pm sono cittadini come gli altri e devono rispettare le norme e le priorità che sono indicate dal Parlamento". Lo ha detto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, intervenendo telefonicamente ad una convention del Pdl a Torino a sostegno del candidato sindaco Michele Coppola. E sempre parlando della riforma della giustizia: "La responsabilità civile dei magistrati se sbagliano è quella che devono pagare, perché questo è il minimo richiesto in uno stato di diritto", e inoltre "le carriere separate di giudici e magistrati esistono in tutto il mondo, sono la regola. Quindi non c'è nulla in questa riforma che possa far gridare allo scandalo o suscitare indignazione". "SONO CORAGGIOSO E TEMERARIO" - "Tutte le persone sagge e con la testa sulle spalle mi hanno detto: non presentare adesso la riforma della giustizia perché altrimenti chissà cosa ti fanno. Io invece, avendo ritenuto di aver raggiunto una maggioranza in grado di farla, ho detto: non mi importa niente. Sono coraggioso e temerario, forse anche un po' eroico e matto, e ho detto: variamo subito questa importante riforma. E così abbiamo fatto nel Consiglio dei ministri straordinario di giovedì". Berlusconi ha ribadito che la riforma della giustizia "non è una forzatura" ma un impegno ad adeguare l'Italia a quanto avviene in altre parti del mondo. "ESODO BIBLICO" - Intervenendo telefonicamente ad una manifestazione della Democrazia cristiana del segretario Giuseppe Pizza a Catania, Berlusconi ha parlato anche della crisi in Nordafrica: "In questo momento, con alle porte un possibile esodo biblico dal Nordafrica che arriva verso di noi e verso l'Europa, ci sarebbe bisogno di una forte coesione nazionale e di una comune assunzione di responsabilità. Invece le nostre opposizioni stanno davvero offrendo, ancora una volta, uno spettacolo sconsolante". Berlusconi si è detto comunque sicuro della maggioranza in Parlamento: "Oggi rispetto a prima possiamo contare su una maggioranza che è numericamente meno ampia. Vi anticipo che penso che possiamo arrivare oltre i 330 alla Camera, ma è una maggioranza politicamente più coesa e che sono sicuro consentirà al governo di fare un enorme salto di qualità per quanto riguarda la realizzazione delle riforme ed in generale per la produzione delle leggi". LA SPALLATA - "La sinistra ha coniato lo slogan "piazza continuA": passa da una manifestazione all'altra e spera di dare al governo, attraverso la piazza, quella spallata che non è riuscita a dare in Parlamento", ha detto in un altro passaggio Berlusconi. "Credo che così facendo la sinistra si sta condannando a una definitiva marginalità e anche ad altri lunghi anni di opposizione, perché la politica ha un senso se riesce a dare risposte positive e concrete ai cittadini". BERSANI: IL FUTURO SIAMO NOI - Pier Luigi Bersani, da Abano Terme, replica a caldo alla frase di Berlusconi "lunghi anni di opposizione": "Io la penso all'opposto - dice il segretario Democratico - credo invece che il suo sia un tramonto, purtroppo pericoloso per il Paese, perché non riusciamo ad affrontare nessuno dei problemi di questo Paese, e perché vediamo picconate ai presidi democratici e costituzionali". "Noi non stiamo lavorando contro - tiene a ribadire Bersani - stiamo lavorando oltre. Stiamo lavorando per un progetto per un risveglio italiano. Per noi si tratta di fare opposizione ma anche di costruire un progetto per il futuro. Il futuro siamo noi, non è lui". ALFANO: NON TEMO RITORSIONI - Sempre di riforma della Giustizia ha parlato il ministro Angelino Alfano, rispondendo alle domande di Lucia Annunziata alla trasmissione "In mezz'ora". L'apertura più importante, politicamente, è quella che riguarda il processo breve e la possibilità che diventi una norma "ad personam" pro berlusconi: "Proporrò il ritiro della norma transitoria sul processo breve". Alla domanda se tema ritorsioni giudiziarie, ha risposto: "Assolutamente no. Non temo le intercettazioni neanche se mettono una microspia tra un neurone e l'altro, i reati neanche li penso, e poi non riesco a immaginarmi dei magistrati che si vendicano per via giudiziaria di un provvedimento di riforma". E parlando del pm Ingroia, che "ha scelto di scendere in piazza in una manifestazione contro il Governo": "Figuriamoci se inizio un provvedimento disciplinare contro il pm Ingroia. Per quanto mi riguarda non esiste, non chiederei mai a un magistrato di dimettersi. Il Presidente della Repubblica e quello della Cassazione hanno sempre detto che i magistrati devono essere indipendenti oltre che apparirlo". Quando Ingroia venne nominato Procuratore aggiunto a Palermo, ricorda il ministro, "furono presentati molti ricorsi e io scelsi di nominarlo ugualmente. In questo momento la politica non deve farsi prendere da un eccesso di passione, la riforma della giustizia ha bisogno di tenacia e perseveranza". Redazione online 13 marzo 2011(ultima modifica: 14 marzo 2011)
2011-03-12 IL "C-day" in tutta Italia. Gli organizzatori: "Siamo un milione" I cortei pro-Costituzione: "Va difesa" In piazza anche il pm Ingroia, è scontro .Il procuratore: "Cittadini non più tutti uguali di fronte alla legge". Cicchitto: "Clamoroso schieramento" * NOTIZIE CORRELATE * SCHEDA - La mappa delle mobilitazioni nelle diverse città IL "C-day" in tutta Italia. Gli organizzatori: "Siamo un milione" I cortei pro-Costituzione: "Va difesa" In piazza anche il pm Ingroia, è scontro .Il procuratore: "Cittadini non più tutti uguali di fronte alla legge". Cicchitto: "Clamoroso schieramento" Il Secolo d'Italia, vicino ai finiani, dedica l'apertura alla manifestazione Il Secolo d'Italia, vicino ai finiani, dedica l'apertura alla manifestazione MILANO - "Nelle piazze d'Italia siamo un milione". Gli organizzatori del C-Day, il giorno della Costituzione, lo hanno gridato dal palco di Piazza del Popolo a Roma, prima di chiudere la manifestazione intonando l'Inno di Mameli. La Capitale ha ospitato il corteo principale a difesa della Carta e dei suoi valori, messi in pericolo, a detta dei promotori dell'iniziativa, da alcune delle scelte di riforma portate avanti dal governo. E manifestazioni pro-Costituzione si sono tenute in decine di città grandi e piccole del Paese e anche in alcune capitali europee come Bruxelles, Londra, Parigi, Praga, Madrid, Helsinki, Amsterdam, Ginevra, Edimburgo e Siviglia. All'iniziativa promossa dall'associazione Articolo 21 e dal senatore Pd Vincenzo Vita hanno aderito gran parte delle forze politiche di opposizione, parlamentari e non, e diverse associazioni. PM IN PIAZZA - Tanti e lunghi gli applausi che i manifestanti di Piazza del Popolo hanno riservato al pm Antonio Ingroia, la cui partecipazione al C-Day però ha suscitato non poche polemiche. "Con la riforma della giustizia del governo Berlusconi - è stato l'allarme lanciato dal procuratore aggiunto della procura distrettuale antimafia di Palermo - i cittadini non saranno più uguali di fronte alla legge". "Se dovesse passare questa controriforma della giustizia - ha chiarito poi - avremmo uno stato di diritto azzoppato. Se il potere giudiziario viene schiacciato dal potere esecutivo, che vuole conquistare il controllo diretto dell'esercizio dell'azione penale, di fatto i cittadini non saranno più uguali di fronte alla legge e non lo saranno all'interno della Costituzione". Parole che non sono piaciute al capogruppo Pdl alla Camera dei Deputati Fabrizio Cicchitto: "Ingroia - ha detto - è la più evidente dimostrazione del giudice al di sopra delle parti. Non si capisce come - ha aggiunto - di fronte a episodi così clamorosi di schieramento politico, l'Anm possa parlare di difesa di indipendenza dei giudici". Le coccarde a Torino I CORTEI - A Roma il corteo principale è partito alle 14 da piazza della Repubblica per concludersi a piazza del Popolo ed è stato seguito in diretta da Corriere Tv. Ogni comitato locale ha poi stabilito modalità diverse per le iniziative decentrate, alcune delle quali svoltesi in mattinata. Molte le adesioni eccellenti. Tra questa l'ex presidente della Corte costituzionale, Gustavo Zagrebelsky, in piazza a Torino: "Ci sono momenti di aggregazione sociale in difesa delle buone regole della vita democratica. Credo che oggi sia uno di questi". E ancora: "Siamo di fronte a un rovesciamento della base democratica. La democrazia deve tornare a camminare sulle sue gambe: sostenuta dal basso. Non un potere populista che procede dall'alto". Un migliaio in piazza a Milano LE POSIZIONI - Anche la politica ha guardato con grande attenzione all'iniziativa, che giunge a pochi giorni dalle celebrazioni per il 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia. "Non è una piazza contro, è una piazza per un'alternativa" ha detto il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, descrivendo la manifestazione a difesa della Costituzione a Roma alla quale ha partecipato insieme ad altri esponenti del suo partito. "Non c'è un animo contro, è una piazza per una Italia diversa - ha spiegato il leader Pd -. C'è un grande movimento nel Paese e i partiti, in particolare il nostro, devono affiancarlo, dargli la mano. Politica e società civile insieme per una strada di speranza e di ricostruzione". Battagliera l'Italia dei Valori. "Anche la Cei - ha spiegato il portavoce Leoluca Orlando - ha scaricato Berlusconi e ha diffuso un documento che è un vero e proprio j'accuse al presidente del Consiglio. La difesa a oltranza della Costituzione, la proposta di rendere ineleggibile chi ha pendenze penali, la lotta alla mafia e la cittadinanza agli immigrati, sono veri e propri schiaffi al berlusconismo e ai berluschini. Dal Pdl sicuramente si leveranno voci per attaccare questi "comunisti" della Chiesa cattolica". La manifestazione a Firenze GLI ALTRI PARTITI - In piazza anche diversi esponenti di Futuro e Libertà (e va registrato che nell'edizione di sabato il Secolo d'Italia, quotidiano vicino a Gianfranco Fini, ha dedicato il titolo di apertura proprio alle manifestazioni: "Quelli che... Siamo stufi"), tra cui Fabio Granata: "Vado in piazza, la manifestazione l'abbiamo organizzata anche noi. Non provo nessun imbarazzo e lo dico da uomo di destra. La Costituzione rappresenta il tessuto connettivo della nazione. A qualcuno fa comodo strumentalizzare la manifestazione per parlare di santa alleanza: quell'ipotesi non è attuale, visto che la situazione è cambiata". Più cauta la posizione del leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini: "La Costituzione è stata fatta bene. Detto questo non è tabù, può essere migliorata, rinnovata, l'importante è che non ci siano apprendisti stregoni. Quello che ci spaventa è il pressapochismo, la superficialità, l'ignoranza con cui si vuole ritoccare la Costituzione. Di per sé è possibile migliorarla, in tutti gli Stati ci sono lavori di ammodernamento costituzionale". Redazione online 12 marzo 2011
E citando Toqueville: "Così ci opponiamo alla dittatura dei giudici" Giustizia, Berlusconi attacca Fini: "Colpa sua se la riforma arriva solo ora" "Lui e i suoi sono giustizialisti, da sempre d'accordo con le componenti di sinistra della magistratura" * NOTIZIE CORRELATE * Riforma della giustizia, sì dal governo. Il premier: "In aula avrò soddisfazione" (10 marzo 2011) * Le toghe: "È una riforma punitiva" D'Alema: "Premier principale ostacolo" (10 marzo 2011) E citando Toqueville: "Così ci opponiamo alla dittatura dei giudici" Giustizia, Berlusconi attacca Fini: "Colpa sua se la riforma arriva solo ora" "Lui e i suoi sono giustizialisti, da sempre d'accordo con le componenti di sinistra della magistratura" Silvio Berlusconi (Afp) Silvio Berlusconi (Afp) MILANO - E' colpa di Gianfranco Fini se la riforma costituzionale della giustizia arriva in Parlamento solamente oggi, nonostante sia tra gli obiettivi del centrodestra sin dal 1994, anno della sua discesa in campo. Silvio Berlusconi indica chiaramente nell'ex alleato il "colpevole" della mancata attuazione di uno dei punti più enfatizzati del programma elettorale del suo schieramento. E lo fa , come ormai è diventata una sua consuetudine, con un audiomessaggio al sito dei Promotori della Libertà. "STATALISTI E GIUSTIZIALISTI" - "Dal 1994 in poi nelle campagne elettorali ci siamo impegnati a rifondare la giustizia - dice Berlusconi -, ma i nostri sforzi sono stati puntualmente vanificati perchè Fini e i suoi, giustizialisti e statalisti, si sono messi sempre di traverso, in accordo con le correnti di sinistra della magistratura". E ancora: "Ora che Fini e i suoi non sono più con noi, la maggioranza - anche se più limitata nei numeri - è più coesa e determinata e questo ci consentirà di portare in Parlamento una riforma costituzionale della giustizia assolutamente equilibrata e moderna". "NO A DITTATURA DEI GIUDICI" - Il leader del Pdl torna a sottolineare che non si tratta di una legge ad personam, "perché non si applica ai processi in corso", ma di un provvedimento in grado di "restituire ai cittadini la fiducia in un servizio fondamentale dello Stato quale deve essere la giustizia giusta, che si ottiene attraverso un giusto processo, il processo dove l'accusa e la difesa sono poste sullo stesso piano di fronte a un giudice finalmente terzo, finalmente indipendente dal pm". Citando Toqueville, spiega poi che la riforma serve per evitare la "dittatura dei giudici" ed esorta i suoi a stare vigili perché "nei prossimi giorni e nelle prossime settimane dovremo rispondere ai numerosi attacchi che la sinistra e le toghe rosse hanno già iniziato a rovesciarci addosso". Redazione Online 12 marzo 2011
Ghedini su Ruby: "Corruzione della funzionaria in Marocco? Forse trappolone" Mills, Berlusconi scrive ai giudici "Alle udienze ci sarò, oggi non posso" Il processo in cui il premier è imputato per corruzione. La lettera: "Si proceda in mia assenza". Ghedini su Ruby: "Corruzione della funzionaria in Marocco? Forse trappolone" Mills, Berlusconi scrive ai giudici "Alle udienze ci sarò, oggi non posso" Il processo in cui il premier è imputato per corruzione. La lettera: "Si proceda in mia assenza". MILANO - "È mia intenzione partecipare all'udienza". È stata depositata al collegio dai suoi legali e letta in aula una lettera di Silvio Berlusconi indirizzata ai giudici del processo Mills, ricominciato a Milano. Nella missiva, il premier spiega che vuole prendere parte alle udienze ma che per quella odierna aveva già in programma un impegno istituzionale a Bruxelles. Nella dichiarazione, il presidente del Consiglio chiarisce dunque che non può presenziare l'11 marzo ma "consente" di proseguire con l'udienza, dato che in data odierna si trattano "solo questioni attinenti al calendario" delle udienze. IL CALENDARIO - Il processo, nel quale il presidente del Consiglio è imputato per corruzione del legale inglese, è stato intanto rinviato al prossimo 21 marzo. Per quella data i lavori prevedono la deposizione dei consulenti del pm. È improbabile che Berlusconi sia in aula. "Dieci giorni sono pochi per organizzarsi", ha spiegato uno dei suoi legali, Niccolò Ghedini, "comunque vedremo...". Quello fissato dai giudici della decima sezione penale del Tribunale di Milano è un calendario di 9 udienze. Le date indicate sono quelle del 21 marzo, del 9, 16 e 23 maggio, del 20 e 27 giugno e del 4, 11 e 18 luglio. Sono tutti lunedì: in questo il tribunale ha accolto la richiesta dei legali del presidente del Consiglio con cui era stato raggiunto un accordo la settimana scorsa. In caso il capo del governo non fosse disponibile di lunedì, c'è la possibilità di recupero il sabato. In questo il processo Mills va a intersecarsi con il procedimento Ruby, le cui udienze si possono celebrare anche il venerdì pomeriggio e il sabato, se i lunedì sono impegnati da altri processi a carico del premier. È quanto fanno sapere fonti della procura di Milano. "IL TEMPO È INESORABILE" - "Il tempo è inesorabile" ha detto il pm, Fabio De Pasquale, manifestando il timore che non si riescano a concludere i tre gradi di giudizio prima che l'accusa a carico del Cavaliere di corruzione giudiziaria si prescriva, nei primi mesi del 2012. Intervenendo all'udienza con cui si è riaperto il processo dopo lo stop per consentire alla Consulta di decidere sulla costituzionalità del legittimo impedimento (poi dichiarato parzialmente illegittimo), il rappresentante della pubblica accusa ha affermato: "È necessario, usando un termine giornalistico, capire quale sarà la roadmap di qui al 18 luglio (ndr, ultima data tra le nove fissate dal tribunale) per capire cosa succederà". De Pasquale ha espresso l'auspicio che "non si navighi a vista". Pronta la risposta del presidente del collegio, Francesca Vitale: "Speriamo che questo tribunale sia in grado di non navigare a vista". "UNA FRETTA FRENETICA" - Per Ghedini "il pm ha una fretta frenetica". "Noi - ha anche specificato il legale del presidente del Consiglio - ci opporremo alle forzature". Ghedini è anche tornato sul caso Ruby e in particolare sulla vicenda del tentativo di corruzione della funzionaria dell'anagrafe marocchina affinchè modificasse il certificato di nascita della ragazza coinvolta nell'inchiesta. Per l'avvocato del premier potrebbe essere "un trappolone" o un fatto architettato "per vendere qualche cosa a qualcuno". Ghedini ha inoltre precisato che la denuncia presentata a Roma non riguarda "assolutamente" il quotidiano Il Fatto: "Non ho motivo di credere che i giornalisti abbiano fatto qualche cosa di illecito". Infine il legale ha sottolineato che "la possibilità che i certificati anagrafici marocchini vengano modificati è demenziale in quanto il sistema di registrazione è blindato". Redazione online 11 marzo 2011(ultima modifica: 12 marzo 2011)
2011-03-10 Applausi per alfano dagli altri ministri. Di Pietro: "Nemmeno degna del peggior SUdafrica" Riforma della giustizia, sì dal governo Il premier: "In aula avrò soddisfazione" Il Consiglio dei ministri ha approvato all'unanimità il testo. Berlusconi: "È nell'interesse di tutti" * NOTIZIE CORRELATE * Giustizia, Alfano presenta la riforma. "Recepite le considerazioni del Colle" (9 marzo 2011) * Riforma della giustizia: due Csm e azione penale stabilita per legge (8 marzo 2011) * LA SCHEDA - Le novità in cinque punti Applausi per alfano dagli altri ministri. Di Pietro: "Nemmeno degna del peggior SUdafrica" Riforma della giustizia, sì dal governo Il premier: "In aula avrò soddisfazione" Il Consiglio dei ministri ha approvato all'unanimità il testo. Berlusconi: "È nell'interesse di tutti" Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e il premier, Silvio Berlusconi Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e il premier, Silvio Berlusconi ROMA - Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al ddl costituzionale di riforma della Giustizia. Il consenso è arrivato all'unanimità e ad approvazione avvenuta, secondo fonti governative, il Cdm l'ha salutata con un applauso indirizzato al Guardasigilli, Angelino Alfano. Trattandosi di una riforma costituzionale, dovrà essere approvata due volte da entrambi i rami del Parlamento: qualora avrà il consenso di due terzi dei parlamentari entrerà subito in vigore; in caso contrario, sarà sottoposta ad un referendum confermativo tra i cittadini. "CITTADINO E PM A PARI LIVELLO" - Subito dopo l'approvazione, Alfano ha spiegato i dettagli della legge e ha riassunto il suo spirito in una battuta: "Questo nuovo sistema prevede il giudice in alto, con il pm e il cittadino allo stesso livello". Un concetto che più tardi lo stesso premier ha illustrato con un disegno che rappresenta due versioni di una bilancia: nella prima uno dei due piatti prevale perché vi si trovano sia il pm sia il giudice, mentre sull'altro c'è solo l'avvocato della difesa; nella seconda, il giudice sta sul perno centrale e i due piatti sono equilibrati con il pm da una parte e la difesa dall'altra. Alfano ha difeso l'impianto generale della riforma e ha commentato che a suo parere non c'è alcun motivo affinché i magistrati indicano scioperi e mobilitazioni contro di essa, perché "non è punitiva nei loro confronti" "Riforma epocale" "RIFORMA PER TUTTI" - Silvio Berlusconi, che già nella notte, in un vertice a Palazzo Grazioli aveva spiegato che non si tratta di una legge ad personam ma di una riforma "nell'interesse di tutti", ha poi ribadito che il provvedimento "è un punto qualificante della nostra azione di governo, una riforma organica, di prospettiva e di profondo cambiamento che non ha nulla a che fare con i processi in corso". E che per di più era tra i suoi obiettivi già dal 1994, anno della sua "discesa in campo". "Questa riforma costituzionale - ha sottolineato il capo del governo - sarà affidata a 10 leggi che avranno percorsi parlamentari singoli e che presenteremo in successione al parlamento". In ogni caso, ha assicurato Berlusconi anche in conferenza stampa, "faremo di tutto per poter discutere con l'opposizione queste norme e lo farà il ministro della Giustizia". Oltretutto, ha ricordato, "questi temi sono stati per cinquant'anni temi portati avanti proprio dalla sinistra". Responsabile di questo confronto, ha aggiunto il premier, "sarà Alfano". IL GIUSTO PROCESSO - Tra i tanti punti della riforma della giustizia ce n'è uno che Berlusconi ha particolarmente a cuore e lo ha spiegato lui stesso in conferenza stampa a palazzo Chigi: "regolamentare l'inappellabilità per le assoluzioni in primo grado" perché un cittadino, assolto in primo grado ma processato di nuovo in appello e in terzo grado, "ha la vita completamente rovinata: lui, la sua famiglia, i suoi rapporti con la società e le sue finanze". Il cuore della riforma, ha poi aggiunto , è "il giusto processo" che "non deve solo essere portato a termine in tempi ragionevoli, ma garantire il contraddittorio e garantire la parità tra accusa e difesa. Il giusto processo è un diritto di tutti i cittadini". La bilancia della giustizia La bilancia della giustizia La bilancia della giustizia La bilancia della giustizia La bilancia della giustizia La bilancia della giustizia La bilancia della giustizia La bilancia della giustizia IL CASO RUBY - A chi gli chiedeva se il caso Ruby avesse influenzato i tempi e i contenuti della riforma della giustizia, Berlusconi ha dato una risposta tranchant: "Zero. È pensata dal '94". Poi ha parlato delle sue vicende personali: "Questa volta mi prenderò la soddisfazione di essere presente nelle aule dei processi. Ho destinato la domenica alla preparazione e il lunedì alla mia presenza nelle aule dei tribunali. Credo che mi prenderò delle belle soddisfazioni e soprattutto spiegherò agli italiani come stanno le cose". E ancora: "Io non mi sono mai interessato di queste leggi, perché ho garantito con un giuramento sui miei figli e sui miei nipoti che i processi che mi sono stati portati addosso sono fondati sul nulla". E a questo proposito ha spiegato: "Ho la pretesa di venire assolto nei processi, come fatto 24 volte su 30 nei processi che mi sono stati organizzati contro e come farò per quelli che mi restano". Le tappe della riforma "SARA' APPREZZATA" - Positivi anche i primi commenti arrivati dai ministri che l'hanno approvata. "È una riforma attesa da anni, i cittadini la apprezzeranno e, se chiamati ad un referendum confermativo, la voteranno massicciamente" ha detto Gianfranco Rotondi, ministro per l'Attuazione del programma. Per il portavoce del Pdl, Daniele Capezzone, l'approvazione del testo rappresenta ora "un'occasione anche per i garantisti di sinistra". E il ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo: "E' una riforma seria, profonda, attenta ai pesi e contrappesi della democrazia, ai diritti dei cittadini, all'equilibrio sostanziale fra accusa e difesa era nei nostri programmi fondativi". "SCRITTA SOTTO DETTATURA" - La riforma è invece bocciata senza mezzi termini dal leader dell'Idv, Antonio di Pietro: "È stata proposta una riforma così antidemocratica da stravolgere lo stato di diritto, noi presenteremo un solo emendamento, completamente abrogativo di tutta la riforma", che l'ex pm ha definito "non degna nemmeno del peggior vecchio stato sudafricano". Stroncatura totale anche da Oliviero Diliberto, portavoce nazionale della Federazione della sinistra, secondo cui si tratta di una "pseudo riforma" che "non è altro che un'ennesima legge ad personam, scritta sotto diretta dettatura di un premier oramai disperato". Meno netto il finiano Benedetto Della Vedova: "Esamineremo i testi e faremo le nostre valutazioni senza pregiudizi". Redazione Online 10 marzo 2011
