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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-08-17 ad oggi 2010-08-20 Sintesi (Più sotto trovate gli articoli)

18 agosto 2010 ROMA L'addio di Cossiga In 4 lettere l'ultimo saluto

"Ho disposto che le mie esequie abbiano carattere del tutto privato". Qualcuno l’ha definita l’ultima picconata di Francesco Cossiga, morto ieri alle 13 e 18 a Roma nel reparto di terapia intensiva del Policlinico Gemelli. La lettera testamento fatta recapitare dopo il decesso al presidente del Senato Renato Schifani è infatti molto esplicita nell’escludere "ogni pubblica onoranza" e nel chiedere funerali "senza la partecipazione di alcuna autorità". Per l’apertura del vero testamento si attende il rientro in Italia del notaio Luigi Cambri di Milano, raggiunto dalla notizia mentre si trovava all’estero.

La camera ardente è stata allestita nella chiesa grande dell’ospedale. Sarà aperta al pubblico dalle 10 alle 18 di oggi.

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Dalessandro Giacomo

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Ieri l’accesso era riservato ai familiari e agli amici. I funerali si terranno nel paese di origine di Cossiga. Quel Cheremule in provincia di Sassari che aveva visto i natali dei suoi genitori e al quale lui era molto legato. Il carattere strettamente privato delle esequie è confermato dalla minuscola dimensione della chiesa parrocchiale e del sagrato.

Internet, l'informatore, ll Giornalista, la stampa, la TV, la Radio, devono innanzi tutto informare correttamente sul Pensiero dell'Intervistato, Avvenimento, Fatto, pena la decadenza dal Diritto e Libertà di Testimoniare.. Poi si deve esprimere separatamente e distintamente il proprio personale giudizio..

 

Il Mio Pensiero (Vedi il "Libro dei Miei Pensieri"html PDF ):

Nelle sue lettere alle 4 Istituzioni il Presidente Cossiga si definisce assoluto assertore della Sovranità del Popolo, e Assoluto Assertore del Rispetto delle Istituzioni Repubblicane:

Infatti il Presidente nella lettera inviata da Cossiga al presidente del Senato dice:

- "Onorevole Presidente del Senato della Repubblica, nel momento in cui il giudizio sulla mia vita è misurato da Dio Onnipotente sulle verità in cui ho creduto e che ho testimoniato e sulla giustizia e carità che ho praticato, professo la mia Fede Religiosa nella Santa Chiesa Cattolica e confermo la mia fede civile nella Repubblica, comunità di liberi ed uguali e nella Nazione italiana che in essa ha realizzato la sua libertà e la sua unità. Fu per me un onore grande servire la Repubblica, a cui sempre sono stato fedele; e sempre tenni per fermo onorare la Nazione ed amare la Patria. Fu per me un privilegio altissimo: rappresentare il Popolo Sovrano nella Camera dei Deputati prima, del Senato della Repubblica quale Senatore elettivo, Senatore di diritto e a vita e Presidente di esso; e privilegio altissimo fu altresì servire lo Stato nel Governo della Repubblica quale membro di esso e poi Presidente del Consiglio dei Ministri ed infine nell'ufficio di Presidente della Repubblica. Nel mio testamento, ho disposto che le mie esequie abbiano carattere del tutto privato, con esclusione di ogni pubblica onoranza e senza la partecipazione di alcuna autoritá.

"IDDIO PROTEGGA L'ITALIA" - "Per quanto attiene le onoranze che i costumi e gli usi riservano di solito ai membri ed ex-Presidenti del Senato, agli ex-Presidenti del Consiglio dei Ministri ed agli ex-Presidenti della Repubblica, qualora Ella ed il Governo della Repubblica decidessero di darne luogo, è mia preghiera -è scritto nella lettera di Cossiga- che ciò avvenga dopo le mie esequie, con le modalitá, nei luoghi e nei tempi ritenuti opportuni. Voglia porgere ai valorosi ed illustri Senatori il mio ultimo saluto ed il mio augurio più fervido di ben servire la Nazione e di ben governare la Repubblica al servizio del Popolo, unico sovrano del nostro Stato democratico. Che Iddio protegga l'Italia!"

Francesco Cossiga

17 agosto 2010

Come può un uomo che dice di professare la Fede Cattolica e dichjiararsi Fedele Servitore dello Stato Italiano, della Repubblica, e rispettoso della Sovranità del Popolo, ed essere stato artefice operativo di un Movimento Segreto come GLADIO ?

Per me è non si può essere né Cattolico Professante, ne Fedele Servitore dello Stato, né assertore della Sovranità del Poplo, se si è completamenti di una setta SEGRETA, CON FINALITA POLITICHE E MILITARI CONTRARI AGLI INSEGNAMENTI DEL VANGELO ed alla COSTITUZIONE REPUBBLICANA !

Per. Ind. Giacomo Dalessandro

Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-08-17 ad oggi 2010-08-20

AVVENIRE

per l'articolo completo vai al sito internet

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2010-08-20

20 agosto 2010

IL FUNERALE

Addio a Cossiga,

"picconava per amore"

Gli piaceva quel ragazzo che aveva sbaragliato la sinistra giovanile all’Università ma non poteva permettersi di fare campagna elettorale solo per lui, scontentando i nove decimi del partito sassarese: "Così mi prese sottobraccio e partimmo per una lunga passeggiata per la città. Alla fine mi disse: "Tore, una passeggiata insieme vale mille telefonate". Quell’anno fui il consigliere comunale più votato". I ricordi, tanti, degli amici come il consigliere regionale Salvatore Amadu si sono mescolati alle lacrime, tante, davanti al feretro giunto dall’aeroporto di Fertilia avvolto nella bandiera dei quattro mori e nel tricolore. La Sardegna e l’Italia; il picchetto d’onore della Brigata Sassari e quello dei Nocs, dei Gis, degli incursori della Marina e della Folgore; sindaci della Gallura e amici venuti "dal continente", come i Martelli che "ce lo diceva sempre di venire a trovarlo, così ce la mostrava lui la Sardegna vera", sospira la signora.

Nella chiesa di San Giuseppe, ieri mattina, Francesco Cossiga ha salutato per l’ultima volta i suoi concittadini da sardo tra i sardi. Una funzione semplice "perché lui l’ha voluta così" come ha spiegato dal pulpito il figlio Giuseppe, sottosegretario di Stato, fermo nell’esigere il rispetto delle ultime volontà del genitore. Nessun funerale di Stato, solo parenti (oltre a Giuseppe, la figlia Anna Maria e il nipote Piero Testoni) e amici, soprattutto sardi e sassaresi. Come gli ex ministri Arturo Parisi e Beppe Pisanu, Antonello Soro e Mariotto Segni, il governatore sardo Ugo Cappellacci e il sindaco di Cagliari Emilio Floris. Da Roma Enzo Carra e Renato Farina. In prima fila il consigliere di Stato Alfredo Masala, "eterno" capo di gabinetto, e Francesco Meloni, uomo di fiducia di Cossiga e depositario dei piccoli segreti sassaresi, quelli che passavano dall’ufficio di via Cavour: "Il presidente - spiegava ieri Meloni - aiutava tutti, iscritti alla Dc e non. Così, in un anno sono entrati alle Poste sessanta sassaresi". Ben diverso, sostengono i suoi collaboratori più stretti, l’atteggiamento verso gli affari: "un giorno - raccontano - si presentò un tizio con una valigia piena di soldi che voleva un certo favore industriale e finì giù dalle scale".

Un politico popolare, come dimostra la folla che l’ha atteso ieri davanti alla chiesa e ha tributato un lunghissimo applauso alla bara diretta al cimitero cittadino, dove l’ex presidente è stato sepolto a fianco dei genitori e della sorella, a pochi passi dall’ex presidente Segni. Tra i banchi della chiesa di San Giuseppe, ieri mattina, anche tutta la Sassari che conta - a partire dai vertici del Banco di Sardegna, di cui Cossiga fu consigliere e il padre dirigente, prima della fusione dell’Istituto di credito agrario sassarese - e quella che gli fece la guerra, quando Cossiga si scriveva con la K, dagli esponenti del Pd locale agli ex missini. Commosso Carmelo Porcu, unito da un legame profondo con l’ex presidente, che risale agli anni trascorsi nel Villaggio San Camillo, una struttura per bambini disabili.

"Se è vero che il massimo è essere sepolti dove è stata la nostra culla, la sua scelta di terminare qui il viaggio terreno risponde perfettamente a una verità biblica", ha commentato l’Arcivescovo di Sassari, Paolo Atzei, che ha presieduto la funzione religiosa, alla quale hanno preso parte il vescovo di Nuoro, Pietro Meloni, e l’abate di San Pietro di Sorres, padre Antonio Musi. Da Meloni, amico d’infanzia, un giudizio storico - "picconava per amore" - e l’ultimo viatico: "Francesco Cossiga, pur nel suo stile originale, un po’ anarchico-liberale, critico, fantasioso e sarcastico, nella sua "missione" ha certamente fatto del bene e se ha bisogno di perdono otterrà il perdono di Dio".

Paolo Viana

 

 

 

2010-08-19

19 agosto 2010

IL FUNERALE

L'ultimo addio a Cossiga:

"Un ritorno in famiglia"

12.20: È uscito alle 12.00 dalla parrocchia di San Giuseppe a Sassari il feretro avvolto nel tricolore e nella bandiera dei Quattro Mori, di Francesco Cossiga per l'ultimo viaggio verso il cimitero monumentale di Sassari dove sarà inumato nella tomba di famiglia a dieci metri da dove riposa un altro ex presidente della Repubblica, Antonio Segni.

Nell'omelia concelebrata dal vescovo di Sassari monsignor Paolo Atzei, e da quello di Nuoro, Monsignor Pietro Meloni, amico di infanzia di Cossiga, sono stati tratteggiati gli aspetti umani del presidente emerito che mai durante la sua lunga carriera politica dimenticò le sue radici e, hanno detto i due vescovi affiancati dal cappellano della Brigata Sassari, dimenticò la sua fede religiosa che fu sempre la sua ispiratrice nel suo impegno politico.

12.10: "È stata una celebrazione in forma familiare e arricchita dalla presenza di tutti voi, così concludiamo questo viaggio di fede e di dolore, da qui vi abbracciamo tutti e affido mio padre alle vostre preghiere". Con queste poche parole Giuseppe Cossiga ha salutato i presenti dall'altare della chiesa di San Giuseppe al termine della celebrazione funebre per la morte del padre Francesco. Il feretro ha lasciato al chiesa di San Giuseppe e ora verrà trasferito al cimitero di Sassari.

12.00: "Francesco si vantava di avermi insegnato a servire la messa". Lo ha detto con voce commossa durante l'omelia il vescovo di Nuoro Pietro Meloni, amico fin dall'infanzia del presidente Cossiga, durante i funerali celebrati in forma privata nella chiesa di San Giuseppe a Sassari. Il vescovo di Nuoro ha ricordato gli anni dell'infanzia suoi e del presidente, per tracciare il profilo umano di Cossiga. Impegnato fin dalla più giovane età nell'Azione Cattolica - ha detto ancora monsignor Meloni - ha maturato progressivamente la sua vocazione sociale e politica senza perdere mai i contatti con le sue radici. Nel racconto del prelato sono state tratteggiate anche le piccole manie che Cossiga aveva fin dall'infanzia (ha ricordato come fosse stato incaricato dall'amico di procurargli

settimanalmente tutti i numeri de "Il Vittorioso") e poi come, una volta raggiunti tutti i massimi livelli istituzionali della Repubblica, non avesse mai rinunciato al contatto con la sua parrocchia sassarese dove seguiva la messa dal coro facendosi vedere dagli altri fedeli solo al momento della comunione "per non creare confusione e disturbare la celebrazione" diceva.

11.55: La liturgia della Parola è stata aperta dalla lettura di un brano di Giobbe, seguita da un passo di una lettera di San Paolo ai Romani e dal vangelo tratto da Giovanni. In prima fila, davanti alla bara avvolta dalle bandiere, sul lato della navata sinistra siedono le autorità, col prefetto e il questore di Sassari, il presidente della Regione, l'ex ministro degli Interni Beppe Pisanu, il sindaco e la presidente della Provincia. Sulla destra, i familiari dell'ex presidente, tra cui il sottosegretario alla Difesa Giuseppe. Nell'assemblea, tra gli altri, Mario Segni, Franco Carraro e Gustavo Selva. "La sua scelta di una celebrazione esequiale semplice e familiare nella chiesa di San Giuseppe a Sassari - ha detto riferendosi a Cossiga l'arcivescovo Pietro Meloni nell'omelia - è un ritorno alla culla, alla sua famiglia e alla sua comunità: sua mamma Mariuccia nella casa all'ombra del campanile lo ha educato alla fede e insieme al babbo Giuseppe allo stile dell'onestà, della sobrietà, del rispetto per tutti".

11.21: È stato accolto da un lunghissimo applauso di alcune migliaia di persone che si sono assiepate sul sacrato della chiesa di San Giuseppe il feretro di Francesco Cossiga avvolto nel tricolore e nella bandiera dei Quattro Mori. "Francesco, Francesco" ha scandito la gente tacendo solo quando il comandante del picchetto d'onore della Brigata Sassari ha ordinato il presentat arm. A rendere onore al presidente emerito della Repubblica anche rappresentanze dei Corpi ai quali lui era affettuosamente legato Comsubin, Gis, Nocs, Granatieri di Sardegna e Col Moschin. Dopo la resa degli onori il feretro è stato portato in chiesa dove ora è in corso la cerimonia.

Il funerale è celebrato dall’arcivescovo di Sassari Paolo Atzei e concelebrato, tra gli altri, dal parroco della chiesa don Sebastiano Era. La liturgia inizierà con un canto semplice. Per le letture è stato scelto il libro di Giobbe (19,1.23-27) e la lettera di san Paolo ai Romani (8,31–35.37–39). Per il Vangelo si proclamerà un passo del capitolo quinto di Giovanni: "Chi ascolta la mia parola e crede è passato dalla morte alla vita". L’omelia sarà affidata al vescovo di Nuoro, Pietro Meloni, amico intimo e conterraneo del presidente Cossiga. La cerimonia terminerà con il canto finale in sardo dell’Ave Maria. Intanto è già stata preparata la tomba di famiglia nel cimitero cittadino, dove l’ex presidente della Repubblica sarà sepolto accanto ai genitori e alla sorella.

L'OMAGGIO DI IERI

"Il papa porge l'ultimo saluto a Francesco Cossiga. Lo affidiamo al Signore". Così il segretario di Stato Vaticano, Tarcisio Bertone, fermandosi con i giornalisti di fronte alla camera ardente presso il Policlinico Gemelli, ha voluto salutare il presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga, deceduto ieri. "Ieri abbiamo celebrato una Messa insieme con il Papa in suffragio di Cossiga. Era un fervente cattolico e ha raggiunto importanti traguardi religiosi come la beatificazione di Rosmini, di Newmann e la proclamazione di san Tommaso Moro come il protettore dei politici", ha dichiarato Bertone. Il cardinale ha poi ricordato che il Papa conosceva bene Cossiga e che lo ricorda come "un caro amico". "Lo affidiamo al Signore - ha concluso Bertone - e come lui ha ripetuto nelle sue ultime lettere diciamo Dio protegga l'Italia".

Tanta commozione fin dalle prime ore del mattino nella chiesa centrale dell'Università Cattolica, dove i figli di Cossiga Giuseppe, che è sottosegretario alla Difesa, e Anna Maria, hanno ricevuto gli abbracci affettuosi delle più alte cariche dello Stato, di parlamentari e amici e anche della gente comune.

Al centro della chiesa il feretro di Cossiga, in mogano scuro, con sopra un crocifisso dorato. Agli angoli quattro vasi di rose rosse a gambo lungo. A terra la corona di fiori dei carabinieri della scorta e ai lati le corone inviate dalle istituzioni, ma anche dalla Sardegna, terra cara a Cossiga. Ai piedi della bara un inginocchiatoio, con sopra poggiati un messale e una stola viola. All'ingresso della chiesa il libro delle firme, dove tanti comuni cittadini si sono fermati a lasciare un saluto: "Ciao Presidente picconatore", ma anche "Caro Francesco, ti onoro come nemico".

"È un piccolo omaggio a un grande uomo di Stato, ho salutato un amico". Con queste parole il capo dello Stato Giorgio Napolitano ha lasciato la camera ardente.

Si è soffermato a lungo a parlare con i figli di Francesco Cossiga, Anna Maria e Giuseppe, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, durante la sua visita alla camera ardente del presidente emerito della Repubblica. Una volta entrato il premier ha abbracciato i figli di Cossiga prima di sostare per qualche minuto davanti alla bara. Successivamente insieme con il sottosegretario Gianni Letta Berlusconi si è fermato a parlare con Giuseppe e Anna Maria per diversi minuti. Quindi il premier è uscito dalla chiesa salutando le persone presenti, le autorità i semplici cittadini ed è ripartito senza rilasciare dichiarazioni.

LE DISPOSIZIONI DEL PRESIDENTE EMERITO

"Ho disposto che le mie esequie abbiano carattere del tutto privato". Qualcuno l’ha definita l’ultima picconata di Francesco Cossiga, morto ieri alle 13 e 18 a Roma nel reparto di terapia intensiva del Policlinico Gemelli. La lettera testamento fatta recapitare dopo il decesso al presidente del Senato Renato Schifani è infatti molto esplicita nell’escludere "ogni pubblica onoranza" e nel chiedere funerali "senza la partecipazione di alcuna autorità". Per l’apertura del vero testamento si attende il rientro in Italia del notaio Luigi Cambri di Milano, raggiunto dalla notizia mentre si trovava all’estero.

La camera ardente è stata allestita nella chiesa grande dell’ospedale. Sarà aperta al pubblico dalle 10 alle 18 di oggi. Ieri l’accesso era riservato ai familiari e agli amici. I funerali si terranno nel paese di origine di Cossiga. Quel Cheremule in provincia di Sassari che aveva visto i natali dei suoi genitori e al quale lui era molto legato. Il carattere strettamente privato delle esequie è confermato dalla minuscola dimensione della chiesa parrocchiale e del sagrato.

L’ex "presidente picconatore" era stato ricoverato presso l’ospedale universitario intitolato ad Agostino Gemelli il 9 agosto scorso per una crisi cardio respiratoria. Dopo alcuni giorni di terapie si era registrato un lento e graduale miglioramento, tanto che era stato staccato dalla macchina di ventilazione invasiva. Nella notte fra lunedì e martedì, aveva avuto un repentino peggioramento. L’ultimo bollettino medico, diffuso alle dodici di ieri, confermava il "quadro clinico di estrema gravità". Il 26 luglio aveva compiuto 82 anni.

Fin dalla mattina nel piazzale antistante il pronto soccorso del Policlinico, che corrisponde all’ingresso della rianimazione, si erano riuniti gli amici intimi a cominciare dagli uomini della sua scorta. Li chiamava "i miei angeli custodi" e come angeli hanno vegliato anche sulle sue sue ultime ore di vita. A sentirli parlare, subito dopo il decesso, se ne ricava un quadro inedito in cui il dolore sembra mitigato da un grande sentimento di ammirazione: "Ci trattava come familiari da accudire, sembrava fosse lui a proteggere noi. Voleva che mangiassimo a tavola con lui. A volte era come un fratello maggiore".

Ferree le disposizioni della famiglia per tenere lontani gli occhi indiscreti. Mentre i giornalisti e le telecamere stazionavano all’ingresso principale del policlinico e davanti al pronto soccorso, nella speranza di poter documentare l’arrivo di qualche autorità, forse ingannati dalla presenza massiccia delle forze dell’ordine, la salma dell’ex capo dello Stato veniva trasportata in un anonimo furgone bianco, scortato da una macchina di una società di vigilanza della capitale, davanti alla chiesa e tradotta all’interno, dove poco prima era stata allestita la bara sul catafalco, davanti all’altare, sotto il grande trionfo di Cristo sulla croce, affrescato sulla volta con la scritta: "Venite adoremus cor Jesu amore nostri vulneratum".

Qui, oltre ai familiari, alla figlia Anna Maria e al figlio Giuseppe, sottosegretario alla Difesa, sono subito giunti gli amici Paolo Naccarato ed Enzo Carra, il vescovo di Terni monsignor Vincenzo Paglia, che negli ultimi giorni è stato vicino a Cossiga, l’amico vescovo di Nuoro monsignor Pietro Meloni, il presidente della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi.

Molti i messaggi di cordoglio, anche dall’estero. Non solo quelli consueti del mondo della politica e dei soliti noti, ma anche tanti e per certi versi inattesi, di semplici cittadini. Fuori dal coro e forse esplicativa della scelta di riservatezza di Cossiga per le sue esequie, l’annotazione del ministro Gianfranco Rotondi: "Quando morì Fiorentino Sullo io chiesi a Cossiga perché negli ultimi mesi Sullo non aveva parlato più. Mi rispose che gli uomini di fede profonda sentono arrivare la fine e vi si preparano nel silenzio".

Roberto I. Zanini

 

 

 

2010-08-18

18 agosto 2010

ROMA

L'addio di Cossiga

In 4 lettere l'ultimo saluto

"Ho disposto che le mie esequie abbiano carattere del tutto privato". Qualcuno l’ha definita l’ultima picconata di Francesco Cossiga, morto ieri alle 13 e 18 a Roma nel reparto di terapia intensiva del Policlinico Gemelli. La lettera testamento fatta recapitare dopo il decesso al presidente del Senato Renato Schifani è infatti molto esplicita nell’escludere "ogni pubblica onoranza" e nel chiedere funerali "senza la partecipazione di alcuna autorità". Per l’apertura del vero testamento si attende il rientro in Italia del notaio Luigi Cambri di Milano, raggiunto dalla notizia mentre si trovava all’estero.

La camera ardente è stata allestita nella chiesa grande dell’ospedale. Sarà aperta al pubblico dalle 10 alle 18 di oggi. Ieri l’accesso era riservato ai familiari e agli amici. I funerali si terranno nel paese di origine di Cossiga. Quel Cheremule in provincia di Sassari che aveva visto i natali dei suoi genitori e al quale lui era molto legato. Il carattere strettamente privato delle esequie è confermato dalla minuscola dimensione della chiesa parrocchiale e del sagrato.

L’ex "presidente picconatore" era stato ricoverato presso l’ospedale universitario intitolato ad Agostino Gemelli il 9 agosto scorso per una crisi cardio respiratoria. Dopo alcuni giorni di terapie si era registrato un lento e graduale miglioramento, tanto che era stato staccato dalla macchina di ventilazione invasiva. Nella notte fra lunedì e martedì, aveva avuto un repentino peggioramento. L’ultimo bollettino medico, diffuso alle dodici di ieri, confermava il "quadro clinico di estrema gravità". Il 26 luglio aveva compiuto 82 anni.

Fin dalla mattina nel piazzale antistante il pronto soccorso del Policlinico, che corrisponde all’ingresso della rianimazione, si erano riuniti gli amici intimi a cominciare dagli uomini della sua scorta. Li chiamava "i miei angeli custodi" e come angeli hanno vegliato anche sulle sue sue ultime ore di vita. A sentirli parlare, subito dopo il decesso, se ne ricava un quadro inedito in cui il dolore sembra mitigato da un grande sentimento di ammirazione: "Ci trattava come familiari da accudire, sembrava fosse lui a proteggere noi. Voleva che mangiassimo a tavola con lui. A volte era come un fratello maggiore".

Ferree le disposizioni della famiglia per tenere lontani gli occhi indiscreti. Mentre i giornalisti e le telecamere stazionavano all’ingresso principale del policlinico e davanti al pronto soccorso, nella speranza di poter documentare l’arrivo di qualche autorità, forse ingannati dalla presenza massiccia delle forze dell’ordine, la salma dell’ex capo dello Stato veniva trasportata in un anonimo furgone bianco, scortato da una macchina di una società di vigilanza della capitale, davanti alla chiesa e tradotta all’interno, dove poco prima era stata allestita la bara sul catafalco, davanti all’altare, sotto il grande trionfo di Cristo sulla croce, affrescato sulla volta con la scritta: "Venite adoremus cor Jesu amore nostri vulneratum".

Qui, oltre ai familiari, alla figlia Anna Maria e al figlio Giuseppe, sottosegretario alla Difesa, sono subito giunti gli amici Paolo Naccarato ed Enzo Carra, il vescovo di Terni monsignor Vincenzo Paglia, che negli ultimi giorni è stato vicino a Cossiga, l’amico vescovo di Nuoro monsignor Pietro Meloni, il presidente della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi.

Molti i messaggi di cordoglio, anche dall’estero. Non solo quelli consueti del mondo della politica e dei soliti noti, ma anche tanti e per certi versi inattesi, di semplici cittadini. Fuori dal coro e forse esplicativa della scelta di riservatezza di Cossiga per le sue esequie, l’annotazione del ministro Gianfranco Rotondi: "Quando morì Fiorentino Sullo io chiesi a Cossiga perché negli ultimi mesi Sullo non aveva parlato più. Mi rispose che gli uomini di fede profonda sentono arrivare la fine e vi si preparano nel silenzio".

Roberto I. Zanini

 

 

17 Agosto 2010

IL PROFILO

Cossiga, passione per la democrazia autentica

La politica come passione di una intera vita, ma anche come paradosso carico di ironia, come grande capacità - in parte autoreferenziale, in parte generosamente consapevole - di mettere insieme realismo e immaginazione (l’Italia che c’è e quella che si vorrebbe) in modo tale da colpire e coinvolgere il cittadino comune fuori dai tradizionali scenari in cui si agitano, si scontrano, si incontrano partiti e schieramenti, istituzioni e volontà di riforme. "In realtà io non esterno. Io comunico. Io non sono matto. Io faccio il matto. È diverso. Io sono il finto matto che dice le cose come stanno", avrebbe detto quando, lasciata la "casacca" di notaio della Repubblica (un "signor nessuno che si aggira per il Quirinale", come si divertivano a raffigurarlo non pochi vignettisti) aveva cominciato a togliersi "qualche sassolino dalla scarpa" e ad assumere il ruolo di "picconatore" che andava in strada "per parlare con la gente e possibilmente rappresentarla e tutelarla".

Francesco Cossiga, morto ieri, all’età di 82 anni, è stato un "unicum" nel panorama politico istituzionale della Prima e della Seconda Repubblica che sfugge a ogni tentativo di classificazione tra un prima e un dopo la Dc e la fine di questo grande partito. Con un paragone forse azzardato si potrebbe definirlo "Uno, nessuno e centomila" nelle sue molteplici affermazioni ma anche nelle sue calcolate ritrosie e "ignoranze" su non poche delle vicende spesso torbide dal dopoguerra in poi. In realtà il percorso politico di Cossiga è più lineare e meno discontinuo di quanto poteva emergere dalle sue esternazioni fondate su un linguaggio sempre immaginifico e spesso sapiente. Perché sapeva più di quel che diceva e proclamava meno di quel che era necessario. Per gli storici di domani, quando saranno liberi gli archivi, si aprirà un vasto campo di ricerche e di interpretazioni.

Alla Dc, Francesco Cossiga arriva giovanissimo. Aveva 16 anni, la maturità alle spalle e quasi subito dopo la laurea. La sua, a Sassari, è una famiglia laica, con qualche ascendenza – lo ricorderà lui stesso con un po’ di civetteria – massonica. Lui sceglie invece l’impegno nell’Azione cattolica, e nella Fuci dove è assistente un sacerdote, don Enea Selis (poi arcivescovo di Cagliari), che conterà non poco nella sua formazione. Nella Dc si lega ad Aldo Moro, ma non sarà mai un capo corrente. "Mai stimato, come uomo di partito, né come organizzatore, né come procacciatore di voti", dirà nel libro autobiografico "La passione e la politica". Giovane dirigente del partito, con un’attenzione particolare ai temi istituzionali, anche per via del suo ruolo di docente di diritto costituzionale, Cossiga sarà in rapida successione il più giovane sottosegretario di Stato, il più giovane ministro e successivamente il più giovane presidente del Consiglio, il più giovane presidente del Senato, il più giovane presidente della Repubblica (nel 1985 eletto al primo scrutinio con larghissima maggioranza).

E’ ministro dell’Interno quando avviene il rapimento di Moro. Una tragedia che lo colpisce politicamente e personalmente perché si conclude con l’assassinio dello statista e che lo porterà alle dimissioni dal suo incarico. In una intervista, di due anni fa, tornò a difendere la linea della fermezza. "Quando con il Pci di Berlinguer, ho optato per questa linea, ero certo e consapevole che, salvo un miracolo, avevamo condannato Moro a morte. Altri si sono scoperti trattativisti in seguito…".

Verso la fine del settennio "tranquillo" al Quirinale (durante il quale però si susseguono attentati vari, mentre il sistema politico italiano, comincia a mostrare i primi segni di sfacelo e la Dc a entrare in una crisi che si rivelerà poi irreversibile) comincia per Cossiga il tempo delle "esternazioni". Riguardano questioni tuttora rimaste oscure. Dalla strage della stazione di Bologna, a Tangentopoli, dalla lista degli iscritti alla P2, all’operazione "Gladio" (che Cossiga difende con fermezza), dal dossier Mitrokin, alla morte di Falcone, avvenuta una settimana prima di un suo viaggio a Mosca, alla tragedia di Ustica. Cossiga dice la sua opinione, avanza ipotesi, porta diversi elementi di valutazione. A proposito di Tangentopoli, tornata prepotentemente e tristemente alla ribalta in questi ultimi mesi, in un recentissimo libro-intervista di Andrea Cangini il senatore a vita afferma che "l’azione della magistratura fu incoraggiata dal Fbi americano e dai poteri forti italiani".

Ma la riforma delle istituzioni e della politica resta al centro della sua attività politica. Nonostante i ripetuti annunci di non volersene occupare più per dedicarsi alla teologia. Nelle elezioni del 1992, che vedono il travolgente successo della Lega (da 1 a 55 seggi), Cossiga avverte che dal voto "è venuta una grande domanda di riforme istituzionali e una grande voglia di cambiamento nel modo di governare lo Stato" e annuncia, con un anticipo di dieci settimane sulla scadenza naturale del mandato, le sue dimissioni da presidente della Repubblica. Non più Capo dello Stato, nel 1997 si autocandida come leader di un centro liberaldemocratico che superi il bipolarismo in crisi; è critico con "Forza Italia" di Berlusconi. "Il suo è un partito senza democrazia. Silvio deve smetterla di comportarsi da papà… Se lui è De Gasperi, io sono Carlo Magno", ma poi annuncia di essere pronto a schierarsi con il Polo di centrodestra… "Diamo vita a un nuovo centro: noi, i popolari, la Lega, il Ccd, tutto il trifoglio e naturalmente Forza Italia". Nel 1998 fonda l’Udr con Mastella e, dopo la caduta del governo Prodi (con il Professore è sempre stato critico) favorisce la nascita del centrosinistra di D’Alema. E’ un evento storico che chiude definitivamente la guerra fredda. Ma ben presto il giudizio sul leader della sinistra cambia: "Un centometrista che si accascia sui novanta metri… Un caporale che non riuscirà a mascherare la sua rigidità di eterno sergente".

Negli ultimi anni non mancano gli interventi e le "stilettate" di Cossiga. Dietro il sarcasmo e anche l’invettiva di non poche affermazioni, resta però inalterata la sua passione per una democrazia autentica che si rifà a Rosmini, a Moro, all’amato cardinal Newman. Ha cercato di precisarla e praticarla fino alla fine, Anche in modo corrosivo e a tratti insopportabile, Ma sempre con una libertà e una "modernità" che ha avuto e ha pochi eguali nel panorama politico italiano.

Antonio Airò

 

 

 

18 agosto 2010

IL COMMIATO DAL PALAZZO

Le 4 lettere alle istituzioni

ultimo saluto alla politica

In molti hanno sperato che fosse l’ultima picconata alla politica. Invece era l’orgoglioso saluto del "fedele servitore" alla Patria con la P maiuscola e alle Istituzioni con la I maiuscola. Con un auspicio per tutti: "Che Iddio vi protegga!". È durato poche ore il mistero sulle quattro lettere che il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga ha lasciato ai vertici di Montecitorio e palazzo Madama, al premier e al capo dello Stato. Quattro missive datate "18 settembre 2007 A.D.", consegnate in quello stesso giorno al segretario generale del Senato con l’ordine di inviarle ai destinatari nel giorno della morte. Nel pomeriggio i contenuti di tre testi sono già noti, ma un pizzico di suspence rimane: la presidenza del Consiglio ha fatto trapelare che almeno per il momento non sarà divulgato nulla. Ci sarebbero dei dettagli relativi ai funerali che per una questione di riservatezza saranno resi pubblici dopo le esequie.

Nel giorno in cui Cossiga ha preso carta e penna, alle Camere dirigevano il coro Bertinotti e Marini, e l’esecutivo era diretto da Romano Prodi. Al Quirinale era già insediato Giorgio Napolitano, l’unico ancora in carica. L’addio al mondo è arrivato ieri, e la corrispondenza è partita. Dopo pochi minuti il Colle e gli attuali vertici delle istituzioni (Fini, Schifani e Berlusconi) hanno già aperto la busta. Nelle tre missive divulgate non c’è nessun riferimento personale, nessun materiale esplosivo, nessuna rivelazione su segreti di Stato, nessun indirizzo politico. La caccia dei cronisti, allora, cambia terreno. Quel "plico" che sembrava nascondere tesori viene abbandonato, e si parte alla ricerca di un nuovo presunto dossier contenente "memorie sensibili" che il picconatore sardo - secondo le indiscrezioni - avrebbe consegnato al fido Enzo Mosino, ex capo di gabinetto.

Eppure qualche diamante c’è anche nelle "lettere allo Stato". La prima ad essere aperta è quella al Senato: "Nel momento in cui il giudizio sulla mia vita è misurato da Dio Onnipotente, professo la mia fede religiosa nella Santa Chiesa Cattolica e la mia fede civile nella Repubblica, comunità di liberi e uguali". Al presidente di palazzo Madama confida anche il desiderio di esequie "senza pubbliche onoranze".

Pochi istanti e anche il Quirinale pubblica il testo integrale, con la firma originale dell’ex presidente. A Napolitano "conferma" sentimenti antichi: "fedeltà alla Repubblica, devozione alla Nazione, amore alla Patria". E, ovviamente, "predilezione della Sardegna, mia nobile terra d’origine". In poche righe emerge il "grande onore" di aver servito il Paese "immeritatamente e con tanta modestia", ma anche con "animo religioso, sincera passione civile e dedizione assoluta". Conclude definendo il capo dello Stato, in modo significativo, il "rappresentante dell’unità nazionale".

In serata anche la Camera apre il plico. "Professo la mia fede nel Parlamento espressione della sovranità personale". Ed è a Montecitorio che lascia la sua eredità di "liberaldemocratico, cristianodemocratico, autonomista-riformista". Con cordiale amicizia, Francesco Cossiga.

Marco Iasevoli

 

 

 

18 agosto 2010

L'ultima testimonianza

Un esigente senso delle istituzioni

Proprio mentre nel cielo sopra il Quirinale tornava a echeggiare la parola impeachment, Francesco Cossiga è morto. E persino così questo politico onesto, questo cattolico curioso, questo intellettuale raffinato e scomodo, questo sardo orgoglioso, questo polemista inesorabile (e a volte impubblicabile) ha reso – certo involontariamente – un ultimo servizio all’Italia. Al Paese amato e sferzato che, per tutta la sua vita, aveva rappresentato ai massimi livelli e contribuito a governare. Ha avuto ogni onore e si è assiso su ogni poltrona, Cossiga. E a ogni carica ha saputo rinunciare, coltivando con poco imitato rigore la dura e semplice disciplina delle dimissioni. Tranne quando si tentò – con l’impeachment, appunto – di dargli ignominiosamente lo sfratto dal Colle più alto della Roma istituzionale, dal Quirinale che aveva trasformato in un visionario balcone proteso su una Seconda Repubblica popolare e post–parlamentare. Una Seconda Repubblica che non è mai nata davvero e che pure vanta un piccolo esercito di padri putativi e di avventati cantori. Un’incompiuta che si va rivelando purtroppo una prosecuzione con altri mezzi (e ben diverse stature politiche) degli usi meno commendevoli e dei più allarmanti abusi della Prima Repubblica.

Ha davvero reso un ultimo servizio all’Italia, Cossiga. A questa Repubblica solennemente malmessa, ma che ci è cara ed è l’unica che abbiamo. Ha costretto un po’ tutti a riflettere (e speriamo che la riflessione appassioni e continui e si approfondisca) sullo strano caso di un capo dello Stato proclamatosi "picconatore" che, però, mai e poi mai piegò le regole costituzionali ai propri desideri o ai desideri di chicchessia e, prima ancora, sulla vicenda umana e politica di un ministro dell’Interno che compì scelte ardue e dolorose, portando sino in fondo il peso della linea della fermezza negli anni di piombo, anche a prezzo dell’assassinio brigatista dell’amico e maestro Aldo Moro. Per questo pure moltissimi di coloro che ebbero, e magari hanno continuato ad avere, con lui profonde e motivate ragioni di dissenso gli hanno, infine, dato atto del suo severo ed esigente senso dello Stato. È difficile – e, forse, oggi più che mai – essere all’altezza di una simile idea alta e grave delle Istituzioni. Ma è necessario. Urgente. Indispensabile.

Fuori dal recinto dei suoi doveri istituzionali, ma proprio appena fuori, quasi sull’uscio, era facilissimo "scontrarsi" con il veemente Cossiga. È capitato anche a me, nel mio piccolo, per aver vissuto da cronista parlamentare e da inviato al seguito del presidente della Repubblica (allora lavoravo al "Tempo") gli ultimi vorticosi mesi del settennato cossighiano e per aver commentato a più riprese (su queste colonne) le concitate fasi della crisi del primo governo Prodi e della nascita del primo governo D’Alema nelle quali tanta parte ebbe l’effervescenza "gollista" del tutt’altro che pensionato senatore a vita. È accaduto, ancora nei primissimi anni 90, con comprensibile clamore, quando l’allora capo dello Stato aprì una vertenza sorprendentemente feroce proprio nei confronti di questa testata, in quel momento diretta da un giornalista del calibro di Lino Rizzi. È successo in passaggi più recenti della vita nazionale e della polemica pubblicistica. Su di essi – per la stima sempre conservata nei confronti dell’uomo, del democratico cristiano e del "cattolico liberale" Cossiga – è meglio oggi sorvolare.

A proposito dell’aspetto più umbratile del carattere dell’ex presidente, c’è però un punto che mi ha sempre colpito e che credo meriti di essere sottolineato: Cossiga non chiudeva mai la porta a coloro ai quali aveva accordato la sua stima, li giudicasse, al momento, amici o avversari. Forse, anche per questo sapeva entrare di slancio in polemica con gli uni e con gli altri. In tal senso trovava (o credeva di trovare) nemici lungo la strada, ma non se li "portava dentro". Credeva in Dio e negli uomini, e sapeva che gli uomini, e le loro idee, possono cambiare. Anche questa, ben prima e assai di più di ogni esaltato "anticonformismo", è stata la lezione di un cristiano ostinato e di un fedele e inquieto uomo delle istituzioni. Che abbia pace.

Marco Tarquinio

 

 

 

18 Agosto 2010

IL TESTIMONE

"Il mio amico presidente,

tra libri e teologi"

Questo non è un ricordo. È la storia di un’amicizia, la mia amicizia con Francesco Cossiga. Erano i primi anni Ottanta e avevo più o meno 8 anni quando ebbi il mio primo incontro con l’allora presidente del Senato. Un’amicizia nata tra i banchi di scuola grazie a Luigi Cremoni, mio compagno di classe del San Giuseppe De Merode di Roma, e continuata, senza interruzioni.

Capitava di essere ospite per i compiti del mio amico Luigi nella casa della nonna, sorella del senatore Cossiga, la signora Antonietta, e di trovarmi a tavola con lui: per me, bambino, era uno spettacolo sentirlo parlare di questioni internazionali, governi nati durante il suo settennato al Quirinale, incomprensioni con la Dc... Ogni suo sussulto, lampo di genio, interruzione, tra un primo e un secondo piatto era teso a catturare l’attenzione. Ogni gesto era accompagnato da autoironia e dalla rilassata disponibilità a condividere particolari sconosciuti.

In quegli anni ormai lontani è sorta questa amicizia asimmetrica, che mi ha permesso di conoscere un Cossiga lontano dall’immagine pubblica del picconatore, un uomo capace di ascolto, attento alle mie curiosità, interessato a quello che volevo fare da "grande". Grazie anche a suo nipote Luigi, la comune passione per la storia, la teologia e il cattolicesimo sono diventati presto il vero terreno di incontro con il Presidente.

Mi capitava di accompagnarlo, nei giorni feriali come in quelli festivi, a Messa nelle chiese della Capitale. Le sue mete preferite erano San Carlo al Corso, Santa Maria in Trastevere e la parrocchia di San Gioacchino, non distante dalla sua bella casa, in zona Prati. Era facile anche vederlo al Gesù per una fugace visita al Santissimo prima di immergersi nei Palazzi del potere insieme alla sua paziente scorta.

La visita ai luoghi di culto di Roma era per lui l’occasione di incontrare tanti uomini di Chiesa: da semplici sacerdoti a ecclesiastici importanti, come il compianto vescovo ausiliare di Roma, il rosminiano Clemente Riva o l’attuale vescovo di Terni, Vincenzo Paglia. Incontri che rappresentavano l’occasione per parlare delle cose che più facevano trasparire la sua vena religiosa: il peccato, la grazia, i sacramenti, la Chiesa.

Ecco, mi incoraggiava a coltivare la passione per la storia della Chiesa cattolica, in particolare per quella della Compagnia di Gesù. Una volta mi confidò: "Dopo la maturità classica ho accarezzato l’idea di farmi gesuita. Il mio direttore spirituale, un padre della Compagnia, mi suggerì di prendermi un anno di tempo prima di decidere un passo così importante. Ma in quell’anno, nel quale mi ero messo più a contatto con la vita concreta, intuii che non era la mia strada".

Nel corso della sua lunga vita, ha mantenuto una particolare amicizia con due gesuiti, suoi conterranei: lo scrittore della Civiltà Cattolica Giovanni Marchesi e l’arcivescovo Giuseppe Pittau. Frequenti erano le sue domande sulle questioni teologiche, dal giansenismo a Pascal, ai "reclusi" di Port Royal, alle grandi dispute teologiche seicentesche sul tema della grazia tra gesuiti e domenicani ma anche sulle correnti del post-Concilio e sull’azione di Pio XII durante la seconda guerra mondiale.

Era divertente andarlo a trovare nella sua abitazione romana: fare anticamera con big della politica, manager pubblici e privati capitani d’azienda, vederlo regista di futuri scenari politici e poi, di botto, passare a riflettere sugli ultimi pronunciamenti della Congregazione per la dottrina della Fede riguardo l’impegno dei cattolici in politica.

Stella polare della sua ricerca teologica è stato Joseph Ratzinger, oggi Benedetto XVI, conosciuto negli anni Ottanta da prefetto della stessa Congregazione, assieme a Walter Kasper. Il suo album di ricordi era fitto di aneddoti dalla giovanile militanza dorotea nella Dc, all’amicizia con Moro all’ammirazione per il cardinale austriaco, fautore dell’"Ostpolitik", Franz König. Amava regalarmi volumi che considerava "libri da comodino": dalla Filotea di san Francesco di Sales alle preghiere del cardinale Newman, dagli scritti spirituali di Teresina di Lisieux a quelli di von Balthasar e dell’amatissimo Tommaso Moro.

Pur nella distanza oggettiva che ormai ci separava – lui quasi sempre a Roma, io a Milano – la nostra amicizia non è mai venuta meno. Frequenti erano le sue telefonate per sapere cosa ne pensassi del tal teologo o del talaltro studioso, e quali articoli avessi in cantiere. Amava ancora raccontarmi le sue dispute, come le ultime discussioni teologiche in un perfetto inglese con l’ex maestro generale dei domenicani Timothy Radcliffe. Impressionava nel suo argomentare su qualsiasi questione la capacità di fare sintesi – come direbbe Romano Guardini – e di attingere sempre a una vera weltanschauung cattolica.

Qualche giorno dopo la mia assunzione ad Avvenire mi chiamò per congratularsi: "Adesso, spero, avrai il tempo di intervistarmi". Laconica, e intimidita, la mia risposta: "Temo, presidente, di non essere in grado...". E oggi un po’ me ne pento. Ma sono felice di aver goduto della sua amicizia, quella di un potente della Terra capace di dialogare con tutti, dall’uomo di strada al grande accademico, e di un maestro di vita in grado di farti sentire sempre un interlocutore importante.

Mi piace pensare che ad accoglierlo in cielo ci sia il futuro beato, il cardinale John Henry Newman, al quale potrà ripetere le sue stesse parole, quelle con cui amava congedarsi dai nostri lunghi colloqui: Ex umbris et imaginibus in veritatem. Dalle ombre e dalle immagini sono tornato alla verità.

Filippo Rizzi

 

 

 

18 agosto 2010

I RICORDI DEGLI AMICI

Paglia: "Il suo messaggio? La fede prevale sulla politica"

"Oggi perdo un amico". Monsignor Vincenzo Paglia con Cossiga ha condiviso 21 anni di cammino. Un sacerdote e "un grande credente", dice ricordando un episodio-chiave: "Aveva da poco lasciato il Quirinale – rievoca l’attuale vescovo di Terni con la voce commossa, dopo aver lasciato il Gemelli – e io lo accompagnai in un viaggio negli Usa, dov’era stato invitato dalla Columbia. Una mattina mi chiamò alle 5 di notte: mi chiese di andare nella sua camera perché mi doveva dire "una cosa importante per lui". Fu lì che mi chiese di essere il suo confessore, perché era morto quello precedente, un rosminiano irlandese". Da quel giorno mons. Paglia e Cossiga si sono visti almeno una volta a settimana. L’ultima lunedì, quando il prelato gli ha portato un rosario ("Lo diceva spesso") proveniente da Gerusalemme, lo stesso che ieri è stato messo fra le mani del Presidente, nella bara.

Come nacque il rapporto?

Era l’estate ’89. Era morto Jerry Masslo, un sud africano ucciso da criminali a Villa Literno. Masslo era assistito dalla Comunità di S. Egidio e Cossiga ci mandò un telegramma. Io contattai il Quirinale per ringraziarlo. Lui mi invitò, poi chiese di venire in Comunità. Fino a scegliere di fatto la nostra chiesa, S. Maria in Trastevere, per la sua messa. Veniva ogni domenica alle 10 e 30, con il suo vezzo di farsi notare: entrava con tutta la scorta, ma poi amava mettersi tra i fedeli.

Cossiga e la fede. Che rapporto era?

Aveva una fede profonda, severa, fatta anche di pratiche. Non faceva mai la Comunione senza essersi confessato, non amava le liturgie troppo lunghe. Era, la sua, una concezione agonica, quasi drammatica del cristianesimo. Mi diceva di ritenersi "un cristiano peccatore, un cattolico liberale, un politico appassionato". Aveva dei tratti giansenisti e agostiniani. Ha sempre vissuto come un travaglio continuo il suo impegno in politica, dimensione che riteneva autonoma dalla fede, ma al contempo legata. Attribuiva però alla coscienza ispirata dalla fede e dal magistero un primato rispetto alla politica. Non a caso aveva una grande cultura, imbevuta di Tommaso Moro, Newman e Rosmini, che era anche canonistica e teologica. Da qui la sua grande amicizia con Ratzinger, già quand’era cardinale, un suo antenato era pure stato professore in Germania dell’attuale Papa. Ricordava poi le gite in montagna con Wojtyla, quando mangiarono una mela senza posate.

Di cosa parlavate?

Del suo privato, della Chiesa, di politica. Ricordo che nell’89, davanti alla caduta del Muro di Berlino, aveva capito che stava finendo la prima Repubblica. Disse che la Dc doveva ripensare il suo modo di essere presente, cosa che non fece. Il caso Moro? Disse che fu il suo dramma più lacerante, che lo trasformò anche fisicamente. Ma della politica oggi non amava parlare, da un anno diceva che doveva prepararsi alla morte.

Una personalità complessa?

Amava il paradosso. Capiva che aveva a volte un modo esagerato di dire le cose, quelle che a lui parevano le più importanti. Ma sapeva anche ridere di sè: diceva spesso "sono il più intelligente, ma sono un pover’uomo".

Eugenio Fatigante

 

 

 

18 agosto 2010

I RICORDI DEGLI AMICI

D'Onofrio: "Quella colazione al Colle con il cardinale Martini. Poi un dialogo da teologi sul senso della verità"

Il dialogo sulla verità con il cardinale Martini. Le milleuna discussioni sulle riforme istituzionali. E poi quella divergenza sull’avventura dell’Udr, con la quale il presidente emerito avallò, nel 1998, il governo D’Alema. "Io non ero d’accordo – ricorda l’ex ministro Francesco D’Onofrio –. Lui mi disse: "Mi spiace che non vieni con noi, ma imparerai a distinguere tra amicizia personale e politica"".

