S. Messa
Quotidiana Registrata a Cristo Re Martina F. Pubblicata anche su YOUTUBE http://www.youtube.com/user/dalessandrogiacomo Vedi e Ascolta :Agosto 2011
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"Libro dei Miei Pensieri"html PDFIl mio commento sull'argomento di Oggi è :
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Per. Ind. Giacomo Dalessandro
2011-03-19
ITALIA Autovelox truccati, scoperta truffa da 11 milioni di euro
Un giro d'affari milionario sfruttando autovelox non a norma, una truffa colossale che ha interessato tutta Italia, sfociata nella denuncia di 558 persone, di cui 367 dipendenti comunali o funzionari pubblici
compiacenti, ora nei guai per truffa aggravata, turbativa d'asta e corruzione. È quanto ha scoperto la Guardia di Finanza di Brescia (tenenza di Desenzano) in cinque anni di indagini. A tirare le fila di un sistema capillare e articolato che ha coinvolto mille comuni italiani - 146 quelli in cui sono state riscontrate anomalie - è un sessantenne di Desenzano del Garda, Diego Barosi.
Martina F. 19 marzo 2011
Siamo nel terzo millennio, quello del " in tempo reale", però di ciò ne approfittano i Comuni Mafiosi, quelli in cui i Rappresentanti Eletti sono lì solo per fare il loro interesse e non quello dei Cittadini.
Ecco allora che per far cassa in modo distorto, con Biego Federalismo, si inventano un uso distorto degli Autovelox, percependo illeciti introiti con mezzi truffaldini.
Gli Autovelox dovrebbero servire per salvare vite umane e colpire i disonesti !
Come ?
Gli Autovelox andrebbero installati in tutti i luoghi pericolosi dove avvengono più di un incidente mortale o con gravi danni materiali, messi lì per salvare la vita ai cittadini.
Nella Era del " in Tempo Reale" appena accadono gli incidenti, andrebbero immediatamente catalogati, estrapolati per tipologia e cause, ed inseriti in un mappa virtule nazionale accessibile agli utenti a mezzo web e tabelloni luminosi, per avvertire gli utenti, renderli edotti delle cause, delle imprudenze, e per educarli alla prudenza preventiva in quei luoghi ed in altri simili per tipologia od occasionalità.
In questo modo gli Autovelox salvano la Vita delle inconsapevoli vittime e dei potenziali criminali, la morte non li sottrae al loro dovere di sostegno dei loro cari congiunti, madri, padri, mogli, figli, ed infine tutti ne avremmo un ritorno economico notevole per minori sinistri, danni, invalidità, riduzione dei premi delle polizze.
Per. Ind. Giacomo Dalessandro
PER LA RASSEGNA STAMPA precedente dal 2010-10-17 al 2011-05-13 clicca su: Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-10-17 ad oggi 2011-05-13 HTML PDF |
Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2011-06-15 ad oggi 2011-08-02 |
AVVENIRE per l'articolo completo vai al sito internet http://www.avvenire.it2011-08-02 2 agosto 2011 APPALTI G8 Verdini, no della Camera all'uso delle intercettazioni L'Aula della Camera ha accolto a maggioranza la proposta della Giunta di negare l'uso delle intercettazioni che riguardano, nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti G8, il deputato e coordinatore del Pdl, Denis Verdini. La decisione di negare ai magistrati l'uso delle intercettazioni è stata presa con 301 sì, 278 no e tre astenuti.
2011-07-29 29 luglio 2011 POLITICA E GIUSTIZIA Processo lungo al Senato il governo incassa la fiducia ll governo ha incassato al Senato la fiducia sul processo lungo con 160 sì, 139 no. Il provvedimentotorna all' esame della Camera. Il voto è stato preceduto da passaggi molto duri nelle dichiarazioni dell'opposizione. "Il corpo della politica è invasa dalle metastasi per colpa vostra, siete causa dell'antipolitica - ha detto il senatore dell'Idv Luigi Li Gotti - Affondate nella sfiducia del popolo italiano, sarete ricordati come la pagina più buia della Repubblica". La capogruppo Anna Finocchiaro si è rivolta così ai colleghi della maggioranza: "Sarebbe il tempo dei liberi e forti e non dubito che molti di voi sarebbero in grado di esserlo e di esprimere la loro natura di liberi e forti e di dare oggi all'Italia la prova che questo governo è capace di badare adaltro che a un premier braccato che si chiude nelle sue stanze". Secca la replica di Maurizio Gasparri, presidente dei senatori Pdl, che ha fatto riferimento alla vicenda che vede coinvolto Filippo Penati. "Non accettiamo lezioni di moralità da chi non ha titolo per impartirne. Se un regime c'è lo si vada a cercare a Sesto San Giovanni dove di padre in figlio i sindaci alimentano un sistema di illegalità che riguarda la vostra storia". Secondo il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Michele Vietti, il provvedimento va "nella direzione opposta rispetto all'Europa". "Il Csm - ha aggiunto Vietti, parlando con i giornalisti stamani a Torino - ha presentato una risoluzione con le proprie valutazione su tali provvedimenti, che sono molto critiche. Abbiamo valutato di non votarlo su richiesta di alcuni componenti laici per consentire un miglior approfondimento; prendiamo atto che il Governo non ha voluto fare lo stesso". LE POLEMICHE DI GIOVEDI' Sul "processo lungo" il governo pone la fiducia numero quarantotto. E al Senato, come evoca il numero, scoppia la rivolta. I due schieramenti si rinfacciano le colpe. Così svanisce quel clima di concordia registrato due settimane fa per la manovra e chiesto anche in questa occasione dal presidente di Palazzo Madama Renato Schifani. Tutto accade proprio nella mattinata in cui la più alta carica dello Stato, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, torna a sottolineare che "la politica è debole e irrimediabilmente divisa, incapace di scelte coraggiose, coerenti e condivise". Il Colle chiede uno "scatto", una svolta, "non foss’altro per istinto di sopravvivenza nazionale". Infine, il capo dello Stato, denunciando il "punto critico insostenibile" a cui è giunta la questione giustizia (e carceri), punta il dito sui "conflitti fatali tra politica e magistratura". Intanto alla fine di una mattinata concitata la conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama fissa il voto per stamane alle 10. Mentre montano le reazioni alla decisione dell’esecutivo crescono. Nelle quali viene chiamato in causa il neoministro della Giustizia Francesco Nitto Palma, accusato da Pd e Idv di aver esordito male con questa fiducia. La capogruppo dei democratici Anna Finocchiaro gli chiede di andare subito in Parlamento a spiegarne i motivi. Anche nella maggioranza in verità qualche mal di pancia si registra. Tanto che il leader della Lega Umberto Bossi ammette: "Meno fiducie si mettono meglio è". Ma ormai è fatta. All’annuncio della fiducia, dato in aula del ministro per i rapporti con il Parlamento Elio Vito, gli argini si rompono. Il vicepresidente del gruppo Pd Luigi Zanda grida al "regime". Il governo "abusa degli strumenti legali per istituzionalizzare una prassi di fatto antidemocratica", rincara la dose la presidente del partito Rosy Bindi. Tutta colpa dell’ostruzionismo delle opposizioni, sostengono i vertici del Pdl al Senato. Atteggiamento che è pure "tardivo", visto che il ddl era parcheggiato da mesi e nei giorni scorsi la Conferenza dei capigruppo aveva deciso all’unanimità di calendarizzarlo per l’aula prima della pausa estiva. Il vice del gruppo Gaetano Quagliariello rimanda, poi, al mittente l’accusa formulata da Zanda, perché a furia di gridare al lupo, "quando il regime dell’antipolitica arriva veramente si rischia di non accorgersene". Caustico anche il capogruppo del Carroccio Federico Bricolo: "Se porre la fiducia vuol dire regime, cosa dovremmo dire noi sul fatto che voi al governo la mettevate ogni giorno?". Insomma, a motivare l’atto dell’esecutivo sono state le barricate alzate dalle opposizioni, che mercoledì aveva presentato ben 11 pregiudiziali di costituzionalità contro un provvedimento definito "ad personam". Schieramento che ieri non ha digerito la controffensiva. Durissimo il commento del capogruppo dell’Udc Gianpiero D’Alia che parla di "calcio dell’asino" dato al Parlamento da un governo che "dovrebbe dimettersi". Saranno i "delinquenti" a ringraziare per questo provvedimento che "mette a soqquadro il sistema giudiziario italiano", mette agli atti Felice Belisario, presidente dei senatori dell’Idv. Anche i finiani partono all’assalto. Con la presidente della Commissione Giustizia della Camera Giulia Bongiorno, per la quale processo breve e lungo vanno combattuti, perché "inaccettabili" e "ancora una volta ad personam". Gianni Santamaria
2011-07-28 28 luglio 2011 RIFORMA DELLA GIUSTIZIA Fiducia sul "processo lungo" È scontro al Senato Il governo ha posto la fiducia al ddl cosiddetto "allunga processi" in discussione nell'Aula del Senato. È stato il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Elio Vito, ad annunciare che il governo ha posto la fiducia sul disegno di legge. La seduta dell'Aula di Palazzo Madama è stata subito sospesa per consentire la riunione della conferenza dei capigruppo. E tra opposizione e maggioranza si è subito aperto lo scontro.
28 luglio 2011 DIGITALE TERRESTRE Ue conferma: "Mediaset deve rimborsare aiuti per decoder" La Corte ha dunque confermato che i contributi italiani per l'acquisto dei decoder digitali terrestri nel 2004 e 2005 "costituiscono aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune. Le emittenti radiotelevisive che hanno beneficiato indirettamente degli aiuti di Stato sono tenute a rimborsare le somme corrispondenti ai vantaggi in tal modo ottenuti". Con la legge finanziaria del 2004 - si ricorda nel dispositivo - l'Italia ha concesso un contributo pubblico di 150 euro ad ogni utente del servizio di radiodiffusione che acquistasse o noleggiasse un apparecchio per la ricezione, in chiaro, dei segnali televisivi digitali terrestri. Il limite di spesa del contributo è stato fissato a 110 milioni. La legge finanziaria del 2005 ha reiterato tale provvedimento nello stesso limite di spesa di 110 milioni, riducendo tuttavia il contributo per ogni singolo decoder digitale a 70 euro. Il consumatore che avesse però scelto un apparecchio che consentisse esclusivamente la ricezione di segnali satellitari non poteva ottenere il contributo: contro i contributi le emittenti televisive Centro Europa 7 e Sky Italia hanno inoltrato esposti alla Commissione. Con la decisione del 2007, Bruxelles osservava, in effetti, che detti contributi costituivano aiuti di Stato a favore delle emittenti digitali terrestri che offrivano servizi televisivi a pagamento nonchè degli operatori via cavo fornitori di servizi televisivi digitali a pagamento, ordinando il recupero degli aiuti. Mediaset ha allora presentato un ricorso, ma nel giugno del 2001, il Tribunale lo ha respinto, confermando che il contributo costituiva un vantaggio economico a favore delle emittenti terrestri. Oggi anche la successiva impugnazione di Mediaset è stata respinta. Ora "spetterà al giudice nazionale fissare l'importo dell'aiuto da recuperare sulla base delle indicazioni delle modalità di calcolo fornite dalla Commissione".
2011-07-21 20 luglio 2011 LA DECISIONE La Camera ha detto sì all'arresto di Alfonso Papa La Camera ha detto sì all'arresto dell'onorevole del Pdl Alfonso Papa, avanzata dai magistrati che indagano sulla vicenda P4: 319 i sì, 293 i contrari. Il voto è stato a scrutinio segreto, come richiesto da trenta deputati. Papa, intervenendo in un dibattito ad alta tensione, si era detto innocente e del tutto estraneo alle accuse. La Lega ha chiesto di dire sì all'arresto, lasciando però libertà di voto ai propri deputati. Lasciando l'Aula, il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha commentato: "Siamo stati coerenti". Duro il giudizio del capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto: "È stato un voto liberticida, la maggioranza alla Camera si è assunta una grande responsabilità". Chiaro il riferimento alla diversità di vedute sulla questione tra il Pdl e il Carroccio. Quasi contemporaneamente, il Senato ha respinto la richiesta degli arresti domiciliari per Alberto Tedesco (ex Pd, ora iscritto al Gruppo misto) con 151 no e 127 sì. Tedesco è indagato nell'ambito dell'inchiesta sulla sanità pugliese. Poco dopo si è scatenato il parapiglia con spintoni, urla e insulti. Uscendo dall'Aula ci sono stati spintoni tra Domenico Gramazio (Pdl) e il senatore del Pd Paolo Giaretta, sui voti in più che ha registrato il no all'arresto. Giovanni Grasso
20 luglio 2011 TENSIONI NELLA MAGGIORANZA Decreto rifiuti, Governo battuto alla Camera La Camera ha dato il via libera al rinvio del decreto legge sui rifiuti in commissione. In precedenza, con i voti della sola opposizione era passata una parte di una mozione dell'Idv, su cui il ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo si è astenuta contrariamente ai deputati di maggioranza e tutti i ministri. Prestigiacomo si è poi astenuta mentre tutti i membri del governo in aula votavano no. Il testo dell'Idv, su cui comunque il ministro aveva espresso parere favorevole, è passato con 287 no, 296 sì e sei astenuti. Dai banchi di opposizione si è ripetutamente urlato: "Dimissioni, dimissioni". Alla fine il governo è risultato battuto per 296 voti a favore e 287 contrari (sei astenuti) e la mozione dell'Idv è passata. La scena si è ripetuta sulle altre mozioni: anche quando il ministro Prestigiacomo ha reso parere favorevole, maggioranza e membri del governo hanno votato contro. Il Pdl ha ritirato lapropria mozione. In aula è un continuo di conciliaboli tra membri di maggioranza e membri del governo.
20 luglio 2011 INCHIESTA Caso Papa, resta l’incognita Lega Per la richiesta di arresto del deputato del Pdl Alfonso Papa si prevede un finale degno di un film giallo. Questo pomeriggio alle 16 l’aula di Montecitorio dovrà infatti votare se decidere a favore della custodia cautelare per il magistrato napoletano rimasto invischiato nella inchiesta sulla cosiddetta 'P4'. Gli schieramenti sulla carta sembrerebbero favorevoli alla richiesta dei giudici di Napoli. Con la Lega che, dopo ordini e contrordini, si è ieri assestata su una soluzione 'salomonica'. Ovvero il gruppo si pronuncerà ufficialmente per l’arresto di Papa, ma contemporaneamente lascerà libertà di coscienza. Il segretario del Pdl ha fatto sapere che voterà contro: "Sì al partito degli onesti – ha sintetizzato – no alle manette". Ad aumentare la tensione sull’esito finale sarà la richiesta del voto segreto, sul quale da tempo sembra contare sia Papa, sia il Pdl, sia anche la Lega. Le votazioni alla Camera sono sempre palesi, recita il regolamento, a meno che non si tratti di votazioni sulle persone. In questo caso deve essere richiesto alla presidenza esplicitamente, con l’appoggio di 30 deputati. Il Carroccio ha annunciato che non intende ricorrere allo scrutinio segreto, ma con ogni probabilità sarà il gruppo dei 'responsabili' a fare il primo passo. Domenico Scilipoti già si è detto disponibile. E certo, in questo caso, non sarebbe affatto difficile trovare i trenta deputati necessari. Nel segreto dell’urna, potrebbe uscire di tutto. Il Pd è sembrato molto preoccupato da questa evenienza. Anche perché teme che, se Papa verrà 'salvato' contestualmente al pd Tedesco su cui si vota in Senato, l’opinione pubblica griderebbe alla 'combine'. Ed è esattamente quello che il segretario Pierluigi Bersani sta cercando di evitare, convinto strenuamente della necessità di dividere i comportamenti del suo partito da quelli che vengono comunemente indicati come i privilegi della Casta. Il presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere, Pierluigi Castagnetti (Pd), ha provato con una soluzione alternativa: ovvero quella di invitare Papa alle dimissioni spontanee. Un appello ribadito, con motivi opposti, cioè per risparmiare al centrodestra una possibile sconfitta parlamentare, dal leader della Destra Francesco Storace. Il voto segreto finirebbe insomma per provocare polemiche senza fine. Nei corridoi di Montecitorio si spargono notizie mischiate a veleni, difficili da separare. Come quelle che vedrebbero una piccola parte del Pd propensa a votare contro, per bloccare le ingerenze dei magistrati o comunque per garantismo, visto che Papa (si dice) non ha più la possibilità di inquinare le prove e certo non fuggirà all’estero. Allo stesso modo si parla di un drappello di ex An del Pdl pronti a votare a favore per dare un segnale forte a Berlusconi e ad Alfano. Mentre nella Lega si scontrebbero i filo-Maroni (favorevoli all’arresto) e i lealisti ultra bossiani. Giovanni Grasso
20 luglio 2011 MILANO Corruzione, Filippo Penati indagato per l'area Falk di Sesto San Giovanni Il vicepresidente del Consiglio regionale della Lombardia, Filippo Penati (Pd), e altre persone, sono indagati a vario titolo per concussione, corruzione e illecito finanziamento ai partiti nell'ambito di un'inchiesta della Procura di Monza sull'area Falk di Sesto San Giovanni. La Gdf sta effettuando 7 perquisizioni negli uffici del Consiglio regionale della Lombardia e in società e abitazioni di Milano e Sesto San Giovanni. L'inchiesta -- coordinata dai pm Walter Mapelli e Franca Macchia -- è nata con l'invio a Monza di parte della documentazione, per competenza territoriale, dell'indagine della procura di Milano sulla mancata bonifica dell'area di Santa Giulia e le presunte irregolarità fiscali della società Risanamento. Una nota della Gdf spiega che in queste ore sono in corso diverse perquisizioni in abitazioni private, sedi di società ed alcuni uffici del Comune di Sesto San Giovanni. "Secondo l'ipotesi accusatoria -- si legge nel comunicato -- sarebbero state corrisposte, o promesse, somme di denaro per agevolare il rilascio di alcune concessioni o per impostare secondo determinati criteri il Piano di governo del territorio".
20 luglio 2011 MILANO San Raffaele, si lavora per evitare il fallimento Mentre il nuovo management lavora al salvataggio dell’Ospedale San Raffaele, l’inchiesta sulla morte di Mario Cal procede spedita. Questa mattina, a Milano, sarà eseguita l’autopsia dell’ex vicepresidente della Fondazione San Raffaele che si è tolto la vita lunedì sparandosi un colpo di pistola alla testa. La dinamica dell’episodio appare chiara, tuttavia il sostituto procuratore della Repubblica, Maurizio Ascione, ha aperto un’indagine per istigazione al suicidio a carico di ignoti. Un "atto dovuto". Già poche ore dopo il decesso, il pm ha ascoltato i testimoni intervenuti a prestare i primi aiuti a Cal. Tra questi anche il responsabile della sicurezza dell’Ospedale San Raffaele che, per facilitare i soccorsi, ha spostato la pistola infilandola poi in un sacchetto. Ascione non esclude di ascoltare anche i vertici del gruppo - compreso lo stesso fondatore, il 91enne don Luigi Verzè provato dalla morte del suo alter ego - , per ricostruire i motivi di preoccupazione che hanno indotto Cal a spararsi.
Motivi che sarebbero in larga parte riconducibili alla grave situazione debitoria dell’istituto che, però, secondo fonti della procura, non giustificherebbero il suicidio. Cal si sarebbe anche sentito "assediato mediaticamente" e avrebbe meditato a lungo di togliersi la vita. Il magistrato inquirente sta anche analizzando le due lettere lasciate dal dirigente alla moglie e alla segretaria; brevi scritti in cui avrebbe chiesto perdono. Inoltre, il nipote di Cal avrebbe dichiarato al pm che tre giorni fa lo zio si sarebbe informato circa la capacità della Smith & Wesson calibro 38, che Mario Cal deteneva legalmente, di ammazzare una persona. "Non mi ero reso conto delle sue intenzioni", avrebbe spiegato il nipote. Intanto, i riflettori restano puntati sulla situazione contabile della Fondazione. In seguito al suicidio di Cal i pm Luigi Orsi e Laura Pedio hanno acquisito fascicoli e documentazione appartenuta all’ex numero due. I debiti, stimati in oltre 900 milioni di euro, in parte dovrebbero essere ripianati dal nuovo gruppo dirigente. I termini dell’intervento finanziario della nuova compagine, però, non sono stati ancora comunicati ufficialmente nonostante l’avvenuto insediamento nel consiglio di amministrazione. Perciò al vaglio della Procura di Milano c’è l’ipotesi di avanzare un’istanza di fallimento. A questa decisione i magistrati arriverebbero qualora non si giungesse, in tempi strettissimi, a presentare un piano di ristrutturazione e rilancio. Venerdì è prevista la riunione del cda dell’istituto che pochi giorni fa ha visto il passaggio di consegne al management voluto dalla Santa Sede. Mentre lunedì prossimo l’azienda incontrerà i sindacati, "preoccupati " dalle vicende finanziarie della holding sanitaria. Il cda uscente avrebbe dovuto presentare entro ieri al tribunale fallimentare la domanda di concordato, così da evitare l’avvio delle procedure di fallimento. Il cambio dei vertici offre però alla Fondazione ancora qualche giorno di respiro prima di correre in tribunale a fermare il conto alla rovescia. Vito Salinaro e Nello Scavo
2011-07-15 15 luglio 2011 IL CASO P4, la giunta dice sì all'arresto di Papa Bossi duro: "In galera" La Giunta per le Autorizzazioni della Camera ha detto sì all'arresto del deputato del Pdl Alfonso Papa, indagato nella vicenda P4. Ora la palla passa all'Aula, che si esprimerà mercoledì. Intanto Papa ha deciso di autosospendersi dal gruppo Pdl della Camera. E lo ha fatto con una lettera inviata al presidente dei deputati berlusconiani Fabrizio Cicchitto. Alla votazione hanno preso parte Pd, Idv, Fli e Udc. Il Pdl ha lasciato l'Aula della Giunta e la Lega si è astenuta "per ragioni procedurali". Giovedì sera Bossi aveva detto che sarebbe stato meglio votare a favore. La proposta di arrestare Alfonso Papa è passata in Giunta con 10 sì e 3 astenuti. A favore della richiesta del gip di Napoli di arrestare il deputato del Pdl, oltre ai membri dell'opposizione, si è espresso anche il presidente della Giunta Pierluigi Castagnetti. "È stata una pagina nera della democrazia parlamentare - commenta l'ex relatore Francesco Paolo Sisto (Pdl) - è stato violato l'art.18 del regolamento. Io ho formulato una documentata e regolare proposta per dire che non si sarebbe potuto concludere il lavoro in giunta, ma sarebbe stato meglio demandare all'Aula la soluzione della vicenda, a causa della nuova documentazione di 15mila pagine depositata due giorni fa da Papa". Non la pensa così invece il centrista Pierluigi Mantini che parla direttamente di "sabotaggio indecente" da parte della maggioranza. "La Lega oggi - interviene Donatella Ferranti (Pd) - ha di fatto smentito il proprio leader Umberto Bossi. E si è trincerata dietro una astensione motivata da cavilli procedurali, per non uscire allo scoperto". In serata proprio Bossi è tornato sull'argomento. Ai cronisti che gli chiedevano di Alfonso Papa ha risposto con un lapidario "In galera".
2011-07-14 14 luglio 2011 ROMA P4, arresto di Papa in Giunta un altro rinvio Colpo di scena in Giunta per le autorizzazioni della Camera: il relatore Sisto, del Pdl, ha ritirato la proposta di votare contro l'arresto di Alfonso Papa. L'esame slitta a domani. Contraria l'opposizione. La marcia indietro del relatore serve ad evitare una spaccatura della Lega, divisa tra favorevoli e contrari all'arresto. La giunta non presenterà così un parere all'Aula, che deciderà il 20 luglio a scrutinio segreto. Colpo di scena in Giunta per le autorizzazioni della Camera: il relatore Francesco Paolo Sisto ha ritirato la sua proposta di votare contro la richiesta di autorizzazione all'arresto trasmessa dal Gip di Napoli contro Alfonso Papa. La Giunta adesso si è aggiornata per domani alle 12. Non c'é stato dunque nessun voto sul caso del parlamentare coinvolto nell'inchiesta P4. ''Domani in Giunta si votera' comunque perche' verra' messa ai voti una proposta. Chi la presentera'? Potra' farlo chiunque, anche l'opposizione''. Il presidente della Giunta per le Autorizzazioni Pierluigi Castagnetti risponde cosi' a chi gli chiede cosa succedera' nella seduta di domani. ''Non esiste che si decida di non decidere'', precisa Castagnetti. E il riferimento e' alla decisione del relatore Francesco Paolo Sisto di ritirare oggi la proposta presentata nei giorni scorsi di dire 'no' all'arresto di Alfonso Papa. Proposta che si sarebbe dovuta votare prima in Giunta e poi in Aula. ''La maggioranza ritira la proposta del relatore sul caso Papa? Ebbene, ne stiamo per depositare noi una che chiederemo di mettere ai voti domani in Giunta''. Il leader dell'Idv Antonio Di Pietro prende l'iniziativa in Giunta per le Autorizzazioni alla Camera per ''bypassare'' l'atteggiamento ''furbesco e pilatesco'' del Pdl e della Lega che sul caso di Alfonso Papa vorrebbero votare solo in Aula e con il voto segreto. ''Cosi' - aggiunge Di Pietro - presenteremo noi una proposta da mettere domani ai voti in Giunta, nella quale ovviamente diremo 'si' all'arresto di Papa. E ci diciamo sin da ora disponibili a fare noi da relatore al posto di Francesco Paolo Sisto''. "Denunciamo l'atteggiamento truffaldino del Pdl e l'atteggiamento pilatesco della Lega che vuole tirare in lungo per non votare in Giunta e far sapere che loro non hanno il coraggio di consegnare Papa alla magistratura". Così il leader dell'Idv, dopo lo stallo di questa mattina in Giunta per le autorizzazioni sul caso Papa, sottolineando che "ancora una volta questa maggioranza vuole fare del Parlamento il luogo dell'impunità". Pdl e Lega, aggiunge Di Pietro, "sperano così che nel segreto del voto in Aula ognuno poi potrà dire che non è colpa sua se Papa sarà salvato". L'Idv, conclude l'ex pm, "é per mandare Papa, Milanese, e tutti coloro che hanno a che fare con la giustizia, davanti al loro giudice naturale".
13 luglio 2011+ PALERMO Mafia, chiesto processo per il ministro Romano La Procura di Palermo ha depositato questa mattina la richiesta di rinvio a giudizio del ministro per l'agricoltura Saverio Romano, imputato formalmente da oggi di concorso in associazione mafiosa. L'atto, firmato dal Pm Nino Di Matteo e dall'aggiunto Ignazio De Francisci, segue di quattro giorni la decisione del Gip di Palermo di rigettare l'istanza di archiviazione inizialmente presentata dalla Procura e di imporre ai magistrati inquirenti l'imputazione. Ora il Gup dovrà fissare entro due giorni l'udienza preliminare, ma il termine è solo ordinatorio.
2011-07-09 9 luglio 2011 MILANO Lodo Mondadori, Fininvest dovrà pagare 560 milioni alla Cir La Fininvest dovrà pagare. I giudici della Corte d'Appello di Milano hanno condannato la holding del Biscione a risarcire Cir per la vicenda del Lodo Mondadori per 540 milioni circa di euro alla data della sentenza di primo grado dell'ottobre 2009, più gli interessi e le spese decorsi da quel giorno. La cifra quindi arriverebbe intorno ai 560 milioni di euro. Immediate le reazioni. La Cir ha espresso "soddisfazione", sottolineando come le sia stato riconosciuto il diritto "a un congruo risarcimento" per un "danno, enorme già in origine" e che si è poi "notevolmente incrementato" col passare del tempo. Secondo la Cir la sentenza "riguarda una storia imprenditoriale ed è completamente estraneo all'attualità politica", e "conferma ancora una volta che nel 1991 la Mondadori fu sottratta alla Cir mediante la corruzione del giudice Vittorio Metta, organizzata per conto e nell'interesse di Fininvest". Durissima Marina Berlusconi, figlia del premier e presidente Fininvest: "Neppure un euro è dovuto da parte nostra, siamo di fronte ad un esproprio che non trova alcun fondamento nella realtà dei fatti nè nelle regole del diritto". "È una sentenza che sgomenta e lascia senza parole - ha continuato - La Fininvest, che ha sempre operato nella più assoluta correttezza, viene colpita in modo inaudito, strumentale e totalmente ingiusto". Secondo Marina Berlusconi "è una sentenza che rappresenta l'ennesimo scandaloso episodio di una forsennata aggressione che viene portata avanti da anni contro mio padre, con tutti i mezzi e su tutti i fronti, compreso quello imprenditoriale ed economico". Infine, ha annunciato che "anche di fronte ad un quadro così paradossale e inquietante, non ci lasciamo però intimorire. Già in queste ore i nostri legali cominceranno a studiare il ricorso in Cassazione. Siamo certi di essere assolutamente nel giusto, dobbiamo credere che le nostre ragioni verranno alla fine riconosciute". LA CAUSA La causa non è altro che la conseguenza, in sede civile, di un processo penale finito nel 2007 con le condanne definitive, per corruzione in atti giudiziari, del giudice Vittorio Metta e degli avvocati Cesare Previti, Giovanni Acampora e Attilio Pacifico. La Cassazione aveva confermato che la sentenza del 1991 della Corte d'Appello di Roma sfavorevole a Carlo De Benedetti nello scontro con Silvio Berlusconi per assicurarsi il controllo della casa editrice fu 'comprata' corrompendo il giudice Metta con almeno 400 milioni di lire provenienti dai conti esteri di Fininvest. Il premier venne prosciolto per prescrizione in modo irrevocabile nel novembre 2001. Avviato nell'aprile 2004 il procedimento civile il 3 ottobre 2009 ha visto la sentenza di primo grado che stabiliza che la holding di De Benedetti "ha diritto" al risarcimento da parte di Fininvest "del danno patrimoniale da perdita di 'chance'" per "un giudizio imparziale". Risarcimento che aveva quantificato in 749.995.611,93 euro a cui si aggiungono gli interessi legali, le spese del giudizio e, tra l'altro, due milioni di euro per gli onorari.
2011-04-05 4 luglio 2011 LE MISURE DEL GOVERNO La manovra lievita a 49 miliardi dietrofront sul lodo Mondadori Silvio Berlusconi ha annunciato il ritiro dalla manovra della discussa norma cosiddetta 'salva-Fininvest', che secondo l'opposizione sarebbe stata utilizzabile per congelare il maxi risarcimento di 750 milioni dovuto alla Cir di De Benedetti in caso di conferma della sentenza di primo grado. La discussa norma aveva provocato anche i "malumori" della Lega, che si era detta sorpresa per l'inserimento della stessa nel decreto inviato al Colle. Critico anche il parere del vicepresidente del Csm Michele Vietti, secondo cui la norma avrebbe potuto "violare il principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge". La manovra economica intanto è lievitata. L'intervento reale sfiora, se si considerano le maggiori tasse e i tagli di spesa, i 50 miliardi. Nei primi due anni maggiori entrate per 6,1 miliardi (1,8 quest'anno e 4,3 nel 2012) serviranno a coprire maggiori spese di analogo importo, senza alcun impatto sul deficit. Nei due anni successivi, invece, la manovra corregge il deficit sia sul lato delle entrate sia su quello delle spese prevedendo ulteriori interventi per 49,4 miliardi: 17,9 miliardi nel 2013, e 25,4 miliardi nel 2014. Il totale è appunto 49,3 miliardi. Il testo approderà nell'Aula di Palazzo Madama da martedì 19 luglio. Le commissioni di merito si occuperanno del decreto nella settimana precedente, da martedì 12 luglio a venerdì 15 luglio. BERLUSCONI: NORMA GIUSTA MA LA RITIRO - I ministri leghisti giovedì scorso non avevano ricevuto nel testo che era stato loro consegnato la norma "pro-Fininvest". E i ministri leghisti hanno appreso solo a cose fatte dell'inserimento. Da qui il "profondo malumore" dei ministri del Carroccio Bossi, Maroni e Calderoli, che ha spinto Berlusconi a fare un passo indietro. "Nell'ambito della cosiddetta manovra - si legge in una di Palazzo Chigi - è stata approvata una norma per evitare attraverso il rilascio di una fideiussione bancaria il pagamento di enormi somme a seguito di sentenze non ancora definitive, senza alcuna garanzia sulla restituzione in caso di modifica della sentenza nel grado successivo. Si tratta di una norma non solo giusta ma doverosa specie in un momento di crisi dove una sentenza sbagliata può creare gravissimi problemi alle imprese e ai cittadini". "Le opposizioni - ha proseguito - hanno promosso una nuova crociata contro questa norma pensando che, tra migliaia di potenziali destinatari, si potrebbe applicare anche a una società del mio gruppo. Si è prospettato infatti che tale norma avrebbe trovato applicazione nella vertenza CIR -FININVEST dando così per scontato che la Corte di Appello di Milano effettivamente condannerà la Fininvest al pagamento di una somma addirittura superiore al valore di borsa delle quote di Mondadori possedute dalla Fininvest". In mattinata era stata annullata la prevista conferenza stampa per spiegare i contenuti della manovra, cui avrebbe dovuto partecipare Tremonti. "Colpa del maltempo" ha minimizzato il ministro dell'Economia. Quanto a Napolitano, ha preferito non esprimersi. Ai giornalisti che gli chiedevano giudizi sulla manovra ha risposto: "Quando sarà il momento conoscerete le nostre determinazioni". Ma in serata è trapelato che la decisione del premier di rinunciare all'ormai famosa norma ha risposto solo ad una delle osservazioni prospettate dal Quirinale al governo per indicare criticità, problemi tecnico-giuridici e di coerenza del decreto legge che contiene la manovra economica. Il Colle resta in attesa di altre risposte dall'esecutivo: le questioni aperte riguarderebbero tra l'altro l'Istituto del commercio estero e le quote latte. IL TESTO DEL DECRETO Il testo definitivo del decreto Manovra è stato trasmesso al Quirinale ieri intorno alle 12.30. Il provvedimento è composto da 39 articoli e due allegati: il primo articolo riguarda gli stipendi dei politici e l'ultimo il riordino dei giudici tributari. Confermate tutte le misure anticipate nei giorni scorsi, nonostante le polemiche nella maggioranza. Nel testo torna il taglio del 30% di "tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni" presenti in bolletta relativi alle energie rinnovabili. "Allo scopo di ridurre il costo finale dell'energia per i consumatori e le imprese - dice l'articolo 35 - a decorrere dal primo gennaio 2012 tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni, comunque gravanti sulle componenti tariffarie relative alle forniture di energia elettrica e gas naturale, previste da norme di legge o da regolamenti sono ridotti del 30 per cento rispetto a quelli applicabili alla data del 31 dicembre 2010". L'entità degli incentivi, dei benefici e delle agevolazioni sarà rideterminata dal ministero dello Sviluppo su proposta dell'Autorità per l'energia entro 90 giorni. La manovra toglie risorse alla politica: previsto un ulteriore taglio del 10% al finanziamento dei partiti "cumulando così una riduzione complessiva del 30%". Ridimensionati anche gli "aerei blu", previsti solo per le prime cinque cariche dello Stato. Confermato per il biennio 2012-2013 il blocco della rivalutazione delle pensioni "dei trattamenti pensionistici superiore a cinque volte il trattamento minimo di pensione Inps. Per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici comprese tra tre e cinque volte il predetto trattamento minimo Inps l'indice di rivalutazione automatica delle pensioni è applicato nella misura del 45%". Confermato al 2014 l'avvio della misura che aggancia l'età pensionabile alla speranza di vita. La norma precedente faceva cominciare questo processo dal 2015. A partire dal 2011 torna il superbollo: "per le autovetture e per gli autoveicoli per il trasporto promiscuo di persone e cose è dovuta una addizionale erariale della tassa automobilistica, pari ad euro 10 per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a 225 chilowatt, da versare alle entrate del bilancio dello Stato". Stangata Irap per banche e assicurazioni. Per gli istituti di credito e per le altre società finanziarie l'Irap sale al 4,65% mentre per le assicurazioni passa al 5,90%. Salasso anche per i depositi di titoli: il bollo che si applica alle comunicazioni relative al deposito di titoli può salire infatti fino a 380 euro se ha un ammontare complessivo a cinquantamila euro ed è gestito da una banca. L'importo varierà infatti in base al valore del "conto": dai 120 euro annuali per le comunicazioni di intermediari finanziari ai 150 per i conti inferiori ai 50 mila euro relativi a comunicazioni di depositi titoli presso banche, fino ai 380 euro annuali se si supera questa soglia. Fa discutere l'inserimento di una norma che potrebbe sospendere l'esecutività del mega risarcimento di 750 milioni di euro a carico della Fininvest e a favore della Cir di Carlo De Benedetti, se fosse confermato in appello dai giudici di Milano il verdetto di primo grado sul Lodo Mondadori. Si tratta di una modifica a due articoli del codice di procedura civile che obbliga il giudice, a differenza di quanto accadeva sinora, a sospendere l'esecutività della condanna nel caso di risarcimenti superiori ai 20 milioni di euro (10 in primo grado) dietro il pagamento di "idonea cauzione", in attesa che si pronunci in via definitiva la Cassazione. Le opposizioni subito attaccano. Bindi: una norma aberrante. in attesa che si pronunci in via definitiva la Cassazione. Le opposizioni subito attaccano. Bindi: una norma aberrante.
5 luglio 2011 L'altro editoriale Errori da correggere Quando si manovra politicamente, si prendono sempre rischi. Quando la manovra è economico–finanziaria, si prendono soprattutto fischi. Qualche volta rischi e fischi si mescolano in modo inestricabile e più che motivato. È purtroppo esattamente quello che sta accadendo in queste ore mentre dalle pieghe dei provvedimenti destinati a mantenere il più possibile in ordine i malmessi equilibri contabili del Bel Paese emergono particolari sconcertanti. Si possono chiedere, in forma di ticket, sacrifici probabilmente inevitabili, ma certo pesanti e amari ai malati. Si possono, e forse si devono, bloccare per un altro anno il turnover e gli aumenti di stipendio nella pubblica amministrazione. E si può persino decidere che in questo Paese, dove l’evasione fiscale è ancora e sempre scandalosa, "ricchi" a cui chiedere di più siano i pensionati che incassano trattamenti previdenziali da – udite udite – oltre 1.428 euro lordi al mese... Ma non si capisce perché i tagli ai "costi della politica" siano invece tutti orientati al futuro e debbano ridursi, qui e ora, alla sola riduzione dei voli di Stato. E soprattutto non ci si capacita del motivo per cui in una manovra così aspra e dura, e in un momento così complicato per l’Italia e per la stessa maggioranza che la governa, debba saltar fuori una norma che, in sé, può avere una logica, ma che, oggi, appare tagliata su misura per una vicenda – il lodo Mondadori – che riguarda un’azienda di famiglia del premier. I rischi di una simile scelta sono più forti persino dei fischi che scatena. Tutto si può capire, ma non tutto si può spiegare e accettare. E gli errori si correggono. Marco Tarquinio
2011-07-04 Stangata su banche e titoli Interni stampa quest'articolo segnala ad un amico feed 4 luglio 2011 LE MISURE DEL GOVERNO Manovra, stretta sulle pensioni Stangata su banche e titoli Il testo definitivo del decreto Manovra è stato trasmesso al Quirinale intorno alle 12.30. Il provvedimento è composto da 39 articoli e due allegati: il primo articolo riguarda gli stipendi dei politici e l'ultimo il riordino dei giudici tributari. Confermate tutte le misure anticipate nei giorni scorsi, nonostante le polemiche nella maggioranza. Nel testo torna il taglio del 30% di "tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni" presenti in bolletta relativi alle energie rinnovabili. "Allo scopo di ridurre il costo finale dell'energia per i consumatori e le imprese - dice l'articolo 35 - a decorrere dal primo gennaio 2012 tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni, comunque gravanti sulle componenti tariffarie relative alle forniture di energia elettrica e gas naturale, previste da norme di legge o da regolamenti sono ridotti del 30 per cento rispetto a quelli applicabili alla data del 31 dicembre 2010". L'entità degli incentivi, dei benefici e delle agevolazioni sarà rideterminata dal ministero dello Sviluppo su proposta dell'Autorità per l'energia entro 90 giorni. La manovra toglie risorse alla politica: previsto un ulteriore taglio del 10% al finanziamento dei partiti "cumulando così una riduzione complessiva del 30%". Ridimensionati anche gli "aerei blu", previsti solo per le prime cinque cariche dello Stato. Confermato per il biennio 2012-2013 il blocco della rivalutazione delle pensioni "dei trattamenti pensionistici superiore a cinque volte il trattamento minimo di pensione Inps. Per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici comprese tra tre e cinque volte il predetto trattamento minimo Inps l'indice di rivalutazione automatica delle pensioni è applicato nella misura del 45%". Confermato al 2014 l'avvio della misura che aggancia l'età pensionabile alla speranza di vita. La norma precedente faceva cominciare questo processo dal 2015. A partire dal 2011 torna il superbollo: "per le autovetture e per gli autoveicoli per il trasporto promiscuo di persone e cose è dovuta una addizionale erariale della tassa automobilistica, pari ad euro 10 per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a 225 chilowatt, da versare alle entrate del bilancio dello Stato". Stangata Irap per banche e assicurazioni. Per gli istituti di credito e per le altre società finanziarie l'Irap sale al 4,65% mentre per le assicurazioni passa al 5,90%. Salasso anche per i depositi di titoli: il bollo che si applica alle comunicazioni relative al deposito di titoli può salire infatti fino a 380 euro se ha un ammontare complessivo a cinquantamila euro ed è gestito da una banca. L'importo varierà infatti in base al valore del "conto": dai 120 euro annuali per le comunicazioni di intermediari finanziari ai 150 per i conti inferiori ai 50 mila euro relativi a comunicazioni di depositi titoli presso banche, fino ai 380 euro annuali se si supera questa soglia. Fa discutere l'inserimento di una norma che potrebbe sospendere l'esecutività del mega risarcimento di 750 milioni di euro a carico della Fininvest e a favore della Cir di Carlo De Benedetti, se fosse confermato in appello dai giudici di Milano il verdetto di primo grado sul Lodo Mondadori. Si tratta di una modifica a due articoli del codice di procedura civile che obbliga il giudice, a differenza di quanto accadeva sinora, a sospendere l'esecutività della condanna nel caso di risarcimenti superiori ai 20 milioni di euro (10 in primo grado) dietro il pagamento di "idonea cauzione", in attesa che si pronunci in via definitiva la Cassazione. LA PUNTUALIZZAZIONE DEL COLLE In mattinata la stessa presidenza della Repubblica aveva precisato di non aver ancora ricevuto il testo, prendendo le distanze dai mezzi di informazione che l'hanno descritta come già al vaglio del capo dello Stato. "Poiché molti organi di informazione continuano a ripetere che la manovra finanziaria approvata dal governo nella seduta di giovedì scorso sarebbe al vaglio della presidenza della Repubblica già da venerdì, si precisa che a tutt'oggi la Presidenza del Consiglio non ha ancora trasmesso al Quirinale il testo del decreto legge". La puntualizzazione, per quanto affidata ad un comunicato asettico, è apparsa irrituale e ha dato lo spunto alle opposizioni per un nuovo attacco all'esecutivo. Secondo il Pd, per bocca del senatore Francesco Ferrante, "la nota del Quirinale conferma il fatto che sulla manovra il governo alle prese con un work in progress".
4 luglio 2011 TORINO Processo Eternit, l'accusa chiede 20 anni di carcere per due dirigenti Il pubblico ministero di Torino Raffaele Guariniello ha chiesto una condanna a 20 anni di carcere per due ex alti dirigenti della società Eternit Spa nell'ambito del processo per i danni alla salute degli operai nelle lavorazioni dell'amianto, cui è attribuita la morte di quasi 3.000 persone in quattro stabilimenti italiani a partire dagli anni 50. Lo svizzero Stephan Schmidheiny e il belga Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de Marchienne sono imputati per omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro e disastro doloso. L'accusa contesta alla Eternit di non aver adottato le opportune misure di sicurezza pur essendo a conoscenza dei rischi corsi da operai e dalla popolazione. I pm, durante le 50 udienze, hanno sottolineato che si tratta di una "strage che continua ancora oggi". Alcuni periti hanno testimoniato che nella zona di Casale Monferrato il picco delle morti è previsto tra una decina di anni. Le persone morte, operai e residenti nei dintorni delle fabbriche, hanno riportato mesoteliomi pleurici, asbestosi e tumori polmonari insorti a causa della polvere di amianto. L'amianto, allora largamente usato come materiale di coibentazione nell'edilizia anche per una scarsa conoscenza dei relativi rischi, si può ritrovare ancora oggi in molti edifici privati e in alcune strutture pubbliche. Le udienze, nel corso delle quali sono state presentate oltre 2.000 richieste di costituzione di parte civile, hanno avuto un grande seguito e si sono svolte nella maxi aula 1 del Palazzo di Giustizia di Torino con un collegamento video nella maxi aula adiacente.
2011-06-24 24 giugno 2011 Non ci si può illudere che esistano bacchette magiche Quello che serve Non servono bacchette magiche per risolvere l’eterna emergenza rifiuti in Campania. Né azzardati annunci di soluzioni a portata di mano in pochi giorni. Si è scottato un paio di volte il premier Silvio Berlusconi, si sta scottando il neosindaco di Napoli, Luigi De Magistris. Niente magie, niente colpi di teatro. Serve altro. In primo luogo verità e onestà. "Siamo in una situazione di fortissima criticità", ammise – su queste pagine – l’assessore regionale all’Ambiente, Giovanni Romano. Era il 2 giugno 2010. E appena sei mesi prima, con un decreto del governo, era stata dichiarata formalmente chiusa l’emergenza che durava da quindici anni. E invece..."Il sistema è ancora fragile e corre il rischio di continue crisi", ci ha ripetuto l’assessore lo scorso 6 maggio. Facile profeta? No. Lui conosce bene l’argomento "monnezza", come sindaco di Mercato San Severino portò il suo Comune al 65% di raccolta differenziata, e come assessore non nasconde la gravità della situazione. Per prima cosa, dunque, bisogna farla finita con annunci tipo: "tutto risolto" o "ci penso io". Non basta l’uomo della provvidenza, non bastano i militari-spazzini (anzi, meglio utilizzarli per altro...), non basta annunciare che la differenziata lieviterà dal 20 al 65% (ma in quanto tempo?), mentre i rifiuti non si sa dove portarli. Non bastano neanche singole brave persone al posto giusto. Come Romano, come il neoassessore comunale all’Ambiente di Napoli, Tommaso Sodano, o come il neopresidente di Asia, l’azienda del comune partenopeoi che gestisce la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, il tecnico piemontese Raphael Rossi. No, non bastano se non c’è collaborazione. Tra tutti. Governo, Regione, Province, Comuni. E, se serve, come in questi giorni, anche l’aiuto di altre Regioni. Utilizzando pure provvedimenti d’urgenza, come giustamente chiesto dal capo dello Stato. Quel decreto, sollecitato sia dalla Regione che dal Comune di Napoli, e che per due volte è stato "stoppato" (Lega determinante) in Consiglio dei ministri. "Serve un filiera istituzionale, basata sulle fiducia reciproca", ci diceva ieri il presidente di Legambiente Campania, Michele Buonomo. Bella definizione, visto che questa "filiera" dovrebbe far funzionare un’altra filiera, quella dei rifiuti, dalla produzione alla raccolta, dal recupero all’eventuale trasformazione in energia e al deposito. E la collaborazione è proprio quella che è mancata, e non solo in questi giorni. Per incapacità, per bassi calcoli politici o elettorali, per difendere interessi più o meno leciti. Per assurdi egoismi campanilistici. Altro che federalismo solidale! Ancora una volta ripetiamo che quella dei rifiuti in Campania o in qualunque altra Regione, è solo una questione di buona gestione, di buona amministrazione. Non è un’emergenza. I rifiuti vengono e verranno prodotti sempre. Magari, finalmente, in quantità inferiori. Quante volte è stato scritto su questo giornale: consumare meno e meglio, produrre e scegliere imballaggi meno voluminosi. Un altro aspetto di quella vita più sobria (che non vuol dire peggiore, anzi...) alla quale ci ha più volte richiamato Benedetto XVI. Difficile da realizzare? Noi siamo convinti di no, perché ci sono esperienze che dicono che si può. Se davvero ci fosse collaborazione tra tutte le istituzioni, se davvero ci fosse fiducia reciproca, si creerebbero anche fiducia e voglia di impegno tra i cittadini. Anche tra quelli campani che in questi giorni reagiscono con delusione, disperazione e rabbia all’ennesima crisi. Solo coinvolgendoli potremo chiudere il cerchio: verità, competenza, collaborazione, fiducia, impegno. Non c’è altra strada. Perché anche in questi giorni c’è chi specula, soffia sul fuoco, rema contro. E c’è chi gioca sporco, sporchissimo, anzi criminale. Mettere in piedi, rapidamente, un circuito virtuoso vorrebbe dire togliere loro ruolo e spazio. E cominciare a navigare davvero in acque pulite. Antonio Maria Mira
24 giugno 2011 EMERGENZA INFINITA Rifiuti a Napoli, il governo muove i primi passi "Sì, certamente. Affronteremo il problema che è già sul tavolo da diversi giorni cercando le soluzioni più appropriate". Lo afferma il premier Silvio Berlusconi, nel corso di una conferenza stampa al termine del Consiglio Ue, rispondendo a chi gli chiede se al prossimo Consiglio dei ministri sarà discusso anche un decreto per l'emergenza rifiuti a Napoli. Metteremo insieme "delle norme per consentire che ci sia un flusso extra-regionale dei rifiuti". Così il ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo, offre - al termine di una riunione con il sindaco di Napoli Luigi De Magistris - un dettaglio di come sarà costruito il provvedimento che permetterà di liberare Napoli dai rifiuti e dai cumuli per strada. "Si tratta - spiega il ministro - di un provvedimento temporaneo e straordinario solo per la Campania e per liberare Napoli dai rifiuti". "Il governo ha allo studio un provvedimento straordinario per agevolare il trasferimento dei rifiuti napoletani", ha annunciato il ministro dell'Ambiente. La Prestigiacomo ha "assicurato che si adopererà affinché al più presto da parte della Regione vengano ripartiti i 150 milioni di euro che sono stati assegnati alla Campania", e pertanto "in quota parte anche a Napoli per impianti intermedi e per la raccolta differenziata". Questo quanto emerge dalla riunione tra il ministro Prestigiacomo e il sindaco di Napoli Luigi De Magistris. Con questo tipo di impegno si tenta così di affrontare "la problematica dei fondi per promuovere la raccolta differenziata nel Comune di Napoli". Ritenuto sia dal ministro che dal neosindaco partenopeo "un elemento essenziale e decisivo per un corretto ciclo dei rifiuti e per ridurre le quantità da smaltire". Sull'emergenza rifiuti a Napoli è intervenuto ieri il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. In una dichiarazione a Il Mattino, ha sottolineato che è "assolutamente indispensabile e urgente un intervento per l'aggravarsi della acuta e allarmante emergenza". Per il sindaco De Magistris "c'è un rischio concreto per la salute dei cittadini", ma per il ministro della Salute Fazio "è estremamente improbabile".
24 giugno 2011 LA "RETE" DI BISIGNANI P4, è scontro tra Alfano e la procura di Napoli È scontro aperto tra il ministro della Giustizia Angelino Alfano e la procura di Napoli che indaga sulla cosidetta "P4". Mentre il Comitato parlamentare di vigilanza sui servizi segreti ha chiesto ai pm partenopei di acquisire gli atti che riguardano alti funzionari dei servizi di informazione, generali e prefetti, coinvolti nella rete di contatti di Luigi Bisignani. Alfano, ieri mattina, parlando a una tavola rotonda, si è lasciato infatti andare a giudizi piuttosto duri sull’inchiesta in corso, negandole rilevanza penale. "Tutte queste intercettazioni che leggiamo e che sono anche divertenti ma che non hanno niente di penalmente rilevante non sono gratis per il sistema. Anzi – ha aggiunto il ministro – il debito accertato nei confronti delle ditte e degli operatori telefonici è di un miliardo di euro". "Sono intercettazioni usate senza alcuna prudenza – ha concluso Alfano – e, se irrilevanti, vanno distrutte". La risposta dei magistrati non si è fatta attendere. Il pm Woodcock, uno dei titolari dell’inchiesta, si è limitato a ricordare che le sue decisioni sono state convalidate da altri magistrati: "Io non parlo. Parlano gli atti processuali, che sono stati già esaminati da un giudice e che saranno esaminati da altri giudici". Ma in campo, in difesa dei suoi uomini, è sceso il capo della procura napoletana Giandomenico Lepore, che replica direttamente al ministro Guardasigilli: "La rilevanza o meno delle intercettazioni va valutata dal magistrato requirente e dal giudice giudicante, cosa che è regolarmente avvenuta". Lepore ha spiegato che la procura era obbligata a depositare gli atti, per farli conoscere alla difesa. E quanto ai costi ha aggiunto: "Nulla è gratis, ma se i soldi non ci sono, il governo le vieti. La crisi non può bloccare il lavoro dei magistrati". Il procuratore di Napoli ha aggiunto: "Mi dispiace per gli attacchi fatti ai colleghi, che sono tra i più validi della procura: l’inchiesta è robusta. Greco, Curcio e Woodcock non amano fare processi solo per avere pubblicità. Il loro obiettivo è accertare la responsabilità penale di chi commette reati. Senza guardare in faccia a nessuno". Il procuratore ha raccontato di aver seguito personalmente le varie fasi dell’inchiesta: "Sono stato sempre informato delle iniziative intraprese e le ho condivise tutte. Ci siamo riuniti molte volte per concordare il da farsi e tra noi c’è stato sempre accordo pieno". Poi, a proposito delle intercettazioni finite sui giornali, ha detto: "Non credevo che si desse tanta enfasi al gossip. Io, al posto di voi giornalisti, mi soffermerei di più sugli illeciti commessi". Intanto continuano ad arrivare particolari sull’inchiesta. Tra questi, l’"Espresso" ha rivelato che i giudici napoletani hanno inviato alla procura di Milano (che non le ha ancora ricevute) carte riguardanti un altro possibile filone di indagine sul rapporto tra Alfonso Papa e l’immobiliarista Vittorio Casale sia su eventuali affari tra Bisignani e Gianluca Di Nardo. Il ministro Raffaele Fitto ribadisce che lui, con Bisignani, non ha mai avuto a che fare. Poi arriva la smentita di un giudice della Corte Costituzionale, Giorgio Lattanzi, che smentisce la sua partecipazione a una cena con Bisignani e Gianni Letta, ricordando solo l’amicizia del primo con il proprio figlio. Il sottosegretario alla presidenza aveva già smentito. L’indagine si sofferma anche su Marco Simeon, direttore delle relazioni istituzionali e internazionali della Rai e della struttura Rai-Vaticano, a proposito di una presunta telefonata con monsignor Viale per una casa di proprietà di Propaganda Fide da far vedere a Bisignani. Poi ci sono i commenti tra Bisignani e Briatore sulla vicenda della sentenza Thyssen e il rischio che imprenditori stranieri non investissero più in Italia, nonché il faldone dedicato alla Rai e quelli tra l’ex esponente dc Paolo Cirino Pomicino e sempre Bisignani sul futuro del Pdl e dopo lo strappo di Fini. L’inchiesta sfiora la Telecom-Italia dei tempi di Tronchetti Provera (ascoltato l’ex addetto alla sicurezza Tavaroli, che ha parlato di Bisignani come di nemico del management) e tocca anche il consulente e amico di Romano Prodi Angelo Rovati. Prodi, secondo il consulente informatico Gioacchino Genchi, sarebbe stato spiato da qualcuno dei suoi sostenitori. E arriva anche il grido di dolore del ministro Brambilla, di cui si parla in una conversazione telefonica tra Bisignani e il figlio in termini terribilmente offensivi: la pubblicazione di queste conversazioni "offende la mia persona come ministro, come donna e come madre". Giovanni Grasso
24 giugno 2011 POLITICA Alfano: è reato pubblicare le intercettazioni Il ministro della Giustizia Angelino Alfano critica la pubblicazione delel intercettazioni emerse durante l'inchiesta sulla P4: "Oltre che ad essere sbagliato moralmente è anche un reato da perseguire la pubblicazione delle intercettazioni penalmente irrilevanti. Nessuno però si fa carico di riparare al torto" mentre anche questo è un "reato da perseguire in base al principio dell'obbligatorietà dell'azione penale". "Le intercettazioni - ha sottolineato Alfano - si devono fare. Rappresentano un servizio giusto perchè servono a scoprire i criminali. Quelle che non sono penalmente rilevanti e risultano agli atti dell'inchiesta perchè fatte durante le indagini ma non sono servite per l'ordinanza cautelare, è sbagliato che siano pubblicate sui giornali se riguardano soggetti estranei all'inchiesta". Secondo il Guardasigilli, tutto ciò "oltre ad essere sbagliato è anche fuori dalla legge": "Il problema, lo ripeto, è che si pubblicano intercettazioni tanto penalmente irrilevanti che non sono state inserite nell'ordinanza di custodia cautelare. Queste gettano un certo disdoro a chi nulla ha a che fare con l'inchiesta". INTERCETTAZIONI, IL PDL ALL'ATTACCO - "Guarda, una volta per telefono ho parlato male di te, se esce sui giornali ti prego di perdonarmi, non lo pensavo davvero...". L’aneddoto lo racconta Enrico Costa, capogruppo del Pdl nella commissione Giustizia di Montecitorio, al quale è stato riferito da un altro parlamentare Pdl. Fotografa la fibrillazione tra gli azzurri, messi a soqquadro dalla pubblicazione di conversazioni telefoniche in cui ministri e parlamentari della maggioranza appaiono l’un contro l’altro armati. "È uno scandalo – attacca dal primo mattino Fabrizio Cicchitto –, un’operazione a senso unico, un gioco al massacro. Di certo non vanno a turbare i lobbisti di De Benedetti...". "Sono pubblicazioni indegne e illegali", affonda il ministro degli Esteri Franco Frattini, citato nella rete di Bisignani. Segue una carovana di dichiarazioni indignate degli altri colonnelli Pdl, con il fine esplicito di rimettere mano a una legge sulle intercettazioni. E un fine implicito: chiamare in campo Udc e Pd. L’unica apertura, sibillina e ironica, viene però dal vicepresidente del Csm Michele Vietti: "Ho un vago ricordo di leggi mai arrivate al dunque, comunque non è mai troppo tardi". Le risposte di democratici e centristi sono invece negative. "In questa fase una legge sarebbe intempestiva e sbagliata, desterebbe sospetti", dice Pier Ferdinando Casini. "Si, c’è una valanga di intercettazioni senza valore penale – ammette il presidente del Copasir Massimo D’Alema –, ma ormai è tardi, ed è inopportuno intervenire per decreto. Se non c’è una norma la colpa è loro..." (le parole dell’ex premier, lungo il pomeriggio, vengono interpretate come una mezza apertura, al punto che il responsabile Giustizia del Pd, Andrea Orlando, è costretto a intervenire: "D’Alema ha ribadito la nostra posizione, siamo per il no a qualsiasi limitazione e favorevoli ad una udienza in cui si stralcino le conversazioni non significative"). Comunque, non è un caso che D’Alema e Casini, citino, come occasione persa, il ddl Mastella approvato alla Camera con largo consenso nel 2007, e poi arenatosi al Senato mentre il governo Prodi crollava. E nemmeno è un caso che i "moderati" del Pdl - Maurizio Lupi e Gaetano Quagliariello in primis -, ricaccino indietro la prima idea venuta al premier, quella del decreto legge per stoppare fughe di notizie e pubblicazioni, e auspichino invece un "testo condiviso": il ddl Mastella, appunto, oppure il dispositivo scritto da Alfano in questa legislatura, ampiamente emendato, nel pieno della lotta tra Fini e Berlusconi, dalla commissione Giustizia della Camera presieduta da Giulia Bongiorno. In linea di principio, il Pdl preferirebbe il testo scritto durante il governo Prodi, più severo, ma la ragion pratica impone di ripartire dall’ultimo ddl su cui si era quasi arrivati alla quadra. Di certo non ci sarà la sponda di Fli, visto le parole al vetriolo del presidente della Camera: "È giusto regolare la pubblicazione, ma per un decreto non ci sono i requisiti nella Carta. Nell’inchiesta – attacca – c’è un clima da basso impero che indigna gli italiani normali. E io in quei verbali non ci sono...". Scontato il "no" ad ogni intesa dall’Idv. In questo scenario, l’ipotesi di un decreto governativo sembra lo spauracchio da agitare. "Il carattere d’urgenza c’è, Napolitano capirebbe", dicono i giuristi azzurri, ipotizzando una norma ad hoc per assegnare la responsabilità oggettiva ai capi-ufficio delle procure da cui escono i verbali, oppure stralciando commi dei ddl già esistenti sulle pubblicazione illecite. "Il Colle è sempre stato chiaro, in materia di diritti e libertà si agisce solo con leggi ordinarie", replicano gli esperti Pd. Sul versante politico il Pdl ragiona su un ordine del giorno in una delle due Camere. Marco Iasevoli
24 giugno 2011 OPERAZIONE GDF Tangenti, 11 arresti a Parma Operazione della Guardia di Finanza stamattina a Parma, dove sono state arrestate 11 persone, tra cui anche il comandante della polizia municipale Giovanni Maria Jacobazzi. L'inchiesta riguarda le tangenti del verde pubblico, che già in precedenza aveva portato ad arresti e denunce. Fra gli arrestati, oltre al capo dei vigili urbani, ci sono anche due dirigenti comunali. Inoltre, secondo le prime frammentarie informazioni, sarebbero stati arrestati anche sei imprenditori del verde pubblico, un funzionario dell'Iren e un detective privato. Per quanto riguarda i reati si parla in particolare di peculato. Nelle prossime ore verrà convocata una conferenza stampa
2011-06-16 15 giugno 2011 TRAME E DOSSIER Indagine sulla "P4", arresti domiciliari per Bisignani Notizie riservate, appalti e nomine, dossier e ricatti, interferenze su organi costituzionali: attività miste di una società segreta, denominata P4, in realtà una vera associazione a delinquere, oggetto di un’inchiesta della procura di Napoli sfociata ieri nell’arresto, ai domiciliari, di Luigi Bisignani, 57enne uomo d’affari definito nell’imputazione un "soggetto più che inserito in tutti gli ambienti istituzionali e con forti collegamenti con i servizi di sicurezza". Indagato con Bisignani il deputato del Pdl Alfonso Papa per il quale la Procura di Napoli ha inviato alla Camera un’ordinanza di custodia cautelare. La Giunta per le autorizzazioni di Montecitorio esaminerà la richiesta di arresto probabilmente il 22 giugno. A completare il gruppo artefice, per la Procura napoletana, di un raffinato "sistema criminale", sono il sottufficiale dei carabinieri di Napoli Enrico La Monica e l’assistente della Polizia di Stato Giuseppe Nuzzo, in servizio al commissariato di Vasto Arenaccia. Tra gli altri indagati, a vario titolo, anche il direttore dell’Avanti Valter La Vitola, l’imprenditore Angelo Chiorazzo e Raffaele Balsamo, titolare di alcuni negozi nei quali risulterebbero essere state acquistate schede telefoniche cellulari utilizzate da Papa e Bisignani ma intestate fittiziamente a terze persone. Sul coinvolgimento di altri appartenenti alle forze dell’ordine sono in corso le procedure di identificazione. L’accusa per Bisignani, Papa e altri indagati è di favoreggiamento in relazione alla rivelazione di notizie coperte da segreto e di corruzione. L’indagine è condotta dai pm della Procura di Napoli Francesco Curcio e Henry John Woodcock e cerca di fare luce appunto su un presunto sistema informativo parallelo. Secondo gli inquirenti il quadro è già "nitido", la P4 avrebbe avviato un’attività di dossieraggio clandestino con l’obiettivo di gestire e manipolare informazioni segrete o coperte da segreto istruttorio interferendo anche sulle funzioni di organi costituzionali, condizionandone le scelte, pilotando importanti appalti, nomine e finanziamenti in vari settori della pubblica amministrazione. Dalla lettura di due dei capi di imputazione formulati dai pm emerge che il parlamentare Alfonso Papa, quando rivestiva la carica di magistrato, avrebbe acquisito informazioni su indagini penali in cui erano coinvolti l’ex direttore generale della Rai Mauro Masi, il coordinatore del Pdl Denis Verdini e il sottosegretario Gianni Letta. Il braccio destro del presidente del Consiglio ha detto però di non sapere che tipo di informazioni possa aver acquisito l’onorevole Papa sul suo conto: "Cado dalle nuvole - ha dichiarato Letta -. Non ho mai parlato con lui di presunte inchieste a mio carico, non sapevo nemmeno che esistessero e non so neppure se davvero esistano". Nei confronti di Papa, inoltre, i pm napoletani avrebbero tra l’altro riscontrato una "anomala" disponibilità di immobili che non sono di proprietà del deputato e il cui affitto è pagato da altri, "noti imprenditori" o parenti di Papa. Sempre secondo gli inquirenti anche il sottufficiale dell’Arma La Monica avrebbe rivelato in più occasioni notizie coperte da segreto, in cambio della promessa di essere sponsorizzato per l’assunzione all’Aise, i servizi segreti militari. Valeria Chianese
16 giugno 2011 POILTICA P4, "le mani su nomine e appalti" Un’attività di dossieraggio clandestino con l’obiettivo di gestire e manipolare informazioni segrete o coperte da segreto istruttorio. Questo, in sintesi, il quadro fatto dai pm di Napoli, che nel capo d’imputazione parlano di una vera e propria "associazione a delinquere", finalizzata anche a controllare appalti e nomine. Un "sistema criminale", insomma, ben congegnato e co-gestito "sia da soggetti formalmente estranei alle Istituzioni pubbliche e alla pubblica amministrazione sia, invece, da soggetti espressione delle Istituzioni dello Stato", tra i quali vengono indicati "parlamentari della Repubblica, appartenenti alle forze dell’ordine" ed anche "faccendieri". La P4 avrebbe anche interferito sulle funzioni di organi costituzionali, condizionandone le scelte. La Procura della Repubblica di Napoli, con un’indagine avviata dai pm Francesco Curcio ed Henry John Woodcock, ha acceso i riflettori sui partecipanti e le modalità dell’associazione segreta. Le ordinanze di custodia cautelare agli arresti domiciliari per l’uomo d’affari Luigi Bisignani e per il parlamentare del Pdl Alfonso Papa sono l’epilogo di un’attività indagine caratterizzata anche da numerose perquisizioni e dall’ascolto di testimoni eccellenti. I provvedimenti emessi ieri rappresentano una svolta sul fronte dell’inchiesta. Finora risulterebbero indagati, oltre a Papa e all’ex giornalista Luigi Bisignani (definito nell’imputazione un "soggetto più che inserito in tutti gli ambienti istituzionali e con forti collegamenti con i servizi di sicurezza"), il sottufficiale dei carabinieri di Napoli Enrico La Monica e l’assistente della Polizia di Stato Giuseppe Nuzzo, in servizio al commissariato di Vasto Arenaccia, il direttore dell’Avanti Valter La Vitola, l’imprenditore Angelo Chiorazzo e Raffaele Balsamo, titolare di alcuni negozi. A questi nomi potrebbero nelle prossime ore aggiungersene altri, appartenenti alle forze di polizia in corso di identificazione. Le modalità di azione erano fondamentalmente due: da un lato, si cercava di acquisire in ambienti giudiziari napoletani informazioni riservate e secretate relative a delicati procedimenti penali in corso e, dall’altro, notizie riguardanti dati sensibili e personali su esponenti di vertice delle istituzioni ed alte cariche dello Stato. Informazioni e notizie che sarebbero state gestite ed utilizzate in modo "illecito", scrivono i pm, con lo scopo ultimo di ottenere "indebiti vantaggi ed utilità". Tra i testimoni eccellenti ascoltati anche il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, il ministro Mara Carfagna, il presidente del Copasir, Massimo D’Alema, il vice presidente di Fli, Italo Bocchino, l’ex dg della Rai, Mauro Masi, il direttore centrale delle Relazioni esterne di Finmeccanica, Lorenzo Borgogni il direttore dell’Aise, Adriano Santini
16 giugno 2011 IL MAGISTRATO Woodcock, tante inchieste e poco arrosto L’inchiesta sulla cosiddetta P4 riporta in prima pagina Henry John Woodcock, il pm d’origini britanniche ma napoletano d’adozione, noto anzitutto per le sue inchieste contro vip e colletti bianchi. Uno dei primi casi clamorosi risale al dicembre 2003 quando il pm allora a Potenza raccoglie nell’inchiesta "Vip Gate" 78 persone tra cui personaggi dello spettacolo e del giornalismo, due ministri, funzionari ministeriali e amministratori locali. Tra le accuse ipotizzate: associazione a delinquere per la turbativa d’appalti, estorsione, corruzione, millantato credito e favoreggiamento. Il gip lucano, però, non emette le ordinanze cautelari dichiarando l’incompetenza territoriale. L’inchiesta viene smembrata passando al vaglio di vari Tribunali e accendendo le prime polemiche sulla tenuta delle inchieste di Woodcock. Nel novembre 2004 l’operazione "Iene 2" approfondisce i presunti legami tra criminalità organizzata e politica in Basilicata, coinvolgendo un parlamentare dell’allora Forza Italia, che avrebbe favorito aziende di amici degli amici in cambio di sostegno elettorale. Sono indagati pure un parlamentare dei Ds e uno dell’Udeur. L’inchiesta si arena nella fase dei rinvii a giudizio, portando l’allora Guardasigilli, Roberto Castelli, ad aprire un’ispezione sull’operato del pool inquirente: la verifica si chiude senza riscontrare scorrettezze. Nel 2006 scoppia il caso "Somaliagate" che alza il coperchio su una ipotizzata rete di truffatori che avrebbero ottenuto denaro da imprenditori millantando rapporti con servizi segreti e organizzazioni internazionali. La polizia arresta 17 persone tra cui un funzionario del Sisde già coinvolto in altre indagini e poi allontanato dal servizio. Tra un’intercettazione e una verifica spunta il nome di Vittorio Emanuele di Savoia, che a giugno diventa l’indagato numero uno del fascicolo "Savoiagate" per associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione, alla concussione, alla falsità ideologica, alle minacce e al favoreggiamento. È inoltre accusato d’essere a capo di un’organizzazione impegnata nel gioco d’azzardo illegale. L’indagine coinvolge 24 persone, anche in questo caso anzitutto vip. Come in passato, l’inchiesta lascia Potenza per incompetenza territoriale e nel settembre 2010 il gip di Roma, al termine del giudizio con rito abbreviato, scagiona da tutte le accuse Vittorio Emanuele di Savoia e altre cinque persone. Sempre nel 2006 i media raccontano l’inchiesta "Vallettopoli" che porta a galla presunti ricatti di cui sarebbero rimasti vittime giornalisti, manager, vallette e altri volti noti. Spuntano, tra gli altri, i nomi di Elisabetta Gregoraci, Lele Mora, Fabrizio Corona. Domenico Marino
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CORRIERE della SERA
per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.corriere.it2011-08-02 su Milanese sì della Camera all'uso dei tabulati e all'apertura delle cassette di sicurezza Verdini, negato l'uso delle intercettazioni No dell'Aula alla richiesta dei pm nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti per il G8 NOTIZIE CORRELATE L'affitto di Tremonti e le carte sugli appalti di Fiorenza Sarzanini (28 luglio) Appalti e favori, Sogei nella bufera (23 luglio 2011) Milanese: darò ai pm le mie cassette di sicurezza (19 luglio 2011) Il voto sull'arresto di Milanese? "Lascerei libertà di coscienza" (14 luglio 2011) Lepore: "Tremonti non è indagato" (13 luglio 2011) Denis Verdini Denis Verdini MILANO - I magistrati napoletani potranno usare i tabulati telefonici che fanno capo al deputato del Pdl Marco Milanese e aprire le sue cassette di sicurezza. Lo ha stabilito la Camera approvando la richiesta dei pm partenopei. Negato invece l'uso delle intercettazioni che riguardano, nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti G8, il deputato Pdl Denis Verdini. "QUI SI SPUTTANA LA GENTE" - "Sono due anni che sono massacrato, che vengo travolto da questo tritacarne mediatico e giudiziaro da cui voglio uscire velocemente". E tutto questo avviene "con danni enormi e irreparabile. Io non mi lamento ma i danni non me li ripagherà nessuno", ha detto Denis Verdini in Aula. Il deputato Pdl ha sottolineato la necessità di "rivedere le norme che regolano le intercettazioni per evitare - ha spiegato - quello che è successo a me, travolto da due anni di persecuzione". "Chiedo che qui si rifletta sulla questione delle intercettazioni - ha aggiunto Verdini - perché da troppo tempo si sta sputtanando la gente su queste cose. A me è già avvenuto e nulla di più si può fare rispetto a quello che è stato fatto se non andare ai processi se ve ne sono le condizioni, ma queste cose toccano l'anima, il cuore e le famiglie". "Sono abbastanza forte, nessuno mi distrugge, non ho paura, ho perso molte cose, ma non voglio perdere la mia onorabilità", ha però anche aggiunto il coordinatore del Pdl. "ACCUSE INFAMANTI" - Nell'aula di Montecitorio, poco prima del voto, anche Milanese, ex braccio destro di Giulio Tremonti indagato per corruzione, rivelazione di segreto d'ufficio e associazione per delinquere nell'ambito di una indagine su una società assicurativa, ha preso la parola per ribadire la sua innocenza. "Sono innocente e le accuse contro di me sono false e ipocrite", ha detto mentre tutti i deputati di maggioranza e opposizione lo ascoltavano in assoluto silenzio. "Quando ho preso posto per la prima volta in quest'aula - ha assicurato Milanese - mai e poi mai mi sarei immaginato di dovermi, un giorno, difendere da accuse così infamanti". Marco Milanese Marco Milanese "ATTACCO AL SISTEMA DEI PARTITI" - Rivolgendosi all'opposizione e in particolare al leader Pd Pier Luigi Bersani, Milanese ha anche aggiunto: "Chiedetevi perché sono state mosse queste accuse contro di me: dovete interessarvi di questo. È vostro dovere farlo in un momento in cui è evidente l'attacco mosso da più parti al sistema dei partiti, sui quali si regge la nostra democrazia: non farlo e non intervenire per sapere cosa c'è dietro questa macchina del fango, sarà per tutti noi imperdonabile". Pronta la replica del segretario dei democratici. "Da più parti si tende a mettere tutti nel mucchio e questa è l'ispirazione che sta dietro le parole di Milanese. Noi non rivendichiamo una differenza genetica ma politica sì", ha detto Bersani. Subito dopo il voto della Camera con il quale la procura di Napoli è stata autorizzata all'apertura delle cassette di sicurezza e all'acquisizione dei tabulati telefonici, il deputato ha chiesto formalmente al pm, tramite il suo legale, di disporre anche l'acquisizione dei tabulati di tutti i telefoni riconducibili al gruppo Viscione dal 2009 a tutto il 2010. "Vi è infatti agli atti qualcosa più di un sospetto - ha detto il legale - che Viscione potesse avere notizie riservate da altri soggetti piuttosto che dall'onorevole Milanese". LE INDAGINI - Oltre che a Napoli, Milanese è anche indagato a Roma per una vicenda di presunte tangenti. Nell'ambito delle inchieste, il deputato del Pdl ha detto ai magistrati di avere preso in affitto una casa nel centro di Roma e di averla messa a disposizione di Tremonti, il quale dava a Milanese mille euro a settimana in contanti come contributo per l'affitto. La rivelazione e le accuse che investono il suo ex consigliere politico hanno indebolito il ministro, in un momento in cui l'Italia è sotto la pressione dei mercati finanziari. TREMONTI SOPIATO, PARLA DE GENNARO - Quanto alla questione di Giulio Tremonti spiato, Gianni De Gennaro ha spiegato che i servizi segreti non hanno informazioni e non ne sanno nulla. Il direttore del Dipartimento informazioni e sicurezza avrebbe risposto così ai membri del Copasir in relazione alla vicenda sollevata dallo stesso titolare dell'Economia nei giorni scorsi, quando ha rivelato di aver deciso di andare ad abitare in un'abitazione affittata da Milanese perché si sentiva "spiato, controllato e pedinato". Redazione online 02 agosto 2011 17:25
La ricostruzione L'imprenditore e "Farfallino" Così è partita l'inchiesta Dalle aree dismesse alla Milano-Serravalle e ai conti all'estero NOTIZIE CORRELATE Il network delle mazzette "Occhio ai signori di Milano" (1 agosto 2011) Il "sistema Sesto" dalle lire agli euro Versamenti effettuati fino al 2007 (1 agosto 2011) "Un miliardo di lire a Penati". Spunta il foglio dei pagamenti (31 luglio 2011) Filippo Penati (Imagoeconomica) Filippo Penati (Imagoeconomica) MILANO - Due grandi accusatori e un principale accusato. Gli accusatori: l'imprenditore di 59 anni Piero Di Caterina, proprietario di 15 aziende tra le quali la Caronte attiva nel trasporto pubblico, e il costruttore di 81 anni Giuseppe Pasini. L'accusato: Filippo Penati, 58 anni, politico ex di tanti incarichi. Sindaco (1994-2001) di Sesto San Giovanni e presidente della Provincia di Milano (2004-2009), già capo della segreteria politica del leader del Partito democratico Pier Luigi Bersani, Penati si è dimesso dalla vicepresidenza del Consiglio regionale. Perché? È coinvolto nell'inchiesta di due pm della Procura di Monza, Walter Mapelli e Franca Macchia. Lavorano su un presunto giro di tangenti relative all'ex Falck e all'ex Marelli. Ramo acciaierie la prima e metalmeccanico la seconda, hanno contribuito a dare a Sesto San Giovanni il soprannome di Stalingrado d'Italia. Il sistema delle mazzette ha al centro i piani di riconversione di questi spazi chilometrici. Penati, indagato per corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti, si dice innocente. Avrebbe incassato 2,94 milioni di euro per favorire imprenditori interessati alle riqualificazioni. Dalla Falck alle banche in Svizzera Basata su Sesto San Giovanni, la geografia di questa storia ha altre ramificazioni: prende l'asfalto della Milano-Serravalle (società che gestisce 180 chilometri di autostrade e tangenziali, con sede ad Assago), il Consorzio cooperative costruzioni di Bologna e le corsie del San Raffaele (l'ospedale di Milano 2 fondato da don Luigi Verzé, amico di Silvio Berlusconi). Ma le ramificazioni portano anche all'estero. Svizzera. Lussemburgo. Le sedi dei conti alimentati dalle tangenti. Così come emerso dagli interrogatori di Pasini e Di Caterina, e con un riscontro materiale: tracce di movimenti di denaro. Pasini, alias "farfallino" per il papillon presenza fissa al colletto, nel 2007 candidato per il centrodestra alle elezioni comunali di Sesto, di una cosa è certo. "Ho pagato 4 miliardi di lire in due tranche a Di Caterina all'estero perché così mi era stato chiesto da Penati in relazione all'approvazione del piano regolatore dell'area Falck". Interessato a rilevare le antiche acciaierie, Pasini, prosegue nel racconto ai pm, andò a chiedere a Penati della possibilità - in caso di acquisto dell'area - di "arrivare a una licenza". Bene, "Penati disse che avrei dovuto dare qualcosa al partito. Disse che a prendere accordi con me sarebbe venuto Di Caterina". Pasini spiegò di aver versato due miliardi di lire trasferendoli in Canton Ticino con mediatore l'indagato Giordano Vimercati, 61 anni, noto come "cardinale Richelieu", a lungo braccio destro di Penati, e di essersi girato un bonifico di due miliardi di lire in Lussemburgo su una banca coi soldi in un secondo tempo ritirati da Di Caterina. Il quale più volte si è lamentato per mancati introiti, per intoppi nel flusso delle tangenti. Pur conservando ricevute, cedolini, pagine con somme elencate. La contabilità del "Sistema Sesto". Ora sotto l'esame degli investigatori. I debiti milionari e Tangentopoli La Procura ha in mano anche una lettera. Del 2008. Di Caterina la scrisse a Penati e Bruno Binasco, arrestato sotto Tangentopoli per aver finanziato in maniera illecita il Pci. Premesso che "dal 1999 ho versato a vario titolo notevoli somme di denaro a Penati che ha promesso di restituire", ecco, di quel denaro l'imprenditore non è mai tornato in possesso. Il 66enne Binasco, principale collaboratore dell'imprenditore Marcellino Gavio, morto nel 2009, è amministratore della Milano-Serravalle. Nel mirino degli inquirenti c'è una triangolazione di denaro fra Di Caterina, Penati e Binasco. Triangolazione avente come base l'acquisizione, da parte di Binasco, di un immobile di Di Caterina a un prezzo più alto in maniera tale da estinguere un debito per conto di Penati. Penati e Binasco si conoscevano da prima. Nel 2005 la Provincia di Milano presieduta da Penati acquisì dal Gruppo Gavio-Binasco il 15% della Milano-Serravalle. Il prezzo? 8,9 euro per azione. Ogni azione era in precedenza costata 2,9 euro. L'operazione venne censurata dalla Corte dei Conti. La perizia chiesta dalla Procura ha giudicato il prezzo "congruo". Bonifiche, ospedali, sigle misteriose Nel luglio d'un anno fa Pasini iniziò a parlare e lasciarsi andare con Guardia di Finanza e Procura. Gli investigatori avevano appena perquisito Di Caterina. Cosa cercavano? False fatture con Luigi Zunino, l'immobiliarista interessato a comprare l'ex Falck e nei guai per le bonifiche ambientali nel quartiere fantasma di Santa Giulia. Anche Di Caterina cominciò a sfogarsi. Ma per quale motivo, lui e Pasini, farlo in forte ritardo? Perché "cantare" anni e anni dopo? Le prime tangenti sono datate tra la fine degli anni 90 e il 2001. Peraltro coinvolgendo, e da subito, le Cooperative di costruzioni. A suo dire, Pasini si sarebbe visto imporre un dazio da Omar Degli Esposti per avviare il cantiere: tirar dentro nel progetto due professionisti vicini alle Cooperative. Degli Esposti, 63 anni, direttore dei lavori del colosso delle costruzioni afferma il contrario. "Pasini? Gli faceva comodo il nostro nome". Degli Esposti è indagato. La Procura ha indagato un'altra persona del mondo del centrosinistra. L'architetto Renato Sarno. Il 65enne Sarno, ex dirigente del Comune di Sesto, ha disegnato per don Verzé il "San Raffaele Quo Vadis", l'ospedale "del benessere" che il nuovo Cda dell'ospedale schiacciato da un miliardo di euro ha messo fra le priorità degli investimenti da tagliare. Nell'ufficio di Sarno, durante le perquisizioni, è spuntato il file in formato Pdf dal titolo "Documento finanziamento sig. Penati". Fu Sarno l'intermediario di quella triangolazione con Di Caterina e Binasco. In mezzo ad altro materiale, nell'ufficio dell'architetto c'erano le cartellette "H.S.R. San Raffaele" e "Serravalle". Misteri, veleni. Forse semplicemente nuovi indizi. Andrea Galli agalli@corriere.it 02 agosto 2011 11:15© RIPRODUZIONE RISERVATA
su Milanese sì della Camera all'uso dei tabulati e all'apertura delle cassette di sicurezza Verdini, negato l'uso delle intercettazioni No dell'Aula alla richiesta dei pm nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti per il G8 NOTIZIE CORRELATE L'affitto di Tremonti e le carte sugli appalti di Fiorenza Sarzanini (28 luglio) Appalti e favori, Sogei nella bufera (23 luglio 2011) Milanese: darò ai pm le mie cassette di sicurezza (19 luglio 2011) Il voto sull'arresto di Milanese? "Lascerei libertà di coscienza" (14 luglio 2011) Lepore: "Tremonti non è indagato" (13 luglio 2011) Denis Verdini Denis Verdini MILANO - I magistrati napoletani potranno usare i tabulati telefonici che fanno capo al deputato del Pdl Marco Milanese e aprire le sue cassette di sicurezza. Lo ha stabilito la Camera approvando la richiesta dei pm partenopei. Negato invece l'uso delle intercettazioni che riguardano, nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti G8, il deputato Pdl Denis Verdini. "QUI SI SPUTTANA LA GENTE" - "Sono due anni che sono massacrato, che vengo travolto da questo tritacarne mediatico e giudiziaro da cui voglio uscire velocemente". E tutto questo avviene "con danni enormi e irreparabile. Io non mi lamento ma i danni non me li ripagherà nessuno", ha detto Denis Verdini in Aula. Il deputato Pdl ha sottolineato la necessità di "rivedere le norme che regolano le intercettazioni per evitare - ha spiegato - quello che è successo a me, travolto da due anni di persecuzione". "Chiedo che qui si rifletta sulla questione delle intercettazioni - ha aggiunto Verdini - perché da troppo tempo si sta sputtanando la gente su queste cose. A me è già avvenuto e nulla di più si può fare rispetto a quello che è stato fatto se non andare ai processi se ve ne sono le condizioni, ma queste cose toccano l'anima, il cuore e le famiglie". "Sono abbastanza forte, nessuno mi distrugge, non ho paura, ho perso molte cose, ma non voglio perdere la mia onorabilità", ha però anche aggiunto il coordinatore del Pdl. "ACCUSE INFAMANTI" - Nell'aula di Montecitorio, poco prima del voto, anche Milanese, ex braccio destro di Giulio Tremonti indagato per corruzione, rivelazione di segreto d'ufficio e associazione per delinquere nell'ambito di una indagine su una società assicurativa, ha preso la parola per ribadire la sua innocenza. "Sono innocente e le accuse contro di me sono false e ipocrite", ha detto mentre tutti i deputati di maggioranza e opposizione lo ascoltavano in assoluto silenzio. "Quando ho preso posto per la prima volta in quest'aula - ha assicurato Milanese - mai e poi mai mi sarei immaginato di dovermi, un giorno, difendere da accuse così infamanti". Marco Milanese Marco Milanese "ATTACCO AL SISTEMA DEI PARTITI" - Rivolgendosi all'opposizione e in particolare al leader Pd Pier Luigi Bersani, Milanese ha anche aggiunto: "Chiedetevi perché sono state mosse queste accuse contro di me: dovete interessarvi di questo. È vostro dovere farlo in un momento in cui è evidente l'attacco mosso da più parti al sistema dei partiti, sui quali si regge la nostra democrazia: non farlo e non intervenire per sapere cosa c'è dietro questa macchina del fango, sarà per tutti noi imperdonabile". Pronta la replica del segretario dei democratici. "Da più parti si tende a mettere tutti nel mucchio e questa è l'ispirazione che sta dietro le parole di Milanese. Noi non rivendichiamo una differenza genetica ma politica sì", ha detto Bersani. Subito dopo il voto della Camera con il quale la procura di Napoli è stata autorizzata all'apertura delle cassette di sicurezza e all'acquisizione dei tabulati telefonici, il deputato ha chiesto formalmente al pm, tramite il suo legale, di disporre anche l'acquisizione dei tabulati di tutti i telefoni riconducibili al gruppo Viscione dal 2009 a tutto il 2010. "Vi è infatti agli atti qualcosa più di un sospetto - ha detto il legale - che Viscione potesse avere notizie riservate da altri soggetti piuttosto che dall'onorevole Milanese". LE INDAGINI - Oltre che a Napoli, Milanese è anche indagato a Roma per una vicenda di presunte tangenti. Nell'ambito delle inchieste, il deputato del Pdl ha detto ai magistrati di avere preso in affitto una casa nel centro di Roma e di averla messa a disposizione di Tremonti, il quale dava a Milanese mille euro a settimana in contanti come contributo per l'affitto. La rivelazione e le accuse che investono il suo ex consigliere politico hanno indebolito il ministro, in un momento in cui l'Italia è sotto la pressione dei mercati finanziari. TREMONTI SPIATO, PARLA DE GENNARO - Quanto alla questione di Giulio Tremonti spiato, Gianni De Gennaro ha spiegato che i servizi segreti non hanno informazioni e non ne sanno nulla. Il direttore del Dipartimento informazioni e sicurezza avrebbe risposto così ai membri del Copasir in relazione alla vicenda sollevata dallo stesso titolare dell'Economia nei giorni scorsi, quando ha rivelato di aver deciso di andare ad abitare in un'abitazione affittata da Milanese perché si sentiva "spiato, controllato e pedinato". Proprio sulle parole di Tremonti, il Copasir ascolterà a settembre il comandante generale della Guardia di Finanza, il generale Nino Di Paolo. L'audizione, in programma da tempo, sarà l'occasione per approfondire il senso di queste affermazioni, oggetto anche di un'indagine della magistratura romana. Redazione online 02 agosto 2011 18:36
La ricostruzione L'imprenditore e "Farfallino" Così è partita l'inchiesta Dalle aree dismesse alla Milano-Serravalle e ai conti all'estero NOTIZIE CORRELATE Il network delle mazzette "Occhio ai signori di Milano" (1 agosto 2011) Il "sistema Sesto" dalle lire agli euro Versamenti effettuati fino al 2007 (1 agosto 2011) "Un miliardo di lire a Penati". Spunta il foglio dei pagamenti (31 luglio 2011) Filippo Penati (Imagoeconomica) Filippo Penati (Imagoeconomica) MILANO - Due grandi accusatori e un principale accusato. Gli accusatori: l'imprenditore di 59 anni Piero Di Caterina, proprietario di 15 aziende tra le quali la Caronte attiva nel trasporto pubblico, e il costruttore di 81 anni Giuseppe Pasini. L'accusato: Filippo Penati, 58 anni, politico ex di tanti incarichi. Sindaco (1994-2001) di Sesto San Giovanni e presidente della Provincia di Milano (2004-2009), già capo della segreteria politica del leader del Partito democratico Pier Luigi Bersani, Penati si è dimesso dalla vicepresidenza del Consiglio regionale. Perché? È coinvolto nell'inchiesta di due pm della Procura di Monza, Walter Mapelli e Franca Macchia. Lavorano su un presunto giro di tangenti relative all'ex Falck e all'ex Marelli. Ramo acciaierie la prima e metalmeccanico la seconda, hanno contribuito a dare a Sesto San Giovanni il soprannome di Stalingrado d'Italia. Il sistema delle mazzette ha al centro i piani di riconversione di questi spazi chilometrici. Penati, indagato per corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti, si dice innocente. Avrebbe incassato 2,94 milioni di euro per favorire imprenditori interessati alle riqualificazioni. Dalla Falck alle banche in Svizzera Basata su Sesto San Giovanni, la geografia di questa storia ha altre ramificazioni: prende l'asfalto della Milano-Serravalle (società che gestisce 180 chilometri di autostrade e tangenziali, con sede ad Assago), il Consorzio cooperative costruzioni di Bologna e le corsie del San Raffaele (l'ospedale di Milano 2 fondato da don Luigi Verzé, amico di Silvio Berlusconi). Ma le ramificazioni portano anche all'estero. Svizzera. Lussemburgo. Le sedi dei conti alimentati dalle tangenti. Così come emerso dagli interrogatori di Pasini e Di Caterina, e con un riscontro materiale: tracce di movimenti di denaro. Pasini, alias "farfallino" per il papillon presenza fissa al colletto, nel 2007 candidato per il centrodestra alle elezioni comunali di Sesto, di una cosa è certo. "Ho pagato 4 miliardi di lire in due tranche a Di Caterina all'estero perché così mi era stato chiesto da Penati in relazione all'approvazione del piano regolatore dell'area Falck". Interessato a rilevare le antiche acciaierie, Pasini, prosegue nel racconto ai pm, andò a chiedere a Penati della possibilità - in caso di acquisto dell'area - di "arrivare a una licenza". Bene, "Penati disse che avrei dovuto dare qualcosa al partito. Disse che a prendere accordi con me sarebbe venuto Di Caterina". Pasini spiegò di aver versato due miliardi di lire trasferendoli in Canton Ticino con mediatore l'indagato Giordano Vimercati, 61 anni, noto come "cardinale Richelieu", a lungo braccio destro di Penati, e di essersi girato un bonifico di due miliardi di lire in Lussemburgo su una banca coi soldi in un secondo tempo ritirati da Di Caterina. Il quale più volte si è lamentato per mancati introiti, per intoppi nel flusso delle tangenti. Pur conservando ricevute, cedolini, pagine con somme elencate. La contabilità del "Sistema Sesto". Ora sotto l'esame degli investigatori. I debiti milionari e Tangentopoli La Procura ha in mano anche una lettera. Del 2008. Di Caterina la scrisse a Penati e Bruno Binasco, arrestato sotto Tangentopoli per aver finanziato in maniera illecita il Pci. Premesso che "dal 1999 ho versato a vario titolo notevoli somme di denaro a Penati che ha promesso di restituire", ecco, di quel denaro l'imprenditore non è mai tornato in possesso. Il 66enne Binasco, principale collaboratore dell'imprenditore Marcellino Gavio, morto nel 2009, è amministratore della Milano-Serravalle. Nel mirino degli inquirenti c'è una triangolazione di denaro fra Di Caterina, Penati e Binasco. Triangolazione avente come base l'acquisizione, da parte di Binasco, di un immobile di Di Caterina a un prezzo più alto in maniera tale da estinguere un debito per conto di Penati. Penati e Binasco si conoscevano da prima. Nel 2005 la Provincia di Milano presieduta da Penati acquisì dal Gruppo Gavio-Binasco il 15% della Milano-Serravalle. Il prezzo? 8,9 euro per azione. Ogni azione era in precedenza costata 2,9 euro. L'operazione venne censurata dalla Corte dei Conti. La perizia chiesta dalla Procura ha giudicato il prezzo "congruo". Bonifiche, ospedali, sigle misteriose Nel luglio d'un anno fa Pasini iniziò a parlare e lasciarsi andare con Guardia di Finanza e Procura. Gli investigatori avevano appena perquisito Di Caterina. Cosa cercavano? False fatture con Luigi Zunino, l'immobiliarista interessato a comprare l'ex Falck e nei guai per le bonifiche ambientali nel quartiere fantasma di Santa Giulia. Anche Di Caterina cominciò a sfogarsi. Ma per quale motivo, lui e Pasini, farlo in forte ritardo? Perché "cantare" anni e anni dopo? Le prime tangenti sono datate tra la fine degli anni 90 e il 2001. Peraltro coinvolgendo, e da subito, le Cooperative di costruzioni. A suo dire, Pasini si sarebbe visto imporre un dazio da Omar Degli Esposti per avviare il cantiere: tirar dentro nel progetto due professionisti vicini alle Cooperative. Degli Esposti, 63 anni, direttore dei lavori del colosso delle costruzioni afferma il contrario. "Pasini? Gli faceva comodo il nostro nome". Degli Esposti è indagato. La Procura ha indagato un'altra persona del mondo del centrosinistra. L'architetto Renato Sarno. Il 65enne Sarno, ex dirigente del Comune di Sesto, ha disegnato per don Verzé il "San Raffaele Quo Vadis", l'ospedale "del benessere" che il nuovo Cda dell'ospedale schiacciato da un miliardo di euro ha messo fra le priorità degli investimenti da tagliare. Nell'ufficio di Sarno, durante le perquisizioni, è spuntato il file in formato Pdf dal titolo "Documento finanziamento sig. Penati". Fu Sarno l'intermediario di quella triangolazione con Di Caterina e Binasco. In mezzo ad altro materiale, nell'ufficio dell'architetto c'erano le cartellette "H.S.R. San Raffaele" e "Serravalle". Misteri, veleni. Forse semplicemente nuovi indizi. Andrea Galli agalli@corriere.it 02 agosto 2011 11:15
URBANISTICA Piano casa Regione, è scontro tra Polverini e ministro Galan "È incostituzionale". La replica della presidente del Lazio: "Gesto inaccettabile, ho chiamato Berlusconi" Renata Polverini (Imagoecomica) Renata Polverini (Imagoecomica) ROMA - Scontro tra la presidente della Regione Lazio Polverini e il ministro dei Beni culturali Galan. Oggetto il piano casa appena approvato dalla Regione Lazio. "Ci sono evidenti casi di incostituzionalità nel Piano Casa della Regione Lazio", ha detto il ministro dei Beni culturali Giancarlo Galan, in occasione della firma del protocollo d'intesa del patrimonio immobiliare di interesse culturale della Rai. GALAN: DI FATTO E' UN CONDONO - "Di fatto - ha commentato il ministro - fanno un condono in aree vincolate, ma il condono è una materia nazionale. Il ruolo di qualsiasi ministro dei Beni culturali - ha proseguito Galan - è quello di tutelare il patrimonio culturale, questa legge tende a svilirlo e ad indebolirlo. È esattamente l'opposto di quello che ci vuole per il nostro Paese". Il ministro ha citato, come paragone, il piano della Regione Veneto, di cui è stato governatore. "Il Veneto ha dato un buon esempio: le leggi si possono fare ma bene, senza provvedimenti incostituzionali e senza svilire il patrimonio artistico e monumentale dell'Italia. Su 162 chilometri di litorale laziale sono state avanzati 45 permessi per realizzare nuovi porti. E vogliamo ridurre così le difese dello Stato? - chiede il ministro - Io sono dalla parte della difesa delle coste e del Paese". Il ministro Galan (Jpeg) Il ministro Galan (Jpeg) POLVERINI: "GRAVE GESTO" - Dura la replica della presidente della Regione. "Ho già chiamato il presidente Berlusconi ed il coordinatore del suo partito", ha detto il governatore del Lazio Renata Polverini. "Il ministro Galan ha commesso un gesto dal punto di vista dei rapporti istituzionali assolutamente sgarbato e direi addirittura inaccettabile perché entra a gamba tesa in quella che è la prerogativa legislativa del consiglio regionale e della sua autonomia, parlando di cose che non conosce, perchèé se sono quelle che ho appena letto, non sono assolutamente previste nel piano. Il ministro Galan - ha aggiunto il presidente della Regione Lazio - ha fatto il presidente della Regione Veneto, ha difeso il suo territorio, io lo sto facendo altrettanto. Quindi non consento a nessuno, nemmeno ad un esponente del governo, di entrare in questo modo nella autonomia della regione e del consiglio regionale. Fatto ancora più grave, poi, è che l’intevento del ministro è arrivato mentre il provvedimento è in fase di approvazione". ALEMANNO: SOLIDALE CON RENATA - Interviene il sindaco di Roma per esprimere la sua solidarietà alla Polverini. "Il piano casa della Regione è in queste ore in discussione e credo che sia necessario aspettare e leggere il testo definitivo nella sua interezza prima di esprimere giudizi. In ogni caso, al Consiglio Regionale è affidata la competenza di adottare e licenziare un provvedimento così importante per tutti i cittadini come la legge sulla casa e sono sicuro che la Governatrice Polverini ha lavorato con serietà e competenza. A lei va la mia piena solidarietà per una polemica che, al momento attuale, non può essere giustificata", ha dichiarato Gianni Alemanno. 02 agosto 2011 17:09