Applausi per alfano dagli altri ministri. Di Pietro: "Nemmeno degna del peggior SUdafrica" Riforma della giustizia, sì dal governo Il premier: "In aula avrò soddisfazione" Il Consiglio dei ministri ha approvato all'unanimità il testo. Berlusconi: "È nell'interesse di tutti" * NOTIZIE CORRELATE * Giustizia, Alfano presenta la riforma. "Recepite le considerazioni del Colle" (9 marzo 2011) * Riforma della giustizia: due Csm e azione penale stabilita per legge (8 marzo 2011) * LA SCHEDA - Le novità in cinque punti Applausi per alfano dagli altri ministri. Di Pietro: "Nemmeno degna del peggior SUdafrica" Riforma della giustizia, sì dal governo Il premier: "In aula avrò soddisfazione" Il Consiglio dei ministri ha approvato all'unanimità il testo. Berlusconi: "È nell'interesse di tutti" Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e il premier, Silvio Berlusconi Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e il premier, Silvio Berlusconi ROMA - Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al ddl costituzionale di riforma della Giustizia. Il consenso è arrivato all'unanimità e ad approvazione avvenuta, secondo fonti governative, il Cdm l'ha salutata con un applauso indirizzato al Guardasigilli, Angelino Alfano. Trattandosi di una riforma costituzionale, dovrà essere approvata due volte da entrambi i rami del Parlamento: qualora avrà il consenso di due terzi dei parlamentari entrerà subito in vigore; in caso contrario, sarà sottoposta ad un referendum confermativo tra i cittadini. "CITTADINO E PM A PARI LIVELLO" - Subito dopo l'approvazione, Alfano ha spiegato i dettagli della legge e ha riassunto il suo spirito in una battuta: "Questo nuovo sistema prevede il giudice in alto, con il pm e il cittadino allo stesso livello". Un concetto che più tardi lo stesso premier ha illustrato con un disegno che rappresenta due versioni di una bilancia: nella prima uno dei due piatti prevale perché vi si trovano sia il pm sia il giudice, mentre sull'altro c'è solo l'avvocato della difesa; nella seconda, il giudice sta sul perno centrale e i due piatti sono equilibrati con il pm da una parte e la difesa dall'altra. Alfano ha difeso l'impianto generale della riforma e ha commentato che a suo parere non c'è alcun motivo affinché i magistrati indicano scioperi e mobilitazioni contro di essa, perché "non è punitiva nei loro confronti" "Riforma epocale" "RIFORMA PER TUTTI" - Silvio Berlusconi, che già nella notte, in un vertice a Palazzo Grazioli aveva spiegato che non si tratta di una legge ad personam ma di una riforma "nell'interesse di tutti", ha poi ribadito che il provvedimento "è un punto qualificante della nostra azione di governo, una riforma organica, di prospettiva e di profondo cambiamento che non ha nulla a che fare con i processi in corso". E che per di più era tra i suoi obiettivi già dal 1994, anno della sua "discesa in campo". "Questa riforma costituzionale - ha sottolineato il capo del governo - sarà affidata a 10 leggi che avranno percorsi parlamentari singoli e che presenteremo in successione al parlamento". In ogni caso, ha assicurato Berlusconi anche in conferenza stampa, "faremo di tutto per poter discutere con l'opposizione queste norme e lo farà il ministro della Giustizia". Oltretutto, ha ricordato, "questi temi sono stati per cinquant'anni temi portati avanti proprio dalla sinistra". Responsabile di questo confronto, ha aggiunto il premier, "sarà Alfano". IL GIUSTO PROCESSO - Tra i tanti punti della riforma della giustizia ce n'è uno che Berlusconi ha particolarmente a cuore e lo ha spiegato lui stesso in conferenza stampa a palazzo Chigi: "regolamentare l'inappellabilità per le assoluzioni in primo grado" perché un cittadino, assolto in primo grado ma processato di nuovo in appello e in terzo grado, "ha la vita completamente rovinata: lui, la sua famiglia, i suoi rapporti con la società e le sue finanze". Il cuore della riforma, ha poi aggiunto , è "il giusto processo" che "non deve solo essere portato a termine in tempi ragionevoli, ma garantire il contraddittorio e garantire la parità tra accusa e difesa. Il giusto processo è un diritto di tutti i cittadini". La bilancia della giustizia La bilancia della giustizia La bilancia della giustizia La bilancia della giustizia La bilancia della giustizia La bilancia della giustizia La bilancia della giustizia La bilancia della giustizia IL CASO RUBY - A chi gli chiedeva se il caso Ruby avesse influenzato i tempi e i contenuti della riforma della giustizia, Berlusconi ha dato una risposta tranchant: "Zero. È pensata dal '94". Poi ha parlato delle sue vicende personali: "Questa volta mi prenderò la soddisfazione di essere presente nelle aule dei processi. Ho destinato la domenica alla preparazione e il lunedì alla mia presenza nelle aule dei tribunali. Credo che mi prenderò delle belle soddisfazioni e soprattutto spiegherò agli italiani come stanno le cose". E ancora: "Io non mi sono mai interessato di queste leggi, perché ho garantito con un giuramento sui miei figli e sui miei nipoti che i processi che mi sono stati portati addosso sono fondati sul nulla". E a questo proposito ha spiegato: "Ho la pretesa di venire assolto nei processi, come fatto 24 volte su 30 nei processi che mi sono stati organizzati contro e come farò per quelli che mi restano". Le tappe della riforma "SARA' APPREZZATA" - Positivi anche i primi commenti arrivati dai ministri che l'hanno approvata. "È una riforma attesa da anni, i cittadini la apprezzeranno e, se chiamati ad un referendum confermativo, la voteranno massicciamente" ha detto Gianfranco Rotondi, ministro per l'Attuazione del programma. Per il portavoce del Pdl, Daniele Capezzone, l'approvazione del testo rappresenta ora "un'occasione anche per i garantisti di sinistra". E il ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo: "E' una riforma seria, profonda, attenta ai pesi e contrappesi della democrazia, ai diritti dei cittadini, all'equilibrio sostanziale fra accusa e difesa era nei nostri programmi fondativi". "SCRITTA SOTTO DETTATURA" - La riforma è invece bocciata senza mezzi termini dal leader dell'Idv, Antonio di Pietro: "È stata proposta una riforma così antidemocratica da stravolgere lo stato di diritto, noi presenteremo un solo emendamento, completamente abrogativo di tutta la riforma", che l'ex pm ha definito "non degna nemmeno del peggior vecchio stato sudafricano". Stroncatura totale anche da Oliviero Diliberto, portavoce nazionale della Federazione della sinistra, secondo cui si tratta di una "pseudo riforma" che "non è altro che un'ennesima legge ad personam, scritta sotto diretta dettatura di un premier oramai disperato". Meno netto il finiano Benedetto Della Vedova: "Esamineremo i testi e faremo le nostre valutazioni senza pregiudizi". Redazione Online 10 marzo 2011
Bersani: "Discussione a vuoto per due anni che non risolve i problemi della giustizia" Le toghe: "È una riforma punitiva" D'Alema: "Premier principale ostacolo" L'Anm: "Minata l'indipendenza della magistratura, ridotte le garanzie per i cittadini" Bersani: "Discussione a vuoto per due anni che non risolve i problemi della giustizia" Le toghe: "È una riforma punitiva" D'Alema: "Premier principale ostacolo" L'Anm: "Minata l'indipendenza della magistratura, ridotte le garanzie per i cittadini" Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano MILANO - "È una riforma punitiva il cui disegno complessivo mina l'autonomia e l'indipendenza della magistratura e altera sensibilmente il corretto equilibrio tra i poteri dello Stato. È una riforma contro i giudici che riduce le garanzie per i cittadini". È quanto affermano il presidente Luca Palamara e il segretario dell'Associazione nazionale magistrati Giuseppe Cascini a proposito della riforma varata dal Consiglio dei ministri. BERSANI: "NO PERDITE TEMPO" - "Si butterà la palla avanti per due anni con una discussione a vuoto su una riforma costituzionale mentre i problemi della giustizia sono completamente dimenticati e il servizio giudiziario non sta funzionando", ha commentato il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. "L'Italia è inchiodato sulle priorità politiche e personali di Berlusconi, mai su quelle vere della gente". "MOBILITAZIONE" - Contraria anche Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe, che considera la riforma "pericolosa" e "dannosa" e che "non accorcia di un giorno la durata dei processi". "Chiediamo una grande mobilitazione di tutta la magistratura". L'Unione delle camere penali invece fa "appello a tutti i parlamentari di minoranza affinché la riforma della giustizia sia dibattuta a viso aperto". D'ALEMA - "In tutti questi anni- dice Massimo D'Alema- è stato proprio Berlusconi il principale ostacolo a una riforma della giustizia perché lui è mancante di quella condizione di terzietà che è fondamento di autorevolezza politica senza la quale è impossibile qualsiasi riforma". "NORME AD SILVIUM" - "Si tratta di norme ad Silvium che hanno solo il fine di intimidire e sottomettere la magistratura al potere politico", o dichiara il presidente di Italia dei valori al Senato, Felice Belisario. Francesco Rutelli (Api) invece giudica come elemento "positivo" il fatto che Berlusconi abbia chiarito che non ci saranno norme "ad personam", ma ha escluso che dal suo partito possa arrivare un via libera ad alcuni punti della riforma. Redazione online 10 marzo 2011
NO DEL PD: "QUEL TESTO E' INACCETTABILE, COPRE LEGGI AD PERSONAM" Giustizia, Alfano presenta la riforma "Recepite le considerazioni del Colle" Il ministro due ore al Quirinale: "È andata bene" * NOTIZIE CORRELATE * Bossi: "La riforma della giustizia? Passerà comunque" (8 marzo 2011) * Riforma della giustizia: due Csm e azione penale stabilita per legge (8 marzo 2011) * Il blog: "Politicamente scorrette" (di G. Fregonara e M. T. Meli) NO DEL PD: "QUEL TESTO E' INACCETTABILE, COPRE LEGGI AD PERSONAM" Giustizia, Alfano presenta la riforma "Recepite le considerazioni del Colle" Il ministro due ore al Quirinale: "È andata bene" Pierluigi Bersani (Ansa) Pierluigi Bersani (Ansa) MILANO - Il Guardasigilli Angelino Alfano è salito al Quirinale per illustrare al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il testo della riforma costituzionale della giustizia, che giovedì sarà esaminata da un Consiglio dei Ministri straordinario. Il colloquio è durato un paio d'ore. "Ho illustrato il disegno di legge di riforma della Costituzione in materia di giustizia. Il presidente Napolitano ha ascoltato, ha preso atto ed ha svolto considerazioni di carattere generale che io ho ascoltato e recepito con la dovuta attenzione". Alfano, sintetizza così con i cronisti l'incontro con il capo dello Stato. "Si tratta di considerazioni di ordine generale - aggiunge Alfano - sono soddisfatto dell'incontro". "Modifiche al testo?", gli chiedono i cronisti. "Quale testo? - risponde il Guardasigilli - il testo lo presentiamo domani". "Le indiscrezioni hanno rango di indiscrezioni, i testi quello di testi", conclude Alfano. Poi il Guardasigilli è andato a illustrare la bozza di riforma anche alla terza gamba della maggioranza, "I Responsabili", finora un po' a margine del procedimento dell'elaborazione del provvedimento. Secondo quanto viene riferito da alcuni partecipanti il ministro avrebbe sottolineato la volontà della maggioranza di sensibilizzare e informare l'opinione pubblica, anche in considerazione del fatto che, trattandosi di legge costituzionale, c'è un referendum in vista. LE NOVITA' - Oltre a quanto trapelato già nei giorni scorsi, ci sarebbero delle novità dell'ultim'ora. Nel nuovo testo si direbbe che i "I magistrati sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione dei diritti, al pari degli altri funzionari e dipendenti dello Stato". Questo significa che le toghe potranno essere chiamate a rispondere di tasca propria dal cittadino che potrà citare direttamente loro in giudizio e non lo Stato come è ora. Nella bozza, si prevede anche, come aggiunta all'articolo 113 della Costituzione (diventerà se approvato il 113 bis), che "nei casi di ingiusta detenzione o di altra indebita limitazione della libertà personale, la legge regola la responsabilità civile dei magistrati" la quale "si estende allo Stato". Altra novità: i Csm diventano due. Uno per i giudici e uno per i Pm. Entrambi presieduti dal Capo dello Stato. Cade dunque l'ipotesi che a capo del Csm dei magistrati inquirenti vada il Procuratore generale della Cassazione eletto dal Parlamento in seduta comune su indicazione del Csm. Parte quest'ultima eliminata nelle ultime ore. Per quanto riguarda poi l'obbligatorietà dell'azione penale nel nuovo testo si direbbe che "L'ufficio del Pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale secondo i criteri stabiliti dalla legge". Se ad oggi l'articolo 112 della Costituzione prevede che "Il Pm ha l'obbligo di esercitare l'azione penale", nella penultima bozza la formulazione era "secondo le modalità stabilite dalla legge". Ora, invece, la versione sottoposta al Quirinale parla di "criteri". Comunque un'azione penale limitata rispetto a quella che oggi può esercitare il Pm. BERSANI - Al Pd però la riforma non piace è pronto a dare battaglia. "Le anticipazioni sulla riforma della giustizia contengono elementi inaccettabili. C'è un elemento di manovra per dare copertura sul piano politico generale e costituzionale al bricolage domestico dell'aggiustamento delle leggi ad personam, e continuare a non parlare dei problemi seri della giustizia". Così il segretario del Pd Pier Luigi Bersani valuta le anticipazioni sulla riforma della giustizia che domani sarà approvata in consiglio dei ministri. "Vedremo le carte - afferma Bersani - ma le premesse non sono buone. È un treno senza stazione". "Avremo mesi in cui si continuerà a parlare di giustizia - ha detto ancora Bersani - senza concludere nulla e questo, viste le intenzioni, potrebbe anche essere positivo, ma senza riuscire a occuparsi dei problemi veri del Paese. Noi le nostre proposte per migliorare il servizio-giustizia le abbiamo presentate ed è su questo che non si sta lavorando". "O si fanno leggi ad-personam -ha osservato il segretario del Pd, riferendosi alla politica del governo in materia di giustizia- o si prospettano riforme costituzionali negative, che non approderanno a nulla. Non ci si preoccupa mai del funzionamento della giustizia per i cittadini, la giustizia è la cosa di cui si è parlato di più da quando c'è Berlusconi, ma in cui si è fatto di meno per modernizzare il servizio". "Questo è abbastanza agghiacciante, perchè vuol dire che questo tema serve a Berlusconi per proteggersi o fare dei diversivi e un tema preso in ostaggio dal presidente del Consiglio. Si parli di giustizia ma per favore il governo pensi anche a mettere mano ai temi economico-sociali. È allucinante che siamo l'unico Paese occidentale a non concentrarsi su fenomeni di gravità enorme -ha concluso Bersani- come occupazione, controllo dell'inflazione e del debito". SPATARO - Da segnalare l'opinione sul nuovo testo del procuratore aggiunto di Milano, Armando Spataro, protagonistas in questi giorni di una polemica proprio sulla riforma della giustizia: "Ciò che sta accadendo in questi giorni, quello che si legge sui giornali, sembra essere incompatibile con la Costituzione". Secondo il magistrato milanese, sembra esserci "un modello di magistrato che risponde agli interessi della politica, ma la Costituzione dice altro. L'obbligatorietà dell'azione penale è garanzia di uguaglianza tra i cittadini e di indipendenza della magistratura. A chi mi chiede quale sia più pericoloso tra gli elementi emersi dico che non si può fare una classifica perchè tutto è pericoloso". Redazione online 09 marzo 2011
Il Colle I tecnici: nessuna violazione di principi intangibili "Presa d'atto di una scelta che riguarda il governo". La linea di Napolitano L'invito: servono ampio respiro e condivisione Il Colle I tecnici: nessuna violazione di principi intangibili "Presa d'atto di una scelta che riguarda il governo". La linea di Napolitano L'invito: servono ampio respiro e condivisione Napolitano e Alfano (Ansa) Napolitano e Alfano (Ansa) ROMA - "Bene, è andata bene", dice Angelino Alfano, proclamandosi "soddisfatto". "È stata la presa d'atto di una scelta che rientra nelle responsabilità dell'esecutivo", dicono laconici al Quirinale. Comunque si consideri la prima versione (improntata a una certa euforia) e la seconda (formale e cauta senza ruvidezze), di sicuro c'è che l'incontro di ieri tra il ministro della Giustizia e il capo dello Stato non si è svolto all'insegna di quell'irritazione e di quel gelo profetizzati da qualcuno, anticipando addirittura che il presidente non avrebbe personalmente ricevuto il membro del governo e lo avrebbe invece dirottato sul suo segretario generale, Donato Marra.
Non è andata così. Il faccia a faccia c'è stato, approfondito, ed è durato quasi due ore. Durante le quali il Guardasigilli si è affannato a spiegare nei dettagli l'impianto della proposta di riforma costituzionale sulla giustizia. Mentre Giorgio Napolitano ha ascoltato, preso appunti e avanzato qua e là alcune "considerazioni di carattere generale". Evitando di entrare nel merito dei 14/16 articoli che compongono il progetto di revisione. E soffermandosi con richieste di chiarimento solo su qualche snodo critico, ad esempio sulle parti che dovrebbero modificare il titolo IV della Carta - in cui si disciplinano le funzioni giurisdizionali -, per capire come potrebbero conciliarsi cambiamenti di carattere ordinamentale con cambiamenti di carattere normativo, tenendo tutto in equilibrio. Alla fine ha fatto intendere che autorizzerà la presentazione del disegno di legge al Consiglio dei ministri. Un via libera senza censure o avalli preventivi. Un disco verde scontato, visto che nella storia repubblicana non esistono precedenti di dinieghi quirinalizi per leggi di riforme costituzionali, nelle quali il dominus è e deve restare il Parlamento. Del resto, anche nelle ipotesi più controverse del progetto firmato da Alfano, come la separazione delle carriere dei magistrati o lo sdoppiamento del Consiglio superiore (oggi organo unico, presieduto dal capo dello Stato che, ha garantito il ministro, dovrebbe in ogni caso guidare entrambi), i tecnici non ravvisano al momento violazioni di quelli che di solito si definiscono "sacri e intangibili principi". Oltretutto, c'è chi osserva che proprio sullo stesso terreno ipotizzava di lavorare pure la vecchia Commissione bicamerale di D'Alema.