Senatore, le emozioni e i ricordi sono tanti, mettiamo ordine...

Voglio ricordare un episodio di cui pochi sono a conoscenza. Era il ’90 o il ’91, il presidente mi fece l’onore di invitarmi al Quirinale alle 7 del mattino per fare colazione con lui e il cardinale Martini. Fece aprire la Cappella Paolina, si celebrò la messa, poi Cossiga e Martini iniziarono un dialogo sulla verità. Memorabile, non capivo chi fosse il teologo e chi fosse il politico.

Le riservava altre esclusive di primo mattino?

Nel periodo delle picconate mi chiamava ogni giorno e mi anticipava le esternazioni contro i miei colleghi della Dc, tipo "guarda che oggi attacco Pomicino...". E pensare che quando era presidente del Senato gli regalavo ogni anno una sveglia con un biglietto: "Fin quando non parlerai...".

Mai confidatosi sul caso-Moro?

Giusto una frase: "Il principio della persona dinanzi allo Stato è stato messo drammaticamente in crisi".

Lei non lo accompagnò nel sostegno a D’Alema. Gliela fece pagare?

Quella resta la sua più importante lezione. Mi avvicinò, provò a portarmi con lui, poi disse: "Mi spiace che non vieni, ma così capirai la differenza tra amicizia personale e politica". L’amicizia è rimasta.

In queste ore si ragiona molto sull’eredità politica. Ce ne lascia una traccia?

Nel messaggio alle Camere del ’91 sulle riforme costituzionali, prendeva atto della fine della prima Repubblica e chiedeva un nuovo equilibrio istituzionale. In fondo, stiamo ancora lì.

Marco Iasevoli

 

 

 

18 agosto 2010

I RICORDI DEGLI AMICI

Chiambretti: "Due decenni di amicizia. Sempre sul filo del paradosso"

"Cossiga? Certo, per me era un numero uno". Piero Chiambretti, che in autunno passerà su Canale 5 con il suo show Chiambretti Night - Solo per numeri uno ricorda con affetto l’amico Francesco Cossiga.

Come è nata l’amicizia tra "Pierino la peste" e "il picconatore"?

"La nostra amicizia è nata per caso e continuata in questi 20 anni anni così, quasi per osmosi, per simpatia naturale. Ho conosciuto Cossiga nel ’92 alla fine della sua carriera da presidente della Repubblica. Lo intervistai per il mio programma Il Portalettere su Raitre in cui vestito da postino cercavo di raccontare il palazzo della politica attraverso imboscate e blitz. Ecco, la nostra amicizia era giocata sul paradosso. Come quell’intervista che piacque tanto agli italiani. Pensi un po’, il Presidente della Repubblica in carica che accettava di essere intervistato senza rete da un comico".

Si ricorda come andò?

"Ci incontrammo alla casina Valadier senza esserci mai visti e senza concordare le domande. L’intervista durò 35 minuti e Cossiga si tolse molti sassolini dalla scarpa, parlando e attaccando chiunque e comunque. Spesso mi chiedeva di intercedere con la Rai affinché riproponesse la nostra intevista. Anche nell’ultima telefonata che mi fece l’anno scorso: era il nostro tormentone".

Avete continuato a sentirvi, allora?

"Certo, mi telefonava una o due volte all’anno, mi divertiva sempre molto con le sue battute. Era molto colto, sempre brillante. Con me amava giocare e scherzare. Aveva addirittura ventilato di partecipare ai miei ultimi programmi, che guardava, travestito da cespuglio o accompagnato dalle ballerine".

Cossiga amava la televisione?

"Sì, era un amante della televisione, la guardava negli orari più disparati, nel pomeriggio, a tarda notte. Non è un mistero che fosse un fan delle soap opera, aveva anche esternato su Beautiful".

Che tipo era?

"Aveva il senso della battuta, del paradosso, della provocazione. Col passare degli anni, liberatosi da ruoli istituzionali, aveva acquistato una leggerezza maggiore. Non mi sento di giudicare il valore politico dei 40 anni da lui passati nei chiaroscuri della storia italiana. Ma come persona l’ho trovata sempre perfetta, non ha mai fatto pesare di essere Capo dello Stato o senatore a vita".

Chiambretti, come saluterebbe Cossiga ora?

"Quando se ne vanno personaggi di questo tipo, uno non ci crede, pensa sempre che sia uno scherzo. Lo saluterei complicemente con un "Ciao, presidente"".

Angela Calvini

 

 

 

 

18 agosto 2010

I RICORDI DEGLI AMICI

Parisi: "Sassari, una parrocchia e due capi dello Stato"

"Lo ricordo come fosse oggi. Era il 18 aprile 1948, giorno delle elezioni. Io bambino, seduto sul bordo del marciapiede, all’ombra del campanile della chiesa, e un ragazzo che spiegava al "dottor" Masia - era il titolo col quale chiamavamo a Sassari i sacerdoti laureati in teologia - che aveva torto il maresciallo dei carabinieri, perché la targa dei Comitati Civici poteva stare a distanza ridotta dai seggi, in quanto non rappresentava pubblicità elettorale. Fu in quell’occasione - racconta oggi Arturo Parisi - che accanto al parroco, unica autorità da me conosciuta, vidi segnalarsi per autorevolezza una figura nuova. Quel ragazzo era Francesco Cossiga".

Lei ulivista della prima ora, lui fiero oppositore di Prodi e stratega del governo D’Alema. Ma un tempo lei fu "vicino" a Cossiga.

Vicinissimo. In via Asproni abitavamo di fronte, frequentavo la stessa chiesa, io bambino, lui dirigente dell’Azione cattolica col messale sotto il braccio come i preti e i laici colti.

Sassari ebbe un ruolo anche nella sua ascesa al Quirinale, per la parentela con Berlinguer, allora segretario del Pci.

Pur nelle contrapposizioni Sassari era una città fortemente segnata da una comunanza di valori democratici grazie a un clima favorito dalla presenza dell’Universitá e ad una forte borghesia intellettuale. È in questo clima piú che nella parentela che cercherei le radici del rapporto con i Berlinguer. Ma come consonanza contò di più quella con un altro presidente della Repubblica, Antonio Segni.

In effetti, la parrocchia di San Giuseppe di capi dello Stato ne ha allevati ben due.

E di Segni condivise per un tratto anche la corrente. Ma restó sempre un battitore libero, anzi liberissimo, uomo delle istituzioni più che di partito.

In un primo momento si era parlato per i funerali di Cheremule.

Un po’ mi ha sorpreso. Avrei pensato piú a Siligo e Chiaramonti, i paesi dei Cossiga che gli sentivo ricordare più spesso. Forse voleva sorprenderci fino alla fine.

Angelo Picariello

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20102010-08-17

17 agosto 2010

ROMA

È morto Francesco Cossiga

Il Presidente Emerito della Repubblica, Francesco Cossiga è morto oggi al Policlinico Gemelli alle 13.18. Sarebbe stata una crisi cardiocircolatoria una delle cause del decesso. Una prima crisi, dovuta anche una forte abbassamento della pressione arteriosa, aveva portato Cossiga al ricovero in terapia intensiva 9 giorni fa. Le sue condizioni si erano improvvisamente aggravate la scorsa notte. In base a quanto riportato dal bolelttino medico diffuso nella tarda mattinata di oggi, le condizioni di salute dell'ex-presidente Cossiga, erano peggiorate nelle notte e "il quadro clinico è di estrema gravità".

Poco dopo le 14.30 è giunto al Gemelli il vescovo di Terni, monsignor Vincenzo Paglia, ad accogliere il prelato i familiari del senatore a vita. Monsignor Paglia si era già recato durante gli otto giorni di ricovero al capezzale del presidente emerito per pregare insieme alla famiglia.

La Camera ardente sarà allestita domani, dalle 10 alle 18 nella chiesa Madre del Policlinico Gemelli. I funerali si svolgeranno a Cheremule (Sassari), un piccolo paese del Meilogu. Lo si è appreso da amici di famiglia che hanno spiegato che il presidente era particolarmente affezionato a Cheremule perchè vi erano nati i genitori. All'origine della scelta di Cossiga potrebbe aver anche influito il fatto che le dimensioni della chiesa parrocchiale e del sagrato sono tali da favorire il carattere strettamente privato delle esequie, che sarebbe stato espressamente chiesto dal presidente con le lettere inviate alla massime cariche dello Stato

IL TESTAMENTO

Cossiga ha lasciato un testamento con le sue ultime volontà e quattro lettere personali e riservate ai vertici delle istituzioni. Le lettere dell'ex capo dello Stato sono indirizzate al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ai presidenti di Camera e Senato, Gianfranco Fini e Renato Schifani e al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Fini e Schifani, secondo quanto si apprende hanno già ricevuto le missive.

Nel reparto di Rianimazione del Policlinico Gemelli di Roma, ad accompagnare le ultime ore di agonia di Cossiga sono stati i figli Giuseppe e Anna Maria, i parenti, gli amici più intimi e gli uomini della scorta, che il presidente chiamava i suoi "angeli custodi".

La famiglia è adesso stretta nel suo dolore per la morte del proprio caro e sono tante le visite che si sono succedute in questi giorni da istituzioni religiose e politiche. Dal mondo cattolico hanno fatto visita a Cossiga sua eccellenza monsignor Rino Fisichella, nominato dal Papa per portare i suoi saluti, don Claudio Papa, sacerdote di famiglia, e monsignor Vincenzo Paglia vescovo di Terni.

IL MESSAGGIO DI BAGNASCO

Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, a nome dell'intera Conferenza episcopale, esprime "cordoglio e vicinanza ai familiari per la scomparsa del presidente Francesco Cossiga" ed "eleva preghiere di suffragio, ricordandone il profondo senso dello Stato e l'intensa esperienza di fede, testimoniata nei lunghi anni dell'attività accademica e dell'impegno politico". "Egli - si legge in una nota diffusa dalla Cei - ha servito il nostro Paese nei più importanti compiti istituzionali, in momenti assai delicati, sempre consapevole delle proprie responsabilità e attento al perseguimento del bene comune".

 

 

 

17 Agosto 2010

LA LETTERA A SCHIFANI

"Che Iddio protegga l'Italia"

L'ufficio stampa del Senato ha reso nota la lettera del presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga consegnata al presidente del Senato Renato Schifani.

"Onorevole Presidente del Senato della Repubblica nel momento in cui il giudizio sulla mia vita è misurato da Dio Onnipotente sulle verità in cui ho creduto e che ho testimoniato e sulla giustizia e carità che ho praticato, professo la mia Fede Religiosa nella Santa Chiesa Cattolica e confermo la mia fede civile nella Repubblica, comunità di liberi ed uguali e nella Nazione italiana che in essa ha realizzato la sua libertà e la sua unità".

"Fu per me -si legge nel testo- un onore grande servire la Repubblica, a cui sempre sono stato fedele; e sempre tenni per fermo onorare la Nazione ed amare la Patria. Fu per me un privilegio altissimo: rappresentare il Popolo Sovrano nella Camera dei Deputati prima, del Senato della Repubblica quale Senatore elettivo, Senatore di diritto e a vita e Presidente di esso; e privilegio altissimo fu altresì servire lo Stato nel Governo della Repubblica quale membro di esso e poi Presidente del Consiglio dei Ministri ed infine nell'ufficio di Presidente della Repubblica. Nel mio testamento, ho disposto che le mie esequie abbiano carattere del tutto privato, con esclusione di ogni pubblica onoranza e senza la partecipazione di alcuna autorità".

"Per quanto attiene le onoranze che i costumi e gli usi riservano di solito ai membri ed ex-Presidenti del Senato, agli ex-Presidenti del Consiglio dei Ministri ed agli ex-Presidenti della Repubblica, qualora Ella ed il Governo della Repubblica decidessero di darne luogo, è mia preghiera -è scritto nella lettera di Cossiga- che ciò avvenga dopo le mie esequie, con le modalità, nei luoghi e nei tempi ritenuti opportuni. Voglia porgere ai valorosi ed illustri Senatori il mio ultimo saluto ed il mio augurio più fervido di ben servire la Nazione e di ben governare la Repubblica al servizio del Popolo, unico sovrano del nostro Stato democratico. Che Iddio protegga l'Italia!

Francesco Cossiga".

 

 

 

17 Agosto 2010

IL PROFILO

Cossiga, passione per la democrazia autentica

La politica come passione di una intera vita, ma anche come paradosso carico di ironia, come grande capacità - in parte autoreferenziale, in parte generosamente consapevole - di mettere insieme realismo e immaginazione (l’Italia che c’è e quella che si vorrebbe) in modo tale da colpire e coinvolgere il cittadino comune fuori dai tradizionali scenari in cui si agitano, si scontrano, si incontrano partiti e schieramenti, istituzioni e volontà di riforme. "In realtà io non esterno. Io comunico. Io non sono matto. Io faccio il matto. È diverso. Io sono il finto matto che dice le cose come stanno", avrebbe detto quando, lasciata la "casacca" di notaio della Repubblica (un "signor nessuno che si aggira per il Quirinale", come si divertivano a raffigurarlo non pochi vignettisti) aveva cominciato a togliersi "qualche sassolino dalla scarpa" e ad assumere il ruolo di "picconatore" che andava in strada "per parlare con la gente e possibilmente rappresentarla e tutelarla".

Francesco Cossiga, morto ieri, all’età di 82 anni, è stato un "unicum" nel panorama politico istituzionale della Prima e della Seconda Repubblica che sfugge a ogni tentativo di classificazione tra un prima e un dopo la Dc e la fine di questo grande partito. Con un paragone forse azzardato si potrebbe definirlo "Uno, nessuno e centomila" nelle sue molteplici affermazioni ma anche nelle sue calcolate ritrosie e "ignoranze" su non poche delle vicende spesso torbide dal dopoguerra in poi. In realtà il percorso politico di Cossiga è più lineare e meno discontinuo di quanto poteva emergere dalle sue esternazioni fondate su un linguaggio sempre immaginifico e spesso sapiente. Perché sapeva più di quel che diceva e proclamava meno di quel che era necessario. Per gli storici di domani, quando saranno liberi gli archivi, si aprirà un vasto campo di ricerche e di interpretazioni.

Alla Dc, Francesco Cossiga arriva giovanissimo. Aveva 16 anni, la maturità alle spalle e quasi subito dopo la laurea. La sua, a Sassari, è una famiglia laica, con qualche ascendenza – lo ricorderà lui stesso con un po’ di civetteria – massonica. Lui sceglie invece l’impegno nell’Azione cattolica, e nella Fuci dove è assistente un sacerdote, don Enea Selis (poi arcivescovo di Cagliari), che conterà non poco nella sua formazione. Nella Dc si lega ad Aldo Moro, ma non sarà mai un capo corrente. "Mai stimato, come uomo di partito, né come organizzatore, né come procacciatore di voti", dirà nel libro autobiografico "La passione e la politica". Giovane dirigente del partito, con un’attenzione particolare ai temi istituzionali, anche per via del suo ruolo di docente di diritto costituzionale, Cossiga sarà in rapida successione il più giovane sottosegretario di Stato, il più giovane ministro e successivamente il più giovane presidente del Consiglio, il più giovane presidente del Senato, il più giovane presidente della Repubblica (nel 1985 eletto al primo scrutinio con larghissima maggioranza).

E’ ministro dell’Interno quando avviene il rapimento di Moro. Una tragedia che lo colpisce politicamente e personalmente perché si conclude con l’assassinio dello statista e che lo porterà alle dimissioni dal suo incarico. In una intervista, di due anni fa, tornò a difendere la linea della fermezza. "Quando con il Pci di Berlinguer, ho optato per questa linea, ero certo e consapevole che, salvo un miracolo, avevamo condannato Moro a morte. Altri si sono scoperti trattativisti in seguito…".

Verso la fine del settennio "tranquillo" al Quirinale (durante il quale però si susseguono attentati vari, mentre il sistema politico italiano, comincia a mostrare i primi segni di sfacelo e la Dc a entrare in una crisi che si rivelerà poi irreversibile) comincia per Cossiga il tempo delle "esternazioni". Riguardano questioni tuttora rimaste oscure. Dalla strage della stazione di Bologna, a Tangentopoli, dalla lista degli iscritti alla P2, all’operazione "Gladio" (che Cossiga difende con fermezza), dal dossier Mitrokin, alla morte di Falcone, avvenuta una settimana prima di un suo viaggio a Mosca, alla tragedia di Ustica. Cossiga dice la sua opinione, avanza ipotesi, porta diversi elementi di valutazione. A proposito di Tangentopoli, tornata prepotentemente e tristemente alla ribalta in questi ultimi mesi, in un recentissimo libro-intervista di Andrea Cangini il senatore a vita afferma che "l’azione della magistratura fu incoraggiata dal Fbi americano e dai poteri forti italiani".

Ma la riforma delle istituzioni e della politica resta al centro della sua attività politica. Nonostante i ripetuti annunci di non volersene occupare più per dedicarsi alla teologia. Nelle elezioni del 1992, che vedono il travolgente successo della Lega (da 1 a 55 seggi), Cossiga avverte che dal voto "è venuta una grande domanda di riforme istituzionali e una grande voglia di cambiamento nel modo di governare lo Stato" e annuncia, con un anticipo di dieci settimane sulla scadenza naturale del mandato, le sue dimissioni da presidente della Repubblica. Non più Capo dello Stato, nel 1997 si autocandida come leader di un centro liberaldemocratico che superi il bipolarismo in crisi; è critico con "Forza Italia" di Berlusconi. "Il suo è un partito senza democrazia. Silvio deve smetterla di comportarsi da papà… Se lui è De Gasperi, io sono Carlo Magno", ma poi annuncia di essere pronto a schierarsi con il Polo di centrodestra… "Diamo vita a un nuovo centro: noi, i popolari, la Lega, il Ccd, tutto il trifoglio e naturalmente Forza Italia". Nel 1998 fonda l’Udr con Mastella e, dopo la caduta del governo Prodi (con il Professore è sempre stato critico) favorisce la nascita del centrosinistra di D’Alema. E’ un evento storico che chiude definitivamente la guerra fredda. Ma ben presto il giudizio sul leader della sinistra cambia: "Un centometrista che si accascia sui novanta metri… Un caporale che non riuscirà a mascherare la sua rigidità di eterno sergente".

Negli ultimi anni non mancano gli interventi e le "stilettate" di Cossiga. Dietro il sarcasmo e anche l’invettiva di non poche affermazioni, resta però inalterata la sua passione per una democrazia autentica che si rifà a Rosmini, a Moro, all’amato cardinal Newman. Ha cercato di precisarla e praticarla fino alla fine, Anche in modo corrosivo e a tratti insopportabile, Ma sempre con una libertà e una "modernità" che ha avuto e ha pochi eguali nel panorama politico italiano.

Antonio Airò

 

 

17 agosto 2010

MORTE DI COSSIGA

Le reazioni del mondo politico

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, appresa la notizia della scomparsa del presidente emerito della Repubblica senatore Francesco Cossiga, ha rilasciato la seguente dichiarazione: "A sentimenti di affettuosa vicinanza ai figli e a tutti i famigliari di Francesco Cossiga si unisce la mia forte commozione personale, che nasce dal ricordo del nostro primo incontro in Parlamento nel lontano 1958 e del comune impegno cui ci avviammo da giovani deputati, con eguale passione civile anche se su sponde politiche diverse. Mi colpirono subito - insieme con la vivacità e varietà dei suoi interessi culturali - quella ricchezza umana, quell'animo estroverso e cordiale e quel senso dell'umorismo che sempre ne avrebbero accompagnato il lungo servizio nella vita pubblica. "Un lungo servizio, un lungo percorso nelle istituzioni repubblicane, che lo vide combattivo protagonista di stagioni tra le più intense e drammatiche della nostra storia nazionali - prosegue il capo dello Stato -. Tra esse, quella della lotta contro il terrorismo, in difesa dello Stato democratico e delle libertà civili e in nome dell'unità delle forze popolari. Fu in quella dura stagione che la sua vita fu per sempre dolorosamente segnata dalla tragica vicenda del sequestro e dell'assassinio di Aldo Moro a opera delle Brigate Rosse". "Francesco Cossiga ha conosciuto i momenti dello scontro politico e dell'amarezza; e ha altresì conosciuto i momenti del più alto riconoscimento e consenso, con l'elezione a presidente del Senato e con l'elezione a presidente della Repubblica. La sua resta una figura eminente di quel grande movimento che è stato in Italia il cattolicesimo liberale e democratico; e insieme una figura altamente rappresentativa della fusione tra un forte senso delle diverse storie e culture di cui è fatta l'Italia, come gli diceva la sua Sardegna, e l'incrollabile impegno dell'unità nazionale. La molteplicità dei contributi che Francesco Cossiga ha dato allo sviluppo della Repubblica anche sul piano delle relazioni internazionali - conclude il presidente della Repubblica - , e la ricostruzione della sua complessa vicenda umana, meritano attenti e obbiettivi approfondimenti che non potranno mancare".

Con Francesco Cossiga "l'Italia perde una parte della sua storia e un conoscitore profondo delle sue istituzioni". Il presidente del Senato, Renato Schifani, esprime così il cordoglio, suo e del Senato, per la morte dell'ex presidente della Repubblica. "La sua figura, la sua passione politica e civile, il suo atteggiamento schietto nei confronti della realtà - sottolinea - rimarranno sempre vivi nel nostro ricordo e continueranno a esserci d'esempio". "A nome mio personale e dell'Assemblea di Palazzo Madama - scrive Schifani - esprimo i sentimenti del più profondo cordoglio per la scomparsa del presidente emerito della Repubblica, Senatore Francesco Cossiga. Esponente di primo piano della Democrazia Cristiana e stimato costituzionalista, ha percorso con una brillante e precoce carriera politica tutto il cursus honorum repubblicano, assurgendo alle più alte magistrature dello Stato". "Deputato all'età di trent'anni - aggiunge il presidente Schifani - è stato più volte sottosegretario e poi ministro, guidando per due anni il dicastero dell'Interno. Di quest'ultimo periodo, in particolare, ricordiamo la sua intensa e sofferta partecipazione al dramma di Aldo Moro. Due volte presidente del Consiglio, tra il 1983 e il 1985 ha presieduto questa Assemblea con straordinaria autorevolezza e non dimenticata dedizione - continua Schifani - sino alla sua plebiscitaria elezione a presidente della Repubblica". "Del suo settennato al Quirinale - si legge ancora nel messaggio del presidente Schifani - ricordiamo tutti la grande attenzione per il rispetto delle regole e delle prerogative costituzionali del Capo dello Stato, nonchè la presenza attiva e coraggiosa sulla scena politica nella fase di transizione apertasi con la disgregazione del blocco socialista in Europa orientale. Da Senatore di diritto e a vita, Francesco Cossiga non ha cessato il suo impegno, incarnando il ruolo di coscienza critica di questi ultimi difficili tempi: tutti ricordiamo i suoi interventi appassionati nell'Aula di Palazzo Madama, le sue argomentazioni lucide, la sua lettura originale e illuminante dei fatti e delle circostanze".

"Ho appreso con profondo dolore la notizia della morte del presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga", afferma in una nota il presidente della Camera Gianfranco Fini. "In oltre cinquant'anni di attività al servizio delle istituzioni, prima come sottosegretario poi come ministro, presidente del Consiglio, presidente del Senato e, al culmine del suo cammino istituzionale, come capo dello Stato, Cossiga ha interpretato con vigore e coerenza i principi della Costituzione, fornendo anche un prezioso contributo alla salvaguardia della democrazia nel corso di alcune delle fasi più drammatiche della vita repubblicana dei decenni passati. Il presidente Cossiga, di cui ricordo con onore e piacere l'amicizia personale - prosegue Fini - è stato uomo di grande vivacità culturale e non ha mai cessato di essere presente, anche nel corso degli ultimi anni, nel dibattito italiano, fornendo sempre interessanti argomenti di riflessione alle forze politiche e all'opinione pubblica del nostro Paese. I suoi interventi sono sempre stati caratterizzati da un alto sensodelle istituzioni unito a una grande libertà intellettuale, che ha saputo esprimere anche attraverso i suoi illuminati e acuti interventi come giurista e costituzionalista insigne. Ci mancherà la sua intelligenza profonda e vivace come anche la sua ironia utilizzata come lente per interpretare con originalità e brillantezza i fatti di un mondo in trasformazione. Ai familiari dell'illustre uomo di Stato scomparso - conclude il presidente della Camera - desidero esprimere i sensi del cordoglio più sentito mio personale e della Camera dei deputati".

"Esprimo il mio più sentito cordoglio per la scomparsa di Francesco Cossiga. Con lui se ne va anzitutto un amico, ma soprattutto l'Italia perde un insostituibile patrimonio politico, culturale e umano. Con il suo impegno Cossiga è stato un esempio per tanti cattolici che hanno deciso di giocare la propria responsabilità nelle istituzioni pubbliche. E di questo gli saremo sempre grati". È quanto dichiara il vicepresidente della Camera, Maurizio Lupi.

"L'ho inteso l'ultima volta al telefono il 26 luglio scorso, giorno del suo compleanno; mi chiamò perchè gli avevo scritto un biglietto di auguri; mi parlò senza alcun tono di voce, tale che riuscivo a sentire soltanto il suo faticoso respiro, che mi ripeteva con commozione il suo grazie; rinnovai ogni augurio, ripetendogli: Francesco, ti voglio molto bene". Oscar Luigi Scalfaro, ex presidente della Repubblica, ricorda la figura di Francesco Cossiga, presidente emerito della Repubblica al quale era legato da un'amicizia "profonda", mai incrinatasi anche in presenza di divergenze politiche. "Ho conosciuto Francesco Cossiga nella vita parlamentare - ricorda Scalfaro - giovane colto, molto preparato, particolarmente sensibile ai temi politici e capace di vivace dialettica, di principi cristiani assai convinti, insieme a uno spirito intelligentemente libero. Nacque tra noi una piacevole amicizia. Sono convinto che rimane per me un caso eccezionale di un rapporto di amicizia - sottolinea Scalfaro - veramente intenso e profondo, nella libertà assoluta di avere coincidenza nel pensiero politico o di essere in posizioni divergenti. La bellezza di questa amicizia è quella che mi ha consentito sempre di dire a Cossiga il mio pensiero, specie quando non coincideva con il suo, ripeto: questo è avvenuto sempre e non ha mai neppure minimamente turbato o messo in crisi il rapporto di affetto vivo e profondo. Quando da capo dello Stato mandò un messaggio al Parlamento sulla nostra Costituzione, presi la parola in aula e contestai fermamente questa sua posizione; lui stesso ebbe modo di darmi atto del mio rispetto assoluto alla sua altissima responsabilità e alla sua persona, come era mio preciso dovere, e la nostra amicizia rimase viva e per me particolarmente confortante".

"Piango un uomo coraggioso e fuori dal comune, al quale mi legava un'amicizia sincera, cementata in momenti drammatici e dolorosi". Così si esprime il senatore a vita Giulio Andreotti dopo aver appreso "con grande dolore" la notizia della morte del "caro Francesco Cossiga". "Ricordo - prosegue Andreotti - la sua azione politica fine, lungimirante e concreta, costruita sui valori del cattolicesimo democratico, coerentemente vissuti, e su una profonda cultura giuridica".

"Piango un amico carissimo, affettuoso, generoso. Mi mancheranno il suo affetto, la sua intelligenza, la sua ironia, il suo sostegno. Ai suoi figli l'impegno della mia vicinanza". È questo il ricordo di Francesco Cossiga che il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, affida ad una nota.

"Apprendo con dolore la notizia della scomparsa di Francesco Cossiga. È stato un grande protagonista della vita democratica del nostro Paese". È quanto dichiara, in una nota, il presidente del Copasir, Massimo D'Alema. "Con lui - prosegue D'alema - abbiamo avuto momenti di incontro così come di aspri conflitti, vissuti sempre con rispetto reciproco e lealtà. In questi ultimi anni - conclude il presidente del Copasir - ci hanno unito un'intensa amicizia, della quale gli resterò grato".

"Personalità anticonformista, coraggiosa e anticipatrice, la sua "scomodita" è stata coerentemente preservata in tutto il corso della sua vita". Il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini, ricorda così Francesco Cossiga, uomo "scomodo anche nell'amicizia, ma sempre affettuoso e leale". Con la morte del senatore a vita, aggiunge Casini, "scompare uno dei protagonisti della vita della nostra Repubblica". "In lui, come in pochi altri, si sono sintetizzate - sostiene il leader dell'Udc - le alterne vicende della politica: ha avuto grandi soddisfazioni e infinite amarezze, si è dimesso ed è risorto politicamente più volte". "È stato un grande democratico cristiano - dice ancora Casini - e ha picconato come pochi altri la Democrazia Cristiana di cui percepiva l'afasia degli ultimi anni. Nella fase del bipolarismo ha cercato generosamente e senza successo di limitarne le degenerazioni che tutti constatiamo".

"L'Italia dei Valori si associa al dolore della famiglia per la scomparsa del presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga". Lo afferma in una nota il leader dell'IdV, Antonio Di Pietro.

"Scompare con Francesco Cossiga una delle figure più eminenti della storia repubblicana. Anticomunista convinto, ha però sempre sinceramente rispettato i comunisti. Il più delle volte lo abbiamo avuto come avversario, ultimamente - per le bizzarrie della politica italiana della cosiddetta Seconda repubblica, da Cossiga giustamente mai apprezzata - lo abbiamo avuto anche come alleato. Sempre, in entrambe le vesti, duro e leale". Lo dichiara Oliviero Diliberto, Segretario nazionale del Pdci - Federazione della sinistra. "Aspro, non di rado asperrimo, ma lucido e mai ipocrita, lo ricordiamo - aggiunge - con rispetto. Dare oggi, a caldo, un giudizio sul suo lungo operato, è evidentemente impossibile. Cossiga ha infatti rappresentato nei decenni molte e diverse, talvolta contraddittorie posizioni ed interessi". "È stato - prosegue - l'uomo delle leggi emergenziali, del caso Moro, della Nato e di gladio, delle picconate alla Prima repubblica, ma anche della nascita del primo governo a guida postcomunista, con i comunisti parte integrante. Un bilancio si farà in seguito. Ma guardandoci intorno desolati, lo ricordiamo con rimpianto, pensando - conclude - a una politica italiana repubblicana che oggi, nel basso impero imperante, evidentemente, non esiste più. Alla famiglia, il cordoglio dei comunisti italiani".

"Una notizia molto triste": Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, esprime cordoglio per la morte di Francesco Cossiga, presidente emerito della Repubblica. "Se ne vanno - afferma - una persona singolare e straordinaria e una parte della nostra storia".

"Con la scomparsa di Francesco Cossiga, l'Italia perde non solo un protagonista di un cinquantennio di storia politica, ma una voce libera, mai conformista, mai omologata alla banalità o al politically correct". Così Daniele Capezzone, portavoce del Pdl. "Personalmente - aggiunge - ho sperimentato in alcune occasioni la sua generosa attenzione, e gli sono ancora grato per quei momenti di dialogo e, per me, soprattutto di ascolto. Credo che per tutti, anche per i suoi avversari o per quanti non hanno condiviso l'una o l'altra delle sue vicende politiche, ci sia motivo di memoria e di riflessione. Invio ai suoi familiari, a quanti lo hanno amato, le mie sentite e affettuose condoglianze".

"Sono profondamente addolorata per la scomparsa del Presidente Francesco Cossiga, per oltre mezzo secolo protagonista assoluto della scena politica italiana ed europea", è il commento del ministro per le Pari opportunità, Mara Carfagna, che aggiunge: "Ci mancheranno il suo intuito e la lungimiranza al servizio di una politica forte ed equilibrata sempre nell'interesse esclusivo del Paese. L'Italia perde una figura di grande levatura morale che ha donato, anche alla nuova classe politica, quella spinta emotiva e valoriale indispensabile per dare un futuro al nostro Paese".

"Sono profondamente colpito e addolorato per la scomparsa del vostro caro papà. Perdiamo con lui un tenace protagonista politico della prima stagione repubblicana, e un coraggioso anticipatore delle nuove prospettive che la fine del comunismo e della Guerra Fredda aprivano anche e soprattutto per l'Italia e la sua architettura costituzionale". Lo scrive il ministro degli Esteri Franco Frattini in un messaggio di cordogli ai figli dell'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, scomparso oggi. "Il suo cattolicesimo liberale - prosegue Frattini - ha accompagnato e illuminato tanto gli anni tormentati e bui dell'estremismo, quanto le più recenti prove del bipolarismo italiano, senza mai rinunciare alla responsabilità che ogni civil servant sa assumersi fino a pagarne le più dolorose conseguenze". "Di questo suo alto senso dello Stato vi sono costanti e importanti testimonianze che hanno fatto di Francesco Cossiga un insostituibile punto di riferimento per tutti noi. La sua voce e le sue parole che spesso hanno accompagnato e incoraggiato la mia esperienza istituzionale - conclude il titolare della Farnesina - mi mancheranno. Anche il suo coraggio, coraggio di presidente".

"Con Francesco Cossiga scompare uno dei maggiori protagonisti dell'Italia democratica, che svolse un compito determinante a difesa delle nostre istituzioni". Il ministro delle Politiche agricole Giancarlo Galan ricorda così il presidente emerito della Repubblica scomparso oggi a Roma. "Un compito svolto - spiega Galan - quando da ministro e poi da presidente della Repubblica seppe ridare valori e significati condivisi alla società italiana che era stata aggredita in modo violento e sanguinario dal terrorismo. Cossiga ebbe come pochi altri il gusto di praticare la grande politica e spesso i suoi interventi servirono ad illuminare i difficili percorsi di un Paese che durante gli ultimi decenni ha conosciuto crisi difficili se non drammatiche". Per Galan "di Cossiga bisognerà ricordare anche la passione per la cultura e per quei Paesi europei che seppero fondare secoli fa le regole fondamentali delle autentiche democrazie parlamentari. Il mio più sincero cordoglio alla famiglia del presidente emerito e a tutti coloro che in questi anni gli sono stati accanto".

"È già davanti al Signore con in tasca la preghiera del partigiano. Come loro fu per tutta la vita ribelle per amore della libertà. Con lui si spegne la voce più alta del cattolicesimo politico europeo". È il cordoglio del ministro Gianfranco Rotondi alla morte dell'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga.

"Con la scomparsa di Francesco Cossiga perdiamo una figura insostituibile della classe politica italiana e un pezzo importante della storia repubblicana del nostro Paese". Lo afferma il ministro della Giustizia Angelino Alfano, esprimendo il suo cordoglio alla famiglia per la morte del senatore a vita. "Uomo delle istituzioni prima ancora che politico e figura di riferimento dei cattolici italiani - prosegue il guardasigilli - ha saputo dare personalità, come forse nessuno prima di lui, ai ruoli e agli incarichi che ha ricoperto al servizio del Paese. Incarnando al massimo lo spirito della sua terra, è stato testimone e protagonista attivo di più di sessant'anni di crescita politica e sociale del nostro Paese, alla quale egli ha saputo vivamente contribuire con le parole e i fatti". "Alla sua famiglia, all'amico e collega Giuseppe Cossiga - conclude Alfano - la mia più sentita vicinanza in questo momento di dolore e di preghiera".

"Sono davvero rattristato per la morte del Presidente Francesco Cossiga, uomo politico di grande spessore e Capo dello Stato lungimirante che seppe anticipare il cambiamento. Desidero far giungere al figlio Giuseppe e alla famiglia i sentimenti del mio sincero cordoglio". Lo dichiara in una nota il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Altero Matteoli, dopo aver appreso la notizia della morte del presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga.

"Esprimo il mio personale cordoglio per la scomparsa di Francesco Cossiga. Provo un gran dolore e un gran dispiacere per la perdita di un amico e di un grande personaggio politico che ha insegnato qualcosa a ciascuno di noi". Lo afferma il ministro per la Semplificazione normativa e coordinatore delle Segreterie nazionali della Lega Nord, Roberto Calderoli.

"È stato un grande presidente della Repubblica. È stato interprete, dal Quirinale, della voglia di cambiamento di un popolo. È stato anche capace di chiedere scusa. È stato il primo "sdoganatore" del Msi". Francesco Storace ricorda Francesco Cossiga con queste parole dal suo blog www.storace.it. "Così, con dolore e rimpianto - aggiunge Storace - , mi piace ricordare Francesco Cossiga, che ha lasciato questa nostra terra ed è volato in Cielo. Cossiga ha vissuto la fine della Prima repubblica dal colle più alto e ha vissuto tra luci e ombre l'epopea della democrazia cristiana. Fu Pinuccio Tatarella, un'altra straordinaria intelligenza, a portargli al Quirinale un pezzo di quel muro di Berlino che diede a quel presidente l'occasione per chiedere scusa al Msi per le infami e ingiuste accuse rivolte ai nostri ambienti per la strage alla stazione di Bologna". "Lo ricordiamo come lo straordinario picconatore di una partitocrazia affondata negli scandali degli anni '80 e '90. Lo celebriamo come colui che pretese la rimessa in gioco di una destra che sapesse partecipare alla politica per governare - ricorda ancora iol leader de La Destra. Storace ricorda che lui era "capoufficio stampa del Msi - di Fini - quando ricevetti a via della Scrofa un messaggio rivolto al segretario del partito in occasione della festa del Secolo d'Italia di Rieti. Erano i segnali di una rivoluzione culturale e politica che Cossiga mandava al Paese dal Quirinale. Nacque in quegli anni la leggenda di Fini interprete dei silenzi del Colle. Una stagione che ricordo con affetto, il piccone diventò una specie di simbolo sussidiario della nostra amata fiamma tricolore. La fiamma non spaventava il presidente della Repubblica".

"Con Francesco Cossiga scompare un grande servitore dello Stato, un grande uomo politico, un grande maestro. Ho perduto con lui una fonte di affettuosi, preziosi, sempre disinteressati e sempre insostituibili consigli, vere e proprie lezioni distribuite per lo più dal divano di casa sua in lunghi colloqui dedicati alla politica la domenica sera". Lo dichiara Paolo Bonaiuti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio. "L'ultima volta che rispose ad una mia chiamata, il 26 luglio, la sera del suo compleanno, ebbi modo di dirgli brevemente quanto stesse mancando a me e a tutti la sua saggezza, la sua vis polemica, anche sotto forma di quelle battute dirompenti ma sempre profondamente vere e stimolanti. Non ce l'ha fatta. E ora - conclude il portavoce del premier Silvio Berlusconi - sentiremo tutti la mancanza di un vero maestro della politica come arte, della politica davvero alta e nobile".

"Tutta Roma si alza in piedi per onorare commossa la scomparsa del cittadino romano Francesco Cossiga. Un grande statista, un uomo delle istituzioni che non ha mai perso il contatto con il sentimento della gente". Lo scrive Gianni Alemanno, sindaco di Roma. "Quando questo sentimento lo imponeva - scrive ancora Alemanno -, il presidente Cossiga ha saputo rimettere in discussione tutte le ipocrisie di un sistema che stava morendo. Per me personalmente è stato un amico e un maestro, come per tantissimi esponenti di ogni parte politica, che ci ha dato insegnamenti preziosi sulla storia italiana, sul nostro interesse nazionale e sul giusto equilibrio che ci deve essere tra senso dello Stato e rispetto dei diritti dei cittadini e delle famiglie. Ci porteremo nel cuore il suo sorriso beffardo che sempre ci insegnerà a non cedere ad alcuna retorica, ad alcuna ipocrisia e ad alcun perbenismo".

 

 

 

17 agosto 2010

LUTTO NELLA POLITICA

Per oltre mezzo secolo

protagonista della politica

Parlamentare di lungo corso, più volte ministro, presidente del Consiglio, presidente del Senato, presidente della Repubblica: nei suoi oltre cinquanta anni di carriera politica Francesco Cossiga ha ricoperto tutti gli incarichi più prestigiosi.

Nato a Sassari il 26 luglio del 1928, un primo record Cossiga lo colleziona fin da giovanissimo, conseguendo la maturità a soli 16 anni. Quattro anni dopo arriva la laurea in giurisprudenza; a 17 è già iscritto alla Dc. A 28 è segretario provinciale e due anni dopo, nel 1958, entra per la prima volta a Montecitorio.

Altri primati lo aspettano: è il più giovane sottosegretario alla Difesa nel terzo governo guidato da Aldo Moro; è il più giovane ministro dell'Interno (fino ad allora) nel 1976 a 48 anni; è il più giovane presidente del Consiglio (fino ad allora) nel 1979 a 51; il più giovane presidente del Senato nel 1983 a 51 anni e il più giovane presidente della Repubblica nel 1985 a 57 anni.

Il periodo più difficile nella lunga carriera politica di Cossiga coincide con gli anni di piombo (era ministro dell'Interno nei drammatici giorni del sequestro di Aldo Moro), ma sono momenti duri per tutto il Paese e per l'intera classe politica. Il futuro capo dello Stato passa indenne attraverso roventi polemiche e nel 1985 viene eletto al Quirinale con una maggioranza record: 752 voti su 977 votanti. Per lui Dc, Psi, Pci, Pri, Pli, Psdi e Sinistra indipendente.

Per cinque anni ricopre il ruolo di "presidente notaio", discreto e pignolo nell'attenersi alla Costituzione. Nel 1990, però, cambia stile. Diventa il "picconatore", per "togliersi qualche sassolino dalle scarpe", spiega.Quando, nel 1990, Andreotti rivela l'esistenza di "Gladio", Cossiga risponde alle critiche ed agli attacchi degli avversari politici ribadendo la legittimità della struttura, ma prende posizione anche nei confronti della Dc dalla quale si sente "scaricato".

Il Pds avvia la procedura di impeachment. Cossiga attende le elezioni del 1992 e poi si dimette con un discorso televisivo di 45 minuti. Esce di scena volontariamente, ma tutto il sistema che da due anni è sotto i colpi delle sue "picconate" crollerà pochi mesi dopo.

Sfaldatasi la Dc dopo il ciclone tangentopoli, Cossiga decide in un primo momento di ritirarsi dall'attività di partito e di svolgere soltanto l'attività di senatore a vita. Successivamente, nel febbraio del 1998, dà vita ad una nuova formazione politica, l'Udr (Unione democratica per la Repubblica), con l'intenzione di costituire un'alternativa di centro e ricompattare le forze ex-democristiane.

L'Udr raccoglie l'adesione dei Cristiani democratici uniti di Rocco Buttiglione e di Clemente Mastella, alla guida di un gruppo di scissionisti del Centro cristiano democratico. Quando Rifondazione comunista fa mancare il proprio appoggio al primo governo Prodi, che viene battuto alla Camera per un voto, Cossiga sostiene la formazione del primo governo D'Alema.

Dopo meno di un anno Cossiga lascia l'Udr e torna a fare il "battitore libero" con l'Upr (Unione per la Repubblica). Alle elezioni politiche del 2001 dà l'appoggio a Silvio Berlusconi, ma in seguito, in Senato, non voterà la fiducia. Nel maggio 2006 vota la fiducia al governo Prodi; nel novembre dello stesso anno presenta le dimissioni da senatore a vita, che vengono respinte dall'assemblea di palazzo Madama. Nel dicembre del 2007 vota la fiducia al governo Prodi sul decreto sicurezza. Nel maggio del 2008 vota la fiducia al quarto governo Berlusconi.

 

 

 

17 agosto 2010

Monsignor Paglia:

"Un uomo di grande fede"

"Un uomo di grande fede, una fede magari austera, essenziale, ma che ha segnato l’intera sua vita, fin da ragazzo, anche il suo ingresso in politica. Perdiamo un grande italiano, un grande uomo di Stato", com queste parole monsignor Vincenzo Paglia, vescovo di Terni-Narni-Amelia, ha ricordato in un'intervista a Radio Vaticana il Presidente Emerito della Repubblica, Francesco Cossiga, che si è spento oggi a Roma. (Per ascoltare l'intervista integrale, clicca qui)

"Tutto sgorga da una prospettiva di fede, e nello stesso tempo questa fede gli ha dato un grande amore per il Paese, per la patria, e lo ha reso un lottatore caparbio. La sua straordinaria intelligenza gli ha fatto prevedere molte cose a volte, è stata anche causa di incomprensioni, di dibattiti vivacissimi. Un grande italiano, appassionato di questo Paese, appassionato della libertà", ha poi aggiunto monsignor Paglia.

 

 

 

 

 

 

CORRIERE della SERA

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2010-08-19

Nell'Omelia il vescovo di Nuoro Pietro Meloni: "picconava per amore"

L'ultimo saluto a Cossiga

nella sua Sardegna

Dopo la cerimonia il feretro portato nel cimitero monumentale nella tomba di famiglia

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Dopo la cerimonia il feretro portato nel cimitero monumentale nella tomba di famiglia

ROMA - Si sono svolti nella parrocchia di San Giuseppe a Sassari i funerali privati del presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga. Il feretro di Cossiga, accolto da un lunghissimo applauso, avvolto nel tricolore e nella bandiera dei Quattro Mori è stato poi trasferito nella tomba di famiglia al cimitero monumentale di Sassari. La funzione religiosa è stata concelebrata dai vescovi di Sassari monsignor Paolo Atzei, e di Nuoro, Monsignor Pietro Meloni. Presenti il presidente della Sardegna, Gianfranco Ganau e, senza fascia tricolore, il sindaco di Sassari, Emilio Floris, quello di Cagliari e Beppe Pisanu. Nel corso dell'omelia monsignor Meloni, amico di infanzia di Cossiga, ha detto che "era un uomo assetato della verità e della giustizia, fedele allo Stato, alla sua coscienza e a Dio".

OMELIA - Nell'omelia è stato letto un passo di Giobbe e proprio citando la Bibbia i vescovi hanno detto che finalmente "Francesco Cossiga vedrà il vero volto di Dio". "Francesco si vantava di avermi insegnato a servire la messa" ha detto con voce commossa il vescovo di Nuoro Pietro Meloni, amico fin dall'infanzia del presidente Cossiga. Il vescovo di Nuoro ha ricordato gli anni dell'infanzia suoi e del presidente, per tracciare il profilo umano di Cossiga. Impegnato fin dalla più giovane età nell'Azione Cattolica - ha detto ancora monsignor Meloni - ha maturato progressivamente la sua vocazione sociale e politica senza perdere mai i contatti con le sue radici. Nel racconto del prelato sono state tratteggiate anche le piccole manie che Cossiga aveva fin dall'infanzia (ha ricordato come fosse stato incaricato dall'amico di procurargli settimanalmente tutti i numeri de "Il Vittorioso") e poi come, una volta raggiunti tutti i massimi livelli istituzionali della Repubblica, non avesse mai rinunciato al contatto con la sua parrocchia sassarese dove seguiva la messa dal coro facendosi vedere dagli altri fedeli solo al momento della comunione "per non creare confusione e disturbare la celebrazione" diceva. E poi ha concluso: "Francesco Cossiga picconava per amore, e se la sua ironia bonaria nelle intenzioni si rivestiva talvolta di spirito di rivalsa e di qualche pavoneggiamento che lui stesso riconosceva, pentendosene, lo spirito cristiano lo riconduceva al perdono. Riscoprì un bel giorno l'antico proverbio sardo 'dai matti e dai bambini si può sentire la verità".

IL FIGLIO - "È stata una celebrazione in forma familiare e arricchita dalla presenza di tutti voi, così concludiamo questo viaggio di fede e di dolore, da qui vi abbracciamo tutti e affido mio padre alle vostre preghiere". Con queste poche parole Giuseppe Cossiga ha salutato i presenti dall'altare della chiesa di San Giuseppe al termine della celebrazione funebre per la morte del padre Francesco

A ROMA - In precedenza questa mattina non una messa in suffragio, ma le sacre esequie del Presidente emerito della repubblica Francesco Cossiga, si sono svolte nella chiesa dei Santi Ambrogio e Carlo in via del Corso a Roma. Mercoledì, al termine di una lunga giornata che ha visto sfilare nella camera ardente predisposta nella chiesa madre del Policlinico Gemelli le massime cariche dello Stato, personalità politiche e militari, era circolata la voce di una "messa strettamente riservata ai parenti e amici più stretti".

Redazione online

19 agosto 2010

 

 

 

2010-08-18

Il saluto a Cossiga

Il giorno della camera ardente

I primi ad arrivare il cardinal Bertone, il presidente Napolitano e Gianni Letta. Giunti anche Ciampi e signora

Il saluto a Cossiga

Il giorno della camera ardente

I primi ad arrivare il cardinal Bertone, il presidente Napolitano e Gianni Letta. Giunti anche Ciampi e signora

MILANO - La vita pubblica e la vita privata. Francesco Cossiga le ha volute tenere distinte, soprattutto nel momento più umano: la morte. Così, i funerali saranno celebrati mercoledì a Sassari, nella chiesa di San Giuseppe. Una cerimonia privata. Come ha voluto l'emerito presidente. Ma oggi è il giorno del "pubblico". E una processione di politici e gente comune è passata a salutare il "picconatore" alla camera ardente, allestita nella chiesa centrale dell'Università cattolica di Roma. L'addio a Cossiga è cominciato ben prima delle 10, ora ufficiale di apertura. Il primo ad arrivare è stato il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano. "Uno statista di spiritualità cristiana" ha detto di Francesco Cossiga il cardinal Bertone che ha portato il saluto e l’omaggio del Papa. Con il cardinale era presente anche Don Claudio Papa, prete amico della famiglia. Il segretario di Stato ha sostato in preghiera inginocchiandosi accanto alla salma per qualche minuto e ha poi rivolto un saluto e un ricordo personale del presidente Emerito. Dopo aver benedetto la salma e recitato una breve preghiera, ha lasciato il Policlinico Gemelli.