L'assessore Granelli: sui parcheggi per disabili stiamo studiando un sistema a microchip Truffa dei pass, i mille invalidi fantasma In aumento le segnalazioni di abusi. Autorizzazioni rivendute o intestate a parenti defunti NOTIZIE CORRELATE I guai per i veri invalidi: "Gomme tagliate perché ho una bimba disabile" (30 giugno 2011) (Fotogramma) (Fotogramma) MILANO - Qualcuno li guarda da lassù mentre imboccano una corsia riservata e parcheggiano gratuitamente nel centro storico. Falsi invalidi nel nome del padre. Disabili su carta intestata e scaduta. Sono 968 i fantasmi su quattroruote, automobilisti che custodiscono il ricordo e conservano il pass d'un parente deceduto, ne sfruttano illegalmente i diritti e sfuggono ai controlli incrociati di Comune, Anagrafe, Asl e polizia locale: "È un comportamento odioso, inqualificabile, uno schiaffo a chi convive realmente con un handicap" denuncia Franco Bomprezzi, già portavoce dell'associazione Ledha e consulente della giunta Pisapia per la tutela delle fasce deboli. L'ultima frontiera degli sciacalli è stata appena valicata. Dieci persone hanno celebrato il funerale del congiunto e si sono precipitate alla centrale di piazza Beccaria, appena prima che gli agenti certificassero il decesso e aggiornassero il database, per ottenere il duplicato del contrassegno e il suo "trasferimento" su un'altra vettura di famiglia. Potevano? No. Era un raggiro. Sono stati denunciati per truffa. Dalle cronache giudiziarie emergono a ondate inchieste sull'utilizzo indebito dei lasciapassare nel traffico. Nell'ufficio Procedure sanzionatorie di via Friuli, secondo l'accusa della Procura, operava una cellula di agenti infedeli e spregiudicati. Sono stati i vigili urbani "puliti" a incastrare i colleghi "corrotti": diciassette ghisa gestivano - tra l'altro - un traffico di documenti clandestini direttamente dal Comando di Zona 2, avevano definito un tariffario, messo in coda i clienti, accontentato gli amici. Cento euro e la pratica era sbrigata. L'indagine è praticamente chiusa. I reati contestati sono pesantissimi. Corruzione e peculato. Gli automobilisti-truffatori s'infilano nelle maglie larghe dei controlli e nella rete delle competenze per vagolare sui confini del lecito. C'è chi denuncia d'aver smarrito il tagliando per ottenerne una copia (beccato), chi pretende un contrassegno per un parente di 99 anni o un malato talmente grave da potersi muovere solo in ambulanza, chi clona o fotocopia il cartoncino con una stampante a colori (presi), chi li ruba (226 certificati risultano "sottratti al proprietario" e altri sono 301 "scomparsi"), chi li rivende (dovrà rispondere del reato di ricettazione) e chi, più banalmente, utilizza la tessera in assenza del titolare disabile sul lato passeggero. Il perché è presto detto: il "bonus" invalidi libera le corsie preferenziali di autobus, tram e taxi (un passaggio su tre è "abusivo"), spalanca le zone a traffico limitato e l'area ecopass, consente di posteggiare gratuitamente nei posteggi a pagamento (strisce blu). Il neoassessore alla Polizia locale, Marco Granelli, ha ordinato agli agenti di insistere con le verifiche e bastonare i trasgressori: "Per i parcheggi riservati ai portatori di handicap stiamo invece studiando un sistema di microchip che identifichi la vettura sui 4.077 stalli personalizzati e lanci immediatamente l'allerta in caso di infrazione". In Comune sono registrati 21.229 pass auto per disabili. Il sistema elettronico del ticket antismog ha consentito, negli ultimi tre anni e mezzo, di ripulire almeno in parte gli elenchi e identificare centinaia di furbi: i contrassegni intestati a persone decedute sono progressivamente scesi dai 3.320 del 2009, ai 1.467 dell'anno dopo, fino ai 968 attuali. Ogni permesso è a termine. Ci sono quelli per invalidità permanente (durano generalmente cinque anni e sono rinnovabili) e quelli per invalidità temporanea (si va da una gamba rotta a patologie gravissime). Il problema è recuperarli alla scadenza. Il Comune spedisce una lettera a casa degli assegnatari "per segnalare la necessità di rinnovo o l'eventuale restituzione". Risposte? Poche. E dunque sospette. Per questo sono necessari gli screening periodici attraverso la Consulta per la disabilità, gli uffici anagrafici e la polizia locale: "Il settore Mobilità - spiegano dall'assessorato di Pierfrancesco Maran - aggiorna ogni quindici giorni il file con le targhe delle auto associate ai pass e depenna i tagliandi intestati ai deceduti, così la polizia può riconoscere e multare un veicolo parcheggiato abusivamente". Se vengono letti dalle telecamere antitraffico, i pass irregolari finiscono invece automaticamente cancellati dalla lista. E i fantasmi mitragliati di sanzioni telematiche. Armando Stella 02 agosto 2011 11:06
la strage alla stazione di bologna 31 anni fa: 85 morti e 200 feriti 2 Agosto, piazza strapiena Bolognesi: "Governo inqualificabile" Il presidente dell'associazione familiari delle vittime contro Berlusconi: "Ci feriscono attacchi alla magistratura da chi è stato iscritto alla P2". Napolitano: "Il ricordo previene rigurgiti di intolleranza" Il corteo a Bologna Il corteo a Bologna [NOTIZIE CORRELATE] -Giovanardi: "Basta menzogne". E dal Pdl romano: "Comizio di insulti" -2 Agosto, polemiche per l'assenza del governo (1/8) BOLOGNA - Non c’è, eppure è protagonista. Da Roma, come annunciato, non è arrivato nessun ministro per la commemorazione della strage alla stazione di Bologna. "Quest’anno come l’anno scorso, il governo non ha inviato alcun rappresentante istituzionale, è inqualificabile", ha detto dal palco di piazza Medaglie d’oro Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime: "La strategia sembra quella del silenzio, la volontà quella di far dimenticare". Poco dopo, dallo stesso palco, Virginio Merola: il governo "può non avere risposte, ma non si può mancare di rispetto", ha commentato il sindaco. Governo assente e criticato. Eppure la rappresentanza del mondo politico, quando ricorre il 31esimo anniversario della strage del 2 Agosto, è stata ridotta al minimo rispetto agli altri anni. Pochi i big di partito, assenti tutti i segretari nazionali. Parlamentari pochissimi. Si è visto Walter Vitali, ex sindaco sotto le Due Torri. David Sassoli, europarlamentare del Pd, ha spiegato: "Molti sono in parlamento, oggi è una giornata importante". Anche il governatore Vasco Errani ha lasciato presto la piazza per un impegno istituzionale improrogabile. E alla fine è toccato al sindaco Virginio Merola farsi carico della questione: "Mi scuso a nome dei parlamentari, che oggi sono impegnati a Roma". Due Agosto, Bologna ricorda Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti DAL PALCO - Ma se Merola scusa il parlamento, per il governo non ammette giustificazioni: "È vero che negli anni scorsi i fischi hanno colpito esponenti del governo", ma bisogna trovare il "coraggio e la responsabilità" per il "rispetto delle 85 vittime e dei 200 feriti" della strage. "È miope non avere l’intelligenza del cuore per vedere come questo giorno sia sentito da noi bolognesi", dice ancora riprendendo il Piccolo principe, affiancato questa volta alla Bibbia: "C’è un tempo per ogni cosa, come dice la Bibbia, arriverà il tempo della verità e della giustizia". E dopo aver ricordato il suo 2 Agosto di 31 anni fa, quando lavorava alle poste di via Bovi Campeggi, il sindaco ha proseguito: "Questa piazza dimostra ancora una volta quanto la memoria sia viva tra noi e quanto la solidarietà sia ben radicata. Qui siamo sempre in tanti a ripetere le due parole: verità e giustizia". BOLOGNESI - Poco prima, sul palco, Paolo Bolognesi ha pressato il governo sull’impegno, preso e mai mantenuto, di aprire gli armadi sulle stragi. Ha accusato poi Berlusconi: "Chi è stato iscritto alla P2 - ha tuonato Bolognesi - non dovrebbe dare giudizi sulla magistratura, accusandola di eversione". Ha lamentato trattamenti di favore per Fioravanti, Mambro e Ciavardini. E si è rivolto poi contro il sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Accusato prima della "squallida vicenda della parentopoli romana", che ha visto una "pattuglia di estremisti neofascisti raccomandati, piazzati da Alemanno nelle municipalizzate". Bolognesi ha criticato anche Alemanno per non aver "sentito l’esigenza di commemorare" il giudice Mario Amato a 30 anni dalla sua scomparsa, mentre ha intitolato a estremisti di destra. Spia, per Bolognesi, di un clima in cui "Fioravanti e i suoi sodali si sentono protetti e spalleggiati, coccolati da un clima a loro favorevole anche a livello istituzionale". LA GIORNATA - Se la politica si è fatta vedere poco, i cittadini hanno invece risposto in tanti, affollando via Indipendenza attraversata dal corteo che da piazza Nettuno si è diretto in stazione, dove il piazzale era pieno fino a viale Pietramellara. "2 agosto 1980: stazione di Bologna 85 morti 200 feriti" recitava lo striscione in testa, dietro i gonfaloni delle città, i familiari delle vittime, i sindaci in fascia tricolore e tante associazioni e semplici cittadini. Corteo silenzioso scandito dagli applausi fino a piazza Medaglie d’oro: "Mai più", un urlo forte e deciso, ma con il timbro delicato delle voci dei bambini e dei ragazzi, arrivava dall’aiuola di fronte alla stazione. A farlo i ragazzi della scuola di Pace di Monte Sole. Dal Palco Marco, 14 anni, e Farhana, 11, hanno letto i versi scritti per l’occasione da Roberto Roversi. Intervallati dai "mai più". Poi un minuto di silenzio, interrotto dai tre fischi del treno e dal lungo applauso. Ore 10.25. I ragazzi della scuola di Pace hanno lasciato andare in cielo 85 palloncini bianchi. 2 Agosto, immagini di una strage I primi scatti della tragedia I primi scatti della tragedia I primi scatti della tragedia I primi scatti della tragedia I primi scatti della tragedia I primi scatti della tragedia I primi scatti della tragedia INTERVENTI - "Il ricordo di quella strage è scolpito nella coscienza della Nazione e sollecita ogni giorno l’impegno civile dell’intera collettività nel prevenire qualsiasi rigurgito di intolleranza e di violenza", ha scritto il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ribadendo l’importanza della commemorazione per "l’ulteriore accertamento della verità storica e processuale". Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha ribadito "l'impegno costante di istituzioni e società civile a fare piena luce su una stagione di folle violenza terroristica", ricordando che "lo Stato ha il dovere di non lasciare mai soli i parenti delle vittime". Il presidente del Senato, Renato Schifani, ha ringraziato i familiari delle vittime per la "lotta all’oblio nel nome della verità". A Bologna c’era la figlia di Aldo Moro, Agnese. C’era la nipote del giudice Amato. Il sindaco di Bari, Michele Emiliano: "Abbiamo condiviso con questa città un dolore immenso, sproporzionato, incomprensibile. Abbiamo sottoscritto un gemellaggio che è per il futuro, senza dimenticare cosa è avvenuto il 2 agosto del 1980". Per il prefetto Angelo Tranfaglia "non mancherà l’impegno delle istituzioni, in primo luogo di governo e magistratura, e dobbiamo avere fiducia che anche a distanza di anni si possa dare finalmente ai familiari, alla città di Bologna e alla nazione una verità più completa". E l’eco delle proteste arriva anche a Montecitorio. Dai banchi di Udc, Pd e Idv si contesta l’assenza del governo: "Speriamo che ripari con un segnale di attenzione", dice la pd Sandra Zampa. Renato Benedetto 02 agosto 2011
2011-07-30 Le carte - Il ministro lasciò la foresteria della caserma già nel 2004 "Complotto" e conti della casa Il titolare del Tesoro sarà risentito I pm vogliono chiarimenti sulla presunta opera di "spionaggio". Milanese: mi disse che veniva spiato NOTIZIE CORRELATE Quello che il ministro ancora non ha detto S. Romano Tremonti: non ho bisogno di rubare (29 luglio 2011) Quello che Tremonti non ha detto di S. Romano (28 luglio 2011) Tangenti, accuse ad altri 5 politici. C'è Brancher. Il nome di Matteoli F.Sarzanini (29 luglio 2011) Giulio Tremoni e Marco Milanese (foto Imagoeconomica) Giulio Tremoni e Marco Milanese (foto Imagoeconomica) ROMA - Per due volte il ministro Giulio Tremonti è stato interrogato dai magistrati di Napoli, ma non ha mai raccontato di essere stato seguito o controllato. Né risulta che abbia mai presentato una denuncia su quello che ha invece rivelato ieri per giustificare la sua scelta di trasferirsi, due anni fa, nell'appartamento affittato dal suo consigliere politico, il parlamentare Pdl Marco Milanese: "Prima ero in caserma ma non mi sentivo più tranquillo. Nel mio lavoro ero spiato, controllato, pedinato. Per questo ho accettato l'offerta di Milanese". E dunque dovrà essere nuovamente ascoltato, soprattutto per chiarire diverse circostanze che al momento non trovano riscontro. Una su tutte: secondo quanto filtra dal comando generale della Guardia di finanza, il ministro ha lasciato l'alloggio in caserma - la foresteria di via Sicilia a Roma - nel luglio del 2004. Vale a dire, quasi cinque anni prima del trasloco dal suo collaboratore. Milanese e il "piano" Nell'indagine su Milanese - accusato di associazione a delinquere, corruzione e rivelazioni di segreto - il filone legato al ruolo del titolare dell'Economia torna dunque in primo piano. Anche perché rimangono discordanti le versioni su chi abbia effettivamente pagato il canone di quella casa, e questo ha già portato a una nuova contestazione di corruzione per lo stesso Milanese in concorso con Angelo Proietti (il costruttore che la ristrutturò e in cambio avrebbe ottenuto appalti dalla Sogei) e con l'ex presidente della Società generale informatica Sandro Trevisanato. Bisogna dunque tornare al 16 dicembre scorso, quando Tremonti viene convocato per la prima volta dal pubblico ministero Vincenzo Piscitelli. Risponde a tre domande sul ruolo di Milanese, ma nulla dice su possibili minacce o pressioni. Ne avevano invece riferito i giornali agli inizi di giugno e il 13 dello stesso mese, davanti ai pubblici ministeri Henry John Woodcock e Francesco Curcio che chiedono chiarimenti, Milanese afferma: "Ho visto il ministro Tremonti qualche giorno fa e mi ha detto che ha avuto uno sfogo con il presidente del Consiglio Berlusconi perché aveva saputo che lui, il ministro, era seguito o comunque negli ambienti politici si dice che stanno attuando il "metodo Boffo" anche nei suoi confronti, anche utilizzando le intercettazioni fatte nei miei confronti per le mie vicissitudini giudiziarie. E che quindi si utilizzi i miei problemi giudiziari per contrastare l' ascesa politica del ministro Tremonti. Lui mi ha ribadito che ha riferito a Berlusconi che stanno cercando "cose" per metterlo in difficoltà da un punto di vista politico. Ho capito che faceva riferimento anche alla Guardia di finanza e al generale Adinolfi come partecipanti al piano ordito nei suoi confronti". I conti per la casa Quanto basta perché i magistrati decidano di ascoltare la versione del diretto interessato, convocato alla Procura di Napoli quattro giorni dopo. Tremonti racconta la sua lite con Berlusconi, conferma di avergli "manifestato refrattarietà a campagne di stampa tipo quella "Boffo"" spiega che "quando dissi a Berlusconi "chiedi conferma ad Adinolfi" si trattava di uno sfogo non avendo io gli elementi per valutare i comportamenti di Adinolfi sotto il profilo deontologico". Ma non cita alcun episodio specifico che lo riguardi. A che cosa si riferisce dunque adesso, quando parla di caserme, pedinamenti e spiate? La scelta del ministro di effettuare una denuncia pubblica segue di qualche giorno la consegna della memoria difensiva di Milanese a Montecitorio. Nel documento, scritto con gli avvocati Franco Coppi e Bruno Larosa, il parlamentare afferma che Tremonti gli ha versato 1.000 euro a settimana in contanti per pagare l'affitto (che ammontava a 8.000 euro mensili) per un totale di 75.000 euro. Sino ad allora il ministro aveva dichiarato semplicemente di essere stato "ospite". A quanto risulta dagli atti processuali, per almeno due anni nessuno dei due avrebbe versato neanche un centesimo all'Ente proprietario del lussuoso appartamento. Lo scomputo dei lavori Il 28 giugno scorso viene interrogato da Piscitelli Alfredo Lorenzoni, il segretario generale del Pio Sodalizio dei Piceni, che afferma: "Milanese ha stipulato il contratto nel febbraio 2009 per l'appartamento di via di Campo Marzio che necessitava di lavori di circa 250/260 mila euro e concordammo l'esecuzione a suo carico per una cifra di 200 mila euro dal cui ammontare andava mensilmente scomputato il canone d'affitto". Il resto lo aggiunge il costruttore Proietti, che si incaricò dei lavori: "Fui io a far avere a Milanese un piccolo appartamento del Pio sodalizio dei Piceni e poi lui prese anche quello di via di Campo Marzio. Poiché doveva essere ristrutturato fissai il costo dei lavori in 200 mila euro e quella cifra riuscii a fargliela scalare dal canone. In realtà la ristrutturazione mi costò circa 50 mila euro, ma la feci a titolo gratuito". Dunque, se è vero che Tremonti ha versato 4.000 euro al mese, quei soldi potrebbero essere rimasti nella disponibilità di Milanese. Fiorenza Sarzanini 30 luglio 2011 10:35
2011-07-29 Hanno votato contro Pd, Idv, Udc, Mpa, Api e Fli Processo lungo, sì del Senato alla fiducia Allarme di Csm e Anm: "È inaccettabile" Il governo incassa il via libera. Il provvedimento torna alla Camera. Nitto Palma: nessun effetto deflagrante NOTIZIE CORRELATE LA SCHEDA: Cosa prevedono le nuove norme sul "processo lungo" Governo, fiducia all'allunga-processi (28 luglio 2011) Ministeri al Nord, scontro Lega-Napolitano. Berlusconi media (28 luglio 2011) Francesco Nitto Palma (Ansa) Francesco Nitto Palma (Ansa) ROMA - Il Senato ha approvato la fiducia al cosiddetto "processo lungo". Il ddl prevede l'inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo. Ma a creare scontro in aula sono state alcune norme introdotte a iter legislativo già avviato. In particolare, viene previsto che il difensore dell'imputato "ha la facoltà davanti al giudice di interrogare o fare interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico". Una prerogativa, questa, che viene vista come funzionale ad estendere i tempi di giudizio offrendo dunque maggiori possibilità di arrivare a prescrizione. Di qui la definizione di "processo lungo" (GUARDA le novità introdotte dal provvedimento). Secondo le opposizioni, di tale norma finirebbe col beneficiare in particolare Silvio Berlusconi nei processi che lo riguardano. Il governo incassa dunque 160 sì, mentre i no sono stati 139. Hanno votato contro Pd, Idv, Udc, Mpa, Api e Fli. A favore, Pdl, Lega e Coesione Nazionale. Il partito guidato da Antonio Di Pietro ha protestato in Aula con i deputati a reggere cartelli con la scritta: "Ladri di giustizia". Il provvedimento passa all'esame della Camera per l'approvazione definitiva. Venerdì è stato anche il giorno di esordio del neo ministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma. "Il processo lungo appena passato al Senato? Si dicono tante inesattezze" ha detto il neoministro commentando le polemiche. "Sul processo lungo c'è stata tanta discussione mediatica e tante inesattezze, ma non avrà nessun effetto deflagrante". Senato, la prima di Nitto Palma Senato, la prima di Nitto Palma Senato, la prima di Nitto Palma Senato, la prima di Nitto Palma Senato, la prima di Nitto Palma Senato, la prima di Nitto Palma Senato, la prima di Nitto Palma Senato, la prima di Nitto Palma CSM E ANM - Sul voto di fiducia, c'è l'allarme del Csm: il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Michele Vietti, considera che con il provvedimento sul cosiddetto "processo lungo" si vada "nella direzione opposta rispetto all'Europa". L'organo di autotutela dei magistrati, ha aggiunto Vietti, parlando con i giornalisti stamani a Torino, "ha presentato una risoluzione con le proprie valutazione su tali provvedimenti, che sono molto critiche. Abbiamo valutato di non votarlo su richiesta di alcuni componenti laici per consentire un miglior approfondimento; prendiamo atto che il governo non ha voluto fare lo stesso". Entrando nel merito, Vietti ha precisato che "le posizioni del Csm nei confronti dei provvedimenti sono molto critiche sotto il profilo delle sue ricadute sulla durata dei processi". "Siamo tutti impegnati in modo prioritario ad accelerarli - ha aggiunto - anche per tenere il passo con l'Europa. Questi provvedimenti - ha concluso - vanno esattamente nella direzione opposta". Assai critica anche l'Associazione nazionale dei magistrati. "La giustizia è una cosa seria - ha detto il presidente Luca Palamara -, ma purtroppo nell'ultimo periodo rischia di essere ridicolizzata: processo lungo, processo breve, la verità è che si vuole impedire di portare il processo a sentenza. È un favore ai criminali e si nega la giustizia alle vittime. È inaccettabile". LE REAZIONI- Non si sono fatte attendere le reazioni dei politici: "Dopo la sconfitta delle elezioni amministrative e del referendum il governo continua a emanare leggi ad personam con un'arroganza incredibile", spiega il senatore Svp Oskar Peterlini, spiegando il suo no alla fiducia. Mentre il capogruppo del Pd Anna Finocchiaro ironizza sull'assenza del premier: "All'assenza dall'approvazione della manovra qui al Senato si rispose dicendo che il presidente Berlusconi era scivolato su una saponetta. Mi chiedo se stamattina, vista la sua assenza, si sia strozzato con il dentifricio". Durante il dibattito, poco prima del voto, l'Italia dei Valori ha deciso per un blitz. Tutti i senatori hanno tirato fuori cartelli per protestare contro la norma. Ma il Pdl non ci sta e difende il provvedimento. "Abbiamo diritto di batterci per portare avanti un provvedimento in cui crediamo", aggiunge Maurizio Gasparri. Anche la Lega segue l'alleato. Sergio Mazzatorta: "Durante l'iter alla Camera quell'unico articolo è stato modificato aggiungendo altri 5 articoli che, secondo l'Anm, avrebbero generato problemi di carattere processuale. Abbiamo qui accolto quei rilievi. Questo testo garantisce la certezza della pena dell'ergastolo". Redazione online 29 luglio 2011 19:35
2011-07-28 il massimo organismo giuridico dell'ue conferma una precedente sentenza La Corte di giustizia dà torto a Mediaset: "Gli incentivi ai decoder aiuti di Stato" Dovrà restituire circa 220 milioni di euro e i vantaggi economici derivanti dall'aumento di share NOTIZIE CORRELATE Serviva davvero passare al digitale terrestre? Tv digitale: troppi disagi Il digitale: il grande business La corte di giustizia Ue ribadisce la sentenza sui decoder per il digitaele terrestre La corte di giustizia Ue ribadisce la sentenza sui decoder per il digitaele terrestre MILANO - Altra tegola su Mediaset, alle prese anche con la crisi di Endemol. La Corte di giustizia dell'Unione europea ha ribadito che Mediaset dovrà rimborsare lo Stato per gli aiuti erogati negli anni scorsi per l'acquisto dei decoder. La Corte ha quindi respinto il ricorso presentato dall'azienda televisiva dopo la sentenza dell'anno scorso. E ha perciò confermato che i contributi italiani per l'acquisto dei decoder digitali terrestri nel 2004 e 2005 "costituiscono aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune. Le emittenti radiotelevisive che hanno beneficiato indirettamente degli aiuti di Stato sono tenute a rimborsare le somme corrispondenti ai vantaggi in tal modo ottenuti". Mediaset dovrà rimborsare non solo i 220 milioni di euro del contributo dello Stato, ma anche i vantaggi economici conseguenti all'aumento dello share causato dall'operazione. LA SENTENZA UE - Con la legge finanziaria del 2004 - si ricorda nel dispositivo - l'Italia ha concesso un contributo pubblico di 150 euro ad ogni utente del servizio di radiodiffusione che acquistasse o noleggiasse un apparecchio per la ricezione, in chiaro, dei segnali televisivi digitali terrestri. Il limite di spesa del contributo è stato fissato a 110 milioni. La legge finanziaria del 2005 ha reiterato tale provvedimento nello stesso limite di spesa di 110 milioni, riducendo tuttavia il contributo per ogni singolo decoder digitale a 70 euro. Il consumatore che avesse però scelto un apparecchio che consentisse esclusivamente la ricezione di segnali satellitari non poteva ottenere il contributo: contro i contributi le emittenti televisive Centro Europa 7 e Sky Italia hanno inoltrato esposti alla Commissione. Con la decisione del 2007, Bruxelles osservava, in effetti, che detti contributi costituivano aiuti di Stato a favore delle emittenti digitali terrestri che offrivano servizi televisivi a pagamento nonché degli operatori via cavo fornitori di servizi televisivi digitali a pagamento, ordinando il recupero degli aiuti. Mediaset ha allora presentato un ricorso ma, nel giugno del 2010, il Tribunale lo ha respinto, confermando che il contributo costituiva un vantaggio economico a favore delle emittenti terrestri. Giovedì anche la successiva impugnazione di Mediaset è stata respinta. Ora "spetterà al giudice nazionale fissare l'importo dell'aiuto da recuperare sulla base delle indicazioni delle modalità di calcolo fornite dalla Commissione". Redazione online 28 luglio 2011 15:57
la replica all'editoriale di sergio romano domani sul corriere della sera Tremonti e le richieste di dimissioni "Mi sono già dimesso da inquilino" Una battuta del ministro sulla casa romana e sulle dichiarazioni del suo ex consigliere, Marco Milanese MILANO - "Dimissioni? Mi sono già dimesso da inquilino". Il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, replica con una battuta a chi ipotizza le sue dimissioni per le vicende legate all'inchiesta sul suo ex consigliere Marco Milanese che ha dichiarato di aver ricevuto mille euro alla settimana in contanti dal ministro per l'uso della sua casa nel centro di Roma. Alla conferenza stampa alla Cassa Depositi e Prestiti, il ministro ha aggiunto che risponderà "domani sul Corriere della Sera all'ambasciatore Sergio Romano" che nell'editoriale pubblicato oggi sul Corriere gli ha chiesto di spiegare la sua posizione. Redazione online 28 luglio 2011 17:31
UN CHIARIMENTO NECESSARIO Quel che Tremonti non ha detto I pagamenti in nero sono il male oscuro dell'economia nazionale. Quanti italiani possono affermare di non avere mai ceduto alla tentazione, magari per spese modeste e cose di poco conto? Quanti possono lanciare la prima pietra senza peccare d'ipocrisia? Ma la colpa è molto più grave se attribuita a persone che hanno l'obbligo istituzionale di esigere correttezza fiscale, di fissare le regole e di punire coloro che non le osservano. Temo che il caso del ministro dell'Economia, se i sospetti delle scorse ore sui pagamenti effettuati per l'affitto del suo appartamento romano avessero qualche fondamento, apparterrebbe a questa categoria. Giulio Tremonti è stato in questi anni il custode dei conti pubblici, il cane mastino della finanza nazionale. Ha esercitato le sue funzioni con un rigore e una tenacia che hanno suscitato l'approvazione di Bruxelles e contribuito alla credibilità dell'Italia nelle maggiori istituzioni internazionali. Alcuni colleghi di governo lo accusano di averlo fatto con criteri automatici (i "tagli lineari") che non tengono alcun conto delle differenze che certamente esistono fra i diversi contribuenti e i diversi organi pubblici colpiti dalla stretta fiscale. Ma chiunque abbia la benché minima familiarità con le abitudini politiche nazionali sa che cosa accade quando un progetto di legge finanziaria diventa materia di negoziati estenuanti e di ritocchi progressivi. Può darsi che Tremonti abbia messo nell'operazione alcuni tratti del suo "cattivo carattere" e una certa dose di narcisismo intellettuale. Ma nessun osservatore in buona fede può dimenticare quali sarebbero in questo momento le condizioni della finanza italiana sui mercati internazionali se la sua volontà non avesse prevalso. Il suo stile, tuttavia, gli ha creato nemici a cui non spiacerà sostenere, nei prossimi giorni, che anche il cerbero dei conti pubblici ha il suo tallone d'Achille. Il caso del ministro che paga in nero per un appartamento forse addirittura al centro di un'imbrogliata vicenda di favori e appalti rischia di diventare l'arma preferita dei suoi avversari. Qualcuno potrebbe persino sostenere che Tremonti è il nostro Murdoch. Se il magnate della stampa anglo-americana pretende di censurare i governi dall'alto della sua cattedra, ma compra le notizie corrompendo la polizia e intercettando le telefonate della gente, che cosa dire di un ministro dell'Economia e delle Finanze che pretende di tassare i suoi connazionali, ma accorda a se stesso un trattamento di favore? Tremonti dovrebbe rompere la spirale dei sospetti e parlare con franchezza ai suoi connazionali. Non deve permettere che questa infelice vicenda diventi l'ennesimo scandalo della vita pubblica nazionale e contribuisca ad accrescere la sfiducia del Paese per la sua classe politica. Ci dica che cosa è realmente accaduto e, se ha commesso un errore di giudizio o un peccato di distrazione, non tema di scusarsi pubblicamente. Lo faccia per se stesso e nell'interesse di un Paese che, soprattutto in questo momento, ha bisogno di un ministro dell'Economia serio e credibile. Sergio Romano 28 luglio 2011 10:40
un favore dopo l'ottenimento degli appalti Sogei. E un occhio di riguardo dalle Entrate L'affitto di Tremonti e le carte sugli appalti Le rivelazioni di Di Lernia: "La casa abitata dal ministro in via Campo Marzio era pagata dal costruttore Proietti" NOTIZIE CORRELATE Appalti e favori, Sogei nella bufera (23 luglio 2011) Milanese: darò ai pm le mie cassette di sicurezza (19 luglio 2011) Il voto sull'arresto di Milanese? "Lascerei libertà di coscienza" (14 luglio 2011) Lepore: "Tremonti non è indagato" (13 luglio 2011) Il ministro Giulio Tremonti e il deputato Pdl Marco Milanese (Ansa) Il ministro Giulio Tremonti e il deputato Pdl Marco Milanese (Ansa) ROMA - L'affitto dell'appartamento di via di Campo Marzio, occupato fino a qualche settimana fa dal ministro Giulio Tremonti, sarebbe sempre stato pagato da Angelo Proietti, il titolare della società Edil Ars che lo aveva ristrutturato gratuitamente e aveva ottenuto appalti dalla Sogei. I soldi sarebbero stati consegnati a Marco Milanese, il parlamentare pdl ex consigliere politico dello stesso ministro, accusato di associazione a delinquere, corruzione e violazione di segreto. A raccontarlo ai magistrati di Roma è Tommaso Di Lernia, l'imprenditore arrestato con l'accusa di aver pagato il leasing della barca di Milanese con un sovrapprezzo di oltre 200 mila euro in cambio di "commesse" dell'Enav. E poi dichiara che Tremonti - che al momento non risulta indagato - avrebbe ceduto al "ricatto" del consulente di Finmeccanica Lorenzo Cola, che chiese e ottenne la conferma di Pierfrancesco Guarguaglini alla presidenza della holding. Rivelazioni clamorose che i magistrati stanno adesso verificando, tenendo conto che Di Lernia sostiene pure di aver evitato una verifica fiscale grazie "all'intervento di Milanese su Befera", il direttore dell'Agenzia delle Entrate. Il canone della casa È l'11 luglio scorso. Nel carcere di Regina Coeli, dove è detenuto proprio per l'inchiesta sulla barca pagata a Milanese, Di Lernia - dopo aver ricostruito i passaggi dei versamenti - afferma: "Parallelamente sentii parlare di questo Milanese da Guido Pugliesi (amministratore delegato di Enav, ndr ) che da una parte era stanco delle pressioni e dei richiami che Milanese gli aveva fatto per Fabrizio Testa da nominare a Tecno Sky, ma che mi chiedeva anche di far lavorare un certo Angelo Proietti ai subappalti di Palermo che Cola aveva già deciso fossero affidati a Electron di Finmeccanica e a me. Presi tempo con Pugliesi e ne parlai con Cola il quale mi disse che Proietti era il soggetto che Milanese gli aveva descritto come "il tipo che mi dà 10.000 euro al mese per pagare l'affitto a Tremonti. Mi disse di dire a Pugliesi che lo avrebbe fatto chiamare da Milanese e avrebbero instaurato un rapporto amicale e comunque a Proietti in un immediato futuro Selex gli avrebbe dato lavori a Milano". Il 7 luglio scorso, dopo aver annunciato che avrebbe lasciato la casa "per ovvi motivi di opportunità", Tremonti ha spiegato di aver "accettato l'offerta fattami dall'onorevole Milanese per l'utilizzo temporaneo di parte dell'immobile nella sua piena disponibilità e utilizzo", lasciando intendere di essere stato ospite. Versione diversa da quella contenuta nel memoriale scritto con i suoi legali Franco Coppi e Bruno Larosa e consegnato a Montecitorio due giorni fa da Milanese che nel documento afferma: "Il ministro ha corrisposto, quale partecipazione all'affitto dell'immobile, a partire dalla seconda metà del 2008, la somma mensile di circa 4.000 euro. Settimanalmente e in contanti mi ha corrisposto circa 75.000 euro complessivi". Adesso sarà il pubblico ministero Paolo Ielo a dover effettuare ulteriori accertamenti per stabilire chi davvero abbia pagato quella casa, anche tenendo conto che Proietti è stato iscritto nel registro degli indagati per corruzione insieme a Milanese e all'ex presidente di Sogei Sandro Trevisanato, proprio perché avrebbe ottenuto l'assegnazione degli appalti a trattativa privata in cambio di soldi e favori. Il blitz dal ministro Il secondo capitolo affrontato da Di Lernia riguarda Finmeccanica. Dichiara nel verbale: "Nel giugno 2010 Cola mi chiamò e mi disse "sono dispiaciuto per aver fatto fare l'acquisto della barca a quel verme" alludendo a Milanese perché disse che il tizio (Milanese, ndr ) stava sostenendo la candidatura di Flavio Cattaneo a Finmeccanica invece di Guarguaglini, in più aveva saputo che aveva fatto estorsioni a persone di Napoli facendo l'inverso di quanto promesso e che Tremonti non rispondeva alle chiamate telefoniche di Guarguaglini. Lo stesso Cola mi diceva che questa storia non la mandava proprio giù e avrebbe da lì a poco organizzato un blitz dal ministro mostrandogli l'evidenza e la portata delle porcate commesse da lui e dai suoi consiglieri e che di sicuro avrebbe cambiato idea sui vertici di Finmeccanica. Dopo poco tempo Massimo De Cesare (il socio anche lui arrestato per la vicenda della barca, ndr ) mi riferisce che Milanese, per tramite di Fabrizio Testa, volle dirmi che Guarguaglini sarebbe stato riconfermato e da lì a qualche giorno Tremonti gli avrebbe telefonato. Infatti Cola mi disse che il blitz era andato a buon segno". Anche su questo i magistrati stanno effettuando verifiche soprattutto tenendo conto che Cola, indicato come il vero "braccio destro" di Guarguaglini, collabora da tempo con il pubblico ministero Ielo e ha già svelato il "sistema" che avrebbe consentito di emettere fatture false in favore delle aziende del Gruppo Finmeccanica ed Enav per creare "fondi neri" e così pagare tangenti a politici e manager. La "verifica" annullata Di Lernia sostiene di aver incontrato successivamente Proietti nell'ufficio di Pugliesi che lo invitava a chiudere la storia della barca. E spiega: "Dissi a Proietti che avevo bisogno di un favore da Milanese e lui mi diede appuntamento nel suo ufficio il giorno dopo. Lo vidi due giorni dopo portando con me tutto un incartamento riguardante un accertamento dell'Agenzia delle Entrate sulla mia società "Print Sistem" riferito al 2005. Gli dissi che non volevo favoritismi ma solo una buona parola ai fini di una verifica fiscale "serena" poiché avevo denunciato la stessa Agenzia per altre vicende e avevo paura di un accanimento nei confronti della società che amministro. Tre giorni dopo Proietti mi diede appuntamento a piazza del Parlamento e mi disse di stare tranquillo perché Milanese aveva parlato con Befera e mi assicurava nessun accanimento". È possibile che si decida di acquisire gli atti presso l'Agenzia delle Entrate proprio per stabilire quale fosse la reale portata della verifica e se Milanese abbia effettuato un intervento sul direttore che, a questo punto, potrebbe anche essere ascoltato come testimone. Il pranzo e le nomine Del resto l'influenza del consigliere politico del ministro sui dirigenti degli Enti che fanno capo al Tesoro è già emersa negli accertamenti su Sogei. Durante i controlli, i magistrati hanno scoperto che l'avvocato Luigi Fischetti - il legale che a metà di dicembre scorso ospitò l'ormai famoso pranzo con il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo - è stato nominato componente dell'Organismo di Vigilanza di Sogei, nonostante fosse il difensore del costruttore Proietti assegnatario di numerosi appalti. Un'incompatibilità che lui dice di aver "superato lasciando le riunioni quando si parlava del mio cliente, come dimostrano i verbali", ma su questa circostanza sono tuttora in corso riscontri. Ieri il capo della Procura di Roma ha chiesto ai colleghi napoletani la trasmissione degli atti che riguardano il pranzo a quattro: oltre a Capaldo e Fischetti, Milanese e Tremonti. Un "incontro conviviale" l'ha definito il deputato del Pdl, ma la procura generale presso la Corte d'appello della Capitale ha avviato un'istruttoria per verificare eventuali profili disciplinari: all'epoca Capaldo era infatti l'aggiunto titolare dell'inchiesta su Finmeccanica e alcuni indagati avevano già verbalizzato accuse contro Milanese. "Non sapevo che Milanese era invitato", ha sostenuto lo stesso Capaldo ma questo potrebbe non essere sufficiente ad evitargli il procedimento e le ulteriori verifiche avviate anche dalla procura di Perugia. La scorsa settimana il capo dell'ufficio umbro ha incontrato i colleghi di Napoli, che però negano di aver già affrontato con lui questa vicenda. Fiorenza Sarzanini 28 luglio 2011 11:52
Non passa la richiesta dei pm sull'utilizzo delle intercettazioni di Denis Verdini Arresto di Milanese, la Camera rinvia Bossi: "Tremonti non si deve dimettere" "La sua è stata una stupidaggine, resti al suo posto". La decisione sul collaboratore del ministro slitta a settembre NOTIZIE CORRELATE L'affitto di Tremonti e le carte sugli appalti (28 luglio 2011) Il deputato Pdl, Marco Milanese (Ansa) Il deputato Pdl, Marco Milanese (Ansa) ROMA - La Giunta per le Autorizzazioni di Montecitorio ha dato all'unanimità il proprio benestare alla richiesta dei pm di Napoli di aprire le cassette di sicurezza sequestrate al deputato del Pdl Marco Milanese e all'utilizzo dei tabulati telefonici per ricostruire i suoi rapporti con la Guardia di finanza. Ma a maggioranza - con i voti di Pdl, Lega e Udc - ha deciso di acquisire nuovi documenti relativi alla richiesta di arresto del parlamentare azzurro, già stretto collaboratore del ministro dell'Economia giulio Tremonti, rinviando la decisione finale a dopo la pausa estiva. La giunta infatti ha anche deciso una proroga che dovrà essere "sciolta" entro il 16 settembre. Entro quella data la giunta dovrà indicare per l'Aula la sua scelta a favore o contro l'arresto del deputato. Sulla questione delle cassette di sicurezza e sui tabulati l'Aula della Camera potrebbe invece votare già martedì prossimo. La decisione spetta ora alla conferenza dei capigruppo della Camera. La decisione di rinviare a dopo l'estate il pronunciamento sull'arresto è stata contestata dal Pd, secondo cui ci sarebbero stati i necessari tempi di discussione e votazione per liquidare la questione prima della pausa estiva. "TREMONTI? NON DEVE LASCIARE" - Intanto, mentre da più parti di ipotizza un possibile passo indietro esattamente come fece Claudio Scajola, a difendere Giulio Tremonti è sceso in campo il leader della Lega, Umberto Bossi. Il Senatùr ha detto di non volere entrare nel merito della vicenda, ma ha sottolineato che "Tremonti è uno che sicuramente controlla sempre che non gli crolli il soffitto sulla testa e non si è accorto di una buccia di banana". E visto che si tratta di "una stupidaggine" e di "una superficialità" e "non di un fatto grave", per il capo leghista l'idea di dimissioni del ministro, da sempre anello di congiunzione tra il Carroccio e il resto del centrodestra, non deve neppure essere presa in considerazione. Alla domanda dei cronisti su come si comporterà la Lega in merito alla autorizzazione all'arresto di Marco Milanese, Bossi ha glissato: "Ci penseremo il 15 settembre". IL NO PER VERDINI - La Giunta per le autorizzazioni, nella stessa seduta, ha poi detto no, a maggioranza, all'acquisizione delle intercettazioni di Denis Verdini chiamato in causa nell'inchiesta del G8. Verdini, anche ieri in giunta, si era espresso a favore dell'acquisizione della documentazione telefonica che lo riguarda. MILANESE AL CONTRATTACCO - Milanese, dal canto suo, ha annunciato che denuncerà per calunnia l'imprenditore Tommaso di Lernia, per alcune dichiarazioni rese ai magistrati romani e pubblicate oggi da alcuni quotidiani, tra cui il Corriere della Sera. Una nota dei legali Franco Coppi e Bruno Larosa spiega che Milanese, "a seguito delle odierne notizie giornalistiche relative alle dichiarazione del Di Lernia, smentisce categoricamente ogni sua affermazione e informa di aver dato mandato di presentare una denuncia per calunnia affinché l'autorità giudiziaria finalmente smascheri la macchinazione messa in atto nei suoi confronti da gente senza scrupoli e non si limiti a raccogliere dichiarazioni calunniose spesso tra loro contrastanti ed inconciliabili". Di Lernia - in carcere con l'accusa di corruzione nell'ambito di un'inchiesta su alcuni appalti Enav - ha detto ai magistrati romani che l'affitto della casa in cui abitava Tremonti quando si trovava a Roma, e nella disponibilità di Milanese, sarebbe stato pagato dall'imprenditore Angelo Proietti che in cambio avrebbe ricevuto subappalti. Redazione Online 28 luglio 2011 16:36
"L'indagato si è limitato a negare l'attendibilità delle affermazioni" Papa resta in carcere: "Non convince la tesi del complotto di Bisignani" Le motivazioni del gip nel respingere la domanda di scarcerazione/arresti domiciliari del deputato Pdl NOTIZIE CORRELATE Il gip: "C'è ancora pericolo di fuga, Papa non può uscire dal carcere" (27 luglio 2011) Alfonso Papa alla Camera (Ansa) Alfonso Papa alla Camera (Ansa) MILANO - Non convince la tesi sostenuta da Alfonso Papa di un complotto ordito da Luigi Bisignani ai suoi danni. È la convinzione del giudice per le indagini preliminari, Luigi Giordano, nel provvedimento con cui respinge l'istanza di scarcerazione o di concessione degli arresti domiciliari nei confronti di Papa. Iil gip scrive che "l'indagato si è limitato a negare l'attendibilità delle affermazioni raccolte dai pm senza indicarne convincenti ragioni o significativi motivi di astio e di rancore che possono averle determinate, se non alludere a un intervento di Bisignani. Non si è compreso in altri termini", scrive Giordano, "per quale motivo Bisignani" e altre quattordici persone "avrebbero reso dichiarazioni accusatorie nei confronti di Papa. Né è stata indicata quale fosse la causa di una tale azione da parte di Bisignani o quale credibile vantaggio costui intendesse conseguire riferendo spontaneamente ai pm le condotte di Papa". Il gip, inoltre, ha negato la revoca della misura cautelare per Papa sostenendo che non vi sono elementi per "ritenere diminuito il pericolo di inquinamento probatorio" e che non si può ritenere "che sia attenuato o scemato il pericolo di reiterazione dei reati". "DICHIRAZIONI INVEROSIMILI" - Il gip si sofferma sull'uso da parte di Papa di un telefono intestato a una donna del tutto estranea. "Il parlamentare ha reso dichiarazioni inverosimili. Si è limitato a dire di non sapere che una scheda mobile deve essere intestata a una persona, salvo poi lamentarsi che sarebbe stato intercettato sull'utenza registrata alla propria persona: dunque è ben conscio della differenza tra l'utilizzo del telefono intestato alla sua persona e quello di utenze intestate a terzi". Secondo il gip, Papa "non ha spiegato perché un parlamentare, che gode delle prerogative assicurate dall'art. 68 della Costituzione, abbia bisogno di telefoni intestati a persone ignare correndo in tal modo il rischio di essere intercettato". Redazione online 28 luglio 2011 16:31
di pietro: "serve una mobilitazione, vogliono allungare decine di migliaia di processi" Governo, fiducia sull'allunga-processi Napolitano: "Politica troppo divisa" L'esecutivo si blinda sul ddl, l'opposizione: "Inaccettabile, il governo si assume una responsabilità grave" NOTIZIE CORRELATE Napolitano: sui ministeri al Nord dubbi e rilievi Berlusconi teme per la tregua con la Lega Una veduta della Camera dei deputati Una veduta della Camera dei deputati MILANO - Mentre il Colle invita all'unità, in un'Italia sotto attacco speculativo dei mercati (giovedì mattina ha avuto buon esito l'asta per i btp decennali, ma cresce a dismisura il differenziale di rendimento tra i nostri titoli di stato e quelli tedeschi) il governo ha posto la fiducia sul disegno di legge del processo lungo che è stato fissato per venerdì alle ore 10. Lo ha annunciato il ministro per i Rapporti con il Parlamento Elio Vito al Senato al termine della discussione generale sul provvedimento. La seduta è stata immediatamente sospesa per consentire la riunione della Conferenza dei capigruppo di palazzo Madama. Il voto blindato da fiducia non consente all'opposizione la presentazione di emendamenti, limitando al minimo la corrente dialettica parlamentare. L'OPPOSIZIONE - Immediata la levata di scudi del Pd. "Se il governo si assume la grave responsabilità di mettere la fiducia su un provvedimento di natura parlamentare come quello sul processo lungo, è necessario che il neoministro della Giustizia Nitto Palma venga subito in Senato a spiegare il motivo. Una decisione del genere, assolutamente ingiustificata non si spiega se non con la necessità di salvare il presidente del Consiglio da uno dei suoi tanti processi. È una cosa inaccettabile. E tutto questo avviene nel silenzio più totale e nel totale asservimento della Lega ai bisogni del premier", dice la presidente dei senatori del Pd, Anna Finocchiaro. E continua: "In una situazione del Paese gravissima, testimoniata anche oggi dalle notizie sulla Borsa in cui servirebbe un clima politico positivo e costruttivo, ci troviamo invece di fronte a un governo e una maggioranza di irresponsabili che, per gli interessi di un premier disperato, ancora una volta umiliano il Parlamento, la giustizia, il nostro Paese". Il leader di Italia dei valori, Antonio Di Pietro, chiama "subito alla mobilitazione di massa contro il governo". "Se il buongiorno si vede dal mattino - ha affermato Di Pietro - siamo proprio messi male, visto che nel suo primo giorno da ministro Nitto Palma si è reso complice di azioni a tutela della criminalità e non della giustizia. Infatti, oggi, con la fiducia posta al ddl sul processo lungo, peraltro d'iniziativa parlamentare e su cui il governo avrebbe fatto meglio a non metterci becco, l`esecutivo e la maggioranza dimostrano che per risolvere i problemi del ben noto imputato sono disposti ad allungare, fino all`inverosimile, decine di migliaia di procedimenti per non farli arrivare a sentenza". IL MONITO DEL QUIRINALE - "La politica oggi appare debole, irrimediabilmente divisa e incapace di scelte coraggiose, coerenti e condivise". Lo ha detto il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, al convegno sulla Giustizia a palazzo Giustiniani, sottolineando la necessità di "uno scatto e di una svolta non foss'altro per un istinto di sopravvivenza nazionale". E sulla giustizia Napolitano ha detto di voler "mettere a fuoco il punto critico insostenibile cui è giunta la questione deviata da conflitti fatali tra politica e magistratura". LA LETTERA DEL COLLE - "Berlusconi ci ha parlato di questa lettera che gli ha inviato Giorgio Napolitano, che ci darà. L'ha posta alla nostra attenzione e ne discuteremo". Lo ha detto il ministro dell'Agricoltura Francesco Saverio Romano, dopo il Consiglio dei ministri. Secondo quanto riferiscono fonti di governo, però, sarebbe stato Gianni Letta a informare i ministri del'intenzione di distribuire la lettera per riflettere sulle parole del capo dello Stato. Di certo c'è che la riflessione in consiglio dei ministri promessa ieri dal premier a Giorgio Napolitano non c'è stata, essendo solo stata annunciata l'intenzione di distribuire la missiva per avviare poi una riflessione. Il 'quandò è ancora da stabilire. Redazione online 28 luglio 2011 16:30
L'INCHIESTA Lele Mora, Fede indagato per concorso in bancarotta Il direttore avrebbe trattenuto la metà del prestito di Berlusconi per evitare il fallimento della società di Mora NOTIZIE CORRELATE Bancarotta fraudolenta, arrestato Mora: "Soldi in Svizzera, poteva fuggire" (20 giugno 2011) Il prestito a Lele Mora. La mediazione di Fede: "Io ne tengo un terzo", di L. Ferrarella (18 gennaio 2011) Fede: "Me ne andrò dal Tg4 quando se ne andrà Berlusconi" (21 giugno 2011) Emilio Fede (Emblema) Emilio Fede (Emblema) MILANO - Emilio Fede è stato iscritto nel registro degli indagati per il reato di concorso in bancarotta di Lele Mora. I due, insieme a Nicole Minetti, sono accusati anche di induzione e favoreggiamento alla prostituzione nel caso di Karima "Ruby" El Mahroug. Il direttore del Tg4 nei giorni scorsi ha ricevuto un invito a comparire ed è stato sentito dai pubblici ministeri, Massimiliano Carducci ed Eugenio Fusco. LA VICENDA - Emilio Fede è stato coinvolto nell’inchiesta perché avrebbe trattenuto parte dei 2.950.000 euro che Silvio Berlusconi aveva prestato a Mora nel 2010 per ripianare i suoi debiti ed evitare il crack. Le versioni di Fede e Mora non solo divergono, ma sono state ritenute dagli investigatori del tutto contrastanti. Secondo quanto trapela, Fede avrebbe dichiarato di aver preso 400 mila euro in restituzione di un precedente prestito. Mora invece nel corso di due diversi interrogatori, l’ultimo dei quali si è tenuto oggi, avrebbe sostenuto che il direttore ha trattenuto per sé poco meno della metà del totale del prestito, erogato in tre diverse tranche. In ogni caso, i pm contestano a Fede di aver sottratto parte dei soldi proprio nel gennaio 2010, durante i 30 giorni concessi dal giudice fallimentare a Mora per trovare una soluzione utile a evitare il crack, dopo che il fascicolo sulla LM Management era stato trasmesso da Bergamo a Milano. Lo proverebbe una scrittura privata agli atti dell’inchiesta. Proprio il 19 gennaio, infatti, Mora aveva ricevuto assegni per 950 mila euro, viene ricostruito nell’ordinanza di arresto a suo carico. Avrebbe poi ricevuto due assegni per un totale di 1 milione il 18 marzo e ancora 1 milione il 19 ottobre. Le versioni di Fede e Mora divergono inoltre sul fatto che Berlusconi avrebbe promesso a Mora un ulteriore prestito, perché l’agente temeva di finire in carcere come poi è accaduto. Fede avrebbe negato che questo sia accaduto. Per accertare dove stia la verità, la procura ha disposto ulteriori accertamenti che si aggiungono alla documentazione acquisita tramite rogatoria a Lugano. Redazione online 28 luglio 2011 16:00
I verbali deLl'inchiesta di Monza "Penati mi disse di versare al partito" Il costruttore Pasini: Di Caterina suo amico, raccoglieva tangenti per lui NOTIZIE CORRELATE Inchiesta ex Falck, la procura di Monza chiede le carte del caso Serravalle (27 luglio 2011) Penati: "Non ho conti all'estero. I miei accusatori? Tutti indagati" (26 luglio 2011) Penati lascia tutte le cariche nel Pd. "Innocente, faccio due passi indietro" (25 luglio 2011) Di Caterina: "Soldi anche al partito di Penati" Consiglio regionale, passo indietro di Penati. "Ma sono innocente" Pasini, il grande accusatore: chi ha sbagliato ora paghi (21 luglio 2011) Protagonisti e comprimari, vent'anni di politica giocata sull'area ex Falck (21 luglio 2011) Penati: "Sono sereno, non ho nulla da temere" (20 luglio 2011) Ex Falck, Filippo Penati indagato per corruzione e concussione (20 luglio 2011) MILANO - "Quello di cui sono assolutamente certo - scandisce ai pm il costruttore Giuseppe Pasini - è che ho pagato 4 miliardi di lire in due tranche a Di Caterina all'estero perché così mi era stato chiesto da Penati in relazione all'approvazione del piano regolatore dell'area Falck di Sesto". Pur coperti da una pioggia di omissis, ecco gli interrogatori di Pasini e dell'imprenditore del trasporto urbano Piero Di Caterina, dai quali è nata tutta l'inchiesta sull'ex sindaco ds di Sesto San Giovanni e dimessosi vicepresidente pd del consiglio regionale lombardo Filippo Penati. Filippo Penati (Fotogramma/Grosso) Filippo Penati (Fotogramma/Grosso) Pasini, nel 2007 candidato del centrodestra a Sesto, nel 2000 era il costruttore che stava per acquistare dai Falck l'area delle ex acciaierie. "Io - ricorda ai pm - sono andato a chiedere a Penati se, nel caso avessi comprato l'area Falck, era possibile arrivare a una licenza. Penati mi disse che avrei dovuto dare qualcosa al partito ovvero a qualcuno. A tal fine ho incontrato Penati in Comune nel 2000", il quale "mi disse che l'operazione mi sarebbe costata 20 miliardi di lire in tranche di 4 miliardi l'una. Mi disse anche che a prendere accordi con me sarebbe venuto Di Caterina" che, "all'epoca molto amico dell'amministrazione e in particolare di Penati, aveva il compito di portare a casa dei quattrini". Per chi? "Penati non mi disse che i soldi servivano per qualche personaggio politico più in alto, ma ho immaginato che questo potesse essere perché tutti erano interessati all'operazione". Sul pagamento dei 4 miliardi, Pasini spiega di aver fatto a se stesso (conto "Pinocchio") un bonifico in Lussemburgo su Banca Intesa: "Ho ritirato in contanti 2 miliardi che la banca mi aveva già preparato in una valigetta". Soldi dati a Di Caterina, "non ricordo se venne e ritirò personalmente o se su indicazione versai su un conto a lui riconducibile". Sei mesi dopo Pasini dice di aver pagato gli altri 2 miliardi, "veicolati sulla Svizzera perché ho un ricordo di un viaggio fatto in macchina con mio figlio Luca per andare a Chiasso o a Lugano". Poi "ci sono state altre occasioni in cui, su richiesta di Penati, ho consegnato somme in contanti in Italia a Giordano Vimercati (in seguito capo di gabinetto di Penati presidente della Provincia di Milano), approssimativamente equivalenti a 500.000 euro tra fine anni 90 e inizi del 2000, dazione che potrebbe riferirsi all'area Marelli". Per la quale, a suo dire, c'era già stata una tangente: "Penati mi disse che era "indispensabile" fare una uscita verso via Adriano, la qual cosa avrebbe necessariamente comportato l'acquisto da parte mia del terreno di proprietà di Di Caterina", che "in cambio volle la cessione di un mio terreno più una somma": con il risultato che "all'esito di questa trattativa ho pagato a Di Caterina circa 1 miliardo e 250 milioni di lire. Capii chiaramente che il prezzo non era trattabile. All'epoca capii che Di Caterina avrebbe dato una parte della somma a Penati e tale circostanza mi è stata confermata da Di Caterina in successivi incontri nei quali mi ha riferito di avere consegnato importi di denaro a Penati. Sostanzialmente Di Caterina in quegli anni faceva da "collettore" soprattutto per Penati con il quale aveva un rapporto molto stretto. Quando indico Di Caterina come collettore di tangenti, mi riferisco al fatto che era la persona più vicina ai componenti il consiglio comunale", e "quindi chi voleva avvicinare questi politici contattava Di Caterina". Minetti, Penati, Rizzi: indagati in consiglio regionale Minetti, Penati, Rizzi: indagati in consiglio regionale Minetti, Penati, Rizzi: indagati in consiglio regionale Minetti, Penati, Rizzi: indagati in consiglio regionale Minetti, Penati, Rizzi: indagati in consiglio regionale Minetti, Penati, Rizzi: indagati in consiglio regionale Minetti, Penati, Rizzi: indagati in consiglio regionale Minetti, Penati, Rizzi: indagati in consiglio regionale E Di Caterina che dice? "Tra me e Penati c'era un rapporto confidenziale per cui era più naturale chiedere il denaro a me. Ho portato - dice ai pm - copie di buste nelle quali avevo riposto contanti provenienti dalla mia attività di trasporto estero su estero, sulle quali sono annotati i pagamenti per contanti fatti a Penati e Vimercati", oltre "ad altri soggetti ma sempre su loro richiesta". La somma, "da fine 1997 al 2002 e qualcosa nel 2003", è "pari a lire 2 milioni 235.000 euro". La particolarità è però che Di Caterina spiega di aver avuto in parte, e di attendere in altra parte, alcune restituzioni di quei versamenti secondo compensazioni su più tavoli d'affari: "Quando ho prestato i soldi a Penati eravamo già in trattative per il piano Marelli e io ero sicuro che le somme che gli anticipavo mi sarebbero state restituite dalle tangenti che Pasini doveva pagare a Penati e che erano di importi rilevanti. Ero sicuro in quanto era scontato che Pasini avrebbe pagato una tangente a Penati per l'operazione, e del resto la cosa mi fu anche detta più volte dallo stesso Penati e da Vimercati, e cioè che i soldi sarebbero rientrati". Complicato, ma redditizio per Di Caterina: "Io avevo notevoli vantaggi da questa operazione in quanto Penati e Vimercati mi proteggevano da Atm, mi hanno fatto entrare nel consorzio Trasporti, e mi hanno consentito di partecipare a operazioni per me lucrose". Su un conto che apre il 29 febbraio 2001 in Lussemburgo, Di Caterina conferma che "da Pasini ho ricevuto due versamenti il 22 marzo 2001 per un totale attualizzato di 1 milione e 104mila euro che ho scudato nel 2003: tale importo corrisponde alla somma che Penati doveva restituirmi per dazioni di denaro fatte a lui fino al 1997". I pm cercano di capire: "Ma quando lei ha versato il denaro a Penati, l'ha fatto nella convinzione che si trattava di prestiti, o di pagamenti in cambio di favori che comunque le sarebbero ritornati in affari, e di cui adesso chiede la restituzione non essendo andate nei termini sperati alcune operazioni?" Di Caterina risponde: "Si è trattato di pagamenti in cambio di favori nel modo in cui lei li ha descritti nella domanda, e quindi ora io attendo la restituzione". Luigi Ferrarella (lferrarella@corriere.it) Giuseppe Guastella (gguastella@corriere.it) 28 luglio 2011 12:35
i casi penati, pronzato, tedesco Il Pd e le inchieste, l'ira di Bersani "La macchina del fango non ci fa paura" Il segretario dei democratici: "Partono le querele. Allo studio una class action di tutti gli iscritti" MILANO - Pier Luigi Bersani non ci sta. Le critiche che i giornali muovono al Pd, travolto e "turbato" dalle vicende di Tedesco, Penati e Pronzato, fanno andare su tutte le furie il segretario dei democratici. Che promette battaglia. Se la prende con le "macchine del fango che iniziano a girare" il numero uno del Partito democratico. E avverte: "Se sperano di intimorirci si sbagliano di grosso. Le critiche le accettiamo - sottolinea Bersani - le aggressioni no, le calunnie no, il fango no. Da oggi iniziano a partire le querele e le richieste di danni. Sto facendo studiare la possibilità di fare una class action" da parte di tutti gli iscritti al Pd. Il leader difende il suo partito, dice che il Pd "è totalmente estraneo a tutte le vicende di cronaca di cui si parla" e assicura: "Il turbamento non ci farà chiudere la bocca". I democratici, osserva Bersani, "si stanno muovendo su quattro principi: il rispetto assoluto della magistratura, il principio per cui, onorevoli o meno, tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, quello per cui chi è investito di una funzione pubblica, quando è indagato, fa un passo indietro per non imbarazzare il partito, al netto della presunzione di innocenza. E infine chiediamo che si faccia una legge sulla trasparenza dei partiti". PDL - Le repliche della maggioranza alle parole del segretario Pd non si fanno attendere. "Bersani invoca come molti la macchina del fango che colpirebbe il Pd. Ma ci dovrebbe parlare della macchina dei soldi che invece sembra avere alimentato uomini e ambienti della sinistra" attacca il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri. Per il portavoce del Pdl Daniele Capezzone se Bersani vuole essere intellettualmente onesto e non ipocrita, "deve ripudiare anni e anni di giustizialismo selvaggio, nel quale il suo partito si è letteralmente crogiolato". "ERRORI" - In una conferenza stampa alla Camera, il numero uno dei democratici ha ammesso che nella gestione della vicenda dell'arrivo del senatore Tedesco a Palazzo Madama ci sono stati errori da parte del Pd. All'epoca, l'attuale segretario non aveva nessuna responsabilità, "anche se questa cosa viene attribuita a me", ha voluto puntualizzare l'interessato. Ai democratici però, secondo Bersani, va comunque riconosciuta una cosa: quella cioè di aver chiesto alla Camera e al Senato l'arresto di Papa e Tedesco. "Questa cosa non può passare in cavalleria. Siamo stati coerenti. Lo si riconosca". INVITO ALLA LEGA - Da Bersani è arrivato anche un invito alla Lega. "Non è più tempo di guerre guerreggiate tra maggioranza e opposizione - ha detto -, è tempo di prendere decisioni di fondo. Chi nella destra comincia a percepire l'insostenibilità della cosa, la Lega o altri, crei le condizioni per andare al Quirinale". LETTERA AL FATTO - In una lettera al Fatto Quotidiano il numero uno del Pd ha affrontato il caso Penati, suo ex braccio destro coinvolto nell'inchiesta sulle presunte tangenti a Sesto San Giovanni e sui rapporti con l'imprenditore Marcellino Gavio. "Non dovrebbe essere troppo disagevole considerare quali siano le persone che davvero ho motivato e promosso in lunghi anni di vita amministrativa. Ho la presunzione di credere che verrebbe riconosciuto che si tratta di gente in gamba e di gente sicuramente perbene", ha scritto Bersani. E ha spiegato: "Il ministro delle Attività produttive conosce tutti i principali imprenditori italiani. Li conosce, non li sceglie. Gavio, segnalandomi la preoccupazione per un contenzioso aperto con la Provincia di Milano, mi disse di non conoscere il presidente appena insediato e mi chiese di favorire un incontro con Penati. Così feci, via telefono". Il leader democratico ha chiesto poi di mettere la vicenda Pronzato "nelle giuste dimensioni". "Ho saputo dai giornali che Pronzato era un mio uomo. Non è mai stato mio consigliere alle Attività produttive", ha scritto Bersani. "Lo trovai 11 anni fa al ministero dei Trasporti come consigliere ministeriale, lo confermai assieme agli altri consiglieri per il solo anno in cui fui ministro. Divenne consigliere Enac parecchi anni dopo". "Quella del doppio incarico è una cosa inopportuna", ha aggiunto. "Non nego dunque di aver ricavato insegnamenti dalla vicenda, ma vorrei che fosse messa nelle giuste dimensioni" Redazione online 27 luglio 2011 16:24
2011-07-25
Il parlamentare per cui Palazzo Madama ha negato l'autorizzazione ai domiciliari Tedesco: addio al Pd, non al Senato "M'hanno trattato peggio di una colf" "Non vedono l'ora che me ne vada, li accontenterò scrivendo una lettera di dimissioni a Bersani" Alberto Tedesco Alberto Tedesco MILANO - Alberto Tedesco non lascerà Palazzo Madama ma dirà addio al Pd. In una intervista a La Stampa, il parlamentare, per il quale la settimana scorsa il Senato ha negato l'autorizzazione agli arresti domiciliari, ha spiegato di volere abbandonare i democratici. "Dal Pd - accusa Tedesco - non mi hanno neanche chiamato come si farebbe con una colf che si licenzia, mi hanno chiesto le dimissioni a mezzo stampa", ma siccome "non vedono l'ora che me ne vada, li accontenterò tra qualche ora scrivendo una lettera di dimissioni al segretario". CRITICHE A BINDI, VELTRONI E LETTA - Il senatore risponde poi a Rosy Bindi, spiegando che "polemizza" con lei perché è il presidente del partito: "Dice che non vuole vedere turbato il partito da un ex socialista, questo la dice lunga sulla cultura garantista della signorina Bindi. Se si è socialisti si è delinquenti per definizione". Perchè, aggiunge, "non chiedono le dimissioni anche a Penati? A un ex comunista si consente di dimostrare che è innocente...". Tedesco, infine, se la prende anche con chi, come Veltroni ed Enrico Letta, hanno chiesto un suo passo indietro: "Se c'è qualcuno che ha fatto del male al Pd e al Paese col suo rilancio dipietrista è Veltroni". E su Letta: "Non sa scegliere i dirigenti" e "ha portato in Parlamento uno come Boccia che non riesce nemmeno a far eleggere un consigliere comunale nel suo comune...". Redazione online 25 luglio 2011 13:20
per il caso FIN.MA.VI Cecchi Gori arrestato per bancarotta torna in manette il produttore fallito Il noto imprenditore aveva già subito 4 mesi di detenzione, tra carcere e domiciliari, nel 2008 Cecchi Gori durante l'arresto del 2008 (foto Ansa) Cecchi Gori durante l'arresto del 2008 (foto Ansa) ROMA - Arrestato per bancarotta Vittorio Cecchi Gori. Il produttore è finito in manette lunedì, nella Capitale, con l'accusa di bancarotta fraudolenta. Finanzieri del Comando provinciale delle Fiamme Gialle di Roma hanno eseguito nei suoi confronti un'ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari. Già nel 2008, Cecchi Gori - coinvolto in una lunga inchiesta sul fallimento di due delle sue società - era stato arrestato, quindi aveva trascorso 4 mesi tra carcere e arresti domiciliari. Con l' intermezzo di un ricovero per motivi di salute e del successivo intervento in una clinica. CRAC E LIBERTA' - Nell'ottobre dello stesso anno aveva riottenuto la libertà. Il precedente ordine di custodia cautelare in carcere per Vittorio Cecchi Gori era scattato il 3 giugno 2008 per il fallimento della Safin Cinematografica: un crac da 24 milioni di euro che gli era costato una prima accusa di bancarotta. Poi, però, il gip Guicla Mulliri, su istanza degli avvocati Massimo Biffa e Antonio Fiorella, aveva deciso che non sussistevano più i presupposti della detenzione preventiva e aveva revocato i "domiciliari", l' ultima misura a cui era stato sottoposto l' imprenditore. Il processo per il fallimento della Safin, che gestiva le sale cinematografiche, tra cui il cinema Adriano a Roma, era poi iniziato il 5 dicembre 2008. Cecchi Gori quando era ai domiciliari nella sua casa tre anni fa (foto Ansa) Cecchi Gori quando era ai domiciliari nella sua casa tre anni fa (foto Ansa) LA CASSAFORTE DEL GRUPPO - Parallelamente, un altro procedimento coinvolgeva il produttore: quello per il fallimento della Fin.Ma.Vi, considerata la "cassaforte" del gruppo Cecchi Gori. Ed è in questo ambito che è maturato il nuovo arresto: lo ha disposto il Tribunale capitolino, su richiesta dei sostituti procuratori Stefano Fava e Lina Cusano, coordinati dal procuratore aggiunto Nello Rossi. L'imprenditore cinematografico è indagato per bancarotta nell'inchiesta riguardante il fallimento della Fin.Ma.Vi. e di altre società del gruppo Cecchi Gori. PASSIVO DA 600 MILIONI - Nel corso delle investigazioni era emerso che Cecchi Gori aveva distratto i beni del patrimonio sociale della Fin.Ma.Vi. spa, causando un passivo fallimentare di circa 600 milioni di euro "attraverso strumentali operazioni di finanziamento a favore di altre società a lui riconducibili, tra cui due società statunitensi" (la Cecchi Gori Pictures e la Cecchi Gori Usa). Proprio queste due società americane, nel marzo del 2011 hanno vinto una causa legale intentata negli Stati Uniti nei confronti della Hollywood Gang Production del produttore italo-americano Gianni Nunnari. Il giudice della California ha pertanto ordinato alla società di Nunnari di corrispondere alle due società americane di Cecchi Gori la somma di circa 14 milioni di dollari, immediatamente sottoposta a sequestro dal Tribunale di Roma, al fine di metterla a disposizione della procedura fallimentare per la soddisfazione dei creditori della Fin.Ma.Vi. Redazione online 25 luglio 2011 13:53
Italia Nostra invoca la demolizione Puglia, quando l'ecomostro è di proprietà della Regione Angolo suggestivo del Gargano con vincoli paesaggistici deturpato dal Centro direzionale per il turismo Benvenuti nell’ex California d’Europa: terra di sprechi faraonici e scempi ambientali approvati dallo Stato e finanziati con denaro pubblico. Nelle carte istituzionali si scrive "sviluppo integrato del turismo". Invece nella realtà si legge e si traduce abusivismo edilizio a tutto spiano di aree "protette". Se chiedi a Nichi Vendola del centro pilota, la narrazione latita: infatti il governatore non risponde alle domande del cronista; eppure era stato informato già nel 2006. ECOMOSTRI - La Puglia pullula di ecomostri privati, ma anche pubblici. Il caso dimenticato sonnecchia a Baia Campi, addirittura nel Parco nazionale del Gargano, a qualche chilometro da Vieste: 60 mila metri cubi di cemento abusivo di proprietà della Regione, in riva al mare Adriatico. Un bunker cementizio che ha fatto tabula rasa di pini d’Aleppo e ulivi, firmato dall’architetto Paolo Portoghesi. Il reato di alterazione di bellezze naturali era stato acclarato definitivamente dalla Cassazione nel 1996 respingendo il ricorso dell’ex assessore Alberto Tedesco (attuale senatore agli arresti domiciliari per gli scandali sanitari). ICI NON VERSATA - Non si tratta della speculazione del solito palazzinaro, ma di un complesso immobiliare ideato e posseduto dalla Regione Puglia. Da anni il falansterio, arredato di tutto punto, è completamente abbandonato. Addirittura, il presidente Vendola non ha mai versato l’Ici. E così il Comune di Vieste ha cominciato a reclamare il dovuto: 528.969,75 euro. E la Commissione tributaria di Foggia, con sentenza numero 197 dell’8 ottobre 2007 e sentenza numero 22 del 25 gennaio 2010 ha sanzionato, tanto per iniziare, il pagamento degli arretrati. MAI UTILIZZATO - Il mastodontico complesso non è mai stato utilizzato: tutto sommato è preda dei vandali. Entrare, trafugare o distruggere arredi e suppellettili - compresi, telefoni, computer e condizionatori d’aria - è scontato. L’opera era stata cofinanziata dal Fondo europeo sviluppo regionale. In soldoni: 50 miliardi di lire in appalto all’Italscavi spa con sede a Campobasso e in subappalto alle imprese Icamar e Trisciuglio di Foggia. Costo iniziale: 40 miliardi ottenuti con finanziamento statale e altri dieci dalla Cee. Altri 4 miliardi di lire sono stati erogati e spesi dalla Regione nel 1994 per arredare il faraonico complesso destinato ad accogliere un albergo di 370 posti letto dotato di varie attività connesse: bar, ristorante, sala congressi, vasca relax, campi da tennis, centro interaziendale per la produzione di 15 mila pasti precotti al giorno, lavanderia, sala giochi, discoteca, scuola di perfezionamento alberghiero, nonché gli uffici e tutti i servizi annessi alle tre attività. E perfino la piscina olimpionica - unica in tutta la Capitanata - arrugginisce. LA VICENDA - La vicenda ebbe inizio nel 1983, quando la Regione Puglia decise di promuovere una richiesta di finanziamento Fio (Fondi investimento occupazione) per un "progetto di sviluppo integrato del turismo". L’affare consisteva nell’edificazione di due enormi agglomerati in calcestruzzo, denominati centri pilota. Il Cipe non ammise a finanziamento la prima richiesta, in quanto la localizzazione delle strutture risultava generica. La giunta regionale pugliese (Dc, Psi, Psdi) non si arrese, quindi con atto deliberativo 3876 del 30 aprile 1984 e 9537 del 5 novembre 1984 riformulò la richiesta, specificando il luogo d’intervento. La motivazione? Il solito miraggio: la creazione di "2.500 nuovi posti di lavoro". L’adunanza del consiglio regionale il 20 dicembre 1984 - relatore per la IV commissione, l’onorevole democristiano Cosimo Franco Di Giuseppe - deliberò "a maggioranza di voti, con l’astensione del gruppo Pci e del Msi, di approvare la localizzazione dei centri turistici direzionali (deliberazione di giunta regionale 10025 del 19 novembre 1984 )". Per la "montagna del sole" venne indicata Baia Campi, un tratto di costa incontaminato. La Snam, proprietaria del suolo, si impegnava a cedere il terreno alla Regione a titolo gratuito, a patto di gestire per un paio d’anni la struttura. In seguito la delibera regionale 11846 del 27 dicembre 1985 sancirà il pagamento all’Eni di 1,5 miliardi di lire. VINCOLI - L’area era sottoposta a vincolo idrogeologico dal 1923, paesaggistico e forestale dal 1971 (decreto ministeriale del 16 novembre 1971, ai sensi della legge 1497 del 1939). Nel 1986 l’architetto Portoghesi elaborò il progetto. La giunta regionale, committente dell’opera, rilasciò a se stessa il 31 luglio 1986 (delibera 6817) il nulla osta paesaggistico. Il sovrintendente locale ai Beni culturali e ambientali, l’architetto Riccardo Mola, il 7 ottobre dello stesso anno, esprimeva "parere negativo". I lavori di sbancamento in variante al secondo Piano di fabbricazione, ebbero inizio a giugno del 1988 e terminarono otto anni dopo con due varianti in corso d’opera. L’11 gennaio 1990 scese in campo Italia Nostra con un esposto alla Procura della Repubblica di Foggia. In seguito, il 19 ottobre, il gip A. Paggetta, su richiesta del pm Roberto Gentile, disponeva il sequestro del cantiere, revocato il 14 novembre 1990 dal Tribunale della libertà. Il 20 luglio 1994 il pretore di Vieste, Silvana Clemente, riconosceva "il reato di alterazione di bellezze naturali di cui all’articolo 734". Infatti, si legge nel dispositivo della sentenza "la costruzione del Centro turistico direzionale, in zona Baia Campi di Vieste, è stata ritenuta la causa di notevole deturpamento delle caratteristiche dell’area e del suo equilibrio paesaggistico con la condanna penale dei componenti della giunta regionale della Regione Puglia e del rappresentante legale della società concessionaria dei lavori e con l’ulteriore condanna dei medesimi al risarcimento del danno ambientale a favore della provincia di Foggia e dell’Associazione Italia Nostra". In soldoni, appena 9 milioni di lire a testa. EPILOGO - Sono dunque stati riconosciuti responsabili in concorso di deturpazione di bellezze naturali in un luogo soggetto a speciale protezione, Giuseppe Affatato, Roberto Paolucci, Giuseppe Martellotta, Michele Bellomo, Corradino Marzo, Cesare Lia, Girolamo Pugliese e Alberto Tedesco, componenti la giunta regionale dell’epoca; e infine Antonio Uliano, rappresentante legale della società Italscavi. Nella vicenda erano pure coinvolti l’ex amministratore regionale Giuseppe Colasanto, nel frattempo deceduto, e gli assessori regionali Franco Di Giuseppe (Dc) e Franco Borgia (Psi) la cui posizione era stata stralciata perché eletti in Parlamento. Epilogo: la Corte d’appello di Bari ha dichiarato la prescrizione della condanna e la Cassazione ha confermato l’estinzione del reato ribadendo comunque "l’irreversibile distruzione del paesaggio". DEMOLIZIONE - Italia Nostra chiede il ripristino dello stato dei luoghi, vale a dire la demolizione del bubbone. E dire che nel 1988 i parlamentari Cederna, Ceruti, Boato, Savoldi, Bassi, Faccio, Tamino e Codillà interrogavano invano i ministri per il Turismo, l’Ambiente e le Partecipazioni statali: "Nel Comune di Vieste, in località Baia Campi, una delle ultime baie ancora non edificate del Gargano, è prevista la costruzione di una non meglio precisata "Università del turismo" di cui non è chiara la finalità, i finanziamenti, l’organizzazione e il valore legale… Se il governo non ritenga necessario intervenire per prevenire un’operazione che ha tutte le caratteristiche della più smaccata speculazione edilizia, con la scusa dell’opera pubblica si vomiterà sulla costa un’altra valanga di metri cubi di cemento". Detto e fatto. Gianni Lannes 24 luglio 2011(ultima modifica: 25 luglio 2011 10:18)
per il caso FIN.MA.VI Cecchi Gori arrestato per bancarotta torna in manette il produttore fallito Il noto imprenditore aveva già subito 4 mesi di detenzione, tra carcere e domiciliari, nel 2008 Cecchi Gori durante l'arresto del 2008 (foto Ansa) Cecchi Gori durante l'arresto del 2008 (foto Ansa) ROMA - Arrestato per bancarotta Vittorio Cecchi Gori. Il produttore è finito in manette lunedì, nella Capitale, con l'accusa di bancarotta fraudolenta. Finanzieri del Comando provinciale delle Fiamme Gialle di Roma hanno eseguito nei suoi confronti un'ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari. Già nel 2008, Cecchi Gori - coinvolto in una lunga inchiesta sul fallimento di due delle sue società - era stato arrestato, quindi aveva trascorso 4 mesi tra carcere e arresti domiciliari. Con l' intermezzo di un ricovero per motivi di salute e del successivo intervento in una clinica. CRAC E LIBERTA' - Nell'ottobre dello stesso anno aveva riottenuto la libertà. Il precedente ordine di custodia cautelare in carcere per Vittorio Cecchi Gori era scattato il 3 giugno 2008 per il fallimento della Safin Cinematografica: un crac da 24 milioni di euro che gli era costato una prima accusa di bancarotta. Poi, però, il gip Guicla Mulliri, su istanza degli avvocati Massimo Biffa e Antonio Fiorella, aveva deciso che non sussistevano più i presupposti della detenzione preventiva e aveva revocato i "domiciliari", l' ultima misura a cui era stato sottoposto l' imprenditore. Il processo per il fallimento della Safin, che gestiva le sale cinematografiche, tra cui il cinema Adriano a Roma, era poi iniziato il 5 dicembre 2008. Cecchi Gori quando era ai domiciliari nella sua casa tre anni fa (foto Ansa) Cecchi Gori quando era ai domiciliari nella sua casa tre anni fa (foto Ansa) LA CASSAFORTE DEL GRUPPO - Parallelamente, un altro procedimento coinvolgeva il produttore: quello per il fallimento della Fin.Ma.Vi, considerata la "cassaforte" del gruppo Cecchi Gori. Ed è in questo ambito che è maturato il nuovo arresto: lo ha disposto il Tribunale capitolino, su richiesta dei sostituti procuratori Stefano Fava e Lina Cusano, coordinati dal procuratore aggiunto Nello Rossi. L'imprenditore cinematografico è indagato per bancarotta nell'inchiesta riguardante il fallimento della Fin.Ma.Vi. e di altre società del gruppo Cecchi Gori. PASSIVO DA 600 MILIONI - Nel corso delle investigazioni era emerso che Cecchi Gori aveva distratto i beni del patrimonio sociale della Fin.Ma.Vi. spa, causando un passivo fallimentare di circa 600 milioni di euro "attraverso strumentali operazioni di finanziamento a favore di altre società a lui riconducibili, tra cui due società statunitensi" (la Cecchi Gori Pictures e la Cecchi Gori Usa). Proprio queste due società americane, nel marzo del 2011 hanno vinto una causa legale intentata negli Stati Uniti nei confronti della Hollywood Gang Production del produttore italo-americano Gianni Nunnari. Il giudice della California ha pertanto ordinato alla società di Nunnari di corrispondere alle due società americane di Cecchi Gori la somma di circa 14 milioni di dollari, immediatamente sottoposta a sequestro dal Tribunale di Roma, al fine di metterla a disposizione della procedura fallimentare per la soddisfazione dei creditori della Fin.Ma.Vi. Redazione online 25 luglio 2011 13:53
Il parlamentare per cui Palazzo Madama ha negato l'autorizzazione ai domiciliari Tedesco: addio al Pd, non al Senato "M'hanno trattato peggio di una colf" "Non vedono l'ora che me ne vada, li accontenterò scrivendo una lettera di dimissioni a Bersani" Alberto Tedesco Alberto Tedesco MILANO - Alberto Tedesco non lascerà Palazzo Madama ma dirà addio al Pd. In una intervista a La Stampa, il parlamentare, per il quale la settimana scorsa il Senato ha negato l'autorizzazione agli arresti domiciliari, ha spiegato di volere abbandonare i democratici. "Dal Pd - accusa Tedesco - non mi hanno neanche chiamato come si farebbe con una colf che si licenzia, mi hanno chiesto le dimissioni a mezzo stampa", ma siccome "non vedono l'ora che me ne vada, li accontenterò tra qualche ora scrivendo una lettera di dimissioni al segretario". CRITICHE A BINDI, VELTRONI E LETTA - Il senatore risponde poi a Rosy Bindi, spiegando che "polemizza" con lei perché è il presidente del partito: "Dice che non vuole vedere turbato il partito da un ex socialista, questo la dice lunga sulla cultura garantista della signorina Bindi. Se si è socialisti si è delinquenti per definizione". Perchè, aggiunge, "non chiedono le dimissioni anche a Penati? A un ex comunista si consente di dimostrare che è innocente...". Tedesco, infine, se la prende anche con chi, come Veltroni ed Enrico Letta, hanno chiesto un suo passo indietro: "Se c'è qualcuno che ha fatto del male al Pd e al Paese col suo rilancio dipietrista è Veltroni". E su Letta: "Non sa scegliere i dirigenti" e "ha portato in Parlamento uno come Boccia che non riesce nemmeno a far eleggere un consigliere comunale nel suo comune...". Redazione online 25 luglio 2011 13:20
2011-07-22 IL CASO dell'area ex falck di sesto san giovanni "Soldi anche al partito di Penati" L'imprenditore Di Caterina accusa il dirigente Pd: "Spremuto come un limone" NOTIZIE CORRELATE Consiglio regionale, passo indietro di Penati. "Ma sono innocente" Pasini, il grande accusatore: chi ha sbagliato ora paghi (21 luglio 2011) Protagonisti e comprimari, vent'anni di politica giocata sull'area ex Falck (21 luglio 2011) Ex Falck, Filippo Penati indagato per corruzione e concussione (20 luglio 2011) Penati: "Sono sereno, non ho nulla da temere" Nuova Risanamento, addio all’area Falck (11 giu 2010) Filippo Penati Filippo Penati MILANO - Non c'è soltanto il costruttore, consigliere comunale ed ex candidato sindaco del centrodestra Giuseppe Pasini ad accusare il big del Pd lombardo Filippo Penati di avergli chiesto 20 miliardi di lire nel 2000-2001 per il via libera ai progetti urbanistici di Pasini sull'area ex Falck, e di essere poi stato destinatario di più di cinque miliardi tramite due intermediari che sono stati pagati in Lussemburgo (Piero Di Caterina) e in Svizzera (Giordano Vimercati): a parlare con i pm, infatti, è proprio anche Di Caterina, imprenditore del trasporto pubblico con la sua "Caronte". "Spremuto come limone" Pasini raccontava che Di Caterina era stato il collettore indicatogli da Penati per le erogazioni pretese (a suo dire) dall'allora sindaco ds di Sesto San Giovanni, ieri autosospesosi da vicepresidente del Consiglio regionale lombardo dopo essere stato indagato l'altro ieri dai pm monzesi Walter Mapelli e Franca Macchia per le ipotesi di concussione, corruzione e finanziamento illecito ai partiti. E affermava di aver dato in contanti a Di Caterina due miliardi di vecchie lire in Lussemburgo. E Di Caterina? Conferma che è vero. Nei mesi scorsi ha reso anche lui molti interrogatori, inquadrando questa ricezione di soldi in una sorta di compensazione tra favori alla politica e recriminazioni imprenditoriali, ai quali ricollega tutta una serie di finanziamenti che afferma di aver fatto nella seconda metà degli anni 90 e fino al 2000 per le esigenze del partito di Penati, in alcuni periodi anche cento milioni di lire al mese. Come quelli di Pasini, anche i suoi verbali sono "segretati" ed è dunque arduo definirne i contenuti esatti. Ma il senso lo si afferra anche solo dalla scarna risposta di Di Caterina a chi ieri lo ha interpellato: "Sono stato spremuto come un limone. Non se ne poteva più di questo convivere gomito a gomito con i dinieghi immotivati, con i ritardi, con gli ostacoli della politica e della dirigenza dell'alta amministrazione. Adesso ho grande fiducia nei magistrati". Il conto estero "Pinocchio" Che davvero Pasini abbia pagato Di Caterina, ai suoi occhi fiduciario di Penati, è del resto provato da un documento acquisito dalla rogatoria in Lussemburgo (facilitata da Pasini) presso la banca alla quale bonificò a se stesso 4 miliardi di lire nel 2001. Parte di essi rimbalzarono in Svizzera e, a detta di Pasini, furono poi consegnati in contanti in strada a Chiasso a Giordano Vimercati, in seguito capo di gabinetto del Penati presidente della Provincia di Milano e anche rappresentante designato dalla Provincia in molte società partecipate (come la Serravalle). L'altra parte della provvista di denaro, invece, ebbe la destinazione dettata appunto dall'istruzione data da Pasini alla banca il 16 marzo 2001 e ora in mano agli inquirenti: "A debito del conto Pinocchio, vogliate mettere a disposizione per contanti L. 2.500.000 a favore di Di Caterina Piero. Alla sua presenza, attendere mia conferma telefonica". Consulenti imposti e coop Il monte-tangenti svelato da Pasini, intanto, sale ancora e si attesta sugli 8 miliardi di lire. Ai 4 o 4,5 miliardi per l'area ex Falck consegnati in Lussemburgo e Svizzera, e ai 1.250 milioni di lire per l'area ex Ercole Marelli (anch'essa di Pasini) "mascherati" dietro il saldo negativo di una permuta tra terreni con Di Caterina, il costruttore aggiunge un'altra tangente che colloca prima, nel 2000, addirittura al momento di comprare dai Falck l'area dove sorgevano le acciaierie. A suo dire, gli sarebbe stato fatto capire che l'acquisto dell'area gli sarebbe stato consentito o comunque facilitato dalla politica se avesse ingaggiato come consulenti due professionisti asseritamente vicini alle coop rosse emiliane, indicati in Francesco Agnello e Giampaolo Salami, ai quali Pasini paga compensi per 2 miliardi e 400 milioni di lire e che ora sono anch'essi indagati per l'ipotesi di concussione. Luigi Ferrarella lferrarella@corriere.itGiuseppe Guastella gguastella@corriere.it22 luglio 2011 15:10
la nota: "desidero ribadire la mia totale estraneità ai fatti" Consiglio regionale, passo indietro di Penati. "Ma sono innocente" L'autosospensione dalla vicepresidenza "per rispetto dell'istituzione" durante le indagini sull'area Falck NOTIZIE CORRELATE Pasini, il grande accusatore: chi ha sbagliato ora paghi (21 luglio 2011) Protagonisti e comprimari, vent'anni di politica giocata sull'area ex Falck (21 luglio 2011) Ex Falck, Filippo Penati indagato per corruzione e concussione (20 luglio 2011) Penati: "Sono sereno, non ho nulla da temere" Nuova Risanamento, addio all’area Falck (11 giu 2010) Filippo Penati (Fotogramma) Filippo Penati (Fotogramma) MILANO - Una lettera di Filippo Penati al presidente del Consiglio regionale, Davide Boni, e al presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, per ribadire la "totale estraneità ai fatti" e per annunciare l'autosospensione dalla vice presidenza del consiglio regionale "per rispetto dell'istituzione". "A seguito del mio coinvolgimento nella vicenda giudiziaria relativa all'area Falck di Sesto San Giovanni - ha scritto Penati - desidero ribadire la mia totale estraneità ai fatti. In merito anche alle notizie apparse sulla stampa voglio precisare che non ho mai chiesto e ricevuto denaro da imprenditori. Voglio altresì ribadire la mia assoluta fiducia nell'operato della magistratura. Per profondo rispetto dell'istituzione nella quale sono stato eletto e per evitare ogni imbarazzo al Consiglio - ha proseguito l'ex presidente della Provincia di Milano - mi autosospendo dall'esercizio e dalle prerogative di vicepresidente, certo che tutto verrà completamente chiarito e confido a breve. Da subito - ha spiegato - rinuncio alle prerogative connesse alla vicepresidenza, non parteciperò più all'ufficio di presidenza e già dal prossimo consiglio siederò tra i banchi dei consiglieri di minoranza. Sono certo di interpretare anche i sentimenti di chi mi ha eletto nel voler garantire in queste circostanze il massimo rispetto delle istituzioni". Redazione online 21 luglio 2011 18:03
2011-07-21 la nota: "desidero ribadire la mia totale estraneità ai fatti" Consiglio regionale, passo indietro di Penati. "Ma sono innocente" L'autosospensione dalla vicepresidenza "per rispetto dell'istituzione" durante le indagini sull'area Falck NOTIZIE CORRELATE Pasini, il grande accusatore: chi ha sbagliato ora paghi (21 luglio 2011) Protagonisti e comprimari, vent'anni di politica giocata sull'area ex Falck (21 luglio 2011) Ex Falck, Filippo Penati indagato per corruzione e concussione (20 luglio 2011) Penati: "Sono sereno, non ho nulla da temere" Nuova Risanamento, addio all’area Falck (11 giu 2010) Filippo Penati (Fotogramma) Filippo Penati (Fotogramma) MILANO - Una lettera di Filippo Penati al presidente del Consiglio regionale, Davide Boni, e al presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, per ribadire la "totale estraneità ai fatti" e per annunciare l'autosospensione dalla vice presidenza del consiglio regionale "per rispetto dell'istituzione". "A seguito del mio coinvolgimento nella vicenda giudiziaria relativa all'area Falck di Sesto San Giovanni - ha scritto Penati - desidero ribadire la mia totale estraneità ai fatti. In merito anche alle notizie apparse sulla stampa voglio precisare che non ho mai chiesto e ricevuto denaro da imprenditori. Voglio altresì ribadire la mia assoluta fiducia nell'operato della magistratura. Per profondo rispetto dell'istituzione nella quale sono stato eletto e per evitare ogni imbarazzo al Consiglio - ha proseguito l'ex presidente della Provincia di Milano - mi autosospendo dall'esercizio e dalle prerogative di vicepresidente, certo che tutto verrà completamente chiarito e confido a breve. Da subito - ha spiegato - rinuncio alle prerogative connesse alla vicepresidenza, non parteciperò più all'ufficio di presidenza e già dal prossimo consiglio siederò tra i banchi dei consiglieri di minoranza. Sono certo di interpretare anche i sentimenti di chi mi ha eletto nel voler garantire in queste circostanze il massimo rispetto delle istituzioni". Redazione online 21 luglio 2011 18:03
SESTO SAN GIOVANNI - L'ex proprietario dei vecchi forni della ex falck Pasini, il grande accusatore: chi ha sbagliato ora paghi "Episodi rimasti troppo a lungo sotto la cenere, sepolti dalla polvere di una città immobile" NOTIZIE CORRELATE Protagonisti e comprimari, vent'anni di politica giocata sull'area ex Falck Ex Falck, Filippo Penati indagato per corruzione e concussione (20 luglio 2011) Penati: "Sono sereno, non ho nulla da temere" Nuova Risanamento, addio all’area Falck (11 giu 2010) Sesto, "la città infinita" che cambia per sopravvivere di E. Segantini (Archivio - 19/02/2011) Giuseppe Pasini (Fotogramma) Giuseppe Pasini (Fotogramma) MILANO - "Se qualcuno ha sbagliato è giusto che paghi". La gola profonda ha la voce increspata: "Sono fatti incresciosi. Episodi rimasti a lungo sotto la cenere, sepolti dalla polvere di una città immobile. In realtà, posso dire? Non sono sorpreso, me l'aspettavo". Meglio: sapeva e stava solo aspettando. Giuseppe Pasini si è presentato in Procura un anno fa e ha denunciato d'essere "vittima di soprusi". Era lui il proprietario dei vecchi forni tra il 2001 e il 2002, gli anni delle presunte mazzette Falck, del Piano regolatore di Filippo Penati e delle bonifiche impastoiate tra Roma e l'Europa. Ottant'anni. Magnate di provincia. Moderato, Forza Italia e Pdl. Occhi verdi e barba bianca. Il papillon come cifra di stile. Tempra veneta a Sesto la rossa. Passioni: il mattone, la politica e il pallone. "Le voci giravano da un pezzo - racconta -. Biglietti, bisbigli. L'indagine viene fuori perché la Finanza s'è finalmente data da fare". Pasini è il grande accusatore: "Sono stato ascoltato dai magistrati, sì. Tutto si chiarirà. Io, magari, ci scriverò un libro".
Clicca per ingrandire l'immagine Il prologo è storia d'emigranti. Pasini lascia il mito di Hemingway e Fossalta di Piave nel 1951, ha frequentato solo le scuole di base, ha 21 anni e due fratelli muratori. Lui è la mente. I tre si trasferiscono a Sesto e si sporcano le mani. C'è terra per crescere. I Pasini fanno il salto nell'era Penati. Le banche danno una sponda. Palazzi, torri, il Grand Hotel nella cinquecentesca Villa Torretta (gioiello del patrimonio di famiglia), quartieri residenziali sulle fabbriche da demolire, la Breda e la Marelli. La storia di Sesto ripiega su appartamenti, uffici e sale congressi. Nel 2000 Pasini si accorda con Alberto Falck, scuce quasi 400 miliardi di lire e si compra capannoni e veleni sepolti. I "problemi" iniziano subito dopo. L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni È il biennio finito sotto inchiesta, 2001-2002. Il sindaco Penati ha disegnato e lasciato al successore Giorgio Oldrini la bozza del nuovo Piano regolatore, documento strategico per lo sviluppo urbanistico e i margini di guadagno. Pasini, si legge nelle cronache dell'epoca, è furibondo: "Il Piano mi impedisce di realizzare progetti di qualità!". Profetico. Tramonta il progetto dell'architetto Botta, sfumano l'insediamento di Rai, Intesa e Sky. Nel 2005, stremato, Pasini cede la Falck a Risanamento. Incassa 88 milioni di euro. Di più ne ha persi. Qualcosa, forse, ha regalato. Non pensava finisse così. Pasini è uomo noto, il tycoon di Sesto. Ha sempre denunciato d'essere stato fregato "dagli sciacalli della finanza". In questi anni ha fatto altro - vicepresidente della Pro Sesto, sfidante del "Cubano" alla carica di sindaco, consigliere d'opposizione - ma non ha mai dimenticato i "responsabili" dei guai suoi e del "disastro" attorno: "Sesto è una città bloccata - attacca -. Una città di pensionati e immigrati. Non l'ha capito nessuno, non l'hanno mai capito le banche: qui si vive di lavoro!". E di tangenti miliardarie, pare. "Sono tanti soldi, eh, lo so". Son tanti sì, soprattutto adesso. Le voci più informate dicono che non sia un periodo buono per Pasini. Oracle ha traslocato, gli ha tolto un affitto. E il mercato tira poco, annaspa, boccheggia. Son tempi duri. L'altra sera, in consiglio comunale, Pasini ha incrociato Davide Bizzi. Immaginate la stretta di mano: l'ex padrone e l'attuale proprietario delle aree Falck. "Bisogna creare posti di lavoro per i giovani...", ha sorriso Pasini. "L'importante è cominciare - ha replicato Bizzi -. Il resto si vedrà strada facendo". Sulla strada è crollata una frana. Armando Stella 21 luglio 2011 14:37
La storia Protagonisti e comprimari, vent'anni di politica giocata sull'area ex Falck Giordano Vimercati, Pietro Di Caterina, Giuseppe Pasini, Pasqualino Di Leva NOTIZIE CORRELATE Protagonisti e comprimari, vent'anni di politica giocata sull'area ex Falck Ex Falck, Filippo Penati indagato per corruzione e concussione (20 luglio 2011) Penati: "Sono sereno, non ho nulla da temere" Nuova Risanamento, addio all’area Falck (11 giu 2010) Sesto, "la città infinita" che cambia per sopravvivere di E. Segantini (Archivio - 19/02/2011) Bisogna far caso alle carriere. Politiche e imprenditoriali. Più o meno intrecciate. Quelle che sbocciano, si affermano e prosperano su quella che sembrava una sola onda in ascesa, da metà degli Anni Novanta in poi. Carriere di uomini che oggi, quindici anni dopo, si ritrovano tutti insieme di nuovo, con i propri nomi in colonna nell'elenco degli indagati. Protagonisti dell'epoca penatiana delle origini, quella che coincide con la dismissione industriale e il nuovo boom edilizio delle "riqualificazioni". In quell'epoca di rinascita del mattone sulla ruggine delle fabbriche, affonda le radici la carriera politica di Filippo Penati, sindaco di Sesto San Giovanni dal '94 al 2001. Appena un passo dietro Penati, si dipana l'ascesa dell'uomo che ne sarà storico braccio destro, colui che per via del carattere burbero e del barbone folto negli ambienti della politica locale sarà soprannominato "Rasputin": Giordano Vimercati. È stato presidente del Consorzio trasporti pubblici di Sesto, poi del Consorzio di recupero degli energetici (Core), infine capo di gabinetto con Penati in Provincia. Al settore trasporti incrocia un altro imprenditore oggi indagato, l'uomo che per la sua azienda di bus ha puntato scelto il nome "Caronte": Pietro Di Caterina, storicamente legato a Penati e Vimercati. La sua impresa ha conosciuto un lungo momento d'oro, che sempre dalla metà anni Novanta s'è prolungato per un buon decennio. Negli ultimi tempi Di Caterina ha differenziato gli affari, con investimenti nell'edilizia, e la sua "Caronte" è entrata in conflitto con l'Atm sull'assegnazione di alcune linee.