Due sole raccomandazioni ha fatto Napolitano, coerenti con tanti suoi ripetuti appelli: 1) Studiare una revisione "di ampio respiro, senza interventi sterili e settoriali" che mortifichino l'autonomia e l'indipendenza delle toghe o, peggio, che abbiano un sapore ritorsivo "influenzato dalle contingenze", che sarebbero poi le pendenze giudiziarie del premier; 2) La ricerca di larghe intese con l'opposizione fin da subito, l'unico metodo per costruire in Parlamento il massimo consenso possibile e restituire davvero "qualità ed efficienza al processo penale". Una doppia precondizione, chiamiamola così, che il governo sa di dover onorare. Nel proprio interesse. Se non altro perché, a fine percorso, su tutto incomberà un referendum confermativo. L'esperienza di quattro anni fa, quando fu bocciata a furor di popolo la Grande Riforma messa allora in cantiere dal centrodestra, dovrebbe avere insegnato qualcosa. Marzio Breda 10 marzo 2011
2011-03-06 Il presidente del Consiglio: "Riforma della giustizia epocale" Ghedini: "Berlusconi scenderà in campo per difendersi" Il legale del premier: "C'è la disponibilità di celebrare i processi e rapidamente". Mediatrade, rinvio al 28 marzo * NOTIZIE CORRELATE * La proposta del premier: a processo il lunedì (5 marzo 2011) Il presidente del Consiglio: "Riforma della giustizia epocale" Ghedini: "Berlusconi scenderà in campo per difendersi" Il legale del premier: "C'è la disponibilità di celebrare i processi e rapidamente". Mediatrade, rinvio al 28 marzo Ghedini: "Si difenderà" MILANO - "Il premier ritiene opportuno scendere in campo in prima persona per difendersi". Così l'avvocato Niccolò Ghedini ha spiegato la volontà del premier di partecipare a tutte le udienze dei suoi processi a Milano. "Da parte nostra c'è la disponibilità di celebrare i processi e rapidamente, per questo abbiamo dato la disponibilità del lunedì per le udienze". Lo ha detto l'avvocato Niccolò Ghedini in tribunale a Milano durante la seconda udienza preliminare del processo Mediatrade. LUNEDI' - "Abbiamo proposto al tribunale di bloccare il lunedì. Da noi è arrivato un notevole sforzo collaborativo ed è il massimo che si può pretendere da un presidente del consiglio" ha detto Ghedini, a proposito del calendario delle udienze, argomento di discussione venerdì con il presidente del tribunale Livia Pomodoro. CORSIA PREFERENZIALE? NON HA SENSO - Per l'avvocato Niccolò Ghedini "non ha senso parlare" di una corsia preferenziale per il processo al premier sul caso Ruby. Venerdì, dal quarto piano del Palazzo di Giustizia di Milano avevano spiegato che il processo sul caso Ruby, essendo un rito immediato e dunque per definizione celere ed avendo come parte offesa una minorenne, ha una sorta di corsia preferenziale, proprio come tipo di procedimento, rispetto agli altri processi. "Credo che non abbia senso parlare di questo", ha chiarito Ghedini, che ha sottolineato anche l'intenzione del premier che i processi a suo carico vengano celebrati "rapidamente". I tempi delle udienze però, ha concluso l'avvocato, "non li decide nè la difesa, nè la procura e spero che ci siano dei giudici super partes che tengano conto anche degli impegni istituzionali di Berlusconi". "Riforma epocale della giustizia" MEDIATRADE - Intanto per un difetto di notifica l'udienza preliminare per il caso Mediatrade è stata rinviata al prossimo 28 marzo. Lo ha deciso il Gup di Milano, Maria Vicidomini. Il giudice dell'udienza preliminare ha dovuto disporre il rinvio in quanto all'avvocato Filippo Dinacci, difensore di Piersilvio Berlusconi, non è stato notificato l'avviso di fissazione dell'udienza preliminare. Pertanto il procedimento è slittato proprio per consentire la notifica dell'atto. BERLUSCONI - Dal canto suo Berlusconi ha inviato un messaggio alla prima Conferenza nazionale sul lavoro e occupazione femminile con il quale sfiora l'argomento dei suoi processi: "La sinistra ancora una volta non esita di fronte a nulla nell'ultimo disperato tentativo di ottenere con scorciatoie mediatico-giudiziarie quello che non riesce a ottenere nelle urne". Poi in collegamento telefonico con la convention di "Noi Riformatori" ad Avezzano, ribadisce che sarà "epocale" la riforma della giustizia che verrà "presentata nel Cdm di giovedì prossimo". Il premier ha rivendicato il buon lavoro della sua maggioranza in Parlamento: "Davvero - ha detto - siamo soddisfatti della maggioranza che abbiamo in Parlamento. Prima, quando presentavamo riforme sulla giustizia, avevamo un no preliminare di Fini e dei suoi, oggi questo non accade più, quindi pensiamo di poter portare avanti le riforme che per noi sono un impegno contrattuale con elettori". CALDEROLI - Sulla riforma della giustizia interviene successivamente anche il ministro per la Semplificazione, il leghista Roberto Calderoli, per il quale: "Se parliamo di una riforma costituzionale è evidente che nessuna di quelle misure andrà a ricadere sui processi a Berlusconi, il problema della giustizia italiana è garantire processi in tempi certi altrimenti non è giustizia". Calderoli ha poi aggiunto: "Stiamo lavorando sulla proposta che verrà portata al Consiglio dei ministri, su cui stanno lavorando tutte le parti del governo". Redazione online 05 marzo 2011(ultima modifica: 06 marzo 2011)
I processi I nodi La proposta del premier: a processo il lunedì Ghedini incontra il presidente del Tribunale. Ma i giudici punteranno sul sabato o su doppie udienze I processi I nodi La proposta del premier: a processo il lunedì Ghedini incontra il presidente del Tribunale. Ma i giudici punteranno sul sabato o su doppie udienze MILANO - Un giorno alla settimana, il lunedì: è quanto Silvio Berlusconi, in considerazione dei propri impegni di premier e di leader del Pdl, è disposto a concedere al Tribunale di Milano per permettere la celebrazione dei suoi 4 processi in primo grado, alle cui udienze rilevanti dichiara di "voler essere presente". È questa l'"ambasciata" che il presidente del Consiglio ha mandato ieri il suo avvocato-parlamentare Niccolò Ghedini a esporre al presidente del Tribunale milanese Livia Pomodoro, vista "la necessità a nostro parere - dice Ghedini - di un coordinamento di date tra le varie udienze in modo da consentire al presidente Berlusconi di essere sempre presente nei processi in cui è imputato". Berlusconi (Reuters) Berlusconi (Reuters) Un coordinamento, in quanto tale, non può esistere né in teoria essere imposto (neppure se volesse) dalla presidenza del Tribunale, giacché ciascuno dei 4 collegi di giudici è del tutto autonomo anche nella definizione dei calendari e nei ritmi d'udienza: tanto più che assai differenti sono gli stati dei dibattimenti (se supererà le eccezioni procedurali il processo Mills ripartirà da una buona fetta di istruttoria già fatta, Mediaset diritti tv è oltre la metà ma impantanato in complicate rogatorie estere per i testi, Mediatrade è in udienza preliminare, il caso Ruby deve ancora iniziare), e ancor più differenti i rischi di prescrizione che sono minacciosi per il processo Mills (già tra un anno), seri per Mediaset diritti tv, lontani per Mediatrade, inesistenti per Ruby. È tuttavia improbabile la soluzione del solo lunedì fisso: sia perché è un giorno che non sempre (specie di pomeriggio) è al riparo da lavori parlamentari, e dunque potrebbe a volte anche "saltare" per gli impegni in Parlamento di Berlusconi e dei suoi legali, sia soprattutto perché il solo lunedì spalmato su 4 processi significherebbe al massimo una udienza al mese per ciascun dibattimento, ritmo un po' troppo sonnolento. È invece immaginabile che a Ghedini venga richiesto di aggiungere ai lunedì i sabato (quando non c'è attività in Parlamento), sebbene la difesa li escluda ritenendoli spesso prenotati da missioni all'estero del premier. Ghedini: "Berlusconi andrà in Aula" Poiché è escluso che qualunque dei 4 processi possa avere una corsia preferenziale (nemmeno quello che pur ha parte lesa una minorenne come Ruby), un punto d'equilibrio potrebbe essere un lunedì alla settimana, ma double-face: nel quale cioè si riescano a celebrare un processo di mattina e un altro di pomeriggio, con recupero al successivo sabato solo delle udienze eventualmente "saltate", permettendo così almeno due udienze al mese per ciascuno dei 4 dibattimenti. D'altra parte è anche evidente il sottotesto implicito nell'offerta del premier, indisponibile a lasciar fare 4 giorni alla settimana i processi in cui è imputato: se non si accoglie la sua disponibilità del solo lunedì, le udienze diventerebbero uno slalom continuo tra i singoli "legittimi impedimenti" che Berlusconi (come qualunque altro imputato comune) può sollevare ora che non è più protetto dalla legge (dichiarata incostituzionale dalla Consulta) che lo presumeva premier sempre legittimamente impedito a comparire in udienza per 6 mesi alla volta in forza di una autocertificazione della segreteria di Palazzo Chigi. Il problema non si porrà oggi all'udienza preliminare Mediatrade dove il premier risponde di frode fiscale con il figlio e il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri: l'udienza "salterà" da sola per un difetto di notifica all'avvocato Filippo Dinacci che difende Piersilvio Berlusconi. Luigi Ferrarella, Giuseppe Guastella 05 marzo 2011
2011-03-02 Il Guardasigilli: "Nessun problema con la Lega, vediamo come far partecipare il popolo" Giustizia, la riforma arriva in CdM "Si avrà parità tra accusa e difesa" Alfano anticipa: la discussione la prossima settimana. Resterà l'obbligatorietà dell'azione penale Il Guardasigilli: "Nessun problema con la Lega, vediamo come far partecipare il popolo" Giustizia, la riforma arriva in CdM "Si avrà parità tra accusa e difesa" Alfano anticipa: la discussione la prossima settimana. Resterà l'obbligatorietà dell'azione penale Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano (Ansa) Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano (Ansa) MILANO - La riforma costituzionale della Giustizia approderà la prossima settimana al consiglio dei ministri. La conferma arriva dal Guardasigilli, Angelino Alfano, che ai cronisti che gli chiedevano se il testo sarà messo in calendario ha risposto affermativamente: "Credo proprio di sì". CARRIERE SEPARATE - Lo stesso ministro ha illustrato i capisaldi del provvedimento nel corso della consulta del Pdl. "Si tratta di una riforma - ha detto Alfano - che si basa sulla separazione delle carriere e sulla parità tra accusa e difesa, oltre che su una giustizia disciplinare che non sia domestica e sulla architettura del processo che riaffermi l'effettiva del primato del giudice". Il Guardasigilli ha poi parlato di un confronto positivo con la Lega e ha confermato che, proprio su richiesta del Carroccio, si sta lavorando sull'articolo 106 della Costituzione, così da contemplare le modalità di partecipazione del popolo all'amministrazione della giustizia: "Siamo aperti ai suggerimenti della Lega, stiamo lavorando assieme" per arrivare "ad una amplia condivisione". Alfano ha inoltre precisato che nella sua relazione non si è fatto cenno a modifiche alla Corte costituzionale, e che resterà l'obbligatorietà dell'azione penale seppure "ci sarà un intervento con legge ordinaria per regolamentarne le modalità". IL DOPPIO CSM - Quanto ai due Csm, Alfano ha spiegato: "Abbiamo varie opzioni in campo. È esclusa, per quanto mi riguarda, l'ipotesi di presentare una proposta che preveda la presidenza da parte del ministro della Giustizia. Stiamo valutando, perchè sulla presidenza del consiglio superiore della magistratura requirente in questi anni ci sono state varie proposte in campo e tutte hanno una loro cittadinanza". "Stiamo risolvendo questo che non è un problema - ha detto ancora il titolare del dicastero di via Arenula- ma un punto importante che contribuirá a determinare complessivamente l'equilibrio di questo sistema che ha come bussola il processo giusto e la parità di accusa e difesa". Redazione Online 02 marzo 2011
2011-02-22 Il ddl sulle intercettazioni "non appare indirizzato ad una lotta alla corruzione" "La corruzione e la frode, sono patologie che continuano ad affliggere la Pa" La Corte dei Conti: "I dati non consentono ottimismi". Male soprattutto il settore della sanità Il ddl sulle intercettazioni "non appare indirizzato ad una lotta alla corruzione" "La corruzione e la frode, sono patologie che continuano ad affliggere la Pa" La Corte dei Conti: "I dati non consentono ottimismi". Male soprattutto il settore della sanità La Corte dei Conti (Ansa) La Corte dei Conti (Ansa) MILANO - Un nuovo avvertimento. La corruzione e la frode, soprattutto nel settore dei contributi nazionali e dell'Ue, sono "patologie" che "continuano ad affliggere la Pubblica amministrazione" e i cui dati "non consentono ottimismi". A sottolinearlo è il procuratore generale della Corte dei Conti, Mario Ristuccia. I DATI - Nel 2010 dalle forze dell'ordine sono stati segnalati 237 casi di corruzione (+30,22% rispetto al 2009), 137 di concussione (-14,91%), 1090 di abuso di ufficio (-4,89%). In calo, però, persone denunciate nel 2010: 709 per corruzione (-1,39% rispetto al 2009), 183 per concussione (-18,67%) e 2.290 per abuso di ufficio (-19,99%). In particolare nel settore della sanità "si intrecciano con sorprendente facilità veri e propri episodi di malaffare con aspetti di cattive gestioni talvolta favorite dalle carenze del sistema dei controlli". INTERCETTAZIONI - Il disegno di legge sulle intercettazioni "non appare indirizzato ad una vera e propria lotta alla corruzione" ha aggiunto Ristuccia, nel corso della cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario. Le intercettazioni, sottolinea ancora il procuratore generale, costituiscono "uno dei più importanti strumenti investigativi utilizzabili allo scopo" di contrastare il fenomeno della corruzione. La Corte dei conti boccia anche la legge Cirielli, che ha dimezzato i termini di prescrizione "con il risultato che molti dei relativi processi si estingueranno poco prima della sentenza finale, sebbene preceduta da una o deu sentenza di condanna". Redazione online 22 febbraio 2011
2011-02-21 IL PDL IN PRESSING. E Cicchitto ATTACCA: "Sinistra CONTRADDITTORIA" L'immunità parlamentare scuote il Pd Bersani e Franceschini: "Siamo assolutamente contrari". Ma la Chiaromonte: "Non ritirerò il ddl bipartisan" IL PDL IN PRESSING. E Cicchitto ATTACCA: "Sinistra CONTRADDITTORIA" L'immunità parlamentare scuote il Pd Bersani e Franceschini: "Siamo assolutamente contrari". Ma la Chiaromonte: "Non ritirerò il ddl bipartisan" Pier Luigi Bersani (LaPresse) Pier Luigi Bersani (LaPresse) MILANO - Il tema dell'immunità parlamentare scuote maggioranza e opposizione, agitando soprattutto le acque del Pd. Se il Pdl infatti preme perché si modifichi l'articolo 68 della Costituzione, il Partito democratico, dopo le iniziali aperture, chiude invece all'ipotesi di una intesa bipartisan sulla questione. La posizione del Pd su un eventuale ripristino dell'immunità parlamentare è "assolutamente contraria" ha detto senza mezzi termini Pier Luigi Bersani. "Noi siamo per ribaltare l'agenda - ha chiarito - e per dire che è ora di mettere all'ordine del giorno, non l'immunità parlamentare, ma regole, onestà, sobrietà". "La posizione del Pd è contraria senza alcuna ambiguità" ha aggiunto il capogruppo del Pd alla Camera, Dario Franceschini. E lo stesso Silvio Sircana, che nei giorni scorsi aveva fatto intendere di essere favorevole alla reintroduzione in tempi brevi dell'immunità per "evitare altre forzature in materia di giustizia", ha spiegato di essere disposto a seguire la linea del partito. "Se il partito decide diversamente non ne faccio una malattia, io sono un parlamentare disciplinato" ha detto. Chi non retrocede è invece la senatrice democratica Franca Chiaromonte. "Non ritirerò il disegno di legge che chiede il ripristino dell'immunità parlamentare" ha chiarito, sottolineando che "si tratta di un'iniziativa personale e trasversale. Poi se e quando dovesse andare in aula vedremo". "SINISTRA CONTRADDITTORIA" - Chiaromonte ha tenuto a ricordare che il disegno di legge depositato alla fine del 2009 e firmato anche da senatori del Pdl, "non è assolutamente imputabile di servilismo alle vicende attuali". Il testo, ha insistito, "nasce da una convinzione che porto avanti da anni e che si basa sulla preoccupazione che ebbero i padri costituenti quando scrissero l'articolo 68". Parole che spingono il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto ad accusare il Pd di essere contraddittorio. "L'immunità - ha spiegato Cicchitto - era nella Costituzione e serviva a bilanciare il rapporto complesso tra le garanzie di una magistratura indipendente e le garanzie dei parlamentari. Si tratta di ripristinarla. La sinistra ufficiale si dice contraria, anche rispetto alla posizione di esponenti come la senatrice Chiaromente e Sircana. Si apre dunque una contraddizione tra chi è forzatamente giustizialista e chi invece è garantista". Redazione online 21 febbraio 2011
IL CASO Il biotestamento finisce in teatro ma è polemica sull'intervento di Saviano Happening teatrale di Ignazio Marino con Beppino Englaro a favore della libertà di scelta * NOTIZIE CORRELATE * A Roma la Chiesa Valdese apre il registro delle ultime volontà (24 genn 11) IL CASO Il biotestamento finisce in teatro ma è polemica sull'intervento di Saviano Happening teatrale di Ignazio Marino con Beppino Englaro a favore della libertà di scelta Saviano: "Battaglia di libertà" Doveva essere la presentazione di uno spettacolo, si è trasformata, come prevedibile, in un'affaire politico. Per presentare "Testamento biologico. Sentimenti e diritti a confronto", iniziativa teatrale di Ignazio Marino, che va in scena lunedì stasera alle 21 al teatro Sala Umberto, uno dei protagonisti, Roberto Saviano è intervenuto con un video-messaggio, in cui ha parlato del disegno di legge sul testamento biologico che sarà votato con molta probabilità la prossima settimana a Montecitorio. "Il disegno di legge sembra essere un disegno liberale, ma non lo è. Complica le cose, burocratizza, non va nella direzione della libera scelta". Lo scrittore e giornalista ha esordito così: "Ci tenevo particolarmente ad esserci, ma ovviamente ho difficoltà di movimento a causa della mia vita. Decidere cosa fare del proprio corpo non riguarda solo la malattia o il coma, ma è un passo fondamentale per una società diversa con una democrazia articolata e un diritto compiuto. La battaglia di Beppino Englaro - ha aggiunto Saviano - è un passo verso la libertà perchè è un passo verso la scelta". Ignazio Marino (Ansa) Ignazio Marino (Ansa) ENGLARO IN SCENA - E sarà Beppino Englaro, il papà di Eluana, la donna in stato vegetativo 17 anni prima che le venissero sospese idratazione e alimentazioni artificiali, entrerà in scena in silenzio, e silente osserverà il pubblico mentre in sottofondo un suono cadenzato ricorderà quello dei macchinari che tenevano in vita sua figlia. "Una scelta - spiega il senatore Pd Ignazio Marino, presentando 'Le ragioni del cuorè in un incontro con la stampa - fatta anche per manifestare il sentimento di offesa per la decisione del Governo di celebrare la Giornata degli stati vegetativi proprio nel giorno del secondo anniversario della morte di Eluana". Con l'appuntamento in teatro"non vogliamo creare conflitti, ma condivisione - assicura il senatore e medico - rappresentare e dare spazio a tutte le opinioni, compresa, ad esempio, la testimonianza che arriva dalla Casa dei risvegli". Marino, che in Senato ha dato battaglia strenuamente al Ddl Calabrò, ha composto la lettera che leggerà all'amata donna di un uomo che immagina in stato di coma. Saviano, come si è detto, parteciperà con un video-contributo. Sul palco si alterneranno, tra gli altri, anche Elio De Capitani, regista e attore teatrale, con il collega Corrado Accordino. La cantante Sarah Demagistri, l'avvocato Ettore Martinelli, Monica Fabbri della Commissione di bioetica della Tavola valdese. "Mai come in questi anni - sottolinea l'attrice Simona Marchini, anche lei in scena stasera al fianco di Marino - la parola 'rispettò è stata svuotata nei contenuti. Ma sta a ciascuno di noi fare la propria parte, darsi da fare per cambiare le cose". Beppino Englaro (Lapresse) Beppino Englaro (Lapresse) ROMA - MARINO: "DDL CONTRO LA LIBERTA' DI SCELTA" - Intanto si stringono i tempi per il ddl sul biotestamento, che arriverà in Aula alla Camera in marzo, è questo, secondo il chirurgo e senatore del Pd Marino, per una ragione: "Il ddl serve per rinsaldare una maggioranza traballante e si tira fuori dal cassetto ora perché serve al presidente del Consiglio che vede la sua maggioranza a rischio, investito dagli scandali, e utilizza uno strumento così importante che riguarda la dignità della vita, strumentalmente". L'obiettivo, secondo Marino, deve essere una legge "diversa da quella che si sta scrivendo in questi giorni e che di fatto è contro il testamento biologico e la libertà di scelta, dal momento che in un articolo del ddl si dice chiaramente che idratazione e nutrizione artificiali sono obbligatorie e che, inoltre, le dichiarazioni anticipate di trattamento dati non sono vincolanti". Ci si trova dinanzi, ha concluso Marino, alla "arroganza di chi ha vinto le elezioni e dice 'io faccio una legge e dico a te, cittadino, come ti devi curare". "SAVIANO ARROGANTE" - "Non vogliamo togliere a Saviano il gusto di pontificare su quello che gli pare. Ma l'essersi calato nel ruolo di nuovo guru della sinistra iper-laicista deve avergli preso troppo la mano". Così il senatore Pdl, Vincenzo Fasano, che spiega: "Pensa di poter dettare legge su tutto ed ora si spinge fino a volersi sostituire al legislatore, definendo illiberale il disegno di legge sul fine vita. Sarà il Parlamento a dover giustamente regolamentare una materia tanto delicata, avendo come principio guida il valore della vita, la tutela dell'essere umano e il rispetto delle famiglie. E di certo non si farà influenzare da chi, con malcelata arroganza, emette sentenze su tutto". Redazione online 21 febbraio 2011
CASO RUBY, IL GUARDASIGILLI: "SUL CONFLITTO D'ATTRIBUZIONE IL PREMIER DECIDERà A BREVE" Alfano: "Sì, riformeremo la Consulta" Il ministro conferma in tv quanto già annunciato dal premier: "Vedremo come fare" CASO RUBY, IL GUARDASIGILLI: "SUL CONFLITTO D'ATTRIBUZIONE IL PREMIER DECIDERà A BREVE" Alfano: "Sì, riformeremo la Consulta" Il ministro conferma in tv quanto già annunciato dal premier: "Vedremo come fare" Angelino Alfano Angelino Alfano MILANO - La riforma della Consulta si farà. Parola di Angelino Alfano. Ospite di Porta a Porta, il ministro della Giustizia conferma che il governo è intenzionato a ritoccare la Corte costituzionale, in riferimento in particolare alla maggioranza qualificata. Durante la registrazione della trasmissione di Bruno Vespa, il Guardasigilli ha spiegato che la Consulta "fa parte dell'assetto delle garanzie. Siccome - ha chiarito - avremo anche una riforma della forma di Stato e di governo, valuteremo se la riforma della Corte costituzionale vada inserita in questo contesto o nell'ambito della riforma della giustizia". Quanto ai tempi, le due cose, ha detto Alfano, "partiranno in parallelo". CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE - Sul tema più generale della riforma della Giustizia, Alfano ha spiegato: "Riteniamo che nel nostro Paese la pubblica accusa e il cittadino che viene messo sotto accusa non siano pari. Bisogna affermare che giudici e pm sono parti separate perchè se l'accusa e il giudice sono collegati non c'è parità". Ospite di Vespa, il Guardasigilli è anche tornato sulla questione del processo a carico di Silvio Berlusconi, spiegando che "il conflitto di attribuzione può essere sollevato anche da forze parlamentari, quindi il diretto interessato può chiedere alle Camere di pronunciarsi. Sono scelte che competono al presidente del Consiglio - ha aggiunto - e credo che le compirà a breve". SI RIUNISCE IL COMITATO TECNICO- Intanto, è stata fissata per martedì mattina alle 9 la prima riunione del comitato tecnico - formato da ministri ed esperti - chiamato ad approfondire i contenuti della riforma costituzionale della giustizia, che un Consiglio dei ministri straordinario dovrà varare nelle prossime settimane. Tra i grandi temi oggetto del confronto ci sarà la riforma dell'articolo 68 della Costituzione sull'immunità parlamentare, assieme alla separazione delle carriere, e alla responsabilità civile dei magistrati, all'inappellabilità delle sentenze di proscioglimento e al doppio Csm. Redazione online 21 febbraio 2011