DIO PROTEGGA L'ITALIA - Conversando con i figli del presidente, monsignor Bertone ha definito Cossiga "uno statista di spiritualità cristiana". "Ieri insieme al Papa abbiamo celebrato una messa in suffragio di Francesco. Il Papa lo ricorda come un amico caro" ha detto il cardinale Tarcisio Bertone uscendo dalla camera ardente del Policlinico Gemelli . "Era un fervente cattolico, ha raggiunto traguardi religiosi e spirituali importanti, come la beatificazione di Rosmini a cui Cossiga era particolarmente legato, quella di Newmann e la proclamazione di San Tommaso Moro proclamato patrono dei politici. Il Papa lo conosceva bene - ha aggiunto Bertone - discutevano spesso e lo ricorda come un amico caro". Bertone ha poi ripetuto la frase che Cossiga ha scritto nelle lettere lasciate alle massime autorità: "Come lui ha auspicato, "Dio protegga l’Italia""

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I FIGLI - La camera ardente ha aperto alle 9,20, con quaranta minuti di anticipo rispetto all'orario previsto. Davanti alla chiesa centrale dell'Università cattolica di Roma si è radunata fin dal primo mattino una piccola folla di giornalisti e gente comune. Pochi minuti prima dell'apertura della camera ardente, sono arrivati i figli di Cossiga, Giuseppe e Anna Maria. Dopo pochi minuti ha raggiunto la camera ardente il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta.

LO STATO E LE ISTITUZIONI - Dall'ingresso laterale alla chiesa è entrato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che uscendo ha detto: "È stato un omaggio a un grande uomo di Stato, ho salutato un amico". Intorno alle 10 sono arrivati il presidente della camera Gianfranco Fini, il presidente del Senato Renato Schifani, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Paolo Bonaiuti. Secondo quanto si è appreso Fini e Letta, insieme al presidente del Senato Schifani, si sono raccolti in preghiera per alcuni minuti davanti alla salma. Dieci minuti è durato il colloquio tra Napolitano, Schifani, Fini e Letta. Successivamente, il presidente della Camera Fini e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Letta si sono appartati in una saletta privata del policlinico per un ulteriore colloquio durato una ventina di minuti.

Subito dopo la partenza di Fini è giunto alla camera ardente il ministro della Giustizia Angelino Alfano che ha ricordato Francesco Cossiga: "Scompare un grande riferimento per tutti i cattolici e per me", ha detto "un uomo che ha saputo darmi consigli e suggerimenti". Seduto di fronte al feretro, di fianco ad Anna Maria, la figlia di Cossiga, ha pregato il senatore a vita Giulio Andreotti.

"Un punto di riferimento per la vita del Paese", ha detto il vice presidente del Senato Vannino Chiti che si è fermato a parlare con l'ex sottosegretario di Stato, Paolo Naccarato, per anni segretario particolare di Francesco Cossiga. Tra gli altri presenti anche il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Chicchitto che così lo ha ricordato: " Una delle menti più straordinarie che la Repubblica abbia mai avuto, l'ho visto mille volte e ogni volta mi sorprendeva con intuizioni che mi facevano sentire un cretino". Accompagnato dalla figlia è arrivato Oscar Luigi Scalfaro che si è fermato abbracciando a lungo la figlia di Cossiga, Anna Maria. Davanti alla salma di Francesco Cossiga, al Gemelli, sono sfilati anche il ministro dell’Interno Roberto Maroni e il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi e l’ex governatore Antonio Fazio.

IL RICORDO DI SCHIFANI- "Cossiga era un vulcano, non un uomo dei partiti ma delle istituzioni", ha detto il presidente del Senato Renato Schifani. "Ti prendeva per braccio e stava con te a parlare ore ed ore e nessuno di noi aveva coraggio di staccare quel braccio perchè, con le sue conoscenze, era un motivo di addottrinamento culturale e politico. Era un uomo di grandi forze, grandi idee ed iniziative. Un uomo che con la sua lettera, che costituisce un testamento politico, ha confermato la sua grandissima fedeltà nelle istituzioni". Lasciando la camera ardente ha concluso: "Il testamento lasciato dal presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga, ai parlamentari, è quello di governare la Repubblica al servizio del popolo, unico sovrano del nostro Stato democratico".

IL TELEGRAMMA DEL PAPA - Benedetto XVI ha inviato telegrammi di cordoglio per la morte di Francesco Cossiga sia ai due figli dello scomparso ex presidente della Repubblica, Giuseppe e Annamaria, sia all'attuale capo dello Stato Giorgio Napolitano. Nel telegramma ai figli di Cossiga, il Papa si dice "spiritualmente vicino in questo momento di dolore", porgendo le sue "più sentite condoglianze" e assicurando la sua "sincera partecipazione al grave lutto che colpisce anche l'intera nazione italiana". Il Pontefice ricorda "con affetto e gratitudine questo illustre uomo cattolico di Stato, insigne studioso del diritto e della spiritualità cristiana che nelle pubbliche responsabilità ricoperte seppe adoperarsi con generoso impegno per la promozione del bene comune".

PICCHETTO D'ONORE -Attorno alla bara rendono gli onori alla salma i Carabinieri che hanno fatto parte delle scorte del presidente Cossiga. A rendere omaggio al presidente anche il il generale di Corpo d'armata dei Carabinieri, Leonardo Gallitelli. "Sono qui per rendere l'omaggio dell'Istituzione al Commissario Capo ad honorem e all'ex Ministro dell'Interno, oltre che al Presidente emerito della Repubblica e all'Uomo, cui ero personalmente legato da un rapporto di affetto sincero", ha detto il capo della polizia Antonio Manganelli che era accompagnato dai vice capi Izzo e Cirillo. "Francesco Cossiga - ha concluso Manganelli - non ci ha mai fatto mancare la sua vicinanza, il suo qualificatissimo contributo di idee, il suo amore per il Paese e per le Istituzioni che lo rappresentano".

A rendere omaggio al "picconatore" il monsignor Rino Fisichella e l'ex presidente del Senato Marcello Pera ha osservato che "il messaggio in cui Cossiga segnalava la necessità di riformare in le istituzioni è stato uno dei passaggi più alti, purtroppo tragicamente inascoltato, non eguagliato da nessuno e ancora alla nostra attenzione". A rendere omaggio alla salma sono giunti anche Carlo Azeglio Ciampi e la signora Franca. L'ex presidente della Repubblica ha ricordato l'amico e il politico in una nota: "Intuì con l'intelligenza del politico fine che il rivolgimento degli equilibri internazionali avrebbe inevitabilmente determinato modifiche negli assetti interni del Paese. Da quella intuizione tempestiva mosse la sua azione per promuovere l'ammodernamento delle istituzioni". E ha concluso: "Adesso credo sia il momento di lasciare spazio al silenzio e al raccoglimento; a quei sentimenti che più si addicono di fronte alla fine della vicenda terrena di ogni uomo". Numerose sono le altre personalità del mondo politico. Tra queste il commissario europeo Antonio Tajani secondo cui Cossiga "rimarrà una pietra miliare nella storia della Repubblica perché picconava per costruire". Ha ricordato la devozione alle istituzioni anche il parlamentare Pd Arturo Parisi: "Basta leggere le sue ultime lettere - ha detto- che sono un esercizio di educazione civica. Purtroppo ci aveva salutato nel silenzio già da mesi, e non aveva potuto commentare le ultime vicende". Il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani lasciando la chiesa centrale del Policlinico Agostino Gemelli ha ricordato Cossiga come una persona complessa: "Un personaggio con tanti volti", ha detto "ma devo anche dire che non mancava mai di segnalare i problemi del mondo del lavoro e le condizioni di chi stava peggio". Il senatore Franco Marini, ex compagno di partito ha ricordato: "Nella fase finale della crisi e delle ricomposizione e della nostra divisione ce l'aveva con molti, ce l'aveva con tutti, anche un pò con la Dc. Forse non ce lo meritavamo ma un po' certamente sì".

GLI OMAGGI - Attorno alla salma di Cossiga un manto di rose rosse e il cuscino dell'Arma dei Carabinieri. Numerose le corone di fiori. Tra le altre, quelle del presidente della Repubblica, del presidente del Consiglio dei ministri e della Corte Costituzionale. Si notano poi gli omaggi del capo di Stato maggiore dell'Esercito e del ministro della Difesa. Ci sono poi le corone del presidente della Regione Sardegna e del sindaco di Sassari. Ad accogliere le autorità ci sono il direttore della sede di Roma dell'Università Cattolica, Giancarlo Furnari, il direttore del policlinico Gemelli, Cesare Catananti e l'assistente ecclesiastico dell'Università cattolica, monsignor. Sergio Lansa.

Redazione Online

18 agosto 2010

 

 

 

SI è SPENTO A 82 ANNI. la camera ardente mercoledì. I FUNERALI NEL SASSARESE

Addio al Picconatore, è morto Cossiga

L'ex presidente della Repubblica aveva mostrato un peggioramento delle condizioni durante la notte

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Addio al Picconatore, è morto Cossiga

L'ex presidente della Repubblica aveva mostrato un peggioramento delle condizioni durante la notte

ROMA - Addio a Francesco Cossiga. L'ex capo dello Stato è morto alle ore 13.18 al Policlinico Gemelli di Roma, dove dal 9 agosto era ricoverato in rianimazione per una insufficienza cardiorespiratoria. Dopo giorni di cauto ottimismo, il senatore a vita aveva mostrato un repentino e drastico peggioramento delle condizioni circolatorie durante la notte che ha necessitato la ripresa di tutti i supporti vitali.

IL BOLLETTINO - Cossiga, recitava il bollettino medico di questa mattina, ha mostrato un repentino e drastico peggioramento delle condizioni circolatorie che ha necessitato la ripresa di tutti i supporti vitali. Il presidente emerito era sedato e intubato, e la respirazione si era fatta via via più difficile, fino al precipitare della situazione nella tarda mattinata di martedì.

CORDOGLIO BIPARTISAN - Pochi minuti dopo l'annuncio della morte di Cossiga, sono arrivati i messaggi di cordoglio bipartisan dal mondo politico. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lo ha ricordato come un "combattivo protagonista di stagioni tra le più intense e drammatiche della nostra storia nazionale". E anche la Santa Sede e la Chiesa italiana hanno manifestato il loro dolore per la scomparsa dell'ex capo dello Stato.

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LE ULTIME VOLONTÀ - Prima di morire, il presidente emerito ha lasciato una lettera al segretario generale del Senato con tutte le indicazioni dettagliate sulle sue esequie: i funerali, privati e non di Stato, si svolgeranno giovedì a Cheremule, nel Sassarese. Amici di famiglia hanno spiegato che il presidente era particolarmente affezionato al piccolo paese sardo perché vi erano nati i genitori. Alla scelta di Cossiga potrebbe aver anche influito il fatto che le dimensioni della chiesa parrocchiale e del sagrato sono tali da favorire il carattere strettamente privato delle esequie, che sarebbe stato espressamente chiesto dal presidente con le lettere inviate alla massime cariche dello Stato. Cossiga avrebbe anche chiesto di essere seppellito nella sua città natale, Sassari, accanto al padre e alla sorella. La camera ardente per il senatore a vita sarà allestita mercoledì, dalle 10 alle 18 nella Chiesa centrale del Policlinico Gemelli in largo Francesco Vito 1, a Roma. Sul feretro verranno poi messi il Tricolore e la bandiera della Sardegna.

LETTERE ALLE AUTORITÀ - Sempre al segretario del Senato, Cossiga ha consegnato quattro lettere alle più alte autorità dello Stato.

Redazione online

17 agosto 2010(ultima modifica: 18 agosto 2010)

 

 

NELLA LETTERA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO

Cossiga e il secondo funerale laico che imbarazza Palazzo Chigi

L'ex capo dello Stato ha chiesto un'ulteriore cerimonia con onori militari. Ma difficoltà pratiche la impediscono

NELLA LETTERA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO

Cossiga e il secondo funerale laico che imbarazza Palazzo Chigi

L'ex capo dello Stato ha chiesto un'ulteriore cerimonia con onori militari. Ma difficoltà pratiche la impediscono

ROMA - Anche da morto Francesco Cossiga ha messo in crisi il Cerimoniale di Stato. Non tanto per la richiesta che i suoi funerali "veri" avvengano in forma privatissima in un paesino sperduto della Sardegna, senza le autorità. Ma perché nella lettera di congedo datata 18 settembre 2007 al Presidente del Consiglio pro tempore - che sarà resa nota da Palazzo Chigi solo domani a funerali avvenuti - Cossiga aveva prospettato la possibilità di un secondo funerale "laico" con catafalco e senza feretro e molto sui generis da svolgersi a Roma con gli onori militari dei corpi scelti di cui andava tanto fiero, i Gis dei Carabinieri, i Nocs della Polizia di Stato, e gli incursori della Marina militare, i mitici Consubin, oltre che dei Granatieri di Sardegna.

LE DIFFICOLTA' - Una possibilità senza precedenti e di difficile realizzazione pratica, a cominciare dal luogo. Non in Parlamento, naturalmente, visto che le Aule di Camera e Senato non possono fare da fondale a una vera e propria cerimonia funebre. Dove allora? Una messa al campo? Anche questa è sembrata un’ipotesi impraticabile. E allora, per rispetto alla famiglia a cominciare dal figlio Giuseppe, che ha seguito le orme del padre ed è sottosegretario alla Difesa, Palazzo Chigi ha deciso di soprassedere alla pubblicazione della lettera. Alla fine, ci saranno i funerali religiosi, privati, in Sardegna e gli onori militari dei corpi speciali amati da Cossiga al cimitero di Sassari. Alla ripresa dei lavori parlamentari, cioè a metà settembre nell’Aula del Senato si terrà invece una solenne commemorazione della figura dell’ex Capo dello Stato alla presenza di tutte le autorità a cominciare dal Presidente della Repubblica Napolitano, cerimonia che coinciderà di fatto con il trigesimo della scomparsa di Francesco Cossiga.

M.Antonietta Calabrò

18 agosto 2010

 

 

 

NELLA LETTERA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO

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L'ex capo dello Stato ha chiesto un'ulteriore cerimonia con onori militari. Ma difficoltà pratiche la impediscono

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L'ex capo dello Stato ha chiesto un'ulteriore cerimonia con onori militari. Ma difficoltà pratiche la impediscono

ROMA - Anche da morto Francesco Cossiga ha messo in crisi il Cerimoniale di Stato. Non tanto per la richiesta che i suoi funerali "veri" avvengano in forma privatissima in un paesino sperduto della Sardegna, senza le autorità. Ma perché nella lettera di congedo datata 18 settembre 2007 al Presidente del Consiglio pro tempore - che sarà resa nota da Palazzo Chigi solo domani a funerali avvenuti - Cossiga aveva prospettato la possibilità di un secondo funerale "laico" con catafalco e senza feretro e molto sui generis da svolgersi a Roma con gli onori militari dei corpi scelti di cui andava tanto fiero, i Gis dei Carabinieri, i Nocs della Polizia di Stato, e gli incursori della Marina militare, i mitici Consubin, oltre che dei Granatieri di Sardegna.

LE DIFFICOLTA' - Una possibilità senza precedenti e di difficile realizzazione pratica, a cominciare dal luogo. Non in Parlamento, naturalmente, visto che le Aule di Camera e Senato non possono fare da fondale a una vera e propria cerimonia funebre. Dove allora? Una messa al campo? Anche questa è sembrata un’ipotesi impraticabile. E allora, per rispetto alla famiglia a cominciare dal figlio Giuseppe, che ha seguito le orme del padre ed è sottosegretario alla Difesa, Palazzo Chigi ha deciso di soprassedere alla pubblicazione della lettera. Alla fine, ci saranno i funerali religiosi, privati, in Sardegna e gli onori militari dei corpi speciali amati da Cossiga al cimitero di Sassari. Alla ripresa dei lavori parlamentari, cioè a metà settembre nell’Aula del Senato si terrà invece una solenne commemorazione della figura dell’ex Capo dello Stato alla presenza di tutte le autorità a cominciare dal Presidente della Repubblica Napolitano, cerimonia che coinciderà di fatto con il trigesimo della scomparsa di Francesco Cossiga.

M.Antonietta Calabrò

18 agosto 2010

 

 

 

I colpi alla Dc e agli altri

Ceccio da Chiaramonti

l’eterno provocatore

I colpi alla Dc e agli altri

Ceccio da Chiaramonti

l’eterno provocatore

"Te la diamo vinta, basta che stai zitto", titolò a un certo punto Cuore, dopo la milionesima puntata del tormentone esternatorio. Ora che se n’è andato, però, saranno probabilmente in tanti a sentire, in certi momenti di passaggio, la mancanza della voce di "Ceccio da Chiaramonti", come Francesco Cossiga con vezzo autoironico si era ribattezzato rivendicando l’amata "sarditudine". La voce più imprevedibile della politica italiana. La più corrosiva. La più irridente.

"È come il tempo nel Maine: prima o poi cambia", lo immortalò un dì Arturo Parisi, che lo conosceva da quando faceva il chierichetto in quella chiesa sassarese di San Giuseppe che ha avuto tra i parrocchiani Antonio Segni e suo figlio Mario più il giovane Cossiga più tutti i suoi cugini Berlinguer (da Enrico a Giovanni, da Sergio a Luigi) più Luigi Manconi. E la sua svolta, da presidente-notaio ossequioso delle liturgie a pirotecnico picconatore del mondo che lo aveva eletto a larghissima maggioranza ("i partiti si erano illusi di aver spedito al Quirinale un uomo scialbo, di seconda fila, disciplinato e obbediente") fu davvero un uragano.

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Cominciò dando battaglia al giudice Felice Casson fino a proclamare la fedeltà a Gladio: "Sono uno di quei ragazzi che il 18 aprile faceva parte di una formazione armata, a Sassari, come in tante altre città d'Italia. Giovani dicì armati dall'arma dei carabinieri, per difendere le sedi dei partiti e noi stessi nel caso i comunisti, perdute le elezioni, avessero tentato un colpo di Stato ". Furente con la "sua" Dc e soprattutto con Giulio Andreotti dai quali si sentiva sempre più isolato, allargò il tiro. E prese a mettere in discussione tutto e tutti. Davanti allo sconcerto, sulle prime, ci rise su: "Qualcuno dice che sono un po’ matto. Ma dalla diagnosi di schizofrenia si è passati a quella di nevrosi e ormai siamo vicini a un leggero stato d'ansia. Alla fine del mio mandato sarò completamente sano ".

Feroce nelle battute sugli altri, si sentiva libero di sorridere anche di se stesso. Fino a dire a Claudio Sabelli Fioretti: "Sono stato il peggior Presidente nella storia. Sono quello che ha combinato di meno. Ho causato un sacco di guai. Sono stato il peggiore e il più inutile. Sono stato un velleitario. Sono stato dannoso. Ho fatto venir meno la funzione di una delle grandi istituzioni dello Stato. La mia presidenza era priva di qualunque autorità reale". Lo pensava davvero? Mah... È lecito dubitarne. Ogni tanto, nelle sue sventagliate, sbagliava mira. E magari poi si scusava. Come fece con l'ex procuratore di Napoli: "Nella vita accade talvolta di sbagliarsi, anche gravemente. Occorre allora il coraggio di riconoscerlo. Ed è quello che oggi faccio con Agostino Cordova con il quale sono stato in grave, anche se parziale dissenso su alcune sue iniziative giudiziarie quando era procuratore di Palmi (..)

Gli chiedo pubblicamente scusa per giudizi forse grossolani e affrettati e atti che non volevano essere offensivi da me compiuti nei suoi confronti ". Quali atti? Una serie di regali. Ai quali il magistrato aveva reagito con una denuncia. Dove spiegava, come riassunse l'Ansa, "d'avere ricevuto in dono un triciclo, una papera-salvagente e "Supercluedo" un gioco da piccoli detective, accompagnati dall' invito di prendersi una vacanza". C'era tutto Cossiga, nei regali che faceva. Alla senatrice Tana De Zulueta, che gli pareva naif, consegnò "Alice nel paese delle meraviglie". A Massimo D'Alema inviò un bambolotto di zucchero: "Siccome Berlusconi dice che mangia i bambini..." A Franco Mazzola, un fedelissimo accusato di tradimento, fece recapitare 30 denari di cioccolato. A Cesare Salvi, reo d'aver chiesto l'abolizione dei senatori a vita, mandò un pacco di pannoloni perché "la smettesse di avere gli incubi notturni e di fare la pipì a letto".

Passata la metà della vita a controllarsi fino a raggiungere tutti i traguardi possibili, trascorse l'altra metà infischiandosene di ogni liturgia. Anzi, più scandalizzava e più si divertiva. Come quando, alle prime manifestazioni dell'Onda studentesca, consigliò a Roberto Maroni di "infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città". Dopo di che? "Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri". Nel senso che... "Nel senso che le forze dell'ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale". Anche i docenti? "Soprattutto i docenti". Le avesse dette venti anni fa, quelle cose, sarebbe venuto giù il soffitto. Adesso, alzarono un po’ tutti le spalle: "Uffa, Cossiga! ".

Marcello Dell'Utri ne diede una definizione folgorante: "Ormai è come il nonno di casa: fai finta di niente anche se esce in mutande ". Lasciato il Quirinale a 64 anni ancora da compiere, tre lustri prima dell'età in cui comunemente gli altri presidenti vengono eletti, confidava agli amici di annoiarsi, in quella sorta di pensione anticipata di lusso. Si era dunque ritagliato uno spazio eccentrico. Dal quale si divertiva a lasciar cadere dentro la politica italiana tutte le provocazioni possibili (spesso dense di verità che nessun altro poteva permettersi di confessare) come certi monelli lanciano petardi in mezzo alle cerimonie solenni. Implacabile "impiccababbu" sugli avversari (a Marcello Pera che l'aveva accusato di rubare parlamentari come i suoi avi rubavano pecore, rispose ricordando che "che nella tradizione italiana i nomi inanimati sono sempre stati assegnati a chi aveva incerte origini. Lascio dunque immaginare al presidente Pera quale fosse il mestiere delle sue ave") aveva il merito di non risparmiarsi le auto-punzecchiature. Neppure nella veste di Externator: "In realtà non esterno: comunico. Parlo e qualche volta straparlo. Eccedo".

Dotato di un'ottima opinione di se stesso, per dirla con un eufemismo, si prendeva il lusso di confidare con leggerezza gli errori più gravi: "In nome della carità e della solidarietà ho sbagliato. Credevo che la politica economica dello stato dovesse ricalcare le linee della San Vincenzo. Abbiamo scambiato la solidarietà con lo spreco. La solidarietà con l'inefficienza. Pensavamo che i soldi non sarebbero finiti mai". Forte di questa disponibilità all'autocritica, si prendeva il lusso parallelo di non prendere sul serio nessuno: "Ho una grande stima per i comici. Sa di chi ho paura io? Di quelli che, credendosi seri, fanno ridere". Lasciò dunque agli archivi una serie di battute omicide per il puro gusto di stupire. Su Paolo Cirino Pomicino: "Nell'Udr non può far correnti. Al massimo correnti d'aria". Su Romano Prodi: "È la rivincita di Dossetti su De Gasperi". Su Enrico La Loggia: "Non è mia abitudine bastonare i servi al posto del padrone". Su Giuliano Amato: "Ha la vocazione alla ciliegina. Gli altri fanno le torte e lui le completa". Su Rocco Buttiglione: "Scusate, sapete dirmi a quest' ora come la pensa Buttiglione?". Su Gianni Letta: "È come padre Giuseppe, l'eminenza grigia di Richelieu. Ma lui è l'eminenza azzurrina". Ma soprattutto su Silvio Berlusconi. Una per tutte: "Pa-Peron". A rendergli l'ultimo saluto, potete scommetterci, andranno tutti. Anche quelli che non lo sopportavano. Quanto all'epigramma, uno lo suggerì lui stesso. Beffardo: "Per una ricostruzione della mia vita vedrei bene dialoghi in stile "A cena con il diavolo"".

Gian Antonio Stella

18 agosto 2010

 

 

 

Caso Moro, la ferita

della prova più difficile

La linea dura, il delitto, le dimissioni. E il tormento senza fine: "L'abbiamo ucciso noi"

Caso Moro, la ferita

della prova più difficile

La linea dura, il delitto, le dimissioni. E il tormento senza fine: "L'abbiamo ucciso noi"

ROMA - "Portò le mani al viso. Ammutolito. Per lunghissimi minuti". L'istante esatto in cui Francesco Cossiga seppe dell'esecuzione di Aldo Moro, quel 9 maggio 1978, Luigi Zanda, suo segretario di allora oggi senatore Pd, non l'ha più dimenticato: "Quando le tolse non mostrò commozione: noi sardi siamo più inclini a mostrare più furie che sentimenti. Ma non fu più lo stesso. Anche fisicamente. Vedevo le macchie comparirgli sul viso".

Il tormento di quei 55 giorni in cui era ancora possibile salvare lo statista dc, trattando con le Br, come si fece con i palestinesi e poi per Ciro Cirillo, l'allora ministro dell'Interno lo ha portato sempre impresso nel cuore: "Lo dico con brutalità: con la linea della fermezza abbiamo ammazzato Moro". I segni ben visibili sul volto: "Dopo le accuse che la famiglia ha lanciato verso di me, mi sono venuti i capelli bianchi. Ma nessuno può credere che io, che a Moro devo tutto, non abbia fatto l'impossibile per proteggerlo". Lo ricordano quel tormento i compagni di partito di allora. A flash. "Erano giorni laceranti" ricorda Beppe Pisanu, capo segreteria di Zaccagnini, oggi presidente Antimafia: "Era consapevole che la fermezza, di fronte alle pretese assurde delle Br, avrebbe messo a rischio la vita di Moro. E la scelta confliggeva con il principio cristiano e costituzionale che il valore della vita dell'individuo è preminente. Una situazione terribile che lo ha segnato per tutta la vita. Dopo la sua elezione a presidente mi chiamò e, senza dar nell'occhio, volle che l'accompagnassi alla tomba di Moro. Capii che voleva dare un'impronta morale e spirituale al suo incarico. Non ci dicemmo mezza parola".

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Clamore politico e silenzi privati. Era fatto così Cossiga. Moro per lui era l'uno e l'altro. Guido Bodrato, allora responsabile propaganda Dc, racconta i dubbi che lo perseguitarono: "Si interrogava continuamente su cosa si sarebbe potuto fare di più. Se ne fece una malattia. Ma la linea di non legittimare il terrorismo era l'unica possibile. Lui era sempre attento, vigile". Giovanni Galloni, allora vicesegretario della Dc, dissente: "In quei giorni di lui non mi vengono in mente cose molto buone. Dalla direzione del partito che si riunì il giorno dopo il rapimento venni incaricato di tenere i rapporti con il Viminale. Lui mi fece assistere a una riunione di massimi dirigenti dove notai una impreparazione assoluta. Anche sua. In gran parte erano iscritti alla P2. Sì, è vero che si seppe dopo, ma si notava la volontà di non andare avanti. Mi convinsi che Cossiga dovesse sapere dov'era Moro".

Misteri. Scanditi dalle dure, toccanti, lettere di Moro.

La prima a lui: "Il mio sangue ricadrà su di voi". Il presidente emerito, di recente, ne ha parlato: "Non era una maledizione", "era una preveggenza". "Tutti ci chiedevamo, leggendo, è lui o non è lui? Io ho detto, sbagliando, che non era lui. E me ne pento. Era lui. E aveva capito come stava andando a finire". Anche Cossiga lo vedeva. E non se lo perdonò. Convinto che Moro al suo posto avrebbe trattato. Come, lo rivelò lui stesso al Corriere, il leader dc faceva con i palestinesi per evitare attentati nel nostro Paese. Pisanu però fa notare: "Decisioni come quella che fu presa allora si spiegano solo nella realtà del momento che si viveva. Da un lato la volontà di tutti di salvare Moro, dall'altra di difendere lo Stato. Ci furono discussioni molto faticose in cui credo che tutti fossero sinceri con se stessi e con gli altri". Cosa vi diceste in seguito su quella scelta? "Con lui non c'era bisogno di parlare". Con il collaboratore Zanda, Cossiga parlò il 16 marzo del '78, il giorno del sequestro. Prima di porgergli, sulla scrivania del Viminale, la lettera di dimissioni. In due versioni: nel caso Moro fosse liberato o ucciso. Gli disse: "Da oggi ti devi occupare solo di Moro. Io sono, politicamente, morto".

Virginia Piccolillo

18 agosto 2010

 

 

 

il caso

La lunga lotta ai terroristi

(con onore delle armi finale)

Gli ex brigatisti ricordano che fu l'unico a considerarli nemici politici

il caso

La lunga lotta ai terroristi

(con onore delle armi finale)

Gli ex brigatisti ricordano che fu l'unico a considerarli nemici politici

ROMA - "E' stato l'unico", hanno sempre ripetuto all'unisono i terroristi rossi e neri (ma soprattutto rossi) che negli anni Settanta l'hanno considerato come il principale nemico e poi, appunto, "l'unico" ad aver riconosciuto loro l'onore delle armi; la dignità di avversari politici che, cessati gli spari e pagati i debiti con la legge, avevano diritto a essere considerati ciò che si consideravano: rivoluzionari sconfitti, non criminali comuni. Una sorta di legittimazione postuma, arrivata a guerra finita, che in realtà serviva anche a lui, per legittimare se stesso e una linea che avrà pure portato alla sconfitta del terrorismo - ma dopo quanto tempo? E dopo quanti morti? - e però è costata sacrifici immani. A cominciare dal sostanziale "via libera" all'esecuzione di quello che definiva il suo amico e maestro, Aldo Moro, ucciso dalle Br anche per la "fermezza" sponsorizzata in primo luogo da lui stesso, ministro dell'Interno di quei drammatici 55 giorni.

La vita politica di Francesco Cossiga La vita politica di Francesco Cossiga La vita politica di Francesco Cossiga La vita politica di Francesco Cossiga La vita politica di Francesco Cossiga La vita politica di Francesco Cossiga La vita politica di Francesco Cossiga La vita politica di Francesco Cossiga

Il giorno della morte di Francesco Cossiga (non più Kossiga, come scrivevano trent'anni fa) quel giudizio non cambia. E accomuna pressoché tutti gli ex brigatisti di ogni risma e categoria: dissociati, pentiti, irriducibili, arresi, e qualsiasi altra definizione si voglia trovare per chi è passato dalla principale formazione armata dei cosiddetti "anni di piombo". Capi o gregari che fossero.

Uno che ha sempre rivendicato la propria militanza brigatista collezionando ergastoli senza mai rispondere alle domande di un magistrato - Francesco Piccioni, della colonna romana delle Br, responsabile di diversi omicidi firmati con la stella a cinque punte - l'ha intervistato per un libro sul '77, l'anno delle sparatorie in piazza, dei morti in divisa e fra i dimostranti; quasi rivendicati, questi ultimi, da Cossiga. "Con lui - ricorda oggi Piccioni - s'era instaurato un rapporto simile a quello fra ufficiali di eserciti nemici che si sono combattuti e presi a fucilate, ma una volta terminato il conflitto hanno concesso alla controparte il dovuto rispetto". E per i brigatisti rispetto significa essere catalogati come guerriglieri battuti in uno scontro senza quartiere, e non solo assassini che seminavano morti agli angoli delle strade, di solito la mattina presto, quando gli "obiettivi" uscivano di casa per andare al lavoro. Il ministro dell'Interno e poi presidente del Consiglio di quella sanguinosa guerra aveva riconosciuto la genuinità del fenomeno eversivo italiano. E questo per i militanti della lotta armata, carcerati e assediati dalla "dietrologia" di chi teorizza oscure e indicibili trame dietro le loro gesta, è già un grande risultato.

E' quello che sottolinea anche Valerio Morucci (un "dissociato" degli anni Ottanta, altra categoria di ex brigatista), quando afferma che "Cossiga aveva interiorizzato il dramma della gestione del potere, necessariamente cinica e indifferente alla vita dei singoli". Fosse anche quella di Aldo Moro, lasciato uccidere senza tentare nulla che non fossero spettacolari e un pò farsesche operazioni di polizia che sapevano più di parata che di investigazione.

Allora il riconoscimento dello status di nemici politici insorti, negato al tempo del conflitto (anche al prezzo dell'omicidio di Moro, come di tante altre vittime) è stato pure - forse - un modo per riabilitare la propria rivendicata "fermezza", oltre che i "guerriglieri" dell'epoca. "Cessate le ragioni dell'inimicizia e quella della propaganda, ha saputo riconoscere la nostra identità - spiega ancora Morucci - offrendo la possibilità di una memoria non unica ma comune; non condivisa ma narrabile da tutti, ciascuno per la parte che ha rappresentato".

La legittimazione reciproca con gli ex terroristi ha attraversato gli ultimi vent'anni di vita politica di Francesco Cossiga. Dalla volontà di concedere la grazia a Renato Curcio fino alla lettera inviata agli avvocati brasiliani di Cesare Battisti, utilizzata per tentare di far ottenere l'asilo politico all'ex militante dei Proletari armati per il comunismo, condannato a quattro ergastoli per altrettanti omicidi, di cui l'Italia aspetta ancora l'estradizione. In quella missiva scrisse che i "sovversivi di sinistra" erano dei "rivoluzionari impotenti, che con gli atti di terrorismo credevano non certo di fare, ma di innescare la rivoluzione, secondo gli insegnamenti di Lenin. I crimini della sovversione di sinistra sono crimini ma politici, non comuni".

Difficile sperare di più da un governante al quale, trent'anni prima, i brigatisti e gli altri "rivoluzionari" avrebbero sparato senza alcuna remora. E lui altrettanto.

Giovanni Bianconi

18 agosto 2010

 

 

 

 

 

 

2010-08-17

ALLEGATA AL TESTAMENTO

A Schifani: "Un onore servire lo Stato"

La lettera inviata da Cossiga al presidente del Senato

ALLEGATA AL TESTAMENTO

A Schifani: "Un onore servire lo Stato"

La lettera inviata da Cossiga al presidente del Senato

ROMA - "Fu per me un onore grande servire la Repubblica, a cui sempre sono stato fedele; e sempre tenni per fermo onorare la Nazione ed amare la Patria. Fu per me un privilegio altissimo: rappresentare il Popolo Sovrano nella Camera dei Deputati prima, del Senato della Repubblica quale Senatore elettivo, Senatore di diritto e vita e Presidente di esso; e privilegio altissimo fu altresì servire lo Stato nel Governo della Repubblica quale membro di esso e poi Presidente del Consiglio dei Ministri ed infine nell'ufficio di Presidente della Repubblica". Inizia così la lettera di Francesco Cossiga indirizzata al presidente del Senato, Renato Schifani.

LE ALTRE LETTERE - L'ex presidente ha allegato al testamento quattro lettere indirizzate alle più alte cariche dello Stato: oltre che a Schifani, le missive sono infatti state recapitate al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al premier, Silvio Berlusconi, e al presidente della Camera, Gianfranco Fini.

IL TESTO INTEGRALE - "Onorevole Presidente del Senato della Repubblica -si legge nella lettera- nel momento in cui il giudizio sulla mia vita è misurato da Dio Onnipotente sulle verità in cui ho creduto e che ho testimoniato e sulla giustizia e carità che ho praticato, professo la mia Fede Religiosa nella Santa Chiesa Cattolica e confermo la mia fede civile nella Repubblica, comunità di liberi ed uguali e nella Nazione italiana che in essa ha realizzato la sua libertà e la sua unità. Fu per me un onore grande servire la Repubblica, a cui sempre sono stato fedele; e sempre tenni per fermo onorare la Nazione ed amare la Patria. Fu per me un privilegio altissimo: rappresentare il Popolo Sovrano nella Camera dei Deputati prima, del Senato della Repubblica quale Senatore elettivo, Senatore di diritto e a vita e Presidente di esso; e privilegio altissimo fu altresì servire lo Stato nel Governo della Repubblica quale membro di esso e poi Presidente del Consiglio dei Ministri ed infine nell'ufficio di Presidente della Repubblica. Nel mio testamento, ho disposto che le mie esequie abbiano carattere del tutto privato, con esclusione di ogni pubblica onoranza e senza la partecipazione di alcuna autoritá.

"IDDIO PROTEGGA L'ITALIA" - "Per quanto attiene le onoranze che i costumi e gli usi riservano di solito ai membri ed ex-Presidenti del Senato, agli ex-Presidenti del Consiglio dei Ministri ed agli ex-Presidenti della Repubblica, qualora Ella ed il Governo della Repubblica decidessero di darne luogo, è mia preghiera -è scritto nella lettera di Cossiga- che ciò avvenga dopo le mie esequie, con le modalitá, nei luoghi e nei tempi ritenuti opportuni. Voglia porgere ai valorosi ed illustri Senatori il mio ultimo saluto ed il mio augurio più fervido di ben servire la Nazione e di ben governare la Repubblica al servizio del Popolo, unico sovrano del nostro Stato democratico. Che Iddio protegga l'Italia!"

Francesco Cossiga

17 agosto 2010

 

 

 

SI è SPENTO A 82 ANNI. la camera ardente mercoledì. I FUNERALI NEL SASSARESE

Addio al Picconatore, è morto Cossiga

L'ex presidente della Repubblica aveva mostrato un peggioramento delle condizioni durante la notte

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Addio al Picconatore, è morto Cossiga

L'ex presidente della Repubblica aveva mostrato un peggioramento delle condizioni durante la notte

ROMA -L'ex capo dello Stato Francesco Cossiga è morto alle ore 13.18. Il senatore a vita aveva mostrato un repentino e drastico peggioramento delle condizioni circolatorie durante la notte che ha necessitato la ripresa di tutti i supporti vitali. Le condizioni di Cossiga erano precipitate durante la notte, dopo giorni di cauto ottimismo.

IL BOLLETTINO - Cossiga, recitava il bollettino medico di questa mattina, ha mostrato un repentino e drastico peggioramento delle condizioni circolatorie che ha necessitato la ripresa di tutti i supporti vitali. Il presidente emerito, da nove giorni ricoverato nel reparto di terapia intensiva del Gemelli per una grave insufficienza cardio-respiratoria, era sedato e intubato, e la respirazione si era fatta via via più difficile, fino al precipitare della situazione nella tarda mattinata di oggi.

La vita politica di Francesco Cossiga La vita politica di Francesco Cossiga La vita politica di Francesco Cossiga La vita politica di Francesco Cossiga La vita politica di Francesco Cossiga La vita politica di Francesco Cossiga La vita politica di Francesco Cossiga La vita politica di Francesco Cossiga

LE ULTIME VOLONTÀ - Cossiga ha lasciato una lettera al segretario generale del Senato con indicazioni dettagliate sulle sue esequie. I funerali si svolgeranno giovedì a Cheremule (Sassari), un piccolo paese del Meilogu. Lo si è appreso da amici di famiglia, che hanno spiegato che il presidente era particolarmente affezionato a Cheremule perché vi erano nati i genitori. All'origine della scelta di Cossiga potrebbe aver anche influito il fatto che le dimensioni della chiesa parrocchiale e del sagrato sono tali da favorire il carattere strettamente privato delle esequie, che sarebbe stato espressamente chiesto dal presidente con le lettere inviate alla massime cariche dello Stato. Cossiga avrebbe anche chiesto di essere seppellito nella sua città natale, Sassari, accanto al padre e alla sorella. La camera ardente per il senatore a vita sarà allestita mercoledì, dalle 10 alle 18 nella Chiesa centrale del Policlinico Gemelli in largo Francesco Vito 1, a Roma.

LETTERE ALLE AUTORITÀ - Sempre al segretario del Senato, Cossiga ha consegnato quattro lettere alle più alte autorità dello Stato.

Redazione online

17 agosto 2010

 

 

 

In quella a schifani ha scritto: "ho onorato la repubblica con fedeltà"

L'addio in stile Cossiga: 4 lettere sigillate

Al segretario del Senato 4 missive dirette al premier, al capo dello Stato e ai presidenti di Camera e Senato

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MILANO - Quattro lettere, dirette alle massime autorità dello Stato, in un plico sigillato. Le ha lasciate, prima di morire, Francesco Cossiga, scomparso in mattinata all'età di 82 anni, alla segreteria generale del Senato, assieme a una lettera con le disposizioni per i suoi funerali.

LE LETTERE - Le lettere, l'ultimo saluto dell'ex capo dello Stato alla politica, sono indirizzate al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, al presidente del Senato Renato Schifani, al presidente della Camera Gianfranco Fini e al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Le missive, secondo le disposizioni del presidente emerito, dovevano essere consegnate solo dopo la sua morte. I presidenti delle due Camere, secondo quanto si apprende, le hanno già ricevute.

La vita politica di Francesco Cossiga La vita politica di Francesco Cossiga La vita politica di Francesco Cossiga La vita politica di Francesco Cossiga La vita politica di Francesco Cossiga

LA MISSIVA A SCHIFANI - "Fu per me un onore grande servire la Repubblica, a cui sempre sono stato fedele" ha scritto il senatore a vita al presidente di Palazzo Madama, Renato Schifani (leggi il testo integrale).

Redazione online

17 agosto 2010

 

 

 

 

ADDIO A FRANCESCO COSSIGA

La lunga storia di un "Picconatore"

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Francesco Cossiga

Francesco Cossiga

MILANO - Resterà famoso come il "Piccconatore". L'appellativo gli fu appioppato, e da lui orgogliosamente rilanciato e rivendicato, nella fase finale del suo mandato presidenziale quando iniziò a menare fendenti a destra e a manca, senza risparmiare nessuno ed alcun tema, con foga dissacrante e veemenza politica. Francesco Cossiga (nato a Sassari il 26 luglio del 1928) è stato un unicum nel panorama politico italiano: non solo per essere stato il più giovane presidente della Repubblica (dal 1985, a 56 anni, dopo essere stato il più giovane presidente del Senato dal 1983), ma per la quantità di scosse date ad un ambiente sensibile alle dichiarazioni e rivelazioni.

LA VICENDA MORO - Il suo nome resterà indelebilmente legato ai terribili 55 giorni del rapimento di Aldo Moro nella primavera del 1978 ad opera delle Brigate Rosse, conclusisi con l'assassinio dell'uomo politico democristiano. In quei giorni Cossiga era ministro dell'Interno e presiedette il comitato di crisi da lui stesso istituito presso il ministero e tutto composto (come si scoprì in seguito) da affiliati alla loggia massonica P2. Uomo dei misteri e disvelatore degli stessi (fu il primo a parlare di Gladio, organizzazione paramilitare filoamericana istituita in Italia semiufficialmente in funzione anticomunista), dalla fase terminale del suo mandato presidenziale in poi ha giocato il ruolo di destabilizzatore di equilibri politici e di anticonformista. Ha vissuto gli ultimi decenni della vita politica italiana in simbiosi con un altro leader democristiano di lunga carriera, Giulio Andreotti, rispetto al quale si è spesso trovato su fronti opposti. Orgogliosamente legato alla sua Sardegna, era cugino dei Berlinguer, famiglia il cui esponente politico più noto, Enrico, fu segretario del Pci.

I LEGAMI INTERNAZIONALI - Da un punto di vista internazionale, Cossiga è stato un grande amico della Gran Bretagna, dell'Irlanda e dei Paesi Baschi ed è stato un fiero oppositore di tutti i nemici dei suoi "amici". E' stato uno studioso di Rosmini e Tommaso Moro. Come ministro dell'Interno, oltre che per il caso Moro (alla cui conclusione si dimise dall'incarico), fu famoso per la repressione delle lotte studentesche nella seconda parte degli anni 70 e della riforma dei servizi segreti. Fu accusato della "responsabilità morale" della morte della studentessa Giorgiana Masi ad opera della Polizia nel corso di scontri ad una manifestazione nei pressi di Trastevere a Roma nel 1977; erano i tempi in cui graffitari politici scrivevano il nome del ministro con la K ed il simbolo delle Ss naziste. E' sempre stato un grande esperto ed appassionato dei temi correlati alla intelligence ed alle tecnologie di trasmissione dati via etere, collezionando le trasmittenti più sofisticate ed ogni tipo di telefono cellulare, oltre che radioamatore. In un'intervista dell'ottobre 2008, bissata da uno stupefacente intervento parlamentare, confermò di avere infiltrato il movimento studentesco degli anni 70 con agenti provocatori per cercare poi sostegno popolare alla repressione poliziesca.

L'ADDIO AL COLLE - Del resto l'uomo ha sempre amato gesti eclatanti, clamorosi e anticonformisti come la scelta di dimettersi dal mandato presidenziale due mesi prima della scadenza (onde evitare un "ingorgo istituzionale" con le elezioni politiche). Da allora in poi la sua attività politica ha assunto le più svariate tendenze: nel 1998 permise la nascita del governo D'Alema (il primo governo in Italia presieduto da un esponente dell'ex Partito comunista) dando vita ad una nuova formazione politica (l'Udr) che diede a questo governo in Parlamento la maggioranza necessaria; negli anni successivi sostenne invece contestate iniziative del governo Berlusconi con espliciti interventi. E' stato probabilmente il simbolo della difficile transizione italiana dagli anni dei governi democristiani a quelli del bipolarismo

17 agosto 2010

 

 

 

I messaggi per la scomparsa dell'ex presidente della Repubblica

Morte di Cossiga, cordoglio del Papa

Napolitano: "Figura eminente del cattolicesimo liberale e democratico". Berlusconi: "Perdo un amico carissimo"

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MILANO - Pochi minuti dopo l'annuncio della morte di Francesco Cossiga sono arrivati i messaggi di cordoglio dal mondo politico e non solo. Anche il Papa è stato immediatamente informato della notizia della morte dell’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga ed è profondamente addolorato. Assicura "preghiere per il defunto e vicinanza alla famiglia": lo riferiscono ad Apcom fonti vaticane ricordando il legame tra Benedetto XVI e Cossiga e la conoscenza tra i due. "Pochi giorni fa il Papa aveva inviato monsignor Fisichella a suo nome in visita da Cossiga e nel mese precedente ci sono state alcune telefonate tra il Pontefice e l’ex presidente", hanno aggiunto dai sacri palazzi. È atteso, probabilmente nel pomeriggio, un telegramma di cordoglio di Benedetto XVI. La notizia della scomparsa di Francesco Cossiga ha raggiunto il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nella tenuta residenziale di Castelporziano.

NAPOLITANO - Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, appresa la notizia della scomparsa del Presidente Emerito della Repubblica Senatore Francesco Cossiga, ha rilasciato la seguente dichiarazione: "A sentimenti di affettuosa vicinanza ai figli e a tutti i famigliari di Francesco Cossiga si unisce la mia forte commozione personale, che nasce dal ricordo del nostro primo incontro in Parlamento nel lontano 1958 e del comune impegno cui ci avviammo da giovani deputati, con eguale passione civile anche se su sponde politiche diverse. Mi colpirono subito - insieme con la vivacità e varietà dei suoi interessi culturali - quella ricchezza umana, quell'animo estroverso e cordiale e quel senso dell'umorismo che sempre ne avrebbero accompagnato il lungo servizio nella vita pubblica. La sua resta una figura eminente di quel grande movimento che è stato in Italia il cattolicesimo liberale e democratico; e insieme una figura altamente rappresentativa della fusione tra un forte senso delle diverse storie e culture di cui è fatta l'Italia"

BERLUSCONI - Il presidente del Consiglio ha commentato la morte di Cossiga dicendo di "perdere un amico carissimo, affettuoso, generoso. Mi mancheranno il suo affetto, la sua intelligenza, la sua ironia, il suo sostegno. Ai suoi figli l'impegno della mia vicinanza".

La vita politica di Francesco Cossiga La vita politica di Francesco Cossiga La vita politica di Francesco Cossiga La vita politica di Francesco Cossiga La vita politica di Francesco Cossiga La vita politica di Francesco Cossiga La vita politica di Francesco Cossiga La vita politica di Francesco Cossiga

FINI - "Ho appreso con profondo dolore la notizia della morte del presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga" scrive in una nota il presidente della Camera, Gianfraco Fini. "In oltre cinquant'anni di attività al servizio delle Istituzioni, prima come sottosegretario poi come ministro, Presidente del Consiglio, Presidente del Senato e, al culmine del suo cammino istituzionale, come Capo dello Stato - scrive Fini - Cossiga ha interpretato con vigore e coerenza i princìpi della Costituzione, fornendo anche un prezioso contributo alla salvaguardia della democrazia nel corso di alcune delle fasi più drammatiche della vita repubblicana dei decenni passati".