Clicca per ingrandire l'immagine Ambiente chiuso, sistemi di potere stabili, sono anni in cui l'antica teoria del "collateralismo" arriva a una sorta di estremo compimento. Politica ed economia viaggiano sotto braccio, una grande rete dove tutto si tiene e a cui la deindustrializzazione consegna l'area industriale dismessa più grande d'Europa, l'ex Falck. Un nome si impone, Giuseppe Pasini, con una qualche ironica deferenza detto "farfallino" per il vezzo del papillon che non abbandona mai. Ex muratore come i fratelli, poi fonda un'aziendina edile, nell'epoca penatiana si consacra immobiliarista e, con il sostegno delle banche, è il primo acquirente della ex Falck. In passato grande sostenitore di Penati, alla fine si è candidato sindaco contro Oldrini e, oggi, è il grande accusatore nel sistema di tangenti ipotizzato dai magistrati. L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni Una storia che annovera un altro protagonista, Pasqualino Di Leva, personaggio di lunghissimo corso politico a Sesto, memoria storica del Comune, intelligente e acuto, tifoso del Napoli. Oggi anche lui indagato, come uno degli architetti più influenti della città, Marco Magni: qualche anno fa, i due furono al centro di un dossier anonimo recapitato a tutti i consiglieri comunali, nel quale si indicava un supposto conflitto di interessi perché proprio la figlia di Di Leva lavorava nello studio di Magni. Così le carriere di questi uomini sono scivolate negli anni insieme alla storia di Sesto. Dalla fabbrica al cantiere, da "Stalingrado d'Italia" a "Cementograd" (come dicono i più critici). Gianni Santucci 21 luglio 2011 14:35
per 400 milioni Nuova Risanamento, addio all’area Falck Verso la cessione a Bizzi-Honua e a Intesa-Unicredit MILANO — Oggi il consiglio di Risanamento dovrebbe dare l’ok al primo atto della Nuova Risanamento guidata da Claudio Calabi. E cioè sulla vendita dell’area ex Falck di Sesto San Giovanni. Un’operazione che rientra nel piano di ristrutturazione ma i tempi potrebbero essere di gran lunga anticipati rispetto al calendario previsto, che la colloca entro il 2012. Secondo le indiscrezioni che circolano dal mese di marzo, già confermate in termini generali dalla società, che ha sempre parlato di "manifestazione d’interesse" senza però un commento sugli ipotetici protagonisti indicati dai rumor, acquirente dovrebbe essere una cordata guidata dall’immobiliarista Davide Bizzi e da un partner austriaco: questi ultimi dovrebbero controllare in modo paritetico una newco che acquisirà il 55% dell’area. La parte restante del capitale sarà invece sottoscritta dal gruppo coreano Honua, dalla Ccc e da tre delle banche italiane che partecipano agli accordi di ristrutturazione, considerati idonei dal tribunale di Milano, attraverso l’aumento di capitale e il prestito convertendo: Intesa Sanpaolo, Unicredit e Bpm. Bizzi è interessato direttamente all’aspetto immobiliare, e cioè al piano di sviluppo da 1,5 milioni di metri quadrati firmato da Renzo Piano. Un tempo collaboratore di Ernesto Preatoni, Bizzi è stato protagonista con il socio Paolo Dini (fondatore della Paul&Shark) dell’operazione Quinta Strada, e cioè del grattacielo da 57 piani finanziato in pool da Unicredit, Banco Popolare, Meliorbanca, Interbanca e Bpm. Con la sua Bizzi & partners sviluppa poi progetti in varie aree del mondo, da Bordighera a Cancun, da Tallin a Riga. Ma il partner con i mezzi finanziari più consistenti dovrebbe essere il gruppo Honua di Seul, partecipato da grandi compagnie di assicurazioni coreane come Dongbu e Kumho e che è stato in affari con Bizzi proprio rilevando il grattacielo di New York per affittarlo alla catena alberghiera Setai. Il controvalore della vendita dell’area Falck, in un primo tempo indicato sui 480 milioni, potrebbe aggirarsi sui 400-440 milioni. Per Risanamento si tratterebbe dunque di un passo importante, e la Borsa ha accolto le indiscrezioni con un balzo del titolo di quasi il 12% a 0,38 euro, valore che resta ancora al di sotto di quanto stabilito (0,45) per la sottoscrizione dell’aumento da parte delle banche creditrici. L’addio all’area Falck era peraltro già stata tentato dallo stesso Luigi Zunino, con la ristrutturazione estromesso dal gruppo immobiliare. A fine 2008 tutto sembrava già concluso: il fondo di Dubai Limitless era indicato acquirente sicuro a 475 milioni. Poi il progetto è velocemente tramontato. Calabi ha avviato il negoziato con Bizzi (che a sua volta ha "chiamato" Honua) poco dopo il suo arrivo in Risanamento. E oggi, a meno che il board non ritenga ci sia bisogno di qualche approfondimento, dovrebbe arrivare l’ok. Sergio Bocconi 11 giugno 2010(ultima modifica: 20 luglio 2011 09:55)
Pdl e Responsabili pronti a chiedere il voto segreto. Vertice a Palazzo Grazioli Papa, in Aula il voto sull'arresto Il Pd: "Scambio Pdl-Lega per salvarlo" In mattinata la maggioranza ha votato contro il governo sull'emergenza rifiuti. "Una mossa per ingraziarsi Bossi" NOTIZIE CORRELATE E il senatore Tedesco: "Dico sì al voto palese sulla richiesta del mio arresto" (20 luglio 2011) Decreto rifiuti, governo battuto due volte (20 luglio 2011) Sì all'arresto di Papa, la Lega si astiene Berlusconi: pericoloso dare l'ok in Aula (15 luglio 2011) Alfonso Papa: il deputato del Pdl ha iniziato la sua giornata con una messa (Ansa) Alfonso Papa: il deputato del Pdl ha iniziato la sua giornata con una messa (Ansa) ROMA - Voto segreto o voto palese. E' sul tipo di votazione che verrà adottata sulla richiesta di arresto avanzata dalla procura di Napoli che si gioca il futuro dell'on Alfonso Papa. Ed è sull'esito del voto che scaturirà dal segreto dell'urna che si gioca il braccio di ferro tra la maggioranza e l'opposizione, ma anche tra le forze stesse della coalizione di governo dopo che la giunta per le autorizzazioni aveva nei giorni scorsi espresso parere favorevole. In mattinata la maggioranza era arrivata a votare contro la posizione espressa dall'esecutivo su alcune mozioni relative all'emergenza rifiuti, con evidente disappunto del ministro Stefania Prestigiacomo, andando incontro alle posizioni della Lega, fortemente critica su ulteriori aiuti esterni per la risoluzione dell'emergenza smaltimento a Napoli. E questo, per il Pd, è un chiaro segnale di voto di scambio: il Pdl avrebbe fatto dietrofront sui rifiuti per garantirsi la benevolenza del Carroccio nel voto di questo pomeriggio da cui dipenderà l'arresto di Papa. Ma, appunto, affinché i leghisti possano esprimersi contro il provvedimento restrittivo è necessario che la votazione avvenga a scrutinio segreto, visto che l'ultima posizione ufficiale adottata dal partito di Bossi è quella di un sì all'arresto, posizione che avrebbe anche il consenso di gran parte dell'elettorato leghista. IL VOTO SEGRETO - Il capogruppo del Pdl, Fabrizio Cicchitto, ha respinto con sdegno l'ipotesi dello scambio: "Sui rifiuti è emersa semplicemente una valutazione diversa all'interno della maggioranza derivante da interessi territoriali diversi che sono assolutamente rispettabili". E al leader dei deputati democratici Dario Franceschini, che aveva denunciato in aula l'ipotesi di una trattativa sottobanco, ha replicato definendo la posizione del Pd "una cinica partita strumentale" e precisando che "sull'autorizzazione all'arresto rivendichiamo il voto segreto perchè è giusto che sulla libertà di una persona ogni deputato sia messo di fronte alla propria coscienza". A dare manforte al Pdl ci sarà sicuramente il gruppo di Popolo e Territorio: "Saremo noi a chiedere il voto segreto per Alfonso Papa - ha detto il capogruppo Silvano Moffa -. Siamo disponibili a farlo perchè io ritengo che sia non solo opportuno, ma necessario". Il Pd, dal canto suo, ha deciso di chiedere il voto palese e per bocca dell'on. Daniele Marantelli ha invitato la Lega a fare altrettanto: "Altrimenti - ha sottolineato - sarà evidente che gli spadoni esibiti orgogliosamente a Pontida, appena giungono a Roma, si afflosciano per mantenere un sistema di potere che sta producendo gravi danni a tutto il Paese". "ASPETTIAMO TUTTI" - Dal canto suo il diretto interessato, avvicinato dai cronisti, ha ostentato tranquillità: "Aspettiamo tutti" il voto ha detto all'Ansa Alfonso Papa. La sua giornata è iniziata con una messa, nella stessa chiesa, quella dei santi Claudio e Andrea in piazza San Silvestro, in cui si era raccolto in preghiera, nelle ore dell'inchiesta che lo avrebbe costretto a lasciare, il governatore di Bankitalia Antonio Fazio. Ma Papa non sembra farsi impressionare dalla coincidenza: "Se uno è cristiano non è superstizioso". VERTICE DA BERLUSCONI - Intanto, il premier Silvio Berlusconi, che nei giorni scorsi ha lavorato di diplomazia cercando di convincere Bossi a salvare il deputato pdl, ha convocato a Palazzo Grazioli il segretario del partito Angelino Alfano e i coordinatori nazionali e regionali del Pdl. Secondo quanto riferito da uno dei presenti, Berlusconi ha introdotto la riunione elencando un piano di riforme da realizzare nei prossimi 20 mesi, cioè nella parte restante della legislatura fino al 2013, per recuperare consensi nel Paese ed ha citato un sondaggio che vedrebbe il Pdl al 28%, con il Pd al 26%. Nelle ultime due settimane Berlusconi non ha mai rilasciato dichiarazioni in pubblico, salvo una breve nota letta ai cronisti dopo il voto di fiducia alla Camera venerdì scorso. Non è ancora chiaro se Berlusconi si presenterà in Aula per il voto sulla richiesta di arresto. Al. S. 20 luglio 2011 16:14
L'INCHIESTA DELLA PROCURA DI NAPOLI P4, la Finanza perquisisce la sede Eni Indagini sul contratto di Luda Spornyk, amica di Papa Il deputato Alfonso Papa (Pdl) alla Camera (Ansa) Il deputato Alfonso Papa (Pdl) alla Camera (Ansa) ROMA - La Guardia di Finanza negli uffici dell'Eni a Roma. L'inchiesta sulla cosiddetta P4 investe la grande società energetica italiana. I pubblici ministeri di Napoli Francesco Curcio e Henry John Woodcock, che hanno messo sotto indagine il giro di rapporti, frequentazioni e consulenze che ruotava attorno al lobbista Luigi Bisignani e all'ex magistrato e deputato Pdl Alfono Papa, hanno dato incarico ai militari delle Fiamme Gialle di acquisire una lunga serie di documenti. Mentre Bisignani, è il principale indagato, è agli arresti domiciliari, per Papa i pm di Napoli hanno chiesto alla Camera l'autorizzazione all'arresto: l'aula di Montecitorio deciderà nel pomeriggio di mercoledì. IL CONTRATTO DI LAVORO DELLA SPORNYK - Gli inquirenti stanno approfondendo la natura del rapporto di lavoro instaurato tra l'Eni e Ludmyla Spornyk, una donna dell'est che - secondo le testimonianze raccolte dagli inquirenti - Papa, tramite Bisignani, avrebbe fatto assumere. Alla stessa Spornik, conosciuta anche come Luda, Papa - avrebbe pagato soggiorni in alberghi prestigiosi (dal De Russie a Roma al Mareblu di Ischia, al Principe di Savoia di Milano) ed avrebbe regalato crociere e oggetti di valore. Circostanze tutte avvalorate dalle ammissioni della stessa donna, ascoltata alcuni mesi fa dagli inquirenti. La Guardia di Finanza avrebbe chiesto all'Eni anche copia degli atti relativi agli incarichi professionali affidati dall'azienda a Tiziana Rodà, avvocato, moglie di Alfonso Papa. 20 luglio 2011 12:51
E' indagato dalla Procura di Bari. "Un parallelo con il caso Papa? Boiate..." Tedesco: "Votate il sì al mio arresto" Il senatore del Pd chiederà che il Senato adotti il voto palese sul provvedimento restrittivo che lo riguarda NOTIZIE CORRELATE Caso Papa, voto in Aula tra le polemiche (20 luglio 2011) Alberto Tedesco (Imagoeconomica) Alberto Tedesco (Imagoeconomica) ROMA - Il senatore Alberto Tedesco chiederà che il Senato si esprima con voto palese a favore del suo arresto ai domiciliari, nell'intervento che pronuncerà in aula questo pomeriggio in occasione del dibattito sulla richiesta del gip di Bari nel quadro dell'inchiesta sulla sanità pugliese. "Chiederò che non si intralci il lavoro della magistratura e che si arrivi rapidamente a processo in modo che mi sia consentito di difendermi", ha spiegato il senatore, che fa parte del gruppo misto dopo essersi autosospeso dal Pd, intrattenendosi in Transatlantico con i cronisti. "Così la procura di Bari non avrà alibi", ha affermato il senatore, che si dice convinto che l'opinione pubblica non avrebbe capito le distinzioni sul 'fumus persecutionis' e, sull'iter processuale, esprime l'auspicio che dopo il voto odierno "non siano frapposti altri indugi alla conclusione dell'indagine". "TRANQUILLO E SERENO" - Tedesco si è definito "tranquillo e sereno". "Chiederò - ha preannunciato - che non si voti segretamente. È giusto che tutti i senatori si assumano la responsabilità di quel che pensano, soprattutto per evitare strumentalizzazioni". Lo stesso senatore ha spiegato che voterà anche lui 'sì' al proprio arresto in caso di voto palese mentre si asterrà qualora, invece, Palazzo Madama optasse per lo scrutinio segreto. Quanto al rischio che il voto a suo carico si intrecci con la vicenda del voto su Alfonso Papa che si svolgerà in parallelo alla Camera dei deputati, il senatore Tedesco si è limitato a definire le indiscrezioni in tal senso "boiate...". Redazione Online 20 luglio 2011 15:54
EMERGENZA NAPOLI Decreto rifiuti, governo battuto due volte Passano le mozioni presentate dall'Idv e dall'Api Il ministro Prestigiacomo aveva dato parere favorevole ROMA - Il governo va sotto due volte sull'emergenza rifiuti a Napoli. La maggioranza vota contro due mozioni dell'Idv e dell'Api, e perde clamorosamente. Anche perché vota contro il parere espresso in merito dal ministro all'Ambiente Stefania Prestigiacomo, chiaramente infastidita per quanto accaduto. Il testo dell'Italia dei Valori è passato con 287 no, 296 sì e sei astenuti. Pdl e Popolo e territorio (gli ex "responsabili"), hanno subito dopo deciso di ritirare le loro mozioni in tema di rifiuti che avrebbero dovuto essere votate. E la cosa ha provocato altra confusione. Dopo qualche momento di tensione, è stata la stessa Prestigiacomo a minimizzare sostenendo che c'è stata sì una confusione sui voti ma che è colpa della fibrillazione della giornata. Ma, ai suoi più vicini collaboratori, Prestigiacomo ha confidato il timore che ci sia qualcuno nel centrodestra che vuole giocare a fare "scaricabarile". LA PRESTIGIACOMO NON ACCUSA IL COLPO - "No, non mi sento sconfessata", ha commentato il ministro dell'Ambiente. "Oggi è una giornata di particolare confusione ed è evidente che ci sono stati voti pasticciati, di cui mi rammarico, ma non mi sento sconfessata perchè non posso certo cambiare idea sul parere ad una mozione che chiede che i soldi per la Campania siano spesi con trasparenza" ha detto il ministro. Ma un suo collega, che preferisce restare anonimo, spiega che c'era stato in precedenza un confronto sulla questione con la Prestigiacomo, che si sarebbe "impuntata, insistendo sulla sua posizione". Il risultato è stato che "in aula c'è stato un pasticcio, un qui pro quo". Sulle sorti, invece, del dl rifiuti che era osteggiato dalla Lega e che con il voto di oggi torna all'esame della Commissione Ambiente della Camera, sono praticamente tutti d'accordo: "muore lì" anche perché, dicono diversi esponenti del governo, "con l'ordinanza del Consiglio di Stato, il problema è risolto". LA BRAMBILLA RIMPROVERATA - Ma la tensione del Pdl viene confermata anche da un altro episodio, una ramanzina dai toni decisi, rivolta dal capogruppo del Pdl Cicchitto al ministro Brambilla, accusata di avere un "livello di presenza bassissimo" e aggiungendo di aver "chiamato tutti i sottosegretari...". La Brambilla, visibilmente innervosita per un rimprovero cominciato in aula e proseguito nel Transatlantico, è stata avvicinata da Denis Verdini con cui si è allontanata. NUOVO PROVVEDIMENTO - E spunta l'ipotesi di un nuovo provvedimento anche per evitare di lasciare "margini di ambiguità legislativa" dopo l'ordinanza del Consiglio di Stato. A dirlo è il presidente dei deputati della Lega Marco Reguzzoni. STALLO - Il decreto legge, che prevede il trasferimento della spazzatura campana verso le altre Regioni, martedì ha spaccato la maggioranza. In particolare, la Lega chiedeva che l'ultima parola fosse data ai governatori del nord. L'ipotesi di un ritiro del provvedimento, vista la situazione di "stallo" che si è creata, era nell'aria. Redazione online 20 luglio 2011 16:26
EMERGENZA NAPOLI Decreto rifiuti, governo battuto due volte Passano le mozioni presentate dall'Idv e dall'Api Il ministro Prestigiacomo aveva dato parere favorevole ROMA - Il governo va sotto due volte sull'emergenza rifiuti a Napoli. La maggioranza vota contro due mozioni dell'Idv e dell'Api, e perde clamorosamente. Anche perché vota contro il parere espresso in merito dal ministro all'Ambiente Stefania Prestigiacomo, chiaramente infastidita per quanto accaduto. Il testo dell'Italia dei Valori è passato con 287 no, 296 sì e sei astenuti. Pdl e Popolo e territorio (gli ex "responsabili"), hanno subito dopo deciso di ritirare le loro mozioni in tema di rifiuti che avrebbero dovuto essere votate. E la cosa ha provocato altra confusione. Dopo qualche momento di tensione, è stata la stessa Prestigiacomo a minimizzare sostenendo che c'è stata sì una confusione sui voti ma che è colpa della fibrillazione della giornata. Ma, ai suoi più vicini collaboratori, Prestigiacomo ha confidato il timore che ci sia qualcuno nel centrodestra che vuole giocare a fare "scaricabarile". LA PRESTIGIACOMO NON ACCUSA IL COLPO - "No, non mi sento sconfessata", ha commentato il ministro dell'Ambiente. "Oggi è una giornata di particolare confusione ed è evidente che ci sono stati voti pasticciati, di cui mi rammarico, ma non mi sento sconfessata perchè non posso certo cambiare idea sul parere ad una mozione che chiede che i soldi per la Campania siano spesi con trasparenza" ha detto il ministro. Ma un suo collega, che preferisce restare anonimo, spiega che c'era stato in precedenza un confronto sulla questione con la Prestigiacomo, che si sarebbe "impuntata, insistendo sulla sua posizione". Il risultato è stato che "in aula c'è stato un pasticcio, un qui pro quo". Sulle sorti, invece, del dl rifiuti che era osteggiato dalla Lega e che con il voto di oggi torna all'esame della Commissione Ambiente della Camera, sono praticamente tutti d'accordo: "muore lì" anche perché, dicono diversi esponenti del governo, "con l'ordinanza del Consiglio di Stato, il problema è risolto". LA BRAMBILLA RIMPROVERATA - Ma la tensione del Pdl viene confermata anche da un altro episodio, una ramanzina dai toni decisi, rivolta dal capogruppo del Pdl Cicchitto al ministro Brambilla, accusata di avere un "livello di presenza bassissimo" e aggiungendo di aver "chiamato tutti i sottosegretari...". La Brambilla, visibilmente innervosita per un rimprovero cominciato in aula e proseguito nel Transatlantico, è stata avvicinata da Denis Verdini con cui si è allontanata. NUOVO PROVVEDIMENTO - E spunta l'ipotesi di un nuovo provvedimento anche per evitare di lasciare "margini di ambiguità legislativa" dopo l'ordinanza del Consiglio di Stato. A dirlo è il presidente dei deputati della Lega Marco Reguzzoni. STALLO - Il decreto legge, che prevede il trasferimento della spazzatura campana verso le altre Regioni, martedì ha spaccato la maggioranza. In particolare, la Lega chiedeva che l'ultima parola fosse data ai governatori del nord. L'ipotesi di un ritiro del provvedimento, vista la situazione di "stallo" che si è creata, era nell'aria. Redazione online 20 luglio 2011 16:26
Le accuse si riferiscono all'area ex industriale Falck di sesto san giovanni Penati indagato: "Sono sereno, non ho nulla da temere" Il Pd: "Fiducia nella magistratura". La Lega: "Non parlino più di questione morale". L'Idv: dimissioni NOTIZIE CORRELATE Ex Falck, Filippo Penati indagato per corruzione e concussione MILANO - Il vicepresidente del Consiglio regionale Filippo Penati, indagato dalla Procura di Monza per concussione e corruzionein relazione alle aree ex Falck di Sesto di Giovanni, "si è messo a disposizione della procura di Monza, nutre assoluta fiducia nella magistratura ed è certo che all’esito dell’indagine la sua posizione verrà totalmente chiarita in senso a lui favorevole". "Sono sereno - afferma Penati in una nota -. Ringrazio il mio partito per il sostegno che mi ha immediatamente manifestato. Non ho nulla da temere sono certo che tutto verrà chiarito" OLDRINI: ABBIAMO FIDUCIA - La notizia dell'indagine su Penati non poteva mancare di suscitare reazioni da parte del mondo politico. Tra i primi a manifestare sgomento l'attuale sindaco di Sesto San Giovanni, Giorgio Oldrini (Pd). "Abbiamo appreso con grande dolore - scrive in una nota - che sono in corso due inchieste che riguardano la nostra città, quella su vicende che sarebbero avvenute tra il 2001 e il 2002 per quanto riguarda le aree ex Falck e che avrebbero portato all'invio di un avviso di garanzia all'ex sindaco Filippo Penati, e altre che riguardano l'avviso di garanzia inviato all'assessore Pasqualino Di Leva per vicende legate a concessioni edilizie negli anni 2004-2008". "Le notizie che abbiamo in questo momento sono del tutto frammentarie e imprecise - aggiunge Oldrini -. Ribadiamo comunque la nostra fiducia nell'operato della magistratura e ci auguriamo che tutti possano rapidamente dimostrare la loro assoluta estraneità ai fatti". PD: FIDUCIA NELLA MAGISTRATURA - "La magistratura faccia il suo mestiere per accertare questa vicenda. Credo che alla fine sarà in condizione di verificare che sono cose senza fondamento", ha dichiarato il leader del Pd Pier Luigi Bersani. Anche il capogruppo del Pd in Consiglio regionale, Luca Gaffuri, esprime "piena fiducia nell'operato della magistratura" e si augura che "nei tempi più brevi possibili possa dimostrare la piena innocenza di Penati". Quanto all'ipotesi che al vicepresidente venga chiesto un passo indietro Gaffuri frena: "In questo momento abbiamo solo informazioni di stampa, dobbiamo prima approfondire e incontrare Penati". "Come sempre abbiamo fatto confermiamo piena fiducia nella magistratura e pieno rispetto del suo lavoro. Siamo altresì fiduciosi che Filippo Penati, che ha ben amministrato in questi anni sul territorio, possa dimostrare la sua estraneitá ai fatti oggetto dell'indagine". Sulla stessa linea il segretario regionale lombardo del Pd, Maurizio Martina. LEGA: "BASTA CON LA QUESTIONE MORALE" - "D'ora in poi il Partito democratico non potrà più parlare di questione morale, soprattutto a Sesto San Giovanni", attacca il segretario provinciale e deputato della Lega Nord Marco Rondini. "Se noi utilizzassimo lo stesso criterio applicato dal Pd in molti altri casi analoghi, ossia quello di giudicare le persone prima che i processi vengano celebrati - afferma il parlamentare milanese - dovremmo chiedere a Penati di fare un passo indietro e dimettersi da consigliere regionale. Ci auguriamo invece che la magistratura svolga il suo lavoro in tempi rapidi e altrettanto velocemente accerti la verità ed concluda l'inchiesta sulle aree ex Falck". Il deputato leghista inoltre sottolinea che il centrosinistra governa Sesto da sessant'anni ma "non è stato in grado di riqualificare le ex Falck e restituirle ai cittadini. Non è riuscita a farlo per mancanza di capacità e forse, per altro. Ma questo altro, eventualmente, sarà la magistratura a doverlo accertare". Sempre per la Lega Davide Boni, presidente del Consiglio lombardo, è più garantista: "Spero che il vicepresidente Penati possa chiarire la sua posizione. Siamo ancora in un fase di indagine e, come ho sempre detto, siamo tutti innocenti fino a prova contraria". Boni ha comunque sottolineato "l'assoluta tranquillità dell'ente regionale perché le indagini non riguardano la Regione né Penati come vicepresidente del Consiglio". IDV: DIMISSIONI - Gabriele Sola, vicecapogruppo dell'Italia dei Valori in consiglio regionale, chiede invece a Penati di "lasciare l'incarico di vice presidente del Consiglio regionale lombardo". "Oggi più che mai - ha detto Sola - è importante che la politica dia segnali forti di etica, trasparenza e senso di responsabilità. Per questo è totalmente inopportuno che il Consiglio regionale della Lombardia sia rappresentato, in uno dei ruoli di maggior responsabilità, da una persona indagata per reati gravi come corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti". Sola ha comunque aggiunto che "non è né tempo né il caso di lasciarsi andare a giudizi prematuri; bisogna rispettare la presunzione di innocenza e il lavoro della Procura di Monza. Tuttavia - ha concluso l'esponente dell'Idv - chiediamo serenamente a Penati un passo indietro". PDL: GARANTISMO VERSO TUTTI - Il presidente della Provincia, Guido Podestà, commenta: "Il garantismo impresso nel mio Dna, come in quello del Pdl, mi porta, del resto, a considerare la presunzione d’innocenza una prerogativa di tutti i cittadini che non può procedere a giorni alterni e a secondo del colore politico delle persone oggetto di indagini. Attendo, quindi, che le autorità inquirenti completino il loro lavoro, certo che vi sarà per ognuno la possibilità di fare chiarezza sul proprio operato". Sulla stessa linea Daniele Capezzone, portavoce Pdl. "La presunzione di innocenza deve valere per tutti, amici o avversari che siano". "Sarebbe bene - spiega Capezzone - che la lotta politica, pur nelle sue comprensibili asprezze, non dimenticasse la presunzione di non colpevolezza che è scolpita nella nostra Costituzione, e non avesse atteggiamenti differenziati a seconda del fatto che un'indagine riguardi un esponente del proprio schieramento o di quello avversario. La sinistra ha da sempre avuto un atteggiamento opposto: garantisti con gli amici, giustizialisti con gli avversari. Per noi vale invece la regola del garantismo verso tutti, che è naturale complemento di una difesa rigorosa della legalità". Redazione online 20 luglio 2011 16:09
VOTO UNANIME DEL PLENUM Processi lunghi e troppo lenti, il Csm boccia il Tribunale di Roma Palazzo Marescialli contro il piano organizzativo 2009-2011 di piazza Clodio: al calo consistente di produttività non si è posto rimedio NOTIZIE CORRELATE Tribunale , via i computer torna la biro verbali di 700 udienze compilati a mano (5 mag 09) ROMA - Processi penali pendenti aumentati del 22% negli ultimi anni e sempre più lunghi; e una pendenza "gravissima" anche nel settore civile, per lo meno davanti alla prima sezione. Eppure di fronte a questa situazione non sono state compiute dal tribunale di Roma "scelte credibili", cioè accompagnate da un'analisi sull'efficacia del loro impatto. Interni del tribunale di Roma (Proto) Interni del tribunale di Roma (Proto) "PIANO NON CONVINCENTE" - È per questa ragione che il plenum del Csm all'unanimità ha bocciato il piano organizzativo per il triennio 2009-2011 del tribunale più grande d'Europa. Non è stato predisposto "un organico, documentato e razionale programma di analisi dei flussi e delle pendenze, che deve essere accompagnato da rilevazioni statistiche attendibili", è la lamentela di fondo di Palazzo dei marescialli che giudica perciò "non convincenti" le scelte compiute dal piano. "Alla gravità della situazione" riscontrata nel settore che si occupa dei dibattimenti collegiali penali, e segnata oltre che dall'incremento dalla "manifesta difficoltà nella conduzione di processi a elevata complessità", "non si è fatto fronte", rimprovera tra l'altro il Csm, con l'aumento dei magistrati addetti e delle udienze. E al "calo consistente" della produttività della sezione gip-gup (l'indice di smaltimento è passato in due anni dal 103% all'83%) non si è posto rimedio "con adeguata sollecitudine". "FORTI CRITICITA'" - In particolare, si fa riferimento a una forte criticità "sia nel settore civile sia nel settore penale a seguito di procedimenti pendenti da oltre 3 anni". Alcune sezioni civili, soprattutto la I sezione che si occupa di diritto della famiglia e diritti della personalità, risultano di aver subito un incremento del carico di lavoro del 35%. I processi penali a trattazione collegiale hanno subito un incremento del 22%. Problemi anche per la sede distaccata di Ostia soprattutto per la grave situazione di 'sofferenzà del settore civile. "Non risulta predisposto un organico, documentato e razionale programma di analisi dei flussi e delle pendenze - scrive il Csm - e deve essere accompagnato da rilevazioni statistiche attendibili". "CARENZE IN ORGANICO" - "Da tali carenze di analisi - si legge ancora nella delibera del Csm - discendono effetti negativi con riferimento alla determinazione dell'organico non solo dei magistrati destinati ai due settori (civile e penale e all'interno di questo tra magistrati addetti al dipartimento e magistrati in servizio all'ufficio gip), ma anche tra magistrati in servizio nella sede centrale e assegnati alla sezione distaccata. Le medesime carenze non consentono di effettuare una valutazione ragionata delle effettive esigenze di ciascun settore. Le scelte operate, a volte anche radicali, non risultato pertanto convincenti in quanto non corredate da una analisi circa l'efficacia del loro impatto". Redazione online 20 luglio 2011 14:50
2011-07-15 INCHIESTA P4 Sì all'arresto di Papa, la Lega si astiene Berlusconi: pericoloso dare l'ok in Aula La Giunta della Camera dà il via libera. I deputati Pdl abbandonano i lavori. Bossi: "In galera" NOTIZIE CORRELATE Bossi:"Li teniamo sulle spine" (14 luglio) Il Pdl voleva il rinvio (14 luglio) Voto in aula il 20: Idv annuncia battaglia per il 15 (14 luglio) Alfonso Papa Alfonso Papa MILANO - Sì all'arresto del deputato Alfonso Papa, coinvolto nell'inchiesta sulla cosiddetta P4. Il via libera è arrivato dalla Giunta per le autorizzazioni della Camera, chiamata ad esprimersi sulla richiesta dei pm di Napoli, con i soli voti dell'opposizione. La Lega si è astenuta, mentre i deputati del Pdl e dei Responsabili hanno abbandonato i lavori per protesta. Silvio Berlusconi non è intervenuto in prima persona, ma ha parlato con i suoi della vicenda di Papa. "Bisogna salvarlo" avrebbe detto il premier ai membri del suo partito, dopo aver incontrato a Montecitorio il deputato del Pdl. "Sono contrario ai processi in aula. La carcerazione preventiva per un parlamentare sarebbe un gravissimo precedente che non deve verificarsi" avrebbe aggiunto il Cavaliere, esprimendo la propria contrarietà all'arresto del deputato e invitando in deputati a votare contro in Aula. "Noi siamo un partito garantista, non mandiamo in galera un deputato. Sarebbe un precedente pericoloso che aprirebbe la strada anche all'arresto di Milanese" avrebbe anche aggiunto il presidente del Consiglio. Di segno opposto le dichiarazioni di Umberto Bossi. "In galera" ha risposto il leader della Lega ai giornalisti sulla richiesta di arresto per il deputato Pdl Alfonso Papa che mercoledì sarà votata alla Camera. Il numero uno del Carroccio poco prima aveva risposto in modo colorito a Gabriele Cimadoro dell'Idv, che si era congratulato col Senatùr per l'atteggiamentro tenuto dalla Lega su Papa. Invitato a confermare anche in Aula questa linea, Bossi aveva infatti risposto: "Non siamo mica dei "barbun" come voi...". Traduzione: niente scherzi, in Aula la Lega voterà sì all'arresto. PROPOSTA DI MINORANZA - In Giunta, il relatore Francesco Paolo Sisto aveva chiesto un nuovo rinvio del voto per questioni procedurali (e per rinviare la questione all'Aula), ma il presidente della Giunta Pierluigi Castagnetti ha messo ai voti la proposta di minoranza dell'esponente dell'Idv Federico Palomba. La proposta è passata quindi con 9 voti a favore (Pd, Terzo Polo e Idv) e due astenuti. Mentre il resto della maggioranza (7 Pdl, 1 responsabile e 1 del Misto) hanno abbandonato i lavori. Il parere favorevole all'arresto passerà ora al vaglio della Camera che voterà sulla questione mercoledì 20 alle 16. Il voto può essere a scrutinio segreto. "NESSUNA FORZATURA" - "Non ho fatto forzature. Ho rispettato il regolamento, il mio compito è portare in Aula una proposta e non potevo non svolgere questo compito". Lo ha detto il presidente della Giunta per le autorizzazioni della Camera, Pierluigi Castagnetti che ha partecipato al voto. Gianfranco Fini ha difeso la sua decisione : "Il comportamento di Castagnetti è stato ineccepibile". "SONO SERENO E FIDUCIOSO" - L'interessato si dice sereno. Dopo aver evitato il commento a caldo sulla votazione, Alfono Papa ha preferito mostrarsi tranquillo e fiducioso con i cronisti che lo hanno incontrato alla Camera, in attesa del voto sulla manovra finanziaria. "Ho grande serenità - ha dichiarato Papa -. Io sono impegnato in una battaglia di verità rispetto alla quale non è l'ipotesi del carcere che mi fa paura". Per poi concludere: "Io- ha detto- confido nella giustizia e sono sicuro che la verità verrà a galla. La mia coscienza è assolutamente pulita e sereno". ASTENSIONE LEGA - Il partito di Bossi aveva annunciato il voto favorevole all'arresto del deputato del Pdl, ma alla fine i suoi rappresentanti in Giunta si sono astenuti. "L'astensione di oggi non è preclusiva, in aula mercoledì voteremo come ci ha indicato Bossi". Così il deputato leghista, Luca Rodolfo Paolini, uscendo dalla seduta della giunta. "Siamo rimasti al nostro posto - spiega Paolini - e abbiamo deciso di non votare perché quella presentata non era la relazione ufficiale. C'è stato un errore procedurale - conclude - questo non cambia il nostro indirizzo di voto". Da parte sua Maroni ha preferito evitare ogni dichiarazione. "Non posso rispondere" ha risposto il ministro dell'Interno al cronista che gli chiedeva un commento sul fatto. "PALETTO CHIARO DELL'IDV" - Il leader di Idv Antonio Di Pietro rivendica il risultato ottenuto. "Italia dei valori ha messo un paletto chiaro - ha spiegato a Montecitorio Di Pietro -. Oggi c'è la richiesta di arresto su uno, domani su un altro e chissà su quanti altri ancora... C'è una nuova Tangentopoli che richiede l'intervento dell'autorità giudiziaria". Di Pietro se l'è presa anche con la maggioranza: "È ora di dire basta ai giochetti delle tre carte della maggioranza", con Pdl e Lega pronti a "rinviare per non decidere mai e impedire alla magistratura di indagare". Redazione online 15 luglio 2011 19:19
IN PM DI MILANO mesi fa haNNO comunque acquisito alcune carte dell'inchiesta napoletana "Nessun legame tra P4 e Mediolanum" Il procuratore Bruti Liberati e l'indgine sulla presunta soffiata su una verifica fiscale alla banca NOTIZIE CORRELATE Scambio di mail rivela la "soffiata" a Mediolanum di F. Sarzanini (15 luglio 2011) MILANO - "Non c'è alcun collegamento con l'indagine sulla P4 ma c'è un'indagine per una fuga di notizie con un'ipotesi di reato specifica". Il procuratore capo della Repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati, fa così chiarezza sull'inchiesta relativa a una presunta soffiata su una verifica fiscale a banca Mediolanum, che è stata aperta per rivelazione di segreto d'ufficio a carico di ignoti. La Procura di Milano mesi fa ha comunque acquisito alcune carte dell'inchiesta napoletana che riguarderebbero, appunto, la presunta soffiata. E c'è anche da dire che i pm Francesco Curcio e Henry John Woodcock sarebbero convinti che la "fonte" della soffiata su Mediolanum sia il capo di Stato maggiore Michele Adinolfi, coinvolto nell'inchiesta sulla P4. Bruti Liberati ha spiegato che l'inchiesta milanese, che nulla ha a che vedere con quella sulla P4, dovrà stabilire se è stato rivelato un segreto d'ufficio, se c'è stato davvero un preavviso a Banca Mediolanum e se questo preavviso è stato dato da una persona tenuta al segreto istruttorio, cioè da un pubblico ufficiale. Il procuratore ha poi ripetuto: "Noi non ci occupiamo della P4. A Milano - ha ricordato - ci siamo occupati della P2 e con una certa efficacia". "NESSUN PREAVVISO" - In un comunicato Banca Mediolanum fa sapere dal canto suo di "non aver mai ricevuto alcun "preavviso"" di imminenti ispezioni fiscali. "PIENA FIDUCIA NELLA GDF" - "Abbiamo piena fiducia nella Guardia di Finanza di Milano" ha detto anche Bruti Liberati, spiegando che l'inchiesta sulla presunta fuga di notizie relativa ad una verifica fiscale a Mediolanum è stata affidata al Nucleo di Polizia Tributaria della Gdf del capoluogo lombardo. "L'indagine - si legge in un comunicato del procuratore - affidata al procuratore aggiunto Alfredo Robledo, è stata delegata al Nucleo Polizia Tributaria di Milano della Guardia di Finanza, lo stesso che ebbe ad effettuare a suo tempo la verifica, segnalando già nel marzo scorso alcune criticità". A marzo, infatti, il comandante del Nucleo di Polizia Tributaria, Vincenzo Tomei, firmò un'informativa e la inviò alla Procura di Milano per segnalare che durante la verifica fiscale, ordinata nell'ambito di un'altra indagine del pm Carlo Nocerino, era stata rinvenuta una mail scambiata tra due funzionari di Mediolanum dalla quale sarebbe emerso che erano stati preavvisati dell'ispezione. Redazione online 15 luglio 2011 18:00
inchiesta p4 P4, Bisignani resta ai domiciliari Lo ha stabilito il tribunale del Riesame, confermando la misura cautelare emessa dal gip L'auto con a bordo Luigi Bisignani lascia l'ufficio del Gip il 20 giugno 2011 a Napoli (Ansa) L'auto con a bordo Luigi Bisignani lascia l'ufficio del Gip il 20 giugno 2011 a Napoli (Ansa) MILANO - Il tribunale del Riesame di Napoli ha confermato la misura cautelare degli arresti domiciliari emessa dal gip nei confronti di Luigi Bisignani, l'ex giornalista diventato uomo d'affari, principale indagato nell'ambito dell'inchiesta sulla cosiddetta P4. La decisione è giunta dopo molte ore di camera di consiglio. "NON ALZIAMO POLVERONI" - Immediato il commento del procuratore del capoluogo partenopeo, Giovandomenico Lepore. "La decisione del Riesame e quella della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dimostrano ancora una volta che la Procura di Napoli non alza polveroni, ma mette insieme fatti" ha dichiarato Lepore. Il procuratore fa anche un riferimento ad Alfonso Papa, ex pm e attuale deputato del Pdl, per il quale è stato chiesto l'arresto. "È interessante mettere in risalto - ha detto - che i reati per cui i giudici hanno confermato le misure cautelari sono addebitati anche a Papa a titolo di concorso". Per il capo dei pm napoletani "quella della P4 è una tragedia italiana e personale, ma l'ipotesi accusatoria ha trovato conferma e la decisione dei giudici dimostra che le critiche che ci sono state mosse erano del tutto infondate". Redazione online 15 luglio 2011 19:28
2011-07-14 lo scrive in una lettera indirizzata a Pisanu Il ministro Romano all'antimafia "Ascoltatemi, non sono colluso" Il ministro delle politiche agricole: "Io non ci sto". E l'Idv vuole sfiduciarlo NOTIZIE CORRELATE Romano: "Io vittima di una vendetta politica per aver appoggiato il governo" (14 luglio 2011) Mafia, chiesto processo per Romano. Il ministro: "Non mi dimetto" (13 luglio 2011) Il ministro delle Politiche agricole Saverio Romano (Ansa) Il ministro delle Politiche agricole Saverio Romano (Ansa) MILANO - " In questa rappresentazione tragica, qualcuno vuole assegnarmi la parte del colluso con la Mafia, io non sono d'accordo! Per quanto sopra, Le chiedo di convocarmi presso la Commissione che Ella presiede per una Audizione". Il ministro Saverio Romano leader di Pid lo scrive in una lettera indirizzata al presidente della Commissione antimafia Beppe Pisanu, a proposito della richiesta di rinvio a giudizio a suo carico. L'Idv sta pensando ad una mozione di sfiducia. MOZIONE SFIDUCIA - "L'Idv vuole far votare una mozione di sfiducia nei miei confronti? Lo facciano se hanno i numeri..." chiede Romano a proposito dell'annuncio di Antonio Di Pietro di una mozione di sfiducia individuale nei suoi confronti da far votare nell'aula della Camera. "Non dipende certo da me se viene inserita in calendario- spiega il titolare dell'Agricoltura- ma se viene concretizzata spero che lo si faccia il prima possibile. Ma serve il 10 per cento dell'assemblea, quindi...". INGROIA - "Spesso gli imputati si difendono come credono. Provare a buttarla in politica è un metodo per difendersi, che non sempre paga" ha detto il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, commentando le affermazioni del ministro, che si è definito "vittima di una vendetta politica". LE ACCUSE - Per i pm che hanno firmato la richiesta di rinvio a giudizio, il ministro Romano avrebbe nel tempo sostenuto Cosa nostra e avuto rapporti diretti o mediati con diversi elementi di spicco dell'associazione mafiosa. "Nella sua veste di esponente politico di spicco, prima della Dc e poi del Ccd e Cdu e, dopo il 13 maggio 2001, di parlamentare nazionale - scrivono i magistrati - Romano avrebbe consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno ed al rafforzamento dell'associazione mafiosa, intrattenendo, anche alla fine dell'acquisizione del sostegno elettorale, rapporti diretti o mediati con numerosi esponenti di spicco dell'organizzazione tra i quali Angelo Siino, Giuseppe Guttadauro, Domenico Miceli, Antonino Mandalà e Francesco Campanella". Secondo i pm, inoltre, il ministro avrebbe "messo a disposizione di Cosa nostra il proprio ruolo, contribuendo alla realizzazione del programma criminoso dell'organizzazione tendente all'acquisizione di poteri di influenza sull'operato di organismi politici e amministrativi". In particolare, nella richiesta di rinvio a giudizio i pm fanno cenno all'interessamento di Romano a candidare, su input del boss Guttadauro, Mimmo Miceli, poi condannato per mafia, alle regionali del 2001. Redazione online 14 luglio 2011 15:42
INCHIESTA P4 - LA Lega: "Arresto? Valuteremo" Papa, nessun voto sul suo arresto Riunita la Giunta per le autorizzazioni per la Camera ma il relatore ritira la proposta di dire "no" NOTIZIE CORRELATE "Soffiata" a Mediolanum. La procura apre una nuova inchiesta (14 luglio 2011) Il documento - Ecco il conto di hotel e massaggi pagato al deputato papa (14 luglio 2011) Alfonso Papa (Ansa) Alfonso Papa (Ansa) MILANO - Nessun voto su Alfonso Papa, il parlamentare del Pdl coinvolto nell'inchiesta sulla P4. Con un colpo di scena in Giunta per le autorizzazioni della Camera, il relatore Francesco Paolo Sisto (Pdl) ha ritirato la sua proposta di votare contro la richiesta di autorizzazione all'arresto trasmessa nei confronti del deputato dal Gip di Napoli. La Giunta si è così aggiornata per venerdì alle 12. STRATEGIA - Fino alle prime ore di giovedì mattina, si pensava che i deputati del Pdl avrebbero chiesto in Giunta di rinviare l'esame del voto. Il problema infatti, per il Pdl, è scongiurare le divisioni della Lega su questo fronte. L'obiettivo, sarebbe invece di rimandare all'aula di Montecitorio, chiamata ad esprimersi il 20 luglio su Alfonso Papa, la decisione finale con voto segreto. CASTAGNETTI - "Quando durante la riunione io ho stretto chiedendo di passare al voto, è stato tolto l'oggetto del voto , cioè la proposta avanzata dal relatore di non dare l'autorizzazione" ricostruisce il presidente della Giunta, Pierluigi Castagnetti. "Allora - prosegue - ho chiesto se ci fosse un'altra proposta ma nell'immediato nessuno era in grado di formularla e l'onorevole Palomba dell'Idv ha dato la sua disponibilità a presentarne una domani (venerdì, ndr)". Dunque "domani voteremo sicuramente"ma "la giunta potrebbe prendere atto che non è in grado di esprimere un parere". LEGA - Marco Reguzzoni punta il dito contro "fantasiose ricostruzioni giornalistiche" sulla posizione della Lega Nord, sulla richiesta di arresto di Alfonso Papa e sulle altre richieste di autorizzazione in corso di esame precisando che "non esistono divisioni di pensiero all'interno del Gruppo della Lega". Reguzzoni ribadisce invece che la Lega voterà "a favore di ogni richiesta inerente l'acquisizione di materiale, tabulati telefonici e quant'altro possa agevolare nell'accertamento della verità, muovendoci, come sempre abbiamo fatto, nella totale trasparenza". Sulle richieste di arresto "bisognerà valutare tenendo conto delle accuse caso per caso". Redazione online 14 luglio 2011 14:42
2011-07-10 Il retroscena | Il capo del governo: è una rapina a mano armata Berlusconi: così finanzierò la campagna del Pd La rassicurazione del premier ai suoi: danno sostenibile Silvio Berlusconi Silvio Berlusconi ROMA - "Finirà che pagherò io la prossima campagna elettorale del Pd...". Brucia più di tutto che il creditore che può escutere la fideiussione prestata dalle sue aziende sia la Cir di Carlo De Benedetti, il nemico di una vita, nemico imprenditoriale e politico, un signore che "ha la tessera numero 1 del Pd". Brucia per il Cavaliere una decisione attesa da giorni, sulla quale non si era fatto illusioni ("figuriamoci se i giudici di Milano mi daranno ragione", diceva nelle ultime ore), ma che da ieri è nero su bianco su una sentenza esecutiva. Berlusconi ieri meditava sulla botta ricevuta in Sardegna, nella sua villa affacciata sul golfo di Marinella, negandosi alla maggior parte delle persone che lo chiamavano. C'era per i figli, che ha provveduto lui stesso a rassicurare, per gli amministratori delle sue aziende, che hanno ragionato con lui sul danno che ne potrebbe derivare per gli investimenti futuri, e per pochissimi altri. Per il resto il silenzio ufficiale nel quale si è chiuso il presidente del Consiglio rappresentava la cifra di una passaggio comunque drammatico: Berlusconi ha rassicurato tutti, ieri e negli ultimi giorni, sulla sostenibilità del danno economico che il pagamento della condanna comporterebbe per le sue imprese; utili non distribuiti e liquidità pregresse dovrebbero comunque consentire di affrontare l'esborso; ma non c'è dubbio che resterebbe comunque il segno di una botta finanziaria e politica non indifferente. Il segno di quella che considera una "sentenza farsa", "una rapina a mano armata", secondo alcune delle definizioni che ha usato lui stesso, era ieri ben rappresentato nel fuoco di dichiarazioni che provenivano dal Pdl: esternazioni che paragonavano il giudizio civile di secondo grado ora a un "esproprio proletario" ora a un "ricatto politico" gravido di conseguenze sulla stessa legislatura. Oggi il Cavaliere dirà la sua ufficialmente, collegandosi in mattinata con la festa della Libertà di Mirabello, e c'è da immaginarsi che non sarà tenero con dei giudici che secondo il suo avvocato Ghedini hanno formulato una sentenza "del tutto illogica". Di certo il premier considera inaudita la condanna, ancor di più la quantificazione del danno (circa il doppio del valore delle quote che la Fininvest possiede in Mondadori), incredibile poi quel passaggio della sentenza in cui la sua corresponsabilità nella vicenda corruttiva alla base del giudizio viene desunta con una "presunzione" probatoria. E se c'è da attendersi che il suo intervento di oggi sarà molto duro, c'è anche da aspettarsi che verrà ribadita la voglia di non mollare, anzi quel particolare ragionamento per cui se non ci fossero gli attacchi giudiziari e ora anche patrimoniali una certa voglia di lasciare la scena verrebbe assecondata. "Nemmeno in Unione Sovietica si poteva ipotizzare una dinamica simile, un trasferimento coatto di denaro, ancorché per via giudiziaria, dal capo del governo al capo ideale dell'opposizione, all'editore del giornale dei magistrati...", riassumevano ieri nel governo, dando una lettura meramente politica della sentenza emessa dai giudici civili. Il Cavaliere e i legali delle sue aziende faranno di tutto per non pagare, almeno oggi, quanto deciso dai giudici. Sembra scontato che verrà chiesta una sospensione dell'esecutività della sentenza, per gravi danni incombenti sulle imprese berlusconiane. E qualcuno non esclude che una norma "utile" possa ricomparire nei prossimi giorni nella manovra o in altro provvedimento parlamentare, anche se al momento indiscrezioni di questo tipo sembrano in realtà poco fondate. Marco Galluzzo 10 luglio 2011 09:49
Il lungo duello Quel duro giudizio sul Cavaliere E tornano le ombre dei conti esteri I soldi al giudice Metta e la sentenza su Previti Meglio sborsare 560 milioni che 750. Ma, quasi quasi, conveniva non risparmiare (come padrone di Fininvest) i 190 scontatigli dalla Corte d'Appello, piuttosto che farsi stampare l'etichetta (come premier) di corruttore di giudice. Luigi De Ruggiero, presidente della seconda sezione civile della Corte d'Appello di Milano Luigi De Ruggiero, presidente della seconda sezione civile della Corte d'Appello di Milano Costa infatti caro al premier, in reputazione, il risparmio economico di un quarto dei 750 milioni inflitti alla sua Fininvest nel 2009 dal giudice Mesiano come risarcimento alla Cir: in 283 pagine la sentenza civile d'Appello, che gli fa lo sconto, è molto più incisiva e stringente nell'indicarlo "corresponsabile" della medesima "corruzione" costata nel 2007 all'avvocato Cesare Previti e al giudice Vittorio Metta condanne penali definitive, e invece sfociata per Berlusconi nel 2001 nella prescrizione. E sancisce che il controllo della prima casa editrice del Paese è in mano a chi 20 anni fa si avvantaggiò della compravendita di una sentenza: l'annullamento in Corte d'Appello civile a Roma il 24 gennaio 1991 del "lodo Mondadori", cioè della decisione di un collegio arbitrale di tre giuristi scelti dalle parti per dirimere l'interpretazione (controversa nella contesa con Berlusconi per il controllo dell'azienda editoriale) degli accordi con la famiglia Formenton, erede delle quote del genero di Arnoldo Mondadori. Quel lodo arbitrale era stato favorevole a De Benedetti, ma il suo annullamento spianò la strada a Berlusconi, giacché pose la Cir nella condizione di trattare da una posizione molto più debole il compromesso con Fininvest: transazione mediata dall'allora imprenditore andreottiano e oggi parlamentare pdl Giuseppe Ciarrapico, e infine culminata nella spartizione tra libri, settimanali (tra cui Panorama) e un conguaglio di 365 miliardi di lire a Berlusconi, e invece Espresso, Repubblica e i quotidiani locali a De Benedetti. Nel penale un'altalena di 7 processi tra il 1996 e il 2007 ha infine stabilito in via definitiva che in cambio dell'annullamento del lodo arbitrale Previti, nell'interesse dell'azienda di Berlusconi, insieme ai legali Attilio Pacifico e Giovanni Acampora fece pervenire al giudice Metta 400 milioni di lire in contanti, provenienti dai 2 milioni e 732.868 dollari (3 miliardi di lire) che appena 20 giorni dopo la sentenza di Metta i conti esteri Fininvest All Iberian e Ferrido avevano bonificato il 14 febbraio 1991 al conto svizzero Mercier di Previti. Le sentenze definitive il 13 luglio 2007 inflissero al giudice Metta 2 anni e 9 mesi (in continuazione con altri 6 anni per la corruzione nel processo Imi-Sir), e 18 mesi a Previti (in aggiunta ai 6 anni di Imi-Sir). L'unico a non subire conseguenze penali fu proprio Berlusconi, che nel 2001 aveva visto Previti e Metta rinviati a giudizio dalla Corte d'Appello su ricorso dei pm contro l'iniziale proscioglimento di tutti, mentre egli era stato l'unico a giovarsi delle attenuanti generiche che ne avevano determinato la prescrizione. Ma ieri i giudici civili, paradossalmente proprio accogliendo la tesi di Fininvest che non voleva essere schiacciata sotto il peso della condanna penale di Previti maturata in processi nei quali la società non era presente, rifanno "un autonomo giudizio sulla sussistenza della vicenda corruttiva e sulle responsabilità". Anche del premier, sul cui conto valorizzano "la provenienza di 2.732.868 dollari bonificati a Previti (in vista delle già dimostrate finalità corruttive) dai conti All Iberian e Ferrido dei quali è accertata l'appartenenza a Fininvest", e "la posizione di vertice in Fininvest". Va bene tutto, ragionano i giudici, ma "è fuori da ogni plausibile logica che nel febbraio 1991 una qualsiasi persona fisica abbia versato 3 miliardi di lire di Fininvest a Previti, in mancanza di una obbligazione debitoria nei suoi confronti, perché li gestisse nell'interesse della medesima Fininvest anche e soprattutto a fini corruttivi, tenendo all'oscuro il proprietario della società pagatrice e beneficiaria. E' ovvio che nessun gestore o collaboratore, neppure al più alto livello, avrebbe mai assunto su di sé la responsabilità ed il rischio in mancanza di un'univoca direttiva del dominus", a meno non si voglia credere ad "audaci corruttori che in autonomia sottraggono 3 miliardi a Fininvest per consumare una corruzione "clandestina" rispetto allo stesso soggetto pagatore e beneficiario dell'illecito": una tangente "per immedesimazione organica". Invece nel "mondo della normalità è certo, essendo il contrario addirittura irreale, che il dominus della società abbia promosso o consentito la condotta criminosa, realizzata con denaro suo ed a suo illecito profitto attraverso esecutori materiali a lui strettamente legati". Già 10 anni fa in sede penale "in base al materiale probatorio disponibile non è emersa l'evidente innocenza dell'imputato", e "il proscioglimento fu disposto solo a seguito della concessione delle attenuanti generiche". Benché dal 1992 il privato corruttore e il magistrato corrotto rischiassero la stessa pena, la giurisprudenza riteneva che per l'ipotetico "corruttore privato" (Berlusconi) non potessero valere le stesse pene del "corrotto magistrato" (Metta) fra il 26 aprile 1990 e il 7 febbraio 1992, cioè nel periodo nel quale le norme sulla corruzione dei magistrati non lo prevedevano espressamente. La contestazione a Berlusconi (400 milioni nel 1991 a Metta) cadeva proprio in questo vuoto normativo, e così prevalse la tesi che per il "privato" Berlusconi le pene teoricamente applicabili fossero quelle non della "corruzione in atti giudiziari", ma della "corruzione semplice", più basse ed esposte alla prescrizione. Qui infatti entrarono in gioco le attenuanti generiche, negate a Previti e Metta, ma nel 2001 concesse al premier nel presupposto avesse agito "nell'ambito di un'attività imprenditoriale le cui zone d'ombra non possono condurre a una preconcetta valutazione ostativa" ora che le sue "attuali condizioni individuali e sociali" sono di "oggettivo rilievo": quelle attenuanti ebbero l'effetto di dimezzare i termini massimi da 15 anni a 7 anni e mezzo, facendo appunto scattare il proscioglimento per prescrizione ridatata al 14 ottobre 1999. E per i giudici civili ciò "comporta necessariamente la seguente progressione logica: la Corte, che in sede penale prosciolse Berlusconi, doveva aver messo in relazione un fatto storico costituente reato attribuito all'imputato" Berlusconi (la corruzione del giudice Metta) "con le valutazioni di concessione delle attenuanti generiche. Il primo elemento è logicamente precedente al secondo. E, per svolgere l'operazione logica, non si può che postulare la sussistenza del reato come ascritto all'imputato". Luigi Ferrarella 10 luglio 2011 09:52
In manette l'imprenditore Tommaso di Lernia. ai domiciliari Massimo De Cesare (Eurotec) Appalti Enav, arrestati due imprenditori Indagato Milanese: è accusato di finanziamento illecito ai partiti NOTIZIE CORRELATE Gip: paga la casa a Tremonti. Il ministro: solo ospite, vado via (8 luglio 2011) Marco Milanese (Imagoeconomica) Marco Milanese (Imagoeconomica) MILANO - Il gip di Roma ha emesso due provvedimenti di custodia cautelare, uno in carcere nei confronti dell'imprenditore Tommaso di Lernia, già finito in manette per corruzione e fatturazione di operazioni inesistenti nell'inchiesta sugli appalti dell'Enav, e uno ai domiciliari per Massimo De Cesare, amministratore delegato di Eurotec. Nell'inchiesta è indagato anche Marco Milanese, il deputato del Pdl, ex consigliere politico del ministro Giulio Tremonti, del quale giovedì la magistratura di Napoli ha richiesto l'arresto. Per lui l'accusa è di finanziamento illecito ai partiti. L'IMBARCAZIONE - I provvedimenti riguardano il filone di indagine relativo alla vendita a Eurotec, società che si occupa della costruzione di opere civili, di una barca da 15 metri acquistata in leasing (per una cifra che si avvicina ai 20 mila euro al mese) da Milanese. In base a quanto ricostruito dalla Procura di Roma la vendita dell'imbarcazione "Mochi Craft" ad un prezzo maggiorato rispetto al suo valore, sarebbe stata la contropartita richiesta da Milanese in cambio della nomina, decisa dal cda di Enav su suo input, dell'ex consigliere di amministrazione dell'Ente nazionale di assistenza al volo, Fabrizio Testa, a presidente di Technosky, società controllata di Enav. Al fine di ottenere la nomina, Testa si sarebbe rivolto a Lorenzo Cola, l'ex consulente del presidente di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini, che avrebbe coinvolto Di Lernia per risolvere il problema della vendita dell'imbarcazione. A questo punto Di Lernia contatta De Cesare che avrebbe proceduto all'acquisto della barca pagandola circa 1,9 milioni di euro contro un valore stimato di 1,4 milioni. A Milanese sarebbero andati 224 mila euro. (fonte Ansa) 08 luglio 2011(ultima modifica: 10 luglio 2011 16:44)
per concorso in associazione mafiosa a carico del titolare delle Politiche agricole Mafia, il gip chiede l'imputazione coatta del ministro Romano Non ha accolto la richiesta di archiviazione, presentata dalla procura Francesco Saverio Romano (Imagoeconomica) Francesco Saverio Romano (Imagoeconomica) PALERMO - Il gip Giuliano Castiglia non ha accolto la richiesta di archiviazione, presentata dalla procura, dell'indagine per concorso in associazione mafiosa a carico del ministro delle Politiche agricole Saverio Romano, e ha avanzato richiesta di imputazione coatta (cioè quando non archivia, ndr). A questo punto i pm entro dieci giorni dovranno formulare la richiesta di rinvio a giudizio. "ADDOLORATO E SCONCERTATO" - "Questo procedimento mi ha visto indagato quasi ininterrottamente per otto anni anche se l'indagine era tecnicamente spirata nel novembre del 2007. Questi semplici ma inconfutabili dati dimostrano il corto circuito tra le istituzioni e dentro le istituzioni". Lo dice il ministro Saverio Romano, commentando la decisione del gip di Palermo. "Il fallimento del sistema giudiziario - prosegue - vive nella interminabile condizione che si riserva al cittadino Saverio Romano in un periodo di tempo che nella sua enorme dimensione rappresenta già una sanzione insopportabile anche se l'epilogo sarà quello da me auspicato". Per Romano "sarebbe di contro parimenti fallimentare un sistema della giustizia che ha lasciato operare per così tanto tempo un uomo politico che potrebbe aver commesso l'infamante reato di concorso con Cosa Nostra. Purtroppo ormai da quasi 20 anni il nostro Paese assiste ad uno spettacolare conflitto che in questi ultimi mesi all'approssimarsi della riforma giudiziaria si è acuito". "Sono addolorato e sconcertato - conclude - con questo provvedimento non viene chiesta solo la formulazione dell'imputazione per il sottoscritto ma vengono messe in discussione le conclusioni alle quali dopo lunghissimi approfondimenti era pervenuta la Procura di Palermo. Difenderò in ogni sede il mio nome, per me, per i miei familiari e per la comunità politica che rappresento". Redazione online 08 luglio 2011(ultima modifica: 10 luglio 2011 16:43)
2011-07-09 IL RISARCIMENTO SARà LIQUIDATO NEI PROSSIMI GIORNI Lodo Mondadori, l'Appello conferma la condanna a Berlusconi (con lo sconto) Un quarto secco in meno, da 750 a 560 milioni di euro come risarcimento alla Cir di Carlo De Benedetti NOTIZIE CORRELATE IL DOCUMENTO: La parte della sentenza che riguarda la posizione di Silvio Berlusconi I giudici: "Berlusconi corresponsabile nella corruzione" Marina Berlusconi: "Sgomenti e senza parole. Faremo ricorso, siamo nel giusto" Scheda 1 - La cronologia del processo Scheda 2 - Fininvest, la holding del Cavaliere Spunta la norma sul Lodo Mondadori (4 luglio 2011) Berlusconi: "Dove trovo i soldi, se condannato?" (15 giugno 2011) MILANO - Maxisconto dei giudici a Silvio Berlusconi sul "lodo Mondadori": un quarto secco in meno, da 750 a 560 milioni di euro. Ma per il premier questo risparmio di 190 milioni è l’unica buona notizia: anche la seconda Corte d’Appello civile di Milano, infatti, condanna la società del presidente del Consiglio e dei suoi figli a pagare alla Cir complessivamente 560 milioni (tra capitale, interessi legali dall’ottobre 2009 e spese legali) come risarcimento a Carlo De Benedetti per i danni causati all’editore di "Repubblica" dalla corruzione giudiziaria che nel 1991 inquinò la fine del braccio di ferro tra Berlusconi e De Benedetti per il controllo della prima casa editrice italiana, la Mondadori. LA SOMMA - L’entità della somma si compone del risarcimento vero e proprio, quantificato in 540 milioni di euro; degli interessi legali del 2,5% a partire dalla data della sentenza di primo grado emessa dal giudice Raimondo Mesiano, cioè dall’ottobre 2009; e delle spese legali fissate in 8 milioni di euro. A determinare gran parte della riduzione del risarcimento è stato l’esito della consulenza tecnica d’ufficio che nel marzo 2010 la Corte d’Appello aveva affidato ai professori Luigi Guatri, Maria Martellini e Giorgio Pellicelli per verificare "se fra giugno 1990 e aprile 1991e siano intervenute variazioni dei valori delle società e delle aziende oggetto di scambio tra le parti": quesito al quale i tre consulenti hanno risposto calcolando una riduzione del valore delle aziende attorno al 18,8%. I TEMPI- Nella giustizia civile le sentenze sono immediatamente esecutive già dopo il primo grado, ma nel dicembre 2009 gli avvocati delle due parti (Giuseppe Lombardi, Giorgio De Nova, Achille Saletti e Fabio Lepri per Fininvest, Elisabetta Rubini e Vincenzo Ruoppo per Cir) raggiunsero un’intesa per "congelare" il versamento a fronte di due condizioni: una maxifidejussione di 800 milioni prestata da un pool di quattro banche alla Fininvest in favore della Cir, e l’impegno della Corte d’Appello a definire in tempi rapidi la causa di secondo grado iniziata il 24 febbraio 2010. Questo significa che ora la Cir — appena nel giro di qualche giorno avrà in mano le copie "registrate" della sentenza firmata dai giudici Luigi De Ruggiero (presidente), Walter Saresella (relatore) e Giovambattista Rollero — avrà titolo per escutere la fidejussione in Banca Intesa Sanpaolo (capofila del pool con Unicredit, Monte dei Paschi di Siena e Popolare di Sondrio) e così incassare immediatamente i 560 milioni di euro sanciti dai giudici d’Appello. Proprio quello che voleva scongiurare il codicillo infilato di soppiatto dopo il Consiglio dei Ministri nel testo della Legge Finanziaria, ritirato dopo le polemiche ma nel contempo rivendicato come "sacrosanto" dal premier e ora destinato (secondo quanto dichiarato da Berlusconi e da membri della sua maggioranza) a poter essere resuscitato sotto forma di emendamento nel corso dell’iter parlamentare della manovra contabile. Berlusconi Berlusconi LA VICENDA- L’odierna causa civile, foriera dei 560 milioni di euro di risarcimento alla Cir, è diretta conseguenza dei processi penali scaturiti dall’inchiesta avviata nel 1996 dai pm Ilda Boccassini e Gherardo Colombo. I dibattimenti hanno già stabilito in via definitiva che l’avvocato Fininvest Cesare Previti, nell’interesse dell’azienda di Berlusconi, insieme ai legali Attilio Pacifico e Giovanni Acampora fecero pervenire al giudice Vittorio Metta 400 milioni di lire in contanti, parte dei 3 miliardi che 20 giorni dopo la sentenza di Metta i conti esteri Fininvest "All Iberian" e "Ferrido" avevano bonificato il 14 febbraio 1991 al conto estero "Mercier" di Previti. Per cosa? In cambio della compravendita di un verdetto, l’annullamento in Corte d’Appello civile a Roma del "lodo Mondadori", e cioè della decisione di un collegio arbitrale di tre giuristi scelti dalle parti per dirimere la controversa interpretazione degli accordi con la famiglia Formenton erede delle quote del genero di Arnoldo Mondadori, decisione che inizialmente era stata favorevole a De Benedetti nella contesa con Berlusconi per il controllo della casa editrice Mondadori. Quell’annullamento in Appello spianò la strada a Berlusconi perché pose la Cir nella condizione di trattare da una posizione molto più debole il compromesso con Fininvest: una transazione mediata dall’allora imprenditore andreottiano e oggi parlamentare pdl Giuseppe Ciarrapico, e infine sfociata nella spartizione del gruppo editoriale con i libri, i settimanali (tra cui "Panorama") e un conguaglio di 365 miliardi di lire a Berlusconi, e invece "l’Espresso", "Repubblica" e i quotidiani locali "Finegil" a De Benedetti. I processi penali si sono conclusi il 13 luglio 2007 in Cassazione con la condanna per corruzione del giudice Metta a 2 anni e 9 mesi (in continuazione con altri 6 anni già inflittigli per l’altro processo Imi-Sir), dell’avvocato Previti a 1 anno e mezzo (in aggiunta ai 6 anni di Imi-Sir), e dei legali Pacifico e Acampora a 1 anno e mezzo in continuazione con le precedenti condanne per Imi-Sir rispettivamente a 6 anni e a 3 anni e 8 mesi. L’unico a non subire conseguenze penali è stato proprio Silvio Berlusconi, il quale, seppure indagato per il medesimo reato costato poi la condanna a Previti, ottenne nel 2001 la prescrizione grazie al fatto che nella fase del rinvio a giudizio i giudici concessero, esclusivamente a lui, le attenuanti generiche. Luigi Ferrarella lferrarella@corriere.it 09 luglio 2011 19:50
LE REAZIONI - Di pietro: le sentenze si rispettano. Ghedini: la cassazione annullerà Alfano: "Premier è sereno, Pdl con lui" Il gruppo Cir: non è una sentenza politica Marina Berlusconi: forsennata aggressione dei giudici, faremo ricorso. Il Pd: dichiarazioni eversive NOTIZIE CORRELATE Lodo Mondadori, l'Appello conferma la condanna a Berlusconi (con lo sconto) Carlo De Benedetti e Marina Berlusconi (Photoviews) Carlo De Benedetti e Marina Berlusconi (Photoviews) MILANO - "È una sentenza che sgomenta e lascia senza parole": lo afferma il presidente di Fininvest Marina Berlusconi, nella lunga dichiarazione dopo la sentenza del Lodo Mondadori. "È una sentenza che rappresenta l'ennesimo scandaloso episodio di una forsennata aggressione che viene portata avanti da anni contro mio padre - scrive ancora Marina Berlusconi - con tutti i mezzi e su tutti i fronti, compreso quello imprenditoriale ed economico". Dopo aver parlato di "attacco" da parte della magistratura milanese in particolare e del gruppo editoriale De Benedetti, il presidente Fininvest afferma che il risarcimento da 560 milioni di euro è "una somma spropositata", "addirittura doppia rispetto al valore della nostra partecipazione in Mondadori". "Neppure un euro è dovuto da parte nostra, siamo di fronte ad un esproprio che non trova alcun fondamento nella realtà dei fatti né nelle regole del diritto. Già in queste ore i nostri legali cominceranno a studiare il ricorso in Cassazione", conclude Marina Berlusconi. ALFANO: PREMIER SERENO - "Siamo certi che questo episodio non toglierà al Premier la serenità necessaria per governare, come ha sempre fatto, nell'interesse esclusivo dell'Italia e degli italiani". Lo ha detto il ministro della Giustizia e segretario del Pdl, Angelino Alfano commentando la sentenza sul Lodo Mondadori "Il Pdl è al fianco del presidente Silvio Berlusconi con determinazione e con affetto - ha aggiunto - e sottolinea che si tratta di una decisione che, per essere definitiva, dovrà certamente avere il vaglio di altri giudici". CIR: LA POLITICA NON C'ENTRA - La Cir, in una nota diffusa dai legali Vincenzo Roppo ed Elisabetta Rubini, esprime "soddisfazione" per la condanna che "conferma ancora una volta che nel 1991 la Mondadori fu sottratta alla Cir mediante la corruzione del giudice Vittorio Metta, organizzata per conto e nell’interesse di Fininvest". "Con particolare soddisfazione - si legge ancora nella nota - si registra il passaggio della sentenza dove si riconosce che, corrompendo il giudice Metta, Fininvest tolse a Cir non la semplice chance di vincere nel 1991 la causa sul controllo del gruppo Mondadori -Espresso, ma la privò senz’altro di una vittoria che senza la corruzione giudiziaria sarebbe stata certa". La nota sottolinea inoltre che "il contenzioso giudiziario sul Lodo Mondadori, relativo a fatti avvenuti oltre venti anni fa, riguarda una storia imprenditoriale ed è completamente estraneo all’attualità politica". SACCONI: MODERATI UNITI CONTRO L'AGGRESSIONE - Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi sostiene la tesi dell'"aggressione" di Marina Berlusconi. E indica, come unica riposta, la linea dell'"unità dei moderati" proposta dal neo-segretario Alfano . "Nel momento in cui massima è l'intensità dell'aggressione mediatico-giudiziaria nei confronti del governo e del presidente del Consiglio, come evidenzia la stessa sentenza Mondadori, altrettanto e ancor di più intensa può e deve essere la risposta politica a coloro che vogliono commissariare l'Italia nel nome di interessi particolari. E questa risposta è il dichiarato disegno dell'unità dei moderati e dei riformisti nel segno del popolarismo europeo che il nuovo segretario politico del Pdl, Alfano, ha indicato come il cuore del suo mandato". Il ministro lo fa sapere in una nota, in cui aggiunge che "è quindi particolarmente significativa l'adesione di tre dei fondatori del Fli, Ronchi, Urso e Scalia, a questo progetto in coerenza con il loro percorso politico". PD: DICHIARAZIONI EVERSIVE - Ettore Rosato, esponente dell'Ufficio di presidenza del Gruppo del Pd alla Camera, commenta le dichiarazioni di Marina Berlusconi: "Era scontata la discesa in campo, con toni isterici, degli esponenti del Pdl a difesa dell'azienda del loro capo, anche se non è affatto giustificata perché le sentenze si rispettano. Preoccupano molto, invece, le dichiarazioni della stessa famiglia Berlusconi che sfiorano l'eversione e si pongono pericolosamente fuori dalla legalità". DI PIETRO: SENTENZE SI RISPETTANO - "Le sentenze si rispettano e i danni si risarciscono. E se è vero, com'è vero, che Berlusconi è stato condannato in appello per danni causati a un altro gruppo imprenditoriale, significa che lui ci ha guadagnato illecitamente e l'altro ci ha rimesso. È inutile che Berlusconi e i suoi tentino di buttarla in politica, qui siamo solo di fronte a comportamenti truffaldini gravissimi". Lo afferma in una nota il leader dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro. BINDI: CHIUDERE QUESTO VENTENNIO - "È una sentenza che come tutte le sentenze esecutive deve essere rispettata. Ho visto che faranno ricorso in Cassazione. Auguri, intanto dovranno comportarsi come tutti i normali cittadini. E da questa sentenza abbiamo capito chiaramente che quella norma messa in Finanziaria non era per tutti gli italiani, ma era per un italiano, guarda caso sempre lo stesso", ha detto la presidente del Pd Rosy Bindi. Per Bindi "è arrivato il tempo di chiudere questo ventennio" ed "è l'ora che l'Italia sia liberata da questa maggioranza, da questo presidente del Consiglio, da questo Governo". CAPEZZONE: CLIMA DA PIAZZALE LORETO - "Credo che occorra togliersi le appartenenze politiche e di partito. Le sentenze vanno rispettate, ma questa a me pare enorme, abnorme. Rischia di essere una mazzata per un'azienda che dà posti di lavoro a moltissimi italiani". Lo ha detto il portavoce del Pdl Daniele Capezzone. "C'è da troppo tempo, contro Silvio Berlusconi, un clima da Piazzale Loreto, con forsennati attacchi politici e personali", aggiunge Capezzone. GHEDINI: CASSAZIONE ANNULLERA' - "La Corte d'Appello di Milano ha emesso una sentenza contro ogni logica processuale e fattuale, addirittura ampiamente al di là delle stesse risultanze contabili che erano già di per sé erronee in eccesso, e addirittura superiore al valore reale della quota Mondadori posseduta da Fininvest". Lo dichiara il parlamentare del Pdl e legale del premier, Niccolò Ghedini. "È la riprova, se ve ne fosse stato bisogno, che a Milano è impossibile, quando vi è anche indirettamente coinvolto il presidente Berlusconi, celebrare un processo che veda la applicazione delle regole del diritto. E se la Corte d'Appello non sospenderà l'esecutività della sentenza, tale prova sarà ancora più evidente. Comunque la Corte di Cassazione non potrà che annullare questa incredibile sentenza". BONDI: GIUSTIZIA VIOLENTA - "Di fronte alla sentenza Mondadori l'unica cosa che si può dire è che a questo punto solo degli osservatori neutrali, rappresentanti di istituzioni internazionali, sarebbero in grado di verificare le modalità anomale e violente, più simili a Paesi totalitari che a democrazie civili, in cui si esercita l'amministrazione della giustizia in Italia", è il commento dell'ex ministro Sandro Bondi. STRACQUADANIO: SENTENZA COMPRATA - "La sentenza di oggi è l'ennesimo atto di una trama criminale di natura politico-giudiziaria ordita contro la discesa in campo di Silvio Berlusconi. È evidente a tutti che lo scopo di un manipolo di magistrati felloni e golpisti - che si annida nel palazzo di giustizia di Milano e gode di complicità a tutti i livelli politici, imprenditoriali e istituzionali - è il massacro politico, imprenditoriale e fisico del presidente del Consiglio". Lo dichiara - in una nota - Giorgio Stracquadanio, deputato del Pdl. La vicenda, per Stracquadanio, "dimostra che il vero modo con cui si comprano sentenze favorevoli a un gruppo di potere è quello di assecondare, con un sapiente uso dei mezzi di comunicazione di massa, il disegno politico della magistratura militante". Redazione online 09 luglio 2011 19:48
LA SCHEDA [Esplora il significato del termine: la scheda Lodo Mondadori, le tappe della vicenda Il processo iniziato il 4 ottobre 2001, imputati Previti, Pacifico, Metta e Acampora NOTIZIE CORRELATE Lodo Mondadori, l’Appello conferma la condanna a Berlusconi (con lo sconto) Ecco le tappe principali della vicenda giudiziaria per il Lodo Mondadori, i cui risvolti civili il 3 ottobre del 2009 hanno portato il giudice Raimondo Mesiano del Tribunale di Milano a condannare la Fininvest a versare, per danno patrimoniale, un risarcimento di 750 milioni di euro a Cir. Oggi la seconda sezione civile della Corte d’Appello ha condannato Fininvest a pagare 540 milioni più spese ed interessi per un totale di circa 560 milioni. 4 ottobre 2001 - Davanti ai giudici della quarta sezione del Tribunale di Milano, presidente Paolo Carfì, comincia il processo per il Lodo Mondadori. Imputati per corruzione in atti giudiziari sono Cesare Previti, Attilio Pacifico, Vittorio Metta e Giovanni Acampora. Qualche mese prima i giudici della quinta sezione della Corte d’Appello di Milano ritengono che nei confronti di Silvio Berlusconi è ipotizzabile il reato di corruzione semplice. Reato che, grazie alla concessione delle attenuanti generiche, viene dichiarato prescritto. 28 gennaio 2002 - il processo Imi-Sir, cominciato nel 2000, viene riunito con quello sul Lodo Mondadori. 29 aprile 2003 - Il Tribunale condanna a 13 anni Vittorio Metta, a 11 anni Cesare Previti e Attilio Pacifico, a 8 anni e 6 mesi Renato Squillante, a 6 anni Felice Rovelli, a 5 anni e 6 mesi Giovanni Acampora, 4 anni e 6 mesi Primarosa Battistella. Assolto Filippo Verde. 7 gennaio 2005 - Comincia a Milano, davanti alla seconda Corte d’appello, presieduta da Roberto Pallini, il processo di secondo grado per i casi Imi-Sir e Lodo Mondadori. 23 maggio 2005 - I giudici confermano la condanna di Cesare Previti per la sola vicenda Imi-Sir, assolvendolo per quella Lodo Mondadori. Previti e Attilio Pacifico hanno avuto una riduzione della condanna da undici a sette anni. Riduzioni delle pene per gli altri imputati: Vittorio Metta da 13 a 6 anni, Renato Squillante da 8 anni e 6 mesi a 5 anni, Felice Rovelli da 6 a 3 anni, Primarosa Battistella da 4 anni e 6 mesi a 2 anni. Per la vicenda Lodo Mondadori l’avvocato Giovanni Acampora, Metta, Pacifico e Previti sono stati assolti "perchè il fatto non sussiste". 4 maggio 2006 - Per il caso Imi/Sir, la Cassazione riduce a 6 anni la condanna per Previti e Pacifico, conferma la condanna a 6 anni per Metta, riduce la pena per Acampora a 3 anni e 8 mesi, annulla senza rinvio la condanna per Squillante e Battistella e considera prescritta l’accusa per Felice Rovelli. Per il Lodo Mondadori, la Suprema Corte accoglie il ricorso della Procura Generale di Milano e della parte civile Cir, contro le assoluzioni del maggio 2005. 18 dicembre 2006 - Davanti alla terza sezione della Corte d’appello di Milano, comincia il nuovo processo di secondo grado per il Lodo Mondadori. 23 febbraio 2007 - I giudici condannano Previti, Acampora e Pacifico ad un anno e 6 mesi, Metta a due anni e 9 mesi. 13 luglio 2007 - Le condanne del processo bis di secondo grado vengono confermate dalla Cassazione che ha così cristallizzato l’ipotesi delle indagini avviate nel 1996 dalla Procura di Milano: la sentenza del 1991 della Corte d’ Appello di Roma sfavorevole a De Benedetti fu in realtà comprata corrompendo il giudice estensore Vittorio Metta con 400 milioni provenienti da Fininvest. La somma, questa l’accusa, faceva parte dei 3 miliardi di lire che il 14 febbraio 1991, 20 giorni dopo la sentenza di Metta, dai conti esteri Fininvest "All Iberian" e "Ferrido" vennero bonificati sul conto svizzero "Mercier" di Previti, e che poi vennero movimentati da Acampora e Pacifico per fare arrivare, appunto, i 400 milioni a Metta. 3 ottobre 2009 - La prima sezione del Tribunale di Milano ha dichiarato che la Cir ha diritto al risarcimento di 750 milioni da parte di Fininvest per il danno patrimoniale da ’perdita di chancè subito nella vicenda per la "battaglia di Segrate". Il provvedimento civile è arrivato alla luce dalla condanna penale definitiva per corruzione in atti giudiziari di Metta, Previti, Acampora e Pacifico. 9 luglio 2011 - La seconda sezione civile della Corte d’Appello di Milano ha confermato la condanna di primo grado alla Fininvest riducendo però il risarcimento dovuto alla Cir a circa 560 milioni di euro compresi spese ed interessi. (fonte: Ansa) 09 luglio 2011 10:15] la scheda Lodo Mondadori, le tappe della vicenda Il processo iniziato il 4 ottobre 2001, imputati Previti, Pacifico, Metta e Acampora NOTIZIE CORRELATE Lodo Mondadori, l'Appello conferma la condanna a Berlusconi (con lo sconto) Ecco le tappe principali della vicenda giudiziaria per il Lodo Mondadori, i cui risvolti civili il 3 ottobre del 2009 hanno portato il giudice Raimondo Mesiano del Tribunale di Milano a condannare la Fininvest a versare, per danno patrimoniale, un risarcimento di 750 milioni di euro a Cir. Oggi la seconda sezione civile della Corte d'Appello ha condannato Fininvest a pagare 540 milioni più spese ed interessi per un totale di circa 560 milioni. 4 ottobre 2001 - Davanti ai giudici della quarta sezione del Tribunale di Milano, presidente Paolo Carfì, comincia il processo per il Lodo Mondadori. Imputati per corruzione in atti giudiziari sono Cesare Previti, Attilio Pacifico, Vittorio Metta e Giovanni Acampora. Qualche mese prima i giudici della quinta sezione della Corte d'Appello di Milano ritengono che nei confronti di Silvio Berlusconi è ipotizzabile il reato di corruzione semplice. Reato che, grazie alla concessione delle attenuanti generiche, viene dichiarato prescritto. 28 gennaio 2002 - il processo Imi-Sir, cominciato nel 2000, viene riunito con quello sul Lodo Mondadori. 29 aprile 2003 - Il Tribunale condanna a 13 anni Vittorio Metta, a 11 anni Cesare Previti e Attilio Pacifico, a 8 anni e 6 mesi Renato Squillante, a 6 anni Felice Rovelli, a 5 anni e 6 mesi Giovanni Acampora, 4 anni e 6 mesi Primarosa Battistella. Assolto Filippo Verde. 7 gennaio 2005 - Comincia a Milano, davanti alla seconda Corte d'appello, presieduta da Roberto Pallini, il processo di secondo grado per i casi Imi-Sir e Lodo Mondadori. 23 maggio 2005 - I giudici confermano la condanna di Cesare Previti per la sola vicenda Imi-Sir, assolvendolo per quella Lodo Mondadori. Previti e Attilio Pacifico hanno avuto una riduzione della condanna da undici a sette anni. Riduzioni delle pene per gli altri imputati: Vittorio Metta da 13 a 6 anni, Renato Squillante da 8 anni e 6 mesi a 5 anni, Felice Rovelli da 6 a 3 anni, Primarosa Battistella da 4 anni e 6 mesi a 2 anni. Per la vicenda Lodo Mondadori l'avvocato Giovanni Acampora, Metta, Pacifico e Previti sono stati assolti "perchè il fatto non sussiste". 4 maggio 2006 - Per il caso Imi/Sir, la Cassazione riduce a 6 anni la condanna per Previti e Pacifico, conferma la condanna a 6 anni per Metta, riduce la pena per Acampora a 3 anni e 8 mesi, annulla senza rinvio la condanna per Squillante e Battistella e considera prescritta l'accusa per Felice Rovelli. Per il Lodo Mondadori, la Suprema Corte accoglie il ricorso della Procura Generale di Milano e della parte civile Cir, contro le assoluzioni del maggio 2005. 18 dicembre 2006 - Davanti alla terza sezione della Corte d'appello di Milano, comincia il nuovo processo di secondo grado per il Lodo Mondadori. 23 febbraio 2007 - I giudici condannano Previti, Acampora e Pacifico ad un anno e 6 mesi, Metta a due anni e 9 mesi. 13 luglio 2007 - Le condanne del processo bis di secondo grado vengono confermate dalla Cassazione che ha così cristallizzato l'ipotesi delle indagini avviate nel 1996 dalla Procura di Milano: la sentenza del 1991 della Corte d' Appello di Roma sfavorevole a De Benedetti fu in realtà comprata corrompendo il giudice estensore Vittorio Metta con 400 milioni provenienti da Fininvest. La somma, questa l'accusa, faceva parte dei 3 miliardi di lire che il 14 febbraio 1991, 20 giorni dopo la sentenza di Metta, dai conti esteri Fininvest "All Iberian" e "Ferrido" vennero bonificati sul conto svizzero "Mercier" di Previti, e che poi vennero movimentati da Acampora e Pacifico per fare arrivare, appunto, i 400 milioni a Metta. 3 ottobre 2009 - La prima sezione del Tribunale di Milano ha dichiarato che la Cir ha diritto al risarcimento di 750 milioni da parte di Fininvest per il danno patrimoniale da 'perdita di chancè subito nella vicenda per la "battaglia di Segrate". Il provvedimento civile è arrivato alla luce dalla condanna penale definitiva per corruzione in atti giudiziari di Metta, Previti, Acampora e Pacifico. 9 luglio 2011 - La seconda sezione civile della Corte d'Appello di Milano ha confermato la condanna di primo grado alla Fininvest riducendo però il risarcimento dovuto alla Cir a circa 560 milioni di euro compresi spese ed interessi. (fonte: Ansa) 09 luglio 2011 10:15
la scheda Fininvest, la holding del Cavaliere Conti, partecipazioni e struttura di controllo della finanziaria con un patrimonio di 2,5 miliardi NOTIZIE CORRELATE Lodo Mondadori, l'Appello conferma la condanna a Berlusconi (con lo sconto) Fininvest è la holding che raggruppa le proprietà della famiglia Berlusconi, ha un patrimonio di 2,5 miliardi e ha registrato utili nel 2010 per 87,1 milioni decidendo però di non versare alcun dividendo ai soci. Solo l'anno prima aveva distribuito cedole per 200 milioni di euro e così la decisione è stata collegata dagli osservatori all'imminente decisione sul Lodo Mondadori: anche dieci giorni fa, approvando i dati di bilancio, la finanziaria aveva però ribadito la convinzione che non ci fosse proprio alcun danno da risarcire, decidendo di non accantonare alcuna cifra per la vicenda. L'intero gruppo che fa capo a Fininvest conta su ricavi per ben 5,8 miliardi e utili per 160,1 milioni. A fine anno aveva un indebitamento netto di 1,3 miliardi. La holding controlla il 39% di Mediaset, il 50% di Mondadori, il 36% di Mediolanum, oltre al Milan (100%) e al Teatro Manzoni (100%). Fa capo alla finanziaria anche la quota del 2% di Mediobanca, il "salotto buono" della finanza milanese: l'1% è conferito al patto di sindacato, e per la famiglia partecipa il presidente Fininvest Marina Berlusconi, consigliere anche dell'istituto di Piazzetta Cuccia. Fininvest ha poi una quasi il 24% di Molmed, lo spin off quotato del San Raffaele attivo nella ricerca oncologica, e il 2,06% di Aedes. La famiglia Berlusconi controlla Fininvest tramite otto finanziarie, denominate tutte Holding Italiana, ma con diversa numerazione. Inizialmente queste "scatole" erano ben 22, ridotte a otto dopo l'ultimo riassetto del 2004. Il controllo fa sempre capo a Berlusconi con il 63% del capitale (tramite la Holding Italiana Prima, Seconda, Terza e Ottava). I figli del primo matrimonio Marina (è anche presidente Mondadori) e Piersilvio (vice presidente Mediaset) hanno una quota del 7,65% a testa (rispettivamente attraverso le holding Quarta e Quinta). Nell'estate del 2005 anche i figli di secondo letto, Barbara, Eleonora e Luigi, hanno ricevuto una quota del patrimonio e hanno attualmente il 21,4% di Fininvest (attraverso la holding Quattordicesima). Tra le vicende famigliari, resta intanto ancora aperta la causa di separazione tra Berlusconi e Veronica Lario, e con essa ogni eventuale impatto sul patrimonio di famiglia. Nella vicenda del Lodo Mondadori, Fininvest ha ottenuto di congelare il risarcimento alla Cir di Carlo De Benedetti, almeno fino all'esito del processo d'appello, presentando nel dicembre 2009 una fideiussione per 806 milioni di euro garantita da Intesa Sanpaolo e controgarantita da Unicredit, Mps e Popolare di Sondrio. Tecnicamente la fideiussione scadeva in aprile ma nel frattempo è stata rinnovata in attesa della sentenza. Nel bilancio 2009 Fininvest spiegava di non aver presentato alcuna garanzia o pegno per la fideiussione, "anche in considerazione del valore del patrimonio netto contabile della capogruppo, del valore economico dello stesso ed infine del merito di credito conosciuto". (fonte: Ansa) 09 luglio 2011 10:18
Le carte / I verbali e i documenti La spartizione dei posti in Finmeccanica Ecco le liste con i nomi di politici e manager NAPOLI - Manager sponsorizzati dai politici che così si spartiscono i posti nei consigli di amministrazione delle aziende di Stato. Foglietti con le indicazioni da eseguire consegnati, alla vigilia delle nomine, da ministri e parlamentari per accaparrarsi almeno una poltrona nelle società controllate da Finmeccanica. Sono le carte dell'inchiesta condotta dal pubblico ministero Vincenzo Piscitelli sulla presunta corruzione di Marco Milanese - deputato pdl ed ex consigliere del ministro Giulio Tremonti - a svelare i retroscena della divisione tra partiti che consente anche il controllo degli appalti. E a rivelare quanto forte fosse l'influenza dello stesso Milanese e cospicua la contropartita che sarebbe riuscito a ottenere dai suoi "protetti": auto di lusso, gioielli, soldi in contanti, ma anche splendide ville in Costa Azzurra. Un "tesoro" che comprende pure conti all'estero. I "consiglieri" della Lega e di La Russa È l'esame dei computer del responsabile delle relazioni esterne di Finmeccanica Lorenzo Borgogni - indagato per corruzione in un'altra indagine - a far emergere le trattative per la designazione di alcuni consiglieri. Ci sono schemi, appunti, anche alcune mail ritenute "interessanti" dagli investigatori. Durante la perquisizione nel suo ufficio è stato trovato un foglietto con una lista di politici scritti a penna: "Giorgetti, Milanese, Romani (Guerrera), Fortunato (Mef), Galli, Squillace x La Russa". Per saperne di più Piscitelli convoca Barbara Corbo, la segretaria di Borgogni. E l'11 marzo scorso la donna chiarisce: "Il file trovato nel mio computer denominato "Membri esterni controllate giu10 x Milanese.doc" tratto dalla cartella C:Borgogni 2010 e 2011, è un documento che ho redatto io recependo le indicazioni e le informazioni del dottor Borgogni... La denominazione "Lega" che compare accanto ai nomi Maffini, Ghilardelli, Belli e Vescovi, presenti nello stesso file, presumo sia riferibile al partito politico. Il nominativo La Russa che compare accanto ai nomi di Plinio, Politi e Gatti presumo sia quello dell'attuale ministro della Difesa ma tali circostanze potranno essere confermate solo da Borgogni". Il giorno dopo l'alto dirigente di Finmeccanica viene interrogato. E conferma: "Per le nomine di terzo livello dove gli emolumenti sono molto bassi, concordo con l'ad delle società controllanti quelle dove effettuare le nomine all'interno dei curricula che arrivano o dal mondo della politica soprattutto del territorio dove sono insediate le società o dai consiglieri di amministrazione di Finmeccanica. Naturalmente le nomine di questi sette consiglieri, benché provengano formalmente dal ministero del Tesoro, sono il prodotto di una mediazione politica all'interno delle componenti della maggioranza di governo, dove il tavolo di compensazione è a Palazzo Chigi e dove confluiscono le richieste dei ministeri di riferimenti come Difesa e Sviluppo Economico con i quali Finmeccanica ha rapporti. Per le nomine di primo livello in previsione della scadenza io preparo un prospetto e lo mando ai tre ministeri, a Palazzo Chigi e ai consiglieri espressione della politica". Le indicazioni di Scajola e Giovanardi Borgogni si sofferma poi su chi è ancora in carica. E afferma: "Per quanto riguarda gli ultimi tre anni, Squillace è espressione del ministro La Russa, il consigliere Galli della Lega, mentre per lo Sviluppo Economico (Scajola) il riferimento è stato il consigliere Alberti, anche se formalmente espressione dell'azionista Mediobanca. Per quanto riguarda il Tesoro la lista la consegnavo a Milanese. Naturalmente da ciascuna parte ci sono state richieste per il maggior numero di persone e per il 2010 c'è stato un tavolo di compensazione e di coordinamento dove erano presenti Letta, Milanese, Giorgetti per la Lega e io che avevo ricevuto due, tre nomi da La Russa che non poteva partecipare. In questa riunione si decise poi quale parte politica doveva presentare i curricula e per quale società (per esempio la Lega a mezzo Giorgetti chiese che un posto fosse senz'altro riservato a quel partito in Ansaldo Energia riservandosi di farmi avere un curriculum forse già datomi nell'occasione) e così via... Ricordo per esempio che il nominativo di Adolfo Vittorio per Elsag Datamat me lo diede Letta per conto di Giovanardi che poi mi chiamò in prima persona... Ricordo che il nominativo di Marchese (Guido, arrestato due giorni fa, ndr ) fu proposto da Milanese nelle caselle che spettavano al Tesoro, per la presidenza del Cs di Oto Melara e per il cda di Ansaldo Energia dove fu registrata l'incompatibilità ai sensi del codice civile. Quando sorse il problema rilevammo che era stato nominato anche l'anno precedente, sempre su indicazione del Tesoro, nel Cs di Ansaldo Breda". Tra le nomine finite nell'indagine anche quella di Giovanni Alpeggiani in rappresentanza del ministro della Salute Ferruccio Fazio nel cda del policlinico San Matteo di Pavia. Si tratta di uno dei soci di Milanese in alcuni investimenti immobiliari in Costa Azzurra, ma nel suo interrogatorio nega che a proporlo sia stato il parlamentare. "Sono stato designato - afferma - dopo che in prima battuta era stato designato Paolo Cirino Pomicino, ma poiché quella prima scelta sollevò un vespaio di critiche, il ministro designò me. Non ne ho mai parlato con Milanese e credo che neanche lo sappia". Le ville in Francia, i conti esteri, le carte "gold" È Sergio Fracchia a rivelare al pm Piscitelli gli affari immobiliari del parlamentare sui quali si concentra adesso l'indagine soprattutto per accertare l'origine del denaro utilizzato per gli acquisti: "Ho lavorato come venditore di immobili su "Antenna3", una Tv libera lombarda, e il legale di questa società era l'avvocato Maria Taddeo. Diventammo amici anche con il marito di allora Marco Milanese. Divennero anche miei clienti comprando una casa a Cap Martin nel 96/97. Questa casa è stata poi venduta, sempre attraverso di me, e ne hanno comprata un'altra più grande con una camera in più, sempre a Cap Martin. Anche questa seconda casa è stata poi venduta, sempre mio tramite. Qualche anno dopo mi hanno chiesto un investimento più consistente e hanno comprato, nell'anno 2006/2007, una villetta a Cannes, ricorrendo ad un mutuo, pagandola poco sopra il milione di euro. Inoltre, devo precisare che nella mia attività ci sono molte persone che vogliono investire nel settore immobiliare ma non hanno la disponibilità sufficiente per comprare un intero immobile. Per venire incontro a questa esigenza, si costituiscono delle società immobiliari, sempre di diritto francese, e si vendono le quote di partecipazione per importi che possono oscillare da 50.000 a 150.000 euro massimo. Milanese, oltre le villette di cui ho parlato, nel 2007/2008, se ben ricordo, in occasione dell'acquisto dell'ultima villetta, aveva comprato quote in due di queste società, una era "Rivarma Srl" e l'altra "Castello Srl". Se ben ricordo per quanto riguarda la prima Milanese aveva pagato tra 135.000/160.000 euro circa, per la seconda tra i 40.000/50.000 euro. Per quello che è noto a me, Milanese conserva ancora una partecipazione in una terza società francese per 15.000 euro". La perizia contabile svela invece la movimentazione bancaria di Milanese e della sua fidanzata Manuela Bravi, portavoce del ministro Giulio Tremonti. E nelle conclusioni il consulente Luigi Mancini scrive: "Milanese, oltre ad avere avuto vari "corrispondenti" esteri, è sicuramente titolare di un conto bancario estero presso il Crédit Agricole, agenzie di Draguignan. Sarebbe necessario acquisirne la relativa documentazione essendovi transitati moltissimi bonifici disposti sia dal conto acceso presso il banco di Napoli, sia dal conto presso il Credito Artigiano. Un ulteriore approfondimento meriterebbe il rapporto di debito intercorso con American Express sul conto accesso presso il banco di Napoli. Nei 57 mesi esaminati la somma complessiva è ammontata a 448.637 euro con una media mensile di circa 8.000 euro e con una punta di spesa di circa 23.000 euro in un solo mese!". Fiorenza Sarzanini 09 luglio 2011 09:33
la richiesta d'arresto per milanese, deputato pdl ed ex consigliere di tremonti La barca, le auto, gli orologi "Ci penso io, ricompensami" L'imprenditore Viscione: era esoso, ma mi portava le intercettazioni ROMA - "E quindi, se lei dovesse fare un conto delle somme che ha dato?", domanda il magistrato. "In tutto una milionata, non sono preciso... sulle novecentocinquanta, un milione e cinquanta. Con esclusione della barca e dei regali che tra l'altro, soprattutto nella prima ondata, sono stati numerosi e molto costosi. Tipo un paio di gioielli, un paio di orecchini da sette carati di brillanti, che io sono stato costretto a regalargli, perché erano stati prenotati da lui in un negozio di Capri". Uno "scapocchione fortunato" Il 19 dicembre scorso l'imprenditore Paolo Viscione, arrestato per truffa e altri reati, decide di denunciare pagamenti e regalie al deputato del Pdl ed ex ufficiale della Finanza Marco Milanese, strettissimo collaboratore del ministro dell'Economia Giulio Tremonti. Gioielli, orologi, macchine e soldi per essere protetto dalle indagini delle Procure e delle Fiamme gialle, spiega. E il giudice, che vuole arrestare Milanese anche per il reato di associazione a delinquere commesso proprio insieme a Viscione, ritiene il suo racconto "intrinsecamente credibile, non essendovi motivi per dubitare della scelta collaborativa". Vengono dallo stesso paese, Viscione e Milanese, Cervinara in provincia di Avellino: "Siamo compaesani, ma lui è un ragazzo di cinquant'anni, io ne ho circa settanta, quindi le lascio immaginare in che considerazione veniva preso questo ragazzo, che in effetti sapeva di essere uno "scapocchione" per il padre che io conoscevo, e che a tutti i costi l'ha voluto inserire. Ha avuto un bel successo, perché la fortuna l'ha accompagnato...". Un "ragazzo" che dalla posizione raggiunta, fianco a fianco con il ministro dell'Economia, intorno al 2004 si è ripresentato a Viscione: "Ha cominciato a portarmi notizie e a intimorirmi sulle posizioni mie che sembravano preoccupanti rispetto a indagini da parte della magistratura... Mi venne a dire che ci stava un problema su Napoli... Chiaramente la cosa mi ha impressionato molto, perché già si parlava di associazione a delinquere finalizzata a reati finanziari". Insieme al problema, Milanese offriva la soluzione. Non gratuitamente, però: "Dice "qua ci penso io, ci penso io, ci penso io"... Insomma, c'è stata una richiesta di danaro a cui ho dato soddisfazione... Poi abbiamo cominciato a parlare del leasing di un'automobile, una Aston Martin che gli abbiamo preso usata; si è arrabbiato perché era usata e abbiamo cambiato la macchina". "Vicende gravi e miserabili" Il Sorpasso di P. Battista Negli Usa con la Ferilli e De Sica Intorno al 2009 c'è quella che Viscione chiama "la seconda ondata", quando Milanese gli si ripresenta in un ristorante della capitale: "Mi incontra... "guarda che hai due indagini in corso, una del dottor Piscitelli di Napoli, l'altra ce l'ha la dottoressa non so chi di Roma"". Le promesse sono sempre le stesse: "Non ti preoccupare, ci penso io... E siamo arrivati al febbraio che lui mi dice "sei intercettato, non si può parlare più"". Anche stavolta, in cambio dell'avviso il deputato pretende un corrispettivo. "Fa delle richieste esosissime, io le adempio gradualmente", confessa Viscione che poi fa qualche conto: "Come soldi gli ho dato quattro e cinquanta (450.000 euro, ndr), che avrei dovuto dargliene seicento... Tutti in cash, prelevati dalle banche". A prenderli e portarli andava un uomo di fiducia dell'imprenditore, "cento, cento, cento alla volta". In un'occasione Milanese gli avrebbe portato le trascrizioni delle conversazioni registrate, "mi ha fatto leggere proprio i testi delle intercettazioni", ma già prima - a sentire l'imprenditore - il deputato aveva aumentato le sue pretese. Per esempio un viaggio negli Stati Uniti per le vacanze natalizie del 2009: "Questo è volgarissimo, perché si è fatto disdire dieci volte il viaggio, perché doveva partire con la Ferilli, con De Sica... dovevano stare tutti allo stesso piano e si doveva trovare lo stesso albergo...". Il particolare è riscontrato, secondo il giudice, dalle dichiarazioni di Flavio Cattaneo, fidanzato dell'attrice Sabrina Ferilli, e della fidanzata di Milanese, Manuela Bravi, portavoce del ministro Tremonti. E il viaggio negli Stati Uniti risulta saldato da una delle società di Viscione. Ecco la casa che Milanese pagava a Tremonti Rcd La barca, la Ferrari, gli orologi L'imprenditore pagava e trovava altri che pagavano, riferisce ai magistrati. Come quando Milanese voleva vendere una barca, e lui gli trovò l'acquirente: Fabrizio Testa, poi nominato nel Consiglio di amministrazione dell'Enav e al vertice di una società controllata dall'ente. È Viscione a convincerlo: "Lo faccio portare da me e gli dico... ti compri la barca, la fai comprare da qualcuno e quello ti farà il piacere sicuramente... Cosi è stato... Fabrizio Testa, inquisito nello scandalo famoso delle fatture false Enav... Non lo voleva Matteoli, non lo voleva Alemanno, Tremonti l'ha fatto nominare...". Le indagini hanno accertato che "la barca è stata pagata a un prezzo molto superiore a quello effettivo di mercato" da una società che poi "ha quasi contestualmente versato somme alla Fondazione Casa della Libertà, chiara articolazione di natura politica". Tra le regalie a cui Viscione si sentiva costretto e alle quali ha deciso di ribellarsi, c'è pure una Ferrari Scaglietti, presa e data a Milanese usando la Aston Martin in permuta "più assegni miei, di portafoglio": E ci sono "gli orologi, adesso ma anche prima, ci stanno gli orecchini alla moglie...". Gli investigatori hanno rintracciato il venditore di orologi, che conosce anche Milanese, il quale ha ricordato gli acquisti di Viscione per il Natale 2009: "Comprò tre orologi di prestigio, un "Frank Muller" da donna con brillantini e forma a cuoricino e due "Patek Philippe", mod. 5055 con cinturino in pelle e mod. 5035, entrambi da uomo, dal valore complessivo di mercato di circa 50.000 euro... Gli orologi erano destinati a un nostro cliente, il dottor Marco Milanese, che venne personalmente a sceglierli e a ritirarli". Disse che uno era per Tremonti, ma il ministro ha detto ai magistrati di non averlo mai ricevuto. Le nomine pagate In cambio di denaro e altre utilità, l'accusa ritiene che Milanese abbia "promesso prima e assicurato poi l'attribuzione di nomine ed incarichi in diverse società controllate dal ministero, ricevendo come corrispettivo somme di denaro e altre utilità". È successo con le due persone messe ieri agli arresti domiciliari: Guido Marchese, "ricevendo dallo stesso la somma di 100.000 euro", con Barbieri Carlo, attraverso "lo stesso modus operandi". A queste conclusioni il giudice è arrivato attraverso conferme autorevoli: il direttore centrale delle relazioni esterne di Finmeccanica, Lorenzo Borgogni, e l'amministratore delegato delle Ferrovie Mauro Moretti. Il primo "confermava quanto già reso evidente dagli atti acquisiti, e cioè che il nominativo del Marchese gli era stato fornito da Marco Milanese"; il secondo, "pur dichiarando di non ricordare chi gli avesse sottoposto, per raccomandarlo, il nominativo di Barbieri Carlo, confermava però che la sua nomina era stata certamente a lui proposta dall'esterno della società. Precisava, inoltre, che delle nomine per conto del ministero dell'Economia si era sempre occupato il Milanese". Giovanni Bianconi 08 luglio 2011 15:31
In manette l'imprenditore Tommaso di Lernia. ai domiciliari Massimo De Cesare (Eurotec) Appalti Enav, arrestati due imprenditori Indagato Milanese: è accusato di finanziamento illecito ai partiti NOTIZIE CORRELATE Gip: paga la casa a Tremonti. Il ministro: solo ospite, vado via (8 luglio 2011) Marco Milanese (Imagoeconomica) Marco Milanese (Imagoeconomica) MILANO - Il gip di Roma ha emesso due provvedimenti di custodia cautelare, uno in carcere nei confronti dell'imprenditore Tommaso di Lernia, già finito in manette per corruzione e fatturazione di operazioni inesistenti nell'inchiesta sugli appalti dell'Enav, e uno ai domiciliari per Massimo De Cesare, amministratore delegato di Eurotec. Nell'inchiesta è indagato anche Marco Milanese, il deputato del Pdl, ex consigliere politico del ministro Giulio Tremonti, del quale giovedì la magistratura di Napoli ha richiesto l'arresto. Per lui l'accusa è di finanziamento illecito ai partiti. L'IMBARCAZIONE - I provvedimenti riguardano il filone di indagine relativo alla vendita a Eurotec, società che si occupa della costruzione di opere civili, di una barca da 15 metri acquistata in leasing (per una cifra che si avvicina ai 20 mila euro al mese) da Milanese. In base a quanto ricostruito dalla Procura di Roma la vendita dell'imbarcazione "Mochi Craft" ad un prezzo maggiorato rispetto al suo valore, sarebbe stata la contropartita richiesta da Milanese in cambio della nomina, decisa dal cda di Enav su suo input, dell'ex consigliere di amministrazione dell'Ente nazionale di assistenza al volo, Fabrizio Testa, a presidente di Technosky, società controllata di Enav. Al fine di ottenere la nomina, Testa si sarebbe rivolto a Lorenzo Cola, l'ex consulente del presidente di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini, che avrebbe coinvolto Di Lernia per risolvere il problema della vendita dell'imbarcazione. A questo punto Di Lernia contatta De Cesare che avrebbe proceduto all'acquisto della barca pagandola circa 1,9 milioni di euro contro un valore stimato di 1,4 milioni. A Milanese sarebbero andati 224 mila euro. (fonte Ansa) 08 luglio 2011 19:18
per concorso in associazione mafiosa a carico del titolare delle Politiche agricole Mafia, il gip chiede l'imputazione coatta del ministro Romano Non ha accolto la richiesta di archiviazione, presentata dalla procura Francesco Saverio Romano (Imagoeconomica) Francesco Saverio Romano (Imagoeconomica) PALERMO - Il gip Giuliano Castiglia non ha accolto la richiesta di archiviazione, presentata dalla procura, dell'indagine per concorso in associazione mafiosa a carico del ministro delle Politiche agricole Saverio Romano, e ha avanzato richiesta di imputazione coatta (cioè quando non archivia, ndr). A questo punto i pm entro dieci giorni dovranno formulare la richiesta di rinvio a giudizio. "ADDOLORATO E SCONCERTATO" - "Questo procedimento mi ha visto indagato quasi ininterrottamente per otto anni anche se l'indagine era tecnicamente spirata nel novembre del 2007. Questi semplici ma inconfutabili dati dimostrano il corto circuito tra le istituzioni e dentro le istituzioni". Lo dice il ministro Saverio Romano, commentando la decisione del gip di Palermo. "Il fallimento del sistema giudiziario - prosegue - vive nella interminabile condizione che si riserva al cittadino Saverio Romano in un periodo di tempo che nella sua enorme dimensione rappresenta già una sanzione insopportabile anche se l'epilogo sarà quello da me auspicato". Per Romano "sarebbe di contro parimenti fallimentare un sistema della giustizia che ha lasciato operare per così tanto tempo un uomo politico che potrebbe aver commesso l'infamante reato di concorso con Cosa Nostra. Purtroppo ormai da quasi 20 anni il nostro Paese assiste ad uno spettacolare conflitto che in questi ultimi mesi all'approssimarsi della riforma giudiziaria si è acuito". "Sono addolorato e sconcertato - conclude - con questo provvedimento non viene chiesta solo la formulazione dell'imputazione per il sottoscritto ma vengono messe in discussione le conclusioni alle quali dopo lunghissimi approfondimenti era pervenuta la Procura di Palermo. Difenderò in ogni sede il mio nome, per me, per i miei familiari e per la comunità politica che rappresento". Redazione online 08 luglio 2011(ultima modifica: 09 luglio 2011 11:33)