2011-02-19 sulle intercettazioni, il cavaliere vorrebbe tornare al testo originario Immunità e intercettazioni, Berlusconi alza la posta Il premier: avanti tutta. Primo sì del Cdm al piano giustizia di Alfano. L'Anm: non ci lasceremo intimidire * NOTIZIE CORRELATE * Notti di Arcore, anche auto in regalo (18 febbraio 2011) * In fuga da Fli, Fini: è colpa dei soldi del premier (17 febbraio 2011) * "La Cassazione decide sulla competenza", scontro sulla Consulta (17 febbraio 2011) sulle intercettazioni, il cavaliere vorrebbe tornare al testo originario Immunità e intercettazioni, Berlusconi alza la posta Il premier: avanti tutta. Primo sì del Cdm al piano giustizia di Alfano. L'Anm: non ci lasceremo intimidire Il ministro Angelino Alfano (Eidon) Il ministro Angelino Alfano (Eidon) MILANO - Il Consiglio dei ministri ha approvato all'unanimità la relazione del ministro della Giustizia Angelino Alfano sul disegno di legge che contiene le linee guida per la riforma costituzionale della giustizia. Nel corso della riunione dell'esecutivo, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi avrebbe insistito nel chiedere tempi stretti non solo sulla riforma costituzionale, ma anche sulle intercettazioni e sull'immunità parlamentare prevista dal vecchio articolo 68 della Costituzione. INTERCETTAZIONI - Secondo un parlamentare Pdl anonimo citato dall'Ansa, il partito di Silvio Berlusconi provvederà "a riformare le intercettazioni riproponendo il testo originario del ddl che giace alla Camera", cioè tornando alla versione precedente le modifiche imposte da finiani e centristi le quali, secondo Berlusconi, avevano reso "inutile" il provvedimento. La maggioranza di governo sarebbe intenzionata dunque a riformare le intercettazioni ripartendo dal testo che era stato approvato in Senato diversi mesi fa. Il testo approvato a Palazzo Madama prevedeva un rigido regime delle intercettazioni che fu successivamente indirizzato su un "binario morto" in Parlamento, dopo le modifiche introdotte dalla commissione Giustizia alla Camera. RIFORMA GIUSTIZIA - Più in generale, la riforma della giustizia approvata dal governo prevede la separazione delle carriere di giudici e pm, la divisione in due del Consiglio superiore della magistratura (Csm) e il conferimento di maggiori poteri al Guardasigilli. Non è escluso che - secondo quanto si è appreso - il governo intenda procedere anche con un ddl sulla responsabilità civile dei magistrati. Un Cdm straordinario sarà convocato nei prossimi giorni per l'approvazione definitiva, mentre martedì si riunirà un comitato di ministri e di tecnici per approfondire i contenuti del testo del ddl. "NON CI FAREMO INTIMIDIRE" - "È un copione già visto: ogni volta che emergono vicende giudiziarie che coinvolgono il premier, prima arrivano insulti, poi seguono iniziative legislative punitive per i magistrati" ha detto Luca Palamara, presidente dell'Anm, interpellato in merito alla discussione, in Consiglio dei ministri, sul pacchetto di riforme della giustizia. "Noi non ci faremo intimidire - ha aggiunto il leader del sindacato delle toghe - e continueremo ad applicare la legge con serenità, imparzialità e in maniera eguale per tutti e a spiegare quali sono le riforme di cui la giustizia ha bisogno davvero". "Ciò che più preoccupa in questa fase - ha aggiunto Palaara - sono le posizioni di ministri in carica - come quello dell'Istruzione, addirittura degli Esteri e persino Giustizia - che partecipano senza alcuna remora, che pure sarebbe doverosa per la carica istituzionale ricoperta, alla sistematica aggressione nei confronti dei magistrati". I PRINCIPI DEL PREMIER - "È giusto modificare l'articolo 68 della Costituzione reintroducendo l'immunità parlamentare". Il presidente Berlusconi, che avrebbe apprezzato pienamente la relazione del Guardasigilli, ha rilanciato e fatto sue le proposte di alcuni ministri tra cui, appunto, la reintroduzione dell'immunità parlamentare. "Deve essere oggetto di confronto", ha detto il premier ricordando ai ministri che la riforma del comparto "è uno dei punti più importanti del nostro programma di governo. "Questa è una riforma basata su principi di civiltà", ha commentato il premier. Il Cavaliere avrebbe sottolineato che in questo frangente va affrontato anche il nodo delle intercettazioni, senza indicare lo strumento per limitarne gli eventuali abusi. "L'importante - avrebbe detto - è che si vada al più presto a definire la riforma. Bisogna chiudere nel più breve tempo possibile". IL DDL - La bozza di riforma che il Guardasigilli Angelino Alfano aveva sottoposto all'attenzione del Quirinale lo scorso novembre aveva ricevuto un altolà dai finiani che, per bocca della presidente della commissione Giustizia Giulia Bongiorno, contestavano la prevista maggioranza laica del Csm, l'attribuzione di maggiori poteri al ministro della Giustizia, l'ipotesi di una polizia giudiziaria più autonoma dal pubblico ministero. La trattativa si era interrotta in contemporanea con lo strappo politico tra Pdl e Fli. NELLA BOZZA - Secondo quanto previsto dal ddl i giudici saranno indipendenti da ogni potere e soggetti solo alla legge, mentre i pm potrebbero diventare un "ufficio" organizzato secondo le norme sull'ordinamento e con la facoltà di esercitare l'azione penale secondo priorità stabilite dalla legge. E ancora: l'uso della polizia giudiziaria avverrà "secondo modalità stabilite dalla legge"; verranno creati due Csm, uno dei giudici e l'altro dei pm mentre un organismo ad hoc (una sorta di alta corte di disciplina) vaglierà i procedimenti disciplinari di tutte le toghe. Nelle originarie bozze, inoltre, era prevista l'inappellabilità delle sentenze di assoluzione in primo grado e l'attribuzione al ministro della Giustizia di maggiori poteri, incluso quello di partecipare alle riunioni dei Csm senza diritto di voto. Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (Eidon) Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (Eidon) BERLUSCONI - Il progetto di riforma della giustizia riparte nel momento in cui il presidente del Consiglio si sente politicamente più forte dopo la fuoriuscita di alcuni senatori e deputati da Futuro e libertà. Berlusconi, dopo aver incassato due rientri importanti, è convinto che la maggioranza crescerà ancora alla Camera: l'obiettivo resta quello di "aggiungere" almeno dieci deputati ai 316 attuali, per garantirsi il riequilibrio delle Commissioni e la tenuta nei prossimi passaggi parlamentari. E il traguardo sarebbe in vista: "Mi avevano dato per finito e invece...", sarebbe stato il ragionamento del Cavaliere con chi ha avuto modo di sentirlo a cui avrebbe confidato, come rivela il Corriere: "I miei avversari non esistono più". Si parla anche dell'ipotesi di formare un nuovo gruppo a Montecitorio in modo da avere più rappresentanti nelle Commissioni e in particolar modo nell'ufficio di presidenza che dovrà essere chiamato a pronunciarsi sull'eventuale conflitto di attribuzione da sollevare davanti alla Consulta per il caso Ruby, anche se lo stesso Berlusconi anticipa che "non presenteremo richiesta di conflitto di attribuzione". Mercoledì prossimo, quando i "numeri" in Parlamento saranno più chiari, Berlusconi dovrebbe ritoccare la squadra di Palazzo Chigi con l'innesto dei "Responsabili". Per lunedì prossimo il partito ha convocato a Milano parlamentari, ministri, sottosegretari e presidenti di commissione lombardi per studiare le prossime iniziative politiche contro la cosiddetta "giustizia a orologeria" perché, riferiscono, "non si può accettare una così palese violazione della volontà parlamentare". Redazione online 18 febbraio 2011
"Il conflitto tra poteri rischia l'inammissibilità". Pdl: "attendiamo smentita" Caso Ruby, secondo fonti della Consulta: "Su giurisdizione decide la Cassazione" Sul trasferimento del processo a carico del premier Berlusconi dal tribunale di Milano a quello dei ministri * NOTIZIE CORRELATE * I nomi sbagliati e l'età, le contraddizioni della Rubacuori (17 febbraio 2011) * I pm sentono la Tommasi. Lista delle invitate al castello (16 febbraio 2011) * Berlusconi e il processo Ruby: "Non sono per niente preoccupato" (16 febbraio 2011) "Il conflitto tra poteri rischia l'inammissibilità". Pdl: "attendiamo smentita" Caso Ruby, secondo fonti della Consulta: "Su giurisdizione decide la Cassazione" Sul trasferimento del processo a carico del premier Berlusconi dal tribunale di Milano a quello dei ministri Gli avvocati di Berlusconi Ghedini e Longo (Ansa) Gli avvocati di Berlusconi Ghedini e Longo (Ansa) MILANO - Se l'obiettivo è trasferire il processo a carico del premier Berlusconi sul "caso Ruby" dal tribunale di Milano a quello dei ministri, il conflitto tra poteri dello Stato davanti alla Corte Costituzionale rischia di cadere nel vuoto e di essere fermato da una pronuncia di inammissibilità. E questo perché - spiega all'Ansa un'importante e qualificata fonte di Palazzo della Consulta- sulle questioni di giurisdizione decide la Cassazione e non la Corte Costituzionale, "secondo quanto previsto dall'art.37, secondo comma, della legge 87 del 1953" sul funzionamento della Consulta. Negli stessi ambienti si auspica che tali norme siano tenute in conto nel caso in cui la Camera o la Presidenza del Consiglio decidano di sollevare il conflitto. LA NORMA - La norma citata prevede che il conflitto tra poteri dello Stato è risolto dalla Corte costituzionale "se insorge tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali". Ma la stessa norma, al secondo comma, precisa che "restano ferme le norme vigenti per le questioni di giurisdizione". Quindi, se la questione verrà posta per risolvere il nodo della competenza funzionale (nel telefonare in questura a Milano per chiedere il rilascio di Ruby Berlusconi ha agito o no abusando della sua funzione di premier tanto da dover essere giudicato dal tribunale dei ministri?) la Consulta dovrebbe rigettarla, dichiarandola inammissibile e senza entrare nel merito. La sollecitazione in ambienti di Palazzo della Consulta è dunque quella di "valutare bene" la strada del conflitto tra poteri. E se questo dovesse essere sollevato, si tenga conto che il conflitto non sospende il procedimento in corso. Inoltre - fa notare la stessa fonte qualificata - tra ammissibilità e decisione nel merito mediamente passa oltre un anno prima che la Consulta si esprima sui conflitti. "Potremmo anche ridurre i tempi arrivando a sei mesi ma - viene ribadito - non si dimentichi che è la Cassazione a decidere sulle questioni di competenza". CAPEZZONE - Daniele Capezzone, portavoce PdL, reagisce all'indiscrezione dell'Ansa: "Leggiamo di indiscrezioni propalate da una presunta "fonte qualificata di Palazzo della Consulta" secondo la quale un possibile conflitto di attribuzioni nei confronti dei giudici di Milano sarebbe inammissibile perché riguardante una questione di giurisdizione, tanto che la presunta fonte si affretta ad avvertire (o forse sarebbe il caso di dire, minacciare) il Parlamento e il Governo di "valutare bene" la strada del conflitto tra poteri". "Al di là del merito delle argomentazioni, che sembrano peraltro prive di fondamento, sconcerta e indigna che in un momento di tensioni così forti ci possa essere qualcuno che gioca a fare la "gola profonda" in una sconcertante e destabilizzante strategia della tensione tra le istituzioni, lasciando intendere ai cittadini cose che non stanno né in cielo né in terra - aggiunge -. Ci aspettiamo che il Presidente della Corte costituzionale, che è un insigne giurista cui non sfuggirà la gravità della situazione, voglia smentire categoricamente simili voci ed esercitare ogni suo potere per smascherare chi rimesta nel torbido proprio in seno all'organo che rappresenta il massimo tutore della legalità costituzionale - conclude Capezzone -. Anche per evitare l'impressione che ci possa essere qualcuno che vuole ridurre quello costituzionale ad un processo sommario con condanna anticipata". Redazione online 17 febbraio 2011
2011-01-14 ultim'ora Caso Ruby, Berlusconi indagato Perquisizioni in corso a Milano * NOTIZIE CORRELATE * La Fiorillo: "Ruby? Ricordo tutto. Mai autorizzato l'affidamento" di Alessandra Coppola (14 novembre 2010) * Il magistrato in tv: ragion di Stato? Legalità è più importante (14 novembre 2010) ultim'ora Caso Ruby, Berlusconi indagato Perquisizioni in corso a Milano Silvio Berlusconi (Archivio) Silvio Berlusconi (Archivio) MILANO - La Procura di Milano ha indagato Silvio Berlusconi per le ipotesi di reato di "concussione" e di "prostituzione minorile". Secondo la contestazione d’accusa, allo scopo di occultare di essere stato cliente di una prostituta minorenne in numerosi week-end ad Arcore, assicurarsi l’impunità da questo reato e scongiurare che venissero a galla i retroscena delle feste nella sua residenza brianzola, il Presidente del Consiglio la notte tra il 27 e il 28 maggio 2010 avrebbe abusato della propria qualità di primo ministro per indurre i funzionari della Questura di Milano ad affidare indebitamente l’allora 17enne marocchina Karima "Ruby" El Mahroug, scappata da una comunità per minori, alla consigliere regionale lombarda pdl Nicole Minetti. Il reato di "concussione" (articolo 317 del codice penale) punisce con la reclusione da 4 a 12 anni il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringa o induca taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità. Al premier è contestato con l’aggravante il reato di "prostituzione minorile" (articolo 600 bis, contestato al premier nella forma del secondo comma) punisce con la reclusione da 6 mesi a 3 anni chiunque compia atti sessuali con un minore di età compresa tra i 14 e 18 anni in cambio di denaro o di altra utilità economica, ed è l’unico caso nel quale il cliente di una prostituta è sanzionato penalmente. La polizia sta perquisendo gli uffici della consigliere regionale Nicole Minetti, indagata per favoreggiamento della prostituzione sia adulta sia minorile. Stessa ipotesi di reato per Lele Mora ed Emilio Fede. Luigi Ferrarella 14 gennaio 2011
il commento del premier alla decisione della consulta sullo "scudo" Berlusconi e il legittimo impedimento "Non mi aspettavo una sentenza diversa" Il presidente del Consiglio a Mattino Cinque: "La Corte non ha demolito l'impianto della legge" * NOTIZIE CORRELATE * a Consulta: "scudo" bocciato in parte (13 gennaio 2011) * Legittimo impedimento, sì al referendum per abolirlo (12 gennaio 2011) * Berlusconi: "La sentenza della Corte non influirà sul governo" (12 gennaio 2011) * Legittimo impedimento, sì al referendum (12 gennaio 2011) * LA FOTOSCHEDA: Chi sono i 15 giudici della Corte Costituzionale * LA SCHEDA: La Corte Costituzionale, cos'è e cosa fa il commento del premier alla decisione della consulta sullo "scudo" Berlusconi e il legittimo impedimento "Non mi aspettavo una sentenza diversa" Il presidente del Consiglio a Mattino Cinque: "La Corte non ha demolito l'impianto della legge" Silvio Berlusconi (Ansa) Silvio Berlusconi (Ansa) MILANO - "Non mi aspettavo nulla di diverso". Silvio Berlusconi esordisce così nel suo intervento telefonico a Mattino Cinque, commentando la sentenza della Consulta di giovedì sul legittimo impedimento. La Corte Costituzionale, sottolinea il premier (come già avevano fatto i suoi legali) "non ha demolito l'impianto" della legge. Il capo del governo ci tiene a sottolineare di non aver richiesto in prima persona lo scudo, specificando tra le altre cose che la decisione della Consulta ha addirittura migliorato la legge. Il premier spiega infatti che i giudici della Corte hanno ""tipizzato"" alcune fattispecie, "cioè si è indicato nella legge che per esempio presiedere il Consiglio dei ministri è un impedimento legittimo, così come presiedere una riunione internazionale è legittimo impedimento. E quindi da questo punto di vista la sentenza ha migliorato la situazione precedente". Quanto alle ripercussioni che la decisione della Consulta avranno sul futuro dell'esecutivo, il premier assicura che la sentenza sul legittimo impedimento è "assolutamente ininfluente" e che "il governo andrà avanti perché l'Italia ha bisogno di tutto tranne che di elezioni anticipate". "Sentenza salomonica" Maria Antonietta Calabrò "PROCESSI GROTTESCHI" - In collegamento con Mattino Cinque e parlando dei procedimenti a suo carico, Berlusconi è tornato a ribadire che si tratta "processi assolutamente inventati, ridicoli, grotteschi. Intanto io ho assicurato davanti a tutti che questi fatti non esistono. Non ci sono fatti che possono rendere possibili una condanna". Il Cavaliere si è mostrato ottimista. "Ma - ha avvertito, ospite della rubrica di Maurizio Blepietro - se nei collegi giudicanti ci saranno giudici di sinistra andrò in tv e spiegherò di cosa si tratta. Secondo il premier "non si possono trovare giudici che oseranno dare una condanna su fatti che non esistono". La previsione di Berlusconi è chiara: anche dopo la sentenza della Consulta sul legittimo impedimento, "non sarà così facile per i difensori dei miei processi - ha detto - ottenere un atteggiamento benevolo da parte dei magistrati". "Sanno tutti che c'è persecuzione politica da parte dei magistrati della sinistra da quando sono sceso in campo" ha aggiunto il Cavaliere, ricordando anche i "tantissimi processi" in cui i suoi difensori "sono stati impegnati" e in cui il capo del governo è "stato assolto". FIAT - Dal premier anche un accenno alla Fiat al referendum di Mirafiori. Il sì all'accordo avrà "percentuali elevate" secondo il presidente del Consiglio e "a vincere sarà il buonsenso". Berlusconi ha ribadito che il governo sta dalla parte dell'ad del Lingotto Sergio Marchionne e dei sindacati con "forte senso di responsabilità nazionale", ovvero Cisl e Uil e gli altri firmatari dell'accordo di Mirafiori. "L'accordo è emblematico di ciò che serve per tenere aperte le fabbriche, cosa che non accadrebbe con le rivendicazioni ideologiche della Fiom, della Cgil e della sinistra di Bersani - è l'affondo del presidente del Consiglio - . Purtroppo hanno perso un'altra occasione di diventare socialdemocratici, di capire che le aziende devono essere organizzate sulle esigenze del mercato non sulle ideologie già condannate dalla storia. Invece di insultare, Bersani dovrebbe farsi spiegare da Fassino e dal sindaco di Torino, suoi compagni di partito, che con l'accordo si possono conservare posti di lavoro e aumentare anche le retribuzioni". Redazione online 14 gennaio 2011
Che Succede Ora Che Succede Ora La flemma con la quale Palazzo Chigi ha accolto la sentenza di ieri della Corte costituzionale sul legittimo impedimento non è solo di facciata. Fa intuire il sollievo di un governo che forse temeva la bocciatura totale della legge, mentre invece almeno il principio è salvo. E sembra confermare che Silvio Berlusconi non vuole arrivare al voto anticipato sull'onda del conflitto con la magistratura: un tema scivoloso, se non impopolare. Il futuro della legislatura rimane in bilico. Ma non sarà il verdetto della Consulta a portare l'Italia alle urne. Il tentativo è di accogliere la decisione come un compromesso tutto sommato accettabile e ininfluente sul destino del governo. Per questo gli avvocati di Berlusconi minimizzano, mentre il premier ufficialmente non parla. E minimizza la Lega, preoccupata solo di non intralciare la marcia sorniona verso il federalismo: al punto che gli attacchi alla Corte di alcuni esponenti del Pdl finiscono per apparire fuori misura, nella loro virulenza. Siccome fingere che non sia successo niente appare difficile, si tende a dimostrare che non è accaduto nulla di traumatico: le incognite per la coalizione sono altre, e si annidano in Parlamento. Il responso della Consulta si aggiunge al rosario delle difficoltà berlusconiane. Ma le affianca, non le sovrasta. E non è destinato a rivoluzionare una tabella di marcia che prevede il puntello di un gruppo di "responsabili", sebbene abbia contorni numerici da definire; il sostegno a intermittenza del Polo della Nazione di Pier Ferdinando Casini; e una continuità precaria quanto obbligata. La versione governativa stride con l'entusiasmo del "popolo viola". Eppure la gioia antiberlusconiana suona un po' eccessiva, se Di Pietro conferma il referendum contro il legittimo impedimento. Il centrodestra ostenta tranquillità perché lo svuotamento della legge, determinato dal responso della Consulta, è bilanciato dal riconoscimento della rilevanza costituzionale del presidente del Consiglio; e soprattutto perché sente di poter dettare l'agenda agli avversari, spaventati dalle elezioni. La strategia di Berlusconi è quella di accreditarsi come garante della stabilità e antidoto al caos, nonostante la defezione di Gianfranco Fini; e di concedere il minimo indispensabile a Casini. Si tratta di un'operazione sul filo del rasoio, perché cresce l'impressione di uno scambio asimmetrico, che l'Udc teme di pagare col logoramento. L'apparente irrigidimento centrista sul federalismo e sulle dimissioni del ministro Sandro Bondi nasce da questa preoccupazione. Quando Casini ricorda al premier che il legittimo impedimento sarebbe passato alla Consulta con le modifiche suggerite dall'Udc, sembra dargli un avvertimento: senza di noi, la legislatura finisce. Berlusconi lo sa. Non vuole le elezioni ma confida che gli avversari, temendole più di lui, alla fine si piegheranno. Massimo Franco 14 gennaio 2011
Ripartono i processi delle "3 M" Mills, Mediatrade e Mediaset: i procedimenti a carico del presidente del Consiglio LA SCHEDA Ripartono i processi delle "3 M" Mills, Mediatrade e Mediaset: i procedimenti a carico del presidente del Consiglio La parziale bocciatura del legittimo impedimento da parte della Consulta complica gli scenari futuri relativi ai tre processi milanesi, Mediaset, Mills e Mediatrade, a carico di Silvio Berlusconi. I tre procedimenti non riprenderanno prima di un paio di mesi, considerando anche i tempi tecnici necessari alla Corte Costituzionale per trasmettere a Milano le motivazioni della pronuncia. Si ricomincerà in un clima simile a quello in cui si era finito, quando, prima delle sospensioni determinate dall'invio degli atti alla Corte Costituzionale, i legali del premier e il pm Fabio De Paquale, battagliavano - udienza dopo udienza - sui legittimi impedimenti invocati da Berlusconi e "certificati" con timbro della presidenza del Consiglio. MILLS - Il processo per la corruzione del testimone - legale inglese David Mills dovrebbe ripartire dall'inizio perché il presidente della decima sezione penale, Francesca Vitale, ora è in corte d'appello ed è stata sostituita da Antonella Lai, alla quale si affiancheranno due nuovi giudici. La prescrizione scatterà tra poco più di un anno e Berlusconi rischia una condanna in primo grado, dopo che, nel "processo gemello", la Cassazione, pur sancendo la prescrizione per Mills, ha riconosciuto che il premier corruppe l'avvocato britannico. Ad allungare i tempi del verdetto, la possibilità che vengano svolte, su richiesta della difesa, due rogatorie all'estero, una a Lugano per sentire il banchiere Paolo Del Bue (Arner Bank) e un'altra a Londra per ascoltare alcuni testimoni. MEDIASET - Nel processo per i diritti tv Mediaset, in cui il premier risponde di frode fisale e che è iniziato nel 2006 davanti alla prima sezione, tutti e tre i giudici hanno cambiato posto. Il presidente Edoardo D'Avossa da tempo dirige il Tribunale di La Spezia e aveva potuto proseguire il processo grazie all'"applicazione" autorizzata dal Csm, ma con una durata massima di due anni. Poiché metà si è già consumata, alla ripresa delle udienze D'Avossa si troverà di fronte a un bivio: se andrà avanti e non riuscirà a finire il processo entro un anno, ne verrà sancita la nullità; se si farà sostituire subito, il rischio è quello della prescrizione perché è improbabile che i difensori diano il consenso a "salvare" le prove assunte davanti ai vecchi giudici. MEDIATRADE - Anche la gup dell'udienza preliminare sui diritti tv Mediatrade, Marina Zelante, nel frattempo si è trasferita ad altri incarichi e le carte del procedimento in cui Berlusconi è accusato di appropriazione indebita sono passate al giudice Maria Vicidomini che, proveniente da Reggio Calabria, ne ha ereditato il ruolo e le cause. Il procedimento è considerato dagli addetti ai lavori quello probatoriamente più debole da parte dell'accusa e la prescrizione è un'ipotesi remota. (Fonte Agi) 13 gennaio 2011
LA SENTENZA DELLA CONSULTA SUL LEGITTIMO IMPEDIMENTO Ecco i due commi "bocciati" LA SENTENZA DELLA CONSULTA SUL LEGITTIMO IMPEDIMENTO Ecco i due commi "bocciati" Sono due i commi dell'articolo 1 della legge sul legittimo impedimento (numero 51 del 7 aprile 2010) che non hanno passato indenni l'esame dei giudici della Consulta. È stato giudicato "illegittimo" il comma 4, quello che prevede che "ove la Presidenza del Consiglio dei Ministri attesti che l'impedimento è continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni di cui alla presente legge, il giudice rinvia il processo a udienza successiva al periodo indicato, che non può essere superiore a sei mesi". L'illegittimità nasce dalla violazione di due articoli della Costituzione, il numero 3 ("tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali..") e il numero 138 ("le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione..). Per violazione degli stessi articoli della Costituzione è stato giudicato illegittimo il comma 3 ("il giudice, su richiesta di parte, quando ricorrono le ipotesi di cui ai commi precedenti rinvia il processo ad altra udienza") nella parte in cui non prevede espressamente che il giudice valuti in concreto l'impedimento indicato, come già stabilisce l'articolo 420-ter del codice di procedura penale. 13 gennaio 2011