D'ALEMA - "Apprendo con dolore la notizia della scomparsa di Francesco Cossiga. È stato un grande protagonista della vita democratica del nostro paese". E' questa la nota del presidente del Copasir, Massimo D'Alema. "Con lui - prosegue D'Alema - abbiamo avuto momenti di incontro così come di aspri conflitti, vissuti sempre con rispetto reciproco e lealtà. In questi ultimi anni - conclude - ci ha unito un'intensa amicizia, della quale gli resterò grato".

CASINI - Secondo il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini, "scompare con Francesco Cossiga uno dei protagonisti della vita della nostra Repubblica. In lui, come in pochi altri, si sono sintetizzate le alterne vicende della politica: ha avuto grandi soddisfazioni e infinite amarezze, si è dimesso ed è risorto politicamente più volte. Personalità anticonformista, coraggiosa e anticipatrice, la sua scomodità è stata coerentemente preservata in tutto il corso della sua vita. Per me e per tanti come me è stato un amico: scomodo, anche nell'amicizia ma sempre affettuoso e leale".

BERSANI - "Una notizia molto triste. Se ne vanno una persona singolare e straordinaria e una parte della nostra storia".

BONAIUTI - "Con Francesco Cossiga scompare un grande servitore dello Stato, un grande uomo politico, un grande maestro. Ho perduto con lui una fonte di affettuosi, preziosi, sempre disinteressati e sempre insostituibili consigli, vere e proprie lezioni distribuite per lo più dal divano di casa sua in lunghi colloqui dedicati alla politica la domenica sera".

BOBO CRAXI - "Con Francesco Cossiga scompare una delle figure più eminenti della Repubblica italiana. Il suo valore verrà apprezzato nel tempo, come per i veri uomini di Stato. In questo giorno triste, voglio affermare che Francesco Cossiga fu per mio padre Bettino più di un collega, così come per la mia famiglia, che ne ha sempre apprezzato le grandi doti umane, l'intelligenza, la straordinaria ironia".

SACCONI - "L'Italia piange oggi un grande Presidente della Repubblica, leader politico coraggioso che fu vittima di una procedura di impeachment promossa da alcuni di coloro che oggi farisaicamente lo celebreranno".

MASTELLA - "Provo un grande affetto rispetto a una persona eccezionale. Ritengo sia stato tra le intelligenze più lucide della Democrazia Cristiana, del Parlamento italiano, ha contribuito al cambiamento della politica italiana. Abbiamo contribuito a un fatto storico , l'avvento di un post comunista a Palazzo Chigi. Con Cossiga abbiamo avuto sempre rapporti intensi, e mi è stato vicino nei momenti di grande difficoltà che ho subito".

MATTEOLI - "Sono davvero rattristato per la morte del Presidente Francesco Cossiga, uomo politico di grande spessore e Capo dello Stato lungimirante che seppe anticipare il cambiamento. Desidero far giungere al figlio Giuseppe e alla famiglia i sentimenti del mio sincero cordoglio". Lo afferma il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Altero Matteoli.

FINOCCHIARO - "Addolora profondamente la scomparsa del presidente emerito Francesco Cossiga, un protagonista indiscusso della politica e della vita delle istituzioni italiane. Ci mancheranno i suoi pensieri attenti, ricercati, a volte volutamente provocatori, ma sempre di grande lucidità politica e permeati dal profondo senso dello Stato.

ROTONDI - "È già davanti al Signore con in tasca la preghiera del partigiano. Come loro fu per tutta la vita ribelle per amore della libertà. Con lui si spegne la voce più alta del cattolicesimo politico europeo". Lo afferma il ministro per l'Attuazione del Programma, Gianfranco Rotondi.

STORACE - "È stato un grande presidente della Repubblica. È stato interprete, dal Quirinale, della voglia di cambiamento di un popolo. È stato anche capace di chiedere scusa. È stato il primo "sdoganatore" del Msi".

RONCHI - "Ci mancherà la sua voce libera, la sua ironia sottile e provocatoria ma sempre finalizzata alla nascita di un confronto lontano dalla contrapposizione violenta e dallo scontro. In questo momento di dolore mi piace ricordare la sua vita al servizio della politica e delle istituzioni sempre improntata da una profonda fede cattolica".

17 agosto 2010

 

 

 

Cossiga compie 80 anni: Moro?

Sapevo di averlo condannato a morte

"La strage di Bologna, fu un incidente della resistenza palestinese"

l'intervista

Cossiga compie 80 anni: Moro?

Sapevo di averlo condannato a morte

"La strage di Bologna, fu un incidente della resistenza palestinese"

Francesco Cossiga (Emblema)

Francesco Cossiga (Emblema)

Presidente Cossiga, auguri per i suoi ottant'anni. Lei è sempre malatissimo, e tende sempre a relativizzare il suo cursus honorum — Viminale, Palazzo Madama, Palazzo Chigi, Quirinale —. Eppure la vita le ha dato longevità e potere. Come se lo spiega?

"Ma io sono ammalatissimo sul serio! Nove operazioni, di cui cinque gravi, una della durata di sette ore, seguita da tre giorni di terapia intensiva. Ma resisto. Come si dice in sardo: "Pelle mala no moridi"; i cattivi non muoiono. E io buono non sono. Io relativizzo tutto quello che non attiene all'eterno. E poi, come spiego in un libro che uscirà a ottobre, "A carte scoperte", scritto con Renato Farina, tutte le cariche le ho ricoperte perché in quel momento e per quel posto non c'era nessun altro disponibile. Io uomo di potere? Sempre a ottobre uscirà un altro libro — "Damnatio memoriae in vita" — con tutti gli articoli, lettere e pseudo saggi di insulti e peggio pubblicati durante il mio settennato contro di me da Repubblica ed Espresso ".

A trent'anni dalla morte di Moro, il consulente che le inviò il Dipartimento di Stato, Steve Pieczenick, ha detto: "Con Cossiga e Andreotti decidemmo di lasciarlo morire". Quell'uomo mente? Ricorda male? Ci fu un fraintendimento tra voi? O a un certo punto eravate rassegnati a non salvare Moro?

"Quando, con il Pci di Berlinguer, ho optato per la linea della fermezza, ero certo e consapevole che, salvo un miracolo, avevamo condannato Moro a morte. Altri si sono scoperti trattativisti in seguito; la famiglia Moro, poi, se l'è presa solo con me, mai con i comunisti. Il punto è che, a differenza di molti cattolici sociali, convinti che lo Stato sia una sovrastruttura della società civile, io ero e resto convinto che lo Stato sia un valore. Per Moro non era così: la dignità dello Stato, come ha scritto, non valeva l'interesse del suo nipotino Luca".

Esclude che le Br furono usate da poteri stranieri che volevano Moro morto?

"Solo la dietrologia, che è la fantasia della Storia, sostiene questo. Tutta questa insistenza sulla "storia criminale" d'Italia è opera non di studiosi, ma di scribacchini. Gente che, non sapendo scrivere di storia e non essendo riusciti a farsi eleggere a nessuna carica, scrivono di dietrologia. Fantasy, appunto".

Quale idea si è fatto sulle stragi definite di "Stato", da piazza Fontana a piazza della Loggia? La Dc ha responsabilità dirette? Sapeva almeno qualcosa?

"Non sapeva nulla e nessuna responsabilità aveva. Molto meno di quelle che il Pci (penso all'"album di famiglia" della Rossanda) aveva per il terrorismo rosso".

Perché lei è certo dell'innocenza di Mambro e Fioravanti per la strage di Bologna? Dove vanno cercati i veri colpevoli?

"Lo dico perché di terrorismo me ne intendo. La strage di Bologna è un incidente accaduto agli amici della "resistenza palestinese" che, autorizzata dal "lodo Moro" a fare in Italia quel che voleva purché non contro il nostro Paese, si fecero saltare colpevolmente una o due valigie di esplosivo. Quanto agli innocenti condannati, in Italia i magistrati, salvo qualcuno, non sono mai stati eroi. E nella rossa Bologna la strage doveva essere fascista. In un primo tempo, gli imputati vennero assolti. Seguirono le manifestazioni politiche, e le sentenze politiche".

Scusi, i palestinesi trasportavano l'esplosivo sui treni delle Ferrovie dello Stato?

"Ero presidente del Consiglio, e fui informato dai carabinieri che le cose erano andate così. Anche le altre versioni che raccolsi collimavano. Se è per questo, i palestinesi trasportarono un missile sulla macchina di Pifano, il capo degli autonomi di via dei Volsci. Dopo il suo arresto ricevetti per vie traverse un telegramma di protesta da George Habbash, il capo del Fronte popolare per la liberazione della Palestina: "Quel missile è mio. State violando il nostro accordo. Liberate subito il povero Pifano"".

C'è qualcosa ancora da chiarire nel ruolo di Gladio, di cui lei da sottosegretario alla Difesa fu uno dei padri?

"I padri di Gladio sono stati Aldo Moro, Paolo Emilio Taviani, Gaetano Martino e i generali Musco e De Lorenzo, capi del Sifar. Io ero un piccolo amministratore. Anche se mi sono fatto insegnare a Capo Marrangiu a usare il plastico".

Il plastico?

"I ragazzi della scuola di Gladio erano piuttosto bravi. Forse oggi non avrei il coraggio, ma posseggo ancora la tecnica per far saltare un portone. Non è difficile: si manipola questa sostanza che pare pongo, la si mette attorno alla struttura portante, quindi la si fa saltare con una miccia o elettricamente... ".

E' sicuro che il plastico di Gladio non sia stato usato davvero?

"Sì, ne sono sicuro. Gli uomini di Gladio erano ex partigiani. Era vietato arruolare monarchici, fascisti o anche solo parenti di fascisti: un ufficiale di complemento fu cacciato dopo il suo matrimonio con la figlia di un dirigente Msi. Quasi tutti erano azionisti, socialisti, lamalfiani. I democristiani erano pochissimi: nel mio partito la diffidenza antiatlantica è sempre stata forte. Del resto, la Santa Sede era ostile all'ingresso dell'Italia nell'Alleanza Atlantica. Contrari furono Dossetti e Gui, che pure sarebbe divenuto ministro della Difesa. Moro fu costretto a calci a entrare in aula per votare sì. E dico a calci non metaforicamente. Quando parlavo del Quirinale con La Malfa, mi diceva: "Io non c'andrò mai. Sono troppo filoatlantico per avere i voti democristiani e comunisti"".

Qual è secondo lei la vera genesi di Tangentopoli? Fu un complotto per far cadere il vecchio sistema? Ordito da chi? Di Pietro fu demiurgo o pedina? In quali mani?

"Credo che gli Stati Uniti e la Cia non ne siano stati estranei; così come certo non sono stati estranei alle "disgrazie" di Andreotti e di Craxi. Di Pietro? Quello del prestito di cento milioni restituito all'odore dell'inchiesta ministeriale in una scatola di scarpe? Un burattino esibizionista, naturalmente ".

La Cia? E in che modo?

"Attraverso informazioni soffiate alle procure. E attraverso la mafia. Andreotti e Craxi sono stati i più filopalestinesi tra i leader europei. I miliardi di All Iberian furono dirottati da Craxi all'Olp. E questo a Fort Langley non lo dimenticano. In più, gli anni dal '92 in avanti sono sotto amministrazioni democratiche: le più interventiste e implacabili".

Quando incontrò per la prima volta Berlusconi? Che cosa pensa davvero di lui, come uomo e come politico?

"Era il 1974, io ero da poco ministro. Passeggiavo per Roma con il collega Adolfo Sarti quando incontrai Roberto Gervaso, che ci invitò a cena per conoscere un personaggio interessante. Era lui. Parlò per tutta la sera dei suoi progetti: Milano 2 e Publitalia. Non ho mai votato per Berlusconi, ma da allora siamo stati sempre amici, e sarò testimone al matrimonio di sua figlia Barbara. Certo, poteva fare a meno di far ammazzare Caio Giulio Cesare e Abramo Lincoln...".

Ci sono accuse più recenti.

"Non facciamo i moralisti. Il premier britannico Wilson fece nominare contessa da Elisabetta la sua amante e capo di gabinetto. Noi galantuomini stiamo con la Pompadour. Quindi, stiamo con la Carfagna ".

Lei non è mai stato un grande estimatore di Veltroni. Come le pare si stia muovendo? Resisterà alla guida del Pd, anche dopo le Europee?

"E che cosa è il Pd? Io mi iscriverei meglio a ReD, il movimento di D'Alema, di cui ho anche disegnato il logo: un punto rosso cerchiato oro. Veltroni è un perfetto doroteo: parla molto, e bene, senza dire nulla. Perderà le Europee, ma resisterà; e l'unica garanzia per i cattolici nel Pd che non vogliono morire socialisti".

Perché le piace tanto D'Alema?

"Perché come me per attaccare i manifesti elettorali è andato di giro nottetempo con il secchio di colla di farina a far botte. Perché è un comunista nazionale e democratico, un berlingueriano di ferro, e quindi un quasi affine mio, non della mia bella nipote Bianca Berlinguer che invece è bella, brava e veltroniana. E poi è uno con i coglioni. Antigiustizialista vero, e per questo minacciato dalla magistratura ".

Cosa pensa dei giovani cattolici del Pd? Chi ha più stoffa tra Franceschini, Fioroni, Follini, Enrico Letta?

"Sono una generazione sfortunata. Il loro futuro è o con il socialismo o con Pierfurby Casini".

Come si sta muovendo suo figlio Giuseppe in politica? E' vero che lei ha un figlio "di destra" e una figlia, Annamaria, "di sinistra"?

"Li stimo molto entrambi. Tutti e due sono appassionati alla politica come me. Mia figlia è di sinistra, dalemiana di ferro, e si iscriverà a ReD. Mio figlio è un conservatore moderno, da British Conservative Party. Io pencolo più verso mio figlio".

E' stato il matrimonio il grande dolore della sua vita?

"Non amo parlare delle mie cose private. Posso solo dire che la madre dei miei figli era bellissima, intelligentissima, bravissima, molto colta. Che ha educato benissimo i ragazzi. E che io l'ho amata molto".

Aldo Cazzullo

08 luglio 2008(ultima modifica: 17 agosto 2010)

 

 

 

 

REPUBBLICA

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2010-08-19

I FUNERALI

Cossiga, l'addio a Sassari

"Picconava con amore"

Il feretro è uscito a mezzogiorno dalla parrocchia di San Giuseppe a Sassari, avvolto nel tricolore e nella bandiera dei Quattro Mori, per l'ultimo viaggio verso il cimitero monumentale della città. La cerimonia sarda è stata preceduta da una messa per pochi intimi a Roma

Cossiga, l'addio a Sassari "Picconava con amore" Il feretro di Francesco Cossiga questa mattina a Roma

ROMA - "Una preghiera per me, si ricordi di pregare per me", raccomandava il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga ai sacerdoti e agli amici, quando li salutava. E per lui in queste ore stanno pregando in tanti, dal Lazio alla Sardegna.

Il feretro è uscito alle 12.00 dalla parrocchia di San Giuseppe a Sassari, avvolto nel tricolore e nella bandiera dei Quattro Mori e diretto verso il cimitero monumentale della città, per essere inumato nella tomba di famiglia, a dieci metri da dove riposa un altro ex presidente della Repubblica, Antonio Segni.

Nell'omelia concelebrata dal vescovo di Sassari monsignor Paolo Atzei, e da quello di Nuoro, Monsignor Pietro Meloni, amico di infanzia di Cossiga, sono stati tratteggiati gli aspetti umani del presidente emerito che mai durante la sua lunga carriera politica dimenticò le sue radici e, hanno detto i due vescovi affiancati dal cappellano della Brigata Sassari, dimenticò la sua fede religiosa che fu sempre la sua ispiratrice nel suo impegno politico. Nell'omelia è stato letto un passo di Giobbe e proprio citando la Bibbia i vescovi hanno detto che finalmente "Francesco Cossiga vedrà il vero volto di Dio".

"Francesco Cossiga picconava per amore - ha detto l'arcivescovo di Nuoro Meloni - e se la sua ironia bonaria nelle intenzioni si rivestiva talvolta di spirito di rivalsa e di qualche pavoneggiamento che lui stesso riconosceva, pentendosene, lo spirito cristiano lo riconduceva al perdono. Riscoprì un bel giorno l'antico proverbio sardo 'dai matti e dai bambini si puo' sentire la verita", ma ha pianto lacrime sincere per la tragedia del suo amico Aldo Moro". "Ha certamente fatto del bene - ha aggiunto - e se ha bisogno del perdono otterrà il perdono di Dio. Il mondo forse continuerà a parlare di lui, per studiarlo meglio e capirlo perchè con lui la fantasia è andata un pò al potere", ha aggiunto monsignor Meloni, prima di concludere con un passo di una lettera di San Paolo ai Romani: "Dio giustifica e Gesù Cristo che è morto e resuscitato intercede per noi".

La cerimonia di Sassari è stata preceduta da una messa per pochi intimi a Roma. Questa mattina, a ricordare il presidente emerito della repubblica nella chiesa dei Santi Ambrogio e Carlo in via del Corso a Roma, non c'erano vip ma solo parenti e amici. Una messa in suffragio discreta, così come voluto dalla famiglia e dallo stesso Francesco Cossiga.

Ieri, nella camera ardente nella chiesa madre del Policlinico Gemelli, c'erano tutte le più alte cariche dello Stato, personalità politiche e militari, ed era circolata la voce di una "messa strettamente riservata ai parenti e amici piu" stretti. Una messa in suffragio, insomma, che avrebbe dovuto precedere i funerali a Sassari. Questa mattina, alle 7,20, l'arrivo della salma nella Chiesa della capitale, dove ad attenderla c'erano non più di venti persone, tra cui i figli di Cossiga Annamaria e Giuseppe e i fedelissimi uomini della scorta.

Le esequie nella chiesa romana di San Carlo al Corso sono durate 45 minuti. Una messa molto intima, alla quale erano presenti parenti, collaboratori di una vita e alcuni cari amici. Un piccolo corteo di macchine sta accompagnando il carro funebre, che è scortato da quattro moto dei carabinieri, verso l'aeroporto.

(19 agosto 2010)

 

 

 

2010-08-18

Cossiga, l'omaggio alla camera ardente

Napolitano: "Grande uomo di Stato"

Cossiga, l'omaggio alla camera ardente Napolitano: "Grande uomo di Stato" Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, alla camera ardente

Ieri la morte del presidente emerito, ricoverato dal 9 agosto in terapia intensiva al Gemelli, per l'aggravarsi dell'infezione polmonare. I funerali si terranno domani alle 10.30 a Sassari. Cordoglio bipartisan dal mondo politico e istituzionale. Oggi l'ultimo saluto a Roma, alla Chiesa dell'Università Cattolica. Il primo ad arrivare è stato il segretario di Stato vaticano, Tarcisio Bertone, che ha portato il messaggio di Benedetto XVI: "La sua scomparsa colpisce l'intera nazione italiana". Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: "Un piccolo omaggio a un grande uomo di Stato". Presenti anche gli ex presidenti Ciampi e Scalfaro e i due presidenti di Camera e Senato

(Aggiornato alle 14:41 del 18 agosto 2010)

14:41

Marrazzo: presto in tv sua intervista su Ustica 40 –

"Sono profondamente colpito e addolorato per la scomparsa di Cossiga" dichiara il giornalista Giampiero Marrazzo, autore insieme a Gianluca Cerasola del film inchiesta "Sopra e sotto il tavolo" sulla tragedia di Ustica, nel quale sono riportate le dichiarazioni esclusive e inedite che Cossiga fece all'autore. "Se oggi l'inchiesta giudiziaria sul disastro che causò le 81 vittime è stata riaperta e 'Sopra e sotto il tavolo' riscuote tanta attenzione lo dobbiamo anche grazie a Francesco Cossiga. Per questo - conclude Marrazzo - gliene sarò eternamente grato e dedicherò alla sua memoria il mio impegno di ricerca della verità riguardo agli altri misteri d'Italia". Il giornalista afferma inoltre che renderà pubblica integralmente l'intervista di quasi un'ora su una televisione nazionale, affinché possano esserne conosciuti i particolari delle sue dichiarazioni

14:40

Epifani: sempre attento ai lavoratori 39 –

"Era una persona molto complessa, con tanti volti, ma è sempre stato molto attento alle condizioni dei lavoratori e soprattutto negli ultimi 15 anni ha avuto sempre un buon rapporto con la Cgil" ricorda il segretario della Cgil Guglielmo Epifani all'uscita della camera ardente

14:23

Cappellacci: "Ha incarnato valori sardità" 38 –

"Un uomo straordinario, che lascia per tutti noi sardi un vuoto incolmabile. Ha saputo incarnare appieno i sentimenti e i valori più alti della sardità. Lo ha fatto con una originalità tutta sua, come emerge anche dalle sue ultime volontà" ha detto il presidente della Regione Sardegna Ugo Cappellacci all'uscita dalla camera ardente. Il governatore sardo sarà presente domani a Sassari ai funerali in forma privata, con la famiglia. Del resto, racconta, il suo è un "rapporto personale" con Cossiga, fatto di "lunghi incontri e chiacchierate in cui quello che colpiva di lui era l'attenzione ai particolari"

14:21

Davanti alla bara 4 vasi di rose rosse 37 –

Oltre alle corone delle cariche istituzionali e ai quattro vasi con le rose rosse, davanti alla bara nella camera ardente sopra un leggio è posto un libro aperto al salmo 'L'anima mia spera nel Signore'. All'ingresso della chiesa, invece, accanto al salmo del giorno 'Io spero in te Signore, tu mi puoi salvare', il Vangelo odierno riporta la parabola dei pesci buoni e dei pesci cattivi, secondo l'evangelista Matteo

14:06

Conclusa riunione comitato sicurezza a Sassari 36 –

Si è conclusa in prefettura a Sassari la riunione del comitato per l'ordine e la sicurezza per predisporre le esequie di Francesco Cossiga. La salma arriverà all'aeroporto di Alghero per poi essere trasferita nella chiesa di San Giuseppe, dove alle 10.30 don Sebastiano Era, celebrerà la messa. La salma verrà poi tumulata nel cimitero accanto ai genitori Giuseppe e Mariuccia e alla sorella Tetta, a poche decine di metri dalla tomba di Antonio Segni

14:00

Marini: rispettoso delle istituzioni 35 –

"Ricordo la forte personalità di un uomo straordinario. Sapevo che non stava bene ma l'idea che precipitasse così non c'era" ha detto Franco Marini ex presidente del Senato, uscendo dalla camera ardente

13:56

Gran Loggia d'Italia: difensore libertà e indipendenza pensiero 34 –

La Gran Loggia d'Italia Obbedienza di piazza del Gesù Palazzo Vitellesch ricorda Cossiga. "Egli è stato non solo un illustre statista ma anche un difensore della libertà" si legge in un messaggio. "Per questo, sebbene fosse profondamente cattolico fu un esempio di laicità, riteneva, infatti, che l'indipendenza di pensiero fosse un bene inalienabile, da garantire a tutti i cittadini. Durante i continui pogrom antimassonici, quando il vento del pregiudizio e la volontà di discriminazione, provocavano il linciaggio mediatico dei Liberi Muratori italiani egli, che massone non era, nel silenzio pavido dei più, levò la sua voce a loro difesa"

13:55

Barroso: personalità di primo piano 33 –

Le condoglianze per la scomparsa di Francesco Cossiga, rivolte alla famiglia e al popolo italiano, arrivano anche da parte del presidente della Commissione europea José Manuel Barroso, che ha definito il presidente emerito della Repubblica una "personalità di primo piano nell'ambito politico italiano ed europeo" il cui "grande contributo" alla vita democratica ha "lasciato tracce profonde"

13:53

Figli: esequie strettamente private a Sassari 32 –

Annamaria e Giuseppe Cossiga comunicano che, "in ossequio alla volontà espressa nel testamento del padre Francesco, le esequie si terranno in forma strettamente privata" domani alle 10.30, presso la chiesa di San Giuseppe, a Sassari. "Una commemorazione pubblica, come d'uso, potrà aver luogo successivamente, come sarà disposto dalle autorità" si legge in una nota diffusa dai figli

13:52

Scajola: ricordavamo insieme un suo discorso 31 –

"Ricordo un congresso importantissimo della Democrazia cristiana, dove Cossiga fece il discorso più bello, io avevo appena 18 anni. Sempre con lui lo ricordavamo" ha detto l'ex ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola uscendo dalla camera ardente

13:50

Maroni al Gemelli 30 –

Il ministro dell'Interno Roberto Maroni è giunto al policlinico Gemelli per rendere omaggio a Cossiga

13:48

Cicchitto: personaggio straordinario 29 –

"Il presidente Cossiga era un personaggio straordinario che ha dimostrato che i cattolici non dovevano avere alcuna soggezione intellettuale dei comunisti" ha detto il capogruppo alla Camera del Pdl Fabrizio Cicchitto ricordando la figura di Cossiga all'uscita dalla camera ardente

13:24

Al Gemelli anche Draghi e Maroni 28 –

Il governatore della Banca D'Italia, Mario Draghi, è giunto alla camera ardente del presiedente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga. Draghi è entrato in chiesa, ha salutato il figlio di Cossiga, Giuseppe, e si è seduto tra i banchi di fronte al feretro. Subito dopo è arrivato il ministro dell'Interno Roberto Maroni che entrando si è soffermato anche lui a lungo con il figlio dell'ex presidente. Pochi minuti prima di lui ha lasciato la camera ardente l'ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio.

13:22

Tremonti e Calderoli alla camera ardente 27 –

Sono arrivati anche il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti e quello della Semplificazione normativa, Roberto Calderoli, alla camera ardente per il Presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga. I rappresentanti del Governo si sono intrattenuti per pochi minuti e hanno lasciato insieme la chiesa. Tra i ministri, anche Stefania Prestigiacomo titolare del dicastero dell'Ambiente che è rimasta per più di un'ora, seduta in prima fila all'interno della chiesa.

12:07

L'omaggio di Scalfaro 26 –

Il presidente emerito della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro è arrivato alla Chiesa madre, dove è allestita la camera ardente di Francesco Cossiga, per rendere omaggio al suo 'collega' e ex capo dello Stato. Il senatore a vita è giunto nella struttura del Policlinico 'Gemelli', accompagnato dalla figlia Marianna Scalfaro.

12:01

Arrivati capi polizia e carabinieri 25 –

Anche il capo della Polizia, il prefetto Antonio Manganelli e il generale di Corpo d'armata dei Carabinieri, Leonardo Gallitelli, sono giunti per rendere omaggio al feretro del Presidente emerito Francesco Cossiga. Poco prima di loro erano arrivati il ministro degli Affari regionali Raffaele Fitto e monsignor Rino Fisichella. Attorno alla bara rendono gli onori alla salma i carabinieri che hanno fatto parte delle scorte del presidente Cossiga.

11:49

Berlusconi atteso al Gemelli alle 16 24 –

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi renderà omaggio all'ex presidente della repubblica Francesco Cossiga intorno alle 16. Alle 15 è invece atteso il ministro della Difesa Ignazio La Russa.

11:35

Schifani, suo testamento è governare per popolo 23 –

"Il testamento lasciato dal presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga, ai parlamentari, è quello di governare la Repubblica al servizio del popolo, unico sovrano del nostro Stato democratico". Lo ha detto il presidente del Senato, Renato Schifani, lasciando la camera ardente del presidente Cossiga. Schifani si è trattenuto per circa mezz'ora. Ha salutato i figli di Cossiga, Giuseppe e Anna Maria e si è fermato a parlare con il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, il presidente della Camera, Gianfranco Fini, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta.

11:14

Andreotti alla camera ardente 22 –

A rendere omaggio al senatore a vita Francesco Cossiga è arrivato al policlinico Gemelli, dove è allestita la camera ardente, anche il senatore a vita Giulio Andreotti. Si è seduto a pregare di fronte al feretro, al suo fianco la figlia di Cossiga, Anna Maria.

11:13

Al Gemelli colloquio privato Fini-Letta 21 –

C'è stato spazio anche per un colloquio privato a tu per tu tra il presidente della Camera Gianfranco Fini e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, al Gemelli, a conclusione della visita alla camera ardente allestita per il presidente emerito Francesco Cossiga.

11:08

Domani alle 10.30 i funerali privati a Sassari 20 –

Si svolgeranno domani alle 10.30 nella chiesa di San Giuseppe a Sassari i funerali del presidente emerito Francesco Cossiga. Le esequie si terranno in forma strettamente privata. Tra i sacerdoti che parteciperanno ci saranno anche don Claudio Papa, sacerdote amico di lunga data della famiglia Cossiga.

11:04

Alfano, lascia una traccia feconda di sé 19 –

"Ha lasciato una traccia feconda di sè e delle proprie idee sul piano istituzionale, di politica di sicurezza nazionale e politica estera. Scompare una figura di riferimento per i cattolici, una persona che mi ha saputo dare molti validi consigli". Lo ha dichiarato Angelino Alfano, ministro della giustizia, lasciando la camera ardente dove ha reso omaggio al presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga.

11:00

Fini lascia camera ardente con Letta 18 –

Il presidente della Camera Gianfranco Fini ha lasciato la camera ardente del presidente emerito Francesco Cossiga. Nessuno dei due esponenti politici ha voluto rilasciare dichiarazioni. Secondo quanto si è appreso Fini e Letta insieme al presidente del Senato Schifani si sono raccolti in preghiera per alcuni minuti davanti alla salma, e all'uscita hanno parlato a lungo tra loro.

10:59

Colloquio Napolitano-Schifani-Fini-Letta 17 –

Dopo aver reso omaggio al presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga, si è svolto un colloquio a quattro tra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, i presidenti di Senato e Camera Renato Schifani e Gianfranco Fini, insieme al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. Il colloquio, che si è svolto in una sala attigua alla chiesa dove è aperta la camera ardente per l'ex capo dello Stato, è durato una ventina di minuti.

10:52

Omaggio da ministro Alfano e sindaco Moratti 16 –

Sono arrivati alla chiesa centrale del complesso del Gemelli per rendere omaggio al presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga anche il ministro della Giustizia, Angelo Alfano e il sindaco di Milano, Letizia Moratti. Tanta gente comune ha visitato il feretro di Cossiga: appena aperte le porte della Chiesa una fila ordinata ha portato il suo saluto al presidente.

10:44

Camera ardente aperta al pubblico 15 –

Dopo i saluti delle massime istituzioni la camera ardente è stata aperta al pubblico. Una folla composta si è messa in fila per rendere omaggio all'ex senatore a vita. In cima alla chiesa la semplice bara circondata da mazzi di rose rosse e con due cuscini in fondo. All'esterno della chiesa numerosissime le decorazioni floreali in omaggio.

10:34

Schifani, era un vulcano 14 –

"Cossiga era un vulcano, non un uomo dei partiti ma delle istituzioni. Ti prendeva per braccio e stava con te a parlare ore ed ore e nessuno di noi aveva coraggio di staccare quel braccio perche', con le sue conoscenze, era un motivo di addottrinamento culturale e politico". Questo il ricordo che il Presidente del Senato, Renato Schifani, ha tracciato di Francesco Cossiga dopo la sua visita alla camera ardente. "Al Senato alla ripresa dei lavori", da detto Schifani, "di intesa con la famiglia e con le alte cariche, con il presidente della Repubblica e con il governo, organizzeremo all'interno dell'Aula un momento per commemorare la figura di uno statista alto e grande".

10:26

Campidoglio, bandiere a mezz'asta a Roma 13 –

Il Campidoglio, recependo quanto disposto dal Cerimoniale di Palazzo Chigi, ha dato ordine che le bandiere, italiana e europea e del Comune di Roma siano poste a mezz'asta su tutti gli edifici comunali a partire da oggi e fino a domani. Oggi e domani, anche l'Atac listerà a lutto le bandiere italiana e del Comune esposte sui mezzi pubblici.

10:23

Napolitano, piccolo omaggio a grande uomo di Stato 12 –

'E' un piccolo omaggio ad un grande uomo di Stato, ho salutato un amico". Con queste parole il capo dello Stato Giorgio Napolitano ha lasciato la Camera ardente dove riposa il senatore a vita Francesco Cossiga.

10:20

Il messaggio del Papa a Napolitano 11 –

Il telegramma al presidente Napolitano è stato inviato, a nome del Papa, dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone. "Informato della scomparsa del senatore Francesco Cossiga - vi si legge -, già presidente della Repubblica italiana e per lungo tempo protagonista della vita pubblica e generoso servitore delle istituzioni di codesto Paese, il Sommo Pontefice desidera far pervenire a Vostra Eccellenza e all'intera nazione italiana l'espressione del Suo profondo cordoglio, mentre eleva fervide preghiere di suffragio per l'illustre e caro defunto".

10:15

Bertone, Dio protegga l'Italia 10 –

Il presidente emerito Francesco Cossiga è stato ricordato ieri sera in Vaticano. Lo ha detto il segretario di Stato Vaticano Tarcisio Bertone conversando con i giornalisti dopo aver visitato la camera ardente allestita alla chiesa centrale dell'Università Cattolica di Roma. "Il papa conosceva bene Cossiga - ha affermato Bertone - discutevano spesso insieme in lunghe serate. Ieri sera lo abbiamo ricordato e abbiamo celebrato una messa in suffragio di questa anima bella di illustre statista cattolico". "Abbiamo ricordato - ha aggiunto il cardinale - i vari traguardi raggiunti da Cossiga in campo religioso, come la beatificazione di Rosmini e Newman e la proclamazione di S. Tommaso Moro come patrono dei politici cattolici". "Lo affidiamo al Signore - ha concluso Bertone ripetendo la sua stessa frase - Dio protegga l'Italia".

10:13

Papa, sua scomparsa colpisce intera nazione 9 –

Benedetto XVI ha inviato telegrammi di cordoglio per la morte di Francesco Cossiga sia ai due figli dello scomparso ex presidente della Repubblica, Giuseppe e Annamaria, sia all'attuale capo dello Stato Giorgio Napolitano. Nel telegramma ai figli di Cossiga, il Papa si dice "spiritualmente vicino in questo momento di dolore", porgendo le sue "più sentite condoglianze" e assicurando la sua "sincera partecipazione al grave lutto che colpisce anche l'intera nazione italiana". Il Pontefice ricorda "con affetto e gratitudine questo illustre uomo cattolico di Stato, insigne studioso del diritto e della spiritualità cristiana che nelle pubbliche responsabilità ricoperte seppe adoperarsi con generoso impegno per la promozione del bene comune".

10:08

Arrivato il presidente del Senato Schifani 8 –

Alla camera ardente, allestita all'interno della chiesa madre del Policlinico Gemelli, per rendere omaggio alla salma del senatore a vita Francesco Cossiga, è arrivato il presidente del Senato Renato Schifani.

10:06

Arrivati anche Fini e Parisi 7 –

Alla camera ardente è arrivato pochi minuti fa il presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini. Poco prima era arrivato anche l'ex ministro della difesa Arturo Parisi.

10:02

Ciampi alla camera ardente 6 –

L'ex presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi e' arrivato insieme alla moglie Franca alla camera ardente presso il Policlinico Gemelli. L'ex capo dello Stato è entrato nella camera ardente pochi minuti dopo l'arrivo del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

09:53

Van Rompuy, spese vita al servizio del paese 5 –

"Un politico rispettato da tutti che ha speso la maggior parte della sua vita al servizio del suo Paese e del popolo italiano". Così il presidente dell'Unione europea, Herman Van Rompuy, ha ricordato il presidente emerito Francesco Cossiga, esprimendo "profondo rammarico per la sua morte". Lo si legge in un comunicato della Ue.

09:45

Napolitano alla camera ardente 4 –

Il presidente della Repubblica,Giorgio Napolitano, è giunto da pochi minuti alla camera ardente del presidente emerito Francesco Cossiga, allestita presso la chiesa centrale dell'Università Cattolica a Roma. Il Capo dello Stato venerdì scorso aveva fatto visita ai familiari di Cossiga durante il ricovero presso il reparto di rianimazione del policlinico Gemelli.

09:41

Bertone, statista di spiritualità cristiana 3 –

"Uno statista di spiritualità cristiana". Con queste parole il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, ha ricordato Francesco Cossiga, nel corso della sua visita alla famiglia del presidente emerito della Repubblica, al policlinico Gemelli. Il cardinale ha portato i saluti del Papa e si è raccolto in preghiera con i figli Giuseppe e Anna Maria e con don Claudio Paglia, assistente spirituale di Cossiga. Poi ha benedetto la salma dell'ex capo di Stato. Dopo pochi minuti ha raggiunto la camera ardente il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta.

09:35

Molti cittadini attendono di rendere omaggio 2 –

Sono tante le corone di fiori deposte davanti l'ingresso della chiesa madre. Tra queste quella del presidente della Repubblica, del presidente del Consiglio, dei presidenti di Camera e Senato, della Corte Costituzionale e del presidente della regione Sardegna. Nel piazzale antistante l'ingresso della chiesa si è radunata anche una folla commossa di cittadini per portare il proprio saluto al presidente emerito Francesco Cossiga.

09:34

Aperta camera ardente, visita Bertone 1 –

Alle 9,20, con quaranta minuti di anticipo rispetto all'orario previsto, all'arrivo del segretario di Stato Vaticano Tarcisio Bertone, è stata aperta la camera ardente del presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga. Bertone benedirà la salma che ieri è stata traslata nella chiesa centrale dell'Università cattolica di Roma. Davanti alla chiesa, si è radunata fin dal primo mattino una piccola folla di giornalisti e gente comune. Pochi minuti prima dell'apertura della camera ardente, sono arrivati i figli di Cossiga, Giuseppe e Anna Maria.

(18 agosto 2010)

 

Un personaggio pirandelliano

di EUGENIO SCALFARI

SE si eccettuano Ciampi e Andreotti, non ci sono stati altri in Italia che abbiano avuto un "cursus honorum" così altisonante come quello di Francesco Cossiga: fu sottosegretario alla Difesa con delega sui Servizi, ministro dell'Interno, presidente del Consiglio, presidente del Senato, presidente della Repubblica.

Durante questo lungo percorso militò nella Dc e in particolare nella sinistra di quel partito. Ci furono varie sinistre democristiane: quella di Gronchi, quella di Fanfani, quella di Moro, di Tambroni, di Marcora, di De Mita, ed ebbero diversi destini e diversa dignità. Cossiga militò in una sinistra che aveva lui soltanto come aderente. Una sinistra estremamente mobile e capricciosa, capace di spostarsi su tutto il ventaglio della politica italiana ma con alcuni punti di riferimento fermissimi: i servizi di sicurezza, l'arma dei Carabinieri, l'arma della Marina, gli Stati Uniti d'America e la Corona britannica. Per quest'ultima nutriva una sorta di culto. Anche la massoneria, ma non per adesione ma perché segreta, almeno di nome e di tradizione.

Tutto ciò che era segreto lo affascinava, comprese le tecnologie che maneggiava con grande abilità. Fu un solitario con pochissimi amici. Fu un sardo integrale. E fu un depresso per tutta la vita.

E' impossibile ricordare e capire Cossiga se non si ha presente la sua depressione. Io l'ho conosciuto bene, gli sono stato amico, e lui a me, per molti anni; direi dal '78 al '90. Poi l'amicizia finì quando lui cominciò a picconare dal Quirinale la Costituzione che aveva giurato di difendere. Da allora i nostri rapporti diventarono burrascosi e mai più amichevoli come un tempo. Va anche detto che la capricciosità depressiva del suo carattere aveva raggiunto un'intensità che rendeva precario e rischioso ogni rapporto. Ma sulla natura del suo male, sulla sua origine e il suo decorso non ho mai saputo se non quello che se ne diceva: che era imbottito di farmaci e non sempre con successo sulle sue condizioni generali di salute.

Come tutti i ciclotimici alternava fasi di cupa tristezza e atonia a fasi euforiche e attivissime. Di solito la tristezza solitaria coincideva con sconfitte politiche. Ne ebbe una particolarmente grave dopo l'uccisione di Moro; un'altra di analoga gravità quando fu minacciato di "impeachment" dal Pci guidato da Berlinguer del quale era un lontano cugino acquisito. Infine una terza al termine del settennato presidenziale che, con continue oscillazioni, non l'ha più abbandonato ed è stata probabilmente la causa della sua fine.

Un uomo di grande intelligenza appoggiata tuttavia ad una piattaforma psichica del tutto instabile, come ha potuto percorrere una carriera politica di quel livello? Come ha potuto essere scelto quattro volte per incarichi di massimo livello politico e istituzionale non avendo alle sue spalle una corrente che lo sostenesse in una Dc che sulle correnti ci viveva?

Queste domande sono rimaste finora senza risposte. Ne azzardo una: la Dc in alcuni momenti della sua storia ebbe bisogno di delegare responsabilità importanti a uomini sciolti dalla struttura correntizia del partito. Quella delega attutiva lo scontro interno o addirittura lo congelava per un periodo che servisse a far riprendere fiato a tutti. Sceglievano uomini "en reserve" che di tanto in tanto entravano in scena per poi uscirne in attesa della prossima occasione.

Così accadde con Leone, presidente di governi balneari, presidente della Camera e poi al Quirinale. Così si spiega anche la collezione di incarichi di Andreotti, il quale nel partito fu sempre molto debole. Andreotti tuttavia fu un tessitore di contatti, di scambi di favori, di un sistema di potere che ebbe i suoi punti di forza nelle minoranze di tutti i partiti. La sua tecnica è stata quella di sparigliare il gioco; di questo fu maestro e su questo entrò a far parte del Gotha politico.

Anche Cossiga sparigliava, ma non per calcolo consapevole bensì per malattia. Da questo punto di vista è stato un personaggio pirandelliano e il dramma Enrico IV sembra scritto su misura anche se lui all'epoca di Pirandello non era ancora nato.

Naturalmente nelle fasi euforiche del suo male l'istinto del Narciso prendeva il sopravvento su ogni altra considerazione. I due ultimi anni del suo settennato al Quirinale furono dominati dal narcisismo. I giornali davano quasi quotidianamente la prima pagina alle sue sortite, ai suoi discorsi, ai sassolini che si toglieva dalle scarpe, ai colpi di piccone che assestava all'ordinamento costituzionale.

Oggi riposa in pace. Ha ricoperto tanti ruoli e tutti di grande importanza ma la sua vita è stata profondamente infelice ed è passata come una meteora nella politica italiana.

(18 agosto 2010)

 

 

 

Dal 77 alcaso Moro

Una vita di intrighi

di MIRIAM MAFAI

Dal 77 alcaso Moro Una vita di intrighi

HO conosciuto Francesco Cossiga a Montecitorio nell'ormai lontanissimo 1962, nelle convulse settimane che portarono al Quirinale Antonio Segni. I due passeggiavano lentamente in uno dei corridoi laterali del palazzo mentre nell'aula si votava

il più giovane accompagnando e quasi sostenendo il più anziano. Era gentile, elegante. Il giovane deputato che conobbi allora, orgoglioso della sua origine sarda e, come ebbe modo di raccontarmi più tardi, di una sua sia pur lontana parentela con Enrico Berlinguer, sarebbe diventato in seguito uno degli uomini più importanti e controversi della nostra Repubblica.

Aveva una vera e propria passione, e non lo nascondeva per gli intrighi, i complotti, i servizi segreti. E quando, ad appena cinquant'anni, entra al Viminale come ministro dell'Interno, si dedica in primo luogo ad una ristrutturazione dei nostri servizi. Siamo nel 1977: il nostro paese, stretto tra un disordinato movimento studentesco e le prime manifestazioni brigatiste all'insegna della P.38, vive uno dei momenti più pericolosi della sua storia. Due drammatici episodi battezzano l'esordio del nuovo ministro dell'Interno: a Bologna davanti all'Università uno studente, Francesco Lorusso, è ucciso da un colpo di fucile sparato da un carabiniere; a Roma, poche settimane dopo, nel corso di una manifestazione convocata per ricordare la vittoria nel referendum sul divorzio, la polizia spara e uccide una ragazza di diciannove anni, Giorgiana Masi.

Cossiga ha avuto il suo battesimo del fuoco. Da allora il suo nome, Cossiga, verrà scritto, su tutti i muri raggiungibili, con la K iniziale e il segno delle SS naziste.

Il giovane ministro dell'Interno procede alacremente nella riorganizzazione dei servizi, istituendo i reparti speciali della polizia e dei carabinieri. Ma quando, il 16 marzo del 1978, a Via Fani un commando brigatista rapisce Aldo Moro, presidente della Dc e uccide gli uomini della sua scorta, tutto il sistema di sicurezza targato Cossiga va in tilt. La banda di brigatisti attraversa tutta Roma con il prigioniero che riuscirà a tenere segregato finché vorrà, per restituirlo, alla fine, estremo dileggio, a poca distanza da Piazza del Gesù, sede della Dc e da Via Botteghe Oscure, sede del Pci.

Ero lì, in Via Caetani, vicino alla Renault nel cui bagagliaio era rinchiuso il cadavere di Moro, quando arrivò il ministro Cossiga. Stravolto. Notai, per la prima volta, i suoi capelli bianchi e alcune strane macchie sul viso. (Era a lui che Moro aveva inviato la sua prima, dolente, lettera dal carcere, per chiedere aiuto) . Lo stesso giorno Cossiga darà le dimissioni da ministro.

Ma la sua carriera politica è tutt'altro che finita. Dopo un anno circa, nell'agosto del 1979 assumerà la presidenza di un governo che chiude definitivamente la fase della solidarietà nazionale del quale fanno parte, oltre ai democristiani, repubblicani, socialdemocratici, socialisti. Ministro del lavoro è Claudio Donat Cattin, vicesegretario della Dc, uno dei leader storici del partito. Siamo nei mesi di un drammatica intensificazione delle attività terroristiche. Sono già caduti, tra gli altri Vittorio Bachelet, Giancarlo Galli, Emilio Alessandrini. Uno dei centri del terrorismo ora è Torino. Un giovane brigatista, Roberto Sandalo, arrestato confesserà al giudice Caselli che uno dei capi dei killer è Marco Donat Cattin, figlio del ministro del lavoro. E aggiunge che sarebbe riuscito a fuggire grazie all'aiuto del padre, messo sull'avviso dal presidente del Consiglio, Francesco Cossiga.

Quando la notizia trapela lo scandalo è enorme e il Pci chiede la messa in stato d'accusa del presidente del Consiglio e del suo ministro. Il dibattito parlamentare conosce momenti drammatici, ma alla fine l'Inquirente approva la proposta di archiviazione che eviterà a Cossiga il rinvio a giudizio di fronte alla Corte Costituzionale. (Ricordo che, fuori dall'aula, un deputato democristiano, soddisfatto, commentò "Non siamo mica a Sparta, qui..."). Pure assolto, Francesco Cossiga, uscì, da questa vicenda ancora una volta duramente provato.

Ma pochi anni dopo, il 24 giugno del 1985, verrà eletto, al primo scrutinio Presidente della Repubblica, con i voti anche del Pci, reduce dalla sconfitta subita al referendum sulla scala mobile. Francesco Cossiga entrerà al Quirinale in punta di piedi, preannunciando una presidenza rispettosa dei poteri delle due Camere, del governo, della Corte Costituzionale, e particolarmente sensibile ai problemi della gente comune e delle sue sofferenze. Sembrava preannunciarsi, dopo tanto travaglio, una presidenza tranquilla, quasi incolore. Poi, all'improvviso, qualcosa cambiò. Il presidente annunciò di volersi togliere "molti sassolini" dalle scarpe, e se ne tolse, fino a tramutarsi in quello che venne definito "il picconatore". Il punto culminante dell'attività picconatrice al Quirinale si ebbe sulla vicenda Gladio. Cossiga non esitò a svelare la genesi dell'operazione "Stay behind", destinata a prendere in mano le armi se i comunisti avessero conquistato il potere.

Nel corso degli ultimi anni, Francesco Cossiga, ormai senatore a vita, attraversò periodi di vera e propria euforia alternati a periodi di depressione, denunciò complotti, indicò, spesso contraddicendosi, gli autori delle più oscure tragedie che hanno insanguinato la nostra storia (dalla strage di Ustica alle bombe alla stazione di Bologna)

Ancora una volta, tuttavia, intervenne, con un ruolo decisivo, nella vita politica italiana quando, nell'autunno del 1998, il piccolo gruppo di parlamentari da lui creato, i cosiddetti "straccioni di Valmy" votarono, dopo la caduta di Prodi per opera di Bertinotti, a favore di Massimo D'Alema, consentendo così per la prima volta a un ex comunista di andare a Palazzo Chigi. E di fare la guerra del Kossovo che "Prodi" scriverà lo stesso Cossiga "non avrebbe mai fatto. Il disegno di Prodi è la realizzazione dei sogni di Dossetti. E ricordiamoci che Dossetti votò contro l'adesione dell'Italia alla Nato...".