2011-07-05 Il testo della manovra al quirinale Berlusconi ritira la salva-Fininvest " Una vergognosa montatura" Bersani: "Ci ha provato, ora occhi aperti". Il dietrofront dopo il gelo della Lega NOTIZIE CORRELATE Lodo Mondadori, partita aperta da 20 anni (4 luglio 2011) Fininvest, niente dividendi alla famiglia (30 giugno 2011) Incombe la sentenza (1 giugno2011) Quel contenzioso col fisco (22 agosto 201o) Da sinistra, Silvio Berlusconi, Giulio Tremonti, Umberto Bossi Da sinistra, Silvio Berlusconi, Giulio Tremonti, Umberto Bossi MILANO - Berlusconi ritira la norma salva-Fininvest. "Per sgombrare il campo da ogni polemica ho dato disposizione che questa norma giusta e doverosa sia ritirata". Così il presidente del consiglio e proprietario del gruppo Fininvest che controlla tra le altre Mondadori Mediaset e il Milan in una nota diffusa nel pomeriggio di una giornata di forti tensioni fuori e dentro la maggioranza di governo per la cosiddetta norma "ad aziendam" spuntata a sorpresa nella manovra di stabilizzazione finanziaria. Si tratta di una leggina sulla sospensione dell'esecutività dei risarcimenti che avrebbe evitato alla Fininvest di Silvio Berlusconi di versare alla Cir di Carlo De Benedetti 750 milioni di euro. Una mossa che ha preceduto di pochi giorni il verdetto di secondo grado dei giudici atteso alla fine della settimana. Il premier: come faccio a pagare? (15 giugno 2011) LA REAZIONE DEL COLLE -"Non dico nulla. Sulla manovra, quando sarà il momento, conoscerete le nostre determinazioni" aveva detto in mattinata il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. In serata è trapelato che il Quirinale, oltre alla questione del salva-Fininvest, ne avrebbe sollevate altre chiedendo al governo chiarimenti sull'Ice e le quote latte. Il Quirinale "prende atto" che la controversa questione della norma salva-lodo Mondadori contenuta nel testo del dl sulla manovra economica si è risolta con il ritiro da parte del governo, scrive l'Adnkronos, ma attende ulteriori risposte dall'esecutivo dopo avere ultimato, nel giro di 24 ore, l'iter di valutazione sulla "coerenza giuridica" dell'intero provvedimento. Le scelte di merito, si fa notare, restano comunque di "esclusiva responsabilitá" dell'esecutivo. LA DICHIARAZIONE DI BERLUSCONI - "Nell'ambito della cosiddetta manovra -si legge nella dichiarazione di Berlusconi- è stata approvata una norma per evitare attraverso il rilascio di una fideiussione bancaria il pagamento di enormi somme a seguito di sentenze non ancora definitive, senza alcuna garanzia sulla restituzione in caso di modifica della sentenza nel grado successivo. Si tratta di una norma non solo giusta ma doverosa specie in un momento di crisi dove una sentenza sbagliata può creare gravissimi problemi alle imprese e ai cittadini". "Le opposizioni -sottolinea- hanno promosso una nuova crociata contro questa norma pensando che, tra migliaia di potenziali destinatari, si potrebbe applicare anche a una societá del mio gruppo. Si è prospettato infatti che tale norma avrebbe trovato applicazione nella vertenza Cir- Fininvest dando così per scontato che la Corte di Appello di Milano effettivamente condannerá la Fininvest al pagamento di una somma addirittura superiore al valore di borsa delle quote di Mondadori possedute dalla Fininvest. Conoscendo la vicenda ritengo di poter escludere che ciò possa accadere e anzi sono certo che la Corte d'Appello di Milano non potrá che annullare una sentenza di primo grado assolutamente infondata e profondamente ingiusta. Il contrario costituirebbe un'assurda e incredibile negazione di principi giuridici fondamentali", assicura il premier. "Per sgombrare il campo da ogni polemica ho dato disposizione che questa norma giusta e doverosa sia ritirata. Spero non accada che i lavoratori di qualche impresa, in crisi perchè colpita da una sentenza provvisoria esecutiva, si debbano ricordare di questa vergognosa montatura". BERSANI: E' STATO SMASCHERATO - "Ci ha provato, teniamo gli occhi aperti". Così il leader del Partito Democratico Pier Luigi Bersani ha commentato l'annuncio del premier Silvio Berlusconi che sarà ritirata la norma sul lodo Mondadori. "Adesso apriremo bene gli occhi", ha ammonito il segretario del Pd rispondendo ai cronisti alla Camera. "Sappiamo con chi abbiamo a che fare", ha aggiunto, "su tutti i carri in cui caricano problemi sugli italiani ci mettono sempre soluzioni per lui. Quando viene smascherato fa marcia indietro. Noi verificheremo volta per volta" IL GELO DELLA LEGA, SI SFILA GHEDINI - Il Carroccio non aveva fatto mistero del "profondo malumore" dei ministri della Lega Nord. E da quel testo rimasto senza una firma che secondo la procedura è stato inviato da Palazzo Chigi (dove è stato visto per l'ultima volta) al Quirinale hanno preso le distanze un po' tutti, persino Niccolò Ghedini, avvocato personale del premier e deputato Pdl : "Non l'ho scritto io, non ne sapevo nulla" IL SILENZIO DI TREMONTI - Nella bufera è rimasto in silenzio il ministro dell'Economia Giulio Tremonti. Dopo aver annullato la conferenza stampa di presentazione della manovra prevista a mezzogiorno - decisione almeno ufficialmente motivata con le difficoltà a raggiungere Roma a causa del maltempo - Tremonti ha partecipato a un incontro pubblico per la presentazione del libro sulle fondazioni di Fabio Corsico. Erano presenti, tra gli altri, il direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli, l'ex premier Romano Prodi (ricevuto nel pomeriggio dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano), il presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi e il presidente della Cariplo e dell'Acri Giuseppe Guzzetti. Al termine Tremonti si è trattenuto alcuni minuti con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta e ha opposto un fermo catenaccio all'assalto dei cronisti. VIETTI: A RISCHIO IL PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA - Il vice-presidente del Csm, Michele Vietti, aveva posto l'accento sul principio di uguaglianza: "Non entro nel dettaglio di una norma non ancora presentata in Parlamento - spiega Vietti - ma voglio solo rilevare che il principio dell'esecutività delle sentenze di secondo grado è un principio generale che vigeva già prima che diventassero provvisoriamente esecutive le sentenze di primo grado. Modificare questo principio significherebbe rischiare di stravolgere il sistema giudiziario e credo che convenga non farlo per non violare il principio di eguaglianza fra i cittadini di fronte alla legge". L'ALTOLA' DELLA STAMPA CATTOLICA - "Errori da correggere", chiede il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio. Mentre di "ipocrisia e incompetenza" parla Famiglia Cristiana nel numero in uscita. "La manovra non ci pare equa" scrive il settimanale- "Per essere davvero giusta dovrebbe chiedere a tutti di tirare la cinghia". A cominciare dai politici, cui spetta dare l'esempio. E invece? I tagli agli scandalosi costi dei politici vengono rimandati al futuro". LA MANOVRA SFIORA I 50 MILIARDI, IN AULA DAL 19 LUGLIO - Il valore della manovra potrebbe sfiorare secondo le ultime stime i 50 miliardi dai 43 annunciati. Dopo la firma di Napolitano, il provvedimento potrebbe approndare nell'Aula del Senato da martedì 19 luglio, mentre l'esame della commissione Bilancio di Palazzo Madama inizia invece dalla prossima settimana. "Se verrà messa la fiducia - ha detto la capogruppo dei senatori del Pd Anna Finocchiaro - la manovra rischia di essere esaminata solo dalla commissione Bilancio del Senato e cioè da una sola camera. Un fatto molto grave. Si tratta di un provvedimento da 43 miliardi di euro che noi riteniamo ingiusto e iniquo. Non so se il governo ha valutato gli effetti politici e sociali" Paola Pica 05 luglio 2011 20:44
IL PROVVEDIMENTO CHE SOSPENDE I MAXIRISARCIMENTI Norma salva premier nella manovra "Sbagliata solo perché c’entro io?" Il premier: quei soldi piuttosto li darei in beneficenza Silvio Berlusconi Silvio Berlusconi ROMA - "Lodo Mondadori?". Alle sei del pomeriggio a Palazzo Chigi in molti cadono dalle nuvole. "Quale lodo, di cosa stiamo parlando?". I siti web dei quotidiani, già da un'ora, aprono i loro notiziari con la notizia, ma la sorpresa di molti membri dell'esecutivo descrive una reattività inversamente proporzionale alla grandezza del problema. Non tutti effettivamente sapevano: erano informati alcuni ministri, che lo confermano sottovoce, ma altri no. La norma era già sul tavolo del governo il giorno dell'approvazione della manovra, nero su bianco nella bozza del provvedimento, ma non fu discussa apertamente al tavolo del Consiglio. Con un certo grado di approssimazione qualcuno nel Pdl ascrive l'ennesimo scivolone del Cavaliere ad un suggerimento tecnico dell'avvocato Nicolò Ghedini. Assolutamente falso, dice l'interessato: "Come tutti sanno non mi occupo di procedura civile, non so nemmeno come sia scritta la norma, del resto mi sembra che il provvedimento si sia formato al ministero dell'Economia...". È difficile insomma trovare qualcuno che parli ufficialmente della vicenda, per difendere la norma. Chi sa tace. Chi era all'oscuro si scandalizza, senza mezzi termini: non per i due commi incriminati, non per il merito delle modifiche al codice, ma "per l'ennesima ingenuità del presidente". Nel governo si trovano ministri che si dicono basiti: "È veramente incredibile che qualcuno abbia pensato che potesse passare inosservata, che non scoppiasse l'ennesimo scandalo; visto che si tratta di un principio giuridico sacrosanto, e comunque difendibile con tanti argomenti, anche di prevenzione penale, bastava che qualcuno consigliasse a Berlusconi di rivendicarla, apertamente, con tanto di conferenza stampa. E invece si parlerà solo del metodo e non del merito, del presidente che come il bambino che ruba per l'ennesima volta la marmellata, un'altra norma ad personam, è incredibile...". In assenza di reazioni ufficiali si può comunque dire che ieri Berlusconi, ad Arcore, discuteva in privato della vicenda con molta naturalezza, difendendo a spada tratta il provvedimento, come se non ci fosse alcun problema. "Non si capisce per quale motivo una norma giustissima diventa sbagliata se riguarda anche il presidente del Consiglio", diceva il Cavaliere ad alcuni degli ospiti che sono andati a trovarlo, fra gli altri Guido Podestà e il senatore Salvatore Sciascia. Argomenti non nuovi in bocca al presidente del Consiglio, che con ragionamenti simili ha difeso più volte, ad esempio, le norme sul processo breve. Aggiungeva il premier, secondo alcune ricostruzioni, che non c'è scandalo nel prevedere che per cifre molto elevate, "al posto della sentenza di secondo grado, per giunta in presenza di una cauzione, si attenda il verdetto definitivo, quello che esprimerà eventualmente la Cassazione". Erano argomenti che però non rispondevano alle obiezioni sotterranee che nell'esecutivo in molti avanzavano. E ovvero: perché fare una cosa di questo tipo in modo "clandestino"? Perché se il premier di solito si sfoga dicendo che "vogliono farmi fallire" (l'ultima volta al matrimonio della Carfagna); e se in queste ore aggiunge che "quei soldi" li darebbe "volentieri in beneficenza piuttosto che darli a chi non ha titolo", ovvero al gruppo De Benedetti, in ogni caso questi argomenti non hanno alcun nesso con il profilo di comunicazione scelto. Oggi probabilmente alcuni ministri, da Paolo Romani e Maurizio Sacconi, saranno chiamati a dire parole che difenderanno la norma contenuta nella manovra. Diranno certamente che esistono motivazioni giuridiche, di equità, di garanzia per le imprese; che non viene stravolto alcun principio, ma introdotta semplicemente una misura che cautela alcuni interessi aziendali e imprenditoriali che sono sacrosanti, oltre un certo valore economico della causa, e da difendere allo stesso modo degli interessi e delle legittime aspettative del creditore. E in fondo qualcosa di simile diceva uno dei pochissimi esponenti del Pdl che ieri dichiarava sulla materia, ovvero Enrico Costa, capogruppo in commissione Giustizia alla Camera: "Nell'attuale processo civile vige il principio dell'esecutività delle sentenze non definitive. Tuttavia, in un momento di congiuntura economica sfavorevole, si è ritenuto di contemperare il diritto del creditore e le ragioni del debitore quando le somme di denaro assumono dimensioni di rilevante entità". Effettivamente un po' poco per arginare le critiche dell'Anm, del Pd e di tutta la sinistra. Quello che ieri sera spiccava era il silenzio ufficiale del governo. Mentre nell'entourage del premier si sosteneva, ufficiosamente, che la norma sarebbe stata introdotta non per volere del capo del governo ma su richiesta del ministero della Giustizia. Probabilmente una svista dato che Alfano non risulta fra i cofirmatari della manovra, né prenderà parte oggi alla conferenza stampa sul provvedimento. Di certo, in sede tecnica, un rischio di costituzionalità era stato segnalato. Marco Galluzzo 05 luglio 2011 07:40
LODO MONDADORI Cattivi pensieri La norma pro-Fininvest in manovra E pensare che il presidente dell'Associazione nazionale magistrati aveva salutato con favore il testo della manovra economica nella parte riguardante la giustizia perché, diceva, "non contiene norme ad personam". Quasi fosse un'insperata novità. Ma ecco che nel decreto approvato dal governo e inviato al Quirinale per la firma, alle ultime tre righe dell'ultimo comma del terz'ultimo articolo - seminascosto in un malloppo di oltre cento pagine - compare una postilla che inevitabilmente rientra in quell'ormai logora definizione di cui pure le persone più a digiuno di leggi e questioni giudiziarie hanno imparato il significato: norma ad personam, appunto, cioè disegnata per risolvere o favorire la soluzione dei problemi giudiziari del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Una costante che si ripete da dieci anni. Stavolta la vicenda riguarda il contenzioso civile per la vicenda Mondadori, tra il premier e l'ingegner Carlo De Benedetti. Dopo che nel processo penale è divenuta definitiva la condanna del giudice corrotto che nel lontano 1991 sancì il passaggio della casa editrice alla Fininvest di Berlusconi, è cominciata la causa per il risarcimento chiesto da De Benedetti; e nel 2009 il giudice Raimondo Mesiano ha stabilito, in primo grado, che la Fininvest del Cavaliere deve versare alla Cir dell'Ingegnere la cifra record di 750 milioni di euro. Nel processo d'appello una perizia ha ridotto il valore del presunto danno tra 440 e 490 milioni. Comunque una bella somma. La sentenza è attesa a giorni. Alla luce di questa situazione, le tre righe introdotte nel decreto legge contenente "disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria" assumono un significato fin troppo chiaro: la sospensione dell'esecuzione della sentenza, che secondo il codice vigente il giudice può stabilire in particolari situazioni, "è concessa in ogni caso per condanne di ammontare superiore a venti milioni di euro". Come quella della causa Mondadori e presumibilmente non molte altre. Introdotta alla vigilia del verdetto d'appello, è difficile immaginare la ragione di una siffatta riforma diversa dall'esigenza di allontanare gli effetti (e soprattutto i costi per il capo del governo) di una possibile condanna della Fininvest. Paventata pochi giorni fa da un preoccupato Berlusconi, che agli ex compagni di scuola radunati per un funerale confidava: "Dove li trovo tanti soldi?". Se la nuova norma dovesse entrare in vigore, il ricorso in Cassazione gli concederebbe qualche altro anno di tempo: per rinviare il pagamento basterà "prestare idonea cauzione". Poi si vedrà. Il paradosso è che l'articolo in cui è stata infilata l'ennesima norma ad personam s'intitola "Disposizioni per l'efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie". L'esecutività delle sentenze d'appello serve proprio a sveltire i tempi dei contenziosi, in modo da soddisfare più in fretta chi vince e scoraggiare ricorsi temerari o dilatori di chi perde. Il codicillo va nella direzione opposta. Nonostante il titolo. Ma evidentemente c'era un'urgenza più impellente da soddisfare.Giovanni Bianconi 05 luglio 2011 09:25
L'intervista "Una modifica che non è da decreto" Norma salva-Mondadori, i dubbi del giurista Cavallini: "Si crea disparità fra cittadini e grandi gruppi" Il docente di diritto processuale alla Bocconi Cesare Cavallini Il docente di diritto processuale alla Bocconi Cesare Cavallini MILANO - "Questi interventi estemporanei lasciano il giurista basito". Secondo Cesare Cavallini, 44 anni, professore ordinario di diritto processuale civile all'Università Bocconi, la norma che obbliga il giudice a sospendere il pagamento della sanzione in caso di maxi condanna, "ha una portata molto ampia: introduce come elemento discriminante il valore della controversia. Il cittadino potrebbe concluderne che i problemi di celerità della giustizia sono bazzecole di fronte a cause che vedono protagonisti grandi gruppi o multinazionali, gli unici che possono prestare cauzioni superiori a 10 o 20 milioni". Perché basito? "Perché interventi su norme che hanno valore di sistema presentati con decretazione d'urgenza o comunque inseriti in pacchetti che nulla o poco hanno a vedere con la giustizia lasciano il giurista sempre più perplesso, per non dire arrabbiato". Perché si tratta di leggi definibili ad personam, in questo caso pro-Fininvest? "Le controversie che potrebbero rientrare in questa norma sono note ed è inevitabile che il pensiero corra lì. Ma le dirò che in fondo la cosa in sé mi lascia indifferente, proprio perché l'intervento ha portata ben più ampia". Cioè? "Da un lato perché va contro il principio di rendere la giustizia più celere che ispira gli articoli che si vogliono modificare: quando il legislatore ha previsto la facoltà del giudice di sospendere o no il pagamento di fronte a motivi validi, ha inteso anche ostacolare l'"impugnazione pretestuosa". In parole povere se non si hanno ragioni valide è inutile "allungare" il procedimento con il serio rischio di dover anche pagare di più. Le nuove norme stabiliscono invece che chi è condannato a pagare più di 10 o 20 milioni di euro ed è in grado di prestare cauzioni idonee ottiene automaticamente la sospensione dal giudice, al quale viene sottratta la valutazione del caso concreto. Il giudice la concede in ogni caso, in teoria quindi indipendentemente dalla validità dei motivi d'impugnazione. Che, per carità, possono benissimo esserci". Si potrebbe obiettare: le nuove norme riguarderebbero così pochi processi da non sovvertire per l'intero sistema della giustizia civile l'"aspirazione" alla celerità. "Certo. Ma si tratta di valutazioni statistiche. Che al giurista interessano fino a un certo punto". E la seconda ragione? "Definendo come parametro dirimente il valore della controversia, peraltro tenuto sempre meno in considerazione dal legislatore, si crea un doppio sistema: perché un imprenditore che deve pagare 150 mila euro è sottoposto nella sospensione alla facoltà del giudice mentre chi deve pagare oltre 20 milioni no? È una scelta di fondo del legislatore. C'è però il rischio che il doppio sistema crei disparità fra cittadini o, per meglio dire in questo caso, utenti del servizio giustizia". Chi vince e chi perde? "Diciamo che le nuove norme premiano chi deve pagare somme ingenti e può pagare l'idonea cauzione. La cauzione di per sé non è un male, perché è il solo istituto che risolve il conflitto d'interessi fra il creditore che non vuole correre il rischio che alle fine il debitore non possa pagare e il debitore che a sua volta non vuole pagare prima di una sentenza definitiva che eventualmente accolga le sue ragioni. Ma ciò vale in generale, mentre è dirompente il parametro del valore della controversia come strumento di regolazione dei conflitti fra debitore e creditore". Sergio Bocconi 05 luglio 2011 08:07
2011-07-04 MANOVRA, IL TESTO ARRIVA AL QUIRINALE. Giallo sui tagli alle rinnovabili Spunta la norma sul Lodo Mondadori Possibile blocco del risarcimento da 750 milioni dovuto da Fininvest. Confermata la stretta sulle pensioni MILANO - Il testo definitivo della manovra, "Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria", è stato trasmesso al Quirinale. Non senza punti controversi e relative polemiche. Primo tra tutti, il capitolo sulle "norme risarcimenti", che potrebbe interessare direttamente la sentenza sul Lodo Mondadori e provocare la sospensione del pagamento dei 750 milioni di euro dovuti dalla Fininvest alla Cir di Carlo De Benedetti. LODO MONDADORI - Anche se fosse confermato in appello dai giudici di Milano (la sentenza dovrebbe arrivare sabato 9 luglio), il verdetto di primo grado sul Lodo Mondadori potrebbe infatti vedere sospesa la sua esecutività da una norma inserita nella manovra. Più in dettaglio, si tratta di una modifica a due articoli del codice di procedura civile (il 283 e il 373) che obbliga il giudice (che finora ne aveva solo la facoltà) a sospendere l'esecutività della condanna nel caso di risarcimenti superiori ai 20 milioni di euro (10 in primo grado) dietro il pagamento di "idonea cauzione", in attesa che si pronunci in via definitiva la Cassazione. "Una disposizione palesemente immorale e incostituzionale" attacca il leader dell'Idv Antonio Di Pietro. "Scandalosa in una finanziaria che prefigura lacrime e sangue per il Paese" aggiunge la capogruppo democratica nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti. Una norma incostituzionale sostiene anche il presidente dell'associazione nazionale magistrati, Luca Palamara, secondo il quale: "Se dovesse essere confermata si tratterebbe di una norma che nulla ha a che vedere con il tema dell'efficienza del processo civile, che determinerebbe una iniqua disparità di trattamento e che sarebbe, quindi, incostituzionale". IL DECRETO - Il testo finale del decreto, dove viene confermata la stretta sulla pensioni, è composto da 39 articoli e da due allegati. Si apre con gli stipendi dei politici e si chiude sul riordino dei giudici tributari. I provvedimenti saranno spiegati martedì in una conferenza stampa del ministro dell'Economia Giulio Tremonti alla quale partecipano anche i ministri Brunetta, Calderoli, Romani e Sacconi. PENSIONI - Confermato per il biennio 2012-2013 il blocco della rivalutazione delle pensioni "dei trattamenti pensionistici superiore a cinque volte il trattamento minimo di pensione Inps". "Per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici comprese tra tre e cinque volte il predetto trattamento minimo Inps l'indice di rivalutazione automatica delle pensioni è applicato nella misura del 45%". ENERGIE RINNOVABILI - Il taglio del 30% di "tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni" presenti in bolletta torna nel testo del decreto secondo le indiscrezioni battute dalle agenzie. Ma il ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo smentisce: "Non mi risulta" e il ministro dello Sviluppo Paolo Romani precisa in una nota: "Nessun taglio". Allo scopo di ridurre il costo finale dell'energia per i consumatori e le imprese, recitava invece l'articolo 35 dell'ultima bozza circolata, "a decorrere dal primo gennaio 2012 tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni, comunque gravanti sulle componenti tariffarie relative alle forniture di energia elettrica e gas naturale, previste da norme di legge o da regolamenti sono ridotti del 30 per cento rispetto a quelli applicabili alla data del 31 dicembre 2010". L'entità degli incentivi, dei benefici e delle agevolazioni sarà rideterminata dal ministero dello Sviluppo su proposta dell'Autorità per l'energia entro 90 giorni. Sul "giallo" del testo inviato al Quirinale, l'opposizione va all'attacco: "Nonostante le smentite dei ministri Romani e Prestigiacomo, il testo contiene tagli - dice il senatore del Pd Salvatore Tomaselli -. Con questa misura, ancora una volta, il governo cede al populismo della Lega, danneggiando il settore delle rinnovabili con l'ennesimo colpo di mannaia dopo quanto avvenuto nelle settimane passate con il forte ridimensionamento degli incentivi al fotovoltaico". RISPARMIATORI - Il bollo che si applica alle comunicazioni relative al deposito di titoli può salire infatti fino a 380 euro se ha un ammontare complessivo a cinquantamila euro ed è gestito da una banca. L'importo varierà infatti in base al valore del "conto": dai 120 euro annuali per le comunicazioni di intermediari finanziari ai 150 per i conti inferiori ai 50 mila euro relativi a comunicazioni di depositi titoli presso banche, fino ai 380 euro annuali se si supera questa soglia SUPERBOLLO - A partire dal 2011, "per le autovetture e per gli autoveicoli per il trasporto promiscuo di persone e cose è dovuta una addizionale erariale della tassa automobilistica, pari ad euro 10 per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a 225 chilowatt, da versare alle entrate del bilancio dello Stato". BANCHE E FINANZIARIE- Banche, assicurazioni e società finanziarie, dovrebbero vedersi imporre un'addizionale sull'Irap pari a 0,75 punti percentuali (aliquota in crescita dal 3,9 al 4,65%) al posto della tassazione separata al 35% sugli utili da trading bancario. VOLI DI STATO - I voli di Stato saranno limitati soltanto alle cinque massime cariche dello Stato, ossia al Presidente della Repubblica, ai Presidenti di Camera e Senato, al Presidente del Consiglio e al Presidente della Corte Costituzionale. Nell'articolo, si sancisce che le eccezioni a questa regola "devono essere specificatamente autorizzate, soprattutto con riferimento agli impegni internazionali e rese pubbliche sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri, salvi i casi di segreto per ragioni di Stato". LA POLEMICA- Resta l'eco delle polemiche che hanno accompagnato il giallo dell'invio del decreto legge a Giorgio Napolitano. Domenica 3 luglio una nota della Presidenza della Repubblica aveva smentito le notizie diffuse dalla stampa. "Poiché molti organi di informazione continuano a ripetere che la manovra finanziaria approvata dal governo nella seduta di giovedì scorso sarebbe al vaglio della Presidenza della Repubblica già da venerdì - si leggeva nella nota - si precisa che a tutt'oggi (domenica, ndr) la Presidenza del Consiglio non ha ancora trasmesso al Quirinale il testo del decreto legge". E infatti fonti dell'esecutivo hanno poi spiegato che il testo non era stato ancora trasmesso, a ridosso del fine settimana, ma che sarebbe giunto al Colle per la firma già da lunedì. Redazione online 04 luglio 2011 22:20
ROMA Cirio, condannati Cragnotti e Geronzi Nove e quattro anni di carcere per il crac da 1.125 milioni Sergio Cragnotti e Cesare Geronzi (LaPresse) Sergio Cragnotti e Cesare Geronzi (LaPresse) MILANO - Condanna per Sergio Cragnotti e Cesare Geronzi. Nove e quattro anni di carcere, rispettivamente, per il crac da 1.125 milioni di euro del gruppo agroalimentare Cirio. Lo hanno deciso i giudici della prima sezione penale del tribunale di Roma, dopo una lunga camera di consiglio. Le richieste dei pubblici ministeri erano state più severe: quindici anni per l'ex patron della Lazio e sei per l'ex presidente della Banca di Roma. RISARCIMENTO - I giudici hanno riconosciuto colpevoli anche i figli di Cragnotti, Andrea (condannato a 4 anni), Elisabetta e Massimo (a 3) e il genero di Cragnotti, Filippo Fucile (4 anni e 6 mesi). La vicenda - per la quale gli imputati sono 35, più la società Dianthus Spa - riguarda fatti risalenti al 2003, quando il fallimento del gruppo Cirio, allora guidato da Cragnotti, fece andare in default obbligazioni per 1.125 milioni di euro. Il processo era cominciato il 14 marzo 2008. Trentacinque gli imputati, accusati a vario titolo di bancarotta fraudolenta, preferenziale e distrattiva, oltre che di truffa. I colpevoli, insieme con Unicredit - quale responsabile civile - dovranno versare un risarcimento di 200 milioni di euro in via provvisionale all'amministrazione straordinaria del gruppo agroalimentare, oltre che le spese legali sostenute dalle migliaia di parti civili che si sono costituite. ASSOLUZIONI - Nell'ambito del processo, è stato assolto l'ex amministratore delegato della Banca Popolare di Lodi, Gianpiero Fiorani. Così come Flora Pizzichemi, la moglie di Sergio Cragnotti. Per entrambi, i pm avevano chiesto sei anni. REAZIONI - "Resto tranquillo perché continuo a ritenere di avere agito correttamente, nell'ambito delle responsabilità statutarie, esercitando il compito proprio, naturale del banchiere, senza commettere alcun illecito - commenta con l'Ansa Geronzi -. Diversamente, in casi della specie, la funzione di ogni banchiere resterebbe paralizzata". "Per questa ragione e per la fiducia che nutro nella magistratura - aggiunge - confido che in sede di appello l'ulteriore, ponderata riflessione consentirà di fare piena chiarezza e di riconoscere l'assoluta non colpevolezza del mio comportamento"."Non si è mai soddisfatti di fronte ad una sentenza di condanna, che genera sempre sofferenze - reagisce invece l'avvocato Nicola Madia, difensore dell'amministrazione straordinaria di Cirio - . Mi consola soltanto sapere che un popolo di risparmiatori (circa 35 mila, ndr) che hanno visto andare in fumo i loro risparmi possano ricevere indietro parte di quanto perduto". Redazione online 04 luglio 2011 22:29
LA STRAGE DI CASAL MONFERRATO Processo Eternit: "20 anni ai manager" La richiesta del pm per Schmidheiny e de Marchienne Il pm Raffaele Guariniello Il pm Raffaele Guariniello TORINO - "Vent'anni ai top manager dell'Eternit". Il processo sulla strage di operai nello stabilimento di Casal Monferrato è arrivato al momento delle arringhe finali. Il pubblico ministero di Torino Raffaele Guariniello ha chiesto la condanna del proprietario e presidente della multinazionale dell'amianto e del suo principale collaboratore, ovvero Stephan Schmidheiny, miliardario svizzero di 64 anni, e Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de Marchienne, barone belga di 89 anni. Il processo, giunto alla cinquantesima udienza, è per disastro ambientale doloso (per l'inquinamento e la dispersione delle fibre-killer) e omissione volontaria di cautele nei luoghi di lavoro. Nell'Eternit di Casale hanno perso la vita almeno 1600 operai. Pertanto, l'accusa ha chiesto anche tre pene accessorie: l'interdizione perpetua dai pubblici uffici, l'incapacità di trattare con la pubblica amministrazione per tre anni e l'interdizione temporanea dalla direzione di imprese per dieci anni. LA PENA RICHIESTA - La pena richiesta dal pm Guariniello per i due alti dirigenti della Eternit è di 12 anni, ma è stata accresciuta a 20 in quanto il reato è stato continuato. "E continua ancora oggi", ha precisato il magistrato. "La tragedia - ha continuato - si è consumata sotto un'unica regia senza che mai nessun tribunale abbia chiamato i veri responsabili a rispondere. Abbiamo accertato, infatti, che gli imputati non si sono limitati ad accettare il rischio che il disastro si verificasse e continuasse a verificarsi, ma lo hanno accettato e continuano ad accettarlo ancora oggi". Redazione online 04 luglio 2011 14:56
2011-06-26 polITICA P4, si dimette il consigliere di Tremonti Marco Milanese lo annuncia dopo le polemiche per la sua testimonianza sul coinvolgimento del generale Adinolfi Da sin. , Mario Adinolfi Da sin. , Mario Adinolfi MILANO - Marco Milanese si dimette da consigliere economico del ministro Tremonti. Lo annuncia lo stesso deputato, finito al centro delle polemiche nell'ambito dell'inchiesta P4 perché avrebbe fatto il nome del generale della Guardia di Finanza Mario Adinolfi. Milanese intende "salvaguardare l'importante ufficio dalle polemiche sollevate da una doverosa testimonianza, in un momento così delicato per la stabilità economica e politica del Paese". DIMISSIONI- "In considerazione ne delle ultime vicende che vedono coinvolti altissimi ufficiali della Guardia di Finanza in un'indagine della Procura della Repubblica di Napoli e che mi vedono interessato quale persona informata sui fatti - scrive nella nota Milanese - ritengo opportuno rassegnare le dimissioni da Consigliere Politico del Ministro dell'Economia e delle Finanze, al fine di salvaguardare l'importante ufficio dalle polemiche sollevate da una doverosa testimonianza, in un momento così delicato per la stabilità economica e politica del Paese". 26 giugno 2011
È Il capo di stato maggiore della Guardia di Finanza P4, indagato il generale Adinolfi "Informava Bisignani" Drammatico confronto fra l'ufficiale e il deputato Pdl Marco Milanese ROMA - L'indagine sulla "rete" di Luigi Bisignani arriva ai vertici della Guardia di finanza. Il capo di Stato maggiore Michele Adinolfi è indagato per rivelazione del segreto istruttorio e favoreggiamento. Sospettato di essere una delle "fonti" che avrebbe svelato all'uomo d'affari tuttora agli arresti domiciliari l'avvio di un'inchiesta su di lui. Altre "talpe" sarebbero già state individuate dai pubblici ministeri Henry John Woodcock e Francesco Curcio. Del resto negli atti processuali si rintracciano i nomi di alti ufficiali che avevano legami con Bisignani, con il parlamentare del Pdl Alfonso Papa per il quale è stato chiesto l'arresto, ma anche con alcuni imprenditori che proprio i due avrebbero ricattato. Una girandola di incontri e contatti che i magistrati stanno adesso verificando. Adinolfi è stato interrogato in una caserma della Dia a Roma mercoledì scorso e poi messo a confronto con Marco Milanese, l'ex ufficiale della Guardia di finanza poi eletto nel Pdl e diventato consigliere politico del ministro Tremonti, ora finito in un'inchiesta per corruzione. Un faccia a faccia drammatico, anche tenendo conto che Manuela Bravi, fidanzata di Milanese e portavoce di Tremonti, è una delle testimoni chiave di questa inchiesta. "Devi ritrattare" Sono le intercettazioni telefoniche a rivelare, già diversi mesi fa, che gli indagati hanno saputo di avere i telefoni sotto controllo. Bisignani lo racconta al ministro Stefania Prestigiacomo e dice di averlo riferito a Gianni Letta. Anche Milanese si mostra a conoscenza di quanto sta accadendo e dunque viene convocato dai pubblici ministeri. Sostiene che il generale Vito Bardi, comandante interregionale della Guardia di finanza, aveva informato Adinolfi dell'avvio dell'inchiesta in quanto suo superiore gerarchico. E che lo stesso Adinolfi a sua volta avrebbe avvisato Bisignani attraverso Pippo Marra, giornalista presidente dell'agenzia di stampa AdnKronos. Bardi e Marra finiscono indagati, ma negano. Lunedì scorso, durante il suo interrogatorio davanti al giudice, Bisignani afferma che "un giorno Marra mi disse non parlare al telefono. Stop. Dopodiché io ne parlai con l'onorevole Milanese che dopo un po' mi disse che io avevo il telefono per via dell'inchiesta...". I nomi sono sempre gli stessi, i pubblici ministeri convocano Adinolfi come indagato. Il generale nega tutto e quando viene messo a confronto con Milanese esplode: "Stai dicendo falsità, devi ritrattare". L'"amico fidato" In realtà tra gli elementi contestati c'è quanto è stato dichiarato nell'aprile scorso da Manuela Bravi, convocata proprio perché il suo nome emergeva dalle intercettazioni perché, come lei stessa chiarisce, "sono la compagna di Milanese". Le viene chiesto se è a conoscenza del fatto che qualcuno dà notizie sulle indagini svolte dalla Procura di Napoli e lei non nega, anzi racconta i dettagli. "Parlando con il professor Mazzei, presidente del Poligrafico, della vostra indagine su Bisignani e sui vari articoli di stampa, lui mi disse che c'era un appartenente alla Guardia di finanza che lavorava con la Procura di Napoli molto vicino a tale Lasco - ex appartenente alla Finanza e ora capo della sicurezza di Terna - il quale suppongo si sia interessato alle indagini su Bisignani. Mazzei mi disse anche il nome dell'"informatore" di Lasco". La donna fornisce ulteriori particolari: "Per poter arrivare al nome posso fornirvi un ulteriore elemento: circa un anno fa mi trovavo a cena con il mio compagno Milanese, con Lasco, con il professor Cognetti, forse con il generale Adinolfi, con l'avvocato Fischetti e con altri. Durante la cena sentii parlare Lasco e gli altri commensali di un appartenente alla Guardia di finanza in servizio a Napoli loro "amico fidato" che doveva essere assunto in Terna. Ovviamente non so se tale soggetto è stato assunto, ma potrebbe trattarsi della stessa persona vicina a Lasco che dà notizie sulle indagini in corso e di cui mi ha parlato Mazzei". Cene e regali Di appuntamenti e incontri con gli alti ufficiali della Guardia di finanza avevano già parlato gli imprenditori vittime dei ricatti di Papa. Tra loro Luigi Matacena che a verbale dichiara: "Il mio nominativo compare nella lista Falciani. Vi dico ancora che ho scudato nel dicembre 2009 circa due milioni e mezzo che avevo su due conti alla Hsbc di Lugano e poi su un conto acceso presso la Banca Zanardelli, presso la quale ho fatto lo scudo facendo rientrare i soldi. Nell'autunno di quest'anno ho pagato (in occasione della partita Napoli-Milan) un pranzo al ristorante Mattozzi a cui hanno partecipato il generale Bardi, il generale Adinolfi con la moglie, il generale Grassi, il generale Zafarana, l'ex ufficiale della Guardia di finanza Stefano Grassi (oggi alle Poste), il dottor Galliani amministratore delegato del Milan con un accompagnatrice e un suo amico... In quella occasione ho anche regalato a tutti i signori menzionati dei gemelli comprati da "Marinella", e per le signore un foulard sempre di "Marinella". Pagai io il conto che venne a costare meno di mille euro. Oltre al generale Bardi conosco Adinolfi con cui mi do del "tu"... Non ho mai chiesto alcuna cortesia, né con riferimento allo scudo fiscale né per altro ai miei amici della Guardia di finanza, anche perché per lo "scudo fiscale" non mi sarebbe servito alcun aiuto dal momento che è previsto dalla legge e basta pagare la sanzione... Ho conosciuto negli ultimi due anni i menzionati alti ufficiali della Guardia di finanza al premio Ischia di giornalismo... In tale contesto ho conosciuto il generale Adinolfi, il generale Bardi, il generale Spaziante (che tuttavia non stava al premio) e Stefano Grassi. Io e Gallo (altro imprenditore minacciato dal parlamentare del Pdl Alfonso Papa, ndr) abbiamo offerto a turno due cene a distanza di un anno e sempre ai giardini Eden di Ischia. A una di queste cene c'erano Spaziante e Adinolfi con le signore". Fiorenza Sarzanini 25 giugno 2011(ultima modifica: 26 giugno 2011)
Timori al presidio dei NO TAV: "Ci sarà blitz della polizia" "Tav, i cantieri si aprono entro il 30" Maroni a La Padania: "L'opera si fa, se no diciamo addio alle centinaia di milioni del contributo Ue" Roberto Maroni (Ansa) Roberto Maroni (Ansa) MILANO - Entro il 30 giugno dovranno partire i lavori della Tav Torino-Lione. Pena l'addio ai finanziamenti europei. Cosa che il governo vuole a tutti i costi evitare. "Il cantiere si apre entro il 30, e l'opera si fa, se no diciamo addio alle centinaia di milioni del contributo Ue ma soprattutto ai collegamenti con l'Europa, e quindi diciamo addio al futuro" afferma il ministro dell'Interno Roberto Maroni in un'intervista alla Padania. Dall'altra parte però si respira tensione. I No Tav si preparano alla "resistenza finale" in val di Susa, in attesa dello sgombero da parte delle forze dell'ordine dell'area del cantiere di Chiomonte. I No Tav hanno infatti invitato tutti i militanti del movimento a partecipare a una manifestazione questa sera e a restare al presidio, perché si aspettano un blitz delle forze dell'ordine nelle prossime ore. Sono circa 60 i no Tav indagati dalla Procura di Torino per i disordini avvenuti nel torinese nell'ultimo anno e mezzo, tra cui lo storico leader Alberto Perino. MARONI - Il quotidiano della Lega dedica il titolo di apertura e due pagine all'interno del giornale alla Tav con un'intervista anche al viceministro delle Infrastrutture Roberto Castelli e un articolo che riferisce dell'allerta lanciato dal Viminale sui contestatori. "Chi si oppone non credo che riuscirà a fermare il cantiere, non deve farlo, perchè vuol dire arrecare un danno gravissimo soprattutto alle future generazioni, vuol dire, come è stato calcolato, far perdere due punti di Pil al Piemonte", dice Maroni. In merito alle critiche di carattere ecologista, "è stato fatto di tutto, è stato aperto un osservatorio, sono state fatte tutte le valutazioni necessarie", assicura il ministro. "Ciononostante c'è un no pregiudiziale che non può essere accettato". Più duro il viceministro Castelli, che definisce le ragioni addotte dai No-Tav "tutte balle". "Sono le solite argomentazioni trite e ritrite che i Verdi ad oltranza tirano fuori contro qualsiasi opera pubblica". In realtà, sostiene, "agli ultimi irriducibili rimasti, della Tav non frega più nulla. È diventata il pretesto per una sfida allo Stato. Partigiani contro lo stato nazista: sono ormai fuori dalla realtà". Senza la Tav, avverte Castelli, l'Italia sarebbe "tagliata fuori dai grandi traffici internazionali. Senza contare le perdite in prospettiva sul fronte dell'occupazione, pari a centinaia di migliaia di posti di lavoro. Ogni miliardo speso - sottolinea - genera 20 mila posti di lavoro". Il quotidiano, nell'articolo "In arrivo gli estremisti più duri per provocare violenti scontri", riferisce di alcuni "rapporti in possesso del Viminale" in cui si documenta che "i No-Tav hanno avviato una serie di iniziative per contrastare l'arrivo sul posto delle forze dell'ordine e l'inizio dei lavori". No Tav, il presidio a Chiomonte No Tav, il presidio a Chiomonte No Tav, il presidio a Chiomonte No Tav, il presidio a Chiomonte No Tav, il presidio a Chiomonte No Tav, il presidio a Chiomonte No Tav, il presidio a Chiomonte No Tav, il presidio a Chiomonte FERRERO - Il "pugno di ferro annunciato da Maroni per far partire i lavori della Tav in Piemonte, suscita la replica di Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione comunista: "Questa sera parteciperò alla fiaccolata che da Chiomonte porterà al presidio della Maddalena e poi mi fermerò tutta la notte al presidio. Il proposito di Maroni di risolvere attraverso una manovra militare quello che è un problema politico che vede la contrarietà della maggioranza della popolazione interessata è completamente irresponsabile. Come Bava Beccaris, Maroni vuole sostituire la repressione alla politica. A Chiomonte si difende un bene comune, la vivibilità della Val di Susa contro uno spreco di danaro insensato in una fase di ristrettezze economiche". Redazione online
Caldoro: "Lega irresponsabile. Abbandoneremo i tavoli del governo" Il governatore della Campania, indagato dalla Procura di Napoli, attacca a 360 gradi MILANO - "Non ci sto, non ci sto, non ci sto". È iniziata con queste parole la conferenza stampa del presidente della Regione Campania Stefano Caldoro, da sabato indagato per "epidemia colposa" dalla Procura di Napoli, perché gli verrebbe contestato di non aver emesso un'ordinanza per far fronte all'emergenza rifiuti di Napoli e provincia. Tre "non ci sto" così spiegati: "A pagare le colpe di 15 anni di inadempienze e responsabilità dei comuni, responsabilità anche perduranti ancora oggi; a pagare le colpe dei ricatti e del boicottaggio della camorra; rispetto ai comportamenti irresponsabili, di fronte a questa emergenza nazionale, della Lega Nord". LA REGIONE ABBANDONA I TAVOLI - "La Regione - ha aggiunto Caldoro - ha fatto tutta la sua parte, avendo poteri minimi e residuali". Sull'emergenza rifiuti a Napoli "La Regione Campania - ha detto il governatore Stefano Caldoro, che è indagato per epidemia colposa nell'ambito dell'inchiesta aperta dalla procura di Napoli - continuerà a fare la sua parte ma da oggi, finché non ci saranno risposte forti da parte del governo e degli enti locali della Campania, abbandona i tavoli istituzionali e nazionali presso il governo e la prefettura". E ha aggiunto "I cittadini - ha aggiunto il governatore campano - devono sapere dove sono le vere colpe e le responsabilità che sono ben lontane dall'ente Regione". 26 giugno 2011
EMERGENZA Rifiuti a Napoli: aumentano le patologie respiratorie per i bambini I pediatri concordi, crescita del 10-20%: le cause nei roghi tossici e nella diossina Bambini e rifiuti: per loro, aumentano le patologie respiratorie Bambini e rifiuti: per loro, aumentano le patologie respiratorie MILANO - Dati ufficiali che attestino un aumento di patologie a Napoli a causa dell'emergenza rifiuti, ad oggi, non ve ne sono. Ma un primo campanello d'allarme arriva dalla rete dei pediatri: nell'ultimo mese, da quando cioè la situazione dei rifiuti abbandonati per le strade si è aggravata, affermano i medici, si è registrato un aumento del 10-20% delle patologie respiratorie tra i bambini. E la causa, è l'allarme lanciato dagli specialisti, è da ricercarsi nei roghi di immondizia che, fortemente tossici, continuano ad essere segnalati anche in queste ore. "Da circa un anno - spiega il presidente della Federazione italiana pediatri (Fimp) Giuseppe Mele - la rete dei pediatri a Napoli ha avviato un monitoraggio per verificare l'eventuale aumento di patologie pediatriche in relazione alla questione rifiuti". Sotto i riflettori degli specialisti, vi sono innanzitutto le patologie di tipo oncologico: "Per questo tipo di patologie, così come per quelle gastrointestinali - precisa Mele - non è stato riscontrato un aumento significativo dell'incidenza rispetto al resto del territorio nazionale". AUMENTO DI ASMA E TOSSE - I dati cambiano, invece, per quanto riguarda le malattie respiratorie: "Nell'ultimo periodo si è riscontrato - sottolinea - un aumento percentuale significativo di disturbi quali asma, tosse, faringiti e bronchiti asmatiche nei bambini, soprattutto in quelli più predisposti come, ad esempio, i bambini allergici". Un aumento dell'incidenza delle patologie respiratorie le cui causa non è, ovviamente, imputabile al freddo della stagione invernale: "La causa - avverte Mele - è da ricercarsi nei roghi di rifiuti che continuano a verificarsi e che sono molto tossici per le sostanze, come la diossina, che vengono prodotte a seguito della combustione della plastica". I primi a pagare le conseguenze dell'emergenza rifiuti a Napoli sono, dunque, i bambini. E nell'attesa che la situazione torni, si spera, alla normalità, dai pediatri arriva un consiglio: "Ovviamente, è fondamentale tenere i bambini lontani dai roghi di immondizia ed è importante, soprattutto in questa situazione - sottolinea Mele - cercare di portarli a mare il più possibile, poiché l'esposizione all'aria e all'acqua marina può ridurre gli effetti di tali disturbi". CONSUMARE CIBI BEN COTTI - Altro consiglio è quello di consumare cibi ben cotti: "Con l'aumento delle temperature in questi giorni, infatti - avverte il pediatra - prevediamo in generale un aumento dei disturbi gastrointestinali nei bambini, anche se non collegabili per il momento all'emergenza rifiuti". E non solo i pediatri si sono attivati per monitorare l'evolversi dell'emergenza. Anche i medici di famiglia, spiega il segretario della Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg) Giacomo Milillo, "hanno attivato sul territorio napoletano un monitoraggio in particolare su tre tipi di patologie: le malattie della pelle e quelle respiratorie, suscettibili di un aumento dell'incidenza a causa dei roghi di immondizia, e le patologie gastrointestinali, eventualmente collegabili a infezioni batteriche da rifiuti". Per il momento, "nella popolazione adulta - afferma Milillo - non sono stati riscontrati dati epidemiologici significativi". Ma il prevedibile aumento delle temperature nei prossimi giorni, conclude l'esperto, "è sicuramente un fattore di rischio in più, perchè il caldo facilita la fermentazione dei rifiuti per strada e la proliferazione dei batteri patogeni". CONTINUA LA RACCOLTA STRAORDINARIA -Intanto la raccolta straordinaria 24 ore su 24 iniziata con la firma dell'ordinanza del sindaco Luigi De Magistris sta facendo diminuire, se pure lentamente, la giacenza di immondizia a Napoli. Anche se la situazione è diversa zona per zona, e i cumuli di rifiuti non risparmiano nemmeno il centro cittadino e le strade dello shopping, secondo le stime di Asia, azienda a totale partecipazione del Comune che gestisce la raccolta, a terra ci sarebbero 1.720 tonnellate da recuperare. Molto pesante invece la situazione nell'hinterland napoletano, soprattutto nell'area flegrea.
2011-06-24 l'inchiesta p4 e le telefonate Legge sulle intercettazioni, il Pdl accelera Il Guardasigilli Alfano: "Pubblicare le irrilevanti è reato". Frattini: "Entro agosto il provvedimento" Angelino Alfano Angelino Alfano MILANO - Sulle intercettazioni e in particolare sullo stop alla pubblicazione, governo e maggioranza vogliono accelerare. Questo almeno lasciano intuire le parole di Franco Frattini. Il ministro degli Esteri parla di"una buona legge" da approvare "entro agosto". "Ormai i buoi sono usciti dalla stalla - ha aggiunto il titolare della Farnesina -. Credo però che ci voglia una buona legge, e sarebbe un bell'esempio per il Parlamento che maggioranza e opposizione la concordassero in tempi rapidi visto che c'è una proposta della sinistra depositata, ma non approvata, che ha elementi molto buoni". Anche Angelino Alfano è tornato sulla questione e riferendosi in particolare alle intercettazioni sulla P4 pubblicate in questi giorni ha voluto specificare che "oltre che ad essere sbagliato moralmente è anche un reato da perseguire la pubblicazione delle intercettazioni penalmente irrilevanti". "Nessuno però si fa carico di riparare al torto" mentre anche questo è un "reato da perseguire in base al principio dell'obbligatorietà dell'azione penale", ha aggiunto il Guardasigilli, protagonista giovedì di uno scontro con i pm di Napoli titolari dell'inchiesta su Bisignani. "AVANTI CON IL DDL" - Ai cronisti che nella conferenza stampa a Palazzo Chigi sulla digitalizzazione gli chiedevano se fosse realistica l'ipotesi di ripescare il ddl Mastella sulle intercettazioni, così da superare l'impasse in proposito degli ultimi anni, Alfano ha risposto che le'esecutivo andrà avanti col disegno di legge su cui le'state scoprsa si era meditato con i finiani. "Noi abbiamo scritto un percorso tre anni fa e non intendiamo fare un decreto legge né orientare la prua in una direzione diversa", ha spiegato il ministro. "INDIGNATO DAL CONTENUTO" - Sulle intercettazioni è tornato anche Giovandomenico Lepore, capo della procura di Napoli titolare dell'inchiesta sulla P4. "Una cosa grave e che mi preoccupa è che la gente si sgomenta e si arrabbia per la diffusione delle intercettazioni, ma non per il contenuto delle stesse. Questo è molto grave", ha detto intervenendo a 24 Mattino su Radio 24. "Io vorrei vedere un po' di indignazione per i contenuti - ha aggiunto Lepore - invece si cerca di delegittimare i magistrati dicendo che cerchiamo pubblicità, il che non è vero. I fatti venuti fuori attraverso le intercettazioni non sono solo gossip, che peraltro noi vorremmo evitare, ma la legge ci impone di depositare tutti gli atti, con gli allegati". Redazione online 24 giugno 2011 L'INDAGINE P4 I PERSONAGGI. I VERBALI.
Le intercettazioni - Quel modello da 16.200 euro Papa, gli orologi e i dialoghi con il ricettatore Il politico propone al malvivente una permuta: "Non ci sono problemi, troveremo un accordo" Alfonso Papa e Silvio Berlusconi si stringono la mano a Montecitorio (Infophoto) ROMA - Sembra avere la passione degli orologi, l'onorevole ex magistrato Alfonso Papa, il coindagato di Luigi Bisignani sul quale pende una richiesta d'arresto da parte del giudice di Napoli. Ma per risparmiare si rivolge a personaggi come un tale Gennaro, definito dagli inquirenti "noto ricettatore della zona Maddalena di Napoli". VALORE 16.200 EURO - Il 22 settembre 2010, ad esempio, Gennaro offre a Papa un modello "off shore", del tipo "con i pulsanti di gomma, corona di gomma e quadrante giallo, cinturino nero in pelle". Valore 16.200 euro, ma l'onorevole lo può comprare a 5.500 euro, assicura Gennaro. "Papa ci pensa un po' sopra e accetta. Dice che lo richiamerà venerdì. Si salutano", trascrivono gli investigatori che intercettano il ricettatore. Due giorni dopo è Papa a chiamare Gennaro, per proporre una permuta: "Per l'orologio che deve acquistare afferma di voler dare in permuta un Corum, grande, con bracciale di caucciù, acquistato in precedenza dal Gennaro. Questi chiede a che prezzo sia stato acquistato, Papa risponde a un prezzo superiore a 1.100 euro. Gennaro risponde invece che il prezzo di acquisto è 800 euro, comunque non ci saranno problemi, troveranno un accordo sul prezzo di permuta". 24 giugno 2011
Il presidente Rai garimberti: "Assurdo, c'è spazio per farlo sulla tv pubblica" L'annuncio di Saviano: "È ufficiale, Vieni via con me si trasferisce a La7" Fabio Fazio: "In Rai continuerò con Che tempo che fa". Con Santoro si tratta ancora L'annuncio di Saviano: "Vieni via con me a La7" In Rai mi sentivo mal sopportato MILANO - Che tempo che fa continuerà sulla Rai almeno per i prossimi tre anni, mentre Vieni via con me sarà realizzato a La7, la tv di Telecom Italia. Fabio Fazio diversifica i suoi impegni televisivi, mentre la rete che fa capo a Telecom Italia porta a casa una doppia"firma" Fabio Fazio e Roberto Saviano in attesa del possibile arrivo di Michele Santoro. L'ANNUNCIO DI SAVIANO - Ad annunciare il trasferimento a La7 è stato Saviano in collegamento telefonico con l' evento di presentazione del palinsesto autunnale a Milano. "Posso dire che è ufficiale - ha detto lo scrittore dialogando con Giovanni Stella, a.d. di Telecom Italia Media - che Vieni via con me, con Fazio, si farà su La7". "Fazio e Saviano importanti, ora arrivi Santoro" Intervista a Enrico Mentana di M.Volpe GARIMBERTI: ASSURDO - "Mi sembra assurdo, direi quasi autolesionista, che la Rai, dopo averlo celebrato in questi giorni nella presentazione dei palinsesti come il programma più visto della stagione autunnale 2010 (secondo solo alla Formula Uno), perda un successo come 'Vieniviaconme'". A sottolinearlo è il presidente della tv pubblica, Paolo Garimberti, il quale ritiene che "vi possano essere ancora dei margini perché Roberto Saviano lavori per la Rai insieme a Fabio Fazio su questo format che in Rai è nato". "In questo senso - sottolinea Garimberti - mi affido alla esperienza e alla sensibilità del direttore generale. Penso che su scelte come queste non possano esserci posizioni ideologiche ma solo posizioni aziendali. Troppo spesso infatti gli interessi della Rai sembrano venire dopo rispetto a quelli di parte, atteggiamento che considero inaccettabile da chi è incaricato di difendere e tutelare il valore della Rai". SANTORO - Quanto a Michele Santoro, la trattativa per portarlo a La 7 è in corso e, ha rivelato Giovanni Stella, "è stata già trovata un'intesa di massima. Spero usciremo presto con l'annuncio e di riuscire a firmare questo contratto". In serata, poi, una nota di Telecom Italia Media ha precisato che "con il dottor Michele Santoro non è stato ancora trovato un accordo". FAZIO - "Ho un accordo con la Rai per rifare, e ne sono molto felice, per i prossimi tre anni Che tempo che fa e degli speciali per Rai3. Riguardo la trasmissione Vieni via con me (che peraltro la Rai non ha mai chiesto salvo Rai3), in questi sette mesi nessuno ha mai contattato Saviano né è stato chiesto di farlo ma mi è stato concesso di farlo altrove" aveva dichiarato Fazio mercoledì. "In termini tecnici è una deroga per quattro puntate", ha aggiunto Fazio a margine della presentazione dei palinsesti autunnali. "Trovavo assurdo non rifare un programma come Vieni via con me, rivedere me e Saviano insieme. E quindi trovo che sia doveroso riproporre quell'idea e soprattutto riproporre Saviano, dove sarà possibile. La faremo io e Roberto, poi vediamo". Redazione online 22 giugno 2011(ultima modifica: 23 giugno 2011)
la sentenza Tarantini condannato a 2 anni e 2 mesi La procura aveva chiesto pena più alta La vicenda è quella che riguarda i coca party di Gianpi Il giudice ha riconosciuto le attenuanti generiche NOTIZIE CORRELATE Inchiesta sul malaffare della sanità in Puglia:indagati i fratelli Tarantini (10 giugno) BARI - L’imprenditore barese Gianpaolo Tarantini è stato condannato a due anni e due mesi di reclusione per detenzione ai fini di spaccio di cocaina. Lo ha deciso il gup di Bari Alessandra Piliego al termine del processo con rito abbreviato. La pena inflitta è inferiore a quella prevista nella proposta di patteggiamento (a due anni e sei mesi) respinta il 21 aprile scorso il gup di Bari Marco Guida che l’aveva ritenuta troppo mite. A Tarantini il giudice ha riconosciuto le attenuanti generiche e quella della collaborazione. Tarantini dopo la sentenza LA VICENDA - Il 21 aprile scorso il gup di Bari, Marco Guida, ritenendo la pena non congrua, aveva rigettato la richiesta di patteggiamento a due anni e sei mesi di reclusione proposta da accusa e difesa. Tarantini era presente in aula durante l’udienza (celebrata a porte chiuse) e ha reso dichiarazioni spontanee. Ha raggiunto il tribunale intorno alle 8.30 e l’ha lasciato, in attesa della lettura del dispositivo, a bordo di un’auto di grossa cilindrata con i vetri oscurati, accompagnato dal suo legale, Nicola Quaranta. IL FILONE ESCORT - L’imprenditore barese è balzato all’onore delle cronache per le escort, tra cui Patrizia D’Addario, e le ragazze immagine inviate a feste organizzate nelle residenze private del premier Silvio Berlusconi tra il 2008 e il 2009. Per queste ultime vicende Tarantini è indagato da tempo dalla procura di Bari per favoreggiamento della prostituzione. Fu proprio Gianpi - secondo quanto ricostruito dalla procura - a presentare al presidente del Consiglio 30 giovani donne (tra loro c'erano appunto alcune escort) tra settembre 2008 e gennaio 2009. Questo filone d'indagine, nonostante il tempo trascorso, non è ancora giunto a conclusione. LA DIFESA DI GIANPI - "Siamo contenti e soddisfatti di aver trovato un giudice sereno, competente e preparato che ha dato il giusto valore al comportamento tenuto da Tarantini nella fase delle indagini preliminari". Lo ha detto uno dei due difensori di Gianpaolo Tarantini, Nicola Quaranta, commentando la sentenza di condanna. Tarantini era assistito anche dall’avvocato Giorgio Perroni di Roma, presente in aula. "È stata riconosciuta l’attenuante della collaborazione con riferimento alla normativa sulla sostanza stupefacente che prevede una diminuzione di pena da metà a due terzi - ha detto Quaranta - e sono state riconosciute le attenuanti generiche". Alla domanda dei cronisti sulla richiesta di condanna avanzata oggi dalla procura (a quattro anni), superiore alla proposta di patteggiamento (a due anni e 6 mesi) di accusa e difesa respinta dal gup due mesi fa, e sulla pena inflitta oggi, inferiore a entrambe, il legale ha commentato: "Questa è la valutazione che ha fatto il giudice, queste sono state le nostre richieste oggi nel giudizio abbreviato. Le richieste che avevamo fatto in sede di patteggiamento erano determinate da altre condizioni". "Quanto alla richiesta della procura - ha sottolineato - mi risulta inspiegabile perché abbia voluto punire Tarantini con una richiesta di pena superiore a chi aveva contestato le proprie responsabilità ma fortunatamente il giudice ha apprezzato il comportamento tenuto dall’imputato sia durante le indagini che durante il processo e ha, per questo, riconosciuto una pena equa e proporzionata". Durante l’udienza, riferisce l’avvocato Quaranta, Tarantini ha rilasciato dichiarazioni spontanee: "Ha confermato - ha rimarcato - quello che aveva già detto durante la fase delle indagini preliminari ai pubblici ministeri, ammettendo sia l’acquisto di sostanze stupefacenti per uso personale che le cessioni a titolo gratuito in qualche occasione". Vincenzo Damiani 23 giugno 2011(ultima modifica: 24 giugno 2011)
CONFCOMMERCIO "Chi evade sbaglia ma va ascoltato Sangalli: "C'è gente che non ce la più a pagare le tasse". Il ministro Romani: non ci sarà un aumento dell'Iva MILANO - "Chi evade e chiunque aiuta a evadere mina le fondamenta del patto di cittadinanza e agisce contro crescita e contro lo sviluppo dell'Italia". Lo ha detto il presidente della Confcommercio Carlo Sangalli in un passaggio della relazione all'assemblea nazionale. Sangalli ha insistito sulla necessità di riformare la giustizia tributaria: "Bisogna ascoltare e capire le ragioni di chi davvero non ce la fa più a pagare troppe tasse e troppi contributi. Non meritano - ha detto - di essere bollati tutti come evasori e di essere condannati alla chiusura delle loro imprese". IL MORSO DELLA CRISI - Occorre "ascoltare e capire le ragioni - dice - di chi davvero non ce la fa più a pagare troppe tasse. È gente che non conosce l'indirizzo dei paradisi fiscali, ma che sente sulla propria pelle il morso della crisi. Non meritano di essere tutti bollati come evasori e di essere condannati alla chiusura delle loro imprese". Per Sangalli, si deve procedere con determinazione sulla strada del contrasto e del recupero dell'evasione: "Un imponibile evaso per almeno 255 miliardi è una tremenda ipoteca per la crescita del Paese". IL PIANO DI RIFORME - l'obiettivo del governo di deficit prossimo, nel 2014, allo zero, è "giusto e giustamente ambizioso", ma "richiederà, tra l'altro, una manovra correttiva dell'andamento dei conti pubblici pari, nel biennio 2013-2014, a circa 2,3 punti di Pil". Durante la sua relazione all'Assemblea annuale di Confcommercio, Sangalli apprezza poi che il programma di riforma muova dal "presupposto dell' inderogabilità della stabilità finanziaria per delineare, poi, il quadro delle azioni che, in coerenza con gli obiettivi dell'agenda di Europa 2020, dovrebbero rimuovere i i colli di bottiglia che frenano la crescita dell'Italia". NO ALLO SCAMBIO IRPEF-IVA - In tema di riforma fiscale, però, "se si ipotizza una sorta di scambio, per esempio, tra la riduzione delle aliquote Irpef e l'innalzamento delle aliquote Iva, siamo assolutamente contrari", ha detto Sangalli. Tra i principi della annunciata riforma vi è il "graduale spostamento dell'asse del prelievo fiscale, dalle imposte dirette alle imposte indirette. Se con ciò si vuol dire che occorre concentrarsi sul recupero di un'evasione Iva pari a circa 2,5 punti di Pil, siamo assolutamente d'accordo". Secco no, invece, a misure che alimenterebbero l'inflazione e colpirebbero i consumi delle famiglie. Sangalli propone invece di avanzare "lungo la strada della riduzione dell'evasione e della spesa pubblica, di affrontare anche la questione di una tassazione delle rendite finanziarie di standard europeo e fissare intanto, annualmente e per legge, la frazione di gettito derivante dalla lotta all'evasione e all'elusione da destinare, nell'esercizio fiscale successivo, a riduzione delle aliquote legali". ROMANI: L' IVA NON AUMENTERA' - "Non è assolutamente intenzione del Governo costruire la riforma fiscale su un incremento dell'Iva. Sarebbe uno strumento che frena la crescita mentre serve un forte stimolo alla domanda interna" ha assicurato in tutta risposta il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, parlando all'assemblea. "Comprendo la vostra preoccupazione sulla riforma fiscale", ha spiegato Romani, riferendo che su questo impegno c'è "la testimonianza diretta del presidente del Consiglio" L'ALBERO STORTO - Sangalli ha chiesto anche di essere più espliciti e più impegnativi sul federalismo fiscale che "è rimasta un'occasione storica per raddrizzare "l'albero storto" della finanza pubblica" e per il quale bisogna rendere più chiaro come e in che misura concorrerà al controllo e alla riduzione tanto della spesa pubblica, quanto della pressione fiscale, perchè, altrimenti, quel che resta chiaro è il costo - giusto per fare qualche esempio - delle maggiori addizionali Irpef, delle imposte di scopo e della reintroduzione della tassa di soggiorno, dell'impatto dell'Imu sugli immobili strumentali delle imprese, dell'aumento dell'Imposta Provinciale di Trascrizione per i veicoli. Per il presidente di Confcommercio, inoltre, la realizzazione del federalismo fiscale deve sempre più connettersi con la "madre di tutte le riforme", quella fiscale. Paola Pica 23 giugno 2011(ultima modifica: 24 giugno 2011)
2011-06-16 Dossier e ricatti Inchiesta "P4", arrestato Luigi Bisignani Il faccendiere alla detenzione domiciliare. La Procura di Napoli "indagini di ampio respiro" MILANO - È stato arrestato il faccendiere Luigi Bisignani, nell'ambito dell'inchiesta sulla cosiddetta P4. Già iscritto alla Loggia P2, condannato a tre anni e 4 mesi nel processo Enimont, e coinvolto nell'inchiesta Why Not del pm Luigi De Magistris, a Bisignani vengono contestati ricatti, corruzione e concussione. Una richiesta di detenzione in carcere è stata fatta anche nei confronti del senatore Pdl ed ex magistrato Alfonso Papa. In questo caso la richiesta di arresto è stata inoltrata al Parlamento. Indagato anche un carabiniere. APPALTI GESTITI DALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO - Sin dai tempi di Craxi ritenuto uno degli uomini più potenti d'Italia, Bisignani è stato arrestato in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare su richiesta della Procura di Napoli nell'ambito dell'inchiesta sulla P4. Tra i filoni d'indagine ci sono anche gli appalti gestiti dalla presidenza del Consiglio. DOSSIER E RICATTI - L'indagine, condotta dai pm della Procura di Napoli Francesco Curcio e Henry John Woodcock, cerca di fare luce su un sistema informativo parallelo, quella che per i magistrati potrebbe essere una vera e propria associazione per delinquere finalizzata alla gestione di notizie riservate, appalti e nomine, in un misto, secondo l'accusa, di dossier e ricatti, anche attraverso interferenze su organi costituzionali. Oltre alla gestione di notizie riservate, l'inchiesta intende chiarire ogni aspetto in merito, appunto, ad appalti, nomine e finanziamenti. Nelle ultime settimane sono stati ascoltati come testimoni numerosi parlamentari e vertici istituzionali, compresi quelli dei servizi segreti tra cui il generale Adriano Santini presidente dell'Aise (Agenzia per le informazioni e la sicurezza esterna) LA PROCURA: "INDAGINI DI AMPIO RESPIRO" - La Procura di Napoli definisce l'inchiesta sulla cosidetta P4 come "di ampio respiro". In una nota a firma del procuratore aggiunto Franco Greco, coordinatore della sezione reati contro la Pubblica amministrazione si spiega: "Il nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Napoli ha eseguito un'ordinanza custodia cautelare emessa dal Gip per il reato di favoreggiamento personale nei confronti del dirigente e consulente aziendale Luigi Bisignani. Le indagini da cui è derivata la misura cautelare agli arresti domiciliari - spiega Greco -, inseribili in contesto investigativo di ampio respiro e che ha interessato numerose persone, hanno riguardato l'illecita acquisizione di notizie e di informazioni, anche coperte da segreto, alcune delle quali inerenti a procedimenti penali in corso nonché di altri dati sensibili o personali al fine di consentire a soggetti inquisiti di eludere le indagini giudiziarie ovvero per ottenere favori o altre utilità" Fiorenza Sarzanini 15 giugno 2011(ultima modifica: 16 giugno 2011)
INCHIESTA P4 Bisignani ai magistrati: a Palazzo Chigi le notizie sui processi Negli interrogatori gli interventi per le nomine ROMA - Ci sono le intercettazioni e le testimonianze di tante persone, protagonisti e spettatori delle trame individuate dalla Procura di Napoli dietro quel gruppo di potere occulto soprannominato P4. Alla fine però, è stato proprio uno dei presunti appartenenti al "sistema criminale", Luigi Bisignani, ad aver fornito i principali riscontri al quadro accusatorio disegnato dagli inquirenti. Con alcune parziali ammissioni, seppure in chiave difensiva, che gli hanno evitato di finire in carcere. Come quando l'uomo d'affari, definito dai pubblici ministeri "ascoltato consigliere dei vertici dirigenziali di alcune delle più importanti aziende controllate dallo Stato, di ministri, sottosegretari e alti dirigenti statali", spiega di aver avuto un ruolo nella nomina di Roberto Mazzei al vertice del Poligrafico dello Stato: "Ho sicuramente segnalato il Mazzei al professor Tremonti per fargli ottenere la nomina di presidente. Con il Poligrafico la Ilte (una società di Bisignani, ndr) è in rapporti per il modello unico. Non mi risulta che siano state conferite utilità a dirigenti del Poligrafico da parte della Ilte". Le "indicazioni infondate" Ma è soprattutto sul suo principale coindagato - l'onorevole Alfonso Papa, che il giudice ha chiesto alla Camera di spedire in cella - che Bisignani s'è soffermato nei suoi interrogatori. Spiegando che "il Papa da una parte proponeva di adoperarsi nel mio interesse, e dall'altro mi dava indicazioni spesso infondate; si accreditava, e diceva di poter intervenire propalando i suoi agganci e i suoi legami". Precisa il giudice che qualche millanteria è possibile, ma è da escludere che le notizie fornite dal deputato ex-magistrato fossero "complessivamente infondate". E sembrava escluderlo pure Bisignani, che Papa salutava così in un messaggio telefonico inviato la sera del 6 settembre scorso: "Ciao capo! Finalmente si riprende. Oggi ho fatto varie cose e domani completo l'opera. Ti devo parlare". Tre giorni dopo i due conversano al telefono e Bisignani dice: "Tu lavora a quella cosa". Poi Papa racconta: "Mi ha chiamato Frattini, proprio lui... Mi ha detto guarda io ho parlato con il presidente gli ho detto che bisogna creare questo think tank, non mi ha parlato di quel progetto che ci siamo detti oggi... ma mi ha parlato delle schede, per i progetti di riforma della giustizia, le solite cose che ci siamo detti da tantissimo tempo. Lui mi ha detto preparale, e quando le hai preparate la settimana prossima mi chiami e vieni da me...", Papa rassicura Bisignani che "ovviamente quando ho fatto tutto vengo da te", ma l'uomo d'affari sembra interessato ad altro: "D'accordo... Tu lavora a quella storia più importante". I problemi giudiziari Quale sia questa storia "più importante" non si sa. Però dalle dichiarazioni di Bisignani s'intuisce quale fosse la principale attività di Papa: "Strinsi rapporti con lui quando ebbi alcuni problemi giudiziari con la Procura di Nola riferiti alla dottoressa Tucci, cui io ero legato... Addirittura a un certo punto il Papa mi diede la notizia che la Tucci sarebbe stata arrestata a breve". Cosa che non avvenne, ma solo perché il giudice respinse la richiesta avanzata dai pubblici ministeri. "Papa ha proposto - continua Bisignani - per il mio tramite e per tramite di Galbusera (imprenditore amico di Bisignani, ndr), di interessarsi e intercedere assumendo notizie e informazioni anche sulle vicende giudiziarie riguardanti il dottor Borgogni di Finmeccanica, ultimamente interessato da problemi giudiziari. Si propose anche quando il Verdini (Denis, all'epoca coordinatore del Pdl, ndr) fu coinvolto nella nota vicenda giudiziaria agli onori della cronaca (la cosiddetta P3, ndr). Mi consta che il Papa era molto amico dell'allora procuratore aggiunto di Roma Achille Toro, e del figlio Camillo... Verdini medesimo cominciò a stringere i suoi rapporti con il Papa che fino a quel momento aveva calcolato poco, da quando il Papa stesso cominciò a proporre il suo interessamento e la sua possibilità di intervento sulle vicende giudiziarie che lo riguardavano... Sicuramente Papa aveva notizie riservate anche sull'indagine P3". E ancora: "Papa si propose di prendere notizie e di intercedere anche a proposito delle vicende giudiziarie riferite a Masi (all'epoca direttore generale della Rai, ndr) per ciò che riguarda la Procura di Trani. Venne da me e mi disse di aver acquisito informazioni rassicuranti, e io le girai al Masi... Mi parlò delle indagini sulla "cricca" (gli appalti sui Grandi eventi, ndr), e in particolare del filone di indagini che pendeva a Roma su Bertolaso; me ne parlò sicuramente prima del deposito degli atti, e più precisamente prima degli arresti". Gli altri politici Le notizie giudiziarie che arrivavano dall'ex magistrato divenuto deputato non si fermavano sul tavolo di Bisignani, per stessa ammissione dell'uomo d'affari: "Sicuramente parlavo e informavo il dottor Letta (sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ndr) delle informazioni comunicatemi e partecipatemi dal Papa, e in particolare di tutte le vicende che potevano riguardarlo direttamente o indirettamente, come la vicenda Verdini, come la vicenda inerente al procedimento che riguardava lui stesso, e cioè il Letta, e come, da ultimo, la vicenda inerente al presente procedimento". La fuga di notizie sull'inchiesta P4 è uno dei crucci degli inquirenti: improvvisamente, nell'autunno scorso, nessuno ha parlato più sui telefoni intercettati. Secondo Bisignani fu l'onorevole Italo Bocchino a riferirgli le prime voci, ma il parlamentare finiano nega. In ogni caso, l'uomo d'affari ne parlò poi con Alfonso Papa: "Mi diceva che aveva fatto i suoi giri negli ambienti della Guardia di Finanza, al comando provinciale della Finanza di Napoli; mi disse che era andato anche da Bardi il quale gli aveva confermato l'esistenza dell'indagine, ma tuttavia l'aveva rassicurato dicendo che l'indagine era di scarso peso". Il generale Bardi è il comandante regionale della Finanza in Campania, e a seguito di queste dichiarazioni è finito nella lista degli indagati; interrogato, ha negato tutto e denunciato Papa per calunnia. Magistrati e carabinieri Per chiarire un'intercettazione in cui Papa gli dice "Mi sono fatto un poco di giri napoletani", Bisignani ha spiegato: "Quando parlo dei suoi giri o giretti, e delle fonti alle quali attingeva notizie riservate di matrice giudiziaria, faccio riferimento all'ambito giudiziario napoletano... Tra i magistrati che il Papa mi nominava come suoi amici c'erano, oltre al Toro e al Miller (capo dell'Ispettorato del ministero della Giustizia, ndr) e anche Laudati di Bari", cioè il procuratore del capoluogo pugliese. Ma la fonte principale del deputato è il carabiniere Enrico La Monica, da ieri latitante, che il 10 settembre scorso diceva al telefono con Papa: "Ti volevo spiegare bene il passaggio che ho fatto". E Papa: "E no, perché questi pendono dalle mie labbra... Non ho capito perché stanno così terrorizzati, comunque". La Monica sembra saperlo ma non vuole discutere al telefono, e Papa conclude "Me lo spieghi tu allora. Domattina ti chiamo e mi dici". La Monica: "Ti raggiungo, va bene". Riferisce un testimone dell'inchiesta: "La Monica si è sfogato con me e s'è lamentato del fatto che il Papa lo chiamava in continuazione facendogli continue richieste". Giovanni Bianconi 16 giugno 2011
2011-06-15 Dossier e ricatti Inchiesta "P4", arrestato Luigi Bisignani Il faccendiere alla detenzione domiciliare. La Procura di Napoli "indagini di ampio respiro" MILANO - È stato arrestato il faccendiere Luigi Bisignani, nell'ambito dell'inchiesta sulla cosiddetta P4. Già iscritto alla Loggia P2, condannato a tre anni e 4 mesi nel processo Enimont, e coinvolto nell'inchiesta Why Not del pm Luigi De Magistris, a Bisignani vengono contestati ricatti, corruzione e concussione. La richiesta di detenzione ai domiciliari, oltre che per Bisignani, è stata fatta anche nei confronti del senatore Pdl ed ex magistrato Alfonso Papa. In questo caso la richiesta di arresto è stata inoltrata al Parlamento. Indagato anche un carabiniere. APPALTI GESTITI DALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO - Sin dai tempi di Craxi ritenuto uno degli uomini più potenti d'Italia, Bisignani è stato arrestato in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare su richiesta della Procura di Napoli nell'ambito dell'inchiesta sulla P4. Tra i filoni d'indagine ci sono anche gli appalti gestiti dalla presidenza del Consiglio. DOSSIER E RICATTI - L'indagine, condotta dai pm della Procura di Napoli Francesco Curcio e Henry John Woodcock, cerca di fare luce su un sistema informativo parallelo, quella che per i magistrati potrebbe essere una vera e propria associazione per delinquere finalizzata alla gestione di notizie riservate, appalti e nomine, in un misto, secondo l'accusa, di dossier e ricatti, anche attraverso interferenze su organi costituzionali. Oltre alla gestione di notizie riservate, l'inchiesta intende chiarire ogni aspetto in merito, appunto, ad appalti, nomine e finanziamenti. Nelle ultime settimane sono stati ascoltati come testimoni numerosi parlamentari e vertici istituzionali, compresi quelli dei servizi segreti tra cui il generale Adriano Santini presidente dell'Aise (Agenzia per le informazioni e la sicurezza esterna) LA PROCURA: "INDAGINI DI AMPIO RESPIRO" - La Procura di Napoli definisce l'inchiesta sulla cosidetta P4 come "di ampio respiro". In una nota a firma del procuratore aggiunto Franco Greco, coordinatore della sezione reati contro la Pubblica amministrazione si spiega: "Il nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Napoli ha eseguito un'ordinanza custodia cautelare emessa dal Gip per il reato di favoreggiamento personale nei confronti del dirigente e consulente aziendale Luigi Bisignani. Le indagini da cui è derivata la misura cautelare agli arresti domiciliari - spiega Greco -, inseribili in contesto investigativo di ampio respiro e che ha interessato numerose persone, hanno riguardato l'illecita acquisizione di notizie e di informazioni, anche coperte da segreto, alcune delle quali inerenti a procedimenti penali in corso nonché di altri dati sensibili o personali al fine di consentire a soggetti inquisiti di eludere le indagini giudiziarie ovvero per ottenere favori o altre utilità" Fiorenza Sarzanini 15 giugno 2011
VIBO VALENTIA Niente benzina, processi a rischio I detenuti non vengono portati in aula: i distributori non prendono i buoni carburante della polizia penitenziaria ROMA - E ora saltano anche i processi con i detenuti perché manca la benzina per tradurre gli imputati dal carcere al tribunale. Succede a Vibo Valentia e la stessa scena sta per ripetersi a Santa Maria Capua Vetere. Ma l’intero circuito delle traduzioni affidato alla polizia penitenziaria è ad alto rischio perché i tagli lineari imposti al ministero della Giustizia hanno raggiunto pure i serbatoi dei blindati blu. I distributori che di solito accettano le "tessere carburanti" del ministero, infatti, iniziano a chiedere i contanti visto che i ritardi nei pagamenti (già posticipati a 60-90 giorni) sono iniziati già a gennaio. ORGANICI SCARSI -L’ultima segnalazione arriva dalla Calabria, dal procuratore della Repubblica di Vibo Valentia, Mario Spagnuolo, che la scorsa settimana ha ricevuto una telefonata molto allarmata da parte del direttore della casa circondariale: "Caro dottore, le comunico che non ci forniscono più la benzina a credito per i nostri mezzi, i fondi sono finiti da tempo...". Per cui le udienze con i detenuti rischiano di saltare ogni giorno perché l’imputato viene emesso in condizione di non partecipare al processo. Il procuratore Spagnuolo conferma che i serbatoti della penitenziaria sono a secco ma non vuole aggiungere altro. Si limita a ricordare quanto sia difficile condurre le indagini con una pianta organica di sei pm (presenti tre uditori giunti da poco a Vibo più due veterani) in un territorio dove le intimidazioni e gli attentati della ndrangheta sono all’ordine del giorno: "Basta ricordare che di recente sono stati presi di mira i sindaci di Tropea e di Ricadi e che qui un imprenditore del movimento terra è stato colpito da 120 tra attentati e intimidazioni". Spiega ancora il procuratore: "Per i mezzi della procura, tra cui un’auto blindata destinata a un magistrato sottoposto a misure di protezione, abbiamo ricevuto per i 2011 20 buoni benzina da cinque litri ciascuno". PENURIA DI MEZZI - Anche il presidente del Tribunale di Vibo Valentia, Roberto Lucisano, si associa a questa analisi impietosa della bancarotta della giustizia in Calabria che riguarda anche le forniture di carta, i toner, i computer e il turn over del personale amministrativo: "Qui in Calabria qualsiasi cosa diventa difficile da realizzare", accusa Lucisano ricordando che di recente è stata scoperta la preparazione in fase avanzata di un attentato della criminalità organizzata contro il pm Vincenzo Luberto della Dda di Catanzaro. Mentre in corte d’Assise a Reggio, un imputato al 41 bis (carcere duro) dava dell’assassino al pm Roberto De Palma. Eppure, conclude Lucisano, Ancora oggi si riscontra una impressionante penuria di mezzi negli uffici giudiziari dei distretti di Reggio Calabria e Catanzaro a fronte delle esplicite promesse del ministro della Giustizia fatte a gennaio del 2010 in occasione dell’incontro con i capi degli uffici giudiziari calabresi". TRASFERTE NON PAGATE - Donato Capece, segretario nazionale del sindacato di polizia Sappe, conferma che l’emergenza calabrese non è un caso isolato: "Abbiamo organizzato una manifestazione davanti alla sede del Dipartimento amministrazione penitenziaria perché ormai i nostri agenti sono costretti ad anticipare le spese delle trasferte. Si pagano da soli albergo e pasti e non vengono rimborsati. Ma adesso abbiamo mobilitato i nostri legali: l’unica strada, infatti, è quella dei decreti ingiuntivi per far pagare al personale quanto dovuto dall’amministrazione". E ora il Dap cerca di correre ai ripari: "Il problema è sì di risorse, ma soprattutto di modelli operativi nello spostamento dei detenuti in Calabria", ha replicato il capo dell’amminsitrazione penitenziaria Franco Ionta che comunque ha già inviato un suo collaboratore in Calabria per parlare con i responsabili dei provveditorati di Catanzaro e di Reggio Calabria. Dino Martirano 14 giugno 2011(ultima modifica: 15 giugno 2011)
REGGio CALABRIA Truffe, otto imprese sequestrate e 37 indagati per false fatturazioni Gli imprenditori tutti parenti operavano nei settori olivicolo e turistico-alberghiero MILANO - Otto imprese dei settori agricolo e turistico, per un valore di 30 milioni di euro, sequestrate e 37 persone indagate, a vario titolo, per truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche, falso, emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti: è l'esito di un'indagine condotta dai militari della Guardia di finanza della Compagnia di Palmi insieme a quelli di Taurianova (Reggio Calabria) in materia di frode ai danni dell'erario. CONTRIBUTI PUBBLICI - Le indagini, coordinate dal procuratore di Palmi Giuseppe Creazzo e dal pm Salvatore Dolce, hanno consentito di accertare, secondo l'accusa, l'esistenza di una presunta associazione a delinquere, costituita da un gruppo di imprenditori perlopiù legati da vincoli familiari, che sono riusciti, nell'arco dell'ultimo decennio, a creare un vero e proprio impero economico, reinvestendo di volta in volta le somme acquisite illecitamente quali aiuti pubblici. L'inchiesta ha interessato aziende operanti nel settore olivicolo e nel settore turistico-alberghiero attive nella fascia aspromontana tirrenica della provincia di Reggio Calabria. Il sequestro è stato disposto dal gip di Palmi Paolo Ramondino. 15 giugno 2011
la presunta societa' segreta capace di esercitare pressioni sulle istituzioni "Aiutai Papa a diventare senatore" P4, Bisignani ascoltato in Procura a Napoli NAPOLI - Sostiene di aver aiutato l’ex pm napoletano, Alfonso Papa, ad intraprendere la carriera politica, dopo una serie di incarichi ministeriali, arrivando poi all’attuale incarico di parlamentare Pdl. Tesi espressa dall'uomo d’affari Luigi Bisignani ai magistrati della Procura di Napoli, Francesco Curcio e Henry John Woodcock e al procuratore aggiunto Francesco Greco. I pm partenopei hanno ascoltato Bisignani nell’ambito di una presentazione spontanea. L'INCHIESTA - Si tratta degli ulteriori sviluppi dell’inchiesta sulla P4 che cerca di fare luce su un sistema informativo parallelo: gli inquirenti pensano si possa trattare di una vera e propria associazione per delinquere finalizzata alla gestione di notizie riservate, appalti e nomine, in un misto, secondo l’accusa, di dossier e ricatti, anche attraverso interferenze su organi costituzionali. Bisignani, dal canto suo, che ha escluso di sapere dell’esistenza dell’associazione segreta, dovrebbe essere nuovamente ascoltato nei prossimi giorni. In precedenza come testimoni erano stati ascoltati il sottosegretario Daniela Santanchè ed il finanziere Francesco Micheli. Alfonso Papa Alfonso Papa DOMANDE - Tra le domande formulate anche quella sulla fuga di notizie sulle indagini relative al presunto sistema informativo parallelo nel quale il manager, che non è indagato, sarebbe coinvolto. Bisignani avrebbe escluso di aver avuto notizie da qualche talpa. Avrebbe detto ai pm di essere stato uno dei coordinatori del Pdl, Denis Verdini, non coinvolto nell’inchiesta, a presentargli Papa e a chiedergli di aiutarlo in politica. Proprio Papa ha già avuto modo di ribadire la sua assoluta estraneità a ogni ipotesi riferibile all’inchiesta condotta dalla Procura circa l’uso di informazioni riservate per indebite pretese su imprenditori in difficoltà. UNICO INDAGATO IL SOTTUFFICIALE LA MONICA - L’unico indagato al momento è il sottufficiale dei carabinieri, Enrico La Monica. I magistrati vogliono fare luce, inoltre, sulla possibile esistenza di una talpa, di qualcuno in possesso di notizie sull’inchiesta e che avrebbe avvertito gli altri componenti del sistema circa l’inchiesta aperta a Napoli. 12 marzo 2011(ultima modifica: 14 marzo 2011)
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REPUBBLICA per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.repubblica.it/2011-08-02 INCHIESTA P4 Camera, voto sulle intercettazioni Sì a Milanese, Verdini salvato dall'Aula Montecitorio concede l'autorizzazione per l'ex consigliere politico del ministro Giulio Tremonti coinvolto nell'inchiesta P4 e la nega per il coordinatore Pdl coinvolto nell'inchiesta su G8 Camera, voto sulle intercettazioni Sì a Milanese, Verdini salvato dall'Aula Marco Milanese ROMA - Via libera della Camera all'autorizzazione all'apertura delle cassette di sicurezza e ai tabulati telefonici del deputato Pdl Marco Milanese. Disco rosso, con ilvoto del centrodestra, per il coordinatore del Pdl Denis Verdini chiamato in causa nell'inchiesta per il G8. I pm non potranno utilizzare le conversazioni (una del 26 maggio 2009 e due del 17 giugno 2009), tra il coordinatore del Pdl e l'imprenditore Carlo Fusi. Milanese. Per l'ex consigliere politico del ministro Giulio Tremonti erano arrivate due richieste dai pm napoletani nell'ambito dell'indagine sulla P4 1per la quale è stato chiesto anche l'arresto del parlamentare. A favore dell'autorizzazione all'uso dei tabulati si sono espressi 538 deputati mentre in 28 si sono opposti. A favore dell'apertura delle cassette, invece, i sì sono stati 545 e i no 23. Milanese, presente in Aula, si difende: "Sono schiacciato dal vento della calunnia, io sono innocente e nessuno di questi fatti è vero e ho un solo modo per dimostrarlo al più presto, di liberami dall'onta che mi sovrasta: che le indagini proseguano e vadano a compimento nel più breve tempo possibile". Semivuoti i banchi del governo, occupati solo dalle ministre Pdl (Carfagna, Prestigiacomo, Meloni) e dai ministri Romani e Rotondi. Milanese, inoltre, rivolge un appello ai deputati, citando per nome il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani: "Se volete essere i miei giudici dovete farlo con conoscenza, chiedete anche voi di indagare su chi mi calunnia con accuse false. Io l'ho già fatto e lo farò in seguito con denunzie formali. Chiedete che si cerchi la verità, pretendete che insieme ai miei tabulati vengano acquisiti anche quelli di coloro che mi accusano di aver fornito loro informazioni riservate". "Questo accertamento - continua Milanese - non è stato fatto. Chiedetevi perché. Bersani, è evidente l'attacco mosso da più parti al sistema dei partiti. Non intervenire per capire cosa c'è dietro questa macchina del fango sarà per tutti noi imperdonabile". Verdini. Poco dopo la Camera ha respinto, con il voto dei deputati della maggioranza di centrodestra, la richiesta dei magistrati che indagano sugli appalti per la ricostruzione post terremoto in Abruzzo di poter utilizzare le intercettazioni nei confronti del coordinatore del pdl Denis Verdini. ((301 voti a favore e 278 contrari. "Io sono abbastanza forte e non mi distrugge nessuno - dice Verdini - ma bisogna preoccuparsi del futuro, perché è da tempo che con questo sistema di intercettazioni viene sputtanata troppa gente...". De Gennaro. "Mi sentivo spiato" aveva detto Giulio Tremonti per motivare la scelta di vivere nell'appartamento romano che condivideva con Milanese. Oggi, però, il direttore del Dipartimento informazioni e sicurezza, Gianni De Gennaro, nega tutto: "Il ministro spiato? I servizi segreti non hanno informazioni e non ne sanno nulla" (02 agosto 2011)
Il 'SISTEMA SESTO' Trovati in casa di Penati undicimila euro in contanti Il ritrovamento di 66 banconote di grosso taglio durante una perquisizione della Guardia di finanza nell'appartamento dell'ex vicepresidente del Consiglio regionale della Lombardia. E tra i testi spunta un ex della Margherita di SANDRO DE RICCARDIS e EMILIO RANDACIO Trovati in casa di Penati undicimila euro in contanti Filippo Penati MILANO - Sessantasei banconote in tutto. Diciassette da 500 euro, una da 100 e 48 da 50 euro, per un conto finale di 11 mila euro. Soldi ritrovati in tre distinte stanze dell'appartamento di Filippo Penati, lo scorso 20 luglio, dalla Guardia di finanza. Una cifra liquida considerevole, o un fatto normale per un esponente politico di primo piano? Al momento, l'unica cosa certa è che gli investigatori hanno etichettato il rinvenimento con la burocratica definizione di "perquisizione con esito positivo". Penati si difende Le ricevute criptate Le mazzette da record Tutte le banconote sono state fotocopiate e ora compaiono nei documenti allegati all'inchiesta dei pm di Monza Walter Mapelli e Franca Macchia, in cui Penati e altre 18 persone, risultano indagati per reati che, a vario titolo, li accusano di corruzione, concussione, turbativa d'asta, finanziamento illecito ai partiti. Non solo. Nel corridoio dell'appartamento dell'ex vice presidente regionale del Pd, è stata sequestrata una "cartelletta azzurra" dal titolo "Trasporti Sesto" che, annotano i militari, "conteneva la rassegna stampa e i comunicati stampa inerenti la linea 712 Sesto-Cinisello e il contenzioso della Caronte srl". I documenti riguarderebbero, in sostanza, le prime denunce presentate nel giugno del 2010 dal direttore generale della Caronte, Piero Di Caterina, divenuto oggi il principale accusatore proprio di Penati. È proprio da quelle denunce che Di Caterina adombrava, per la prima volta, il "Sistema Sesto" nell'assegnazione degli appalti pubblici. Nel blitz scattato il 20 luglio, nella casa di Penati sono stati annotati anche operazioni molto più normali. I militari hanno annotato come nel garage dell'esponente del Pd, fossero parcheggiate una "Bmw serie 5", intestata a una società finanziaria di San Donato Milanese, e una "moto di grossa cilindrata", di cui risulta proprietario lo stesso Penati. Durante la perquisizione è stata rinvenuta anche una chiave di una cassetta di sicurezza di una banca milanese. I finanzieri, dopo aver ottenuto il via libera dal pm Mapelli, si sono recati nella filiale, ma il controllo "ha dato esito negativo". Non vi era, insomma, nulla di sospetto. Tra le carte sequestrate dieci giorni nello studio di un altro indagato, l'architetto Renato Sarno, è spuntato anche un file intitolato "Documento finanziamento sig. Penati". Tra le altre carte anche cartelline colorate e denominate "287 Penati Rev.1 Rev.2", "287 Penati Di Martino Rev.1 aggiornamento Asl", "287 Penati Di Martino". Sarno, professionista molto quotato, sarebbe stato tra i finanziatori della campagna elettorale di Penati nel 2009. Vanno intanto avanti le verifiche della Gdf alle dichiarazioni dei due "pentiti" dell'inchiesta che ha travolto il Pd di Sesto San Giovanni. Tra i testimoni convocati nella caserma milanese di via Filzi, ci sono diversi imprenditori che hanno ricostruito il clima in cui, nell'ex Stalingrado d'Italia, venivano assegnati appalti comunali. Tra i più ascoltati, come anticipato ieri dal Tg3, c'è anche Diego Botti, ex esponente locale della Margherita, imparentato con l'altro imprenditore diventato accusatore, Giuseppe Pasini. Il contenuto dei suoi verbali, al momento, è oscuro e non è ancora possibile sapere quanto le sue versioni mettano ulteriormente nei guai gli indagati. (02 agosto 2011)
2011-07-30 LO SCONTRO Il contrattacco della Finanza "Da sette anni Tremonti non dorme da noi" Nel 2004 il ministro dormiva nella foresteria della caserma di via Sicilia a Roma. La rottura nel dicembre del 2010 avviene su Milanese di CARLO BONINI Il contrattacco della Finanza "Da sette anni Tremonti non dorme da noi" Il Capo di Stato maggiore della Guardia di Finanza, Michele Adinolfi ROMA - Sostiene il ministro dell'Economia Giulio Tremonti di essere stato "pedinato" e "spiato" nel suo lavoro. E, a un certo punto, di non essersi più sentito tranquillo nemmeno durante i suoi lunghi anni da ospite di una caserma della Guardia di Finanza. La situazione era così pesante, denuncia il ministro, che l'ultima cosa che aveva voglia di fare "era di tornare a dormire in una caserma". E per questo di aver accettato nel febbraio del 2009, l'offerta dell'onorevole Milanese per l'appartamento di via di Campo Marzio. Adesso la Finanza contrattacca e dà la sua versione. Secondo fonti del Corpo, il ministro Tremonti non avrebbe più dormito in un letto di una caserma delle Fiamme gialle dal giugno-luglio del 2004. Sette anni fa. La Guardia di Finanza che doveva proteggere la sua sicurezza e la sua privacy ha violato l'una e l'altra? E quando? In che circostanza? Il ministro non dorme in caserma da sette anni. Per quanto la Guardia di Finanza è in grado di documentare, "l'ultima volta che Giulio Tremonti fu ospite con cadenza regolare di una struttura del Corpo fu quando, nei primi mesi dell'estate del 2004, alloggiava in una delle foresterie al secondo piano della caserma di via Sicilia". Nemmeno un chilometro in linea d'aria dagli uffici del ministero, in via XX Settembre. Da allora, la sua scorta di finanzieri, nei giorni in cui il ministro si tratteneva a Roma, lo accompagnava altrove. Alberghi, o residenze private. "Naturalmente - spiega una fonte qualificata del Corpo - tenendone traccia, come è normale e come la legge prevede per qualunque personalità sia sottoposta a un massimo livello di vigilanza come un ministro". Dunque, se si sta a quanto la Finanza sostiene di poter documentare, Tremonti, nel febbraio del 2009, quando accetta la proposta di Milanese, si è già liberato da molto tempo degli occhi e delle orecchie da caserma. E la scelta di un appartamento privato, sembra dunque legata al desiderio di una privacy assoluta che, evidentemente, neppure un albergo può garantire. I due verbali ai pm Napoletani. Il 16 dicembre del 2010, Giulio Tremonti rende un primo interrogatorio alla magistratura napoletana. Due giorni prima, "Repubblica" ha dato conto che il suo consigliere politico Marco Milanese è indagato. Tremonti dunque è conscio di quanto sta accadendo e avrebbe l'occasione per riferire il sospetto sulla Guardia di Finanza che lo tormenta. Ma non ne fa cenno. Neppure indirettamente. La chiacchierata è sbrigativa. Gira intorno ad orologi di pregio che Milanese avrebbe acquistato a scrocco per farne dono al ministro. Passano sei mesi. Il 17 giugno, Tremonti siede nuovamente di fronte ai pm napoletani Woodcock e Curcio. Appena quattro giorni prima, il 13 giugno, Marco Milanese, nel suo ultimo interrogatorio, nel raccontare la guerra per bande che avvelena lo Stato Maggiore della Finanza, ha genericamente riferito che "il ministro aveva la percezione di essere seguito". Ma anche stavolta, Tremonti di pedinamenti e caserme non parla. Soltanto quando viene sollecitato con l'ascolto di un'intercettazione telefonica tra il capo di stato maggiore Michele Adinolfi e il presidente del Consiglio, decide di aprire uno squarcio su quanto accade negli uffici dello Stato Maggiore in viale XXI aprile. "Gli ufficiali, nella prospettiva di diventare comandanti generali hanno preso a coltivare relazioni esterne al Corpo, che non trovo opportune. C'è il rischio di competizione. (...) Ho suggerito al Comandante Generale di dare alcune direttive nel senso di avere un tipo di vita più sobria. Gli ho detto: "Meno salotti, meno palazzi, più caserma". I pm insistono. E Tremonti, allora, evoca l'esistenza di "cordate" nel corpo. E una, almeno, decide di "battezzarla" con il nome del suo capobastone, il generale Michele Adinolfi, intimo di Gianni Letta e del presidente del Consiglio. Nessun accenno a pedinamenti, a spionaggio ai suoi danni. Anzi, a Woodcock e Curcio, il ministro decide di offrire un'interpretazione morbida di quanto ha appena detto. "Ribadisco che non ho mai detto a Berlusconi che lui mi voleva far fuori attraverso la Guardia di Finanza". Il grande gelo con il generale Di Paolo. 16 dicembre 2010, 17 giugno e 28 luglio 2011. I ricordi di Tremonti si "drammatizzano" in assoluta coincidenza temporale con l'aggravarsi della posizione processuale e politica di Marco Milanese, con l'impossibilità di togliersi d'impaccio dalla vicenda di via di Campo Marzio con una scrollata di spalle, o rapide scuse. Soprattutto, dai ricordi del ministro viene cancellata una circostanza di cui, in queste ore, si raccoglie conferma da fonti qualificate del Comando Generale. La "rottura" tra il ministro e lo Stato maggiore della Guardia di Finanza ha una data: dicembre 2010. Un mese cruciale, perché è quello che precipita Milanese nell'abisso dell'inchiesta per corruzione del pm Vincenzo Piscitelli. Raccontano oggi della "furia di Tremonti in quei giorni". Dei modi bruschi che riservò al comandante generale Nino Di Paolo, nella certezza che quell'indagine fosse figlia della macchinazione di Michele Adinolfi, allora capo di Stato Maggiore. La rottura della pace tra le due cordate. La "pace" tra le cordate di viale XXI Aprile si rompe allora, nel dicembre del 2010. Anche perché, come il ministro riferirà solo il 17 giugno di quest'anno ai pm, le cordate, appunto, sono due. E quella che lui non ha nominato a verbale fa capo proprio a Marco Milanese, nella persona del generale di corpo d'armata Emilio Spaziante, creatura di Nicolò Pollari, suo facente funzioni, già fedele alleato di Speciale nell'agguato a Padoa-Schioppa e Visco, nel loro breve intervallo all'Economia. Come Adinolfi, Spaziante lavora per diventare comandante generale della Guardia di Finanza nel giugno del 2012. E come Adinolfi, con il suo accordo e la benedizione di Milanese, ha convenuto nel giugno del 2010 che il primo Comandante generale proveniente dai ranghi del Corpo debba essere Di Paolo, perché "ufficiale più anziano" e più prossimo alla pensione. I guai di Milanese costringono i due generali a prendere le armi l'uno contro l'altro. E Spaziante, a verbale con i pm napoletani, carica Adinolfi anche di una seconda accusa per fuga di notizie. Quella sugli accertamenti fiscali a Mediolanum. La guerra non è finita allora. Non finirà domani. Ma agli occhi degli Stati Maggiori, da oggi, il ministro Tremonti, a dispetto della telefonata fatta ieri al generale Di Paolo, non ne è più uno spettatore. Ma un protagonista. (30 luglio 2011)
IL DOSSIER Da Unipol-Bnl alla strage di Viareggio le cause a rischio per i testimoni "infiniti" La protesta del segretario di Md, Morosini: "Sarà un colpo mortale alla giustizia italiana". La norma concepita per salvare il premier avrà conseguenze su una moltitudine di altri processi di LIANA MILELLA Da Unipol-Bnl alla strage di Viareggio le cause a rischio per i testimoni "infiniti" ROMA - Per un Berlusconi libero dai processi, che di dibattimenti in primo grado, perché solo a quelli si applica la nuova legge, ne vadano pure in malore a migliaia. Nomi? I più famosi, in questo momento, nelle aule giudiziarie italiane. Eccoli. A Milano la famosa scalata Unipol alla Bnl. Quella dei furbetti del quartierino. Ma pure i meno noti, ma assai gravi crac Burani e Cit. Clamoroso a Torino: potrebbero tornare i 9.841 testimoni chiesti dai difensori per i morti dei veleni della Eternit. I giudici ne hanno concessi due a persona, ma adesso tutto potrebbe riaprirsi. A Viareggio. Ancora di scena il dibattimento per la strage del treno deragliato in stazione. Stimano i pm che i 38 indagati delle Ferrovie potrebbero pretendere di sentire decine di testimoni a testa. E a Roma? Potrebbe andare in crisi il processo Cucchi, il detenuto morto per le percosse ricevute, perché gli avvocati sarebbero legittimati a presentare una lista testi in cui figurano tutti coloro che si trovavano nel penitenziario e in questura e in ospedale in quei drammatici momenti. A Palermo sarebbe la fine dei processi di mafia. Un esempio? Franco Mineo, deputato regionale del transfuga Pdl Micciché, indagato per essere un prestanome dei boss dell'Acquasanta, potrebbe far chiedere dai suoi avvocati una sfilza di testi che comprende l'intero quartiere dove ha vissuto. E a Bari rischierebbero l'impasse inchieste ormai in aula o prossime ad esserlo come quelle sul ministro Raffaele Fitto e sul re della sanità pugliese Giampaolo Tarantini. Idem a Bologna per la bancarotta fraudolenta della società Victoria 2000 che controllava la squadra di calcio o per le morti all'ospedale Sant'Orsola. Potrebbero essere davvero "devastanti", come da due giorni vanno dicendo disperati i vertici dell'Anm Luca Palamara e Giuseppe Cascini, gli effetti concreti della legge sul "processo lungo". Com'è sempre avvenuto nelle leggi cucite addosso a Berlusconi, ritagliate dai suoi casi giudiziari, praticamente scritte sopra con l'antica carta carbone, i guai cominciano quando si applica la norma a tutto il resto. A tutti gli altri processi in corso in Italia. È accaduto, appena qualche mese fa, con la prescrizione breve per gli incensurati. Si calcolò che potevano finire al macero 15mila dibattimenti. Adesso il drammatico calcolo ricomincia. Ma stavolta, di primo acchito, con gli uffici che sono già o stanno per andare in ferie, l'impressione è che l'impatto, proprio per la natura della norma, potrebbe essere ben più invasivo e devastante. In queste ore, si stanno facendo le prime valutazioni. Ci ragionano l'Anm, ma anche il Csm. Pronti, a settembre, a dare battaglia con i dati alla mano. L'opposizione già scopre la sua strategia. La dichiara Donatella Ferranti, la capogruppo del Pd in commissione Giustizia alla Camera, che del Csm è stata segretaria generale: "Non è una stima facile, intendiamoci. Ma è del tutto imprescindibile. Ci comincerò a lavorare subito, da lunedì. Ed è chiaro che questo costituirà la base della nostra opposizione. Vogliamo sapere nel dettaglio quanti processi cadranno pur di salvare Berlusconi". "Impatto", magica parola, da cui in questa legislatura si sono tenuti sempre lontano gli strateghi giudiziari del premier. E il governo con l'ex Guardasigilli Alfano. Fanno le leggi, ma non danno i numeri. Perché sanno che sono catastrofi. Di Berlusconi e dei suoi processi s'è detto. "Morte" certa per Mills, "morituro" Mediaset, in zona salvezza Mediatrade, senza rischi Rubuy. Questa previsione la ammette pure Niccolò Ghedini, l'avvocato del Cavaliere, che parla del "processo lungo" come di "una norma di civiltà giuridica" e di "semplice traduzione dell'articolo 111 della Costituzione". Abbiamo visto che effetti produce in giro per l'Italia questa norma. Un primo sondaggio attraverso gli uffici rivela una prossima e sicura catastrofe. Un "colpo mortale per la giustizia italiana", come dice il segretario di Md Piergiorgio Morosini. Quello per cui un omicidio come quello del tifoso laziale Gabriele Sandri sull'autostrada giustificherebbe la convocazione di centinaia di automobilisti in veste di testimoni. (30 luglio 2011)
2011-07-29 GIUSTIZIA Processo lungo, via libera con fiducia Csm: "Così andiamo contro l'Europa" Al Senato passa il ddl che permette di allungare i testi a difesa. Il governo ottiene la 48esima fiducia. Pd, Udc e Idv protestano. Famiglia Cristiana: La mafia ringrazia". Anm: "In pericolo la sicurezza di tutti". Il Guardasigilli Palma: "Nessun effetto deflagrante" Processo lungo, via libera con fiducia Csm: "Così andiamo contro l'Europa" ROMA - Senza sorprese. Il Senato vota la fiducia (per la 48esima volta) sul ddl del "processo lungo 1". Con 160 voti a favore, 139 voti contrari e nessun astenuto, palazzo Madama concede il via libera ad un provvedimento che l'opposizione definisce l'ennesima legge ad personam per il presidente del consiglio. Norme che, sempre secondo l'opposizione, i suoi legali potranno utilizzare nel processo Mills e in quello Ruby. Il provvedimento adesso torna alla Camera. Tra le proteste dell'opposizione, del Csm e dell'Associazione dei magistrati. L'articolo unico di 9 commi, contiene alcune novità. Si conferma la possibilità per la difesa di presentare lunghe liste di testimoni e di non considerare più come prova definitiva in un processo la sentenza passata in giudicato in un altro procedimento, anche se, in quest'ultimo caso, le modifiche del governo precisano che da questa norma sono esclusi, ad esempio, i reati di mafia e terrorismo. Altra modifica introdotta dal governo corregge la possibilità per un imputato di interrogare nel corso del dibattimento un testimone che rende dichiarazioni a suo carico. Qui si specifica che l'imputato potrà sì farlo, ma "a mezzo del suo difensore". Resta la norma per cui le norme del ddl si possono applicare ai processi in corso e in cui non vi sia stata ancora la sentenza di primo grado. Confermata la parte in cui si stabilisce che quando deve essere 'irrogata la pena dell'ergastolo non si fa luogo alla diminuzione della penà prevista nell'articolo 442 del codice di procedura penale. Il condannato al carcere a vita, quindi, non avrà più la possibilità, avvalendosi del giudizio abbreviato, come avviene oggi, di avere la sostituzione dell'ergastolo con la condanna a 30 anni. Novità vengono introdotte anche con i commi 8 e 9. Il primo prevede una stretta sui benefici: ad esempio per i condannati all'ergastolo per i reati di strage e per sequestro di persona con la morte del sequestrato, questi potranno usufruire dei benefici dopo aver scontato almeno 26 anni di carcere. Infine, si precisa che la legge entra in vigore "il giorno dopo la sua pubblicazione sulla gazzetta ufficiale". Dura la reazione dell'opposizione. "Siete espressione di un potere arrogante che protegge il capo assoluto. Volgendo le spalle al popolo italiano dovrete scappare cercando di evitare i meritati e sacrosanti calci nel sedere" dice Luigi Li Gotti dell'Idv. Mentre i senatori dipietristi hanno anche esibito alcuni cartelli con scritto 'Ladri di giustizia'. "Oggi Berlusconi non è in aula. Non c'era nemmeno quando venne approvata la manovra economica a palazzo madama. Alla sua assenza si rispose che il premier era scivolato su una saponetta in bagno. Mi chiedo se stamattina si sia strozzato con il dentrifricio" attacca il presidente dei senatori pd, Anna Finocchiaro.