2011-01-13 LA sentenza della Corte Costituzionale: 12 sì e 3 no. Esulta il popolo viola La Consulta: "scudo" bocciato in parte Ghedini soddisfatto: "Valido l'impianto" Il verdetto sul legittimo impedimento: "Sugli impegni del premier valuti il giudice" * NOTIZIE CORRELATE * Legittimo impedimento, sì al referendum per abolirlo (12 gennaio 2011) * Berlusconi: "La sentenza della Corte non influirà sul governo" (12 gennaio 2011) * Legittimo impedimento, sì al referendum (12 gennaio 2011) * LA FOTOSCHEDA: Chi sono i 15 giudici della Corte Costituzionale * LA SCHEDA: La Corte Costituzionale, cos'è e cosa fa LA sentenza della Corte Costituzionale: 12 sì e 3 no. Esulta il popolo viola La Consulta: "scudo" bocciato in parte Ghedini soddisfatto: "Valido l'impianto" Il verdetto sul legittimo impedimento: "Sugli impegni del premier valuti il giudice" "Sentenza salomonica" Maria Antonietta Calabrò MILANO - Lo scudo per il premier e i ministri è parzialmente illegittimo. È questo il verdetto della Consulta, che ha ridimensionato di fatto la legge sul legittimo impedimento, bocciandone una parte. Con 12 sì e 3 no, i quindici giudici della Corte Costituzionale (GUARDA: chi sono) hanno rilevato questione di illegittimità sul comma 4 dell'articolo 1 (quello relativo all'"impedimento continuativo") e, in parte, l'incostituzionalità del comma 3, nella parte in cui il legittimo impedimento non poteva essere valutato dal giudice (GUARDA: la scheda). La Consulta ha stabilito che devono essere i magistrati a valutare, caso per caso, se sussistano realmente motivi di legittimo impedimento per il capo del governo e per i ministri, rifiutando invece l'automatismo del legittimo impedimento, perdipiù autocertificato dal soggetto interessato. I commi della legge che la Consulta ha bocciato in tutto o in parte sono stati dichiarati illegittimi per violazione degli articoli 138 (necessità di una legge costituzionale) e 3 (principio di uguaglianza dinanzi alla legge e irragionevole sproporzione tra diritto di difesa ed esigenze della giurisdizione) della Costituzione. "Si tratta - ha spiegato il costituzionalista Giovanni Guzzetta - di una sentenza di illegalità parziale, che salva la logica del bilanciamento fra l'esigenza dell'imputato di essere presente nelle udienze e quella dei giudici di celebrare il processo. In tal senso, la Consulta indica il perimetro entro il quale si può "giocare" la carta del legittimo impedimento e soprattutto chi è che alla fine dà le carte. È una sentenza che fa chiarezza, sdrammatizzando il conflitto e agendo in modo molto equilibrato". IL PREMIER E I SUOI LEGALI - Attraverso una nota, Palazzo Chigi ha fatto sapere che Silvio Berlusconi, che venerdì interverrà telefonicamente a Mattino Cinque, non intende commentare la sentenza. Cauto il commento dei legali del premier: in una nota congiunta, Niccolò Ghedini e Piero Longo spiegano di rispettare la sentenza ed esprimono soddisfazione per il fatto che "la legge sul legittimo impedimento nel suo impianto generale è stata riconosciuta valida ed efficace". Gli avvocati sottolineano tuttavia che la sentenza è basata su un "equivoco" sulla natura della norma e non tiene conto del fatto che è stata già provata la "oggettiva impossibilità" di una "leale collaborazione" con i giudici. "Nell'intervenire su modalità attuative - spiegano Ghedini e Longo -, la Corte Costituzionale sembra avere equivocato la natura e la effettiva portata di una norma posta a maggior tutela del diritto di difesa e soprattutto della possibilità di esercitare serenamente l'attività di governo". I COMMI - Con la sua decisione, la Corte costituzionale ha posto diversi paletti alla legge, nata come scudo dai processi per il presidente del Consiglio e i ministri e che lo stesso Cavaliere ha fatto valere in tre procedimenti a suo carico (Mediatrade, Mills e Mediaset) con conseguenze sollevazione della questione di legittimità da parte dei magistrati milanesi titolari dei fascicoli. In particolare, la Consulta ha bocciato la certificazione di Palazzo Chigi sull'impedimento e l'obbligo per il giudice di rinviare l'udienza fino a sei mesi, dichiarando illegittimo il comma 4 dell'articolo 1 della legge 51 del 2010. I giudici avrebbero inoltre bocciato in parte il comma 3, affidando al giudice la valutazione del legittimo impedimento. Quanto all'articolo 1, quello che prevede che per premier e ministri, chiamati a comparire in udienza in veste di imputati, costituisce legittimo impedimento "il concomitante esercizio di una o più delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti", la Consulta ha fornito una interpretazione del comma, ritenendolo legittimo solo se, nell'ambito dell'elenco di attività indicate come impedimento per premier e ministri, il giudice possa valutare l'indifferibilità della concomitanza dell'impegno con l'udienza, nell'ottica di un ragionevole bilanciamento tra esigenze della giurisdizione, esercizio del diritto di difesa e tutela della funzione di governo, oltre che secondo un principio di leale collaborazione tra poteri. Il Popolo Viola festeggia REAZIONI - La decisione dei giudici della Consulta soddisfa l'opposizione, mentre non convince particolarmente la maggioranza. Per il Pd, la legge è stata "smontata" dal verdetto della Corte Costituzionale. "Non c'era bisogno di essere né cattivi né comunisti per capire che la legge sul legittimo impedimento sarebbe stata sostanzialmente bocciata" ha detto la capogruppo Anna Finocchiaro. Assai critico il coordinatore del Pdl Sandro Bondi. "Siamo di fronte - ha detto - al rovesciamento dei cardini non solo della nostra Costituzione, ma dei principi fondamentali di ogni ordine democratico". Ha brindato ed esultato invece la piccola delegazione del Popolo Viola riunitasi davanti al palazzo della Corte costituzionale dopo aver appreso la notizia della bocciatura parziale. "Berlusconi ora dovrà spiegare a Napolitano perché ha fatto promulgare una legge in parte incostituzionale", hanno detto i rappresentati del movimento. REFERENDUM - Il verdetto della Consulta avrà ricadute sulla Consulta stessa, che diventerà con molta probabilità arbitro di frequente interpellato dal governo per conflitto di attribuzioni ogni qual volta il magistrato ordinario non riconoscerà in un processo sussistere i presupposti per il legittimo impedimento sollevato da un membro dell'esecutivo. Non solo. Alla luce della decisione dei giudici della Corte Costituzionale, la Corte di Cassazione dovrà adattare il quesito referendario per l'abrogazione del legittimo impedimento, ammesso mercoledì, alla nuova formulazione uscita dalla sentenza Consulta. Redazione online 13 gennaio 2011
LA SENTENZA DELLA CONSULTA SUL LEGITTIMO IMPEDIMENTO Ecco i due commi "bocciati" LA SENTENZA DELLA CONSULTA SUL LEGITTIMO IMPEDIMENTO Ecco i due commi "bocciati" Sono due i commi dell'articolo 1 della legge sul legittimo impedimento (numero 51 del 7 aprile 2010) che non hanno passato indenni l'esame dei giudici della Consulta. È stato giudicato "illegittimo" il comma 4, quello che prevede che "ove la Presidenza del Consiglio dei Ministri attesti che l'impedimento è continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni di cui alla presente legge, il giudice rinvia il processo a udienza successiva al periodo indicato, che non può essere superiore a sei mesi". L'illegittimità nasce dalla violazione di due articoli della Costituzione, il numero 3 ("tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali..") e il numero 138 ("le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione..). Per violazione degli stessi articoli della Costituzione è stato giudicato illegittimo il comma 3 ("il giudice, su richiesta di parte, quando ricorrono le ipotesi di cui ai commi precedenti rinvia il processo ad altra udienza") nella parte in cui non prevede espressamente che il giudice valuti in concreto l'impedimento indicato, come già stabilisce l'articolo 420-ter del codice di procedura penale. 13 gennaio 2011
finocchiaro (Pd): saltato l'impianto complessivo della legge "La Consulta ha stabilito la superiorità della magistratura sulla democrazia" Il duro commento di Bondi (Pdl) sulla sentenza della Corte sul legittimo impedimento finocchiaro (Pd): saltato l'impianto complessivo della legge "La Consulta ha stabilito la superiorità della magistratura sulla democrazia" Il duro commento di Bondi (Pdl) sulla sentenza della Corte sul legittimo impedimento Il coordinatore del Pdl Sandro Bondi (Eidon) Il coordinatore del Pdl Sandro Bondi (Eidon) MILANO - La sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato parzialmente illegittima la norma sul legittimo impedimento fa discutere tutto il mondo politico. In attesa di conoscere il parere del premier Silvio Berlusconi (che ha già fatto sapere di voler parlare in tv venerdì a Mattino 5 su Canale 5) si sono già espressi numerosi esponenti della politica. PDL: PARLA IL COORDINATORE BONDI - "Oggi la Consulta ha stabilito la superiorità dell'ordine giudiziario rispetto a quello democratico, rimettendo nelle mani di un magistrato la decisione ultima in merito all'esercizio della responsabilità politica e istituzionale. Siamo di fronte al rovesciamento dei cardini non solo della nostra Costituzione, ma dei principi fondamentali di ogni ordine democratico" dichiara il coordinatore del Pdl, Sandro Bondi. "La sentenza della Corte costituzionale non mi sorprende. Non risolve e rischia di riproporre lo stesso schema noto a tutti gli italiani: il presidente del Consiglio continua a essere palesemente oggetto di una persecuzione di alcune procure politicizzate, iniziata nel 1994" sottolinea la sua compagna di partito il ministro dell'Istruzione Maria Stella Gelmini. "Non commento mai le sentenze, qualsiasi esse siano, anche quelle che non mi piacciono. Figuriamoci ora". Altero Matteoli, ministro delle Infrastrutture, preferisce non esprimersi sul verdetto della Consulta sul legittimo impedimento. "Mi pare di capire - dice Matteoli - che Berlusconi vuole andare avanti lo stesso, ma questo lo davo per scontato. Berlusconi, lo sappiamo bene, non è uno che si arrende. Io ritengo che bisogna prendere atto delle sentenze. Poi c'è chi le critica, chi le apprezza, e quelli come me che non hanno mai voluto esprimere giudizi in proposito". La decisione della Consulta sul legittimo impedimento "ha una sua contraddizione: avalla la legge nella sua ispirazione fondamentale e poi, invece, si mette in moto un meccanismo che porta al contenzioso fra il magistrato e il presidente del Consiglio e ciò darà vita a un conflitto permanente" sottolinea invece Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati Pdl. ALFANO - "Sono surreali le grida esultanti di una sinistra che scommetteva sulla bocciatura della legge sul presupposto che era tutto già scritto e compreso nella fattispecie prevista dal vigente codice di procedura penale all'art. 420 ter. Questa scommessa la sinistra l'ha persa" ha dichiarato invece il ministro della Giustizia Angelino Alfano a proposito della sentenza della Consulta. "Siamo convinti che il principio di leale collaborazione spingerà i giudici a non tradire lo spirito di questa sentenza. Attendiamo comunque - conclude Alfano - di leggere le motivazioni per una più approfondita valutazione della decisione". LEGA - "La sentenza della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento non bloccherà l'azione del governo. Il cammino delle riforme prosegue con i tempi e i modi giá stabiliti e per la Lega non cambia nulla. Dalla Corte Costituzionale non c'era da aspettarsi altro: sapevamo benissimo che la maggioranza dei giudici della Corte ha un atteggiamento ostile nei confronti dei provvedimenti voluti da questo governo. Ma non c'è sentenza della magistratura che può bloccare l'azione dell'esecutivo" affermano in una dichiarazione congiunta i capigruppo della Lega di Camera e Senato, Marco Reguzzoni e Federico Bricolo. PD - Completamente diverso il parere delle opposizioni sulla sentenza della Consulta. "Non c'era bisogno di essere nè cattivi nè comunisti per capire che la legge sul legittimo impedimento sarebbe stata, come sembra emergere dalla lettura delle prime agenzie sulla sentenza della Consulta, sostanzialmente bocciata. La Consulta ha infatti bocciato l'automatismo disposto dalla legge e la certificazione di Palazzo Chigi e ha rimesso ai giudici la valutazione relativa al rinvio dell'udienza per contemperare le esigenze della giurisdizione con quelle dell'esercizio del diritto di difesa e della tutela della funzione di governo. Mi sembra chiaro che a saltare è l'impianto complessivo della legge". Lo dice Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato. "Nella sostanza la Corte costituzionale ha bocciato completamente la linea del governo e dei consigliori del premier". Lo afferma il senatore del Pd ed ex magistrato, Felice Casson. "In particolare - aggiunge - il ministro Alfano continua a fornire interpretazioni della Costituzione italiana ripetutamente rigettate dalla Corte". FLI - "Le sentenze della Corte Costituzionale vanno sempre e comunque rispettate. Nessuno colga l'occasione per farne strumento di parte" dichiara invece il coordinatore di Futuro e Libertà, Adolfo Urso, secondo cui "questo è il momento di concentrare ogni sforzo per fare le riforme che servono a l Paese e non certo per lacerarlo in campagne che possono delegittimare le sue istituzioni". IDV - L'Idv confida ancora nel referendum abrogativo (che però dati gli effetti della sentenza della Consulta potrebbe anche non tenersi). Per il leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro con il referendum infatti dopo i giudici anche i cittadini diranno "in modo forte e chiaro che anche Berlusconi deve andare dal giudice quando viene chiamato e non si deve inventare una scusa ogni volta". "La Corte costituzionale, pur riconoscendo la illegittimità di diverse norme, di una terza legge che Berlusconi si è voluto fare per non farsi processare, - ha detto ancora Di Pietro - ha fatto rientrare dalla finestra quel che essa stessa ha messo fuori dalla porta e cioè che il presidente del Consiglio possa svolgere qualsiasi attività consequenziale e coessenziale alle funzioni di governo e questo consiste in legittimo impedimento. Conoscendo Berlusconi, anche quando andrà al bagno sarà un'attività consequenziale all'attività di governo". VIETTI - "La decisione della Corte costituzionale appare saggia e equilibrata; fa salvo l'impianto originario del legittimo impedimento nella versione che a suo tempo ho proposto alla Camera". Così sottolinea invece Michele Vietti , già deputato dell'Udc e oggi vice presidente del Csm ed ispiratore della normativa. "La tipizzazione dei casi di giustificata mancata comparizione - sottolinea Vietti - è compatibile con le esigenze della giurisdizione, nell'ottica di garantire il sereno svolgimento della funzioni del presidente del Consiglio e il suo diritto di difesa". Redazione online 13 gennaio 2011
LA SCHEDA Ripartono i processi delle "3 M" Mills, Mediatrade e Mediaset: i procedimenti a carico del presidente del Consiglio LA SCHEDA Ripartono i processi delle "3 M" Mills, Mediatrade e Mediaset: i procedimenti a carico del presidente del Consiglio La parziale bocciatura del legittimo impedimento da parte della Consulta complica gli scenari futuri relativi ai tre processi milanesi, Mediaset, Mills e Mediatrade, a carico di Silvio Berlusconi. I tre procedimenti non riprenderanno prima di un paio di mesi, considerando anche i tempi tecnici necessari alla Corte Costituzionale per trasmettere a Milano le motivazioni della pronuncia. Si ricomincerà in un clima simile a quello in cui si era finito, quando, prima delle sospensioni determinate dall'invio degli atti alla Corte Costituzionale, i legali del premier e il pm Fabio De Paquale, battagliavano - udienza dopo udienza - sui legittimi impedimenti invocati da Berlusconi e "certificati" con timbro della presidenza del Consiglio. MILLS - Il processo per la corruzione del testimone - legale inglese David Mills dovrebbe ripartire dall'inizio perché il presidente della decima sezione penale, Francesca Vitale, ora è in corte d'appello ed è stata sostituita da Antonella Lai, alla quale si affiancheranno due nuovi giudici. La prescrizione scatterà tra poco più di un anno e Berlusconi rischia una condanna in primo grado, dopo che, nel "processo gemello", la Cassazione, pur sancendo la prescrizione per Mills, ha riconosciuto che il premier corruppe l'avvocato britannico. Ad allungare i tempi del verdetto, la possibilità che vengano svolte, su richiesta della difesa, due rogatorie all'estero, una a Lugano per sentire il banchiere Paolo Del Bue (Arner Bank) e un'altra a Londra per ascoltare alcuni testimoni. MEDIASET - Nel processo per i diritti tv Mediaset, in cui il premier risponde di frode fisale e che è iniziato nel 2006 davanti alla prima sezione, tutti e tre i giudici hanno cambiato posto. Il presidente Edoardo D'Avossa da tempo dirige il Tribunale di La Spezia e aveva potuto proseguire il processo grazie all'"applicazione" autorizzata dal Csm, ma con una durata massima di due anni. Poiché metà si è già consumata, alla ripresa delle udienze D'Avossa si troverà di fronte a un bivio: se andrà avanti e non riuscirà a finire il processo entro un anno, ne verrà sancita la nullità; se si farà sostituire subito, il rischio è quello della prescrizione perché è improbabile che i difensori diano il consenso a "salvare" le prove assunte davanti ai vecchi giudici. MEDIATRADE - Anche la gup dell'udienza preliminare sui diritti tv Mediatrade, Marina Zelante, nel frattempo si è trasferita ad altri incarichi e le carte del procedimento in cui Berlusconi è accusato di appropriazione indebita sono passate al giudice Maria Vicidomini che, proveniente da Reggio Calabria, ne ha ereditato il ruolo e le cause. Il procedimento è considerato dagli addetti ai lavori quello probatoriamente più debole da parte dell'accusa e la prescrizione è un'ipotesi remota. (Fonte Agi)
13 gennaio 2011
LA SCHEDA La Corte Costituzionale, cos'è e cosa fa Il ruolo dei 15 giudici del palazzo della Consulta, gli effetti sulle leggi sottoposte alla loro valutazione LA SCHEDA La Corte Costituzionale, cos'è e cosa fa Il ruolo dei 15 giudici del palazzo della Consulta, gli effetti sulle leggi sottoposte alla loro valutazione Alcuni dei giudici della Corte Costituzionale Alcuni dei giudici della Corte Costituzionale La Corte costituzionale - genericamente indicata anche come Consulta, dal nome dell'antico palazzo romano in cui è ospitata - è un organo istituzionale inserito nella Costituzione (all'art. 134). LE FUNZIONI - E' chiamata a giudicare "sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni; sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni; sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica, a norma della Costituzione". LA COMPOSIZIONE - La Corte costituzionale è composta di quindici giudici nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative. I giudici della Corte costituzionale sono scelti tra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria ed amministrative, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati dopo venti anni d'esercizio. I giudici non possono essere membri del Parlamento in carica o di un consiglio regionale e non possono contemporaneamente esercitare la professione di avvocato. Ogni giudice resta in carica per nove anni, decorrenti dal giorno del giuramento (che può essere diverso per ogni singolo membro), e non possono essere nuovamente nominati. Alla scadenza del termine il giudice costituzionale cessa dalla carica e dall'esercizio delle funzioni. GLI EFFETTI DELLE SENTENZE - Quando la Corte dichiara l'illegittimità costituzionale di una legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. La decisione della Corte è pubblicata e comunicata alle Camere ed ai Consigli regionali interessati, affinché, ove lo ritengano necessario, provvedano nelle forme costituzionali. Contro le decisioni della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione Redazione Online 13 gennaio 2011
Già arrivato il via libera all'eventuale referendum per cancellare la legge "Scudo" al premier, il giorno del verdetto La Consulta si esprime sul legittimo impedimento. Il premier: nessuna ripercussione sul governo * NOTIZIE CORRELATE * Legittimo impedimento, sì al referendum per abolirlo (12 gennaio 2011) * Berlusconi: "La sentenza della Corte non influirà sul governo" (12 gennaio 2011) * Legittimo impedimento, sì al referendum (12 gennaio 2011) * LA FOTOSCHEDA: Chi sono i 15 giudici della Corte Costituzionale * LA SCHEDA: La Corte Costituzionale, cos'è e cosa fa Già arrivato il via libera all'eventuale referendum per cancellare la legge "Scudo" al premier, il giorno del verdetto La Consulta si esprime sul legittimo impedimento. Il premier: nessuna ripercussione sul governo Il plenum della Corte, riunito al palazzo della Consulta (Ansa) Il plenum della Corte, riunito al palazzo della Consulta (Ansa) ROMA - Silvio Berlusconi assicura che qualunque siano le indicazioni dei giudici costituzionali sul "legittimo impedimento", - ovvero lo scudo che protegge il presidente del consiglio e i ministri dai processi e che lo stesso Cavaliere ha fatto valere in tre procedimenti a suo carico (Mediatrade, Mills e Mediaset) con conseguenze sollevazione della questione di legittimità da parte dei magistrati Milanesi titolari dei fascicoli - non ci saranno ripercussioni sulla stabilità del governo. Ma al di là delle dichiarazioni ufficiali, sono in molti a pensare che il pronunciamento della Consulta possa poi avere un ruolo determinante per le sorti dell'esecutivo e nel favorire un ritorno alle urne. LA MEDIAZIONE - I quindici giudici della Corte costituzionale (GUARDA: chi sono) si sono riuniti alle 9,30. Negli ultimi giorni il plenum della Consulta ha cercato, secondo le ricostruzioni più accreditate, di trovare una mediazione per evitare un pronunciamento secco che avrebbe di fatto consegnato un organismo spaccato in due: otto dei 15 membri sarebbero infatti stati propensi a valutare illegittimo il provvedimento, che toglie ogni prerogativa ai giudici e che di fatto sospende i processi in corso. Per evitare la spaccatura potrebbe essere dunque individuata una formula che interviene solo parzialmente sulla legge. Nei giorni scorsi gli avvocati del premier e quello incaricato da Palazzo Chigi di rappresentare le ragioni del governo avevano presentato le proprie memorie difensive. Poco prima delle 14 la Corte Costituzionale ha sospeso la camera di consiglio. I giudici della Consulta si sono aggiornati per le 15.30, dopo la pausa pranzo. IL REFERENDUM - Il verdetto sul legittimo impedimento dovrebbe arrivare nel pomeriggio. In ogni caso la Corte ha dichiarato legittimo il quesito referendario per l'abolizione del provvedimento proposto dall'Italia dei valori. Qualora dovesse essere dato il via libera allo "scudo", saranno dunque i cittadini italiani ad esprimersi votando nei prossimi mesi per la cancellazione della norma. Il referendum sarebbe invece di fatto superato qualora fosse la stessa Consulta a bocciare il legittimo impedimento dichiarandolo non costituzionale. Redazione online 13 gennaio 2011
2011-01-12 LA CONFERENZA STAMPA DEL VERTICE ITALO-TEDESCO Berlusconi: "Ridicoli i processi contro di me . Andrò a dirlo in tv" Il premier: "La sentenza della Corte costituzionale non influirà sulla stabilità di governo" LA CONFERENZA STAMPA DEL VERTICE ITALO-TEDESCO Berlusconi: "Ridicoli i processi contro di me . Andrò a dirlo in tv" Il premier: "La sentenza della Corte costituzionale non influirà sulla stabilità di governo" MILANO - Interrogato sulla sentenza della Corte costituzionale sul legittimo impedimento, attesa per giovedì, il premier (nella conferenza stampa al termine del vertice bilaterale italo-tedesco con la cancelliera Angela Merkel) è stato nettissimo: "Non c'è nessun pericolo per la stabilità di governo qualunque sia l'esito della decisione della Corte costituzionale". Per poi aggiungere, riferendosi alla norma all'esame della Corte, che "io non l'ho mai richiesta; è un'iniziativa portata avanti dai gruppi parlamentari. Io sono naturalmente e totalmente indifferente al fatto che ci possa essere un fermo o meno nei processi che considero processi assolutamente ridicoli". Conclusione: "Ne ho parlato anche con Angela Merkel, la patologia per la nostra democrazia è la presenza di un ordine giudiziario che si è trasformato in un potere giudiziario, esorbitando dal suo alveo costituzionale". Berlusconi ha anche aggiunto che andrà in tv a spiegare ai cittadini l'anomalia italiana. EURO - La conferenza stampa si era aperta sulle difficoltà economiche nella Ue. "Faremo tutto il necessario per dare stabilità all'euro che è la nostra moneta comune", ha assicurato il cancelliere tedesco, Angela Merkel, aggiungendo che su questo c'è stata condivisione con il presidente del Consiglio. "Si vedrà gradualmente cosa fare, se ne discuterà", ha risposto la Merkel a chi chiedeva se sarà rafforzato il fondo europeo di salvataggio per i Paesi in crisi. "Il volume del fondo - ha ricordato - non è esaurito" ma "la Germania farà quello che è necessario per salvaguardare l'euro". AIUTI - Sulla crisi finanziaria europea la cancelliera ha spiegato che "passo dopo passo, il nostro Berlusconi e Merkel (Afp) Berlusconi e Merkel (Afp) compito sia quello di aiutare i Paesi in emergenza. Ci devono essere bilanciamento, solidarietà e controllo della crescita in Europa" che sono "la faccia della stessa medaglia. Possiamo farcela perché vogliamo farcela, nessun collega europeo pensa che con questa determinazione non possiamo farcela. Tutto deve andare di pari passo con una cultura di stabilità e di crescita, così riusciremo a superare i deficit che abbiamo nell'economia e io penso che ce la possiamo fare" "NO AL PESSIMISMO" - Sul versante italiano della crisi, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha ribadito un concetto a lui caro: "Nell'ambito di una crisi dei consumi e degli investimenti è molto importante il fattore psicologico. Non bisogna infondere pessimismo tra i cittadini e gli operatori, ma bisogna invece che i governi cerchino di dare una prospettiva positiva, infondendo fiducia e ottimismo". "NESSUNA MANOVRA" - Il presidente del Consiglio si è detto contrario anche a una nuova manovra, di cui ha smentito l'imminenza: "Non c'è nessuna necessità di una manovra correttiva. I conti dello Stato sono in continuo miglioramento e non vediamo ad oggi alcun rischio di questo tipo", ha aggiunto, definendo "irrealistica" la manovra da oltre 100 miliardi di euro come ipotizzato da alcuni giornali. SULLA FIAT - Il premier ha anche risposto a una domanda sulla Fiat. "Riteniamo assolutamente positivo lo sviluppo che sta prendendo la vicenda con la possibilità di un accordo tra le forze sindacali e l'azienda": questa l'analisi sulla vertenza Mirafiori. La "direzione" che si sta prendendo, ha aggiunto il premier, è quella di una "maggiore flessibilità nel lavoro". GRANDE COALIZIONE - La presenza della cancelliera tedesca ha suggerito anche una domanda sulal praticabilità, in Italia, di un governo di Grande coalizione. Ma è un'ipotesi che il presidente del Consiglio ha escluso senza mezzi termini: "Non credo alla possibilità di una Grande coalizione alla tedesca. Non possiamo contare su un'opposizione socialdemocratica. In italia l'opposizione è senza idee e senza leader. Non c'è nessuna persona nell'opposizione da prendere sul serio e con cui poter parlare". BCE - Infine, da segnalare un inciso di Berlusconi sulla presidenza della banca centrale europea: "È ovvio che saremmo onorati se la scelta dell'Europa cadesse sul nostro governatore di Banca Italia", ha affermato il premier.