(18 agosto 2010)

 

 

 

Amato: "Mi disse che faceva il matto

altrimenti sarebbe stato impeachment"

L'ex presidente del Consiglio: "Eravamo amici". "Fu lui a portare gli ex comunisti al governo del Paese assumendosene la piena responsbailità" di MASSIMO GIANNINI

ROMA - "Ora che Francesco non c'è più, posso dirlo: la sua è stata una storia assai complessa, nella quale la dimensione politica e pubblica è stata investita pesantemente dalle traversie personali e psicologiche...". In vacanza ad Ansedonia, Giuliano Amato ricorda così "l'amico Cossiga". "Ho cominciato con lui ai tempi in cui ero sottosegretario a Palazzo Chigi e Francesco era Capo dello Stato. Si è sviluppata da allora quella naturale liason istituzionale che si crea tra la presidenza del Consiglio e il Quirinale. Ho vissuto con lui proprio gli anni cruciali della sua trasformazione, da notaio a Picconatore".

Quanto ha pesato questa metamorfosi, nel giudizio politico che si può dare di Cossiga?

"Francesco ha vissuto una vita privata difficile, accompagnata da fase depressive sempre più accentuate. E questo ha inciso sui suoi comportamenti, sui suoi rapporti con gli altri ed anche sulle vicende politiche del Paese. Posso dirlo, ora che non c'è più: io sono stato uno dei suoi amici, nella vita. Eppure, in più occasioni, ha avuto reazioni irritate anche nei miei confronti. Ma più volte, dopo i suoi sfoghi pubblici, mi ha chiamato per dirmi: "caro Giuliano, ho detto su di te cattiverie che non meriti, ma quando ho questi momenti non riesco a controllarmi...". L'uomo era così. E certo, questo suo carattere spesso confliggeva con il suo ruolo di presidente della Repubblica".

Ricorda qualche momento in cui questo "conflitto" fu più aspro?

"Uno su tutti. Quanta fatica facemmo per evitare che definisse l'allora leader dei Ds "uno zombie". Era un linguaggio che non si addiceva a un capo dello Stato. Ma non c'era nulla da fare. E queste intemperanze gli costarono molto, anche in sede giudiziaria. Tuttavia, un'altra cosa va detta, oggi: in queste sue reazioni sproporzionate incise molto anche il modo in cui venne combattuto nella vita politica e istituzionale".

Sta dicendo che se Cossiga diventò il Picconatore, questo dipende anche dal modo in cui lo attaccarono i suoi avversari?

"E' così. Limitiamoci all'episodio dell'impeachment, che proprio non meritava. E' vero, le sue stravaganze offensive erano frequenti. Ma mai, neanche in quell'infausta vicenda, si trasformarono in tradimenti della Costituzione. I suoi comportamenti istituzionali non giustificarono mai le aggressioni a cui fu sottoposto. Ci fu un vero e proprio attacco concentrico contro di lui. Ed io temetti un nuovo caso Leone".

Ma quel clima giustificava invece le sue "picconate"?

"Quanto meno le spiegava. Una sera mi disse: "Tu, caro Giuliano, ti domanderai se io penso davvero certe cose che dico. Ebbene, sappi che se non mi fossi comportato come una specie di pazzo, forse l'impeachment sarebbe scattato...". Una confessione che mi colpì molto. Mi suggerì l'immagine di una sorta di Enrico IV di Pirandello. Un'immagine tragica. E anche anomala, perché sempre sul crinale: da una parte una condizione psicologica difficile, ma dall'altra parte una grande lucidità e capacità di capire, prima di altri, come si muoveva

la politica intorno a lui...".

Anche su questo i giudizi su di lui sono molto controversi. Capì davvero che senza una radicale riforma politica e costituzionale la Prima Repubblica sarebbe crollata?

"Cossiga si mise a picconare un mondo che stava oggettivamente franando. Si potrà obiettare che quello era il suo mondo. Ma resta il fatto che lui lo capì, e lo denunciò alla sua maniera. E non fu la sua unica intuizione. Certo, nessuno immaginava che alla Terza Via di Aldo Moro si sarebbe arrivati nel modo tortuoso con il quale ci si arrivò nel '98, dopo la caduta del primo governo Prodi. Ma fu lui a voler portare gli ex comunisti al governo. E lo volle in un momento difficile per gli ex comunisti, costretti ad assumere la responsabilità di governare un paese che di lì a poco avrebbe dovuto decidere l'intervento militare nei Balcani. Sono convinto che vi fosse anche questa consapevolezza, nella scelta di Cossiga. Perché di scelta si trattò: altrimenti avremmo avuto il secondo governo Ciampi, e non il primo governo D'Alema".

Lei citava Moro. Altro passaggio cruciale: il rapimento, la linea della fermezza, l'assassinio. E la storia d'Italia che cambia radicalmente. Come giudica il Cossiga di quei giorni?

"Anche in quella vicenda Cossiga visse in una doppia e ancora una volta tragica dimensione. Da un lato doveva rappresentare lo Stato in prima linea, che non può cedere al ricatto dei brigatisti. Ma dall'altro lato doveva verificare se e in quali condizioni si potesse evitare che l'amico e maestro venisse ucciso. Visse insomma questo tragico sdoppiamento: ebbe il dovere di teorizzare la linea della fermezza, ma al tempo stesso andò febbrilmente in cerca di consiglieri, purtroppo non tutti giusti, che lo aiutassero a trovare uno spiraglio per salvare l'ostaggio. Tenere insieme questi due piani era e fu purtroppo impossibile. Proprio questo spiega perché poi si dimise: percepì la morte di Moro come una sua sconfitta personale, anche se per lo Stato della fermezza fu una drammatica vittoria".

E dell'ultimo Cossiga, quello dopo il Quirinale, cosa ricorda?

"Ritrovarsi a soli 60 anni ad essere già un ex capo dello Stato non fu certo facile. Sentiva di dover partecipare ancora alla vita politica del Paese. E ha trovato il modo di farlo. Sempre alla sua maniera. Intervenendo anche su temi che proprio non ti aspetti. Ma con una qualità rara, che è stata tutta sua ed è tuttora di pochi: quella di saper trarre succo politico anche da vicende che in mano ad altri sarebbero del tutto prive di sapore. E alla fine con un'altra qualità, che non ha mai perso e che oggi mi piace ricordare: quella di saper essere amico, pur continuando ad essere a volte così estremo nei giudizi".

Anche con lei questa amicizia non si è mai persa?

"Le racconto un ultimo aneddoto. Tre anni fa, appena diventato ministro degli Interni, ebbi con lui un piccolo disaccordo politico, e ad essere sincero non ricordo nemmeno su cosa. Immediatamente dettò un secco comunicato ufficiale alle agenzie, in cui annunciava che, nella sua veste di senatore a vita, non si sarebbe più avvalso dei servizi della "batteria" del Viminale, poiché era passata sotto le mie dipendenze. Il giorno dopo ci incontrammo per caso, davanti a un ascensore del Senato. Mi venne incontro, e mi abbracciò dicendo "Giuliano, amico mio, ti voglio bene...". Questo era Francesco Cossiga".

(18 agosto 2010)

 

 

L’urna elettorale

Comincia il Giornale, titolando in prima pagina "L’ultima picconata di Cossiga: il popolo unico sovrano della democrazia". Segue, prestigioso esecutore della linea dettata da Feltri, Renato Schifani , che ripete la stessa frase davanti al feretro nella camera ardente. Si accoda rapidamente anche Fabrizio Cicchitto, che la suddetta frase la verga in una nota ufficiale.

Una frase scritta dal presidente emerito nel 2007 e che estrapolata dal contesto viene issata a vessillo della richiesta di elezioni anticipate.

Viene in mente il disgustoso dibattito sul caso di Eluana Englaro. Quando un premier si mise a disquisire di mestruazioni, mentre i suoi deputati accusavano di disumanità un padre travolto dal dolore.

Solo che il Pdl, da allora, si è evoluto. All’epoca usarono un moribondo, ora usano direttamente i morti.

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2010-08-17

ISTITUZIONI

Addio a Francesco Cossiga

il "picconatore" non ce l'ha fatta

Stanotte le condizioni dell'ex presidente della Repubblica erano improvvisamente peggiorate. E' morto per una crisi cardiocircolatoria dopo dieci giorni di ricovero al policlinico Gemelli

di CARLO PICOZZA

Addio a Francesco Cossiga il "picconatore" non ce l'ha fatta Il presidente Napolitano, all'uscita del Gemelli, dove aveva fatto visita a Cossiga

* "Ho sempre servito la Repubblica non voglio autorità ai miei funerali"

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"Ho sempre servito la Repubblica non voglio autorità ai miei funerali"

* Cossiga, le origini di Gladio

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Il "picconatore"

* Cossiga, il presidente picconatore che sopravvisse alle Br e a Gladio

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Cossiga, il presidente picconatore che sopravvisse alle Br e a Gladio

* Addio a Cossiga, il ritratto di Filippo Ceccarelli

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Il ritratto di Fililppo Ceccarelli

* RepTv. Cossiga sul caso Moro

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Gli anni di piombo

* ''Io sono un finto matto che dice le cose come stanno''

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Le frasi celebri

* Francesco Cossiga: 50 anni di politica

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Cossiga, 50 anni di politica

* Cossiga, la vita nelle istituzioni

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Cossiga, la vita nelle istituzioni

* Cordoglio bipartisan per il "picconatore" Berlusconi: "Piango un amico carissimo"

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Cordoglio bipartisan per il "picconatore" Berlusconi: "Piango un amico carissimo"

ROMA - E' morto oggi alle 13.18 al Policlinico Gemelli il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga 1. Aveva 82 anni. L'ex Capo dello Stato ha lasciato un testamento con le sue ultime volontà e alcune lettere personali e riservate ai vertici delle istituzioni indirizzate al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al presidente del Senato, Renato Schifani, al presidente della Camera, Gianfranco Fini, e al premier, Silvio Berlusconi. Le lettere, secondo le disposizioni di Cossiga, sono state consegnate solo dopo la sua morte.

Le condizioni dell'ex capo dello Stato, ricoverato dal 9 agosto, avevano subito un improvviso peggioramento questa notte. Il bollettino diffuso dai medici poco dopo mezzogiorno parlava infatti di "un quadro clinico di estrema gravità", in seguito a "un repentino e drastico peggioramento delle condizioni circolatorie che ha necessitato la ripresa di tutti i supporti vitali".

A provocare la morte una crisi cardiocircolatoria. All'origine sembra esserci stata la diffusione dalla sepsi, la grave infezione che, attaccando i polmoni, aveva causato un'insufficienza cardiorespiratoria e aveva portato Cossiga, per via di una 'fame d'aria', a ricorrere alle cure dei sanitari.

Il quadro clinico nei giorni scorsi sembrava al contrario in graduale miglioramento: i medici avevano infatti accertato che l'ex Capo dello Stato riusciva a respirare da solo, dopo che erano stati ridotti i farmaci che lo tenevano sedato. In altre parole lo avevano staccato dalla macchina della ventilazione invasiva, verificando una lenta ma graduale ripresa della funzione del respiro.

Così il piazzale antistante il pronto soccorso del Gemelli, a una trentina di metri dalla porta rossa che divide il mondo dal reparto di rianimazione, stamattina si era rapidamente ripopolato degli amici del presidente emerito, dagli uomini della sua scorta ai suoi più stretti collaboratori come Paolo Naccarato, già sottosegretario alla presidenza del Consiglio con il governo Prodi ("Il vecchio leone tornerà a ruggire", aveva detto qualche ora prima di ferragosto). Accanto al presidente emerito naturalmente innanzitutto i parenti, a cominciare dai figli Anna Maria e Giuseppe (sottosegretario alla Difesa).

(17 agosto 2010)

 

 

 

LE LETTERE

"Ho sempre servito la Repubblica

non voglio autorità ai miei funerali"

Cossiga ha lasciato oltre al testamento anche quattro lettere inviate alle alte cariche dello Stato. "Ho sempre servito la Repubblica sulla bara voglio la bandiera italiana e quella sarda"

"Ho sempre servito la Repubblica non voglio autorità ai miei funerali" Francesco Cossiga

* Cossiga, le origini di Gladio

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Il "picconatore"

* Cossiga, il presidente picconatore che sopravvisse alle Br e a Gladio

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Cossiga, il presidente picconatore che sopravvisse alle Br e a Gladio

* Addio a Cossiga, il ritratto di Filippo Ceccarelli

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Il ritratto di Fililppo Ceccarelli

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Gli anni di piombo

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Le frasi celebri

* Francesco Cossiga: 50 anni di politica

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* Cossiga, la vita nelle istituzioni

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* Cordoglio bipartisan per il "picconatore" Berlusconi: "Piango un amico carissimo"

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* Addio a Francesco Cossiga il "picconatore" non ce l'ha fatta

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Addio a Francesco Cossiga il "picconatore" non ce l'ha fatta

ROMA - Quattro lettere inviate alle più alte cariche dello Stato e un testamento. In questi documenti sono contenute le ultime volontà e le ultime valutazioni politiche di Francesco Cossiga. Nella lettera a Schifani l'ex presidente della Repubblica scrive: "Fu per me un onore grande servire la Repubblica, a cui sempre sono stato fedele; e sempre tenni per fermo onorare la Nazione e amare la Patria. Fu per me un privilegio altissimo: rappresentare il Popolo Sovrano nella Camera dei Deputati prima, del Senato della Repubblica quale Senatore elettivo, Senatore di diritto e vita e Presidente di esso; e privilegio altissimo fu altresì servire lo Stato nel Governo della Repubblica quale membro di esso e poi Presidente del Consiglio dei Ministri ed infine nell'ufficio di Presidente della Repubblica". Poi aggiunge: "Nel mio testamento ho disposto che le mie esequie abbiano carattere del tutto privato, con esclusione di ogni pubblica onoranza e senza la partecipazione di alcuna autorità".

La lettera a Napolitano. Nella lettera al presidente Napolitano Cossiga ricorda il suo settennato spiegando di aver servito lo Stato con "fedeltà" e "devozione". "Signor presidente - prosegue - le confermo i miei sentimenti di fedeltà alla Repubblica, di devozione alla Nazione, di amore alla Patria, di predilezione della Sardegna, mia nobile Terra di origine". E conclude: "A lei, quale Capo dello Stato e rappresentante dell'Unità nazionale, rivolgo il mio saluto deferente e formulo gli auguri più fervidi di una lunga missione al servizio dell'amato popolo italiano. Con viva, cordiale e deferente amicizia".

La lettera a Fini. "Signor presidente - esordisce Cossiga nella lettera inviata a Fini - nel momento in cui nella fede cristiana lascio questa vita, il mio pensiero va alla Camera dei deputati, nella quale, per voto del popolo sardo, entrai nel 1958 e fui confermato fino al 1983, anno in cui fui eletto senatore. Fu per me un grandissimo e distinto privilegio far parte del Parlamento nazionale e servire in esso il Popolo, sovrano della nostra Repubblica. Professo la mia fede nel Parlamento espressione rappresentativa della sovranità popolare, che è la volontà dei cittadini che nessun limite ha se non nella legge naturale, nei principi democratici, nella tutela delle minoranze religiose, nazionali, linguistiche e politiche. Professo la mia fede repubblicana e democratica, da liberaldemocratico, cristianodemocratico, autonomista-riformista per uno Stato costituzionale e di diritto. Ringrazio i parlamentari tutti per il concorso che in tutti questi anni hanno dato con l'adesione o con l'opposizione, con l'approvazione o con la critica alla mia opera di politica. A tutti i deputati e a lei, signor presidente - conclude - l'augurio di un impegnato lavoro al servizio della libertà, della pace, del progresso del popolo italiano. Dio protegga l'Italia. Con cordiale amicizia, Francesco Cossiga".

Lettere datate 18 settembre 2007. Le lettere che Cossiga ha indirizzato alle quattro alte cariche dello Stato portano la data del 18 settembre del 2007. In quel periodo si era ancora nella XV legislatura, quindi solo una di queste quattro cariche era ricoperta dal titolare attuale: il capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Alla presidenza del Consiglio c'era invece Romano Prodi, mentre a guidare Senato e Camera siedevano rispettivamente Franco Marini e Fausto Bertinotti. Dopo la fine anticipata della legislatura per la caduta del governo Prodi, e le elezioni della primavera del 2008 vinte dal centrodestra, Prodi, Marini e Bertinotti sono stati sostituiti rispettivamente da Silvio Berlusconi, Renato Schifani e Gianfranco Fini. È toccato quindi a loro, oltre che a Napolitano, ricevere le lettere del presidente emerito.

Le ultime volontà: "Sulla bara bandiera italiana e sarda". Nel testamento l'ex presidente oltre ad aver chiesto che non vengano celebrate esequie di Stato ha detto però di volere un picchetto d'onore dei bersaglieri della Brigata Sassari. Inoltre avrebbe chiesto di essere seppellito nella sua città natale, Sassari, accanto al padre e alla sorella e ha chiesto che la bara sia avvolta nella bandiera italiana e quella sarda con i quattro mori.

Domani la camera ardente. In base a precise richieste della famiglia, la camera ardente sarà allestita domani dalle 10 alle 18 presso la chiesa centrale dell'università cattolica Sacro Cuore (largo Francesco Vito 1), aperta a semplici cittadini e autorità. Fonti vicine alla famiglia hanno riferito che i funerali si svolgeranno probabilmente nella parrocchia di San Giuseppe a Sassari e non a Cheremule, come appreso in un primo momento. Alla piccola chiesa di Cheremule, indicata come la candidata più probabile a ospitare le cerimonia funebre a carattere strettamente privato, sarebbe stata alla fine preferita quella della parrocchia dove Cossiga andava sempre a pregare quando si recava a Sassari.

(17 agosto 2010)

 

 

 

Cordoglio bipartisan per il "picconatore"

Berlusconi: "Piango un amico carissimo"

Cordoglio bipartisan per la scomparsa di Cossiga. Il dolore del Papa: "Pregherò per lui". Napolitano: "Combattivo protagonista di una stagione intensa". Fini: "Interprete vigoroso e coerente dei princìpi della Costituzione". Schifani ha interrotto le sue vacanze per fare rientro a Roma

Cordoglio bipartisan per il "picconatore" Berlusconi: "Piango un amico carissimo"

* "Ho sempre servito la Repubblica non voglio autorità ai miei funerali"

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"Ho sempre servito la Repubblica non voglio autorità ai miei funerali"

* Cossiga, le origini di Gladio

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Il "picconatore"

* Cossiga, il presidente picconatore che sopravvisse alle Br e a Gladio

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Cossiga, il presidente picconatore che sopravvisse alle Br e a Gladio

* Addio a Cossiga, il ritratto di Filippo Ceccarelli

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Il ritratto di Fililppo Ceccarelli

* RepTv. Cossiga sul caso Moro

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Gli anni di piombo

* ''Io sono un finto matto che dice le cose come stanno''

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Le frasi celebri

* Francesco Cossiga: 50 anni di politica

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Cossiga, 50 anni di politica

* Cossiga, la vita nelle istituzioni

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Cossiga, la vita nelle istituzioni

* Addio a Francesco Cossiga il "picconatore" non ce l'ha fatta

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Addio a Francesco Cossiga il "picconatore" non ce l'ha fatta

ROMA - Subito dopo aver saputo della morte dell'ex presidente della repubblica Francesco Cossiga, il Papa Benedetto XVI si è detto "profondamente addolorato" e ha assicurato "preghiere per il defunto e vicinanza alla famiglia". Pochi giorni fa Sua Santità aveva inviato monsignor Fisichella a suo nome in visita da Cossiga e nel mese precedente ci sono state alcune telefonate tra il pontefice e l'ex presidente. È Atteso, entro oggi, un telegramma di cordoglio dalla Santa Sede.

"Piango un amico carissimo, affettuoso, generoso. Mi mancheranno il suo affetto, la sua intelligenza, la sua ironia, il suo sostegno. Ai suoi figli l'impegno della mia vicinanza". Così il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha commentato la scomparsa del presidente emerito Francesco Cossiga.

Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha espresso il cordoglio della Chisa italiana ricordando che Cossiga servì il Paese "in momenti assai delicati".

La notizia della scomparsa di Cossiga ha raggiunto anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nella tenuta residenziale di Castelporziano. Il Capo dello Stato ha espresso il suo cordoglio dicendo che "a sentimenti di affettuosa vicinanza ai figli e a tutti i famigliari di Francesco Cossiga si unisce la mia forte commozione personale, che nasce dal ricordo del nostro primo incontro in Parlamento nel lontano 1958 e del comune impegno cui ci avviammo da giovani deputati, con eguale passione civile anche se su sponde politiche diverse. Mi colpirono subito - insieme con la vivacità e varietà dei suoi interessi culturali - quella ricchezza umana, quell'animo estroverso e cordiale e quel senso dell'umorismo che sempre ne avrebbero accompagnato il lungo servizio nella vita pubblica".

Il presidente del Senato Renato Schifani, dopo aver saputo della morte del senatore a vita, ha interrotto le sue vacanze alle isole Eolie per fare rientro a Roma. "Ho appreso con profondo dolore la notizia della morte del presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga - ha commentato il presidente della Camera Gianfranco Fini - In oltre cinquant'anni di attività al servizio delle Istituzioni, ha interpretato con vigore e coerenza i princìpi della Costituzione, fornendo anche un prezioso contributo alla salvaguardia della democrazia nel corso di alcune delle fasi più drammatiche della vita repubblicana dei decenni passati".

"Apprendo con dolore la notizia della scomparsa di Francesco Cossiga. E' stato un grande protagonista della vita democratica del nostro paese", ha dichiarato il presidente del Copasir, Massimo D'Alema. "Con lui - ha aggiunto - abbiamo avuto momenti di incontro così come di aspri conflitti, vissuti sempre con rispetto reciproco e lealtà. In questi ultimi anni ci ha unito un'intensa amicizia, della quale gli resterò grato".

Per l'ex presidente del consiglio, Romano Prodi, "con Francesco Cossiga l'italia perde uno dei protagonisti della storia repubblicana. Si è trovato ai vertici della politica del nostro paese in momenti difficili ed estremamente complessi: ha saputo ricoprire ogni incarico con forte personalità e, soprattutto, con grande rispetto delle istituzioni. Mi unisco al dolore della sua famiglia".

Non se la sente di commentare, invece, Giulio Andreotti. Contattato telefonicamente dall'Asca, il senatore a vita fa sapere, attraverso la sua segretaria, di essere ''molto addolorato'' per la scomparsa dell'amico, con cui ha condiviso decenni di militanza democristiana. ''E' rimasto molto colpito, anche se era preparato, ma non se la sente di parlare direttamente'', ha riferito la collaboratrice.

"Il suo valore verrà apprezzato nel tempo, come per i veri uomini di Stato", fa sapere Bobo Craxi. "In questo giorno triste - prosegue - voglio affermare che Francesco Cossiga fu per mio padre Bettino più di un collega, così come per la mia famiglia, che ne ha sempre apprezzato le grandi doti umane, l'intelligenza, la straordinaria ironia. L'Italia ha perso una personalità la cui grandezza stride di fronte ai personaggi della seconda Repubblica. Conserverò sempre un grande ricordo del presidente".

Per Pier Luigi Bersani "se ne va una persona singolare e straordinaria e una parte della nostra storia", mentre per il presidente dei deputati Pdl Fabrizio Cicchitto "scompare una delle poche voi libere e anticonformiste nel nostro Paese, libero sempre e in ogni circostanza". Il leader dell'IdV, Antonio Di Pietro, fa sapere che "l'Italia dei Valori si associa al dolore della famiglia" e il ministro Roberto Calderoli prova "un gran dispiacere per la perdita di un amico e di un grande personaggio politico che ha insegnato qualcosa a ciascuno di noi".

Commosso anche il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini, secondo cui "scompare uno dei protagonisti della vita della nostra Repubblica. In lui, come in pochi altri, si sono sintetizzate le alterne vicende della politica: ha avuto grandi soddisfazioni e infinite amarezze, si è dimesso ed è risorto politicamente più volte. E' stata una personalità anticonformista, coraggiosa e anticipatrice".

(17 agosto 2010)

 

 

 

Rispetto e dolore per Cossiga

anche da parte degli ex-nemici

Per l'ex brigatista Prospero Gallinari il presidente emerito scomparso "fu l'unico che cerò di capire". Francesca Mambro: "Sono dispiaciuta"

Rispetto e dolore per Cossiga anche da parte degli ex-nemici Francesco Cossiga

ROMA - Parole di dolore e di rispetto per la morte di Francesco Cossiga arrivano anche da alcuni ex terroristi, protagonisti della lotta armata nei bui anni di piombo, quando era il nemico da combattere in veste di ministro dell'Interno, carica da cui si dimise subito dopo l'assassinio di Aldo Moro. Un dolore discreto e riservato quello di Francesca Mambro. Parole di rispetto per un "ex nemico" da parte del brigatista Prospero Gallinari e di Valerio Morucci.

L'uomo che tenne prigioniero Aldo Moro in via Montalcini e che a lungo venne indicato come colui che aveva sparato al presidente della Dc, esprime dolore per la morte di Cossiga: "Lui era un mio nemico ma debbo riconoscere che è stato tra i pochi politici se non l'unico del 'Palazzo' a essersi posto il problema di trovare una spiegazione politica, non complottistica o dietrologica, a quello che è accaduto in Italia negli anni Settanta. Lui ha preso atto e a cercato di capire le ragioni dello scontro che ha attraversato tutta la società italiana. Non giustificava, né avrebbe potuto giustificare, la lotta armata, ma cercava di spiegarla e di spiegarsi. Per lui ho rispetto. Il rispetto che si deve a un ex nemico, ma anche all'unico che si pose il problema di capire. Di avere il coraggio di capire".

"E' stato l' unico che ci ha riconosciuto la dignità di nemici politici - ha detto l'altro ex brigatista Valerio Morucci - affrancandoci dal ruolo di criminali a cui la politica ci aveva condannati per necessità". "L' ho incontrato quattro anni fa nel suo ufficio al Senato - ha detto - lo cercai io. Abbiamo parlato a lungo concordando che dopo una guerra tra nemici si può dialogare, proprio perché finite le ragioni della guerra, finisce anche l'inimicizia".

"Mi dispiace tanto" si limita a dire Francesca Mambro nell'apprendere, al telefono, la notizia della scomparsa dell'ex presidente, "dell'amico", di colui che più volte si era apertamente espresso per la sua innocenza - come per quella di suo marito Valerio Fioravanti - per la strage di Bologna e per la quale entrambi sono stati condannati in via definitiva. Tanto era convinto di questa innocenza da perorare, per i due ex terroristi, anche la grazia. Cossiga sposò la tesi innocentista del duo ex Nar Mambro-Fioravanti per quanto riguarda la bomba di Bologna. "Da tempo sono convinto della loro innocenza. Mi auguro si possa riaprire il processo" scriveva il presidente in una lettera inviata tre anni fa alla presentazione del libro di Andrea Colombo, Storia nera. Bologna, la verità di Francesco Mambro e Valerio Fioravanti. "Sono convinto della loro innocenza proprio perché - spiegava - sono stato un ministro dell'Interno impegnato nella lotta contro il terrorismo. La sentenza di condanna non è una sentenza di 'sinistra', come qualcuno dice, ma di una certa 'sinistra' che doveva regolare i suoi conti bolognesi". Per Cossiga la strage di Bologna è stato un errore dei palestinesi. "Probabilmente - ebbe modo di dire - era in corso un trasporto di esplosivo da parte dei palestinesi che, come tutti sanno, in quel periodo avevano mano libera di agire non contro l'Italia ma in Italia. È possibile che durante quel trasferimento, una o due valige di esplosivo siano saltate in aria".

(17 agosto 2010

 

 

 

Cossiga, il presidente picconatore

che sopravvisse alle Br e a Gladio

Da Sassari al Quirinale, l'avventura politica di uno dei protagonisti della storia repubblicana. Le dimissioni dopo la morte di Moro, la presidenza del Senato e il settennato bifronte al Quirinale. In mezzo i "processi" in Parlamento per le vicende Donat Cattin e Stay Behind

di SALVATORE MANNIRONI

Cossiga, il presidente picconatore che sopravvisse alle Br e a Gladio Francesco Cossiga in via Caetani, a Roma, davanti alla R4 rossa nel cui portabagagli le Br hanno fatto ritrovare il cadavere di Aldo Moro

* "Ho sempre servito la Repubblica non voglio autorità ai miei funerali"

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* Cossiga, le origini di Gladio

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* Addio a Cossiga, il ritratto di Filippo Ceccarelli

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* RepTv. Cossiga sul caso Moro

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* ''Io sono un finto matto che dice le cose come stanno''

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* Francesco Cossiga: 50 anni di politica

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* Cordoglio bipartisan per il "picconatore" Berlusconi: "Piango un amico carissimo"

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* Addio a Francesco Cossiga il "picconatore" non ce l'ha fatta

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Addio a Francesco Cossiga il "picconatore" non ce l'ha fatta

ROMA - Nessun altro protagonista, nella storia della Repubblica, ha avuto tante vite istituzionali quanto Francesco Cossiga. Non si può capire altrimenti come la sinistra italiana lo abbia accusato di tutto ai tempi del sequestro Moro, quando era ministro dell'Interno, lo abbia poi sostenuto e votato come presidente della Repubblica e ne abbia, pochi anni dopo, chiesto la messa in stato d'accusa per la vicenda Gladio.

Nella storia che cambiava e ogni tanto presentava il conto, Cossiga è rimasto elasticamente fedele a una sua idea della politica e del mondo, rapportando le proprie scelte ai cambiamenti della sua epoca finché questa, crollato il Muro di Berlino, non si è conclusa. L'esempio più chiaro è forse il sostegno accordato al governo D'Alema, che sanciva, come egli stesso spiegò espressamente, la fine della "conventio ad escludendum" verso i comunisti italiani, ormai inutile alla luce degli eventi.

In maniera più superficiale, il grande cambiamento di Cossiga è sempre stato individuato nel corso del suo settennato al Quirinale, quando il riserbo tutto sardo che lo aveva accomunato al cugino Enrico Berlinguer, lasciò il posto all'improvvisa vena "esternativa" che lo trasformò nel Picconatore. Nato a Sassari il 26 luglio del 1928 (ma di sempre rivendicate origini pastorali di Chiaramonti), Cossiga è stato il più giovane ministro degli Interni, il più giovane presidente del Senato e il più giovane capo dello Stato nella storia della Repubblica.

La sua attività politica è iniziata a 17 anni quando si iscrisse alla Democrazia cristiana e proseguì, passando per la Fuci, fino alla battaglia dei "giovani turchi" contro la vecchia classe dirigente dc in Sardegna, che lo portò, alla fine degli Anni Cinquanta, alla Camera dei deputati. Nel 1966 divenne sottosegretario alla Difesa nel terzo governo Moro, consolidando nel tempo sia la conoscenza sua delle segrete cose e dei meccanismi dello Stato, sia l'immagine di servitore riservato e fedele del partito di governo e delle sue alleanze.

Il 12 febbraio del 1976, a 48 anni, iniziò al Viminale l'esperienza che, come raccontò in seguito, gli cambiò la vita. Nel paese in ebollizione, con i manifestanti uccisi per le strade militarizzate del '77 (Francesco Lorusso prima, Giorgiana Masi poi), il suo nome scritto con la K dilagò sui muri delle città, mentre l'offensiva brigatista raggiungeva il culmine e i membri della P2 invadevano posti chiave dello Stato, inclusi quelli alle sue dirette dipendenze. L'avventura da "giovane" ministro degli Interni si concluse con le dimissioni, presentate dopo l'uccisione di Aldo Moro da parte delle Br: "Se ho i capelli bianchi e le macchie sulla pelle - disse in un'intervista - è per questo. Perché mentre lasciavamo uccidere Moro, me ne rendevo conto. Perché la nostra sofferenza era in sintonia con quella di Moro".

Un anno dopo divenne presidente del Consiglio ed anche questa esperienza, attraversata dalle stragi e dai misteri di Ustica e Bologna, si concluse traumaticamente, dal punto di vista politico, per un altro frutto velenoso degli Anni di piombo. Il Pci ne chiese l'incriminazione davanti al Parlamento, accusandolo di aver favorito la fuga all'estero di Marco Donat Cattin, comunicando a suo padre Carlo, collega di partito e di governo, l'imminente arresto del figlio nell'ambito delle indagini sul gruppo terroristico Prima linea. Fu Enrico Berlinguer in persona a sostenere che il premier fosse l'autore della fuga di notizie. In Parlamento la Dc e gli alleati fecero muro e votarono l'archiviazione, ma la polemica costò a Cossiga un periodo di "accantonamento" dai ruoli di primo piano, che si concluse nel 1983 quando fu eletto presidente del Senato.

Il lavoro a Palazzo Madama gli valse il consenso, due anni dopo, per diventare sin dal primo scrutinio l'ottavo presidente della Repubblica, succedendo a Sandro Pertini. Il suo mandato fu caratterizzato da due fasi ben distinte. Fino al 1989, fu il "presidente notaio", attento soprattutto a far rispettare la Costituzione, le forme e i rapporti istituzionali da essa regolati. Crollato il Muro, fu come se fosse giunta l'ora, per Francesco Cossiga, di disvelare le ipocrisie e i retaggi che dal passato ingessavano la vita della Repubblica, incluso il rapporto di dipendenza che legava l'Italia agli Usa ed alla sua Intelligence. Si aprì così l'epoca del "presidente picconatore", in cui molte delle figure cardine della storia italiana del Dopoguerra - dai partiti politici con la Dc in prima fila, ai magistrati, dalla Consulta fino alla Cia - furono oggetto di critiche, riletture provocatorie, altolà e polemiche.

Cossiga lasciò il Quirinale -dove peraltro non visse mai nel corso del mandato - il 28 aprile del 1992, con due mesi di anticipo sulla scadenza del mandato e nel pieno della bufera scatenata da una delle sue esternazioni: le rivelazioni su Gladio, la struttura più superficiale e "innocua" della rete atlantica Stay Behind di cui Cossiga si era occupato sin dagli inizi dell'esperienza governativa. Cos'era? In caso di allarme o "pericolo rosso" per lo Stato (sarebbe bastata una maggioranza elettorale di sinistra), cellule dormienti di "civili" fedeli all'alleanza atlantica, recuperando armi Nato custodite in depositi "nasco" sparsi per il Paese, avrebbero dovuto "neutralizzare" gli esponenti di punta della sinistra, del sindacato e dei partiti, che poi sarebbero stati rinchiusi o confinati. Eravamo, insomma, ufficialmente, una democrazia a sovranità limitata e sotto tutela straniera, ma "tutti sapevano", disse Cossiga, accusando il Pci di aver montato il caso per anticipare eventuali altre "rivelazioni" in arrivo da Oltrecortina dopo il crollo del Muro.

Nel luglio del 1994, il tribunale dei ministri (come pure la procura di Roma) dichiarò infondata ogni accusa nei suoi confronti e Cossiga ricominciò a fare politica. Tangentopoli e Mani Pulite avevano nel frattempo concretizzato molte delle sue previsioni sulla fine della prima Repubblica, disperdendo la sua Dc tra centrodestra e centrosinistra. Nel 1998, fondò l'Udr che poi si unì al Cdu e si trasformò nel Ccd. Dietro l'appartenenza o meno a una sigla, da allora Cossiga ha portato avanti la sua attività in Senato e nella politica da battitore libero, valutando di volta in volta, assicurando i voti necessari al varo del governo D'Alema (1998) prima e al secondo governo Prodi (2006) poi, salvo votare un anno dopo la fiducia a Silvio Berlusconi.

Oltre la politica, Francesco Cossiga ha continuato a coltivare i suoi studi (è stato docente di Diritto Costituzionale), la sua cultura vasta e le sue passioni. Dai soldatini da collezione all'esoterismo, dalla letteratura di spionaggio all'Irlanda, un'isola così lontana eppure così simile a quella dove, tra pecore e muretti a secco, era iniziata la sua avventura umana.

(17 agosto 2010)

 

 

 

 

dal Sito Internet de L'Espresso

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/guzzantii-cossiga/2132244

Guzzanti: "Un visionario che sapeva molto"

di Giulia Cerino

Cossiga era un uomo solo, pieno di intuito e di capacità di capire dove andava la politica. Non era corruttibile, ma si è portato nella tomba i segreti sulla morte di Moro

(17 agosto 2010)

Francesco Cossiga e Paolo Guzzanti Francesco Cossiga e Paolo Guzzanti"Cossiga, un uomo solo" è il titolo del libro che Paolo Guzzanti, giornalista e parlamentare (oggi nel Pli ma eletto con il Pdl) ha dedicato nel 1991 all'ex presidente della Repubblica. Guzzanti di Cossiga era amico e studioso. A lui abbiamo quindi chiesto un ricordo-ritratto dello statista appena deceduto.

In che rapporti era con Cossiga?

"Provavo grande affetto e amicizia per lui. Vivemmo una stagione drammatica. Io lo so perché ero il giornalista di cui più si fidava. Diceva tutto prima a me e io lo dicevo alle televisioni. Gli volevo bene. Ne abbiamo passate tante. L'ultima volta che l'ho sentito è stato perché Sabina voleva intervistarlo per il suo ultimo film. 'Ma certo venite vi aspetto', ci disse. Poi però abbiamo avuto dei ritardi e l'intervista non è più andata in porto. Peccato, l'avrei rivisto".

Cossiga è stato un uomo dai mille volti. Come e per cosa sarà ricordato?

"Ognuno ne ricorderà un aspetto. Il mio ricordo è di un uomo onesto, fantasioso, un cavaliere errante pieno di visioni fantastiche che ha unito letteratura e poesia. Io non ho mai creduto fosse matto. Quando "La Stampa" per cui lavoravo e "L'espresso" hanno tirato in ballo l'idea che fosse malato e andasse sostituito da un comitato di garanti io non ero d'accordo. Cossiga non è mai stato matto. Lui lo sapeva e anzi si è fatto furbo, ha usato questo suo 'stile' bizzarro come strumento di comunicazione e come mezzo per giustificare molte sue azioni stravaganti e discutibili. Come quando decise che avrebbe picconato il sistema politico. Non era follia, quella. Ma un'intuizione. Sapeva che il sistema era malato ed i partiti pure. Era convinto che il sistema politico di allora fosse legato alla guerra fredda e che, una volta finita, i partiti politici italiani sarebbero crollati. Disse qualcosa che non piaceva ai suoi nemici e nemmeno agli amici. Si sbagliava? L'attualità politica dice di no".

Nel suo libro lei lo disegna come un "uomo solo". Cosa vuole dire?

"L'ho sempre visto come un solitario, un don Chisciotte visionario e in questo mi sento simile a lui. Messi insieme eravamo due matti da legare. L'hanno lasciato solo perché diceva qualcosa che faceva paura. La sua era una solitudine politica, ma anche morale, intellettuale. Solo pochi hanno capito che dietro le sue 'picconature' c'era una visione del mondo politico italiano e hanno avuto il fegato di sostenere le sue idee. Cossiga era un uomo solo e 'forte' della sua solitudine".

Ma oltre che 'solo', quali aggettivi userebbe oggi per ricordarlo?

"Intuitivo fino alla genialità: aveva capito che il regime italiano si muoveva verso il presidenzialismo e gridava che bisognava guidare quel processo in senso democratico e parlamentare. Ma i partiti stavano ffondando e non vollero sentire: oggi abbiamo un presidenzialismo di fatto che calpesta la Costituzione proprio perché Cossiga non è stato ascoltato. Il secondo aggettivo è Incorruttibile (ma non so se non fosse ricattabile per la vicenda Moo) e il terzo: un gran pasticcione. Cossiga era un casinaro quando si metteva in testa di sapere cose di cui invece sapeva poco e male. Dopo la strage del 2 agosto 1980 a Bologna, come nel caso di Ustica, sostenne tutto e il contrario di tutto rincorrendo ipotesi e voci che raccoglieva. A me chiese disperato se io potevo dargli la dritta giusta e gli dissi quel che pensavo di Ustica: bomba araba, nessun missile. Ma lui tirò in ballo francesi, americani, complotti bizzarri e sempre così, a cavolo, senza uno straccio di pezza d'appoggio. L'amara verità è che lo "spione Cossiga" di servizi segreti non ha mai capito niente. Era un 'orecchiante'. A lui piaceva parlare con i cellulari di ultima generazione. Forse qualche volta, davanti allo specchio, si sarà anche anche atteggiato a barba finta, a 007. Ma era in materia di intelligence era un amateur dalle molte conoscenze".

Ora e riporto delle frasi tratte da "Fotti il Potere - manuale sul potere politico", scritto dallo stesso Cossiga e lei mi risponde che cosa ne pensa. Pronto? Cominciamo; 'La bomba di piazza Fontana fu opera degli americani'. "Balla sesquipedale, ma di gran moda da decenni".

'La politica è una droga che non prevede disintossicazioni'.

"Una frase stupida. Anche Omero sonnecchia, figurati Cossiga".

'Governare è far credere'.

"Dipende da chi governa. Obama e Sarkozy, per fare due esempi politicamente opposti, si sono presentati agli elettori con un grande appeal sia politico che personale: dietro al fascino c'era anche un programma di governo".

'I politici sono marionette nelle mani dei banchieri'.

"Credo di no. Ma se lui ne ha fatto esperienza nel suo partito allora vuol dire che è vero. Ma insomma, ognuno parli per sé".

'Non c'è leader politico che non possa essere arrestato per tangenti'.

"Dipende da in quale epoca ci troviamo. Berlusconi di certo non le ha mai prese. Semmai le paga".

'La mafia ci appartiene, tanto vale accettarla'.

"Orrendo. Ecco, vedete, Cossiga ha questi lati oscuri. Come quando diceva di accettare l'integralismo islamico e di essere d'accordo sul fatto che le donne islamiche in Italia devono andare in giro col burka solo perché lo dice la loro religione"

'Oltre all'Fbi, fu il mondo economico a mettere in piedi Mani Pulite'.

"Ah bé, se lo dice lui. Avrebbero fatto comodo, anche qui, le pezze d'appoggio. Pasticcione.

'Esistono tradimenti doverosi e persino morali'.

"Questa è una frase tipicamente cossighiana. Forse si riferiva al caso Moro".

A proposito di Moro: perché si dimise dopo l'uccisione del presidente della Dc?

"Perché fece carte false e penso assai poco onorevoli pur di salvarlo. Per questo quando Moro venne ammazzato ebbe un trauma. Dolore, certo ma forse anche vergogna perché quel che fece, non da solo, non servì a salvare Moro: fu beffato e per questo ebbe il trauma che lo fece incanutire in un attimo e coprire di vitiligine, la malattia psicosomatica della pelle. Purtroppo si porterà con sé questa e altre verità nella tomba: io avevo sperato fino all'ultimo che prima di morire le raccontasse al Paese la verità vera, a lui piaceva giocare a fare il Talleyrand, a mentire in nome dello Stato. Ancora oggi, a distanza di più di vent'anni, rievocare il caso Moro vuol dire entrare in un tunnel di segreti e vergogne, benché la verità sia accessibile, come ho potuto dimostrare nella Commissione Mitrokhin, cosa che ha scatenato anche contro di me l'inferno".

Torniamo agli anni '70. Sui muri di certe città si leggono ancora oggi scritte contro Cossiga, provocatoriamente scritto con la K. Ma a lui piaceva essere ricordato così. Perché?

"Per civetteria. Negli anni settanta, a causa di un film intitolato "L'AmeriKano", venne la moda di mettere il kappa per alludere alla Cia. A lui questo piaceva, era il suo giocattolo. Ma gli americani sfruttarono questa sua passione americana, che condivido anch'io, come dimostra il fatto che quando gli americani gli chiesero di portare D'Alema alla presidenza del Consiglio, lui lo fece organizzando lo sgambetto del 9 ottobre 1998 a Prodi. Così Clinton poté fare la guerra contro la Serbia usando le basi italiane senza timore di blocchi organizzati dall'ex Pci contro le basi e la guerra. Missione compiuta, ma non ne andrei così fiero. Però, avendo sponsorizzato D'Alema a Palazzo Chigi, batté Scalfari e si riqualificò a sinistra. Anche questo era Cossiga".

Se potesse, cosa direbbe Cossiga della transizione in atto, di Fini contro Berlusconi?

"Non lo so, ma posso raccontarle una cena dell'aprile del 1993 al Grand Hotel di Roma. Cossiga spinse personalmente Berlusconi alla politica partecipando a quella cena a cui partecipava anche Agnelli, Rossignolo, il segretario del Pli Altissimo, il professor Scognamiglio, e naturalmente Berlusconi. Lo scopo era sbarrare la strada ad Occhetto, e alla sua pretesa ?€˜gioiosa macchina da guerra'. Cossiga sosteneva Berlusconi ma era incazzato nero perché poi Berlusconi rifiutava di farsi guidare da lui. A quei tempi sosteneva anche Fini e anzi fu proprio lui a sdoganarlo, prima di Berlusconi. Mentre per la sinistra italiana Fini, antagonista di Rutelli al Comune di Roma, era sempre solo un fascista, mica come oggi che è l'eroe della resistenza al nuovo duce. Quelle di oggi sono le conseguenze delle azioni di 10-15 anni fa. Cossiga sapeva che in Italia sarebbe andata a finire così. E lo sapeva perché era intuitivo e incorruttibile, ma sempre un gran casinaro, un pasticcione, l'anima del pastore sardo nel corpo di uno statista bizzarro".

 

 

REPUBBLICA

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http://www.repubblica.it/

2010-08-17

 

 

L'UNITA'

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2010-08-19

Sassari, l'ultimo addio a Cossiga: "Picconava per amore"

"Francesco Cossiga picconava per amore, e se la sua ironia bonaria nelle intenzioni si rivestiva talvolta di spirito di rivalsa e di qualche pavoneggiamento che lui stesso riconosceva, pentendosene, lo spirito cristiano lo riconduceva al perdono. Riscoprì un bel giorno l'antico proverbio sardo 'dai matti e dai bambini si può sentire la verita", ma ha pianto lacrime sincere per la tragedia del suo amico Aldo Moro".

Così l'arcivescovo di Nuoro Pietro Meloni nella sua omelia funebre durante i funerali dell'ex Capo dello Stato a Sassari. "Ha certamente fatto del bene e se ha bisogno del perdono otterrà il perdono di Dio. Il mondo forse continuerà a parlare di lui, per studiarlo meglio e capirlo perchè con lui la fantasia è andata un pò al potere", ha aggiunto monsignor Meloni, prima di concludere con un passo di una lettera di San Paolo ai Romani: "Dio giustifica e Gesù Cristo che è morto e resuscitato intercede per noi".

Questa mattina alle 7,30 la bara con la salma di Francesco Cossiga era davanti l'altare della Chiesa San Carlo al Corso di Roma, avvolta nel tricolore e nella bandiera sarda dei quattro mori, come aveva disposto il senatore a vita. Nei primi banchi c'erano i figli Giuseppe e Anna Maria, i familiari, i collaboratori del presidente e gli amici più intimi. Nessun picchetto d'onore, nessuna corona di fiori e nessuna autorità, solo due vasi di rose rosse vicino la bara. Alle sacre esequie erano presenti pochissime persone con le lacrime agli occhi per la commozione. Una celebrazione sobria per un ex Capo di Stato che, come ha ricordato Don Claudio Papa durante l'omelia, "ha coltivato la fede in Cristo con una pratica costante, diceva il rosario ogni giorno. La fedeltà alla S. Messa domenicale è stata per lui punto di riferimento", pertanto è necessario avere "fiducia nella sua resurrezione".

19 agosto 2010

 

 

 

2010-08-18

L'ultimo saluto a Cossiga

Alle 9,20, con quaranta minuti di anticipo rispetto all'orario previsto, all'arrivo del segretario di Stato Vaticano Tarcisio Bertone, è stata aperta la camera ardente del presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga. Bertone benedirà la salma che ieri è stata traslata nella chiesa centrale dell'Università cattolica di Roma. Davanti alla chiesa, si è radunata fin dal primo mattino una piccola folla di giornalisti e gente comune. Pochi minuti prima dell'apertura della camera ardente, sono arrivati i figli di Cossiga, Giuseppe e Anna Maria.

Numerose le corone di fiori. Tra le altre, quelle del presidente della Repubblica, del presidente del Consiglio dei ministri e della Corte Costituzionale. Si notano poi gli omaggi del Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri, del capo di Stato maggiore dell'Esercito e del ministro della Difesa. Ci sono poi le corone del presidente della Regione Sardegna e del sindaco di Sassari. Ad accogliere le autorità ci sono il direttore della sede di Roma dell'Università Cattolica, Giancarlo Furnari, il direttore del policlinico Gemelli, Cesare Catananti e l'assistente ecclesiastico dell'Università cattolica, monsignor. Sergio Lansa.

Le esequie si svolgeranno informa privata probabilmente a Sassari. Il papa Benedetto XVI ha espresso cordoglio per la morte di un "autorevole protagonistadella vita nazionale italiana e uomo di fede".