FOTO: LA PROTESTA DELL'IDV 2 Forti le critiche anche dall'Associazione nazionale magistrati. "Processo lungo significa non arrivare mai a sentenza - scrive in una nota il presidente Luca Palamara - questo provvedimento è dettato dall'esigenza di risolvere situazioni particolari e non porta ad alcun miglioramento dell'efficienza del processo". Palamara, inoltre, ha chiesto anche un intervento del neo ministro della giustizia, Francesco Nitto Lalma. Che, ai microfoni de ilfattoquotidiano.it. spiega: "Sul processo lungo c'è stata tanta discussione mediatica e tante inesattezze, ma non avrà nessun effetto deflagrante". Anche il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Michele Vietti, si schiera contro il provvedimento: "Va nella direzione opposta rispetto all'Europa. Ieri il Csm ha presentato una risoluzione con le proprie valutazione su tali provvedimenti, che sono molto critiche. Abbiamo valutato di non votarlo su richiesta di alcuni componenti laici per consentire un miglior approfondimento; prendiamo atto che il Governo non ha voluto fare lo stesso". Ed è durissimo il commento di Famiglia Cristiana. "Processo lungo, la mafia ringrazia" è il titolo di un editoriale online in cui il magistrato Adriano Sansa commenta l'approvazione al Senato del provvedimento che secondo il settimanale cattolico "farà danni agli onesti e un favore alla mafia". "A chi giova? A chi vuole tirare in lungo il processo - scrive Famiglia Cristiana -: finalmente la verità. Il processo breve era una menzogna, perchè significa la morte anticipata della procedura. Qui almeno si dice chiaramente l'obiettivo". (29 luglio 2011)
DAL SITO INTERNET DE L'ESPRESSO http://espresso.repubblica.it/dettaglio/a-cosa-serve-il-processo-lungo/2157371A cosa serve il processo lungo di Fabio Chiusi Il Senato ha approvato la norma che consente alla difesa di portare in aula un numero illimitato di testimoni. Obiettivo: far scattare la prescrizione per B. Ma gli effetti andranno molto oltre. Dieci domande e dieci risposte per capire l'ultimo fronte del Cavaliere (29 luglio 2011) Con 160 voti a favore, 139 voti contrari e nessun astenuto, il Senato ha approvato venerdì mattina la fiducia posta dal governo sul cosiddetto "processo lungo". Dopo l'estate il provvedimento passerà all'esame della Camera. Di che cosa si tratta? Ecco dieci domande e dieci risposte per capire che cosa c'è in gioco. Come e quando è nato il 'processo lungo'? Il testo del 'processo lungo' è stato concepito come emendamento al disegno di legge 2567 della senatrice della Lega Nord Carolina Lussana sulla 'Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo'. L'emendamento è stato presentato dal capogruppo del Pdl in commissione Giustizia del Senato, Franco Mugnai, ad aprile 2011. Paradossalmente, proprio mentre la Camera discuteva l'approvazione del 'processo breve'. Che cos'è il 'processo lungo'? E' una norma che modifica alcuni articoli del codice di procedura penale (190, 238-bis, 438, 442 e 495) per consentire alla difesa di portare in aula un numero illimitato di testimoni oltre all'"acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore". Il giudice non può opporsi? No, pena la nullità del processo. Il giudice può non ammettere solamente le prove ritenute "manifestamente non pertinenti" e quelle vietate dalla legge. C'è dell'altro? Sì, l'emendamento prevede anche che non si possa considerare più come prova definitiva in un processo la sentenza passata in giudicato di un altro procedimento. Perché 'lungo'? Lo spiega il procuratore Gian Carlo Caselli con una immagine molto efficace: "E' come se un imputato per un reato avvenuto allo stadio chiamasse a testimoniare tutti gli spettatori presenti". Secondo l'Associazione nazionale magistrati, ciò sarebbe possibile perché con la norma sul processo 'lungo' "verrebbe eliminata la possibilità per il giudice di escludere l'ammissione di prove manifestamente superflue o irrilevanti". Così "il difensore dell'imputato potrebbe chiedere e ottenere l'ammissione di un numero indefinito di testimoni sulla medesima circostanza, purché non manifestamente 'non pertinente'". A quali processi si applica? A tutti i processi in corso, tranne quelli di cui "sia stata già dichiarata la chiusura del dibattimento di primo grado". Perché allungare i processi? Il problema non era, al contrario, accorciarli? Ci sono due risposte a questa domanda. Quella dell'opposizione è che la norma non si curi affatto della salute del sistema giudiziario nel suo complesso, per cui sarebbe dannosa, ma di quella di una persona sola: il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. In particolare, il 'processo lungo' sarebbe l'ennesimo trucco ad personam per salvare Berlusconi dai processi in cui è imputato. In particolare, quello per la corruzione dell'avvocato David Mills e il processo Ruby, in cui è accusato di prostituzione minorile e concussione. Allungando i tempi del processo, si arriverebbe più facilmente alla prescrizione. A favore di questa posizione, l'opposizione porta altri due argomenti: la straordinaria coincidenza per cui la norma si applichi ai processi che non si siano già conclusi in primo grado, come quelli del Cavaliere; l'accelerazione imposta al provvedimento tramite la decisione di imporre il voto di fiducia al Senato il 29 luglio, in un momento in cui il Paese avrebbe altre priorità. E la seconda risposta, quella della maggioranza? La maggioranza replica che, al contrario, la norma sia "una diretta conseguenza del principi che regolano il nostro processo penale". Come argomenta il capogruppo del Pdl in commissione Giustizia alla Camera, Enrico Costa, "se il giudice, terzo e imparziale, all'inizio del dibattimento non conosce gli atti processuali, come può effettuare un corretto giudizio in ordine alla sua superfluità e rilevanza, o sovrabbondanza delle prove richieste dalle parti?". Nel dubbio meglio ammetterle tutte, è la logica del provvedimento. Quanto alla presunta innaturale accelerazione, secondo Maurizio Gasparri l'iter della legge al contrario sarebbe stato "corretto e trasparente, senza alcun sotterfugio". Semmai, dice il Pdl, la decisione di porvi la fiducia è stata dettata dalla necessità di porre fine all'ostruzionismo dell'opposizione.
2011-07-28 GIUSTIZIA Processo lungo, il governo ha fretta E in Senato pone la fiducia sul ddl L'annuncio del ministro per i Rapporti col Parlamento Elio Vito scatena le opposizioni. Il voto domani alle 10. Anna Finocchiaro invoca in Senato il neoministro della Giustizia Nitto Palma e denuncia una "maggioranza di irresponsabili". Idv: "Stravolto il testo solo per affossare il processo Mills". L'Anm: "Significa non arrivare mai a sentenza" Processo lungo, il governo ha fretta E in Senato pone la fiducia sul ddl ROMA - Il governo ha posto al Senato la questione di fiducia sul ddl del cosidetto "processo lungo". Si tratta del procedimento che consente di allungare a dismisura i testi a difesa. Lo ha annunciato in Aula il ministro per i rapporti con il Parlamento Elio Vito. la conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama ha stabilito che la fiducia al ddl si voterà domani mattina intorno alle 10, con la prima chiama dei senatori. Alle 9 cominceranno le dichiarazioni di voto. Non si fa attendere il commento dell'Associazione nazionale magistrati. "Processo lungo significa non arrivare mai a sentenza - scrive in una nota il presidente Luca Palamara - questo provvedimento è dettato dall'esigenza di risolvere situazioni particolari e non porta ad alcun miglioramento dell'efficienza del processo". Le opposizioni reagiscono. Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato, chiede al neoministro della Giustizia Nitto Palma di presentarsi in Aula per spiegare il perché di una simile accelerazione. "Assolutamente ingiustificata - afferma l'esponente dei democratici - non si spiega se non con la necessità di salvare il presidente del Consiglio da uno dei suoi tanti processi. È una cosa inaccettabile. E tutto questo avviene nel silenzio più totale e nel totale asservimento della Lega ai bisogni del presidente del Consiglio". Finocchiaro denuncia soprattutto l'infelice tempistica del provvedimento parlando di "maggioranza di irresponsabili", "in una situazione del Paese gravissima, testimoniata anche oggi dalle notizie sulla Borsa in cui servirebbe un clima politico positivo e costruttivo". "Vergogna", afferma il presidente dei democratici Rosy Bindi, puntando il dito contro "un'altra fiducia per approvare l'ennesima norma ad personam" da parte di "un governo sfiduciato dagli italiani, bocciato dalle parti sociali e dai mercati, incapace di affrontare le vere emergenze dell'Italia". "E mentre i giornali del premier - prosegue Bindi - si scatenano contro la casta, si umilia il Parlamento, si aggirano la Costituzione e i richiami del presidente della Repubblica a un corretto rapporto tra le istituzioni" E' un governo "distaccato paurosamente dai problemi veri del Paese", attacca il leader Udc Pier Ferdinando Casini. "Noi chiediamo al governo di occuparsi non dei processi lunghi o brevi, ma di impegnarsi per dare ossigeno vero all'economia italiana con un provvedimento per la crescita". Francesco Rutelli, leader di Alleanza per l'Italia, nel suo intervento al Senato ricorda l'atteggiamento delle opposizioni sulla manovra economica, sul dl di rifinanziamento delle missioni all'estero, improntato al "senso di responsabilità, al senso delle istituzioni, al sentimento di coesione nazionale". La risposta del governo, denuncia Rutelli, è la fiducia "sull'ennesima leggina ad personam". E di fronte a questo, si chiede il leader di Api, "nessuno dalla maggioranza si alza per dire 'torniamo alle priorità', parliamo della crisi, dello spread tornato a livelli altissimi, delle riforme necessarie al Paese?". Per l'Italia dei Valori, la senatrice Patrizia Bugnano entra nel merito denunciando come in Commissione sia stato "stravolto il condivisibile testo licenziato dalla Camera". "L'emendamento Mugnai - spiega - stravolge la ratio dell'art. 238-bis del Codice di procedura penale rendendo di fatto illimitata la durata del processo. La norma così modificata, per giunta, si potrà applicare ai processi che, pure iniziati, non si siano ancora conclusi in primo grado. La Corte Costituzionale, nel 2009, ha evidenziato come la tutela delle parti sia già garantita dall'attuale sistema procedurale. Allora, non sarà che l'interesse che si persegue con il ddl sul processo lungo è quello di fornire a un unico imputato lo strumento per affossare il suo processo e sferrare alla giustizia l'ennesimo colpo, forse mortale? Per caso quest'unico cittadino si chiama Silvio Berlusconi e il processo in questione è, magari, quello Mills?". Antonio Di Pietro chiama in causa direttamente Palma che "nel suo primo giorno da ministro si è reso complice di azioni a tutela della criminalità e non della giustizia". "Queste norme - sottolinea il leader Idv - permettono a Berlusconi di aggiustare i suoi processi e impediscono alla giustizia italiana di funzionare". E richiama l'attenzione anche sul fatto che attraverso il ddl viene colpita la norma varata all'indomani della strage di Capaci con la quale veniva fatta salva l'acquisizione delle sentenze definitive, "di modo che, anche nei processi di mafia, si potrà riaprire all'infinito la lista dei testimoni. Di fronte a tale scelleratezza non resta che la mobilitazione di massa, costi quel che costi". (28 luglio 2011)
MERCATI Tremonti: "Crisi è questione europea" Su Milanese scherza: "Mi dimetto da inquilino" Intervento del ministro dell'Economia: "La speculazione è l'innesco, la questione è la fiducia in una moneta unica, basata su un mercato comune, con 17 governi e 17 parlamenti". Sul fondo europeo: "Positivo lo sforzo fatto per istituzionalizzarlo". Caso Milanese: "Mi sono dimesso da inquilino" Tremonti: "Crisi è questione europea" Su Milanese scherza: "Mi dimetto da inquilino" Giulio Tremonti ROMA - Crisi, Europa, politica economica e inchieste: è un intervento a tutto campo quello del ministro dell'Economia Giulio Tremonti alla conferenza stampa per la presentazione del fondo strategico della Cassa depositi e prestiti, società per l'acquisizione di partecipazioni in imprese di rilevante interesse nazionale. La crisi, l'euro e la speculazione. Per il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, l'attacco speculativo dei mercati "è una questione europea che in questo momento si confronta con il dollaro e tutto va visto nell'insieme. Come Europa abbiamo gestito la Grecia in modo complicato e ci abbiamo messo mesi per coinvolgere il Fondo Monetario". In ogni caso, "il processo in atto è positivo e lo sforzo fatto nell'istituzionalizzare il Fondo europeo è una cosa giusta ed efficace" dice Tremonti, facendo riferimento al recente accordo europeo sulla Grecia, vertice in cui "è stato ripreso lo spirito del maggio 2010", di solidarietà europea, messo in crisi poi dal summit di Deauville, in autunno, ma poi "il vertice recente ha ripreso lo spirito di maggio". "Ora bisogna potenziare lo strumento e farlo funzionare". Di certo, per Tremonti "non è solo una questione di speculazione", che "ha certo una funzione di innesco e spinta", ma "c'è una questione di fiducia su una moneta, basata certo sul mercato comune, ma su 17 governi, 17 parlamenti e 17 opinioni pubbliche. Quanto abbiamo visto nell'anno passato è la complessità di mettere insieme soggetti e aggregati diversi". L'allarme delle parti sociali. "Ci sono due grandezze rilevanti per l'economia: il Pil, che non si fa per legge, e il bilancio dello Stato, che si fa per legge" afferma ancora il ministro dell'Economia, a cui viene chiesto anche un commento sul documento sottoscritto dalle diverse parti sociali 1, imprese banche e sindacati, per chiedere un segnale di "discontinuità" al governo. "È un documento molto importante - dice Tremonti -. Credo che questa iniziativa, la costituzione di un Fondo strategico italiano, può essere inserita in questa visione. Il documento va studiato ma questa iniziativa è parte di quel discorso. Le imprese italiane in parte hanno una dimensione strategica non sufficiente che deve essere fatta crescere. Il Fondo strategico che viene qui presentato fa parte della strategia complessiva di crescita del paese". Il caso Milanese. Dopo i giorni del silenzio che hanno accompagnato l'autorizzazione della Commissione a procedere nei confronti del suo ex collaboratore Marco Milanese, su cui si deciderà a settembre 2, il ministro dell'Economia Giulio Tremonti dedica al caso una battuta: "Mi sono dimesso da inquilino", in riferimento alla casa romana che Milanese mise a disposizione di Tremonti. Fassina (Pd): "Tremonti fa finta di non capire". "Il ministro Tremonti fa finta di non capire che il documento delle parti sociali per la responsabilità e la discontinuità non è una nota di incoraggiamento a fare meglio. Indica chiaramente l'errore della politica dei due tempi: prima il rigore, poi lo sviluppo". Lo afferma Stefano Fassina, responsabile Economia e Lavoro del Partito Democratico. "Le riforme - prosegue - andavano avviate dall'inizio della legislatura. Il governo Berlusconi-Bossi-Tremonti non ha più la credibilità per recuperare, nè con gli italiani, nè con i mercati finanziari internazionali". "Oggi - conclude Fassina - i nostri tassi di interesse sono di nuovo aumentati perché la credibilità del governo si è ulteriormente ridotta. Le dimissioni del governo Berlusconi sono condizione necessaria per rimetterci in carreggiata". (28 luglio 2011)
IL CASO Milanese, sì della Giunta ai magistrati "Acquisire tabulati e cassette sicurezza" Sì unanime alla richiesta dei magistrati napoletani. A maggioranza decisa la proroga al 16 settembre dei termini per il parere sull'autorizzazione all'arresto nei confronti del deputato Pdl. Contrari Pd e Idv: "Si poteva decidere entro la settimana" Milanese, sì della Giunta ai magistrati "Acquisire tabulati e cassette sicurezza" Il deputato Marco Milanese ROMA - La Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dei deputati ha espresso un sì unanime alla richiesta dei magistrati napoletani di acquisire i tabulati telefonici e le cassette di sicurezza di Marco Milanese 1. In questo momento il deputato del Pdl è in Giunta per essere ascoltato sulla vicenda che lo riguarda. A maggioranza l'organismo parlamentare ha deciso la proroga fino al 16 settembre dei termini per formulare il parere per l'Aula sulla richiesta di autorizzazione all'arresto nei confronti del deputato Pdl. A favore della proroga hanno votato anche l'Udc e il presidente della Giunta, Pierluigi Castagnetti. Contrari invece Pd e Idv, secondo i quali c'era tutto il tempo per esprimersi sulla richiesta di arresto di Milanese entro la pausa estiva. "Ce l'avremmo fatta a lavorare per dare un parere in giunta entro questa settimana in modo da votarlo in aula entro martedì 2 agosto", ha spiegato la capogruppo dei democratici in giunta, Marilena Samperi. Sulla stessa linea l'Idv Federico Palomba: "Eravamo disposti a lavorare tutta la settimana. Prima di chiedere una proroga avremmo dovuto almeno lavorare fino all'ultimo giorno utile". Il dipietrista inoltre ha sottolineato come ieri il capogruppo del Pdl in Giunta, Maurizio Paniz, aveva detto che non avrebbero appoggiato una richiesta di proroga, invece oggi hanno detto sì. E' evidente che hannno problemi interni ma questi problemi non interessano agli italiani". La Giunta ha invece detto no, a maggioranza, all'acquisizione delle intercettazioni di Denis Verdini chiamato in causa nell'inchiesta del G8. Verdini, anche ieri, si era espresso a favore dell'acquisizione della documentazione telefonica che lo riguarda. In un'intervista a Repubblica 2 Milanese ha chiesto di poter fare chiarezza in tempi rapidi: "Non sono un delinquente. Il processo lo voglio al più presto: perché è lì che risulterò innocente", dice il deputato del Pdl. Quanto alle notizie emerse sulla casa divisa con il ministro Giulio Tremonti, Milanese spiega: "Cosa c'entra parlare di soldi in nero? Il ministro era mio ospite e mi pagava una parte dell'affitto in contanti. Poichè è la verità, e non c'è niente di male, io l'ho detto". (28 luglio 2011)
CRONACA Trentun anni dopo, ancora in piazza "Continuiamo a cercare la verità"/Foto Piazza piena nel trentunesimo anniversario della strage del 2 agosto. Dal presidente dell'Associazione dei famigliari delle vittime accuse durissime a Berlusconi e ad Alemanno. Il sindaco Virginio Merola: "Ogni anno siamo qui, a ricordare e a chiedere giustizia" DI MARCO CONTINI Trentun anni dopo, ancora in piazza "Continuiamo a cercare la verità"/ Foto BOLOGNA - Non passa. Non passa il dolore, né la sete di giustizia; non passa il ricordo né la voglia di trasmetterlo ai più giovani. Nonostante il tempo. Trentun anni sono tanti, e sono un numero dispari - di quelli che poco si prestano alle celebrazioni. Ma il piazzale della stazione di Bologna è pieno lo stesso, in strada c'è ancora gente che nel vedere i famigliari delle vittime del 2 agosto scoppia in lacrime, e quando alle 10,25 i tre fischi del treno fermo al binario 1 segnalano l'inizio del minuto di raccoglimento, il silenzio che cala su quell'angolo di città solitamente rumorosissimo è totale. FOTO Il corteo e la piazza | I ragazzi | In Comune LA DIRETTA Minuto per minuto E' il destino di Bologna - l'hanno detto in tanti, dal sindaco di Bari Michele Emiliano, che è venuto qui apposta, a quello di Bologna Virginio Merola -: ricordare e testimoniare, trasmettere la memoria e continuare a battersi perché la verità emerga tutta, per intero, e non solo quella sbocconcellata delle sentenze che hanno individuato gli esecutori ma non i mandanti. E' il tema dominante, anche quest'anno. Perché sul bisogno di verità continua a pesare quel macigno che è il segreto di Stato, sempre lì a dispetto delle leggi che dovrebbero cancellarlo e delle promesse non mantenute. "Il 9 maggio di quest'anno - accusa Paolo Bolognesi, il presidente dell'Associazione dei famigliari delle vittime - Berlusconi disse solenne: 'Apriamo gli armadi della vergogna'. Invece niente, non un documento è stato trasmesso alla Procura di Bologna. Vuol dire che quelle parole le ha pronunciare solo per apparire sui giornali". E' durissimo, Bolognesi. Con Berlusconi innanzitutto, per quella frase sul segreto di Stato come per le promesse, anch'esse non mantenute, di dare dare piena attuazione alla legge 206 sui risarcimenti alle vittime. Ma soprattutto, per i suoi continui attacchi alla magistratura, la stessa che tra mille difficoltà e depistaggi ha cercato di scoprire la verità sulla strage: "Non c'è pulpito da cui un esponente della loggia P2 può permettersi di esprimere simili giudizi sui giudici". Ma non è solo il premier a finire nel mirino di Bolognesi. Nonostante che lì, a un passo da lui, svetti il gonfalone del Comune di Roma, il "padrone di casa" della manifestazione sferra un attacco durissimo al sindaco della capitale, Gianni Alemanno, e a quella rete di amicizie a solidarietà con esponenti dell'estrema destra emersa lo scorso anno dall'inchiesta sulla Parentopoli romana: "Una vicenda squallida, che ha visto una "pattuglia di estremisti neofascisti raccomandati, piazzati da Alemanno nelle municipalizzate". Meno polemico, ma non meno netto, Virginio Merola. Quello di oggi era il suo primo 2 agosto da sindaco. Con la voce rotta dall'emozione ha ricordato il prezzo pagato dalla città per la conquista e la difesa della libertà: dalla lotta dei partigiani, a cui ha riservato un applauditissimo omaggio, alle vittime delle stragi dell'Italicus, del Rapido 904, di Ustica e del 2 agosto, fino a Marco Biagi, ammazzato dalle Br nel 2002. "Noi cittadini di Bologna abbiamo saputo rispondere in modo attivo e consapevole, chiedendo che la giustizia facesse il suo corso. Per questo siamo sempre in tanti, in questa piazza, per pronunciare quelle due parole: verità e giustizia. Bologna fa ricorso ai giovani, alla cultura, alla capacità di stare insieme nella democrazia. E ogni anno ognuno di noi torna a raccontare dov'era quel giorno. Qui è il senso profondo di questa manifestazione". Non manca, nelle parole del sindaco, una stoccata al governo, dopo le polemiche delle ultime settimane per la decisione di non inviare alcun esponente dell'esecutivo alla commemorazione: "Si possono anche non avere risposte nuove, ma non si può mancare di rispetto ai famigliari delle vittime e alla città. Si deve avere il coraggio delle proprie responsabilità. E bisogna saper guardare oltre i fischi. Colpisce la mancanza di intelligenza del cuore, che impedisce di vedere come questo giorno sia sentito dai bolognesi". Assente nel Palazzo, quell'intelligenza del cuore c'era però eccome, in piazza. E dev'essere stata lei a ispirare i versi inediti di Roberto Roversi, letti dal palco da due ragazzini delle scuole di Marzabotto: "I treni partivano, i treni arrivavano / 'al mare' dicevano i treni, 'alla montagna' dicevano i treni. / I treni ridevano cantavano / erano felici i treni"... Finché "Le nubi non erano più bianche, erano rosse di sangue, erano nere di fumo. / Poi il tempo è passato / i morti sono ancora con noi / con noi in partenza col treno al mare in montagna". Versi bellissimi, scanditi da un coro di bambini che gridava "Mai più", e da una nuovola di palloncini bianchi liberata in aria dal piazzale. (02 agosto 2011)
L'INCHIESTA "A Milanese 10mila euro al mese per pagare la casa di Tremonti" Le rivelazioni dell'imprenditore Di Lernia nell'indagine Enav. Secondo il teste il ministro sarebbe stato ricattato per la conferma di Guaraglini a Finmeccaninca "A Milanese 10mila euro al mese per pagare la casa di Tremonti" Marco Milanese e Giulio tremonti di CARLO BONINI e MARIA ELENA VINCENZI ROMA - Dal carcere, dove è precipitato con l'accusa di corruzione nell'inchiesta sugli appalti Enav e finanziamento illecito per aver acquistato lo yacht da 24 piedi di Marco Milanese, un uomo racconta a verbale una "verità de relato" capace, se riscontrata, di travolgere il ministro dell'Economia Giulio Tremonti. L'uomo è Tommaso Di Lernia (nel giro, lo chiamano "er cowboy"). È un ex muratore che si è fatto imprenditore edile e che si trova al crocevia di tre vicende annodate tra loro: Finmeccanica, gli appalti Enav, i rapporti incestuosi tra l'ex consigliere politico del ministro e imprenditori corrotti. Il suo racconto svela tre circostanze. La prima: l'affitto della casa abitata dal ministro in via di Campo Marzio, era pagato non da Marco Milanese ma da un imprenditore, Angelo Proietti, che in cambio avrebbe ricevuto subappalti in Enav. Lo stesso che quella casa aveva ristrutturato gratuitamente e che è oggi accusato di corruzione per gli appalti ottenuti dalla sua impresa, la "Edilars", con Sogei (società pubblica partecipata al 100 per cento dal Tesoro). La seconda: Tremonti venne ricattato da Lorenzo Cola, uomo del Presidente di Finmeccanica, perché fosse costretto a riconfermare Pierfrancesco Guarguaglini al vertice della holding e la pressione decisiva fu il "dossier" che Cola aveva sulla compravendita della barca di Milanese, sull'affitto della casa, e "sulle sue altre porcate". La terza: Di Lernia chiese a Milanese una pressione sull'Agenzia delle Entrate perché ammorbidisse la verifica sulla sua società "Print Sistem". "Ho deciso di parlare" Il verbale, dunque. È l'11 luglio e alle 13 e 10, nel carcere di Regina Coeli, Di Lernia compare di fronte al gip Anna Maria Fattori per il suo interrogatorio di garanzia. Di Lernia è accusato di corruzione e frode fiscale nell'inchiesta condotta dai pm Paolo Ielo e Giancarlo Capaldo sugli appalti Enav. Nella ricostruzione dell'accusa, la sua società, la "Print sistem" è infatti lo snodo cruciale del Sistema di appalti e corruzione con cui, attraverso un gioco di sovrafatturazioni, la "Selex Sistemi integrati" (Finmeccanica) di Marina Grossi, per la quale Di Lernia lavora in subappalto, è riuscita a creare fondi neri necessari a corrompere il management dell'Ente e i suoi referenti politici. Ma l'11 luglio, Di Lernia ha un nuovo problema. Una seconda ordinanza di custodia cautelare, chiesta e ottenuta dal pm Ielo, lo accusa di aver acquistato nel 2010 lo yacht di Marco Milanese a condizioni capestro che ne svelano le vere ragioni. Convincere l'allora consigliere politico di Tremonti a pilotare la nomina di Fabrizio Testa al vertice di Technosky (società di Enav). È una nuova mazzata che convince Di Lernia a uscire dal suo silenzio. A scrivere e consegnare al magistrato che lo interroga un memoriale (che gli guadagnerà, di lì a qualche giorno, gli arresti domiciliari). "L'indagato - annota il gip - acconsente a rispondere alle domande, consultando degli appunti che vengono sottoscritti e allegati al presente verbale". "Milanese, Proietti, la casa di Tremonti" Di Lernia conferma di aver acquistato lo yacht di Milanese. Le ragioni per cui l'operazione si fece: risolvere un problema al consigliere del ministro, piazzare Testa in "Technosky". Ma, spiega, la sua non fu una scelta, ma l'obbedienza dovuta a un uomo cui doveva tutto: Lorenzo Cola, il "facilitatore" di Pierfrancesco Guarguaglini, che, per conto di Finmeccanica, governa appalti e subappalti in Enav. "Cola - dice Di Lernia - non mi volle dire chi era il proprietario della barca. Mi disse solo che l'ordine era arrivato dal Palazzo, intendendo Finmeccanica nella persona del Presidente, e dunque che non mi sarei potuto sottrarre. A Cola non si poteva dire di no, e quindi gli chiesi dove avrei dovuto prendere il milione e mezzo di euro per l'acquisto della barca. Lui mi rispose: "Tirali fuori dagli utili che hai dal lavoro che ti diamo"". Quando Di Lernia scopre che il venditore è Marco Milanese, il nome non gli dice nulla. "Confesso la mia stupidità. Poi, tempo dopo, di Milanese mi parlò Cola. Mi disse che era uno che "capiva poco" e "mangiava tanto". Che era "un problema per Tremonti", una sorta di inconveniente imbarazzante". Di Lernia impara a conoscere Milanese, ma, soprattutto ne afferra un segreto. "Sentii parlare di Milanese da Guido Pugliesi, amministratore delegato di Enav. Mi disse che era stanco delle pressioni di Milanese per Testa a "Technosky", ma mi chiese contestualmente di dare lavoro a un certo Angelo Proietti per i subappalti all'aeroporto di Palermo, un lavoro per il quale Cola aveva già deciso che l'affidamento fosse dato alla "Electron", del gruppo Finmeccanica, e al sottoscritto". Perché far lavorare questo Angelo Proietti e la sua "Edilars" nei subappalti Enav? Di Lernia non se lo spiega. Ne chiede conto a Cola. "Mi disse che di Proietti gli aveva parlato Milanese, descrivendolo con queste parole: "È il tipo che mi dà solo 10 mila euro al mese per pagare l'affitto a Tremonti". Aggiunse di dire a Pugliesi di stare tranquillo perché lo avrebbe fatto chiamare da Milanese e comunque aggiunse che, in un immediato futuro, Selex avrebbe dato a Proietti dei lavori a Milano". Il ricatto a Tremonti. "Un blitz per ricordargli le porcate" A giugno del 2010, accade dell'altro. "Mi chiamò Cola e mi spiegò di essere dispiaciuto per avermi fatto acquistare la barca. Mi disse: "Quel verme di Milanese sta sostenendo la candidatura di Flavio Cattaneo a Finmeccanica, invece di Guarguaglini. In più, ho saputo che ha fatto delle estorsioni a delle persone a Napoli. E Tremonti non risponde al telefono a Guarguaglini"". A Di Lernia, Cola confida qualcosa di più, che è pronto a usare anche la storia della "barca" e della casa per vincere la partita su Finmeccanica: "Cola aggiunse che questa storia non la mandava giù e dunque avrebbe organizzato un blitz dal ministro (Tremonti) per mostrargli l'evidenza e la portata delle porcate commesse da lui e dai suoi consiglieri. Che di sicuro avrebbe cambiato idea sui vertici di Finmeccanica. Tanto è vero che poco tempo dopo, Milanese mi fece sapere per il tramite di Testa che Guarguaglini sarebbe stato riconfermato. E fu Cola, poi, a dirmi che il blitz era andato a segno". "Ammorbidire l'accertamento fiscale" Di Lernia incontra Proietti nell'estate 2010 perché, dopo l'arresto di Cola (8 luglio), è diventato lui il suo "canale" con Milanese. Una prima volta lo incrocia in Enav, nell'ufficio di Pugliesi, che lo convoca per sollecitarlo "a chiudere l'acquisto della barca". Una seconda volta, in piazza del Parlamento, per risolvere un suo "problema". "Portai a Proietti un incartamento riguardante un accertamento dell'Agenzia delle Entrate per il 2005. Gli dissi che volevo "una parola buona" con l'Agenzia, di cui temevo l'accanimento. Tre giorni dopo, Proietti mi diede appuntamento in piazza del Parlamento e mi disse di stare tranquillo perché Milanese aveva interceduto con Attilio Befera (direttore dell'Agenzia)". Ma, a dire di Di Lernia, in senso opposto. "Mi hanno fatto una multa di 18 milioni di euro. Roba carnevalesca. Milanese deve essere intervenuto al contrario, proprio per dimostrare che non esistevano connessioni". (28 luglio 2011)
L'INTERVISTA Milanese dalla casa di lusso allo yacht "Ecco quali sono le mie verità" Parla il deputato che rischia l'arresto: "Ospite non voleva dire gratis: ottomila e cinquecento euro al mese per me da solo erano troppi" di CONCHITA SANNINO Milanese dalla casa di lusso allo yacht "Ecco quali sono le mie verità" Milanese durante l'intervista NAPOLI - Come un Giano bifronte, dondola sul precipizio di due inchieste che, da settimane, scuotono il Parlamento. Compare infatti sotto accusa nell’indagine sulla corruzione del pm Vincenzo Piscitelli, mentre figura come generoso testimone d’accusa nell’inchiesta sulla P4. Eppure Marco Milanese, cinquantun anni, si dice "sereno". "Non sono un delinquente. Il processo lo voglio al più presto: perché è lì che risulterò innocente". Abito blu, cravatta sobria, l’uomo che cambiava Porsche e Ferrari come calzini, passeggia a piedi nei vicoli di Napoli, a ridosso dello studio del suo avvocato Bruno Larosa. "Non ho più auto, basta". LEGGI/"Pace" Procura-Finanza Venti giorni dopo la richiesta di arresto a suo carico, risponde a ogni domanda. Sul pasticcio della casa divisa con il ministro Giulio Tremonti. "Cosa c’entra parlare di soldi in nero? Il ministro era mio ospite e mi pagava una parte dell’affitto in contanti. Poiché è la verità, e non c’è niente di male, io l’ho detto". Sul pranzo con il procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo, inguaiato dalle sue dichiarazioni. "È vero che ero indagato quando l’ho incontrato, ma io sono stato in un angolo, quasi muto, quel giorno. Solo il procuratore e il ministro parlarono. Di cosa? Autori greci e latini. Giuro". Sull’esistenza dei gruppi di potere all’interno della Guardia di Finanza. "Il corpo è sano. Poi ci sono alcuni finanzieri che coltivano relazioni e promuovono carriere, gente che va in giro dicendo "con me o contro di me"". E, ancora, sull’attività di dossieraggio contro Tremonti di cui lo stesso ministro aveva parlato al premier Berlusconi.
Dottor Milanese, il ministro Tremonti è di nuovo nella bufera. Dalla sua memoria difensiva – "il ministro mi pagava mille euro a settimana" – emerge una certezza: almeno in un'occasione, il ministro Tremonti ha mentito alla pubblica opinione. Quando ha detto: "Ero un ospite". "Ma che c’entra? Ospite non significa necessariamente "a titolo gratuito"". Le sembra eticamente e politicamente sano che il ministro paghi in contanti, a nero? "Ma perché "a nero"? Se lui mi avesse fatto un assegno, mica ci avrei pagato un’imposta? In fondo, il ministro riceve lo stipendio in contanti. Non c’è niente di male, ecco perché l’ho detto". Quale segreto nasconde questa casa? "Nessuno, anche se ormai so che ora sono il capro espiatorio e che dobbiate costruire storie. Partiamo dal presupposto che io ormai ero separato da mia moglie e stavo a casa della mia compagna. La casa bella, importante, presa in fittto dal Pio Sodalizio, era vuota. Io ospito il ministro e lui mi restituisce una parte; io non potevo più sopportare un’enormità di 8500 euro al mese, ma volevo restare affittuario perché speravo si presentasse la possibilità di acquistare prima o poi, da inquilino, a prezzo superconveniente. Ho giocato una partita: mi va bene e mi ritrovo un affare. Mi va male, amen". C’è però un’altra contraddizione: lei scrive che Tremonti pagherebbe 4mila euro al mese "dalla metà del 2008 al 2010". E come mai, visto che il contratto per la casa decorre formalmente dal "1 febbraio 2009", e il ministro l'ha occupata stabilmente almeno fino al 7 luglio 2011, la mattina degli arresti e dello scandalo? "Qui ha ragione, ho sbagliato le date, un semplice lapsus. È dal 2009 al 2011". L’accusa di corruzione si regge sull’ipotesi di uno scambio tra le nomine da lei dettate nelle società di Stato. Due compravendite - vantaggiose per lei - sotto esame. "Partiamo dalla barca. Ero al mare a Capri. Vedo questo Mochi Craft. "Mamma quant’e bella, è un’aragostiera". Una barca molto molto larga, sembra una damigiana. È di Roberto Russo, il noto imprenditore di Capri. Il quale mi dice che egli ne ha dato in permuta una uguale, e se chiamo il broker faccio un affare. Prendo ‘sta barca, ci scorrazzo un’estate. Poi però, non andava bene per fare le vacanze e ne prendo una più grande...". Della quale pure si libera, di lì a poco. Andiamo alla sintesi: a trovarle gli acquirenti di questa seconda Mochi Craft è Fabrizio Testa, da lei nominato al vertice di Tecnosky, che la mette in contatto con la società Eurotec, guarda caso in appalti con Tecnosky. "A parte che Testa non l’ho nominato io, ma veniva segnalato da altre aree romane. Io però gli chiesi: "Siamo sicurti che questa società che dici essere interessata alla barca non ha appalti pubblici?" Dice: no, no, tranquillo. Ma il punto è un altro: non c’è stato alcun prezzo maggiorato. È certo, gli inquirenti hanno fatto confusione con i conti e lo dimosterò". E la villa di Cannes, a cui si interessano per la compravendita proprio Guido Marchese e Carlo Barbieri, guarda caso beneficiati dalle nomine in vari enti? "Quella è un’altra fantasia. Ci ho solo perduto in quella partita: dovevo vendere a 1 milione e 650, alla fine vendo a 1 milione e 610mila. E ci rimetto anche la caparra". Ma Marchese racconta di avere avuto, a titolo di garanzia in attesa che lei restituisse una caoparra, ben 250mila euro in contanti, che imbarazzano tutti. Marchese nasconde la sua parte in una scatola di Adidas. "Quei soldi non erano miei e sono tornati ai proprietari, che li avevano per lecita provenienza. Erano una garanzia, appunto". Può spiegare? "Lo dirò ai magistrati". Le cordate nella Guardia di Finanza sono state oggetto di molte sue dichiarazioni. Un intreccio perverso nel cuore del corpo. "Intendiamoci: i pm dell’inchiesta sulla P4 mi chiamano, mi chiedono e io se so, rispondo. Ma non mi piace l’espressione "cordate". Il corpo è sano, ci sono certo gruppi di finanzieri che pensano a fare le loro lobby, le cene, gli incontri". A proposito di lobby. Sia lei che Tremonti, ascoltati come testimoni, fate riferimento a presunte attività di dossieraggio di cui lo stesso Tremonti è costretto a parlare con il premier Berlusconi. Non pensa che il "pasticcio" della casa e i rapporti di amicizia e complicità col ministro potessero esser strumentalmente usati a tal proposito? "Non so di cosa si parli. E' bene dire che io e Tremonti ci diamo del lei, e io lo chiamo, da sempre, Professore". Caso Capaldo. E’ credibile che lei, ufficialmente indagato a Napoli e ufficiosamente anche a Roma, non parli di questo con il procuratore aggiunto? "Non sapevo nulla dell’inchiesta di Roma. Di Napoli sì, dopo il servizio di Repubblica. Ma a quel tavolo solo il procuratore e il ministro parlarono. Di cosa? Autori greci e latini. Del "fantasma della povertà" nel paese. Io non parlai proprio". L’avvocato Fischetti dice che fu lei a chiedere l’incontro. "Fischetti mi disse che Capaldo ne aveva piacere. Pensai che voleva mostrare a Tremonti d’essere versatile, colto...". Lei è un indagato doubleface. Nella sua memoria adombra il sospetto che la si usi "inconsciamente" per "ottenere da me informazioni". Insomma: per spremere il testimone sul fronte di Bisignani & Papa. Un’affermazione grave. La può motivare? "È un sospetto. Ma, sia chiaro, la pressione psicologica è mia e le condotte di tutti e tre i pm sono state correttissime. Nessuno ha mai detto "Parla, perché sennò..."". Non è anche lei ad accreditarsi come teste nell’indagine P4? "Un momento. Io sono stato chiamato dai pm Woodcock e Curcio. E ho sempre risposto a precise domande, e su precise circostanze. Registro tuttavia che dopo la richiesta di arresto, per 2 volte sono stato convocato per la P4. Anche poche ore fa". Un nuovo interrogatorio, e lei ha risposto per più di un’ora? "Ho risposto, com’è mio dovere di cittadino, basta così". Cosa prevede con il voto di oggi? "Ai colleghi dico solo: leggete le carte, giudicate in coscienza, al di là delle appartenenze politiche". Ma lei si assolverebbe? "Devo andare in carcere perché mi piacevano le barche o la Ferrari? Perciò dico al Parlamento: autorizzate l’apertura delle cassette di sicurezza e l’accesso ai tabulati. Ho fiducia". Dov’è finita "la milionata" in contanti di Paolo Viscione? "Dice il falso! Non sono un delinquente. Un conto sono i peccati, un altro i reati". (28 luglio 2011)
"Perché non scarcero Papa: dichiarazioni inverosimili sull'uso di un telefono" Le motivazioni del gip sul no al deputato. Il parlamentare, scrive il giudice Giordano, non ha saputo spiegare i motivi che lo hanno spinto ad utilizzare una scheda telefonica intestata ad una donna del tutto ignara "Perché non scarcero Papa: dichiarazioni inverosimili sull'uso di un telefono" Non convince la tesi sostenuta dal deputato Alfonso Papa di un complotto ordito da Luigi Bisignani ai suoi danni. E', in sintesi, quanto sostiene il gip Luigi Giordano nel provvedimento con cui respinge l'istanza di scarcerazione o di concessione degli arresti domiciliari nei confronti di Papa. A proposito di dichiarazioni accusatorie fatte da diversi testimoni e dallo stesso Bisignani il gip scrive che "l'indagato si è limitato a negare l'attendibilità delle affermazioni raccolte dai pm senza indicarne convincenti ragioni o significativi motivi di astio e di rancore che possono averle determinate, se non alludere ad un intervento di Bisignani". Il gip sostiene che non vi sono elementi per "ritenere diminuito il pericolo di inquinamento probatorio" e che non si può ritenere "che sia attenuato o scemato il pericolo di reiterazione dei reati". A tale ultimo proposito il giudice si sofferma sull'uso da parte di Papa di un telefono intestato fittiziamente a una donna ignara. "Basti solo pensare - scrive Giordano - che, in merito alla costituzione di una rete di comunicazioni dedicata e riservata, idonea a permettere la reiterazione dei reati (oltre che l'inquinamento probatorio), il parlamentare ha reso dichiarazioni inverosimili". "Si è limitato - osserva il giudice - in sintesi a dire di non sapere che una scheda mobile deve essere intestata ad una persona, salvo poi lamentarsi sul finire dell'interrogatorio, che sarebbe stato intercettato sull'utenza registrata alla propria persona (egli dunque è ben conscio della differenza tra l'utilizzo da parte di un parlamentare del telefono intestato alla sua persona, titolare delle prerogative costituzionali, e quello di utenze intestate a terzi)". Secondo il gip, Papa "non ha spiegato (e questo sinceramente è il profilo più delicato) perchè un parlamentare, che gode delle prerogative assicurate al Parlamento dall'art. 68 della Costituzione, abbia bisogno di impiegare telefoni intestati fittiziamente a persone ignare - correndo in tal modo il rischio - proprio quello che chiaramente si voleva evitare, di essere intercettato. Ed è proprio questa circostanza che contribuisce a rendere allo stato del tutto inidonea la misura domiciliare". (28 luglio 2011)
IL CASO Crac Mora, anche Fede è indagato per la 'cresta' sui prestiti del premier Il direttore del Tg4 è stato interrogato negli uffici della guardia di finanza, nei giorni scorsi, nell'ambito dell'inchiesta sul fallimento della LM Management, la società dell'agente dei vip Crac Mora, anche Fede è indagato per la 'cresta' sui prestiti del premier Emilio Fede e Lele Mora
Il direttore del Tg4, Emilio Fede, è indagato a Milano per concorso in bancarotta fraudolenta nell'ambito dell'inchiesta che ha portato all'arresto di Lele Mora per il fallimento della LM Management. Nei giorni scorsi il pm Eugenio Fusco ha inviato a Fede un invito a comparire e il giornalista è stato interrogato negli uffici milanesi della guardia di finanza. La vicenda è quella già emersa dagli atti di indagine sul caso Ruby e si riferisce a un prestito da 2 milioni 850mila euro arrivato all'agente dei vip da parte di Giuseppe Spinelli, tesoriere di fiducia del premier Silvio Berlusconi. Gli inquirenti ipotizzano che il direttore del Tg4 abbia trattenuto per sé una parte di quella somma mentre era in corso la procedura di fallimento della LM Management, la società dei talent scout. Fede, dopo aver ricevuto un invito a comparire dai pm Fusco e Massimiliano Carducci, è stato interrogato nei giorni scorsi, mentre gli inquirenti hanno sentito oggi nel carcere di San Vittore Mora, arrestato per bancarotta fraudolenta aggravata per il crac da 8,5 milioni di euro della LM Management. Le versioni di Fede e di Mora riguardo a quel prestito sono contrapposte. Il direttore del Tg4 avrebbe detto di avere ricevuto 400mila euro, mentre Mora avrebbe spiegato che il giornalista avrebbe preso poco meno della metà della somma. La vicenda del prestito da parte di Berlusconi, attraverso Spinelli (sia il premier sia il fiduciario sono totalmente estranei all'inchiesta) all'agente dei vip era emersa anche da alcune intercettazioni del caso Ruby, dove Mora e Fede sono imputati per induzione e favoreggiamento della prostituzione. Dalle intercettazioni dell'agosto 2010 era emerso che Fede avrebbe caldeggiato il prestito parlando con Mora al telefono. E anche nel corso delle telefonate si faceva riferimento alla possibilità di trattenere una parte della somma. Nel corso dell'inchiesta sulla bancarotta i pm hanno avviato alcune rogatorie in Svizzera a caccia di possibili fondi trasferiti all'estero dal talent scout. I magistrati avrebbero individuato una scrittura privata relativa proprio al prestito di 2,85 milioni che sarebbe stato effettuato con tre versamenti a gennaio, marzo e settembre 2010. Il fascicolo sul fallimento della LM Management era arrivato al tribunale fallimentare di Milano nel dicembre 2009, invece, e i giudici fallimentari avevano dato una proroga di un mese per ripianare la situazione finanziaria. Il sospetto è che i soldi ricevuti in prestito non siano stati affatto usati per coprire i buchi della società. Nell'inchiesta sarebbe indagata anche una terza persona: un factotum di Lele Mora. Il legale di Emilio Fede, Gaetano Pecorella, ha fatto sapere che "l'interrogatorio è servito a dare ai magistrati tutte le notizie da loro ritenute necessarie per le indagini, nonchè a dimostrare l'estraneità di Fede alle vicende patrimoniali di Mora, con il quale, non è mai stato socio, non ha mai avuto interessi in comune, né dello stesso conosceva come gestisce le sue aziende e tantomeno se fossero in stato di grave insolvenza". (28 luglio 2011)
CRONACA Menarini, l'inchiesta si allarga altra azienda truffava lo stato La procura di Firenze accusa la filiale italiana della multinazionale Bristol Myers Squibb. Avrebbe aiutato Alberto Aleotti a frodare il servizio sanitario e aumentare i prezzi dei farmaci Menarini, l'inchiesta si allarga altra azienda truffava lo stato Avrebbero gonfiato notevolmente i prezzi di vendita dei farmaci commercializzati, ottenendo un indebito rimborso di oltre un miliardo di euro dal Servizio Sanitario Nazionale. E' l'accusa rivolta dalla Procura della Repubblica di Firenze alla multinazionale Bristol Myers Squibb Italia, che avrebbe messo in atto la truffa assieme al gruppo Menarini. Nei confronti della società sono state effettuate oggi delle perquisizioni dalla Gdf. L'ipotesi degli inquirenti è che entrambi i gruppi industriali abbiano messo in atto comportamenti finalizzati ad ottenere, attraverso una serie di artifici e raggiri, l'inserimento nel Prontuario farmaceutico nazionale di farmaci commercializzati sia da Menarini che da Bristol Myers Squibb a prezzi notevolmente gonfiati rispetto al costo effettivamente sostenuto. Unico indagato, per il momento, risulta l'ex amministratore delegato Guido Porporati, accusato di concorso in truffa con Alberto Aleotti, patron di Menarini. La vicenda è collegata all'inchiesta che sempre la procura di Firenze sta conducendo sul gruppo Menarini, nella quale sono indagati i vertici dell'azienda. Secondo i magistrati, il gruppo, attraverso società 'cartiere' che avevano come compito quello di aumentare il costo dei principi attivi acquistati, era riuscito ad ottenere un prezzo di vendita dei farmaci più alto rispetto al prezzo reale, con notevole aggravio di spesa per il servizio sanitario nazionale che doveva rimborsarli. In questo contesto la Bristol Myers Squibb, fin dal 1984, avrebbe concesso al gruppo Menarini la licenza non esclusiva per il confezionamento e la vendita in Italia di farmaci preparati sulla base proprio di quei principi attivi, essendo a conoscenza dell'esistenza delle cartiere per aumentare il prezzo. Ci avrebbe guadagnato adeguando il prezzo dei suoi farmaci, prodotti con lo stesso principio attivo di quelli di Menarini, a quelli della società toscana. Oltre alle perquisizioni nelle sedi della multinazionale, gli uomini della Guardia di Finanza hanno notificato alla Bms il decreto di fissazione dell'udienza per l'applicazione di misure cautelari, prevista per il 19 settembre. L'ipotesi di frode su cui lavorano gli inquirenti non riguarderebbe la qualità dei farmaci bensì l'illecita sovrafatturazione dei costi sostenuti dalla Bms Italia per l'acquisto dei principi attivi (Pravastatina, Fosinopril, Captopril, Aztreonam) utilizzati per la produzione e la vendita di farmaci impiegati nella cura di malattie cardiache e di battericidi (anch'essi impiegati per il trattamento di particolari patologie cardiache), per i quali è previsto il rimborso da parte del Servizio sanitario nazionale. (28 luglio 2011)
2011-07-25 IL CASO Penati e le tangenti per l'area Falck "Pronto a fare due passi indietro" L'ex responsabile della segreteria di Bersani, coinvolto nell'inchiesta della Procura di Monza, sta "meditando di trasformare in dimissioni l'autosospensione in Regione" Penati e le tangenti per l'area Falck "Pronto a fare due passi indietro" Filippo Penati
Filippo Penati, ex responsabile della segreteria politica di Pierluigi Bersani, indagato nell'inchiesta sulle tangenti per le aree Falck di Sesto San Giovanni, ha scritto una lettera al segretario del Pd nella quale annuncia la sua autosospensione da tutte le cariche di partito (tra le quali quelle in direzione nazionale, regionale e nell'assemblea nazionale) e l'intenzione di trasformare l'autosospensione dalla carica di vicepresidente del consiglio regionale della Lombardia in dimissioni. Di Caterina: "Gli davo 20-30 milioni al mese" Coinvolti anche Grossi e Zunino Penati tradito da una e-mail Penati: "Ecco perché mi autosospendo" Parla il grande accusatore L'INCHIESTA Fatture false e società off shore Penati indagato LA SCHEDA Il più grande cantiere d'Europa L'area della Falck a Sesto "Ribadisco la mia totale estraneità ai fatti che mi sono contestati - ha scritto in una lunga nota Penati - mentre rilevo che non cessano le ricostruzioni parziali, contraddittorie e false indotte da altre persone coinvolte nella vicenda. Sono accusato con una montagna di calunnie da due imprenditori inquisiti in altre vicende giudiziarie che cercano così di coprire i loro guai con la giustizia". "Non ho mai preso soldi da imprenditori - ha aggiunto - e non sono mai stato tramite di finanziamenti illeciti ai partiti a cui sono stato iscritto. Ora il mio primo obiettivo è quello di recuperare la mia onorabilità, di restituire serenità alla mia famiglia e non voglio che la mia vicenda e la conseguente martellante campagna mediatica creino ulteriori problemi al mio partito". "Per questo - ha spiegato - ho comunicato oggi al segretario Pierluigi Bersani la decisione di autosospendermi da tutte le cariche che attualmente ricopro nel Partito democratico. Sono convinto che riuscirò a chiarire tutto e confido di poterlo fare nel più breve tempo possibile forte della consapevolezza di non aver commesso alcun reato". Per quanto riguarda la carica di vicepresidente del consiglio regionale, ha precisato: "Subito dopo aver ricevuto l'avviso di garanzia mi sono autosospeso dalla vice presidenza del consiglio regionale. Ho fin da allora considerato l'autosospensione un fatto transitorio e di breve periodo confidando in un rapido chiarimento della mia posizione. Oggi di fronte all'enorme risalto è improbabile pensare ancora ad una rapida chiusura dell'intera vicenda. Il prevedibile allungarsi dei tempi mi impone quindi di fronte alla necessità di non privare i gruppi consiliari di minoranza del vicepresidente in loro rappresentanza. Pertanto è mia intenzione trasformare la mia autosospensione in dimissioni. Comunicherò la mia decisione e ne spiegherò le ragioni al gruppo Pd e agli altri gruppi di minoranza. (25 luglio 2011)
2011-07-22 QUIRINALE Giustizia, il monito di Napolitano "Inammissibili attacchi alla magistratura" Il Capo dello Stato interviene anche sul possibile sostituto di Alfano come Guardasigilli: "Rischio effetto domino se scelto tra i membri dal governo". Sui costi della politica mette in guardia su "possibili umori antidemocratici" e auspica "decisioni di alleggerimento e semplificazione" Giustizia, il monito di Napolitano "Inammissibili attacchi alla magistratura" Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ROMA- Respinge le accuse di una possibile 'invasione di campo' in occasione dell'approvazione della manovra, interviene sul dibattito in corso in tema di antipolitica e rassicura che sarà un'estate "tranquilla". Giorgio Napolitano, durante la cerimonia di consegna del 'Ventaglio' da parte dell'Associazione Stampa Parlamentare, è tornato anche sul discorso pronunciato ieri 1, rispondendo alle accuse di chi, come Antonio Di Pietro, ha definito "banali generalizzazioni" le parole del Presidente della Repubblica sullo scontro tra politica e toghe ."I magistrati, ha detto oggi il Capo dello Stato, devono essere "inappuntabili" in modo da vanificare "attacchi inammissibili alla magistratura", disinnescando così "un fuorviante conflitto" con la politica. "Più di qualche commento polemico di difensori d'ufficio della magistratura - ha assicurato-, mi interessa l'apprezzamento che è venuto da numerosi suoi autorevoli esponenti da parte della sua stessa associazione". "Sostituto di Alfano non venga dal governo". In tema di giustizia il presidente della Repubblica è anche intervenuto in merito alla nomina del nuovo Guardasigilli, destinato a sostituire il neosegretario Angelino Alfano, spiegando che "sarebbe meglio prenderlo dal Parlamento", piuttosto che spostare qualcuno che ha già incarichi di governo. Una scelta che, secondo il Capo dello Stato, rischierebbe di creare "un effetto domino". "Ho visto una lista di dodici nomi sulla stampa", ha poi aggiunto. "Io non ho dato nessun avallo al rinvio a settembre, ho detto che sono pronto in qualsiasi momento, ma mi sembra che non siano pronti loro e abbiano altri pensieri". "Attenti a umori antidemocratici". Parlando del dibattito sui costi della politica Napolitano ha detto che alcune posizioni riflettono "una indiscriminata agitazione che raccoglie ed esaspera comprensibili insofferenze ma anche pericolosi umori antidemocratici. Io - ha detto il Capo dello Stato - auspico da tempo decisioni di alleggerimento e semplificazione dell'architettura istituzionale oltre che tangibili correzioni sul piano del costume politico. In particolare, suggerisco ora di valutare con obiettività e con attenzione le misure che stanno per essere adottate dagli organi costituzionali". "No a interpetazioni fanta-istituzionali". Rispondendo alle critiche di chi ha visto nei suoi auspici per la coesione nazionale una regia politica o una forma di commissariamento del Governo, Napolitano ha poi spiegato: "Non c'è nulla di serio in certe interpretazioni dietrologiche o fanta-istituzionali del mio operato", aggiungendo che ovviamente il capo dello Stato segue da vicino l'evolversi della situazione del quadro politico". Era mio dovere, ha sottolineato, porre con decisione l'esigenza di coesione "senza tenere alcun conto delle convenienze dell'una o dell'altra parte politica e senza invadere o occupare alcuno spazio o ruolo che non fosse il mio". E il segnale venuto dall'Italia "ha avuto un valore e un peso". "Manovra, resta ancora molto da fare". Secondo Napolitano, con l'approvazione "rapidissima" in Parlamento della manovra finanziaria, l'Italia ha dato "una prova di coesione nazionale, una prova che si doveva dare per mostrare la consapevolezza degli obiettivi da perseguire". Il presidente della Repubblica ha poi aggiunto che "molto resta da fare" in Italia ed in Europa "in una logica di condivisione di rischi e di necessità di azione comune che si è affermata nel Consiglio di ieri a Bruxelles. Ci si è mossi nella direzione in cui molti, ed io stesso, avevamo auspicato che si procedesse risolutamente". "Nuovo sforzo di coesione". Di fronte alla domanda se serva un nuovo, ulteriore, sforzo di coesione Napolitano ha risposto: "Non so chi potrebbe negarlo ma vorrei ribadire come io lo intenda. Non come rinuncia da parte di qualche forza politica o sociale alle proprie ragioni e impostazioni, nè come passaggio fortunoso o obbligato da piattaforme nettamente contrastanti ad un programma unificante. Il punto - ha detto - è riconoscere la complessità e la gravità dei problemi che si sono accumulati e che pongono a rischio il futuro del Paese e il suo ruolo in Europa; escludere competizioni perverse sul terreno della dissimulazione, della sdrammatizzazione e del populismo demagogico, aprirsi a un confronto serio. Confrontarsi in questo spirito sia sul rigore per azzerare il deficit di bilancio e abbattere lo stock di debito pubblico, sia su uno strenuo sforzo per elevare il tasso di crescita della nostra economia; più in generale, - ha concluso Napolitano - sul come perseguire obiettivi essenziali di revisione e di riforma, anche al di fuori del campo economico e finanziario, di molteplici realtà istituzionali, amministrative e sociali". (22 luglio 2011)
INCHIESTA P4 Papa non potrà votare alla Camera Il gip: "Prevalgono esigenze custodia" Respinta la richiesta dei legali del deputato arrestato in relazione all'inchiesta sulla P4: non potrà uscire dal carcere per andare in Parlamento ad esercitare le funzioni di deputato Papa non potrà votare alla Camera Il gip: "Prevalgono esigenze custodia" Alfonso Papa NAPOLI - Il gip del Tribunale di Napoli, Luigi Giordano, ha respinto questa mattina la richiesta presentata da Alfonso Papa di poter prendere parte alle prossime votazioni in programma alla Camera, esercitando così i propri diritti di deputato. Il giudice, infatti, ha ritenuto che, in base all'articolo 68 della Costituzione, i vincoli imposti dalla misura cautelare sono prevalenti rispetto alle prerogative dei parlamentari. La richiesta era stata presentata dai difensori di Papa, Giuseppe D'Alise e Carlo Di Casola. (22 luglio 2011)
IL PARLAMENTO DEGLI INQUISITI Sono 84 i rappresentanti del popolo che hanno questioni aperte con la giustizia. Tra i reati ci sono quelli tipici della politica (corruzione, concussione ecc.), ma crescono quelli da legami con organizzazioni mafiose. Alcuni, invece, si portano dietro condanne legate agli anni di piombo, Il record in Sicilia
LA BLACK LIST di ENRICO DEL MERCATO, ANTONIO FRASCHILLA, EMANUELE LAURIA Tra condanne, prescrizioni e processi nei palazzi quanti guai giudiziari Tra condanne, prescrizioni e processi nei palazzi quanti guai giudiziari Il deputato del Pdl Alfonso Papa in aula a Montecitorio Sembra di vivere nei primi anni Novanta quando, durante tangentopoli, fioccavano le richieste d'arresto sul tavolo della giunta per le autorizzazioni a procedere. Dall'inizio del 2011 sono state nove, compresa quella del Pdl Alfonso Papa. Tra il 1992 e il 1994 furono 28. Ma l'elenco va oltre: 84 parlamentari oggi hanno pendenze con la giustizia ROMA - Se non sono i numeri del parlamento di tangentopoli, poco ci manca. Quella che ha spedito in carcere il deputato del Pdl Alfonso Papa è stata la nona richiesta di arresto sul tavolo della giunta per le autorizzazioni a procedere dall'inizio della legislatura. Tra il 1992 e il 1994, gli anni in cui le inchieste dei pm terremotarono la Prima Repubblica, furono 28. Se però si scorre l'elenco di deputati e senatori attualmente in carica che hanno pendenze con la giustizia, allora si scopre che i numeri di oggi non sono poi così lontani da quelli della stagione di Mani Pulite. Tra Montecitorio e Palazzo Madama siedono, in questo momento, 84 parlamentari sotto inchiesta, già con sentenze di condanna sulle spalle, in attesa di processo oppure rinviati a giudizio. E tra questi, ben 34 risultano condannati per reati che vanno dalla diffamazione fino all'associazione mafiosa o per una cattiva gestione di fondi pubblici di cui ora devono rispondere di tasca propria. Altri nove legislatori sono stati beneficiati dalla prescrizione dei reati. La lista. E' una lunga teoria che racconta un pezzetto di storia d'Italia. Un elenco nel quale si può trovare la radicale eletta nelle liste del Pd, Rita Bernardini, condannata per aver distribuito marijuana durante una manifestazione per la liberalizzazione delle droghe leggere (pena estinta con l'indulto), ma soprattutto un nutrito drappello di rappresentanti del popolo con ben più gravi condanne di primo e secondo grado sul groppone: c'è, per esempio, il ministro delle Riforme e leader della Lega Umberto Bossi (condannato in via definitiva a 8 mesi di reclusione per finanziamento illecito nell'ambito dell'inchiesta sulla maxi-tangente Enimont) e c'è il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri che i giudici di Palermo hanno condannato in primo grado a nove anni, e in appello a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Del resto, è proprio il Pdl - quello che il neo segretario Angelino Alfano ha dichiarato di voler trasformare nel "partito degli onesti" - il gruppo parlamentare con il maggior numero di eletti alle prese con vicende giudiziarie. E poi? Da chi è composta la poco lusinghiera classifica delle fedine penali sporche? Il partito degli onesti. Un anno fa chi aveva provato a mettere in colonna i numeri degli inquisiti non era riuscito a contarne più di 24: oggi i parlamentari del Pdl nei guai con la giustizia sono 49. Più che raddoppiati. Ventinove alla Camera e 20 al Senato. Il drappello lo guida ovviamente Silvio Berlusconi, con sei processi in corso. Ma oltre al leader, a ministri in carica e non, a ex presidenti di Regione e coordinatori regionali, ci sono anche i peones dell'avviso di garanzia o del rinvio a giudizio. Giulio Camber è un senatore che nel 1994 ottenne 100 milioni di lire dalla banca Kreditna dicendo che poteva comprare i favori di pubblici ufficiali e evitare il commissariamento dell'istituto: condannato a otto mesi per millantato credito. Fabrizio Di Stefano, invece, è stato eletto in Abruzzo e proprio ad aprile scorso i magistrati hanno chiesto il suo rinvio a giudizio per corruzione nel processo che riguarda la realizzazione di un impianto di bioessicazione di rifiuti a Teramo. Claudio Fazzone, che siede anche lui a Palazzo Madama, ex presidente del consiglio regionale del Lazio è stato rinviato a giudizio per abuso d'ufficio: gli contestano di aver raccomandato, via lettera, alcuni suoi amici a un manager della Asl. A Montecitorio, invece, tra i banchi Pdl c'è Giorgio Simeoni rinviato a giudizio per truffa all'Ue nell'inchiesta sui corsi di formazione fantasma nella Regione Lazio. Per tacere, infine, del deputato Giancarlo Pittelli che, oltre a essere coinvolto nell'inchiesta sugli ostacoli posti alle indagini dell'ex pm di Catanzaro Luigi De Magistris, deve rispondere in tribunale di lesioni e minacce dopo avere aggredito un suo collega avvocato. Spiccano, poi, l'ex comandante della Guardia di Finanza Roberto Speciale condannato in appello a 18 mesi per peculato (è accusato di essersi fatto arrivare un carico di spigole nel paesino trentino in cui era in vacanza) e Luigi Grillo condannato a un anno e 8 mesi per reati bancari. E gli altri. Dal gruppo del Pd è appena uscito Alberto Tedesco, il senatore pugliese indagato per corruzione e salvato dagli arresti domiciliari grazie al voto di Palazzo Madama, ma l'elenco dei democratici sotto inchiesta o con condanne comprende comunque quattro senatori e sette deputati. Numeri che però raccontano di reati più lievi: l'accusa di diffamazione che pende sul capo del senatore Giuseppe Lumia, querelato dal suo ex addetto stampa, per esempio. Però fra i democratici c'è anche chi deve fare i conti con contestazioni più gravi: Antonio Luongo è stato rinviato a giudizio per corruzione nell'inchiesta su affari e politica a Potenza, mentre Maria Grazia Laganà - la vedova di Fortugno - è a processo per falso e abuso d'ufficio ai danni della Asl di Locri. Nino Papania, senatore siciliano, patteggiò nel 2002 una condanna a due mesi per aver scambiato regali con assunzioni. Ma anche la Lega che in questi giorni si lacera sulla questione morale annovera quattro deputati e due senatori inquisiti. L'Udc ne ha cinque. Per carità: il calcolo delle probabilità penalizza i gruppi parlamentari più numerosi. Sorprende invece l'alta incidenza di deputati e senatori con problemi giudiziari in formazioni più piccole: i "responsabili", per esempio, su 29 esponenti alla Camera contano un condannato (Lehner, diffamazione nei confronti del pool di Mani Pulite), un rinviato a giudizio per truffa (il piemontese Maurizio Grassano che venne arresto nel 2009 per una truffa al comune di Alessandria e che oggi è sotto processo) e due sui quali pende una richiesta di processo per mafia e camorra (il ministro Romano e il deputato campano Porfidia). 22 luglio 2011
PARLAMENTO GLI 84 SOTTO ACCUSA. I PROCESSI di ENRICO DEL MERCATO, ANTONIO FRASCHILLA, EMANUELE LAURIA Tangenti, mafia e "peccati di gioventù" quei verdetti figli di un passato lontano Tangenti, mafia e "peccati di gioventù" quei verdetti figli di un passato lontano Enzo Carra, l'ex portavoce di Forlani. Durante Tangentopoli finì in manette davanti alle telecamere. È stato condannato in via definitiva a 16 mesi per false dichiarazioni ai pm Nel background dei parlamentari italiani non c'è solo la stagione delle mazzette. Ma anche le collusioni con le organizzazioni criminali e la militanza durante la stagione delle lotte giovanili ROMA - Vite onorevoli con il fiato degli inquirenti sul collo. E, per molti, con l'onta di una condanna già pronunciata. Chi sono? Alcuni verdetti sono figli della stagione di tangentopoli: al Senato, per esempio, nel gruppo misto siede ancora Antonio Del Pennino che ha patteggiato per la tangente Enimont. Del resto, la madre di tutte le tangenti ha lasciato in eredità condanne anche a Umberto Bossi, a Giorgio La Malfa, all'ex segretario del Psdi (oggi senatore del Pdl) Carlo Vizzini, che si è poi salvato con la prescrizione. Ma la scia di Tangentopoli è ben più lunga: Giampiero Cantoni, ex presidente della Bnl e altro senatore del Pdl, ha patteggiato nel '95 una condanna a due anni per concorso in corruzione e bancarotta fraudolenta. Massimo Maria Berruti, ex consulente Fininvest, è stato condannato in appello a 2 anni e dieci nell'ambito del processo sui fondi neri del gruppo. Enzo Carra, l'ex portavoce di Forlani che ai tempi di Tangentopoli finì in manette davanti alle telecamere, è stato condannato in via definitiva a 16 mesi per false dichiarazioni ai pm. Altre vicende si sono definite di recente: Aldo Brancher, per esempio, il 3 marzo è stato condannato in appello a 2 anni per appropriazione indebita e ricettazione, nell'ambito di un'inchiesta sulla scalata Bpi-Antonveneta che l'anno scorso lo costrinse a dimettersi da ministro. Il recordman, fra i condannati, è Giuseppe Ciarrapico, ex democristiano oggi nel Pdl, che conta quattro pronunce definitive a proprio carico: è stato sanzionato per aver violato la legge che "tutela il lavoro dei fanciulli e degli adolescenti" ma anche per il crac della casina Valadier. Sono le procure del Sud le più impegnate nelle indagini sui politici. Mafia, camorra & c. C'è Marcello Dell'Utri che è stato condannato anche in appello per concorso esterno, ma l'elenco dei parlamentari sotto inchiesta per collusioni con le organizzazioni criminali è lungi dall'essersi esaurito. A Saverio Romano, leader del Pid e responsabile dell'Agricoltura, potrebbe toccare in sorte il poco onorevole record di essere il primo ministro della Repubblica a finire sotto processo per mafia. Un suo collega di schieramento, il deputato del Pdl e leader del partito in Campania, Nicola Cosentino, invece, sotto processo c'è già. È indagato per concorso esterno in associazione mafiosa anche il senatore Antonio D'Alì, tessera numero uno di Forza Italia a Trapani. Mentre la procura di Palermo ha da qualche mese messo sotto inchiesta il senatore Pdl Carlo Vizzini che, nell'indagine sul tesoro di Ciancimino, è chiamato in causa per corruzione aggravata dall'aver favorito Cosa nostra. Peccati di gioventù. Nel background dei parlamentari non c'è solo la stagione delle mazzette. Il certificato penale di alcuni di loro è rimasto sporco dagli anni delle lotte giovanili. Marcello De Angelis, oggi deputato del Pdl e in passato militante dell'organizzazione di destra Terza posizione, è stato condannato a 5 anni e mezzo per sovversione e banda armata, tre dei quali scontati in carcere. L'ex missino Domenico Nania, che oggi è vicepresidente del Senato in quota Pdl, si porta appresso una condanna per lesioni volontarie emessa nel 1969 in seguito ad alcuni scontri con giovani comunisti. Nel gruppo parlamentare della Lega alla Camera siede invece Matteo Bragantini, condannato in appello nel 2008 per "propaganda di idee razziste". Le mani in tasca ai condannati. Poi ci sono i reati portati in eredità dai parlamentari che in passato sono stati amministratori locali. Francesco Rutelli, ad esempio, è stato condannato dalla Corte dei Conti a risarcire il Comune di Roma per circa 60 mila euro per alcune consulenze da lui assegnate quando era sindaco. Il senatore dell'Mpa Giovanni Pistorio è stato chiamato dalla magistratura contabile a rispondere di un danno erariale di 50 mila euro per la propaganda anti-aviaria fatta quando ricopriva il ruolo di assessore alla Sanità in Sicilia. Ben più salato il conto presentato all'ex presidente della Croce Rossa Maurizio Scelli: 900 mila euro per irregolarità nell'acquisizione di servizi informatici. Può costare cara, nel senso proprio del termine, anche l'attività di ministro: la magistratura contabile ha condannato al pagamento di circa 100mila euro l'ex Guardasigilli Roberto Castelli (ora sottosegretario alle infrastrutture) per il danno procurato attraverso la stipula di due contratti di consulenza alla società Global Brain. Castelli, per lo meno, è stato chiamato a dividere la spesa con due suoi ex collaboratori. Fra i quali c'è un nome ricorrente, nelle cronache di questi giorni: quello di Alfonso Papa, che del ministro leghista fu vice capo di gabinetto. 22 luglio 2011
LA REGIONE La Sicilia dei record: uno su tre è indagato La Sicilia dei record: uno su tre è indagato Palazzo dei Normanni, sede dell'Assemblea regionale siciliana Nell'Assemblea regionale 28 deputati su 90 hanno avuto o hanno ancora a che fare con la giustizia. L'ultimo della lista è Cateno De Luca. Arrestato dai Pm per "tentata concussione". Non mancano i condannati con sentenza definitiva PALERMO - Uno su tre è indagato, sotto processo oppure è già stato condannato per reati che vanno dal peculato alla truffa, passando per associazione mafiosa e abusi d'ufficio vari. Un record, quello dell'Assemblea regionale siciliana, che vede 28 deputati su 90 nella poco onorevole lista di persone che hanno avuto o hanno ancora a che fare con la giustizia. L'ultimo in ordine di tempo a essere finito agli arresti domiciliari è stato il deputato autonomista di Sicilia Vera, Cateno De Luca: i pm lo hanno arrestato per "tentata concussione" nella compravendita di un terreno nel suo Comune, Fiumedinisi, del quale è anche sindaco. A precedere De Luca, il Pid Fausto Fagone, finito in carcere per concorso in associazione mafiosa nell'ambito dell'inchiesta Iblis: la stessa inchiesta che vede indagato il presidente della Regione Raffaele Lombardo e il deputato Giovanni Cristaudo. Ma le cronache siciliane ormai settimanalmente raccontano di politici regionali coinvolti in inchieste giudiziarie: agli arresti domiciliari è finito pure Riccardo Minardo, esponente dell'Mpa accusato di truffa ai danni dello Stato e dell'Unione europea. In manette anche Gaspare Vitrano, parlamentare del Partito democratico arrestato mentre intascava una presunta tangente per il fotovoltaico. Tra gli scranni dell'Assemblea regionale non mancano poi i condannati con sentenza definitiva e quelli che per evitare lunghi processi hanno patteggiato la pena. In questo secondo elenco c'è a esempio il deputato e sindaco di Messina, Giuseppe Buzzanca, che nel suo palmares vanta una non onorevole condanna definitiva per peculato: utilizzò l'autoblu fino in Puglia per partire in crociera con la moglie. Mentre Salvino Caputo, collega del Pdl che presiede la commissione Attività produttive, è stato condannato a due anni (pena sospesa) per abuso d'ufficio e falso ideologico in atto pubblico: secondo il Tribunale di Palermo, l'ex sindaco di Monreale nel 2004 avrebbe dispensato dal pagamento di multe automobilistiche un assessore e l'autista del vescovo. 22 luglio 2011
LA TABELLA Tutti i deputati sotto processo Sono 84 i parlamentari che hanno pendenze con la giustizia: 59 alla Camera e 31 al Senato. Tra questi, 29 hanno ricevuto una sentenza di condanna, 9 hanno beneficiato di una prescrizione e 5 sono stati condannati dalla Corte dei conti. Il Popolo delle libertà batte tutti, segue il Pd e la Lega. Nella tabella la top ten dei partiti
PARTITO TOTALE CAMERA SENATO PDL 49 29 20 PD 11 7 4 LEGA 6 4 2 UDC 5 4 1 RESPON SABILI 5 4 1 API 1 0 1 IDV 1 1 0 MISTO 6 3 3 22 luglio 2011
I processi del Cavaliere La storia dei tre casi che 'costringono' Berlusconi nelle aule di tribunale. Corruzione in atti giudiziari per l'affare Mills, fondi neri per i diritti tv Mediaset, appropriazione indebita nell'affare Mediatrade. Le ipotesi
LA SCHEDA di EMILIO RANDACIO Mediaset, Mills e Mediatrade 20 anni di accuse per Berlusconi Mediaset, Mills e Mediatrade 20 anni di accuse per Berlusconi Il legale inglese David Mills. Secondo i magristrati: "Mentì per salvare Berlusconi" Corruzione in atti giudiziari per l'affare Mills, fondi neri per i diritti tv Mediaset, appropriazione indebita nell'affare Mediatrade. Le ipotesi dei magistrati, le accuse e i reati commessi: sono tre i processi ancora aperti a carico del Cavaliere Il caso Mills. Al premier viene contestato il reato di concorso in corruzione in atti giudiziari, per aver compensato l'avvocato inglese David Mills con 600 mila dollari, per il suo silenzio, quando venne ascoltato come testimone a Milano nei processi contro il gruppo Fininvest. La posizione di Mills è stata stralciata e la Corte di Cassazione lo ha riconosciuto colpevole dell'accusa, applicando però la prescrizione. Mills, alla fine degli anni '80, nella veste di consulente della società di Silvio Berlusconi, è stato l'"architetto" del reparto estero del gruppo, attraverso la creazione di società off shore. Nei dibattimenti sulle tangenti alla Guardia di Finanza e sui fondi neri All Iberian, il suo contributo poteva essere decisivo per l'accusa per decidere le sorti dei due processi in cui era imputato anche il premier. L'accusa, sostenuta dai pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, si basa su una serie di rogatorie all'estero, ma soprattutto sulle dichiarazioni dello stesso Mills, rese nell'estate di sette anni fa ai magistrati milanesi. "Il Signor B. (inteso come Silvio Berlusconi, ndr) - disse a verbale il legale inglese - mi volle ricompensare". E in una lettera acquisita agli atti, l'avvocato scriveva che la causale di tanta generosità era "il modo in cui avevo reso la mia testimonianza - non ho mentito ma ho superato curve pericolose - che tenne "Mr. B." fuori dai guai nei quali l'avrei gettato se solo avessi detto tutto quello che sapevo". Subito dopo questo interrogatorio, Mills ritrattò, senza più presentarsi davanti ai giudici. A conferma della sua tesi, oltre ai versamenti di denaro, la procura ha poi raccolto anche le testimonianze dei suoi commercialisti inglesi ai quali il loro cliente spiegò quella che era la vera ragione di quei 600 mila dollari che si era trovato sul conto bancario. Il processo che si sta celebrando a Milano, ha dei margini operativi piuttosto ristretti. Entro l'inizio del 2012, infatti, bisognerà giungere in Cassazione, altrimenti interverrà la prescrizione. L'inchiesta Mediatrade. A Silvio Berlusconi i pm milanesi Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, contestano i reati di appropriazione indebita e frode fiscale. Tra gli imputati (in totale sono 12), ci sono anche il figlio del premier, Pier Silvio, Fedele Confalonieri (per loro l'accusa è solod i frode), alcuni tra manager in carica ed ex del gruppo Mediaset e l'agente cinematografico di origini egiziane, Frank Agrama. Secondo l'accusa, gli imputati, tra cui il Cavaliere, "operando all'interno di un sistema di frode, utilizzato dalla fine degli anni '80, in forza del quale i diritti di trasmissione forniti dalle major Paramount e in misura minore altri produttori internazionali, invece che direttamente dai fornitori, venivano acquistati da Mediaset a prezzi gonfiati per il tramite di società di comodo riconducibili ad Agrama". In totale, il raggiro , si attesterebbe "nel periodo 2000-2005 complessivamente in 34 milioni di dollari". Il denaro veniva "trasferito a partire dal 1999 dalla società Mediatrade, e successivamente da Rti (Reti televisive italiane, ndr), alla società Olympus trading a titolo di pagamento dei diritti". La frode fiscale, invece, secondo la procura sarebbe iniziata nel 2005 e sarebbe andata avanti fino al 2008, per un importo totale di tasse non pagate che si aggira sugli 8 milioni di euro. Il procedimento è in corso davanti al gup Maria Vicidomini. Serviranno diversi mesi prima di sapere se il premier verrà rinviato a giudizio o prosciolto, dopo lo stop della Consulta sul "legittimo impedimento". La prescrizione dovrebbe intervenire non prima del 2013. Processo Mediaset. Falso in bilancio e frode fiscale. Erano le accuse che la procura di Milano muoveva, originariamente, contro Silvio Berlusconi nel processo ribattezzato Mediaset, sui presunti fondi neri creati attraverso l'acquisto dei diritti televisivi delle major americane. Da questo filone si è aperto un nuovo capitolo, quello Mediatrade, in cui al Cavaliere è contestata anche l'appropriazione indebita. Secondo i pm milanesi, Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, Mediaset avrebbe creato fondi neri fino al 2003, per sottrarre soldi al fisco e avere all'estero una disponibilità extrabilancio. Nel novembre del 2007, il Tribunale presso cui si svolge il processo, ha dichiarato prescritto il reato di falso in bilancio. Ipotesi che, secondo il canovaccio dell'accusa, era stata commesso "fino al 9 aprile del 2001". L'indagine, partita agli inizi del 2001, ha scoperto un metodo secondo cui, attraverso la mediazione dell'agente di origini egiziane, Frank Agrama, Mediaset sovrafatturava il prezzo dei format televisivi acquistati dalle case di produzioni statunitensi, del calibro della Paramount. I pagamenti avvenivano attraverso conti esteri. Le major erano all'oscuro, però, di praticare prezzi fuori mercato a Mediaset, la differenza finiva in conti legati alle società di Agrama, che, attraverso una triangolazione bancaria, li restituiva all'estero agli imputati. Secondo il capo d'imputazione, Agrama "era il socio occulto" dei vertici Mediaset. De Pasquale e Spadaro, nel capo di imputazione, hanno riassunto le operazioni illecite con queste parole: gli indagati "si appropriavano di risorse finanziarie della società Fininvest spa, dal1995, di Mediaset attraverso plurime operazioni di trasferimento di ingenti somme di denaro, aventi come causale in tutto o in parte fittizia del pagamento di diritti televisivi". I beneficiari della sottrazione, sempre secondo l'accusa, erano "conti correnti intestati a prestanome di Silvio Berlusconi". Il filone Mediaset si è dovuto per due volte stoppare: prima per la riforma del "Lodo Alfano" e poi per il "legittimo impedimento". Dopo le sentenze della Consulta, è ripreso il 28 febbraio scorso. La prossima udienza è fissata per il 13 giugno prossimo, quando proseguirà l'audizione dei testimoni. Su questo processo, le possibilità di evitare la prescrizione, sono ridotte. Entro la fine del 2012, infatti, dovrà arrivare definitivamente in Cassazione. 22 aprile 2011
L'ANALISI di LIANA MILELLA Caccia alla prescrizione brevissima per i tre incubi del Cavaliere Caccia alla prescrizione brevissima per i tre incubi del Cavaliere Il processo Mills si prescriverebbe nel febbraio 2012, Mediaset nel giugno 2014 e Mediatrade nel 2019. I legali di Berlusconi e i suoi gruppi parlamentari hanno trovato una strada per tagliare i tempi previsti dalla legge e "uccidere" i tre dibattimenti ROMA - Tre processi, tre incubi. Antichi. Valutati negli anni solo per un aspetto. Che ovviamente li accomuna tutti e tre. Quando sono destinati a "morire". Quando finiranno prescritti. Per i tre dibattimenti storici di Berlusconi - Mills (corruzione), Mediaset (frode fiscale e appropriazione indebita), Mediatrade (idem) - sono tre le date segnate in rosso sul calendario: febbraio 2012 (Mills), giugno 2014 (Mediaset), 2019 (Mediatrade). Su queste date i giuristi del Cavaliere, ormai da anni, almanaccano per trovare la mannaia giusta. Se per il caso Ruby la parola magica è "competenza", qui è "prescrizione". Come accorciarla, come ridurla, come anticiparla. È dall'inizio della legislatura, primavera 2008, che l'ipotesi di tagliare ancora i tempi di estinzione dell'azione penale rispunta a ogni legge sulla giustizia. La Cirielli, ultimo intervento in ordine di tempo sulla prescrizione che l'ha rimaneggiata e ridotta, risale al 2005. Anche allora per i vecchi processi del Cavaliere (Sme e lodo Mondadori). Ma adesso non basta più. Serve una prescrizione ancora più breve. L'hanno scritta apposta calcolando i mesi, addirittura le settimane. L'hanno piazzata nell'unico contenitore legislativo che avevano a disposizione. Quel "processo breve" che, fino a un anno prima, era sembrato la panacea per chiudere d'un colpo sia il caso Mills che quello Mediaset. Un processo che, per legge, non poteva durare più di sette anni e mezzo, tre in primo grado, due in secondo, uno e mezzo in Cassazione. Una legge da applicare anche ai processi in corso. Così l'avevano approvata al Senato. Ma nel percorso verso la Camera Napolitano s'è messo di mezzo. Ha scomposto i giochi. Ha posto un niet su una legge immediatamente operativa che, assieme ai processi di Berlusconi (forse sarebbe rimasta fuori solo Mediatrade), avrebbe "ucciso" centinaia di dibattimenti. Forte l'allarme dell'Anm al punto da scuotere nel profondo il capo dello Stato. Che al Guardasigilli Angelino Alfano ha fatto recapitare un appunto su quello che doveva essere modificato nella legge. Qui è nata la prescrizione breve. Una nuova figura giuridica creata ad hoc dai giuristi del premier per il premier medesimo. Potranno fruirne solo gli incensurati, coloro che si trovano sotto processo, ma non hanno altre condanne precedenti. Potranno sfruttarla più di una volta, a cascata, prescritti nel primo processo, poi in un eventuale secondo, ancora in un terzo. Così all'infinito. C'è la fotografia di Berlusconi in questa norma, un solo articolo. Egli, se la legge passa, scamperà il processo Mills, da incensurato. Poi quello Mediaset, sempre da incensurato. E ancora, se riuscirà ad evitare nel frattempo una condanna per il caso Ruby, eccolo assolto anche per Mediatrade. Il meccanismo? Semplice: oggi la prescrizione è pari al massimo della pena prevista per un reato aumentata di un quarto della pena medesima per compensare i ritardi maturati via via nel processo. Con la legge che è già stata approvata dalla Camera, con uno scontro durissimo con l'opposizione, i tempi vengono rimodulati così: sempre il massimo della pena, ma con l'aggiunta solo di un sesto. Una manciata di mesi, quanti ne bastano. La corruzione contestata nel caso Mills scadeva in dieci anni? Adesso lo farà in nove anni e quattro mesi. Sei mesi salvifici e magici che anticiperanno la "morte" del dibattimento. Idem per Mediaset, da giugno 2014 all'autunno 2013. Più difficili i calcoli per Mediatrade. Ma in quel caso, come per Mediaset, il tempo lavora a favore di Berlusconi. Il quale si è già fatto inventare un'altra soluzione tampone per Mediaset. Un conflitto di attribuzioni, sollevato questa volta da palazzo Chigi, contro i giudici che non avevano riconosciuto come valido il legittimo impedimento rappresentato da un consiglio dei ministri tenuto di lunedì (fatto rarissimo, per non dire unico). Se dichiarato ammissibile, quel conflitto può far sospendere il processo, a patto che passi, come per il conflitto omologo per la competenza su Ruby, la norma per mettere sullo stesso piano e usare le stesse regole per fermare i dibattimenti in caso di conflitto. Per Mediatrade chissà, magari Berlusconi riuscirà a scalare il Quirinale e imporre un lodo Alfano costituzionale, processi sospesi per le alte cariche, capo dello Stato e premier in testa. 07 maggio 2011
IL COMMENTO La menzogna del potere di MASSIMO GIANNINI La menzogna del potere Il potere mente. Per abitudine alla manipolazione e per istinto di conservazione. Non c'è bisogno di aver letto la prima Hannah Arendt, o l'ultimo Don De Lillo, per sapere che "lo Stato deve mentire", o che il governo tecnicamente totalitario "fabbrica la verità attraverso la menzogna sistematica". Ma nessun potente mente con la frequenza e l'impudenza di Silvio Berlusconi. Non pago di aver danneggiato il Paese che governa, in un drammatico e surreale "colloquio" elemosinato a Obama a margine di un vertice tra gli Otto Grandi del pianeta, il presidente del Consiglio torna sul luogo del delitto. E, dopo aver inopinatamente e irresponsabilmente denunciato al presidente americano la "dittatura dei giudici di sinistra", lo "perfeziona", raccontando la stessa delirante bugia agli altri leader del G8. Abbiamo già detto quale enorme discredito rappresentino, in termini di immagine internazionale, le parole scagliate contro l'Italia dall'uomo che dovrebbe rappresentarla al meglio nel mondo. Abbiamo già detto quali enormi "costi" imponga allo Stato, in termini di credibilità istituzionale, questo vilipendio della democrazia e dei suoi organismi. Ma è necessario, ancora una volta, squarciare la cortina fumogena con la quale il premier manomette i fatti, e denunciare l'ennesima menzogna sulla quale costruisce il teorema della "persecuzione giudiziaria". A Deauville, in una conferenza stampa costruita come una disperata requisitoria contro tutto e contro tutti, Berlusconi compie l'ultima metamorfosi: da comune inquisito si trasforma in Grande Inquisitore. Accusa le "toghe rosse", insulta "Repubblica" e i giornalisti, "colpevoli" di non indignarsi di fronte allo "scandalo delle 24 accuse che mi riguardano, tutte cadute nel nulla". "Vergognatevi", tuona furente il presidente del Consiglio, calato nella tragica maschera dostoevskiana dei Fratelli Karamazov. Dovrebbe vergognarsi lui, per aver violentato ancora una volta la verità. A sentire il Cavaliere e i suoi "bravi", i processi che lo riguardano cambiano secondo gli umori e le stagioni. L'altro ieri aveva parlato di "31 accuse". In passato si era definito "l'uomo più perseguitato dell'Occidente, con 106 processi tutti finiti con assoluzioni". La figlia Marina ha evocato "26 accuse cadute nel nulla". Paolo Bonaiuti ha rilanciato con "109 processi e nessuna condanna". In realtà, come ha ricordato più volte Giuseppe D'Avanzo su questo giornale, i processi affrontati dal premier sono 16. Quattro sono ancora in corso: processo Mills (corruzione in atti giudiziari), diritti tv Mediaset (frode fiscale), caso Mediatrade (appropriazione indebita) e scandalo Ruby (concussione e prostituzione minorile). Negli altri 12 processi, solo tre sono state le sentenze di assoluzione: in un caso con "formula piena" (Sme-Ariosto/1, per corruzione dei giudici di Roma), negli altri due con "formula dubitativa" (Fondi neri Medusa e Tangenti alla Guardia di Finanza). Gli altri 9 processi si sono conclusi con assoluzione, ma solo grazie alle leggi ad personam, fatte approvare nel frattempo dai suoi governi. Nei processi All Iberian/2 e Sme-Ariosto/2 il Cavaliere è assolto dalla legge che ha depenalizzato il falso in bilancio. Nei processi sull'iscrizione alla P2 e sui terreni di Macherio è assolto perché i reati sono estinti e le condanne cancellate dall'apposita amnistia. Nei rimanenti 5 processi (All Iberian/1, affare Lentini, bilanci Fininvest 1988/1992, fondi neri del consolidato Fininvest e Lodo Mondadori) il premier è assolto grazie alle "attenuanti generiche", che gli consentono di beneficiare della prescrizione (da lui stesso fatta dimezzare con la legge Cirielli) e che operano sempre nei confronti dell'imputato ritenuto comunque "responsabile del reato". Questa è dunque la verità storica, sull'imputato Berlusconi. A dispetto delle "persecuzioni" che lamenta, e delle "assoluzioni" che rivendica. Bugiarde, le une e le altre. È penoso doverlo ricordare. Ma è anche doveroso, alla vigilia di un turno elettorale che può cambiare il corso di questa disastrosa legislatura. E può spazzare via, finalmente, i danni e gli inganni compiuti dal Grande Inquisitore di Arcore. m. gianninirepubblica. It (28 maggio 2011)
BERLUSCONI A GIUDIZIO di PIERO COLAPRICO Dalla notte della nipote di Mubarak al processo per il bunga bunga Dalla notte della nipote di Mubarak al processo per il bunga bunga Il premier sarà di fronte ai giudici di Milano il 31 maggio. Le accuse: concussione e prostituzione minorile. Tutto è iniziato il 27 maggio a causa di Ruby, portata in Questura per un furto. Prima e dopo, le serate a luci rosse di Arcore e tante ragazze disponibili. Alcune però hanno parlato di "riti sessuali" MILANO - E' facile non farsi frastornare dall'eccesso di informazioni sul caso di Karima El Mahroung, detta Ruby "Rubacuori", e delle sue notti da minorenne nella Villa San Martino di Arcore. Basta mettere in fila, in ordine cronologico, alcune date, a cominciare dalla notte tra il 27 e il 28 maggio del 2010. Corso Buenos Aires-Questura. Karima, nata il primo novembre del 1992, viene riconosciuta da una ballerina in corso Buenos Aires. Le ha rubato, questo il senso della denuncia, 3mila euro da un cassetto di casa, quando era sua ospite. Arriva la volante Monforte Bis e, dopo una sosta al commissariato di via Poma, Ruby finisce alla questura centrale di via Fatebenefratelli. Il sostituto dei minori, Annamaria Fiorillo, ha disposto che entri in una comunità. E' stata categorica con l'agente che ha fermato Ruby, le trascrizioni del 113 sono chiarissime. Ma, alle 23.49, Silvio Berlusconi chiama da Parigi, dov'è in missione estera, il capo di gabinetto Pietro Ostuni. Gli dice che sta mandando "la consigliera ministeriale Minetti" (carica inesistente) perché le sia "affidata" la minorenne fermata. "E' una nipote del presidente egiziano Mubarak", racconta Berlusconi. Le procedure d'identificazione, secondo l'accusa, si sveltiscono e una minorenne marocchina, fermata per furto, trasformata in "egiziana", esce dalla questura insieme con due donne: Nicole Minetti, ex cubista entrata con il Pdl in politica, e Michelle Coinceicao, brasiliana, bella, ex amante di un amico di Berlusconi, ma da tempo senza un mestiere vero. Sulla sua agenda, accanto al nome Ruby è scritto "troia". La rissa del 5 giugno. Via Villoresi 19, zona Naviglio, ma molto poco glamour. In un piano ammezzato, due donne litigano così forte che arrivano due volanti, chiamate dai vicini. Ruby denuncia di essere stata picchiata da Michelle e finisce alla clinica pediatrica (è minorenne). Interviene ancora la magistratura minorile, che le vieta ogni contatto con Nicole Minetti e la manda in una comunità di suore. Ma Lele Mora, titolare dell'agenzia di spettacolo fallita, personaggio molto chiacchierato nonostante sia spesso sponsorizzato dalle tv berlusconiane, chiede di adottarla. Gli interrogatori di Ruby. Una storia simile, che sembrava passare inosservata, per varie circostanze finisce alla procura milanese. Prima il procuratore aggiunto Pietro Forno, poi il sostituto Antonio Sangermano, interrogano Ruby. Quattro interrogatori (l'ultimo del 3 agosto) diventano i pilastri dell'accusa. Ma non perché Ruby sia credibile e venga creduta, attenzione. Ma perché Ruby viene trattata come "un testimone di mafia", cioè ogni sua "verità" viene riscontrata. I tre input decisivi. Delle tante frasi di Ruby, alcune hanno valore come ipotesi di reato. La minorenne racconta le feste ad Arcore. Parla per prima del "bunga bunga" come di un "rito sessuale", descrive donne che si spogliano e ballano davanti a Berlusconi, che si toccano e lo toccano. Racconta, con trasparente invidia, delle ragazze che hanno "le case gratis", un argomento sul quale lei, scappata di casa e senza documenti, è molto sensibile. Nomina alcune di queste ragazze. Dice che lo chiamano "papi". I riscontri. In una telefonata tra una parlamentare Pdl ed Emilio Fede, direttore del Tg 4, rispunta, ad agosto, il termine "bunga bunga". Ma saranno alcune ragazze, ospitate quasi per caso ad Arcore, a confermare l'esatto significato della festa a luci rosse che vede Berlusconi, spesso, come "unico protagonista maschile". Una, Melania Tumini, è amica di Nicole Minetti e parla di "puttanaio". Due, Ambra Battilana e Chiara Danese, selezionate da Fede, raccontano persino della statua con un fallo che circola a tavola e di ragazze che, spogliandosi, cantano "Meno male che Silvio c'è". Un'altra, portata da Lele Mora, si dice "Inorridita". Quello che sembrava incredibile agli stessi detective, diventa concreto: il sesso multiplo e promiscuo a casa del premier, dove le ragazze entrano senza controlli, e spesso si tratta di ragazze senz'arte né parte, escort, "disperate delle favelas", è giudiziariamente dato per scontato. Sicuri, per l'accusa, anche i pagamenti e gli affitti gratis, attraverso la cassa-continua rappresentata per le papi-girl dal ragionier Spinelli, antico collaboratore di Berlusconi. Il 28 ottobre. Qualche "spiffero" trapela, ma l'inchiesta sembra blindata. Finché il 26 ottobre Il Fatto quotidiano rivela che c'è un'inchiesta che riguarda Berlusconi e i suoi rapporti con una ragazza marocchina minorenne. Il 28 ottobre Repubblica racconta i principali contenuti dell'indagine: il bunga bunga, la telefonata del premier alla questura milanese, la "balla" di aver spacciato la minorenne marocchina per la nipote del presidente egiziano Mubarak. Il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati chiede a Ilda Boccassini, procuratore aggiunto dell'antimafia, di entrare nella fase calda delle indagini. Cominciano gli interrogatori dei poliziotti, vengono chieste alcune verifiche tecniche al Servizio Centrale Operativo. Si scopre che Ruby ha mentito: ha detto di essere stata ad Arcore tre volte, c'è stata quattordici giorni, in molti week end di festa. Il 14 gennaio. Scattano le perquisizioni alle numerose papi-girl che abitano a Milano, quasi tutte nella Dimora Olgettina, via Olgettina 65, e a Napoli. Quando i poliziotti bussano alla porta dell'ufficio del ragioni Spinelli, viene opposto il divieto, perché "sede di un parlamentare", cioè Berlusconi. I magistrati milanesi spedicono allora alla camera dei Deputati l'invito a comparire per Silvio Berlusconi, iscritto nel registro degli indagati il 21 dicembre. Pochi giorni dopo, viene inviato anche l'invito a comparire per Nicole Minetti. Processo a Berlusconi il 31 maggio. Con l'accusa di essere cliente di una prostituta minorenne (Ruby) e di concussione (la telefonata alla questura), Berlusconi viene rinviato a giudizio dal gup Cristina Di Censo. Dopo un'udienza di smistamento, che ha visto un sovraffollamento di giornalisti, il prossimo 31 maggio il processo entra nel vivo. Nel frattempo, la parte di centrodestra del parlamento sta cercando di bloccare ogni iniziativa giudiziaria che vede Berlusconi imputato o indagato. Fede, Mora, Minetti. Un altro processo penale è però alle porte. Riguarda Emilio Fede, come selezionatore di ragazze; Lele Mora come procacciatore; e Nicole Minetti come "addestratrice" di quel gruppo di papi-girl che frequentavano e frequentano a pagamento il premier che, in questo caso, è considerato (copyright dell'avvocati Niccolò Ghedini) l'"utilizzatore finale". Berlusconi sinora s'è difeso spiegando che "aiuta tante persone che hanno bisogno". 21 aprile 2011