Alle urne solo se lo "scudo" non verrà bocciato giovedì dai giudici costituzionali Legittimo impedimento, sì al referendum La Consulta ha dato il via libera allo svolgimento della consultazione. Ma c'è attesa per il verdetto sulla legge * NOTIZIE CORRELATE * Berlusconi: "La sentenza della Corte non influirà sul governo" (12 gennaio 2011) Alle urne solo se lo "scudo" non verrà bocciato giovedì dai giudici costituzionali Legittimo impedimento, sì al referendum La Consulta ha dato il via libera allo svolgimento della consultazione. Ma c'è attesa per il verdetto sulla legge Una seduta della Corte costituzionale (Ansa) Una seduta della Corte costituzionale (Ansa) ROMA - La Corte Costituzionale - secondo quanto appreso dall'Ansa - ha dichiarato ammissibile il referendum promosso dall'Idv per l'abolizione totale della legge sul "legittimo impedimento" che mette al riparo il premier Berlusconi dalla ripresa dei tre processi a suo carico (Mills, Mediaset e Mediatrade). INCOGNITA LEGITTIMITA' - L'effettivo svolgimento della consultazione dipenderà però dal verdetto di giovedì della stessa Corte sulla legittimità dello "scudo". Se infatti la Consulta dovesse bocciare del tutto la legge, allora niente consultazione popolare, che invece ci sarebbe senz'altro in caso di sentenza interpretativa di rigetto oppure di un verdetto di inamissibilità o infondatezza dei ricorsi. Il voto sarebbe in forse se la Consulta bocciasse lo "scudo" solo in parte: in questo caso spetterebbe all'Ufficio centrale della Cassazione valutare se sussista ancora l'interesse alla consultazione referendaria. (Fonte: Ansa) 12 gennaio 2011
2011-01-05 protesta contro "il famigerato progetto del governo" Giudici di pace: "No alla controriforma" Sciopero dal 17 al 28 gennaio "Non assicura la continuità del rapporto e non prevede nessuna forma di copertura previdenziale e assistenziale" protesta contro "il famigerato progetto del governo" Giudici di pace: "No alla controriforma" Sciopero dal 17 al 28 gennaio "Non assicura la continuità del rapporto e non prevede nessuna forma di copertura previdenziale e assistenziale" ROMA - Giustizia italiana nel caos: da un lato il rischio di blocco dell'attività per la debolezza delle sistema informatico, dall'altro lo sciopero di due settimane, dal 17 al 28 gennaio prossimo, proclamato dall'Unione nazionale dei giudici di pace. Questa nuova protesta è rivolta contro "il famigerato progetto di controriforma della magistratura onoraria", che il governo si accingerebbe a "presentare nei prossimi giorni" e per sollecitare una "ragionevole proroga" per tutti i giudici di pace in scadenza. CONTESTAZIONI - "Nonostante gli incontri e le assicurazioni avuti con il Ministro Alfano durante l'anno 2010, lo stesso Guardasigilli ha proposto al Consiglio dei Ministri (convocato per il 30 novembre 2010 e poi rinviato all'ultimo momento) un disegno di legge sulla riforma della magistratura onoraria quasi identico a quello già elaborato dal Ministero della Giustizia nel dicembre del 2009 e ritirato dopo gli scioperi indetti dall'Unione a dicembre 2009 e gennaio 2010", lamenta l'Unione. Quel progetto, che ora il governo si accingerebbe a rispolverare "peggiora la condizione dei giudici di pace" perché tra l'altro non solo "non assicura la continuità del rapporto" e "non prevede nessuna forma di copertura previdenziale e assistenziale", ma anche "mina l'autonomia dei giudici di pace, sottoposti alla direzione del giudice di appello, previa soppressione dei coordinatori"e "preannuncia una sensibile riduzione delle indennit…". I giudici di pace contestano anche il decreto legge con cui il governo ha limitato "la proroga dei termini in scadenza al 31 marzo 2011, escludendo i colleghi il cui terzo mandato scade durante l'anno 2011". 05 gennaio 2011
"Impossibilità per le imprese e i privati di partecipare a gare di appalti e concorsi" "Tribunali a rischio chiusura a causa del blocco dell'assistenza informatica" L'Anm: "Si prepara una paralisi complessiva del sistema" "Impossibilità per le imprese e i privati di partecipare a gare di appalti e concorsi" "Tribunali a rischio chiusura a causa del blocco dell'assistenza informatica" L'Anm: "Si prepara una paralisi complessiva del sistema" Il presidente dell'Anm Luca Palamara (Ansa) Il presidente dell'Anm Luca Palamara (Ansa) MILANO - "Una paralisi complessiva del sistema", con la "chiusura dei tribunali", e l'impossibilità per le imprese e i privati di partecipare a gare di appalti e concorsi. È quello che si rischia con il blocco dal primo gennaio scorso dell'assistenza informatica agli uffici giudiziari a causa della mancanza di fondi a seguito dei tagli decisi dal governo. Per questo l'Associazione nazionale magistrati annuncia una "protesta forte e decisa" e parla di "colpo finale" del governo a una "macchina che ha già enormi difficoltà di funzionamento". LA NOTA - "C'è il concreto rischio - si legge sul sito dell'Anm - che la giustizia possa subire un altro colpo ferale a causa degli ulteriori disservizi che potranno crearsi". "Da tempo - prosegue l'Anm - sosteniamo la necessitá di considerare il settore giudiziario un settore strategico per il Paese e, invece, dobbiamo amaramente constatare come avvenga sistematicamente il contrario. Se l'informatizzazione dovesse venire meno il principale sconfitto sarebbe il cittadino". Redazione online 04 gennaio 2011(ultima modifica: 05 gennaio 2011)
ra stata data in affitto da due anni a un imprenditore agricolo di manduria Incendio nella masseria del giudice Forleo Danni a due capannoni adiacenti alla villa in Puglia del magistrato che si occupò del caso Unipol-Bnl era stata data in affitto da due anni a un imprenditore agricolo di manduria Incendio nella masseria del giudice Forleo Danni a due capannoni adiacenti alla villa in Puglia del magistrato che si occupò del caso Unipol-Bnl MILANO - "È solo l'ultimo episodio di una lunga catena di intimidazioni, lettere di minacce e strani avvenimenti". Così il giudice Clementina Forleo ha commentato l'incendio che ha danneggiato gravemente la sua masseria, sulla strada tra Francavilla Fontana (Brindisi) e Sava (Taranto). Il rogo è divampato la scorsa notte intorno all'una. Accertamenti sono in corso sulle cause dell'incendio che per gli investigatori è probabilmente doloso. La villa da due anni era stata data il locazione a un imprenditore agricolo di Manduria (Taranto), che sempre la scorsa notte ha subito l'incendio della sua azienda, a Manduria. Anche la polizia sta indagando sui due incendi, che hanno causato danni ingenti. Nell'incendio sono andati a fuoco due capannoni, contenenti rotoballe di fieno, rispettivamente di 300 e di 100 metri quadrati, l'uno accanto all'altro. Gli investigatori sono sostanzialmente convinti che si sia trattato di un attentato, probabilmente contro l'inquilino della masseria. Clementina Forleo (Raffaele Rastelli) Clementina Forleo (Raffaele Rastelli) INCIDENTI - Nel 2005 entrambi i genitori della giudice Forleo persero la vita in un incidente stradale, sempre nelle campagne di Francavilla. Sulla natura di quello e di altri episodi la giudice Forleo ha sempre manifestato forti sospetti e dubbi. GLI ANTEFATTI - L'incendio alla masseria del giudice Forleo, attualmente gip a Cremona dopo un lungo periodo di lavoro a Milano (il caso più celebre di cui si occupò fu quello Unipol-Bnl), città da cui fu trasferita d'ufficio (sul trasferimento pende ricorso), arriva inoltre dopo un altro misterioso incidente stradale avvenuto vicino Cremona del 3 dicembre 2009 che coinvolse la stessa Forleo ("un'auto mi tagliò la strada e finii sul guard rail perché, come ha accertato in seguito la perizia sulla mia vettura, l'auto era stata manomessa") e la decisione nel 2010 del prefetto di Cremona di togliere la scorta al magistrato. "Nonostante tutto ciò, a oggi non ho ancora alcuna forma di tutela", ha commentato il giudice. "Spero che questa sia l'occasione per fare chiarezza su una serie di episodi che mi hanno riguardato. E spero soprattutto che le autorità si attivino per mettere in atto forme adeguate di tutela e di protezione che finora mi sono state negate". Redazione online 05 gennaio 2011
2010-12-22 La Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo Processi lunghi: Italia condannata "Troppi ritardi anche nei risarcimenti" La sentenza: cambiare la legge Pinto e istituire un fondo speciale per il pagamento in tempo ragionevoli La Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo Processi lunghi: Italia condannata "Troppi ritardi anche nei risarcimenti" La sentenza: cambiare la legge Pinto e istituire un fondo speciale per il pagamento in tempo ragionevoli MILANO - La Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha condannato l'Italia per i ritardi con cui vengono pagati gli indennizzi legati alla lentezza dei processi. I giudici hanno infatti reso noto di aver dato ragione a 475 soggetti che si lamentavano per aver dovuto attendere da nove a 49 mesi per incassare il risarcimento che era loro stato riconosciuto in base alla legge Pinto del 2001 per l'eccessiva lunghezza del processo. Le legge Pinto infatti stabilisce un risarcimento per ogni anno di eccessiva durata del processo e sei mesi per l'erogazione degli indennizzi in caso di ritardo. Per periodo "ragionevole" della durata del processo solitamente si intendono due anni per ogni grado di giudizio e sei mesi per l'erogazione degli indennizzi. SENTENZA - La Corte europea ha quindi chiesto all'Italia di rivedere la legge Pinto e di istituire un fondo speciale per il pagamento degli indennizzi in tempi ragionevoli e si sottolinea che in Italia esiste un "problema diffuso" inerente i pagamenti degli indennizzi. La Corte rileva inoltre che al momento pendono in attesa di giudizio a Strasburgo oltre 3.900 ricorsi presentati per il ritardato pagamento degli indennizzi e che il loro numero è salito dai 613 del 2007 a circa 1.340 ricevuti tra il 1° giugno e il 7 dicembre 2010. Nel comunicato inoltre si legge che la Corte "pur non appoggiando tutte le riforme attualmente all'esame della Camera, considera che questo sia l'àmbito ideale per prendere in considerazione le indicazioni della Corte stessa e le raccomandazioni sinora fatte dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa". La Corte ha accordato a ciascun ricorrente 200 euro per danni non pecuniari. Redazione online 21 dicembre 2010(ultima modifica: 22 dicembre 2010)
2010-12-03 IL GOVERNO Giustizia, slitta la riforma Rinviato il pacchetto Alfano: verrà discusso in Consiglio dei ministri dopo la fiducia del 14 dicembre IL GOVERNO Giustizia, slitta la riforma Rinviato il pacchetto Alfano: verrà discusso in Consiglio dei ministri dopo la fiducia del 14 dicembre Il Guardasigilli Angelino Alfano Il Guardasigilli Angelino Alfano MILANO - Slitta il pacchetto di riforme sulla giustizia. L'esame del provvedimento in Consiglio dei ministri, previsto inizialmente per martedì, è stato rinviato e si terrà dopo il 14 dicembre, data in cui il Parlamento dovrà esprimersi sulla fiducia al governo. Secondo quanto si apprende, il Guardasigilli Angelino Alfano avrebbe deciso, dopo aver sentito Silvio Berlusconi, di rinviare il tutto. TRE TESTI - Accantonata l'idea iniziale di portare martedì in Cdm anche il ddl costituzionale su Csm e separazione delle carriere giudici-pm, il restante pacchetto di riforme della giustizia sarebbe dovuto essere composto da un decreto legge (con misure urgenti per abbattere l'arretrato nel civile) e da due ddl (riforma della magistratura onoraria; modifiche al decreto legislativo 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche). Questi ultimi tre testi erano stati diramati per la riunione del preconsiglio che si è tenuta lunedì mattina. Nel frattempo, però, Alfano avrebbe convenuto con Berlusconi sull'opportunità di far slittare l'intera riforma della giustizia a dopo il 14 dicembre. "TROPPA CARNE AL FUOCO" - Secondo quanto si apprende nel centrodestra, infatti, si sarebbe deciso di non mettere "altra carne al fuoco" in un momento politicamente delicato come l'attuale. In più, si aggiunge, il premier in questi giorni sarebbe troppo assorto da numerosi impegni internazionali: lunedì è in Libia e poi dovrebbe andare in Kazakistan e infine a Soci. Un'altra spiegazione del rinvio, che circola in queste ore in Transatlantico, è quella secondo la quale si cercherebbe di evitare di inasprire ulteriormente gli animi in un momento in cui gli indecisi in Parlamento, sul fronte della fiducia, non sarebbero così pochi. La retromarcia, in ambienti parlamentari, viene letta anche come una sorta di "ramoscello d'ulivo" temporaneo offerto dal Guardasigilli all'assemblea dell'Anm. Redazione online 29 novembre 2010(ultima modifica: 30 novembre 2010)
2010-11-17 La relazione al Parlamento della Direzione investigativa antimafia Lombardia: la 'ndrangheta influenza la vita politica, sociale ed economica Pubblici amministratori e tecnici hanno agevolato l'assegnazione di appalti alle cosche * NOTIZIE CORRELATE * 'Ndrangheta, una storia milanese: quarant'anni di infiltrazioni (27 ottobre) * Mafia nei cantieri, cacciate 39 imprese (27 ottobre) * Vertici della ’ndrangheta tra i tavoli del "Santa Tecla" (22 luglio) * Grandi appalti, il salto delle cosche Il pg: "Ora la gestione è diretta" (15 luglio) * L’impero delle cosche a Milano, i tre livelli: "locale", "provincia", "Lombardia" (14 luglio) * Maxi blitz contro la 'ndrangheta. "Stava per mettere le mani anche su Expo" (13 luglio) La relazione al Parlamento della Direzione investigativa antimafia Lombardia: la 'ndrangheta influenza la vita politica, sociale ed economica Pubblici amministratori e tecnici hanno agevolato l'assegnazione di appalti alle cosche I boss riuniti attorno al tavolo a ferro di cavallo a Paderno, al circolo Arci "Falcone e Borsellino", scelto per spregio I boss riuniti attorno al tavolo a ferro di cavallo a Paderno, al circolo Arci "Falcone e Borsellino", scelto per spregio MILANO - Le famiglie storiche della 'ndrangheta presenti in Lombardia influenzano la vita economica, sociale e politica della regione. Lo rileva la relazione al Parlamento della Direzione investigativa antimafia (Dia) riferita al primo semestre 2010. La "consolidata presenza" in alcune aree lombarde di "sodali di storiche famiglie di 'ndrangheta" ha "influenzato la vita economica, sociale e politica di quei luoghi", riporta la Dia. La relazione sottolinea il "coinvolgimento di alcuni personaggi, rappresentati da pubblici amministratori locali e tecnici del settore che, mantenendo fede a impegni assunti con talune significative componenti, organicamente inserite nelle cosche, hanno agevolato l'assegnazione di appalti e assestato oblique vicende amministrative". CONSENSO E ASSOGGETTAMENTO - Per penetrare nel tessuto sociale, le cosche - che in Lombardia godono di una certa autonomia ma dipendono sempre dalla "casa madre" calabrese come ha dimostrato l'inchiesta "Crimine" che ha ricostruito l'organigramma della 'ndrangheta - si muovono seguendo due filoni: "quello del consenso e quello dell'assoggettamento". Tattiche che, sottolineano gli esperti della Dia, "da un lato trascinano con modalità diverse i sodalizi nelle attività produttive e dall'altro li collegano con ignari settori della pubblica amministrazione, che possano favorirne i disegni economici". MOVIMENTO TERRA E OPERE DI URBANIZZAZIONE - Con questa strategia, e favorita da "una serie di fattori ambientali", si consolida la "mafia imprenditrice calabrese" che con "propri e sfuggenti cartelli d'imprese" si infiltra nel "sistema degli appalti pubblici, nel combinato settore del movimento terra e, in alcuni segmenti dell'edilizia privata" come il "multiforme compartimento che provvede alle cosiddette opere di urbanizzazione". Secondo la Dia dunque, si assiste ad un vero e proprio "condizionamento ambientale" da parte della 'ndrangheta, che è riuscita "a modificare sensibilmente le normali dinamiche degli appalti, proiettando nel sistema legale illeciti proventi e ponendo le basi per ulteriori imprese criminali". E la penetrazione nel sistema legale dell'area lombarda, è favorita, dice la Direzione investigativa antimafia, da "nuove e sfuggenti tecniche di infiltrazione, che hanno sostituito le capacità di intimidazione con due nuovi fattori condizionanti: il ricorso al massimo ribasso" nelle gare d'appalto e la "decisiva importanza contrattuale attribuita ai fattori temporali molto ristretti per la conclusione delle opere". Redazione online 17 novembre 2010
Dopo i recenti arresti, ricostruiti quarant'ani di infiltrazioni e malaffare 'Ndrangheta, una storia milanese Nel regno di Cosa nostra, dadi, affari e donnine Poi arrivarono i "silenziosi" calabresi. E la politica Dopo i recenti arresti, ricostruiti quarant'ani di infiltrazioni e malaffare 'Ndrangheta, una storia milanese Nel regno di Cosa nostra, dadi, affari e donnine Poi arrivarono i "silenziosi" calabresi. E la politica Francis Turatello (a sinistra) durante un processo Francis Turatello (a sinistra) durante un processo MILANO - L'inchiesta che ha squinternato la 'ndrangheta in regione e condotto sul proscenio gl'insospettabili reggicode racconta come sia cambiato in vent'anni il sistema di potere nel Paese: dal mondo dell'impresa al mondo della politica. All'epoca del dominio mafioso, dal '70 al '90, nessuno si curava degli amministratori, al massimo Turatello ed Epaminonda li facevano entrare gratis nei club sottoposti all'organizzazione, le prede ambite erano i padroni delle ferriere. Oggi gli ambasciatori delle 'ndrine cercano assessori, sindaci, consiglieri comunali. La mafia aveva occhi solo per il "privato", sicura che il "pubblico" sarebbe venuto al traino; la 'ndrangheta s'interessa soltanto del "pubblico" quale unico dispensatore di prebende e appalti: le aziende coinvolte sono padane nella forma, calabresi nella sostanza. Nel '74 fece scalpore che nell'agenda di Luciano Leggio - all'epoca capo di Riina, di Provenzano, di Bagarella - fosse rinvenuto il numero telefonico riservato di Ugo De Luca, direttore generale del Banco di Milano. Le intercettazioni e i verbali recenti parlano di direttori sanitari, dirigenti di ospedali, coordinatori di consorzi e società municipali. La scoperta della cuccagna comincia con Peppe Genco Russo, "capofamiglia" di Mussomeli, inviato, nel '64, in soggiorno obbligato in Lombardia. Lo ritengono l'erede di Calogero Vizzini, la cui fama si lega a un incontro con Montanelli pubblicato dal Corriere all'inizio degli Anni Cinquanta. I due sono, però, troppo provinciali, vivevano nel vallone nisseno, per essere alla testa di Cosa Nostra. Destinato a Lovere, non ancora toccata dal benessere e dalla popolarità del turismo sul lago d'Iseo, Genco Russo viene trattato da giornali e televisione come quel numero uno che mai è stato. E grande stupore manifestano gli abitanti della zona nello scoprire non solo l'esistenza della mafia, ma che il vecchietto tanto malandato in salute quanto gentile e manieroso ha tre metri di fedina penale con abbondanza di omicidi, estorsioni, violenze d'ogni tipo. Un'opinione pubblica ancora sconvolta dal massacro di sette militari a Ciaculli con una Giulietta piena di esplosivo pretende una reazione, che lo Stato è incapace di produrre nei tribunali. Allora fioccano i soggiorni obbligati, resi inutili dall'irrompere della teleselezione telefonica. Così nell'hinterland milanese arrivano i Ciulla, i Guzzardi, i Carollo, Gerlando Alberti. A Milano, dove ancora ricordano il cinematografico agguato per uccidere Angelo La Barbera in viale Regina Giovanna, si stabilisce addirittura Leggio in fuga dal divieto di Badalamenti di effettuare sequestri di persona in Sicilia. I rapimenti di Torelli, di Rossi di Montelera, di Barone scatenano il terrore tra i re di denari: ciascuno cerca un palermitano di riferimento, cui affidare l'incolumità della propria famiglia. È il periodo in cui Dell'Utri piazza Vittorio Mangano nella villa di Berlusconi ad Arcore. Attorno a Leggio si muovono e prosperano Nino Grado, Ignazio e Giovanbattista Pullarà, Simone Filippone, Salvatore Di Maio, Pippo e Alfredo Bono, Robertino Enea, Ugo Martello, Gino Martello, Gioacchino Matranga, Gaetano Fidanzati. Tra ippodromi, bische, night sbocciano conoscenze e amicizie impossibili. Tutti insieme appassionatamente fino alla sera in cui gli sgherri di Turatello rifilano un ceffone ad Alfredo Bono: l'onta sarà lavata anni dopo con lo sventramento in galera di Francis "faccia d'angelo". In quella Milano piena di tavoli di chemin de fer e di dadi, di donne disponibili e di champagne i mafiosi ci sguazzano a tal punto da rifiutare la creazione di una "famiglia" per non dover prendere ordini da Palermo. Le basi sono dapprima le enoteche dei Pullarà al Giambellino e in viale Umbria, poi l'ufficetto di via Larga a un passo dall'appartamento in cui aveva abitato Joe Adonis, al rientro in Italia. Milano diviene la capitale economica di Cosa Nostra: a Palermo si corrompe, si trama, si traffica, si ammazza, ma senza le complicità eccellenti degli insospettabili industriali, banchieri e finanzieri allocati sotto la Madonnina le "famiglie" non potrebbero moltiplicare per mille e riciclare i proventi delle proprie malefatte. Le inchieste dell'83 e del '90 svelano nomi, interessi, complicità. L'arresto dell'oscuro ragioniere Pino Lottusi, secondo Borsellino regista del più importante business planetario del decennio, segna l'inizio della fine. Cosa Nostra è costretta a battere in ritirata. Le subentra la 'ndrangheta. A spingerla verso la Lombardia sono state le confidenze in carcere di Leggio a Mammoliti. La gestione dell'Ortomercato di Milano testimonia il passaggio di consegne, il rovesciamento dei ruoli tra chi aveva recitato da protagonista e chi da comprimario. Cambiano le regole e gli atteggiamenti. I boss giunti da Palermo si comportavano come bambini capricciosi al parco giochi: erano eccitati da Milano, non degnavano di uno sguardo il resto a eccezione di Como, importante per la vicina frontiera con la Svizzera, e del casinò di Campione. Che differenza con i silenziosi successori, lontani da ogni sfoggio ed esibizionismo, però capaci di stendere una micidiale tela d'interessi sull'intera regione. Sono i collaudati metodi che hanno consentito d'installarsi nei cinque Continenti e di trasformarsi in una inarrestabile macchina di soldi e di corruzione. Alfio Caruso 27 ottobre 2010