NAPOLITANO ALLA CAMERA ARDENTE

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è giunto da pochi minuti alla camera ardente del presidente emerito Francesco Cossiga, allestita presso la chiesa centrale dell'Università Cattolica a Roma. il Capo dello Stato venerdì scorso aveva fatto visita ai familiari di Cossiga durante il ricovero presso il reparto di rianimazione del policlinico Agostino Gemelli. "Il mio - ha detto Napolitano - è' un piccolo omaggio ad un grande uomo di Stato, ho salutato un amico".

ALLA CAMERA ARDENTE ANCHE FINI,CIAMPI E PARISI

Alla camera ardente è arrivato pochi minuti fa il presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini. Poco prima era arrivato l'ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e con la moglie Franca e l'ex ministro della difesa Arturo Parisi.

IL PRESIDENTE DEL SENATO SCHIFANI

Alla camera ardente allestita all'interno della chiesa madre del Policlinico Gemelli e aperta poco dopo le 9,30 dove riposa la salma del senatore a vita Francesco Cossiga è arrivato il presidente del Senato Renato Schifani.

MONSIGNOR BERTONE PORTA SALUTO DEL SANTO PADRE

Il segretario di Stato Vaticano, monsignor Tarcisio Bertone ha visitato la camera ardente del presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga, allestita nella chiesa centrale dell'Università Cattolica di Roma, portando alla famiglia il saluto del Santo Padre. Secondo quanto appreso, il cardinale ha sostato in preghiera davanti alla bara, benedicendo la salma. Conversando con i figli del presidente, monsignor Bertone avrebbe definito Cossiga "uno statista di spiritualità cristiana". Dopo pochi minuti ha raggiunto la camera ardente il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta.

MESSAGGI DI CORDOGLIO DEL PAPA AI FIGLI E A NAPOLITANO

Benedetto XVI ha inviato telegrammi di cordoglio per la morte di Francesco Cossiga sia ai due figli dello scomparso ex presidente della Repubblica, Giuseppe e Annamaria, sia all'attuale capo dello Stato Giorgio Napolitano. Nel telegramma ai figli di Cossiga, il Papa si dice "spiritualmente vicino in questo momento di dolore", porgendo le sue "più sentite condoglianze" e assicurando la sua "sincera partecipazione al grave lutto che colpisce anche l'intera nazione italiana". Il Pontefice ricorda "con affetto e gratitudine questo illustre uomo cattolico di Stato, insigne studioso del diritto e della spiritualità cristiana che nelle pubbliche responsabilità ricoperte seppe adoperarsi con generoso impegno per la promozione del bene comune".

COLLOQUIO FINI-LETTA

C'è stato spazio anche per un colloquio privato a tu per tu tra il presidente della Camera Gianfranco Fini e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, al Gemelli, a conclusione della visita alla camera ardente allestita per il presidente Emerito Francesco Cossiga. Nessuno dei due esponenti politici ha voluto rilasciare dichiarazioni. Secondo quanto si è appreso Fini e Letta insieme al presidente del Senato Schifani si sono raccolti in preghiera per alcuni minuti davanti alla salma, e all'uscita hanno parlato a lungo tra loro. Subito dopo la partenza di Fini è giunto alla camera ardente il ministro della Giustizia Angelino Alfano.

SCHIFANI

"Il testamento lasciato dal presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga, ai parlamentari, è quello di governare la Repubblica al servizio del popolo, unico sovrano del nostro Stato democratico". Lo ha detto il presidente del Senato, Renato Schifani, lasciando la camera ardente del presidente Cossiga. Schifani si è trattenuto per circa mezz'ora. Ha salutato i figli di Cossiga, Giuseppe e Anna Maria e si è fermato a parlare con il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, il presidente della Camera, Gianfranco Fini, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta. Secondo quanto appreso, i rappresentanti delle istituzioni hanno condiviso la commozione per la scomparsa di Cossiga e alcuni ricordi. Alla ripresa dei lavori del Senato, ha annunciato Schifani,si terrà una "celebrazione solenne" in Aula per il presidente emerito.

NOVE GIORNI AL GEMELLI, POI LA CRISI FATALE

Francesco Cossiga è morto ieri alle 13,18 all'ospedale Gemelli di Roma dove da lunedì 9 agosto era ricoverato in rianimazione per una insufficienza cardiorespiratoria. Nove giorni altalenanti con una quadro clinico di continua gravità (aveva ricevuto il sacramento dell'unzione degli infermi) nei quali, dopo la prima crisi che gli aveva fatto varcare le soglie del nosocomio, il presidente aveva dato a cavallo di Ferragosto segnali di miglioramento. Anche la situazione infettiva sembrava rispondere alle cure, tant'é che pur rimanendo legato ai supporti artificiali, i farmaci sedativi venivano gradualmente diminuiti. La seconda crisi cardiocircolatoria è stata invece fatale.

Cossiga ha lasciato quattro lettere destinate al presidente della Repubblica, ai presidenti delle Camere e al presidente del Consiglio, per chiedere che i suoi funerali siano celebrati in forma strettamente privata. La camera ardente sarà allestita dalle 10 alle 18 nella chiesa madre del Gemelli, mentre le esequie dovrebbero svolgersi in forma privata nella chiesa di San Giuseppe a Sassari, anche se mancano ancora conferme ufficiali. E' stato il bollettino ufficiale sul suo stato di salute, diffuso a mezzogiorno dal Gemelli, a mettere nero su bianco ciò che già dalla notte scorsa e da tutta la mattinata si poteva leggere sui volti dei parenti e degli amici più cari che mai per un momento hanno abbandonato il capezzale del senatore. Parole lontane dalla consueta prudenza delle comunicazioni del nosocomio stilate dal professor Massimo Antonelli: "Un repentino e drastico peggioramento nella notte", un quadro clinico di "estrema gravità".

Poco più di un ora dopo il crollo per una doppia crisi, shock cardiorespiratorio e insufficienza multiorgano: la figlia Anna Maria, cerea in volto, che si precipita all'interno del reparto di rianimazione per uscirne parecchio tempo dopo sostenuta dall'affetto dei familiari e degli amici. Per nove giorni è stato il piazzale del pronto soccorso del Gemelli il polo attorno al quale si è concentrato l'affettuoso via vai della famiglia e degli amici. Con Anna Maria il fratello Giuseppe, sottosegretario alla Difesa, ma anche fedelissimi come l'ex sottosegretario Paolo Naccarato o persone care come il parlamentare Enzo Carra.

Un piazzale che ha visto la visita del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e sul quale è apparso, a tratti, anche qualche breve mezzo sorriso di speranza ma che stamattina è tornato a riempirsi quando è stato chiaro a tutti che Cossiga questa volta non ce l'avrebbe fatta. Qualcuno stamattina sussurrava perfino che l'anziano senatore sarebbe stato presto spostato da rianimazione a geriatria. Non è stato così. Cossiga passerà alla camera ardente dove già sono in corso i lavori di allestimento. Ad accorrere subito il vescovo di Nuoro monsignor Pietro Meloni, sassarese di nascita e amico di Cossiga "dai tempi dei chierichetti". Ma non è l'unico religioso che ha portato il suo estremo affetto all'ex presidente: con lui dal primo giorno il sacerdote di famiglia don Claudio Papa ed il vescovo di Terni, monsignor Vincenzo Paglia: "ho perso un amico - ha detto - un grande credente e un grande italiano".

CHEREMULE TROPPO PICCOLA, FUNERALI FORSE A SASSARI

Si svolgeranno probabilmente nella parrocchia di San Giuseppe a Sassari e non in quella di San Gabriele a Cheremule, come appreso in un primo momento, i funerali di Cossiga. Lo si apprende da fonti vicine alla famiglia. Alla piccola chiesa di Cheremule, indicata come la candidata più probabile ad ospitare le cerimonia funebre a carattere strettamente privato, sarebbe stata alla fine preferita quella della parrocchia dove Cossiga andava sempre a pregare quando si recava a Sassari.

18 agosto 2010

 

 

 

Cossiga, la vita, da Moro a "Picconatore"

Francesco Cossiga è stato uno dei protagonisti della politica italiana del dopoguerra. Arrivato a ricoprire la più alta carica dello Stato, dal 1985 al 1992, ha concluso gli ultimi due anni del mandato guadagnandosi la fama di "picconatore" per i suoi attacchi alla politica della Prima repubblica. Democristiano, è stato ministro degli Interni durante gli "anni di piombo" scatenando proteste e polemiche per i suoi provvedimenti restrittivi in materia di ordine pubblico e quando, nel 1977, durante disordini a Roma Giorgiana Masi fu uccisa ma da chi e in quali circostanze non è mai stato chiarito. Era lui ministro quando venne rapito Aldo Moro: dopo l'assassinio del politico da parte delle Br, Cossiga si dimise. Come sottosegretario alla difesa, nel 1966 fu lui a sovrintendere alla struttura "Gladio", braccio italiano dell'organizzazione internazionale Stay Behind che doveva impedire l'ascesa al potere del Partito comunista italiano e sulla quale pesano ancora molti misteri e sospetti.

Cossiga era nato a Sassari il 26 luglio 1928. Aveva iniziato la sua carriera parlamentare nel 1958, nelle file della Dc. Nel 1966, a nemmeno 38 anni, fu il più giovane sottosegretario alla difesa (nel terzo governo Moro), quindi nel 1976, a quasi 48 anni, il più giovane ministro dell'interno (quinto governo sempre presieduto da Moro). È stato presidente del consiglio dal 4 agosto 1979 al 18 ottobre 1980 e presidente del Senato dal 1983 al 1985. Nello stesso 1985 Cossiga divenne l'ottavo presidente della Repubblica, carica che ha mantenuto fino all'aprile del 1992, a due mesi dalla scadenza del mandato, quando annunciò le dimissioni con un celebre discorso televisivo. Da allora, in qualità di ex presidente della Repubblica, ha ricoperto la carica di Senatore a vita.

 

Il presidente emerito si era iscritto alla Dc a 17, poi si laureò a 20 in giurisprudenza, nel 1948. Intraprese la carriera universitaria ottenendo, sempre a Sassari, la cattedra di diritto costituzionale. Alla fine degli anni cinquanta, ancora trentenne, iniziò la sua folgorante carriera politica a capo dei cosiddetti giovani turchi sassaresi: eletto deputato per la prima volta nel 1958 divenne poi il giovane sottosegretario alla difesa nel terzo governo Moro (23 febbraio 1966), il più giovane ministro degli Interni (il 12 febbraio 1976, a 48 anni), il più giovane presidente del Senato (12 luglio 1983, a 55 anni). E' stato il più giovane presidente della Repubblica, a 57 anni non ancora compiuti: venne eletto il 24 giugno del 1985, con una vasta maggioranza alla prima votazione, con 752 sì su 977 votanti. Lo portarono al Quirinale Dc, Psi, Pci, Pri, Pli, Psdi e Sinistra indipendente. Fino al 1990 mantenne un profilo molto istituzionale e tradizionale, poi quando Andreotti rivelò l'esistenza della struttura segrega Gladio cambiò. La ritenne legittima ma cominciò a togliersi sassolini dalle scarpe con dichiarazioni clamorose. Il Pds avviò la procedura di impeachment. Cossiga attese le elezioni del 1992 e poi si dimise con un discorso televisivo di 45 minuti.

Con la nuova fase repubblicana prima dette vida all'Udr, per raccogliere ex democristiani, appoggiò la nascita del governo D'Alema dopo la caduta di Prodi, poi ha sostenuto di volta in volta Berlusconi o Prodi.

17 agosto 2010

 

La storia di Cossiga con le prime pagine de l'Unità/1

- Le dimissioni per il caso Moro

- Il primo governo Cossiga

- Le dimissioni del governo

- Il nuovo governo tri-partito

- Lo scandalo Donat Cattin

- L'elezione a presidente della Repubblica

17 agosto 2010

 

 

 

"Lepre marzolina", attraversò la storia senza dazio...

di Enrico Deagliotutti gli articoli dell'autore

A un certo punto della sua vita – eravamo alla fine degli anni Ottanta, e lui era Presidente della Repubblica Italiana, ovvero presidente della sesta democrazia industriale del pianeta – gli piacque addirittura essere chiamato "pazzo". Lo diceva lui stesso, di sé: sono pazzo. Non ci sono tanti Stati al mondo che possano vantare di essere sopravvissuti a un presidente pazzo, ma l’Italia, come tutti sanno, non è un paese normale.

In effetti, a Francesco Cossiga venne diagnosticata una sindrome bipolare, quella che, in era prebasagliana, era chiamata psicosi maniaco-depressiva e che oggi, in epoca postbasagliana, si cura con forti dosi di litio. Lo chiamavano, all’epoca, "il picconatore" perché non passava giorno che il presidente Francesco Cossiga non "esternasse", in termini violenti, paradossali, provocatori.

Ma era davvero pazzo? Tana De Zulueta, allora corrispondente da Roma del settimanale The Economist, dubitò, e con rara arguzia lo paragonò alla "lepre marzolina" di Alice nel paese delle meraviglie. Ovvero, ipotizzò che Cossiga simulasse una pazzia, perché questa era l’unica strada che aveva per sfuggire ad una realtà terribile, di cui era testimone e (forse) protagonista.

O eravamo pazzi tutti noi? Cossiga era il giovane ministro degli Interni, moroteo, che nei 55 giorni del rapimento di Aldo Moro non capì nulla di quello che stava succedendo, affidò le indagini ad un gruppo di generali e alti funzionari dello Stato che rispondevano non a lui, ma a Licio Gelli, che Aldo Moro certo non lo voleva vivo. (Me lo ricordo, in via Caetani, avanzare in mezzo alla folla immobile verso il bagagliaio della Renault rossa. Non aveva neppure 50 anni, era vestito di grigio, si sfiorava con la mano la mandibola, aveva uno sguardo perso, camminava come se fosse sulla luna, o stesse sognando. Pochi mesi dopo quel viso si riempì di macchie bianche).

Cossiga diede le dimissioni il giorno dopo l’omicidio Moro, ma fu solo un riprendere fiato per una straordinaria carriera politica. Due anni dopo, nel 1980, era presidente del Consiglio, nell’anno di Ustica, della strage di Bologna, dei licenziamenti in massa alla Fiat; sette anni dopo era diventato il Presidente che seguiva all’amatissimo Sandro Pertini.

Dieci anni dopo nel 1990, era "il pazzo" per cui il Pds di Achille Occhetto chiedeva l’impeachment con mobilitazioni di piazza. Si dimise con largo anticipo, rispetto alla fatale primavera estate del 1992. Dopodiché si è ritagliato un ruolo di "evocatore di misteri italiani", disciplina assai simile al ricatto, che gli ha costruito una fama di grande conoscitore di massonerie, servizi segreti, guerriglie mediorientali, terrorismo basco e, soprattutto, bassa cucina della quotidianità italiana, diventando così non tanto il referente di poteri forti americani (cosa che Cossiga avrebbe voluto essere, ma non è mai stato), quanto un epigono di Mino Pecorelli e un antesignano di Vittorio Feltri.

Breve inventario dei suoi problemi esistenziali e politici:

1)1977. Da ministro degli Interni organizza squadre di poliziotti provocatori che sparano sui manifestanti a Roma. La studentessa Giorgiana Masi viene uccisa. Cossiga sosterrà, per anni e decenni, che è stata uccisa dai suoi stessi compagni.

2)1978. Da ministro degli Interni, durante il sequestro Moro, si dimostra totalmente succube di una intelligence ispirata da Licio Gelli che vuole e ottiene Moro morto. Per giustificare la sua ignavia, molti anni dopo accuserà i vertici del Pci e della Cgil di essere stati al corrente del luogo in cui era detenuto Aldo Moro.

3)1980. E’ ministro degli Interni quando la bomba fa strage alla stazione di Bologna. Dapprima dichiara che la matrice è fascista, poi cambia idea e la accredita ad un trasporto d’armi dei palestinesi andato a male. Diventa il testimonial dell’innocenza dei condannati definitivi Valerio Fioravanti e Francesca Mambro. "Sono dei bravi ragazzi e mi vogliono bene".

4)Anni Ottanta. Continui attacchi ai giudici antimafia; irrisione dei "giudici ragazzini", clamorosa difesa pubblica del giudice Corrado Carnevale che ha mandato liberi i capi di Cosa Nostra. Grande difesa della massoneria in nome delle libertà democratiche.

5)Inizio anni Novanta. Grande difesa dell’organizzazione Gladio, di cui Cossiga dichiara essere stato un dirigente. (Gladio è stata lo snodo di tutto il terrorismo fascista italiano, da Portella della Ginestra in poi). Cossiga se ne vanta. Il Pds sfila a Roma contro di lui all’inizio del 1992. Apre lo striscione un grande scudo Dc con scritta Gladio e l’elenco: "Piazza Fontana, Brescia, Italicus, Moro, Ustica, Bologna, P2, Basta!". Dopo il discorso di Occhetto, parla Luciano Lama che definisce bestemmie le difese di Fini e aggiunge: "Cossiga è indegno di rappresentare i cittadini di uno stato democratico creato dalla resistenza e dall’antifascismo".

Se il Pds scende in campo contro Cossiga, il Msi aveva infatti manifestato a suo favore, con cortei a Trieste e a Milano. Dichiarazione di Gianfranco Fini, dicembre 1991: "Per la prima volta c’è al Quirinale un presidente che non fa distinzione tra fascisti e antifascisti, ma tra onesti e disonesti e spaventa gli attuali oligarchi che cercano di ingabbiarlo".

6)Fine anni Novanta. Fonda l’Udr che dà la maggioranza al governo D’Alema dopo la caduta del primo governo Prodi.

7)Il nuovo secolo. Cossiga è un pensionato che vive attorniato da uomini dei servizi segreti che lo tengono aggiornato sui fatti italiani. Dispensa consulenze, amministra piccoli ricatti, media alcune controversie, scrive modesti libri, accorda modeste interviste. Di fronte alle contestazioni studentesche dell’Onda, consiglia al ministro degli Interni, Roberto Maroni: "Fai come feci io: infiltra, provoca, e quando avranno sfasciato tutto, non avere pietà. Il suono delle ambulanze dovrà sovrastare quelle di polizia e carabinieri".

Molte volte, quando una persona che è stata testimone e protagonista di fatti importanti, si attende il suo lascito ai posteri. Si sa che Cossiga ha lasciato quattro lettere alle più alte cariche dello Stato e che conserva dossier, dossier, dossier, come un qualsiasi capoposto dei servizi segreti nella periferia di un impero che era solo nella sua mente. Si legge oggi del Grande Statista scomparso. A me non sembra che sia stato un grande statista. A me resta piuttosto l’immagine della lepre marzolina, del furbo che si finse pazzo per non dover pagare il dazio. La circostanza che sia morto pochi giorni dopo Eleonora Moro, la vedova di Aldo Moro, la donna che nei primi giorni del rapimento gli indicò la pista giusta e che lui, Cossiga, non volle seguire, forse significa qualcosa.

Anzi, no. E’ una coincidenza, una delle tante coincidenze di cui si è impastata l’Italia. Ma Cossiga era anche un uomo colto, un anglofilo. Certo avrà letto della follia di Re Giorgio e della sua trasposizione teatrale. La follia liberatoria che non ebbe in vita forse la leggeremo post mortem. Chissà.

18 agosto 2010

 

 

 

L’Unità scoprì Gladio. E Cossiga venne in redazione...

di Gianni Ciprianitutti gli articoli dell'autore

Sembra un paradosso: per lasciare la sua vita terrena Francesco Cossiga ha scelto l’estate del 2010, che molti osservatori stanno definendo l’estate dei veleni ad alto tasso di dossier e rivelazioni più o meno compromettenti. Già, perché il Francesco Cossiga che abbiamo conosciuto negli ultimi venti anni, ossia il "picconatore", nacque proprio a cavallo tra l’estate e l’autunno del 1990 - altra stagione di veleni - quando a seguito di una serie di scoop, rivelazioni e inchieste sugli anni più tragici del terrorismo (da Gladio al caso Moro e alle connessioni tra Cia e P2) il placido inquilino del Quirinale si trasformò in un esternatore senza freni ad alto tasso di polemica e aggressività, con il gusto del paradosso e della provocazione, fino a sostenere pubblicamente che alcuni iscritti alla loggia P2 di Licio Gelli erano "patrioti".

E’ soprattutto per questo che Cossiga nella memoria di molti è rimasto senz’altro l’uomo dei misteri ed era considerato come uno dei pochi a conoscere molti retroscena inconfessabili delle tragedie di quegli anni. Fama certamente meritata. Del resto solo lo scorso dicembre, in una intervista rilasciata in occasione dei 40 anni dalla strage di piazza Fontana, l’ex generale dei servizi segreti dell’epoca, Gianadelio Maletti, chiaramente alludendo a Cossiga, aveva sostenuto che: "la verità su quegli anni si saprà, ma solo dopo la morte di qualcuno". Chissà se la profezia si rivelerà giusta.

Nel 1990 di cose se ne sapevano molte di meno. E tuttavia - potremmo dire "pasolinianamente" - una verità storico-politica sulla strategia della tensione e gli anni di piombo era già acclarata. Ma ad aprire il "vaso di pandora" ci pensò Ennio Remondino, allora inviato del Tg1, che in una clamorosa inchiesta a puntate trasmessa a luglio parlò nel telegiornale "democristiano" dei rapporti tra Cia e P2, con interviste di ex agenti americani. Uno scandalo. Il "silente" (fino ad allora) Cossiga si irritò molto. Saltò la testa del direttore del Tg1, Nuccio Fava, mentre Ennio Remondino finì lungamente in naftalina. Ad ottobre due avvenimenti scossero il paese: il 10 ottobre fu ritrovato il memoriale di Aldo Moro nell’ex covo delle Brigate Rosse in via Montenevoso; il 18 arrivò in commissione Stragi un documento nel quale si ammetteva per la prima volta l’esistenza di "Gladio".

Un uno-due micidiale dopo l’inchiesta Cia-P2. Cossiga - ho saputo successivamente da persone a lui vicine - ritenne che i tre avvenimenti rientrassero in un unico disegno destabilizzante e ai suoi danni. E il 27 ottobre uscì allo scoperto, sostenendo di avere sempre saputo di Gladio e difendendone il ruolo e il valore. Una sfida. Si può dire che quel giorno segnò la nascita del "picconatore". Da allora fu uno stillicidio.

All’epoca ebbi la fortuna di raccontare tutta quella stagione proprio su queste pagine insieme con mio fratello Antonio Cipriani e Wladimiro Settimelli. Anzi, fu proprio l’Unità a parlare per prima della scoperta di una "organizzazione clandestina e segreta" (che si chiamasse Gladio sarebbe emerso solo nelle settimane successive) perché una fonte ci aveva raccontato di un dossier giunto riservatamente alla commissione Stragi, all’epoca presieduta dal senatore repubblicano Libero Gualtieri, che ne rimase molto turbato.

Di lì a poco, nelle esternazioni quotidiane, ci finimmo io e mio fratello Antonio ("i fratelli Cipriani, storici" ci definiva con ironia) e naturalmente e come sempre l’Unità. E si può dire che nulla è cambiato in questi venti anni? Qualche anno dopo Cossiga fece una sorpresa: telefonò al direttore Walter Veltroni, autoinvitandosi per un caffè con i fratelli Cipriani, "per conoscere due tra i miei principali persecutori". Un incontro all’inizio molto teso, poi perfino simpatico. Che si concluse con la proposta di Cossiga di scrivere un libro insieme. Perché, ammise, l’Unità seguiva tutte queste vicende con grande competenza. Detto da chi conosceva i retroscena era una medaglia sul campo. E proprio per questo per me Cossiga era e resta l’uomo dei misteri e delle verità inconfessabili. E credo che allo stesso Cossiga, amante dei paradossi e delle provocazioni intellettuali, non dispiacerebbe affatto essere ricordato anche così.

18 agosto 2010

 

 

 

Nell’aldilà con 4 lettere

di Francesca Fornariotutti gli articoli dell'autore

Fin dalle origini, l'uomo si è interrogato sulla natura misteriosa dell'aldilà, dilettandosi ad immaginarne uno. Il mio è tipo il check-in degli aeroporti, ma con dei panini appetitosi (a proposito: secondo l'American Medical Journal Of Clinical Nutrition, le melanzane nei sandwich degli aeroporti sono così avariate che Vittorio Feltri vuole allegarle al Giornale). Confido in un'aldilà con del cibo commestibile perché non mi consola la prospettiva di quello per sole anime. È per via del fatto che mi immagino Fausto Coppi. San Pietro che gli dice: "Fausto, ora sei puro spirito!". E lui: "Come sarebbe ‘puro spirito’?! Dove sono le mie gambe?! Non ho più le gambe! Chi è il sadico che ha ideato tutto questo?!". Tornando al mio aldilà, all'ingresso c'è un secret-detector. "Signore, cos'è quello?". "Una cosetta che so sul rapimento di Aldo Moro". "È vietato. Ha visto il cartello? Niente forbicine, niente liquidi, niente segreti di Stato. Anche quel segreto lì su Gladio, deve lasciarlo a terra". "Ma non posso, è dirompente!". "Sono le regole: niente segreti nell'aldilà". "E perché? L'aldilà è già avvolto dal mistero!". "Beh, un po' di suspance ci vuole, ma mica vogliamo essere misteriosi come l'aldiquà: voi con i segreti avete esagerato". "Ha ragione, ma questi segreti ci servono per difenderci. O volete che qualche comunista musulmano cancelli la proprietà privata e ci faccia saltare in aria?". "Lasci perdere questi argomenti, è roba del secolo scorso. Ha visto Omaba? A Ground Zero ci costruisce una moschea. È così che oggi si combatte la paura e si garantisce la sicurezza, non con le logge e i servizi deviati". "Ma io vengo dall'Italia, da noi l'unico politico che costruirebbe una moschea a Ground Zero è quell'ingenuo di Gianfranco Fini. Che poi l'affitterebbe al cognato". "Sta bloccando la fila, avanti: deve rivelare tutto quello che sa". "E va bene, fatto". "Sicuro?" "Ho lasciato quattro lettere alle autorità. Tre consonanti e una vocale. Vediamo se quel Bartezzaghi è in gamba come dicono".

18 agosto 2010

 

 

 

La Sardegna per Cossiga

di Giovanni Maria Bellututti gli articoli dell'autore

Cossiga era sardo e ci teneva. E noi sardi, anche quelli che ne condividevano sempre meno le opinioni, tenevamo a lui. Era il depositario, forse il più importante tra i viventi (avremmo detto il più importante, se Andreotti non fosse ancora tra noi) dei cosiddetti misteri d’Italia. Ma prima ancora era stato – lui, Francesco Cossiga - uno dei "misteri" della Sardegna. Perché noi sardi, un po’ come tutti gli isolani e tutti i popoli marginali, troviamo sempre un po’ misterioso che qualcuno di noi possa non solo varcare il mare, ma anche diventare "qualcuno" sul Continente. Lui era diventato capo dello Stato. Questo fatto era, di per sé, un mistero. E Cossiga ne era consapevole, perché mai ha smesso di giocarci con questo mistero, e dunque di giocare con noi sardi e con la sua "sardità". Così quando nel 1990 scoppiò il "caso Gladio" non trovammo strano - era, al contrario, perfettamente coerente col nostro sentire l’isoletta "un Continente" - che la vicenda andasse a finire in Sardegna. Precisamente nei pressi di Alghero, a capo Marrargiu, dove si scoprì che c’era la base segreta della rete clandestina che si sarebbe dovuta attivare - diceva la versione ufficiale - nel caso di attacco contro l’Italia da parte delle truppe del patto di Varsavia. Ed era dunque perfettamente coerente il fatto che sempre da noi fosse nato il più autorevole e accanito difensore della legittimità della rete "stay behind", Francesco Cossiga, appunto.

Questo ci fece sentire per un po’ al centro del mondo. Una sensazione inebriante per ogni isolano e dunque anche per il presidente. La polemica fu furibonda, Cossiga si era convinto che il "caso Gladio" fosse stato imbastito da Andreotti per fregarlo - e qua si era nelle normali relazioni interne alla Dc - e così considerava un "tradimento doppio" quello dei sardi che manifestavano dubbi sulla legittimità della rete segreta e, in definitiva, sulla reale destinazione d’uso di Capo Marrargiu. Che, tra l’altro, non era nemmeno troppo distante dalla "sua" Sassari. Insomma, una proprietà di famiglia. Come potevano concepire che lui avesse accettato che fosse destinato a qualcosa di men che nobile? "Mi sento offeso soprattutto come sardo", disse a Luigi Pintor che, da cagliaritano di origine spagnola, teneva in scarsissima considerazione questa "sardità" sentimentale e avanzava non solo fortissimi dubbi su Gladio ma anche su certe "esternazioni" sopra le righe di Cossiga.

Al quale, però, alcune migliaia di giovani sardi, anche di sinistra e di estrema sinistra, dovevano qualcosa di importante. Una piccola cosa, è vero, che però veniva prima di Gladio, e anche prima del Cossiga col K dei tempi tragici del suo ministero dell’Interno e dell’omicidio di Giorgiana Masi. Era una campagna elettorale della prima metà degli anni ’70, probabilmente quella del 1972. L’ancora giovane Cossiga, allora aveva poco più di quarant’anni, affittò dei cinema nei principali centri dell’isola e ci consentì di assistere, gratuitamente, alla proiezione di "Z l’orgia del potere" e de "La confessione" entrambi di Costa-Gavras. Restammo sorpresi per quella insolita campagna elettorale. Andammo a vedere i due film e, naturalmente, non votammo Democrazia cristiana. Cossiga, ugualmente, fu trionfalmente eletto. Ma lo sapevamo che gli elettori della Dc, la maggioranza del paese, si nascondevano in luoghi invisibili.

I due film raccontavano le degenerazioni delle ideologie estreme, Raccontavano le ragioni della Guerra Fredda che, all’epoca, anche da noi era in pieno svolgimento. Con le sue regole, che Cossiga conosceva alla perfezione, spietate e feroci. Regole disumane quasi quanto quelle del codice barbaricino. La Guerra Fredda, una faida interminabile di cui si conosceva l’origine (e in questo era diversa dalla nostre faide, delle quali spesso si perde la memoria originaria) ma non si vedeva la fine. Ci sarebbero, infatti, voluti altri vent’anni. Un tempo, tutto sommato, breve rispetto a certe altre faide isolane che sono cominciate prima della seconda Guerra Mondiale e durano tuttora. E fanno fatica a concludersi perché dire "basta" significa mettere da parte la memoria, l’orgoglio, il dolore. Quandò crollò il muro di Berlino Cossiga, ormai capo dello Stato, forse pensò che l’evento segnasse la fine di una disamistade planetaria. L’anno dopo, le polemiche sul caso Gladio – che lui avvertì come il frutto dell’ostinata volontà della sinistra di non voler dimenticare i "fantasmi del passato" - lo smentirono. La memoria del mondo è troppo lunga e complicata. È molto più grande di un’isola. Scoprirlo dovette essere un grande dolore per Francesco Cossiga. Come quello che oggi tanti di noi, che l’hanno sempre pensata in modo opposto al suo, provano col ricordo grato che sempre abbiamo verso chi ci ha fatto sentire cittadini del mondo.

18 agosto 2010

 

 

dal SITO INTERNET di

WIKIPEDIA

http://it.wikipedia.org/wiki/Organizzazione_Gladio

 

Organizzazione Gladio

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Stemma associato all'Organizzazione Gladio

Gladio è il nome di un'organizzazione clandestina di tipo stay-behind Spyro ("stare dietro", "stare al di qua delle linee") promossa durante la guerra fredda dalla NATO, per contrastare un eventuale attacco delle forze del Patto di Varsavia ai Paesi dell'Europa occidentale.

Il termine Gladio è utilizzato propriamente solo in riferimento alla stay-behind italiana[1]. Il gladio era il simbolo dell'organizzazione italiana, mentre quello internazionale era la civetta. Durante la guerra fredda, quasi tutti i paesi dell'Europa occidentale crearono formazioni paramilitari, riunite nella "Stay Behind Net" sotto controllo NATO[2].

L'esistenza di Gladio, sospettata fin dalle rivelazioni rese nel 1984 dal membro di Avanguardia Nazionale Vincenzo Vinciguerra durante il suo processo[3], fu riconosciuta dal presidente del Consiglio italiano Giulio Andreotti il 24 ottobre 1990, che parlò di una "struttura di informazione, risposta e salvaguardia".

Indice

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* 1 Una struttura della NATO, supervisionata da SHAPE

o 1.1 Coordinamento SHAPE

o 1.2 Contrasto dell'invasione sovietica

o 1.3 Ingresso dell'Italia

o 1.4 Segretezza

o 1.5 Divulgazione del segreto

o 1.6 Critiche al segreto

* 2 La Gladio italiana

o 2.1 Origini

o 2.2 Rivelazione dell'esistenza

o 2.3 Gladio, la strategia della tensione e le ingerenze estere in Italia

o 2.4 Le dichiarazioni di Vincenzo Vinciguerra

o 2.5 Le dichiarazioni del Generale Maletti

o 2.6 La struttura organizzativa di Gladio

* 3 Gladio in Europa

o 3.1 Gladio in Austria

o 3.2 Gladio in Belgio

o 3.3 Gladio in Finlandia

o 3.4 Gladio in Francia

o 3.5 Gladio in Germania

o 3.6 Gladio in Grecia

o 3.7 Gladio in Norvegia

o 3.8 Gladio nei Paesi Bassi

o 3.9 Gladio in Portogallo

o 3.10 Gladio in Spagna

o 3.11 Gladio in Svezia

o 3.12 Gladio in Svizzera

o 3.13 Gladio in Turchia

o 3.14 Gladio nel Regno Unito

* 4 Le richieste FOIA

* 5 I politici su Gladio

* 6 Gladio nel cinema

* 7 Note

* 8 Bibliografia

* 9 Voci correlate

* 10 Collegamenti esterni

Una struttura della NATO, supervisionata da SHAPE [modifica]

Negli anni cinquanta era avvertito negli ambienti NATO il pericolo di un nuovo conflitto sul suolo europeo. In caso di attacco da parte dell'Unione Sovietica e dei suoi alleati, questa avrebbe occupato inizialmente i Paesi dell'Europa occidentale, in quanto le forze corazzate sovietiche avrebbero potuto agevolmente travolgere le prime linee di resistenza. Si ipotizzava che una prima linea di resistenza effettiva avrebbe potuto essere approntata sul fiume Reno. Questo avrebbe comunque comportato la perdita di buona parte della Germania Occidentale, dell'Italia settentrionale e della Danimarca.

Durante la seconda guerra mondiale gli Alleati avevano coordinato l'attività dei movimenti resistenziali nei paesi occupati dall'Asse attraverso una rete di organizzazioni, coordinate da una speciale branca dei servizi d'informazione del Regno Unito, il SOE (Special Operations Executive). Il SOE venne dismesso dopo la fine del conflitto, ma fu riattivato all'inizio degli anni cinquanta, come nucleo di una nuova organizzazione che aveva il compito di porre in essere una rete di resistenza nei vari paesi europei, nel caso questi fossero stati occupati dall'Armata Rossa o nel caso i comunisti avessero preso il potere attraverso un colpo di stato.

Un primo gruppo di nazioni (Stati Uniti, Regno Unito, Francia) costituì dunque il CPC, Comitato per il coordinamento, per pianificare, in caso d'invasione, le attività comuni svolte dai rispettivi servizi d'informazione in supporto alle operazioni militari dell'Alleanza atlantica. La struttura di coordinamento era sottoposta alla direzione del comando supremo delle forze alleate in Europa: SHAPE, ovvero Supreme Headquarters Allied Powers Europe.

Coordinamento SHAPE [modifica]

Operante in tutta la NATO, Gladio era coordinata dal Clandestine Planning Committee, l'organo multinazionale controllato dal Belgio dallo SHAPE (Supreme Headquarters Allied Powers Europe). In un articolo dell'"International Herald Tribune" datato 13 novembre 1990, Joseph Fitchett parla della "Resistenza della Nato", e dice che queste reti anticomuniste, finanziate in parte dalla CIA, erano presenti in tutta Europa, comprese nazioni neutrali come Svezia e Svizzera.

Contrasto dell'invasione sovietica [modifica]

Lo scopo principale dell'Organizzazione Gladio era di contrastare una possibile invasione dell'Europa occidentale da parte dell'Unione Sovietica e dei paesi aderenti al Patto di Varsavia, attraverso atti di sabotaggio e di guerriglia dietro le linee nemiche. La NATO era consapevole infatti che le truppe stanziate in Europa occidentale non erano sufficienti a respingere una invasione dell'Armata Rossa in un conflitto diretto senza ricorrere all'uso delle armi nucleari.

Le organizzazioni "stay-behind" della NATO rappresentavano quindi una possibilità di continuare a combattere in attesa dell'intervento degli Stati Uniti che, data la distanza geografica dall'Europa, sarebbe giocoforza arrivato in un secondo momento. Le sue cellule clandestine erano destinate a "stare nascoste" (o "al di qua delle linee", da cui il nome in inglese stay behind) in territori controllati dal nemico e comportarsi come movimenti di resistenza, conducendo atti di sabotaggi e di guerriglia. Vennero considerate altre forme di resistenza clandestina e non convenzionale, come operazioni "false flag" (attentati e simili operazioni rivendicate sotto falsa bandiera per fomentare divisioni politiche) e attacchi terroristici.

L'idea di costruire questa rete segreta venne a ex ufficiali del SOE (Special Operations Executive, Direzione delle Operazioni Speciali) britannico, un'organizzazione del Ministero della Guerra economica che aveva operato durante la seconda guerra mondiale nei Paesi dove si erano costituiti dei governi fascisti o filo-nazisti (Norvegia, Francia e Italia). L'idea inglese fu subito accolta dagli Stati Uniti e si decise anche, per mantenere la segretezza, di tenerla fuori dalle organizzazioni militari tradizionali, vale a dire fuori dai comandi NATO. Nacque così Stay Behind Net[4].

Ingresso dell'Italia [modifica]

Oltre ai tre paesi fondatori, diversi altri paesi NATO entrarono successivamente nella struttura. L'Italia lo fece in via ufficiale nel 1964, ma già in precedenza erano attivi accordi bilaterali tra SIFAR (l'allora Servizio d'Informazione delle Forze Armate) e CIA tesi ad arruolare ed addestrare nuclei di operativi in grado di organizzare la resistenza armata sul territorio occupato da un'invasione o controllato da "forze sovversive".[5]

In Italia è stata ipotizzata da più parti (anche dalla Commissione stragi[6]) l'esistenza di strutture nate in chiave anti-comunista nelle ultime fasi della guerra (come quelle che sarebbero derivate dalle brigate Osoppo) e nel primo dopoguerra, che poi sarebbero confluite, in tutto o in parte, in Gladio.

Nel 1964, oltre all'Italia, i paesi aderenti erano Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania Occidentale, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo. In seguito aderirono anche Danimarca e Norvegia. Altri paesi NATO, come Grecia, Turchia, Spagna e Portogallo, non entrarono mai, a quanto risulta, nel comitato di coordinamento. Peraltro, organizzazioni simili, pur non collegate con la struttura NATO, vennero probabilmente create in quasi tutti i paesi occidentali che temevano un'invasione sovietica, compresi stati neutrali come Austria, Finlandia, Svezia e Svizzera.

Segretezza [modifica]

L'esistenza di queste forze militari NATO clandestine rimase un segreto strettamente sorvegliato durante tutta la guerra fredda fino al 1990.

In Italia dell'esistenza di Gladio erano informati i vertici politici del paese: Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio, Ministro della Difesa, come pure i vertici militari. La struttura di Gladio era invece sconosciuta al Parlamento. Francesco Cossiga, che fu informato dell'esistenza della struttura nel 1966, quando entrò per la prima volta al governo, come sottosegretario alla difesa, dichiarò che "gli accordi per creare Stay Behind in Italia furono conclusi da Aldo Moro e Paolo Emilio Taviani". Inoltre Andreotti gli spiegò che aveva rivelato il segreto su Gladio perché "ormai, caduto il Muro di Berlino, non vi era più alcuna ragione per non raccontare come stavano davvero le cose"[7][8].

Divulgazione del segreto [modifica]

Nel 1990 il primo troncone della rete internazionale fu reso pubblico in Italia: ciò avvenne con l'autorizzazione data dal presidente del consiglio Andreotti al giudice Casson di accedere agli archivi del SISMI per accertare il ruolo di depositi NASCO nella strage di Peteano, e con due successive comunicazioni del medesimo Andreotti, una scritta alla Commissione bicamerale di inchiesta sulle stragi ed una orale alle Assemblee delle due Camere.

In Italia il suo nome in codice era Gladio, la parola che indica la corta spada a doppio taglio usata dai Romani. Il governo ne ordinò lo scioglimento il 27 luglio 1990.

Il governo italiano affermò che identiche forze armate clandestine erano esistite anche in tutti gli altri paesi dell'Europa occidentale. Questa ammissione si rivelò corretta e successive ricerche dimostrarono che in Belgio, le forze segrete della NATO erano state denominate in codice SDRA8, in Danimarca Absalon, in Germania TD BJD, in Grecia LOK, nel Lussemburgo semplicemente Stay-Behind, nei Paesi Bassi "I&O", in Norvegia ROC, nel Portogallo Aginter, in Svizzera P26, in Turchia Contro-Guerriglia ed in Austria OWSGV. I nomi in codice degli eserciti segreti in Francia, in Finlandia, in Spagna ed in Svezia rimangono tuttora sconosciuti.

Critiche al segreto [modifica]

Dopo avere appreso della scoperta, il Parlamento Europeo stilò una risoluzione criticando aspramente il fatto:

" Queste organizzazioni operavano e continuano ad operare del tutto al di fuori della legalità dal momento che non sono soggette ad alcun controllo parlamentare [e] richiedono una piena indagine sulla natura, struttura, intenti e ogni altro aspetto di queste organizzazioni clandestine. "

Al momento solo Italia, Belgio e Svizzera condussero indagini parlamentari, mentre l'amministrazione del presidente americano George H. W. Bush rifiutò di commentare, essendo nel mezzo dei preparativi per una guerra contro Saddam Hussein nel Golfo Persico, e temendo potenziali danni per l'alleanza militare."[9]

La Gladio italiana [modifica]

Origini [modifica]

La presenza di una struttura stay-behind in Italia risale al 1949, seppure con un nome diverso da Gladio. In una relazione del Comitato Parlamentare sui servizi segreti del 1995 si legge che

" In base a quanto risulta dalle indagini giudiziaria è fuor di dubbio che in epoca precedente alla creazione di Gladio sia esistita un'altra organizzazione denominata "Duca", con le stesse finalità e struttura analoga, di cui sappiamo ben poco e che dovrebbe essere stata sciolta intorno al gennaio 1995 (ma in vari documenti acquisiti dall'Autorità giudiziaria si parla di organizzazione "Duca - Gladio").[10] "

Gladio viene costituita con un protocollo d'intesa tra il Servizio italiano e quello statunitense in data 26 novembre 1956, nel quale però vi era stato un esplicito riferimento ad accordi preesistenti: nella relazione inviata dal presidente del Consiglio Giulio Andreotti alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo e sulle stragi il 17 ottobre 1990 verrà segnalato che con quella intesa tra SIFAR (al cui comando, al tempo della stesura del protocollo, era da poco stato posto Giovanni De Lorenzo) e CIA erano stati "confermati tutti i precedenti impegni intervenuti nella materia tra Italia e Stati Uniti".

Nel giugno 1959 il Servizio segreto italiano entrò a far parte del "Comitato di pianificazione e coordinamento", organo di SHAPE (Supreme Headquarters Allied Powers Europe)[5]. Nel 1964, del "Comitato clandestino alleato (ACC)", emanazione del suddetto Comitato di pianificazione e coordinamento e costituito tra paesi che intendevano organizzare una resistenza sul proprio territorio, in caso di aggressione dall'Est e, a quanto sembra, anche nell'eventualità di "sovvertimenti interni", ovvero tentativi di colpo di stato interni.

L'ipotesi di finanziamenti a Gladio da parte della CIA, posti in essere per lo meno fino al 1975, era già stata avanzata nel 1990 dal generale Giovan Battista Minerva (ufficiale del Sifar e poi del Sid, in servizio con il compito di direttore amministrativo tra il 1963 ed il 1975), durante le indagini sull'incidente dell'aereo Argo 16.[11]

Rivelazione dell'esistenza [modifica]

Il 24 ottobre 1990 Giulio Andreotti, capo del governo italiano, rivelò alla Camera dei deputati l'esistenza di Gladio, che fu quindi la prima organizzazione aderente alla rete "stay-behind" ad essere resa pubblica.

Quando l'esistenza di Gladio divenne di pubblico dominio venne pubblicato un elenco di 622 "gladiatori": ufficialmente tutti i partecipanti, dalla fondazione allo scioglimento dell'organizzazione. Tuttavia, da più parti questa lista è stata considerata incompleta, sia per il ridotto numero di uomini, ritenuto troppo basso rispetto ai compiti dell'organizzazione estesi in quasi 40 anni, sia per l'assenza nella lista di alcuni personaggi che da indagini successive (e in alcuni casi per loro stessa ammissione) avevano fatto parte dell'organizzazione. Contro quest'ultima tesi tuttavia e a conferma della partecipazione di soli 622 aderenti all'attività segreta, sussistono alcune super-perizie richieste all'interno dei processi avvenuti successivamente la pubblicazione della lista, super-perizie di cui parla il generale Paolo Inzerilli, accusato in questi processi ma prosciolto totalmente.[senza fonte]Luigi Tagliamonte, capo dell’ufficio amministrazione del SIFAR e, successivamente, capo dell’ufficio programmazione e bilancio del comando generale dell’Arma dei Carabinieri, durante una delle varie inchieste che ruotarono intorno alla questione, relativamente ad una base di addestramento di Gladio dichiarò:

" Sapevo che presso il Cag (il Centro addestramento guastatori di Punta Poglina a Capo Marrargiu, pochi chilometri a sud di Alghero) si effettuavano dei corsi di addestramento alla guerriglia, al sabotaggio, all'uso degli esplosivi al fine di impiegare le persone addestrate in caso di sovvertimenti di piazza, in caso che il PCI avesse preso il potere. Tanto sapevo io trattando pratiche di ufficio al Sifar e relative al Cag. Oggi penso, riportandomi ai miei ricordi, che la citazione della eventuale invasione del nostro Paese, a proposito della necessità della struttura ove era incardinato il Cag, era un pretesto […] Il mio pensiero, testè formulato, deriva dal contenuto dei contatti che avevo con il Maggiore Accasto e con il Capo Sezione CS Aurelio Rossi i quali, senza scendere nei dettagli, mi rappresentavano che il Cag esisteva per contrastare eventuali sovvertimenti interni e moti di piazza fatti dal Pci "

(Dichiarazioni di Luigi Tagliamonte[12])

Gladio, la strategia della tensione e le ingerenze estere in Italia [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Strategia della tensione.

Dopo la divulgazione del segreto, coincidente approssimativamente con la dissoluzione dell'Unione Sovietica e con la conseguente fine della guerra fredda, pur non esistendo nulla di accertato, sono state fatte molte ipotesi sulle relazioni intrattenute da questa organizzazione, o da parti deviate di essa, con l'eversione di destra o di sinistra o con attentati o con tentativi di colpo di stato avvenuti in Italia. Già precedentemente si era comunque parlato di tale organizzazione (ne parla per esempio Moro nel suo memoriale scritto nel 1978 durante i giorni della prigionia), e la sua esistenza era comunque ovviamente nota nell'ambito dei vertici politici, dei ministri competenti, dei vertici militari e dei servizi segreti.