L'ANALISI di LIANA MILELLA Convenzione, competenza, conflitto Così si cerca di bloccare il processo Convenzione, competenza, conflitto Così si cerca di bloccare il processo L'avvocato Niccolò Ghedini Una norma ad hoc sul merito dei reati del caso Ruby era praticamente impossibile. Perciò i legali del premier stanno battendo complesse strade giuridiche con l'obiettivo di fermare il dibattimento ROMA - Pure i giuristi super esperti di leggi ad personam che circondano il Cavaliere si sono resi subito conto che chiudere con una norma ad hoc il processo Ruby sarebbe un'impresa praticamente impossibile. I reati contestati, prostituzione minorile e concussione, con difficoltà si prestano anche alla più ardita delle costruzioni giuridiche. La parola magica, a quel punto, è diventata solo una: la competenza. Quella regola per cui un reato viene "trattato" dal suo giudice "naturale", quello del luogo dove esso è stato commesso. Milano, secondo i pm della procura di Milano. Monza e il tribunale dei ministri, secondo la difesa di Berlusconi, gli avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo. L'ordine è diventato solo uno: spostare il processo per metterlo su un binario morto. Ci hanno provato in due modi, il primo sulla prostituzione rivelatosi debole, il secondo, sulla concussione, lento. Partiamo dal primo, il reato di prostituzione a danno di una minore, visto che Ruby, all'epoca dei rapporti con Berlusconi, non aveva ancora compiuto 18 anni. I legali del premier hanno cercato di sfruttare un contenitore, la convenzione europea di Lanzarote sui reati commessi ai danni dei minori, che da tempo attende in Parlamento di essere approvata per entrare a pieno titolo nella legislazione italiana. L'idea era semplice, ma si è arenata. Quella di trasferire la competenza ad indagare sui reati di violenza contro i minori, prostituzione in testa, dalle procure distrettuali a quelle più piccole, quelle ordinarie. Da Milano a Monza per intenderci, questa avrebbe potuto essere il cammino a ritroso del caso Ruby. Con la scusa che nelle grandi procure c'è troppo da fare e le violenze sui piccoli e sui deboli rischiano di passare in secondo piano. A quel punto, se la norma (che è ancora ferma al Senato) dovesse passare, la competenza sul reato di prostituzione minorile passerebbe dalla competenza della procura di Milano a quella di Monza. Ma l'intervento è apparso subito debole, soprattutto perché non risolve il problema dell'intero processo, dove il reato "forte" è la concussione. Quella commessa da Berlusconi quando, la notte del 26 maggio 2010, chiama il funzionario della questura di Milano, il dottor Ostuni, per vendergli la patacca di Ruby nipote dell'allora presidente egiziano Mubarak e chiederne l'immediata liberazione. Quello è il nodo da aggredire. Reato ministeriale, ha sentenziato subito Ghedini, quindi da attribuire per competenza al tribunale dei ministri. Lì avrebbe dovuto mandarlo subito la procura di Milano, anziché tenersi l'inchiesta e chiedere addirittura il rito immediato. In questo modo, dicono gli avvocati del premier, hanno posto le premesse per mettere nel nulla l'intero processo che, a un certo punto, sarà azzerato per via di atti non più validi. Per sostenere questa tesi è stato costruito il conflitto di attribuzioni, sollevato dalla Camera davanti alla Corte costituzionale, perché un suo componente, Berlusconi per l'appunto, è stato privato dei suoi diritti di premier. Egli, secondo la sua difesa, ha fatto la telefonata in questura, l'ha fatta in quanto premier, e quindi il suo presunto reato è di esclusiva competenza del tribunale dei ministri. La maggioranza alla Camera ha fatto muro, decisa nell'ottenere il voto a favore del conflitto, che c'è stato il 5 aprile, dopo una durissima battaglia prima nella giunta per le autorizzazioni e poi in aula. A favore Pdl, Lega, i Responsabili. Contro Pd, Idv, il Terzo polo di Fli, Udc, rutelliani. Tocca alla Consulta adesso decidere innanzitutto se il conflitto proposto è ammissibile, e poi se il premier ha ragione o se Milano può andare avanti. Ma c'è un "ma". Al quale adesso si sta cercando di porre rimedio. Perché il conflitto di attribuzioni non ferma d'obbligo il processo (anche se gli avvocati dicono di sì), come succede per i ricorsi alla Consulta dei giudici. E qui i berluscones se ne sono inventata un'altra. Giusto una leggina, la blocca-Ruby, che obbliga i giudici a fermare per forza il processo anche di fronte ai conflitti di attribuzioni. Così il processo, in attesa della Consulta, almeno si dovrà mettere in pausa. Norma non ancora presentata, anche se è questione di giorni. Finirà al Senato, in quello che è stato definito "processo lungo". Norme per dare più potere agli avvocati e bloccare l'uso delle sentenze definitive. In più la blocca-Ruby che, dopo il passaggio alla Camera, fermerà il dibattimento. 06 maggio 2011
L'INCHIESTA Fondi neri di Finmeccanica indagato il presidente Guarguaglini Ipotizzato il reato di frode fiscale e false fatturazioni. La procura: "Usò denaro extracontabile degli appalti Enav per pagare provvigioni a Cola". La collaborazione dell'imprenditore Tommaso Di Lernia: i soldi usati anche per pagare la politica di CARLO BONINI Fondi neri di Finmeccanica indagato il presidente Guarguaglini Pier Francesco Guarguaglini ROMA - Pier Francesco Guarguaglini è indagato per frode fiscale e false fatturazioni. Dopo un anno di lavoro istruttorio, cade l'ultimo diaframma e l'inchiesta della Procura di Roma sui fondi neri di Finmeccanica travolge con un'ipotesi di reato di una qualche gravità (reclusione fino a 9 anni) il suo presidente, il manager che ha sin qui posato da sopravvissuto alla tempesta giudiziaria che ha investito la holding e che, non più tardi del 4 aprile scorso, il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ha confermato al vertice 1 del colosso degli armamenti. Il pm Paolo Ielo e il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo accusano Guarguaglini di aver creato o comunque autorizzato fondi extracontabili attraverso una almeno delle società controllate dal Gruppo (la "Selex"), disponendone l'uso per il pagamento di "provvigioni nere" di cui non doveva restare traccia, e ne hanno dunque iscritto il nome al registro degli indagati insieme a quelli di Lorenzo Borgogni, capo delle relazioni esterne della holding, Lorenzo Cola, per anni "facilitatore" del Gruppo (e oggi agli arresti domiciliari), Marco Iannilli e Tommaso Di Lernia, gli "imprenditori" (diciamo così) utilizzati per creare e distribuire le provviste nere della "Selex", società di cui è amministratore delegato Marina Grossi, moglie di Guarguaglini. L'iscrizione del presidente di Finmeccanica risale ai primi mesi di quest'anno, ma soltanto ieri se ne è avuta l'evidenza, con la notifica agli indagati della proroga di indagine concessa alla Procura dal gip di Roma. Risale cioè ai giorni in cui Lorenzo Cola, l'uomo da cui, in modo grottesco, Guarguaglini prova a prendere le distanze dopo l'arresto (8 luglio 2010), decide tirarsi dietro l'ex padrino. Nella sua lunga e all'epoca in buona parte "omissata" collaborazione con i pm, Cola racconta infatti di aver "mediato" per conto di Finmeccanica l'acquisizione, nel 2008, della statunitense "Drs Technologies Inc.", uno dei principali contractor del Pentagono (10 mila dipendenti e un fatturato annuo superiore ai 3 miliardi di dollari). Un affare che si chiude con un prezzo di acquisto di 5 miliardi e 200 milioni di dollari (3 miliardi e mezzo di euro) e per la quale Cola ottiene da Guarguaglini una provvigione che supera, ufficialmente, gli 8 milioni di euro. Il punto - aggiunge Cola - è che solo una parte di quel denaro deve risultare in "chiaro". Il resto, dovrà essere "ritagliato" in nero. Come? È sempre Cola a spiegarlo, sostenendo che Guarguaglini lo invitò a rivalersi per quella parte di denaro che gli era ancora dovuto sui fondi neri di cui la "Selex" (di cui Cola era per altro consulente) disponeva, grazie al sistema di fatturazioni fittizie che normalmente accompagnava la concessione in subappalto alla società "Print system" di Di Lernia e Iannilli delle gare che "Selex" si aggiudicava con Enav. Un sistema che gonfiava il costo degli appalti e che naturalmente gravava per intero sulle casse pubbliche di Enav. L'indagine ancora in corso accerterà se e quali altre direzioni abbia preso il denaro ottenuto da Cola "in nero". E' un fatto - ipotizza oggi l'accusa - che Guarguaglini fosse consapevole non solo dell'esistenza di fondi neri del Gruppo (circostanza che ha sempre pubblicamente negato, accusando "Repubblica" di condurre una "campagna strumentale" e "per conto terzi"), ma anche di come funzionassero le cose nell'acquisizione degli appalti Enav, vicenda nella quale, sin qui, è rimasta coinvolta la moglie, Marina Grossi, indagata dagli stessi pm Ielo e Capaldo per corruzione. Un'ipotesi, per altro, cui il tempo ha portato nuove evidenze in grado di sostenerla. L'ultima, cruciale, è storia di queste ultime settimane. Tommaso Di Lernia, uno dei protagonisti chiave dell'indagine sugli appalti Enav e dunque sui fondi neri Finmeccanica, arrestato negli Usa ed estradato due mesi fa in Italia, ha cominciato a collaborare. Ha iniziato a indicare chi erano i destinatari delle "provvigioni nere" create dalla holding di piazza Monte Grappa e di cui lui, Di Lernia, era "il pagatore". Ieri, il gip, con parere favorevole della Procura, gli ha concesso gli arresti domiciliari e Natale Perri, il suo avvocato, non ha fatto mistero delle ragioni. "Il mio assistito è stato vessato dai suoi committenti (Enav e "Selex", ndr) che dovevano ingraziarsi settori della politica italiana". (22 luglio 2011)
2011-07-21 IL CASO Tangenti per l'area Falck Penati: "Mi autosospendo" Il vicepresidente pd del consiglio regionale, sotto inchiesta per la vicenda dell'area Falck a Sesto, abbandona per il momento la sua carica al Pirellone. "Ma sono estraneo ai fatti" Tangenti per l'area Falck Penati: "Mi autosospendo" Filippo Penati
Il vicepresidente del consiglio regionale lombardo Filippo Penati (Pd), indagato per una vicenda di tangenti, si è autosospeso dalla carica. Con una lettera inviata al presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, al presidente del consiglio regionale, il leghista Davide Boni, e ai capigruppo, Penati ha spiegato: "Ribadendo la mia totale estraneità ai fatti, per rispetto dell'istituzione mi autosospendo da vicepresidente". L'INCHIESTA Fatture false e società off shore LA SCHEDA Il più grande cantiere d'Europa L'area della Falck a Sesto "A seguito del mio coinvolgimento nella vicenda giudiziaria relativa all'area Falck di Sesto San Giovanni- scrive ancora Penati nella lettera - desidero ribadire la mia totale estraneità ai fatti. In merito anche alle notizie apparse sulla stampa voglio precisare che non ho mai chiesto e ricevuto denaro da imprenditori. Voglio altresì ribadire la mia assoluta fiducia nell'operato della magistratura". "Per profondo rispetto dell'istituzione nella quale sono stato eletto e per evitare ogni imbarazzo al Consiglio mi autosospendo dall'esercizio e dalle prerogative di vicepresidente, certo che tutto verrà completamente chiarito e confido a breve". L'annuncio dell'autospensione su Facebook "Da subito - spiega Penati - rinuncio alle prerogative connesse alla vicepresidenza, non parteciperò più all'ufficio di presidenza e già dal prossimo consiglio siederò tra i banchi dei consiglieri di minoranza. Sono certo di interpretare anche i sentimenti di chi mi ha eletto nel voler garantire in queste circostanze il massimo rispetto delle istituzioni". (21 luglio 2011)
L'INCHIESTA Fatture false e società off shore per prosciugare i fondi pubblici L'inchiesta syll'area Falck di Sesto San Giovanni in cui è coinvolto anche il pd Penati I primi sospetti arrivarono da un conto svizzero che faceva capo all'immobiliarista Zunino di EMILIO RANDACIO Fatture false e società off shore per prosciugare i fondi pubblici Una veduta dell'area ex Falck Alcune aziende-cartiera. Ma soprattutto un giro di società off shore sparse per i paradisi fiscali di mezzo mondo su cui far transitare fior di quattrini. Ma c'è anche la voglia di alcuni imprenditori di non sottostare più a un "sistema", indicare nomi, cifre e responsabilità precise. Ecco spiegato come la magistratura si è convinta di aver scoperchiato il presunto "metodo Sesto". La procura di Milano lo lambisce quasi un anno fa, indagando sulle società dell'immobiliarista Luigi Zunino e sulla gestione della società Santa Giulia. Area Falck, indagato il pd Penati LA SCHEDA Il più grande cantiere d'Europa L'area della Falck a Sesto Un'imponente area nella zona sud-est di Milano, una volta sede della Montedison, con le ambizioni di trasformarsi in un appetibile quartiere residenziale. Un progetto firmato dall'archistar Norman Foster, rimasto incompiuto, la cui vecchia gestione è stata travolta dagli scandali (prima di essere rilevata da una nuova cordata). Prima per la mancata bonifica da parte dell'imprenditore Giuseppe Grossi. Fiumi di denaro, anche di finanziamenti pubblici, la cui destinazione non è ad oggi ancora del tutto chiara. I pm Laura Pedio e Gaetano Ruta, alla fine del 2009, mettono le mani su una serie di società che emettono fatture proprio a una controllata di Zunino. Spulciando nei bilanci della Immobiliare Cascina Rubina srl si accorgono che i conti non tornano. Zunino viene indagato per appropriazione indebita. Attraverso operazioni inesistenti, sostiene la procura, avrebbe stornato dai bilanci "due milioni e mezzo di euro", depositandoli "sul conto svizzero Lugton del quale è beneficiario lo stesso Zunino". Sottotraccia, da allora, nelle mani della procura sono finite altre società-cartiera. Capaci, cioè, di fare risultare operazioni in realtà inesistenti attraverso triangolazioni con l'estero, sottrarre denaro al fisco, fare sparire molto denaro. E proprio in questo spaccato che Pedio e Ruta si sono imbattuti, alla fine del 2010, nei conti della Caronte srl (perquisita), nella gestione del suo direttore generale, Piero Di Caterina. Sarebbero state anche le sue parole, rese a verbale fino a pochi mesi fa, a svelare il 'sistema Sesto' nei trasporti. Parole, si dice oggi, che avrebbero ricevuto altri impulsi e conferme anche dal primo proprietario dell'ex area Falck di Sesto, l'imprenditore Giuseppe Pasini (ex candidato sindaco di Forza Italia sconfitto dal candidato pd Giorgio Oldrini nel 2007). È lui che avrebbe raccontato delle pesanti pressioni ricevute dagli esponenti del Pd lombardo per ottenere le varianti al Piano regolatore necessarie alla lottizzazione dell'area. Fiumi di inchiostro che hanno riempito verbali. Proprio sei mesi fa, i pm milanesi hanno passato tutte le carte ai colleghi monzesi. I presunti reati sono stati commessi fuori dalla loro giurisdizione. E in questo ristretto lasso di tempo, il procuratore Corrado Carnevale e il suo sostituto, Walter Mapelli, hanno cercato verifiche e riscontri. Avviato rogatorie all'estero, convocato testimoni che, dopo il verbale, si sono trasformati in indagati. Ora il blitz. Con un decreto di perquisizione stringato, di sole due pagine, l'accusa non intende ancora scoprire le carte. Al massimo le fa timidamente intuire. Una mossa dovuta quella di ieri, legata all'imminente scadenza delle indagini (sei mesi), che solo in parte - è la precisa sensazione - danno lo spaccato di quanto è convinta di aver provato la procura di Monza. (21 luglio 2011)
LA SCHEDA Area Falck, sulle ceneri dell'acciaieria sorgerà il più grande cantiere d'Europa La storia dell'area di Sesto San Giovanni, alle porte di Milano, finita nell'inchiesta della Procura di Monza che ha coinvolto anche il consigliere regionale pd Penati Area Falck, sulle ceneri dell'acciaieria sorgerà il più grande cantiere d'Europa Il plastico di un progetto per l'area Falck
Una storia di oltre un secolo, che racchiude in sé una parabola discendente che va dagli anni d'oro delle acciaierie Falck fino all'inchiesta per tangenti aperta dalla Procura di Monza. E' quella dell'area di Sesto San Giovanni, alle porte di Milano, che una volta rappresentava il fiore all'occhiello dell'industria lombarda e adesso è al centro della cronaca giudiziaria. Il vicepresidente del consiglio regionale della Lombardia, Filippo Penati, è indagato insieme con altre persone per concussione, corruzione e illecito finanziamento ai partiti. Illeciti che sarebbero avvenuti tra il 2001 e il 2002, ovvero quando il sito immobiliare era nelle mani della famiglia Pasini. L'area al centro dell'inchiesta La nascita delle acciaierie. Nel 1906 sorgono le acciaierie Falck a Sesto San Giovanni. Nel 1964 gli stabilimenti raggiungono il massimo splendore al punto che danno posto di lavoro a oltre 16 miladipendenti. La crisi siderurgica. Alla fine degli anni 'Ottanta, però, inizia una lunga stagione di crisi del mercato, causata soprattutto dalla forte concorrenza dei poli siderurgici extracomunitari. Nel 1996 tutti gli impianti Falck di Sesto vengono smantellati. La vendita dell'area ai Pasini. Nel 2000 Giuseppe e Luca Pasini (presidente, quest'ultimo, della Pro Sesto) acquistano dalla famiglia Falck 1,3 milioni di metri quadrati di superficie per 400 miliardi di vecchie lire. L'obiettivo è trasformare il 'vecchio dinosauro' in un quartiere di uffici per quella che allora era Banca Intesa (oggi Intesa SanPaolo), con un progetto di recupero firmato Mario Botta. Poi la banca cambia idea, però, e i Pasini invertono rotta: quartiere residenziale, case, volumetrie importanti. Un progetto che tuttavia si scontra con il piano regolatore di Sesto, accendendo un braccio di ferro durato due anni. E così, alla fine, non decolla nulla. L'era Zunino. Nel 2005 l'immobiliarista Luigi Zunino acquista l'area per 88 milioni di euro da Pasini. L'imprenditore di Nizza Monferrato, patron del gruppo Risanamento, si affida a Renzo Piano per rilanciare l'area. Travolto da una montagna di debiti per quasi 3 miliardi di euro e col rischio crack alle porte, però, deve mollare la presa e farsi da parte. La rinascita con Bizzi. Lo scorso ottobre (2010), Risanamento, ormai di proprietà delle banche creditrici di Zunino, vende per 405 milioni di euro l'intera area alla cordata immobiliare capitanata da Davide Bizzi, denominata Sesto Immobiliare. Il progetto, ambizioso, decollerà entro fine 2012. Nel piano la creazione del più grande progetto europeo di riqualificazione urbana di ex aree industriali che punta a ridisegnare l'intero territorio di Sesto. Il cantiere comporterà nuova occupazione per circa 3.000 lavoratori per un periodo di dieci anni. Una volta completata la riqualificazione, sull'intera area dovrebbero trovare lavoro più di 3.500 addetti.
RITAGLI DI CONCETTO DEL VECCHIO 21 lug 2011 Corruzione democratica Filippo Penati Filippo Penati "Altro che i birbantelli di cui parla Berlusconi: la corruzione in Lombardia si sta rivelando molto pesante" (18 febbraio 2010) "Assistiamo ad una seria sottovalutazione e a un singolare relativismo etico secondo la quale la corruzione è un fatto mondiale, quasi inevitabile. In nome del fare si finisce nella zona grigia dove la politica s’intreccia con gli affari: da lì nasce la corruzione. Ma la destra alle riforme nel segno della trasparenza preferisce le scorciatoie". (19 febbraio 2010) "Formigoni sbaglia a dire che la Lombardia è come il resto del mondo e che i casi di corruzione sono episodi isolati" (19 febbraio 2010) "In Italia mancano delle norme contro la corruzione e credo sia arrivato il momento che il Parlamento legiferi" (23 febbraio 2010) "Solo negli ultimi tre mesi i casi isolatissimi di corruzione in Lombardia di cui parla Berlusconi sono stati ben tre e tutti e tre hanno visto protagonisti esponenti della destra. Non è girandosi dall’altra parte che si ristabilisce la legalità" (24 marzo 2010) Così tuonava Filippo Penati da capo della segreteria di Bersani. Da ieri il medesimo Penati è accusato di avere intascato tangenti pari a 5,7 miliardi di lire nel 2001 per favorire alcuni imprenditori nell’urbanizzazione delle aree ex Falck a Sesto San Giovanni. Scritto giovedì, 21 luglio 2011 alle 13:50 nella categoria Senza categoria. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. Puoi lasciare un commento, o fare un trackback dal tuo sito.
Diretta Papa, la Camera dice sì all'arresto Berlusconi: "Stop a escalation di manette" Via libera dall'Aula alla richiesta della procura di Napoli con 319 voti favorevoli, 293 contrari. La votazione si è svolta in modo segreto, come chiesto da Pdl e Responsabili. Scontro in Aula fra Franceschini e Reguzzoni. "Avete scambiato il rinvio sui rifiuti per l'immunità al deputato". "Voi del Pd mettete le mani avanti". Il deputato Pdl prende la parola in aula: "Sono innocente, estraneo ad ogni accusa". (Aggiornato alle 18:48 del 20 luglio 2011) 18:48 Quagliariello: "No all'arresto di Tedesco" 54 – Gaetano Quagliariello ha chiesto, intervenendo nell'Aula del Senato, il no agli arresti domiciliari per Alberto Tedesco. Secondo il vicecapogruppo del Pdl, che è stato molto applaudito dai colleghi del suo partito, è indispensabile votare in modo segreto. Quagliariello ha anche chiesto le dimissionI di Tedesco. 18:46 Berlusconi attonito 53 – Il premier Silvio Berlusconi è rimasto attonito quando sul tabellone è comparso il risultato della votazione. E' rimasto seduto per qualche minuto in silenzio, poi si è allontanato in fretta con un breve saluto solo alle ministre Mara Carfagna e Stefania Prestigiacomo. 18:46 Papa lascia l'Aula tra gli abbracci dei colleghi 52 – Subito dopo che l'Aula della Camera ha dato il via libera alla richiesta per il suo arresto, Alfonso Papa ha lasciato l'emiciclo tra gli abbracci dei colleghi. 18:39 Silenzio e gelo in Aula dopo il voto 51 – Silenzio e gelo in Aula dopo l'annuncio dell'autorizzazione all'arresto di Papa. 18:36 Concessa autorizzazione per l'arresto di Papa, 319 voti favorevoli 50 – Concessa dalla Camera l'autorizzazione per l'arresto di Papa: 319 voti favorevoli, 298 contrari. 18:34 Cicchitto: "Confermiamo richiesta di voto segreto" 49 – "Confermiamo la richiesta di voto segreto. Il giacobinismo ha fatto tante vittime nel secolo scorso e rischia di farne altre anche in questo secolo": così il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto ha risposto alla richiesta di Pd e Udc di rinunciare al voto segreto sull'arresto di Aldonso Papa. 18:33 Franceschini: "Voteremo in modo palese, lo faccia anche la Lega" 48 – "I deputati del Pd renderanno comunque palese il loro voto con un accorgimento tecnico consentito dal regolamento. Cosi' da spazzare via le voci su dubbi relativi al voto dei nostri parlamentari. Inoltre, chiedo al capogruppo della Lega di Nord di votare con voto palese". Lo ha detto il capogruppo del Pd alla Camera, Dario Franceschini, prendendo la parola in Aula, a Montecitorio. 18:29 Appello Udc e Pd: "Rinunciamo al voto segreto" 47 – Prima l'Udc con Pier Ferdinando Casini, poi il Pd con Dario Franceschini hanno chiesto, in aula alla Camera, a Pdl e Responsabili di rinunciare al voto segreto sull'arresto di Alfonso Papa. 18:23 Berlusconi applaude Papa 46 – Alla fine dell'intervento di Alfonso Papa, nell'aula della camera, dove si vota sul suo arresto, Silvio Berlusconi applaude il suo deputato. L'intervento di papa viene applaudito anche dal pdl e dai ministri seduti ai banchi del governo. Da segnalare che Roberto Maroni è stato seduto per tutto il tempo tra i banchi della Lega. 18:21 Papa: "Dolore, ho detto ai miei figli che forse non tornerò a casa" 45 – "Io oggi, pieno di dolore, dal punto di vista umano affronto questa prova che arriva dopo diversi mesi di travaglio che non auguro a nessuno e che vivo però con un'intima serenità e una grande pace interiore": così ha detto in Aula Alfonso Papa. "Sono turbato unicamente dal pensiero dei miei figli, di dieci e dodici anni, ai quali stanotte ho dovuto spiegare come e perchè questo fine settimana potrei non tornare a casa", ha aggiunto. 18:20 Lega voterà sì a richiesta arresto Tedesco 44 – La Lega voterà sì alla richiesta di arresto per Alberto Tedesco. Lo ha annunciato in aula a palazzo Madama il senatore del Carroccio Sandro Mazzatorta. 18:19 I radicali voteranno sì sull'arresto di Papa 43 – I radicali voteranno a favore della richiesta di arresto per Alfonso Papa: Lo ha annunciato nell'Aula della Camera Rita Bernardini. 18:16 Papa: "Sono innocente" 42 – "Non ritengo di dover fare qui un appello alla difesa del Parlamento perchè io sono innocente ed estraneo nel merito a tutte le accuse che mi vengono rivolte e ritengo davanti alla mia coscienza, Dio e gli uomini, che la verità non abbia bisogno di difensori". Lo ha detto Alfonso Papa. 18:15 Papa: "Vivo il voto con serentià" 41 – Alfonso Papa, prendendo la parola Aula, dice di vivere il momento del voto con serenità. 18:12 Berlusconi: "Ottimista sul voto" 40 – "Sì". Così il premier Silvio Berlusconi , entrando in aula alla Camera risponde ai giornalisti che gli chiedono se è ottimista sull'esito sulla rihiesta di arresto nei confronti di Alfonso Papa. 18:11 Paniz (Pdl): "Non cedere al giustizialismo" 39 – "Accettando la richiesta d'arresto si cede al giustizialismo, e soprattutto si calpesta un pilastro della nostra Costituzione: la presunzione di innocenza". Lo ha detto il deputato del Pdl Maurizio Paniz, intervenendo nell'Aula della Camera nel dibattito sulla richiesta d'arresto nei confronti di Alfonso Papa avanzata dalla Procura di Napoli. 18:06 Li Gotti (Idv): "Se imputati Pdl si dimettessero, Camere vuote" 38 – "Se ogni deputato del Pdl per cui vengono chiesti gli arresti si dimettesse, si arriverebbe allo scioglimento delle camere per mancanza del numero legale". Così il senatore Idv, Luigi Li Gotti risponde al senatore Cn, Cardiello che invitava Tedesco a dimettersi. "Avremmo risolto il problema dei costi della politica, con camera e senato ridotti a 2-300 unità" conclude Li gotti, mentre dai banchi della maggioranza continuano a giungere gli inviti: "Tedesco dimettiti". 18:06 Tedesco, Idv e Udc voteranno a favore dell'arresto 37 – L'Idv e l'Udc voteranno a favore della richiesta di arresto per Alberto Tedesco. Lo hanno annunciato in aula Luigi Li Gotti per l'Italia dei Valori e Achille Serra per l'Udc. 18:04 Tedesco, Coesione nazionale voterà no all'arresto 36 – Coesione Nazionale voterà 'no' alla richiesta di arresto per Alberto Tedesco. Lo ha annunciato in aula al Senato, Franco Cardiello (Cn) che però ha chiesto a Tedesco "per quale motivo non si è dimesso. Oggi è venuto in aula a difendersi - ha osservato - ma ha ancora la possibilità di farlo". 17:59 Maran (pd): Strumentale accostare Papa a Margiotta 35 – "L'accostamento tra la vicenda di Papa con quella di Salvatore Margiotta è del tutto strumentale". Lo ha ribadito nell'Aula della Camera Alessandro Maran del Pd replicando, in dichiarazione di voto sulla richiesta di arresto per Alfonso Papa aggiungendo: "Non tutti i deputati e non tutti i partiti sono uguali". 17:52 Berlusconi: "Non voterò mai per mettere le manette a qualcuno" 34 – "Non voterò mai per mettere le manette a qualcuno, ha detto il capo del governo, sempre secondo quanto riferito da alcuni presenti. "Altrimenti - ha aggiunto il premier - di questo passo i magistrati arriveranno a minare i numeri della maggioranza e torneremmo al clima del '92". 17:35 La Lega vota a favore 33 – Lussana conferma che la "Lega Nord voterà a favore" dell'arresto di Papa. "La nostra indicazione è chiara, ma non c'è piaciuto il clima di caccia alla streghe scatenato stamattina in aula dal presidente Franceschini. Lasci stare la Lega". 17:32 Chiesto il voto segreto 32 – "Il gruppo di Popolo e Territorio ha presentato la richiesta di procedere con il voto segreto". Lo ha annunciato il capogruppo Silvano Moffa, intervenendo nell'Aula della Camera. 17:13 Bossi non è in aula 31 – Il leader della Lega Nord, Umberto Bossi, non è in aula alla Camera, dove tra poco si voterà sulla richiesta di arresto di Alfonso Papa. 17:10 Berlusconi entra alla Camera 30 – Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è arrivato alla Camera dove l'Aula a breve si esprimerà sull'arresto di Alfonso Papa. 16:52 Melchiorre al Pdl: "Servi della gleba" 29 – Daniela Melchiorre dà dei "servi della gleba" ai deputati del Pdl che la interrompono durante la sua dichiarazione di voto sulla richiesta di arresto di Alfonso Papa. 16:34 Caso Tedesco, al via la seduta al Senato 28 – E' iniziata nell'aula del Senato la seduta che deciderà sulla richiesta di arresto di Alberto Tedesco, senatore ex Pd, avanzata dal gip di Bari nell'ambito dell'inchiesta sulla sanità pugliese. A Tedesco sono imputati i reati di corruzione, concussione, turbativa d'asta e falso per il periodo in cui è stato assessore regionale alla sanità in Puglia. Il voto dell'assemblea dovrebbe arrivare intorno alle 18.30. 16:32 Pd e Idv voteranno in maniera di fatto palese 27 – 'Siamo molto soddisfatti della decisione del Pd di accogliere il nostro appello e rendere, di fatto, palese il voto. Rinnoviamo l'appello alla Lega affinchè voti come Idv e Pd, con l'indice della mano sinistra in modo visibile e riconoscibile". Lo afferma il presidente del gruppo Idv alla Camera Massimo Donadi. 16:30 Banchi del Governo semivuoti 26 – In aula è atteso il premier Silvio Berlusconi, anche se per ora i banchi del Governo sono semivuoti: vi siedono solo i ministri Stefania Prestigiacomo, Mara Carfagna, Renato Brunetta e Gianfranco Rotondi. 16:26 Berlusconi: "Escalation della magistratura 25 – "L'escalation della magistratura è passata dalle inchieste alle manette preventive...". E' l'unico passaggio, secondo quanto riferisce uno dei presenti, che Silvio Berlusconi ha dedicato al caso di Alfonso Papa durante l'incontro con i coordinatori regionali del Pdl a Palazzo Grazioli. 16:17 Orlando: "Papa chieda il voto palese" 24 – "Chieda lei stesso il voto palese. Abbia rispetto di questa altissima istituzione" che è il Parlamento. Così Leoluca Orlando di Idv, si rivolge in aula alla Camera ad Alfonso Papa. 16:14 Papa appare tranquillo 23 – Pochi minuti prima dell'avvio della seduta Papa, apparentemente tranquillo, si aggirava in transatlantico stringendo la mano e sorridendo ad alcuni colleghi di maggioranza. 16:11 L'Udc voterà per il si 22 – L'udc voterà compatta a favore dell'arresto di Alfonso Papa. E' quanto emerso da una riunione di gruppo convocata questo pomeriggio dal leader del partito, pier Ferdinando Casini e dal segretario Lorenzo Cesa. 16:07 Deputati "responsabili": pronta la richiesta del voto segreto 21 – Saranno i deputati 'responsabili' a presentare al presidente della Camera, Gianfranco Fini, la richiesta di voto segreto sull'autorizzazione all'arresto di Alfonso Papa (Pdl). Piccolo diverbio, però, sul finale. Uno dei 29 parlamentari Responsabili, Michele Pisacane, ha cancellato la sua firma: "E' stata messa da un altro - si lamenta - ma che modo è questo?" 16:05 Inizia la discussione alla Camera. Voto atteso per le 18 20 – E' iniziata alla Camera la discussione della richiesta di arresto di Alfonso Papa. La relazione è affidata a Federico Palomba dell'Idv, che ha presentato all'Aula la proposta della giunta per le autorizzazioni di concedere il via libera alla custodia cautelare. La votazione è attesa dopo le 18. 15:56 Alfano: "Non siamo per l'impunità" 19 – "Il parlamento è chiamato ad esprimersi col voto non sull'impunità, ma sulla misura cautelare prima del processo e quindi sull'arresto prima del giudizio. Noi non siamo favorevoli all'impunità, ma ad un uso più saggio della custodia cautelare". E' quanto ha detto il segretario del Pdl, Angelino Alfano, incontrando i coordinatori regionali a palazzo grazioli. 15:53 I generali della GdF coinvolti nella P4 vengono trasferiti 18 – Il generale Michele Adinolfi, capo di stato maggiore della Guardia di Finanza, che prossimamente diventerà generale di Corpo d'Armata, assumerà, a partire dal prossimo 15 settembre, l'incarico di Comandante Interregionale Firenze. Cambio di incarico anche per il generale Vito Bardi: da Comanndante interregionale a Napoli a ispettore per gli istituti di istruzione delle Fiamme Gialle a Roma. Entrambi i generali sono indagati nell'ambito dell'inchiesta P4 della procura di Napoli. 15:53 Bersani: "Votiamo compatti come un sol uomo" 17 – "Votiamo compatti per l'arresto, come un solo uomo". Lo ha detto Pier Luigi Bersani intervenendo all'assemblea del gruppo pd sul caso di Alfonso Papa. 15:42 Tedesco: "Voterò si per il mio arresto" 16 – "Interverrò in aula per chiedere che ci sia un voto palese per evitare strumentalizzazioni e un sì all'autorizzazione all'arresto". Così il senatore Alberto Tedesco (autosospesi dal pd e ora iscritto al misto), conversando con i giornalisti a Palazzo Madama, in merito alla richiesta di autorizzazione all'arresto della procura di Bari su cui l'assemblea del Senato si pronuncerà nel pomeriggio. 15:36 Papa: "Dimostrerò la mia innocenza" 15 – "Vivo questa giornata con grande serenità perchè sono innocente e lo dimostrerò". Alfonso Papa, il deputato del Pdl autosospesosi dal gruppo e sul quale pende la richiesta di arresto da parte del gip di Napoli, ostenta serenità a poche ore dal voto dell'aula di Montecitorio che dovrà pronunciarsi se concedere o meno l'autorizazzione alla misura cautelare 15:36 Bersani: "Lega si opponga a voto segreto" 14 – "Se è vero che non c'è uno scambio" con il Pdl sui rifiuti, la Lega "si metta di traverso al voto segreto", ha detto il segretario del Pd. "Il Pd è contro il voto segreto per l'arresto a Papa, e la Lega?", ha chiesto. Se non c'e stato uno scambio la Lega "convinca la maggioranza a ritirare il voto segreto così come l'ha convinta sul decreto rifiuti". Solo così "chiariamo tutti gli equivoci, altrimenti lo scriverò su tutti i manifesti al Nord". 15:35 Cicchitto rivendica voto segreto 13 – "Il Pdl rivendica il voto segreto, perché è giusto che su una valutazione di una persona non ci sia un gioco cinico politico, ma che ogni deputato sia messo di fronte alla sua coscienza e senza nessun condizionamento faccia i conti con se stesso e con gli altri". Lo dice il capogruppo Pdl, Fabrizio Cicchitto 13:14 La Lega urla a Bocchino: "Scemo" 12 – Dai banchi della Lega si levano voci di dissenso per l'intervento di Bocchino, e lui replica: "Non capisco perchè la Lega mi urla 'scemo' nel momento in cui, dicendo no al voto segreto, appoggio la loro posizione. A meno che se non abbiano un accordo segreto con il pdl e i responsabili sul voto segreto per salvare così la casta". 13:08 Italo Bocchino: "Voto palese" 11 – Un appello a tutti i gruppi della camera affinchè nessuno chieda in aula il voto segreto sul voto di oggi pomeriggio per l'arresto di Alfonso Papa. Intervenendo in aula, subito dopo il voto sul ritorno in commissione del decreto rifiuti, l'esponente di Fli dice: "Faccio un appello a tutti i gruppi parlamentari. Oggi pomeriggio c'è una votazione molto delicata. Credo che nei confronti degli italiani abbiamo il dovere di non avanzare nessuna richiesta di voto segreto. Gli italiani hanno il dovere di sapere come vota ogni parlamentare. E' molto grave la richiesta di voto segreto". 13:05 Lega: "Insinuazioni offensive" 10 – Marco Reguzzoni risponde a muso duro nell'aula di montecitorio a Dario Franceschini che accusa la lega di aver barattato il no ai rifiuti con il voto contrario all'arresto di Alfonso Papa. "Lei fa un'insinuazione che ci offende-dice Reguzzoni- in realtà mette le mani avanti e prepara un voto dei vostri parlamentari a scrutinio segreto" favorevole a Papa. 12:58 Richiesta di rinvio in commissione 9 – La richiesta di rinvio in commissione "senza alcuna motivazione" del decreto rifiuti è frutto di "uno scambio" tra Lega e Pdl: via il dl in cambio del no all'arresto di Alfonso Papa (Pdl). E' l'accusa mossa alla Camera del capogruppo del Pd, Dario Franceschini. 12:52 Franceschini: "Scambio scellerato fra Lega e Pdl" 8 – Dario Franceschini ha accusato la maggioranza di avere scambiato con la Lega il no alle mozioni in tema di rifiuti con la salvezza di Alfonso Papa. Questo è "uno scambio scellerato ed è sotto gli occhi di tutti", ha accusato. "Qualcuno dovrebbe informare il ministro Prestigiacomo che la maggioranza sta votando contro i suoi pareri" sulle mozioni in materia di rifiuti "per avere il voto della lega su Papa". 12:45 Bersani: "Voteremo si alla Camera e al Senato" 7 – "Siamo assolutamente contro il voto segreto e ci opporremo in tutti modi". Quando mancano poche ore al verdetto della camera su Alfonso Papa, il segretario del pd Pier Luigi Bersani, a repubblica.It, spiega quale sarà l'atteggiamento del pd in relazione al voto di oggi. I democratici voteranno sì all'autorizzazione sia alla camera, nel caso di Papa, che al senato, dove oggi pomeriggio, in contemporanea, si vota la richiesta di autorizzazione per il senatore democratico Alberto Tedesco. 12:43 Di Pietro: "No al voto segreto" 6 – Antonio Di Pietro ha auspicato che non si voti oggi con scrutinio segreto né sul caso Alfonso Papa né su quello di Alberto Tedesco. "Mi auguro un gesto di responsabilità di Camera e Senato", ha detto il leader dell'Idv ai cronisti a Montecitorio. "Si deve votare in modo palese perchè bisogna avere il coraggio delle proprie azioni e non nascondersi e salvare la casta", ha aggiunto. 11:41 Bindi: "No al voto segreto" 5 – "Noi voteremo comunque per l'arresto dei nostri colleghi. Bisogna affermare il principio per cui tutti sono uguali davanti alla legge". Lo afferma il presidente del Pd, Rosy Bindi, 11:14 Di Pietro: "Peggio di Tangentopoli" 4 – Antonio Di Pietro vede molte analogie tra il periodo che precedette lo scoppio di Tangentopoli, vissuto da pubblico ministero, e queste settimane con il continuo succedersi di nuove inchieste. Ma per il leader dell'Idv, le conseguenze potrebbero essere ben più pesanti. "Oggi però rischiamo non solo le monetine di Craxi, ma una rivolta sociale". 11:12 Oggi il voto su Tedesco 3 – Oggi al Senato si voterà sulla richiesta di arresto di Alberto Tedesco, eletto nelle liste del pd, sospeso dal partito, indagato per corruzione nello scandalo sanità che ha investito la regione Puglia. 11:10 Papa, alle 16 il voto dell'Aula 2 – E' fissato per oggi alle 16 il voto dell'aula della camera sulla richiesta di arresto nei confronti di Alfonso Papa del Pdl, indagato nell'inchiesta sulla p4 con l'accusa di estorsione, concussione e altri reati comuni. 11:07 Milanese, slitta l'esame della giunta 1 – Slitta alla settimana prossima l'inizio davanti alla giunta per le Autorizzazioni a procedere della Camera dell'esame della richiesta di arresto di Marco Milanese. Il relatore Fabio Gava, del Pdl, ha chiesto tempo per approfondire il fascicolo, comprese le richieste di utilizzo dei tabulati delle utenze telefoniche del deputato e di apertura di alcune cassette di sicurezza. Polemica l'opposizione che avrebbe voluto almeno fossero votate le due richieste 'accessorie', anche alla luce della posizione favorevole espressa dallo stesso Milanese. (20 luglio 2011)
L’INDAGINE Rifiuti, tangenti e assunzioni inutili arrestato ex ad di Enerambiente In manette Giovanni Faggiano ex amministratore delegato dell'azienda e un capocantiere. I reati contestati ai due sono di corruzione ed estorsione. L’indagine, condotta da Digos e fiamme gialle era partita lo scorso settembre dopo la vandalizzazione di 52 automezzi Rifiuti, tangenti e assunzioni inutili arrestato ex ad di Enerambiente Assunzioni inutili e illegali nel settore dei rifiuti e tangenti che venivano versate anche a funzionari dell'Asia, la società del Comune di Napoli che si occupa della raccolta dei rifiuti: i nuovi sviluppi dell' inchiesta avviata lo scorso anno dopo la devastazione degli automezzi della società Enerambiente hanno portato oggi ad altri due arresti, quelli di Giovanni Faggiano e Corrado Cigliano; quest'ultimo era già stato arrestato in aprile assieme al fratello Dario, consigliere provinciale del Pdl, e al padre Antonio. SACCHETTI E MASCHERINE IN VETRINA Nuovi illeciti sono stati dunque scoperti da Digos e Guardia di Finanza, coordinati da un pool di pm: Danilo De Simone, Paolo Sirleo, Ida Teresi, Maria Sepe, Giuseppe Noviello e Luigi Santulli. In particolare, è emerso che Enerambiente, cui Asia aveva appaltato la raccolta dei rifiuti in alcuni quartieri della città, si serviva a sua volta di due cooperative (San Marco e Davideco) la cui opera non era però necessaria. Secondo l' accusa gli indagati, dopo avere stipulato accordi contrattuali con le cooperative, diretti a immettere nel servizio appaltato personale che sforava il limite fissato in 450 unità, minacciarono la fine dell'accordo se non avessero ricevuto somme di denaro per dirigenti, amministratori e collaboratori di Enerambiente nonchè per pagare a loro volta tangenti a funzionari di Asia. Faggiano e Cigliano, secondo i pm, hanno poi imposto l'assunzione di personale da loro segnalato mediante apposite liste formate sulla base di indicazioni preferenziali provenienti da dirigenti e amministratori di Enerambiente, sponsor politici e rappresentanti sindacali. La cooperativa San Marco, inoltre, fu costretta ad assumere fittiziamente un'amica di Corrado Cigliano, Kaori Nogami, e a pagarle uno stipendio di 1.300 euro al mese in assenza di qualunque prestazione lavorativa (20 luglio 2011)
IL CASO Monza, il pd Penati indagato per concussione e corruzione Il nome del vicepresidente del consiglio regionale lombardo nell'inchiesta della Procura per l'area Falck di Sesto San Giovanni. Fra gli indagati c'è l'assessore comunale Di Leva Monza, il pd Penati indagato per concussione e corruzione Filippo Penati
Indagato per corruzione e concussione Filippo Penati, vicepresidente del consiglio regionale della Lombardia per il Partito democratico e già presidente della Provincia di Milano. L’inchiesta è della Procura della Repubblica di Monza e riguarda l'area Falck di Sesto San Giovanni, dove Penati è stato sindaco durante il periodo finito nel mirino dei magistrati. Nell'inchiesta sono coinvolte una quindicina di persone: fra loro c'è anche Pasqualino Di Leva, assessore al Comune di Sesto San Giovanni con delega ai rapporti con le aziende, enti o società partecipate, per i progetti relativi alle risorse finanziarie e all'edilizia privata. L'area della Falck a Sesto Un business da 405 milioni di euro Le accuse. I reati contestati sono concussione, corruzione e illecito finanziamento ai partiti. Secondo l'ipotesi accusatoria sarebbero state corrisposte, o promesse, somme di denaro per agevolare il rilascio di alcune concessioni o per impostare secondo determinati criteri il Piano di governo del territorio (Pgt). L'inchiesta. L'indagine, nata dal caso Santa Giulia, mira ad accertare eventuali illeciti commessi nella gestione dell'area Falck di Sesto San Giovanni, comune alle porte di Milano. L'accusa parla di quattro miliardi di lire di tangenti pagate tra il 2001 e il 2002. In queste ore i militari del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza stanno eseguendo una serie di perquisizioni disposte dal sostituto procuratore Walter Mapelli negli uffici del consiglio regionale della Lombardia e in società e abitazioni di Milano e Sesto San Giovanni. La scheda di Penati. Cinquantotto anni, vicepresidente del consiglio regionale della Lombardia, Penati fa parte del coordinamento e della direzione nazionale del Pd. Nella campagna per il congresso del 2009 è stato coordinatore nazionale della mozione Bersani e in seguito è stato responsabile della segreteria politica dello stesso Pier Luigi Bersani. La sua carriera politica è iniziata nel 1993 come assessore del Pds a Sesto San Giovanni, la cosiddetta 'Stalingrado d'Italia'. Nel 1994 è stato eletto sindaco, carica mantenuta fino al 2001, quando è stato nominato segretario della federazione metropolitana milanese dei Ds. Nel 2004 si è candidato alla presidenza della Provincia di Milano e ha battuto a sorpresa, al secondo turno, il presidente uscente Ombretta Colli. Nel 2009 è stato però sconfitto di misura dallo sfidante Guido Podestà al ballottaggio per la riconferma a Palazzo Isimbardi. Nel 2010, candidato dal centrosinistra alla carica di presidente della Regione Lombardia, è stato sconfitto da Roberto Formigoni, in carica dal 1995 e al quarto mandato. Le reazioni. "Apprendo dalle agenzie la notizia di un'indagine che riguarderebbe Penati", è il primo commento del portavoce pdl Daniele Capezzone. "In attesa di saperne di più, va però subito ribadito un punto di carattere generale, politicamente e ancor più culturalmente irrinunciabile: la presunzione di innocenza deve valere per tutti, amici o avversari che siano". Per il segretario provinciale e deputato leghista Marco Rondini, invece, "da ora in poi il Partito democratico non potrà più parlare di questione morale, soprattutto a Sesto San Giovanni". E il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, invita la magistratura a "fare il suo mestiere per accertare questa vicenda. Credo che alla fine sarà in condizione di verificare che sono cose senza fondamento". Il nuovo progetto. L'ex area Falck, ora di proprietà della Sesto Immobiliare, il veicolo che fa capo alla cordata guidata da Davide Bizzi, rinnova il consiglio d'amministrazione e nomina come presidente Piero Gnudi, mentre Mario Resca è il nuovo vice presidente. Lo annuncia una nota della società in cui viene confermato Bizzi amministratore delegato. Le decisioni sono state adottate dall'assemblea dei soci e dal cda proprio nel giorno in cui è emerso che la Procura di Monza ha aperto l'inchiesta. Gli illeciti sarebbero avvenuti tra il 2000 e il 2002, però, ovvero prima del passaggio della proprietà dalle mani di Risanamento a Sesto Immobiliare, avvenuto nell'ottobre del 2010. (20 luglio 2011)
IL CASO Monza, il pd Penati indagato per concussione e corruzione Il nome del vicepresidente del consiglio regionale lombardo nell'inchiesta della Procura per l'area Falck di Sesto San Giovanni. Fra gli indagati c'è l'assessore comunale Di Leva Monza, il pd Penati indagato per concussione e corruzione Filippo Penati
Indagato per corruzione e concussione Filippo Penati, vicepresidente del consiglio regionale della Lombardia per il Partito democratico e già presidente della Provincia di Milano. L’inchiesta è della Procura della Repubblica di Monza e riguarda l'area Falck di Sesto San Giovanni, dove Penati è stato sindaco durante il periodo finito nel mirino dei magistrati. Nell'inchiesta sono coinvolte una quindicina di persone: fra loro c'è anche Pasqualino Di Leva, assessore al Comune di Sesto San Giovanni con delega ai rapporti con le aziende, enti o società partecipate, per i progetti relativi alle risorse finanziarie e all'edilizia privata. L'area della Falck a Sesto Un business da 405 milioni di euro Le accuse. I reati contestati sono concussione, corruzione e illecito finanziamento ai partiti. Secondo l'ipotesi accusatoria sarebbero state corrisposte, o promesse, somme di denaro per agevolare il rilascio di alcune concessioni o per impostare secondo determinati criteri il Piano di governo del territorio (Pgt). L'inchiesta. L'indagine, nata dal caso Santa Giulia, mira ad accertare eventuali illeciti commessi nella gestione dell'area Falck di Sesto San Giovanni, comune alle porte di Milano. L'accusa parla di quattro miliardi di lire di tangenti pagate tra il 2001 e il 2002. In queste ore i militari del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza stanno eseguendo una serie di perquisizioni disposte dal sostituto procuratore Walter Mapelli negli uffici del consiglio regionale della Lombardia e in società e abitazioni di Milano e Sesto San Giovanni. La scheda di Penati. Cinquantotto anni, vicepresidente del consiglio regionale della Lombardia, Penati fa parte del coordinamento e della direzione nazionale del Pd. Nella campagna per il congresso del 2009 è stato coordinatore nazionale della mozione Bersani e in seguito è stato responsabile della segreteria politica dello stesso Pier Luigi Bersani. La sua carriera politica è iniziata nel 1993 come assessore del Pds a Sesto San Giovanni, la cosiddetta 'Stalingrado d'Italia'. Nel 1994 è stato eletto sindaco, carica mantenuta fino al 2001, quando è stato nominato segretario della federazione metropolitana milanese dei Ds. Nel 2004 si è candidato alla presidenza della Provincia di Milano e ha battuto a sorpresa, al secondo turno, il presidente uscente Ombretta Colli. Nel 2009 è stato però sconfitto di misura dallo sfidante Guido Podestà al ballottaggio per la riconferma a Palazzo Isimbardi. Nel 2010, candidato dal centrosinistra alla carica di presidente della Regione Lombardia, è stato sconfitto da Roberto Formigoni, in carica dal 1995 e al quarto mandato. Le reazioni. "Apprendo dalle agenzie la notizia di un'indagine che riguarderebbe Penati", è il primo commento del portavoce pdl Daniele Capezzone. "In attesa di saperne di più, va però subito ribadito un punto di carattere generale, politicamente e ancor più culturalmente irrinunciabile: la presunzione di innocenza deve valere per tutti, amici o avversari che siano". Per il segretario provinciale e deputato leghista Marco Rondini, invece, "da ora in poi il Partito democratico non potrà più parlare di questione morale, soprattutto a Sesto San Giovanni". E il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, invita la magistratura a "fare il suo mestiere per accertare questa vicenda. Credo che alla fine sarà in condizione di verificare che sono cose senza fondamento". Il nuovo progetto. L'ex area Falck, ora di proprietà della Sesto Immobiliare, il veicolo che fa capo alla cordata guidata da Davide Bizzi, rinnova il consiglio d'amministrazione e nomina come presidente Piero Gnudi, mentre Mario Resca è il nuovo vice presidente. Lo annuncia una nota della società in cui viene confermato Bizzi amministratore delegato. Le decisioni sono state adottate dall'assemblea dei soci e dal cda proprio nel giorno in cui è emerso che la Procura di Monza ha aperto l'inchiesta. Gli illeciti sarebbero avvenuti tra il 2000 e il 2002, però, ovvero prima del passaggio della proprietà dalle mani di Risanamento a Sesto Immobiliare, avvenuto nell'ottobre del 2010. (20 luglio 2011)
IL RETROSCENA Paura nel Pdl: "Ci tireranno le monetine" il Pd dice no a scambi Papa-Tedesco Oggi il voto per l'arresto di Alfonso Papa alla Camera e di Alberto Tedesco al Senato. Il centrosinistra reclama l'arresto per entrambi i deputati. Alfano: "Siamo il partito degli onesti non delle manette". A Palazzo Chigi sono sicuri di poter arrivare a quota 340 con i voti di alcuni del Pd e Udc di LIANA MILELLA Paura nel Pdl: "Ci tireranno le monetine" il Pd dice no a scambi Papa-Tedesco Alfonso Papa in aula ROMA - C'è una paura, in Parlamento, che stringe destra e sinistra. Di salvare prima, in un solo pomeriggio, giusto quello di oggi, Papa alla Camera e Tedesco al Senato. E di ritrovarsi poi, uscendo dai palazzi, con la gente che lancia le monetine in stile Craxi all'uscita del Raphael nel '93. Un fatto è certo. Per un caso, le due storie - l'ex toga di Napoli Alfonso Papa e l'ex assessore alla Sanità pugliese Alberto Tedesco, imputati entrambi di corruzione (e non solo) - arrivano allo showdown assieme. Per la prima il Pdl insiste nella difesa a oltranza. Parla ai suoi il segretario del partito, e tuttora Guardasigilli, Angelino Alfano, e mette in chiaro che "il partito degli onesti non sarà mai il partito delle manette". Quindi niente arresto per Papa che del ministero da lui retto per tre anni è stato alto dirigente. Per difenderlo al meglio, e per non fare la figura del topo che fugge nel tombino, ecco che il capogruppo Fabrizio Cicchitto, a sera, dice che sì, anche il Pdl potrebbe chiedere il voto segreto. Pazienza se la Lega non lo vuole. Man nel segreto, stimano nel centrodestra, Papa potrebbe arrivare ad avere 340 voti contro l'arresto. Tutto il Pdl, i Responsabili, almeno metà della Lega, una buona fetta dell'Udc, frange significative del Pd, più schegge varie. Se finisse così sarebbe un en plein. Dall'altra parte c'è Tedesco. Aspettava da cinque mesi la sua richiesta d'arresto dei magistrati di Bari per lo scandalo della sanità. Dormiva. S'è risvegliata all'improvviso. Il Pd di Bersani e della Finocchiaro l'ha resuscitata e s'è smarcato di netto. Rispetto alle voci melmose del Pdl che mestavano nel ricatto ("Se ci fate arrestare Papa, noi vi fottiamo Tedesco"). Eccolo il risultato: ieri, nella conferenza dei capigruppo a palazzo Madama, la presidente democratica Anna Finocchiaro chiede che su Tedesco si voti subito. Oggi. Di più. Annuncia che "il Pd proporrà che sia concesso l'arresto". Pier Luigi Bersani ci mette il timbro più alto, quello del vertice del partito: "Noi ci opporremo alla Camera e al Senato al voto segreto e siamo favorevoli all'arresto tanto per Papa quanto per Tedesco". Le sorprese non finiscono qui. Perché il Pd vuole stoppare pure il chiacchiericcio sui dalemiani, cui fa capo Tedesco, pronti a salvare sia lo stesso Tedesco che Papa. Il colpo di teatro sta nel fatto che Tedesco medesimo parlerà in aula e chiederà che si voti per il suo arresto. La bomba esplode qualche minuto dopo a Montecitorio. Quando lo raccontano a Papa, che passeggia in cortile, impallidisce sotto l'abbronzatura. Non commenta. Il suo destino, ora, è legato a quello di Tedesco. Se l'ex assessore dice sì agli arresti domiciliari, lui pure parlerà. Tre, quattro minuti, alla fine degli interventi. A braccio. Ma all'opposto per respingere l'arresto e ribadire la sua innocenza, perché, carte alla mano, i pm di Napoli lo hanno intercettato illegalmente da deputato. Lui ha "le carte" per dimostrare che non ha preso soldi, che li ha restituiti, e se i pm lo avessero interrogato gliele avrebbe date. Il presidente della giunta Pierluigi Castagnetti, ricorda che esiste "l'istituto delle dimissioni...". Lui non ci pensa proprio. Maurizio Paniz legge il suo intervento a Manlio Contento; "Non dovete arrestarlo perché...". C'è chi lavora in modo convinto per lui. Alle 17 il sempre Pdl Mario Pepe annuncia che "ha le 30 firme per ottenere il voto segreto". Si fa avanti il Responsabile Domenico Scilipoti con un "ma potrei chiederlo io". "Il voto segreto è giusto, anche se il Pdl non lo chiederà" garantisce il vice capogruppo del Pdl Massimo Corsaro. La strategia, alle 21 e 30, quando il gruppo Pdl si scioglie, è in alto mare. "Che lo chiedano 10 deputati per gruppo, così ci dividiamo le responsabilità" dice uno. "Tanto lo fanno i Responsabili" un altro. "Meglio farlo noi" un altro ancora. Si deciderà all'ultimo. L'opposizione si prepara ai suoi "buuhhh... buuhhh...". "Il voto segreto serve per coprire le incertezze della Lega" dice il Pd Enrico Franceschini. Antonio Di Pietro chiede "un'assunzione di responsabilità contro la complicità politica e morale". Che per certo non ci sarà. (20 luglio 2011)
L'OPINIONE Gli stipendi da dimezzare di MARIO PIRANI Gli stipendi da dimezzare Silvio Berlusconi SE, COME nell'immediato dopoguerra, tornasse a funzionare un Tribunale per i profitti di regime, applicato stavolta alle dilapidazioni dei costi della politica, al primo posto fra gli imputati figurerebbe Berlusconi. È stata smentita da tempo, infatti, la voce popolare che essendo ricco di suo non si sarebbe profittato dei beni pubblici. Voce del resto falsa in nuce perché non esiste ricco che si proponga limiti all'insù all'impinguarsi dei propri beni. Il nostro lo ha ampiamente provato con le leggi ad aziendam, come la sterilizzazione del falso in bilancio, coi processi per impadronirsi della Mondadori comprando i giudici, con l'appoggio dato ad ogni parlamentare accusato di corruzione, da Cosentino a Papa. Ma sottostante ai singoli fatti, vi è un contesto di favoreggiamento generalizzato, individuabile nel tradimento dell'impegno liberale che innalzò al momento della sua scesa in campo e ribadì ad ogni elezione. Sarebbero dovute seguire a pioggia privatizzazioni e liberalizzazioni che sgravassero migliaia di enti pubblici, parapubblici, municipalizzate dalla presa dello Stato e di apparati pletorici di nomina partitica. È accaduto il contrario. Purtroppo la sinistra, pur battendosi senza sosta contro Berlusconi sui singoli fatti, si è lasciata invischiare e infettare dalla tentazione pubblicistica social-affaristica. Ora ne vive la contraddizione. "Il mio partito - ha detto Walter Veltroni - dovrebbe mettersi alla testa della riforma dei costi della politica, non subirla". Non poteva, però, dare una risposta esauriente del perché il Pd, al dunque, come è accaduto quando si è astenuto con somma e imperdonabile dabbenaggine sulla abolizione delle Province, si comporti in genere come un devoto timoroso di uscire dal solco della ortodossia partitica. Una ortodossia che ha sempre imposto il dogma dell'intangibilità dei propri privilegi, pretendendo che vengano identificati coi valori della democrazia. Fuori da quel solco scatta l'anatema contro populismo e demagogia. Di qui la tendenza alla responsabilità condivisa, a cercare tutti assieme, destra e sinistra, pasticciate e caute modifiche. Ma torniamo alla domanda sul perché il principale partito di sinistra abbia finito per far propria una così sgradevole connivenza, senza tenere, per contro, ben salda una forte e continua battaglia riformista, la cui carenza suscita una tale rabbia e delusione che a questo punto ha sfondato su Facebook con 150.000 contatti in un giorno contro i benefici castali degli inquilini del paese dei balocchi, sito a Montecitorio. Il fenomeno regressivo subito dal Pd, impone comunque non desolate battute ma una risposta impietosa, nell'ipotesi che sia ancora possibile finirla con la stanchezza organica che spegne ogni sua capacità reattiva sul terreno dei costi della politica. Alla radice vi è la perdita di ogni memoria di sé, di un partito che, malgrado il veleno dello stalinismo, era portatore di una morale pubblica che lo distingueva dagli altri per l'austerità di una militanza individualmente non compromessa neppure dall'"oro di Mosca" e dalle sovvenzioni delle coop, necessari per l'azione ma non certo per rimpinguare stipendi dei funzionari politici, parametrati orgogliosamente sul salario di un operaio metalmeccanico mentre i parlamentari versavano a Botteghe Oscure una quota massiccia dei loro emolumenti, i sindaci ricevevano indennità risibili, nulla spettava per consiglieri comunali ed altri incarichi elettivi. Certo, tutto questo comportava il risvolto negativo di sentirsi parte di una specie di "anti-Stato etico", che spinse Berlinguer alla esaltazione isolazionista del "partito diverso", ma anche permise ad Occhetto di decidere l'uscita dei propri rappresentanti dai comitati di gestione della Usl per non lasciarsi coinvolgere dalla mala gestione sanitaria. Analogo il discorso per gli eredi di La Pira e Dossetti. Tutto ciò appartiene al passato. Il Pci è scomparso, la sua eredità è andata dilapidata non solo nel tanto che doveva giustamente essere rigettato ma anche in quelle qualità cancellate dalla memoria ufficiale ma non dal ricordo, magari per storia riportata, di tanta parte dell'elettorato di sinistra che si sente doppiamente tradito, per ieri e per oggi. Quanto al Pd non ha saputo darsi un volto né trovare un'anima davvero riformista che lo ispirasse. Di qui una mancata percezione della realtà, una incapacità di conoscere e di capire passioni, sentimenti e pensieri, non pretendiamo della società italiana nel suo assieme, ma neppure di quella parte che ancora lo vota e che anche se non lo considera più una forza propulsiva lo conserva nelle sue attese come un patrimonio in gran parte inutilizzato ma ancora spendibile. A condizione che i suoi depositari si rendano conto che non possono più avallare sacrifici dolorosissimi imposti a quanti lavorano nella sanità, nella scuola, nella funzione pubblica, nelle fabbriche, ai giovani privati di futuro se questa richiesta è presentata da signori che incassano tra stipendi, vitalizi, benefici di vario ordine sui 20.000 euro al mese. Che differenza umana e capacità professionale c'è tra un professore che non supera i 1700 euro mensili e un deputato, un consigliere regionale, uno delle centinaia di migliaia di consulenti, presidenti, vice presidenti e quant'altro la fantasia amministrativa abbia suggerito? Una domanda che potrebbe scadere nella demagogia se questi sacrifici - e gli altri che seguiranno - non facessero parte di un piano di salvezza nazionale e di rientro da un debito mostruoso che obbliga al concorso di tutti. Nessuno si può rifiutare perché la Patria è in pericolo, ma questa realtà obbliga tutti a fare la loro parte, non con gesti simbolici che suonano come pubbliche offese ma con atti dirompenti che ridiano un paragone di decenza ai rappresentanti del popolo. Si tratta di proporre e affermare misure drastiche, prima delle quali deve essere il dimezzamento netto di tutti gli stipendi ed emolumenti legati alle funzioni di rappresentanza. Eguale decisione deve essere estesa a tutti gli incarichi politici di ogni ente pubblico e parapubblico. Cessazione, inoltre, di ogni benefits, collegato alla rappresentanza, se non per la alte cariche dello Stato e degli enti locali: ad esempio auto blu al ministro ma non al sottosegretario. E così via. Queste proposte e altre che potrebbero seguire non avrebbero alcuna possibilità neppure di un primo ascolto se fossero affidate alle defatiganti quanto improduttive procedure parlamentari, tanto più con conclusioni trasversali. No, solo un rivoluzionario sussulto di una sinistra baciata dal risveglio e da una volontà di salvezza potrebbe produrre lo scatto indispensabile. Anche l'arma deve assumere una valenza estrema e combattiva e consistere in una proclamazione unilaterale impegnativa: in caso di mancato accordo il Pd, a partire da Senato e Camera e scendendo per li rami, procederà da subito alla applicazione dei tagli decisi per i propri rappresentanti. I proventi mensili, fino a quando non coinvolgeranno gli altri partiti (nel qual caso servirebbero a sanare il deficit pubblico), saranno destinati a una Fondazione del Popolo di Sinistra, presieduta da uno scelto consesso di persone, sagge e specchiate, che li spartiranno secondo criteri di solidarietà sociale da stabilire. La polemica verso i refrattari dovrebbe assumere toni giacobini, senza tema di incorrere nel peccato di populismo. Reputo che simili proponimenti - così alieni al mio abituale modo di pensare - stupiranno più di un lettore. Essi derivano da una visione altamente drammatica di un possibile futuro, non esclusa una deriva di estrema destra in Italia e in altre nazioni europee, colpite da una crisi economica difficilmente governabile. Non dimentichiamo che la catastrofe degli anni Trenta, importata dagli Usa, esplose in Europa per l'effetto domino del fallimento di una banca austriaca, cui neppure l'intervento delle Banche centrali di Inghilterra e di Francia bastò a mettere argine. Regimi autoritari si stabilizzarono in quasi tutto il Continente. Sono però altresì convinto che la Storia alla lunga non insegni nulla ai posteri, tanto più a una classe sociale (come chiamarla "classe politica"?) formata da un milione e più di persone che vivono e dominano grazie a una gestione della partitocrazia fine a se stessa, priva di ogni altra professionalità, decisa a non rinunciare a ricchezza e simboli del potere. Una impresa che solo il recupero possente di una forza propulsiva può tentare. Sarà in grado la sinistra di esprimerla, gravata com'è da un inquinamento da contiguità che ne ha infiacchito risorse e fantasia? Malgrado i molti dubbi una speranza c'è. Essa scaturisce dall'insperato sussulto di ripresa comprovato dalle elezioni amministrative, dai referendum e persino dalla marea di mail di questi ultimi giorni. Il segno che più conta è che questa esplosione diffusa avviene inglobando il Pd ma superandone, ad un tempo, i limiti, le paure, le anchilosi e le divisioni paralizzanti quasi il popolo di sinistra, colpito ma non domo, stia esercitando una Opa benefica e s'impadronisca degli strumenti della politica, depurandoli anche dall'estremismo dei gruppi minori. La situazione è in equilibrio, se il Pd ne coglie l'onda, può trascinare popolo e movimenti, alleanze nuove e formazioni risorte in un moto di salvezza dell'Italia. Non è detto, però, che questo avvenga. (20 luglio 2011)
RAI-AGCOM Berlusconi indagato per le pressioni contro Santoro L'ipotesi di acusa è quella di abuso d'ufficio. Insieme al premier iscritti nel registro anche l'ex commissario dell'Agcom, Giancarlo Innocenzi e l'ex Dg della Rai, Mauro Masi Berlusconi indagato per le pressioni contro Santoro ROMA - Il premier Silvio Berlusconi è indagato dalla Procura di Roma per abuso di ufficio in relazione alle presunte pressioni esercitate nel 2009 per sospendere la trasmissione 'Annozero' di Michele Santoro. Con il presidente del Consiglio sono iscritti, anche loro per abuso di ufficio, l'ex commissario Agcom Giancarlo Innocenzi e l'ex direttore generale della Rai, Mauro Masi. L'atto istruttorio deciso dal procuratore Giovanni Ferrara giunge dopo che il tribunale dei ministri ha restituito a piazzale Clodio il fascicolo di indagine, nato a Trani, dichiarandosi incompetente a giudicare il caso. Per i giudici, in sostanze, le 18 telefonate a Innocenzi e Masi al centro dell'inchiesta sono state effettuate da Berlusconi non nella sua veste di presidente del Consiglio. L'iscrizione nel registro degli indagati arriva dopo la decisione del Tribunale dei Ministri di restituire il fascicolo alla Procura di Roma. Gli inquirenti capitolini hanno preso atto della decisione (non vincolante) del tribunale del ministri: secondo il collegio speciale per reati ministeriali nella condotta di Berlusconi non è prefigurabile la concussione ai danni dell'ex commissario Agcom Giancarlo Innocenzi, né le minacce ai danni dell'Autorità Garante delle Comunicazioni per far chiudere Annozero, come ipotizzato a Trani. Su queste due fattispecie il tribunale ha archiviato la posizione del premier. Per il tribunale dei Ministri è, invece, configurabile l'ipotesi di abuso d'ufficio per tutti e tre i protagonisti della vicenda. A questo punto i pm romani dovranno decidere se concludere l'attività istruttoria con il deposito degli atti, attività che prelude la richiesta di rinvio a giudizio, o formalizzare al gip una richiesta di archiviazione. Le reazioni. Niccolò Ghedini, parlamentare Pdl e avvocato del premier ricorda che "il Tribunale dei Ministri ha già archiviato tutte le accuse originariamente mosse proprio al Presidente Berlusconi". Dicendosi sicuro che anche la Procura seguirà la stessa strada. Per il segretario dell'Usigrai Carlo Verna, si apre adesso "una sorta di possibile processo al sistema del conflitto di interessi, che sta strangolando la Rai e la democrazia. Laddove possibile l'Usigrai chiederà la costituzione di parte civile. Ma mentre la giustizia farà il suo corso, occorreranno comportamenti limpidi dei vertici aziendali ai quali fin d'ora facciamo sapere che l'Usigrai non sottoscriverà la transazione con cui si accompagna Michele Santoro alla porta". La vicenda. Diciotto telefonate per 'bloccare' Annozero. La bufera delle intercettazioni del caso Rai-Agcom, scoppiato a marzo 2010 con la pubblicazione dei primi stralci, e il braccio di ferro con Michele Santoro è stato uno dei capitoli più spinosi della gestione dell'ex dg Rai Mauro Masi a Viale Mazzini. Ma ha sollevato polemiche anche sull'indipendenza dell'Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni, fino alle dimissioni del commissario Giancarlo Innocenzi, arrivate il 24 giugno dello scorso anno. "Questa volta nessun editto bulgaro ci fermerà", tuonava Michele Santoro il 18 marzo sul divano rosso di Serena Dandini a Parla con me. Si era nel pieno del caos intercettazioni e solo due giorni prima il conduttore di Annozero aveva parlato per due ore davanti ai pubblici ministeri di Trani delle presunte pressioni per fermare il suo programma. Il 26 marzo, in un clima da stadio al Paladozza di Bologna, nel corso di Raiperunanotte Santoro avrebbe 'messo in scena' con le voci di attori i colloqui di Berlusconi, Innocenzi e Masi facendo 'prendere corpo' al disegno di chiudere il programma di Rai2. Intanto il vertice dell'azienda non stava a guardare: il 24 marzo Viale Mazzini annunciò l'intenzione di chiedere alla procura di Trani gli atti dell'inchiesta Rai-Agcom, ma anche di non avviare nessun audit su Masi che, forte del sostegno della maggioranza, ribadì la volontà di "andare avanti": "Per me contano gli atti e i fatti aziendali. Mi sono sempre comportato nel pieno rispetto delle regole. Ho mandato in onda tutte le trasmissioni cercando soltanto di garantire la loro conformità alle normative vigenti". Il 18 maggio il colpo di scena, con l'annuncio dell'accordo consensuale tra Santoro e l'azienda al quale mancava solo la firma. Una firma che non sarebbe arrivata mai. A fine luglio il Cda stabilì che dal 23 settembre Annozero sarebbe stato ancora in palinsesto. Si preparava una nuova stagione di battaglie e polemiche: nell'anteprima della prima puntata, Santoro pronunciò il celebre 'vaffa...nbicchiere'". Tre settimane dopo, la decisione del dg di sospendere il giornalista. Nella puntata successiva, la contromossa del conduttore: il ricorso al collegio arbitrale per ottenere l'immediata sospensione della sanzione. Lo scontro avrebbe toccato il culmine nel botta e risposta in diretta nella puntata del 27 gennaio scorso, quando Masi chiamò Annozero per 'dissociarsi' in diretta dalla puntata sul caso Ruby e il conduttore gli rispose a brutto muso. L'ultima frecciata il 28 aprile scorso, quando Santoro ha annunciato al pubblico l'addio di Masi alla Rai facendo "un forte, fortissimo, ancora più forte in bocca a lupo" alla Consap, di cui l'ex dg Rai è diventato amministratore delegato. A giugno, poi, sarebbe arrivato il divorzio tra lo stesso giornalista e la tv pubblica. (19 luglio 2011)
IL CASO Le casse vuote del San Raffaele il fallimento non è più un tabù La Procura di Milano è pronta ad avviare la procedura. Flick: "Dateci più tempo" Per arrivare a fine agosto c'è bisogno di immettere nelle casse 30 milioni di euro di ETTORE LIVINI Le casse vuote del San Raffaele il fallimento non è più un tabù Maledetta fu l'uva senza semi brasiliana. Hai voglia a curare malati, gestire i laboratori di ricerca medica tra i più avanzati d'Italia. A volte, don Luigi Verzè lo sa benissimo, il diavolo sta nei dettagli. E bastano un paio di misteriosi e originali investimenti all'estero (assieme alla zavorra di un miliardo di debiti) per mettere in ginocchio anche una realtà-modello come il San Raffaele. Cal progetto il suicidio Suicida il braccio destro di don Verzè Un buco da 900 milioni Il cupolone Il bilancio 2010 della Fondazione Monte Tabor parla chiaro: il core business della salute tira ancora, anche se meno di una volta, e ha garantito lo scorso anno 8 milioni di utile operativo. La vera palla al piede - oltre agli oneri finanziari - sono le oscure diversificazioni del sacerdote veronese oltre frontiera: in primis la voragine del Pernambuco, migliaia di ettari di vigne e mangheti nel cuore del Brasile, controllati (chissà perché) dalla Fondazione e costati in poco più di dodici mesi all'impero del manager di Dio almeno 10 milioni di perdite. Più dei soldi messi in cassaforte grazie al lavoro dei suoi 700 medici, peraltro già bruciati da altri 10,9 milioni persi dalla Assion Aircraft & Yachting, la controllata neozelandese proprietaria del Challenger Ci 604, il jet privato di don Verzè. Il buco nero sudamericano è spuntato un po' a sorpresa a maggio dello scorso anno. Quando il sacerdote veronese ha riunito i suoi fedelissimi in via Olgettina per annunciare una variazione nell'organigramma del gruppo: la nascita della Vds Holding, società di diritto italiano destinata a inglobare i cinque grandi latifondi del Pernambuco controllati assieme alla famiglia veneziana dei Garziera. Una mossa necessaria per ottenere un finanziamento da 2,3 milioni dal ministero dello Sviluppo economico del governo Berlusconi (all'epoca di Claudio Scajola). Il San Raffaele ha ereditato così dalla sera alla mattina il 10% dell'uva senza semi da export brasiliana, 74 mila reais di mango e qualche tonnellata di concimi organici. Assieme, però, a più di 5 milioni di perdite nel 2010, altri 2,3 milioni a inizio 2011 (dati Deloitte) da sommare a una svalutazione da 1,1 milioni e a 3,5 milioni di crediti a rischio. Peccato. Perché anche in Brasile, come in Italia, don Verzè è stato un misto di genio e sregolatezza. Se in Pernambuco si è aperta la voragine dell'uva senza semi, infatti, il patrimonio della sua Fondazione è stato invece puntellato nel 2010 dall'ospedale San Raffaele di Bahia, rivalutato per 57 milioni grazie a una perizia che l'ha valutato ben 94 milioni. Su questo balletto un po' opaco di cifre (tra cui la spada di Damocle del maxi-indebitamento) ha aperto un dossier la Procura di Milano che tra l'altro, dopo l'apertura del fascicolo per il tragico suicidio di Mario Cal, può ora anche chiedere il fallimento del gruppo. I cavalieri bianchi disposti al salvataggio, del resto, sembrano per il momento un po' zoppi. Le banche sono pronte a garantire 150 milioni di liquidità ma in cambio di una procedura di concordato preventivo. Il nuovo cda espressione della Santa sede sembra restio a seguire questa strada. Resta però il problema di trovare i mezzi freschi necessari per garantire l'operatività. Servono 20-30 milioni per arrivare a fine agosto e quasi 400, dicono gli advisor, per mettere in sicurezza l'intera galassia e tranquillizzare i creditori che hanno già fatto partire diversi decreti ingiuntivi. Giovanni Maria Flick, membro del cda designato dal Vaticano sarà oggi o domani in Procura a chiedere più tempo ai pm per consentire al nuovo vertice (in cui entrerà probabilmente Enrico Bondi) di mettere a punto un piano definitivo di salvataggio. (20 luglio 2011)
2011-07-15 CAMERA Sì della Giunta all'arresto di Papa Berlusconi: "No a processi in Aula" L'organismo ha approvato la proposta presentata dal relatore dell'Idv con l'accordo delle opposizioni, dopo che la maggioranza aveva ritirato la sua. Bossi aveva annunciato il voto favorevole dei suoi, poi le cose sono andate diversamente. Bossi: "In galera, su Milanese vediamo". Reguzzoni: "In aula voteremo sì". Il Pdl contro il presidente Castagnetti: "Violato il regolamento". Fini: "Ineccepibile". Confermati domiciliari per Bisignani Sì della Giunta all'arresto di Papa Berlusconi: "No a processi in Aula" La mano di Bisignani sul caso Ruby "Ho lavorato per la fidanzata di Silvio" articolo La mano di Bisignani sul caso Ruby "Ho lavorato per la fidanzata di Silvio" In procura a Milano dossier Bisignani Lepore: "Politici si sentono intoccabili" articolo A Milano un nuovo dossier Inchiesta P4, Milanese si dimette era il consigliere politico di Tremonti articolo Marco Milanese si dimette "Ci stanno portando nel baratro dobbiamo agganciare Montezemolo" articolo "Ci stanno portando nel baratro" Intercettazioni, il Pdl all'attacco Fini: "Il decreto bavaglio non si può fare" articolo Cicchitto: "Tentano di destabilizzarci" Case, tipografie, siti web e conti off-shore il tesoro di Bisignani dietro società schermo articolo Il tesoro di Bisignani Il governo ombra al servizio di Berlusconi così il sistema controllava l'intero Paese articolo Il governo ombra di Berlusconi Un virus per pc inchioda Bisignani lo Stato diventa hacker a fin di bene articolo Un virus per pc inchioda Bisignani Letta: "Bisignani mi parlò dell'inchiesta" P4, indagato l'ad di Fs Moretti: "Trasecolo" articolo Indagato l'ad di Fs: "Trasecolo" I legami del "burattinaio" con le Poste per gestire il business delle bollette articolo Il "burattinaio" e le Poste Anche Roma indaga sulla P4 trasferito il filone sugli appalti articolo Anche Roma indaga sulla P4 E dai verbali spunta Lavitola Notizie riservate sui processi articolo E dai verbali spunta Lavitola P4, l'Anm contro Berlusconi "Delegittima i pm, lasciamoli lavorare" articolo P4, l'Anm contro Berlusconi P4, Berlusconi: "Inchiesta sul nulla" Ma il Pd chiede risposte al governo articolo Berlusconi: "Inchiesta sul nulla" Da Toro ad Arcibaldo Miller "Così Papa controllava le procure" articolo "Così Papa controllava le procure" Aziende pubbliche ed escort le mani dell'ex P2 sul Palazzo articolo Le mani dell'ex P2 sul Palazzo Caso Bisignani, vertice a palazzo Grazioli Letta, Alfano e Ghedini da Berlusconi articolo Vertice a palazzo Grazioli Fonti riservate, ville di lusso e Rolex così si muoveva la "talpa" di Bisignani articolo Fonti riservate, ville e Rolex video Il ritratto: Bisignani, l'uomo simbolo video De Magistris: "Fui trasferito dopo" ROMA - Sì all'arresto del deputato Pdl Alfredo Papa. Dopo un duro scontro la Giunta per le autorizzazioni concede il via libera chiesto dalla procura di Napoli nell'ambito dell'inchiesta P4. E approva, con i soli 10 voti dell'opposizione, la proposta presentata dal relatore dell'Idv, dopo il ritiro di quella della maggioranza. La Lega si astiene, mentre il Pdl abbandona i lavori prima dello scrutinio ("la messa ai voti della proposta Idv è un'indicibile ferita procedurale, oggi è stata scritta una pagina nera della democrazia parlamentare"). Ma il Cavaliere non ci sta: "'Noi non facciamo processi in aula, sosteniamo il non arresto. La magistratura andra' avanti ma chi è parlamentare deve mantenere il suo incarico". E szempre a proposito del rapporto tra politica e giustizia rilancia: "Dopo tutte queste cose dobbiamo a maggior ragione fare la riforma della giustizia". Carroccio non decisivo. A cose fatte si apre una polemica sul Carroccio. Una posizione non decisiva della della Lega, perché davanti all'abbandono dei deputati Pdl il numero legale (6 deputati) sarebbe stato comunque garantito dalle opposizioni. Pertanto, si spiega nell'opposizione, anche se i deputati della Lega fossero usciti dall'Aula della Giunta insieme al Pdl, al Misto e ai Responsabili (ora 'Popolo e territorio), la votazione sul 'si' all'arresto di Alfonso Papa sarebbe stata comunque valida. I componenti della Giunta, infatti, sono 21 e l'articolo 46 dice testualmente che "per le deliberazioni delle Commissioni in sede diversa da quella legislativa è sufficiente la presenza di un quarto dei loro componenti". Bossi. In mattinata era stato Umberto Bossi, davanti alle telecamere di Repubblica.it, che aveva annunciato il sì del Carroccio all'arresto. IL VIDEO 1 Poi, in Giunta, la scelta di astenersi. A quanto si apprende, Lucio Follegot e Luca Rodolfo Paolini, hanno incontrato Bossi, prima della riunione della giunta e la loro astensione, si rileva in ambienti della Lega, è in linea con l'indicazione del sì all'arresto indicata dal Senatur anche se si è espressa con l'astensione per non dare il proprio voto positivo ad una proposta dell'opposizione. "Ci siamo astenuti per motivi procedurali" afferma Paolini. Quando si dovrà votare in aula, "ritengo che la Lega seguirà l'indicazione di Bossi". E il capogruppo del Carroccio Reguzzoni conferma: "In Aula daremo indicazioni per il voto favorevole all'arresto". Il leader del Carroccio è tornato in serata a parlare della vicenda Papa e del caso Milanese, su cui la giunta dovrebbe votare mercoledì, ed è stato lapidario: "Papa andrà in galera, su Milanese poi ci pensiamo". Lo scontro in Giunta. Nel frattempo si scatenava la battaglia in Giunta. Il Pdl, infatti, puntava al non voto. Non a caso il relatore Francesco Paolo Sisto (Pdl), aveva ritirato temporaneamente" la sua proposta contro l'autorizzazione all'arresto, facendo mancare l'oggetto stessa della votazione, motivando con la necessità di esaminare le 15mila pagine di nuova documentazione consegnate mercoledì da Papa. L'obiettivo era dunque quello di bypassare la giunta e approdare direttamente all'aula e al più rassicurante voto segreto. Ma le cose sono andate diversamente. L'opposizione ha fatto quadrato e ha presentato una proposta, favorevole all'arresto, targata Idv. Castagnetti l'ha messa ai voti. I dieci del Pdl non hanno partecipato per protesta contro "la violazione del regolamento". La Lega, invece, si è astenuta. Così come Elio Belcastro (Popolo e territorio, ex Responsabili). Castagnetti, che ha votato, spiega: "Non c'è nulla da impugnare in quanto ho rispettato il regolamento che attribuisce a me la responsabilità di arrivare ad una decisione e la Giunta è tenuta a fare una proposta per l'Assemblea a cui poi spetterà la decisione finale. Non potevo accettare che la Giunta non fosse in grado di esprimersi". Al fianco di Castagnetti si schiera Gianfranco Fini: "Il suo comportamento è stato ineccepibile". "Il Carroccio ha avuto paura". "C'è una totale mancanza di responsabilità e coraggio da parte della maggioranza una vera e propria codardia: la maggioranza non ci ha messo la faccia. Il Pdl ha lasciato i lavori e la Lega si è astenuta" afferma Donatella Ferranti del Pd. "Oggi abbiamo scoperto che la lega non è guidata da Bossi, che era favorevole all'arresto, ma va al traino di Papa" incalza Federico Palomba dell'Idv. Ma il Carroccio non ci sta: "Siamo stati determinanti, il resto sono chiacchiere interessate di chi vuole confondere le idee ai cittadini". Secco Antonio Di Pietro: " C'è una nuova tangentopoli che richiede l'intervento dell'autorità giudiziaria. Noi chiediamo quindi al parlamento di affidare ai magistrati quei deputati accusati di reati gravissimi". La reazione di Papa. 'In questo momento sono semplicemente impegnato in una battaglia per l'accertamento della verità che, sono sicuro, verrà a galla - dice Papa dopo il voto - In aula mi appello alla coscienza dei parlamentari e preciso che il carcere non mi fa paura se dovrà servire a veder trionfare la verità e la mia innocenza, di cui sono certo". Poi due colloqui: uno con Berlusconi e uno con il leghista Roberto Maroni. E proprio il premier avrebbe detto di votare no alla richiesta d'arresto preventivo. L'iter. Adesso tocca all' aula che ha all'ordine del giorno il voto sulla questione mercoledì prossimo, 20 luglio. In assemblea potrebbe essere richiesto il voto segreto per approvare o respingere la proposta decisa dalla Giunta. Tribunale del Riesame conferma domiciliari per Bisignani. Il tribunale del Riesame di Napoli ha confermato la misura cautelare degli arresti domiciliari emessa dal gip nei confronti dell'uomo d'affari Luigi Bisignani, nell'ambito dell'inchiesta P4. La decisione è giunta dopo molte ore di camera di consiglio. "La decisione del Riesame e quella della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dimostrano ancora una volta che la Procura di Napoli non alza polveroni, ma mette insieme fatti", ha dichiarato il procuratore di Napoli, Giovandomenico Lepore. Il procuratore fa anche un riferimento ad Alfonso Papa, ex pm e attuale deputato del Pdl, per il quale è stato chiesto l'arresto. "È interessante mettere in risalto - afferma - che i reati per cui i giudici hanno confermato le misure cautelari sono addebitati anche a Papa a titolo di concorso". Per il capo dei pm napoletani "quella della P4 è una tragedia italiana e personale, ma l'ipotesi accusatoria ha trovato conferma e la decisione dei giudici dimostra che le critiche che ci sono state mosse erano del tutto infondate". (15 luglio 2011)
POLITICA E GIUSTIZIA Romano, Il Pd rompe gli indugi Presentata mozione di sfiducia Primi firmatari Bersani e Franceschini: per il ministro dell'Agricoltura è stato chiesto il processo per concorso in associazione mafiosa. Nel pomeriggio l'ex responsabile incontra il premier e conferma: non mi dimetto Romano, Il Pd rompe gli indugi Presentata mozione di sfiducia Saverio Romano ROMA - Il Partito democratico ha depositato, alla Camera, la mozione di sfiducia nei confronti del ministro per le Politiche agricole Saverio Romano. La mozione, presentata stamane ha come primi firmatari il capogruppo Dario Franceschini e il segretario del partito Pierluigi Bersani. Nel testo della mozione si ricorda che "in data 13 luglio 2011 la Procura di Palermo, ottemperando all'ordine di imputazione coatta del competente Giudice per le indagini preliminari, ha depositato la richiesta di rinvio a giudizio del ministro Francesco Saverio Romano, imputato, quindi, formalmente di concorso in associazione mafiosa". Considerato che "il Ministro ha manifestato la volontà di non dimettersi volontariamente, come sarebbe auspicabile per la credibilità dell'azione di governo", "visto l'articolo 94 della Costituzione; visto l'articolo 115 del regolamento della Camera dei deputati; la Camera esprime la propria sfiducia al Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali Francesco Saverio Romano". L'incontro con il premier: "Non mi dimetto". Romano nel pomeriggio ha incontrato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Al termine, parlando ai cronisti, il ministro ha confermato che non ci sarà da parte sua alcun passo indietro: "Niente dimissioni - ha detto-, l'opposizione strumentalizza la mia vicenda perché sono quello che ha sventato la caduta del governo". (15 luglio 2011)
RICICLAGGIO Ex senatore Di Girolamo patteggia 5 anni Dovrà restituire 4 milioni di euro Coinvolto nell'inchiesta Fastweb e Telecom Italia Sparkle, l'ex parlamentare Pdl è accusato di associazione per delinquere finalizzata all'evasione fiscale e al riciclaggio transnazionale e di scambio elettorale aggravato dal metodo mafioso in relazione alla sua candidatura nella circoscrizione Europa Ex senatore Di Girolamo patteggia 5 anni Dovrà restituire 4 milioni di euro L'ex senatore del Pdl, Nicola Paolo Di Girolamo ROMA - L'ex parlamentare del Pdl, Paolo Di Girolamo, 51 anni, è stato condannato, con patteggiamento, a cinque anni di reclusione e alla restituzione di oltre 4 milioni di euro, tra liquidi, beni immobili e quote di società e auto di lusso. L'ex senatore, coinvolto nell'inchiesta Fastweb e Telecom Italia Sparkle, è accusato di associazione per delinquere finalizzata all'evasione fiscale e al riciclaggio transnazionale e di scambio elettorale aggravato dal metodo mafioso in relazione alla sua candidatura nella circoscrizione Europa alle politiche del 2008. La sentenza è stata emessa oggi dal gup Massimo Battistini. Di Girolamo si trova agli arresti domiciliari. Oltre a Di Girolamo il tribunale capitolino ha condannato, sempre con patteggiamento a cinque anni, anche l'imprenditore Fabio Arigoni, che dovrà restituire quasi cinque milioni di euro. Quest'ultimo, che si trova ai domiciliari, era stato per un periodo latitante a Panama ed era finito sotto inchiesta per aver trasferito o movimentato ingenti somme di denaro di provenienza delittuosa in virtù del suo ruolo di amministratore unico della Telefox srl e della Telefox International srl. Sia Di Girolamo che Arigoni sono stati interdetti dai pubblici uffici per cinque anni. Il gup, infine, ha comminato una condanna a 4 anni e 8 mesi a Franco Pugliese, ritenuto esponente della cosca calabrese degli Arena di Isola Capo Rizzato. Il giudice lo ha scagionato dall'accusa di scambio elettorale aggravato dal metodo mafioso mentre lo ha ritenuto responsabile dei reati di intestazione fittizia di beni (nel caso specifico si trattava di uno yacht) e di quello di minaccia per impedire l'esercizio del diritto di voto, sempre con l'aggravante del metodo mafioso. Secondo il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e i sostituti Giovanni Bombardieri e Francesca Passaniti, titolari dell'inchiesta, Pugliese si sarebbe attivato affinchè venissero reperiti presso gli immigrati calabresi in Germania, e in particolare, nel distretto di Stoccarda e Francoforte, schede elettorali in bianco su cui veniva inserito il nominativo di Di Girolamo. (15 luglio 2011)
2011-07-14 IL CASO P4, pm Milano apre inchiesta nuovo rinvio sull'arresto di Papa Il fascicolo d'inchiesta della procura milanese riguarda la rivelazione di segreto d'ufficio a Mediolanum. Colpo di scena in Giunta per le autorizzazioni. Sisto: "Indispensabile cautela". Castagnetti assicura: "Domani il voto". La Lega preoccupa il Pdl: è orientata a non votare contro l'arresto di Papa P4, pm Milano apre inchiesta nuovo rinvio sull'arresto di Papa Alfonso Papa ROMA - Il procuratore aggiunto di Milano, Alfredo Robledo, ha aperto un fascicolo d'inchiesta per rivelazione di segreto d'ufficio a carico di ignoti su una presunta soffiata arrivata ai responsabili di Mediolanum in merito a una verifica fiscale. Secondo indiscrezioni di stampa, sarebbe stato il capo di Stato Maggiore della Gdf Michele Adinolfi un possibile responsabile della fuga di notizie relativa a un'inchiesta della Procura di Milano. Della 'soffiata' ne avrebbero parlato Marco Milanese, l'ex braccio destro di Giulio Tremonti, e un altro generale della Guardia di finanza, nel corso degli interrogatori davanti ai pm napoletani. Colpo di scena anche in Giunta per le autorizzazioni della Camera: il relatore Francesco Paolo Sisto ha ritirato la sua proposta di votare contro la richiesta di autorizzazione all'arresto trasmessa dal Gip di Napoli contro Alfonso Papa. La Giunta si è aggiornata per domani alle 12 quando, fa sapere il presidente Castagnetti, si voterà comunque sul caso del parlamentare coinvolto nell'inchiesta P4: "La proposta può venire anche dell'opposizione". Di Pietro: "La presenta Idv". Anche la Lega Nord è orientata a non votare per l'arresto, ha spiegato il capogruppo del Carroccio alla Camera, Marco Reguzzoni. Sulla richiesta di arresto la posizione leghista preoccupa il Pdl, la cui strategia, si spiega tra i berlusconiani, sarebbe quella di andare direttamente in Aula senza che la Giunta abbia espresso un suo voto definitivo. Per il capogruppo del Carroccio alla Camera, Marco Reguzzoni la richiesta di arresto va valutata tenendo conto delle accuse e delle specificità caso per caso: "In merito alla vicenda del deputato Papa, i componenti della Giunta della Lega Nord ieri hanno ritenuto di manifestare, in assenza degli ulteriori approfondimenti richiesti, la loro totale indisponibilità a votare contro l'arresto, motivo per cui è nata la richiesta del relatore in Giunta di rinvio. Ogni altra ricostruzione è frutto di pura fantasia", ha precisato Marco Reguzzoni aggiungendo che "non esistono divisioni di pensiero all'interno del Gruppo della Lega". "In relazione alle fantasiose ricostruzioni giornalistiche riguardo la posizione della Lega Nord, sulla richiesta di arresto nei confronti del deputato Papa e sulle altre richieste di autorizzazione in corso di esame, si precisa - ha proseguito l'esponente leghista - che non esistono divisioni di pensiero all'interno del Gruppo della Lega. Ribadisco invece che voteremo a favore di ogni richiesta inerente l'acquisizione di materiale, tabulati telefonici e quant'altro possa agevolare nell'accertamento della verità. Per quanto riguarda le sole richieste di arresto è opportuno - ha concluso nella nota il capogruppo leghista - che si valuti tenendo conto delle accuse e delle specificità caso per caso". Ma il pd non ci sta. "Capiamo l'imbarazzo del capogruppo Reguzzoni, ma i fatti che riguardano il deputato Papa sono molto chiari e la Giunta ha avuto a disposizione tutti gli atti necessari per farsi una opinione sulla vicenda. Chiedere ulteriori approfondimenti è quindi del tutto pretestuoso anche perché questi continui rinvii stanno ostacolando il regolare corso della giustizia visto che la domanda di custodia cautelare è motivata dal rischio di inquinamento delle prove", ha detto in una nota la capogruppo del Pd nella Giunta per le autorizzazioni della Camera, Marilena Samperi. Dopo aver ritirato la sua proposta di votare contro la richiesta di autorizzazione all'arresto trasmessa dal Gip di Napoli contro Alfonso Papa, il relatore Francesco Paolo Sisto ha spiegato che non si tratta di un "ripensamento sulla scelta di non consentire il suo arresto, ma di un doveroso rispetto delle garanzie di difesa". "Papa - ha aggiunto il relatore - ha prodotto in Giunta tutti gli atti utilizzati dalla Procura di Napoli, ben 14.932 pagine. E' cautela indispensabile - ha sottolineato Sisto - conoscere tutto ciò che può servire" per tutelare la libertà personale. In precedenza, i deputati Pdl avevano chiesto di rinviare l'esame del voto sulla richiesta di autorizzazione all'arresto trasmessa dal gip di Napoli contro Alfonso Papa (Pdl). Ieri in Giunta maggioranza e opposizione avevano raggiunto l'accordo di votare questa mattina. Ma ieri Papa aveva depositato dei nuovi documenti per leggere i quali ora il relatore aveva chiesto più tempo. Il tempo per decidere scadrà, in ogni caso, domani. Come ha detto il presidente della Giunta, Pierluigi Castagnetti: "Domani in Giunta si voterà comunque perché verrà messa ai voti una proposta. Chi la presenterà? Potrà farlo chiunque, anche l'opposizione". L'esame della vicenda è stato fissato in Aula per il prossimo 20 luglio. E dall'opposizione, tempestivo annuncio di Di Pietro: "Ne stiamo per depositare noi una, che chiederemo di mettere ai voti domani in Giunta" per "bypassare" l'atteggiamento "furbesco e pilatesco" del Pdl e della Lega, aggiunge il leader di Idv. "Ovviamente diremo 'si' all'arresto di Papa. E ci diciamo sin da ora disponibili a fare noi da relatore al posto di Francesco Paolo Sisto". Anche il vicepresidente di Fli, Italo Bocchino ha confermato "il nostro sì all'arresto di Papa". Riferendosi alla posizione dell'altro deputato del Pdl, Marco Milanese, Bocchino ritiene che sia opportuno "consentire alla Procura di Napoli di capire cosa c'è nelle cassette di sicurezza e verificare dai tabulati la presenza di eventuali 'talpe' all'interno della Guardia di Finanza. Spetterà alla Giunta per le autorizzazioni fare le proposte più opportune". (14 luglio 2011)
Mafia, la richiesta della Procura "Processate il ministro Romano" Scrivono i Pm: "Nella sua veste di esponente politico di spicco avrebbe consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno ed al rafforzamento dell'associazione mafiosa" di ALESSANDRA ZINITI Mafia, la richiesta della Procura "Processate il ministro Romano" Saverio Romano Dopo la decisione del gip di respingere la proposta di archiviazione e chiedere l'imputazione coatta, la Procura di Palermo ha impiegato soli quattro giorni per depositare la richiesta di rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa per il ministro dell'Agricoltura Saverio Romano. Passaggio dovuto in attesa della fissazione dell'udienza preliminare nel corso della quale un gip diverso da quello che ha disposto l'imputazione coatta dovrà decidere se gli elementi in mano all'accusa sono tali da giustificare un processo.