I camion dei killer di Lea Garofalo scoperti dai carabinieri nei tunnel della M5 Mafia nei cantieri, cacciate 39 imprese La Prefettura: in mano alla 'ndrangheta il 40% delle società ispezionate dalla Dia * NOTIZIE CORRELATE * Ndrangheta, una storia milanese lunga 40 anni di Alfio Caruso I camion dei killer di Lea Garofalo scoperti dai carabinieri nei tunnel della M5 Mafia nei cantieri, cacciate 39 imprese La Prefettura: in mano alla 'ndrangheta il 40% delle società ispezionate dalla Dia MILANO - All'imbocco dei tunnel che portano nel ventre di Milano c'erano i camion della 'ndrangheta: i mezzi di Sergio e Giuseppe Cosco, gli uomini arrestati dieci giorni fa dai carabinieri del nucleo investigativo di Milano per l'omicidio dell'ex collaboratrice di giustizia Lea Garofalo. L'impresa dei boss di viale Montello ha lavorato nel grande cantiere della Metropolitana 5. Un progetto finanziato con fondi pubblici, un tavolo al quale - sfruttando subappalti e nolo mezzi con conducenti - hanno mangiato anche gli uomini delle cosche. Nelle prossime settimane gli investigatori dei carabinieri e della Dia cercheranno di approfondire e comprendere i meccanismi in base ai quali una piccola ditta come quella dei Cosco sia potuta arrivare a lavorare in quell'impresa. Ma non c'è solo il cantiere di viale Zara, perché nonostante gli allarmi e i 158 arresti del 13 luglio scorso, i clan calabresi continuano a infiltrarsi negli appalti milanesi. I numeri dell'Ufficio antimafia della Prefettura sono la fotografia - ufficiale - di quanto sia ormai estesa la metastasi (e allo stesso tempo serrata l'azione di contrasto delle forze dell'ordine). Negli ultimi dodici mesi gli uomini della Direzione investigativa antimafia di Milano hanno effettuato 99 "accessi" nei cantieri (24 in città e 75 in provincia). Dopo le ispezioni, sono state estromesse 39 aziende, il 40 per cento delle imprese controllate. Per gli uomini della Dia, quelle imprese erano legate a doppio filo agli interessi mafiosi. Non semplici contatti, ma "chiari ed evidenti" collegamenti con persone indagate, denunciate o arrestate per associazione mafiosa. A queste bisogna poi sommare altre 43 interdittive antimafia (stop alle aziende prima dell'inizio lavori). Atti che hanno visto coinvolte anche imprese "nate e cresciute a Milano". Come accaduto ormai due anni fa, sempre nei cantieri della M5, per il gruppo Lucchini Artoni, legato a 17 imprese di movimento terra calabresi in odore di mafia. Un caso che aveva rischiato di lasciare 200 persone senza lavoro e risolto solo quando la Lucchini ha dimostrato di aver "rescisso" ogni legame con le aziende dei clan. Cesare Giuzzi Gianni Santucci 27 ottobre 2010
Il blitz - I boss di Corigliano si riunivano all’ombra del Duomo Vertici della ’ndrangheta tra i tavoli del "Santa Tecla" Lo storico locale scelto per le riunioni strategiche Il blitz - I boss di Corigliano si riunivano all’ombra del Duomo Vertici della ’ndrangheta tra i tavoli del "Santa Tecla" Lo storico locale scelto per le riunioni strategiche Serata musicale al "Santa Tecla" (Fotogramma) Serata musicale al "Santa Tecla" (Fotogramma) MILANO - Riunioni di mafia a pochi metri dal Duomo. Ne ha viste e sentite di tutti i colori il palco del "Santa Tecla ", a due passi dalla Madonnina. Nato come locale jazz, luci soffuse e pochi drink, svoltò bruscamente verso il mitico rock degli anni Sessanta, con Gaber, Jannacci e Celentano. E fu gloria. Chiasso e allegria. Più colori, colori accesi e toni alti, sempre più alti, in una Milano che in quel fazzoletto di terra esibiva una concentrazione di vita artistica stupefacente. Da lì, in via Santa Tecla, sono passati in tanti. Anche chi, di musica, conosceva meglio quella dei mitra e delle pistole. Gente come Turatello, del calibro di Epaminonda e Vallanzasca, boss e criminali senza paura e senza scrupoli che lì, a due metri dal bancone, bevendo chissà che cosa magari decidevano quale bisca fare saltare quella notte, oppure quale banca ripulire la mattina dopo. E sempre lì, tra i tavoli del "Santa Tecla" e del "Cafè Dalì", si è scoperto proprio ieri, si riunivano diversi e temuti capi ’ndrangheta, soprattutto quelli di una potente cosca cosentina di Corigliano che nel cuore di Milano decideva gli "affari" di famiglia. Usura, droga, riciclaggio, persino la strategia di fatturare le estorsioni "per giustificare" quella montagna di soldi che ogni fine settimana entrava nelle tasche della "locale" del boss Maurizio Barilari. Al "Santa Tecla", hanno scoperto gli investigatori del Gico della Guardia di Finanza di Catanzaro, dello Scico di Roma e dei carabinieri di Cosenza, la "locale" di Corigliano decideva persino a quanto si sarebbe dovuta vendere la droga in Lombardia e nel resto dell’Italia. A coordinare l’indagine, la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro che ai 64 arresti, di cui nove eseguiti in città e nel milanese, ha voluto dare il nome di "Operazione Santa Tecla". "A Milano—ha scritto il gip — gli affiliati si ritrovavano nei locali pubblici Santa Tecla e Caffè Dalì per concludere accordi e concordare strategie sulla gestione del traffico di droga" e del resto degli affari. I calabresi che si davano appuntamento ai tavolini di via Santa Tecla sono stati seguiti e intercettati dal 2007 fino a pochi mesi fa. Hanno ascoltato musica doc, i finanzieri e i carabinieri. Ma anche i discorsi di gente come Michele Villì, casa a Milano, e di Giuseppe Orsomarso, casa a Trezzo, che stringevano patti scellerati con Gualtiero Milani, di Sondrio, Massimo Lupone, Vincenzo Grosso, Adil Ben Sahri, Eugenio Minghetti, Girolamo Nasso e Zydan Mohamed. All’alba di ieri sono finiti tutti in galera. Biagio Marsiglia 22 luglio 2010
la terza generazione dei mafiosi non si accontenta più di un ruolo subalterno Grandi appalti, il salto delle cosche Il pg: "Ora la gestione è diretta" Minale: con la "Perego strade" puntava alle opere pubbliche. Il Pd in Regione: consiglio straordinario * NOTIZIE CORRELATE * L'assessore che organizzava le cene tra il boss Perego e i politici MILANO - Bisogna fissare due punti nel tempo, due maxi-operazioni avvenute a 16 anni di distanza l’una dall’altra, per leggere le trasformazioni della ’ndrangheta in Lombardia. Per capire come siano cambiate, nei metodi e negli obiettivi, le infiltrazioni della criminalità nell’economia regionale. È ricordando i 150 arresti della "Notte dei fiori di San Vito", nel 1994, che il procuratore generale di Milano, Manlio Minale, ha spiegato il senso dei nuovi 300 arresti, quelli di due giorni fa: "Negli anni scorsi ci siamo resi conto del passaggio alla seconda generazione della ’ndrangheta, oggi probabilmente siamo alla terza generazione". Lo snodo che meglio spiega la trasformazione è quell’azienda, la "Perego general contractor", divenuta il canale delle cosche per entrare nei cantieri dell’area ex Portello-Fiera, di CityLife, della statale Paullese. È questo il "salto diverso" a cui ha fatto riferimento Minale: "L’organizzazione criminale, attraverso la Perego strade, puntava a una presenza nuova all’interno dei lavori pubblici. Non più soltanto al livello dei subappalti, qui l’obiettivo era quello di utilizzare la "Perego strade", che poteva competere come capocommessa, per aggiudicarsi direttamente i grandi lavori". La Perego era una delle più grandi ditte di "movimento terra" della Lombardia ed è fallita nel 2009. La scalata ad un’altra grande impresa trentino-austriaca, la "Cosbau " (completamente estranea alle manovre) è stata tentata e per poco non è riuscita. È uno degli elementi chiave dell’inchiesta: l’aver intercettato l’aggressione della ’ndrangheta a livelli sempre più alti dell’imprenditoria. Ha aggiunto il procuratore generale: "L’organizzazione criminale in Lombardia è una presenza diffusa e strutturata, con un’evoluzione delle attività. Oggi siamo al livello delle piccole emedie imprese nel campo dell’edilizia, ma abbiamo sotto gli occhi il tentativo di un salto, non accaduto, verso la grande imprenditoria". È un panorama fluido, con i diversi piani che si intrecciano. La fotografia che esce dagli atti dell’inchiesta è quella di un’organizzazione ramificata, che ha una sorta di radar sempre acceso per intercettare lavori, appalti, commesse grandi e piccole, dalla città ai paesi della provincia, sfruttando vecchi canali politico-imprenditoriali o cercandone nuovi contatti. Definito dai magistrati questo contesto, l’opposizione in consiglio regionale e il segretario lombardo del Pd, Maurizio Martina, chiedono la convocazione di una seduta straordinaria sulla criminalità organizzata in Lombardia, invitando il presidente della commissione bicamerale antimafia, Giuseppe Pisanu. Il presidente del consiglio, Davide Boni (Lega), risponde che "decideranno i capigruppo". Gianni Santucci 15 luglio 2010
'Ndrangheta, 304 arresti L’impero delle cosche a Milano, i tre livelli: "locale", "provincia", "Lombardia" Appalti e appoggi politici: gli affari, le infiltrazioni e un esercito di cinquecento picciotti MILANO - "Siamo cinquecento uomini. Non siamo uno... Cecè vedi che siamo cinquecento uomini. Qua in Lombardia, sono venti locali aperti". È passata da un pezzo la mezzanotte di venerdì 13 giugno di due anni fa. In macchina, alla guida di una Peugeot 307, c’è un tranquillo pensionato con la fedina penale immacolata, Saro Minasi. Insieme a lui, Cecè Raccosta. Le parole di Minasi, uomo della locale di Bresso, l’alleato più fedele nel progetto indipendentista del boss di Guardavalle Carmelo Novella poi ucciso, rimbalzano dalla cimice nascosta sotto il cruscotto. Per i carabinieri chiusi nella sala d’ascolto con le cuffie in testa sono un oracolo destinato ad annodare i fili, da lì a due anni, della più grande rete ndranghetistica mai scoperta in Lombardia. La struttura delle cosche prende forma in un racconto in prima persona dei protagonisti di questa metastasi cresciuta nella terra dei dané scopertasi d’un tratto fragile come un costone d’Aspromonte. La mafia a Milano oggi è una fotografia nitida e indelebile. Nomi, volti, ruoli, picciotti e sgarristi sistemati con pazienza sulle caselle della grande mappa della Nord Italia. Una struttura organizzata secondo le identiche regole della Calabria. Con i medesimi riti, con gli stessi arcaici dettami della mafia dei vecchi boss Mommo Piromalli e Antonio Pelle. E’ questa, forse, la più grande novità dell’inchiesta "Infinito" (poi diventata "Il crimine") chiusa martedì dai carabinieri del Gruppo di Monza. Non una ’ndrangheta di conquista, ma una mafia stanziale, strutturata, incredibilmente ancorata al terreno politico, produttivo e sociale di buona parte dell’hinterland di Milano. Tre livelli: la locale (il territorio di azione di ogni famiglia), la provincia (l’insieme delle locali) e la Lombardia, il grado più alto, l’unione dei capolocali. A guidarla fino a ieri il settantenne Pasquale Zappia di Gudo Visconti, il mastrogenerale della ’ndrangheta al Nord. Uno schema ricalcato sul modello calabrese, diviso tra provincia Jonica, Tirrenica e Reggio città. A Milano, e su fino ai confini con il Lecchese e le province di Varese e Como, le locali scoperte sono una quindicina. Per ciascuna i carabinieri hanno annotato nomi e doti. Quella di Milano centro era guidata dal 54enne Cosimo Barranca, da anni residente a Legnano. Insieme a lui i due fratelli, Armando e Giuseppe, e (almeno) altri nove affiliati di livello. A seguire un lungo elenco che da Corsico, corre fino a Bollate, Seregno, Desio, Cormano, Pioltello, Rho, Legnano, Bresso, Solaro, Limbiate, Pavia, Erba arriva fino a Mariano Comense. A Corsico, uno dei territori più caldi, ci sono le famiglie originarie di Platì (Rc) Barbaro e Papalia, guidate da Bruno Longo prima e dallo stesso Pasquale Zappia poi. Quelli della montagna, come li chiamavano i padrini brianzoli nelle intercettazioni, rappresentano il fondamento della ’ndrangheta, tanto che il loro giudizio aveva un peso specifico notevole in ogni questione. A Bollate, giu sto a ridosso tra la nuova Fiera e i futuri terreni Expo, il comando da vent’anni è nelle mani di Vincenzo Mandalari, ieri mattina sfuggito per un soffio alla cattura. Cormano è invece terra di Pietro Panetta, uomo influente del tessuto politico e imprenditoriale. Fino al confine sud della provincia, dove Giuseppe Neri, massone, da tempo in dialisi, non ha mai smesso di guidare le decisioni più difficili per la "pace tra le famiglie". Equilibri fragili, ricordati ieri dal procuratore Generale Manlio Minale: "Nel ’94 con 150 arresti fu sgominato il clan Mazzaferro. L’inchiesta di oggi dimostra, purtroppo, come la ’ndrangheta è tornata a commissariare la Lombardia". Cesare Giuzzi 14 luglio 2010
in manette anche Domenico Oppedisano considerato il numero uno delle cosche calabresi Maxi blitz contro la 'ndrangheta. "Stava per mettere le mani anche su Expo" Boccassini: 500 affiliati in Lombardia. Nella regione una mutazione genetica: infiltrata in economia e istituzioni * NOTIZIE CORRELATE * Milano capitale economica delle cosche * Maxi blitz contro la 'ndrangheta: 304 persone arrestate in tutta Italia * Sgominata dai carabinieri una costola lombarda della 'ndrangheta (23 aprile 2009) MILANO - La 'ndrangheta ha tentato di infiltrarsi negli appalti per l'Expo 2015. E' quanto è emerso dall'inchiesta coordinata dalle Dda di Milano e Reggio Calabria, che martedì ha portato a una maxioperazione che ha accertato l'infiltrazione della mafia calabrese nel nord Italia e in Lombardia in particolare e che ha portato a oltre 300 arresti. Nelle indagini è stato ricostruito, tra le altre cose, il tentativo "di assorbire nel gruppo Perego - riconducibile alla cosca degli Strangio, che gestiva per conto della 'ndrangheta le infiltrazioni di imprese calabresi nell'ambito dei lavori pubblici - importanti aziende lombarde del settore edile che versavano in condizione di difficoltà economiche, allo scopo di costruire apposite attività di impresa in grado di partecipare direttamente all'affidamento degli appalti per l'Expo 2015". Il progetto, hanno spiegato gli inquirenti, non si è concretizzato a causa del mancato risanamento economico della stessa Perego General Contractor, attualmente sottoposta a procedura fallimentare. "MUTAZIONE GENETICA" - Gli accertamenti hanno documentato come nel territorio lombardo negli ultimi anni è avvenuta una "mutazione genetica" del modo di agire della ’ndrangheta, che ha portato al passaggio dai tradizionali omicidi, sequestri di persona, grandi traffici di droga, a forme di controllo di settori economici (movimento terra nei cantieri, edilizia, concessione di finanziamenti a persone in difficoltà) e di infiltrazioni in istituzioni pubbliche a livello locale. Manlio Minale, procuratore della Repubblica all’avvio dell’inchiesta oggi procuratore generale, ha parlato di una nuova forma di "mafia imprenditrice" di cui gli esponenti "costituiscono la terza generazione di ’ndranghetisti sul territorio lombardo, che però agiscono come quelli della seconda generazione perché operano nel mondo imprenditoriale". L’affare messo in luce dagli inquirenti che esemplifica meglio di tutti il modo di agire degli affiliati è l’ingresso di due indagati oggi arrestati, Salvatore Strangio e Andrea Pavone, nella Perego General Contractor srl in veste di società "capo commessa" per partecipare agli appalti pubblici (di Citylife, del cantiere di un nuovo edificio del Tribunale in via Pace, del Portello, del quartiere Mazzini, dell’area ex Ansaldo, della Paullese all’altezza di Crema, dell’ospedale Sant’Anna di Como). Gli appalti dei lavori dell'Expo erano dunque uno degli obiettivi di Salvatore Strangio, il boss della 'ndrangheta arrestato nell'ambito dell'inchiesta milanese, assieme all'imprenditore Ivano Perego. Strangio intercettato al telefono il 25 aprile 2009 dice: "Il primo lavoro dell'Expo al novantanove per cento lo prende la Perego". Il riferimento è all'impresa Perego, riconducibile alla cosca Strangio, che gestiva per conto della 'ndrangheta le infiltrazioni di imprese calabresi nell'ambito dei lavori pubblici. La società, come spiega il gip Giuseppe Gennari nell'ordinanza, secondo lo stesso Strangio ha la "funzione" di "mantenere 150 famiglie calabresi". GLI "AFFILIATI" - Gli "affiliati" lombardi della 'ndrangheta individuati nel corso dell'inchiesta sono ben 160, ma la cifra totale sarebbe ben più alta: secondo il procuratore aggiunto Ilda Boccassini che ha illustrato l'operazione in una conferenza stampa, sarabbero 500. Boccassini ha inoltre spiegato che nell'inchiesta sono state individuati 15 "locali" (le famiglie mafiose), tra cui anche uno a Milano centro, a Bollate, a Erba a Cologno e in altri centri sparsi nella regione, in particolare in Brianza. "Ovviamente è un punto di partenza - ha affermato - perchè dalle persone indagate sappiamo che sono molti di più". LA RETATA - I procuratori Boccassini e Pignatone, che hanno organizzato questa retata senza precedenti, si sono convinti che sia stato il sequestro di Alessandra Sgarella, rapita nella sua casa in zona San Siro nel dicembre del 1997, l'ultima "azione" dei clan tradizionali. Dal Duemila la 'ndrangheta si sarebbe trasformata in "mafia imprenditrice". Ci sono i criminali, ma accanto a loro affiliati lombardi, spesso senza problemi con la giustizia, com'è un alto funzionario della sanità lombarda. L'inchiesta sembra riguardare anche il recente voto in Lombardia. Tra le persone arrestate a Milano, Carlo Antonio Chiriaco, classe 1959, nato a Reggio Calabria, direttore sanitario dell'Asl di Pavia, Francesco Bertucca, imprenditore edile del pavese e Rocco Coluccio, biologo e imprenditore residente a Novara. I tre sono ritenuti responsabili di aver fatto parte della 'ndrangheta attiva da anni sul territorio di Milano e nelle province vicine. E in manette è finito anche Domenico Oppedisano, 80 anni, considerato dagli investigatori l'attuale numero uno delle cosche calabresi. Arrestato anche Pino Neri, ritenuto boss della 'ndrangheta in Lombardia, accusato di avere convogliato voti elettorali su indicazione di Chiriaco, a favore del deputato del Pdl Giancarlo Abelli, che risulta estraneo ai fatti e non è indagato. ATTIVITA' AD ALTA REDDITIVITA' - Nel commentare la maxi operazione contro la 'ndrangheta condotta dalle procure di Milano e Reggio Calabria il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, ha detto che "non si può parlare di una conquista di Reggio Calabria sulla Lombardia", ma ha voluto sottolineare che in territorio lombardo "c'è una struttura che voleva rendersi autonoma ed è stata riportata all'obbedienza". Gli appetiti della 'ndrangheta sulla Lombardia vengono spiegati da Grasso con la presenza in questa regione di "attività imprenditoriali ad alta redditività: qui le società nascono una dietro l'altra e sono in grado di mimetizzarsi". Infine, l'alto magistrato ha sottolineato la "reazione emotiva" suscitata negli investigatori dallo scoprire come, proprio in un centro dedicato a Falcone a Borsellino, venisse celebrata l'investitura del nuovo capo della 'ndrangheta lombarda. "La criminalità - ha spiegato - ha voluto scegliere un locale per anziani intitolato a Falcone e Borsellino per destare meno sospetti. Non pensavano che sarebbe stata fatta una intercettazione ambientale proprio là. Sono stati bravi i carabinieri. Quando ci toccano i nostri martiri, è ovvio che ci sia una reazione emotiva". Redazione online 13 luglio 2010(ultima modifica: 14 luglio 2010)
PAVIA - maxi operazione "Dirty Energy" a cura del corpo Forestale Traffico illecito di rifiuti: sequestrato l'impianto della Riso Scotti Energia Ai domiciliari anche Giorgio Radice, presidente del consiglio di amministrazione PAVIA - maxi operazione "Dirty Energy" a cura del corpo Forestale Traffico illecito di rifiuti: sequestrato l'impianto della Riso Scotti Energia Ai domiciliari anche Giorgio Radice, presidente del consiglio di amministrazione Sigilli all'impianto Riso Scotti Energia (Milani) Sigilli all'impianto Riso Scotti Energia (Milani) MILANO - L’impianto di coincenerimento Riso Scotti Energia S.P.A., una delle società della galassia del gruppo Riso Scotti, nel Comune di Pavia, è stato posto sotto sequestro: utilizzava nella produzione di energia elettrica e termica, oltre agli scarti biologici della lavorazione del riso (lolla), anche rifiuti misti di varia natura - legno, plastiche, imballaggi, fanghi di depurazione di acque reflue urbane ed industriali ed altri materiali misti - che per le loro caratteristiche chimico fisiche superavano i limiti massimi di concentrazione dei metalli pesanti - cadmio, cromo, mercurio, nichel, piombo ed altri - previsti dalle autorizzazioni. Il presunto traffico illecito di rifiuti, scoperto dal Corpo Forestale, ha generato un giro d’affari di circa 30 milioni di euro nel solo periodo 2007-2009 e ha portato al sequestro dell’impianto di coincenerimento della Riso Scotti Energia a Pavia, situato in via Angelo Scotti e di più di 40 mezzi, all’arresto di 7 persone ed alla esecuzione di 60 perquisizioni. Ai domiciliari anche Giorgio Radice, presidente del consiglio di amministrazione della Riso Scotti Energia. Questo il risultato della maxi operazione "Dirty Energy", frutto di un anno e mezzo di accurate indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Pavia – diretta dal procuratore capo Gustavo Adolfo Cioppa – e condotte dai sostituti Roberto Valli, Luisa Rossi e Paolo Mazza. 40 MILA TONNELLATE DI RIFIUTI - Dalle indagini svolte è stato possibile accertare il coinvolgimento di diversi impianti di trattamento dei rifiuti provenienti dal circuito della raccolta urbana, dall’industria e da altre attività commerciali dislocati in Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana e Puglia, impegnando oltre 250 Forestali su tutto il territorio. L’ingresso delle circa 40.000 tonnellate di rifiuti gestiti illecitamente dalla Riso Scotti Energia S.p.A. veniva reso possibile ed apparentemente regolare attraverso la falsificazione dei certificati d’analisi, con l’intervento di laboratori compiacenti e con la miscelazione con rifiuti prodotti nell’impianto, così da celare e alterare le reali caratteristiche dei combustibili destinati ad alimentare la centrale. Oltre al traffico illecito di rifiuti e alla redazione di certificati di analisi falsi si ipotizza una frode in pubbliche forniture e una truffa ai danni dello Stato, visto che tali rifiuti non potevano essere utilizzati in un impianto destinato alla produzione di energia da fonti rinnovabili che ha goduto di pubbliche sovvenzioni. L'inchiesta è stata sviluppata dal Nucleo Investigativo Provinciale di Polizia Ambientale e Forestale di Pavia del Corpo forestale dello Stato, in collaborazione con personale della Polizia di Stato - Gabinetto Regionale della Polizia Scientifica di Milano e Direzione Centrale Anticrimine di Roma. LOLLA DI RISO MISCELATA CON POLVERI - Tra i materiali combustibili impiegati c'era anche la lolla di riso, proveniente dall’adiacente riseria e convogliata nell’impianto sequestrato dalla Forestale attraverso una condotta aerea. La lolla veniva frequentemente miscelata, all’interno dell’impianto, con polveri provenienti dall’abbattimento dei fumi, fanghi, terre dello spazzamento strade ed altri rifiuti conferiti da ditte esterne. A seguito della miscelazione, la lolla perdeva le caratteristiche di sottoprodotto e diventava un rifiuto speciale, anche pericoloso, che non poteva più essere destinato alla produzione di energia pulita, ma avrebbe dovuto essere smaltito presso impianti esterni autorizzati. Gli accertamenti eseguiti hanno permesso di accertare che ingenti quantitativi di lolla di riso, anche di quella miscelata con i rifiuti, sono stati venduti illecitamente ad altri impianti di termovalorizzazione, ad industrie di fabbricazione di pannelli in legno e ad aziende agricole ed allevamenti zootecnici (pollame e suini) - dislocati in Lombardia, Piemonte e Veneto - che la utilizzavano per la formazione delle lettiere per gli animali. INQUINAMENTO DELL'ARIA - Tenuto conto della miscelazione con i rifiuti, l’incenerimento della lolla all’interno dell’impianto Riso Scotti Energia S.p.A., molto vicino alla città di Pavia, pone seri interrogativi sul probabile superamento dei limiti imposti per quanto riguarda le emissioni in atmosfera, e di conseguenza sulla qualità dell’aria. In questo modo, si traevano illeciti vantaggi sia dalla vendita della lolla di riso come sottoprodotto, sia dal risparmio sui costi di smaltimento dei rifiuti prodotti dall’impianto, che periodicamente venivano miscelati alla lolla di riso, sia dalla vendita di energia allo Stato a prezzo vantaggioso. Redazione online 17 novembre 2010