Nel 2000 il rapporto del Gruppo "Democratici di Sinistra-L'Ulivo", stilato in seno ad una Commissione parlamentare, concludeva che la strategia della tensione era stata sostenuta dagli Stati Uniti d'America per "impedire al PCI, e in certo grado anche al PSI, di raggiungere il potere esecutivo nel paese", identificando anche i Nuclei per la Difesa dello Stato non come un gruppo autonomo, ma come una delle operazioni portate avanti da Gladio con questi scopi.[13]

Le dichiarazioni di Vincenzo Vinciguerra [modifica]

L'ex terrorista Vincenzo Vinciguerra confessò nel 1984 al giudice Felice Casson (alcuni anni prima delle dichiarazioni ufficiali sull'esistenza di Gladio e della rete stay-behind) di aver compiuto l'attentato terroristico di Peteano il 31 maggio 1972, nel quale tre carabinieri erano rimasti uccisi (fino all'interrogatorio di Vinciguerra, erano state le Brigate Rosse ad essere accusate dell'attentato). Durante il processo, Vinciguerra spiegò come era stato aiutato dai servizi segreti italiani e come fuggì nella Spagna franchista dopo la strage di Peteano. L'ex terrorista, sentito nello stesso anno anche nel processo relativo alla strage di Bologna, parlò apertamente dell'esistenza di una struttura occulta nelle forze armate italiane, composta sia da militari che da civili, con finalità anti-invasione sovietica, ma che, potendo questa anche non avvenire, era stata in grado di coordinare le varie stragi per evitare che anche internamente il paese si spostasse troppo a sinistra; questo, sempre secondo la testimonianza dell'ex terrorista, a nome della Nato e con il supporto dei servizi segreti e di alcune forze politiche e militari italiane.[14][3]

Le dichiarazioni del Generale Maletti [modifica]

Il generale Gian Adelio Maletti, ex capo del Reparto D del SID del controspionaggio italiano, dichiarò nel marzo del 2001 che la CIA avrebbe potuto promuovere il terrorismo in Italia. Lo stesso Maletti in diverse interviste e nell'audizione davanti alla Commissione Stragi citò più volte l'interessamento degli USA nei confronti di alcune personalità e di alcuni reparti militari, tra cui alcuni di quelli che poi furono coinvolti in alcuni dei diversi tentativi di golpe avvenuti in Italia (Golpe Borghese) e Golpe Bianco[15]

Lo stesso Maletti venne ascoltato il 21 marzo 2001 dal tribunale di Milano, relativamente ai processi su Piazza Fontana (evento per cui era stato condannato nel 1981 per depistaggio). Sulla forma della sua deposizione vi fu uno scontro tra difesa e accusa. La difesa sosteneva che dovesse deporre come teste, quindi sotto giuramento e quindi obbligato a dire la verità. L'accusa sostenne invece che dovesse deporre come imputato e quindi senza giuramento e senza il conseguente obbligo di dire la verità.[senza fonte] La corte sentenziò a favore delle tesi dell'accusa. Maletti depose come imputato, per cui senza obbligo formale di attenersi al vero nella sua deposizione.[16] Maletti dichiarò che esisteva una "regìa internazionale" delle stragi relative alla strategia della tensione. Su domanda della difesa dichiarò tuttavia di non avere prove.[16] Dichiarò nello stesso interrogatorio che la CIA finanziava sia il SID (con cui c'era tuttavia una collaborazione unilaterale per quello che riguarda il lavoro di intelligence del servizio: "Il rapporto tra il Sid e la Cia è stato di inferiorità. Chiedevamo notizie, ma non ce ne davano.") che Gladio (la base di capo Marrargiu, secondo Maletti effettivamente impiegata da Gladio, sarebbe stata realizzata grazie a fondi statunitensi, fatto quest'ultimo confermato anche dall'ex presidente Francesco Cossiga nella sua audizione davanti alla Commissione Stragi[17])[16][18]. In un'intervista rilasciata dopo la deposizione, Maletti confermerà la sua convinzione che gli Stati Uniti avrebbero fatto di tutto per evitare uno spostamento a sinistra dell'Italia e che simili azioni avrebbero potuto essere state attuate anche in altri paesi.[19] La Cia alcuni mesi dopo respingerà esplicitamente le accuse.

La struttura organizzativa di Gladio [modifica]

Il 1 ottobre 1956 era stata costituita, nell'ambito dell'Ufficio "R" del SIFAR, una Sezione Addestramento, denominata S.A.D. (Studi Speciali e Addestramento del Personale). La S.A.D. ai cui responsabili verrà demandato il ruolo di Coordinatore Generale dell'Operazione "Gladio", si articolava in quattro gruppi:

* Gruppo Supporto Generale;

* Gruppo Segreteria Permanente ed Attivazione delle Branche Operative;

* Gruppo Trasmissioni;

* Gruppo Supporto Aereo, Logistico ed Operativo.

Alle dipendenze della S.A.D. venne posto il Centro Addestramento Guastatori (C.A.G.) e la Struttura Segreta N.A.T.O. Stay Behind "Gladio", la quale era così strutturata:

* Unità di Comando

o 1 Nucleo Informativo

o 1 Nucleo Propaganda

o 1 Nucleo Evasione e Fuga

o 2 Nuclei Guerriglia

* Unità di Pronto Impiego "Stella Alpina" (Friuli-Venezia Giulia)

* Unità di Pronto Impiego "Stella Marina" (Trieste)

* Unità di Pronto Impiego "Rododendro" (Trentino-Alto Adige)

* Unità di Pronto Impiego "Azalea" (Veneto)

* Unità di Pronto Impiego "Ginestra" (Laghi Lombardi)

ogni Unità di Pronto Impiego era costituita da:

*

o 1 Nucleo Informativo

o 1 Nucleo Propaganda

o 1 Nucleo Evasione e Fuga

o 2 Nuclei Guerriglia

o 2 Nuclei Sabotaggio

per un totale di 40 Nuclei. Inoltre, esistevano altre 5 Unità di Guerriglia di Pronto Impiego in regioni di particolare interesse. Esistevano, a partire dal 1963 fino al 1972, altresì, 139 Depositi "Nasco". Gli Statunitensi dotarono la Struttura anche di un aereo Dakota C47, nome in codice "Argo-16", fornito per le operazioni di trasporto.

Gladio in Europa [modifica]

Gladio in Austria [modifica]

Nel 1947 in Austria venne svelata una struttura segreta stay-behind, che era stata costruita da due appartenenti all'estrema destra, Soucek e Rössner. Il cancelliere Theodor Körner graziò gli accusati in circostanze non chiarite. Nel 1965 le forze di polizia scoprirono un deposito di armi stay-behind in una vecchia miniera vicino a Windisch-Bleiberg, circostanza che costrinse le autorità austriache a rilasciare una lista con la posizione di altri 33 analoghi nascondigli in Austria.

Gladio in Belgio [modifica]

L'assassinio del presidente del Partito Comunista Belga Julien Lahaut, nel 1950, ebbe un significato nazionale e internazionale, nel quale venne sospettata l'influenza della rete anticomunista Gladio[20]. Nel 1985 il Massacro del Brabante venne collegato ad un complotto interno all'organizzazione stay-behind belga SDRA8, alla gendarmeria belga SDRA6, al gruppo di estrema destra Westland New Post, e alla Defense Intelligence Agency (DIA), il servizio segreto del Pentagono. Nel 1990, il quartier generale della struttura stay-behind del Comitato Clandestino Alleato (ACC), si incontra il 23 e 24 ottobre dello stesso anno sotto la presidenza del generale belga Van Calster, direttore del servizio segreto militare belga (SGR). Nello stesso anno, il Parlamento Europeo condanna in una risoluzione la NATO e gli Stati Uniti, per aver manipolato la politica europea tramite le strutture stay-behind.

Gladio in Finlandia [modifica]

Nel 1945 il ministro degli interni finlandese Leino svela la chiusura di un esercito segreto stay-behind. Nel 1991 i mass media svedesi rivelano che un gruppo segreto stay-behind era esistito nella neutrale Finlandia, con una base in esilio a Stoccolma. Il ministro della difesa finlandese Elisabeth Rehn etichetta la rivelazione come "una favola", aggiungendo cautamente "o almeno una storia incredibile, di cui non so nulla."

Gladio in Francia [modifica]

Nel 1947 il ministro degli interni francese Edouard Depreux rivelò l'esistenza di un esercito segreto stay-behind in Francia, dal nome in codice "Plan Bleu". L'anno seguente, venne creato il "Comitato Clandestino dell'Unione Occidentale" (WUCC), per coordinare la guerra segreta non ortodossa. Nel 1949 il WUCC viene integrato nella NATO, il cui quartier generale viene stabilito in Francia, con il nome di "Clandestine Planning Committee" (CPC). Nel 1958 la NATO fonda il Comitato Clandestino Alleato (ACC) per coordinare la guerra segreta. Quando la NATO stabilisce il nuovo quartier generale europeo a Bruxelles, l'ACC, con il nome in codice SDRA11, viene nascosto all'interno del servizio segreto militare belga (SGR), che ha il suo quartier generale vicino a quello della NATO.

L'illegale Organisation de l'Armée Secrète (OAS) viene creata con membri della stay-behind francese e ufficiali della Guerra francese in Vietnam. Nel 1961 l'OAS inscenò un fallito colpo di stato ad Algeri, col supporto della CIA, contro il governo De Gaulle.

Le reti La Rose des Vents ("Rosa dei venti") e Arc-en-ciel ("Arcobaleno"), erano parte di Gladio. Secondo voltairenet.org, François de Grossouvre era il capo di Gladio in Francia, fino al suo presunto suicidio avvenuto il 7 aprile 1994[21]. Il capitano Paul Barril, assieme ad altri, sostiene che venne assassinato.

Gladio in Germania [modifica]

Nel 1952 l'ex ufficiale delle SS Hans Otto rivelò alla polizia criminale di Francoforte l'esistenza dell'esercito stay-behind nazista tedesco BDJ-TD. Gli estremisti di destra arrestati vennero misteriosamente trovati non colpevoli. Nel 1976 la segretaria del BND Heidrun Hofer venne arrestata dopo aver rivelato i segreti dell'esercito stay-behind tedesco al marito, che era una spia del KGB.

Nel 2004 il capo dello spionaggio Norbert Juretzko pubblicò un libro sul suo lavoro al BND. Entrò nei dettagli riguardo al reclutamento di partigiani per la rete di stay-behind. Venne cacciato dal BND dopo un processo segreto contro di lui, perché il BND non riuscì a trovare il vero nome della fonte russa "Rubezahl" che aveva reclutato. Un uomo con lo stesso nome che Juretzko aveva fatto, venne arrestato dal KGB a causa del suo tradimento per il BND, ma era ovviamente innocente: il suo nome era stato scelto a caso da Juretzko, prendendolo dall'elenco telefonico.

Secondo Juretzko, il BND costruì la sua branca di Gladio, ma scoprì dopo la caduta della DDR che era completamente noto alla STASI. Quando la rete venne smantellata, emersero ulteriori strani dettagli. Un direttore dello spionaggio aveva tenuto l'equipaggiamento radio nella cantina di casa, con la moglie che eseguiva le chiamate di prova ogni 4 mesi, sulla base del fatto che l'equipaggiamento era troppo "prezioso" perché restasse in mano a civili. Juretzko lo venne a sapere perché il direttore aveva smantellato la sua sezione della rete così velocemente che non ci fu tempo di adottare misure quali il recupero di tutte le attrezzature tenute nascoste.

I civili reclutati come partigiani stay-behind erano equipaggiati con una radio a onde corte clandestina, con una frequenza fissa. Questa era dotata di una tastiera cifrata, che rendeva inutile l'uso del codice Morse. Avevano inoltre da parte ulteriori attrezzature per segnalare a elicotteri o sottomarini di sbarcare agenti speciali che avrebbero dovuto stare nelle loro case mentre preparavano operazioni di sabotaggio contro i comunisti.

Secondo il perpetratore della bomba dell'Oktoberfest del 1980 a Monaco, gli esplosivi provenivano da un nascondiglio di Gladio vicino al villaggio di Uelzen.

In Germania l'esecutore di un attentato nel 1980 a Monaco di Baviera, ha riferito che l'esplosivo proveniva da un deposito della Stay-behind tedesca. In un articolo del 7 novembre 1990 del quotidiano francese "Le Monde", un ufficiale della Gladio francese affermò che "a seconda dei casi, avremmo dovuto contrastare o favorire il terrorismo di estrema sinistra o estrema destra"[22]. Secondo un articolo del dicembre 1990 del "Guardian" a firma di Ed Vulliamy, la prima ragione della scoperta di Gladio fu "un gruppo di giudici che esaminavano lettere scoperte a Milano in ottobre, nelle quali, prima del suo omicidio, il leader democristiano Aldo Moro affermava di temere che "un'organizzazione ombra" accanto ad "altri servizi segreti dell'Occidente […] potrebbero essere implicati nella destabilizzazione [politica nde] del nostro Paese"[23].

Gladio in Grecia [modifica]

In Grecia l'esercito stay-behind Forza d'Incursione Ellenica prese il controllo del ministero della difesa greco e diede vita ad un colpo di stato installando il "Regime dei Colonnelli" (1967-1974), che si renderà in seguito protagonista di maltrattamenti, violenze e torture tra le più efferate degli ultimi cinquant'anni, anche se tra le meno note.

Gladio in Norvegia [modifica]

Nel 1957 il direttore del servizio segreto norvegese (Etterretningstjenesten), Vilhelm Evang, protestò duramente contro la sovversione interna del suo paese tramite gli Stati Uniti e la NATO e ritirò temporaneamente l'esercito stay-behind norvegese dagli incontri del CPC. Nel 1978 la polizia scoprì un nascondiglio di armi stay-behind e arrestò Hans Otto Meyer che rivelò l'esistenza dell'esercito segreto norvegese.

Gladio nei Paesi Bassi [modifica]

Un grande nascondiglio di armi venne scoperto nel 1983 vicino al villaggio di Velp nei Paesi Bassi. Il governo fu costretto a confermare che le armi erano correlate ai progetti NATO di guerra non ortodossa.

Gladio in Portogallo [modifica]

Nel 1966 la CIA crea la Aginter Press, la quale, sotto la direzione del Capitano Yves Guerin Serac, dirige un esercito segreto stay-behind e addestra i suoi membri alle tecniche di azione sotto copertura, comprese esercitazioni di attentati terroristici, assassinii silenziosi, tecniche di sovversione, comunicazioni clandestine, infiltrazione e guerra coloniale. Nel 1969 in Mozambico la Aginter Press assassina Eduardo Mondlane, capo del movimento di liberazione FRELIMO (Frente de Libertação de Moçambique).

Gladio in Spagna [modifica]

Nel maggio 1976, un anno dopo la morte di Francisco Franco, due Carlisti a Montejurra vennero uccisi da terroristi di estrema destra, tra cui Stefano Delle Chiaie e membri dell'Alleanza Anticomunista Argentina (Tripla A): furono sostenuti[24] collegamenti tra questo "gruppo di fuoco", Gladio e la "Guerra Sporca" sudamericana.

L'anno seguente, col supporto di terroristi di estrema destra italiani, la stay-behind compie una strage al civico 55 del calle de Atocha, a Madrid, dove in un attacco a un ufficio legale strettamente legato al Partito Comunista di Spagna uccidono cinque persone.

Gladio in Svezia [modifica]

Nel 1951 l'agente della CIA William Colby, in servizio alla stazione CIA di Stoccolma, aiuta all'addestramento di eserciti stay-behind nelle neutrali Svezia e Finlandia e nei paesi NATO di Norvegia e Danimarca. Nel 1953 la polizia arresta l'estremista di destra Otto Hallberg e scopre l'esercito stay-behind svedese. Hallberg viene liberato e le accuse contro di lui vengono misteriosamente lasciate cadere.

Gladio in Svizzera [modifica]

Nel 1990 il Colonnello Herbert Alboth, ex comandante dell'esercito segreto stay-behind svizzero (P26), dichiara in una lettera confidenziale al dipartimento della difesa di essere disposto a rivelare "tutta la verità". Viene trovato in seguito nella sua casa, accoltellato con la sua stessa baionetta. Il dettagliato rapporto parlamentare sull'esercito segreto svizzero viene presentato al pubblico il 17 novembre.

Gladio in Turchia [modifica]

Il gruppo ultranazionalista dei Lupi grigi ha, secondo alcune fonti, lavorato per la Stay-behind turca. Secondo Le Monde diplomatique, Abdullah Çatlı

" ...è riconosciuto per essere stato uno dei principali perpetratori delle operazioni coperte eseguite dalla branca turca di Gladio (4), e ha giocato un ruolo chiave nei sanguinosi eventi del periodo 1976-80, che spianarono la strada al colpo di stato militare del settembre 1980. Come giovane capo della milizia di estrema destra dei Lupi Grigi, è stato accusato, tra le altre cose, dell'assassinio di sette studenti di sinistra. "

Gladio nel Regno Unito [modifica]

Nel Regno Unito, il primo ministro Winston Churchill creò lo Special Operations Executive (SOE) nel 1940, per assistere i movimenti di resistenza ed eseguire operazioni di guerriglia in territorio occupato dall'Asse. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, le organizzazioni stay-behind vennero istituite grazie all'esperienza e al coinvolgimento di ex ufficiali del SOE.

L'organizzazione britannica funzionò fino agli anni sessanta.

Le richieste FOIA [modifica]

Tre richieste FOIA (Freedom of Information Act) sono state presentate alla CIA, la quale le ha respinte con la replica standard: "La CIA non può confermare né smentire l'esistenza o l'inesistenza di registrazioni che rispondano alla vostra richiesta." Una richiesta venne presentata dal National Security Archive nel 1991; un'altra dalla commissione del Senato italiano guidata dal Senatore Giovanni Pellegrino nel 1995, riguardante Gladio e l'omicidio di Aldo Moro; l'ultima nel 1996, da Olivier Rathkolb, dell'Università di Vienna, per conto del governo austriaco, riguardante gli eserciti segreti stay-behind, dopo la scoperta di un nascondiglio di armi.

I politici su Gladio [modifica]

Mentre l'esistenza delle organizzazioni "stay-behind" come Gladio è stata contestata, con alcuni scettici che le descrivono come una teoria del complotto, la loro esistenza è stata confermata diverse volte da importanti esponenti politici dei paesi NATO:

" Gladio fu necessaria durante i giorni della Guerra Fredda, ma in vista del collasso del Blocco Orientale, l'Italia avrebbe suggerito alla NATO che l'organizzazione non era più necessaria. "

(Giulio Andreotti, ex Presidente del Consiglio)

" Una struttura esisteva, creata agli inizi degli anni 1950, per permettere le comunicazioni con un governo che avrebbe potuto fuggire all'estero in caso la nazione fosse stata occupata "

(Jean-Pierre Chevenement, ex ministro della difesa francese)

" Commando locali e la CIA crearono un ramo della rete nel 1955 per organizzare la guerriglia di resistenza a qualsiasi invasore comunista. "

( Yannis Varvitsiotis, ex ministro della difesa greco)

Gladio nel cinema [modifica]

In Piazza delle Cinque Lune, un film per la regia di Renzo Martinelli del 2002, in base a documenti giudiziari e ad un filmato autentico del rapimento di Aldo Moro, un giudice arriva a scoprire il collegamento tra Operazione Gladio e CIA.

Il coinvolgimento di Camillo Guglielmi nel rapimento di Aldo Moro e la sua appartenenza all'organizzazione Gladio è confermato da molte fonti.[25][26][27].

Le trame oscure della NATO/CIA in Italia vengono anche sfruttate dalla fiction di oltre oceano; di Gladio e Stay Behind si parla ad esempio nel romanzo Protocollo Sigma di Robert Ludlum.

Nel libro Romanzo criminale del 2002 (da cui è stato tratto un film nel 2005), anche se non viene mai detto chiaramente, si suggerisce che la misteriosa organizzazione che piano piano comincia a sfruttare i protagonisti sia proprio l'Operazione Gladio.

Note [modifica]

1. ^ O, secondo alcuni, della principale e più duratura tra diverse stay-behind che operarono in Italia.

2. ^ Francesco Cossiga, La versione di K, Rizzoli, 2009, p. 149.

3. ^ a b (EN) "Terrorism in Western Europe: An Approach to NATO’s Secret Stay-Behind Armies" Acrobat file ETH Zurich progetto su Gladio diretto da Daniele Ganser

4. ^ Francesco Cossiga, op. cit, p. 152.

5. ^ a b Si veda il documento desecretato

6. ^ Comunicazioni del presidente, Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 2' seduta, 23 ottobre 1996

7. ^ Francesco Cossiga, op. cit, pag.158.

8. ^ F. Cossiga all'intervistatrice della trasmissione di Rai 3 Report: "in tutta la faccenda Gladio, verso la quale noi eravamo tenuti al segreto..." e lamentandosi del fatto che a suo avviso Giulio Andreotti avrebbe rivelato il fatto indebitamente. Rai Report Perché... il segreto di stato? sia testo che videoregistrazione della puntata.

9. ^ (EN) "Terrorism in Western Europe: An Approach to NATO’s Secret Stay-Behind Armies", file .pdf Progetto di ricerca ETH Zurigo su Gladio diretta da Daniele Ganser

10. ^ Relazione del Comitato Parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di stato sugli appunti sequestrati all'on. Bettino Craxi, 26 ottobre 1995

11. ^ La CIA fino al 1975 finanziava Gladio, articolo di "La Repubblica", del 30 novembre 1990

12. ^ Dichiarazioni di Luigi Tagliamonte, nel dossier del partito dei Democratici di Sinistra "Stragi e terrorismo: strumenti di lotta politica", riportate dal sito almanaccodeimisteri.info

13. ^ 1945 - 1974. "Stragi e terrorismo: strumenti di lotta politica", il dossier DS, riportato dal sito archivio900.it

14. ^ (EN) Secret agents, freemasons, fascists... and a top-level campaign of political destabilisation, articolo del "Guardian", del 5 dicembre 1990

15. ^ Maletti: Confermato il coinvolgimento Usa, articolo de "La Repubblica", del 2 dicembre 2000

16. ^ a b c Piazza Fontana, matrice estera, articolo de "La Repubblica", del 21 marzo 2001

17. ^ Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 27esima seduta, audizione Francesco Cossiga, 27 novembre 1997

18. ^ Raccolta di articoli di quotidiani relativi all'interrogatorio del 21 marzo 2001 dell'ex generale Maletti, sul sito almanaccodeimisteri.info

19. ^ (EN) Terrorists 'helped by CIA' to stop rise of left in Italy, articolo di "The Guardian", del 26 marzo 2001

20. ^ (FR) Hans Depraetere e Jenny Dierickx, "La Guerre froide en Belgique" ("guerra fredda in Belgio") (EPO-Dossier, Anvers, 1986)

21. ^ (FR) Voltairenet.org su François de Grossouvre

22. ^ (FR) "Le Monde" fa una citazione de '"L'Humanité" 29 novembre 1990

23. ^ (EN) Articolo sul Guardian di Ed Vulliamy, 5 dicembre 1990

24. ^ SPAGNA, LE ACCUSE COMUNISTE 'I GLADIATORI DIETRO GLI ECCIDI': Repubblica — 20 novembre 1990, pagina 10.

25. ^ http://www.archivio900.it/it/articoli/art.aspx?id=6564

26. ^ http://web.tiscali.it/pmusilli/AldoMoro.htm

27. ^ http://www.storiain.net/arret/num153/artic6.asp

Bibliografia [modifica]

* Antonino Arconte, L'ultima missione, 2001, ISBN 88-900678-2-9

* (FR) Rapporto di Giulio Andreotti su Gladio (traduz. francese), a cura di VoltaireNet.org

* Daniele Ganser, Gli eserciti segreti della NATO. Operazione Gladio e terrorismo in Europa occidentale (NATO's Secret Armies: Operation GLADIO and Terrorism in Western Europe), Fazi Editore, 2005, ISBN 88-8112-638-9

* (EN) David Hoffman, "The Oklahoma City bombing and the Politics of Terror", 1998 (Capitolo 14 online sulla strategia della tensione)

* Giovanni Fasanella e Claudio Sestieri con Giovanni Pellegrino, "Segreto di Stato. La verità da Gladio al caso Moro", Einaudi, 2000 (vedi articolo nel sito della rete civica di Bologna)

* (EN) Jan Willems, Gladio, 1991, EPO-Dossier, Bruxelles, ISBN 2-87262-051-6

* (DE) Jens Mecklenburg, Gladio. Die geheime terrororganisation der Nato, 1997, Elefanten Press Verlag GmbH, Berlino, ISBN 3-88520-612-9

* (ES, FR) Thierry Meyssan, Stay-behind: les réseaux d’ingérence américains, Voltaire, 20 agosto 2001 (articolo su VoltaireNet.org)

* (DE) Leo A. Müller, Gladio. Das Erbe des kalten Krieges, 1991, RoRoRo-Taschenbuch Aktuell no 12993, ISBN 3-499-12993-0

* (FR) Jean-François Brozzu-Gentile, L’Affaire Gladio. Les réseaux secrets américains au cœur du terrorisme en Europe, 1994, Albin Michel, Parigi, ISBN 2-226-06919-4

* Anna Laura Braghetti con Paola Tavella, Il prigioniero, 1998, Edizioni Mondadori (Le Frecce) ISBN 88-04-45154-8

* (DE) Regine Igel, Andreotti. Politik zwischen Geheimdienst und Mafia, 1997, Herbig Verlagsbuchhandlung GmbH, Monaco, ISBN 3-7766-1951-1

* (EN) Arthur E. Rowse, "Gladio: The Secret U.S. War to Subvert Italian Democracy" in Covert Action #49, estate 1994 (versione online)

* (EN) Anti-Fascist Action (AFA), "StayingBehind: NATO's Terror Network" in Fighting Talk #11, maggio 1995

* (FR) François Vitrani, "L’Italie, un Etat de 'souveraineté limitée' ?", in Le Monde diplomatique, dicembre 1990

* (FR) Patrick Boucheron, "L'affaire Adriano Sofri|Sofri: un procès en sorcellerie ?", sulla rivista L'Histoire, n°217 (gennaio 1998) ([1])

* (FR) Philippe Foro, Les procès Andreotti en Italie (I processi di Giulio Andreotti|Andreotti in Italia), Università di Tolosa II, Groupe de recherche sur l'histoire immédiate.

* (IT) Giuseppe De Lutiis: "Storia dei servizi segreti in Italia", Roma : Editori Riuniti, 1984(1994). 313 pagine (ISBN: 883593432X)

Voci correlate [modifica]

* Affare Maltese

* Argo 16

* Aldo Moro

* Centro Addestramento Guastatori

* Convegno dell'Hotel Parco dei Principi sulla guerra rivoluzionaria

* Gladio Rossa

* Guerra non convenzionale

* Licio Gelli

* Noto servizio

* Organizzazioni armate di destra in Italia

* P2

* Piano Demagnetize

* Piano Solo

* Stay-behind

* Strategia della tensione

* Terrorismo di Stato

* Vincenzo Li Causi

Collegamenti esterni [modifica]

* (EN) "Terrorism in Western Europe: An Approach to NATO’s Secret Stay-Behind Armies" Acrobat file ETH Zurich progetto su Gladio diretto da Daniele Ganser

* Intervista del 2000 a Vincenzo Vinciguerra

* Reazioni a Gladio tra le notizie del giugno 2002

* Luigi Cipriani, Interventi in parlamento su Gladio

* Associazione italiana di volontari stay-behind

* "Facciamo un'altra Gladio" nel "Corriere della Sera", 7 luglio 2005, sul Dipartimento di Studi Strategici Antiterrorismo (DSSA), accusato di voler costituire "un'altra Gladio"

* Caso Moro: morire di Gladio ne La voce della Campania

* Gladio in Sicilia

* Audizione di Stefano Delle Chiaie alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi

* Interpellanza: Eserciti segreti della NATO. La Svizzera e la "strategia della tensione"

* "Secret Warfare: Operation Gladio and NATO's Stay Behind Armies", progetto di ricerca diertto da Daniele Ganser al Center for Security Studies (CSS) e all'Istituto Federale Svizzero di Tecnologia di Zurigo (ETH Zurich) Raccoglie molti contributi, compresi file audio di interviste. Documenti in varie lingue, alcuni anche italiano

* Operation Gladio

* Documento del SIFAR del 1956 su Gladio (attendibilità non verificata) (PDF, 179 kb)

* (EN) Thirdworldtraveller (Mark Zepezauer)

* (EN) Copi.com sulle reti Stay-Behind

* (EN) documento di Statewatch

* (EN) "Secret agents, freemasons, fascists... and a top-level campaign of political 'destabilisation'" di Ed Vulliamy, pubblicato da The Guardian, 5 dicembre 1990

* (EN) BBC News story: Italy probes 'parallel police'

* "The Assassins of a Pope" di Lucy Komisar

* "The Real History of Gladio" (archiviato dall'url originale)

* Racconti di un (supposto) Gladiatore (archiviato dall'url originale)

* (FR) articolo de L'Humanité

* (FR) sul libro di Alberto Franceschini, ibid

* (FR) articolo de "L'Humanité"

* (FR) articolo del quotidiano Politis

* (FR) articolo sul sito di Radio France

* articolo della rivista L'Histoire

* forum con Fred Vargas

* (IT) "Un'altra Gladio?" articolo de La Repubblica del 6 novembre 2005

* Gladio, P2, falangisti - l'Italia che sogna il golpe, 6 novembre 2005, "La Repubblica" sul Dipartimento Studi Strategici Antiterrorismo - DSSA)

* (ES) "La iresistible ascension de Silvio Berlusconi" di Lisandro Otero su rebelion.org

* (EN) The Pentagon's 'NATO Option', articolo di Lila Rajiva, 10 febbraio 2005, sul sito Commondreams

* Consortium News articolo su "On the Trail of Turkey's Terrorist Grey Wolves", di Martin A. Lee

* Articolo del quotidiano russo "Moscow Times"

* cable by Reuters on relations between Gladio and the Order of the Solar Temple

* su Stay behind

* (ES) (FR) (AR) "Stay-behind: les réseaux d'ingérence américains", 20 agosto 2001

* (FR) "L’OTAN restructure le réseau Gladio face aux immigrés, qualifiés de 'menace clandestine à caractère permanent'", 9 settembre 1996

* (EN) Una bibliografia

* (EN) Operation Gladio, articolo di Andrew G. Marshall su Geopolitical Monitor, 23 giugno 2008

* "Alle origini della Gladio" uno studio di Faustino Nazzi sulla "strategia della tensione" nella Slavia friulana

 

 

 

Francesco Cossiga

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Bandiera VIII presidente della

Repubblica Italiana Stemma

Cossiga Francesco 2.jpg

Francesco Cossiga

Luogo di nascita Sassari

Data di nascita 26 luglio 1928

Luogo di morte Roma

Data di morte 17 agosto 2010 (82 anni)

Partito politico Democrazia Cristiana

Coalizione

Mandato dal 3 luglio 1985 al 28 aprile 1992

(dimesso)

Elezione 24 giugno 1985

1° scrutinio con 752 voti su 977

Titolo di studio dottore in giurisprudenza

Professione professore universitario di diritto costituzionale e politico

Coniuge Giuseppa Sigurani

Vicepresidente

Predecessore Sandro Pertini

Successore Oscar Luigi Scalfaro

Bandiera Presidente del

Consiglio dei ministri Stemma

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Luogo di nascita

Data di nascita

Luogo di morte

Data di morte

Partito politico

Coalizione

Mandato 4 agosto 1979 - 18 ottobre 1980

Elezione

Titolo di studio

Professione

Coniuge

Vicepresidente

Predecessore Giulio Andreotti

Successore Arnaldo Forlani

Bandiera Ministro dell'interno Stemma

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Data di nascita {{{data nascita}}}

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Partito politico {{{partito}}}

Coalizione Governo Moro V - Andreotti III e IV

Mandato 12 febbraio 1976 - 11 maggio 1978

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Professione {{{professione}}}

Coniuge {{{coniuge}}}

Vicepresidente {{{vice}}}

Predecessore Luigi Gui

Successore Virginio Rognoni

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Monogramma del Senato della Repubblica Italiana Parlamento italiano

Senato della Repubblica

sen. Francesco Cossiga

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Luogo nascita Sassari

Data nascita 26 luglio 1928

Luogo morte {{{luogo_morte}}}

Data morte 17 agosto 2010

Titolo di studio laurea in giurisprudenza

Professione professore universitario

Partito Indipendente (DC fino al 1992)

Legislatura

Gruppo misto

Coalizione

Circoscrizione

Regione {{{regione}}}

Collegio {{{collegio}}}

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senatore a vita

Investitura Senatore di diritto

Data 28 aprile 1992

Incarichi parlamentari

[{{{sito}}} Pagina istituzionale]

Francesco Cossiga (Sassari, 26 luglio 1928 – Roma, 17 agosto 2010) è stato un politico, giurista e docente italiano, ottavo presidente della Repubblica dal 1985 al 1992 quando assunse, di diritto, l'ufficio di senatore a vita. A seguito di un decreto del presidente del Consiglio dei ministri ha potuto fregiarsi del titolo di presidente emerito della Repubblica Italiana.

È stato ministro dell'interno nel Governo Andreotti III dal 1976 al 1978, quando si dimise in seguito all'uccisione di Aldo Moro. Dal 1979 al 1980 fu presidente del Consiglio dei ministri e fu presidente del Senato della Repubblica nella IX legislatura dal 1983 al 1985, quando lasciò l'incarico perché fu eletto al Quirinale.

Indice

[nascondi]

* 1 Carriera politica

* 2 Attività di governo

o 2.1 I primi anni al Viminale

o 2.2 Il caso Moro

o 2.3 La presidenza del Consiglio dei ministri

* 3 La Presidenza della Repubblica

* 4 Cossiga e Gladio

o 4.1 La richiesta di messa in stato di accusa

* 5 Attività recente

o 5.1 XIII Legislatura

o 5.2 XIV Legislatura

o 5.3 XV Legislatura

o 5.4 XVI Legislatura

* 6 Onorificenze

o 6.1 Onorificenze italiane

+ 6.1.1 Onorificenze straniere

* 7 Curiosità

* 8 Opere

* 9 Voci correlate

* 10 Altri progetti

* 11 Note

* 12 Collegamenti esterni

Carriera politica

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Democrazia Cristiana.

Iscritto alla sezione sassarese della Democrazia Cristiana a 17 anni, conseguì la maturità in anticipo e si iscrisse al corso di laurea in giurisprudenza, per laurearsi, a soli vent'anni, nel 1948, iniziando una carriera universitaria che gli sarebbe in seguito valsa la cattedra di diritto costituzionale dell'Università di Sassari. In quegli anni ha fatto parte della FUCI con ruoli di primo piano nella FUCI di Sassari e a livello nazionale.[1]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi le voci giovani turchi (Italia) e Governo Moro III.

Alla fine degli anni cinquanta, ancora trentenne, iniziò la sua folgorante carriera politica a capo dei cosiddetti giovani turchi sassaresi: eletto deputato per la prima volta nel 1958 divenne poi il più giovane sottosegretario alla difesa nel terzo governo Moro (23 febbraio 1966)[2] il più giovane ministro degli Interni (il 12 febbraio 1976, a 48 anni), il più giovane presidente del Senato (12 luglio 1983, a 55 anni) e, infine, il più giovane inquilino del Quirinale, dove arrivò, a 57 anni non ancora compiuti, il 24 giugno del 1985, con una vasta maggioranza alla prima votazione.

Attività di governo

I primi anni al Viminale

L'11 marzo 1977, nel corso di durissimi scontri tra studenti e forze dell'ordine nella zona universitaria di Bologna venne ucciso il militante di Lotta continua Pierfrancesco Lorusso; alle successive proteste degli studenti, Cossiga, allora titolare del Ministero dell'interno, rispose mandando veicoli trasporto truppa blindati (M113) nella zona universitaria[3]. A seguito di ciò - ed a seguito della morte per colpi d'arma da fuoco della militante di sinistra romana Giorgiana Masi sul Ponte Garibaldi - il suo nome venne scritto dagli studenti, per protesta, storpiandolo: con una kappa iniziale ed usando la doppia esse delle SS naziste.

Nel gennaio 1978 riformò i servizi segreti dando loro la configurazione che avrebbero mantenuto fino alla successiva riforma del 2007, e creò i reparti speciali della Polizia NOCS e dei Carabinieri GIS.

Il caso Moro

Nel marzo 1978, quando fu rapito Aldo Moro dalle brigate rosse, creò rapidamente due "comitati di crisi", uno ufficiale e uno ristretto, per la soluzione della crisi.

Molti fra i componenti di entrambi i comitati sarebbero in seguito risultati iscritti alla P2; ne faceva parte lo stesso Licio Gelli sotto il falso nome di ingegner Luciani. Tra i membri anche lo psichiatra e criminologo Franco Ferracuti. Cossiga richiese ed ottenne l'intervento di uno specialista americano, il professor Steve Pieczenik, il quale partecipò ad una parte dei lavori.

Circa la presunta fuga di notizie per la quale le BR parevano a conoscenza di quanto si discutesse nelle stanze riservate, Pieczenik ebbe ad affermare nel 1994 che aveva via via richiesto di ridurre progressivamente il numero dei partecipanti alle riunioni. Rimasti solo Pieczenik e Cossiga, affermò lo statunitense "la falla non accennò a richiudersi". Cossiga in seguitò non smentì, ma parlò di "cattivo gusto".

Non fu mai aperta alcuna trattativa con i sequestratori per il rilascio di Moro, il quale dalla sua prigionia scrisse a Cossiga dicendogli che "esiste un problema, postosi in molti e civili paesi, di pagare un prezzo per la vita e la libertà di alcune persone estranee, prelevate come mezzo di scambio. Nella grande maggioranza dei casi la risposta è stata positiva ed è stata approvata dall'opinione pubblica".

Cossiga diede le dimissioni da ministro dell'Interno in seguito al ritrovamento del cadavere del presidente della DC in via Michelangelo Caetani. Al giornalista Paolo Guzzanti disse: "Se ho i capelli bianchi e le macchie sulla pelle è per questo. Perché mentre lasciavamo uccidere Moro, me ne rendevo conto. Perché la nostra sofferenza era in sintonia con quella di Moro".

La presidenza del Consiglio dei ministri

Appena un anno dopo, il 4 agosto 1979, fu nominato presidente del Consiglio dei ministri rimanendo in carica fino all'ottobre del 1980.

Cossiga come presidente del consiglio fu proposto dal PCI per la messa in stato di accusa da parte del Parlamento, in votazione in seduta comune, con una procedura conclusasi con l'archiviazione nel 1980, l'accusa era di favoreggiamento personale e rivelazione di segreto d'ufficio.

Cossiga fu sospettato di aver rivelato a un compagno di partito, il senatore Carlo Donat Cattin, che suo figlio Marco era indagato e prossimo all'arresto, essendo coinvolto in episodi di terrorismo, suggerendone l'espatrio.

Il Parlamento in seduta comune ritenne però manifestamente infondata l'accusa, che era stata fatta procedere da parte della magistratura di Torino in seguito alle dichiarazioni del terrorista pentito Roberto Sandalo (Sandalo, soprannominato il "piellino canterino" perché fu uno dei primi pentiti dell'organizzazione terroristica Prima linea, aveva infatti riferito che in una conversazione con Marco Donat Cattin quest'ultimo gli avrebbe parlato dell'imminenza del suo arresto, appresa da fonti vicine al padre).

Nel denunciare il favoreggiamento personale il PCI guidato da Enrico Berlinguer fu assai deciso nel ritenere che Cossiga fosse la fonte della fuga di notizie sulle indagini sui terroristi. Una possibile spiegazione di tanta certezza è offerta dalla nuova ricostruzione della vicenda offerta in un libro[4] e confermata in un'intervista del 7 settembre 2007 dallo stesso Cossiga ad Aldo Cazzullo del Corriere della sera: Cossiga ha infatti ammesso (vent'anni dopo i fatti con il reato ormai caduto in prescrizione) parte dell'addebito, ma - soprattutto - ha rivelato che lui stesso informò il cugino Berlinguer del fatto, attendendosi comprensione ed ottenendo invece che la notizia venisse utilizzata per una battaglia politica contro di lui.

Dopo un periodo di allontanamento dalla vita pubblica[5], nel 1983 fu eletto Presidente del Senato della Repubblica.

La Presidenza della Repubblica

Cossiga nel suo ufficio di presidente

Nel 1985 divenne l'ottavo presidente della Repubblica Italiana, succedendo a Sandro Pertini. Per la prima volta nella storia repubblicana, l'elezione avvenne al primo scrutinio, con una larga maggioranza (752 su 977 votanti): Cossiga ricevette il consenso oltre che della DC anche di PSI, PCI, PRI, PLI, PSDI e Sinistra indipendente.

La presidenza Cossiga fu sostanzialmente distinta in due fasi quasi eterogenee. Assai rigoroso nell'osservanza delle forme dettate dalla Costituzione (essendo peraltro docente di diritto costituzionale) fu il classico presidente notaio nei primi cinque anni di mandato. Unico indizio della sua futura posizione di denuncia delle reticenze del sistema politico fu la sua insistente richiesta di chiarire il ruolo del Capo dello Stato nel caso di conferimento dei poteri di guerra al Governo: ne derivò la nomina della Commissione Paladin.

La caduta del muro di Berlino segnò l'inizio della seconda fase. Secondo Cossiga la fine della guerra fredda e della contrapposizione di due blocchi avrebbe determinato un profondo mutamento del sistema politico italiano che nasceva da quella contrapposizione ed era a quella funzionale. La DC e il PCI avrebbero dunque subito gravi conseguenze da questo mutamento, ma Cossiga sosteneva che i partiti politici e le stesse istituzioni si rifiutavano di riconoscerlo. Iniziò quindi una fase di conflitto e polemica politica, spesso provocatoria e volutamente eccessiva, e con una fortissima esposizione mediatica (fu detto il "grande esternatore"), al solo scopo di dare delle "picconate a questo sistema"[6], che perciò valsero a Cossiga negli ultimi due anni di mandato l'appellativo di "picconatore"[7].

Rimonta a quest'epoca l'abbandono, da parte sua, di uno dei più antichi tabù della politica democristiana, cioè quello che esorcizzava l'esistenza di illeciti: conformemente alla formazione "tavianea"[8] della sua iniziale carriera politica, egli tenne moltissimo a dimostrare (quasi "pedagogicamente") agli italiani i costi che in termini di legalità avrebbe sostenuto il mantenimento della pace pubblica durante il cinquantennio in cui in Italia vi era il più forte partito comunista d'Occidente[9]. Per converso, la caduta del muro di Berlino - da lui percepita come svolta epocale prima di molti altri statisti italiani, tanto da essere stato l'unico politico romano a presenziare alla prima seduta del Bundestag dopo la riunificazione nel 1990 - fu per lui la vera giustificazione della riduzione dei margini di tolleranza dell'alleato nordamericano verso la classe politica italiana della "Prima Repubblica": si tratta di una tolleranza che lui percepì scemare quando la CIA interferì pesantemente (ed infruttuosamente) nelle vicende politiche delle massime istituzioni italiane, nel 1989, tentando di impedire l'ascesa di Giulio Andreotti a palazzo Chigi, probabilmente a causa della sua politica filoaraba[10].

Tra le esternazioni del presidente, vi fu quella contro il magistrato Rosario Livatino, definito sprezzantemente giudice ragazzino. Livatino fu assassinato dalla mafia nel 1990.

Cossiga si dimise dalla presidenza della Repubblica il 28 aprile 1992, a due mesi dalla scadenza naturale del mandato, annunciando le sue dimissioni con un discorso televisivo che tenne simbolicamente il 25 aprile. Fino al 25 maggio, quando al Quirinale fu eletto Oscar Luigi Scalfaro, le funzioni presidenziali furono assolte, come previsto dalla Costituzione, dall'allora presidente del Senato, Giovanni Spadolini.

Cossiga e Gladio

Nel 1966, quando entrò per la prima volta al governo, Cossiga ricevette la delega, come Sottosegretario alla Difesa, a sovrintendere Gladio, sezione italiana di Stay Behind Net, organizzazione segreta dell'Alleanza Atlantica (di cui facevano parte anche Austria e Svezia).

Le asserite responsabilità di Cossiga nei confronti di Gladio furono confermate dal medesimo interessato che, ancora presidente, ebbe a chiedere (il 21 novembre 1991, all'indomani della sentenza di incompetenza con cui il giudice Felice Casson aveva trasmesso gli atti su Gladio alla Procura della Repubblica presso il tribunale di Roma) di essere processato e a definirsene "l'unico referente politico", precisando di "essere stato perfettamente informato delle predette qualità della struttura". Sono differenti le versioni sui motivi che indussero l'allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti a divulgare la struttura segreta di Gladio:

1. Paolo Guzzanti, nel suo libro Cossiga, un uomo solo (Rizzoli, 1991) dedica un capitolo ("La fiaba del giudice, del gatto e del primo ministro") alla chiave interpretativa di fonte cossighiana: la richiesta del giudice che indagava sulla strage di Peteano, Felice Casson, di accedere agli archivi del SISMI a Forte Braschi, sarebbe stata inopinatamente accolta dal presidente del consiglio Giulio Andreotti per dare luogo ad un regolamento di conti con il Capo dello Stato, da poco esternatore assai sgradito alla maggioranza DC;

2. lo stesso Cossiga, in una sua autobiografia, La versione di K (Rizzoli, 2009), scrive, riferendosi ad Andreotti: "Mi ha risposto che, ormai caduto il Muro di Berlino, non vi era più alcuna ragione per non raccontare come stavano davvero le cose. Tanto più, aggiunse, che aveva concesso al pm veneziano Felice Casson (…) il permesso di andare a vedere negli archivi dei Servizi Segreti: a quel punto c'era poco da sperare che non avrebbe ricostruito tutto" (pag. 158).

Vi sono state differenti valutazioni politiche sul suo coinvolgimento nella vicenda di Gladio.

Mentre Cossiga ha recentemente dichiarato che sarebbe giusto riconoscere il valore storico dei gladiatori così come avvenne per i partigiani, il presidente della Commissione Stragi Giovanni Pellegrino ebbe a scrivere: "[...] se in sede giudiziaria un'illiceità penale della rete clandestina in sé considerata è stata motivatamente e fondatamente negata, non sono state affatto escluse possibili distorsioni dalle finalità istituzionali dichiarate della struttura, che ben possono essere andate al di là della sua già evidenziata utilizzazione a fini informativi...".

Secondo Cossiga ci sarebbero stati due ministri della Margherita del governo Prodi II nell'Organizzazione Gladio.[senza fonte]

La richiesta di messa in stato di accusa

Il 6 dicembre 1991 fu presentata in parlamento da parte dell'allora minoranza la richiesta di messa in stato di accusa per Francesco Cossiga[11].

Tra i firmatari delle mozioni vi erano Ugo Pecchioli, Luciano Violante, Marco Pannella, Nando Dalla Chiesa, Giovanni Russo Spena, Sergio Garavini, Lucio Libertini, Lucio Magri, Leoluca Orlando, Diego Novelli.

Il comitato parlamentare ritenne tutte le accuse manifestamente infondate, come si legge negli atti parlamentari del 12 maggio 1993.

La Procura di Roma richiese l'archiviazione a favore di Cossiga il 3 febbraio 1992 e l'8 luglio 1994 la richiesta fu accolta dal tribunale dei ministri.

Cossiga scrisse: "il Partito comunista sapeva dell'esistenza di un'organizzazione segreta con le caratteristiche di Gladio. Lo dico perché ne fui informato da Emilio Taviani. (…) Perché i comunisti lanciarono comunque quella campagna e perché inserirono i fatti di Gladio tra le accuse che portarono alla richiesta di incriminazione nei miei confronti? Credo di avere la risposta. Quello dei comunisti fu fuoco di controbatteria: era da poco crollato il Muro di Berlino e temevano che potessero arrivare da quella parte notizie di chissà che genere sul loro conto; quindi, per evitare di trovarsi in imbarazzo, cominciarono a sparare nel mucchio. E io, (…) fui colpito per primo in quanto presidente della Repubblica" (Francesco Cossiga, La versione di K, pag. 159).

Attività recente

XIII Legislatura

Sfaldatasi la DC ed essendosi i suoi esponenti divisi fra i due poli di centrosinistra e centrodestra, Cossiga decise in un primo momento di ritirarsi dall'attività di partito e di svolgere soltanto l'attività di senatore a vita. Successivamente, nel febbraio del 1998, diede vita ad una nuova formazione politica, l'UDR (Unione Democratica per la Repubblica), con l'intenzione di costituire un'alternativa di centro e ricompattare le forze ex-democristiane.

L'UDR raccolse l'adesione dei Cristiani Democratici Uniti di Rocco Buttiglione e di Clemente Mastella, alla guida di un gruppo di scissionisti del Centro Cristiano Democratico.

Quando Rifondazione comunista fece mancare il suo appoggio al governo Prodi I, che venne battuto alla Camera per un voto, Cossiga fu determinante per la formazione del governo D'Alema I. Il suo appoggio venne deciso, come Cossiga spiegò in una conferenza stampa [2] all'uscita dalle consultazioni con il presidente Scalfaro, per sancire irrevocabilmente la fine della conventio ad excludendum nei confronti del PCI. Massimo D'Alema fu il primo presidente del Consiglio a provenire dalle file dell'ex PCI. Per l'occasione Cossiga regalò al novello capo del Governo in Parlamento un bambino di zucchero, ironizzando un desueto luogo comune su usanze cannibalistiche dei comunisti. Nel frattempo il senatore Marcello Pera gli lanciava epiteti come discendente di barbaricini, briganti e rapitori, a cui Cossiga rispondeva ricordando le proprie origini familiari "contrariamente a chi ha un cognome di cosa, come si usava dare alle famiglie la cui origine era ignota".

XIV Legislatura

Dopo un anno di vita, l'UDR si sciolse e larga parte di essa confluì nel nuovo soggetto politico creato da Clemente Mastella, l'UDEUR. Cossiga vi aderì in maniera puramente simbolica, per fuoriuscirne definitivamente il 6 novembre 2003, quando abbandonò, al Senato, il gruppo misto per iscriversi al gruppo per le autonomie.

Nel giugno 2002 ha annunciato le dimissioni da senatore a vita, che peraltro non ha presentato.

XV Legislatura

Cossiga ha collaborato attivamente con diversi quotidiani, scrivendo anche sotto lo pseudonimo "Franco Mauri" per Libero e "Mauro Franchi" per Il Riformista. Alla fine del 2005 ha pubblicato sul quotidiano Libero una lettera nella quale ha annunciato di non volersi più occupare attivamente della politica italiana, ma non pare avervi dato pienamente seguito.