"Nella sua veste di esponente politico di spicco, prima della Dc e poi del Ccd e Cdu e, dopo il 13 maggio 2001, di parlamentare nazionale - scrivono i magistrati nella richiesta di rinvio a giudizio - Romano avrebbe consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno ed al rafforzamento dell'associazione mafiosa, intrattenendo, anche al fine dell'acquisizione del sostegno elettorale, rapporti diretti o mediati con numerosi esponenti di spicco dell'organizzazione tra i quali Angelo Siino, Giuseppe Guttadauro, Domenico Miceli, Antonino Mandalà e Francesco Campanella". D'altronde le motivazioni utilizzate dal gip Giuliano Castiglia non erano certo di poco conto. Alla Procura che, per la seconda volta in otto anni, aveva finito con il chiedere l'archiviazione della posizione di Romano, il gip aveva replicato con un secco no ritenendo che Romano "per almeno due decenni ha mantenuto una condotta di consapevole apertura e disponibilità nei riguardi di esponenti anche di assoluto rilievo di Cosa nostra". Secondo il vaglio del gip, dalle carte proposte dalla Procura emerge "un quadro preoccupante di evidente contiguità con le famiglie mafiose". Di più: le condotte del ministro " non appaiono arrestarsi alla soglia della contiguità dell'indagato al sistema mafioso ma rappresentano una perdurante consapevole e interessata apertura verso componenti di primaria importanza dell'organizzazione mafiosa che si è ripetutamente tradotta e concretizzata in specifici, consapevoli e volontari contributi rilevanti per la vita di Cosa nostra". Tra i fatti specifici ai quali il gip dà rilevanza l'appoggio che, così come l'ex governatore Cuffaro in carcere dopo la condanna a 7 anni, anche Romano avrebbe dato alle candidature alle Regionali del 2001 di uomini sponsorizzati dai capi di Cosa nostra, da Mimmo Miceli a Giuseppe Acanto, la visita all'allora boss poi diventato pentito Angelo Siino per chiedere sostegno elettorale, e soprattutto i suoi rapporti con la famiglia mafiosa di Villabate, testimoniati anche dal pentito Francesco Campanella. E infatti, nella richiesta oggi depositata, il procuratore aggiunto Ignazio De Francisci e il sostituto Nino Di Matteo affermano che il ministro "avrebbe messo a disposizione di Cosa nostra il proprio ruolo, contribuendo alla realizzazione del programma criminoso dell'organizzazione tendente all'acquisizione di poteri di influenza sull'operato di organismi politici e amministrativi". LA REPLICA DEL MINISTRO - "Non intendo commentare un atto al quale la procura di Palermo è stata obbligata dopo 8 anni di indagini e due richieste di archiviazione. Continuo a non comprendere come non ci si scandalizzi di un corto circuito istituzionale e giudiziario che riguarda chi da un lato ha condotto le indagini e chi dall'altro le ha severamente sanzionate". Così il Ministro dell'Agricoltura, Saverio Romano, risponde in merito alle vicende giudiziarie che lo vedono coinvolto. Il ministro non ci sta. "Non posso fare una denuncia e subirne le conseguenza a capo chino". (13 luglio 2011)
Il ministro Romano: "Resto a testa alta" attacco a Fini: "Uno che favorisce i parenti" "Mi hanno voluto punire per il voto del 14 dicembre". Sul presidente della Camera: "È un solone che si erge a difensore della morale anche se ha favorito i propri familiari"
Il ministro Saverio Romano, che la Procura di Palermo ha chiesto di rinviare a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa, non si dimette. Anzi: resta "a testa alta" nel governo Berlusconi, visto che si considera soltanto "vittima di una ritorsione politica" causata dal voto che a dicembre ha salvato il governo: "Se il 14 dicembre - ha spiegato Romano in una conferenza stampa alla Camera -, insieme ad altri, non avessi salvato il governo e la maggioranza, dubito che ci sarebbe stata questa iniziativa della magistratura". In più il ministro dell'Agricoltura intende "tutelare in ogni sede giudiziaria e politica" il proprio "buon nome e onorabilità", denunciando "ad alta voce la strumentalità non dell'atteggiamento delle opposizioni, che hanno tutto il diritto, se lo ritengono, di chiedere le mie dimissioni", ma dell' "intervento a gamba tesa, in una vicenda squisitamente politica, del presidente della Camera Gianfranco Fini", il quale aveva in precedenza denunciato l'inopportunità della permanenza di Romano al governo. "Perché ad oggi - ha affermato Romano - di inopportuno c'è solo l'intervento della stessa persona che a dicembre, spogliandosi della terzietà che impone il rivestire la terza carica dello Stato, ha raccolto le firme per far cadere il governo". Romano definisce Fini un "solone" che si erge "a difensore della morale" e che invece ha "favorito i propri familiari attraverso vendite improprie". (13 luglio 2011)
2011-07-11 L'INCHIESTA P4, tutti i segreti di Milanese in cinque cassette di sicurezza Per aprire quei depositi servirà l'autorizzazione da parte della Camera dei deputati. L'ex finanziere "mediatore" per gli affari della Sogei. Sotto osservazione anche l'affitto di altri immobili del Pio sodalizio dei Piceni di CONCHITA SANNINO P4, tutti i segreti di Milanese in cinque cassette di sicurezza Marco Milanese NAPOLI - Un fil rouge, di "stretta rappresentanza" e forse di reciproca convenienza, correva direttamente tra Marco Milanese e la società del Ministero delle Finanze, Sogei, coinvolta nella vicenda della "casa del ministro", e già al centro di sospetti crescenti. È il link che mancava a una partita di giro che non promette nulla di buono. E rischia di svelare - ancora una volta dopo la Anemone story - una vicenda di appalti trattati come favori personali, di commesse e lavori pubblici trasformati in merce di scambio privato. Così come il mistero di quelle cassette di sicurezza appena sigillate a Roma. Non una, ma cinque cassette, tutte appartenenti al deputato Pdl Milanese, sono finite da poche ore sotto sequestro del pm Vincenzo Piscitelli della Procura. Materiale impenetrabile fino a quando la Camera non rilascerà il suo sì, specifico, alla richiesta di autorizzazione per la perquisizione. Che cosa custodivano? Carte, appunti o anche la prova della presunta corruzione? Gli ultimi segreti dell'inchiesta che travolge Milanese - fin dal 2001 fedelissimo braccio destro del ministro Giulio Tremonti, poi suo consigliere politico, nonché deputato per il quale pende alla Camera la richiesta di arresto trasmessa dal Gip con le accuse di associazione per delinquere, corruzione e rivelazione di segreto - sono (o erano) forse nascosti in quel caveau della Banca del Credito Artigiano a Roma, a due passi dalla sede del Ministero di via XX Settembre. Ma poiché quei contenitori sono equiparati ad una pertinenza di attività parlamentare, solo un'autorizzazione dedicata da parte dell'aula di Montecitorio, che si pronuncerà con un voto distinto rispetto all'eventuale esecuzione dell'ordinanza di custodia, potrà consentirne l'apertura alla giustizia. Sempre che qualcuno non ne abbia fatto già sparire il contenuto. Sarà una coincidenza, ma il perito Luigi Mancini, incaricato dal pm, ha già accertato che alcuni ripetuti accessi di Milanese a quelle cassette sono avvenuti a metà dicembre scorso: ovvero subito dopo l'arresto di Paolo Viscione, che già nelle intercettazioni a suo carico, ben note a Milanese, lanciava messaggi. "Se mi stanno ascoltando è meglio, lo dico io che pezzo di m... è questo. Io voglio uscire da questa storia perché quando vengo ricattato dalla politica, da questo Milanese che si fotte i soldi, io non voglio averci più a che fare". Viscione, imprenditore-faccendiere sotto accusa per una mega truffa da 30 milioni, una volta in carcere, si sarebbe trasformato nella gola profonda della "holding Milanese", l'uomo che racconta di aver riversato sul consigliere del ministro "una milionata di euro cash" nel corso di quattro anni, oltre a lussuose auto, gioielli, orologi d'oro, viaggi. Dopo le sue parole, c'è chi s'affretta a far sparire gioiellini? Non è l'unica novità che allarga l'orizzonte dell'inchiesta. Emerge ora quel filo rosso che collega direttamente le ombre che avvolgono la gestione della società pubblica Sogei a Milanese. Una connessione importante è ora nelle mani del pm. L'ha fornita un teste, Angelo Lorenzoni, Segretario generale del Pio Sodalizio dei Piceni. Che racconta: "La Sogei ha preso in fitto alcuni importanti locali di nostra proprietà. Due immobili in via del Parione, primo e terzo piano, e poi un salone affrescato, per riunioni o eventi, in via San Salvatore a Lauro". Contratto: 8.500 euro al mese. Ebbene, chi condusse le trattative per conto di Sogei? "Marco Milanese, era lui il loro volto", dice Lorenzoni. Stesso concetto confermato da un'altra importante teste, la dottoressa Fabrizia La Pecorella, alto funzionario di via XX Settembre: "Sì, Milanese era l'uomo di raccordo tra Sogei e il Ministero". Quel filo, faticosamente riavvolto, racconta dunque: c'è Sogei, la società di Information and Communication Technology del Ministero dell'Economia e delle Finanze che elargisce appalti ad affidamento diretto in gran numero (anche) all'impresa Edil Ars. Quest'ultima, guarda caso, esegue lavori onerosi di ristrutturazione nell'appartamento che sta più a cuore a Milanese: la residenza cinquecentesca al piano nobile di via Campo Marzio abitata (fino a quattro giorni fa) dal ministro Tremonti, ma pagata (sempre 8.500 euro al mese) da Milanese. Quel cantiere di consolidamento e ristrutturazione è costato, testimonianze alla mano, oltre 200mila euro, che però non risultano mai pagati alla Edil Ars: né dal Milanese - come da accordi presi con il proprietario - tantomeno dal ministro, ignaro ospite. È denaro che è stato restituito sotto forma di appalti? Quei lavori nella casa eccellente sono stati saldati con denaro pubblico? Un'ipotesi che gli inquirenti non possono escludere. (11 luglio 2011)
2011-07-10 LODO MONDADORI Berlusconi rinuncia a parlare Vuole evitare reazioni "a caldo" La conferma dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Paolo Bonaiuti: "Le sue parole potrebbero avere ripercussioni anche a livello economico". Bersani: "Per i mercati è corruzione". Idv: "Rispettare le sentenze" Berlusconi rinuncia a parlare Vuole evitare reazioni "a caldo" MIRABELLO - Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, non farà la telefonata di saluto alla Festa di Mirabello, così come era stato previsto. La conferma arriva dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Paolo Bonaiuti, che sta partecipando, proprio a Mirabello, ad una tavola rotonda sul futuro del partito. "Non telefona - spiega Bonaiuti - perchè non vuole scatenare reazioni". "Oggi non parla - aggiunge - per la stessa ragione per cui non ha parlato ieri". Aprire un dibattito politico ora, prosegue Bonaiuti, potrebbe avere ripercussioni anche a livello economico. Bersani: "I mercati vedono corruzione". Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, in missione in Israelem, replica alla spiegazione con cui Paolo Bonaiuti, ha motivato il mancato intervento del premier alla festa del Pdl: "I mercati italiani e internazionali valuteranno questa vicenda come va valutata. Tutto è avvenuto a seguito di un caso di corruzione individuale, conclamata e punita. Questo vedrà il mondo, non i complotti e non è certo una cosa che fa bene al Paese". Idv: "Basta leggi ad personam". In una nota il portavoce dell'Italia dei Valori Leoluca Orlando, scrive che l'Idv "Vigilerà affinchè in Parlamento non sia presentata l'ennesima norma ad personam, come minacciano di fare i pretoriani di Berlusconi: 27 milioni di italiani hanno già detto un secco no alle leggi fatte solo nell'interesse del premier e non dei cittadini". Prosegue Orlando: "Berlusconi si dimetta e non la butti in politica. Le sentenze e i giudici vanno rispettati e non attaccati in modo eversivo da chi non ha rispettato la legge. Per anni il presidente del Consiglio ha approfittato di una sentenza comprata, guadagnando illecitamente del denaro sottratto ad un altro gruppo imprenditoriale". (10 luglio 2011)
LA STORIA "Berlusconi è il corruttore" Illegalità per creare un impero Le motivazioni della sentenza del processo Mondadori: decisioni cambiate a suo favore. Il premier ha voluto, organizzato, finanziato la corruzione di Vittorio Metta che gli consegna la più grande casa editrice del Paese di GIUSEPPE D'AVANZO "Berlusconi è il corruttore" Illegalità per creare un impero Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti in una foto degli anni 80 Se non si ricorda come sono andate le cose venti anni fa, ci si può lasciare confondere dal frastuono sollevato dai commessi ubbidienti dell'Egoarca. Dunque. Due privati cittadini, capi d'impresa, si trovano in conflitto per la proprietà della Mondadori. Accade che gli eredi del fondatore (Arnoldo Mondadori) pattuiscano con Carlo De Benedetti (editore di questo giornale) la cessione della loro quota entro un termine, 30 gennaio 1991. Tra i soci c'è anche Silvio Berlusconi. Mai schietto, lavora nell'ombra. Traffica. Intriga. Ottiene che gli eredi passino nel suo campo. Nasce una lite. La decidono tre arbitri a favore di De Benedetti. Berlusconi impugna il lodo dinanzi alla Corte d'appello di Roma. E' qui si consuma il coup de théatre, il crimine, il robo. All'indomani della camera di consiglio, il giudice relatore Vittorio Metta deposita centosessantasette pagine d'una sentenza che dà partita vinta a Berlusconi. Era stata già scritta e non l'ha scritta il giudice e non è stata scritta nemmeno nello studio privato o nell'ufficio del giudice in tribunale. Preesisteva, scritta altrove. Il giudice ha venduto la sentenza per quattrocento milioni di lire - il giudizio è definitivo, è res iudicata (Corte d'appello di Milano, 23 febbraio 2007, respinto il ricorso dalla Cassazione il 13 luglio 2007) . Il corruttore è Silvio Berlusconi. Ascoltate, perché questo è un brano della storia che solitamente viene trascurato. L'Egoarca porta a casa la ghirba per un lapsus del legislatore. Il parlamento vuole inasprire la pena della corruzione quando il corrotto vende favori processuali. Ma i redattori della legge dimenticano, compilandola, il "privato corruttore". Così per Berlusconi - è il "privato" che corrompe il giudice - non vale la nuova legge più severa (corruzione in atti giudiziari), ma la norma preesistente più blanda (corruzione semplice). Questa, con le attenuanti generiche, decide della prescrizione del delitto. Un colpo fortunato sovrapposto a un "aiutino" togato. Nel 2001, l'Egoarca è a capo del governo. Per il suo alto incarico gli vanno riconosciute - sostengono i giudici (e poi, irriconoscente, il Cavaliere si lamenta delle toghe) - le attenuanti generiche e quindi la prescrizione e non come sarebbe stato più coerente, proprio in ragione delle pubbliche responsabilità, le aggravanti e quindi la condanna insieme agli uomini (gli avvocati Previti, Acampora e Pacifico) che, nel suo interesse, truccarono il gioco. Allora, per chi vuole ricordare, le cose stanno così: Berlusconi ha voluto, organizzato, finanziato la corruzione di Vittorio Metta che gli consegna - come il bottino di una rapina - la più grande casa editrice del Paese, ma non può essere punito. Con buona pace di Marina Berlusconi e dei suoi argomenti ("un esproprio") e arroganza ("neppure un euro è dovuto da parte nostra"), dov'è la politica in questa storia? C'è soltanto la contesa di mercato tra due imprenditori. Uno dei due, Berlusconi, si muove come un pirata della Tortuga. Non gli va bene. Lascia troppe tracce in giro. Lo beccano. La sentenza della Corte d'appello civile è molto chiara in due punti decisivi. 1. Berlusconi è il corruttore. Scrivono i giudici: "Ai soli fini civilistici del giudizio, Silvio Berlusconi è corresponsabile della vicenda corruttiva". 2. Con la corruzione del giudice, Berlusconi non ha soltanto sottratto a De Benedetti la chance di prevalere nella causa sul controllo del gruppo Mondadori-Espresso (come ha sostenuto la sentenza di primo grado), ma gli ha impedito di vincere perché De Benedetti senza la corruzione giudiziaria avrebbe di certo conquistato un verdetto favorevole alle sue ragioni. Oggi a distanza di venti anni, che non sono pochi soprattutto per chi ha patito l'inganno, Berlusconi - evitato il castigo penale - paga il prezzo della rapina, risarcendone il danno. Tutto qui? Andiamoci piano. E' un "tutto qui" che ci racconta molte cose di Berlusconi e qualcuna sul berlusconismo. Si sa, il Cavaliere si lamenta: "Mi trattano come se fossi Al Capone". Lo disse accompagnando la sentenza di primo grado, in questo processo civile. La sentenza di appello ci consente di comprendere meglio che cosa l'Egoarca condivida con Al Capone: il rifiuto delle regole, il disprezzo della legge, l'avidità. Lo abbiamo già scritto in qualche altra occasione. Come Al Capone testimonia simbolicamente la crisi di legalità negli Stati Uniti degli Anni Venti, Berlusconi rappresenta - ne è il simbolo - l'Italia corrotta degli Anni Ottanta e Novanta, la crisi strutturale della sfera pubblica che ancora oggi, nonostante Tangentopoli, comprime il futuro del Paese. E' infatti irrealistico immaginare Berlusconi fuori dal corso di quegli eventi: capitali oscuri, costanti prassi corruttive, liaisons piduistiche, un'ininterrotta presenza nel sottosuolo pubblico dove non esiste un angolo pulito. Berlusconi è quella storia e senza amnistie, senza un incessante e rinnovato abuso di potere, senza riforme del codice e della procedura preparate dai suoi governi, egli sarebbe considerato oggi un "delinquente abituale". Accostiamo, per capire meglio, la sentenza di ieri della Corte d'appello civile di Milano con gli esiti processuali di un altro processo per corruzione. Questa volta non di un giudice, ma di un testimone, David Mills. Lo si ricorderà. David Mills, per conto e nell'interesse di Berlusconi e con il suo coinvolgimento "diretto e personale", crea e gestisce "64 società estere offshore del group B very discreet della Fininvest", dove transitano quasi mille miliardi di lire di fondi neri; i 21 miliardi che hanno ricompensato Bettino Craxi per l'approvazione della legge Mammì; i 91 miliardi (trasformati in Cct) destinati non si sa a chi (se non si vuole dar credito a un testimone che ha riferito come "i politici costano molto ed è in discussione la legge Mammì"). E ancora, il controllo illegale dell'86 per cento di Telecinco (in disprezzo delle leggi spagnole); l'acquisto fittizio di azioni per conto del tycoon Leo Kirch contrario alle leggi antitrust tedesche; la risorse destinate poi da Cesare Previti alla corruzione dei giudici di Roma tra i quali (appunto) Vittorio Metta; gli acquisti di pacchetti azionari che, in violazione delle regole di mercato, favorirono le scalate a Standa, Mondadori, Rinascente. In due occasioni (processi a Craxi e alle "fiamme gialle" corrotte), David Mills mente in aula per tener lontano il Cavaliere dai guai, da quella galassia societaria di cui l'avvocato inglese si attribuì la paternità ricevendone in cambio "enormi somme di denaro, estranee alle sue parcelle professionali", come si legge nella sentenza che lo ha condannato. Sono sufficienti questi due approdi processuali (Mondadori e Mills) per guardare dentro la "scatola degli attrezzi" di Silvio Berlusconi e lasciare senza mistero la sua avventura imprenditoriale. Da quelle ricostruzioni, che non hanno mai incontrato un'alternativa accettabile, ragionevole, credibile nelle parole o nei documenti del Cavaliere, si può comprendere come è nato il Biscione e di quali deformità pubbliche e fragilità private ha goduto per diventare un impero. Se solo la memoria non avesse delle sincopi, spesso determinate dal controllo pieno dell'informazione, che cosa ne sarebbe allora del "corpo mistico" dell'ideologia berlusconiana, della sua agiografia epica? Chi potrebbe credere alla favola del genio, dell'uomo che si fatto da sé con un "fare" instancabile, ottimistico e sempre vincente, ispirato all'amore e lontano dal risentimento? La verità è che finalmente, dopo un ventennio, comincia a far capolino e - quel che più conta - a diventare consapevolezza anche tra chi gli ha creduto come, al fondo della fortuna del premier, ci sia il delitto e quindi la violenza. Scorriamo i reati che gli sono stati contestati nei dodici processi che ha subito finora. Salta fuori il resoconto degli "attrezzi" del Mago: evasione fiscale; falso in bilancio; manipolazione delle leggi che regolano il mercato e il risparmio; corruzione della politica (che gli confeziona leggi ad hoc); della polizia tributaria (che non vede i suoi conti taroccati); dei giudici (che decidono dei suoi processi); dei testimoni (che lo salvano dalle condanne). Senza il controllo dei "dispositivi della risonanza" - ripeto - sarebbe chiaro da molto tempo come la chiave del successo di Berlusconi la si debba cercare nel malaffare, nell'illegalità, nel pozzo nero della corruzione della Prima Repubblica, di cui egli è il figlio più longevo. Oggi come ieri per far dimenticare la sua storia, per nascondere il passato, salvare il suo futuro, tenere in vita la mitologia dell'homo faber, Berlusconi non inventerà fantasmagoremi. L'Egoarca muove sempre gli stessi passi, ripete sempre le stesse mosse. Come per un riflesso automatico, si esibirà nell'esercizio che gli riesce meglio: posare da vittima "politica", bersaglio di un complotto politico-giudiziario. Confondendo come sempre privato e pubblico, con qualche metamorfismo mediatico - ha degli ordigni e sa usarli - trasformerà la sua personale e privatissima catastrofe di imprenditore, abituato all'imbroglio e al crimine, in affaire politico che decide del destino della Nazione. Ha cominciato la figlia Marina, accompagnata dalla volgarità ingaglioffita e aggressiva dei corifei. Domani - comoda la prognosi - sarà il Cavaliere a menare la danza in prima fila. Con un mantra prevedibile e in attesa di escogitare un qualche sopruso vincente, dirà: "Contro di me tentano un attacco patrimoniale". Vedremo così allo scoperto il più autentico statuto del berlusconismo: l'affermazione di un potere statale esercitato direttamente da un tycoon che sfrutta apertamente, e senza scrupoli, la funzione pubblica come un modo per proteggere i suoi interessi economici. Ieri, ne abbiamo già avuto un saggio nella tempesta declamatoria dell'intero gruppo dirigente del "partito della libertà" dove si è distinto Maurizio Lupi, che nella settimana che si apre sarà addirittura ministro di Giustizia. Le sue parole sono quasi il paradigma della devastazione della legalità che il berlusconismo ha codificato. L'uomo spesso posa a riformista dialogante, ma nell'ora decisiva mostra il suo volto più reale. Dice: "In qualsiasi Paese una sentenza che intima al leader di maggioranza di risarcire il vero leader dell'opposizione (De Benedetti ha la tessera n. 1 del Pd) avrebbe suscitato unanime condanna". Davvero in qualsiasi Paese, con l'eccezione di un'Italia gobba afflitta da malattie organiche, un imbroglione avrebbe potuto nascondere agli elettori le sue tecniche fino a diventare capo del governo? In quale altro Paese, scoperto l'imbroglio, il neoministro di Giustizia quasi come atto programmatico ne invoca l'impunità pretendendo la severa punizione dell'eretico che, truffato, ha chiesto il rispetto dei suoi diritti? In quale altro Paese un delitto commesso da un privato può essere cancellato in nome della sua funzione pubblica? Nelle poche parole del neoministro si può rintracciare il compendio delle "qualità" del ceto politico berlusconiano, i suoi strumenti, il suo metro: ignoranza, immoralismo cinico, illegalismo istituzionale, chiassosi stereotipi, menzogna sistematica e la totale eclissi dei due archetipi del sentimento morale: la vergogna e la colpa. Con tutta evidenza, siamo soltanto all'inizio del triste spettacolo che andrà in scena nelle prossime settimane perché - è chiaro - Berlusconi può abbozzare sulla manovra fiscale che riguarda gli altri, ma qui parliamo di lui, della sua "roba". E' per la "roba" che si è fatto politico e con la politica che vorrà salvare la sua "roba". Costi quel che costi. (10 luglio 2011)
Un regno che affonda in un mare di scandali di EUGENIO SCALFARI LA FINE d'un regno ha sempre un andamento drammatico e talvolta addirittura tragico. Pensate a Macbeth e a Lear ma anche a Hitler e a Mussolini, dove la realtà sembra imitare i vertici della letteratura. Talvolta però alla cupezza del dramma si accompagna la sconcia comicità della farsa; sconcia perché inconsapevole e quindi cupa e drammatica anch'essa. Vengono in mente alcuni comprimari del fine regno berlusconiano: Brunetta, Gasparri, La Russa, Quagliariello, Sacconi, Ghedini, Prestigiacomo, Gelmini, Alfano e il suo partito degli onesti. Con Calderoli siamo al culmine della comicità inconsapevole, a cominciare da come si veste e da come cammina: non è un pavone che esibisce la sua splendida ruota e neppure un tacchino con i suoi bargigli, ma ha piuttosto l'andare del gallinaccio, il più sgraziato dei pennuti. Bossi no, non è comico ma profondamente drammatico: un leader lucido e sensibilissimo a cogliere gli umori della sua gente, cui la malattia aveva addirittura conferito un di più, quella parlata inceppata, quei gesti di una volgarità voluta, quella faccia segnata ma non rassegnata: così era stato fino a un anno fa, ma poi il vento è cambiato anche nella Lega e il Senatur ha cominciato ad annaspare. Ora sembra un timoniere senza bussola e senza stelle che procede alla cieca in una fitta foschia mentre infuria lo scontro per la successione. Il dramma di Berlusconi è ancora più complesso ed enigmatica la sua comicità. A volte è anche per lui inconsapevole e quindi oscena come nel caso della nipote di Mubarak. Ma poi usa consapevolmente quella stessa comicità, la trasforma in barzelletta con la quale strappare al suo pubblico una risata e un applauso con la duplice intenzione di dimostrare la sua autoironia e la sua calma nella tempesta. A volte però la barzelletta non piace, non provoca la risata liberatoria ma un assordante silenzio e in lui sempre più spesso emerge la sindrome della solitudine, del tradimento, della congiura. Leggendo l'altro ieri la sua intervista a "Repubblica" tutti questi passaggi sono chiarissimi: c'è la stanchezza d'un leader che preannuncia il suo futuro di padre nobile, il disprezzo verso i nemici esterni, l'ira verso i traditori interni, la volontà di mantenere il potere attraverso i figliocci da lui delegati. Infine il colpo di teatro d'affidare il lascito testamentario ad un giornale da lui attaccato, vilipeso, ingiuriato. E Tremonti? Qual è la parte di Tremonti in questo fine regno sempre più incombente? Ha appena varato una manovra finanziaria che avrebbe dovuto mettere al sicuro i conti pubblici e il debito sovrano, ma proprio nei giorni del varo i mercati sono stati scossi da una speculazione che ha il nostro debito, le nostre banche, i nostri titoli, come bersagli primari. Invece di rafforzare la stabilità del governo e della maggioranza la manovra ha aumentato le crepe diventando a sua volta un fattore di instabilità. Potrà in queste condizioni il ministro dell'Economia restare al suo posto? Potrà reggere al dibattito parlamentare che si annuncia estremamente difficile? * * * La storia - lo sappiamo - non si fa con i se, ma i se a volte ci aiutano a capir meglio i fatti che sono realmente avvenuti. Dove saremmo oggi se il 14 dicembre del 2010 Berlusconi non avesse avuto la fiducia? Il governo sarebbe caduto, il Presidente della Repubblica avrebbe aperto le consultazioni e molto probabilmente avrebbe nominato un nuovo governo, un nuovo presidente del Consiglio, un nuovo ministro del Tesoro. I nomi non mancavano ed erano tutti di primissimo piano, da Mario Monti a Mario Draghi. I mercati sarebbero stati ampiamente rassicurati da quei nomi e dalla loro politica. Purtroppo non andò così. Oggi i mercati stanno attaccando i titoli pubblici emessi dallo Stato e i titoli delle banche; il rendimento dei buoni del Tesoro decennali è salito al 5 e mezzo per cento, lo "spread" rispetto al Bund tedesco a 2,48. Nel frattempo ieri mattina la Corte civile d'appello di Milano ha condannato la Fininvest, nel processo di secondo grado sul Lodo Mondadori, a pagare alla Cir di Carlo De Benedetti 560 milioni di euro. Si tratta d'una sentenza che fa giustizia in sede civile d'uno dei più gravi reati che il nostro codice penale contempla: la corruzione di magistrati. Quel reato fu accertato con sentenza definitiva ma Berlusconi ne fu tenuto fuori perché per lui erano decorsi i termini della prescrizione. Restava tuttavia il diritto della parte lesa al risarcimento del danno e a questo ha provveduto la sentenza di ieri. Essa certifica che l'impero editoriale del presidente del Consiglio è fondato su un gravissimo reato penale. Noi l'abbiamo sempre saputo e sempre detto e questo è per noi il valore politico e morale della sentenza di ieri. * * * Ribadito che la reazione negativa dei mercati è motivata principalmente dall'implosione della maggioranza di centrodestra, occorre tuttavia esaminare la manovra nella sua impostazione politica e tecnica, ambedue estremamente manchevoli. Il ministro dell'Economia aveva inizialmente spacchettato i tempi dell'operazione: per l'esercizio in corso un intervento di un miliardo e mezzo, di semplice manutenzione. Nel 2012 cinque miliardi e mezzo e tanto bastava secondo il calendario concordato con l'Ue. Il grosso nei due esercizi successivi, 20 miliardi in ciascuno di essi per azzerare il deficit nel 2013 e per realizzare il pareggio del bilancio nel 2014. In totale 47 miliardi, ai quali bisognava aggiungerne circa 32 utilizzati nel 2009-2010 per mettere i conti pubblici in sicurezza. Sembrò che queste operazioni fossero sufficienti e che il loro risultato finale segnasse il pieno successo di Tremonti e per riflesso del governo di cui egli è il perno economico. Mancavano in questo quadro di rigore finanziario, interventi destinati alla crescita del prodotto interno lordo, ma il superministro non mostrava di preoccuparsene. La crescita sarebbe venuta al momento opportuno. Protestavano le imprese, protestavano i sindacati, protestavano le organizzazioni dei commercianti e dei consumatori e protestavano anche Berlusconi e Bossi, ma Tremonti restava fermo e sicuro con l'appoggio dell'Europa e - così sembrava - anche dei mercati. Ma poi le cose sono radicalmente cambiate e una realtà del tutto diversa è venuta a galla. Fermo restando lo spacchettamento temporale, si è venuti a sapere che Tremonti aveva effettuato un altro tipo di spacchettamento: la manovra vera e propria non era di 47 miliardi ma soltanto di 40; di questi, 25 erano contenuti nel decreto firmato quattro giorni fa da Napolitano (dopo che era stata ritirata la vergognosa norma mirata a bloccare la sentenza sul Lodo Mondadori). Altri 15 miliardi sarebbero stati invece reperiti con la legge delega per la riforma fiscale, che dovrà anch'essa esser votata dal Parlamento nelle prossime settimane o nei prossimi mesi. È proprio la riduzione della manovra che ha indotto Giorgio Napolitano nel momento in cui firmava il decreto a indicare la necessità di ulteriori interventi da prendere al più presto possibile. Senza ancora entrare nel merito, la criticità che ha allarmato i mercati si deve soprattutto a quei 15 miliardi affidati alla legge delega. Dovrà essere approvata dal Parlamento e dovrà poi confrontarsi, nel momento di emettere i decreti delegati, non solo con l'apposita commissione bicamerale ma soprattutto con la conferenza Stato-Regioni. E poiché la parte più rilevante dei 15 miliardi da reperire è prevista proprio a carico delle Regioni e degli Enti locali, è facile prevedere che il negoziato sarà lungo e molto complesso. La reperibilità e la tempistica restano dunque i punti interrogativi che difficilmente saranno risolti nel prossimo esercizio. Quanto al merito, la manovra da 25 miliardi e la riforma fiscale per reperirne altri 15 poggiano, come ha più volte osservato Bersani, su prelievi a carico del sociale: il taglio dei contributi agli Enti locali, le maggiori imposte territoriali, il peggioramento dei servizi, il potere d'acquisto delle famiglie, la mancata rivalutazione delle pensioni, i giovani disoccupati, l'età pensionistica delle donne. Se si dovesse definire con due parole il significato politico di questa imponente operazione, di cui uno degli interventi principali è l'imposta sui titoli depositati nelle banche, si dovrebbe definirla una manovra di classe. Forse questo piacerà al Pdl e per alcuni aspetti anche alla Lega, ma certo non piacerà alle opposizioni e soprattutto a quelle fasce sociali che si sono manifestate nelle recenti elezioni amministrative e nel voto referendario. * * * L'ultimo capitolo che marca il fine regno berlusconiano è la marea degli scandali che coinvolge due eminenti deputati del Pdl, Alfonso Papa e Marco Milanese, un ministro di recente nomina, quel Saverio Romano sul quale il Presidente della Repubblica nell'atto di firmare il decreto di nomina voluto da Berlusconi indicò un possibile impedimento giudiziario che in quel momento era soltanto potenziale ma che ora è diventato di stringente attualità perché a suo carico è stato formalizzato dal Tribunale di Palermo un mandato di cattura per associazione mafiosa. Papa, Milanese, Romano sono i tre terminali sui quali stanno lavorando le Procure di Napoli, Palermo e Roma e che riguardano appalti, nomine in alcune imprese di natura pubblica, dazioni di danaro, gioielli, automobili di altissimo pregio, immobili, informazioni riservate ed usate per ricatti e vere e proprie estorsioni. Il centro di alcuni di questi scandali e di questi reati è la Guardia di finanza e il suo Comando generale. Il ministro dell'Economia, ascoltato di recente come testimone dalla Procura di Napoli, ha addirittura ammesso che esistono due cordate nella Guardia di finanza che operano per favorire due diversi candidati alla nomina di comandante generale. Tremonti del resto è coinvolto in pieno dallo scandalo Milanese; un uomo che è al suo fianco dal 2005 e che è stato colto con le mani nel sacco per decine di reati, ricatti, uso di informazioni riservate. Di tutto ciò il ministro garantisce di non essere mai stato al corrente. Delle due l'una: o il ministro non dice il vero oppure la sua dabbenaggine nella scelta dei collaboratori rasenta un livello tale da minare la sua credibilità. In questa situazione sarebbe estremamente urgente che il Partito democratico producesse una seria proposta alternativa di politica economica, di politica istituzionale e di legge elettorale. Bersani si era impegnato a farlo subito dopo le elezioni del maggio scorso, ma quella promessa non è stata mantenuta, si è restati nel vago di dichiarazioni che non descrivono una politica nella sua completezza e concretezza. Il Pd rischia di perdere un'occasione storica per ridare un ruolo al centrosinistra e al riformismo. Viene da dire - insieme alle donne italiane di nuovo mobilitate - se non adesso, quando? (10 luglio 2011)
L'INCHIESTA Una "cresta" su Lettieri e Ponzellini così sfumò il colpo grosso di Milanese Al centro dell'indagine sull'ex collaboratore di Tremonti, in cambio del denaro c'è proprio il nodo delle nomine. Coinvolti il patron di Impregilo e Banca Popolare di Milano e l'imprenditore candidato Pdl a sindaco di Napoli, sconffito da De Magistris di CONCHITA SANNINO Una "cresta" su Lettieri e Ponzellini così sfumò il colpo grosso di Milanese Marco Milanese NAPOLI - Un "doppio potere", che gli derivava dalla vicinanza con il ministro e dai legami con la Finanza, "usato per il suo vorticoso giro" di presunta corruzione, affari illeciti, attività di lobby. Una condotta "seriale". E un altro colpo grosso, Milanese "l'ingordo", l'aveva quasi centrato. Stando alle carte dell'inchiesta del pubblico ministero Vincenzo Piscitelli a carico del potente braccio destro del ministro Giulio Tremonti, il deputato Pdl Marco Milanese aveva infatti coinvolto in una cospicua operazione finanziaria anche Massimo Ponzellini, il patron di Impregilo e di Banca Popolare di Milano. Per quella mediazione, racconta il grande accusatore Paolo Viscione, imprenditore già agli arresti da dicembre, Milanese doveva fare una cresta "del dieci per cento". Ritratto del plenipotenziario del ministro del Tesoro. Come dimostrano anche documenti e carte sequestrate nei computer e nei cassetti dei vertici di Finmeccanica. Sono appunti che addirittura producono graficamente le spartizioni politiche per le nomine nelle aziende di Stato, confermando ciò che interessa agli inquirenti: è Milanese a dettare quei nomi per conto del Tesoro. Lo racconta dettagliatamente Lorenzo Borgogni, responsabile delle relazioni esterne di Finmeccanica. Lo conferma anche Mauro Moretti, amministratore delle Ferrovie dello Stato. Che dice: "Sì, è sempre stato Milanese il nostro interlocutore per il Tesoro. Anche se alla fine decido io". Il business con Ponzellini. Il faccendiere Paolo Viscione racconta al pm Piscitelli, nel corso di due interrogatori, che Milanese "doveva prendere un'ulteriore tangente del 10 per cento" su una mega operazione finanziaria, in cui comparivano Ponzellini e anche Gianni Lettieri, l'ex numero uno dell'Unione degli Industriali di Napoli poi sceso in campo come candidato sindaco pdl di Napoli (voluto da Gianni Letta, e sconfitto dalla valanga de Magistris). Una trattativa portata avanti per almeno sei mesi, poi tramontata per l'insorgere delle nuove grane giudiziarie. "C'era un mercato interessato alla mia compagnia Eig. Infatti Marco Milanese mi fa incontrare Massimo Ponzellini (...) - sottolinea Viscione - che era interessato perché doveva fare la Bank Insurance, e doveva fare l'accordo. Per chi trattava? Ovviamente per conto della Banca Popolare di Milano. Che era interessata a finanziare l'operazione attraverso delle riutility-Inc" che si doveva fare con (...)". Ponzellini, interrogato dal pm il 12 gennaio, conferma: "Nel settembre ottobre 2009, fui raggiunto da una telefonata da Milanese, che mi segnalava un imprenditore, Viscione, per valutare un'operazione di possibile interesse della banca. Fissai l'appuntamento nel mio ufficio di piazzale Flaminio, ma poi, preso da altri impegni, non potei riceverli, e quindi raggiunsi Viscione nei suoi uffici di via Petra dove conobbi appunto Viscione. Lui era interessato a cedere a terzi la compagnia assicurativa milanese che a suo giudizio valeva intorno ai 40/50 milioni di euro e chiedeva una valutazione da parte della banca. Vi sono poi - aggiunge Ponzellini - altri due incontri a Roma e a Milano (in uno dei quali ha partecipato anche Bruno Lago che conoscevo dai tempi della Bei) oltre a quello tenuto dal mio collaboratore Cannalire, per valutare la documentazione che intanto gli avevamo chiesto (...). Abbiamo saputo che un soggetto interessato poteva essere Lettieri". Viscione aggiunge al pm: "Mentre Ponzellini faceva tutta questa teoria, e Milanese doveva avere il 10 per cento per questa operazione, io cerco di trovare il compratore a cui però mancano i soldi". Il pm chiede: Lettieri è il compratore a cui mancano i soldi? Viscione replica: "Sì, cioè lui diceva di averli, però io sapevo che non ce li aveva, per cui ho detto: ora te li procuro io, sempre attraverso il solito...". La racconta diversamente Lettieri: "Ho preso in considerazione la possibilità di acquistare con la società Meridie, la Eig (di Viscione). Il primo incontro con Viscione avvenne nel gennaio del 2010, c'era anche Marco Milanese, che avevo conosciuto da presidente di Confindustria. Ricordo che c'era una disponibilità della Banca Popolare di Milano ma io volevo capire la bontà dell'operazione. Poi mi disimpegnai". Le nomine nelle controllate di Finmeccanica e Ferrovie. Al centro dell'inchiesta, culminata anche negli arresti di manager Guigo Marchesi e Carlo Barbieri (tra l'altro, sindaco di Voghera, ndr) - i cui nomi vengono suggeriti proprio da Milanese nelle società di secondo livello controllate dal Ministero, in cambio di denaro e compravendite taroccate - c'è proprio il nodo delle nomine. Il pm sequestra materiale importante sulla spartizione ritualmente in corso tra partiti per le nomine nelle aziende di primo e secondo livello. Nella perquisizione al numero due di Finmeccanica, Borgogni, c'è un appunto significativo scritto a penna: "Giorgetti, Milanese, Romani (Guerrera), Fortunato (Mef), Galli, Squillace, La Russa". Anche la Lega fornisce. ovviamente, i suoi uomini. Borgogni, interrogato, spiega al pm. "Sì, Milanese è seduto anche al tavolo di compensazione, a Palazzo Chigi", dove si trova l'equilibrio tra le tante richieste che arrivano dai partiti. Ecco anche la conferma di Mauro Moretti, l'ad di Ferrovie: "Marco Milanese è stato normalmente il nostro interlocutore per le nomine nei Cda dice Moretti - La scelta di Barbieri? Si tratta certo di un esterno, ma non ricordo se fu fatta da lui, si trattava comunque di una nomina senza troppa importanza (15mila euro lordi l'anno)". Contatti con Alemanno e ministro dei Beni Culturali. Non solo gioielli e auto di lusso, Viscione regala a Milanese, e parla con il pm, anche di quadri di lusso. E racconta: "Esiste una lobby all'interno del mondo dell'arte contemporanea. Fanno le quotazioni non solo i critici, ma anche i galleristi, che hanno degli interessi specifici perché tengono il loro magazzino". Viscione stava cercando, attraverso questo meccanismo, di lanciare un pittore albanese, Alfred Mirasci. Erano stati avviati contatti, racconta Viscione, "con il sindaco di Roma e il ministro dei Beni culturali. Io ho 400 opere di questo artista, l'operazione costava 80mila euro e il coso albanese si doveva preoccupare con il sindaco di Roma e il ministro dei Beni culturali di trovare il luogo... Era stato individuato il museo di arte contemporanea più importante di Roma. (10 luglio 2011)
2011-07-09 LA SENTENZA LODO MONDADORI FININVEST-CIR 2011-07-09.IL CASO Lodo Mondadori, Fininvest condannata dovrà pagare 560 milioni alla Cir I giudici della Corte d'Appello di Milano impongono alla holding del Biscione il risarcimento a favore della holding di Carlo De Benedetti. La sentenza è immediatamente esecutiva. I giudici: "Berlusconi correo di corruzione". La Cir: "Sentenza conferma che ci fu corruzione ed è estranea all'attualità politica" di EMILIO RANDACIO Lodo Mondadori, Fininvest condannata dovrà pagare 560 milioni alla Cir Carlo De Benedetti MILANO - La Fininvest dovrà pagare. I giudici della Corte d'Appello di Milano hanno condannato la holding del Biscione a risarcire Cir per la vicenda del Lodo Mondadori per 540 milioni circa di euro alla data della sentenza di primo grado dell'ottobre 2009, più gli interessi e le spese decorsi da quel giorno. La cifra quindi arriverebbe intorno ai 560 milioni di euro 1. Un quarto in meno dei 750 milioni stabiliti in primo grado. La sentenza è immediatamente esecutiva. Furiosa la reazione di Marina Berlusconi 2, mentre la Cir, in una nota, afferma che la sentenza "conferma ancora una volta che nel 1991 la Mondadori fu sottratta alla Cir mediante la corruzione del giudice Vittorio Metta, organizzata per conto e nell'interesse di Fininvest". Definendo il contenzioso giudiziario su Mondadori "riguarda una storia imprenditoriale ed è completamente estraneo all'attualità politica". SCHEDA: Le tappe della vicenda 3 IL TESTO DELLA SENTENZA (pdf) 4 AUDIO Il commento di Massimo Giannini 5 La causa è la conseguenza, in sede civile, di un processo penale finito nel 2007 con le condanne definitive, per corruzione in atti giudiziari, del giudice Vittorio Metta e degli avvocati Cesare Previti 6, Giovanni Acampora e Attilio Pacifico. La Cassazione confermò che la sentenza del 1991 della Corte d'Appello di Roma, sfavorevole a De Benedetti nello scontro con Berlusconi per assicurarsi il controllo della casa editrice, fu "comprata" corrompendo il giudice Metta con almeno 400 milioni di lire provenienti dai conti esteri Fininvest. Il premier venne prosciolto per prescrizione in modo irrevocabile nel novembre 2001. La sentenza."Per questi motivi la corte accoglie, per quanto di ragione, sia l'appello principale che quello incidentale e per l'effetto in parziale riforma della sentenza del 2009, determina in euro 540 milioni 141 mila 059,32 centesimi l'importo dovuto dalla convenuta alla data del 3 ottobre 2010 quale risarcimento di danno immediato e diretto, e pertanto condanna Fininvest a pagare in favore di Cir s.p.a. tale somma oltre agli interessi legali da detta data al saldo; dichiara compensate per un quarto tra le parti le spese processuali di entrambi i gradi del giudizio; condanna l'appellante Fininvest a riforndere in favore della Cir i residui tre quarti delle spese processuali dei due gradi, come in motivazione partitamente liquidate, per il primo grado in complessivi euro 3 milioni 296 mila, e per il presente grado in complessivi euro 3 milioni 940 mila oltre, per entrambi i gradi di giudizio, al rimborso per le spese generali del 12,5% su diritti e onorari come per legge; pone definitivamente a carico di ciascuna parte per la metà i già liquidati costi della consulenza tecnica d'ufficio; conferma nel resto la sentenza impugnata". Per il giudici, inoltre, il premier è "correo" nel reato di corruzione. La nota della Cir. "Si è riconosciuto il diritto di Cir a un congruo risarcimento per il danno sofferto - si legge nella nota diffusa dagli avvocati del gruppo Vincenzo Roppo ed Elisabetta Rubini - tale danno, enorme già in origine, si è poi notevolmente incrementato per rivalutazione e interessi in considerazione del lungo tempo trascorso dai fatti. Con particolare soddisfazione si registra il passaggio della sentenza dove si riconosce che, corrompendo il giudice metta, Fininvest tolse a Cir non la semplice chance di vincere nel 1991 la causa sul controllo del gruppo Mondadori-Espresso, ma la privò senz'altro di una vittoria che senza la corruzione giudiziaria sarebbe stata certa". Il procedimento civile. Avviato nell'aprile 2004, con la richiesta complessiva di un miliardo di risarcimento da parte di Cir, il procedimento civile il 3 ottobre 2009 ha visto la sentenza di primo grado: il giudice Raimondo Mesiano 7aveva stabilito che la holding di De Benedetti "ha diritto" al risarcimento da parte di Fininvest "del danno patrimoniale da perdita di 'chance'" per "un giudizio imparziale'. Risarcimento 8 quantificato in 749.995.611,93 euro a cui si aggiungono gli interessi legali, le spese del giudizio e, tra l'altro, due milioni di euro per gli onorari. Pochi giorni dopo il ricorso in appello, a dicembre, era arrivato un accordo tra Finivest e Cir: la prima aveva presentato una fideiussione da 806 milioni 9 rinunciando all'istanza di sospensione, mentre la seconda si era impegnata a non chiedere l'esecuzione del maxirisarcimento fino alla sentenza d'appello. Il pool di esperti. In vista del verdetto di secondo grado, lo scorso anno, i magistrati avevano nominato un pool di esperti per stabilire "se e quali variazioni dei valori delle società e delle aziende oggetto di scambio fra le parti siano intervenuti tra il giugno del 1990 e l'aprile del 1991, con riguardo agli andamenti economici delle stesse e di evoluzione dei mercati dei settori di riferimento". Le conclusioni dei consulenti. A settembre 2010 le conclusioni dei consulenti: avevano stabilito che il danno subìto dalla holding della famiglia De Benedetti esisteva anche se, a loro avviso, era minore rispetto alla quantificazione del tribunale. Di recente Berlusconi aveva definito una sua eventuale condanna "una rapina a mano armata" 10. Mentre è di pochi giorni fa la polemica sulla cosidetta norma salva Fininvest 11 inserita e poi tolta dalla Finanziaria dopo dure polemiche. Ed oggi è saltata la visita del premier a Lampedusa 12. Che cosa accadrà. A questo punto Cir può, da subito, eseguire il contenuto della sentenza d'Appello. La holding di De Benedetti si potrà rivolgere alle banche, di cui Intesa-Sanpaolo è capofila, per riscuotere la quota della fideiussione da 806 milioni. Fideiussione bancaria valida per 16 mesi, e rinnovabile, posta alla base dell'accordo del dicembre 2009 tra le sue società. Ci potrebbe essere anche, in via del tutto ipotetica, un accordo tra le parti per congelare l'esecutività della sentenza in attesa della conferma definitiva della Cassazione. (09 luglio 2011)
LODO MONDADORI Nei conti Fininvest un paracadute d'oro A fine 2009 nel portafoglio di via Paleocapa c'erano 701 milioni di euro. Quanto resta dei 2 miliardi incassati nel 2005 con il collocamento in Borsa del 16,6% di Mediaset. Un tesoretto che ha consentito alla cassaforte del premier di non accantonare fondi a bilancio in vista di una sentenza negativa sul lodo di Segrate. Ma il colpo resta pesante di ETTORE LIVINI Nei conti Fininvest un paracadute d'oro La sede della Fininvest a Cologno Monzese FININVEST non dovrà penare troppo per trovare i 560 milioni necessari a risarcire la Cir (editore de La Repubblica) dopo la sentenza sul Lodo Mondadori. Non servirà andare in banca a far mutui. Basterà rompere il salvadanaio di famiglia. Nelle casse della holding del presidente del Consiglio, infatti, ci dovrebbe essere liquidità più che sufficiente a saldare il conto. Il dato a fine 2010 non è stato comunicato dal Biscione, ma a fine 2009 nel portafoglio di via Paleocapa c'erano contanti per 701 milioni di euro. Quanto resta dei 2 miliardi incassati nel 2005 con il collocamento a Piazza Affari del 16,6% di Mediaset a valle degli investimenti degli ultimi anni. Un tesoretto che non dovrebbe essersi intaccato più di tanto negli ultimi dodici mesi. E proprio la disponibilità di questo paracadute d'oro ha consentito alla cassaforte del premier di non accantonare fondi a bilancio in vista di una sentenza negativa sul lodo di Segrate. Il colpo finanziario resta comunque pesante. Anche perché in casa Berlusconi, in questo 2011 non proprio brillantissimo, piove sul bagnato. La tegola Mondadori è infatti solo l'ultimo atto di un anno finanziariamente tutto in salita. Il titolo Mediaset ha perso da gennaio il 30% circa bruciando quasi 800 milioni di valore dalla quota in portafoglio alla Fininvest. Endemol, la società di produzione de Il Grande Fratello partecipata da Telecinco, naviga in acque agitate, schiacciata da 2 miliardi di debiti. E l'unica vera soddisfazione degli ultimi mesi è arrivata per assurdo dalla pecora (rosso) nera - finanziariamente parlando - di famiglia: quel Milan che dopo aver perso per anni a bocca di barile (Berlusconi ha staccato nel tempo assegni per 500 milioni per il club) è riuscito almeno a regalare al Cavaliere lo scudetto. Tanti guai, insomma, ma nessuna crisi. Il bilancio 2010 della Fininvest è andato in archivio malgrado tutto con un utile di 160 milioni. Anche se i soci di Arcore, il premier e i cinque figli, hanno deciso alla luce del periodo di vacche magre di non staccare quest'anno nessun dividendo. Fieno in cascina comunque ce n'è visto che dal 2005 avevano incassato cedole per un miliardo. (09 luglio 2011)
GOVERNO Berlusconi: "Salva Fininvest, Tremonti sapeva" Bossi replica: "Tutti all'oscuro, anche Giulio" La cosiddetta "salva Fininvest" era "sacrosanta e equilibrata", afferma il premier. "Anche per Tremonti, che non l'ha sottoposta al voto in Cdm perché credeva fossero tutti d'accordo". "Potremmo ripresentarla dopo la sentenza su Fininvest: non sarebbe più considerata ad personam" Berlusconi: "Salva Fininvest, Tremonti sapeva" Bossi replica: "Tutti all'oscuro, anche Giulio" Berlusconi ritira la norma pro Fininvest Bersani: "Il premier ci ha provato" articolo Berlusconi ritira la norma pro Fininvest Bersani: "Il premier ci ha provato" L'ultimo trucco "ad aziendam" di Berlusconi il 'padrone' del paese corrompe la democrazia articolo L'ultimo trucco "ad aziendam" di Berlusconi il 'padrone' del paese corrompe la democrazia Accordi, retromarce, processi le tappe del Lodo Mondadori articolo Accordi, retromarce, processi le tappe del Lodo Mondadori Un comma pro-Berlusconi per bloccare risarcimento a Cir articolo Un comma pro-Berlusconi per bloccare risarcimento a Cir ROMA - Fininvest si salva anche senza la norma rimossa dalla manovra, che Tremonti 1considerava "sacrosanta". Così Silvio Berlusconi, intervenuto a Montecitorio alla conferenza stampa di presentazione del libro di Domenico Scilipoti. Secca replica di Umberto Bossi: della norma sul lodo Mondadori "non sapeva nessuno, nemmeno Tremonti". La cosiddetta "salva Fininvest", il "comma 23" inserito e poi rimosso 2 dal decreto sulla manovra, "non l'ho scritta io - tiene a precisare il premier -, mi sono astenuto da tutto. Della cosa si è discusso in Cdm. Il ministro Tremonti, che la considerava sacrosanta, non ha ritenuto di portarla al voto del Consiglio dei ministri. Era sicuro che tutti i membri del governo sarebbero stati d'accordo. Per esempio, Calderoli che mi ha detto che avrebbe voluto aiutarmi a scriverla meglio. Non c'è nessun giallo. Io e la Fininvest non abbiamo bisogno di nessuna norma per salvarci". Berlusconi, inoltre, non considera affatto chiusa la partita. "Non c'è nulla - ha affermato - che ci impedisce di ripresentare" quella norma, "si può pensare di inserirla durante il percorso parlamentare". Osserva ancora il premier: "Su Fininvest ci sarà una sentenza prossimamente, a quel punto non si potrebbe più considerarla una norma ad personam". Poi Berlusconi torna ad attaccare, duramente, l'opposizione. "Non si rassegna, e non riesce a giocare una partita all'interno delle regole democratiche, ma è pronta a usare ogni mezzo per ostacolare il governo, dalle manovre parlamentari alla strumentalizzazioni dei risultati dei referendum e delle elezioni amministrative". "L'opposizione - ha aggiunto Berlusconi - strumentalizza la manovra, i referendum e le elezioni amministrative. Non esiste in nessun altro paese europeo che se si perdono le elezioni di medio termine si chiede di andare a votare. Non è accaduto alla Merkel e nemmeno a Zapatero nonostante la debacle". Ma "la crescita non dipende da noi, non dipende dal Governo - si difende Berlusconi -. E' un'illusione statalista della sinistra. A far crescere l'economia sono le imprese e chi nelle imprese lavora, è lo spirito di sacrificio con cui i cittadini sono disposti alla revisione di un welfare obsoleto, che per garantire tutti non garantisce più nessuno". Berlusconi aggiunge che per la crescita bisogna anche fare in modo che il sistema della giustizia sia più veloce e la burocrazia più snella: "Tutte queste cose in parte dipendono anche da noi, e infatti stiamo lavorando con impegno, ma resto convinto del vecchio slogan 'meno stato più società". Per questo, Berlusconi ha ribadito, "noi siamo al governo e resteremo fino alla fine della legislatura. Non consegneremo l'Italia a Bersani e Di Pietro nonostante i giornali, il fango e i fantomatici salotti dei poteri forti". "Penso che nessuno più di me sia stato oggetto di tanta violenza denigratoria - è l'accusa che il presidente del Consiglio muove all'opposizione -. Per noi l'avversario è un avversario e basta, lo contraddiciamo ma lo rispettiamo. Per loro un avversario è da distruggere e ridicolizzare con qualsiasi mezzo. E' un nemico persino da odiare. Quello sofferto da Mimmo (Scilipoti, ndr) è stato impressionante. Chi ha coraggio merito stima. Scilipoti è stato aggredito e offeso persino negli affetti più cari". Bossi: "Salva Fininvest, nessuno sapeva". Tremonti sapeva della norma sul lodo Mondadori? "Non lo sapeva nessuno. Nemmeno Tremonti". Così il ministro delle Riforme, Umberto Bossi, ha risposto ai giornalisti lasciando Montecitorio. Sull'ipotesi che la norma salva Fininvest venga ripresentata in Parlamento, il Senatur ha detto: "Non so niente". Il presidente del Consiglio in conferenza stampa ha affrontato altri temi dell'attualità politica, economica e giudiziaria. Ecco le sue risposte. Manovra. "Completeremo la legislatura facendo le riforme necessarie per ridurre i costi della politica. Sono riforme che si possono fare senza allentare il controllo dei conti". Quanto alla manovra, il presidente del Consiglio ha ribadito che "il governo è assolutamente aperto a cambiamenti della manovra, purché non si tocchino i saldi". "Libia, costretto all'intervento da Napolitano". "Ero e sono contrario" all'intervento bellico in Libia, ha spiegato ancora Berlusconi, "ma ho dovuto accettarlo non solo per la decisione dell'Onu, ma anche per un intervento preciso del capo dello Stato e per il voto di due commissioni alla Camera e al Senato. Sono stato costretto ad accettare". Comunque, ha detto il premier, l'intervento in Libia "non è attribuibile alla volontà degli americani. Credo che l'input più forte sia venuto da un governo europeo. Sono andato a Parigi, mi sarei affiancato alla signora Merkel...". Come finirà? "La conclusione nessuno la conosce - risponde Berlusconi -. Nell'ultimo Consiglio europeo Sarkozy e Cameron hanno detto che la guerra finirà quando a Tripoli ci sarà una rivolta dei ribelli contro Gheddafi". Tasse: "Troppe incitano all'evasione". "La pressione fiscale è eccessiva, e questo comporta una giustificazione morale di chi evade" ha detto Berlusconi. Essendo il primo contribuente in Italia, credo di non poter essere accusato di far le lodi di chi evade". Chi paga, ha spiegato il premier, ha la consapevolezza di pagare in cambio di servizi. Ma se fra queste due cose "non c'è proporzione si instaura nel cittadino una forma di giustificazione nel tentare di pagare meno imposte". Se invece, ha aggiunto, il cittadino "ha un giusto sentimento dei servizi" ci sono molti meno evasori. L'attenzione del governo è dunque "verso una pressione giusta che dovrebbe ridurre l'evasione". P4 e Papa: "Sono garantista, aspetto". "Credo non ci sia ancora nulla, non conosco il caso concreto, aspetto di sentire cosa dirà la Giunta. Io sono naturalmente un garantista". Così, a margine della presentazione del libro di Domenico Scilipoti, il premier Silvio Berlusconi risponde ai cronisti che gli domandano un parere sull'inchiesta P4 e la posizione del deputato Pdl Alfonso Papa. (07 luglio 2011)
LA SCHEDA Accordi, retromarce, processi le tappe del Lodo Mondadori Dall'accordo del 1988 fra Cir e Formenton alla mediazione di Ciarrapico. La battaglia nelle aule giudiziarie fino alla storica sentenza che chiude la "guerra di Segrate" Accordi, retromarce, processi le tappe del Lodo Mondadori Carlo De Benedetti e Silvio Berlusconi Berlusconi: "Salva Fininvest, Tremonti sapeva" Bossi replica: "Tutti all'oscuro, anche Giulio" articolo Berlusconi: "Salva Fininvest, Tremonti sapeva" Bossi replica: "Tutti all'oscuro, anche Giulio" Berlusconi ritira la norma pro Fininvest Bersani: "Il premier ci ha provato" articolo Berlusconi ritira la norma pro Fininvest Bersani: "Il premier ci ha provato" L'ultimo trucco "ad aziendam" di Berlusconi il 'padrone' del paese corrompe la democrazia articolo L'ultimo trucco "ad aziendam" di Berlusconi il 'padrone' del paese corrompe la democrazia Un comma pro-Berlusconi per bloccare risarcimento a Cir articolo Un comma pro-Berlusconi per bloccare risarcimento a Cir ROMA - Lo scontro giudiziario fra la Cir di Carlo De Benedetti e la Fininvest di Silvio Berlusconi ha origine nel lontano 1988 quando l'Ingegnere, il Cavaliere, Mondadori e Formenton erano soci nella società che controllava la Arnoldo Mondadori editore. Quell'anno, infatti, venne siglato un accordo Formenton-Cir che portava l'Ingegnere ad avere la maggioranza nella Amef, società controllante il grande gruppo editoriale. Accordo che però, dopo le pressioni della Fininvest i Formenton vollero disdire. Perso un primo giudizio arbitrale la famiglia Formenton chiese alla corte d'Appello di Roma, sezione civile, l'annullamento del cosiddetto Lodo Mondadori. Annullamento concesso dal giudice Vittorio Metta nel 1991. La Cir, sconfitta in tribunale, si trovò dunque costretta ad accettare una compromesso: con la mediazione di Giuseppe Ciarrapico, la casa editrice fu spartita. De Benedetti conservò Espresso, Repubblica e Finegil mentre alla Mondadori, ovvero a Berlusconi, i libri e i settimanali (fra cui Panorama). Cir, debole nella trattativa dopo la sentenza del giudice Metta, si trovò a pagare un conguaglio di 365 miliardi di lire. Sembrava tutto finito quando, il 29 aprile 2003, il tribunale di Milano dopo una lunga e complessa vicenda giudiziaria nata dalle dichiarazioni nel 1995 di Stefania Ariosto, condannò il giudice Vittorio Metta (colui che diede al Cavaliere la vittoria in quella che è passata alla storia come "la battaglia di Segrate) a 13 anni con l'accusa di aver ricevuto soldi da uomini Fininvest per aggiustare la vicenda. Sentenza ribadita in Cassazione nel 2007. Il tribunale riconobbe infine alla parte civile Cir il diritto ai danni morali e patrimoniali, da quantificare in separata sede civile: "Tanto il danno emergente quanto il lucro cessante, sotto una molteplicità di profili relativi non solo ai costi effettivi di cessione della Mondadori, ma anche ai riflessi della vicenda sul mercato dei titoli azionari". Dalla sentenza penale prende le mosse la causa civile promossa da Cir contro Fininvest. Il 3 ottobre 2009 il Tribunale di Milano 1 (giudice Raimondo Mesiano pesantemente "molestato" dalle telecamere di Canale 5 2) emette la sentenza di primo grado: Cir ha diritto al risarcimento da parte di Fininvest del danno patrimoniale da "perdita di chance" che viene quantificato in 749.955.611,93 euro oltre al risarcimento di danni non patrimoniali. Il Tribunale, in pratica, accoglie per l'80% la richiesta di risarcimento presentata da Cir. Fininvest annuncia lo stesso giorno la presentazione di un ricorso in Corte d'Appello. Il 1 dicembre, davanti alla Corte, le parti raggiungono un accordo che prevede la sospensione dell'esecutività della sentenza di primo grado in cambio del rilascio da Fininvest a Cir di una fidejussione a prima richiesta da 806 milioni di euro comprensiva di interessi e accessori. La Corte, inoltre, si impegna con le parti a concludere l'appello in tempi rapidi. Il 23 febbraio 2010 inizia il processo d'Appello. Fininvest chiede di riformare la sentenza di primo grado poiché, a suo giudizio, la Cir non subì alcun danno nella vicenda Mondadori. Diversa la posizione dei legali di Cir, che ribadiscono la richiesta di risarcimento: a loro dire, la corruzione del giudice Metta ha alterato i rapporti di forza tra le due società, indebolendo la posizione negoziale di Cir nelle trattative per la spartizione della Mondadori. Nella prima udienza d'appello, i legali di Fininvest (che in secondo grado rafforzano il pool dei legali composto dagli avvocati Vaccarella, De Nova, Lombardi) chiedono alla Corte di effettuare una perizia per determinare la congruità con i prezzi di mercato del valore delle azioni nella spartizione della Mondadori dell'aprile 1991. Il 4 marzo 2011 la Corte, presieduta dal giudice De Ruggero, concede una perizia (consulenza tecnica d'ufficio) ma su un quesito diverso rispetto a quello chiesto da Fininvest. Ai tre consulenti tecnici Guatri, Martellini, Pellicelli, la Corte chiede di verificare "se e quali variazioni dei valori delle società e delle aziende oggetto di scambio tra le parti siano intervenute fra giugno del 1990 e aprile del 1991". I tre consulenti rispondono al quesito sottolineando che tra il giugno del 1990 e l'aprile del 1991 il valore delle aziende si era ridotto di circa il 18%. Il processo va avanti fino all'ultima udienza del 4 marzo. Cir chiede che le venga riconosciuto il 100% del danno (e non l'80%) o, in alternativa, la conferma della sentenza di primo grado. Fininvest chiede di riformare la sentenza di primo grado poiché ritiene che Cir non abbia subito danno. Intanto, fuori dalle aule giudiziarie, in più occasioni, ultima il G8 in Francia, il premier denuncia: "Mi vogliono attaccare anche nel patrimonio". Salvo poi dirsi tranquillo e ammettere in via informale, che lui ha i soldi per pagare "l'eventuale multa". O forse una legge a portata di mano, magari nascosta nella manovra finanziaria. 3 Il tentativo viene fatto, ma dura solo 24 ore: nella correzione dei conti pubblici varata dal governo viene inserita una norma che di fatto avrebbe salvato la Fininvest da un'eventuale sentenza di condanna. Tra polemiche politiche 4, accuse e smentite sulla paternità del codicillo, è lo stesso Berlusconi ad annunciare il ritiro del comma 5 dal testo. E si arriva alla sentenza di secondo grado 6 che conferma la condanna riducendo a 560 milioni di euro il risarcimento che Fininvest deve alla Cir. (04 luglio 2011)
LA SCHEDA Tutti i processi di Berlusconi Il Cavaliere è stato imputato in sedici casi. Quattro sono ancora in corso: corruzione in atti giudiziari per l'affare Mills, fondi neri per i diritti tv Mediaset, appropriazione indebita nell'affare Mediatrade, e il Caso Ruby. Poi c'è l'istigazione alla corruzione di un paio di senatori per cui però la procura di Roma ha chiesto l'archiviazione Tutti i processi di Berlusconi P2, Falsa testimonianza L'accusa: falsa testimonianza La sentenza: condannato per aver giurato il falso davanti al Tribunale di Verona a proposito della sua iscrizione alla P2. L'amnistia del 1989 però copriva il reato, che è estinto. Tangenti alla Guardia di Finanza L'accusa: tangenti a ufficiali della Guardia di finanza per ammorbidire i controlli fiscali su quattro delle sue società. La sentenza: in primo grado è condannato a 2 anni e 9 mesi per le quattro le tangenti contestate, senza attenuanti generiche. In appello, la Corte concede le attenuanti generiche, in questo modo la prescrizione scatta per tre tangenti. Per una invece viene concessa l'assoluzione con formula dubitativa del comma 2 dell'art. 530 del Codice di procedura penale che comprende la vecchia insufficienza di prove. La Cassazione assolve Berlusconi per non aver commesso il fatto, seppur richiamando l'insufficienza di prove.
All Iberian 1 L'accusa: finanziamento illecito estero su estero, tramite il conto All Iberian, a Bettino Craxi. La sentenza: la condanna arriva in primo grado e corrisponde a 2 anni e 4 mesi. In appello, scatta la prescrizione. La Cassazione la conferma. All Iberian 2 L'accusa: falso in bilancio. La sentenza: l'inchiesta giudiziaria si chiude il 26 settembre 2005 con l'assoluzione di Silvio Berlusconi. La sentenza recita: "Assolto perché il fatto non costituisce più reato". Il secondo Governo Berlusconi infatti approva la la riforma del diritto societario che depenalizza il reato di falso in bilancio. Medusa cinematografica L'accusa: falso in bilancio e frode fiscale per le operazioni legate all'acquisto della casa cinematografica Medusa dalla società Finivest (Reteitalia). La sentenza: in primo grado viene condannato a un anno e quattro mesi. In appello viene assolto con formula dubitativa del comma 2 dell'art. 530 del Codice di procedura penale che comprende la vecchia insufficienza di prove. La Cassazione conferma tutto. Terreni di Macherio L'accusa: apporpriazione indebita, frode fiscale e falso in bilancio, sostenendo che attraverso l'operazione di acquisto dei terreni di Macherio, le società del gruppo Fininvest avrebbero accantonato quasi cinque miliardi da utilizzare per pagamenti non proprio cristallini, tanto da non poter apparire nei bilanci ufficiali delle società del gruppo. La sentenza: in primo grado è stato assolto dai reati di appropriazione indebita e di frode fiscale, mentre per le due imputazioni di falso in bilancio contestate è scattata la prescrizione. Nell'ottobre del '99 viene confermata l'assoluzione per il reato di frode fiscale e per uno dei due falsi in bilancio. Il secondo in invece è coperto dall'amnistia. Processo Lentini L'accusa: falso in bilancio. Secondo l'accusa, l'acquisto del giocatore del Torino, Gianluigi Lentini, avvenne in parte alla luce del sole e per il resto con un pagamento fuori bilancio di 10 miliardi delle vecchie lire. La sentenza: il processo si conclude definitivamente con il proscioglimento di Berlusconi per intervenuta prescrizione del reato. Bilanci Fininvest 1988-92 L'accusa: falso in bilancio e appropriazione indebita La sentenza: archiviazione per prescrizione dei reati di falso in bilancio e appropriazione indebita nell’acquisto di diritti televisivi da parte di alcune società off-shore del gruppo Fininvest, a causa delle attenuanti generiche. Consolidato Fininvest L'accusa: fondi neri. Il gruppo Fininvest si sarebbe servito tra il 1989 e il 1996 di una "tesoreria occulta", in grado di movimentare i 750 milioni di euro (1500 miliardi di vecchie lire) attraverso 60 conti bancari e decine società estere. La sentenza: i fatti entrano in prescrizione, il governo aveva dimezzato i tempi di prescrizione con una legge ad hoc. Lodo Mondadori L'accusa: corruzione in atti giudiziari. L'avvocato di Silvio Berlusconi, Cesare Previti, viene accusato di aver comprato il giudice Metta in modo da ottenere una decisione a suo favore nel giudizio di impugnazione per nullità del Lodo Mondadori, dal cui esito dipendeva la proprietà della casa editrice. La sentenza: in primo grado viene condannato Cesare Previti. Grazie alla concessione delle attenuanti generiche il reato è stato dichiarato prescritto dalla Corte d'Appello di Milano e dalla Corte di Cassazione Processo Sme/Ariosto 1 L'accusa: corruzione dei giudici di Roma nell'intricata vicenda della vendita del comparto agro-alimentare dell'Iri alla Cir, la finanziaria di Carlo De Benedetti. La vicenda giudiziaria risale al 1985, quando una cordata di industriali formata tra gli altri da Silvio Berlusconi, Michele Ferrero e Pietro Barilla, scese in campo su sollecitazione dell'allora premier Bettino Craxi per contrastare la vendita della Sme (il colosso pubblico del settore alimentare), già firmata dal presidente dell'Iri Romano Prodi, a favore della Cir di Carlo De Benedetti. La sentenza: assoluzione con formula piena Processo Sme/Ariosto 2 L'accusa: falso in bilancio nell'ultimo stralcio di procedimento nato con il caso-Sme. Gli episodi contestati all'ex premier risalivano alla fine degli anni Ottanta. La sentenza: viene assolto perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Il secondo Governo Berlusconi infatti approva la la riforma del diritto societario che depenalizza il reato di falso in bilancio. Mediaset (processo aperto) L'accusa: falso in bilancio e frode fiscale. La situazione: l'indagine, partita agli inizi del 2001, ha scoperto un metodo secondo cui, attraverso la mediazione dell'agente di origini egiziane, Frank Agrama, Mediaset sovrafatturava il prezzo dei format televisivi acquistati dalle case di produzioni statunitensi. I pagamenti avvenivano attraverso conti esteri. il processo si è fermato due volte per legittimo impedimento. È destinato alla prescrizione. Caso Mills (processo aperto) L'accusa: corruzione in atti giudiziari per aver compensato l'avvocato inglese David Mills con 600 mila dollari. La falsa testimonianza del legale inglese per essere favorito nel processo All Iberian e in quello sulle presunte tangenti alla Guardia di Finanza. La situazione: il processo in cui è imputato Berlusconi è uno stralcio di quello principale, ed è tutt'ora in corso. Ma ha subito numerosi stop per il legittimo impedimento, la prescrizione scatta nel 2012. David Mills invece è stato condannato a 4 anni e 6 mesi. La condanna però viene annullata: il reato pur essendo stato commesso è prescritto. Mediatrade (processo aperto) L'accusa: appropriazione indebita e frode fiscale. La situazione: il procedimento è in corso davanti al gup Maria Vicidomini. Serviranno diversi mesi prima di sapere se il premier verrà rinviato a giudizio o prosciolto, dopo lo stop della Consulta sul "legittimo impedimento". Ruby (processo aperto) Le accuse: concussione e prostituzione minorile. La situazione: Berlusconi viene rinviato a giudizio dal gup Cristina Di Censo. La prima udienza di smistamento c'è stata il 6 aprile. La prossima sarà il 31 maggio. (27 maggio 2011)
Lodo Mondadori Fininvest, la holding del Cavaliere Conti, partecipazioni e struttura di controllo della Finanziaria della famiglia Berlusconi Fininvest, la holding del Cavaliere MILANO - Fininvest è la holding che raggruppa le proprietà della famiglia Berlusconi, ha un patrimonio di 2,5 miliardi e ha registrato utili nel 2010 per 87,1 milioni decidendo però di non versare alcun dividendo ai soci. Solo l'anno prima aveva distribuito cedole per 200 milioni di euro e così la decisione è stata collegata dagli osservatori all'imminente decisione sul Lodo Mondadori: anche dieci giorni fa, approvando i dati di bilancio, la finanziaria aveva però ribadito la convinzione che non ci fosse proprio alcun danno da risarcire, decidendo di non accantonare alcuna cifra per la vicenda. L'intero gruppo che fa capo a Fininvest conta su ricavi per ben 5,8 miliardi e utili per 160,1 milioni. A fine anno aveva un indebitamento netto di 1,3 miliardi. La holding controlla il 39% di Mediaset, il 50% di Mondadori, il 36% di Mediolanum, oltre al Milan (100%) e al Teatro Manzoni (100%). Fa capo alla finanziaria anche la quota del 2% di Mediobanca, il 'salotto buono' della finanza milanese: l'1% è conferito al patto di sindacato, e per la famiglia partecipa il presidente Fininvest Marina Berlusconi, consigliere anche dell'istituto di Piazzetta Cuccia. Fininvest ha poi una quasi il 24% di Molmed, lo spin off quotato del San Raffaele attivo nella ricerca oncologica, e il 2,06% di Aedes. La famiglia Berlusconi controlla Fininvest tramite otto finanziarie, denominate tutte Holding Italiana, ma con diversa numerazione. Inizialmente queste 'scatole' erano ben 22, ridotte a otto dopo l'ultimo riassetto del 2004. Il controllo fa sempre capo a Berlusconi con il 63% del capitale (tramite la Holding Italiana Prima, Seconda, Terza e Ottava). I figli del primo matrimonio Marina (è anche presidente Mondadori) e Piersilvio (vice presidente Mediaset) hanno una quota del 7,65% a testa (rispettivamente attraverso le holding Quarta e Quinta). Nell'estate del 2005 anche i figli di secondo letto, Barbara, Eleonora e Luigi, hanno ricevuto una quota del patrimonio e hanno attualmente il 21,4% di Fininvest (attraverso la holding Quattordicesima). Tra le vicende famigliari, resta intanto ancora aperta la causa di separazione tra Berlusconi e Veronica Lario, e con essa ogni eventuale impatto sul patrimonio di famiglia. Nella vicenda del Lodo Mondadori, Fininvest ha ottenuto di congelare il risarcimento alla Cir di Carlo De Benedetti, almeno fino all'esito del processo d'appello, presentando nel dicembre 2009 una fideiussione per 806 milioni di euro garantita da Intesa Sanpaolo e controgarantita da Unicredit, Mps e Popolare di Sondrio. Tecnicamente la fideiussione scadeva in aprile ma nel frattempo è stata rinnovata in attesa della sentenza. Nel bilancio 2009 Fininvest spiegava di non aver presentato alcuna garanzia o pegno per la fideiussione, "anche in considerazione del valore del patrimonio netto contabile della capogruppo, del valore economico dello stesso ed infine del merito di credito conosciuto". (09 luglio 2011)
LODO MONDADORI L'ira di Marina Berlusconi "Neppure un euro è dovuto" Toni durissimi dal presidente Fininvest nel commento alla sentenza della Corte d'Appello di Milano. "Un verdetto che sgomenta. Un'aggressione nei confronti di mio padre. Il risarcimento è addirittura il doppio della nostra partecipazione in Mondadori. Una sonfitta per la giustizia" L'ira di Marina Berlusconi "Neppure un euro è dovuto" Marina Berlusconi, presidente Fininvest MILANO - "E' una sentenza che sgomenta e lascia senza parole. E che rappresenta l'ennesimo scandaloso episodio di una forsennata aggressione che viene portata avanti da anni contro mio padre, con tutti i mezzi e su tutti i fronti, compreso quello imprenditoriale ed economico". Così, in una nota, il presidente della Fininvest Marina Berlusconi commenta il verdetto con cui la Corte d'Appello di Milano 1, giudicando sul Lodo Mondadori, ha confermato il risarcimento che l'azienda del premier dovrà versare alla Cir, seppur ridotto da 750 a 560 milioni di euro. "E' una somma addirittura doppia rispetto al valore della nostra partecipazione in Mondadori - aggiunge Marina Berlusconi - La Fininvest, che ha sempre operato nella più assoluta correttezza, viene colpita in modo inaudito, strumentale e totalmente ingiusto. E il parzialissimo ridimensionamento della sanzione rispetto al giudizio di primo grado nulla naturalmente toglie alla incredibile gravità del verdetto. Neppure un euro è dovuto da parte nostra, siamo di fronte a un esproprio che non trova alcun fondamento nella realtà dei fatti né nelle regole del diritto". La sentenza, secondo le parole del presidente Fininvest, "suona come un'amara sconfitta per la giustizia, per quanti continuano a credere che esista, che debba esistere, una giustizia imparziale e giusta. E' indiscutibile che questo attacco abbia come principali protagonisti una parte della magistratura, e della magistratura milanese in particolare, e il gruppo editoriale che fa capo a Carlo De Benedetti". "E adesso - si legge in una nota - con un verdetto che nega l'evidenza emesso dalla magistratura milanese, la Fininvest viene condannata a versare una somma spropositata proprio al gruppo De Benedetti. Una somma addirittura doppia rispetto al valore della nostra partecipazione in Mondadori". Viste le premesse, non finisce qui. Marina Berlusconi annuncia ricorso in Cassazione. "Anche di fronte a un quadro così paradossale e inquietante - sottolinea nella nota - non ci lasciamo intimorire. Già in queste ore i nostri legali cominceranno a studiare il ricorso in Cassazione. Siamo certi di essere assolutamente nel giusto, dobbiamo credere che le nostre ragioni verranno alla fine riconosciute. Verità e giustizia non potranno continuare a essere calpestate e piegate a logiche inaccettabili e indegne di un Paese civile". Sulla stessa lunghezza d'onda Niccolò Ghedini: "La Cassazione non potrà che annullare questa incredibile sentenza. La Corte d'Appello di Milano - dichiara il parlamentare del Pdl e legale di Silvio Berlusconi - ha emesso una sentenza contro ogni logica processuale e fattuale, addirittura ampiamente al di là delle stesse risultanze contabili che erano già di per sé erronee in eccesso, e addirittura superiore al valore reale della quota Mondadori posseduta da Fininvest. E' la riprova che a Milano è impossibile celebrare un processo che veda la applicazione delle regole del diritto quando vi è anche indirettamente coinvolto il presidente Berlusconi. E se la Corte d'Appello non sospenderà l'esecutività della sentenza, tale prova sarà ancora più evidente". Più cauto il richiamo di Maurizio Paniz, deputato Pdl e componente della commissione Giustizia alla Camera: "Quando si decide su ammontari così significativi ci vuole molta prudenza. Ho rispetto per la magistratura e per il delicato lavoro che svolge ma compito dei giudici è anche quello di fare in modo che una decisione non solo non sia, ma neppure appaia politica. L'entità delle cifre induce a non poca preoccupazione: Mediaset è un patrimonio dell'Italia intera e di migliaia e migliaia di azionisti che non devono vedere il loro sforzo condizionato da rischiosità politiche". Il segretario del Popolo delle Libertà Angelino Alfano assicura che "il Pdl è al fianco del presidente Silvio Berlusconi con determinazione e con affetto e sottolinea che si tratta di una decisione che, per essere definitiva, dovrà certamente avere il vaglio di altri giudici". "Siamo certi - aggiunge il ministro della Giustizia - che questo episodio non toglierà al premier la serenità necessaria per governare, come ha sempre fatto, nell'interesse esclusivo dell'Italia e degli italiani". Fabrizio Cicchitto parla di sentenza "mai più annunciata di questa" che "rientra nell'attacco concentrico in atto da tempo, fin dal 1994, contro Berlusconi perché ha osato scendere in campo sconvolgendo l'operazione" preparata per una "piena presa del potere del partito post comunista, di alcuni grandi gruppi finanziari-editoriali tra cui in prima fila la Cir, di alcune procure e della Cgil". "Senza Berlusconi - aggiunge il capogruppo del Pdl alla Camera - senza il Pdl, senza il centrodestra la democrazia italiana corre rischi gravissimi". Stessi concetti esprime Maurizio Gasparri, capogruppo Pdl al Senato: "E' una sentenza dal sapore politico e di ritorsione nei confronti di Berlusconi". Taglia corto Ignazio La Russa: "D'accordo con Ghedini, la Cassazione farà giustizia" dice il ministro della Difesa e coordinatore del Pdl. Per Altero Matteoli, la sentenza "certifica che l'attacco giudiziario" contro Berlusconi "si è spostato dalla sfera politica a quella patrimoniale ed economica". "Una buona ragione in più - commenta il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti - perché il premier guidi anche nei prossimi anni il governo". Il coordinatore Pdl Denis Verdini invita a consultare Il Sole 24 Ore e a fare "la valorizzazione della Mondadori: è di gran lunga inferiore ai 500 milioni. E' possibile che un risarcimento sia superiore al valore di un'azienda? Se questa non è persecuzione". Dalle opposizioni giunge il monito di Antonio Di Pietro: "Le sentenze si rispettano e i danni si risarciscono. Se è vero, com'è vero, che Berlusconi è stato condannato in appello per danni causati a un altro gruppo imprenditoriale - spiega il leader di Idv - significa che lui ci ha guadagnato illecitamente e l'altro ci ha rimesso. E' inutile che Berlusconi e i suoi tentino di buttarla in politica, qui siamo solo di fronte a comportamenti truffaldini gravissimi". L'ex pm annuncia poi che presenterà una denuncia per la norma "salva-Fininvest" inserita nella manovra economica e poi ritirata 2 e che su questo aspetto ha richiesto un question time per mercoledì alla Camera con il ministro per i Rapporti con il Parlamento. Il Partito democratico considera le dichiarazioni di Marina Berlusconi vicine all'eversione. "Preoccupano molto le dichiarazioni della famiglia Berlusconi, che sfiorano l'eversione e si pongono pericolosamente fuori dalla legalità" afferma Ettore Rosato, esponente dell'ufficio di presidenza del gruppo del Pd alla Camera. E Rosy Bindi: "Da questa sentenza abbiamo capito chiaramente che quella norma messa in Finanziaria non era per tutti gli italiani, ma era per un italiano. Ed è molto più grave di quanto lo siano state le stesse norme ad personam nel settore penale, perché dimostra che si sta chiudendo un ventennio, quello che è iniziato con il decreto Craxi che salvava una rete televisiva di Berlusconi, e che qualcuno ha tentato di rinovellare con questo tentativo di bloccare la sentenza". Per Carmelo Briguglio, vicepresidente vicario dei deputati di Fli, la sentenza "non è un fatto politico, ma dimostra che il nostro è ancora uno Stato di diritto e che il governo con la norma salva-Fininvest aveva un obiettivo preciso: evitare gli effetti di questa sentenza". Giuseppe Giulietti, deputato del gruppo misto e portavoce di Articolo 21, commenta: "Marina Berlusconi si è detta sconcertata per aver "scippato a colpi di mazzette" la Mondadori a De Benedetti. Purtroppo per loro, i giudici dell'appello non sono stati disponibili a farsi inserire nella sentenza un 'emendamento ammazza multa', né a farsi intimidire dalle tante minacce di queste ore". (09 luglio 2011)
L'INCHIESTA "Yacht in cambio di nomine e appalti" su Milanese arriva una nuova tegola Dopo la richiesta di arresto a Napoli, una nuova inchiesta sul deputato a Roma. Due imprenditori arrestati per finanziamento illecito di CARLO BONINI "Yacht in cambio di nomine e appalti" su Milanese arriva una nuova tegola Il Dolphin 46 al centro dell'inchiesta di Roma Appalti Enav, indagato Milanese Due imprenditori arrestati articolo Appalti Enav, indagato Milanese Due imprenditori arrestati articolo Milanese rivela ai pm "Finanza divisa in due cordate una risponde a Berlusconi" Tremonti: "Mia unica abitazione a Pavia A Roma da stasera cambierò sistemazione" articolo Tremonti: "Mia unica abitazione a Pavia A Roma da stasera cambierò sistemazione" "Milanese, nomine in cambio di soldi Stretti contatti con i vertici della Gdf" articolo "Milanese, nomine in cambio di soldi Stretti contatti con i vertici della Gdf" "La casa romana di Tremonti è a carico di Milanese" articolo "La casa romana di Tremonti è a carico di Milanese" ROMA - Prima Napoli 1. Ora Roma 2. In meno di ventiquattro ore, su Marco Milanese si chiude il secondo braccio della tenaglia giudiziaria che lo ha stritolato. Il gip di Roma, Anna Maria Fattori, su richiesta del pm Paolo Ielo, contesta all'ex consigliere politico di Tremonti un nuovo reato: finanziamento illecito dei partiti.