2010-11-12 Una pistola carica trovata nell'androne del palazzo in cui abita il figlio dell'ex sindaco Incontri tra Berlusconi e Ciancimino La vedova dell'ex sindaco: "Io c'ero" La moglie dell'ex primo cittadino di Palermo conferma la sua presenza a due incontri a Milano Una pistola carica trovata nell'androne del palazzo in cui abita il figlio dell'ex sindaco Incontri tra Berlusconi e Ciancimino La vedova dell'ex sindaco: "Io c'ero" La moglie dell'ex primo cittadino di Palermo conferma la sua presenza a due incontri a Milano Epifania Scardino ai funerali del marito Vito Ciancimino con i figli (Ansa) Epifania Scardino ai funerali del marito Vito Ciancimino con i figli (Ansa) MILANO - Dopo il 1972 l'allora sindaco di Palermo, Vito Ciancimino, incontrò l'imprenditore Silvio Berlusconi in tre occasioni a Milano. A due dei colloqui, avvenuti in un ristorante del capoluogo lombardo, partecipò anche Epifania Scardino, moglie del politico corleonese. Lo ha confermato ai pm di Palermo Paolo Guido e Nino Di Matteo la stessa vedova Ciancimino, durante un interrogatorio che è stato secretato. Alla presenza del suo legale, la donna ha anche ricordato che Berlusconi e Ciancimino parlarono di affari. LA PRIMA VOLTA - È la prima volta che la Scardino rivela ai pm la sua presenza ai colloqui tra l'attuale premier e il marito. Interrogata a luglio e settembre scorsi, infatti, aveva riferito di aver saputo dall'ex sindaco che i due si erano visti tre volte, ma non aveva fatto cenno alla sua partecipazione. Chi ne ha parlato per la prima volta è stato invece il figlio Massimo che, a una trasmissione tv, ha detto di averlo saputo dalla madre. La circostanza sarebbe tornata in mente solo successivamente alla donna su sollecitazione del figlio. La testimonianza della Scardino potrebbe ora essere decisiva per riscontrare quanto Massimo Ciancimino sostiene di avere appreso dal padre in merito a presunti investimenti dell'ex sindaco corleonese da lui fatti nella realizzazione del complesso edilizio Milano 2 di Berlusconi. IL CASO DE MAURO - Dopo l'interrogatorio di Guido e Di Matteo, Epifania Scardino è stata sentita dal pm Sergio De Montis e dall'aggiunto Antonio Ingroia sul caso del giornalista Mauro De Mauro, scomparso a Palermo nel '70. La donna dovrebbe riferire sui rapporti di amicizia tra il marito e l'ex procuratore di Palermo Pietro Scaglione ucciso il 5 maggio del 1971. La decisione di sentire la vedova è sta presa dopo che il figlio, Massimo Ciancimino, ha consegnato ai pm di Palermo, che per il delitto processano il boss Totò Riina, degli appunti manoscritti del padre in cui si sostiene che l'omicidio del giornalista inaugurò una stagione di delitti in cui Cosa Nostra avrebbe agito su input istituzionali. Massimo Ciancimino, poi interrogato dai magistrati, ha anche raccontato di avere saputo che il padre parlò delle sue intuizioni sul caso De Mauro al procuratore Scaglione di cui era amico. Il figlio dell'ex sindaco deporrà venerdì prossimo al processo de Mauro. Secondo indiscrezioni il boss Totò Riina, in quella sede, potrebbe fare dichiarazioni spontanee. LA PISTOLA NELL'ANDRONE - Nel frattempo si è appreso che u na pistola calibro 9 carica è stata trovata, nel pomeriggio, nel vano contatori del palazzo di via Torrearsa, a Palermo, in cui vive Massimo Ciancimino. A scoprirla sono stati gli agenti che tutelano il figlio del supertestimone, sotto protezione dopo la lettera intimidatoria con minacce a suo carico ricevuta dal padre. La scorsa notte qualcuno aveva citofonato al campanello di casa e poi si era allontanato. "Combatto comunque una guerra persa in partenza - ha commentato il testimone , dopo essere stato avvisato dell'accaduto -. Sono stanco di queste continue intimidazioni. Spero solo che nessuno faccia del male alla mia famiglia". Redazione online 12 novembre 2010
La replica del capo dello Stato: "Mai detto "no" ai tagli, chiedo scelte di responsabilità" Quirinale-Gasparri, polemica sui tagli L'esponente pdl dopo le critiche di Napolitano: "Esternare è facile, governare i conti è difficile" La replica del capo dello Stato: "Mai detto "no" ai tagli, chiedo scelte di responsabilità" Quirinale-Gasparri, polemica sui tagli L'esponente pdl dopo le critiche di Napolitano: "Esternare è facile, governare i conti è difficile" Il senatore Maurizio Gasparri (Emblema) Il senatore Maurizio Gasparri (Emblema) MILANO - Botta e risposta a distanza tra Maurizio Gasparri e Giorgio Napolitano sui tagli contenuti nel disegno di legge di stabilità (la vecchia Finanziaria, ndr). L'esponente pdl ha mal digerito le critiche espresse dal capo dello Stato nei confronti delle scelte di governo e Parlamento in materia. "Tutti dicono non bisogna fare tagli. Anche il presidente della Repubblica partecipa a questo esercizio ma esternare è facile, mentre governare i conti e tenere ferma la spesa è difficile" è stato l'affondo di Gasparri. "Bisogna riconoscere i meriti di un governo che ha tenuto sotto controllo la finanza pubblica in un contesto tutt’altro che facile ed è merito di Tremonti", il capogruppo del Pdl a Palazzo Madama. La replica del Quirinale non si è fatta attendere. "Diversamente da quanto affermato dal senatore Maurizio Gasparri - si legge nella nota del Colle - il presidente della Repubblica non ha mai sostenuto che "non bisogna fare tagli" alla spesa pubblica partecipando a "questo esercizio"". "INCITO A SCELTE RESPONSABILI" - Nessun "no" ai tagli, dunque, da parte del presidente della Repubblica, ma piuttosto "un invito (in termini generali e senza entrare nel merito della legge finanziaria in discussione in Parlamento) a un'assunzione di responsabilità nel fare delle scelte e stabilire delle priorità, fermo restando - spiega la nota del Quirinale - che di fronte a una rischiosa situazione finanziaria come quella attuale sul piano internazionale si deve rispondere con "un contenimento della spesa pubblica"". L'INTERVENTO A PADOVA - Intervenendo all'assemblea Cuamm (Medici con l'Africa) a Padova il presidente della Repubblica, come ricorda lo stesso comunicato, ha rilevato che "ormai c'è un vuoto di riflessione e di confronto sulla questione cruciale: quella delle scelte da compiere e delle priorità da osservare nella destinazione delle risorse pubbliche". Redazione online 12 novembre 2010
Le regioni: "il maxiemendamento alla Legge di Stabilità è del tutto insoddisfacente" "C'è vuoto su scelte di finanza pubblica" Napolitano: "C'è una grande confusione, il vuoto sulle priorità nella destinazione delle risorse pubbliche" Le regioni: "il maxiemendamento alla Legge di Stabilità è del tutto insoddisfacente" "C'è vuoto su scelte di finanza pubblica" Napolitano: "C'è una grande confusione, il vuoto sulle priorità nella destinazione delle risorse pubbliche" Giorgio Napolitano (LaPresse) Giorgio Napolitano (LaPresse) MILANO - Il capo dello Stato è critico verso le scelte effettuate da governo e Parlamento in materia di disegno di legge di stabilità (vale a dire la vecchia Finanziaria). "C'è una grande confusione, un grande buio, il vuoto sulle scelte e sulle priorità nella destinazione delle risorse pubbliche" ha detto Giorgio Napolitano, intervenendo all'assemblea del Cuamm, l'associazione dei medici per l'Africa. "Abbiamo un debito pesante sulle spalle - sottolinea Napolitano - e dobbiamo contenere la spesa pubblica. Ma non dobbiamo tagliare tutto. L'arte della politica consiste proprio nel fare delle scelte". SOLIDARIETA' - Napolitano ricorda che esiste "un'imperativo della solidarietà, che è uno dei fondamenti della nostra Costituzione, un patto che ci lega come italiani". Ma quando si parla di questo imperativo "dobbiamo dire - aggiunge Napolitano - che noi stiamo derogando a quei doveri di solidarietà". LE REGIONI - Dopo le parole di Napolitano, arriva anche la bocciatura delle Regioni. "Il maxiemendamento alla Legge di Stabilità è del tutto insoddisfacente - dichiara il presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Vasco Errani, nel corso di una conferenza stampa che si è svolta nella sede del Cinsedo. "Il maxiemendamento non risponde alle necessità di dare una serie di servizi fondamentali per le persone, le famiglie e le imprese". "Chiediamo un incontro al governo, ai presidenti di Camera e Senato e ai capigruppo di tutte le forze politiche - aggiunge Errani - per spiegare le nostre ragioni e chiedere uno sforzo al governo con cui vogliamo fare un accordo". "Sappiamo che il momento è complicato - spiega Errani - ma lavoriamo per la piena collaborazione tra i diversi livelli istituzionali. Con questa manovra si verifica una oggettiva insostenibilità dei bilanci regionali. I tempi dell'incontro col governo devono essere rapidissimi, auspichiamo si possa uscire da questa impasse" Redazione online 11 novembre 2010(ultima modifica: 12 novembre 2010)
2010-11-10 Quella notte si occupò della vicenda della marocchina portata in questura Caso Ruby, il pm dei minori contro Maroni: "Mi rivolgerò al Csm" Anna Maria Fiorillo attacca la versione del ministro. Il ministro: "Caso chiuso". Bruti Liberati: nulla da dire * NOTIZIE CORRELATE * Maroni: su caso Ruby operato della polizia "corretto ed equilibrato" (9 novembre 2010) * Caso Ruby, forzati gli armadi del gip con le rivelazioni sulle feste di Arcore (4 novembre 2010) * Il procuratore Bruti Liberati: "Su Ruby procedure rispettate" (2 novembre 2010) Quella notte si occupò della vicenda della marocchina portata in questura Caso Ruby, il pm dei minori contro Maroni: "Mi rivolgerò al Csm" Anna Maria Fiorillo attacca la versione del ministro. Il ministro: "Caso chiuso". Bruti Liberati: nulla da dire Il ministro dell'Interno Roberto Maroni in aula alla Camera (Ansa) Il ministro dell'Interno Roberto Maroni in aula alla Camera (Ansa) MILANO - Il pm dei Minori Anna Maria Fiorillo si rivolgerà al Csm "in quanto le parole del ministro Maroni che sembrano in accordo con quelle del procuratore Bruti Liberati non corrispondono a quella che è la mia diretta e personale conoscenza del caso". Il Pm si occupò quella notte della vicenda della marocchina Ruby, portata in questura. "Io non dico più niente - ha proseguito il magistrato dei minori -, parlerò eventualmente dopo, quando il Csm sarà intervenuto". "Penso però che sia importante soprattutto il rispetto delle istituzioni e della legalità - ha aggiunto -, cosa a cui ho dedicato la mia vita e cosa in cui credo profondamente". "Proprio per questo rispetto della legalità e della giustizia - ha concluso -, quando le vedo calpestate parlo, perché altrimenti non potrei più guardarmi allo specchio come un essere umano". "CASO CHIUSO" - Maroni, dal canto suo, non sembra avere molta intenzione di tornare sulla vicenda. "Il caso è chiuso" sarebbe stato il suo commento dopo la diffusione delle parole della Fiorillo, secondo quanto riportato dalle agenzie. Maroni ha poi sottolineato che la sua posizione "è la stessa del procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati". BRUTI - La posizione a cui si riferisce Maroni è quella sin qui sostenuta da Bruti Liberati perché il procuratore oggi si è limitato a dire di non avere nulla da aggiungere a quanto già detto nei giorni scorsi: "Per me la vicenda era già chiusa allora" ha detto il procuratore, precisando che non intende replicare al pm dei Minori Annamaria Fiorillo rispetto alle dichiarazioni di quest'ultima rese mercoledì. Bruti Liberati aveva spiegato di considerare chiarita la vicenda perché sulla base dell’esame delle carte a disposizione (memorie del pm dei minori e della Questura) la polizia la notte de 27 maggio scorso aveva agito correttamente identificando e fotosegnalando l’allora minorenne Ruby per poi affidarla a Nicole Minetti, consigliere regionale del Pdl. Redazione online 10 novembre 2010
2010-11-09 Saviano in apertura: "democrazia a rischio con la macchina del fango" Benigni: gag sul premier, Ruby e la Bindi Il comico: "Silvio non ti dimettere, ci rovini" Saviano in apertura: "democrazia a rischio con la macchina del fango" Benigni: gag sul premier, Ruby e la Bindi Il comico: "Silvio non ti dimettere, ci rovini" MILANO - Una battuta dopo l'altra e come filo conduttore Berlusconi e il caso Ruby. La comicità di Roberto Benigni ha fatto irruzione (con successo, a giudicare dagli applaudi in studio) in Vieni via con me, il programma di Fabio Fazio e Roberto Saviano in onda su Raitre. "Premetto che i gossip sessuali sono spazzatura. Sono qui per parlare di politica" è stato l'incipit del lungo monologo del premio Oscar. "Se queste notizie venissero confermate, ma io non credo, figurati se è vero, dice che c'è un premier che è stato con una minorenne marocchina, ma per ragioni d'età non è stata resa nota l'identità del premier". "SILVIO DIMETTITI" - Rivolgendosi direttamente al presidente del Consiglio, Benigni ha affondato a più riprese il dito nella piaga della sempre più vicina crisi di governo. "Silvio, non ti dimettere, non dare retta a Fini, perché altrimenti ci rovini, non si lavora più. Santoro, Fazio, l'Unità, Repubblica non lavorano più. E poi Ghedini che fa, il solito film horror? Silvio, tieni duro, dai retta a me". Quindi il dietrofront: "Silvio dimettiti... Non ne possiamo più". E di nuovo Ruby: "Berlusconi ha detto che la vicenda è stata una vendetta dalla mafia. La mafia una volta ti ammazzava, ora invece ti manda due escort in bagno... Io ho il terrore di questo. Voi mafiosi siete delle bestie, vendicatevi di me, fate schifo: vi fornisco l'indirizzo del mio albergo a Milano". MESSAGGIO ALLA BINDI - Quindi le frecciatine al Pd, con un appello lanciato direttamente alla Bindi. "Rosy, dai, tu gli garbi, sacrificati per il partito" dice sempre parlando di Berlusconi e delle feste di Arcore. "Rosy tu gli piaci, si vede, ti nomina sempre...fa continui riferimenti a te. Fai così dai una foto a Fede e così ti intrufoli. Vai là e digli che sei maggiorenne - urla il comico toscano - tutto regolare mi raccomando, e quando resti sola con lui...digli chi sei! Rosy non devi temere niente perchè se ti arrestano basta che dici che sei la suocera di Zapatero". GAG SUL COMPENSO - Nel suo lungo monologo, il comico toscano non ha evitato di ironizzare sulle polemiche legate al suo compenso inizialmente indicato per la partecipazione al programma di Fazio e Saviano, compenso che non ci sarà perché il regista e attore toscano ha deciso di esserci a titolo gratuito. "Sono d'accordo a venir gratis, la Rai ha bisogno di soldi, però Masi non fare scherzi. A un semaforo quando ho abbassato il vetro un polacco mi ha riconosciuto e mi ha dato un euro.." ha detto il comico. "Ringrazio la Rai, e anche Saviano e Fazio che mi hanno invitato: a voi do il 70 per cento del mio cachet di questa sera. Meglio gratis. Io ho portato lo champagne, Masi i bicchieri, i suoi personali, abbiamo brindato. Direttore generale siamo qua, ma chi c'è dietro, chi manovra?. Che fai mi cacci? Sarebbe il colmo". SAVIANO - La puntata di Vieni via con me si è aperta l'editoriale di Roberto Saviano. "Da un po' di tempo - ha detto lo scrittore - vivo come una sorta di ossessione, che riguarda la macchina del fango, il meccanismo che arriva a diffamare una persona": per questo "la democrazia è letteralmente in pericolo". "La democrazia è in pericolo - ha aggiunto l'autore di Gomorra - nella misura in cui se tu ti poni contro certo poteri, contro questo governo, quello che ti aspetta è un attacco della macchina del fango, che parte da fatti minuscoli della tua vita privata". 08 novembre 2010
2010-10-30 Il Quirinale era preoccupato per possibili voti a maggioranza sulla procedibilità Lodo Alfano, Napolitano: "Si va verso la giusta direzione" Il presidente di rientro dal viaggio in Cina: bene l'emendamento che ripristina la sospensione automatica Il Quirinale era preoccupato per possibili voti a maggioranza sulla procedibilità Lodo Alfano, Napolitano: "Si va verso la giusta direzione" Il presidente di rientro dal viaggio in Cina: bene l'emendamento che ripristina la sospensione automatica Il presidente Napolitano durante un suo intervento in Cina (Ansa) Il presidente Napolitano durante un suo intervento in Cina (Ansa) HONG KONG - Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, non vuole sbilanciarsi troppo sul Lodo Alfano costituzionale all'esame del Parlamento in un testo su cui, alla vigilia della partenza ha segnalato un punto che a suo avviso diminuirebbe il ruolo del capo dello Stato. Ma, sia pure in attesa della presentazione formale dell' emendamento annunciato dalla maggioranza, parlando con i giornalisti prima di rientrare in Italia dopo una settimana in Cina, qualcosa dice. Visto che "si parla di eliminare la specie dell' autorizzazione e di tornare alla sospensione automatica prevista dalla legge Alfano, che io promulgai, è evidente - afferma - che si va in quella direzione". IL VOTO DI PROCEDIBILITA' - "Non mi imbarco adesso in una discussione su ciò che troverò a Roma - ha precisato il presidente ai cronisti - , perchè ho l'abitudine di leggere le carte. Certamente, in quella lettera al presidente Vizzini si sollevava il problema della diminuzione del ruolo, e anche della condizione di disagio, in cui avrebbe potuto trovarsi il presidente se fosse stata sottoposta una questione di procedibilità nei suoi confronti con un voto a maggioranza semplice del Parlamento". VIETTI: "SIA PROGETTO CONDIVISO" - Il vicepresidente del Csm, Michele Vietti, è invece intervenuto sul tema della riforma della giustizia. "La nostra costituzione è stato frutto di un progetto largamente meditato e condiviso" ha detto, spiegando che per sostituirla o modificarla "occorre un altro progetto non meno meditato e condiviso". Vietti ha invocato la necessità di "riforme organiche e di ampio respiro, non condizionate dalle contingenze e ha sostenuto che "non si coglie ancora, ne sembra prossimo, il clima politico per riflessioni serene ed equilibrate su snodi istituzionali di tale delicatezza". Quindi ha invocato rispetto per i giudici: "La giustizia è amministrata dai giudici e ad essi e alla loro funzione si deve rispetto, un rispetto talora troppo trascurato, in ossequio a un malinteso senso di libertà dai ruoli e dalle regole". Per Vietti è "essenziale" la funzione della magistratura, uno "strumento di tutela dei più deboli". Redazione online 30 ottobre 2010
2010-10-29 Il presidente della Camera: "non si rinunci all'indipendenza delle toghe" Berlusconi: la giustizia è un macigno, accordo o parlerò in Parlamento L'ultimatum del Cavaliere. E Fini avverte: no ai pm sottomessi all'esecutivo, sarebbe fascismo * NOTIZIE CORRELATE * Vietti: "Senza un controllo esterno il pm rischia di trasformarsi in una mina vagante" (28 ottobre 2010) Il presidente della Camera: "non si rinunci all'indipendenza delle toghe" Berlusconi: la giustizia è un macigno, accordo o parlerò in Parlamento L'ultimatum del Cavaliere. E Fini avverte: no ai pm sottomessi all'esecutivo, sarebbe fascismo MILANO - Il tema della riforma della giustizia resta in primo piano. Lo dimostrano le parole del premier Silvio Berlusconi. La giustizia "è un macigno sulla vita della nostra democrazia. Sto preparando un intervento in Parlamento per chiarire la nostra e la mia posizione sull'intervento nel nostro Paese della magistratura" ha annunciato il presidente del Consiglio a margine della riunione del Consiglio europeo a Bruxelles, incontrando i giornalisti. Berlusconi ha anticipato che il suo intervento in Parlamento sullo stato della giustizia in Italia sarà una sorta di messaggio agli italiani, è a loro infatti che ha puntualizzato di voler parlare in quella occasione, lasciando intravedere una regia politica dietro i colpi di scena di questi giorni. In realtà, l'intervento alle Camere e la trattativa in corso sui dossier giustizia si tengono strettamente, come ha spiegato il premier: "Non ho ancora deciso quando fare questo intervento e spiego perché. Stiamo trattando con le altre forze politiche per una riforma della giustizia e quindi non voglio anticipare un mio forte intervento rispetto a possibili accordi che potrebbero farci arrivare a una conclusione positiva sulla possibilità di una riforma globale della giustizia". "Se questo non dovesse succedere - è la subordinata - allora io farò un intervento in Parlamento in cui, togliendo ogni infingimento e ogni ipocrisia dirò agli italiani, partendo dal Parlamento, quale secondo me è oggi la situazione della giustizia e della magistratura italiana". FINI E L'INDIPENDENZA DELLE TOGHE - Di giustizia era tornato a parlare in precedenza anche il presidente della Camera Gianfranco Fini. Ribadendo la necessità che la riforma sia realizzata "senza rinunciare all'indipendenza della magistratura". "Sarebbe grave - ha detto il leader di Montecitorio intervenendo a un convegno a Bari - tornare alla soggezione dei pm all'esecutivo, com'era nel fascismo". Fini è convinto infatti che "non sarebbe motivo di scandalo separare le carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti, ma - ha spiegato - è una riforma da fare senza rinunciare all'indipendenza della magistratura. Carriere separate sì - ha sottolineato - ma senza assoggettamento all'esecutivo". LA COMPOSIZIONE DEL CSM - Nel suo intervento, il leader di Futuro e Libertà ha parlato anche del Csm, giudicandone la composizione |