Il 19 maggio 2006 ha votato la fiducia al governo Prodi II.

Il 27 novembre 2006 ha presentato al presidente del Senato, Franco Marini, le dimissioni da senatore a vita, ritenendosi "ormai inidoneo ad espletare i complessi compiti e ad esercitare le delicate funzioni che la Costituzione assegna come dovere ai membri del parlamento nazionale". Le dimissioni sono state respinte dal Senato in data 31 gennaio 2007: il numero dei senatori contrari alle dimissioni è stato di 178, i favorevoli 100 e gli astenuti 12.

L'intera vicenda si è sviluppata in seguito a un'interpellanza parlamentare del mese di novembre 2006 nella quale il presidente emerito richiedeva al ministro dell'Interno Giuliano Amato di chiarire i motivi del pagamento di due giornalisti da parte del dipartimento della Pubblica sicurezza, diretto dal prefetto Giovanni De Gennaro. Data la non immediata disponibilità a chiarire direttamente la vicenda da parte del ministro Amato, in aula venne letta una risposta scritta da De Gennaro. Non condividendo il comportamento tenuto dal Ministro, Cossiga ribatteva con una delle sue note picconate: "[Ha preferito rispondere] lo scagnozzo di quel losco figuro (tale Roberto Sgalla) del capo della Polizia che si chiama Gianni De Gennaro [...]". Nella stessa data, prima del voto di cui sopra, Francesco Cossiga ha presentato pubbliche scuse allo stesso De Gennaro.

Il 6 dicembre 2007 è stato determinante per salvare dalla crisi il governo Prodi, con il suo sì al decreto sicurezza, sul quale l'esecutivo aveva posto il voto di fiducia.

Sempre nel 2007 è stato componente del comitato promotore del pensiero di Antonio Rosmini, in occasione della sua beatificazione avvenuta il 18 novembre 2007.

XVI Legislatura

Nel 2008 Cossiga ha votato la fiducia al governo Berlusconi IV; in precedenza aveva votato la fiducia a Berlusconi un'altra volta, nel 1994 (governo Berlusconi I).

Il 23 ottobre 2008, in un'intervista al Quotidiano Nazionale, propone al Ministro dell'Interno Maroni la sua soluzione per contenere il dissenso universitario nei confronti della legge 133/2008: evitare di chiamare in causa la polizia, ma screditare il movimento studentesco infiltrando agenti provocatori, e solo allora, dopo i prevedibili disordini, "le forze dell'ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale". Nell'affermare ciò Cossiga sostiene che il terrorismo degli anni '70 era partito proprio dalle università, e conferma di avere già attuato una strategia simile quando egli stesso era stato Ministro dell'Interno[12]. In seguito a questa intervista Alfio Nicotra, della direzione nazionale del Prc e responsabile del Dipartimento Pace e Movimenti del Prc ha chiesto di riaprire l'inchiesta sulla morte di Giorgiana Masi, uccisa in circostanze non ancora chiarite durante una manifestazione nel 12 maggio 1977, periodo nel quale stesso Cossiga era ministro dell'Interno[13]. Inoltre la senatrice Donatella Poretti (Radicale eletta nelle file del PD) ha deciso di depositare un disegno di legge per l'istituzione di una commissione d'inchiesta sull'omicidio della Masi.

Onorificenze

Onorificenze italiane

Capo e Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana - nastrino per uniforme ordinaria

Capo e Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana

— Roma, dal 3 luglio, 1985 al 28 aprile, 1992 in qualità di Presidente della Repubblica

Capo dell'Ordine militare d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria

Capo dell'Ordine militare d'Italia

Capo dell'Ordine della Stella della Solidarietà Italiana - nastrino per uniforme ordinaria

Capo dell'Ordine della Stella della Solidarietà Italiana

Capo dell'Ordine al Merito del Lavoro - nastrino per uniforme ordinaria

Capo dell'Ordine al Merito del Lavoro

Capo dell'Ordine di Vittorio Veneto - nastrino per uniforme ordinaria

Capo dell'Ordine di Vittorio Veneto

Gran Croce al merito della Croce Rossa Italiana - nastrino per uniforme ordinaria

Gran Croce al merito della Croce Rossa Italiana

Onorificenze straniere

Cavaliere di Gran Croce, con Placca d'Oro, decorato del Collare dell'Ordine Costantiniano di San Giorgio - nastrino per uniforme ordinaria

Cavaliere di Gran Croce, con Placca d'Oro, decorato del Collare dell'Ordine Costantiniano di San Giorgio

Balì di Gran Croce di Onore e Devozione del Sovrano Militare Ordine di Malta - nastrino per uniforme ordinaria

Balì di Gran Croce di Onore e Devozione del Sovrano Militare Ordine di Malta

Collare dell'Ordine al Merito Melitense (Malta) - nastrino per uniforme ordinaria

Collare dell'Ordine al Merito Melitense (Malta)

Collare dell'Ordine Piano (Città del Vaticano) - nastrino per uniforme ordinaria

Collare dell'Ordine Piano (Città del Vaticano)

Gran Croce dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia) - nastrino per uniforme ordinaria

Gran Croce dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia)

Gran Croce dell'Ordine di San Marino (Repubblica di San Marino) - nastrino per uniforme ordinaria

Gran Croce dell'Ordine di San Marino (Repubblica di San Marino)

Gran Croce dell'Ordine del Bagno (Regno Unito) - nastrino per uniforme ordinaria

Gran Croce dell'Ordine del Bagno (Regno Unito)

Gran Croce dell'Ordine di San Michele e San Giorgio (Regno Unito) - nastrino per uniforme ordinaria

Gran Croce dell'Ordine di San Michele e San Giorgio (Regno Unito)

Collare dell'Ordine dei Serafini (Svezia) - nastrino per uniforme ordinaria

Collare dell'Ordine dei Serafini (Svezia)

Collare dell'Ordine al Merito della Repubblica di Polonia (Polonia) - nastrino per uniforme ordinaria

Collare dell'Ordine al Merito della Repubblica di Polonia (Polonia)

Croce di Comandante con Stella dell'Ordine della Polonia Restituta (Polonia) - nastrino per uniforme ordinaria

Croce di Comandante con Stella dell'Ordine della Polonia Restituta (Polonia)

Collare dell'Ordine del Liberatore (Venezuela) - nastrino per uniforme ordinaria

Collare dell'Ordine del Liberatore (Venezuela)

Collare dell'ordine della Croce del Sud - nastrino per uniforme ordinaria

Collare dell'ordine della Croce del Sud

Collare dell'Ordine del Sole del Perù (Perù) - nastrino per uniforme ordinaria

Collare dell'Ordine del Sole del Perù (Perù)

Gran Collare dell'Ordine dell'Infante Dom Henrique (Portogallo) - nastrino per uniforme ordinaria

Gran Collare dell'Ordine dell'Infante Dom Henrique (Portogallo)

Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine del Cristo (Portogallo) - nastrino per uniforme ordinaria

Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine del Cristo (Portogallo)

Collare dell'Ordine del liberatore San Martín (Argentina) - nastrino per uniforme ordinaria

Collare dell'Ordine del liberatore San Martín (Argentina)

immagine del nastrino non ancora presente

Collare dell'Ordine della Sovranità di Mohammed (Marocco)

immagine del nastrino non ancora presente

Collare dell’Ordine dell'Indipendenza (Qatar)

Collare dell'Ordine al merito del Cile (Cile) - nastrino per uniforme ordinaria

Collare dell'Ordine al merito del Cile (Cile)

Collare dell'Ordine di Re Hussein (Giordania) - nastrino per uniforme ordinaria

Collare dell'Ordine di Re Hussein (Giordania)

Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell'Ordine di Leopoldo (Belgio) - nastrino per uniforme ordinaria

Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell'Ordine di Leopoldo (Belgio)

Classe speciale della Gran Croce dell'Ordine al Merito Federale (Germania) - nastrino per uniforme ordinaria

Classe speciale della Gran Croce dell'Ordine al Merito Federale (Germania)

immagine del nastrino non ancora presente

Gran Cordone dell'Ordine del 7 novembre (Tunisia)

immagine del nastrino non ancora presente

Cavaliere di I Classe dell'Ordine della Bandiera d'Ungheria (Ungheria)

Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine di Orange-Nassau (Paesi Bassi) - nastrino per uniforme ordinaria

Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine di Orange-Nassau (Paesi Bassi)

Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine del Dannebrog (Danimarca) - nastrino per uniforme ordinaria

Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine del Dannebrog (Danimarca)

Cavaliere di Gran Croce della Corona di Quercia (Lussemburgo) - nastrino per uniforme ordinaria

Cavaliere di Gran Croce della Corona di Quercia (Lussemburgo)

Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine del Falcone (Islanda) - nastrino per uniforme ordinaria

Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine del Falcone (Islanda)

Gran Croce dell'Ordine di Re Tomislavo di Croazia - nastrino per uniforme ordinaria

Gran Croce dell'Ordine di Re Tomislavo di Croazia

* Gran Croce dell'Ordine al Merito (Rep. Egitto)

Grand’Ufficiale dell’Ordine dell’Aquila Azteca (Messico) - nastrino per uniforme ordinaria

Grand’Ufficiale dell’Ordine dell’Aquila Azteca (Messico)

* Rajà nell'Ordine Sikatuna (Filippine)

il SOLE 24 ORE

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2010-08-19

L'ultimo saluto della sua Sassari al presidente emerito Francesco Cossiga

Cronologia articolo19 agosto 2010Commenti (2)

Questo articolo è stato pubblicato il 19 agosto 2010 alle ore 10:05.

Se n'è andato senza clamore proprio come aveva chiesto nelle lettere lasciate ai massimi rappresentanti delle istituzioni. E oggi la "sua" Sassari gli ha riservato l'ultimo caloroso saluto. Niente funerali di Stato, ma una grande folla per l'addio al presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga. Una cerimonia chiusa dalle parole del figlio Giuseppe. "È stata una celebrazione in forma familiare e arricchita dalla presenza di tutti voi, così concludiamo questo viaggio di fede e di dolore e da qui vi abbracciamo tutti e affido mio padre alle vostre preghiere".

Ora la salma del senatore a vita è stata trasferita al cimitero di Sassari per essere tumulata nella tomba di famiglia. Cossiga aveva chiesto anche questo: di riposare accanto ai genitori e alla sorella. E le sue ultime volontà sono state rispettate. "Francesco Cossiga picconava per amore e se la sua ironia bonaria nelle intenzioni si rivestiva talvolta di spirito di rivalsa e di qualche pavoneggiamento che lui stesso riconosceva, pentendosene, lo spirito cristiano lo riconduceva al perdono". È l'omelia dell'arcivescovo di Nuoro,Pietro Meloni, che ha ricordato così l'amico di infanzia. "Francesco - aggiunge - riscoprì un bel giorno l'antico proverbio sardo "dai matti e dai bambini si può sentire la verità", ma ha pianto lacrime sincere per la tragedia del suo amico Aldo Moro".

L'ultimo viaggio di Cossiga verso la sua terra era cominciato stamane. Quando, poco dopo le 10, all'aeroporto di Alghero-Fertilia era giunto il C-130 dell'aeronautica militare con a bordo la salma del presidente emerito della Repubblica. Sulla pista ad attenderlo il prefetto, il questore e le autorità del territorio. Il corteo col feretro, avvolto nel tricolore e nella bandiera dei Quattro Mori, si era quindi mosso verso la parrocchia di San Giuseppe a Sassari per i funerali in forma privata, secondo la volontà espressa dal senatore vita nelle missive indirizzate ai massimi vertici dello Stato e nella lettera-testamento consegnata al segretario del Senato.

Nella parrocchia di San Giuseppe ad accogliere il feretro c'erano il presidente della Regione Ugo Cappellacci, il sindaco di Sassari Gianfranco Ganau e la presidente della provincia Alessandra Giudici. E al seguito una delegazione di parlamentari, consiglieri regionali e comunali. Nella parrocchia sassarese erano poi giunti anche il presidente della commissione antimafia Beppe Pisanu e la giornalista Bianca Berlinguer. Fuori dalla chiesa una folla di mille persone aveva accolto con un lungo applauso il carro funebre preceduto dai familiari. Sul sagrato, poi, il saluto del picchetto d'onore formato da soldati della Brigata Sassari, dei Granatieri di Sardegna e di altri reparti militari ai quali Cossiga era legato da particolare affetto. E che ha ricordato anche nella lettera indirizzata al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, divulgata ieri. Il C130 dell'aeronautica militare con la salma del presidente emerito era decollato poco dopo le 9 dall'aeroporto di Ciampino. In mattinata una ventina di persone aveva partecipato nella chiesa dei Santi Ambrogio e Carlo in via del Corso a Roma alle sacre esequie del presidente emerito. "Ha coltivato la fede in Dio con la pratica della confessione cristiana - ha ricordato Don Claudio Papa -. Anche quando stava male la fedeltà alla Santa messa cristiana era per lui imprescindibile. Si ricordi di pregare per me, mi diceva spesso il caro presidente Cossiga - ha aggiunto don Claudio - e così diceva agli altri sacerdoti che incontrava. Perché la sua vita è stata tutt'altro che immune dal dolore. Ma si è trattato, lo dobbiamo credere, di un sotterrare il chicco di grano perché esso dia i suoi frutti". (Ce. Do.)

©RIPRODUZIONE RISERVATA

 

 

 

2010-08-18

Le Lettere al :

-Pres. della Repubblica

-Pres. del Consiglio

-Pres. del Senato

-Pres. della Camera

 

 

 

La lettera di Cossiga a Berlusconi: "Preferirei esequie in forma privata"

Cronologia articolo18 agosto 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 18 agosto 2010 alle ore 21:23.

Era rimasta l'unica missiva dal contenuto ancora non divulgato tra le quattro lasciate ai vertici dello Stato dal presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga. Ma oggi anche il premier Silvio Berlusconi ha diffuso il testo della lettera vergata dal senatore a vita scomparso ieri al Policlinico Gemelli di Roma. Nel messaggio Cossiga ribadisce la sua volontà di non avere esequie pubbliche. Ma se le autorità dovessero decidere per i funerali di Stato, il presidente emerito detta qui le sue ultime volontà.

La cerimonia. Cossiga spiega così che "qualora dopo il mio seppellimento le Autorità competenti dello Stato decidessero una qualche forma di onoranza pubblica - che peraltro io riterrei più opportuno non avesse luogo - è mio desiderio: che in essa trovi posto un momento religioso, secondo i riti della Santa Chiesa cattolica; che il catafalco sia ornato dalla bandiera italiana e da quella tradizionale sarda; che nella rappresentanza armata siano compresi: per l'Esercito elementi dei Granatieri di Sardegna, per la Marina elementi del Comsubin, per l'Arma dei Carabinieri e per la Polizia di Stato elementi rispettivamente del Gis e di Nocs, corpi da me fondati".

Alle esequie di Stato solo le autorità. Quanto alle istituzioni da coinvolgere se si decidesse per i funerali di Stato, Cossiga auspica che "siano invitati il presidente della Regione della Sardegna, il presidente del Consiglio regionale sardo nonchè i sindaci di Sassari, Chiaramonti, Bonorva e Siligo. Ho dispensato, salvo loro diversa decisione, i miei familiari dal partecipare a queste onoranze e prego lei, il presidente del Senato della Repubblica e qualunque altra autorità non di voler fare premura alcuna, ancor che certamente cortese, nei loro confronti".

Il saluto alla Repubblica. Infine, come aveva fatto nelle altre missive, Cossiga ricorda che "fu per me un grande onore e immeritato privilegio servire la Repubblica nel Governo, da

sottosegretario di Stato, da ministro e da presidente del Consiglio dei ministri: e questi miei sentimenti la prego di voler partecipare ai suoi eminenti colleghi del Consiglio dei ministri unitamente alla mia ferma conferma di fede civile nella Repubblica, nella Nazione e nella Patria". La chiusura è identica a quella contenuta nelle lettere inviate a Giorgio Napolitano, Renato Schifani e Gianfranco Fini: "Che Iddio protegga l'Italia". (Ce. Do.)

 

 

 

 

 

Domani a Sassari i funerali di Cossiga. Le ragioni della fedeltà impossibile al maestro Moro

di Miguel GotorCronologia articolo18 agosto 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 18 agosto 2010 alle ore 09:27.

L'ultima modifica è del 18 agosto 2010 alle ore 09:27.

ll presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga è morto al Policlinico Gemelli di Roma alle 13,18 di martedì 17 agosto. L'ex capo dello Stato era ricoverato in terapia intensiva dal 9 agosto per una insufficienza cardio-respiratoria. Le autorità hanno cominciato a rendergli omaggio questa mattina dalle 9,20, quando ha aperto (con quaranta minuti di anticipo) la camera ardente. Cossiga ha lasciato un testamento con le sue ultime volontà e quattro lettere indirizzate al presidente della Repubblica Napolitano, al presidente del Senato Schifani (già rese pubbliche; in uno dei passaggi si legge: "Fu per me un onore grande servire la Repubblica, a cui sempre sono stato fedele"), al presidente della Camera Fini e al premier Berlusconi. I funerali, in forma privata, come da volontà esplicita dell'ex presidente, saranno celebrati a Sassari domani, giovedì 19 agosto, alle 10,30 nella chiesa di San Giuseppe.

Il dramma di Cossiga, dentro il turbine della tragedia Moro, è racchiuso in una foto scattata in una giornata grigia che lo ritrae in ginocchio davanti alla cappella ove è seppellito l'uomo di governo democristiano: il volto deformato dai singhiozzi e segnato dal rimorso, la mano a coprire il viso in un gesto di estremo riserbo catturato dal fotografo; eppure il cancello è chiuso, la tomba irrimediabilmente inavvicinabile per tanti, ma soprattutto per lui.

È noto che quei 55 giorni lo marchiarono a fuoco sul piano fisico e psicologico: i capelli si imbiancarono di colpo, la pelle iniziò a riempirsi delle macchie della vitiligine. In quella primavera 1978 Cossiga aveva 50 anni che incominciarono a pesare di botto sulle sue spalle, insieme con le scelte compiute, le responsabili omissioni, le fiducie mal riposte, i ferali errori, il potere avuto e quello che ancora lo attendeva. Subito dopo la morte di Moro si dimise dalla carica di ministro dell'Interno e sembrò uscire definitivamente dalla scena pubblica.

I fatti dimostrarono che l'opportunità di quel passo indietro gli consentì di prendere le misure per una vertiginosa rincorsa, un salto triplo che lo avrebbe proiettato nel 1979 alla carica di presidente del Consiglio, nel 1983 alla guida del Senato e nel 1985 sullo scranno più alto, quello di presidente della Repubblica. Durante i 55 giorni interpretò la linea ufficiale della fermezza, ossia il rifiuto di ogni trattativa pubblica con le Brigate rosse, ma si servì del consiglio di pochi, fidati amici che agirono riservatamente: Vincenzo Cappelletti che organizzò il comitato di esperti vanamente impegnati a interpretare i messaggi di Moro; l'amico di infanzia Decimo Garau, l'ufficiale medico e gladiatore che avrebbe dovuto proteggere l'ostaggio con il suo corpo in caso di assalto al covo; il compagno di scuola Giuseppe Vitali, il colonnello dei carabinieri che tenne i contatti per conto dello Stato con la criminalità organizzata allo scopo di individuare la prigione.

Moro, nel memoriale dalla prigionia, ebbe solo per Cossiga parole di riguardo perché lo considerava una sorta di suo allievo politico, colui il quale, se non fosse stato rapito e avesse raggiunto la presidenza della Repubblica, avrebbe dovuto essere il presidente del Consiglio del primo gabinetto con i comunisti coinvolti direttamente in incarichi di governo, magari in ministeri non sensibili sul piano della sicurezza nazionale ed estera. Ma l'azione terrorista spazzò via chirurgicamente il demiurgo di quel progetto e insieme con lui la possibilità di realizzarlo. Il 29 marzo 1978 il prigioniero si rivolse proprio al "Caro Francesco" per scrivere la sua prima lettera, quella in cui chiedeva, contando sul fatto che rimanesse segreta, di aprire un canale di comunicazione riservato tra la "prigione del popolo" e l'esterno. Le Brigate rosse però resero pubblica la missiva e, in seguito si accertò, fecero credere al prigioniero che fosse stato Cossiga a volerlo.

Uno dei principali collaboratori di Moro, Corrado Guerzoni, nel 1995 ebbe parole perspicaci per descrivere il comportamento di Cossiga in quei giorni: "Ho molto rispetto per il senatore Cossiga che conosco fin da quando ero ragazzo. Credo che sia stato vittima di un'azione fermissima del presidente del Consiglio dell'epoca e che sia stato condizionato dalla realtà dei Servizi che si è trovato a gestire. Le sue dimissioni che non hanno alcun valore politico, ma umano, lo confermano". Lo stesso Cossiga, negli anni del trionfo, fu il più coraggioso e aspro critico della propria azione di governo nel corso di quella crisi: riconobbe l'autenticità delle lettere di Moro e la veridicità delle notizie superstiti nel memoriale e si scusò per quella spietata, ma inevitabile strategia di disinformazione che contribuì a mettere in atto durante il sequestro.

E nel 1991 - allora era il presidente della Repubblica a parlare - fu asciutto fino all'arsura nello spiegare all'intervistatore quanto era avvenuto in quella primavera: "Noi abbiamo lasciato uccidere Aldo Moro. Questo è un dato di fatto. Dirò di più: è stata una scelta che abbiamo preso allora, tutti insieme, in modo perfettamente consapevole. Io penso anche che quella fosse la scelta giusta. L'unica che lo Stato democratico potesse prendere. Ma ciò non toglie che noi scegliemmo la morte di Moro". E pochi anni dopo, davanti al magistrato: "Mi creda a me non mi importava niente della Dc, a me interessava lo Stato e interessava Moro".

È presto, prestissimo, per un giudizio storico su questa acuta, eminente e tragica figura della scena pubblica italiana, ma nell'atroce dilemma da lui stesso posto - da una parte le ragioni di una vita, dall'altra quelle dello Stato - vi è l'indicazione di una strada da intraprendere con serietà, equanimità e rigore per provare a comprendere quel tornante decisivo della storia repubblicana che ancora segna l'inconcludenza delle nostre stagioni. Nella sua ultima lettera ha chiesto funerali senza autorità dello Stato, scelta in cui riecheggia un'analoga richiesta epistolare di Moro, forse un atto di estrema quanto impossibile fedeltà al maestro tradito.

miguel.gotor@unito.it

 

 

 

Cossiga lascia quattro lettere per Napolitano, Berlusconi, Schifani e Fini

Cronologia articolo17 agosto 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 17 agosto 2010 alle ore 17:33.

Ha detto addio a modo suo. Con un testamento in cui indica le ultime volontà e con quattro missive indirizzate ai vertici delle istituzioni: al capo dello Stato, Giorgio Napolitano, al premier Silvio Berlusconi e ai presidenti di Camera e Senato, Gianfranco Fini e Renato Schifani. Il presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga, se n'è andato così lasciando dietro di sè quattro messaggi indirizzati ai maggiori rappresentanti dello Stato.

La lettera a Napolitano.Nella missiva inviata al capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e datata settembre 2007, il presidente emerito Cossiga sottolinea che "fu un grande onore servire immeritatamente e con tutta modestia, ma con animo religioso, con sincera passione civile e con dedizione assoluta, lo Stato italiano e la nostra patria, nell'ufficio di presidente della Repubblica. A lei, quale capo dello Stato e rappresentante dell'Unità nazionale, rivolgo il mio saluto deferente e formulo gli auguri più fervidi di una lunga missione al servizio dell'amato popolo italiano". Con viva, cordiale e deferente amicizia. Francesco Cossiga".

La missiva a Fini. Nel messaggio indirizzato a Gianfranco Fini, e datato 18 settembre 2007 (quando sul più alto scranno di Montecitorio sedeva Fausto Bertinotti), Cossiga ricorda il suo percorso alla Camera dei deputati "nella quale - scrive - per voto del popolo sardo entrai nel 1958 e fui confermato nel 1983, anno in cui fui eletto senatore. Fu per me un grandissimo e distinto privilegio far parte del Parlamento nazionale e servire in esso il Popolo, sovrano della nostra Repubblica. Professo la mia fede repubblicana e democratica, da liberaldemocratico, cristianodemocratico, autonomista-riformista per uno Stato

costituzionale e di diritto".

Berlusconi non divulga il messaggio. L'unica missiva ancora coperta da riserbo resta quella inviata a Silvio Berlusconi. Secondo fonti del governo, però, il premier sarebbe intenzionato a rendere pubblica la lettera dopo i funerali del presidente emerito. La ragione, spiegano le stesse fonti, è che sarebbero contenuti dettagli sulla cerimonia funebre che per discrezione non sono state divulgate oggi. In ogni caso la missiva, secondo fonti di governo, ricalcherebbe quella inviata al presidente del Senato Renato Schifani. I funerali. In una lettera consegnata al segretario del Senato, Cossiga ha dettato poi precise indicazioni sulle sue esequie. A quanto si apprende, il presidente emerito avrebbe espresso la volontà di non avere funerali di Stato, ma solo un picchetto d'onore dei bersaglieri della brigata Sassari. Cossiga avrebbe poi chiesto di essere seppellito nella sua città natale accando al padre e alla sorella. In un primo momento si era diffusa la notizia che i funerali si sarebbero svolti a Cheremule (Sassari), un piccolo paese del Meilogu in cui erano nati i genitori di Cossiga. Poi, in serata, fonti vicine alla famiglia hanno fatto sapere che, con molta probabilità, le esequie avranno luogo nella parrocchia di San Giuseppe a Sassari, dove l'ex capo dello Stato si recava per pregare quando giungeva nella città sarda. (Ce. Do.)

©RIPRODUZIONE RISERVATA

 

 

 

 

La lettera di Cossiga a Schifani: "Un onore grande servire la Repubblica"

Cronologia articolo17 agosto 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 17 agosto 2010 alle ore 19:04.

"È stato un grande onore servire la Repubblica": è questo il senso del messaggio che l'ex capo dello Stato Francesco Cossiga ha lasciato al presidente del Senato, Renato Schifani. "Onorevole Presidente del Senato della Repubblica, nel momento in cui il giudizio sulla mia vita è misurato da Dio Onnipotente sulle verità in cui ho creduto e che ho testimoniato e sulla giustizia e carità che ho praticato - scrive Cossiga - professo la mia fede religiosa nella Santa Chiesa Cattolica e confermo la mia fede civile nella Repubblica, comunità di liberi ed uguali e nella Nazione italiana che in essa ha realizzato la sua libertà e la sua unità".

L'amore per lo Stato.Nella lettera, resa nota poco fa, il presidente emerito Cossiga sottolinea poi che "fu un onore grande servire la Repubblica a cui sempre sono stato fedele; e sempre tenni per fermo onorare la Nazione ed amare la patria. Fu per me un privilegio altissimo: rappresentare il popolo sovrano nella Camera dei deputati prima, del Senato della Repubblica quale senatore elettivo, senatore di diritto e vita e presidente di esso; e privilegio altissimo fu altresì servire lo Stato nel governo della Repubblica quale membro di esso e poi presidente del Consiglio dei ministri ed infine nell'ufficio di presidente della Repubblica".

Le sue ultime volontà. Nella missiva inviata a Schifani Cossiga ricorda le disposizioni per le sue esequie. "Nel mio testamento, ho disposto che le mie esequie abbiano carattere del tutto privato - continua la lettera - con esclusione di ogni pubblica onoranza e senza la partecipazione di alcuna autorità. Per quanto attiene le onoranze che i costumi e gli usi riservano di solito ai membri ed ex presidenti del Senato, agli ex presidenti del Consiglio dei ministri ed agli ex presidenti della Repubblica, qualora ella ed il governo della Repubblica decidessero di darne luogo, è mia preghiera che ciò avvenga dopo le mie esequie, con le modalità, nei luoghi e nei tempi ritenuti opportuni".

Il saluto ai senatori. La missiva si conclude con il ringraziamento di Cossiga all'assemblea guidata da Schifani. "Voglia porgere ai valorosi ed illustri senatori il mio ultimo saluto - aggiunge ancora il presidente emerito della Repubblica - ed il mio augurio più fervido di ben servire la Nazione e di ben governare la Repubblica al servizio del popolo, unico sovrano del nostro Stato democratico. Che Iddio protegga l'Italia!". (Ce. Do.)

 

 

 

 

Domani a Sassari i funerali di Cossiga. Le ragioni della fedeltà impossibile al maestro Moro

di Miguel GotorCronologia articolo18 agosto 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 18 agosto 2010 alle ore 09:27.

L'ultima modifica è del 18 agosto 2010 alle ore 09:27.

ll presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga è morto al Policlinico Gemelli di Roma alle 13,18 di martedì 17 agosto. L'ex capo dello Stato era ricoverato in terapia intensiva dal 9 agosto per una insufficienza cardio-respiratoria. Le autorità hanno cominciato a rendergli omaggio questa mattina dalle 9,20, quando ha aperto (con quaranta minuti di anticipo) la camera ardente. Cossiga ha lasciato un testamento con le sue ultime volontà e quattro lettere indirizzate al presidente della Repubblica Napolitano, al presidente del Senato Schifani (già rese pubbliche; in uno dei passaggi si legge: "Fu per me un onore grande servire la Repubblica, a cui sempre sono stato fedele"), al presidente della Camera Fini e al premier Berlusconi. I funerali, in forma privata, come da volontà esplicita dell'ex presidente, saranno celebrati a Sassari domani, giovedì 19 agosto, alle 10,30 nella chiesa di San Giuseppe.

Il dramma di Cossiga, dentro il turbine della tragedia Moro, è racchiuso in una foto scattata in una giornata grigia che lo ritrae in ginocchio davanti alla cappella ove è seppellito l'uomo di governo democristiano: il volto deformato dai singhiozzi e segnato dal rimorso, la mano a coprire il viso in un gesto di estremo riserbo catturato dal fotografo; eppure il cancello è chiuso, la tomba irrimediabilmente inavvicinabile per tanti, ma soprattutto per lui.

È noto che quei 55 giorni lo marchiarono a fuoco sul piano fisico e psicologico: i capelli si imbiancarono di colpo, la pelle iniziò a riempirsi delle macchie della vitiligine. In quella primavera 1978 Cossiga aveva 50 anni che incominciarono a pesare di botto sulle sue spalle, insieme con le scelte compiute, le responsabili omissioni, le fiducie mal riposte, i ferali errori, il potere avuto e quello che ancora lo attendeva. Subito dopo la morte di Moro si dimise dalla carica di ministro dell'Interno e sembrò uscire definitivamente dalla scena pubblica.

I fatti dimostrarono che l'opportunità di quel passo indietro gli consentì di prendere le misure per una vertiginosa rincorsa, un salto triplo che lo avrebbe proiettato nel 1979 alla carica di presidente del Consiglio, nel 1983 alla guida del Senato e nel 1985 sullo scranno più alto, quello di presidente della Repubblica. Durante i 55 giorni interpretò la linea ufficiale della fermezza, ossia il rifiuto di ogni trattativa pubblica con le Brigate rosse, ma si servì del consiglio di pochi, fidati amici che agirono riservatamente: Vincenzo Cappelletti che organizzò il comitato di esperti vanamente impegnati a interpretare i messaggi di Moro; l'amico di infanzia Decimo Garau, l'ufficiale medico e gladiatore che avrebbe dovuto proteggere l'ostaggio con il suo corpo in caso di assalto al covo; il compagno di scuola Giuseppe Vitali, il colonnello dei carabinieri che tenne i contatti per conto dello Stato con la criminalità organizzata allo scopo di individuare la prigione.

Moro, nel memoriale dalla prigionia, ebbe solo per Cossiga parole di riguardo perché lo considerava una sorta di suo allievo politico, colui il quale, se non fosse stato rapito e avesse raggiunto la presidenza della Repubblica, avrebbe dovuto essere il presidente del Consiglio del primo gabinetto con i comunisti coinvolti direttamente in incarichi di governo, magari in ministeri non sensibili sul piano della sicurezza nazionale ed estera. Ma l'azione terrorista spazzò via chirurgicamente il demiurgo di quel progetto e insieme con lui la possibilità di realizzarlo. Il 29 marzo 1978 il prigioniero si rivolse proprio al "Caro Francesco" per scrivere la sua prima lettera, quella in cui chiedeva, contando sul fatto che rimanesse segreta, di aprire un canale di comunicazione riservato tra la "prigione del popolo" e l'esterno. Le Brigate rosse però resero pubblica la missiva e, in seguito si accertò, fecero credere al prigioniero che fosse stato Cossiga a volerlo.

Uno dei principali collaboratori di Moro, Corrado Guerzoni, nel 1995 ebbe parole perspicaci per descrivere il comportamento di Cossiga in quei giorni: "Ho molto rispetto per il senatore Cossiga che conosco fin da quando ero ragazzo. Credo che sia stato vittima di un'azione fermissima del presidente del Consiglio dell'epoca e che sia stato condizionato dalla realtà dei Servizi che si è trovato a gestire. Le sue dimissioni che non hanno alcun valore politico, ma umano, lo confermano". Lo stesso Cossiga, negli anni del trionfo, fu il più coraggioso e aspro critico della propria azione di governo nel corso di quella crisi: riconobbe l'autenticità delle lettere di Moro e la veridicità delle notizie superstiti nel memoriale e si scusò per quella spietata, ma inevitabile strategia di disinformazione che contribuì a mettere in atto durante il sequestro.

E nel 1991 - allora era il presidente della Repubblica a parlare - fu asciutto fino all'arsura nello spiegare all'intervistatore quanto era avvenuto in quella primavera: "Noi abbiamo lasciato uccidere Aldo Moro. Questo è un dato di fatto. Dirò di più: è stata una scelta che abbiamo preso allora, tutti insieme, in modo perfettamente consapevole. Io penso anche che quella fosse la scelta giusta. L'unica che lo Stato democratico potesse prendere. Ma ciò non toglie che noi scegliemmo la morte di Moro". E pochi anni dopo, davanti al magistrato: "Mi creda a me non mi importava niente della Dc, a me interessava lo Stato e interessava Moro".

È presto, prestissimo, per un giudizio storico su questa acuta, eminente e tragica figura della scena pubblica italiana, ma nell'atroce dilemma da lui stesso posto - da una parte le ragioni di una vita, dall'altra quelle dello Stato - vi è l'indicazione di una strada da intraprendere con serietà, equanimità e rigore per provare a comprendere quel tornante decisivo della storia repubblicana che ancora segna l'inconcludenza delle nostre stagioni. Nella sua ultima lettera ha chiesto funerali senza autorità dello Stato, scelta in cui riecheggia un'analoga richiesta epistolare di Moro, forse un atto di estrema quanto impossibile fedeltà al maestro tradito.

miguel.gotor@unito.it

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Cossiga democristiano d'Occidente

di Stefano FolliCronologia articolo18 agosto 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 agosto 2010 alle ore 09:26.

L'ultima modifica è del 18 agosto 2010 alle ore 09:27.

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Si dice che Henry Kissinger, dopo aver conosciuto Francesco Cossiga, commentasse stupito: "Non sembra proprio un democristiano". E voleva essere un gran complimento, perché è noto che Kissinger amava poco i politici italiani, soprattutto i democristiani.

In realtà il giudizio non era esatto, perché Cossiga fu a lungo un democratico-cristiano convinto. C'erano la profonda fede cattolica e la lunga militanza a confermarlo. Non avrebbe potuto essere niente di diverso negli anni della ricostruzione e della guerra fredda.

Tuttavia Cossiga era soprattutto un uomo dell'occidente, cosa che non si poteva dire di tutti i democristiani. E uomo dell'occidente voleva dire amico dell'America e di Israele, sostenitore delle democrazie liberali e del loro sistema di alleanze (la Nato), ammiratore degli statisti che hanno fatto la storia del Novecento (da Churchill a De Gaulle). Questo non basta a definire la complessità dell'uomo, i suoi paradossi e le sue contraddizioni, che furono grandi quasi quanto la sua coerenza di fondo. Spiega però le ragioni per cui gli Stati Uniti guardarono sempre a lui con amicizia, prima, e gratitudine, poi.

A Cossiga gli americani dovevano la decisione italiana di accogliere gli euromissili, all'inizio degli anni Ottanta, alla pari con la Germania di Helmut Schmidt. E dovevano, in tempi più recenti, l'operazione politica che schierò l'Italia in prima fila nella guerra dei Balcani, con D'Alema a Palazzo Chigi, sul finire degli anni Novanta.

Si tratta di un passaggio cruciale. Il presidente della Repubblica contro cui i post-comunisti del Pds, nel '91, avevano chiesto la messa in stato d'accusa per alto tradimento è lo stesso personaggio che qualche anno dopo, da autorevole notabile, determina l'ascesa alla presidenza del Consiglio, per la prima e finora unica volta, di un esponente di quel partito. Che subito si trova - ecco un altro paradosso della storia - a guidare il paese in un conflitto armato intrapreso dalla Nato.

È un esempio del gusto di Cossiga per la politica. O per meglio dire, della politica alta, quella in cui gli interessi non sono mai più forti delle idee e in cui ci sono da riannodare fili e aprire nuovi scenari. Sappiamo come Cossiga amasse svolgere questo ruolo, con il piacere tardivo di chi si scopre protagonista non senza una punta di esibizionismo. Sotto questo aspetto il cosiddetto "picconatore", l'uomo che da capo dello Stato si dedica con eccezionale asprezza a demolire il sistema politico, è una figura tragica e mai banale. Ha sofferto i drammi della storia repubblicana, ha vissuto e pagato di persona la tragedia di Aldo Moro, conosce i lati oscuri del potere, ne ha intravisto il volto demoniaco. Qualcuno dice che è il depositario dei "segreti di Stato", degli infiniti misteri veri o presunti che scandiscono la vicenda italiana.

Ma è proprio così? Certo, Cossiga conosce molte cose, ma soprattutto è un uomo delle istituzioni. Un uomo che vive con intensità la sua scelta liberale, la fiducia in un occidente che sa rinnovarsi proprio perché è fondato sulla libertà. Da presidente della Repubblica, anche quando si scaglia con violenza contro il suo ex partito, la Dc, e contro il Pci-Pds, Cossiga non si presenta mai come un adepto dell'anti-politica.

È vero il contrario: è un politico di formazione classica quello che vede i limiti della Prima Repubblica, all'indomani della caduta del muro di Berlino, e si sente mosso da una febbrile ansia di rinnovamento. L'ansia con cui spinge le forze politiche a modificare la Costituzione e lo fa, senza gran successo, con argomenti spesso troppo aspri, urticanti e offensivi. Ma la sua è sempre un'azione politica, del tutto onesta sul piano intellettuale e priva di cedimenti demagogici.

Ecco perché la figura del presidente "picconatore" rimane nonostante tutto assai più vicina ai personaggi del dopoguerra, la generazione dei Moro e dei Fanfani, e prima ancora dei La Malfa, dei Saragat, dei Malagodi, di quanto non sia prossima ai nuovi protagonisti della malcerta Seconda Repubblica. Sotto questo aspetto, quando il Pdl tenta di accreditare Cossiga come un precursore della fase che stiamo vivendo, commette un parziale abuso. Giustificabile, ma pur sempre abuso. In primo luogo perché Berlusconi è stato abile nel calvalcare l'onda dell'anti-politica, mentre il presidente emerito, come si è detto, era tutt'altro. E in secondo luogo perché Cossiga, se avesse potuto, avrebbe costruito una Seconda Repubblica fondata su istituzioni forti, rispettose della storia e delle forze politiche che ne sono state protagoniste.

S'intende, questo fallimento pesa nella biografia di un uomo che seppe destrutturare un sistema ingessato e statico, ma non fu altrettanto efficace come architetto di un nuovo modello. La Seconda Repubblica adombrata da Cossiga con accenti vagamente gollisti fu sempre uno schema intellettuale, non ebbe mai la possibilità di calarsi nella realtà. Mancavano gli uomini e le forze per compiere l'impresa e Cossiga stesso sopravvalutò se stesso o forse sottovalutò la complessità del caso italiano.

Comunque non seppe o non volle mettersi alla testa della seconda ricostruzione, dopo quella post-bellica. Forse in cuor suo sapeva che il suo compito si esauriva nella fase demolitrice. O forse pensava che non ne valesse la pena. Di fatto Cossiga ha trascorso gli ultimi anni indicando con estrema lucidità e crescente amarezza, da quel pessimista che era, gli errori e le incongruenze di una classe politica mediocre e sempre più modesta. Chiudendosi via via al mondo, nella solitudine che in fondo è stata sempre la sua caratteristica e la sua difesa. E oggi riceve l'omaggio unanime, anche stavolta un po' paradossale, di coloro che egli combattè e spesso sbeffeggiò.

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Occhetto, lo strappo mai ricucito su Gladio

Cronologia articolo18 agosto 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 agosto 2010 alle ore 08:04.

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ROMA

Consulta. Csm. Magistrati. Politici di ogni colore. Sono solo alcuni dei "bersagli" contro cui Cossiga si è scagliato negli ultimi 20 anni. Ma di tutte le esternazioni dell'ex capo dello stato ce n'è una che fa sentire ancora oggi i suoi effetti: lo "zombie con i baffi" rivolto nel '90 all'allora segretario del Pds Achille Occhetto.

Una controprova l'ha fornita ieri lo stesso ex esponente pidiessino. Pur rivelando che il presidente emerito della Repubblica nel corso degli anni si è pentito di quell'affermazione, Occhetto ha parlato di "luci e ombre" nella vita politica di Cossiga. Il quale, da un lato, "fu forse l'unico segretario della Dc che nell'89 capì che il mondo era cambiato" ma, dall'altro, si lasciò andare a un "uso disinvolto delle istituzioni".

Alla base dello scontro con Occhetto c'era la richiesta di impeachment per le frasi di Cossiga su Gladio, avanzata dal Pds e successivamente formalizzata da 29 parlamentari dell'opposizione. Di quel gruppo facevano parte Nando Dalla Chiesa e Luciano Violante, che venne definito dall'ex presidente emerito della Repubblica un "piccolo Vyshinskiy" (dal nome del vecchio procuratore dell'Urss staliniana, ndr). Diversi i toni con cui i due hanno accolto la notizia della morte: il primo, figlio del generale dei carabinieri Carlo Alberto ucciso dalla mafia, ha dichiarato di non poter "dimenticare le tante malevolenze che espresse su mio padre"; il secondo l'ha definito "un uomo che non manteneva rancori e quindi era possibile anche essersi scontrati e poi rimanere amici".

Critici gli accenti giunti dalla sinistra radicale. Anziché scrivere lettere, ha attaccato Paolo Cento (sinistra e libertà), era meglio se Cossiga avesse lasciato "una specie di memoriale postumo per aiutarci a comprendere che cosa accadde il 12 maggio 1977, quando fu assassinata Giorgiana Masi e le ragioni di un uso spregiudicato delle squadre speciali che caratterizzò quegli anni".

Diviso si è presentato invece il popolo della rete. Ad esempio su facebook, a pagine in cui ricompare Kossiga con il K e si invita a non versare "alcuna lacrima per il picconatore", ne sono seguite altre di cordoglio per la scomparsa dell'ex senatore a vita. Senza mezzi termini infine il giudizio del sito vicino all'area antagonista di Indymedia Toscana: "È morto ma sue leggi speciali contro i movimenti vanno sconfitte". © RIPRODUZIONE RISERVATA

Achille Occhetto Ex segretario Pds "Ha avuto luci e ombre: si è lasciato andare a un uso disinvolto delle istituzioni"

Paolo Cento Sinistra e libertà "Al posto delle lettere era meglio se avesse lasciato un memoriale su Giorgiana Masi"

 

 

 

Da Kossiga con la K a picconatore: vita del Dc più anomalo

Guido CompagnaCronologia articolo18 agosto 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 agosto 2010 alle ore 08:04.

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Quanti sono stati i Francesco Cossiga, protagonisti della prima e della seconda repubblica italiana? Certamente più di uno. Proviamo ad indicarli. C'è il giovane parlamentare che, da Sassari, approda appena trentenne alla Camera dei deputati e nel 1976 diventa più volte sottosegretario: prima alla riforma burocratica e poi alla Difesa.

Cossiga è in quota alla sinistra di base, ma è abbastanza atipico da non poterlo inserire né tra i lombardi di Marcora e Granelli, né tra i sanniti di De Mita. Ha ottimi rapporti con Aldo Moro ed è uomo di collegamento tra la sinistra Dc e i dorotei. Nel 1976 il futuro presidente della Repubblica approda al Viminale e, dal 1977, diventa Kossiga (con il K). È il primo bersaglio dei cortei e delle manifestazioni della nuova contestazione giovanile. Non quella dei sessantottini, ma quella della nascente autonomia, nella quale, a suo tempo, pescheranno (e tanto) le organizzazioni terroriste del tipo delle Brigate rosse e di Prima linea.

Da ministro dell'Interno Cossiga si trova nel 1978 a fronteggiare il dramma della prigionia prima e dell'assassinio poi di Aldo Moro. Ha contro la famiglia dello statista pugliese, la quale vorrebbe la trattativa. Pur travagliato nell'animo, Cossiga difende lo Stato e quindi sceglie e tiene la linea della fermezza, d'intesa con Zaccagnini e il gruppo dirigente della Dc ma anche con il Partito comunista del "cugino" Enrico Berlinguer e soprattutto di Ugo Pecchioli. Ma le cose vanno male: le Br tengono in scacco lo Stato e le indagini prendono sul serio la falsa pista del lago della duchessa ma non riescono ad arrivare per tempo in via Gradoli. Cossiga e il suo governo non trovano neanche un'adeguata e risolutiva collaborazione dai governi alleati. Moro muore assassinato e poco dopo il ministro dell'Interno si dimette. Si comincia anche a dire che Cossiga è uscito a pezzi dalla vicenda. Prende tante pillole. Non sono in molti a pensare che abbia ancora un futuro politico. Invece...

Siamo ai primi di agosto del 1979. Filippo Maria Pandolfi non riesce a formare il governo. Sandro Pertini affida l'incarico a Cossiga, che fa il governo e ottiene la fiducia delle Camere a ridosso di ferragosto. Di governi Cossiga ne farà addirittura due, succedendo a se stesso ma anche a Palazzo Chigi cade anche qualche tegola. C'è il caso Donat-Cattin. Il presidente del Consiglio viene messo in stato d'accusa per aver avvisato Carlo Donat-Cattin che il figlio Marco, latitante e coinvolto in un'azione omicida di Prima Linea, stava per essere arrestato. Il Parlamento archivierà le accuse. Nell'ottobre del 1980 però cade anche il suo secondo governo. Passano tre anni e Cossiga è di nuovo in pista: succede a Tommaso Morlino alla presidenza del Senato. Nel 1985, alla prima votazione, un Parlamento pressoché unanime lo elegge presidente della Repubblica. I primi mesi del suo settennato sono nel segno della prudenza. Quasi un ritorno allo stile Leone dopo l'effervescente attivismo della presidenza Pertini. Alberto Sensini, uno dei più attenti osservatori politici del tempo, scrive un libro: Cossiga, il gusto della discrezione. Poi cambia tutto: il capo dello Stato intuisce l'irreversibile crisi della prima Repubblica. Arriva il Cossiga "picconatore". Ce l'ha con tutti. Non risparmia nessuno. Se la prende con Paolo Cirino Pomicino, ma anche con Stefano Rodotà. Con il Csm (di cui è presidente) è scontro aperto ai limiti di una rissa istituzionale. Il presidente della Repubblica ha capito prima di altri che la magistratura si prepara a invadere il campo di una politica sempre più debilitata. Tangentopoli confermerà questa sua intuizione. Ma Cossiga, provocando ulteriori polemiche, difende anche la "Gladio" e definisce i gladiatori come "patrioti". Nell'aprile del 1992, poco prima della scadenza del suo mandato, per evitare un ingorgo istituzionale alla vigilia delle elezioni politiche, il presidente della Repubblica si dimette.

Cossiga, per un po', resta defilato. Fa il senatore a vita, si occupa di politica internazionale mantenendo una posizione di stretta ortodossia atlantica. A Berlusconi che nel frattempo è sceso in campo si rivolge indicandolo come "il patriota Silvio". Non nasconde una certa antipatia per Prodi, che considera un soggetto abbastanza estraneo alla politica. Ha invece attenzione e simpatia per Massimo D'Alema e favorirà la formazione del suo governo. Dopo la caduta del governo D'Alema Cossiga comincia a sentirsi sempre più estraneo al quadro politico. Lui stesso si considera un "sopravvissuto". Magari dei tempi nei quali la politica era la politica e apparteneva ai politici. Qualche picconata riprende a darla. Contro i magistrati che invadono la sfera politica, contro il centro-sinistra che non ha saputo raccogliere neanche l'eredità del Pci, contro un centro-destra che più che governare cavalca l'anti-politica. Poi, da qualche mese, un silenzio assoluto.

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