Lo stesso per il quale ordina la cattura degli "imprenditori" Tommaso Di Lernia e Massimo De Cesare (il primo era già detenuto nell'inchiesta sugli appalti Enav, il secondo è da ieri sera ai domiciliari) e di cui sono accusati a piede libero Fabrizio Testa, ex manager pubblico (è stato nel cda di Enav e quindi presidente della controllata "Technosky") e Lorenzo Cola, "consigliere globale di Finmeccanica", protesi del suo presidente Pier Francesco Guarguaglini, già detenuto lo scorso anno nella vicenda dei fondi neri "Digint". E' una storia - come documentano le 33 pagine dell'ordinanza di custodia cautelare - esemplare del sistema degli appalti e delle nomine nelle società a partecipazione pubblica. Nella quale "la prova è raggiunta, perché piena", su cui Milanese ha ritenuto di non dover rispondere, un mese fa, alle domande del pm e per la quale, dunque, la Procura si prepara a disporre il giudizio a citazione diretta (Milanese verrà processato in autunno da un giudice monocratico). Ed è una storia che gira intorno ad un magnifico yacht, un "Dolphin 64" di 20 metri della Mochi Craft, che Milanese possiede ma non è in grado di pagare. Del quale, come gli accade con le fuoriserie che cambia con la frequenza delle scarpe (Bentley, Ferrari, Aston Martin), decide dunque di liberarsi, accollandone però il costo ad altri e per giunta facendoci sopra una bella "cresta" da 224 mila euro. Anche perché, ha gioco facile nel farlo, visto che, come uno sciame d'api sul miele, gli corre in soccorso una variopinta comitiva di giro, che della sua benevolenza e del suo potere di interferenza sulle società a partecipazione pubblica ha bisogno come l'aria. Un manager che orbita nella destra sociale di Alemanno e questua una nomina in una società controllata da Enav (Testa); due "imprenditori" rotti al giochino delle sovrafatturazioni, delle provviste nere e inseriti stabilmente nel Sistema degli appalti Enav (Di Lernia e il suo factotutm De Cesare), un'eminenza grigia di "Finmeccanica" che chiamano "il generale" (Cola). Lo yacht, dunque. Milanese lo acquista di seconda mano nel giugno 2009, accollandosi dal vecchio proprietario un leasing di 1 milione e 97 mila euro. E' un giocattolo che, solo di rata mensile, costa dunque 20 mila euro. E che l'ex ufficiale della Finanza, che in carriera ha collezionato encomi come figurine, non ha, o non ha intenzione di spendere. Per la barca, infatti, dalle tasche dello "scapocchione fortunato" (così lo chiama Paolo Viscione, imprenditore cui munge nel tempo "una milionata" di euro in regalie e contanti) escono solo 1.200 euro, il costo della pratica di cessione del leasing. Non paga le rate, infatti. Accumula interessi di mora. E finisce con il bordeggiare sul "Dolphin" una sola estate. Finché, a dicembre 2009, segnala a Viscione di "trovarsi in imbarazzo". Insomma, dice ai pm, l'imprenditore, "mi voleva rifilare la barca". E' troppo anche per lui. Viscione trova il modo di mollare "il pacco" ad altri. Gianni Sidoti, suo socio, ha infatti per le mani un tipo che può "risolvere il problema" e "trovare un compratore" che tolga Milanese "dall'imbarazzo". Si chiama Fabrizio Testa, conosce Sidoti perché vivono nello stesso quartiere residenziale tra Roma e il mare (Casalpalocco) ed ha un problema. E' stato fatto fuori dal cda di Enav ("dove - racconta al pm - ero stato nominato in quota Destra sociale") per i suoi dissidi con il presidente Guido Pugliesi. Ha cercato la "sponsorizzazione" di Gianni Alemanno, sindaco di Roma, per un nuovo incarico, ma non è bastata. Si offre dunque lui per mediare la vendita, perché, spiega ancora al pm, "favorendo Milanese, cercavo una protezione politica di un deputato che si interessava alle nomine in Enav". Testa, grazie al sapiente consiglio di Cola, trova rapidamente i compratori. Di Lernia e la sua protesi De Cesare, due "imprenditori", chiamiamoli così (Di Lernia campa di fondi neri e già finanzia "L'Officina delle libertà" di Aldo Brancher, deputato Pdl condannato in appello a due anni per ricettazione nella vicenda Antonveneta), che di uno yacht non sanno che farsene. Ma che di Milanese e di un manager di Enav, sanno sì che farsene, visto che la Di Lernia vive dei subappalti di Selex, principale beneficiaria di appalti dell'Ente a trattativa diretta. Il "Dolphin" viene quindi acquistato a cifre da capestro. Il valore non supera i 700 mila euro, ma Milanese lo piazza a 1 milione e mezzo. Una cifra in cui c'è il valore residuo del leasing, caricato dagli interessi di mora (1 milione 318 mila e 500 euro) per le rate scadute (220 mila euro) che Milanese non ha mai pagato e che pure Di Lernia, al momento del contratto, gli ha anticipato in contanti. Milanese è finalmente "libero dell'imbarazzo". Testa viene nominato presidente di Technosky (controllata Enav), da cui sarà allontanato nell'estate 2010 dopo un audit interno. Di Lernia può continuare a campare dei subappalti Selex. Per la legge, "è finanziamento illecito a un parlamentare". Da sei mesi a 4 anni di reclusione. (09 luglio 2011)
di CONCITA SANNINO E Tremonti disse a Berlusconi "Con me non userete il metodo Boffo" E Tremonti disse a Berlusconi "Con me non userete il metodo Boffo" Giulio Tremonti Il 17 giugno, il ministro dell'Economia è stato sentito dai magistrati Curcio e Woodcock come "persona informata dei fatti" nell'ambito dell'inchiesta Bisignani-P4. E ha raccontato di uno scontro tra lui e il premier risalente ai primi dello stesso mese. Scontro di merito, ma anche di metodo. Una cena a Napoli col generale Adinolfi e Paolo Berlusconi: qualcuno parlò della casa pagata da Milanese per attaccare Giulio? ROMA - Non diventerò oggetto di un attacco mediatico alla Boffo. É un avviso clamoroso e molto chiaro quello che, in sintesi, il ministro Giulio Tremonti consegna al premier Silvio Berlusconi, durante un'accesa discussione avvenuta ai primi di giugno scorso. È lo stesso ministro del Tesoro a riferirlo ai magistrati di Napoli, che lo interrogano come teste lo scorso 17 giugno nell'ambito dell'inchiesta P4 che ormai coinvolge il generale della Finanza Michele Adinolfi, ritenuto molto vicino a Berlusconi. LE CARTE DELL'INTERROGATORIO I pubblici ministeri fanno ascoltare al ministro anche una conversazione, intercettata sull'utenza del generale Adinolfi, tra lo stesso capo di Stato Maggiore e il premier. Le dichiarazioni di Tremonti, suscitate anche da quell'ascolto, sono state appena depositate in Parlamento, nell'ambito degli atti relativi alla richiesta d'arresto avanzata dal gip di Napoli per Marco Milanese, deputato Pdl e storico braccio destro dello stesso Tremonti, accusato di associazione per delinquere, corruzione e rivelazione di segreto d'ufficio. Tremonti, ascoltato dunque dai pm John Woodcock e Francesco Curcio, dopo essersi soffermato sull'insidiosa inclinazione degli "alti ufficiali a coltivare relazioni esterne al Corpo nella prospettiva di diventare comandanti generali, relazioni esterne che io non trovo opportune", si concentra poi su un suo vivace e recente scambio di vedute con il premier. "Nel corso della discussione io e il presidente del Consiglio manifestammo posizioni diverse sulla politica di bilancio, ad un certo punto sono emerse posizioni fortemente critiche in ordine alla mia attività di ministro da parte del presidente del Consiglio. Per inciso e in parallelo su alcuni settori della stampa si manifestava una tendenza, una spinta alle mie dimissioni se non avessi modificato le mie posizioni. A questo punto, se non ricordo male, manifestai la mia refrattarietà ad essere oggetto di campagne stampa tipo quella "Boffo". Ciò trovava riscontro in voci di parlamento che mi sono permesso di segnalare al Presidente del Consiglio". Perché Tremonti allude al caso Boffo? E di quali circostanziate voci ha fatto cenno al presidente Berlusconi? Qualcuno sta usando eventualmente la notizia di quella prestigiosa casa che il deputato e fedelissimo del ministro, Marco Milanese, sta pagando in via Campo di Marzo e in cui vive lo stesso ministro? Tremonti, ancora sollecitato dalle domande dei pm, passa poi ordinare i ricordi in merito ad una cena che sarebbe avvenuta a Napoli, proprio tra il generale Adinolfi, altri esponenti della Finanza, e, "molto probabilmente anche Paolo Berlusconi e Galliani". Continua dunque Tremonti: "In quel contesto (la discussione che ebbe con il premier, ndr), facendo seguito a quanto riferitomi da Milanese su di una cena a Napoli a cui avrebbero partecipato oltre al generale Adinolfi anche persone vicine al presidente del Consiglio, rappresentai al presidente Berlusconi - in modo devo ammettere caratterialmente reattivo - tra l'altro la situazione di conflittualità in cui si trovavano alcune figure di vertice della Gdf. Ricordo che a Berlusconi feci il nome di Adinolfi, più esattamente ricordandomi di una cena a Napoli, gli dissi "Chiedi conferma ad Adinolfi". Si trattò di uno sfogo non avendo io elementi per valutare il comportamento di Adinolfi sotto il profilo deontologico". Continua ancora il ministro Tremonti: "Mi chiedete se alla cena citata fossero presenti Paolo Berlusconi e Galliani e vi rispondo che probabilmente Milanese mi fece questi nomi ma non ne sono sicuro. Con specifico riferimento alla conversazione che ho ascoltato - continua ancora Tremonti - posso dirvi che la stessa non mi sorprende poiché avevo già voci del rapporto di amicizia o comunque di conoscenza di Adinolfi con il presidente Berlusconi, attesa la comune passione per il Milan". Un interesse che, tuttavia, non spiega altri interessi convergenti. Il finale è più morbido: "La mia impressione è che dal tono della telefonata, che ho ascoltato, le parole del presidente del Consiglio mi sembrano spinte dal desiderio di un chiarimento in buona fede nei miei confronti". "Ritengo - aggiunge il titolare dell'Economia a proposito della telefonata che ha appena ascoltato - che Berlusconi abbia fatto un erroneo collegamento fra diverse frasi da me pronunciate". 08 luglio 2011
2011-04-05 IL CASO Berlusconi ritira la norma pro Fininvest Bersani: "Il premier ci ha provato" Il premier decide per un passo indietro sul codicillo ma dichiara: "Un intervento doveroso in un momento di crisi". In mattinata, Tremonti aveva annullato la conferenza stampa sulla manovra e La Lega aveva mostrato tutto il suo malcontento. Il Quirinale: "In attesa di altre risposte" Berlusconi ritira la norma pro Fininvest Bersani: "Il premier ci ha provato" ROMA - Pressato dagli alleati, Silvio Berlusconi ha deciso: il governo ritirerà la norma cosiddetta pro-Fininvest 1 contenuta nella Finanziaria, che però il premier reputa "giusta e doverosa in tempo di crisi economica", aggiungendo che la polemica sollevata dalle opposizioni è una "vergognosa montatura". Stamattina, il ministro Giulio Tremonti aveva annullato improvvisamente la conferenza stampa dei ministri sulla manovra economica (ufficialmente per il maltempo). Ma il sospetto che dietro ci fosse altro era forte: Tremonti non sarebbe stato al corrente dell'inserimento della norma in nella Finanziaria. Un codicillo che avrebbe consentito di stoppare i risarcimenti in appello oltre i 10 milioni, incidendo così sul caso Mondadori. Giallo sulle origini. La norma sarebbe stata pensata dal premier con il guardasigilli Alfano e il deputato e avvocato del premier Niccolò Ghedini. "L'hanno cucinata loro - spiegano fonti del ministero dell'Economia - i cuochi sono da rintracciare da quella parte, pur essendo chiaro che non ha alcuna coerenza con l'oggetto del decreto". Ghedini, però, si chiama fuori: "'Non ne so nulla, non l'ho scritta io, non mi occupo di civile ma di penale. Non ho nulla da dire". E anche la Lega sembrava spiazzata dalla mossa. I ministri leghisti giovedì scorso non avevano ricevuto nel testo che era stato loro consegnato la norma in questione, apprendendo solo a cose fatte che la norma era stata inserita. Da qui il "profondo malumore" di Bossi e Maroni. Il Colle: "in attesa di altre risposte". Il Quirinale rende noto che la decisione di Berlusconi di rinunciare alla norma ha risposto solo a una delle osservazioni prospettate dal Colle al governo per indicare criticità della manovra economica. Sulle altre questioni, la presidenza della Repubblica "resta in attesa di risposte dall'esecutivo". Le osservazioni non riguardano il merito del provvedimento, che rimane di esclusiva competenza e responsabilità del governo. Secondo ambienti della maggioranza, le altre questioni ancora all'esame potrebbero riguardare l'ICE e le quote latte. Bersani: "Ci ha provato". il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, commenta l'annuncio del premier: "Ci ha provato, ora noi apriremo bene gli occhi perchè sappiamo con chi abbiamo a che fare". Prosegue Bersani: "L'ho già detto e lo ripeto: su tutti i carri in cui mettono i problemi per gli italiani ci deve essere però una soluzione per lui e poi quando viene smascherato fa marcia indietro". Nel pomeriggio, Bersani aveva chiesto lo stralcio della norma sul Lodo Mondadori, che aveva definito "scandalosa". Fini: "Norma inopportuna". il presidente della Camera Gianfranco Fini ha commentato in aula la norma sul lodo Mondadori, dopo l'annuncio del ritiro: "Da parte mia non posso che sottolineare la totale inopportunità di inserire nella manovra una norma che si dice sia stata ritirata", ha detto. Di Pietro: "Atto gravissimo". Secondo il leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro, "Berlusconi, colto con le mani nel sacco ha deciso di ritirare la norma. Oggi l'ha fatto perchè domani vuole ripresentarne un'altra simile?", ha detto il leader Idv, che ha aggiunto: "C'è una responsabilità politica e istituzionale da parte del presidente del Consiglio e da parte di quei ministri che hanno approvato un documento totalmente diverso da quello trasmesso al Capo dello Stato. Credo vi sia un problema non solo di rilevanza penale, ma anche di rilevanza istituzionale". Conclude Di Pietro: "E' gravissimo che al governo vi siano delle persone che arrivano fino al punto di cambiare materialmente un documento indirizzato al presidente della Repubblica. E' un attentato alla democrazia e allo Stato di diritto". Vendola: "Manovra con infamia... e senza lodo". "E' una manovra con infamia... e senza lodo". Nichi Vendola, presidente di Sinistra Ecologia e Libertà, commenta con una battuta la decisione di Silvio Berlusconi. "Resta una manovra iniqua, che scarica sugli enti locali un peso di tagli insopportabili". E Bonelli dei Verdi rincara: "Il tentativo di inserire in una manovra lacrime e sangue l'ennesima norma ad personam, lascia semplicemente senza parole: il governo dovrebbe solo vergognarsi". LE TAPPE DEL PROCESSO MONDADORI 1 2 Nella maggioranza, Maurizio Gasparri appoggia la scelta dello stralcio: "Ho appreso che la norma sul Lodo Mondadori non c'è più nella manovra. E' una decisione saggia", dice il capogruppo del Pdl al Senato. In giornata, anche il ministro degli Esteri Frattini aveva espresso perplessità sull'inserimento del codicillo: "Di questa norma non c'è stata discussione approfondita in consiglio dei ministri. Se capisco bene è una norma di ordine generale e non particolare che recepisce un principio che già esiste nel codice civile. In questo senso non c'è alcun intento ad personam", ha detto Frattini. Tra i favorevoli il ministro del Welfare Guido Sacconi che aveva definito la norma "equilibrata". IL TESTO DEFINITIVO CONSEGNATO AL QUIRINALE 3 La norma 'salva-Fininvest' aveva scatenato la reazione del vicepresidente del Csm Michele Vietti che segnalava la violazione "del principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge". Polemico anche Antonio Di Pietro. "Alla faccia del partito degli onesti! Hanno tradito il voto di 25 milioni di persone che con il referendum del 12 giugno avevano detto basta con le leggi ad personam". Parole dure anche da Angelo Bonelli dei Verdi: "Tremonti è un ministro commissariato", dichiara. Sulla Finanziaria, nel frattempo, è atteso il parere del Quirinale, che ieri oltretutto ha ricevuto più di una versione. "Non dico nulla. Sulla manovra, quando sarà il momento, conoscerete le nostre determinazioni". Così il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, presente al convegno 'Europa piu' democratica', ha risposto ai giornalisti che gli chiedevano un commento sul testo trasmesso ieri dal governo al Quirinale. (05 luglio 2011)
IL CASO Berlusconi ritira la norma pro Fininvest Bersani: "Il premier ci ha provato" Il premier decide per un passo indietro sul codicillo ma dichiara: "Un intervento doveroso in un momento di crisi". In mattinata, Tremonti aveva annullato la conferenza stampa sulla manovra e La Lega aveva mostrato tutto il suo malcontento. Il Quirinale: "In attesa di altre risposte" Berlusconi ritira la norma pro Fininvest Bersani: "Il premier ci ha provato" ROMA - Pressato dagli alleati, Silvio Berlusconi ha deciso: il governo ritirerà la norma cosiddetta pro-Fininvest 1 contenuta nella Finanziaria, che però il premier reputa "giusta e doverosa in tempo di crisi economica", aggiungendo che la polemica sollevata dalle opposizioni è una "vergognosa montatura". Stamattina, il ministro Giulio Tremonti aveva annullato improvvisamente la conferenza stampa dei ministri sulla manovra economica (ufficialmente per il maltempo). Ma il sospetto che dietro ci fosse altro era forte: Tremonti non sarebbe stato al corrente dell'inserimento della norma in nella Finanziaria. Un codicillo che avrebbe consentito di stoppare i risarcimenti in appello oltre i 10 milioni, incidendo così sul caso Mondadori. Giallo sulle origini. La norma sarebbe stata pensata dal premier con il guardasigilli Alfano e il deputato e avvocato del premier Niccolò Ghedini. "L'hanno cucinata loro - spiegano fonti del ministero dell'Economia - i cuochi sono da rintracciare da quella parte, pur essendo chiaro che non ha alcuna coerenza con l'oggetto del decreto". Ghedini, però, si chiama fuori: "'Non ne so nulla, non l'ho scritta io, non mi occupo di civile ma di penale. Non ho nulla da dire". E anche la Lega sembrava spiazzata dalla mossa. I ministri leghisti giovedì scorso non avevano ricevuto nel testo che era stato loro consegnato la norma in questione, apprendendo solo a cose fatte che la norma era stata inserita. Da qui il "profondo malumore" di Bossi e Maroni. Il Colle: "in attesa di altre risposte". Il Quirinale rende noto che la decisione di Berlusconi di rinunciare alla norma ha risposto solo a una delle osservazioni prospettate dal Colle al governo per indicare criticità della manovra economica. Sulle altre questioni, la presidenza della Repubblica "resta in attesa di risposte dall'esecutivo". Le osservazioni non riguardano il merito del provvedimento, che rimane di esclusiva competenza e responsabilità del governo. Secondo ambienti della maggioranza, le altre questioni ancora all'esame potrebbero riguardare l'ICE e le quote latte. Bersani: "Ci ha provato". il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, commenta l'annuncio del premier: "Ci ha provato, ora noi apriremo bene gli occhi perchè sappiamo con chi abbiamo a che fare". Prosegue Bersani: "L'ho già detto e lo ripeto: su tutti i carri in cui mettono i problemi per gli italiani ci deve essere però una soluzione per lui e poi quando viene smascherato fa marcia indietro". Nel pomeriggio, Bersani aveva chiesto lo stralcio della norma sul Lodo Mondadori, che aveva definito "scandalosa". Fini: "Norma inopportuna". il presidente della Camera Gianfranco Fini ha commentato in aula la norma sul lodo Mondadori, dopo l'annuncio del ritiro: "Da parte mia non posso che sottolineare la totale inopportunità di inserire nella manovra una norma che si dice sia stata ritirata", ha detto. Di Pietro: "Atto gravissimo". Secondo il leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro, "Berlusconi, colto con le mani nel sacco ha deciso di ritirare la norma. Oggi l'ha fatto perchè domani vuole ripresentarne un'altra simile?", ha detto il leader Idv, che ha aggiunto: "C'è una responsabilità politica e istituzionale da parte del presidente del Consiglio e da parte di quei ministri che hanno approvato un documento totalmente diverso da quello trasmesso al Capo dello Stato. Credo vi sia un problema non solo di rilevanza penale, ma anche di rilevanza istituzionale". Conclude Di Pietro: "E' gravissimo che al governo vi siano delle persone che arrivano fino al punto di cambiare materialmente un documento indirizzato al presidente della Repubblica. E' un attentato alla democrazia e allo Stato di diritto". Vendola: "Manovra con infamia... e senza lodo". "E' una manovra con infamia... e senza lodo". Nichi Vendola, presidente di Sinistra Ecologia e Libertà, commenta con una battuta la decisione di Silvio Berlusconi. "Resta una manovra iniqua, che scarica sugli enti locali un peso di tagli insopportabili". E Bonelli dei Verdi rincara: "Il tentativo di inserire in una manovra lacrime e sangue l'ennesima norma ad personam, lascia semplicemente senza parole: il governo dovrebbe solo vergognarsi". LE TAPPE DEL PROCESSO MONDADORI 1 2 Nella maggioranza, Maurizio Gasparri appoggia la scelta dello stralcio: "Ho appreso che la norma sul Lodo Mondadori non c'è più nella manovra. E' una decisione saggia", dice il capogruppo del Pdl al Senato. In giornata, anche il ministro degli Esteri Frattini aveva espresso perplessità sull'inserimento del codicillo: "Di questa norma non c'è stata discussione approfondita in consiglio dei ministri. Se capisco bene è una norma di ordine generale e non particolare che recepisce un principio che già esiste nel codice civile. In questo senso non c'è alcun intento ad personam", ha detto Frattini. Tra i favorevoli il ministro del Welfare Guido Sacconi che aveva definito la norma "equilibrata". IL TESTO DEFINITIVO CONSEGNATO AL QUIRINALE 3 La norma 'salva-Fininvest' aveva scatenato la reazione del vicepresidente del Csm Michele Vietti che segnalava la violazione "del principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge". Polemico anche Antonio Di Pietro. "Alla faccia del partito degli onesti! Hanno tradito il voto di 25 milioni di persone che con il referendum del 12 giugno avevano detto basta con le leggi ad personam". Parole dure anche da Angelo Bonelli dei Verdi: "Tremonti è un ministro commissariato", dichiara. Sulla Finanziaria, nel frattempo, è atteso il parere del Quirinale, che ieri oltretutto ha ricevuto più di una versione. "Non dico nulla. Sulla manovra, quando sarà il momento, conoscerete le nostre determinazioni". Così il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, presente al convegno 'Europa piu' democratica', ha risposto ai giornalisti che gli chiedevano un commento sul testo trasmesso ieri dal governo al Quirinale. (05 luglio 2011)
L'ANALISI L'ultimo trucco "ad aziendam" di Berlusconi il 'padrone' del paese corrompe la democrazia Nelle pieghe della manovra una norma per proteggere la Fininvest del Cavaliere e sospendere il pagamento del risarcimento da 750 milioni di euro per il Lodo Mondadori. È la ventesima legge ad personam del premier di GIUSEPPE D'AVANZO L'ultimo trucco "ad aziendam" di Berlusconi il 'padrone' del paese corrompe la democrazia Silvio Berlusconi e carlo De Benedetti in una foto degli anni '80 Accordi, retromarce, processi le tappe del Lodo Mondadori articolo Accordi, retromarce, processi le tappe del Lodo Mondadori Un comma pro-Berlusconi per bloccare risarcimento a Cir articolo Un comma pro-Berlusconi per bloccare risarcimento a Cir CHI SI ERA illuso che Berlusconi, avvilito dagli scandali e depresso per le bocciature elettorali, fosse ormai al capolinea, è servito. L'uomo sarà anche all'ultimo atto - arriva sempre e per tutti un ultimo atto - ma non ha alcuna voglia o possibilità di abbandonare la scena, come lascia intendere con mosse teatrali incoronando capo del suo partito una comparsa, un attor giovane, Angelino Alfano.
LE TAPPE DELLA VICENDA 1 La cruda verità è che Berlusconi non può abbandonare. Deve restare lì, al governo e al potere, al riparo di un macroscopico conflitto d'interessi per proteggere la sua roba e il suo destino. L'Egoarca non ha altra preoccupazione che se stesso e non è una novità, ma ormai la consapevolezza di ventisette milioni di italiani che hanno cancellato nel voto referendario il "legittimo impedimento", di fatto dicendogli che non avrebbero più tollerato leggi personali. L'Egoarca non se ne dà per inteso. Si fece leader politico per venir fuori dai suoi guai finanziari. Era più o meno alla rovina nel 1994. Aveva debiti a medio-lungo termine per 2927 miliardi di lire e a breve per 1528 miliardi a fronte di un capitale netto di 1053 miliardi. Per non farla lunga, un fallito. Dopo diciassette anni e dopo il suo ennesimo fallimento - questa volta, politico - stiamo ancora qui a parlare dei suoi soldi, delle sue utilità, di che cosa gli conviene, di che cosa non gli conviene. Così mentre il governo chiede agli italiani - e agli italiani più deboli, i pensionati, i precari, i giovani - di versare lacrime e sangue per riequilibrare i conti dello Stato, Berlusconi si apparecchia il solito codicillo "ad personam" o "ad aziendam" che permetterà a lui - il Tycoon miliardario della Fininvest - di fare festa in tempi di stenti risparmiando di pagare un risarcimento di 750 milioni di euro. I fatti sono noti e non può far velo a Repubblica prendere posizione anche se il beneficiario di quel risarcimento è l'editore di Repubblica. La ragione di questa serenità è che all'inizio di questa storia c'è un fatto provato, accertato, indiscutibile: la corruzione di un giudice. Quindi, un delitto, un reato. È un "dettaglio" che - per nulla misteriosamente - scompare sempre nelle ipocriti o servili ricostruzioni del caso. Dunque, due imprenditori, due privati cittadini, Berlusconi e De Benedetti, hanno una contesa d'affari. In gioco è la proprietà della Mondadori. Finiscono in tribunale. Berlusconi si compra chi deve decidere della controversia, il giudice Metta. La corruzione della toga viene accertata al di là di ogni ragionevole dubbio in tre gradi di giudizio. La sentenza è definitiva e ha uno strascico: come risarcire chi si è visto privato di un bene con un crimine? Un altro giudice - un giudice civile, poi aggredito e degradato per vendetta dalla "macchina del fango" - decide che il prezzo giusto per il danno subito da De Benedetti è di 750 milioni di euro. Berlusconi si appella. La decisione è attesa di qui a qualche giorno, ma l'Egoarca la teme. Se ne lagna, con pose da vittima, appena può. Al funerale del suo miglior amico. Al matrimonio della sua ministra. Tace di aver corrotto il giudice. "Vogliono colpirmi nel patrimonio" dice trascurando di aver colpito il patrimonio altrui. Lavora in silenzio. Non lascia trapelare un sospiro. Anche se qualche traccia rimane nel terreno. Nei giorni scorsi, quando i manager della Fininvest presentano il bilancio della holding, svelano di non aver messo in conto nessun accantonamento, a copertura dell'eventuale risarcimento alla Cir. Sanno che "il Dottore" si sta muovendo per salvare se stesso e i conti del gioiello di famiglia. Nella bozza di manovra presentata nel pre-consiglio dei ministri il codicillo non c'è. Non c'è nella bozza consegnata ai ministri, giovedì scorso. Appare tra sabato e domenica - dunque quando materialmente il documento è ancora a Palazzo Chigi. Devono averla affatturata gli avvocati del premier. È proprio il tira e molla tra presidenza del Consiglio con i suoi legulei e il ministero del Tesoro con i suoi tecnici deve aver ritardato la trasmissione del documento al Quirinale. A scrutinare oggi il decreto legge si scorge un metodo rituale: cambio un comma di una legge, neutralizzo la giustizia, incasso il vantaggio privato. In questo caso, si manipolano due commi del codice di procedura civile. Finora il giudice poteva sospendere le pronunce di condanna in attesa della sentenza di Appello o di Cassazione. Ora riformati il primo comma dell'articolo 283 e dell'articolo 373, il giudice deve obbligatoriamente in forza delle legge "ad personam", pensata per proteggere la Fininvest del Cavaliere, sospendere il pagamento del risarcimento. Così l'Egoarca che nei prossimi giorni - la sentenza era prevista in settimana - avrebbe dovuto sborsare alla Cir di Carlo De Benedetti tra i 750 e i 500 milioni di euro può tenere la borsa chiusa e attendere tempi migliori per cancellare tutto, magari con un'altra legge, con un altro codicillo, con un colpo di mano che - altro che ultimo atto! - lo porti al Quirinale che poi magari dal Colle più alto è più facile ottenere obbedienza dei giudici e sentenze accomodate. Ora a occhio nudo possiamo vedere quel che accade ancora una volta, per la ventesima volta (tante - venti - sono le leggi ad personam). Berlusconi pretende che il suo destino sia il destino dell'Italia. Con questa convinzione, si è impadronito della "cosa comune" e ne fa una "cosa propria". Impone leggi personali corrompendo la nostra democrazia. Per proteggere la democrazia dalla corruzione esiste la Costituzione. Per dirlo con le parole di Gustavo Zagrebelskj, la funzione della Costituzione "è precisamente di evitare che qualcuno, una parte soltanto, s'impadronisca della "cosa di tutti"". Come si è impadronito Berlusconi deformando a proprio vantaggio addirittura la manovra finanziaria per la quale saremo giudicati dai nostri creditori, dai Paesi con cui condividiamo l'euro, dai mercati. Declinato così questo nuovo caso di corruzione della democrazia italiana, bisogna allora guardare al Quirinale. Giorgio Napolitano firmerà il decreto legge? Quali sono gli eventi che rendono quel codicillo (il giudice deve sospendere l'esecutività di una condanna di ammontare superiore a venti milioni di euro) "necessario e urgente" come prevede l'articolo 77 della Costituzione? È sufficiente il buon senso per rispondere. Non si avvista alcun fatto nuovo, se non la prossima soluzione di un singolo caso - la contesa Fininvest-Cir, Berlusconi-De Benedetti. Sarà per questo che la firma del decreto, come conferma la presidenza della Repubblica, non c'è stata ieri e non ci sarà oggi perché è ancora in corso un'"attenta e scrupolosa valutazione", formula che lascia trasparire tutte le perplessità di Napolitano. Il Colle ferma così l'orologio per chiedere al governo, a Berlusconi, a Tremonti, un ripensamento. Questo più o meno il ragionamento: il governo ha inviato soltanto una bozza. Come ogni lavoro provvisorio e non definitivo, è ancora possibile emendarla e correggerla e il testo della manovra va corretto nella forzature privatistiche imposte dagli interessi di un Egoarca attento alla sua roba. La finestra che ha aperto il capo dello Stato consentirà a molti di mostrare di quale pasta sono fatti e al Paese di apprezzarne responsabilità e senso dello Stato. Potrà Tremonti conservare intatta la credibilità di moralizzatore della finanza pubblica se non si spenderà a favore dei dubbi del Quirinale? E quali parole di sostegno alla "leale collaborazione" di Napolitano sentiremo invece da Angelino Alfano, indicato come il "cuoco della frittata" e l'ambizioso capo di un partito che si vuole "degli onesti"? Ancora poche ore e sapremo. (05 luglio 2011)
4 luglio 2011 LE MISURE DEL GOVERNO La manovra lievita a 49 miliardi dietrofront sul lodo Mondadori Silvio Berlusconi ha annunciato il ritiro dalla manovra della discussa norma cosiddetta 'salva-Fininvest', che secondo l'opposizione sarebbe stata utilizzabile per congelare il maxi risarcimento di 750 milioni dovuto alla Cir di De Benedetti in caso di conferma della sentenza di primo grado. La discussa norma aveva provocato anche i "malumori" della Lega, che si era detta sorpresa per l'inserimento della stessa nel decreto inviato al Colle. Critico anche il parere del vicepresidente del Csm Michele Vietti, secondo cui la norma avrebbe potuto "violare il principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge". La manovra economica intanto è lievitata. L'intervento reale sfiora, se si considerano le maggiori tasse e i tagli di spesa, i 50 miliardi. Nei primi due anni maggiori entrate per 6,1 miliardi (1,8 quest'anno e 4,3 nel 2012) serviranno a coprire maggiori spese di analogo importo, senza alcun impatto sul deficit. Nei due anni successivi, invece, la manovra corregge il deficit sia sul lato delle entrate sia su quello delle spese prevedendo ulteriori interventi per 49,4 miliardi: 17,9 miliardi nel 2013, e 25,4 miliardi nel 2014. Il totale è appunto 49,3 miliardi. Il testo approderà nell'Aula di Palazzo Madama da martedì 19 luglio. Le commissioni di merito si occuperanno del decreto nella settimana precedente, da martedì 12 luglio a venerdì 15 luglio. BERLUSCONI: NORMA GIUSTA MA LA RITIRO - I ministri leghisti giovedì scorso non avevano ricevuto nel testo che era stato loro consegnato la norma "pro-Fininvest". E i ministri leghisti hanno appreso solo a cose fatte dell'inserimento. Da qui il "profondo malumore" dei ministri del Carroccio Bossi, Maroni e Calderoli, che ha spinto Berlusconi a fare un passo indietro. "Nell'ambito della cosiddetta manovra - si legge in una di Palazzo Chigi - è stata approvata una norma per evitare attraverso il rilascio di una fideiussione bancaria il pagamento di enormi somme a seguito di sentenze non ancora definitive, senza alcuna garanzia sulla restituzione in caso di modifica della sentenza nel grado successivo. Si tratta di una norma non solo giusta ma doverosa specie in un momento di crisi dove una sentenza sbagliata può creare gravissimi problemi alle imprese e ai cittadini". "Le opposizioni - ha proseguito - hanno promosso una nuova crociata contro questa norma pensando che, tra migliaia di potenziali destinatari, si potrebbe applicare anche a una società del mio gruppo. Si è prospettato infatti che tale norma avrebbe trovato applicazione nella vertenza CIR -FININVEST dando così per scontato che la Corte di Appello di Milano effettivamente condannerà la Fininvest al pagamento di una somma addirittura superiore al valore di borsa delle quote di Mondadori possedute dalla Fininvest". In mattinata era stata annullata la prevista conferenza stampa per spiegare i contenuti della manovra, cui avrebbe dovuto partecipare Tremonti. "Colpa del maltempo" ha minimizzato il ministro dell'Economia. Quanto a Napolitano, ha preferito non esprimersi. Ai giornalisti che gli chiedevano giudizi sulla manovra ha risposto: "Quando sarà il momento conoscerete le nostre determinazioni". Ma in serata è trapelato che la decisione del premier di rinunciare all'ormai famosa norma ha risposto solo ad una delle osservazioni prospettate dal Quirinale al governo per indicare criticità, problemi tecnico-giuridici e di coerenza del decreto legge che contiene la manovra economica. Il Colle resta in attesa di altre risposte dall'esecutivo: le questioni aperte riguarderebbero tra l'altro l'Istituto del commercio estero e le quote latte. IL TESTO DEL DECRETO Il testo definitivo del decreto Manovra è stato trasmesso al Quirinale ieri intorno alle 12.30. Il provvedimento è composto da 39 articoli e due allegati: il primo articolo riguarda gli stipendi dei politici e l'ultimo il riordino dei giudici tributari. Confermate tutte le misure anticipate nei giorni scorsi, nonostante le polemiche nella maggioranza. Nel testo torna il taglio del 30% di "tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni" presenti in bolletta relativi alle energie rinnovabili. "Allo scopo di ridurre il costo finale dell'energia per i consumatori e le imprese - dice l'articolo 35 - a decorrere dal primo gennaio 2012 tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni, comunque gravanti sulle componenti tariffarie relative alle forniture di energia elettrica e gas naturale, previste da norme di legge o da regolamenti sono ridotti del 30 per cento rispetto a quelli applicabili alla data del 31 dicembre 2010". L'entità degli incentivi, dei benefici e delle agevolazioni sarà rideterminata dal ministero dello Sviluppo su proposta dell'Autorità per l'energia entro 90 giorni. La manovra toglie risorse alla politica: previsto un ulteriore taglio del 10% al finanziamento dei partiti "cumulando così una riduzione complessiva del 30%". Ridimensionati anche gli "aerei blu", previsti solo per le prime cinque cariche dello Stato. Confermato per il biennio 2012-2013 il blocco della rivalutazione delle pensioni "dei trattamenti pensionistici superiore a cinque volte il trattamento minimo di pensione Inps. Per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici comprese tra tre e cinque volte il predetto trattamento minimo Inps l'indice di rivalutazione automatica delle pensioni è applicato nella misura del 45%". Confermato al 2014 l'avvio della misura che aggancia l'età pensionabile alla speranza di vita. La norma precedente faceva cominciare questo processo dal 2015. A partire dal 2011 torna il superbollo: "per le autovetture e per gli autoveicoli per il trasporto promiscuo di persone e cose è dovuta una addizionale erariale della tassa automobilistica, pari ad euro 10 per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a 225 chilowatt, da versare alle entrate del bilancio dello Stato". Stangata Irap per banche e assicurazioni. Per gli istituti di credito e per le altre società finanziarie l'Irap sale al 4,65% mentre per le assicurazioni passa al 5,90%. Salasso anche per i depositi di titoli: il bollo che si applica alle comunicazioni relative al deposito di titoli può salire infatti fino a 380 euro se ha un ammontare complessivo a cinquantamila euro ed è gestito da una banca. L'importo varierà infatti in base al valore del "conto": dai 120 euro annuali per le comunicazioni di intermediari finanziari ai 150 per i conti inferiori ai 50 mila euro relativi a comunicazioni di depositi titoli presso banche, fino ai 380 euro annuali se si supera questa soglia. Fa discutere l'inserimento di una norma che potrebbe sospendere l'esecutività del mega risarcimento di 750 milioni di euro a carico della Fininvest e a favore della Cir di Carlo De Benedetti, se fosse confermato in appello dai giudici di Milano il verdetto di primo grado sul Lodo Mondadori. Si tratta di una modifica a due articoli del codice di procedura civile che obbliga il giudice, a differenza di quanto accadeva sinora, a sospendere l'esecutività della condanna nel caso di risarcimenti superiori ai 20 milioni di euro (10 in primo grado) dietro il pagamento di "idonea cauzione", in attesa che si pronunci in via definitiva la Cassazione. Le opposizioni subito attaccano. Bindi: una norma aberrante.
2011-07-04 LA MANOVRA
LODO MONDADORI Un comma pro-Berlusconi per bloccare risarcimento a Cir Prevista la sospensione delle maxicondanne in sede civile. Il Pd: "Una vergogna, lacrime e sangue per il paese, e protezione ai più ricchi". Idv e Verdi: "Ecco quali sono le vere priorità di questo governo". Palamara (Anm): "Incostituzionale". Un giudice di Cassazione: "Danni irreparabili" Un comma pro-Berlusconi per bloccare risarcimento a Cir Carlo De Benedetti ROMA - L'ultimo comma dell'articolo 37: nelle pieghe della manovra un'altra norma ad personam per il presidente del Consiglio e le sue aziende. Viene infatti deciso lo stop in appello all'esecuzione delle condanne civili che superino i dieci milioni di euro e stop in Cassazione per quelle che vanno oltre i 20 milioni, in cambio di una idonea cauzione. Due modifiche al codice di procedura civile che potrebbero influire anche sull'attesa sentenza d'appello del tribunale civile per il Lodo Mondadori, prevista per la fine di questa settimana. Fininvest in primo grado era stata condannata a risarcire con 750 milioni di euro la Cir di Carlo De Benedetti, presidente del Gruppo Editoriale L'Espresso. La bozza aggiunge infatti un comma all'articolo 283 del codice di procedura civile che parla dei provvedimenti sull'esecuzione provvisoria in appello e che prevede che il giudice dell'appello, "su istanza di parte quando sussistono gravi e fondati motivi sospende in tutto o in parte l'efficacia esecutiva o l'esecuzione della sentenza impugnata, con o senza cauzione". Il comma aggiuntivo che sarebbe spuntato nella manovra economica recita: "La sospensione prevista dal comma che precede è in ogni caso concessa per condanne di ammontare superiore a dieci milioni di euro se la parte istante presta idonea cauzione". LE TAPPE DEL PROCESSO MONDADORI 1 IL TESTO PROVVISORIO DELLA FINANZIARIA 2 Pierluigi Bersani parla di insulto al Parlamento. La capogruppo del Pd in commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, attacca. "Sono senza vergogna, è scandaloso che in una finanziaria che prefigura lacrime e sangue per il paese sia contenuta una norma di classe, che consente ai più ricchi dilatare il regolare corso della giustizia e che, guarda caso, molto probabilmente farà tirare un sospiro di sollievo alle aziende del presidente Berlusconi". "Altro che partito degli onesti, anche in momenti così difficili il premier non dimentica gli interessi delle proprie imprese", ha spiegato. E aggiunge la capogruppo pd in Senato, Anna Finocchiaro: "Siamo di nuovo di fronte al conflitto di interessi e a un provvedimento da furbetti". Il parlamentare del Pd Antonio Misiani chiede che la Consob faccia accertamenti sul titolo Fininvest, in ripresa dalla scorsa settimana. 3 Interviene anche Antonio Di Pietro: "Anche le azioni criminali - afferma in una nota il leader dell'idv - hanno un limite per essere credibili, oltre il quale diventano ridicole". Secondo Di Pietro "se nel testo definitivo della manovra ci fosse una norma criminogena, volta ad assicurare a Berlusconi l'annullamento del pagamento dovuto al gruppo De Benedetti, sarebbe la dimostrazione che il governo ha perso il senso del limite e il senno. Come si può approfittare così delle istituzioni? Un giudice accorto - conclude - dovrebbe disapplicare questa disposizione perché palesemente immorale e incostituzionale". Il leader dei Verdi Angelo Bonelli parla di una manovra "ad personam". "E' davvero incredibile quello che sta succedendo in queste ore. Ecco quali sono le vere priorità di un governo che ha tagliato la spesa sociale, ha imposto i ticket sanitari, ha fatto tagli senza precedenti al trasporto pubblico e ha affrontato le rinnovabili: fermare il risarcimento per il lodo Mondadori". "La norma inserita in finanziaria per sospendere il pagamento del risarcimento di Mediaset a Cir in relazione al caso Mondadori è un grave atto del governo, sia perchè contiene un esplicito favore al premier sia perchè non ci sono i requisiti di necessità e urgenza previsti dalla Costituzione" dichiara Italo Bocchino, vice presidente di Futuro e libertà per l'Italia. Luca Palamara (Anm). "Se confermata" la norma sul lodo Mondadori "sarebbe una norma che nulla ha a che vedere con il tema dell'efficienza del processo civile, che determinerebbe una iiniqua disparità di trattemento e che sarebbe, quindi, incostituzionale". Un giudice di Cassazione: "Danni irreparabili". "Una norma di favore per i grandi debitori destinata a produrre guasti irreparabili, anche perché mette in discussione la stessa credibilità del processo civile, che trova il suo fondamento nel fatto che le sue pronunce di appello sono immediatamente esecutive". Giuseppe Maria Berruti, giudice della Prima sezione civile della Corte di Cassazione, è fortemente critico con l'Ansa sulle nuove disposizioni del codice di procedura civile che vengono introdotte con la manovra finanziaria. Ma sull'intervento che obbliga il giudice a sospendere l'esecutività delle condanne nel caso di risarcimenti superiori ai 20 milioni di euro (10 in primo grado) dietro il pagamento di una cauzione e in attesa che si pronunci in via definitiva la Cassazione,il suo giudizio è drastico:"E' una norma di favore per i grandi debitori, come le amministrazioni che non pagano i grandi appalti , le imprese altamente insolventi verso miriadi di consumatori e così via. In sostanza chi in teoria ha fatto più danno si vede mettere a disposizione straordinarie possibilità dilatorie". Sinora la sospensione "era sottoposta a condizioni stringenti che il giudice doveva esaminare per evitare guai peggiori, come l'insolvenza del debitore". Ora invece con queste nuove disposizioni congelare i mega risarcimenti diventa una strada obbligata per il giudice di appello: "E' una facilitazione per i grandi debitori, per i quali si rinvia tutto alla fine del giudizio di Cassazione, cioè alla definitività della sentenza". E non è tutto: così "si allenta una fondamentale condizione di credibilità del processo civile che è rappresentata dall'esecutività della sentenza di merito" e tutto questo accade mentre "tutto il mondo va verso un'abbreviazione dei processi e una valorizzazione addirittura delle sentenze di primo grado e mentre si sostiene che i grandi investitori esteri non vengono in Italia perchè hanno timore di non recuperare i loro crediti". Ma soprattutto per questa via "si sottopone la Corte di Cassazione a pressioni enormi perchè vada oltre il giudizio di legittimità e sconfini nel merito". (04 luglio 2011)
LA VICENDA Accordi, retromarce, processi le tappe del Lodo Mondadori Dall'accordo del 1988 fra Cir e Formenton alla mediazione di Ciarrapico. La battaglia nelle aule giudiziarie fino alla storica sentenza che chiude la "guerra di Segrate" ROMA - La vicenda giudiziaria dello scontro fra la Cir di Carlo De Benedetti e la Fininvest di Silvio Berlusconi ha origine nel lontano 1988 quando l'Ingegnere, Berlusconi, Mondadori e Formenton erano soci nella società che controllava la Arnoldo Mondadori editore. Quell'anno, infatti, venne siglato un accordo Formenton-Cir che portava l'Ingegnere ad avere la maggioranza nella Amef società controllante il grande gruppo editoriale. Accordo che però, dopo le pressioni della Fininvest i Formenton vollero disdire. Perso un primo giudizio arbitrale la famiglia Formenton chiese alla corte d'Appello di Roma, sezione civile, l'annullamento del cosidetto Lodo Mondadori. Annullamento concesso dal giudice Vittorio Metta nel 1991. La Cir, sconfitta in tribunale, si trovò dunque costretta ad accettare una compromesso: con la mediazione di Giuseppe Ciarrapico, la casa editrice fu spartita. A De Benedetti conservò Espresso, Repubblica e Finegil mentre alla Mondadori, ovvero a Berlusconi, i libri e i settimanali (fra cui Panorama). Cir, debole nella trattativa dopo la sentenza del giudice Metta si trovò a pagare un conguaglio di 365 miliardi di lire. Sembrava tutto finito quando, il 29 aprile 2003, il tribunale di Milano dopo una lunga e complessa vicenda giudiziaria nata dalle dichiarazioni nel 1995 di Stefania Ariosto, condannò il giudice Vittorio Metta (colui che diede al Cavaliere la vittoria in quella che è passata alla storia come "la battaglia di segrate) a 13 anni con l'accusa di aver ricevuto soldi da uomini Fininvest per aggiustare la vicenda. Sentenza ribadita in Cassazione nel 2007. Il tribunale riconosce infine alla parte civile Cir il diritto ai danni morali e patrimoniali, da quantificare in separata sede civile: "Tanto il danno emergente quanto il lucro cessante, sotto una molteplicità di profili relativi non solo ai costi effettivi di cessione della Mondadori, ma anche ai riflessi della vicenda sul mercato dei titoli azionari". Dalla sentenza penale prende le mosse la causa civile promossa da Cir contro Fininvest. Il 3 ottobre 2009 il Tribunale di Milano (giudice Raimondo Mesiano pesantemente "molestato" dalle telecamere di Canale 5) emette la sentenza di primo grado secondo cui Cir ha diritto al risarcimento da parte di Fininvest del danno patrimoniale da "perdita di chance" che viene quantificato in 749.955.611,93 euro oltre al risarcimento di danni non patrimoniali. Il Tribunale, in pratica, accoglie per l'80% la richiesta di risarcimento presentata da Cir. Fininvest annuncia lo stesso giorno la presentazione di un ricorso in Corte d'Appello. Il 1 dicembre, davanti alla Corte, le parti raggiungono un accordo che prevede la sospensione dell'esecutività della sentenza di primo grado in cambio del rilascio da Fininvest a Cir di una fideiussione a prima richiesta da 806 milioni di euro comprensiva di interessi e accessori. La Corte, inoltre, si impegna con le parti a concludere l'appello in tempi rapidi. Il 23 febbraio 2010 inizia il processo d'Appello. Fininvest chiede di riformare la sentenza di primo grado poiché, a suo giudizio, la Cir non subì alcun danno nella vicenda Mondadori. Diversa la posizione dei legali di Cir, che ribadiscono la richiesta di risarcimento poiché, a loro dire, la corruzione del giudice Metta ha alterato i rapporti di forza tra le due società, indebolendo la posizione negoziale di Cir nelle trattative per la spartizione della Mondadori. Nella prima udienza d'appello, i legali di Fininvest (che in secondo grado rafforzano il pool dei legali composto dagli avvocati Vaccarella, De Nova, Lombardi) chiedono alla Corte di effettuare una perizia per determinare la congruità con i prezzi di mercato del valore delle azioni nella spartizione della Mondadori dell'aprile 1991. Il 4 marzo 2011 la Corte, presieduta dal giudice De Ruggero, concede una perizia (consulenza tecnica d'ufficio) ma su un quesito diverso rispetto a quello chiesto da Fininvest. Ai tre consulenti tecnici Guatri, Martellini, Pellicelli, la Corte chiede di verificare "se e quali variazioni dei valori delle società e delle aziende oggetto di scambio tra le parti siano intervenute fra giugno del 1990 e aprile del 1991". I tre consulenti rispondono consulenti rispondono al quesito sottolineando che tra il giugno del 1990 e l'aprile del 1991 il valore delle aziende si era ridotto di circa il 18%. Il processo va avanti fino all'ultima udienza del 4 marzo. Cir chiede che le venga riconosciuto il 100% del danno (e non l'80%) o, in alternativa, la conferma della sentenza di primo grado. Fininvest chiede di riformare la sentenza di primo grado poiché ritiene che Cir non abbia subito danno. Intanto, fuori dalle aule giudiziarie, in più occasioni, ultima il G8 in Francia, il premier denuncia: "Mi vogliono attaccare anche nel patrimonio". (04 luglio 2011)
LA VICENDA Accordi, retromarce, processi le tappe del Lodo Mondadori Dall'accordo del 1988 fra Cir e Formenton alla mediazione di Ciarrapico. La battaglia nelle aule giudiziarie fino alla storica sentenza che chiude la "guerra di Segrate" Accordi, retromarce, processi le tappe del Lodo Mondadori Carlo De Benedetti e Silvio Berlusconi ROMA - La vicenda giudiziaria dello scontro fra la Cir di Carlo De Benedetti e la Fininvest di Silvio Berlusconi ha origine nel lontano 1988 quando l'Ingegnere, Berlusconi, Mondadori e Formenton erano soci nella società che controllava la Arnoldo Mondadori editore. Quell'anno, infatti, venne siglato un accordo Formenton-Cir che portava l'Ingegnere ad avere la maggioranza nella Amef, società controllante il grande gruppo editoriale. Accordo che però, dopo le pressioni della Fininvest i Formenton vollero disdire. Perso un primo giudizio arbitrale la famiglia Formenton chiese alla corte d'Appello di Roma, sezione civile, l'annullamento del cosidetto Lodo Mondadori. Annullamento concesso dal giudice Vittorio Metta nel 1991. La Cir, sconfitta in tribunale, si trovò dunque costretta ad accettare una compromesso: con la mediazione di Giuseppe Ciarrapico, la casa editrice fu spartita. De Benedetti conservò Espresso, Repubblica e Finegil mentre alla Mondadori, ovvero a Berlusconi, i libri e i settimanali (fra cui Panorama). Cir, debole nella trattativa dopo la sentenza del giudice Metta, si trovò a pagare un conguaglio di 365 miliardi di lire. Sembrava tutto finito quando, il 29 aprile 2003, il tribunale di Milano dopo una lunga e complessa vicenda giudiziaria nata dalle dichiarazioni nel 1995 di Stefania Ariosto, condannò il giudice Vittorio Metta (colui che diede al Cavaliere la vittoria in quella che è passata alla storia come "la battaglia di Segrate) a 13 anni con l'accusa di aver ricevuto soldi da uomini Fininvest per aggiustare la vicenda. Sentenza ribadita in Cassazione nel 2007. Il tribunale riconobbe infine alla parte civile Cir il diritto ai danni morali e patrimoniali, da quantificare in separata sede civile: "Tanto il danno emergente quanto il lucro cessante, sotto una molteplicità di profili relativi non solo ai costi effettivi di cessione della Mondadori, ma anche ai riflessi della vicenda sul mercato dei titoli azionari". Dalla sentenza penale prende le mosse la causa civile promossa da Cir contro Fininvest. Il 3 ottobre 2009 il Tribunale di Milano 1 (giudice Raimondo Mesiano pesantemente "molestato" dalle telecamere di Canale 5 2) emette la sentenza di primo grado: Cir ha diritto al risarcimento da parte di Fininvest del danno patrimoniale da "perdita di chance" che viene quantificato in 749.955.611,93 euro oltre al risarcimento di danni non patrimoniali. Il Tribunale, in pratica, accoglie per l'80% la richiesta di risarcimento presentata da Cir. Fininvest annuncia lo stesso giorno la presentazione di un ricorso in Corte d'Appello. Il 1 dicembre, davanti alla Corte, le parti raggiungono un accordo che prevede la sospensione dell'esecutività della sentenza di primo grado in cambio del rilascio da Fininvest a Cir di una fidejussione a prima richiesta da 806 milioni di euro comprensiva di interessi e accessori. La Corte, inoltre, si impegna con le parti a concludere l'appello in tempi rapidi. Il 23 febbraio 2010 inizia il processo d'Appello. Fininvest chiede di riformare la sentenza di primo grado poiché, a suo giudizio, la Cir non subì alcun danno nella vicenda Mondadori. Diversa la posizione dei legali di Cir, che ribadiscono la richiesta di risarcimento: a loro dire, la corruzione del giudice Metta ha alterato i rapporti di forza tra le due società, indebolendo la posizione negoziale di Cir nelle trattative per la spartizione della Mondadori. Nella prima udienza d'appello, i legali di Fininvest (che in secondo grado rafforzano il pool dei legali composto dagli avvocati Vaccarella, De Nova, Lombardi) chiedono alla Corte di effettuare una perizia per determinare la congruità con i prezzi di mercato del valore delle azioni nella spartizione della Mondadori dell'aprile 1991. Il 4 marzo 2011 la Corte, presieduta dal giudice De Ruggero, concede una perizia (consulenza tecnica d'ufficio) ma su un quesito diverso rispetto a quello chiesto da Fininvest. Ai tre consulenti tecnici Guatri, Martellini, Pellicelli, la Corte chiede di verificare "se e quali variazioni dei valori delle società e delle aziende oggetto di scambio tra le parti siano intervenute fra giugno del 1990 e aprile del 1991". I tre consulenti rispondono al quesito sottolineando che tra il giugno del 1990 e l'aprile del 1991 il valore delle aziende si era ridotto di circa il 18%. Il processo va avanti fino all'ultima udienza del 4 marzo. Cir chiede che le venga riconosciuto il 100% del danno (e non l'80%) o, in alternativa, la conferma della sentenza di primo grado. Fininvest chiede di riformare la sentenza di primo grado poiché ritiene che Cir non abbia subito danno. Intanto, fuori dalle aule giudiziarie, in più occasioni, ultima il G8 in Francia, il premier denuncia: "Mi vogliono attaccare anche nel patrimonio". (04 luglio 2011)
LA SENTENZA Crac Cirio, condanne in primo grado 9 anni a Cragnotti, 4 a Geronzi Emesso il giudizio della prima sezione penale del tribunale di Roma. Pene anche per il cognato e i figli dell'ex patron della Lazio. Di Pietro: "E' il minimo". Tredicimila persone danneggiate dal dissesto della società. Assolti Fiorani e la moglie di Cragnotti Crac Cirio, condanne in primo grado 9 anni a Cragnotti, 4 a Geronzi ROMA - Sergio Cragnotti è stato condannato a 9 anni di reclusione per il crac da 1.125 milioni di euro del gruppo agroalimentare Cirio. Quattro anni invece per l'ex presidente delle Generali, Cesare Geronzi. Assolti Giampiero Fiorani, ex amministratore delegato della Banca Popolare di Lodi, e la moglie di Cragnotti, Flora Pizzichemi, per "non aver commesso il fatto". Questa la sentenza di condanna emessa dai giudici della prima sezione penale del tribunale di Roma, presieduta da Giuseppe Mezzofiore, a conclusione del processo. Le richieste dell'accusa erano di 15 anni per Cragnotti e 8 per Geronzi. I giudici hanno riconosciuto la colpevolezza anche del genero dell'ex patron della Lazio, Filippo Fucile, per il quale è stata stabilita una pena di 4 anni e 6 mesi. Per i figli di Cragnotti, altre condanne: 4 anni per Andrea, 3 per Elisabetta e Massimo. La sentenza è stata emessa dopo una lunghissima camera di consiglio. Nessuno degli imputati era presente in aula. Trentacinque gli accusati, a seconda delle posizioni, di bancarotta fraudolenta, preferenziale e distrattiva e truffa. Il tribunale ha deciso l'entità dei risarcimenti alle parti civili: 200 milioni di euro per danni a titolo di provvisionale, che dovranno essere versati dal responsabile civile Unicredit e da tutti gli imputati condannati all'amministrazione straordinaria Cirio. La banca e gli stessi condannati dovranno risarcire anche le spese legali sostenute dalle stesse parti in questo processo. L'inchiesta, cominciata nel 2003, si concluse alla metà di maggio del 2005 e ha coinvolto inizialmente 45 persone. Il dissesto ha danneggiato 13mila persone che avevano sottoscritto bond e titoli di credito della Cirio, dichiarata in default nel novembre del 2002 e quindi finita in amministrazione straordinaria nell'ottobre 2003. L'accusa per Cragnotti era di bancarotta fraudolenta e truffa. Ma nell'inchiesta sono finiti, a mano a mano e a vario titolo, anche alcuni grandi nomi, da Cesare Geronzi, a Rainer Masera, presidente del San Paolo Imi, a Livio Ferruzzi, deceduto nei giorni scorsi. Nel novembre del 2008 il processo ha rischiato lo stop a causa dell'inserimento di un emendamento cosiddetto "salva-manager" nel decreto Alitalia, successivamente ritirato. L'approvazione avrebbe significato lo stop al procedimento su tutti i grandi reati finanziari che non comprendessero un vero e proprio fallimento delle aziende coinvolte. "E' il minimo,hanno fatto morire anche di fame un mare di gente", ha commentato il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro. Aggiungendo che "il sano risultato di chi delinque e va in galera è il modo migliore per fare capire che chi delinque la deve smettere". (04 luglio 2011)
"Eternit, una tragedia immane" Guariniello chiede vent'anni Alla cinquantesima udienza del processo Eternit, il pm ha fatto richieste pesantissime per i vertici dell'azienda: "Non avevo mai visto un dramma come questo, che ha colpito popolazioni di lavoratori e cittadini e che continua a seminare morti. E continuerà a seminarli chissà fino a quando" di SARAH MARTINENGHI Vent'anni di carcere per il barone belga Louis de Cartier e per Stephan Schmidheiny. Li ha chiesti il procuratore Raffaele Guariniello, alle ultime battute del clamoroso processo che ha portato in tribunale i vertici dell'Eternit, che sarebbero responsabili di oltre tremila vittime, tra operai e familiari, nei quattro stabilimenti italiani di Cavagnolo, Casale Monferrato, Rubiera di Reggio Emilia e Bagnoli, nel Napoletano.A uccidere era la micidiale polvere bianca di fibra di amianto che continua a mietere vittime. "Chiedo vent'anni per questa immane e sconvolgente tragedia - ha detto Guariniello - Non avevo mai visto un dramma come questo, che ha colpito popolazioni di lavoratori e cittadini e che continua a seminare morti. E continuerà a seminarli chissà fino a quando. Una tragedia che si è consumata sotto un'unica regia in Italia e in altri paesi del mondo, senza che mai nessun tribunale abbia chiamato a risponderne i reponsabili per l'enorme danno cagionato". Il pm ha richiesto inoltre tre pene ulteriori: interdizione dai pubblici uffici, incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione per anni 3 e interdizione dalla direzione di impresa per anni 10. (04 luglio 2011)
2011-07-03 QUESTA INCHIESTA LA STRUTTURA DELTA IN RAI Questa inchiesta nasce da una querela che Walter Galbiati e Emilio Randacio rimediano per aver pubblicato su "Repubblica" nel 2007 una serie di articoli che raccontano, sulla base dei brogliacci delle intercettazioni dell'inchiesta Hdc (anno 2005), le manovre a cavallo tra Rai e Mediaset di un gruppo di manager e giornalisti per assicurare a Berlusconi un'informazione "antiguai". Solo che la condizione di querelati consente di avere accesso ai materiali dell'inchiesta, comprese centinaia di intercettazioni nella versione audio. Un materiale ricchissimo e esemplare di cui qui presentiamo una parte, la più interessante, che ci fa capire i meccanismi di funzionamento di quella che successivamente è stata battezzata la "Struttura Delta". Una struttura preposta per conto del premier al controllo e alla manipolazione dell'informazione televisiva, e non solo. Una struttura che, come raccontano gli articoli di Massimo Giannini e di Aldo Fontanarosa, da allora non ha smesso di lavorare e continua a farlo anche nell'anno 2011.
IL MODELLO RAISET di WALTER GALBIATI, montaggio LEONARDO SORREGOTTI Tutti gli uomini del Presidente La fabbrica del consenso in azione Deborah Bergamini nel 2005 è in Rai. L'ex segretaria del Cavaliere, promossa ai piani alti di viale Mazzini nel 2002 sulla poltrona di vice direttore marketing strategico, è il 'capitano' della squadra che provvede ai bisogni di Silvio Berlusconi. Organizza i palinsesti Rai ma anche quelli Mediaset, provvede a piazzare i 'raccomandati' e fa in modo che tutto fili liscio. Con lei Alessio Gorla, consigliere Rai della maggioranza, Clemente Mimum, direttore del Tg1, Fabrizio del Noce, direttore di Rai Uno, e Gianfranco Comanducci, responsabile delle Risorse umane dell'azienda televisiva di Stato
LO SCHEMA di WALTER GALBIATI e EMILIO RANDACIO La "Struttura Delta" in azione Così il Cavaliere controlla la Rai La "Struttura Delta" in azione Così il Cavaliere controlla la Rai Deborah Bergamini, dal marketing Rai al Parlamento Dalle intercettazioni dell'inchiesta Hdc emerge un quadro preoccupante. Nel 2005, una vera e propria task force di fedelissimi di Berlusconi, governava la tv pubblica facendo gli interessi di Mediaset e di Forza Italia. E anche pochi giorni fa, a Palazzo Grazioli... MILANO - Sullo scacchiere della Rai, Silvio Berlusconi ha messo suoi uomini nei posti chiave. Una vera militarizzazione, che gli ha permesso, durante la sua permanenza a Palazzo Chigi, di controllare l'informazione capillarmente, disinformare, conoscere in anticipo mosse che potevano tornargli utili per la sua immagine pubblica. Non sappiamo con certezza se oggi le cose stiano ancora così. Coincidenza vuole, però, che proprio nelle scorse settimane, all'indomani della debacle elettorale delle amministrative del Pdl, il leader dell'opposizione Pier Luigi Bersani abbia denunciato l'organizzazione di una "cena fra Berlusconi e i consiglieri della Rai", convocata per martedì primo giugno a Palazzo Grazioli. Secondo la denuncia del segretario del Pd, a quel vertice erano stati convocati i cinque consiglieri Rai della maggioranza: Giovanna Bianchi Clerici (Lega), Antonio Verro e Alessio Gorla (Pdl), Guglielmo Rositani (Pdl, ex area An). Non ci sono cronache su quanto avvenuto durante quella cena, dichiarazioni ufficiali. Si può, dunque, solo ipotizzare, dedurre, fare ipotesi. E di certo, lo schema non è nuovo. Esattamente sei anni fa, durante il secondo mandato di Berlusconi a Palazzo Chigi, i contatti tra la presidenza del Consiglio e i vertici della Rai, sono stati costanti, quasi quotidiani nei momenti caldi. Lo schema emerge nitido, lampante, dalle intercettazioni telefoniche depositate al processo milanese sul fallimento del sondaggista del Cavaliere, Luigi Crespi e della sua società demoscopica, Hdc. L'inventore del "contratto con gli italiani" firmato in diretta televisiva a Porta a Porta dal Cavaliere nel 2001, prima di finire in carcere per bancarotta, al telefono parlava. E nei rivoli dell'indagine dei pm Laura Pedio e Roberto Pellicano, tra le sue interlocutrici spicca Deborah Bergamini, attuale parlamentare del Pdl, ex assistente personale di Berlusconi, promossa ai piani alti di Viale Mazzini nel 2002, sulla poltrona di vice direttore del marketing strategico. Bergamini è una amica di vecchia data di Crespi, e visti i suoi contatti con l'indagato, la procura nel 2005, per un mese e mezzo, decide di mettere sotto controllo anche il suo cellulare. Questi dialoghi, è utile ricordarlo, non sono serviti all'indagine sul crac Hdc. Il loro contenuto era racchiuso solo nei brogliacci dell'inchiesta. La loro pubblicazione su Repubblica, nel novembre 2007 aveva portato all'apertura di due distinte indagini concluse con altrettante archiviazioni, ma anche all'allontanamento dalla Rai della Bergamini. Ora, con la pubblicazione delle telefonate integrali, si scopre un metodo con cui Silvio Berlusconi avrebbe esercitato controllo capillare sui canali della televisione di Stato. Il cellulare della Bergamini è sotto il controllo della Guardia di Finanza in un periodo politico molto caldo. Tra la fine di marzo e gli inizi di aprile 2005 si stanno consumando gli ultimi giorni di vita di Giovanni Paolo II. Domenica 4 aprile e il giorno successivo gli italiani sono chiamati a rinnovare le amministrazioni di 13 Regioni. E in quei giorni, gli uomini messi nello scacchiere Rai da Silvio Berlusconi, usano il loro potere per avvantaggiare il loro "Capo", o più semplicemente "il Dottore", come ossequiosamente lo chiamano. 29 giugno 2011
L'ANALISI MASSIMO GIANNINI Un palinsesto unico delle notizie E' il governo del Grande Fratello Un palinsesto unico delle notizie E' il governo del Grande Fratello Mauro Masi, ex dg Rai Una centrale capace di addomesticare l'informazione per renderla funzionale al berlusconismo al potere, una squadra di professionisti segreta e incistata dentro le istituzioni per condurre una guerra di propaganda al servizio del Capo. In questo caso la "macchina" produce il "pongo" per deformare ogni cosa e il "fango" per stroncare gli avversari La "centrale unica" di un'informazione omologata e addomesticata, al servizio sordo e cieco del berlusconismo al potere. E' questo il vero Grande Fratello, pervasivo e tecnicamente eversivo, che si affaccia in Italia nell'autunno del 2007, quando la Procura di Milano scoperchia il vaso di Pandora dell'inchiesta sul fallimento della Hdc, la holding di Luigi Crespi, ex sondaggista ed ex spin doctor di Berlusconi. Da quel filone di indagine si dipana un groviglio velenoso e incestuoso di rapporti, personali e istituzionali, il cui obiettivo è uno solo: piegare Rai e Mediaset, insieme, dentro una logica di guerra da propaganda unilaterale, dove le informazioni negative e sconvenienti per il Cavaliere vengono filtrate e neutralizzate, e dove le informazioni "diversive" vengono invece sparate come armi di distrazione di massa. Centinaia di intercettazioni telefoniche, attivate dalla primavera del 2005 in poi, squarciano il velo di un unico, blindato e artefatto "palinsesto" che un gruppo ristretto di donne e di uomini, di provata fede berlusconiana, propina ogni giorno al Paese. Dirigenti del servizio pubblico al soldo effettivo o informativo del premier (da Deborah Bergamini a Gianfranco Comanducci o Fabrizio Del Noce). Manager incardinati nel cuore dell'impero privato del Cavaliere (da Mauro Crippa a Niccolò Querci o Giampiero Cantoni). Giornalisti buoni per tutte le stagioni e per tutte le occasioni (da Bruno Vespa a Clemente Mimun o Francesco Pionati). La "rete" che si attiva, alla vigilia e a cavallo delle elezioni amministrative dell'aprile 2005, è impressionante. La "regia comune" (secondo la definzione dell'Agcom) ha un obiettivo preciso: nascondere all'opinione pubblica i numeri della debacle elettorale di Forza Italia. Le parole contano, in questo brogliaccio della "disinformatsia organizzata" che squalifica la nostra democrazia. "L'informazione deve essere un presidio anti-guai", esige Berlusconi. E allora: "La Rai così com'è non gli serve" (Bergamini). C'è "un piccolo raggruppamento da realizzare" (Alessio Gorla, responsabile risorse di Viale Mazzini). "Fatti capo di una squadra che si ripropone al presidente" (Pionati). "Fategli mettere in programmazione Carol, parlaci tu, mettessero Carol, noi mettiamo chi se ne frega" (Bergamini a Carlo Nardello, direttore Strategia della Rai, perché convinca Mediaset a mandare un documentario su Wojtyla e non approfondimenti sulle elezioni). "Abbiamo fatto uno sforzo della madonna per far passare il messaggio dell'anticomunismo" (Mimun, dopo la morte di Giovanni Paolo II). "Abbiamo costruito questa roba apposta" (Benito Benasi, a proposito dei sondaggi manipolati che nascondono l'11 a 2 che si profila come risultato delle regionali favorevole al centrosinistra). "Non date ancora questi risultati a Porta a Porta" (Flavio Cattaneo, direttore generale Rai). E poi, degna conclusione della tragica farsa: "Bene, basta saperlo" (Bruno Vespa). Sono solo alcune delle tante "perle" intercettate dalla Guardia di Finanza e agli atti di questa inchiesta. Rispetto alla quale si ripeterà la solita solfa autoassolutoria: tutto è stato archiviato. Ed è vero. Ma quello che emerge dalla vicenda è un "paradigma", un "metodo di governo" che non necessariamente ha a che vedere con la rilevanza penale, ma che rimanda inequivocabilmente a una questione morale. Che oggi, come dimostra ciò che è accaduto a Michele Santoro e come conferma la nuova inchiesta della procura di Napoli, è più viva che mai. Una questione che ripropone alla pubblica opinione l'esistenza di una "intercapedine del potere", collocata tra la politica, l'informazione e la magistratura. Sofisticata, capillare e onnipotente. Capace di manovrare dietro le quinte, nella zona grigia in cui le "notizie" da nascondere sono merce preziosa, ma le "non notizie" da diffondere, a volte, lo sono ancora di più. Dunque un'organizzazione non istituzionale, ma saldamente incistata dentro le istituzioni. E perciò per sua natura occulta, come fu la P2. Per questa via, da quella Loggia torbida guidata dal Grande Burattinaio Licio Gelli, si transita negli anni successivi per la loggia Rai-Set, si passa per la P3 di Anemone e Balducci e si arriva oggi alla P4 di Bisignani. Con un filo rosso di continuità ideologica e "programmatica", che lega la Prima alla Seconda Repubblica e che si dipana intorno all'unico uomo capace davvero di attraversarle entrambe: da imprenditore beneficiario dei decreti televisivi e dei favori di Craxi, e poi da presidente del Consiglio proprietario del duopolio tv, ideatore iniziale del partito-azienda e utilizzatore finale delle leggi ad personam. E' quella che abbiamo ribattezzato la "Struttura Delta", che allora fece sul campo la sua prova di esistenza in vita, e che oggi continua ad operare, nelle pieghe di un sistema ambiguo e protervo, costruito intorno al conflitto di interessi berlusconiano, e che si occupa e si preoccupa di imprimere lo "spin" della fase. Dirottando l'attenzione sui temi neutri, e depistandola da quelli più "sensibili". La più grande agenzia di newsmaker della nazione, cioè il governo, punta così a dettare i "titoli" della giornata all'intero network politico-mediatico. E continua a riunirsi, talvolta persino alla luce del sole. Come è capitato lo scorso inverno, quando in piena crisi con Fini e con la magistratura il Cavaliere ha riunito a Palazzo Grazioli, sotto la regia dell'onnipresente Crippa e del direttore delle relazioni esterne Fininvest Franco Currò, i suoi direttori d'area, da Giuliano Ferrara ad Alessandro Sallusti, da Maurizio Belpietro a Giorgio Mulè. Come è capitato due settimane fa, quando in piena crisi su "Annozero" il premier ha riunito a Palazzo Grazioli i consiglieri Rai di osservanza forzaleghista, Giovanni Bianchi Clerici, Antonio Verro, Alessio Gorla e Guglielmo Rositani. La Struttura Delta lavora sulla diversione, come "macchina del pongo". Maneggia e plasma numeri e fatti, alterandoli, che il circuito di riferimento (Transatlantico, telegiornali, quotidiani e riviste) frulla e rimette in circolo per orientare o disorientare i cittadini-utenti-elettori. Ma la Struttura Delta lavora anche sulla distruzione, come "macchina del fango". E' il cosiddetto "metodo Boffo", che attinge alla peggiore scuola americana. Lo spiega Stephen Marks (spin doctor dei repubblicani ai tempi di Bush) nel suo "Confessioni di un killer politico": si tratta di mettere in piedi una "squadra di rat-fuckers" che rovistano nelle pattumiere dei nemici politici, cercano nel passato documenti, dichiarazioni, episodi biografici, problemi familiari, investimenti, fotografie. Tutto è buono, tutto torna utile per fabbricare fango. Vero, verosimile, falso: non importa, purché si sporchi un'immagine, si offuschi una reputazione, si macchi una credibilità. Oggi, a distanza di sei anni dall'inchiesta Hdc, la squadra dei "topi-fottitori" si è evoluta. Ha perfezionato il suo know-how. Ha raffinato le sue tecniche. Ma è ancora tra noi. Alle dipendenze del Capo di sempre, che resiste e lotta a dispetto del suo stesso declino. E che per questo è più pericoloso. Il Pdl non c'è più, o forse non c'è mai stato. La Struttura Delta c'è stata, e c'è ancora. E' uno scandalo della democrazia. m.giannini@repubblica.it29 giugno 2011
LA SCHEDA di ALDO FONTANAROSA Dal terremoto alle bestemmie gli omissis dei telegiornali Dal terremoto alle bestemmie gli omissis dei telegiornali Il Presidente del Consiglio durante una registrazione di una puntata di Porta a porta I dissensi clamorosi dentro la redazione del Tg1, le multe del Garante per la propaganda del Premier "a reti unificate", i confronti sconfortanti tra l'informazione politica delle nostre reti e quella delle televisioni straniere. Ecco un breve pro memoria delle polemiche più recenti ROMA - Quando Silvio Berlusconi interviene su Tg1, Tg2, Tg5 e Tg4 - è il 20 maggio 2011, vigilia del ballottaggio a Napoli e Milano - il simbolo del Pdl è sempre ben visibile alle sue spalle. In tutti gli schermi televisivi e a reti unificate. Il dettaglio non sfugge al Garante per le Comunicazioni, che aggiunge: i giornalisti intervistatori assumono un "ruolo marginale" rinunciando a incalzare il Cavaliere come invece dovrebbero. E dunque le interviste - tutte incentrate sul voto, indifferenti agli altri temi dell'attualità - assumono il carattere della "comunicazione politica", più che dell'informazione. Si è trattato - insiste il Garante - di spazi elettorali autogestiti dal Cavaliere, di videomessaggi senza contraddittorio e senza pubblica utilità. Una regìa comune. Il Garante - che multerà il Tg1, il Tg2, il Tg5, il Tg4 - intravede dunque una regìa dietro le esternazioni del premier: una regìa comune che parte da Mediaset e si estende alla televisione di Stato, preoccupata di mettere l'intervistato nelle migliori condizioni, sotto lo scudo protettivo del simbolo elettorale.
Lo stesso minestrone. Un anno prima, ad aprile del 2010, in occasione delle Regionali, il Garante ha già sanzionato Tg1 e Tg5 (con 100mila euro a testa) per aver dato troppa voce ai soliti noti, molto meno o anche niente agli altri. I due telegiornali dovrebbero essere entità distinte, eppure cucinano lo stesso minestrone quasi appartenessero alla stessa catena informativa. Dal 7 al 13 marzo, Tg1 e Tg5 premiano entrambi il Pdl, trascurano la Lega, ridimensionano il Pd, concedendo infine "zero secondi" ai terzi incomodi Grillo e Alleanza per l'Italia. Il test del terremoto. Sulla sciagura dell'Aquila, dice la sua una protagonista del giornalismo italiano. Nel suo libro "Brutte notizie", Maria Luisa Busi individua come una missione unitaria per il Tg5 (Mediaset) e il suo Tg1 (Rai): celebrare gli interventi del governo all'Aquila come un esempio, come un paradigma della buona amministrazione. Ai cittadini abruzzesi che contestano il telegiornale della Prima Rete diretto da Minzolini, la Busi - inviata in Abruzzo - risponde con le sue scuse: è vero - ammette - non abbiamo raccontato la realtà come avremmo dovuto. Parole che le procureranno un vero e proprio "processo" per mano di 20 colleghi del Tg1 che la contestano in assemblea. Se il Tg1 è omissivo sul terremoto, a volte il Tg5 lo segue a ruota. Denuncia la Busi che il telegiornale di Mediaset presenta come un evento ordinario una riunione all'aperto del Consiglio comunale, convocata invece in segno di protesta per i ritardi nella ricostruzione. Barzelletta con bestemmia. Ottobre 2010. Il presidente Berlusconi racconta la solita barzelletta su Rosi Bindi: stavolta però condita da una bestemmia. Circostanza che non fa piacere agli elettori cattolici: quelli informati della cosa, però. In pochi giorni il video - svelato dal sito dell'Espresso e rilanciato da Youtube - supera le 700mila visualizzazioni. Tg1 e Tg5 raccontano della polemica politica che segue la barzelletta blasfema, certo, ma non fanno cenno esplicito alla bestemmia. Tg più leggeri. Gli esempi di piccole e grandi omissioni potrebbero continuare (ad esempio sui sexy gate che investono il Cavaliere). Ma un altro fenomeno - di tipo generale - investe, poco alla volta, i telegiornali: in particolare quelli della Rai e lo stesso Tg1. Alitalia, Fiat, morti sul lavoro, disoccupazione giovanile, terremoto. Sempre la Busi denuncia che tutti i temi veri sono stati ridimensionati dal telegiornale della prima rete. Si preferisce, semmai, un'informazione leggera e spensierata (molto più simile a quella dei notiziari del gruppo Mediaset, specialista nel genere con Studio Aperto). La tesi della Busi viene confermata dall'istituto di indagine Isimm (2009), secondo cui il telegiornale di Minzolini premia molto gli eventi di cronaca, facendosi sempre più "popolare".
Più polemiche, meno fatti. La mutazione dei telegiornali di Stato investe anche l'informazione politica, fatta sempre più di vuoti contenitori di parole. Già nel 2008, l'Osservatorio di Pavia si chiede che cosa muova i cronisti della televisione di Stato, che cosa ci sia dietro e dentro i servizi dei tg di Stato. Nel 76 per cento dei casi, risponde la ricerca in riferimento all'anno 2007, il pezzo giornalistico ha preso spunto da "reazioni polemiche, critiche generiche, prese di posizione che esprimono mera intenzionalità". Chiacchiere, insomma. Solo 20 anni prima, nel 1987, il rapporto era inverso. La maggioranza dei servizi, il 53 per cento, era dedicata a fatti concreti: cioè a leggi, regolamenti, riunioni di segreterie politiche, incontri tra leader. La ricerca. Intitolata "Politica e giornalismo nei telegiornali Rai", confronta i notiziari della Rai e quelli delle consorelle europee, l'inglese Bbc, la francese France 2, la tedesca Ard, la spagnola Tve. E' la prova del nove. Mentre i telegiornali esteri privilegiano i fatti, quelli italiani adottano lo stile "controversiale", del tipo: il ministro ha detto, il deputato ha replicato, il sottosegretario ha aggiunto. Chiacchiere, appunto. Pastoni, come quelli in voga - tutto sommato - anche dalle parti di Mediaset... 29 giugno 2011
RAISET di WALTER GALBIATI Tra Charlize Theron e il Papa morente I "concorrenti" fanno comunella Tra Charlize Theron e il Papa morente I "concorrenti" fanno comunella L'attrice sudafricana Charlize Theron Mauro Crippa (del Biscione) chiama la Bergamini. Vuol sapere cosa ha in programmazione la Rai per la serata. Motivo: non perdere neanche un punto di share. E lei non si sottrae. Anzi: racconta, spiega e ipotizza MILANO - Nessuno, entrando in un'azienda, è chiamato a un giuramento di fedeltà assoluta. Ma l'aspettativa è quanto meno che si lavori per l'interesse di quell'azienda. Eppure scorrendo le telefonate di Deborah Bergamini si percepisce che la Rai, di cui era vicedirettore generale marketing, non è proprio in cima ai suoi interessi. Il suo cuore sembra pulsare ancora per il suo "ex Capo", come lo chiama più volte nelle intercettazioni, per Silvio Berlusconi che è non solo il suo referente politico, ma anche l'azionista di riferimento di Mediaset, il principale concorrente della televisione pubblica. Le intercettazioni: Nasce il modello Raiset Un amore che la porta a spifferare alla concorrenza quello che i vertici della Rai decidono nelle riunioni sui palinsesti. Non c'è decisione, nel periodo delle intercettazioni, presa dal direttore generale Flavio Cattaneo sulla programmazione che non venga riferita ai dirigenti di Cologno Monzese. Le figure di riferimento della Bergamini sono Mauro Crippa e Niccolò Querci, il primo direttore centrale della Comunicazione del gruppo Mediaset e il secondo membro del cda di Mediaset e ai tempi consigliere delegato di Rti, la licenziataria delle concessioni televisive di Berlusconi. Basta una telefonata per capire come le informazioni strategiche viaggino tra la Rai e Mediaset. È il 2 aprile 2005, sono le 17.49, ufficialmente il Papa è in agonia. Crippa deve sapere con certezza cosa metterà in onda la Rai per non perdere neanche un punto di share. Il suo dubbio è tra una fiction religiosa e un film Usa con Charlize Teron, "Sweet november". E a chi si rivolge? Crippa: "A noi risulta che ci sia 'Sweet november', io devo saperlo con assoluta sicurezza, solo che tu sei la persona più autorevole e sicura che conosco". Bergamini: "Io sono una poveretta solo che ho le orecchie. Ero in riunione col direttore generale". Crippa: "Non giochiamo su questa cosa perché è delicatissima". Bergamini: "Siamo usciti dalla riunione con San Paolo questa stasera. Abbiamo fatto una riunione straordinaria, se poi la rete fa doppio gioco io questo non te lo so dire". Crippa: "Ecco è questa la paura. Tu mi insegni che non ci vuole niente per cambiare la programmazione e farci prendere un bagno di ascolti pauroso". Bergamini: "Questo è l'intendimento". Crippa: "Mi chiami se ci sono novità?". Bergamini: "Assolutamente". Un "assolutamente" che si concretizza qualche minuto dopo alle 18.06, quando la Bergamini, dopo l'ennesima riunione, alza la cornetta per avvisare Crippa: "Mauro? Hanno deciso ora di andare con Vespa in prima serata". Crippa: "Grazie mille". E la tempestività è impressionante. Il disinteresse per la Rai invece è confermato in una conversazione telefonica con Carlo Nardello, direttore marketing strategico della Rai. Alla Bergamini sembra interessare solo la sua missione politica, che a due giorni dalla morte del Papa e sotto elezioni è quella di tenere meno gente possibile davanti alla televisione. Serve che si vada a votare, il timore è che l'astensionismo dei cattolici penalizzi il Centrodestra. Non importano gli ascolti della Rai. Nardello: "Stasera basta Vespa, mettiamo un bel Orgoglio". Bergamini: "Mediaset che mette?". Nardello: "Mediaset metterà Carabinieri". Bergamini: "No, fategli mettere Carol. Parlaci tu". Nardello: "Carol? Ma se mette Carol noi non mettiamo Orgoglio?". Bergamini: "Qual è l'obiettivo di oggi?". Nardello: "Sì". Bergamini: "Ecco". Nardello: "Carol fa 50 per cento, ... tutti gli altri fanno due". Bergamini: "Mettessero loro Carol, noi mettiamo chi se ne frega". Nardello: "L'hanno confermato il 19, Carol. Senti il tuo amico Querci se vogliono mettere Carol. Il mio corrispondente dice che non ce lo mettono". Non due aziende, Rai e Meidaset, ma una sola, piegata alle esigenze di Berlusconi, Raiset. 29 giugno 2011
LA DISINFORMAZIONE di EMILIO RANDACIO "Non mostrate quei dati elettorali" Vietato far arrabbiare il Dottore "Non mostrate quei dati elettorali" Vietato far arrabbiare il Dottore Clemente Mimun. quando dirigeva il Tg1 Aprile 2005, nei giorni dell'agonia di Papa Giovanni Paolo II, in Rai l'unica preoccupazione era quella di "edulcorare" i numeri delle elezioni regionali (finì 11 a 2 per l'opposizione) per non urtare il "Capo". Il lavoro di Mimun, gli ordini di Cattaneo. E Bruno Vespa... si adegua MILANO - Giovanni Paolo II termina la sua agonia la sera di sabato 2 aprile. E in Viale Mazzini, la situazione, viene monitorata da vicino, anche per capire le possibili conseguenze politiche che può avere. Sabato 2 aprile, la Bergamini chiama Valentino Valentini, dal 2001 deputato di Forza Italia, all'epoca capo ufficio della presidenza del Consiglio, "per sapere dov'è il Dottore". La Bergamini vuole comunicargli che il presidente della Repubblica, all'epoca Carlo Azeglio Ciampi, "che fa il furbo", sta preparando un discorso a reti unificate. In una telefonata successiva, è l'attuale direttore del Tg5, all'epoca al Tg1, Clemente Mimun, a svelare come il potere di Berlusconi sull'ammiraglia di Viale Mazzini, sia spietato. "Buonaiuti (Paolo, sottosegretario e uomo ombra del Cavaliere, ndr) mi ha fatto inc... perché mi ha detto che il Capo era tutto incaz... - spiega alla Bergamini Mimun - perché abbiamo rappresentato il Papa come un no-global". E ancora, Mimun non si rassegna: "Abbiamo fatto uno sforzo della Madonna per fare passare il messaggio dell'anticomunismo". Le intercettazioni: La disinformazione Solo un antipasto per la macchina da guerra targata Berlusconi che si mette subito dopo in moto per le elezioni regionali. La Bergamini è il fulcro di questo potere. A lei si rivolgono politici, alti funzionari Rai, mezzibusti e perfino i sondaggisti. Così, al sabato, Benito Benassi della società Nexus informa la vice direttrice Marketing Rai che i sondaggi sono negativi per il Pdl. Due giorni dopo, quando ormai il tracollo di Forza Italia è evidente, l'accoppiata Benassi-Bergamini scende in campo per cercare di limitare i danni. Dalle intercettazioni si intuisce che sono allo studio anche i grafici da presentare nei Tg Rai e a Porta a Porta. Per evitare che emerga la sconfitta dello schieramento del premier, ecco che decidono di spezzettare le percentuali per ogni singolo partito e non presentarle per le coalizioni. Benassi dice alla Bergamini: "Abbiamo costruito questa roba apposta". I due interlocutori concordano sul fatto che bisogna mischiare le carte. Benassi suggerisce anche "di sentire qualcuno politicamente parlando". La Bergamini lo rassicura: "Io ieri ho parlato con Bondi e Cicchitto, non hanno la più pallida idea". Ma l'ex segretaria personale del premier, di una cosa è sicura: "Più casino si fa e meglio è". Più passano le ore e maggiore è la consapevolezza della disfatta politica. Benassi parla di "voti drammatici, 11 a 2 per il centro sinistra. Forza Italia sta crollando, un dramma". E lo stesso canovaccio lo segue l'allora direttore generale della Rai, Flavio Cattaneo. Alla Bergamini, l'uomo all'epoca in quota An, spiega le modalità con cui dare i sondaggi. "Ho parlato con Buonaiuti, non ho parlato con Lui che era con Piersilvio - esordisce Cattaneo -, non volevo rompergli troppo i cogl... Io sto tenendo duro - spiega Cattaneo - anche con gli altri dicendo che non è il caso, non è il caso (di rendere pubblici i sondaggi, ndr), anche se non mi sembrano drammatici". Una visione evidentemente poco lucida. La Bergamini lo interrompe: "Però il centro sinistra è al 52 per cento con il 47 nostro, e Mediaset non li manda". Cattaneo sembra traballare: "Quello che rompe i cogl... - insiste - è Follini (Marco, all'epoca con l'Udc, spina nel fianco del governo, ndr), perché lui vuole attaccare Berlusconi, ma io non glielo posso consentire, anche se prima o poi li devo dare (i sondaggi, ndr)". La macchina da guerra sa perfettamente le mosse da fare. "Berlusconi non lo chiamo - aggiunge ancora Cattaneo -. Lui è li che guarda i palinsesti, è fuso, è inutile coinvolgerlo in queste robe qui. Noi teniamo il più duro possibile". Poco dopo, il direttore generale richiama Bergamini e le comunica "che anche An non vuole che i dati vengano pubblicati prima delle 20. Li ho convinti su questa linea... loro non perdono". Quando si avvicina l'ora dell'ufficializzazione della disfatta, la tensione in Viale Mazzini, lunedì 4 aprile 2005, sale. Benassi, per Nexus, comunica all'ex braccio destro del premier che "l'unico che cala è Forza Italia", e anche che "la differenza è di quasi 8 punti a favore del centro sinistra". Ed ecco tentare la manovra disperata: "Vi sconsiglio di dare questi dati a Vespa a Porta a Porta. Io ho fatto una litigata con Losa (Maurizio, all'epoca capo redattore del Tg3, ndr), perché dice che gli ho bloccato i dati e mi ha detto che sono fazioso. Io gli ho detto che erano ballerini. Di Bella (Antonio, direttore del Tg3, ndr) non è un coglione, quindi vedo. Chiami tu Vespa? Va spiegato a Bruno...". Pochi istanti e al telefono della Bergamini arriva la telefonata del giornalista, che si lamenta delle manovre di Nexus. Ma la fedelissima del premier lo liquida con un "è un ordine di Cattaneo", al quale il "Bruno nazionale" non osa ribellarsi. "Bene, basta saperlo, perfetto, non volevo equivoci". 29 giugno 2011
LA TASK FORCE di EMILIO RANDACIO Il capo ringhiò: "Cosa non ha funzionato?" E parte l'idea della schedatura interna Il capo ringhiò: "Cosa non ha funzionato?" E parte l'idea della schedatura interna Fabrizio Del Noce Dopo il disastro delle regionali, la decisione di cambiare strategia in Rai. Un incontro segreto per definire il "Piano B". E nasce l'idea di una "struttura" che comprenda giornalisti, artisti, dirigenti. Si comincia da un elenco MILANO - La macchina da guerra si mette in moto da subito. Appena la certezza della sconfitta elettorale raggiunge Arcore, Silvio Berlusconi alza la cornetta e chiama Deborah Bergamini. È lunedì 4 aprile 2005, sono le 19. La conversazione non è registrata dagli investigatori milanesi, il premier è tutelato dall'immunità, ma viene annotata nei brogliacci. E il contenuto lo si può intuire nelle parole che la responsabile del Marketing Rai usa nei colloqui successivi. "Ringhiava", confida a un amico descrivendogli lo stato d'animo del premier. Le 11 regioni a 2 conquistate dal centro sinistra mandano su tutte le furie il Cavaliere. Cosa non ha funzionato nella struttura che aveva messo a punto all'inizio del suo mandato? Ecco, dunque, che parte il "Piano B". Dal giorno successivo quella telefonata, gli uomini a lui più vicini vengono contattati dall'onnipresente e propositiva Bergamini. Viene organizzato un vertice. "Debby" chiama Gianfranco Comanducci, attuale vice direttore generale di Viale Mazzini, sei anni fa responsabile delle Risorse umane dell'azienda televisiva di Stato. I due parlano di "un piccolo raggruppamento da organizzare", di cui, stando sempre agli inviti telefonici partiti successivamente, farà parte anche Alessio Gorla (all'epoca direttore delle Risorse, oggi componente del Cda Rai), Clemente Mimun e Fabrizio Del Noce (allora direttore di RaiUno). Le intercettazioni: La task force Che la debacle dell'urna sia stata bruciante per la scuderia del Cavaliere lo si intuisce anche in una conversazione che la Bergamini ha con Riccardo Berti, diventato per volontà del dg Flavio Cattaneo l'anchor man di Batti e ribatti, la striscia più ricca di Rai Uno, quella post Tg1 che era stata di Enzo Biagi. Berti stando alle sue parole è stato componente dello staff del premier, occupandosi dei "mattinali", le rassegne stampa. I due parlano di un sondaggio chiesto a Nexus sul premier dopo la sua comparsata a Ballarò, il martedì successivo alle elezioni. Poi, i due pensano di suggerire l'allontanamento di Paolo Buonaiuti dal posto di portavoce del Cavaliere, per sostituirlo con Joachin Navarro Valls, lo storico capo ufficio stampa del Vaticano sotto il papato di Giovanni Paolo II. I due parlano della possibilità di costituire "un gruppo di pensatori", per migliorare l'immagine del "Capo". In Rai viene messa in pratica la nuova strategia, anche se i componenti della cabina di regia devono rimanere occulti. Lo si capisce, ancora una volta dai successivi colloqui intercettati. Gli incontri preparatori devono avvenire lontani da occhi indiscreti. Così, Comanducci suggerisce alla Bergamini di non vedersi in un noto ristorante romano, "darebbe nell'occhio", spiega l'attuale vice direttore generale. Sarebbe meglio fare la riunione "qui in Rai, che sarebbe normale". Traducendo le telefonate raccolte dall'inchiesta sul crac Hdc, si delinea anche perfettamente come all'incontro vorrebbe partecipare lo stesso premier. Marinella Brambilla, segretaria personale storica di Berlusconi, chiama "Debby" per annunciarle che la riunione si terrà "a palazzo". Non è chiaro se Chigi o Grazioli. Qualcosa però va storto, gli impegni politici di Berlusconi, probabilmente, fanno saltare l'incontro carbonaro. E in una successiva telefonata ancora la Brambilla annuncia che l'appuntamento "è spostato alle 22 a casa di Cantoni (probabilmente Gianpiero, attuale senatore del Pdl, ndr)... già mangiati". Ma cosa si è deciso in quell'incontro strategico che doveva rimanere segreto? In una successiva conversazione sembra svelarlo uno dei partecipanti, l'attuale direttore del Tg5, all'epoca al Tg1, Clemente Mimun. La Bergamini spiega che è necessario operare una sorta di schedatura. Ai giornalisti ci penserà lui ("l'informazione deve essere un presidio antiguai", per il Cavaliere), che propone anche la strategia per controllare politicamente la Rai, mettendo gli uomini giusti nei posti chiave ("siamo in emergenza spinta... bisogna pensare a muovere quattro o cinque cose sole"). La Bergamini, dal canto suo, gli annuncia che Gorla farà la stessa cosa sugli artisti e i programmi targati Rai, e Comanducci sui dirigenti, perché "così come è la Rai non gli serve". 29 giugno 2011
LA SQUADRA di WALTER GALBIATI Pionati e Bergamini cercano adepti "Siamo più di quelli che crediamo" Pionati e Bergamini cercano adepti "Siamo più di quelli che crediamo" Deborah Bergamini, il capo della squadra che operava in Rai per favorire Berlusconi Il notista politico del Tg1 e la responsabile Marketing della Rai discutono di come mettere insieme un gruppo di "resistenza" interno. Lui è ansioso di sapere se il Cavaliere è "ben disposto nei miei confronti". Alla risposta positiva, gongola ROMA - "Fatti capo di una squadra che si ripropone al presidente". Sono le parole di Francesco Pionati, notista politico del Tg1 di Clemente Mimun, di cui diventa anche vicedirettore. E sono le parole che il 3 aprile 2005 Pionati suggerisce a Deborah Bergamini subito dopo la sconfitta elettorale del centrodestra, consigliando all'ex segretaria di Berlusconi di costruire una rete di "amici del presidente" all'interno della Rai per contrastare il probabile arrivo delle truppe dell'opposizione in vista di un cambio della guardia. Le Regionali sono perse e ora si teme per le imminenti elezioni politiche. Pionati, nonostante tutto, rimarrà fedele, ma vuole garanzie e sicurezza: "Una bella botta 11 a 2, dopo che ci prepariamo a un'ondata violenta sull'azienda? Mezzo terremoto". "Tu fatti capo di una squadra che si ripropone al presidente". Bergamini: "Assolutamente". Pionati: "Per vincere deve mettere in posizione tutti i pezzi di batteria". "Mi faccia un elenco di persone". "L'ho difeso sempre e comunque, fregandomi dei veleni che mi hanno sempre tirato addosso. Sondalo se è sempre ben disposto nei miei confronti, per me è fondamentale, per l'aspetto psicologico". Le intercettazioni: La squadra Pochi giorni dopo, il 7 aprile, Pionati torna alla carica e chiede alla Bergamini se ha parlato o no con Berlusconi. Bergamini: "Non sono ancora riuscita a parlarci. Ti dirò qualcosa di nuovo nei prossimi giorni". Pionati: "L'importante è che il presidente ci carichi, ho voglia di fare la guerra, un paracadute ce lo troverà". Bergamini: "Siamo più di quelli che crediamo". Non ricevendo rassicurazioni, P |